Notizie su Israele 139 - 20 novembre 2002


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Perciò, così parla DIO, il Signore: Ora io farò tornare Giacobbe dalla deportazione e avrò pietà di tutta la casa d'Israele, e sarò geloso del mio santo nome. Essi avranno finito di portare il loro disonore e la pena di tutte le infedeltà che hanno commesse contro di me, quando abiteranno al sicuro nel loro paese e non vi sarà più nessuno che li spaventi; quando li ricondurrò dai popoli e li raccoglierò dai paesi dei loro nemici, e mi santificherò in loro davanti a molte nazioni.

(Ezechiele 39.25-27)



L'ASSALTO PALESTINESE AL KIBBUTZ METZER


Ancora una volta, con nostro grande orrore, e' apparso evidente che il terrorismo palestinese contiene al suo interno una crudelta' cieca e senza cuore, che non si fa distogliere od inibire da alcun sentimento di umanita'.
    Nessuna causa, nessuna fede e nessuna aspirazione nazionalistica potranno mai lavare le mani del bruto che, nel cuore della notte, ha fatto irruzione nella casa di una giovane donna, e mentre lei tentava di proteggere i suoi bambini con il suo stesso corpo, le ha sparato cosi' da vicino che le pallottole hanno attraversato il suo corpo lacerato ed hanno ucciso anche i piccoli.
    L'assassino palestinese che infiltratosi nel kibbutz Metzer ha sparato a Tirza Damari, Yitzhak Dori, Revital Ohayoun ed ai i suoi due bambini Matan e Noam, sembra provenisse dall'area di Tul Karm, da una cellula particolarmente barbara per la quale persino le regole dell'ala militare di Fatah non sono abbastanza estreme. Con nostro grande orrore, questa non e' la prima volta che genitori ed i loro bambini sono macellati nella loro casa, nei loro letti.
    E con nostro grande dolore e delusione non c'e' nessuno nel campo palestinese che abbia il coraggio di prendere posizione contro questo spregevole fenomeno e contro le sue terribili conseguenze.
    In una intervista con Amira Hass membri della Brigata dei Martiri di Al Aqsa si sono vantati degli omicidi che hanno commesso ed hanno dichiarato che la morte di un combattente li colpisce molto di piu' della morte di un bambino. Questi giovani violenti ed ignoranti, che sono circondati da un'aura di terrore, hanno imposto con la forza il loro rivoltante programma all'intero popolo palestinese. I leader di Fatah, nella gara con le bande rivali - Hamas e la Jihad Islamica - per mostrare chi e' piu' sanguinario, sembrano essersi allineati alle frange piu' distorte che causano danni terribili sia al popolo palestinese nel suo insieme che alla sua leadership.
     In momenti come questi l'opinione pubblica israeliana si dimentica delle sofferenze dei palestinesi e delle implicazioni della rinnovata occupazione della Cisgiordania. In momenti come questi il governo israeliano e' spinto a decisioni estreme sostenute dall'ala dura dei militari. Attacchi come questo allontanano ogni speranza di trovare una soluzione pacifica al conflitto e rinforzano gli elementi estremi che vogliono infiammarlo.
    Ma in questo caos appare un elemento umano di sublime saggezza. Dagli abissi del dolore e del lutto si puo' sentire la voce dei membri del kibbutz Metzer che vogliono mantenere le buone relazioni esistenti con gli abitanti dei villaggi arabi israeliani vicini e continuare a stimolare amicizia e coesistenza con i palestinesi dei villaggi al di la' della Linea verde (vicino alla quale si trova il kibbutz Metzer NdT). La battaglia decisa del kibbutz, assieme ai suoi vicini del villaggio palestinese di Kafin, per impedire che la barriera di separazione passi attraverso i terreni del villaggio, e' uno degli evidenti paradossi del conflitto. I membri del kibbutz non si oppongono alla barriera di separazione. Al contrario. Ma insistono sul fatto che essa passi lungo il tracciato originale della Linea Verde, e non lungo il nuovo tracciato previsto che comporterebbe l'appropriazione di terre del villaggio di Kafin e lo sradicamento di alcune delle sue piantagioni.
    Anche nel momento piu' difficile per loro, i membri del kibbutz hanno ricevuto i loro amici di Kafin (il villaggio palestinese al di la' della Linea verde) e Meisar (il villaggio arabo-israeliano dentro la linea verde) i cui bambini hanno attivita' in comune con i bambini del kibbutz, e non hanno cambiato la loro idea che sia possibile avere relazioni pacifiche di buon vicinato basate sul dialogo e su accordi. Questa modesta amicizia tra Metzer ed i suoi vicini arabi sia in Israele che nelle aree palestinesi - che adesso e' sottoposta ad una tensione terribile - e' un monito solitario di quello che dovrebbe essere l'obiettivo reale. Si puo' solo sperare che la voce che oggi si sente a Metzer ed a Kafin un giorno sia in grado di spazzare via il ciclo del bagno di sangue.

