Notizie su Israele 80 - 30 marzo 2002


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Così parla DIO, il Signore: Quando avrò raccolto la casa d’Israele in mezzo ai popoli fra i quali essa è dispersa, io mi santificherò in loro davanti alle nazioni, ed essi abiteranno il loro paese, che io ho dato al mio servo Giacobbe; vi abiteranno al sicuro; costruiranno case e pianteranno vigne; abiteranno al sicuro, quando io avrò eseguito i miei giudizi su tutti quelli che li circondano e li disprezzano; e conosceranno che io sono il SIGNORE, il loro DIO.

(Ezechiele 28:25-26)



ARAFAT E' NEMICO DI ISRAELE?


"Da Beirut si è alzata in volo la colomba della pace, ma prima ancora di arrivare è stata centrata dai fucili di Sharon".
    Con queste auliche parole si è conclusa la relazione del cronista del giornale radio di due giorni fa. Una bella metafora, che se non informa sui fatti, fa capire quali sono i sentimenti di chi li comunica.

    Il governo israeliano ha dichiarato che Arafat è un nemico di Israele. Molti sanno già qual è la spiegazione: Arafat vuole la pace, Sharon è nemico della pace, e quindi dichiara Arafat suo nemico.

    Segue un breve elenco di dichiarazioni di Arafat su Israele.

    "Il nostro obiettivo è la distruzione di Israele. Non ci può essere né compromesso né moderazione. No, noi non vogliamo la pace. Vogliamo la guerra e la vittoria. La pace per noi significa la distruzione di Israele e niente altro."
(Yasser Arafat su "Esquire", Buenos Aires, 21.3.1971)

    "Nulla ci fermerà fino a quando Israele non sarà distrutto. Scopo della nostra lotta è la fine di Israele. Non vi sono compromessi né mediazioni possibili. Non vogliamo la pace: vogliamo la vittoria. Per noi la pace è la distruzione di Israele e niente altro.
(Yasser Arafat su "New Republic", 16.11.1974)
  
Yasser Arafat in uniforme

Con questi propositi Arafat ha organizzato per una ventina d'anni una serie impressionante di attentati terroristici, tra cui il massacro della squadra olimpica israeliana alle olimpiadi di Monaco del 1972. Nella guerra del golfo del 1991 si è schierato dalla parte di Saddam Hussein, che aveva chiaramente manifestato l'intenzione di distruggere Israele.
    Dopo la tragica disfatta del dittatore iracheno, Arafat però si è clamorosamente "pentito". Dev'essere stato qualcosa di folgorante, per spiegare un cambiamento così radicale. Ma il mondo gli ha creduto, non gli ha più ricordato il suo passato, lo ha perdonato, e più che perdonato: lo ha elevato all'onore evangelico di "facitore di pace". Infatti gli ha conferito il premio Nobel della pace.
    Ma Arafat ha continuato a parlare.

    Seguono altre sue dichiarazioni, tratte dal libro citato in fondo a questo foglio.

    "E' nostro diritto avere uno Stato, e non soltanto sulla carta, perché questo Stato sarà uno Stato palestinese indipendente, che servirà come trampolino di lancio dal quale libereremo Giaffa, Akko e tutta la Palestina." (1992)

    "La fondazione di uno Stato palestinese in Cisgiordania e in Gaza sarà l'inizio della sconfitta dell'entità sionista. Nella fiducia in questa sconfitta, noi saremo in grado di portare a compimento il nostro obiettivo finale." (1992)

    "La marcia vittoriosa andrà avanti fino a che la bandiera palestinese sventolerà a Gerusalemme e in tutta la Palestina, dal Giordano al mare, da Rosh Hanikra fino a Eilat." (1992)

    "Ci sono due fasi del nostro ritorno: la prima fase fino alle frontiere del 1967, la seconda fino alle frontiere del 1948." (1992)

    "La riacquisizione dei nostri territori occupati è solo la prima tappa sul cammino della completa liberazione della Palestina" (1992).

    "Il nostro primo obiettivo è il ritorno a Nablus
[Cisgiordania], poi proseguiremo per Tel Aviv" (1994).

    "Noi aspiriamo alla fondazione di uno Stato che useremo per la liberazione dell'altra parte dello Stato palestinese." (1994).

    "La battaglia contro il nemico sionista non è una battaglia che riguarda i confini di Israele, ma l'esistenza di Israele." (1994).

