Notizie su Israele 129 - 8 ottobre 2002


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In quel giorno il SIGNORE fece un patto con Abramo, dicendo: «Io do alla tua discendenza questo paese, dal fiume d'Egitto al gran fiume, il fiume Eufrate».
(Genesi 15.18)

Così parla il SIGNORE degli eserciti, Dio d'Israele: Direte questo ai vostri signori: Io ho fatto la terra, gli uomini e gli animali che sono sulla faccia della terra, con la mia gran potenza e con il mio braccio steso; io do la terra a chi voglio.
(Geremia 27.4-5)



ISRAELE SI PREPARA ALL'ATTACCO DELL'IRAK


Israele sta continuando i preparativi per far fronte alla possibilità di un attacco iracheno ai propri centri abitati, condotto con armi chimiche e biologiche.
    Negli ultimi giorni si sono moltiplicati i segnali di un attacco americano imminente all'Irak ed in Israele sono in aumento i preparativi, non solo per affrontare una reazione irachena a tale attacco, ma anche quelli per affrontare un eventuale attacco preventivo iracheno.
    Il 27 settembre, il Primo Ministro Ariel Sharon ha affermato che se l'Irak dovesse provocare danni o vittime ad Israele, o fare uso di armamenti non-convenzionali, "Israele intraprenderà le azioni necessarie" .
    Il 12 settembre, il sotto-segretario di Stato americano Richard Armitage ha dichiarato: "Un attacco americano all'Irak è molto probabile e di conseguenza, è chiaro a tutti che è più che possibile che l'Irak sferrerà un attacco contro Israele".
   

Batterie di missili Arrow (Freccia) e Patriot sono state sparse in tutto il paese

    Nelle ultime settimane, sono state posizionate in diversi punti del paese le batterie di missili Arrow. L'Arrow è in grado di colpire missili lanciati contro Israele da grandi distanze. Vicino alle batterie di Arrow si trovano anche quelle dei Patriot americani, postate in Israele durante la Guerra del Golfo.
    Il vice-ministro della Difesa, Weizmann Shiri, ha detto il 19 settembre al Jerusalem Post: "Il missile Arrow fornisce ad Israele un 'ombrello efficace' nel caso di un attacco missilistico. L'esercito israeliano non è mai stato preparato meglio di così e deve essere fiero del suo livello di preparazione in vista di un attacco iracheno".


Preparativi per un attacco chimico-biologico – Vaccinazione anti-vaiolosa

    Nel corso delle ultime settimane, 15.000 operatori dei servizi di soccorso e di emergenza sono stati vaccinati contro il vaiolo, per ordine del Ministro della Sanità.  Il Ministro ha annunciato che in caso di attacco imminente, tutta la popolazione israeliana sarà vaccinata nel giro di 4 giorni, compresi i turisti ed i residenti temporanei.
    Lo Stato di Israele già alcuni mesi fa è stato messo in stato di allarme "B", che fra l'altro prevede che gli ospedali siano pronti ad evacuare il 60% dei pazienti ricoverati, per essere in grado di accogliere immediatamente le persone colpite durante un attacco chimico/biologico.
    Gli ospedali hanno preparato riserve di antibiotici, che permetteranno loro di affrontare con successo gli effetti distruttivi del bacillo dell'antrace (carbonchio). In Israele è stato deciso di non contare sulla vaccinazione anti-carbonchio americana ed è stato sviluppato un vaccino israeliano.
    Gli esperti ritengono che Israele abbia una maggiore esperienza e sia quindi meglio preparato ad affrontare l'antrace.


Produzione di maschere anti-gas – 24 ore su 24

    
Addestramento all'uso della maschera antigas

Circa 600.000 maschere anti-gas in possesso della popolazione raggiungeranno entro breve la data di scadenza e non saranno quindi più adatte all'uso. Il Comando del Fronte Interno ha di recente inviato avvisi, invitando i cittadini ad equipaggiarsi con le nuove maschere. La fabbrica Shilon sta ora producendo maschere anti-gas 24 ore su 24 e nelle ultime settimane ha assunto 250 nuovi lavoratori per completare gli ordini. Contemporaneamente, il Ministero della Difesa sta considerando la possibilità di importare maschere anti-gas per un totale di 42 milioni di dollari, affinché tutti i cittadini israeliani siano equipaggiati per la metà di ottobre. "Muraglia di ferro" è la parola d'ordine in codice che l'esercito israeliano ha deciso di usare in caso di attacco iracheno, per avvertire la popolazione delle aree contaminate a scendere nei rifugi e mettere le maschere anti-gas.


