Notizie su Israele 90 - 23 aprile 2002


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PREGHIERA DI SALOMONE

«Benedetto sia il SIGNORE che ha dato riposo al suo popolo Israele, secondo tutte le promesse che aveva fatte; non una delle buone promesse da lui fatte per mezzo del suo servo Mosè è rimasta inadempiuta. Il SIGNORE, il nostro Dio, sia con noi, come fu con i nostri padri; non ci lasci e non ci abbandoni, ma ci faccia volgere i nostri cuori verso di lui, affinché camminiamo in tutte le sue vie e osserviamo i suoi comandamenti, le sue leggi e i suoi precetti, che egli prescrisse ai nostri padri! E le parole di questa mia supplica al SIGNORE siano giorno e notte presenti al SIGNORE, nostro Dio, perché egli renda giustizia al suo servo e al suo popolo Israele, giorno per giorno, secondo il bisogno, affinché tutti i popoli della terra riconoscano che il SIGNORE è Dio e non ce n'è alcun altro.

(I Re 8:56-60)


MANIFESTAZIONE DI SOLIDARIETA' CON ISRAELE A MILANO

  
Milano - 21 aprile 2002

Il 21 aprile si è svolta a Milano, in piazza Castello, una manifestazione di solidarietà con Israele, organizzata dall'associazione Amici d'Israele Onlus in collaborazione con la Federazione delle Associazioni Italia-Israele.
    Erano presenti circa 1500-2000 persone. Molti ebrei milanesi, ma anche non ebrei.
    Sono intervenute le associazioni di varie città: Trieste, Gorizia, Bologna, Roma, Genova, Verona, Varese, Brescia ecc., e alcune persone della Comunità ebraica di Roma. Erano presenti anche alcuni sopravvissuti dei campi di sterminio.
    Il Presidente della Federazione Associazioni Italia-Israele:
    "C'è stata un'atmosfera allegra, di festa, serena, senza polemiche o striscioni aggressivi. Si era detto che doveva essere "pro e non contro" e così è stata. C'erano tanti bambini delle scuole ebraiche che erano allegrissimi e felici di avere finalmente la possibilità di dimostrare il loro entusiasmo per Israele. I milanesi che passeggiavano al sole domenicale hanno veduto centinaia e centinaia di persone sventolare le bandiere israeliane, con qualche vessillo italiano, e avranno notato la compostezza, la serenità e l'allegria che caratterizzava l'assemblea, e spero che tutto ciò li abbia fatti riflettere almeno un po'..."