    "Non abbiamo posato il fucile. Fatah continua ad avere gruppi armati che continueranno ad esistere. Tutto quello che sentirete
[di contrario], serve solo ed esclusivamente per scopi strategici." (1992)

    "
[Il processo di pace] è soltanto una tregua d'armi fino al prossimo stadio della lotta armata. Fatah non ha mai preso la decisione di cessare la lotta armata contro l'occupazione." (1994)

    Nota: E' per questo che Arafat si presenta sempre ai colloqui di "pace" in divisa, anche se non non ne avrebbe nessun bisogno. Il segnale rassicurante che manda ai suoi è: "Non vi preoccupate, siamo sempre in guerra".
Il 13 settembre 1995, lo stesso giorno in cui si svolse la cerimonia degli accordi di pace in Wahshington, Yasser Arafat disse alla televisione giordana:

“Poiché non possiamo sconfiggere Israele in guerra, lo faremo per gradi. Prenderemo tutto il territorio che potremo in Palestina, stabiliremo lì la nostra sovranità e l’useremo come trampolino per prendere di più. Quando arriverà il tempo opportuno, chiederemo alle nazioni arabe di unirsi a noi per il colpo finale contro Israele.”

     Nel 1998, quando il processo di Oslo era già stato firmato, il Fatah di Arafat inserì la sua costituzione sul suo sito internet. Uno degli obiettivi della sua costituzione è espresso con queste parole:

La completa liberazione della Palestina e lo sradicamento economico, politico, militare e culturale dell’esistenza sionistica.”

     Nel 1999, nel giorno del suo 70° compleanno, Arafat disse davanti a molti simpatizzanti [ICEJ News Service, August 6, 1999]:

“Allah volendo, continueremo la nostra battaglia, la nostra Jihad... e ancora una volta entreremo nella città di Gerusalemme come fecero i Musulmani la prima volta.”

    
Le citazioni potrebbero aumentare, e rimandiamo per questo all'articolo: "Arafat parla sempre di 'pace dei forti'. Che cos'è?", Notizie su Israele N.27 (http://www.ilvangelo-israele.it/news/isr_027.html).
    Per chi vuole sono più che sufficienti, ma per chi non vuole certamente non basteranno. Non bastano e non basteranno mai perché molti non hanno voglia di capire, o, peggio ancora, hanno deciso di non voler capire.
    Ma ormai bisogna dire che, dopo tutto quello che è accaduto e con tutto quello che si sa, chi continua a sostenere più o meno apertamente Arafat, lo fa perché è, di fatto, un nemico di Israele che, se non ne vuole dichiaratamente la distruzione, certamente non piangerà se questo dovesse avvenire e non è disposto a muovere un dito affinché questa non avvenga.
    In ogni caso, questo non avverrà. Ma ciascuno porterà la responsabilità della posizione che ha preso.
Marcello Cicchese



