Perché ci interessiamo di Israele


Il problema di Israele in realtà è stato sempre il problema dell'esistenza di Israele. La ragione del disagio non va cercata in quello che gli ebrei fanno o sono. La gente non li odia perché fanno gli strozzini o hanno il naso adunco: il problema sta nel fatto che ci sono.
   Da una parte questa constatazione può tagliare le gambe agli ebrei di buona volontà, quelli che vogliono avere un comportamento giusto e rispettoso verso gli altri, che cercano di evitare atteggiamenti di superbia che possano ferire, che fanno sforzi per favorire il dialogo e lo stare insieme dei diversi. Tutto questo è buono e lodevole in sé, ma non cambia il fatto che le cose buone può farle soltanto qualcuno che c'è. E più un ebreo si muove, anche per venire incontro al suo prossimo non ebreo, più gli fa sentire che c'è. E questo non fa che aumentare l'avversione del non ebreo ostile.

 UNA MALATTIA DEI GENTILI
  D'altra parte, proprio questa amara constatazione può liberare l'ebreo da un inutile senso di colpa. «Sarò imperfetto, farò molte cose sbagliate, sarò un poco di buono come tanti altri - può pensare - ma se i guai provengono dal fatto che ci sono, allora la colpa non è mia, perché io ho il diritto di esserci, come tutti gli altri».
   Sì, su questo punto gli ebrei possono tranquillizzarsi: il "problema Israele" in realtà è una malattia dei gentili.
   C'è un particolare della vita di Theodor Herzl che fa capire quanto può essere pesante per un ebreo il sentirsi non accolto dall'ambiente circostante, e quanto può essere grande e sincero il desiderio di fare qualcosa per venire incontro alle aspettative degli altri. Riporto alcune notizie della sua vita tratte da "A History of Israel from the Rise of Zionism to our Time", di Howard M. Sachar.
   Herzl non era un religioso, e in gioventù tendeva piuttosto all'assimilazione. Provava anzi un po' di disagio davanti ai comportamenti sconvenienti di certi "cattivi ebrei". Ma il suicidio di un suo caro amico, Heinrich Kana, molto probabilmente dovuto ai disagi legati al suo essere ebreo, lo scosse profondamente. Nella sua attività di giornalista cominciò allora a dedicare sempre più attenzione all'antisemitismo, e nel privato continuò a rimuginare dentro di sé su quello che si poteva fare per eliminare questa piaga sociale. Un'idea che gli venne in mente, e che riportò soltanto nelle sue note, fu «una volontaria e onorevole conversione» di massa degli ebrei al cristianesimo. Immaginava che la cosa sarebbe dovuta avvenire «alla chiara luce del sole, in un pomeriggio di domenica, con una solenne, festosa processione accompagnata dal suono delle campane ... con fierezza e gesti dignitosi». L'autore aggiunge che Herzl lasciò cadere quasi subito quest'idea, ma il semplice fatto che gli sia venuta in mente fa intuire il peso che aveva in cuore, e la sua sincerità nella ricerca di una soluzione che non danneggiasse nessuno.
   Resta la domanda del perché. Perché i gentili non sopportano la presenza degli ebrei come persone, come popolo, come nazione? Anche qui le spiegazioni date sono innumerevoli, ma quella biblica resta la più semplice, ed è anche quella giusta: gli ebrei ricordano Qualcuno. Qualcuno a cui non si vuole pensare perché non si vuole che ci sia. O, se proprio deve esserci, che almeno stia zitto. Si sarà capito che è il Dio d'Israele, l'unico vero Dio, che non solo ha creato i cieli e la terra, ma li ha creati con la sua parola, e quindi ha parlato, e continua a parlare. Cosa che a molti non fa piacere.