NESSUN MASSACRO A JENIN


Da un editoriale di Ha'aretz

    L'accusa che nel campo profughi di Jenin vi sia stato un "massacro" e' stata rilanciata da molti mass-media in tutto il mondo, da organizzazioni per i diritti umani e anche da alcuni governi. Questa accusa, inizialmente avanzata nel momento dei combattimenti piu' duri nel campo profughi, e' riecheggiata con tutta la sua gravita' danneggiando seriamente la campagna intrapresa da Israele per difendersi dal terrorismo e mettendo in dubbio la legittimita' dei mezzi usati in questa campagna. Anche in Israele da piu' parti si e' sospettato che ci fosse del vero nelle accuse palestinesi. Molti hanno temuto che Jenin potesse andare ad aggiungersi alla lista nera dei massacri in varie parti del mondo che hanno scioccato l'opinione pubblica internazionale. Le stesse Forze di Difesa israeliane hanno contribuito a questi timori quando hanno diffuso una prima stima dei morti nel campo nell'ordine delle centinaia (successivamente e' emerso che i morti sono alcune decine, anche se ancora non si sa il numero esatto) e quando hanno impedito per alcuni giorni ai giornalisti di entrare nel campo. Una scelta che ha fatto nascere una seconda accusa, di nuovo ampiamente circolata, circa un tentativo di occultamento della verita'.
    Nei giorni scorsi i giornalisti - compresi quelli di Ha'aretz - hanno visitato il campo, facendosi un'idea di prima mano e raccogliendo testimonianze oculari sulle operazioni svolte dalle Forze di Difesa israeliane. Il corrispondente di Ha'aretz Amira Hass [nota in Israele e all'estero come una delle giornaliste piu' critiche e severe nei confronti del governo e delle forze armate israeliane] ha trascorso diversi giorni nel campo e la sua corrispondenza e' pubblicata sul numero di venerdi' di Ha'aretz. Da essa emerge che vi sono i segni di intensi combattimenti ma che, con le dovute cautele, si puo' già affermare che cosa non e' accaduto nel campo profughi di Jenin. Non vi e' stato alcun massacro. Non e' stato dato nessun ordine dall'alto, ne' e' stata attuata alcuna iniziativa a livello locale nel senso di uccidere deliberatamente e sistematicamente gente disarmata.
    In Israele anno 2002 e' praticamente impossibile occultare delle atrocita'. Le testimonianze di comandanti e combattenti a Jenin, molti dei quali erano civili riservisti richiamati appositamente per l'operazione, cosi' come le testimonianze di coloro che in vario modo hanno assistito agli eventi smentiscono l'accusa di un massacro.
    I combattimenti sono stati molti duri, come ci si poteva attendere in una zona densamente edificata, soprattutto in confronto ai rapidi successi delle forze israeliane in altre zone, particolarmente nella casbah di Nablus. Miliziani palestinesi armati hanno sparato, minato e fatto esplodere case e vicoli. I soldati, che hanno incontrato molte difficolta' nella loro avanzata, hanno usato bulldozer e hanno subito pesanti perdite: sono rimasti uccisi 23 soldati.
    In queste circostanze, sono stati colpiti anche dei civili. E' un fatto terribile e doloroso, dovuto al tipo di combattimenti che si sono svolti. In alcuni casi particolari bisognerebbe indagare per capire se e' stato fatto effettivamente tutto il possibile per evitare vittime fra i civili. Ma definire un "massacro" i combattimenti a Jenin e' un errore se viene detto da ingenui non informati, una calunnia se viene detto da altri.
    I propagandisti palestinesi hanno fatto un uso perfido di leggende che, in parte, sono state inventate al di fuori di Jenin. In testa a tutti, quei rappresentanti dell'Autorita' Palestinese che hanno fatto circolare l'accusa infondata di "esecuzioni sommarie", attizzando ulteriormente l'odio contro Israele.
    La prontezza con cui soggetti internazionali, compresi i capi dell'Unione Europea, hanno fatto propria la versione palestinese senza porsi il minimo dubbio dice molto sulla loro indole, sulla fragile posizione in cui si trova Israele e sull'immagine negativa di cui soffrono questo paese e il suo primo ministro.

(Ha'aretz, 20.04.02)



A SENSO UNICO


    Nei giorni scorsi i palestinesi hanno passato per le armi, senza uno straccio di processo, dieci concittadini accusati di aver aiutato Israele a stanare i terroristi.
    Qualcuno in Europa se n'è stupìto, offeso, arrabbiato?
    Una settimana prima, la polizia di La Mecca aveva lasciato arrostire in aula dodici studentesse perché per sfuggire all'incendio della loro scuola avrebbero dovuto uscire in strada a volto scoperto.
    Eppure nessuna femminista si è inumidita il fondotinta, nessun Agnoletto ha marciato, nessun Moretti ha giocato al girotondo intorno all'ambasciata d'Arabia.  
    Ieri un giornalista iraniano che aveva criticato un prete locale, oltre alla chiusura della rivista, si è visto rifilare 74 frustate in pubblico.
    Niente sdegni e girotondi neanche stavolta. Anzi, qualcuno avrà pensato con rimpianto che Emilio Fede non è musulmano.
    Così come nessuna anima bella farà cortei, comizi, film, canzoni o editoriali infuocati per esprimere orrore riguardo ai fatti di Qom, dove un uomo che aveva ucciso per legittima difesa è stato impiccato in piazza dai familiari della vittima.
    Ma mica subito: dopo mezz'ora di consultazioni, grottesche e vane, per convincere i parenti a rinunciare alla legge del taglione.
    Oriana Fallaci si esprimerà pure con troppa enfasi guerriera, però quand'è che smetteremo di far finta di non vedere certi comportamenti disumani, solo perché vengono dai nemici di ebrei e americani, cioè di coloro che molti europei considerano essere i nostri odiati padroni?
   
