Notizie su Israele 73 - 5 marzo 2002


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Quando tutte queste cose che io ho messe davanti a te, la benedizione e la maledizione, si saranno realizzate per te e tu le ricorderai nel tuo cuore dovunque il SIGNORE, il tuo Dio, ti avrà sospinto in mezzo alle nazioni e ti convertirai al SIGNORE tuo Dio, e ubbidirai alla sua voce, tu e i tuoi figli, con tutto il tuo cuore e con tutta l'anima tua, secondo tutto ciò che oggi io ti comando, il SIGNORE, il tuo Dio, farà ritornare i tuoi dalla schiavitù, avrà pietà di te e ti raccoglierà di nuovo fra tutti i popoli, fra i quali il SIGNORE, il tuo Dio, ti avrà disperso. Quand'anche i tuoi esuli fossero all'estremità dei cieli, di là il SIGNORE, il tuo Dio, ti raccoglierà e di là ti prenderà. Il SIGNORE, il tuo Dio, ti ricondurrà nel paese che i tuoi padri avevano posseduto e tu lo possederai; ed egli ti farà del bene e ti moltiplicherà più dei tuoi padri.

(Deuteronomio 30:1-5)


L'OBIETTIVO STRATEGICO DELL'OLP


L'idea di diffondere questo notiziario su Israele è nata circa un anno fa, nell'aprile 2001, leggendo la traduzione di un discorso tenuto in arabo dall'allora ministro palestinese per le questioni su Gerusalemme, Faysal al-Husseini. Il primo numero di questo
  
   
Faysal al-Husseini 
notiziario riporta stralci di quel discorso (Notizie su Israele 1), a cui avevo dato il titolo: "Obiettivo finale: l'annientamento di Israele per gradi".
    Ho ripresentato di nuovo lo stesso discorso dopo la sua improvvisa morte avvenuta due mesi dopo per infarto cardiaco (Notizie su Israele 17),per sottolineare che quello che a quel tempo stava avvenendo non era altro che il compimento dei propositi espressi in quelle parole.
    Riprendo adesso, ancora una volta, quel discorso per  commentarne alcuni stralci, perché è lì che si può trovare la chiave di quello che adesso avviene e, forse, anche di quello che potrebbe avvenire in un prossimo futuro.

    Dal discorso del 21 marzo 2001 di Faysal al-Husseini a Beirut:

HUSSEINI - Sia benedetta Beirut, che ha sconfitto il nemico e in questo modo ha dimostrato che noi possiamo vincere le superpotenze. Benedetta sia la resistenza che ci ha dato la speranza che il futuro è nelle nostre mani. La vittoria libanese  è il più grande esempio della realtà in cui vive il nemico israeliano, la cui sconfitta è cominciata poche settimane dopo la sconfitta araba del 1967.

COMMENTO - Husseini si riferisce alla resistenza degli Hezbollah, che, secondo la sua interpretazione, con le loro azioni di guerriglia hanno costretto l'esercito israeliano a ritirarsi dalla zona di sicurezza sudlibanese. Gli accordi di Oslo del 1993 sono patti stipulati per la pace, e per questo i loro firmatari, tra cui Yasser Arafat, sono stati insigniti del Premio Nobel per la pace. Il ritiro di Israele dal Libano era una delle condizioni, e Israele l'ha adempiuta, anche prima della scadenza fissata. Per Husseini questo non è un atto di buona volontà del partner con cui si sta trattando la pace, ma una vittoria sul nemico con cui si è in guerra. Questo fa capire in che modo intendono gli arabi, e in particolare i palestinesi, le azioni unilaterali di pace: come vittorie sul campo dovute alla tenacia dei combattenti e alla debolezza degli avversari. Gli Hezbollah libanesi hanno "sconfitto il nemico" e fatto vedere come si possano "vincere le superpotenze" costringendole per stanchezza, con continui attacchi terroristici, a sgombrare il campo spontaneamente in nome della "pace". E' questo il modello a cui attenersi, non per arrivare alla pace, ma per vincere la guerra.

HUSSEINI - Durante il periodo di Barak, nonostante tutte le tragedie e i comportamenti barbarici [di Israele], abbiamo infranto molti tabù, e adesso Sharon cerca di far tornare indietro tutto questo. Barak aveva consentito che fosse restituito il 95% del territorio palestinese occupato. Per questo non dobbiamo permettere che Sharon abbia successo. L'Autonomia Palestinese non offrirà nessuna rete di protezione a Sharon, anche se lui usa toni più moderati quando mantiene la sua politica.

