Notizie su Israele 157 - 24 febbraio 2003


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Se il SIGNORE non fosse stato in nostro favore, - lo dica pure Israele - se il SIGNORE non fosse stato in nostro favore, quando gli uomini ci assalirono, essi ci avrebbero inghiottiti vivi, talmente erano furiosi contro di noi; allora le acque ci avrebbero sommersi, il torrente sarebbe passato sull'anima nostra; allora sarebbero passate sull'anima nostra le acque tempestose. Benedetto sia il SIGNORE che non ci ha abbandonati in preda ai loro denti! L'anima nostra è scampata come un uccello dal laccio dei cacciatori: il laccio è stato spezzato e noi siamo scampati. Il nostro aiuto è nel nome del SIGNORE, che ha fatto il cielo e la terra.

(Salmo 124)



È ISRAELE LA CAUSA DEL TERRORISMO?


«Se guardiamo indietro, scopriremo che nel mondo non c'è mai stato un terrorismo sistematico al di fuori dell'Europa fino a che gli Europei e gli Ebrei non hanno creato uno Stato ebraico sulla terra di Palestina», ha dichiarato Mahatyr Muhammad, Primo Ministro malese, in occasione del discorso d'apertura del vertice del Movimento dei Non Allineati (MNA) che si tiene a Kuala Lumpur, capitale della Malaysia.
    E ha aggiunto: «E' il sentimento d'ingiustizia che fa bollire il sangue dei musulmani e li spinge al terrorismo. Se loro [gli Stati Uniti] fanno un collegamento tra al Qaida e l'Iraq, perché non fanno il collegamento tra la repressione, la persecuzione dei Palestinesi e gli avvenimenti dell'11 settembre?»
   
(Arouts 7, 24.02.2003)



IL MECCANISMO PERVERSO DELLA COSTRUZIONE DI FALSE NOTIZIE


Bambini palestinesi sfidano i carri armati lanciando pietre contro la loro corazza d'acciaio e rischiando la vita nel nome dei loro ideali e di quelli della loro religione.

di Alberto Toscano (Parigi)

    Ma sono proprio "loro" quegli ideali? Ed è proprio "loro" quella scelta di sfidare i mostri d'acciaio? A porsi queste domande è un film-documentario che sta sconvolgendo la Francia, al punto che speciali misure di sicurezza hanno dovuto essere adottate all'esterno di alcune sale cinematografiche. Si tratta di evitare attentati e gesti di ordinaria violenza, come quelli che la comunità ebraica transalpina conosce quotidianamente da due anni a questa parte, ossia da quando la "seconda Intifada" è esplosa in Medio Oriente provocando migliaia di vittime, tra cui moltissimi adolescenti.
    Il film si chiama "Dècriptage", ma il concetto potrebbe ben essere tradotto con l'espressione: "Come decodificare il linguaggio della propaganda". Nel caso specifico si parla della propaganda dell'estremismo palestinese, che usa le parole come pietre e che mette le pietre in mano ai bambini, facendo deliberatamente rischiar loro la vita allo scopo di "nutrire" le immagini delle TV del mondo intero. "Nutrirle" nel modo naturalmente più conveniente a coloro che concepiscono e che sfruttano questo tipo di propaganda.
    I registi di "Dècriptage", i francesi Jacques Tarnero e Philippe Bensoussan, dicono di voler la pace, ma di detestare le montature falsamente pacifiste, che cercano di strappare le lacrime per giustificare le bombe suicide. Sì, le bombe come quelle che i kamikaze palestinesi - le cui famiglie ricevono poi un assegno di 25mila dollari da Saddam Hussein - fanno esplodere sugli autobus pubblici gremiti di povera gente, che viene massacrata in nome di un "ideale" di pura violenza. Quelle stesse bombe che - come documenta il film - il leader degli antiglobal francesi Josè Bovè ha osato imputare al Mossad, il servizio segreto israeliano, affermando (salvo poi ridimensionare le proprie accuse) che gli uomini di Sharon sono così perfidi da uccidere innocenti per dare la colpa ai palestinesi.
    Il capillare lavoro dei due registi sta proprio nell'esaminare il meccanismo perverso della costruzione di false notizie, di falsi scenari politici e di ancor più false interpretazioni. Poi si può anche smentire, ma intanto il "sasso" è stato lanciato e l'obiettivo è sempre lo stesso: dare di Israele una immagine peggiorativa, mostruosa. Giustificare ogni sorta di offensiva contro quello Stato.
    L'esempio dei bambini palestinesi intenti a scagliare pietre è il più atroce, ma anche il più interessante tra quelli proposti dal film-documentario. E' capitato che i bambini venissero inviati a compiere "missioni" pericolose perché sulle telecamere delle TV occidentali l'immagine del piccolo lanciatore di pietre è terribilmente efficace. Questa ricerca del ruolo politico dell'immagine è ormai arrivata al paradosso, come dimostra il film-documentario. Alla fine, però, una constatazione si impone: chi si affida a quel tipo di strumenti corre sempre rischi politici oltre a far correre rischi fisici alle persone da lui utilizzate per provocare l'altrui indignazione. Il rischio politico corso dagli estremisti palestinesi è divenuto realtà quando le TV del mondo intero hanno proposto le immagini del barbaro linciaggio di due giovani riservisti israeliani, che non stavano facendo nulla se non transitare in un territorio controllato dalla polizia palestinese. Quelle immagini hanno fatto il giro del mondo, costando un prezzo assai elevato proprio a coloro che sperano di ottenere il massimo dalle scene dei piccoli lanciatori di pietre. Tarnero e Bensoussan, dal canto loro, non dicono di aver girato un documentario neutrale. Dicono di aver voluto denunciare le ciniche strumentalizzazioni politiche delle immagini atroci che in continuazione ci passano davanti agli occhi. Immagini talmente atroci, da meritare invece di essere almeno rispettate.

