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Notizie su Israele 250 - 29 luglio 2004

1. Intervista al professor Bernard Lewis
2. I paesi arabi non vogliono che si respinga l'antisemitismo
3. L'anarchia nei territori dell'Autonomia Palestinese
4. La stampa araba attacca Yasser Arafat
5. Tra arabi ed ebrei
6. A chi Dio ha promesso la terra, e dove
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Osea 3:4-5. I figli d’Israele infatti staranno per parecchio tempo senza re, senza capo, senza sacrificio e senza statua, senza efod e senza idoli domestici. Poi i figli d’Israele torneranno a cercare il Signore, loro Dio, e Davide, loro re, e ricorreranno tremanti al Signore e alla sua bontà, negli ultimi giorni.
1. INTERVISTA AL PROFESSOR BERNARD LEWIS




Alla fine del secolo l'Europa sarà islamica

Il professor Bernard Lewis, uno dei massimi esperti di islamismo, esprime al quotidiano tedesco "Die Welt" le sue considerazioni sul mondo arabo e sulla questione palestinese.

di Wolfgang Schwanitz

Bernard Lewis

Die Welt: Nel suo ultimo libro "Il paradosso di Atatürk" lei afferma che Atatürk, che ha fondato la Turchia dopo la sconfitta della prima guerra mondiale, ha resistito all'Occidente, ma nello stesso tempo ha posto le basi per accogliere i vantaggi della civiltà occidentale. Si può la dire la stessa cosa anche per l'Iraq?
Lewis: Non del tutto, perché Atatürk cacciò gli invasori, fondò una Repubblica e soltanto dopo si aprì ai valori occidentali. In Iraq invece la dittatura è stata spazzata via dall'esterno. Ma è stata anche imposta dall'esterno. Il potere di Saddam non aveva le sue radici nella cultura arabo-islamica. Si basava su un modello europeo: il nazismo.

Die Welt: Quando è avvenuto?
Lewis: Nel 1940. I francesi si arresero, e il governo di Vichy divenne un satellite tedesco. Così per i tedeschi rimanevano aperti i mandati di governo francesi, dal Libano alla Siria, che usarono per estendere la loro influenza nell'oriente arabo.

Die Welt: In Iraq all'inizio i tedeschi ebbero successo.
Lewis: Sì, perché il regime che i tedeschi hanno costituito lì sotto Rashid al-Kailani era l'apice del loro successo. Come tipo, era un governo nazista, sostenuto da un movimento simile al nazismo, che poi ha sfociato nel partito Baath. La tradizione politica islamica ammette sì autocrazia e ubbidienza, ma respinge dispotismo e dittatura.

Die Welt: Le riforme del diciannovesimo secolo hanno aperto la strada alla dittatura Baath?
Lewis: Certamente. In Iraq allora si trattava o di ammodernamento o di occidentalizzazione. L'Europa era il modello della modernità. Che significava questo? Che bisognava rafforzare l'autorità centrale. Lo Stato ricevette più potere. Nello stesso tempo furono indebolite le forze della società tradizionale che costituivano un contrappeso allo Stato. Fu eliminato tutto quello che era cresciuto in modo organico dall'interno: i bazar, le tribù, i notabili territoriali e i dignitari religiosi. Tutti furono sostituiti dallo Stato, ma i suoi dirigenti si formarono al di fuori dell'ordine sociale.

Die Welt: Quali sono le chance di una soluzione della questione palestinese senza Saddam Hussein.
Lewis: Le chance sono migliorate di non poco. Gli interessati adesso vedono meglio quello che prima o non conoscevano o non osavano dire. Per esempio, da un sondaggio in Gaza in cui si chiedeva qual era la causa della miseria è risultato che solo una minoranza attribuisce la causa agli israeliani. Prima tutti attribuivano la responsabilità a loro. Adesso i palestinesi ritengono responsabili i loro dirigenti. Un grande progresso.

Die Welt: Giocano un ruolo i media in tutto questo?
Lewis: Naturalmente. Israele, buono o cattivo che possa essere nel suo variopinto insieme, è una democrazia e una società aperta. Di questo riferisce la televisione nei paesi dittatoriali circostanti. Nei miei viaggi ho visto che i vicini di Israele seguono i contrasti di opinione che ci sono lì. Qualcosa che da loro praticamente non esiste.