COMMENTO - I colloqui con Barak hanno avuto lo scopo di "infrangere molti tabù". A questo servono i dialoghi di pace: a incassare in modo irreversibile dei riconoscimenti pubblici che servano come base per ottenere tutto il resto. Con i colloqui si prende tutto quello che l'altro è disposto a dare "per amor di pace", e quello che manca si prende con la guerra. Ecco perché  Husseini dice che non bisogna permettere che Sharon abbia successo: perché potrebbe riprendersi quello che i Palestinesi hanno ottenuto, anche se solo in forma di un diritto riconosciuto, e impedire che ottengano quello che si propongono dalla continuazione della lotta. In che modo questo si può impedire? Risponde lo stesso Husseini.

HUSSEINI - Noi ci aspettiamo molti scontri con gli Israeliani nei prossimi mesi, soprattutto a Gerusalemme. Ci sono tutti gli elementi per un'esplosione. Noi siamo convinti che gli scontri in Gerusalemme scuoteranno il mondo dall'Indonesia al Marocco. E questo sarà un segno per gli USA, che saranno costretti a capire che il loro appoggio a Israele distruggerà la stabilità in tutta la regione. Ci troviamo davanti a una battaglia, e a questa adesso ci stiamo preparando. Non dobbiamo permettere che Sharon abbia successo sulla questione della sicurezza, perché questo significherebbe la nostra sconfitta politica.

COMMENTO - Chi parla non è un fanatico estremista islamico: a quel tempo era un ministro dell'Autorità Palesinese e braccio destro di Arafat. "Noi ci aspettiamo molti scontri con gli Israeliani", provocati da chi? Non certo da Sharon, perché se lui avesse successo "sulla questione della sicurezza", questo "significherebbe la nostra sconfitta politica", dice il ministro palestinese. Dunque gli Israeliani non si devono sentire sicuri, e quindi avranno molti scontri con noi, dice sempre lo stretto collaboratore del premio Nobel per la pace. Ma questi scontri non sono ancora la vera e propria battaglia, perché, dice Husseini: "Ci troviamo davanti a una battaglia, e a questa adesso ci stiamo preparando". In che modo? A quel tempo le decisioni dell'Autonomia Palestinese sulla nave da guerra Karine A erano già state prese!

HUSSEINI - C'è anche una fine differenza che tutti devono ben capire. Io posso essere obbligato a mantenere i contatti con il governo di Sharon per ottenere alcune cose di importanza vitale per il nostro popolo. Ma questo non giustifica il mantenimento di relazioni con Israele da parte di altri [stati arabi]. Io mantengo i contatti [con Israele] PER PORRE FINE ALLA RELAZIONE. E' cosa ben diversa dalle relazioni che altri stati voglio mantenere fra di loro.

COMMENTO - Non so se tutti gli interlocutori arabi di Husseini avranno capito la fine differenza di cui parla. Ma non dovrebbe essere troppo difficile capirla. La differenza sta in questo: una cosa è arrivare ad un vero e proprio trattato di pace con Israele, cosa da cui le nazioni arabe devono assolutamente guardarsi; altra cosa è mantenere relazioni con Israele facendo finta di volere la pace ma avendo come unico scopo quello di vincere la guerra e con ciò porre fine alla relazione. Quello che Husseini sta pazientemente cercando di spiegare ai suoi alleati libanesi è la forza strategica della menzogna. Forse non tutti l'avranno capita nelle più sottili sfumature, ma è certo che molti la stanno applicando su vasta scala.

HUSSEINI - C'è differenza tra l'obiettivo strategico del popolo palestinese, che non è pronto a concedere neppure un briciolo del territorio palestinese, e l'obiettivo politico che si vuol ottenere con l'equilibrio delle forze, secondo l'attuale sistema internazionale.

COMMENTO - L'obiettivo politico è quello che si può ottenere adesso con i finti colloqui di pace, con gli appelli all'ONU, con i dialoghi a vari livelli. Non bisogna essere impazienti, avverte Husseini, e pretendere di vedere subito la vittoria sul nemico. Bisogna sapere accettare un obiettivo intermedio insoddisfacente avendo sempre in mente il raggiungimento dell'obiettivo strategico finale. E qual è questo obiettivo strategico? Lo spiega subito Faysal al-Husseini.

HUSSEINI - Possiamo vincere o perdere [le singole battaglie], ma i nostri occhi continueranno a puntare l'obiettivo strategico, cioè unaPalestina che si estenda dal fiume al mare. Quali che siano le cose che adesso possiamo ottenere, esse non ci faranno dimenticare questa altissima verità.

