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Notizie su Israele 220 - 28 gennaio 2004

1. Scambio tra Israele e Hezbollah
2. Memoria del passato e pregiudizi del presente
3. Come rendere antipatici gli ebrei
4. Da dove viene il maggior pericolo per gli ebrei in Europa?
5. Collaborazione tra ebrei e cristiani nell'opera di assistenza
6. Accade oggi in Israele
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Geremia 10:10-11. Ma il Signore è il vero Dio, egli è il Dio vivente, e il re eterno; per la sua ira trema la terra, e le nazioni non possono resistere davanti al suo sdegno. Così direte loro: “Gli dèi che non hanno fatto i cieli e la terra scompariranno dalla terra e da sotto il cielo”.
1. SCAMBIO TRA ISRAELE E HEZBOLLAH




Il Ministro degli Esteri iraniano: "Lo scambio di ostaggi è un grande successo"

TEHERAN/BEIRUT - Il Ministro degli Esteri iraniano Kamal Charrasi considera lo scambio di ostaggi tra Israele e l'organizzazione radical-islamica Hezbollah un "gran successo" per gli Stati islamici del Medio Oriente. Nello stesso modo si è espresso il Presidente libanese Emil Lahoud.
    La liberazione di più di 400 "detenuti palestinesi, libanesi e arabi dalle prigioni sioniste è una grossa vittoria per il movimento di resistenza (Hezbollah), per il popolo libanese e per il governo libanese", ha dichiarato Charrasi lunedì, citando l'agenzia di notizie iraniana IRNA.
    La maggior parte dei detenuti sono stati arrestati "in azioni di resistenza contro l'occupazione in Libano o in Palestina" o "rapiti in azioni terroristiche degli israeliani fuori del loro paese", ha aggiunto il Ministro degli Esteri.
    Secondo il Presidente libanese, le trattative dimostrano che Israele considera Hezbollah come una legittima organizzazione e non come un gruppo terroristico. E' proprio questo uno dei grandi risultati dell'affare degli ostaggi. "Altrimenti Israele non avrebbe trattato con l'organizzazione", ha aggiunto Lahoud. "Questa è una grande vittoria libanese".
    Nel frattempo il Libano si prepara a ricevere i detenuti liberati. Come riferisce il quotidiano "Ha´aretz", giovedì saranno accolti ufficialmente all'aeroporto di Beirut. Dopo di che saranno portati al loro luogo di residenza per prendere parte ad un'altra cerimonia di accoglienza. Per tutti i detenuti e i loro parenti sono previste delle feste.
    
(Israelnetz Nachrichten, 27.01.2004)

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Un accordo tremendo

Nessuno manchera' di gioire insieme alla famiglia Tennenbaum alla notizia dell'imminente liberazione del loro caro, e nessuno manchera' di partecipare ai sentimenti delle famiglie Avitan, Avraham e Suwad che finalmente potranno dare sepoltura ai loro figli in Israele. Ma, nonostante tutto questo, il criterio che ha portato all'accordo fra Israele e Hezbollah, per lo scambio di prigionieri e salme, merita una severa critica. Dopo il riuscito sequestro di quattro israeliani da parte
I tre israeliani di cui si aspettano le salme
di Nasrallah, Israele ha accettato di fare cio' che si rifiutava di fare prima del ricatto, mentre in cambio non riceve ne' Ron Arad [in mani nemiche dal 1986], ne' informazioni attendibili sul suo conto. La morale e' che colpire Israele con i sequestri di persona, con gli attentati terroristici o con la guerra, e' una strategia che ottiene il risultato di far fare retromarcia a Israele. Il governo israeliano ha una responsabilita' verso Arad e la sua famiglia, verso le famiglie dei tre soldati caduti nell'imboscata a Har Dov e, in misura minore, verso un cittadino che si e' andato a cacciare in una trappola tesagli da Hezbollah. Ma esso ha anche la responsabilita' di soppesare attentamente il conforto dei privati contro il timore che questo tremendo accordo incoraggi i palestinesi e altri ad aggredire ancora Israele allo scopo di realizzare i loro obiettivi nazionali, religiosi o famigliari.