(Haaretz, 13.11.02 - Trad.Donatella Misler. Fonte italiana: Gruppo Rimon)



TREDICI MORTI E QUINDICI FERITI NELL'ATTENTATO A HEBRON


Nove soldati dell'IDF e tre civili israeliani sono stati uccisi, altri 15 feriti, quando dei terroristi palestinesi hanno aperto il fuoco su ebrei che tornavano dalla tomba del patriarca e sui soldati che li proteggevano. La Jihad islamica ha rivendicato l'attentato.

    Le vittime militari: Dror Weinberg, 38, da Gerusalemme; Samih Sweidan, 31, da Arab el-Aramsha; Tomer Nov, 19, da Ashdod; Gad Rahamim, 19, da Kiryat Malachi; Netanel Machluf, 19, da Hadera; Yeshayahu Davidov, 20, da Netanya; Igor Drobitzky, 20, da Nahariya; David Marcus, 20, da Ma'aleh Adumim; Dan Cohen, 22, da Gerusalemme.
    Le vittime civili: Yitzhak Buanish, 46; Alexander Zwitman, 26; e Alexander Dohan, 33; membri della squadra di soccorso medico di Kiryat Arba.

    Domenica il Ministro degli Esteri Benjamin Netanjahu ha detto: «Il massacro di venerdì ai fedeli e ai soldati che li proteggevano è uno spregevole delitto. Israele ha il diritto e il dovere di prendere efficaci misure contro il terrorismo e contro il regime che lo protegge. Su questo aspettiamo l'appoggio della comunità internazionale: non aspettiamo soltanto condanne verbali del terrorismo, ma il sostegno alle forti misure che Israele dovrà prendere per la difesa della vita dei suoi cittadini. Questo è il diritto all'autodifesa a cui nessun paese civile può rinunciare.»
    Il 25 ottobre 2002, meno di un mese fa, Israele, conformemente al "Primo Piano West-Bank" aveva ritirato le sue truppe da Hebron.
    L'attacco di venerdì sera è avvenuto durante il sabato ebraico e nel sacro mese musulmano di Ramadan. In questo tempo, e soprattutto nei venerdì, l'IDF si è preoccupato che i musulmani potessero andare a pregare sulla tomba dei patriarchi. Già molte altre volte i posti sacri ebraici sono stati oggetto degli attentati palestinesi.
    Il protocollo di ritiro da Hebron del 17 gennaio 1997, che è parte dell'accordo ad interim israelo-palestinese sulla Cisgiordania e la striscia di Gaza (settembre 1995), all'Articolo VII prevede che ci siano accordi di sicurezza con i palestinesi, e la presenza di militari israeliani a H ebron.
    L'ambasciatore americano a Tel Aviv, Dan Kurtzer, ha inoltre informato il Ministro degli Esteri israeliano Benjamin Netanjahu, che gli Stati Uniti hanno chiesto alla Siria di chiudere gli uffici a Damasco dell'organizzazione islamica Jihad, che ha rivendicato la responsabilità dell'attentato di Hebron. La Siria, che attualmente è membro straordinario del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, appoggia da anni il terrorismo dell'organizzazione musulmana.

