Notizie su Israele 71 - 14 febbraio 2002


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Ecco, il malvagio è in doglie per produrre iniquità. Egli ha concepito malizia e partorisce menzogna. Ha scavato una fossa e l'ha fatta profonda, ma è caduto nella fossa che ha preparata. La sua malizia gli ripiomberà sul capo, la sua violenza gli ricadrà sulla testa. Io loderò il SIGNORE per la sua giustizia, salmeggerò al nome del SIGNORE, l'Altissimo.

(Salmo 7.14-17)



"Quella nave carica di armi che molti fanno finta di non vedere" è il titolo di un articolo di Fiamma Nirenstein preso, come altri, dall'autorevole rivista ebraica "Shalom". Se si considerano le reazioni dei governanti, dei mezzi di comunicazione di massa e dell'uomo della strada a un fatto come quello della "Karin A", non è difficile capire perché a suo tempo il mondo non si è accorto di quello che succedeva agli ebrei nella Germania nazista.  La famosa frase: "Non so nulla, non ho visto nulla, non c'ero, e se c'ero dormivo", si può applicare anche, con le dovute modifiche, a chi osserva lo spettacolo offerto da un attore neppure tanto abile che da diversi anni calca le scene della politica internazionale.
M.C.



LE MENZOGNE DEL PRESIDENTE


La cattura della nave carica di armi per i palestinesi
è l'ennesimo esempio delle ambiguità di Arafat

di Ariel Viterbo
   
    Se qualcuno nutriva ancora dei dubbi sulle reali intenzioni di Yasser Arafat e dei suoi uomini, l'episodio della cattura della nave Karin A dovrebbe servire a fugarli del tutto. La nave, carica di 80 tonnellate di armi, navigava nel Mar Rosso in direzione nord. Doveva giungere al canale di Suez e di lì al Mediterraneo, verso la sua destinazione finale. A bordo un equipaggio egiziano comandato da ufficiali palestinesi. Sotto un innocente carico di vestiti, si nascondeva un arsenale. Dai proiettili per mitra (centinaia di migliaia) ai razzi Katiuscia, dall'esplosivo ai mortai, dalle mitragliatrici alle mine. Informate per tempo da fonti statunitensi, unità di commando della marina israeliana hanno intercettato la Karin A e l'hanno dirottata al porto di Eilat. Un'operazione perfetta, senza sparare un colpo di fucile. Appresa la notizia, a pochi restavano dubbi sulla destinazione finale delle armi. Via via che venivano resi noti i particolari della vicenda, diventava inequivocabile che fosse stata l'Autorità Palestinese ad organizzare l'invio dell'arsenale viaggiante. A comprare la nave era stato un funzionario dell'Ufficio dei trasporti palestinesi; il capitano che aveva assoldato i marinai in Egitto era pure lui un'esponente palestinese; le armi erano state caricate davanti alla costa iraniana, nascoste dentro contenitori a tenuta stagna, camuffate sotto un carico di altre merci per passare i controlli egiziani. Giunta davanti alla Striscia di Gaza, i contenitori sarebbero stati trasbordati su imbarcazioni più piccole e trasportati a riva.
  
 
Tonnellate di armi e munizioni trovate a bordo della
nave "Karin A"
 