DA MESI ISRAELE SUBISCE UNA "PIAZZA FONTANA" AL GIORNO



     Mercoledi' ventun civili israeliani inermi sono stati massacrati a sangue freddo a Netanya da un terrorista suicida palestinese mentre celebravano la prima sera della pasqua ebraica; 140 i feriti e i mutilati. Il terrorista (Abdel-Bassat Odeh, 25 anni, originario del campo di Nur e-Shams presso Tulkarem) era da tempo sulla lista dei ricercati che l'Autorita' Palestinese e' tenuta ad arrestare in base agli accordi sottoscritti. L'ordigno che aveva addosso era stato fabbricato a Nablus, la stessa citta' da dove proveniva la cintura esplosiva che soldati israeliani hanno scoperto lo stesso mercoledi' nascosta sotto la lettiga di un ragazzino palestinese malato, dentro un'ambulanza della Mezza Luna Rossa palestinese, fortunatamente fermata e perquisita a un posto di blocco.
     Giovedi', quattro membri di una famiglia israeliana vengono assassinati a sangue freddo e un quinto ferito a sventagliate di mitra da un terrorista palestinese penetrato nella loro abitazione, nell'agglomerato di Eilon Moreh, a nord di Nablus. Il terrorista continua a sparare per due ore, impedendo l'arrivo dei soccorsi, finche' non viene neutralizzato dalle forze di sicurezza israeliane.
     Venerdi' mattina, altri due ebrei israeliani vengono assassinati a coltellate da un palestinese mentre sono in preghiera nella sinagoga dell'agglomerato di Netzarim (striscia di Gaza).
     Sempre venerdi', in tarda mattinata, ennesimo attentato suicida a Gerusalemme, questa volta in un supermercato. Bilancio provvisorio: due morti e 31 feriti, di cui due gravi. L'attentato, realizzato mandando a morire una ragazzina palestinese di soli 16 anni, e' stato rivendicato dalle Brigate Al Aqsa, il gruppo di fuoco del movimento Fatah (presieduto da Yasser Arafat) i cui membri sono stati definiti "non terroristi, ma patrioti che combattono per la liberta" da Ali Rashid, rappresentante ufficiale dell'Autorita' Palestinese in Italia, durante una trasmissione televisiva della RAI la sera del 15 marzo scorso.
     Ci troviamo di fronte a una spaventosa ondata di terrore palestinese che viene scatenata proprio quando Israele per una decina di giorni aveva evitato di reagire ad altri continui attentati pur di agevolare gli sforzi negoziali dell'inviato americano Zinni.
     Di fronte a questa carneficina - da mesi Israele subisce una "Piazza Fontana" quasi ogni giorno - appare patetico e quasi insultante il presidente dell'Autorita' Palestinese Yasser Arafat che non trova di meglio che dichiararsi pronto a "lavorare per un cessate il fuoco". Quando ormai e' dimostrato che l'Autorita' Palestinese di Arafat scarcera programmaticamente i terroristi che poi fanno gli attentati. E che li celebra (anche alla televisione italiana), li appoggia e li finanzia. Da anni, almeno a partire dai tempi di Rabin, si e' capito che le bombe palestinesi non sono affatto "contro la pace": sono contro gli ebrei d'Israele e vengono fatte esplodere sia con, sia senza il processo di pace.

     Intanto il vertice, dimezzato e diviso, della Lega Araba a Beirut ha approvato una versione peggiorata del piano saudita. Infatti, accanto alle aperture verso un riconoscimento di Israele (a 54 anni

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dalla sua nascita) che gli stessi Sharon e Peres avevano definito interessanti, la Lega Araba, citando a sproposito la risoluzione 194 del dicembre 1948 (che non e' vincolante, che a suo tempo fu respinta dai paesi arabi e che non e' contemplata da nessun accordo di pace) ha voluto ribadire il cosiddetto "diritto al ritorno" di milioni di profughi palestinesi e loro discendenti all'interno della stessa Israele: un vero e proprio "diritto di invasione" perseguito con altri mezzi. Il tutto condito con una serie di violente dichiarazioni volte a giustificare l'assassinio di civili ebrei, proprio mentre i terroristi mietevano vite di civili israeliani.
     "Nessun paese puo' tollerare una serie di aggressioni e di massacri come questa - ha affermato il primo ministro israeliano Ariel Sharon in una conferenza stampa venerdi' mattina in diretta televisiva - Per questo il governo d'Israele ha approvato le linee generali per un vasto piano di operazioni contro il terrorismo palestinese. Arafat, che ha creato una vera e propria alleanza di terroristi contro Israele, e' un nemico e in questa fase verra' isolato".
     Il ministro della difesa Binyamin Ben-Eliezer ha spiegato che nei prossimi giorni e nelle prossime settimane Israele sara' impegnato in una guerra aperta contro il terrorismo, pur ribadendo che Israele non e' in alcun modo interessato a rioccupare i territori palestinesi. "Stavamo facendo ogni sforzo per favorire il cessate il fuoco mediato da Zinni - ha aggiunto Sharon - e tutto cio' che abbiamo ottenuto e' terrorismo e ancora terrorismo".

(israele.net, 29.03.02)