(Ha'aretz, 26.01.04 - israele.net)

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Nashrallah parla ridendo di altri rapimenti

Hassan Nasrallah
L'ex leader di Hezbollah, lo sceicco Hassan Nasrallah, ha detto ridendo in una conferenza stampa che quando sarà concluso l'attuale scambio di prigionieri, con il quale Israele libererà 435 detenuti per riavere l'israeliano Elhanan Tannenbaum e i resti mortali di tre soldati israeliani caduti in Libano, cercherà di rapire altri israeliani. Quando gli è stato richiesto se sia ancora in vita e dove sia tenuto prigioniero Ron Arad, il pilota dell'aereo abbattuto in Libano nel 1986, Nasrallah ha risposto che qusto dipende dal prezzo della trattativa. Un reporter presente alla conferenza stampa ha detto che Nasrallah e la sua banda sono "il diavolo", perché parlano in modo così cinico della vita e della morte delle persone da loro rapite.

(NAI - Stimme aus Jerusalem, 26.01.2004)

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Notizie dell'ultima ora

Lo scambio di prigionieri previsto per domani è stato improvvisamente messo in discussione dallo sceicco Nasrallah, capo dell'organizzazione terroristica Hezbollah, attraverso nuove richieste. Nonostante che Israele abbia alzato il numero dei prigionieri rilasciati da 435 a 462 e che le 59 salme dei terroristi libanesi morti in Israele siano già pronte nelle bare per la consegna, Nasrallah insiste adesso nel chiedere la liberazione di 15 detenuti drusi, tra cui anche il quattro volte assassino Samir Kuntar, che Israele fino ad ora ha rifiutato.

Trasporto della salma di un terrorista palestinese morto in Israele

    Nei territori dell'Autonomia si sono alzate molte voci di persone arrabbiate perché sono contente della lista dei detenuti palestinesi che dovrebbero essere liberati domani. Anche Marwan Barghuti, il capo dei terroristi Fatah-Tanzim, non sarà liberato, cosa che ha fatto arrabbiare la moglie Fadwa e molti palestinesi che sono dalla sua parte. In generale, dai palestinesi tutto lo scambio viene considerato come una vittoria per Israele.
    
(NAI - Stimme aus Jerusalem, 28.01.2004)




2. MEMORIA DEL PASSATO E PREGIUDIZI DEL PRESENTE




La licenza di odiare

di Fiamma Nirenstein
    
    Questa Giornata della Memoria non è come le altre. E’ funestata da un’ondata di antisemitismo che ha invaso le menti e le strade d’Europa: violenza alle persone e alle cose, disprezzo, odio, violazioni, e soprattutto una marea di ripugnanti pregiudizi sono tornati a invadere gli spazi quotidiani. La memoria, per quanto sacrosanta, non è bastata; non è bastato il ricordo pietoso, le lacrime per gli ebrei uccisi nella Shoah. Su di loro non è difficile quasi a nessuno esprimere sentimenti di amore e pietà; è sugli ebrei vivi che scendono aggressività e pregiudizi. E non è un caso che i pregiudizi odierni, secondo tutti i sondaggi, si appuntino soprattutto su quanto di più vivo gli ebrei hanno prodotto, uno Stato democratico dopo tanto esilio e persecuzioni. Non ci stancheremo di ripetere che ogni critica politica che sia tale è non solo giustificata, ma anzi indispensabile, vitale; che per Israele e i palestinesi la soluzione di due Stati per due popoli è quella che la storia richiede.
    Ma ad Israele non sono stati applicati parametri di giudizio politico, ma i criteri che hanno a che fare con i tre stilemi classici dell’antisemitismo: il primo, il «blood libel», la falsa narrativa sul disprezzo israeliano per la vita di innocenti palestinesi, ignorando la complessa realtà della risposta al terrorismo che ormai il mondo intero deve affrontare; il secondo, il doppio registro, per cui a Israele sono applicati criteri particolari: un terzo delle risoluzioni dell’Onu sono contro Israele, e la commissione di Ginevra per i Diritti Umani ha condannato solo lo Stato ebraico in tutta la sua storia. Il terzo, della delegittimazione a vivere, motivata con falsi storici e dichiarazioni di infamità che paragonano, come ha fatto il poeta laureato Saramago, Israele alla Germania nazista.
    E’ questa volgarità concettuale, in gran parte causata dalla paura di contraddire il rampante antisemitismo proveniente dal mondo arabo, che crea l’antisemitismo d’oggi. Il permesso ad odiare gli ebrei lo fornisce la criminalizzazione dello Stato ebraico. Un gran compito dunque attende il Vecchio Continente nella sua fase nascente come entità politica, un compito drammaticamente ineludibile per la stessa definizione dell’Europa.