(Israelische Botschaft in Berlin, 18.11.02)



L'ASSALTO A HEBRON DIMOSTRA L'INUTILITA' DEGLI ACCORDI


Presa di posizione della Federazione delle Associazioni Italia-Israele

ROMA, 16 novembre 2002 - Di fronte al vile e proditorio attacco che ieri, 15 novembre, ha colpito fedeli israeliti al ritorno dalle preghiere dello shabàt, nonché i soldati accorsi a prestare soccorso, la Federazione delle Associazioni Italia-Israele, nel condannare quest'ennesimo, brutale atto di violenza – giunto a breve distanza di tempo dai ripugnanti omicidi perpetrati al kibbutz Metzer -, e nell'esprimere il più vivo cordoglio per la perdita di tante vite umane, invita, per l'ennesima volta, l'opinione pubblica a considerare quale sia la feroce natura criminale e la capacità offensiva dei terroristi nemici di Israele e della pace, nonché come sia totalmente inaffidabile l'Autorità Palestinese, teoricamente incaricata di controllare l'ordine e la sicurezza, in pratica oscillante tra un atteggiamento di completa inerzia e uno di aperto appoggio alla violenza terroristica.

Vanno ricordati, per meglio inquadrare l'orrendo episodio, alcuni punti essenziali, generalmente trascurati dalla stampa nostrana:

1) Le vittime civili sono generalmente definite 'coloni' (quasi, con ciò a giustificare in termini 'militari' l'attacco nei loro confronti), ma va rammentato che Hebron è uno dei pochi casi sui quali l'Autorità Palestinese e il governo israeliano hanno raggiunto, cinque anni fa, un accordo definitivo e permanente, in forza del quale la città è stata restituita all'Autonomia Palestinese, ad eccezione di una piccola enclave assegnata – si ripete, in via permanente e definitiva – ad Israele. La situazione di Hebron, quindi, è completamente diversa da quella delle colonie contestate in Cisgiordania e a Gaza (sulle quali, com'è noto, sussiste una differenza di vedute tra le stesse forze politiche e nell'opinione pubblica israeliana), trattandosi, nel primo caso, di territorio incontestabilmente e legittimamente, da ogni punto di vista, sotto sovranità israeliana, che tale resterà per sempre, in forza dell'accordo sottoscritto da Arafat e dall'allora premier Netanyeahu. Gli assassini che hanno sparato contro i fedeli hanno quindi dimostrato di non rispettare nessun accordo di pace, neanche se sottoscritto dalle loro stesse autorità. Come ci si può illudere che siffatti personaggi rispetterebbero, un domani, un trattato di pace generale e complessivo tra Israele e palestinesi?

2) La scelta di uccidere fedeli al ritorno dalla preghiera è particolarmente abietta, ma non è nuova: i terroristi sembrano cercare il massimo della turpitudine morale senza alcun timore – si badi – che ciò faccia loro perdere consensi, in patria o all'estero. In questo, purtroppo, sembrano avere ragione: gli intellettuali 'progressisti' filo-palestinesi difficilmente saranno indotti a riconsiderare la propria valutazione delle forze in campo alla luce di tale episodio, né – c'è da esserne certi – alcuna voce di sdegno e di condanna si solleverà da parte araba (mentre si attende una ferma e inequivocabile condanna da parte europea: che, si spera, non vorrà negare a Israele il diritto all'autodifesa e alla risposta militare).

3) Larga parte della stampa nostrana ha inquadrato l'episodio all'interno della campagna elettorale in corso in Israele, come se si fosse trattato di un ennesimo tentativo di "spostare a destra" l'elettorato, o addirittura alludendo a un oggettivo beneficio, in termini di consensi, per il governo Sharon. Ma va ricordato che i terroristi agiscono in un'ottica di odio assoluto e radicale, e che le loro azioni - come, d'altronde, hanno sempre dichiarato – continueranno sempre, qualsiasi possa essere il governo di Gerusalemme. Il terrore colpisce Israele e il suo popolo per quello che sono,  non per quello che fanno, o che fa il loro governo. Ma anche il popolo d'Israele – non si illudano i suoi nemici -, pur democraticamente e liberamente diviso, al suo interno, su tante questioni relative ai modi per perseguire la pace, sarà sempre unito nel fronteggiare e sconfiggere le minacce gravanti sulla sua esistenza e il suo futuro.