COMMENTO - E' chiaro allora perché a Camp David, nel luglio del 2000, Arafat non ha potuto firmare un accordo definitivo con Barak. Anche se Arafat avesse ottenuto il 100% dei territori occupati da Israele dopo il 1948, anche se avesse ottenuto il governo dell'intera Gerusalemme, accettare tutto questo come accordo definitivo di pace con Israele avrebbe significato "dimenticare" l'"altissima verità" dell'obiettivo strategico: UNA PALESTINA CHE SI ESTENDA DAL FIUME AL MARE. E per avere una Palestina che si estenda dal fiume al mare è evidente che bisogna buttare gli Ebrei a mare. E' questo, alla resa dei conti, il vero obiettivo strategico irrinunciabile di Arafat e compagni.

CONCLUSIONE - Arafat ha perso ormai ogni possibilità di raggiungere obiettivi politici attraverso colloqui di "pace". Da quando ha scatenato l'intifada dell'autunno del 2000 l'unica speranza per lui è che gli scontri con gli Israeliani di cui parlava Husseini raggiungano un tale livello di gravità da provocare o qualche intervento internazionale o un cedimento interno in Israele che lo spinga a fare spontaneamente un "atto di buona volontà" per far cessare le violenze, come in parte è avvenuto con il ritiro anticipato dell'esercito dal Libano del sud. Il disprezzo per la vita umana permette ad Arafat di strumentalizzare giovani vite per usarle come bombe e ottenere risultati che non sarebbero mai stati possibili in una guerra o anche in una guerriglia convenzionali. Sharon ha capito il gioco di Arafat e quindi sa che un cedimento in queste condizioni sarebbe come "pagare il pizzo" a una banda di mafiosi. Ma è chiaro che anche per lui non dev'essere facile capire qual è la cosa migliore da farsi in circostanze come queste.
    Restano allora sempre valide le parole della Scrittura:

Pregate per la pace di Gerusalemme!
Quelli che ti amano vivano tranquilli.
Ci sia pace all'interno delle tue mura
e tranquillità nei tuoi palazzi!
Per amore dei miei fratelli e dei miei amici,
io dirò: «La pace sia dentro di te!»
Per amore della casa del SIGNORE, del nostro Dio,
io cercherò il tuo bene.
(Salmo 122:6-9)

Marcello Cicchese



ESPERIENZE DI VITA NEGLI INSEDIAMENTI EBRAICI


"Noi confidiamo in Dio"

    "La vita è più forte di tutti i pericoli che sono in agguato sulle strade della terra biblica", dice Ilan, che vive con la sua famiglia nell'insediamento ebreo Tekoa, nella Giudea, tra Hebron e Gerusalemme. Una strada solitaria, che da Efrat volta verso est, porta ad una meravigliosa zona collinare con molti villaggi arabi. In inverno le colline sono interamente ricoperte da un tappeto verde

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che in estate diventa marrone e secco. Al bordo del deserto di Giuda la strada termina e diventa un polveroso sentiero che attraversa il corso del fiume Hazazon e il deserto in direzione di En Gedi e Mezukei Dragot, presso il Mar Morto.
    "Viviamo qui, perché Dio ha promesso questa terra ai nostri padri. E' il nostro compito, ed è anche il compito di tutto il popolo di Israele dalla fondazione dello Stato d'Israele nel 1948".
    Ilan e altri abitanti dell'insediamento ebraico sottolineano con insistenza che nessuno di loro cerca intenzionalmente la lite con i vicini arabi. Ebrei e Palestinesi hanno lo stesso diritto in Eretz Israel, ma su Eretz Israel solo gli Ebrei hanno diritto.
   "Siamo qui per vivere, non per morire", dice una giovane madre col figlio in braccio. "Da tutte e due le parti ci sono persone buone e cattive". Erez, la sua vicina, interviene: "Noi vogliamo vivere insieme con i Palestinesi, ma l'Autorità Palestinese impedisce ogni coesistenza. Io ho molti amici nei villagi palestinesi vicini. Loro odiano Arafat e la sua banda di terroristi, perché in fondo adesso soffrono anche loro".