(La Stampa, 27 gennaio 2003)




3. COME RENDERE ANTIPATICI GLI EBREI




Celebrare gli ebrei morti e dimenticare quelli vivi

di Marina Valensise

ROMA. E’ perplesso Giorgio Israel davanti al fiorire di cerimonie per il Giorno della Memoria, arrivato alla sua terza edizione da ché, nel luglio 2000, il Parlamento italiano ha promulgato una legge di due articoli per “ricordare la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di steriminio, e a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”, organizzando “cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e riflessioni, in particolare nelle scuole di ogni ordine e grado […] affinchè simili eventi non possano mai più accadere”.
    E’ perplesso il matematico della Sapienza, studioso di logica cartesiana e matematizzazione del reale, di biologia matematica e storia economica, di fronte all’“espansione esponenziale di iniziative” nel giorno che ricorda l’ingresso dell’Armata Rossa nel campo di sterminio di Auschwitz, avvenuto il 27 gennaio 1945. “Da un lato temo che si trasformi in una kermesse, quando invece avrebbe bisogno di una sua austerità, di iniziative calibrate e intelligenti. Dall’altro, mi preoccupa l’effetto saturazione. I sondaggi alla fine dimostrano che sono in molti a pensare che gli ebrei ne facciano un uso strumentale. E’ già successo con i Jewish Studies e l’industria dell’Olocausto, denunciata da Norman Finkelstein. Dobbiamo stare attenti a non prestare di nuovo il fianco”.
    Del fenomeno Israel ha già parlato in un saggio sulla questione ebraica pubblicato due anni fa dal Mulino. E da allora, ha avuto modo di constatare l’antisemitismo per reazione che colpisce i liceali di ritorno dalla gita a Auschwitz. “Questi viaggi o si preparano con la dovuta accuratezza e consapevolezza storica, oppure il rischio è che i ragazzi si domandino: ‘Perchè proprio agli ebrei è successa questa cosa tremenda?’, e non sapendo come rispondere si convincano che qualcosa di male l’avranno dovuta pur fare”.
    Sicchè dell’inchiesta di Renato Mannheimer, secondo il quale il 15 per cento dei cittadini europei può essere definito antisemita, non è la percentuale a colpirlo, “se teniamo conto del coefficiente di intolleranza che c’è in giro, non mi sembrano nemmeno cifre tremende”, quanto la “disinformazione storica che essa riflette riguardo la storia degli ebrei, il sionismo e la storia di Israele”.
    Anzichè celebrare e ricordare, dunque, per Giorgio Israel sarebbe meglio mettersi a studiare e cercare di capire. Certo, ben venga la nuova religione civile della memoria e l’abominio della persecuzione antiebraica. Ma il vero nodo è un altro: “L’antisemitismo di oggi è legato a un giudizio sulla situazione mediorientale e sullo Stato di Israele. Celebrare gli ebrei morti senza considerare gli ebrei vivi è un male che si sta aggravando. Si santifica la storia passata del popolo ebraico e si condanna quella presente dello Stato di Israele”. C’è persino chi sostiene, come la vicedirettrice dell’Eurispes Elisabetta Santori, che il collegamento tra popolo ebraico e Stato di Israele sia pericoloso, perchè può fomentare l’antisemitismo. “Lo sostengono anche molti ebrei. Resta il fatto che queste manifestazioni per il Giorno della Memoria spesso contengono elementi di condanna per la politica di Israele. E gli stessi ragazzini che hanno fatto ricerche sull’Olocausto si alzano in piedi col dito puntato contro l’ebreo divenuto persecutore dopo essere stato perseguitato”.
    C’è anche chi, come il gramsciologo Leonardo Paggi, estende il tema dei campi di concentramento al concetto di esclusione, e ci fa su pure un convegno (domani all’Università di Roma Tre). Per Israel “ricordare la Shoah perchè il passato non si ripeta oggi è diventato un concetto onnicomprensivo in cui rientrano anche le favelas brasiliane e Tor Bella Monaca. Ma mettere insieme lager e fenomeni della società globale è un sintomo di malafede, che non aiuta a spiegare quel che è successo”.
    Il tema, certo, è dei più delicati, come prova il dialogo tra Ernst Nolte, che inseguiva il “nucleo razionale dell’antisemitismo nazista”, e François Furet, che invece non voleva nemmeno sentirne parlare. “Se uno mi viene a dire che non esiste una spiegazione razionale di ciò che è accaduto nella Germania nazista, io lo rifiuto. Trovo pernicioso parlare di banalità del male come fece Hannah Arendt, dire che il male non ha spessore, non è profondo, è come un fungo che si propaga e la ragione è impotente. E sono d’accordo con Gershom Scholem, che le rimprovera d’usare uno slogan indegno della profondità mostrata nell’analisi del totalitarismo. Se però mi si vuole dire che si può dare una spiegazione razionale perchè anche i fini dell’antisemitismo erano razionali, come fa Nolte mirando a una sorta di giustificazione, è un altro paio di maniche. E dà ragione a Furet che insisteva sul distinguo”. Ma un conto è il dibattito tra storici, un altro gli atti della pubblica amministrazione. “Mi si consenta però che c’è una commistione impropria. Se il governo deve emanare atti politici faccia un Museo dell’Olocausto, assuma iniziative più profittevoli, contrasti il boicottaggio verso Israele e verso i palestinesi. Ma non mi pare che sia il caso di riservare tutte queste iniziative culturali al 27 gennaio, offrendo per lo più il destro alla condanna di Israele”.

