Notizie su Israele 87 - 16 aprile 2002


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Perciò di': "Così parla DIO, il Signore: Sebbene io li abbia allontanati fra le nazioni e li abbia dispersi per i paesi, io sarò per loro, per qualche tempo, un santuario nei paesi dove sono andati". Perciò di': "Così parla DIO, il Signore: Io vi raccoglierò in mezzo ai popoli, vi radunerò dai paesi dove siete stati dispersi, e vi darò la terra d'Israele". Quelli vi giungeranno, e ne toglieranno tutte le cose esecrande e tutte le abominazioni. Io darò loro un medesimo cuore, metterò dentro di loro un nuovo spirito, toglierò dal loro corpo il cuore di pietra, e metterò in loro un cuore di carne, perché camminino secondo le mie prescrizioni e osservino le mie leggi e le mettano in pratica; essi saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio.

(Ezechiele 11:16-20)

ARAFAT INCITA ALLA RIVOLTA GLI ARABI ISRAELIANI


Per Arafat, Israele è "terra occupata da liberare"


    Un altro significativo documento trovato dalle Forze di Difesa israeliane negli uffici di Arafat a Ramallah e' stato reso noto domenica. Si tratta di una lettera datata 30 settembre 2001 che contiene un messaggio rivolto ai cittadini arabi israeliani in occasione del "primo anniversario dell'intifada di Al Aqsa" a nome di un Comitato di Collegamento dell'ufficio del presidente Yasser Arafat.
    Nel momento stesso in cui Arafat e l'Autorita' Palestinese si presentano a tutto il mondo come coloro che avrebbero definitivamente accettato l'esistenza di Israele, essi stessi si rivolgono (in arabo) ai cittadini arabi israeliani con un messaggio incendiario e irredentista di aperta istigazione alla rivolta armata, nel quale tutto il territorio d'Israele viene esplicitamente definito "territorio occupato" e la creazione di un'unica Palestina araba e musulmana al posto di Israele viene chiaramente indicato come l'obiettivo di una lotta palestinese violenta, senza tregue e senza compromessi.
    Ecco ampi stralci del testo del messaggio dall'ufficio di Arafat ai cittadini arabi israeliani:

    "Alla nostra nazione palestinese, alle masse rimaste aggrappate con forza e pazienza alla terra e le cui radici affondano nella terra dei padri e dei progenitori, voi che con la vostra ferma posizione avete mantenuto la presa [sulla terra] per il tempo che e' piaciuto a Dio, per piu' di mezzo secolo, combattendo l'occupazione che ruba la nostra terra e la nostra patria. A voi e alle generazioni che vi seguiranno, fino al tempo della rinascita, e' stato affidato il compito di proteggere questa patria. Voi state mantenendo questo impegno che grava sulle spalle vostre e dei vostri discendenti, giacche' voi siete i protettori e i guardiani della patria e vivete su di essa e ne siete i proprietari legali e originari, e ne siete gli eredi fino al giorno in cui sarete redenti. Con voi e grazie a voi noi celebriamo il primo anniversario dello scoppio della scintilla dell'intifada benedetta di Al Aqsa, che la nostra nazione sta attuando nei territori liberati, in quelli occupati e nell'esilio […].
    Davvero la nazione, in tutte le sue parti e le sue componenti, ha lanciato l'intifada in ogni luogo in cui si trova. I legami che la collegano intrecciano gli abitanti di Gerusalemme, della Cisgiordania e della striscia di Gaza e gli abitanti delle citta' occupate da prima. Questi [gli arabi israeliani] sono da sempre la naturale continuazione e il muro e la fortezza della nostra nazione palestinese e della sua giusta causa. La nazione palestinese ha lanciato la sua intifada per coprire con il proprio sangue puro e immacolato le strade e i vicoli del santo dei santi, la capitale dello stato indipendente di Palestina. La pietra e l'uomo, l'albero e l'uccello hanno lanciato l'intifada nei vicoli di Gerusalemme e nei suoi Luoghi Santi, sulle colline e nelle valli di Cisgiordania, sulla costa di Gaza e nei campi profughi, nelle pianure e sulle colline e sulle cime della Palestina, nelle citta' e nei villaggi di Palestina occupati sin dal 1948. Si', scriveremo con il sangue la carta geografica di un'unica patria e un'unica nazione. […]
    Oggi vi guardiamo e seguiamo con gli occhi del nazionalismo, e con il pensiero andiamo alle nostre famiglie e alla nostra grande nazione nei villaggi e nelle citta' che resistono sin dal 1948. Giacche' essi sono nostri compagni nella meta e nella sorte, compagni di un unico sogno nazionale. L'intifada di Al Aqsa e l'indipendenza hanno realizzato l'unita' della nazione di tutto il popolo palestinese che resiste, nonostante i posti di blocco e l'occupazione, nonostante i massacri compiuti dalle bande sioniste sin dalla nakba [disastro] del 1948. Per celebrare questa memoria noi evidenziamo insieme ed egualmente la volonta' di quest'unica nazione […].
    Oggi nessuna voce e' piu' alta della voce dell'intifada. Essa continuera' ad essere l'intifada di un'unica nazione che erompe da un unico sangue sparso. Continuera' ad essere l'intifada della collera in corso, dell'indipendenza in corso, delle generazioni che continueranno fino alla realizzazione del nostro supremo sogno nazionale. Siamo noi i legittimi proprietari della terra, siamo noi che abbiamo titolo alla patria indipendente e allo stato indipendente. Cosi', grazie a voi [arabi israeliani], grazie alla nobile nazione araba e islamica, grazie a tutti i popoli del mondo che amano la libera', noi stabiliremo la nostra nazione palestinese indipendente e la sua santa capitale a Gerusalemme. Con voi e grazie a voi, libereremo la sacra moschea di Al Aqsa e la libera bandiera palestinese sventolera' nei cieli di Gerusalemme, culla delle religioni celesti, terra di profeti, luogo della riunione del creato nel giorno del giudizio. Gloria eterna alle nostre vittime, vergogna eterna agli agenti del nemico. Questa e' una lotta fino alla vittoria".

(Jerusalem Post, 15.04.02)



L'ARRESTO DEL SUPERTERRORISTA MARWAN BARGHOUTI


    I militari scelti israeliani sono riusciti ad arrestare a Ramallah il superterrorista di Fatah, Marwan Barghouti. Barghouti, che è
  
Marwan Barghouti
membro del Consiglio Nazionale palestinese ed era considerato dal mondo come il possibile successore più moderato di Arafat, era - come capo dei terroristi Fatah-Tanzim - il simbolo della lotta terroristica contro Israele. E come tale anche si presentava, marciando per le strade nei cortei davanti ai terroristi incappucciati e armati, come loro capo. Era in contatto diretto con Arafat.
    Barghouti è stato arrestato con altri terroristi nella sua casa, che si trova vicino alla residenza di Arafat. Israele aveva chiesto ad Arafat più volte, ma invano, di consegnargli Barghouti, perché Barghouti era responsabile di numerosi attentati terroristici contro Israele. Con lui è stato arrestato anche suo cugino, il terrorista Ahmed Barghouti.
    Il capo della sicurezza di Arafat, Rajoub, ha avvertito Israele che se Barghouti dovesse essere ucciso, o incarcerato, o maltrattato negli interrogatori, questo potrebbe avere sanguinose conseguenze per Israele. Questo fa capire fino a che punto Arafat è collegato con il terrorismo.

(NAI-Stimme aus Jerusalem, 16.04.02)



RETROSCENA DELLA BATTAGLIA A JENIN


Una seconda Sabra e Chatila?