("Il Giornale", 21 febbraio 2003)



TESTAMENTO SPIRITUALE DI UN GIOVANE SOLDATO ISRAELIANO


"Papà e mamma, avete fatto tutto bene"

L'ufficiale Dan Cohen, ucciso in un agguato a Hebron, ha lasciato una lettera per i suoi genitori. Dopo la sua morte la famiglia ha ricevuto un cofanetto sul quale era scritto "segreto, personale". I genitori di Dan hanno esitato ad aprirlo, e quando hanno letto hanno realizzato che quello era il testamento spirituale del figlio, una sorta di presentimento. La sensazione sottile che ognuno di noi sente oggi in Israele.
A.C.L.    


Papà, Mamma, shalom!

L'uomo ha un compito? Il mondo esiste per qualcosa che deve ancora arrivare, che deve ancora succedere e ognuno di noi è parte integrante e imprescindibile di questo grande avvenimento. Se è cosi, noi siamo stati chiamati per far parte, nel miglior modo possibile, di un puzzle e per chi intraprende la strada della religione ebraica, ciò significa attuare i propri valori nel modo più efficiente possibile per dar modo di dare vita a generazioni migliori di lui attraverso l'influenza sui suoi figli e su chi lo circonda. Io forse appartengo a quella parte che influirà su chi lo circonda, e voi a quella parte che ha influito sui suoi figli. Allora volevo solo dirvi che io sono abbastanza soddisfatto di ciò che ho potuto dare nel breve tempo che mi è stato dato. Sento che sono stato un canale abbastanza buono per trasmettere ad altri l'educazione che mi avete impartito e che non riesco a pensare a un modo migliore di educare di quello che avete scelto voi per educare me (forse mi avete persino coccolato troppo...). Dato che potrebbe succedere qualcosa, e che nella mia breve esperienza di vita ho visto che tutti coloro che hanno un crollo dopo la perdita di un figlio sono per la maggior parte persone che sentono un senso di colpa, e dato che vi conosco bene (soprattutto te, Mamma) e nonostante non ce ne sia il motivo potreste pentirvi di qualcosa che avete o non avete fatto, che avete o non avete detto, allora sappiate che avete fatto tutto giusto e che io, a parte pochi momenti, da più di vent'anni sono soddisfatto di tutto, e che voglio dirvi, Papà e Mamma, con tutto il cuore, grazie!
Dany    


(Shalom, gennaio 2003)



«DA BAMBINA ODIAVO GLI EBREI»

    
Ira Seizev

Ira Seizev, 19 anni, di Kiriat Gat, è diventata da poco ufficiale nell'esercito israeliano. Ha detto di essere cresciuta nella Russia Bianca, in un ambiente antisemita, e che da bambina odiava gli Ebrei. All'età di dodici anni ha scoperto che sua madre era ebrea, e di conseguenza anche lei. In quel medesimo tempo i suoi genitori si sono divisi e lei è emigrata con sua madre e suo fratello in Israele. Soltanto attravero un insegnante di Kiriat Gat è venuta a conoscenza dello storia del popolo ebraico, e da allora è fiera di essere ebrea e di poter servire nell'esercito.

(NAI-Israel heute, febbraio 2003)



«LA COLPA DELLA CRISI È DEL REGIME IRACHENO»


In un editoriale pubblicato sul quotidiano governativo egiziano Al-Ahram, il direttore del giornale Ibrahim Nafi'ha lanciato un attacco al presidente iracheno Saddam Hussein e al suo regime, accusandolo della crisi e citando la non-cooperazione dell'Iraq con le Nazioni Unite. Scrittori e politici arabi, anche quando criticano Saddam Hussein, di solito insistono che non dovrebbe essere sostituito; Nafi' non ha fatto una tale richiesta. Ecco alcuni estratti dell'articolo (1):


'Il regime iracheno trascina la regione in una guerra distruttiva'

"…Dall'aria che tira nella capitale americana, è ragionevole supporre che l'amministrazione del presidente George Bush abbia già preso la decisione per la guerra... Mentre i principali paesi arabi, capeggiati da Egitto, Arabia Saudita e Siria... investono tenaci sforzi per risolvere la crisi con mezzi pacifici  e per convincere l'amministrazione americana a non chiudere la porta agli sforzi diplomatici, il regime iracheno continua la sua politica di arroganza e di cieca ostinazione, e fa di tutto per ostacolare questi sforzi. Il regime iracheno è come uno che galoppa, con una oscura forza di guida, sulla via della distruzione, trascinando ancora una volta la regione in una guerra distruttiva".