Il Consiglio Direttivo della Federazione Associazioni Italia-Israele



LETTERA APERTA DEL NIPOTE DI JABOTINSKY AI MEMBRI DEL LIKUD


Jabotinsky nipote

Ze'ev Jabotinsky, nipote del famoso leader sionista che portava lo stesso nome, ha scritto una lettera aperta - pubblicata in larga parte su Ha'aretz - ai membri del Likud, chiedendo di non votare Ariel Sharon nelle prossime elezioni interne del partito. Ecco alcuni estratti dalla lettera:

«Shalom. Sono un membro del Likud e mio nonno, Ze'ev Jabotinsky, è il fondatore e il padre spirituale del nostro movimento. Il nostro movimento ha sempre energicamente rifiutato la fondazione di uno stato palestiese nella terra di Israele. Un tale stato avrebbe tutta la sovranità e le capacità militari di minacciare la nostra stessa esistenza, cose che adesso ancora non hanno. Nonostante questo, il Primo Ministro Sharon ha recentemente, più di una volta, espresso il suo consenso ad uno stato palestinese. Se il signor Sharon pensa che questa è la via giusta, dovrebbe aspirare alla leadership del partito laburista, e non del nostro movimento. Non votate per uno stato palestinese sulla nostra terra. Non votate per Ariel Sharon.»

Haggai Segal, di Arutz-7, ha parlato oggi [19 novembre] con l'autore della lettera e gli ha chiesto se dietro tutto questo c'è Benyamin Netanyahu. "Netanyahu non ha cominciato questa cosa", ha detto Jabotinsky. "Sono io che mi sono rivolto al campo di Netanyahu. Forse questa è la prima volta che un cittadino che è preoccupato per una questione si rivolge al partito di governo e non all'opposizione. Non potevo pagare da solo l'annuncio, così ho chiesto a Netanyahu di sponsorizzarlo, e lui l'ha fatto."

Segal: "Lei dice di non votare Sharon, ma è sicuro che Netanyahu è contro uno stato palestinese?"
Jabotinsky: "Ho parlato prima a lungo con Netanyahu, e posso dire questo: Sono sicuro che Sharon vuole stabilire questo stato, perché continua a dirlo. Dice che risolverà la nostra economia e i problemi di sicurezza, mentre secondo me peggioreranno entrambi. Guardi, la sinistra vuole che sia eletto Sharon, e molti si sono iscritti al Likud proprio per questo scopo. Molti del kibbutz Netzer Sireni, per esempio, hanno firmato per il Likud; dicono che poiché è sicuro che a gennaio vincerà il Likud, la battaglia principale avviene all'interno del Likud."

Segal: "Forse il problema non è Sharon, ma l'intero Likud. Oggi cade il 25° anniversario della visita di Sadat a Israele, che portò Menachem Begin ad accettare di restituire il Sinai, a proporre l'autonomia per gli arabi nella Yesha e a dare le armi ai palestinesi, anche se, naturalmente, non nella misura usata dai laburisti... C'è forse un problema ideologico

nel Likud che lo distanzia dalla linea originale di Jabotinsky?"Jabotinsky: "Non credo. Credo che la maggior parte dei membri del Likud sia fortemente contraria a uno stato palestinese, come abbiamo visto nell'ultima convenzione... Voglio aggiungere che Sharon ha trasformato l'elezione del Likud in un referendum sulla questione dello stato palestinese. Se sarà scelto potrà dire, a ragione, che il Likud ha votato per la costituzione di uno stato palestinese."


Jabotinsky nonno

Per un rapido sguardo all'ultimo Ze'ev Jabotinsky e alla sua filosofia, riportiamo il seguente estratto da un articolo di Daniel J. Elazar, fondatore del Jerusalem Center for Public Affairs. Fu pubblicato sulla rivista Sh'ma nel maggio 1981, in onore del 100° anniversario della nascita di Jabotinsky.

