Notizie su Israele 108 - 1 luglio 2002


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«Quando tutte queste cose che io ho messe davanti a te, la benedizione e la maledizione, si saranno realizzate per te e tu le ricorderai nel tuo cuore dovunque il Signore, il tuo Dio, ti avrà sospinto in mezzo alle nazioni e ti convertirai al Signore tuo Dio, e ubbidirai alla sua voce, tu e i tuoi figli, con tutto il tuo cuore e con tutta l'anima tua, secondo tutto ciò che oggi io ti comando, il Signore, il tuo Dio, farà ritornare i tuoi dalla schiavitù, avrà pietà di te e ti raccoglierà di nuovo fra tutti i popoli, fra i quali il Signore, il tuo Dio, ti avrà disperso.

(Deuteronomio, 30:1-3)


"LA PALESTINA E' UNA FONDAZIONE ISLAMICA"


Irrinunciabile il diritto al ritorno dei palestinesi

di Johannes Gerloff

    
Il Gran Muftì di Gerusalemme

GERUSALEMME  - «Il diritto di ritorno dei palestinesi non è trattabile». Senza compromessi sottolinea l'autorità suprema di tutti i musulmani in Israele e dell'Autorità palestinese, lo sceicco Ekrima Sa'id Sabri, la propria posizione sulla questione dei profughi. Milioni di musulmani considerano un'autorità spirituale decisiva il gran muftì di Gerusalemme e della Terra Santa, scelto da Arafat, che sta all'interno dell'Anp nelle condizioni di un ministro.
    Il dr. Sabri fonda la propria affermazione sul diritto islamico della sharìa: «Diritto è ciò che stabiliscono il Sacro Corano e le tradizioni dei profeti». Egli rimanda a un'altra disposizione, in conseguenza della quale il diritto al ritorno è un dovere, «cui non può rinunciare un profugo né nessun altro». «Nessuno ha il diritto di accettare risarcimenti per la proprietà o la terra, poiché questo sarebbe come una vendita» dice il rappresentante del Comitato superiore islamico il 21 giugno nella sua predica del venerdì davanti a migliaia di credenti. «Come tutti sappiamo, la vendita di terra a un non musulmano non è ammessa dalla sharìa».
    La predica viene trasmessa a mezzogiorno dalla radio ufficiale dell'Anp (Voce della Palestina), direttamente dalla moschea Al Aqsa a Gerusalemme, in tutto il territorio. Sabri rimarca che i figli ereditano lo status di profugo dai padri, secondo la sharìa. Perciò muoiono i profughi, che sono diventati senza patria nella guerra di liberazione di Israele nel 1948, però «ci sono oggi dentro e fuori i confini della Palestina più di 5 milioni e mezzo di profughi. Sono eredi riconosciuti». Anche loro non possono rinunciare al dovere di tornare, secondo il diritto islamico.
    «Sono in corso complotti, che mirano a portare a termine la questione palestinese, da parte del mondo». Lo sceicco Ekrima Sabri si riferisce alle riflessioni nei giri diplomatici per scambiare un ritorno israeliano ai confini prima del conflitto del 1967 con la rinuncia da parte palestinese al "diritto di ritorno". Il "diritto di ritorno" prevede un ritorno di palestinesi esiliati da tutto il mondo, non solo nei territori dell'Anp, ma anche diventando cittadini dello Stato d'Israele. Dal punto di vista dello Stato ebraico, ciò porterebbe a un suicidio politico.
    «O musulmani – si rivolge il più importante predicatore della "Palestina" ai suoi fratelli di fede in tutto il mondo – dobbiamo ribadire che la terra di Palestina è una fondazione islamica e che un profugo che non vuole o non può tornare, non ha diritto ad alcuna compensazione per la sua casa o la sua terra. La sua proprietà appartiene a tutti i musulmani. Perciò non c'è alcuna soluzione al problema dei profughi, al di fuori del ritorno nelle loro case e nelle loro terre».

(Hamburger Abendblatt, 28.06.02, trad. Marilena Lualdi)



5,1 MILIONI DI DOLLARI PER LA PALESTINA?