"Mentre forze regionali e internazionali cercano di aprire una finestra di speranza agli sforzi diplomatici, il regime iracheno perde opportunità, una dietro l'altra, continuando la sua politica di dichiarazioni di pseudo-eroismo non basato su fondamenta oggettive o su realistiche considerazioni. Ha raggiunto il punto in cui io posso quasi dire che il popolo iracheno e il suo benessere non sono una considerazione per la leadership irachena, che eccelle in giochi, in manovre e persino in arroganza nei confronti dei poteri che stanno cercando sinceramente di difendere l'Iraq... dal maltrattamento di una leadership che non riesce a capire la realtà".
  
"Tutti i segnali mostrano che entrambe le parti della crisi, cioè il regime iracheno e l'amministrazione americana, galoppano fieramente verso la guerra. Mentre l'apparato militare americano, il più potente nel mondo, continua a mobilitarsi per la guerra con grande professionalità, il regime di Bagdad continua con l'unica politica in cui eccelle: dichiarazioni di pseudo-eroismo e arroganza verso tutti. Minaccia di infliggere alle forze americane un'amara sconfitta alle porte di Bagdad, e attacca i paesi arabi che si muovono a Washington per rafforzare gli sforzi diplomatici…".
  
"Il conto alla rovescia per la guerra è cominciato, e le sue ruote hanno cominciato a girare. È del tutto evidente che non è semplice fermarle, ma non hanno ancora raggiunto una fase in cui [fermare la guerra] sia impossibile".


'La non-cooperazione dell'Iraq è la principale ragione dell'escalation della crisi'

"A mio giudizio, un serio tentativo di risparmiare all'Iraq e alla regione l'incendio di una nuova guerra obbliga il regime iracheno a lanciare una grande iniziativa che superi il livello dei pericoli che attendono il popolo iracheno e le sue risorse".

"Questa iniziativa dev'essere caratterizzata da una totale trasparenza nella cooperazione con le istituzioni internazionali e dall'adesione a tutte le richieste contenute nelle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e nei rapporti degli ispettori internazionali. La leadership irachena deve fornire risposte precise e specifiche alle domande sulle armi di distruzione di massa che l'Iraq ha avuto, il cui destino non è noto e per le quali il regime iracheno non ha mostrato [prove tali] da convincere il gruppo di ispettori che non esistono più. [La mancanza di prove a proposito di questa questione] ha conferito un certo grado di credibilità...  alle parole del Segretario di Stato Colin Powell nel suo rapporto al Consiglio di Sicurezza, secondo cui queste armi sono nascoste, in un modo o nell'altro, nella vastità del territorio iracheno".

"Allo stesso modo, la riluttanza dell'Iraq a collaborare in modo trasparente su questo argomento ha dato ad alcuni, come Israele, un'opportunità per tessere varie storie sul trasferimento di [alcune] delle armi nei paesi arabi, principalmente la Siria, con il chiaro tentativo di provocare una crepa fra Washington e Damasco e di realizzare i suoi piani nella regione".
  
"Non c'è alcun dubbio che la riluttanza dell'Iraq a collaborare con le Nazioni Unite sulla questione delle armi di distruzione di massa sia la ragione principale dell'escalation della crisi. Se l'Iraq avesse collaborato in modo trasparente con le squadre di ispettori internazionali, i rapporti di Blix e di Al-Barad'i non gli lascerebbero una parte di responsabilità e non dichiarerebbero che l'Iraq non ha fornito risposte trasparenti alle domande degli ispettori... Sebbene gran parte delle prove fornite da Colin Powell possano essere opinabili e suscitare molto stupore, la riluttanza dell'Iraq a collaborare sin dall'inizio con le Nazioni Unite ha conferito credibilità alle parole di Powell, per quanto riguarda gli ambienti internazionali. Allo stesso modo, le Nazioni Unite condividono l'opinione del Segretario di Stato americano che l'Iraq abbia armi chimiche e biologiche, perciò la dichiarazione irachena che queste armi non esistono non è convincente…".


'Finché l'Iraq non fornirà risposte chiare e inequivocabili alle domande sulle sue armi vietate, questo sarà il chiaro casus belli...'