   Si capisce allora perché periodicamente si è sempre fatto avanti qualcuno che ha manifestato la "buona intenzione" di beneficare l'umanità risolvendo una volta per tutte il problema nell'unico modo adeguato: sterminando gli ebrei. E questa non è un'idea che sia venuta in mente per la prima volta a Hitler. L'intenzione risale ai tempi biblici. Sentiamo come prega il salmista:
    "O Dio, non restare silenzioso! Non rimanere impassibile e inerte, o Dio! Poiché, ecco, i tuoi nemici si agitano, i tuoi avversari alzano la testa. Tramano insidie contro il tuo popolo e congiurano contro quelli che tu proteggi. Dicono: «Venite, distruggiamoli come nazione e il nome d'Israele non sia più ricordato!» Poiché si sono accordati con uno stesso sentimento, stringono un patto contro di te: le tende di Edom e gl'Ismaeliti; Moab e gli Agareni; Ghelal, Ammon e Amalec; la Filistia con gli abitanti di Tiro; anche l'Assiria s'è aggiunta a loro; presta il suo braccio ai figli di Lot" (Salmo 83:1-8).
Tramano insidie contro il tuo popolo, congiurano, si sono accordati con uno stesso sentimento, stringono un patto, dicono: «Venite, distruggiamoli come nazione e il nome d'Israele non sia più ricordato!» Sembra di assistere a una seduta della Lega Araba. Anche loro, infatti, hanno stretto un patto, che dà tutta l'impressione di essere soltanto contro Israele.
   In questo salmo c'è tutta la spiegazione del "problema Israele". Abbiamo detto che la causa profonda dell'ostilità verso gli ebrei sta nel fatto che ci sono, e infatti qui si dice: "distruggiamoli come nazione". Abbiamo detto che non si vuole che gli ebrei ci siano perché non si vuole che la loro presenza tenga vivo un ricordo, e qui si dice: "... e il nome d'Israele non sia più ricordato!". Abbiamo detto che quello che non vuol essere ricordato è il Dio d'Israele, e qui si dice che i popoli stringono un patto contro di te, cioè contro Dio che ha scelto Israele.
   Il salmista non prega dicendo: "Aiuto, Signore, siamo in mezzo ai guai, liberaci dai nostri nemici", come avremmo fatto noi che pensiamo sempre e soltanto agli affari nostri. Il salmista dice: "I tuoi nemici si agitano, i tuoi avversari alzano la testa". Quello che succede a noi è un problema tuo, dice il salmista a Dio, perché i nostri vicini stanno congiurando "contro quelli che tu proteggi", e allora se noi andiamo a fondo, sarà il tuo nome che ci va di mezzo. Diranno che non sei un Dio potente, che non sei stato capace di proteggere il tuo popolo, arriveranno fino a Gerusalemme, al monte che tu hai scelto per tua dimora (Salmo 68:16), e faranno quello che vuol fare Arafat (anacronismo calcolato), «poiché hanno detto: Impossessiamoci delle dimore di Dio» (Salmo 83:12). E nel seguito il salmista non chiede al Signore di aiutare il popolo d'Israele, ma di colpire i nemici di Dio. Cattiveria? No, difesa del nome di Dio e desiderio che i popoli vicini, proprio quelli che vogliono far sparire il nome d'Israele dalla terra (tanto da non volerlo nemmeno scrivere sulle carte geografiche del Medio Oriente), si ravvedano e cerchino il nome del SIGNORE, buttando nella spazzatura tutti gli altri nomi. Infatti conclude:
    Copri la loro faccia di vergogna perché cerchino il tuo nome, o SIGNORE! Siano delusi e confusi per sempre, siano svergognati e periscano! E conoscano che tu, il cui nome è il SIGNORE, tu solo sei l'Altissimo su tutta la terra (Salmo 83:16-18).
Il salmista quindi non va in depressione per l'odio che sente contro Israele, e non si limita neppure a dire a se stesso: "Io ho il diritto di esistere come tutti gli altri", ma in sostanza dice a Dio: "Tu hai il dovere di farmi esistere per tutti gli altri".
   Ma è chiaro che chi osa pregare in questo modo deve anche, coerentemente, lui per primo, cercare e onorare il nome del Signore. E questo è il vero problema di Israele.

 EBREO, GENTILI... E CRISTIANI
  Cominciamo adesso a dire qualcosa su di noi, che ci professiamo cristiani e abbiamo un particolare rapporto con Israele e con gli ebrei.