Massimo Gramellini

(La Stampa, 18 aprile 2002)



SHARON INTERROGATO


Il Primo Ministro Sharon è stato interrogato ieri per quasi sette ore dalla polizia a causa delle illegali offerte di denaro che avrebbe ricevuto come capo del Likud durante la campagna elettorale del 1999. Sharon ha dato chiare risposte a tutte le domande dei funzionari di polizia. Ha negato tuttavia qualsiasi tipo di collegamento con le controfigure che potrebbero aver gestito fondi provenienti dall'estero per la sua campagna.

(Stimme aus Jerusalem, 23.04.02)


NOTA: Chissà se esiste qualcosa di simile nell'amministrazione dell'Autorità Palestinese. Sarebbe interessante sapere se è mai accaduto che qualche funzionario dell'Autonomia abbia indagato sul conto di Arafat per verificare se nel passato ha accettato e gestito illegalmente qualche offerta di denaro proveniente dall'estero. E nel caso  questo fosse avvenuto, sarebbe interessante sapere se il funzionario è ancora in vita.



DOLCE ODIO ISLAMICO E TANTA COMPRENSIONE CATTOLICA

   
«Il mio Mouhammad martire della jihad»

di Chiara Prato

dal settimanale "Famiglia Cristiana"
   
    Dice di chiamarsi Um Hamad, ma non è il suo vero nome. È la madre di Mouhammad Farhat, un ragazzo di 19 anni che lo scorso 7 marzo è partito dalla sua casa, una baracca a Gaza, con in fronte la fascia verde della jihad (guerra santa) islamica e al collo il fucile. È arrivato nell'insediamento ebraico di Atzmona, a nord di Tel Aviv, e ha aperto il fuoco sui coloni ebrei.
    Ne ha uccisi cinque e feriti oltre trenta, prima di essere a sua volta ucciso.
    Mouhammad è uno dei martiri di Allah.
    Un kamikaze che ha deciso di sacrificare la propria vita per la libertà della sua gente. E la madre racconta di essere pronta a sacrificare gli altri cinque figli in nome del loro Dio e per la liberazione della loro terra: «Mouhammad è stato educato alla resistenza e alla jihad per Allah. Questo fa parte del nostro credo e io non potevo impedirglielo, se l'avessi fatto sarebbe stato un peccato nei confronti del nostro Dio. Un vero musulmano deve rispettare tutte le raccomandazioni, e la jihad è una di queste».
    Fiera e orgogliosa, Um Hamad racconta le ore prima che suo figlio lasciasse per sempre la sua famiglia per immolarsi alla causa palestinese.
    Non versa una lacrima mentre mostra con orgoglio le foto del figlio, vestito con la tuta mimetica e ornato del fucile con il quale ha compiuto il suo "dovere" di musulmano. «Non posso certo ignorare i miei sentimenti», racconta, «ma ci sono delle circostanze in cui si devono mettere da parte, per liberare la nostra terra e per santificarla. Sento un inferno dentro, ma nello stesso tempo mio figlio mi ha resa orgogliosa per quello che ha fatto. Con il suo martirio si è guadagnato il paradiso».
    Perché tanti giovani decidono di andare a morire? La risposta è nelle stradine di ogni campo profughi palestinese, di Gaza o di Ramallah. Sono la povertà, l'indigenza, l'ignoranza che, mescolate all'integralismo, danno vita al terrorismo islamico.
    Da oltre cinquant'anni qui si combatte una guerra efferata tra due