Le armi della Karin A erano quindi destinate a riempire i magazzini dell'Autorità Palestinese in attesa di essere usate contro Israele. Una mossa in palese contraddizione non solo con il recente discorso di Arafat nel quale dichiarava il cessate il fuoco, ma anche, e soprattutto, con gli accordi di Oslo, nei quali l'Autorità Palestinese si impegnava a non procurarsi armi al di là di quelle fornitegli col permesso israeliano. È vero che ormai tali accordi esistono solo sulla carta e non hanno più grande significato pratico ma nessuno, nè Israele nè i palestinesi, li hanno ufficialmente revocati, e le parti sono quindi tenute ad attenersi agli impegni presi.
    Pare quindi evidente che l'unico, vero impegno di Arafat sia quello di continuare la sua guerra contro Israele, fino alla vittoria finale. Guerra combattuta con tutti i mezzi, la menzogna prima di tutto. Alla scoperta della nave, l'Autorità Palestinese ha reagito affermando di non avere nulla a che fare con essa. Messa di fronte ai fatti e alle rivelazioni del capitano della nave, ha modificato la sua versione dichiarando che era un'iniziativa privata, presa all'insaputa di Arafat. E probabilmente non sarà questa l'ultima versione dei fatti. Dovranno spiegare i troppi legami fra l'organizzazione dell'invio delle armi ed esponenti dell'Autorità Palestinese. Dovranno far fronte alle pressioni degli Stati Uniti che hanno già dichiarato di voler vedere i responsabili arrestati e processati dalle autorità palestinesi. Una richiesta forse un po' troppo esigente: come farà Arafat ad ordinare di arrestare e processare sé stesso? Come farà a continuare a sostenere di volere tornare alle trattative nel momento in cui viene sorpreso nel tentativo di riempirsi i magazzini di armi ed esplosivo? Non sarà facile per lui uscire indenne dalla vicenda ma non dubitiamo delle sue capacità di acrobata della menzogna: qualcosa inventerà, e chi vorrà credergli gli crederà.
    In Israele, la cattura della nave e la scoperta del suo carico di morte non ha modificato di molto la situazione. C'è stato un generale sospiro di sollievo nel sapere l'arsenale al sicuro nel porto di Eilat, piuttosto che in quello di Gaza. Il successo dell'operazione ha anche risollevato un po' il morale dell'esercito. Dal punto di vista politico però le cose sono rimaste come erano. La parte "falco" del governo (Sharon) ha naturalmente usato la cattura delle armi per insistere nella sua definizione di Arafat come terrorista. I mortai, i razzi, l'esplosivo, le munizioni, i mitra, tutto l'arsenale è stato esposto alle telecamere e agli addetti militari delle ambasciate, come a dire "questo è il vero volto di Arafat: come possiamo continuare a credergli quando parla di pace?". Messaggio ineccepibile, ma insufficiente come strategia di fronte ai palestinesi. La parte "colomba" del governo (Peres) e con essa il resto della sinistra israeliana hanno invece continuato nella loro eterna recita: "Arafat ha sbagliato, ora deve dimostrare di cambiare rotta e di tornare alle trattative, perché non c'è alternativa".
    Nulla quindi, nemmeno un'evidenza grande come una nave carica di armi, riesce a smuovere le parti dalle loro convinzioni, più forti della realtà. Sharon è convinto che i palestinesi abbiano scelto la strada della guerra; teme però di trarne l'inevitabile conseguenza ed aspetta, cercando di limitare i danni. Peres è sicuro che i palestinesi abbiano temporaneamente smarrito la strada della pace e che occorra aspettarli fino a che la ritroveranno e, se possibile, aiutarli a farlo. Tutti e due aspettano e per questo possono stare insieme al governo, conducendo una politica di attesa ed inerzia che non dà alcun frutto, se non il rimandare al futuro ogni decisione, in un senso o nell'altro.
    C'è da augurarsi che la scelta del non-fare non sia un tragico errore che Israele, prima o poi, dovrà pagare.

(Shalom, mensile ebraico di informazione e cultura, febbraio 2002)



UN CARICO DI MORTE CONTRO ISRAELE


La cattura della nave 'Karin A' nel racconto di un sommozzatore
delle squadre speciali della Marina Israeliana   
 
Qui di seguito riportiamo alcuni brani dell'intervista concessa all'emittente radiofonica "Kol Yisrael" da un membro delle forze di difesa della Marina israeliana che ha partecipato alla cattura della nave palestinese contenente il carico di armi.