(Die Welt, 28.07.2004)





2. I PAESI ARABI NON VOGLIONO CHE SI RESPINGA L'ANTISEMITISMO




NEW YORK - La proposta dell'Assemblea generale dell'Onu di approvare una risoluzione contro l'antisemitismo è stata violentemente rifiutata dai delegati arabi. Secondo quello che risulta da ambienti dell'Onu, le obiezioni portate avanti dagli arabi sono state espresse in modo così aperto che i delegati europei sono rimasti sconcertati.
    La risoluzione proposta vuole condannare l'antisemitismo come ogni forma di intolleranza e angheria. Vuole inoltre invitare tutti i paesi membri a combattere l'antisemitismo. La grande maggioranza dei paesi membri dell'ONU ha già annunciato che approverà la risoluzione. L'anno scorso, una risoluzione simile proposta da Israele è stata bocciata.
    In una riunione a porte chiuse dei rappresentanti arabi con i rappresentanti europei, tenuta recentemente a New York, i rappresentanti arabi hanno espresso una violenta critica alla risoluzione contro l'antisemitismo. La sua approvazione è prevista per settembre. Secondo quanto riferisce il quotidiano "Ha´aretz", gli europei sono rimasti "scioccati" dal crudo linguaggio con cui gli arabi hanno espresso la loro disapprovazione.
    L'osservatore dell'OLP Nasser al-Kidwe ha attaccato il contenuto del discorso che il Segretario Generale dell'Onu, Kofi Annan, ha tenuto il mese scorso all'Assemblea dell'Onu. Il palestinese ha sottolineato soprattuto l'abolizione della risoluzione del 1975 in cui si equiparava il sionismo al razzismo. Annan si era detto favorevole al fatto che la risoluzione fosse stata ritirata.
    L'ambasciatore giordano all'Onu, principe Siad Hussein, ha detto che la progettata risoluzione contro l'antisemitismo rafforzerà la tendenza a considerare come antisemitismo ogni critica a Israele.
    L'ambasciatore marocchino all'ONU, Mohammed Banone, ha detto che il seminario contro l'antisemitismo è stata un'idea terribile, e che la decisione progettata dividerà semplicemente il mondo in due.
    Il leader della lega araba, il delegato Mahamas Hani, ha ammonito le Nazioni Unite, dicendo che la risoluzione avrà negative conseguenze per il Medio Oriente.
    Osservatori all'Onu hanno riferito che dopo i discorsi dei delegati arabi gli europei hanno lasciato l'incontro depressi.
    
(Israelnetz Nachrichten, 28.07.2004)