   Diciamo anzitutto che mentre il dualismo ebrei-gentili è giustificato biblicamente ed è chiaro nella sua formulazione, anche se non sempre nella sua esatta delimitazione, la contrapposizione ebrei-cristiani è ambigua e fuorviante. Anzitutto, entrambi i termini sono di radice ebraica. Se nvece di usare la derivazione dal greco si usasse quella dall'ebraico, si dovrebbe parlare di "messianici", invece che di "cristiani", e allora il collegamento con l'ebraismo sarebbe più evidente. Ma a parte questo, non ha senso contrapporre ebraismo e cristianesimo come se fossero due religioni che una volta si combattevano ma adesso hanno finalmente imparato la civile arte del dialogo e della coesistenza pacifica. O meglio, il senso è che quando questo avviene, vuol dire che s'incontrano due religioni create dagli uomini, senza reale collegamento con la rivelazione biblica. All'inizio i cristiani erano tutti ebrei. Solo dopo qualche anno ai cristiani ebrei si sono aggiunti anche i gentili, che adesso certamente sono in larga maggioranza. Ma questo non giustifica una delimitazione di campo tra ebrei e cristiani.
   Prendiamo infatti i principali documenti dei cristiani: i vangeli. Qualcuno forse pensa che i vangeli siano libri da sacrestia, che parlino di chiese, messe, sacramenti, processioni, statue della madonna, cattedrali. Chi li conosce sa invece che non c'è niente di tutto questo. E molti forse sarebbero sorpresi nel sapere che nei vangeli il terlmine "chiesa" è usato solo 3 volte in due soli versetti, mentre il terrmine "Israele" è usato 30 volte in altrettanti versetti. Un rapporto di 1 a 10. Questo dà una prima idea di questi libri che, contrariamente a quello che si può pensare, hanno un carattere interamente ebraico, anche se sono scritti in greco. Una persona che cominciasse a leggere l'Antico Testamento e proseguisse nel Nuovo fermandosi ai vangeli, potrebbe legittimamente chiedersi: "Ma che c'entrano i non ebrei in tutto questo?". Un ebreo nato in Israele e cresciuto con un'educazione ortodossa, che in età adulta si è deciso infine a leggere i vangeli, non solo vi ha ritrovato un paesaggio a lui ben familiare, ma a un certo momento si è chiesto: "Ma come fanno i gentili a capire questi libri?" E la domanda è comprensibile, perché per veder comparire il primo gentile che occupi un posto significativo nella storia della salvezza si deve arrivare al capitolo 10 del libro degli Atti.
   Riporto un passo del vangelo che dovrebbe essere noto, ma non è molto sottolineato:
    Ed ecco una donna cananea di quei luoghi venne fuori e si mise a gridare: «Abbi pietà di me, Signore, Figlio di Davide. Mia figlia è gravemente tormentata da un demonio». Ma egli non le rispose parola. E i suoi discepoli si avvicinarono e lo pregavano dicendo: «Mandala via, perché ci grida dietro». Ma egli rispose: «Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d'Israele». Ella però venne e gli si prostrò davanti, dicendo: «Signore, aiutami!» Gesù rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini». Ma ella disse: «Dici bene, Signore, eppure anche i cagnolini mangiano delle brìciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le disse: «Donna, grande è la tua fede; ti sia fatto come vuoi». E da quel momento sua figlia fu guarita (Matteo 15:22-28).
E' un passo tosto. Ci presenta un Gesù che entra a fatica nelle varie iconografie religiose o laiche. C'è da scommettere che il racconto riesce a scontentare tutti. Scontenta i palestinesi, perché vedono una di loro umiliarsi in modo indecoroso davanti a un ebreo; scontenta gli ebrei, perché si sentono chiamare "pecore perdute" e perché non possono lasciare Gesù ai polacchi e al loro Papa, come avrebbero fatto più che volentieri; scontenta gli antisemiti, perché vedono un Gesù che privilegia in modo inaccettabile gli ebrei; scontenta i promotori dei rapporti umani tra israeliani e palestinesi, perché il dialogo si deve fare su un piano di parità e non in quel modo; scontenta infine tutti quelli dal cuore tenero, perché "così non ci si comporta, ed è pure maleducazione non rispondere, e poi, sì, va bene, la donna alla fine è stata esaudita, ma a prezzo di quale umiliazione! Non si fa così!"