    "Nella notte di lunedì 31 Dicembre sono cominciate le feste per i nostri amici che festeggiavano il capodanno ad Haifa.
    All'una del mattino, ero appena andato a dormire, ha squillato il telefono. Era una chiamata dalla 13° divisione Shayetet della Marina Israeliana. Dovevamo presentarci alla nostra base di Haifa alle 10 del mattino del primo gennaio senza avvertire i nostri familiari che saremmo partiti per qualche giorno.
    Martedì primo gennaio alle 10, la nostra divisione speciale di sommozzatori, gli uomini rana e l'equipaggio del sommergibile erano radunati in attesa di ordini. Era insolito che l' "Ammiraglio" o i comandanti della Marina Israeliana e della Difesa Israeliana si rivolgessero a noi. L'Ammiraglio Yaari ci spiegò che stavamo per compiere una missione speciale a poche centinaia di miglia dalla costa israeliana. Yosef, il mio ufficiale comandante e gli altri ufficiali consultavano mappe e inviavano ordini a varie divisioni. Il sommergibile aveva preso il largo insieme ad una nave piena di attrezzature militari.
    Nel pomeriggio del primo gennaio fummo divisi in gruppi e assegnati ai diversi compiti. Yosef chiamò la missione "Teivat Noach", l'Arca di Noé. Io pensavo che dovevamo fare un lavoro di ricognizione nelle vicinanze di Eilat.
    Al tramonto del primo gennaio tutti erano stati assegnati alle proprie postazioni in mare tra Haifa ad Eilat. Il mio telefono ha squillato. Era Ima che si chiedeva dove fossi finito. Le ho spiegato che non potevo parlare e che le avrei spiegato tutto qualche giorno dopo. Siamo usciti dalla nostra base di Eilat verso il mare aperto.
    Venerdì mattina, il due gennaio, ci trovavamo già in acque internazionali nel Mar Rosso. Ero lì, un sommozzatore della 13° divisione Shayetet della Difesa Israeliana, nel Mar Rosso, poche settimane prima del momento in cui avremmo letto nella Torah il racconto della chiusura del Mar Rosso sugli Egiziani quando i miei avi lasciarono l'Egitto!
    Al tramonto del mercoledì, abbiamo sentito che l'equipaggio del sommergibile era vicino alla propria postazione. I nostri comandanti erano in contatto telefonico cifrato con un aereo. Gli altri membri della mia squadra speciale avevano sentito che un alto generale della Difesa Israeliana si trovava su un aereo che sorvolava l'oceano sopra di noi. Abbiamo saputo solo in seguito che il Generale Mofaz era al comando dell' operazione. Sapevamo che avrebbe dovuto recarsi a Washington, ma mercoledì pomeriggio aveva improvvisamente annullato il suo viaggio.