    Al-Watan ha ricevuto da una propria fonte, presso la filiale del Cairo di una banca araba, i documenti che provano come Yasser Arafat abbia depositato a proprio nome 5,1 milioni di dollari su un conto privato […]. Stando ai documenti, questi fondi sono stati depositati per coprire alcune delle spese personali del Presidente, come il mantenimento della moglie Suha e della figlia a Parigi e in Svizzera. Al corrente di questa operazione sarebbero soltanto Ramzi Khouri e l'originario dell'Iraq Muhammad Rashid, uno dei consiglieri più stretti di Arafat. Le fonti aggiungono che Rashid ha acquistato, su istruzioni di Arafat, il 14% delle azioni dell'Azienda cementifera giordana per conto dell'Azienda dei servizi commerciali palestinese, con fondi ricevuti dagli Stati del Golfo arabo (…) I fondi stanziati all'Autorità palestinese dal Kuwait e da altri Stati del Golfo arabo erano destinati al Comitato per la ricostruzione dei villaggi di Hebron, e dovevano essere distribuiti fra i residenti delle abitazioni distrutte dai bulldozer israeliani durante l'intifada, ai quali però non sono stati mai versati.

(dal quotidiano kuwaitiano Al-Watan , 7 giugno 2002)



UNA VOCE CRITICA NEL MONDO ARABO


Aiutiamo gli Arabi moderni a vincere la loro guerra d'idee

di Thomas L. Friedman
    
Quelle persone portatrici d'idee che l'11 Settembre hanno ispirato i dirottamenti degli aeri, sono leaders religiosi, pseudo-intellettuali, esperti e educatori, e si trovano principalmente in Egitto e in Arabia Saudita. Ma queste società non sono monolitiche.
    In questi luoghi vive molta gente comune e molti rappresentanti ufficiali desiderosi di vedere i loro leaders e le loro autorità religiose premere per l'insegnamento della tolleranza, della modernizzazione dell'Islam e della fine dei finanziamenti a quei personaggi che invece non desiderano tutto ciò.
    Al rientro da un mio recente soggiorno nell'Arabia Saudita, una giovane donna saudita mi ha mandato una posta elettronica (firmata con il suo nome):
"In quanto donna saudita moderata desidero ringraziarla per i suoi sforzi nell'esporre ciò che avviene in Arabia Saudita. Nelle nostre scuole insegnano l'intolleranza religiosa, la maggior parte delle nostre moschee predicano l'odio contro il non-musulmano, i nostri media sono controllati esclusivamente dal governo e dalle autorità religiose. Le nostre idee moderate non hanno sbocchi né luoghi dove possono essere rappresentate… Mr. Friedman noi abbiamo bisogno d'aiuto. "
    L'8 maggio, il quotidiano arabo, Al Sharq al Awsat, ha pubblicato un saggio scritto da un anonimo diplomatico arabo, il quale domanda: Che cosa sarebbe successo se dal 1948 in poi, i paesi arabi avessero svolto la loro attenzione sugli sforzi per uno sviluppo interno delle loro rispettive società, e non avessero invece fatto della causa palestinese la loro principale preoccupazione? Che cosa succederebbe oggi se ogni paese arabo focalizzasse l'attenzione sull'educazione dei propri cittadini, lavorando per migliorare la loro salute fisica ed emotiva, e per l'innalzamento del generale livello culturale? Sono sbalordito dai nostri capi religiosi che urlando a gran voce, inneggiano alla Jihad contro Israele, e si sfidano in una gara per proclamare regole religiose [in sostegno] del suicidio. Eppure non spronano i loro cittadini ad una Jihad spirituale per la costruzione e lo sviluppo del proprio paese.
    In breve, l'America e l'Occidente hanno dei potenziali partners in questi paesi; partners ansiosi di ricevere il nostro sostegno per aiutarli nel spostare la lotta verso la sua vera direzione: una guerra interna all'Islam per un suo messaggio spirituale e per la sua identità, non una guerra contro l'Islam.
    In realtà questa guerra all'interno dell'Islam non è una guerra religiosa. E' una guerra fra il futuro e il passato. Fra lo sviluppo e il sottosviluppo. Fra gli autori di folli cospirazioni teoriche e fra chi persegue la razionalità. Fra i sostenitori degli attentati suicidi e fra chi sa bene che le società non si costruiscono dalle ceneri dei cimiteri.
    Solo gli arabi e i musulmani possono vincere questa guerra interna, ma noi possiamo apertamente incoraggiare i moderati.
    L'unico leader occidentale ad avere coraggiosamente colto questa sfida è stato Pim Fortuyn, assassinato il 6 maggio per altri motivi. Fortuyn sosteneva che l'Islam non avesse ancora attraversato l'età dell'Illuminismo né della Riforma, periodi storici quando in Occidente si verificò la separazione fra Stato e Chiesa, spianando la strada verso l'era moderna, la democrazia e la tolleranza.
    Zacarias Moussaoui, accusato numero 20 della banda dei dirottatori, ha dichiarato in un tribunale degli Stai Uniti, che lui "prega Allah per la distruzione degli Stati Uniti.' Questa è un'idea terribile che tanti musulmani non appoggiano. Ma finché noi non uniremo le forze con questi musulmani moderati contro quelli intenti a combattere la loro guerra d'idee, ancora molti Moussaoui verranno fuori da quei luoghi che lo hanno prodotto.