   Non è possibile entrare qui nella spiegazione di quel passo del vangelo, ma vale la pena segnalarlo perché è uno di quei passi della Bibbia che si riescono a ingranare in modo legittimo nel contesto solo se si ha una comprensione della rivelazione biblica che tiene conto in modo corretto del posto che occupa Israele nella storia della salvezza.
   C'è anche un'altra donna non ebrea che Gesù ha trattato in modo non proprio conforme a certi canoni di comportamento usualmente accettati: la donna samaritana. Gesù la incontra e le chiede un favore. Lei si sorprende, prima in modo positivo, perché Gesù si degna di rivolgerle la parola, poi in modo negativo, perché certe parole di Gesù sulla sua vita privata avrebbe volentieri fatto a meno di sentirle. E alla fine, dopo aver capito che Gesù era un profeta, gli pone un problema teologico:
    «I nostri padri hanno adorato su questo monte, ma voi dite che a Gerusalemme è il luogo dove bisogna adorare». Gesù le disse: «Donna, credimi; l'ora viene che né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete; noi adoriamo quel che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma l'ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché il Padre cerca tali adoratori. Dio è Spirito; e quelli che l'adorano, bisogna che l'adorino in spirito e verità». La donna gli disse: «Io so che il Messia (che è chiamato Cristo) deve venire; quando sarà venuto ci annunzierà ogni cosa». Gesù le disse: «Sono io, io che ti parlo!» (Giovanni 4:20-26).
C'è un altro fondamentale errore, molto comune, che deve essere corretto. La Bibbia dei cristiani si divide in Antico e Nuovo Testamento, e, com'è noto, la parola testamento significa patto. Si parla dunque di due patti che Dio ha fatto con gli uomini. Il lettore provi a fare un test con se stesso, e eventualmente anche con altri. Che patti sono? Dove si parla nella Bibbia di questi due patti? Con chi ha fatto Dio i due patti? Forse soltanto a quest'ultima domanda molti si sentirebbero sicuri di poter dare la risposta giusta: l'antico patto è stato fatto con gli ebrei, e non vale più; quello nuovo è stato fatto con i cristiani, e vale ancora. La risposta è sbagliata. Da Abraamo in poi, tutti i patti di cui parla la Bibbia (Antico e Nuovo Testamento) sono stati conclusi sempre e soltanto con il popolo d'Israele. E di tutti questi patti, soltanto uno è da considerarsi superato, ma non per scadenza dei termini o per progresso culturale, come potrebbero pensare i laici illuminati, ma semplicemente perché è stato violato da una delle due parti: il patto con Mosè. Tutti gli altri patti, quelli con Abraamo, con Davide e il nuovo patto, sono sempre in vigore perché sono patti incondizionati, che Dio si è impegnato a mantenere soltanto per essere fedele al suo nome. Non possono essere violati, e quindi sono sempre validi.
   Nell'ultima cena Gesù ha parlato di patto quando ha detto ai suoi dodici discepoli ebrei: «Questo è il mio sangue, il sangue del patto, che è sparso per molti» (Marco 14:24). Questa frase non è una formula magica che fa cambiare il vino in sangue, anche perché in quel momento il sangue di Gesù stava ancora scorrendo nelle sue vene; questo è un linguaggio tipicamente ebraico, come quello che usò Mosè quando suggellò il patto con Dio al Sinai:
   Allora Mosè prese il sangue, ne asperse il popolo e disse:
    «Ecco il sangue del patto che il SIGNORE ha fatto con voi sul fondamento di tutte queste parole»(Esodo 24:8).
Nella Bibbia ogni patto importante doveva essere suggellato con il sangue, e quindi questo è accaduto anche per il nuovo patto. Dice infatti l'evangelista Luca:
    «Allo stesso modo, dopo aver cenato, diede loro il calice dicendo: «Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, che è versato per voi» (Luca 22:20).