di Johannes Gerloff - Gerusalemme

    Centinaia di morti e feriti sono il risultato di aspre battaglie, durate giorni, nel campo profughi di Jenin. Lo ammette l'esercito israeliano. Il fidato rappresentante di Arafat, Saeb Arekat, parla di una seconda Sabra e Chatila. Le immagini che "documenteranno" le affermazioni di un nuovo massacro dell'esercito israeliano, saranno diffuse nel mondo nei prossimi giorni. Fino ad allora, l'esercito vieta a organizzazioni umanitarie come ai giornalisti di entrare nel campo di Jenin: la sicurezza non può essere garantita. C'è ancora troppo materiale esplosivo nelle strade, negli edifici e nelle macerie. Ciò è però terreno fertile per le speculazioni e le voci di tutti i tipi. Il groviglio maleodorante di edifici in cemento nella parte orientale della città dell'Autonomia palestinese era da tempo noto come focolare dell'estremismo. "Peggio della striscia di Gaza", era questo territorio vasto centinaia e centinaia di metri, così diceva un giornalista palestinese ben informato. Gli stranieri farebbero bene a evitare questo campo. Quanti dei 13 mila abitanti siano ancora vivi all'interno della zona chiusa dai militari, non è chiaro. Il generale israeliano Ejal Schlein, che ha guidato l'operazione in Jenin, spiega che l'esercito ha raggiunto il suo scopo, ossia la distruzione della infrastruttura terroristica e l'arresto di centinaia di palestinesi. Tra questi ci sono, secondo Schlein, attentatori suicidi che avevano già preparato i video destinati a essere diffusi dopo la loro morte. Ali Sfori, lo sceicco quarantenne, uno dei leader della Jihad islamica, si è presentato ai soldati israeliani giovedì. E' un esperto di bombe e si dice sia responsabile di diversi attentati in luoghi israeliani, Hadera, Binkamina, Afula e al Kibbutz Schluchot. I palestinesi avevano detto in precedenza che lo sceicco era stato ucciso dagli israeliani.
    L'esercito afferma ancora che sono state scoperte grandi quantità di armi, munizioni e materiale esplosivo, come dozzine di laboratori di bombe. I palestinesi arrestati a Jenin cominciano intanto a dare informazioni agli israeliani. Così un funzionario di Fatah, nonché comandante delle brigate di Al-Awsa, Abd al-Karim Awiss, ha riconosciuto che il capo del servizio segreto di Arafat, Tawfik Tirawi, ha partecipato in prima persona al reclutamento, all'addestramento e alla spedizione di terroristi in Israele. Nell'ambito della cooperazione di sicurezza con Israele, Tirawi aveva ricevuto dai partner israeliani liste con i potenziali attentatori suicidi. Invece di farli arrestare, come gli era stato richiesto dagli accordi di Oslo, egli li ha messi in guardia. Gli ufficiali di sicurezza palestinesi, che sono stati arrestati da Israele, hanno detto durante gli interrogatori di appartenere a organizzazioni terroristiche e di aver guidato attentati contro Israele. Documenti che sono stati trovati nel quartier generale del servizio segreto palestinese a Jenin confermano un'indiretta collaborazione delle autorità palestinesi e di Al Fatah (legata a  Arafat) con i gruppi terroristici estremistici di Hamas e Jihad. Le conquiste israeliane in altri luoghi dei territori palestinesi forniscono altre prove in questa direzione.
    Invece di fermare gli attentati terroristici contro Israele, come dicevano a tutto il mondo, i "partner di pace" dello stato ebraico hanno sostenuto ricercati terroristi con informazioni, logistica e armi. I soldi per questa costosa "coalizione del terrore", come la chiamava il premier Sharon, venivano dalla Siria. Anche questo possono dimostrare gli israeliani  con i fondi a Jenin. Meticolosamente, i funzionari hanno tenuto una contabilità, come probabilmente hanno imparato nella Germania dell'Est, dove molti di loro si erano formati.
    I "combattenti della libertà" palestinesi sanno utilizzare i più efficaci scudi di protezione: donne e bambini nel campo di Jenin o edifici simbolici di significato internazionale, come la chiesa della Natività di Gesù a Betlemme.
    Arafat e i suoi si nascondono dietro il dolore terribile e la miseria del loro popolo amareggiato e si giocano ogni possibilità di una autodeterminazione dei palestinesi, provati dalla sofferenza, a fianco di uno Stato ebraico. Si sapeva bene che la presa di questo campo profughi non avrebbe potuto avvenire senza vittime. A dieci anni da Oslo, il governo israeliano sa che non si può trattare con terroristi motivati religiosamente, il cui ultimo scopo è il "martirio". Sa anche però che Israele deve vivere con i suoi vicini arabi, anche con i palestinesi. I soldati non hanno agito come avrebbe fatto "ogni razionale esercito in questo caso", sottolineava un militare israeliano di lunga esperienza.  Invece, hanno dato ai civili la possibilità di fuggire e poi sono intervenuti con panzer, artiglieria, aerei. Più di venti soldati israeliani sono morti nelle strade del campo profughi pieno di civili.