(Shalom n.5 - trad. da International Herald Tribune di Elizabeth L. Picard)



ABU MAZEN: L'INTIFADA E' FALLITA


Un nuovo pensiero si sta sviluppando nella direzione palestinese sulla lotta contro Israele degli ultimi due anni. Machmud Abbas, vice di Arafat soprannominato Abu Mazen, ha detto recentemente che l'intifada non ha portato niente alla popolazione palestinese. In un'intervista al giornale del Kuwait "Al Sman", citata il 20 giugno dal giornale giordano "Al Rai", Abu Mazen ha detto: "Che cosa può ottenere l'intifada? Ha portato l'indipendenza? sono passati venti mesi senza nessun risultato. L'Autorità Palestinese e arrivata alla fine del suo percorso, forse anche a Gaza. L'intifada può sparare, ma non può ottenere la vittoria."

(Israelisce Botschaft in Berlin, 28.06.02)



BARGHOUTI RACCOMANDAVA AD ARAFAT IL SOSTEGNO AI TERRORISTI


RAMALLAH - Secondo quello che riferisce il quotidiano "Yedioth", da documenti sequestrati a Ramallah nel quadro dell'operazione "Muraglia di difesa" viene fuori che il capo dei Tanzim Marwan Barghouti ha fatto avere soldi anche agli assassini del linciaggio di Ramallah. Anche altri assassini hanno ricevuto soldi in contanti attraverso lettere raccomandate del superterrorista .
    Il 12 ottobre 2000 Vadim Norevich e Yosef Avrahami (entrambi

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di 23 anni) sono stati linciati a Ramallah da una folla palestinese. I loro corpi martoriati sono stati trascinati per le strade con grida di trionfo.
    Come riferisce il quotidiano "Yediot Ahronot", dai documenti risulta che Marwan Barghouti ha fatto avere in pagamento dei "Bonus" ai partecipanti al linciaggio e ad altri terroristi "di successo".
    Marwan Barghouti è il capo dei Tanzim in Giudea e Samaria ed è considerato uno degli iniziatori e leader della cosiddetta "intifada". Attualmente è sottoposto a interrogatorio nelle carceri israeliane.
    "Yediot" riferisce che Barghouti ha scritto, tra l'altro, una lettera ad Arafat riguardo a un palestinese il cui figlio ha preso parte al linciaggio nell'edificio della polizia di Ramallah. Su carta intestata ufficiale di Fatah ha richiesto ad Arafat di pagare più di 6.000 euro al padre come legittima forma di assistenza.
    Da altri documenti viene fuori qual era il sistema di finanziamento agli assassini: capi locali si rivolgevano a Barghouti con "liste di raccomandazione" di attivisti terroristi contenenti la richiesta di sostegno finanziario o di un "Bonus" per "l'esecuzione di una riuscita azione contro l'altra parte". Barghouti inviava la richiesta a Arafat con la sua firma autografa e la sottolineatura della cifra.
    In un altro documento si trova un elenco di nove nomi di terroristi che hanno preso parte ad attentati terroristici. Barghouti li sosteneva con una lettera ufficiale in cui si richiedeva "di aiutarli e di facilitare l'esecuzione delle loro missioni".