Il sangue del patto, dunque, è quello di Gesù, ma il contraente umano del nuovo patto, chi è? La risposta si trova nell'Antico Testamento, prima che nel Nuovo:
    «Ecco, i giorni vengono», dice il SIGNORE, «in cui io farò un nuovo patto con la casa d'Israele e con la casa di Giuda; non come il patto che feci con i loro padri il giorno che li presi per mano per condurli fuori dal paese d'Egitto: patto che essi violarono, sebbene io fossi loro signore», dice il SIGNORE; «ma questo è il patto che farò con la casa d'Israele, dopo quei giorni», dice il SIGNORE: «io metterò la mia legge nell'intimo loro, la scriverò sul loro cuore, e io sarò loro Dio, ed essi saranno mio popolo. Nessuno istruirà più il suo compagno o il proprio fratello, dicendo: "Conoscete il SIGNORE!" poiché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande», dice il SIGNORE. «Poiché io perdonerò la loro iniquità, non mi ricorderò del loro peccato» (Geremia 31:31-34).
Geremia scrive mentre sta per avvenire il tragico dramma della presa e della distruzione di Gerusalemme, cioè in un momento in cui si poteva pensare che la storia d'Israele sarebbe finita lì. Parla del patto che essi violarono, riferendosi evidentemente a quello del Sinai, e annuncia un nuovo patto. Ed è questo il patto di cui parla Gesù nell'ultima cena, come viene anche attestato dalla citazione del passo di Geremia che si fa in Ebrei 8:8-13. Ma si noti che questo nuovo patto è stato fatto con la casa d'Israele e con la casa di Giuda, non con i cristiani, non con la chiesa. Fino a quel momento noi gentili non eravamo stati neppure interpellati, non sapevamo niente, eravamo tutti ignoranti, come Pilato. Come lui non avremmo potuto capire chi era Gesù, e come lui l'avremmo condannato a morte.
   L'apostolo Paolo, che qualcuno considera un traditore del popolo ebraico, sottolinea invece che agli israeliti "appartengono l'adozione, la gloria, i patti, la legislazione, il servizio sacro e le promesse" (Romani 9:4). Mentre ai gentili dice:
    Ricordatevi che un tempo voi, stranieri di nascita, chiamati incirconcisi da quelli che si dicono circoncisi, perché tali sono nella carne per mano d'uomo, voi, dico, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d'Israele ed estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo (Efesini 2:11-12).
Noi gentili eravamo dunque senza speranza e senza Dio nel mondo perché eravamo senza Cristo, cioè senza Messia. Ed è a questo punto che viene fuori la caratteristica inattesa del nuovo patto che Dio ha stabilito con la casa d'Israele. Per una precisa volontà rivelata da Dio agli apostoli, questo patto apre la possibilità di estendere anche ai non ebrei la grazia spirituale che è compresa in questo patto: il perdono dei peccati e il dono di un cuore nuovo e di uno spirito nuovo, come Dio ha promesso alla casa di Giuda.
    Ma ora, in Cristo Gesù, voi che allora eravate lontani siete stati avvicinati mediante il sangue di Cristo. Lui, infatti, è la nostra pace; lui che dei due popoli ne ha fatto uno solo e ha abbattuto il muro di separazione abolendo nel suo corpo terreno la causa dell'inimicizia, la legge fatta di comandamenti in forma di precetti, per creare in sé stesso, dei due, un solo uomo nuovo facendo la pace; e per riconciliarli tutti e due con Dio in un corpo unico mediante la sua croce, sulla quale fece morire la loro inimicizia. Con la sua venuta ha annunziato la pace a voi che eravate lontani e la pace a quelli che erano vicini; perché per mezzo di lui gli uni e gli altri abbiamo accesso al Padre in un medesimo Spirito. Così dunque non siete più né stranieri né ospiti; ma siete concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio. Siete stati edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare, sulla quale l'edificio intero, ben collegato insieme, si va innalzando per essere un tempio santo nel Signore. In lui voi pure entrate a far parte dell'edificio che ha da servire come dimora a Dio per mezzo dello Spirito (Efesini 2:13-22).