3. L'ANARCHIA NEI TERRITORI DELL'AUTONOMIA PALESTINESE




La caduta palestinese nel baratro del caos

di Daniel Pipes

    "C'è una crisi in corso. Uno stato di caos". Così ha affermato Ahmed Qureia dopo aver annunciato le sue dimissioni dalla carica di Primo ministro dell'Autorità palestinese, come qualcuno la definisce. "Ci troviamo in uno stato di caos assoluto", gli fa eco il sindaco di Jenin, una città della Cisgiordania. Questa situazione di caos, sviluppatasi a partire dal settembre del 2000 da quando Yasser Arafat dette inizio alla guerra di Oslo, ha indotto l'Autorità palestinese a dichiarare uno stato di emergenza. Ciò potrebbe segnare la fine della stessa Autorità palestinese.
    In base a un sondaggio dell'aprile scorso condotto dal General Institute for Information, di Gaza, il 94% dei palestinesi ritiene che nei territori dell'Autorità palestinese prevalga uno stato di caos e di anarchia. Le forze di sicurezza palestinesi sono state frammentate e dissolte, e ad esse sono subentrati dei gruppi armati di matrice ignota, che utilizzano una tattica intimidatoria ai danni di una sventurata popolazione. Il Palestinian Human Rights Monitoring Group, con sede a Gerusalemme, reputa che "in seno alla società palestinese, la detenzione di armi è socialmente legittimata".
    Ad esempio, in una Nablus dominata dalle bande, alcuni decessi sono il risultato di attività criminose in vertiginosa ascesa e di avventate accuse "di collaborazionismo" con Israele. Ma la Reuters spiega che la maggior parte delle vittime incorre in errori di persona e nella cattiva sorte. Come emerge da due peculiari episodi del febbraio 2004: "Amneh Abu Hijleh, 37 anni, era entrata in farmacia per acquistare uno sciroppo per la tosse per la sua bambina ed è rimasta uccisa in un tentativo di sequestro. Il tredicenne Firas Aghbar è rimasto vittima di uno scontro tra bande mentre si recava dal barbiere per un taglio di compleanno".
    Come chiarito dal Washington Post, "l'Autorità palestinese è in rovina, spezzata politicamente, interamente corrotta, incapace di assicurare la sicurezza alla sua stessa popolazione, e a quanto pare incapace di prendere severi provvedimenti contro gli attacchi terroristici sferrati ai danni di Israele". Un anonimo membro di Fatah valuta che il 90% dell'attività dei gruppi viene condotta da dipendenti dell'Autorità palestinese.
    Nel febbraio scorso, ad esempio, un poliziotto palestinese venne ucciso e undici rimasero feriti quando fazioni di polizia rivali si dettero battaglia all'interno del quartiere generale della polizia a Gaza. Il 16 luglio i disordini hanno raggiunto il punto culminante, quando i terroristi di Al-Fatah tesero un agguato e sequestrarono per alcune ore il capo della polizia di Gaza; e poi, quando alcuni poliziotti, licenziati di recente, rapirono il direttore del coordinamento militare nella parte meridionale di Gaza.
    Terje Roed-Larsen, inviato delle Nazioni Unite in Medio Oriente, ha così commentato il dilagarsi dello stato di anarchia, rivelando al Consiglio di Sicurezza che "scontri e conflitti tra propaggini delle forze di sicurezza palestinesi sono oramai all'ordine del giorno nella Striscia di Gaza, dove l'influenza giuridica dell'Autorità palestinese sta rapidamente affievolendosi al cospetto del potere in aumento degli armamenti, del denaro e dei metodi intimidatori". Egli ha altresì raggiunto l'allarmante conclusione che "Gerico è in realtà l'unica città palestinese dotata di un corpo di polizia efficiente".
    Questa caduta nel baratro del caos induce a quattro osservazioni:
L'Autorità palestinese raggiunge altre aree del Grande Medio Oriente (Somalia, Sudan, Libano, Iraq, Afghanistan) nel generale andamento verso l'anarchia.
    Nel 1994, Arafat preannunciò che "O daremo vita a una Singapore in seno al nostro Paese oppure cadremo nella trappola del tragico modello somalo". Egli in tal modo ammette che lo slittamento dell'Autorità palestinese verso uno stato di anarchia, come quello somalo, simboleggia il suo stesso fallimento.
    Il detto islamico "Meglio mille giorni di tirannia che uno di anarchia" ha un fondo di verità, poiché la vita nei territori dell'Autorità palestinese è realmente diventata infernale.
Sebbene quasi quattro anni fa Arafat abbia sferrato la guerra di Oslo per distruggere Israele, egli, per ironia della sorte, non sta distruggendo lo Stato ebraico, ma il suo stesso proto-governo.
    Il problema che adesso i palestinesi si trovano a dover affrontare sta nel fatto se essi saranno in grado di trarre le giuste lezioni dalla loro amara esperienza. Per una volta tanto che non incolpano Israele dei loro problemi, ciò offre dei motivi di ottimismo. Cox News Service osserva che "mentre lo stato di disordine si propaga, gli intellettuali e i politici palestinesi considerano sempre più Israele non come il solito capro espiatorio e riconoscono di avere una parte di colpa". La National Public Radio riporta quanto detto da un palestinese in merito al fatto che l'Autorità palestinese si trova nei guai "poiché molta gente viene uccisa, rapita o derubata". Noi tutti accusiamo il governo di inerzia." Un sondaggio condotto dal General Institute for Information di Gaza stima che solo il 29% dei palestinesi ritiene gli israeliani responsabili del fatto che l'Autorità palestinese non sia riuscita ad applicare la legge e a far rispettare l'ordine.
    Questo è un ottimo inizio. Ma per venire fuori dalla difficile situazione politica i palestinesi dovranno accettare l'esistenza dello Stato ebraico di Israele. Finché non matureranno questo ripensamento, il modello somalo rimarrà il loro destino.
    
