<- precedente seguente --> pagina iniziale arretrati indice



Notizie su Israele 254 - 26 agosto 2004

1. Gli sporchi segreti del giornalismo in Medio Oriente
2. Intervista a Fiamma Nirenstein
3. Le menzogne della stampa araba
4. Perché Israele non può cedere ai detenuti palestinesi
5. Messianismo laico al di fuori della realtà
6. Musica e immagini
7. Indirizzi internet
Isaia 26:11-13. SIGNORE, la tua mano è alzata, ma quelli non la scorgono! Essi vedranno lo zelo che hai per il tuo popolo e saranno confusi; il fuoco divorerà i tuoi nemici. SIGNORE, tu ci darai la pace; poiché ogni opera nostra la compi tu per noi. SIGNORE, Dio nostro, altri signori, fuori di te, hanno dominato su di noi; ma, grazie a te solo, noi possiamo lodare il tuo nome.
1. GLI SPORCHI SEGRETI DEL GIORNALISMO IN MEDIO ORIENTE




Come gli uomini di Arafat sopprimono le notizie

di Jeff Jacoby


Due giorni dopo la liberazione di Bagdad, un responsabile della CNN rivelò che il suo network aveva per anni edulcorato i suoi resoconti dall'Iraq ( Notizie su Israele - 170). In una lettera aperta intitolata "Le notizie che teniamo per noi", Jordan Eason ha confessato che la CNN aveva preso deliberatamente l'abitudine di passare sotto silenzio le atrocità del regime di Saddam Hussein. "Rivelare la verità", scriveva, "avrebbe messo in pericolo le vite di iracheni, in particolare quelle dei nostri collaboratori a Bagdad".
    Impedire le informazioni minacciando i reporter di violenza o di morte è uno degli sporchi piccoli segreti del giornalismo in Medio Oriente. Nella sua memoria del 1989, "Da Beirut a Gerusalemme", Thomas Friedmann scrive che l'intimidazione fisica era l'ostacolo maggiore alla sincerità dei reportage da Beirut negli anni in cui l'OLP di Yasser Arafat teneva il sud del Libano sotto le sue grinfie.
    "C'erano degli argomenti che deliberatamente venivano omessi per paura", ammette Friedman. "Quanti seri rapporti sono stati scritti sulla corruzione della direzione dell'OLP? Si farebbe fatica a trovarne uno solo nei reportage da Beirut prima dell'invasione israeliana". Invece di riferire quello che sapevano, i giornalisti si autocensuravano. "Per tutti i corrispondenti da Beirut, la regola d'ora era di restare in buoni rapporti con l'OLP".
    Era più di venti anni fa. E'cambiato qualcosa?
    In conseguenza degli accordi di Oslo, Arafat e l'OLP presero il controllo della popolazione a Gaza e in Cisgiordania. Riciclati come "Autorità Palestinese", non tardarono a impadronirsi della stampa.
    "Le forze di sicurezza di Arafat hanno arrestato più di trenta giornalisti o editori", notava il Columbia Journalism Review nel 1996. "Mentre sono quasi del tutto affrancati dal giogo della censura militare israeliana, i giornalisti palestinesi sono legati in un altro modo. Reporter Sans Frontieres, un gruppo di vigilanza di stanza a Parigi, ha pubblicato un rapporto... in cui si deplora la politica dell'Autorità Palestinese che consiste nel sospendere i giornali e fare uso di minacce e violenze contro i giornalisti... Il risultato è una stampa sottomessa e compiacente che... raramente s'impegna in giornalismo investigativo e pubblica soltanto... critiche addomesticate al regime".
    Khaled Abu Toameh, un giornalista arabo ben conosciuto che riferisce su Gaza e la Cisgiordania per il Jerusalem Post e US News and World Report, faceva notare recentemente che nessun giornalista professionale e credibile può ottenere un lavoro nei tre giornali palestinesi. "Ci sono molti giornalisti palestinesi professionali", ha dichiarato al Middle East Forum l'aprile scorso, "ma possono trovare lavoro solo nella stampa non palestinese".
    Purtroppo l'intimidazione dei giornalisti si estende ancora di più ai media arabi e occidentali.
    L'11 settempre 2001 gli americani sono stati scioccati dalle immagini di palestinesi che ballano nelle strade per festeggiare gli attacchi terroristi sugli Stati Uniti. Ma quelle scene sono scomparse velocemente dagli schermi, non perché non erano degne d'interesse, ma perché l'Autorità Palestinese aveva ordinato di sopprimerle.
     Un cameraman dell'Associated Press fu conovocato da un servizio di sicurezza dell'Autorità Palestinese e diffidato dal diffondere il materiale che aveva filmato. Un consigliere stretto di Arafat avvertì l'ufficio dell'Associated Press che se il reportage fosse stato diffuso, "noi non potremo garantire la vita del cameraman". Altri organi di stampa furono costretti nello stesso modo a non utilizzare le immagini dei festeggiamenti dell'11 settembre. La maggior parte cedette, e quelle immagini svanirono.
    Ai giornalisti piace coltivare un'immagine di intrepidità, di decisione a pubblicare ogni cosa, costi quello che costi. La realtà non è sempre così eroica. Molte volte i media non sono affatto coraggiosi, e la loro relazione dei fatti, o la loro assenza, può essere fatta risalire alla collaborazione con dittatori o con i loro sicari.
    Nel frattempo l'intimidazione continua.
    Nel giugno [del 2004], Abu Toameh ha riportato sul Jerusalem Post che le "Brigate dei Martiri di Al-Aqsa", un ramo armato di Fatah, avevano rivendicato il pestaggio di un fotografo dell'Agence France Press, rimasto con due braccia rotte. In luglio, il "Sindacato dei Giornalisti Palestinesi", uno strumento di Arafat, ha avvertito che ogni giornalista sorpreso a riportare gli scontri tra gruppi rivali di Gaza sarebbe stato punito severamente. La settimana successiva dei miliziani armati hanno minacciato di attaccare dei giornalisti che lavoravano per delle stazioni satellite arabe, se non avessero smesso di riportare l'agitazione presente in quel momento nel seno dell'Autorità Palestinese.
    "Nel resto del mondo la gente... non ha un'idea esatta di quello che succede in questa regione", ha detto Abu Toameh in aprile. "La colpa ricade in parte sui giornalisti stranieri che si lasciano facilmente ingannare... Il colpevole principale resta tuttavia l'Autorità Palestinese, il cui atteggiamento tirannico e il controllo che esercita sui media creano un'atmosfera di intimidazione e di paura". Per molti giornalisti, così sembra, restare in buoni rapporti con i malvagi della Palestina resta sempre la regola d'oro.