(Il Foglio, 27 gennaio 2004 - ripreso da Informazione Corretta)




4. DA DOVE VIENE IL MAGGIOR PERICOLO PER GLI EBREI IN EUROPA?




Quando la memoria della Shoà viene usata
per criminalizzare gli ebrei


Da un articolo di Yehoshua Amishav
(direttore del dipartimento comunicazione del Keren Hayesod,
gia' portavoce dell'ambasciata israeliana a Parigi e a Roma)

Esiste una sorta di assioma comunemente accettato secondo cui la conoscenza storica della Shoa', vale a dire del tentativo scientifico, sistematico e senza precedenti di cancellare il popolo ebraico dalla faccia della terra, dovrebbe spingere i protagonisti della truce ondata odierna di antisemitismo a riflettere sui loro atteggiamenti. O per lo meno dovrebbe spronare coloro che gli vivono attorno, e i governi dei paesi infettati dall'antisemitismo, a contrastare con energia gli antisemiti. Purtroppo e' tutt'altro che certo che questo assunto possa reggere alla prova dei fatti.
    La domanda centrale che bisogna porsi e': da dove viene oggi il maggiore pericolo per gli ebrei in Europa? Da gruppi marginali di giovani consumati dall'odio, che di tanto in tanto si danno alla profanazione di un cimitero ebraico, o da elite culturali e accademiche che conoscono benissimo la storia del Vecchio Continente? La risposta sembra alquanto evidente.
    Quando Mikis Theodorakis, l'autore del capolavoro "Mauthausen", definisce il popolo ebraico "la radice del male", non lo fa certo per ignoranza di cosa sia stato l'Olocausto.
    Persino un antisemita di prima grandezza come l'ex primo ministro malese Mahathir Mohammed non ha negato l'Olocausto nel suo famoso discorso contro gli ebrei. Al contrario, lo ha esplicitamente citato per sottolineare che nemmeno l'Olocausto ha impedito agli ebrei di dominare il mondo.
    E il premio Nobel portoghese Jose Saramago conosce perfettamente cosa e' stato Auschwitz, ma cio' non gli ha impedito di fare le indegne dichiarazioni che tutti ricordiamo quando ha paragonato Auschwitz a Ramallah durante la sua ultima visita nella nostra regione.
    Oggi, in Europa, non manca una buona conoscenza della Shoa': vi sono ancora parecchi sopravvissuti; una notevole quantita' di libri e di musei offre ogni informazione a chiunque ne cerchi; e' stata istituita una giornata europea per la memoria della Shoa'. E se pure e' vero che le giovani generazioni non ne sanno abbastanza, si tratta di un fatto che si inscrive in un problema generale.
    Lo sviluppo veramente allarmante degli ultimi tre anni e' che sempre piu' spesso la memoria dell'Olocausto viene usata per