Il Comando del Fronte Interno si prepara all'evacuazione di 180.000 persone

    Il Ministero degli Interni ha assegnato spazio e provviste per l'evacuazione di un massimo di 180.000 persone in caso di attacco. Zvi Bar, il sindaco di Ramat Gan, la città più colpita dai missili Scud durante la Guerra del Golfo nel 1991, ha invitato la popolazione ad abbandonare immediatamente la città, in caso di attacco iracheno.
    Nella regione di Dan (area metropolitana di Tel Aviv), il Comando del Fronte Interno, insieme alle autorità locali ed ai Comuni, sta conducendo esercitazioni, che comprendono la distribuzione di medicinali, l'evacuazione dei morti e dei feriti e la messa a punto dei rifugi. Le autorità locali ed i comuni hanno anche fatto provvista di generatori elettrici e di filtri per la purificazione dell'acqua.
    Contemporaneamente è stato messo a punto in tutto il paese un sistema di sirene di emergenza centralizzato, automatizzato e computerizzato, che avvertirà la popolazione dell'attacco imminente.


Il 37% della popolazione manca di rifugi adeguati"

    Il Ministero della Difesa ha ordinato di accelerare la costruzione di nuovi rifugi pubblici e la ristrutturazione di quelli esitenti. Si valuta che non sarà possibile completare il lavoro in pochi mesi, bensì ci vorranno alcuni anni, per un costo totale che sfiorerà i 10 milioni di dollari.
    Da un'indagine condotta da Yediot Aharonot, è risultato che circa 2 milioni di persone, rappresentanti il 37% della popolazione, mancheranno di rifugi adeguati contro bombe, missili o armi non-convenzionali.


Il 70% degli israeliani appoggia una reazione israeliana contro l'Irak

    "Il 68% degli israeliani ricorda Saddam Hussein e gli Scud lanciati per suo ordine contro Israele nel 1991, e sono certi (28%) o ritengono (40%) che anche questa volta egli non esiterà ad attaccare Israele". Ecco i risultati di un sondaggio condotto dalla dott. Mina Zemach, dell'Istituto Dahaf, la maggiore agenzia di sondaggi del paese. Secondo il sondaggio, il 70% degli israeliani appoggia senza mezzi termini una reazione militare israeliana contro l'Irak, anche nel caso che l'Irak lanciasse gli antiquati Scud. Il 60% appoggia una reazione militare in ogni caso, anche nel caso in cui l'offensiva irachena fosse limitata.
    La maggioranza degli israeliani – 58% - è contraria ad una reazione militare, in cui venisse fatto uso di armi nucleari ed il 25% sono certi che Israele non debba in nessun caso fare uso dell' "arma del Giudizio".
    Il 40% degli israeliani, tuttavia, sono pronti a fare uso dell'opzione nucleare israeliana, in risposta a un attacco biologico/chimico iracheno, che provochi una strage, anche nel caso in cui non si ponga una minaccia esistenziale allo Stato di Israele.

(Keren Hayesod, 4 ottobre 2002)



I RAGAZZI PALESTINESI VOGLIONO DIVENTARE MARTIRI!