(Jewish World Review, 16 agosto 2004)





2. INTERVISTA A FIAMMA NIRENSTEIN




Dilaga in Europa e soprattutto in Francia un «antisemitismo progressista» .   


Si rinnova l’odio antico verso Israele
    
di Renzo Oberti
    

    Di recente, dopo l'invito rivolto da Ariel Sharon agli ebrei francesi di lasciare la Francia, in considerazione del moltiplicarsi delle aggressioni antisemite, Chirac ha dichiarato di non essere disposto a incontrare il Primo ministro israeliano. Secondo la giornalista e scrittrice Fiamma Nirenstein, inviata della Stampa a Gerusalemme, questo atteggiamento conferma il contenuto del suo ultimo libro, Gli antisemiti progressisti (Rizzoli, 391 pagine, 18,50 euro), nel quale esamina proprio "la forma nuova" in cui si manifesta "un odio antico". "Il nuovo antisemitismo - spiega - è tornato travestito da terzomondismo e difesa dell'autodeterminazione dei popoli. In realtà l'unico popolo al quale è negata l'autodeterminazione è quello ebraico. Il nuovo antisemitismo dilaga in Europa e soprattutto in Francia. Sono centinaia le aggressioni perpetrate nel continente : sinagoghe bruciate, ebrei picchiati o addirittura ammazzati. In Francia ne hanno uccisi due ultimamente, e un adolescente è stato accoltellato. A questo antisemitismo galoppante si aggiunge l'aggressività internazionale fondata su menzogne e pregiudizi contro lo Stato di Israele. Basta pensare che la corte del Tribunale dell'Aia che ha emesso la sua sentenza contro quello che viene chiamato il 'muro' e che invece è un recinto di difesa (in realtà è un muro soltanto nel 3,8 per cento della sua estensione, ma questi dati nessuno li rivela), nelle settantacinque pagine della motivazione non ha scritto una sola volta la parola 'terrorismo'. Come se il muro fosse sorto per un ghiribizzo dello Stato ebraico, un rigurgito di apartheid, di colonialismo."