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criminalizzare Israele, e per censurare l'appoggio degli ebrei a Israele. E' un fenomeno iniziato vent'anni fa con la guerra in Libano, e che poi e' aumentato fino a diventare senso comune. E cosi', praticamente tutti i rappresentanti di Israele si sentono ripetere continuamente: "State facendo ai palestinesi quello che e' stato fatto a voi durante l'Olocausto". E' un fenomeno cosi' diffuso che due anni fa un portavoce dell'ambasciata israeliana in Belgio e' giunto al punto di chiedere allo Yad Vashem di sospendere le cerimonie di consegna del titolo di "Giusto fra le Nazioni" (i non ebrei che hanno salvato ebrei durante la Shoa') perche' praticamente in ogni cerimonia accadeva che qualcuno dei presenti ne approfittasse per proporre il vergognoso parallelo.
    Circa la memoria dell'Olocausto, sono state stabilite delle regole ben definite: chi difende Israele non ha diritto di menzionare l'Olocausto altrimenti viene accusato di "sfruttare in modo ignobile il sangue di quelle vittime per giustificare i crimini che commette Israele". Viceversa, i nemici di Israele possono usare tranquillamente l'Olocausto per dare addosso a Israele e per sostenere che quello israeliano e' il nuovo regime nazista.
    Questo atteggiamento dimostra quanto sia forte la memoria della Shoa' in Europa. Se non fosse cosi', non avrebbe senso pubblicizzare e diffondere al massimo il paragone Israele-nazisti, questi ultimi assunti come rappresentanti del male assoluto. Come ha scritto l'avvocato Arno Klarsfeld (Jerusalem Post, 12.12.03), si avvicina rapidamente il giorno in cui gli ebrei dovranno lasciare l'Europa oppure vivere da "marrani [clandestini] politici".
    Ecco l'essenza del nuovo antisemitismo. Nessuno scienziato francese si e' mai visto chiedere, nemmeno nei momenti peggiori della guerra d'Algeria, di condannare pubblicamente il suo governo per essere accettato fra i suoi colleghi scienziati. Nessun professore di Oxford ha mai annunciato che non avrebbe mai piu' insegnato a uno studente belga che avesse servito nell'esercito del suo paese, nemmeno quando vennero alla luce le responsabilita' del Belgio e del suo esercito nel genocidio in Rwanda del 1994. Invece il fatto stesso di essere identificato come israeliano implica ostilita'. La presidente di Amnesty International in Israele, Miriam Shlesinger, e' stata espulsa dal comitato editoriale di un periodico britannico di linguistica, e c'e' chi vorrebbe togliere il premio Nobel a Shimon Peres. Da qui a dire agli ebrei: "tenetevi lontani da Israele o non potrete piu' vivere come avete fatto finora senza mettere a rischio la vostra sicurezza" il passo e' assai breve.
    Questi segnali provengono dal cuore stesso del mondo culturale europeo occidentale: da ambienti che non hanno alcun bisogno di sentire lezioni sull'Olocausto. Questa gente, gli educatori della prossima generazione e i modelli con cui si identificano i giovani, rappresenta oggi il piu' grande pericolo per la vita quotidiana di centinaia di migliaia di ebrei in Europa. E' tutt'altro che certo che un incremento degli studi sulla Shoa' possa fare qualcosa per correggere questa nefasta situazione.

(Ha'aretz, 29.12.2003, israele.net)




5. COLLABORAZIONE TRA EBREI E CRISTIANI NELL'OPERA DI ASSISTENZA




L’International Fellowship of Christians and Jews (IFCJ)
assiste settori bisognosi in tutto Israele.

 
L’IFCJ, presieduto dal Rav Yechiel Eckstein, che è anche membro dell’esecutivo del Keren Hayesod, ha cambiato molte cose nella vita di molti bisognosi in tutto il paese. Con l’obiettivo di migliorare i rapporti fra ebrei e cristiani, tramite la costituzione di un largo appoggio ad Israele fra i cristiani, l’IFCJ ha dato lo scorso anno contributi per 20 milioni di dollari a oltre 100 progetti, per aiutare l’immigrazione degli ebrei, il re-insediamento e le esigenze di welfare in Israele.
    Alcuni dei progetti più recenti che hanno sostenuto, contribuiscono a coprire esigenze sociali basilari, quali nutrimento, mobilio e vestiario per le famiglie bisognose; hanno aiutato a portare in Israele, in visita ai loro figli, 65 genitori di soldati soli, originari dell’ex-Unione Sovietica; hanno contribuito a creare “centri di mediazione”, per aiutare gli immigranti a navigare nelle acque della burocrazia e a trovare una risposta alle loro necessità; hanno aiutato gli immigrati a trovare un’occupazione, assistendo le donne nell’apertura di piccole aziende private, aiutando i nuovi immirati a trovare un lavoro e appoggiando nuovi immigrati disoccupati che studiano per diventare infermieri; aiutando gli Etiopi ad inserirsi nel campo dell'hi-tech, assistendo gli Etiopi che studiano per diventare insegnanti e soffrono di varie forme di dislessia; aiutando gli immigrati dall’Argentina ad inserirsi nel campo delle materie plastiche e così via.