«Un fatto importante riguardante Jabotinsky è che aveva ragione. Questo significa che in quasi ogni posizione che ha preso, ha avuto molto più ragione che torto nella sua comprensione delle dure realtà e delle necessità ebraiche. Il secondo fatto importante è che, per una molteplicità di ragioni, di solito gli fu impossibile agire secondo le sue diagnosi... gli ebrei non erano ancora pronti a esercitare la volontà necessaria per agire in modo conseguente.
    Su questioni relativamente circoscritte, come la creazione di una Legione Ebraica nella prima guerra mondiale, Jabotinsky, insieme a pochi altri, poté agire da solo e ottenne i risultati voluti. Oggi tutti gli ebrei celebrano questo sforzo. Quando si trattò di prevedere l'imminente distruzione dell'ebraismo europeo e la necessità di un'immigrazione in massa in Eretz Israel, non era una cosa che poteva essere fatta da poche persone che operavano da sole; tutto il popolo ebreo doveva essere convinto, e si dimostrò che questo era impossibile. Jabotinsky aveva ragione, ma la sua soluzione non fu attuata: il risultato fu l'olocausto.
    Le persone che seguivano questi problemi erano ben a conoscenza degli insegnamenti di Jabotinsky riguardanti l'imminente crollo dell'ebraismo europeo, la necessità di uno sforzo militare per stabilire uno stato, e l'indispensabilità per uno stato ebraico di avere tutto l'Eretz Israel storico.
    Un altro insegnamento di Jabotinsky che ha per noi una reale importanza è la necessità che il popolo sia alleato con l'occidente.
    Jabotinski riconobbe anche l'importanza della fede religiosa nella formazione di un popolo. Non meno secolarizzato dei suoi avversari sionisti socialisti, non fece come loro l'errore di promuovere il secolarismo. Cercò piuttosto di sviluppare una religione ebraica civile che mantenesse certe credenze e forme cerimoniali, particolarmente quelle pubbliche, e le integrasse nel servizio degli obiettivi nazionali. La religiosità pubblica di Menachem Begin si espresse proprio nello spirito della religione civile di Jabotinsky. Un simile tipo di religione civile non è, secondo me, adatta agli ebrei, ma certamente è meglio del secolarismo che sta cercando di sostituirla.
    Diventa chiaro sempre di più che Jabotinsky fu in realtà un gigante del risveglio nazionale ebraico. Sfortunatamente per lui e per il popolo ebreo, il suo genio prevedeva gli eventi molto prima di altri. E' spuntato prima del tempo e adesso tutti noi siamo più poveri perché non abbiamo saputo tenere il suo passo.»

(Arutz Sheva News Service, 19.11.02)



IL PERICOLO IRACHENO


Il Ministro della Difesa Shaul Mofaz sarà a Washington la prossima settimana – una équipe di alti funzionari della difesa si trova già a Washington – Israele ha un ombrello difensivo trilaterale – avviso: le camere blindate israeliane offrono insufficiente protezione


1. Invitato a Washington il Ministro della Difesa Mofaz – un'équipe israeliana si trova già negli USA per discutere il dopo-Saddam

Il Ministro della Difesa Shaul Mofaz è stato invitato a Washington il mese prossimo, per aggiornamenti sulla programmata offensiva americana contro l'Irak e per colloqui strategici.
    La risoluzione del Consiglio di Sicurezza della scorsa settimana ha rimandato da diverse settimane l'offensiva americana, in accordo con il periodo concesso a Saddam Hussein per le discussioni con l'ONU e per i contatti con l'apparato internazionale di ispezione. Nonostante il rinvio, però, Washington e Gerusalemme continuano a prepararsi alla guerra contro Baghdad ed a programmare "il giorno dopo".
    Entro due giorni, le équipes di alti funzionari americani ed israeliani si incontreranno a Washington, nel contesto di un "dialogo strategico" fra i due paesi, al fine di discutere le implicazioni di una guerra contro l'Irak. L'amministrazione americana ha chiesto di sentire la posizione israeliana – i suoi suggerimenti ed i suoi timori. La delegazione israeliana sarà guidata dal Ministro Dan Meridor e comprenderà il Consulente per la Difesa Nazionale, Ephraim Halevy ed il Direttore Generale del Ministero della Difesa, Amos Yaron. La delegazione terrà una presentazione nell'ambito di un incontro comprensivo ad alto livello, i cui preparativi sono in corso da alcuni mesi al consiglio di Sicurezza Nazionale, al Mininistero della Difesa e nell'esercito.
    "Israele ha un grande interesse nella questione di che tipo di Irak ci trovermo di fronte 'il giorno dopo' e di che genere di influenza avrà la guerra sull'equilibrio regionale e sui palestinesi", afferma un alto funzionario governativo. L'ipotesi di lavoro di Israele, alla base della discussione, è che gli Stati Uniti vinceranno la guerra e raggiungeranno i loro obiettivi – cambiando il regime iracheno – con un minimo di perdite americane e senza diventare obiettivo di una guerra d'attrito. Gli israeliani non discuteranno con gli americani altri possibili scenari, meno riusciti.