    Alle due del mattino del tre gennaio, ci hanno ordinato di immergerci e circondare una nave nelle vicinanze. Arrivavano le altre forze speciali della Difesa Israeliana, gli elicotteri della Aviazione Israeliana volavano vicini a noi. I paracadutisti venivano calati dagli elicotteri con la scaletta direttamente sulla nave. Contemporaneamente a loro noi ci siamo arrampicati e siamo saliti sulla nave mentre gli elicotteri calavano le loro truppe. Eravamo in 40 sul ponte della nave e ci siamo precipitati nella cabina di comando prendendo di sorpresa il capitano e il suo equipaggio i quali non hanno opposto resistenza. Ho visto accadere questo solo in qualche film di Hollywood, ma non mi aspettavo che nel mio addestramento avrei partecipato al fermo e all'occupazione di una nave. Sono arrivati altri quattro elicotteri ad illuminare con i fari noi e i nostri prigionieri. L'aereo con a bordo il Generale Mofaz volava a bassa quota. Il personale della nave si era arreso e il resto dell'equipaggio del sommergibile era salito a bordo.
    Siamo scesi nel magazzino e sotto coperta e abbiamo trovato casse e casse di munizioni; katyusha, missili anticarro e armamenti pesanti erano sparsi ovunque. Il personale della Marina ha preso il comando delle nave, mentre il gruppo di Yosef, del quale io facevo parte ha iniziato a fotografare e ordinare tutto il deposito di armi presente a bordo. Il mio comandante parlava in arabo al capitano che aveva riconosciuto per averlo visto nel porto della città di Gaza. Era coinvolta certamente l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina; il personale ha cominciato a raccontare chi aveva registrato la nave, chi aveva pagato le armi e da quale porto dell'Iran provenisse la nave.
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Abbiamo trovato documenti di tutti i generi, firme di Yasser Arafat e timbri di convalida dappertutto. Abbiamo avuto ordine di portare la nave al porto di Eilat. Gli uomini dell' OLP presenti sulla nave erano stati portati via dai nostri elicotteri per essere interrogati nella notte di giovedì. Saremmo arrivati al porto di Eilat verso le 8 di venerdì sera con questa nave carica di 50 tonnellate di munizioni che sarebbero state usate contro di noi in Israele. Siamo arrivati ad Eilat poche ore dopo l'inizio dello Shabbat.
    Se qualcuno volesse sapere quale pikuach nefesh dodech shabbat sia stato, permettendo la profanazione del sabato per salvare vite umane, questa nave è una spiegazione esauriente per il mondo ebraico.
    Abbiamo potuto riposare durante lo Shabbat mentre altri militari della Difesa Israeliana e della marina continuavano a scaricare le armi dalla nave dell'OLP.
    Domenica, i media di tutto il mondo potranno visitare la nave e fotografare le centinaia di missili, katyusha e razzi ora in nostro possesso, dono degli Iraniani e dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina.
    Sono tornato a casa e ho spiegato alla mia Ima e ad Abba che ero stato in "addestramento"; papà mi ha fatto una strizzata d'occhio complice, sapeva cosa avevo fatto nelle ultime 72 ore. Ho guardato il notiziario della notte e ho sentito Arafat dire che non ne sapeva niente. Aspetto che i media incontrino alcuni dei suoi uomini per scoprire la verità su quella nave. Sono sicuro che abbiamo salvato centinaia di vite, grazie alla cattura di quella nave".