Secondo un'inchiesta realizzata dal coordinatore dell'azione di governo nei Territori, il generale Amos Guilad, il 73% dei ragazzi palestinesi vogliono diventare shadid, cioè martiri della causa palestinese, e il 90% di questi ragazzi affermano di voler prendere parte a queste azioni armate durante l'intifada. Quest'inchiesta è stata realizzata tra 996 ragazzi palestinesi di età tra i 9 e i 17 anni. Il 45% dei ragazzi palestinesi hanno partecipato a delle manifestazioni di protesta durante l'intifada e il 59% hanno confessato di essere stati influenzati dalle immagini violente diffuse regolarmente dalla televisione palestinese (in particolare dalle immagini dei seppellimenti e delle violenze perpetrate dai soldati israeliani). Il rapporto indica che le autorità palestinesi non fanno niente per modificare questo stato d'animo. Al contrario: una verifica dei 23 nuovi manuali scolastici introdotti quest'anno nel sistema educativo palestinese permette di constatare che gli scolari palestinesi continuano ad essere educati all'odio contro Israele. Alcuni libri negano del tutto l'esistenza di Israele, altri incitano apertamente all'odio e alla vendetta contro Israele. Questi manuali scolastici continuano a negare al popolo ebreo ogni diritto sulla Palestina. Lodano il "sacrificio" degli shadid che sono morti onorevolmente per la santificazione della Terra d'Allah e della patria. Inoltre, queste opere insistono con favore sulla nozione di "jihad", la guerra santa. Il dossier dell'educazione nelle scuole palestinesi è stato sollevato dal Presidente dello Stato d'Israele, Moshe Katzav, nel corso di un ricevimento in onore dell'associazione israeliana "Guesher" (Ponte), che cerca di avvicinare i laici e i religiosi di Israele. Questa associazione ha prodotto un disco di studio sulla visione di pace del profeta Isaia: "Il ragazzo palestinese è nutrito di odio contro Israele. I palestinesi pagheranno molto caro, e per molte generazioni, il modo in cui educano i loro figli", ha dichiarato il Presidente Katzav.

(Yediot Aharonot, 04.10.02 - Fonte: Proche-Orient.info)



ATTIVITA' PER L'ALIA' DEI GIOVANI E DELLE LORO FAMIGLIE


Cento genitori provenienti dall'ex-Unione Sovietica, i cui figli studiano in Israele, nei diversi programmi educativi dell'Agenzia Ebraica, sono giunti nel paese per un viaggio di esplorazione, che permetta loro di controllarvi le possibilità di vita e di impiego per passare un certo periodo con i loro figli. Si spera che saranno riuniti al più presto con i loro figli. 
     Un gruppo di 40 genitori di militari israeliani, che si trovano nel paese senza la famiglia, sono giunti in Israele la scorsa settimana per incontrarsi con i loro figli e fare il giro del paese. Questa visita fa parte del programma Keshet dell'Agenzia Ebraica, operativo dallo scorso anno, il cui obiettivo è di permettere ai genitori dei soldati senza famiglia provenienti dall'ex-Unione Sovietica di far visita ai loro figli e di controllare possibilità di alià in Israele per loro stessi. La maggioranza dei ragazzi, i cui genitori hanno preso parte al viaggio, prestano servizio in unità di élite. Alcuni di loro non hanno visto le famiglie da diversi anni e questa visita servirà a risollevare loro il morale. Il viaggio, della durata di una settimana, ha compreso un giro turistico di Israele, durante il quale i partecipanti hanno ricevuto ampie informazioni sulle possibilità di immigrazione e di inserimento. L'apice è stato un seminario nel corso del fine-settimana, in un albergo di Tel Aviv, a cui hanno preso parte anche i figli.
     I partecipanti ai programmi dell'Agenzia Ebraica Selah (acrostico ebraico di: Studenti Prima dei Genitori) e Atid sono appena arrivati in Israele in vista del prossimo anno scolastico. Seicento cinquanta