(Hamburger Abendblattes, traduzione di Marilena Lualdi)



TESTIMONIANZA DI UN ITALIANO CHE VIVE E LAVORA IN ISRAELE


Gentili signori,

    Sono un italiano che vivendo e lavorando in Israele segue la stampa locale ed internazionale. Vorrei solo fare un po' di luce sul presunto massacro di Jenin, riportando alcuni fatti, testimonianze udite di prima mano da soldati che hanno combattuto a Jenin, e la versione ufficiale dell'esercito israeliano.
     L'assedio a Jenin e' stato accompagnato da un appello lanciato dall'esercito affinché la popolazione civile abbandonasse il campo profughi e permettesse all'esercito di perquisire il campo, alla ricerca di laboratori di esplosivi, e di arrestare terroristi ricercati da Israele. Durante ogni giorno successivo, l'esercito ha dato alla popolazione 4 ore al giorno per rifornirsi di acqua e cibo e decidere se venire evacuati al sicuro all'esterno del campo o tornare alle proprie case. L'esercito ha promesso di non toccare i cittadini rimasti in casa, purche' non fosse aperto fuoco dalle loro case contro i soldati. Questa la versione dell'esercito israeliano.
     Ho parlato con diversi soldati israeliani che hanno combattuto a Jenin i quali mi hanno riferito quanto segue: mentre i soldati avanzavano, essi venivano attaccati da una miriade di ordigni: ogni macchina era un'autobomba, ogni casa era una trappola: tutte le bombole del gas delle case sono state trasformate in ordigni. Potenti ordigni e mine sono stati sepolti sotto l'asfalto e fatti detonare al passaggio delle truppe. Nel centro del campo profughi (circa 5.000 metri quadrati), i soldati sono stati attaccati da ogni casa, da ogni finestra, con scariche di mitra, bombe e lanciarazzi. I terroristi palestinesi hanno talora tenuto come ostaggi civili palestinesi innocenti, per usarli come scudi umani contro i soldati. Cercando di evitare di colpire civili, Israele ha dovuto operare con

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grande attenzione (registrando numerose perdite, quasi 30 soldati in un solo giorno). I bulldozer sono arrivati solo verso la fine dei combattimenti, per demolire case da cui non provenivano piu' spari, ne' segni di vita, in quanto si temeva che ci fossero ordigni ed ulteriori trappole mortali. In molti casi, le case demolite sono esplose, dimostrando fondati i dubbi e le precauzioni dell'esercito.
     Veniamo ai corpi: la corte suprema israeliana ha vietato il seppellimento fintanto che non saranno udite le parti. I palestinesi hanno presentato una protesta alla corte suprema, consci del fatto che Israele e' l'unica democrazia del medio oriente. Proprio perche' Israele e' una democrazia, i giudizi hanno sospeso le operazioni militari finche' non saranno udite le parti: questo dovrebbe essere un monito ed un esempio di civilta' dell'alto senso autocritico e civile di Israele. Ahime', nessuno dei vicini Stati Arabi di Israele possiede un simile senso del rispetto della democrazia. I giornalisti stranieri: un coro di proteste si e' levato contro Israele, a causa del suo rifiuto di permettere ai giornalisti di entrare in zone militari. Vorrei a tal proposito ricordare che:

     1. L'esercito ha vietato l'accesso ai giornalisti in zone pericolose (vedasi l'esempio del fotografo italiano ucciso).
2. Sempre i giornalisti sono stati esclusi dal teatro delle operazioni militari (dov'erano i giornalisti nella battaglia delle Falkland? Dove sono le foto dei morti afgani di Tora Bora?).