    Il 15 gennaio dei terroristi palestinesi hanno ucciso la quarantacinquenne colona ebrea Joela Hen, che con sua zia Rachel Eini si stava recando ad un matrimonio in Gerusalemme. Ogni giorno Joela percorreva quella strada verso Gerusalemme con la sua piccola Fiat Uno, ma quella volta furono fermate fuori dell'insediamento ebraico Givat Seev da alcuni Palestinesi. Credevano che avessero bisogno di aiuto. Quando Joela ha chiesto di che cosa si trattava, immediatamente le hanno sparato da distanza ravvicinata. Sua zia Rachele ha gridato ai Palestinesi in arabo: "Non vi vergognate davanti a Dio?""Questo ha spaventato i terroristi, che hanno pensato che fossi un'araba e sono scappati", raccontò Rachele qualche giorno dopo.
    Sei ore dopo questo attentato i terroristi hanno ucciso anche il settantunenne architetto Avi Boas, dell'insediamento ebraico Har Gilo, a sud di Gerusalemme. I suoi amici hanno detto che lui si fidava dei Palestinesi. Il suo socio d'affari, Dschamal el Arja, era un Palestinese di Betlemme. Era un'amicizia che superava i confini, la violenza e i pregiudizi. "Se fossimo nati nella stessa famiglia, non avremmo potuto essere più vicini", dice con dolore Dschamal el Arja, con gli occhi rossi di lacrime. Per decine d'anni il proprietario d'albergo palestinese e l'ebreo si erano visti quasi ogni giorno. Le loro famiglie facevano le vacanze insieme e si invitavano reciprocamente alle feste di nozze. Anche nel giorno del feroce attentato dei terroristi contro Boas, avevano mangiato insieme a pranzo in un ristorante di Beit Jalla. Dopo il pranzo Boas aveva salutato per andare a fare alcuni acquisti con Baschir, il figlio del suo amico. E' stata l'ultima volta che Boas e Arja si sono visti. Lungo la strada la macchina di Boas è stata fermata da quattro Palestinesi armati. Hanno trascinato Baschir fuori dalla macchina e hanno sequestrato Boas. Più tardi il suo corpo è stato trovato in un campo di pallone a Beit Sahur, crivellato di pallottole.

    Nonostante i pericoli mortali presenti sulle strade della Giudea e della Samaria, i coloni ebrei non vogliono lasciare le loro case. Al contrario, secondo le statistiche del Ministero degli Interni israeliano, sempre più Israeliani si trasferiscono nei cosiddetti territori occupati. Nel 2001, nei territori biblici di Giudea e Samaria e nella enclave ebrea Gusch Katif nella striscia di Gaza abitavano 214.000 Israeliani, il 5,4% in più del 2000. Nella striscia di Gaza la popolazione ebrea è cresciuta del 4,2%, e nella zona di Benjamin in Samaria dell'8,7%. Nella città ortodossa Beitar Illit in Giudea nell'ultima anno si sono trasferiti 1.600 Israeliani. "Quello che ci incoraggia è sapere che l'Onnipotente ci assiste", ha detto Motti, dell'insediamento ebraico Newe Daniel. E intanto si dirigeva verso la strada principale, dove doveva prendere due donne palestinesi che lavorano nel suo insediamento. "Senza la fede in Dio nessuno di noi avrebbe sopportato di vivere in Giudea e Samaria negli ultimi 15 mesi. Noi confidiamo in Dio".

(NAI - Israel heute, febbraio 2001)



LA VITA CONTRO LA MORTE


Il racconto di Raphael Barki

Tel Aviv.
In Israele si puo' morire mangiando la pizza, prendendo l'autobus
o comprando il giornale, ballando in discoteca, celebrando un lieto evento,
oppure passeggiando per strada.
Quando tuo figlio esce con gli amici,
preghi perche' torni a casa illeso.
Se lo richiamano alle armi non dormi la notte fino al suo congedo.
Credevamo di avere trovato finalmente rifugio e pace nella nostra terra,
la Terra Promessa.
E invece no.
Lottiamo per la sopravvivenza da che mondo e' mondo.
O almeno dalla Provvidenziale liberazione del nostro popolo,
il popolo ebraico, dalla schiavitu' d'Egitto.
Da allora abbiamo sopportato scherno, discriminazione, esproprio,
vessazione, tortura, espulsione, fuga, peregrinazione, esilio.
Fino all'Olocausto.
Poi la rinascita.
Il sogno del ritorno in Israele diventa realta'.
E' un fazzoletto di terra largo quindici chilometri: ci stringeremo.
Mancano le risorse, perfino l'acqua:
la useremo con parsimonia, goccia a goccia.
Ci rimboccheremo le maniche, aguzzeremo l'ingegno.
Ce la faremo.
E i nostri vicini?
Via, andra' bene.
Siamo fratelli semiti.
In fondo vogliamo solo vivere in santa pace.
No.
Non ci viene concesso.
Tentano piu' volte di cancellarci dalla cartina.
L'antico istinto di sopravvivenza dell'ebreo e' tenace,
forse perche' la minaccia non ci abbandona.
Questa volta non scappiamo.
E dove?
Siamo a casa nostra!
Vogliamo la pace.
A quale costo?
A costo di vivere, con voi, serenamente!
Sembra banale.
In fondo la pace non e' un costo ma e' un beneficio per tutti!
Eppure mentre tu lotti per la vita, valore supremo,
l'altro idealizza il martirio, il sacrificio suicida, e tu via con lui.
Non puo' essere.
Ce la dobbiamo fare.
E' la vita contro la morte.

