Daniele Scalise, I soliti ebrei, Mondatori, 2005, p. 167, € 9
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Gli italiani sono antisemiti? Le leggende che vogliono la popolazione ebraica unita in una potente quanto invisibile lobby sono ancora diffuse nell'Italia del Terzo millennio? È vero che nel Bel Paese sopravvive, alimentato da vecchi e nuovi pregiudizi, un sentimento di ostilità nei confronti degli ebrei? Sono da prendere sul serio le percentuali che periodicamente danno conto di una diffusa insofferenza per un popolo che, nel cosiddetto «secolo breve», ha rischiato la cancellazione dalla faccia della terra?
A queste e a molte altre domande cerca di rispondere I soliti ebrei, contraddicendo il mito degli «italiani brava gente» e tentando di rintracciare le forme e i segni, a volte visibili altre volte meno, di un odio millenario che pare abbia trovato nuove sintesi e nuove forme per manifestarsi, ma anche nuove tane dove nascondersi: gli anfratti non sempre decifrabili e raggiungibili di Internet, i cupi conventi lefebvriani, le moschee diffuse su tutto il territorio, le sedi dei partiti e i centri sociali. Dai teologi dell'integralismo cattolico ai fedeli dell'islam, dagli ultras del calcio agli studenti di scuole superiori, ecco come si riaffacciano i fantasmi di un livore feroce, mai ammansito anche se spesso occultato da un'impeccabile quanto vana politically correctness.
Daniele Scalise cerca di riportare alla luce i fantasmi di un pregiudizio vergognoso che non ha mai smesso di inquinare la nostra civiltà e la nostra cultura, e che oggi si presenta in una versione aggiornata: un'animosità incontrollata nei confronti dello Stato d'Israele considerato il luogo - reale e insieme simbolico - su cui riversare un'insensata aggressività. Voci dal buio del rancore e dell'ignoranza s'intrecciano a quelle della riflessione pacata in un'inchiesta che evoca uno spettro antico e immarcescibile, il cui profilo si staglia spaventosamente familiare.
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