(New York Sun, 20 luglio 2004 - Archivio di Daniel Pipes)





4. LA STAMPA ARABA ATTACCA YASSER ARAFAT




I crescenti disordini nell'Autorità Palestinese (AP) hanno intensificato gli attacchi contro il suo presidente Yasser Arafat sulla stampa araba: gli editorialisti lo incolpano dell'anarchia e della corruzione nell'AP e gli chiedono di dimettersi. Seguono alcuni passaggi dei diversi articoli:


Il direttore del quotidiano Al-Siyassa del Kuwait: Arafat, come Saddam, ha portato il suo popolo a terrorismo, distruzione e morte.

Ahmad Jarallah , direttore di Al-Siyassa, ha scritto in un editoriale: "Finalmente, i palestinesi hanno cominciato oggi a prendere le redini in mano. Hanno cominciato ad agire direttamente contro gli uomini di Arafat, gli zar della corruzione (...) Arafat stesso deve andarsene, in quanto capo della corrotta AP - e perché la sua sopravvivenza è inutile -, soprattutto ora che il braccio militare del Fatah, organizzazione da lui governata, gli imputa la responsabilità di questa tragedia (...)

Arafat ha distrutto l'essenza della vita dei palestinesi e li ha portati a terrorismo, distruzione e a una morte inutile provocata dalla disperazione. Ha fatto a pezzi la sua terra, come Saddam Hussein ha fatto a pezzi la patria irachena e umiliato il suo popolo. Quest'uomo è entrato nella fase dell'idiozia politica, che si manifesta quando ci si aggrappa al potere sperando nella longevità.

Il leader della corruzione è lo stesso Arafat e i primi a saperlo sono i governanti arabi (...) Sgomberare il sentiero della pace o della road map sarà impossibile finchè quest'uomo, che abusa della vita del suo popolo per sopravvivere, resta al potere". (1)


Il direttore del quotidiano governativo Al-Akhbar in Egitto: "Arafat ha fatto un grande dono a Sharon".

Galal Dawidar , direttore del quotidiano governativo Al-Akhbar, vicino al presidente Hosni Mubarak, ha scritto: "Che gioia per l'aggressore israeliano! Che gioia per il maestro assassino Sharon e la sua gang sanguinaria! Meritano questo meraviglioso dono, che il presidente Arafat ha dato loro grazie alla sua testardaggine e determinazione nel rifiutare le richieste di riforme nell'AP (...)

Reiteriamo la nostra domanda al presidente Arafat che, nonostante quanto accaduto, ha ancora il potere di prendere il controllo delle questioni. E' lui il responsabile: deve rispettare il desiderio del popolo palestinese e della comunità internazionale, agendo rapidamente per riparare la casa palestinese e far fronte ai pericoli e alle cospirazioni contro le speranze legittime e i diritti [della sua gente]". (2)


Il direttore del quotidiano londinese filo Saddam, Al-Quds Al-Arabi: "Arafat ha permesso alla corruzione di diffondersi fino a trasformare l'organismo politico palestinese in un cadavere puzzolente e decomposto".

Abd Al-Bari Atwan , direttore del quotidiano londinese filo Saddam, Al-Quds Al-Arabi, ha scritto: "Il presidente palestinese Yasser Arafat ha perso parecchio del suo onore attaccando il comandante della sua polizia generale Ghazi Al-Jibali . Ha poi perso il rimanente quando ha commesso un errore ancora più grosso, nominando suo cugino generale Moussa Arafat a capo della sicurezza nazionale. Il nuovo comandante non è meno corrotto del suo predecessore ed è detestato dalla maggioranza del popolo palestinese. Forse la frettolosa decisione di nominarlo potrebbe anche portare alla guerra civile nella striscia di Gaza o, nella migliore ipotesi, a una serie di assassini ed eliminazioni (...)

Tutte le istituzioni della AP sono corrotte e illegittime. La corruzione è un male contagioso e il presidente Arafat le ha permesso di diffondersi fino a trasformare l'organismo politico palestinese in un cadavere puzzolente e decomposto (...)