Y.M. sommozzatore
Shayetet 13° Divisione

(Shalom, mensile ebraico di informazione e cultura, febbraio 2002)



I PALESTINESI SI PREPARANO ALLA GUERRA E IL MONDO TACE


Quella nave carica di armi che molti fanno finta di non vedere

di Fiamma Nirenstein
   
    Non c'è storia più significativa, in questo brutto momento di crescente antisemitismo, del rifiuto del mondo di accettare la vicenda della Karin A, la nave carica di armi per 50 tonnellate che era diretta verso le spiagge di Gaza.
    Sembra una vecchia barzelletta di uno dei fratelli Marx, Chico: un tizio trova la moglie in intima conversazione col suo più caro amico, e l'amico - tutto nudo - gli dice "A chi vuoi credere, a me o ai tuoi propri occhi?".
    La storia è nota a tutti: per mesi gli israeliani hanno monitorato il carico della nave in un porto nel Golfo; la nave è stata caricata di armi rilevanti comprate in Iran, fra cui missili che hanno un raggio di venti chilometri, mortai e relativi proiettili, armi automatiche e un nuovo tipo di esplosivo, il C24, molto usato negli attacchi dei terroristi suicidi. Sulle casse delle armi tutte le indicazioni e le denominazioni sono scritte in parsi, la lingua dell'Iran. L'equipaggio era formato da marinai palestinesi: il colonnello Omar Akawi, dopo essere stato catturato, ha dichiarato in numerose interviste a tv israeliane e straniere non solo che il carico era diretto all'Autonomia Palestinese, ma anche che egli riceveva gli ordini da Adel Moghrabi, incaricato di Arafat per gli armamenti e agli ordini del rais. Gli israeliani hanno catturato la nave in un'operazione stupefacente, in mezzo a un mare in tempesta, a cinquecento chilometri da casa e senza sparare un colpo, ed hanno rivelato che i preparativi erano in corso già dagli ultimi mesi del 2001; Arafat ha ovviamente negato dicendo "Che bisogno abbiamo di armi, le abbiamo già" oppure "Gli egiziani non ci avrebbero fatto passare". Ma le armi nuove sono meglio delle vecchie, di più sono meglio che di meno, e colpire a venti chilometri è meglio che a due, o no?
    Inoltre, si sa che la massima quantità di armi illegalmente immesse nell'Autorità Palestinese vengono dall'Egitto. Ma tutto il mondo - compreso, agli inizi, gli americani - ha annuito vigorosamente: hai visto che Arafat e anche gli Iraniani hanno detto che non è vero? Che le armi andavano chissà dove e far che? Anzi, ce le hanno messe gli israeliani. Del resto, non usano i corpi dei bambini uccisi, come ha ripetuto in questi giorni Arafat, per far commercio dei loro organi?
    "Una strana storia", ha continuato a ripetere a lungo la tv; come se non esistessero le prove, la causa (armarsi il più e il meglio possibile, in una situazione di crescente conflitto) e i soggetti: ovvero, Arafat, che ripetutamente ha mostrato segni di ritenere più efficace una politica di scontro che di appeasement, tanto che il terrorismo ha conosciuto solo brevi intervalli ed è rimasta un'arma strategica fondamentale nel conflitto israelo-palestinese; e gli iraniani, che finanziano da sempre gli Hezbollah facendo passare fondi ed armi da Damasco, e che da quando è in piedi l'attuale Intifada si sono sforzati, con l'aiuto di solidi trait d'union reclutati fra gli Hezbollah, di stringere un legame strategico con i palestinesi dentro il più bollente cratere in eruzione della zona.
    L'Iran, oltre che in Libano, finanzia movimenti in Egitto, in Arabia Saudita, in Algeria, Turchia, Azerbaijan. Poche settimane fa da Teheran Hashemi Rafsanjani ha esaltato l'importanza per il mondo islamico della bomba atomica: infatti, ha spiegato, se dovesse crearsi uno scontro atomico, forse il mondo islamico potrebbe soffrire delle perdite, ma quel che è certo è che Israele scomparirebbe tutta intera in una sola esplosione. Non è la prima volta che l'Iran promette la distruzione di Israele. Del resto, nel mondo arabo la gara è aperta e partecipano in tanti: siriani, iracheni, iraniani...
    Il mondo non ha avuto tanta voglia di guardare negli occhi la verità della Karin A perché è una verità molto brutta: va a braccetto con il disperdersi di ogni speranza relativa al processo di pace. I palestinesi hanno comprato la nave e le armi proprio nei giorni degli accordi di Camp David, prima dell'inizio dell'Intifada. Hanno cercato di fornirsi di un arsenale di dimensione non occasionale ma strategica, la riserva per uno scontro di lunga durata. L'Iran, che in passato non era molto amico dei palestinesi, ha quindi cercato di allargare la sua politica di grande potenza egemonica islamista.
    E' un gioco ampio e preoccupante, giocato su diversi terreni: in tempi di guerra americana al terrorismo, non è stata certo una buona idea né per i palestinesi né per l'Iran che venisse alla cronaca la storia della Karin A. E adesso che sia Bush che Powell hanno dichiarato che le prove indicano come la nave fosse veramente diretta verso Gaza (pur seguitando a chiedere ad Arafat di punire i colpevoli), la questione se l'Iran resti per gli americani un candidato per la coalizione o passi invece sul banco degli accusati di espansione del terrorismo antioccidentale è diventata molto calda. C'è una sorta di alleanza ideale fra i negatori dell'Olocausto, i criminalizzatori di Israele e degli ebrei, e gli estimatori dei "martiri" che si vanno a far saltare per aria nei luoghi più affollati di donne e bambini. Una eminente riunione di clerici islamici ha condannato in questi giorni tutto il terrorismo fuorché quello contro gli ebrei. Se tali alleanze ideali diventano anche organiche e strategiche c'è di che preoccuparsi. Forse è per questo che pochi hanno voluto credere alla Karin A. Ed hanno preferito fare uso di quella antica tradizione antisemita secondo cui gli ebrei per secoli sono stati ritenuti disadatti a portare testimonianza nei processi.