(Israelische Botschaft in Berlin, 28.06.02)



PICCOLA PALESTINESE AIUTATA DA MEDICI ISRAELIANI


Da Gerusalemme parla il padre: è la prova che il bene può vincere
su tutto

di Paolo Fraschini

MILANO - La voce di Selim, chiamiamolo così, arriva dentro la cornetta da una casa di Gerusalemme Est. La sua casa. La casa di una famiglia palestinese toccata prima dalla malattia, poi dalla scienza, e finalmente dalla vita, restituita a sua figlia Sheila - ci vuole un soprannome anche per lei - dal lavoro medico congiunto di italiani e israeliani. Una rivoluzione della tecnologia genetica, quella che ha fatto di Sheila un «primo caso al mondo», e contemporaneamente una provocazione politica: la voce pacata di un palestinese che da Gerusalemme, nel primo pomeriggio di ieri, ripeteva «grazie, grazie, grazie» a quel suo medico-salvatore israeliano è il controcanto alle contestuali notizie d'agenzia sulle «condizioni gravi» in cui versa intanto un altro bimbo arabo, ultima vittima incidentale dell'esercito in risposta all'ultimo kamikaze esploso. Ma Selim no, Selim ha un'altra storia: «E la mia storia - scandisce lentamente - dice che a volte il bene può vincere. Su tutto». Non era cominciata bene, in verità. «Mia moglie ed io - racconta l'uomo - avevamo atteso il primo figlio per anni, quando nacque risultò che era malato»: una forma di immunodeficienza congenita, tanto rara quanto grave. Morì pochi giorni dopo la diagnosi. «E la seconda gravidanza - prosegue Selim - ci riservò la stessa sorpresa della prima».
    Questa volta, però, la fortuna della famiglia cominciò a girare. E all'Hadassah University Hospital di Gerusalemme, dove erano corsi nella speranza di un miracolo, Selim e sua moglie incapparono nel professor Shimon Slavin: «Ci propose una cura già allora sperimentale, e tuttavia diversa da quella provata poi su Sheila. Il problema era che, proprio in quanto sperimentale, quella cura non poteva essere rimborsata»: e Selim era solo un cuoco d'albergo a 500 dollari al mese, come dire niente, rispetto ai costi medici in ballo. «Non preoccuparti dei soldi», gli disse il professor Slavin: che contattò a Milano il direttore scientifico del San Raffaele, Claudio Bordignon, e con l'équipe di costui si mise all'opera. L'esperimento fu in effetti un «successo scientifico», ma il miglioramento del bambino fu solamente parziale. «Nel frattempo - prosegue Selim - ci arrivò un terzo figlio perfettamente sano»: le sue cellule, prelevate dal cordone ombelicale, completarono la salvezza del secondo.
    Poi nacque Sheila, due anni e mezzo fa. Anche lei, di nuovo, segnata dalla stessa malattia. E Selim torna indietro a quei giorni: «Un ulteriore trapianto, per noi, era finanziariamente insostenibile. Ricordo allora che ho reincontrato il professor Slavin. Mi disse che il San Raffaele aveva messo a punto una nuova tecnica. "Ti prometto che salveremo tua figlia, la curerò come fosse mia", mi disse. Firmai un foglio».
    Seguirono analisi, spedizioni di prelievi a Milano, trasferte dell'équipe milanese a Gerusalemme. Con corse da film, a volte: come quando Alessandro Aiuti e la sua squadra, coordinata dallo stesso Bordignon e dalla pediatra Maria Grazia Roncarolo, direttore del Telethon Institute for Gene Therapy, dovettero fiondarsi in macchina a Malpensa per recuperare una provetta in piena notte. «Fatto sta che da due anni Sheila è guarita. Guarita del tutto, ha superato come niente la varicella e tutti gli altri malanni dei bambini...», ride Selim. Peccato solo per il lavoro: il posto da cuoco lo ha perso, sta cercandone un altro.
    E ormai non è più la salute «medica» della figlia a preoccuparlo: «Se penso che l'uomo riesce a sconfiggere malattie così terribili, e al tempo stesso può capitarci di uscire in strada e morire per una bomba, mi sembra di impazzire». L'idea di un muro che divida Gerusalemme non gli piace: «Io credo in Dio, e per me i dottori israeliani sono stati angeli». Il fatto che dirlo possa procurargli noie non gli interessa: «Uno Stato o due, per me non ha importanza. Qualunque soluzione va bene, purché si riesca a vivere in pace». Ma se il muro ci fosse, da che parte starebbe? Selim risponde sicuro: «In Israele».