ISRAELE IN GUERRA CONTRO LE STRUTTURE DEL TERRORISMO


     Per mesi, e ancor piu' nelle ultime settimane, i palestinesi hanno deliberatamente colpito in centinaia di occasioni i civili israeliani, mandando anche cinicamente allo sbaraglio i propri minorenni come dimostrano gli ordigni esplosivi nascosti sotto il lettino di un bambino palestinese malato su un'ambulanza della Mezza Luna Rossa fermata a un posto di blocco mercoledi' scorso, e la ragazzina di appena sedici anni mandata a morire suicida venerdi' in un supermercato di Gerusalemme per ammazzare quanti piu' ebrei possibile. Ora le truppe israeliane, facendo esattamente il contrario, si sono lanciate contro il quartier generale di Arafat, cioe' contro il massimo vertice politico-militare responsabile delle strategie palestinesi.
     Venerdi' mattina il primo ministro israeliano Ariel Sharon aveva annunciato: "A questo punto, Arafat va isolato". Durante la giornata, ingenti forze israeliane hanno assunto il controllo della maggior parte degli edifici che fanno parte del complesso Mukata, a Ramallah, dove risiede Arafat, procedendo a una perquisizione stanza per stanza durante la quale sono state rinvenute grandi quantita' di armi, compresi missili anticarro (proibiti dagli accordi di Oslo), nonche' attrezzature per intercettazioni telefoniche. Durante le operazioni si sono avuti violenti scontri a fuoco con alcuni morti e feriti da entrambe le parti. Tra gli edifici caduti sotto controllo israeliano vi sarebbe anche la prigione dove sono detenuti i terroristi imputati dell'assassinio del ministro israeliano Ze'evi avvenuto a Gerusalemme nell'ottobre scorso.
     "Questa campagna militare potra' durare anche diverse settimane - ha dichiarato Sharon - e il suo obiettivo e' quello di sconfiggere le organizzazioni terroristiche". Il primo ministro israeliano ha sottolineato che in questi frangenti e' indispensabile che la il paese sia unito per resistere alle pressioni che verranno sicuramente esercitate su Israele.

(Ha'aretz, Jerusalem Post, 30.03.02)



LA PERVERSIONE DEL TERRORISMO SUICIDA


La macchina inarrestabile dei kamikaze
    
di Fiamma Nirenstein

     Il segnale che gli americani mandano ad Arafat mettendo fra le organizzazioni terroristiche le Brigate Al Aqsa, che appartengono proprio ad Al Fatah e che ormai rivendicano con i Tanzim (altra organizzazione vicina ad Arafat) la maggior parte degli attacchi suicidi, è un avvertimento molto deciso. Ma chissà se basterà. Arafat sembra avere una determinazione strategica: saltare gli accordi Tenet che lo costringono a smantellare i gruppi armati, e costringere israeliani e americani a parlare subito di concessioni territoriali. Ma la debolezza di questo piano è che hanno un troppo intenso sapore di barbarie gli attacchi terroristi suicidi di ieri e dell'altro ieri, uno sull'autobus, l'altro a Gerusalemme. Questi attacchi che portano il numero incredibile di 11999 e 12mila in 18 mesi (escluse le bottiglie molotov e i lanci di pietre), infatti, avvengono mentre si era acceso quel tenue barlume di speranza dato dalla promessa di Dick Cheney di incontrare Arafat; dalle ripetute dichiarazioni pubbliche di Sharon di accettare sia il cessate-il-fuoco con tutte le clausole dell'accordo Tenet, sia il tavolo Mitchell in cui accetterà «penose concessioni»; dal fatto che erano in corso fondamentali incontri per la tregua. Ma Arafat, che ha detto più volte di accettare le carte e gli accordi internazionali, e di condannare gli attentati, di fatto non dà il minimo segno di bloccare la sua arma strategica più forte, anche perché capace di suscitare reazioni israeliane poi condannate da tutto il mondo; spinge o lascia spingere il gioco fino al punto in cui, egli pensa, gli israeliani dovranno chiedergli in ginocchio di fare la pace o fuggire spaventati. Da una parte condanna, dall'altra la radio ufficiale «Voce della Palestina» spiega debolmente che non è tempo di terrore, eppure seguita a chiamare «eroici martiri» i terroristi suicidi: sia quelli che martedì notte hanno attaccato i civili del villaggio di Aviezer nella valle di Eilah, sia quello che ha fatto a pezzi l'autobus davanti a Uhm el Fahem («un giovane arabo che è divenuto un martire erorico»). Marwan Barghuti e altri leader hanno definito gli atti terroristici «una risposta a Israele e anche all'atteggiamento americano». Posizioni di sfida ben meditate. Il terrorismo suicida è diventato come un comma incoercibile di questo conflitto, un'arma strategica viziosa, per la semplice ragione che gode di un consenso di massa (l'87%, secondo l'Università di Nablus) ed è facile da alimentare col sogno di «liberare tutta la Palestina» (l'87,5%). Una tv araba ha recentemente mandato in onda un video di rivendicazione precedente alla morte di un terrorista suicida, con Corano e mitra. La novità consiste nella presenza di sua madre: essa ringrazia Dio con tono calmo di averle dato un figlio destinato ad essere uno «shahid» e prega le altre madri di emularla e mandare figli e figlie a uccidere quanti più israeliani possibile. Un altro clip mostra con musiche gioiose l´allenamento delle ragazze per diventare terroriste suicide. Una foto che rappresenta una scuola per l'infanzia fa vedere un bimbo piccolo (forse cinque anni) e bellissimo con tanto di cintura di tritolo, bandana in testa, e vicino a lui in piedi cinque veri pretendenti terroristi, mascherati e con le cinture esplosive. Quali accordi di pace possono essere fatti quando il terrorismo suicida, la più repellente e mostruosa fra tutte le armi, diventa discorso comune, gioco, desiderio dei giovani? Non si capisce, l'Europa non capisce che questa perversione può divenire anche un modello comune di esportazione?