In questo modo abbiamo toccato il punto fondamentale della fede cristiana che avvicina ebrei e gentili, perché inserisce questi ultimi (i lontani) nell'ambito della benedizione promessa ai primi (i vicini): la persona di Gesù, che però nel presente resta ancora una pietra di scandalo e un elemento di divisione.
   «E voi, chi dite che io sia?» chiese a un certo momento Gesù ai suoi discepoli (Matteo 16:15). La risposta fu data, ed era quella giusta, ma solo un ebreo poteva darla: «Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivente» (Matteo 16:16). Solo chi risponde nello stesso modo a questa domanda, entra a far parte di quell'unico corpo di cui parla l'apostolo Paolo.
    Ma se il Messia è già venuto, che cosa si deve fare di tutte le profezie messianiche che parlano di un regno di Israele trionfante e vittorioso? Un giorno tutte inevitabilmente si compiranno, perché il Messia, che una prima volta è venuto come servo sofferente dell'Eterno per espiare i peccati del popolo d'Israele e di tutti gli uomini, un giorno ritornerà come il Leone della tribù di Giuda per regnare sul mondo da Sion. I cristiani evangelici letteralisti non "spiritualizzano" l'Antico Testamento, facendone un'allegoria della chiesa. Quando la Scrittura parla di Israele, intende sempre e soltanto Israele, mai la chiesa, anche se spesso si possono trarre utili analogie e applicazioni pratiche. Per questo i cristiani fedeli alla Bibbia aspettano che le sue parole riguardanti il futuro di Israele si compiano, predicando il vangelo a tutti gli uomini e cercando di occupare il giusto posto nel tempo dell'attesa.

 MA ALLORA VOI VOLETE SOLTANTO CONVERTIRCI!
  L'obiezione che i cristiani s'interessino di Israele soltanto per convertire gli ebrei dev'essere attentamente esaminata. E' assolutamente vero che tutti i cristiani desiderano, o dovrebbero desiderare, che ogni persona, ebreo, musulmano, ateo, cristiano nominale o altro ancora, si ravveda, creda nel Signore Gesù Cristo e sia salvato, perché sta scritto che
    In nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati (Atti 4:12).
E' chiaro dunque che un cristiano fedele non si esime mai dall'annunciare il vangelo, tanto meno a un ebreo. Anzi, l'apostolo Paolo dice che il vangelo dev'essere annunciato prima di tutto agli ebrei, poi agli altri.
    Infatti non mi vergogno del vangelo; perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco (Romani 1:16).
Chiedere a un vero cristiano di non parlargli mai di Gesù equivale a dirgli di stare alla larga. E se richiesto, naturalmente questo avverrà.
   L'annuncio del vangelo è un compito che il cristiano deve e vuole svolgere verso ogni essere umano, senza distinzione, mentre l'interesse per Israele è dettato dalla particolare, unica posizione che questo popolo occupa nella storia della salvezza.

 TRE MOTIVI
  Ci sono almeno tre motivi per cui i cristiani s'interessano di Israele e degli ebrei.

1. Manifestare amore. Gli ebrei avvertono che verso di loro c'è un odio gratuito, cioè un'ostilità che non può essere interamente spiegata da nessuna motivazione razionalmente giustificabile: sono odiati perché ci sono. E anche quando l'ostilità non si concretizza in atti di violenza, la percezione di questi sentimenti di avversione li fa soffrire. Abbiamo detto che questo non dipende dagli ebrei, ma dal rapporto degli uomini con Dio. L'astio contro gli ebrei non è che l'espressione dell'umana ribellione contro Dio, è quindi manifestazione di peccato. I credenti in Gesù sanno di aver ricevuto il perdono dei peccati attraverso il Messia d'Israele, vivono in comunione con Dio e di conseguenza diventano partecipi del suo amore verso il suo popolo. L'amore dei veri cristiani verso Israele è quindi un amore gratuito, cioè un sentimento che non può essere spiegato da nessuna motivazione o interesse razionalmente giustificabili: il popolo d'Israele viene amato soltanto perché c'è, perché è un'espressione della volontà di quel Dio con cui i cristiani vivono in comunione d'amore. Sarebbe una grave perdita per gli ebrei se fossero capaci di percepire soltanto l'odio gratuito contro di loro, senza saper riconoscere e avvertire anche l'amore gratuito di cui sono oggetto. Se è vero che non c'è popolo sulla terra che sia stato tanto odiato, è anche vero che non ce n'è un altro che sia stato tanto amato. E anche se in questo periodo della storia del mondo l'odio è molto più appariscente dell'amore, non è vero che sia più reale.