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giovani provenienti dall'ex-Unione Sovietica, prenderanno parte quest'anno al progetto Selah, mentre altri 140 provenienti dall'Argentina studieranno nell'ambito del progetto Atid. Tali programmi preparano gli studenti in possesso di maturità agli studi accademici in Israele. Il programma Selah per gli studenti dell'ex-Unione Sovietica è già arrivato al settimo anno, e fino ad oggi, la grande maggioranza dei suoi 6.300 studenti è stata accettata nelle università e negli istituti tecnologici superiori. Circa la metà degli studenti usciti da tale programma presta servizio militare nell'esercito israeliano, per lo più in unità combattenti. I programmi Selah e Atid sono diventati sinonimo di integrazione riuscita in Israele.
     Cinquemila ragazzi in totale hanno preso parte a 66 campeggi estivi, organizzati in tutto Israele dall'Agenzia Ebraica e finanziati dal Keren Hayesod e dallo UJC, al fine di impedire agli adoloscenti di passare il proprio tempo per le strade – per ragioni di sicurezza. I campeggi hanno offerto workshops di carattere culturale, attività sportive e di divertimento. Molti dei programmi erano intesi a integrare diversi gruppi di popolazione: nuovi immigranti ed israeliani di nascita, adolescenti a rischio con ragazzi "normali", ragazzi di strati socio-economici diversi e giovani non-udenti con giovani udenti.
     Un ulpan estivo per giovani adulti provenienti dall'ex-Unione Sovietica è iniziato la scorsa settimana nel Villaggio della Gioventù Ibim, nel Negev. Cinquanta giovani, di età compresa fra i 17 ed i 26 anni, sono giunti per un corso di 5 settimane organizzato dall'Agenzia Ebraica, che, oltre agli studi di lingua ebraica, comprendeva seminari speciali e visite ai luoghi di importanza storica e nazionale in Israele.
     Decine di campeggi invernali per adolescenti ebrei fra i 13 ed i 17 anni stanno avendo luogo in Brasile, Argentina, Cile ed Uruguay. I campeggi, della durata compresa fra i tre giorni ed una settimana, sono diretti dall'Agenzia Ebraica in collaborazione con i movimenti sionistici giovanili e con le organizzazioni ed i movimenti giovanili locali.  I consulenti sono diplomati dell' Istituto per i Giovani Leader dall'Estero della Agenzia Ebraica o inviati da Israele nel campo dell'educazione.
     Oltre 10.000 ragazzi in tutta l'ex-Unione Sovietica hanno partecipato ai campeggi estivi per giovani di tutte le età, dalla scuola elementare all'università, organizzati dell'Agenzia Ebraica. I programmi dei campeggi, svoltisi all'insegna dello slogan "Davka Israel, Davka Achshav" (Proprio Israele e proprio ora), sono stati per molti di loro il primo contatto con l'Ebraismo ed Israele.

(Keren Hayesod, settembre 2002)



RILEGITTIMANDO ARAFAT, LA UE OSTACOLA LE RIFORME PALESTINESI


Il ministro della difesa israeliano Benjmain Ben-Eliezer ha spiegato al capo della politica estera e di sicurezza dell'Unione Europea Javier Solana che gli incontri fra rappresentanti ufficiali europei e Yasser Arafat non fanno che ostacolare il processo di riforme all'interno dell'Autorita' Palestinese. Gli europei dovrebbero piuttosto insistere con Arafat affinche' si impegni sul serio nella lotta contro il terrorismo.
    Secondo Ben-Eliezer, dopo la fine dell'assedio al quartier generale di Arafat a Ramallah (dove ancora si nascondono alcune decine di palestinesi ricercati per terrorismo), nella dirigenza e nella societa' palestinese si e' avviata una importante riflessione sull'errore politico e strategico commesso due anni fa, quando i palestinesi abbandonarono il negoziato e optarono per la lotta violenta contro Israele. Tale riflessione potrebbe sfociare nella presa di coscienza che violenza e terrorismo hanno solo portato al disastro la societa' palestinese, e potrebbe aprire la strada a un genuino ritorno dei palestinesi al tavolo delle trattative. Tuttavia, spiega Ben-Eliezer, Arafat fa tutto cio' che e' in suo potere per ostacolare e bloccare questo processo, che comporterebbe quasi sicuramente la sua sostituzione o per lo meno un significativo ridimensionamento del suo potere sui palestinesi. Ad esempio, accampando come scusa i dieci giorni in cui e' rimasto bloccato all'interno dei sui uffici dall'assedio israeliano, Arafat sta cercando di rinviare all'infinito il cambio di governo e il piu' generale processo di riforme delle istituzioni palestinesi. Per questo, ha spiegato il ministro della difesa israeliano, gli incontri tra Unione Europea e Arafat non fanno che ostacolare il processo di riforme in campo palestinese. Un processo che tuttavia, secondo Ben-Eliezer, Arafat non potra' impedire all'infinito.