(Keren Hayesod, 28.01.2004)




6. ACCADE OGGI IN ISRAELE




La nostra cara bambina

di Carol Rabinovich


Nel mezzo della gioia per il nuovo nipote, il mio mondo crolla.

Mia figlia e mio genero vengono a trovarci in occasione dello Shabbat. La casa è uno splendore, noi indossiamo i vestiti più belli, l’aria profuma di minestra di pollo, le candele sono pronte per essere accese, e poi….
    “Abbiamo deciso di divorziare”, dice lei aspettando la nostra reazione.
    Nostro genero non dice niente. Siamo scioccati e dispiaciuti. I miei pensieri ritornano a quando si sono sposati, sei anni fa, un meraviglioso giorno di luglio. Vedo mia figlia raggiante nel suo vestito bianco che lei stessa si era progettata, ed il suo semplice bouquet di fiori d’arancio.
    “Ci amiamo come fratello e sorella”, lei cerca di spiegare, “ma non come marito e moglie". Nostro genero è stato soggiogato. “E’ per il meglio”, aggiunge lui. Fa pena, siamo certi che non è stato lui a cominciare. Probabilmente c’è una terza parte coinvolta. Lei l'ha convinto che anche lui vuole uscire dal matrimonio, ma il comportamento di lui smentisce le sue parole. Lo amiamo come se fosse nostro figlio e lo abbiamo accettato nella nostra famiglia a braccia aperte. Sarà una perdita anche per noi.
    Il divorzio procede senza intoppi. Non ci sono figli a complicare la faccenda, e la piccola proprietà coinvolta viene divisa con un semplice accordo amichevole.


Siamo contenti che nostra figlia sia felice

    Ben presto veniamo a sapere che il nuovo partner di nostra figlia si è spostato dalla periferia al centro. Insieme hanno trovato casa e dicono di essere veramente felici. Dicono di essere due anime gemelle. Siamo contenti che nostra figlia sia felice. Non è questo il più grande desiderio di tutti i genitori?
    Aspettiamo con pazienza che ci venga annunciato il progetto del loro imminente matrimonio. Aspettiamo invano, e quando con cautela affrontiamo l’argomento, veniamo subito respinti.
    Noi, che con gioia festeggiamo il nostro trentacinquesimo anno di matrimonio, ci sentiamo persi e disorientati. Questo va contro tutto quello che crediamo. Quando i bambini erano piccoli e qualche volta mi sentivo sovraccaricata dalle responsabilità della vita di tutti i giorni, quando sentivo che la mia carriera, la mia crescita personale, i miei studi, dovevano essere messi da parte, tendevo a colpevolizzarmi per la mia insoddisfazione. Questo è il mio destino, argomentavo con me stessa. Se riuscirò a trasmettere loro la nostra eredità, in modo che possano a loro volta trasmetterla ai loro figli, Dayenu - questo sarà abbastanza.
    Alla luce del grande, felice matrimonio di sei anni fa, convinciamo noi stessi a dire che capiamo il rifiuto di nostra figlia a fare delle seconde nozze un grande evento. Facciamo un passo indietro per mostrare comprensione, anche se interiormente ci sentiamo a pezzi. “Andate semplicemente da un Rabbino insieme a due amici come testimoni”, supplichiamo. "Non verremo neppure noi.” Ma la nostra richiesta trova orecchie sorde, e dobbiamo lasciar perdere.
    Siamo combattuti tra l'amore per nostra figlia e il timore che un invisibile cuneo si introduca fra di noi. Dovremo vivere adesso una lontananza emotiva, oltre quella geografica?
    