("Il corriere della sera", 28.06.022002, da "Informazione corretta")



ARAFAT SEMPRE PIU' ISOLATO


Arafat, sempre più isolato, chiede una forza di interposizione in Palestina

di Eric Salerno

GERUSALEMME - «Nemmeno una lacrima se eliminate Arafat». Così, secondo il quotidiano Ma'ariv, un alto esponente del governo americano avrebbe commentato l'ipotesi dell'allontanamento traumatico del leader palestinese dalla guida della sua gente. «Se lo volete deportare, fate pure». Per ora Arafat è, come altri ottocentomila palestinesi, prigioniero dell'esercito israeliano che ha imposto il coprifuoco su sette delle otto maggiori città della Cisgiordania. Ieri ha inviato al G-8 un messaggio esortando i Grandi a mandare una forza di interposizione in Palestina per aiutare a garantire un cessate-il-fuoco. Il leader è sempre più isolato anche se il ministro degli Esteri Peres si dice disposto a incontrarlo e, addirittura, sollecita Sharon a recarsi a Ramallah. «Cambierebbe il corso della storia», insiste l'anziano statista nonostante critiche e risate del premier.
    La popolazione palestinese è allo stremo, il rifornimento di prodotti alimentari va a rilento e la gente può uscire di casa soltanto poche ore al giorno per andare nei negozi. Quando lo fa con l'autorizzazione dei soldati rischia comunque. L'altro giorno c'è stato l'"errore" di un gruppo di militari che ha aperto il fuoco contro chi cercava di fare la spesa uccidendo tre bambini e ieri è accaduto un episodio simile in cui tre bambini sono rimasti feriti, uno dei quali in modo grave. Le operazioni militari proseguono un po' ovunque e ieri sera l'esercito ha dato l'assalto al quartiere generale dell'Autorità nazionale palestinese su una collina al centro di Hebron alla ricerca di quindici militanti ricercati. Il grande complesso era assediato da quattro giorni. Con due bulldozer i soldati hanno aperto un varco nella parete esterna del complesso e al calare del buio è cominciato l'attacco. I soldati hanno fatto brillare cariche esplosive all'interno dell'edificio che è rimasto in gran parte distrutto. Subito dopo i soldati israeliani sono penetrati all'interno, occupando contemporaneamente il tetto dell'edificio. Si ha l'impressione che l'esercito intenda rastrellare sistematicamente l'intera Cisgiordania rioccupata prima, forse, di compiere una serie di operazioni contro le basi di Hamas nella striscia di Gaza.
    E' il ministro della difesa Ben Eliezer, leader del partito laburista, a disporre le operazioni; ma allo stesso tempo l'uomo politico, alla vigilia del congresso del suo partito, ha tirato fuori una sua visione di pace che secondo Yasser Abed Rabbo, il pragmatico ministro dell'informazione nel governo Arafat, potrebbe servire a rilanciare il dialogo seppure soltanto tra palestinesi e laburisti. Per ora, infatti, è Sharon a condurre il gioco e le idee di Ben Eliezer, simili a quelle di Clinton e dell'ex premier Barak, sono molto distanti da quelle dell'attuale primo ministro.
    L'intelligence militare israeliana in un rapporto basato su nuovi documenti e analisi sostiene che i fondamentalisti stanno riempiendo il vuoto creato dalle operazioni militari e dalla conseguente incapacità degli uomini di Arafat di gestire la vita civile palestinese. Al momento Hamas godrebbe di appena il 18 per cento del sostegno popolare ma la percentuale è molto più alta se riferita ai giovani e continua a salire.
    

Il fondatore del movimento terroristico Hamas, sceicco Ahmed Yassin, mentre partecipa, guardato a vista da una guardia del corpo armata, a una dimostrazione palestinese a Gaza venerdì 28 giugno 2002, nonostante che domenica 23 giugno Yasser Arafat l'avesse posto agli arresti domiciliari.
«L'Autorità palestinese ruba i miei soldi, Hamas pensa al mio benessere», ripetono numerosi arabi frustrati dalla corruzione dilagante nella dirigenza laica e soddisfatta per il modo con cui i fondamentalisti hanno messo in piedi scuole, cliniche e aiuti concreti per i più poveri. Ovviamente in cambio di queste cose, Hamas è in grado di mobilitare un piccolo esercito di militanti e terroristi e potrebbe mobilitare il grande pubblico quando i palestinesi saranno chiamati a votare. La polizia di Arafat non sembra particolarmente intenta a bloccare le attività dei fondamentalisti, tanto che ieri lo sceicco Yassin, guida spirituale di Hamas, ha eluso la sorveglianza davanti alla sua abitazione dove è formalmente agli arresti domiciliari per partecipare a un comizio anti-Usa.

(Il Messaggero, 29.06.02)



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