(israele.net, 06.10.02 - dalla stampa israeliana)



HAMAS VUOLE IMPIANTARE LE SUE FABBRICHE DI ESPLOSIVI IN GALILEA


Il quotidiano israeliano "Haaretz" avverte che Hamas sta tentando di creare, con la complicità di simpatizzanti arabi israeliani, delle fabbriche di esplosivi in alcuni villaggi arabi della Galilea. Fino alla rioccupazione delle grandi città dei Territori da parte dello Tsahal [esercito israeliano] nel giugno scorso, il movimento integrista disponeva di numerose fabbriche di esplosivi nella città di Nablus e nei villaggi vicino a Tul Karem. Ma rioccupando queste città, lo Tsahal ha distrutto tutte le fabbriche e oggi Hamas ha maggiori difficoltà a trovare, nei Territori, dei luoghi che gli consentano di confezionare i suoi dispositivi. Inoltre, la presenza israeliana ostacola l'attività terroristica del movimento, che per questo motivo vorrebbe orientare la sua attività verso questi villaggi della Galilea situati all'interno della linea verde!

(Proche-Orient.info, 04.10.02)



UN'OPINIONE EBRAICA SUL CROCIFISSO


di Riccardo Di Segni - Rabbino capo di Roma

Gli antichi testi rabbinici raccontano una storia su Rabban Gamliel (Gamaliele), l'autorevole rabbino che difese nel Sinedrio i primi fedeli di Gesù e di cui l'apostolo Paolo si vantava di essere stato discepolo. Gamliel frequentava le terme di Afrodite di Acco, un luogo pieno di statue dedicate agli dei; ed era molto strano che lo facesse il rappresentante tanto importante di una religione che rifiutava l'idolatria. Gamliel si giustificava in questo modo: "non sono stato io ad andare nel territorio di Afrodite, ma è stata Afrodite a venire nel mio territorio". In altri termini, bisogna distinguere tra il territorio di Afrodite, cioè il tempio che le è dedicato e nel quale chi rifiuta l'idolatria non deve entrare, e la casa di tutti, come le terme pubbliche, dove qualcuno può anche averci introdotto immagini proibite, ma non per questo diventa proibita ai frequentatori. La posizione di Gamliel era quella del rappresentante di una religione allora senza potere politico, che non poteva permettersi, anche se l'avesse voluto, l'abolizione forzata delle immagini idolatriche. Cominciarono a farlo e ci riuscirono, tre secoli dopo questa storia, i rappresentanti del cristianesimo trionfante sugli "dei falsi e bugiardi". Da allora fu il cristianesimo a riempire gli spazi pubblici dei segni della sua fede. Non fu un processo senza ostacoli, perchè anche nel cristianesimo l'uso delle immagini nella pratica religiosa fu sempre causa di discussioni e divisioni; non tanto per il cattolicesimo: e noi in Italia, dove la realtà cristiana è in gran parte cattolica, dobbiamo confrontarci con le scelte di questa parte del mondo cristiano così fedele alle sue immagini di culto.
    Per Gamliel, che era lo spettatore passivo dell'irruzione nel luogo pubblico di immagini che lo disturbavano, ma contro le quali non poteva fare nulla, si trattava di decidere se era lecito frequentare il luogo pubblico. Per la società moderna, nella quale ogni cittadino partecipa democraticamente alla decisione collettiva, il problema va oltre: si tratta di decidere se sia lecita l'introduzione di un segno privato in un luogo pubblico. La questione che oggi si pone del crocifisso nelle scuole, forse con un'enfasi esagerata, è quella dei limiti da porre al desiderio di una fondamentale componente della società a porre e imporre il segno della sua fede nella casa di tutti, nella quale coabitano tutte le altre parti della società. Non bisogna dimenticare che ogni stato moderno, per quanto laico possa dichiararsi, ha stabilito dei patti con le religioni, maggioritarie e minoritarie, derogando più o meno dal principio dell'assoluta separazione tra stato e religioni. Ciò che è avvenuto in Italia è il prodotto di una storia lunga e travagliata, e ciò che non è stato ancora definito con precisione, e che sta ai limiti delle decisioni consolidate, come il caso del crocifisso, solleva di tanto in tanto delle polemiche, banco di prova e di scontro tra almeno due concezioni diverse.
    In questo dibattito può avere qualche importanza conoscere gli stati d'animo e le domande di molti ebrei italiani. Si dice che il crocifisso sia un segno culturale, e che non bisogna rinunciare alla propria cultura e alle proprie tradizioni per un malinteso senso di rispetto delle minoranze. E' vero che il crocifisso è anche un segno culturale, ma non è per questo che lo si vuole nelle scuole; lo si vuole perchè è prima di tutto un segno religioso, e il problema è essenzialmente religioso. I cattolici rivendicano con giusto orgoglio che questo è per loro un segno di amore e di speranza, e non si capisce allora perchè non debba essere presente ovunque. Ma visto da altre parti, come quella ebraica, il senso di quel segno è differente. Per noi è prima di tutto l'immagine di un figlio del nostro popolo che viene messo a morte atrocemente; ma è anche il terribile ricordo di una religione che in nome di quel simbolo, brandito come un'arma, ha perseguitato, emarginato, umiliato il nostro ed altri popoli, cercando di imporgli quel simbolo come l'unica fede possibile e legittima. La storia passata della Chiesa ha trasformato quel simbolo, che dovrebbe essere di amore, in un segno di oppressione e intolleranza. L'ultimo Concilio ha cambiato nettamente la direzione, ma la richiesta ripetuta di occupare il luogo pubblico con quel segno ripropone alla nostra memoria il tema dell'intolleranza. La domanda che allora si pone a quella parte del mondo cattolico che si batte tanto per il crocefisso è se siano tornati, o non siano mai finiti, i tempi in cui la religione cattolica ha pensato di imporsi e diffondersi non con la testimonianza e la pratica esemplare delle sue virtù, ma con l'invasione, la forza, l'occupazione. Il problema che ci preoccupa è quale modello di religione sia dietro alle richieste dei difensori del crocifisso. Come membri minoritari di una società pluralistica continuiamo a ragionare con Gamliel, e a non rinunciare agli spazi pubblici, subendone, se inevitabile, l'occupazione con segni privati; come cittadini partecipiamo al dibattito civile per definire i limiti e i diritti di ogni religione nella società laica; come fratelli, rivolgiamo ai fratelli cattolici una domanda preoccupata sulla loro identità, sul loro modo di vivere e proporre la loro fede al mondo circostante. 