     Inoltre: Israele avrebbe potuto bombardare dall'alto tutto il campo profughi, invece di combattere casa per casa, perdendo oltre 30 uomini: in tal caso sarebbe stato un massacro. Israele ha invece scelto di pagare un prezzo umano superiore, nel tentativo di combattere solo i terroristi, facendo una chiara distinzione tra civili e criminali.
     Finalmente: una troupe israeliana ed una troupe inglese si sono intromesse abusivamente nel campo di Jenin ed hanno riportato di non aver trovato quei segni di massacro narrati dai palestinesi: non ci sono centinaia di corpi per le strade, ne' centinaia di civili. L'esercito israeliano ammette che ci sono stati centinaia di morti, ma questi sono i risultati di una dura battaglia, di una orribile guerra, non di un massacro premeditato. Indubbiamente vi saranno alcuni civili tra i morti, ma, secondo l'esercito, si tratta di civili tenuti in ostaggio dai terroristi e usati come scudi umani. Anche i civili palestinesi, purtroppo, sono vittime del terrore, del terrore palestinese; proprio per questo e' necessario combattere e fermare il terrorismo. Israele sta combattendo questa lotta anche per i civili palestinesi. Oggi piu' che mai e' vero cio' che disse Golda Meir: "Pace tra israeliani e palestinesi ci sara' solo quando loro ameranno i loro figli piu' di quanto odino noi".
     A ognuno la liberta' di riflettere e trarre le sue conclusioni.

Daniel Salvadori - Tel Aviv

(ricevuta via internet)



LASCIARE ISRAELE?