In nome della maggioranza silenziosa, chiediamo ad Arafat di togliere il suo sostegno ai corrotti, li licenzi tutti e utilizzi le forze più giovani, dalle [mani] pulite, tra i palestinesi. Questa è l'unica via d'uscita dall'anarchia e dal declino (...) (3)


L'editorialista del quotidiano governativo giordano Al-Rai: "Arafat s'aggrappa alla sua poltrona a spese del sostegno internazionale a favore del popolo palestinese".

L'editorialista dott. Fahd Al-Fanek ha scritto sul quotidiano governativo giordano Al-Rai: "Arafat ha perso il favore internazionale, ma si aggrappa alla sua poltrona a spese del sostegno internazionale a

prosegue ->
favore del popolo palestinese e della sua causa. E' così diventato un fardello pesante (...) Ora è necessario sacrificare uno stato palestinese per preservare la Muqata [i quartieri generali di Arafat] a Ramallah.

Ora che la situazione è la peggiore che si potesse immaginare, avrà capito il signor Arafat che il suo tempo è passato e che si deve ritirare volontariamente, altrimenti le cose arriveranno alla loro fine naturale per altre vie?" (4)


L'ex-direttore del quotidiano londinese in lingua araba Al-Hayat sollecita nuovamente Arafat a dimettersi.

Jihad Al-Khazen, ex-direttore del quotidiano londinese in lingua araba Al-Hayat, che ha più volte sollecitato Arafat a dimettersi, reitera la sua chiamata: "Secondo la road map, alla quale Arafat ha aderito, le agenzie di sicurezza [palestinesi] avrebbero dovuto ridursi da 12 a tre. Nonostante ciò, egli ha fatto resistenza, annunciando solo qualche misura limitata quando era già troppo tardi. Gli abitanti di Gaza, che avevano chiesto l'allontanamento del capo della polizia Ghazi Al Jabali perché corrotto, hanno dimostrato anche contro la nomina a capo della sicurezza nazionale di Moussa Arafat, cugino del leader palestinese. Avevano chiesto la rimozione di un pubblico ufficiale corrotto solo per accorgersi che Arafat aveva scelto uno ancora più corrotto (...)

A maggio, ho scritto su queste colonne chiedendo ad Arafat di dimettersi. La settimana scorsa, l'inviato speciale dell'Onu in Medio Oriente Terje Roed-Larsen, che è un grande sostenitore dei palestinesi, ha criticato le azioni di Arafat. Se questa è l'opinione [di un amico], allora Arafat deve porsi domande sulle opinioni degli altri e su chi ne è responsabile". (5)

L'editorialista del quotidiano londinese Al-Sharq Al-Awsat: gli arabi devono dire ad Arafat che "il popolo palestinese è più importante di lui".


L'editorialista dott. Mamoun Fendi ha scritto sul quotidiano londinese in lingua araba Al-Sharq Al-Awsat: "Ad Arafat non importa più nulla, eccetto la sua 'libertà di movimento'.

Non gli importa delle dichiarazioni di Larsen [l'inviato Onu] al Consiglio di Sicurezza [Onu] riguardo la fase transitoria, dal ritiro di Sharon da Gaza all'inizio di una piena smobilitazione [dai territori palestinesi] con la liberazione di un milione e mezzo di palestinesi dal giogo dell'occupazione e dell'umiliazione. La libertà personale di Arafat è più importante della libertà dei palestinesi. In tutte le negoziazioni condotte da Arafat, è come se avesse agito secondo il detto (...) 'Se non sono parte della soluzione, rovinerò il gioco'".

Tutti gli arabi, in particolare i loro governanti, devono dire a quest'uomo: 'Questa materia è più grande di te' e il popolo palestinese è molto più importante di Abu Ammar [Arafat]. Le sue azioni non sono una strategia per la liberazione ma manovre di sopravvivenza e [per quanto lo riguarda] i palestinesi, e la regione, possono andare al diavolo.