"Finché il regime iracheno non fornirà risposte chiare ed inequivocabili alle domande sulle sue armi vietate, questo sarà il chiaro casus belli... Le preoccupazioni arabe e internazionali sul fatto che il popolo iracheno sarà indifeso in caso di guerra e sarà la prima vittima di qualsiasi attività militare (perché Saddam fuggirà con i suoi sostenitori nei rifugi preparati per questo scopo, e abbandonerà il suo popolo a fronteggiare da solo la distruzione), hanno fatto in modo che gli Stati Uniti preparassero piani specifici per fornire aiuti umanitari agli iracheni e a qualsiasi città irachena in cui entreranno le forze americane".
  
"Tuttavia, la possibilità di risolvere la crisi con mezzi pacifici non è ancora scomparsa. È ancora possibile risolvere la crisi con mezzi pacifici e risparmiare all' Iraq e al popolo iracheno gli orrori della nuova guerra, che la superpotenza che guida il mondo lancerà con la cooperazione di considerevoli forze internazionali. È chiaro che l'opzione che l'Egitto sta cercando di promuovere è quella di evitare la guerra, operando assieme alle principali forze arabe e alle attive forze internazionali per convincere gli Stati Uniti a dare una possibilità alla diplomazia di trovare una soluzione pacifica alla crisi…".


'Il principale ostacolo a una soluzione pacifica è la leadership che è stata imposta al popolo iracheno'

"Una soluzione pacifica alla crisi è ancora possibile, ma l'ostacolo principale è la leadership che è stata imposta al popolo iracheno e all'intera regione araba".

"La leadership irachena è caratterizzata da un grande orgoglio combinato con un'ignoranza totale. Quando questi due tratti si uniscono, causano i disastri e le crisi che il regime di Saddam Hussein ci ha rovesciati addosso mille volte".

"La mia opinione è che dobbiamo concentrarci a difendere l'Iraq come paese, e il popolo iracheno e il suo futuro, che sono in pericolo a causa dei calcoli sbagliati di una leadership caratterizzata da incoscienza e ignoranza. La posizione araba dev'essere chiara e precisa, e basata su princìpi che non possono essere oggetto di compromessi:

"Antitutto, l'unità delle terre dell'Iraq e la sua integrità territoriale. Non ci dev'essere compromesso in nessun modo su questo argomento".

"In secondo luogo, qualsiasi azione militare per disarmare l'Iraq dev'essere fatta in conformità con una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza, che contenga anche un lasso di tempo che permetta ai paesi arabi e alle grandi forze internazionali di compiere uno sforzo nel convincere Saddam Hussein a collaborare pienamente con le Nazioni Unite. Questo periodo deve includere l'invio di una delegazione araba a Bagdad, come delegazione da ultima chance…".
  
"Terzo, dobbiamo agire per proteggere le risorse dell'Iraq, principalmente le sue infrastrutture, in modo che la sua società non sia danneggiata e le condizioni umane non si deteriorino più di quanto non siano sotto il regime di Saddam. A questo punto, l'importanza di proteggere le istituzioni dello stato dev' essere sottolineata; dobbiamo pensare a un modo per richiedere una nuova risoluzione dell'ONU per un'amnistia generale per i capi del regime iracheno, che stabilisca che non subiranno un processo davanti a una corte internazionale".
  
"Se tutti questi sforzi falliscono e passa una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza per disarmare l'Iraq con la forza, dev'essere chiaro che il compito delle forze è di disarmare l'Iraq, non di conquistarlo, e che gli Stati Uniti non ripeteranno l'esperienza afghana e non diventeranno un potere dominante, ma che questo sarà assegnato a una forza internazionale che si assumerà l'incarico di gestire l'Iraq al massimo per sei mesi, e poi la responsabilità sarà trasferita agli iracheni ".

"Infine, ci dev'essere un'iniziativa araba attiva, mirata a rinnovare il processo di soluzione del conflitto arabo-israeliano, e gli Stati Uniti devono adempiere alle loro promesse di attuare la 'road map' e di costituire uno stato palestinese nel 2005. Allo stesso modo, ci devono essere iniziative per disarmare la regione dalle armi di distruzione di massa, e mi riferisco in modo specifico a quelle israeliane…".


'L'unico che può fermare il treno della guerra è Saddam Hussein. La decisione è nelle sue mani'

"Il treno della guerra ha cominciato a muoversi, ma c'è ancora speranza di evitarlo, per la salvezza del popolo iracheno, delle sue risorse, della sua storia e per la salvezza della regione".
  
"La decisione è nelle mani di Saddam Hussein; noi chiediamo che si alzi a guardare il livello dei pericoli latenti per l'Iraq e per la regione, che la smetta con le sue manovre ed i suoi giochi, e collabori pienamente con le Nazioni Unite. Gli Stati Uniti sono del tutto convinti che l'Iraq abbia armi chimiche e biologiche, e il dossier americano non è basato su valutazioni ma su informazioni trasmesse da società americane che in passato hanno avuto legami con l'Iraq [nel settore delle armi chimiche e biologiche]... e stanno ora collaborando pienamente con gli apparati di sicurezza americani...".