prosegue ->
popoli che non riescono a condividere una terra.
    Per i palestinesi, gli israeliani rappresentano l'usurpatore, che ha strappato la terra nella quale i loro padri sono nati e cresciuti; per gli israeliani questa terra spetta loro e i palestinesi sono selvaggi. Um Hamad ha educato i suoi figli e ha insegnato loro che morire per la libertà della Palestina è cosa buona e giusta.
    Ora le restano altri cinque figli, il più grande ha 17 anni, la più piccola 7. Tutti loro conoscono la fine del loro fratello Mouhammad, lo stimano e sono pronti a imitarlo.
    Mouhammad è un eroe e la sua famiglia aspetta di ricevere un premio in denaro. Saddam Hussein ha promesso di pagare 15 mila dollari per ogni ragazzo che muore urlando Allah-u-Akbar. Ma per quanto siano disperate le condizioni di vita degli abitanti della Striscia di Gaza e della Cisgiordania, non è per soldi che i giovani kamikaze vanno a morire. Lo fanno, con il supporto della comunità, per guadagnarsi il paradiso. «Tutto questo», dice Um Hamad, «è il risultato di un'enorme sofferenza e di umiliazioni continue. Non siamo felici di uccidere, non siamo terroristi, vogliamo i nostri diritti, vogliamo la pace, vogliamo vivere senza altre sofferenze. Non è possibile una soluzione politica, quello che è stato preso con la forza va riconquistato con la forza. Questo nemico non conosce altra lingua».



QUELLO CHE GLI EUROPEI NON VOGLIONO CAPIRE


Speranze tradite

di Shimon Stein, Ambasciatore di Israele a Berlino

    Israele si trova oggi in una difficile battaglia contro il terrorismo. Non c'è al mondo un altro Stato che si trova in una situazione come questa. Più di 420 israeliani, più civili che soldati, sono caduti dall'inizio dell'intifada palestinese. Questa ondata di terrore non fa distinzione tra uomini, donne e bambini. Soltanto nel mese di marzo sono stati uccisi dagli
 