La questione rimane: Dovremmo imprigionare l'intera regione con [Arafat] nella sua prigione a Ramallah? Oppure dovremmo prima liberare i palestinesi, lasciando Arafat per ultimo? A mio parere, liberare i residenti di Gaza e farli uscire dalle galere di Sharon ha la priorità rispetto alla liberazione di Arafat dalla sua prigione". (6)

Note
(1) Al-Siyassa (Kuwait), 20 luglio 2004.
(2) Al-Akhbar (Egitto), 20 luglio 2004. Galal Dawidar ha anche scritto un articolo contro Arafat su Al-Akhbar il 19 luglio 2004.
(3) Al-Quds Al-Arabi (Londra), 19 luglio 2004.
(4) Al-Ra'i (Giordania), 20 luglio 2004.
(5) Al-Hayat (Londra, in inglese), 20 luglio 2004.
(6) Al-Sharq Al-Awsat (Londra), 19 luglio 2004.


(The Middle East Media Research Institute, 23.07.2004)






5. TRA ARABI ED EBREI




«E' successo un giorno...»

di Claude Bensoussan


A quell'epoca non c'era lo Stato d'Israele, ma gli ebrei vi risiedevano da tempi immemorabili. Non c'erano coloni, non c'era Tzahal, non c'erano territori «occupati»... C'erano invece migliaia di arabi venuti dall'Iraq, dallo Yemen, dalla Siria, dall'Egitto per partecipare con le loro finanze alla rinascita del paese d'Israele. Sapete, quelli che ai nostri giorni si chiamano palestinesi.... sono venuti a seminare la morte e la desolazione su una terra ebraica, occupata episodicamente da arabi, cristiani e soprattutto turchi.
    Nella città di Hebron, nella grotta della Machpela, chiamata anche Tomba dei Patriarchi, riposano i nostri antenati Abraham, Ytshak e Yaacov, con le rispettive mogli. Come vedete, nemmeno un musulmano. E tuttavia, ecco che la stessa nostra memoria ci è contestata. Ne abbiamo l'abitudine, suvvia, non sono né i primi né... Ah sì, sono gli ultimi!
    Dopo di loro, come dice il loro Libro Santo, gli ebrei dimoreranno in pace nel paese che D.o ha promesso ai nostri avi, Abraham e Sarah, Ytshak e Rivka, Yaacov e Lea...
    