Fiamma Nirenstein

(La Stampa)



LETTERA APERTA ALLA TERRA D'ISRAELE


Mia cara, dolce, amatissima, vilipesa e martoriata Terra d'Israele,

     da sempre su di te succedono brutte cose, da sempre il mondo intero ti calunnia, da sempre succede che tutto quello che fai viene mistificato o, quantomeno, frainteso: tu ti difendi e dicono che aggredisci, tu tenti di non farti distruggere e dicono che ti sei montata la testa e vuoi diventare grande, tu colpisci chi ti attacca e dicono che non lo devi fare, colpisci le cose di chi attacca, per non uccidere, e dicono che non lo devi fare, colpisci personalmente, con tuo grande rischio, solo gli assassini, e dicono che non lo devi fare. Uccidono i tuoi figli e dicono che sei tu a uccidere i figli degli altri, tenti di far uscire dai tuoi confini la verità e dicono che menti, negano il tuo diritto ad esistere e dicono che sei tu a negarlo agli altri, tentano di distruggere il tuo popolo ovunque nel mondo, anche a migliaia di chilometri da te, e levano grandi proteste quando tu ti sposti di tre metri per neutralizzare chi ti sta distruggendo.
     Cara Terra d'Israele, così non va, così non si può andare avanti, così non si arriva da nessuna parte, prima o poi dovrai deciderti a capirlo: è inutile, dolce Terra d'Israele, che tu tenti di accontentare chi non ne vuole sapere di capirti, di cercare accomodamenti con chi cerca la tua cancellazione, di tentare mediazioni con chi mediare non vuole affatto. Mia amata Terra d'Israele, smettila di temere le critiche di chi ti criticherebbe comunque, finché tu esisterai, smettila di cercare di andare incontro a chi invece ti viene solo contro. Cara Terra d'Israele, a questo punto hai una sola via d'uscita: infischiatene del mondo che ti odia, e ti odierà qualunque cosa tu faccia, solo perché sei tu, e fa' quello che devi fare: colpisci senza pietà, distruggi tutti coloro che ti vogliono distruggere - e che prima o poi lo faranno, tu lo sai bene - fa' tutto quello che già adesso, senza motivo, ti stanno accusando di fare, fallo senza esitazioni, senza ripensamenti, senza sconti, fallo fino in fondo, e quando avrai finito dichiarati pronta a discutere e allora, vedrai, tutti discuteranno.
     E ancora una cosa ti voglio dire, Terra d'Israele, perché è ora che ci decidiamo a dirlo chiaro e forte: noi ci siamo stufati di recitare la parte degli ebrei buoni, comprensivi, equidistanti, politicamente corretti. Noi non siamo equidistanti! Noi non saremo mai equidistanti fra vittime e assassini! Noi siamo con te, noi saremo sempre con te, con ogni fibra del nostro corpo, con ogni cellula del nostro cervello, fino al nostro ultimo respiro, qualunque cosa tu faccia, anche se dovesse capitarti di sbagliare, anche se dovesse capitarti di compiere scelte che non condividiamo del tutto, qualunque cosa accada ci troverai sempre dalla tua parte: loro ti odiano perché sei tu, noi ti amiamo perché sei tu.
     Ecco, questo volevo dirti, mia amatissima Terra d'Israele.

Barbara Mella

(da "Informazione corretta")


LIBRI


RAMON BENNETT, "Philistine - The Great Deception", Jerusalem, 1995.


INDIRIZZI INTERNET


Dio ha scelto Israele (II)