Il vincolo matrimoniale

    Alcuni mesi dopo, mia figlia e il suo nuovo compagno arrivano per lo Shabbat. “Sono incinta”, annuncia con gioia. Tutti e due sorridono raggianti. Sappiamo che questo è il naturale risultato del loro amore e del loro vivere insieme, ma fino ad ora ci eravamo rifiutati di prendere in seria considerazione questa possibilità. Quello di cui non si poteva parlare, adesso è accaduto. Ci siamo illusi credendo che non pensandoci la cosa non accadrà.
    Le nostre reazioni sono confuse. Da una parte siamo contenti che una nuova vita si stia formando, dall’altra stiamo male da morire. Ma cerchiamo di manifestare gioia per amore di nostra figlia. L’abbracciamo e la baciamo. Si vede che sono così felici e amorevoli l’uno verso l’altro. Ancora una volta ricordiamo a noi stessi che è meraviglioso che lei sia così felice e in pace con se stessa. Possiamo soltanto cercare sollievo nella nostra fede che tutto accade per una ragione ben precisa – anche se fino a questo momento non troviamo alcuna traccia di questa ragione.
    Di notte ci giriamo e ci rigiriamo nel letto. La nostra fede non si dimostra abbastanza forte da sostenerci e quindi decidiamo di riprendere i discorsi sul matrimonio formale. “Che ne pensi dell’impegno?” Abbiamo chiesto a nostra figlia bombardandola di domande. “Perché hai paura di legalizzare il tuo impegno coniugale? Che cosa accadrebbe se decidesse di lasciarti?" “L'impegno coniugale rappresenta il più profondo accordo spirituale fra due persone. Senza quell’impegno”, dico a mia figlia, “lasci sempre aperta la possibilità di cessare la relazione, ed una piena unione non potrà mai essere raggiunta. Il matrimonio è la creazione di una nuova realtà spirituale, nel prendere due metà e farle diventare una sola unità.”
    “Tutto quello che dici è frutto delle convenzioni che pone la società su come dovrebbero vivere le persone,” argomenta lei. “Sono tutte parole, non significa che questo sia il giusto modo di vivere. Soltanto perché va bene a voi, non significa che per forza di cose debba andare bene anche a noi. Il nostro impegno l’uno per l’altro è molto più forte di qualsiasi anello e di qualsiasi benedizione rabbinica.”
    Il suo compagno concorda. “Guarda quanto male hanno provocato le religioni nel mondo”, afferma lui. “Forse un tempo queste convenzioni sociali potevano essere necessarie, ma certamente oggi non hanno più ragione di essere.”
    Continuiamo a discutere pensando al nipote che non è ancora nato. “Avrà bisogno di sapere chi è, da dove viene, qual è il nome della sua famiglia?”
    “Che cosa c’è in un nome?” ribattono.
    “Come puoi rinnegare la tua eredità, la storia della tua famiglia, la tua gente?”
    “Conoscerà chi sono i suoi genitori, e da dove viene”, replicano loro. “Il mondo è cambiato. L’umanità è una in tutto l’universo”.
    Ma il nostro mondo non è cambiato. Mettiamo in gioco l'amore per la vecchia nonna di nostra figlia, la sua ultima nonna superstite. “ La nonna non è più assolutamente in grado di capire. Tutto ciò è completamente fuori dai suoi schemi. Come si può farle affrontare una simile problematica alla sua età?”
    “Lei capisce molto più di quanto tu possa credere”, insiste mia figlia.
    So che la nonna non mostrerà ciò che prova interiormente nel suo cuore, ma lo vivrà nel suo intimo, frà sé e sé. Soffrirà in silenzio, anche quando gioirà per il suo nuovo nipotino.
    Mia figlia manda un messaggio attraverso le sue sorelle, dicendo che gli ultrasuoni mostrano che lei sta aspettando un maschio.
    Comincio a immaginare come organizzare il Bris [circoncisione]. Mi interrogo sulla stranezza di fare un Bris con genitori che non sono sposati. Sto semplicemente giocando al gioco di “cosa succederà se”? C’è una parte di me che sa già che non ci sarà un Bris…?


Il patto con Abraamo

    Il bambino è nato, una bionda, dolce e preziosa creaturina. Diventa subito chiaro che i nuovi genitori sono irremovibilmente contrari al Bris.
    Questa è la nostra finale devastazione. E’ impensabile, da parte di entrambe le nostre famiglie allargate, che un bambino non abbia il Bris. Rompono una tradizione millenaria, un segno essenziale di ebraicità per un bambino. Come è possibile che tutto questo ci accada?
    Discutiamo, cerchiamo di convincere con le buone, supplichiamo, imploriamo. Gli Ebrei sono una stirpe preziosa. Quando un bambino ebreo affronta la vita senza il Bris, di fatto esce dal patto di Dio con il popolo ebraico. Il Bris è talmente importante che per il suo solo merito uno può essere salvato - anche quando nient'altro rimane.
    Ma poiché tutto questo trova orecchie sorde, tentiamo un approccio più razionale. “Se la nostra tradizione per voi non significa niente, che ne pensate della salute? Che ne pensate di tutti gli studi di medicina che mostrano una riduzione delle infezioni e del cancro fra i maschi circoncisi?”
    Ci sentiamo ridicoli ad usare un simile argomento. Per noi tutto questo è molto meno importante del bisogno di avere un bambino che appartenga al patto del popolo ebraico.
    “Per ogni documento di ricerca che dimostra i benefici della circoncisione, ce n’è uno che ne mostra i rischi”, rispondono loro. “Ma questo non è il punto. Lui è nostro figlio e questa è la nostra decisione”.
    Stiamo sbattendo contro un muro. Non capiamo nulla del loro modo di ragionare. Loro non capiscono nulla del nostro. Quando ci alziamo per andare via, l’atmosfera è cordiale ma fredda. Mia figlia ci corre dietro fino alla macchina. Ci dice piangendo che è consapevole di ferirci, ma loro sono fermi sulla loro decisione.