"L'unico che può fermare il treno della guerra è Saddam Hussein. 

prosegue ->
Deve fermare i giochi, collaborare con le Nazioni Unite e rispondere a questa domanda: 'Dove sono le armi chimiche e biologiche che Washington sa che Bagdad possiede'?"

"Senza una risposta chiara e precisa, e senza la cooperazione con le squadre di ispettori internazionali, la guerra contro l'Iraq ci sarà. La decisione è nelle mani di Saddam. Che farà a se stesso, al suo popolo e alla regione, stavolta?".

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Nota:
(1) Al-Ahram (Egitto), 14 febbraio 2003.

(The Middle East Media Research Instituten n° 471, 21.02.2003)



FAMIGLIE PALESTINESI CHIEDONO AD ARAFAT DI SMETTERLA CON I RAZZI


GAZA - Giovedì scorso [21 febbraio] alcune famiglie palestinesi hanno rivolto al capo dell'OLP, Yasser Arafat, un appello a porre immediatamente fine agli attacchi con razzi su obiettivi israeliani. Tra le altre cose, il Primo Ministro di Israele, Ariel Sharon, ha annunciato di voler dichiarare Sderot, la piccola città del Negev particolarmente esposta agli attacchi, "città al fronte".
    Secondo quanto riferisce il giornale palestinese "Al-Hayyat al-Jadida", le famiglie hanno motivato la loro richiesta con i gravi danni che vengono arrecati dalle reazioni israeliane agli attacchi.
    "Preghiamo con insistenza il Presidente dell'Autonomia Palestinese e i suoi uomini, in nome dei valori morali e nazionali palestinesi, di agire in fretta e di porre fine al lancio di razzi Kassam e alle azioni delle organizzazioni palestinesi", si dice nell'appello. Perché queste non servono né agli alti interessi nazionali dei palestinesi, né alla sua popolazione e alle famiglie.
    "Queste azioni hanno come conseguenza che la popolazione palestinese si distrugge economicamente, moralmente e socialmente."

(Israelnetz.de, 21.02.2003)



ISRAELE SI PREPARA ALLA GUERRA


«Febbraio è l'ultimo periodo disponibile per i preparativi finali»

di Yosef Mishlav, Capo del Comando del Fronte Interno


1. Il danno all'economia israeliana potrebbe arrivare ai 5 miliardi di Shekel ($ 1 miliardo)

    Fonti all'interno dei ministeri economici hanno affermato che, se la guerra sarà breve e se Israele non vi sarà coinvolta, il costo per il paese ammonterà a diverse continaia di milioni di Shekel. Se però la guerra si prolungasse e Israele venisse attaccato, il costo potrebbe essere di miliardi di Shekel; secondo alcune stime, fino a 5 miliardi di Shekel. I danni maggiori sono previsti nel settore della difesa, poiché le spese dell'establishment difensivo potrebbero raggiungere i 3 miliardi di Shekel ($ 600 milioni) al mese. Inoltre, se Israele fosse attaccato, si verificherebbe un "esodo" degli abitanti dal centro del paese, cosa che causerebbe un netto calo della produzione e una perdita settimanale di centinaia di milioni di dollari. Anche l'industria ne sarebbe colpita, poiché gli abitanti eviterebbero di uscire per acquisti e certi settori commerciali sarebbero totalmente paralizzati, con conseguenti perdite comprese fra i 500 milioni ed il miliardo di Shekel al mese. Il danno al turismo continuerebbe, arrivando a decine di milioni di dollari alla settimana.


2. "Il Fronte interno è pronto alla guerra".

    Il colonnello Uzi Buchbinder, del Comando del Fronte Interno afferma che il paese è preparato ad affrontare un possibile attacco iracheno. Dopo l'intervento all'ONU del Segretario di Stato Colin Powell, le cui rivelazioni collimavano con le informazioni in possesso dell'intelligence israeliana, vi è stato un netto aumento del numero delle persone che si sono presentate ai centri di distribuzione delle maschere anti-gas o che si sono informati del loro indirizzo e degli orari d'apertura. Il colonnello Buchbinder ha detto che per il momento non è necessario preparare stanze sigillate e non è necessario andare "sotto pressione". Vi sarà tempo sufficiente per preparare tali stanze, se ce ne sarà bisogno. Molta gente, però,
    
Bambini provano le maschere antigas
questi preparativi li ha già fatti.
    Nel corso del mese di febbraio sarà tenuta un'esercitazione a livello nazionale in tutto il sistema scolastico, in cui gli allievi verranno addestrati ad entrare nei rifugi e ad affrontare diversi, possibili scenari di attacco iracheno contro Israele. Il Comando del Fronte Interno ha comunicato che i lavaoratori stranieri potranno acquistare maschere anti-gas in alcuni particolari grandi magazzini e negli uffici postali, al prezzo di 200 Shekel l'una. I nuovi immigrati appena arrivati riceveranno le maschere nei centri di assorbimento.
    Fino a questo momento, 3 milioni e mezzo di persone hanno rinnovato le loro vecchie maschere anti-gas in 40 centri di
   