    
A Hebron nel 1929

    Il venerdì 18 Mena'hem Av 1929 fu un giorno nero nella storia del popolo ebraico. E' in questo giorno che scoppiarono delle sommosse che in realtà furono un terribile pogrom. Più di settanta ebrei furono sgozzati anche se avevano sempre condotto una vita pacifica nella città in cui sono sotterrati i patriarchi Abraham, Ytshak e Yaacov con le loro mogli.
    Quel giorno Slodo'hine si alzò presto, com'era sua abitudine, per unirsi al primo gruppo di ebrei riuniti per la preghiera del mattino. Poi rientrò a casa sua e si diresse verso la città vecchia. Là, vicino alla «Yeshiva Porat Yossef», si trovava la fucina dove lavorava.
    Youssouf, il suo socio arabo, era già lì; non era strano, perché abitava a pochi metri di distanza. «Buongiorno!» salutò allegramente Slodo'hine. Ma Youssouf non resituì la gentilezza. «Sei diventato pazzo? Non sai quello che sta succedendo tra gli arabi e gli ebrei? Come osi uscire di casa e camminare per la strada? Torna a casa tua prima che ti prendano!»
    Slodo'hine era pietrificato: com'era potuta succedere una cosa simile? Ma la sincerità di Youssouf era reale e lui si affrettò a lasciare la fucina e a dirigersi verso casa. Passò l'hotel Amdourski e arrivò presso la Porta di Giaffa. Ma lì fu costretto a fermarsi. Un gruppo di giovani arabi stava avanzando. Alla loro testa marciava un giovinastro d'una ventina d'anni con una spada in mano. Gridavano slogan minacciosi e nei loro sguardi si leggeva un'isteria criminale: volevano ammazzare qualche ebreo! Subito Slodo'hine pensò di tornare sui suoi passi e scappare per una stradina laterale, ma l'avevano già visto. Quello che marciava alla testa urlò un grido di vittoria alla vista di una preda così facile, e tutti si misero a correre verso di lui gridando. «Sgozziamo gli ebrei, sgozziamo gli ebrei!»
    Slodo'hine si sentiva il cuore in gola, sapeva il suo ultimo momento era arrivato. In un lampo ripensò a sua moglie e ai figli, che non avrebbe più visto.
    Improvvisamente, dall'altra parte della strada vide qualcuno che correva verso di lui. Slodo'hine si disse che certamente veniva ad ucciderlo da dietro. Le sue ginocchia cominciarono a tremare, non riusciva a pensare. La banda dei giovinastri, con il suo capo armato, era ormai arrivata vicino a lui.
    «Non lo toccate altrimenti avrete a che fare con me!» disse l'uomo che stava dietro di lui. Slodo'hine non credeva alle sue orecchie! Anche i giovinastri ebbri di odio dovettero arrestarsi davanti alla determinazione del suo provvidenziale difensore.
    Cercarono di spingerlo, ma quello continuava a interporsi tra loro e l'ebreo.
    «Se uno tocca un solo capello a questo ebreo, io l'ammazzo qui sul posto!» gridò l'uomo, visibilmente risoluto a mettere in atto la sua minaccia.
    L'arabo approfittò della confusione sorta tra i giovinastri per spingere Slodo'hine all'interno della sua macelleria. Chiuse a chiave la porta e serrò le finestre. Una volta che Slodo'hine si fu ripreso dall'emozione, rimase in attesa di spiegazioni dalla bocca di colui che l'aveva salvato da una morte certa.
    «Ti chiederai certamente che cosa m'ha preso per proteggerti. Sappi che, come quelli che ti volevano uccidere, io non amo gli ebrei, e se questo fosse successo a un altro, non avrei mosso neppure un dito per salvarlo. Ma per te, sarei pronto a fare ogni cosa».
    Interdetto, Slodo'hine lo guardava attentamente, ma continuava a non capire. «Non mi riconosci?», gli chiese il macellaio. Fu allora che l'arabo gli ricordò un episodio che lui aveva dimenticato da molto tempo. Era durante la prima guerra mondiale. Slodo'hine era stato arruolato nell'esercito turco ed era stato inviato al fronte a Akaba. Durante un combattimento tra turchi e inglesi lui notò un soldato ferito. Si avvicinò a lui, se lo caricò in spalla per qualche chilometro fino alla prima infermeria, dove restò vicino a lui mentre gli prodigavano le prime cure, fino a che il ferito riprese coscienza. Ed è soltanto dopo questo che ritornò al fronte.
    «Io sono il soldato che tu hai salvato» gli disse il macellaio arabo.
    «Questa mattina stavo davanti alla porta e guardavo in giro tranquillamente. Si stavano preparando le sommosse. Ho visto che eri perduto davanti a quella muta isterica. Non avevo nessuna intenzione di immischiarmi ma ad un tratto ti ho riconosciuto e mi sono ricordato che sei stato tu a salvarmi la vita. Allora ho deciso di salvarti, costi quello che costi».
    Per tutta la giornata Slodo'hine rimase nascosto nella macelleria e fu soltanto a tarda sera che rientrò a casa, ancora tremante, ma pieno di riconoscenza verso D.o per quel miracolo.
    Nelle case degli ebrei si cominciava penosamente a misurare l'ampiezza del massacro: era la fine della comunità ebraica di Hebron, nel sangue e nelle lacrime.
    Per cinquant'anni Hebron sarebbe rimasta vuota di ebrei.
    Ma il fabbro Slodo'hine era stato salvato all'ultimo momento...     

Zevouloun Zachs

(Guysen Israël News, 10.07.2004)





6. A CHI DIO HA PROMESSO LA TERRA, E DOVE




Tre volte Dio ha promesso la terra ad Abramo.
La prima volta fu quando si trovava a Sichem, l'attuale Nablus:

    “Giunsero così nella terra di Canaan, e Abramo attraversò il paese fino alla località di Sichem, fino alla quercia di More. In quel tempo i Cananei erano nel paese. Il SIGNORE apparve ad Abramo e disse: «Io darò questo paese alla tua discendenza». Lì Abramo costruì un altare al SIGNORE che gli era apparso.” (Genesi 12:6-7).
La seconda volta fu mentre si trovava a Betel, circa 20 chilometri a nord di Gerusalemme, a poca distanza da Ramallah.
    “Abramo dunque risalì dall’Egitto con sua moglie, con tutto quel che possedeva e con Lot, andando verso la regione meridionale. Abramo era molto ricco di bestiame, d’argento e d’oro. E continuò il suo viaggio dal meridione fino a Betel, al luogo dove da principio era stata la sua tenda, fra Betel e Ai, al luogo dov’era l’altare che egli aveva fatto prima; e lì Abramo invocò il nome del SIGNORE. [...] Il SIGNORE disse ad Abramo, dopo che Lot si fu separato da lui: «Alza ora gli occhi e guarda, dal luogo dove sei, a settentrione, a meridione, a oriente, a occidente. Tutto il paese che vedi lo darò a te e alla tua discendenza, per sempre. E renderò la tua discendenza come la polvere della terra; in modo che, se qualcuno può contare la polvere della terra, potrà contare anche i tuoi discendenti. Alzati, percorri il paese quant’è lungo e quant’è largo, perché io lo darò a te»” (Genesi 13:1-4, 14-17).
La terza volta fu mentre si trovava a Ebron:
    "Allora Abramo levò le sue tende e andò ad abitare alle querce di Mamre, che sono a Ebron, e qui costruì un altare al SIGNORE. [...] In quel giorno il SIGNORE fece un patto con Abramo, dicendo: «Io do alla tua discendenza questo paese, dal fiume d’Egitto al gran fiume, il fiume Eufrate; i Chenei, i Chenizei, i Cadmonei, gli Ittiti, i Ferezei, i Refei, gli Amorei, i Cananei, i Ghirgasei e i Gebusei” (Genesi 13.18, 15:18-21).
Dio poi ripeté la promessa della terra a Isacco, mentre questi si trovava a Gherar, nell'attuale striscia di Gaza.
    “Nel paese ci fu una carestia, oltre la prima che c’era già stata ai tempi d’Abraamo, e Isacco andò da Abimelec, re dei Filistei, a Gherar. Il SIGNORE gli apparve e gli disse: «Non scendere in Egitto; abita nel paese che io ti dirò. Soggiorna in questo paese e io sarò con te e ti benedirò, perché io darò a te e alla tua discendenza tutti questi paesi e manterrò il giuramento che feci ad Abraamo tuo padre. Moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo e darò alla tua discendenza tutti questi paesi; tutte le nazioni della terra saranno benedette nella tua discendenza, perché Abraamo ubbidì alla mia voce e osservò quello che gli avevo ordinato: i miei comandamenti, i miei statuti e le mie leggi». Così Isacco rimase a Gherar” (Genesi 26:1-6).
Infine Dio ripeté la promessa della terra a Giacobbe mentre si trovava a Betel:
    “Giacobbe partì da Beer-Sheba e andò verso Caran. Giunse ad un certo luogo e vi passò la notte, perché il sole era già tramontato. Prese una delle pietre del luogo, se la mise per capezzale e lì si coricò. Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima toccava il cielo; e gli angeli di Dio salivano e scendevano per la scala. Il SIGNORE stava al di sopra di essa e gli disse: «Io sono il SIGNORE, il Dio d’Abraamo tuo padre e il Dio d’Isacco. La terra sulla quale tu stai coricato, io la darò a te e alla tua discendenza. La tua discendenza sarà come la polvere della terra e tu ti estenderai a occidente e a oriente, a settentrione e a meridione, e tutte le famiglie della terra saranno benedette in te e nella tua discendenza. Io sono con te, e ti proteggerò dovunque tu andrai e ti ricondurrò in questo paese, perché io non ti abbandonerò prima di aver fatto quello che ti ho detto». Quando Giacobbe si svegliò dal sonno, disse: «Certo, il SIGNORE è in questo luogo e io non lo sapevo!» Ebbe paura e disse: «Com’è tremendo questo luogo! Questa non è altro che la casa di Dio, e questa è la porta del cielo!» Giacobbe si alzò la mattina di buon’ora, prese la pietra che aveva messa come capezzale, la pose come pietra commemorativa e vi versò sopra dell’olio. E chiamò quel luogo Betel; mentre prima di allora il nome della città era Luz” (Genesi 28:10-19).
CONCLUSIONE - Tutte le promesse della terra fatte da Dio ai patriarchi ebrei sono state fatte in quelli che oggi si chiamano "territori occupati", sui quali dovrebbe nascere un giorno il futuro Stato arabo.





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