Ci sentiamo falliti.

    
Mio marito è fuori di sé dal dolore. I dolori di un fisico vecchio si manifestano con l’angoscia di uno sconvolgimento emotivo. Il suo volto è bianco, fa fatica a respirare. Sono terrorrizzata al pensiero che gli possa venire un attacco cardiaco, ma non so come calmarlo. La mia testa è come se fosse presa in una morsa di ferro e i miei occhi bruciano per il dolore di lacrime che non scendono. Vorrei poter piangere, ma mi mancano i sentimenti. E’ questo il mio innato meccanismo di difesa contro l’attacco cardiaco?
    Siamo anche alquanto imbarazzati nel dover dare la notizia del nuovo arrivo in famiglia ai nostri soliti parenti. Non vogliamo influenzare i nostri fratelli e le nostre sorelle con il nostro dolore, coinvolgerli nel cerchio delle nostre sconfitte. Siamo imbarazzati, non abbiamo mai dovuto affrontare qualcosa di simile prima d'ora. Vorremmo mantenere questo segreto, anche se sappiamo che sarà impossibile farlo. Non passerà molto tempo che i nostri parenti chiederanno notizie di nostra figlia; e noi dovremo dare loro una risposta.
    Ci sentiamo falliti. Come genitori eravamo orgogliosi di noi stessi per aver insegnato ai nostri figli l’indipendenza di pensiero, uno spirito di libertà e la curiosità di porre certe domande. Non pensavamo che tutto questo si sarebbe ritorto contro di noi, che lei si sarebbe allontanata dai nostri principi di base e avrebbe abbracciato un mondo del tutto diverso, rigettando il nostro.
    Torniamo a casa in macchina a tarda notte. “Mi sento come se mi avessero pestato”, dice mio marito rompendo il silenzio. “Anch’io”. Siamo tutti e due depressi. I muscoli del mio viso sono pesanti, come se non dovessi mai più ridere. Vedo le labbra di mio marito serrate, un chiaro segno che è arrabbiato. Abbiamo ingaggiato una battaglia con la nostra cara bambina, e siamo esausti.
    Attrice e commediante nata, riusciva sempre a far ridere a crepapelle tutta la famiglia quando “faceva il suo numero", di solito il venerdì sera dopo cena. Aveva anche un talento artistico, non comprava mai cartoline d’auguri, ma se le costruiva da sola, e io le ho gelosamente custodite in un cassetto per oltre vent'anni. Era la bambina che sorrideva sempre quando andavo a darle da mangiare o a consolarla durante la notte. Consideravo la nostra una relazione “speciale”. Non era quella della più vecchia e nemmeno quella della più giovane. Era semplicemente un naturale, profondo legame fra di noi.
    Sono passati due mesi. Il bambino acquista peso ed è adorabile. Lo prendo in braccio e lui sistema la sua testina sulle mie spalle. Accarezzo i suoi capelli di seta e respiro il suo odore fresco di bambino.
    Ma nello stesso tempo temiamo, nel nostro cuore, che un'invisible barriera, un muro di dolore ci impedisca di accettare veramente nostro nipote, che senza esserne il diretto responsabile è destinato ad essere diverso dal resto della sua famiglia e distante dal suo popolo. La vita andrà avanti, e noi saremo costretti ad adattarci a questo nuovo e sconfortevole status quo. Siamo tristi per quello che è successo alla nostra famiglia e al nostro popolo, e profondamente amareggiati perché il nostro rapporto con la nostra cara bambina è irrevocabilmente cambiato.

La scrittrice preferisce rimanere anonima ed usare uno pseudonimo.

(Aish.com)




7. MUSICA E IMMAGINI




Baklava




8. INDIRIZZI INTERNET




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