  
   Bimbo porta la sua maschera
distribuzione, al ritmo di 20.000 al giorno. Il 30% della popolazione ha già preparato la stanza sigillata. Una piccola guida alla situazione d'emergenza, pubblicata dall'esercito, è stata distribuita per posta a tutte le famiglie in Israele. Il Comando del Fronte Interno dice che alcuni giorni prima dell'attacco, verranno trasmessi dei filmati di spiegazione su come prepararsi alla situazione d'emergenza.
    Negli ultimi giorni, l'Aviazione ha elevato il livello di prontezza, a causa della preoccupazione di una possibile "sorpresa" irachena, in seguito al discorso di Powell, che considerava possibile una violazione dello spazio aereo israeliano da parte irachena, anche prima dell'inizio dell'offensiva americana.


3. Il Fronte Interno: "Preparate i rifugi"

    Yosef Mishlav, capo del Comando del Fronte Interno, ha affermato che febbraio è l'ultimo periodo disponibile per preparativi finali del fronte interno. "Chiunque ne abbia la possibilità, deve preparare i rifugi. Chi non lo fa, potrebbe rimanere colpito", ha ribadito. Mishlav ha anche detto che i sistemi d'allarme sono stati collaudati, in modo che la popolazione possa essere mandata nei rifugi entro pochi secondi dall'avviso dell'imminenza dell'attacco.
    "Abbiamo già condotto e continueremo a condurre diverse esercitazioni per scoprire e identificare il punto di caduta del missile, e ciò avverà pochi minuti dopo l'atterraggio dello stesso. Il nostro obiettivo è di portare le squadre sul luogo nel minor tempo possibile, in modo da poter permettere ai cittadine di uscire quanto prima dai rifugi", ha detto Mishlav.
    Un alto ufficiale del Comando del Fronte Interno ha detto che questo è il momento di acquistare teli di plastica e nastro adesivo (per sigillare le stanze), che per il momento devono essere tenuti in casa. Quando sarà dato il segnale di preparare le stanze sigillate, ha proseguito, sarà possibile farlo senza panico e senza code nei negozi.
    È stata istituita una speciale unità, che, in caso d'emergenza, fornirà medicinali nelle zone ad alta densità di popolazione, dove esiste una grossa concentrazione di bambini, al fine di dare servizi di pronto soccorso, nel caso la gente debba rimanere chiusa in casa a lungo.
    Il comandante dell'Aviazione Dan Halutz ha detto che è stato aumentato il numero degli aeroplani in stato di allerta 24 ore su 24.


4. Test israelo-americano del missile terra-aria: un successo.

    Sei missili Patriot sono stati lanciati da batterie israeliane ed americane, colpendo i loro obiettivi, nel corso di un'esercitazione comune a Israele e gli Stati Uniti, chiamata Jennifer Cobra e destinata alla protezione dei cieli israeliani. Nel corso dell'esercitazione, due batterie di missili Hetz israeliani si sono aggiunte alle batterie di Patriot, che già si trovano nelle loro postazioni d'emergenza, esercitandosi ad affrontare i diversi scenari di lancio di missili terra-terra contro Israele. Vi ha preso parte anche una nave-radar americana, che dovrebbe fornire un'allerta supplementare ed aumentare la capacità di identificare missili nemici. Tutti i missili hanno colpito i loro obiettivi.
    Un comunicato-stampa è stato rilasciato prima dell'esercitazione, sia per evitare il panico fra gli abitanti, sia per dare a Saddam Hussein il segnale che il cappio gli si sta stringendo intorno al collo.


5. Precettazione per gli insegnanti degli asili e delle scuole speciali
in caso di emergenza.

    Il Ministro dell'Educazione, Limor Livnat, ha detto nel corso di un'esercitazione che, in caso di emergenza, saranno dati speciali ordini operativi agli insegnanti degli asili, a quelli delle scuole speciali ed ai loro assistenti. L'esercitazione, condotta nella situation room del ministero, comprendeva il modo di affrontare diversi scenari, quali un attacco di missili terra-terra o di razzi Katiyusha, lanciati su zone residenziali. Nel corso dell'esercitazione, diverse squadre nei vari distretti regionali hanno dovuto reagire a situazioni, quali il funzionamento delle scuole in turni, il soccorso ai bambini feriti e la loro evacuaizone in ospedali, l'attivazione di un orario flessibile, tranquillizzare gli allievi e trattare con i genitori che chiedono di fare uscire i loro figli dalla scuola durante la giornata. Nell'imminenza dell'offensiva, sarà deciso se le scuole rimarranno chiuse per i primi giorni dopo tale attacco.
    Un milione e seicentomila scolari si sono esercitati nelle reazioni ai diversi tipi di attacco e nell'uso dei mezzi di protezione.