2. Ombrello difensivo trilaterale

In caso di offensiva americana, alle batterie di missili Arrow (Freccia) e Patriot già postate in Israele si aggiungerà un vascello americano in grado di intercettare e distruggere sia missili che aerei. Il tempo di preavviso minimo per il dispiegamento difensivo combinato è stato ridotto a soli 45 secondi. Inoltre, il tempo totale a disposizione di Israele dal momento in cui i missili El-Hussein (Scud migliorati) verranno lanciati dall'Irak, sarà di 6 minuti, rispetto ai due minuti durante la Guerra del Golfo.
    Il sistema difensivo israeliano farà un significativo salto di qualità, grazie ad una nave intercettatrice, che raggiungerà il paese prima dell'offensiva. Il vascello sarà equipaggiato con un sistema Aegis, un sistema di radar satellitare, disegnato per scoprire ed intercettare aerei e missili a breve raggio. Nel gennaio di quest'anno, il vascello intercettatore ha preso parte alle manovre congiunte con le batterie di contraerea e l'aviazione militare.
    In questo momento, sono dispiegate in Israele due batterie operative di missili Arrow – una nel centro del paese ed una nel Nord – nonché diverse batterie di missili Patriot migliorati. I due dispiegamenti opereranno in maniera integrata: in caso di lancio di un missile dall'Irak, sarà fatta una valutazione su grado di pericolosità del missile in arrivo e gli verrà lanciato contro un Arrow. I missili Scud, considerati meno pericolosi per i centri abitati, saranno contrastati dai Patriot.
    Contemporaneamente, Israele sta preparandosi a fornire una soluzione "ermetica" alla situazione in cui decine di missili fossero lanciati contemporaneamente sul paese. L'esercito israeliano sta ora intensificando il suo ritmo di equipaggiamento con missili Arrow e con sistemi lancia-missili, nonché con ulteriori sistemi anti-missile con prestazioni superiori, quali le ogive multiple.
    Il comandante della contraerea, generale Yair Dori, ha affermato che "il sistema iracheno di missili terra-terra è diventato sempre più lacunoso negli ultimi anni, a causa delle ispezioni generali dell'ONU e la Guerra del Golfo". Ciò nonostante, egli ha aggiunto, è davvero difficile sapere ciò che realmente succede nel cortile interno di Saddam Hussein. "Sappiamo che sono in possesso di missili terra-terra e di lancia-missili, presenti in piccole quantità ad Ovest, ma è molto probabile che l'Irak abbia capacità di lancio". Il gen. Dori sostiene di "essere calmo e sicuro sul fatto che Israele abbia le risposte appropriate per affrontare il prossimo confronto".
    Questa settimana, Israele ha condotto il suo primo lancio sperimentale del missile Patriot migliorato. L'esercitazione consisteva nel prendere di mira un obiettivo relativamente piccolo e, secondo il gen Dori, entrambi i lanci hanno fatto centro.


3. Rivelazione: Militari americani si esercitano alla guerra in Israele

Soldati e marines americani si stanno allenando da alcuni mesi in basi israeliane, specialmente progettate per insegnare il combattimento in aree urbane, nell'ambito dei preparativi per una possibile operazione militare in Irak.
    Il giornale USA Today rivela che delle unità dell'esercito israeliano, aventi grande esperienza di combattimento nelle aree urbane, hanno di recente cooperato nell'addestramento di militari americani a questo genere di combattimento. Le manovre sono state condotte in due installazioni, dove si trovano dettagliati modelli di città arabe, appostiamente costruiti per questo proposito. Funzionari della Difesa americana hanno riferito al giornale che queste installazioni sono superiori a quelle degli Stati Uniti. Funzionari israeliani hanno confermato la notizia.
    Secondo il rapporto, Israele sta svolgendo un ruolo di rilievo, per quanto segreto, nei preparativi americani alla guerra contro l'Irak. Il giornale inoltre fa cenno ad avvenuti trasferimenti di equipaggiamento militare americano in Israele, nel corso degli ultimi mesi.