Cresce tra la popolazione israeliana la tentazione di abbandonare il Paese

Con il passaporto e le valigie pronte

di Amos Vitale

    Tenere le valige a portata di mano. Quell'antico complesso sempre di casa in tante famiglie ebraiche della Diaspora, si sta facendo strada anche in Israele. Se ne parla poco, per pudore o per non offendere i nostri migliori sentimenti, ma la cappa di estrema tensione che grava sul Medio Oriente sta facendo crescere in molti israeliani la tentazione di lasciare, di raggiungere lidi apparentemente più quieti.
    La pace è lontana, forse impossibile. I logoranti anni della guerra superano ormai il mezzo secolo: una vita che si è consumata fra tensioni indicibili, con il fiato sospeso e il cuore in gola. L'irrequietudine, lo scoraggiamento sono nell'aria. E, inutile negarlo, qualcuno se ne lascia trasportare. Quanti?
    Secondo un recente sondaggio d'opinione dell'istituto Dahaf il 22 per cento degli israeliani, se ne avesse la possibilità, abbandonerebbe il proprio Paese andando a vivere all'estero. Mentre il 75 per cento si dichiara convinto di restare in ogni caso, qualunque cosa avvenga, circa il 3 per cento si dice indeciso sul da farsi.
    I dati sembrano confermati da un altro sondaggio, commissionato dal quotidiano Maariv, secondo il quale circa il 20 per cento dei cittadini israeliani avrebbe preso in tempi recenti in considerazione l'idea di andare a vivere altrove.
    Solo una piccolissima parte di questi, naturalmente, potrà permettersi effettivamente di portare a termine i propri progetti. Solo una minoranza di loro vorrà effettivamente lasciare Israele. Ma il fatto costituito dal loro disorientamento resta. E pesa.
    Certo, sarebbe arduo sostenere che il desiderio di vivere all'estero degli israeliani possa costituire una realtà del tutto nuova. Tutti sanno che sono centinaia e centinaia di migliaia, e non da oggi, i passaporti emessi da Gerusalemme in circolazione in tutto il mondo. Studiare all'estero, concedersi un anno sabbatico o una lunga esperienza lontano da casa ha sempre fatto parte del bagaglio di esperienza ideale di un Sabra. Ivi compresi i figli di numerosi ministri in carica.
    C'è poi da ricordare che il Governo israeliano non redige statistiche su quanti sono i suoi cittadini che si trovano all'estero. Censire coloro che sono andati a caccia di una lunga vacanza o anche, in alcuni casi, di una nuova sistemazione stabile, è praticamente impossibile.
    Ma basta guardarsi un poco in giro, parlare con la gente e osservare quello che si muove, a Tel Aviv come a New York, per comprendere come in questi ultimi 18 mesi il flusso di coloro che hanno lasciato Israele sia assai significativo.
    Sbaglierebbe chi andasse a ricercare le ragioni di questo fenomeno esclusivamente nelle ferite aperte da un'ondata di terrorismo e di violenze senza precedenti.
    I motivi della crisi sono almeno due e ben distinti, anche se ovviamente collegati fra di loro. Da un lato gli effetti dell'attrito con il mondo arabo, dall'altro la crisi economica. Il tasso israeliano di disoccupazione, che si aggira sul 10 per cento e minaccia di peggiorare ancora nei prossimi mesi, non è paradossalmente così lontano da quello nostrano. Ma, calato in una realtà dove la vita attiva e produttiva costituisce un fattore determinante, si presenta come un elemento di forte destabilizzazione.
    Secondo il dottor David Greenberg, direttore dei servizi psichiatrici dell'ospedale Herzog di Gerusalemme, molti cittadini avvertono una sensazione di incertezza generalizzata, l'impressione di aver perso il controllo della propria vita quotidiana: almeno il 10 per cento di ebrei che vivono a Gerusalemme soffre di traumi psicologici connessi all'Intifada, ma l'incertezza economica sembra capace di aprire ferite ancora più profonde.
    Molto difficile da tracciare, ma in ogni caso ben diverso da quello che ci si potrebbe attendere, anche il profilo di chi tiene d'occhio l'opzione di fare le valige. Il portavoce del movimento "Pace adesso", Didi Remez, si è recentemente scagliato contro chi si sente convinto che candidati all'emigrazione possano essere soprattutto i progressisti d'origine occidentale, che rispondono a un modello di cittadino preoccupato dalla politica del Governo di unità nazionale capeggiato da Sharon. Chi pensa che sia importante incidere sulla realtà e battersi perché le cose cambino, sottolinea, si rende conto che è necessario restare.
    La sua considerazione, in un modo o nell'altro, resta vera anche per la stragrande maggior parte della popolazione israeliana, quella massa di cittadini che nonostante le difficoltà va avanti in silenzio compiendo un miracolo al giorno senza farsi notare. E' la loro determinazione, forse, la vera notizia che dovrebbe essere messa in risalto. L'autentico eroismo non ha bisogno di decorazioni.

(Shalom, mensile di informazione e cultura ebraica, aprile 2002)



NEANCHE IN IMMAGINE LO VOGLIONO PIU' VEDERE


Nell'edificio in cui si trova l'ufficio del Primo Ministro israeliano è stato tolto un quadro che si trovava nella raccolta dei momenti storici.  Il quadro mostrava il Presidente Clinton che aggiusta la cravatta a Rabin mentre Arafat aspetta sullo sfondo. Il corridoio dove era appeso il quadro conduceva alla cosiddetta "Sala Oslo", in cui fu firmato un importante documento collegato agli accordi di Oslo, e che adesso viene usata per le conferenze stampa. Alla stanza è stato cambiato il nome, e adesso si chiama "Sala delle conferenze stampa". Non si è più disposti ad avere tutti i giorni davanti agli occhi l'immagine del superterrorista Arafat.

(NAI-Stimme aus Jerusalem, 16.04.02)