(Shalom, mensile ebraico di informazione e cultura, febbraio 2002)



L'ULTIMA PAROLA DI ARAFAT SULLA "KARIN A": "E' STATO IL MOSSAD"


BEIRUT / JERUSALEM - Il capo dell'OLP Yasser Arafat ha detto che il responsabile del contrabbando d'armi sulla "Karin A" è il Mossad, il servizio segreto israeliano per l'estero.
    In un'intervista resa al quotidiano libanese "An-Nahar" il capo palestinese ha detto: "Il servizio segreto israeliano Mossad ha introdotto la storia della nave con le armi per danneggiare i Palestinesi, l'Iran e gli Hezbollah.
    Arafat ha ammesso però di non avere alcuna prova per le sue affermazioni. "Anche se per ora non abbiamo nessuna prova, tutto sembra dimostrare la colpa di Israele", ha detto il capo dell'OLP.
    Gli osservatori politici considerano che con queste dichiarazioni Arafat si è aggrovigliato un po' di più nell'affare della "Karin A". Le affermazioni del capo dell'OLP si riferiscono evidentemente ai paesi con cui Arafat fa contrabbando d'armi.
    Pochi giorni fa, in un'intervista con la rivista egiziana "Al Mussavar", Arafat aveva dato la colpa del contrabbando d'armi alla milizia di Hezbollah. "Questa storia è tutta una menzogna. La nave appartiene a Hezbollah, che l'ha comprata da un proprietario dell'Irak per 400.000 dollari. Le armi erano dirette agli Hezbollah e noi non abbiamo niente a che vedere con questo trasporto", così aveva detto Arafat nell'intervista.
    Gli Stati Uniti invece, per loro stessa ammissione, la settimana scorsa hanno ricevuto una lettera in cui il capo dell'OLP assume "la piena responsabilità" del traffico d'armi e descrive anche i dettagli riguardanti la provenienza della nave e i preparativi del contrabbando.

(Israelnetz Nachrichten, 12.02.02)
   


ARAFAT PUNTA LA PISTOLA SU RAJOUB


Come riferiscono oggi diversi media israeliani, lunedì sera il Presidente dell'Autonomia Palestinese, Yasser Arafat, ha puntato la pistola contro il capo di sicurezza della Cisgiordania, Jibril Rajoub. Ha'aretz comunica che il fatto è avvenuto dopo che Arafat aveva sentito che le forze di Rajoub non avevano trattenuto la folla che ha assalito la prigione dell'Autonomia Palestinese in Hebron e ha liberato 17 militanti islamici. Arafat ha colpito Rajoub, l'ha insultato e ha detto: "Lui [Rajoub] mi vuole rimpiazzare".

(Ambasciata d'Israele a Berlino, 13.02.02)



IN CALO LA PERCENTUALE DELLA POPOLAZIONE EBRAICA IN ISRAELE


TEL AVIV - A causa della diminuzione delle nascite tra gli ebrei della diaspora e della crescente immigrazione, nel 2030 la maggior parte della popolazione ebraica vivrà in Israele. E' il risultato di uno studio demografico che l'organizzazione per gli immigranti "Jewish Agency" ha pubblicato mercoledì.
    Secondo la "Jewish Agency", la popolazione ebraica mondiale crescerà dagli attuali 13,2 milioni ai circa 15,6 milioni di persone nel 2080. Attualmente vive in Israele il 37 per cento della popolazione ebraica.
 Lo scienziato ebreo Sergio Della Pergola, ricercatore demografico presso l'Università ebraica di Tel Aviv, ha indicato il "calo delle nascite e i matrimoni misti" nella diaspora come il più grande problema nello sviluppo della popolazione degli ebrei.
    Gli esperti stimano che, nonostante le continue immigrazioni, la percentuale di ebrei nella popolazione di Israele passerà dall'attuale 78 per cento al 65-69 per cento nell'anno 2050.

(Israelnetz Nachrichten, 13.02.02)


INDIRIZZI INTERNET


Una presa di posizione su Israele:

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