6. Gli alberghi di lusso saranno trasformati in ospedali temporanei

    Gli alberghi a 5 stelle lungo il litorale di Tel Aviv ed Herzliya si stanno preparando alla possibilità di dovere ospitare i pazienti che non trovassero posto negli ospedali, in caso di attacco iracheno particolarmente catastrofico. Gli alberghi si sono impegnati ad approntare i loro rifugi per un prolungato soggiorno di pazienti. Alcuni ospedali hanno già rifornito gli alberghi di attrezzature e letti da campo. Fra gli ospedali che hanno fatto tali perparativi vi sono il Beilinson di Petah Tikvah, che trasferirebbe parte dei suoi pazienti al Hotel Dan Accadia di Herzliya Pituah; l'Ichilov di Tel Aviv, che trasferirebbe i suoi pazienti all'Hotel Sheraton, nella stessa città e l'ospedale Wolfson di Holon, che ha raggiunto un accordo con l'albergo Dan Panorama, anche a Tel Aviv.
    Israele ha finalizzato un sistema medico di emergenza, basato su elicotteri dell'Aviazione e su battelli della Marina, che potranno trasportare rapidamente sangue ed attrezzature mediche nelle zone colpite durante la guerra, se vi fosse necessità di curare grandi quantità di feriti. Il Ministero del Lavoro e degli affari Sociali ha inoltre preparato ordinamenti d'emergenza per lavoratori delle industrie farmaceutiche, mentre i ministeri della Difesa e della Salute hanno protetto i loro rifornimenti di medicinali e le attrezzature mediche, in previsione di un attacco.


7. L'Ufficio del Primo Ministro ha istituito "un sistema di informazione" da tempo di guerra.

    Un sistema di informazione nazionale è stato istituito ed approvato dal Primo Ministro Ariel Sharon. Esso coordinerà le pubbliche relazioni e le funzioni di informazione dei Ministeri della Difesa, degli Affari Esteri, della Salute, degli Interni e dell'Ambiente, nonché il Centro delle Amministrazioni Regionali, l'Uffico del Portavoce dell'Esercito, la Polizia ed altri ancora. Il Foro di Coordinamento dell'Informazione si riunirà quotidianamente nel periodo della guerra imminente con l'Irak e deciderà quali messaggi ed informazioni saranno trasmessi al pubblico attraverso i media.. La portavoce dell'esercito, generale di brigata Ruth Yaron, ha ricevuto l'incarico di fungere da "calmante nazionale", e informerà la popolazione su che cosa fare in caso di attacco missilistico contro Israele. Il generale Amos Gilad è stato nominato commentatore ufficiale della situazione dopo un attacco.



8. Gli autisti degli autobus Egged addestrati a guidare con le maschere anti-gas

    L'esercito ha addestrato centinaia di autisti della compagnia di autobus Egged a guidare con le maschere anti-gas e con le tute protettive, in modo da essere in grado di evacuare la gente in caso di attacco missilistico chimico. Un'alta fonte dell'esercito ha spiegato che se un missile cadesse in una zona residenziale, gli abitanti non saranno autorizzati ad abbandonarla con le loro automobili private.
    Un'altra decisione strategica è stata la definizione di Gerusalemme "città rifugio" per gli abitanti della regione Dan (Tel Aviv), in caso di attacco missilistico. Il probelema è che in tutti gli alberghi intorno a Gerusalemme non è quasi possibile trovare camere libere.


9. I ciechi riceveranno libretti di istruzioni in alfabeto Braille.

    Seicento libretti di istruzioni in Braille sono stati distibuiti in Israele ai ciechi in grado di leggere tale alfabeto. Insieme al libretto, i non-vedenti riceveranno anche istruzioni registrate, che saranno distribuite a tutti i 30.000 non-vedenti del paese. Le istruzioni comprendono informazioni su cosa fare in caso di emergenza e come mantenere calmi i cani-guida quando suona la sirena d'allarme. Inoltre, altre 200.000 persone, fra cui non-udenti, handicappati, mentalmente e fisicamente disabili, fra cui 50.000 invalidi dell'esercito riceveranno materiale informativo. In più verrà istituito uno speciale centro di informazioni per disabili, diretto da volontari, operativo 24 ore su 24.