   
   Shimon Stein
attentati terroristici 126 israeliani, tra cui 25 donne e 6 bambini sotto i 18 anni.
    Nel massacro di Pessach nell'Hotel Netanya sono stati uccisi 27 civili, tra cui 4 coppie che insieme con le loro famiglie volevano festeggiare l'inizio della festa. Sarah Widar, una dei sopravvissuti a questo massacro, ha perso suo marito, sua figlia e suo genero. La settimana scorsa ha fatto sapere che donerà gli organi di suo marito per la salvezza di una madre palestinese di Scho'afat, vicino a Gerusalemme Est - un gesto umano altamente significativo.
    Undici giovani che erano entrati nel bar "Moment" in Gerusalemme non sono tornati a casa. In un ristorante di Haifa 16 civili sono stati uccisi mentre pranzavano. Tra le vittime dell'attentato ci sono due padri con i loro due figli. Tra le vittime dell'attentato al King-George in Gerusalemme c'era anche una giovane coppietta che si era trattenuta un momento davanti a un panificio ed è rimasta uccisa. Una donna incinta ha perso le sue due gemelle.
    Dopo che l'esercito israeliano si era ritirato da Kalkilya e Tulkarem, è stato subito compiuto uno spaventoso attentato. E non si sa ancora a nome di chi è stato compiuto.
    Questa è la vera, orrenda faccia del terrorismo palestinese. Queste immagini spaventose non sono entrate in ogni casa in Europa, perché non c'è una vera disponibilità a mostrare al mondo questa macabra faccia. Il terrorismo viene discusso, scusato, ma molto blandamente combattuto, e in ogni caso soltanto quando è lontano dal conflitto israeliano-palestinese. Le vittime israeliane sono senza nome, senza volto e senza età. Giorno dopo giorno abbiamo seppellito i nostri morti, e non abbiamo visto nello stesso tempo delle dimostrazioni contro il terrorismo in Europa.
    Non abbiamo letto nei giornali nessuna lettera di politici diretta al Premio Nobel Arafat, che lo indichi come responsabile del bagno di sangue. Ci sono stati invece alcuni tedeschi che hanno pensato di dover manifestare la loro solidarietà ad Arafat nella "Marcia della pace di Pasqua". Crediamo che i concetti "Arafat" e "pace siano inconciliabili come fuoco e acqua.
    Mentre Israele conduce una legittima lotta contro il terrorismo, sentiamo voci che condannano Israele, ma pretendono di giustificare la lotta contro il terrorismo in Afghanistan, nei Balcani o da qualsiasi altra parte.
    Gli assassini di Hamas, della Jihad islamica, di Tanzim e delle Brigate al-Aksa, che hanno sulla coscienza centinaia di civili e si nascondono nella casba di Nablus e nei campi profughi di Jenin, sono davvero intoccabili? Bisogna lasciarli uccidere? Che cosa farebbero altri governi se i loro cittadini fossero ogni giorno uccisi a dozzine da terroristi? I bambini in Europa possono andare a scuola senza paura. I giovani in Europa non devono aver paura quando alla sera vanno in discoteca. I genitori israeliani oggi ci pensano tre volte, prima di arrischiarsi ad andare al supermercato a comprare il latte o a lasciar uscire i loro figli. Tolleranza zero contro il terrorismo.
    Il terrorismo suicida non conosce limiti. Se Israele non riesce a frenarlo, lascerà altre tracce sanguinose, anche davanti alla vostra porta di casa. Frustrazione, cosiddetta occupazione e personale indigenza non possono essere usati come pretesto per ottenere comprensione verso questi atti barbarici. Questo, per quanto riguarda la ricerca di motivi.
    I documenti che Israele ha scoperto a Ramallah e in altri posti hanno confermato quello che comunque ogni israeliano già sapeva da molto tempo: Arafat è personalmente coinvolto nelle attività terroristiche. Non solo ha incitato con la sua voce alla violenza nelle trasmissioni televisive palestinesi; non solo ha invitato a "marciare a milioni come martiri verso Gerusalemme" e lui stesso ha chiesto: "Allah, fammi diventare martire!" Arafat ha finanziato gli attacchi con bombe e gli attentati terroristici suicidi con il budget dell'Autorità Palestinese, che è finanziata anche da donatori esterni. Quindi donne e bambini saltano in aria e Arafat paga le spese. "Ogni settimana dobbiamo garantire nove bombe, 500 schekel di carica esplosiva", così suona la richiesta delle Brigate Al-Aksa ad Arafat. Fanno saltare in aria donne e bambine nei bar, nelle feste Bat-Mitzwa o alle fermate degli autobus. E il premio Nobel per la pace sottoscrive: "Con preghiera di concessione dei costi finanziari per Raid Carmi e Mahmud Daas".
    Questi sono ripugnanti assassini e membri dall' organizzazione Tanzim che Arafat sostiene. Noi abbiamo pubblicato questi documenti, ma non tutti sono interessati a questo materiale di prova. "Per favore, con ci infastidite con i fatti", ci dicono molti europei, "altrimenti dobbiamo davvero far cadere Arafat".
    Non è l'"occupazione israeliana" che genera il terrorismo palestinese. Il terrorismo è una pianta originaria dei palestinesi e degli Stati arabi fin dalla fondazione dello Stato di Israele nel 1948. Molti non vogliono rendersi conto che il vero motivo della violenza e del terrorismo sta nel rifiuto palestinese e di gran parte degli Stati arabi di riconoscere il diritto all'esistenza dello Stato ebraico in Medio Oriente. Se Arafat avesse voluto, già 20 mesi fa avrebbe potuto annunciare la fondazione di uno Stato palestinese in Cisgiordania e risparmiare la vita di più di 1400 persone.
    Ma Arafat non è un uomo di pace, di compromesso e di visione storica. Al contrario, ha silurato le proposte di pace di Camp David per impedire che sia attuato il piano Mitchell e Tenet. Fino ad oggi si rifiuta ostinatamente di ordinare il definitivo cessate il fuoco. Anche di questo gli europei non vogliono rendersi conto.
    La lotta di Israele non è contro il popolo palestinese, ma contro il terrorismo, il quale si cerca le sue vittime a New York e non arretrerà davanti ad altri posti, se non gli sarà posto urgentemente un freno. La vera vittima della cultura della morte è il popolo palestinese, che vive in povertà sotto un'autocrazia assassina che impicca i collaboratori sulle pubbliche piazze di Betlemme e lascia accoltellare i loro corpi morti per le strade [potrebbero essere mostrate le foto, ma si preferisce non farlo, ndr]
    "Arafat ha perso diverse occasioni politiche e ha ingannato gli uomini nelle loro speranze, invece di essere la loro guida politica", ha dichiarato il Presidente Bush qualche giorno fa. Negli ultimi otto anni che sono passati dalla stretta di mano con Jitzhak Rabin, e da quando  si è impegnato a far cessare il terrorismo, Arafat avrebbe potuto educare il suo popolo alla pace con Israele. Invece ha allevato una generazione di bambini che sono pronti a porre fine alla loro vita come martiri.
    E' una spaventosa cultura della morte che rappresenta una sfida morale e militare per il mondo civile. Il mondo giudeo-cristiano sostiene inequivocabilmente il diritto alla vita. Arafat ha formato con le sue proprie mani una società le cui personalità culturali non sono pensatori, scienziati o musicisti, ma giovani che sognano si saltare in aria nei centri commerciali israeliani.