4. L'Istituto per gli standard qualitativi avverte: insufficiente protezione nelle camere blindate

    Solo il 14% delle camere blindate nelle abitazioni israeliane ottempera agli standard di un ambiente sigillato, in grado di affrontare un pericolo non-convenzionale, ha riferito un rappresentante dell'Istituto per gli Standard qualitativi alla Commissione della Knesset responsabile delle proteste dei cittadini.
    In un'ispezione condotta in 130 camere blindate, l'Istituto ha trovato che nel 22% dei casi, le porte non sigillavano, mentre le finestre non sigillavano nel 15% della camere ispezionate.
    E' stato programmato l'adattamento di rifugi esistenti alla chiusura ermetica, in modo da offrire protezione contro una minaccia chimica e biologica.
    Rappresentanti del Comando del Fronte Interno hanno detto che oggi Israele equipaggia i cittadini solo con i soliti kit protettivi, ma non fornisce protezione supplementare per le camere blindate, ed ha quindi chiesto ai cittadini del paese di controllare le proprie camere blindate.
    La Commissione per l'Immigrazione e l'Assorbimento della Knesset ha stabilito che gli immigrati hanno bisogni di istruzioni speciali per la loro protezione in caso di attacco ed ha raccomandato che si inizino al più presto le lezioni di addestramento nei centri di assorbimento e negli ulpanim, in modo da prevenire il panico fra gli immigrati, in caso di guerra.

(Keren Hayesod n.205, 18.11.02)



"NE' CON LA STELLA DI DAVIDE, NE' CON LA SVASTICA"


di Luciano Tas
   
    E' curioso come le notizie del conflitto tra Israele e terroristi, (non si può più chiamare "conflitto israelo-palestinese" perché non è ai palestinesi che Israele dà la caccia, così come gli americani non danno la caccia ai musulmani ma ai terroristi), è curioso come quelle notizie nei nostri media soffrano spesso di "interpretazioni".
    Non si tratta più di fatti separati dalle opinioni, ma di opinioni che piegano i fatti piuttosto che spiegarli.
    Le incursioni israeliane a Gaza o in Cisgiordania sono tese a colpire i centri del terrorismo (si dovrebbe dire "ovviamente", visto che nemmeno ai "cattivi" israeliani si può imputare di fare deliberatamente il tiro a segno sui bambini), ed è purtroppo comprensibile che talvolta nei conflitti a fuoco restino vittime anche dei bambini.
    E' irrilevante stabilire se a uccidere quei bambini siano le pallottole israeliane o quelle dei terroristi: la pena per la morte di esseri umani, specie se bambini, è comunque insopportabile.
    Ma nessuno ha mai sentito il bisogno di andare a controllare. Così come nessuno sente il bisogno di specificare, quando si tratta di palestinesi uccisi, se lo sono stati in combattimento, vale a dire con le armi in pugno, oppure pacifici cittadini che andavano per i fatti loro.
    Gli esempi sono sfortunatamente giornalieri. L'ultimo è di ottobre, e viene ancora da Gaza, dove le forze israeliane hanno scoperto gallerie sotterranee tra Gaza e l'Egitto, usate per il contrabbando di armi, e le hanno fatte saltare, anche qui dopo uno scontro a fuoco contro palestinesi di Hamas o dei "martiri di Allah".
    Che la lotta d'Israele sia indirizzata contro il terrorismo e non contro un popolo, è avvertito oggi con maggiore chiarezza nei paesi dove il terrorismo islamico ha colpito, ultima l'Indonesia, piuttosto che da noi, ancora immuni da quel cancro terroristico.
    Ma questa "immunità" non dovrebbe consentire a molti di ripetere, a proposito del terrorismo, l'indecente slogan dei nostri anni di piombo. Ricordate? "Né con le Brigate Rosse né con lo Stato".
    Sempre più frequentemente, infatti, si sente riecheggiare quello slogan. "Né con Bin Laden né con Bush", "né con i talebani, né con gli americani". E da domani forse "né con gli assassini di Bali, né con Giacarta".
    Se si riflette al solo fatto che i talebani dell'Afghanistan il 23 maggio del 1991 trasformavano in legge dello Stato l'ordinanza che imponeva agli indù di portare sugli abiti un segno distintivo, il non scegliere tra talebani e americani ripete l'indifferenza con la quale in Europa molti, troppi, avevano accettato in complice silenzio un'analoga legge nazista, rifiutandosi di scegliere tra la stella e la svastica.

(Federazione delle Associazioni Italia-Israele, 18.11.02)



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