10. Le ambasciate straniere si preparano ad evacuare il personale ed i loro cittadini

    Diverse ambasciate si stanno preparando ad evacuare personale non essenziale e le famiglie dei diplomatici, con l'avvicinarsi della data prevista per l'offensiva contro l'Irak. Il 15 febbraio è stato indicato come la data possibile dell'inzio dell'evacuazione. Alcuni stanno considerando la possibilità di trasferire le loro attività negli alberghi di Eilat o di Taba. Gli americani hanno smentito le voci di un lor piano di traferimento ad Eilat. Almeno due ambasciatori hanno richiesto il permesso di passare la guerra in Egitto, nonostante che tutti i diplomatici e le loro famiglie siano stati forniti di maschere anti-gas. I paesi dell'Unione Europea hanno chiesto ai loro cittadini di stanza in Giordania di abbandonare il Regno entro il 15 febbraio e fare ritorno nei rispettivi paesi.
    D'altra parte, l'ambasciatore britannico Cooper-Coles intende rimanere durante la guerra con l'Irak nella sua residenza ufficiale a Ramat Gan e non trasferirà le attività dell'ambasciata a Eilat o a Gerusalemme. Si presume che il Ministero degli Esteri britanico raccomanderà ai sudditi di S.M. di lasciare Israele con l'inizio della guerra contro l'Irak, mentre al personale non-essenziale dell'amabasciata sarà concesso di trasferirsi a Gerusalemme o a Eilat. L'ambasciatore Cooper-Coles ha detto, in ottimo ebraico, che lui e sua moglie non hanno paura di rimanere a Tel Aviv o a Ramat Gan. Sono convinti che le truppe speciali americane ed inglesi svolgeranno come si deve la loro missione nell'Irak occidentale e non permetteranno a Saddam Hussein di attaccare Israele.


11. Israele si preoccupa per le le Comunità della Diaspora.

    Funzionari di Gerusalemme hanno detto che Israele è preoccupato che le Comunità ebraiche all'estero possano diventare obiettivo di violenze anti-occidentali o di atti terroristici, nell'eventualità di un'offensiva americana contro l'Irak ed ha trasmesso tali preoccupazioni ad un certo numero di paesi. Le Comunità ebraiche in Marocco e in Tunisia sono fra quelle che destano preoccupazioni. Si calcola che circa 4.000 ebrei siano rimasti nell'Africa settentrionale, ma, secondo tali funzionari, questi non sono gli unici luoghi che destano preoccupazione. Essi affermano che, in questo momento, tutto ciò di cui è stato discusso, sono le misure precauzionali.
    "Se Israele venisse collegata con la guerra in Irak, potrebbero esserci tentativi di assalire gli ebrei – ha detto un funzionario – in questo non vi è nulla di nuovo. Israele sta solo chiedendo alle autorità di provvedere alle necessità delle comunità".

(Keren Hayesod, 19.02.2003)



«BARUCH HASCHEM!»


Considerazioni di uno che vive in Israele

In Israele, quando si chiede a qualcuno come sta, si riceve sempre la stessa risposta: «Baruch HaSchem!»
    «Baruch HaSchem» significa precisamente: «Benedetto sia il Nome», nel senso di «Benedetto sia il Signore!» «Baruch» significa «benedetto» e «Ha» è l'articolo della parola «Schem», che significa «Nome».
    Poiché nell'ebraismo non si può pronunciare il nome di Dio, JHWH, invece di Dio si dice «HaSchem», il Nome. E con il «Nome» s'intende l'inesprimibile nome di Dio. Nell'ambiente tedesco non è usuale benedire Dio. I cristiani anglosassoni invece pregano come gli ebrei: «Bless the Lord!», «Benedite il Signore!»
    Quando si chiede a qualcuno come sta, si sente sempre: «Baruch HaSchem!» Che siano ebrei ortodossi o israeliani liberali, donne del mercato o professori, soldati o barbieri, una vera risposta alla domanda «Come va?» non si ottiene mai. Si rimane sempre al «Baruch HaSchem!» La cosa irrita!... perché alla fine uno vorrebbe sapere davvero come sta l'altro. Bisogna quindi continuare a chiedere e sentirsi rispondere cinque o sei volte «Baruch HaShem» prima di venire a sapere come stanno i figli, come è andata l'operazione o come vanno gli affari.
    Ma anche se il «Baruch HaSchem» spesso è solo una frase detta senza pensarci, pare che abbia un effetto buono.
    Da un'inchiesta fatta nella popolazione israeliana è risultato che il 74% degli israeliani è contento della sua vita e il 65% dice che in Israele conduce la vita che desiderava avere. Com'è possibile che nonostante il terrorismo e il continuo pericolo di guerra si possa essere così soddisfatti? Non sembra quasi fatalismo tutto questo? Si teme sempre per i figli, sperando che arrivino sani a casa, che qualche terrorista suicida non li faccia saltare in aria nel loro autobus di scuola. Si teme per i figli e le figlie, sperando che tornino a casa sani dal servizio militare. E tuttavia tre quarti degli israeliani dicono di essere contenti della loro vita in Israele. Può darsi che la soddisfazione dipenda dal fatto che benedicono sempre Dio per ogni cosa, anche se lo fanno soltanto per abitudine.
    Chi siede in uno scompartimento per fumatori, pur non essendo un fumatore, ben presto odora di fumo. Nello stesso modo, il «Baruch HaSchem» rimane nei vestiti, o negli animi, anche di quelli che non sono pii ebrei. E li rende soddisfatti.

Ludwig Schneider    

(NAI-Israel heute, febbraio 2003)


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