(Israelnetz Nachrichten)



IL PROBLEMA PALESTINESE FA DIMENTICARE ALTRE GUERRE



    "Il problema palestinese sta fagocitando l'attenzione del mondo distogliendola dai milioni di vittime delle guerre dimenticate", l'attivismo dei pacifisti che sono andati a Ramallah "è a senso unico", i mezzi di informazione, e in particolare la televisione, "si dilungano in reportage sulle vittime palestinesi e ignorano quelle israeliane".
    Il filosofo Bernard-Henri Levy lancia una dura requisitoria contro la "parzialità" con cui è oggi trattato il conflitto israelo-palestinese, e afferma che gli attentati contro le sinagoghe in Francia sono manifestazioni "di vero antisemitismo".
    Nemico dichiarato di Yasser Arafat, denuncia in un'intervista a 'Le Figaro', "la terrificante frivolezza con cui gli antimondialisti scoprono la causa di Arafat". Se la prende in particolare con lo scrittore José Saramago, e con il leader dei no global francesi José Bove, reduce da Ramallah, si chiede "perché, se tutto ciò è dettato davvero dalla generosità, non ci parlano mai del milione e mezzo di morti afghani, dei due milioni di cristiani sudanesi massacrati dagli integralisti musulmani di Khartoum, degli africani in agonia, cioè dei milioni di vittime delle guerre dimenticate".
    "Vorrei che Bové venisse con me in quelle terre di dolore assoluto come il Burundi o i Monti Nuba, che Saramago leggesse il suo concittadino Lobo Antunes che racconta come nessun altro l'orrore della folle guerra d'Angola", dice Levy, di recente rientrato da una missione governativa in Afghanistan.
    "Anche io voglio che siano riconosciuti i diritti legittimi del popolo palestinese, ma non a questo prezzo. È una Francia folle, quella che oggi hitlerizza Sharon, sharonizza Israele, definisce i soldati di Tsahal eredi della Wehrmacht, ci dice che gli attentati contro le sinagoghe in Francia non sono che scontri tra comunità, e che quando verrà il momento, come è sua abitudine, lascerà cadere anche i palestinesi, una volta che non le serviranno più".
    "Perché quei giornalisti che sembrano sconvolti per la sorte di un palestinese vittima di una 'bavure' (errore, svista) di Tsahal, non sembrano assolutamente commossi da quella di israeliani vittime di attentati suicidi?", si chiede il filosofo, "Perché non ci mostrano mai le immagini dei sopravvissuti dell'attentato di Netanya?".
    "Vorrei che gli amici di José Bové si ponessero una sola domanda: come spiegano che l'emozione sia così viva, così immediata, quando è Israele in posizione d'accusa? E perché io stesso, e tanti altri come Medecins sans frontieres, non riusciamo a risvegliare le coscienze quando si tratta, non di 2.000 morti palestinesi e israeliani, ma di milioni di vittime ignorate?". La risposta è chiara, secondo il filosofo: "c'è un carburante segreto che alimenta l'indignazione antiisraeliana, e sono i resti mal digeriti di vecchi, vecchissimi pregiudizi".
    "Per effetto di una polarizzazione mostruosa, afferma il filosofo, i molteplici volti dell'umanità che soffre sono oggi ridotti ai soli palestinesi".

(Gruppo Rimon, 22.04.02)



INDIRIZZI INTERNET


Documenti in arabo e in inglese con la firma di Arafat
che dimostrano che è lui il mandante dei terroristi palestinesi.

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