- Accusa la corte dell'Aia di essere prevenuta nei confronti di Israele ?
"Dico che la corte dell'Aia è un'emanazione delle Nazioni Unite, ed è così imbevuta di pregiudizio antiebraico e antisraeliano, da non riuscire a considerare un problema il fatto che in Israele in tre anni e mezzo ci siano stati più di mille morti sugli autobus, fra cui molti bambini che andavano a scuola, e una decina di migliaia di feriti, molti dei quali rimasti invalidi. Questo però sembra non avere peso : tutto il mondo è impegnato a denigrare lo Stato degli ebrei e gli ebrei nel loro complesso. E questo è ciò che io chiamo antisemitismo progressista."

- Lei scrive che il nuovo antisemitismo è parte del terrorismo internazionale.
"Non tutti gli attacchi terroristici sono antisemiti, anche se parecchi di essi si sono accaniti su bersagli ebraici. Ma è certo che tutti i terroristi sono antisemiti. La loro ideologia somiglia molto a quella che nutriva i nazisti che volevano conquistare il mondo e si facevano una bandiera del loro antisemitismo. E' un'ideologia carica di odio, come disse Bin Laden nel 1998, contro i crociati e gli ebrei. L'ideologia totalitaria islamista che si scaglia contro gli ebrei come se fossero il Male assoluto, riempiendo il mondo musulmano di vignette che mostrano personaggi col naso adunco e le unghie grondanti sangue, o Sharon nudo che mangia i bambini, è uno dei moventi più eccitanti per i terroristi. Dalle grandi comunità islamiche impiantate in Europa simili idee sono passate all'Europa medesima, la quale per paura di riconoscere che il suo magnifico sogno di integrazione e globalizzazione si sta scontrando col grande problema delle ideologie estremiste e terroriste, preferisce non vedere l'antisemitismo dilagante nel suo territorio. Movimenti no global, parapacifisti, estremisti di sinistra e di destra… C'è una congiunzione tra tutti questi movimenti europei, uniti dall'odio per l'Occidente, per l'America, per Israele."

- Che cosa apprezza lei di Israele ?
"Israele è un Paese povero rispetto all'Europa, ma vi sopravvivono quei valori che l'Europa non ha più e che rimpiange. E' un Paese che sente il valore della democrazia perché la deve proteggere, essendo l'unico piccolo Stato democratico in un'immensa zona piena di regimi autoritari. E' un Paese in cui esiste un esercito molto presente e robusto che richiede sacrifici a tutti sin dalla più tenera età. C'è il valore del patriottismo, e quello della libertà da difendere con le unghie e con i denti. C'è il senso della vita.
    Basta vedere quello che accade dopo un attentato. Per due ore la zona in cui è avvenuto è recintata, la gente scompare, e la notte per le strade non c'è nessuno. Ma il giorno dopo un altro autobus è nello stesso punto dell'attentato, la gente vi prende posto, i genitori hanno ancora il coraggio di farci salire i loro bambini, si va al lavoro regolarmente, la sera i negozi e i bar sono nuovamente affollati. Anche un gesto quotidiano insignificante come salire in autobus, in Israele, comporta il coraggio di continuare a vivere. Ed è il piacere della democrazia che dà un senso alla vita in Israele."

- Una democrazia che manca totalmente sull'altro fronte…
"Già, ed è per questo che sostenere la leadership palestinese attuale in realtà è un modo di rendere un pessimo servizio a quel popolo, nel quale ci sono tanti magnifici combattenti democratici, realtà nascoste e perseguitate. Tutto il mondo circostante ambisce alla democrazia e difendere Saddam Hussein e gli altri rais significa fare un terribile dispetto alle popolazioni che vivono sotto il tallone di simili despoti. Credo che l'unica posizione libera sia quella di chi difende le democrazie contro tutti i fascismi e totalitarismi che generano terrorismo. Poi la libertà di critica verso Israele è un'altra cosa."