2. Mettersi dalla parte della verità e della giustizia. Le ingiustizie nel mondo sono infinite, e altrettante sono le menzogne, ma quelle che si commettono contro Israele sono uniche per grandezza, estensione e sfacciataggine. Il credente in Gesù Cristo deve stare sempre dalla parte della verità e della giustizia, quindi è suo compito prendere la parola per difendere chi viene ingiustamente colpito, quando ne ha l'occasione e la possibilità. Questo dev'essere fatto verso tutti, ma si potrebbe dire, con l'apostolo Paolo, prima al Giudeo e poi al Greco. Chi, pur essendo adeguatamente informato, non è capace di riconoscere gli enormi soprusi e le spudorate calunnie che deve subire Israele, ha una coscienza morale assopita e un'intelligenza critica ottusa. E queste forme di rilassamento spirituale un vero cristiano non se le deve permettere.

3. Essere vigilanti. Quello che succede agli ebrei, prima o poi ha delle conseguenze sul resto del mondo. Questo è stato ormai accertato, e vale in primo luogo per il corpo dei veri credenti in Gesù Cristo che il Nuovo Testamento chiama "chiesa". Per poter colpire il popolo d'Israele, l'Avversario spirituale di Dio cerca di confondere e fuorviare prima di tutto quelli che potrebbero essergli d'aiuto, e questi sono proprio gli autentici seguaci di Gesù. In tempi difficili per Israele, i credenti vengono messi sotto pressione in vari modi, soprattutto attraverso false informazioni e false dottrine. Questo è successo in Germania ai tempi del nazismo: le persecuzioni contro i cristiani sono state poche perché pochi sono stati i cristiani che hanno capito quello che stava veramente succedendo, e molti sono stati sedotti da false dottrine che si accordavano con la realtà diabolica che si stava svolgendo sotto i loro occhi. Non sono stati soltanto i "Deutsche Christen", con il loro pervertito "cristianesimo positivo" nazionalsocialsta, a profanare il nome di Cristo: molte altre chiese e movimenti cristiani, anche evangelici, hanno subito l'influsso dell'ideologia del tempo, e se non sempre hanno adottato dottrine perverse dal punto di vista biblico, certamente si sono lasciati trasportare in un'annebbiata atmosfera di torpore che non ha permesso loro di rendersi conto della realtà in cui vivevano. E questo non deve più accadere. O per lo meno, per quel che ci riguarda non vogliamo che accada più. Anche per questo riteniamo nostro dovere interessarci di Israele e, per quanto possibile, aiutare altri a capire quello che succede, in modo da saper prendere al momento opportuno la giusta posizione che le circostanze richiedono.

 UN'ULTIMA OSSERVAZIONE
  Secondo la nostra comprensione della Bibbia, i veri cristiani non devono cercare di costituirsi come forza politica organizzata al fine di esercitare un potere sul resto della società. Devono vivere come semplici cittadini nella società in cui si trovano, assumendosi di volta in volta le responsabilità sociali che a loro competono, ma come comunità devono essere presenti solo come testimoni di Gesù Cristo, e in quanto tali assumere come arma soltanto la parola: la Parola di Dio innanzi tutto, e la parola umana che l'accompagna, ma senza fare ricorso ai consueti mezzi di lotta politica organizzata.
   Certo, questa è una debolezza, ma una debolezza voluta, perché sorretta dalla parola di Dio giunta fino a noi anche attraverso un noto ebreo, nato a Tarso di Cilicia, allevato a Gerusalemme, educato ai piedi di Gamaliele nella rigida osservanza della legge dei padri (Atti 22:3):
    I Giudei chiedono miracoli e i Greci cercano sapienza, ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per i gentili pazzia; ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; poiché la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini (1 Corinzi 1:22-25).