(Morasha.it, 30.09.02)



IL VICEPRESIDENTE IRACHENO PROPONE UN DUELLO TRA BUSH E SADDAM


Secondo quanto riportato dal quotidiano arabo "Al Quds Al Arabi" (Londra), il vicepresidente iracheno, Taha Yacine Ramadane, ha proposto l'organizzazione di un confronto testa-a-testa tra George W. Bush e Saddam Hussein, equipaggiati tutti e due con armi dello stesso tipo, su un terreno neutro, avendo come testimoni i vicepresidenti delle due nazioni e sotto la supervisione del Segretario Generale delle Nazioni Unite. Questo al fine di evitare la guerra e la distruzione del popolo iracheno. Ramadane ha sottolineato che "se l'obiettivo degli Stati Uniti è soltanto la direzione irachena, non hanno che da accettare il testa-a-testa. In caso contrario, Washington avrà dimostrato che è l'Iraq che vuole sottomettere".
    Questa proposta irachena - ha sottolineato il quotidiano - viene fatta dopo le dichiarazioni del portavoce della Casa Bianca, il quale ha invitato a "liquidare Saddam con una pallottola, il che sarebbe meno costoso di una guerra". Il quotidiano ricorda che "George Bush è un texano attaccato ai costumi e alle tradizioni, tra cui il porto d'armi e l'abilità di tiro.
    Con la proposta di Ramadane - che sarà emessa da Saddam - anche gli iracheni vogliono rifarsi alla tradizione dei musulmani. In tutte le guerre i comandanti dei credenti hanno organizzato dei duelli con i comandanti dei loro nemici, al fine di evitare bagni di sangue..."

(Al Quds Al Arabi, 04.10.02 - Fonte: Proche-Orient.info)


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