Raphael Barki
(Rimongroup, 21.02.02)



NON CI SONO ZONE FRANCHE PER I TERRORISTI


Da un articolo di Arieh O'Sullivan

    Le operazioni delle Forze di Difesa israeliane nel campo palestinese di Balata si propongono diversi obiettivi concreti, ma costituiscono anche una mossa volta a segnalare un cambio di strategia dopo 17 mesi di conflitto armato con i palestinesi.
    L'esercito ha deciso di prendere l'iniziativa dopo che i palestinesi erano riusciti a distruggere un carro armato Merkava il 14 febbraio uccidendo tre soldati, e a sorprendere e uccidere sei soldati al posto di blocco di Ein Arik, presso Ramallah, il 19 febbraio quasi senza combattere. L'esercito ha inoltre valutato che, nonostante i successi dei servizi di intelligence e il massiccio dispiegamento di guardie armate, e' impossibile fermare del tutto l'ondata di attacchi terroristici suicidi e che e' invece necessario andare diritti al cuore del terrorismo palestinese. Quel cuore e' stato individuato dentro il campo palestinese di Balata, il piu' grande della Cisgiordania, in realta' un vero e proprio quartiere di Nablus.
    Secondo fonti militari, Balata e' pieno non solo di armi, ma anche di laboratori per la fabbricazione di missili Kassam, proiettili da mortaio e ordigni esplosivi. Finora questo campo, in cui vivono circa ventimila persone, e' rimasto come una enclave indipendente all'interno dei confini municipali della citta' di Nablus, teoricamente sotto il controllo dell'Autorita' Palestinese: un luogo senza legge, dove non osano mettere piede le stesse forze di sicurezza palestinesi, assoggettato al controllo di cinque diverse bande che fanno capo a varie fazioni (Tanzim, Hamas, FPLP ecc.). L'ultima volta che poliziotti palestinesi entrarono nel campo di Balata, nel settembre 1999, furono immediatamente cacciati fuori.
    Le fonti militari israeliane valutano che molti degli attacchi terroristici nella regione sono stati compiuti e organizzati da terroristi di Balata. Portano a Balata, per esempio, le "orme" dei terroristi che hanno compiuto il massacro alla festa di bar mitzva (maggiorita' religiosa) di una bambina israeliana a Hadera nel gennaio scorso (6 morti), cosi' come quelle degli attentatori alla pizzeria Sbarro a Gerusalemme nell'agosto 2001 (15 morti) e quelle dei terroristi che di recente hanno attaccato il quartiere Neve Ya'akov di Gerusalemme nord, uccidendo una poliziotta. Il chiaro messaggio che oggi le Forze di Difesa israeliane mandano ai palestinesi e' che non esistono piu' santuari o zone franche, ne' posti dove trovare sicuro nascondiglio dopo attentati come quelli.
    Le Forze israeliane sapevano bene che a Balata avrebbero incontrato una opposizione armata molto piu' dura che nelle altre operazioni condotte finora in territorio palestinese. Per questo hanno iniziato le operazioni impadronendosi di quattro edifici a piu' piani ai bordi del campo da usare come postazioni fisse e punti di osservazione. Nel complesso, le operazioni dentro Balata hanno comportato l'impiego di equipaggiamento tecnologico, lavoro di intelligence e di un elevato livello di controllo e comando per coordinare le azioni di molte squadre diverse che operavano casa per casa. Gli israeliani sapevano che i viottoli di Balata erano pieni di ordigni. Il militare che ha perso la vita in effetti e' stato ucciso da una mina. Per questo i commando di paracadutisti si sono aperti la strada attraverso le pareti fra una casa e l'altra.
    "In generale - dice il colonnello Ephraim Editan - le Forze di Difesa israeliane possono essere fiere di come riescono a portare a termine le loro tante missioni anti-terrorismo in aree densamente abitate senza far del male ai civili".
    Secondo l'esercito, i campi palestinesi sono le principali basi del terrorismo. Fino all'operazione di oggi a Balata, i palestinesi tendevano a considerarli intoccabili. Primo obiettivo della missione era proprio confutare questo mito.

(Jerusalem Post, 1.03.02)
    


PACE CON GLI ARABI  


Avremo pace con gli Arabi
quando ameranno i loro figli
più di quanto odiano noi.

Golda Meir


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