UN COMUNICATO A FAVORE DI ISRAELE


PER  LA  PACE,  ACCANTO AD ISRAELE

    In questi giorni drammatici, nei quali il conflitto tra israeliani e palestinesi è esploso nella sua massima virulenza, invadendo il mondo di inquietudine e dolore, tutti i veri amanti della pace si uniscono nell'auspicare la più rapida fine delle ostilità, un sollecito ritorno alle vie del dialogo, il definitivo ripudio di ogni sopraffazione. Ma chi ama davvero la pace non può mai dimenticare che essa non può mai essere disgiunta dalla sicurezza nella vita quotidiana, dalla possibilità di costruire un futuro sereno, dalla lotta senza quartiere contro chi alla pacifica convivenza preferisce seminare morte, terrore e odio razziale.
    Non ama la pace chi condanna l'intervento militare israeliano, tacendo colpevolmente sui motivi che l'hanno scatenato, sulla furiosa ondata di terrore omicida che da diciotto mesi tormenta la società israeliana, mietendo centinaia di vite innocenti nei ristoranti, nei bar, negli autobus, nei mercati. Terrore omicida scatenato nonostante le generose offerte di Barak, patrocinate dal presidente Clinton, per la creazione di uno Stato palestinese con la capitale su parte di Gerusalemme. Vedere nei cortei 'pacifisti' sfilare addirittura dei manifestanti a volto coperto, travestiti da kamikaze, è uno spettacolo che suscita insieme pena e orrore. Sarebbe ora che si gridasse con chiarezza e con forza che ogni vera solidarietà verso il popolo palestinese imporrebbe una lotta senza quartiere contro la piaga del terrorismo, che anche a tale popolo, come a quello israeliano, ha causato e – purtroppo – potrà ancora causare tante sofferenze. Duole altamente che ciò non si ricordi mai nei cortei, così come duole come che nessun corteo, neanche minuscolo, sia mai stato organizzato quando gli adolescenti israeliani venivano fatti a pezzi nelle discoteche di Tel-Aviv, quando morivano le madri nei mercati di Gerusalemme, quando la celebrazione di Pasqua diventava per ventisei persone, a Netania, "l'ultima cena".
    Certo, non nascondiamo che si sono levate, nella società civile italiana, anche tante voci equilibrate, che non hanno dimenticato le ragioni, il dolore, i diritti di Israele. E vogliamo credere che la grande maggioranza del popolo italiano desideri sinceramente una pace vera, nella giustizia, si compenetri col dolore di tutte le vittime, non camuffi nell'amore per i palestinesi l'odio per gli israeliani (o, magari, per tutti gli ebrei), sia completamente estraneo al morbo dell'antisemitismo, e voglia anzi contribuire a sradicarlo per sempre.
    La pace non si ottiene gratis, non si conquista solo con slogan e cortei, e soprattutto non si persegue insieme ai suoi nemici, a chi predica o indulge alla violenza e al terrore. Il popolo palestinese ha pieno diritto a vivere in pace in uno stato pacifico, accanto a Israele, e i cittadini israeliani hanno pieno diritto a vivere serenamente, al riparo dalla paura. Chi ama davvero i palestinesi, li aiuti a sconfiggere la piaga del terrorismo. Chi ama davvero la pace, non punti il dito contro Israele, ma lo aiuti a superare il dolore, la solitudine, la paura, la disperazione, affinché Israele torni ad essere, e resti per sempre "una luce per tutte le Nazioni".

La Federazione delle Associazioni Italia-Israele, 14 aprile 2002



LA POPOLAZIONE DI ISRAELE


    Secondo i dati dell'Ufficio per le Statistiche israeliano, quest'anno la popolazione di Israele è di 6,5 milioni di persone, di cui 81% ebrei, il resto arabi, cristiani e altri.
    Nell'ultimo anno la popolazione è cresciuta del 2,4%. Il rapporto tra ebrei e arabi è uguale a quello del 1948.
    Dalla fondazione dello Stato, quando vivevano in Israele circa 800.00 ebrei, il numero degli abitanti di entrambi i gruppi (ebrei e arabi) è cresciuto ogni anno del 4%.
    Dei 5,3 milioni di ebrei, il 63% sono nati in Israele, il 37% sono immigranti. Gli ebrei che vivono in Israele costituiscono il 37% degli ebrei sparsi in tutto il mondo. Nel 1948 erano soltanto il 6%.
    Da questa sera [16 aprile] Israele festeggia:

AM ISRAEL CHAI - Il popolo d'Israele vive!

(NAI-Stimme aus Jerusalem, 16.04.02)

Nota: Il quinto giorno del mese ebraico Iyar è la data ufficiale del Giorno dell'Indipendenza. Secondo il nostro calendario, quest'anno cade il 17 aprile.


INDIRIZZI INTERNET


How to define a terrorist