- Cosa intende dire ?
"Che può piacere di più una politica anziché un'altra, ma bisogna riconoscere che Israele è pieno di valori e di buone intenzioni, e ha fatto di tutto per evitare gli spargimenti di sangue, adattandosi a vivere in una condizione che nessun Paese al mondo avrebbe tollerato. Invece un terzo delle risoluzioni di condanna della Commissione per i Diritti umani dell'ONU concernono Israele. E tre anni fa una conferenza contro il razzismo si risolse in una conferenza razzista contro Israele, e l'antisemitismo non fu citato nelle sue risoluzioni tra i mali da combattere."

- Arafat e altri negano la continuità della presenza ebraica in Palestina.
"C'è un ignobile tentativo di cancellare la storia ebraica in Palestina, una terra costellata di rovine di antiche sinagoghe, di testimonianze delle battaglie combattute dagli ebrei contro i vari invasori, della storia di un popolo che ha pregato ogni giorno, per secoli, per poter tornare a Gerusalemme, nella sua terra. Voler cancellare queste tracce non è un'offesa soltanto agli ebrei, ma alle tre religioni monoteiste che derivano dall'ebraismo, e quindi anche ai musulmani."

- Come vede il futuro del mondo ebraico ?
"Le cose al momento non sono facili, ma qualcosa sta cambiando. Mai in precedenza l'antisemitismo era stato una questione diplomatica affrontata nei forum internazionali. Oggi per la prima volta lo è."

(Brescia Oggi, 24 agosto 2004)





3. LE MENZOGNE DELLA STAMPA ARABA




«Dio chiede agli ebrei di uccidere gli infedeli!»

di Federico Steinhaus
    

I fatti

    Il Middle East Media Research Institute ha segnalato un lungo articolo pubblicato dalla rivista settimanale egiziana “Aqidati”, pubblicata dalla Fondazione Al Tahrir collegata al Partito Nazionale Democratico, che governa l’Egitto; il direttore responsabile del settimanale, Samir Ragheb, è anche l'editore del quotidiano governativo Al-Ghomhuriya. L’articolo è firmato dal giornalista Hussam Wahba.
    Ne trascriviamo alcuni dei passi più interessanti.

"Aqidati ha deciso di combattere una battaglia contro il Sionismo Internazionale allo scopo di svelare le dimensioni del terrorismo che esiste nella dottrina sionista. La verità è che gli stessi ebrei non negano il terrorismo sionista. Chiunque visiti il parlamento israeliano conosciuto come "Knesset" noterà sopra l'ingresso principale una citazione scritta sul muro, che dice: "La pietà nei confronti dei non ebrei è vietata, se ne vedete uno che cade in un fiume o che è in pericolo vi è vietato salvarlo perché tutte le nazioni sono nemiche degli ebrei e quando un non ebreo cade in un fosso l'ebreo lo dovrebbe chiudere con un grande masso finché quello muore, in modo che i nemici perderanno una persona e gli ebrei saranno in grado di mantenere in vita il loro sogno della Terra Promessa, il Grande Israele!"

"Questa citazione è tratta dal Talmud ebraico che è più sacro della stessa Torah..."

"Il dott. Muhammad Abdalla Al-Sharqawi afferma nel suo libro "Gli scandali del Talmud" che il Talmud esprime gli aspetti nascosti della psiche ebraica... I rabbini ebrei l'hanno scritto come risultato della loro profonda frustrazione a causa dell'esilio e della dispersione, che hanno fatto emergere nella psiche ebraica odio e disgusto e rabbiosa esigenza di vendetta e controllo tirannico su tutte le nazioni di non ebrei...
    Il dott. Al-Sharqawi aggiunge che se esaminiamo il modo in cui il Talmud considera gli altri, le nazioni dei non ebrei, vedremo che esso si rivelerà identico al desiderio di annichilire completamente le nazioni dei non ebrei. Il Talmud ad esempio afferma: Assassinare un non ebreo ogni volta che ciò sia possibile costituisce un obbligo. Un ebreo è peccatore se ha la possibilità di assassinare non ebrei ma non lo fa. Ed un prete ebreo che benedice un ebreo che dimostra di aver assassinato uno o più non ebrei è un prete benedetto. Assassinare i non ebrei piace a Dio perché la carne dei non ebrei è la carne di scimmie ed il loro sperma è sperma di animali.
    Il Talmud afferma anche che è giusto per un ebreo uccidere un non ebreo con le proprie mani, perché chiunque uccide un non ebreo offre un sacrificio a Dio.
    Il Talmud contiene anche istruzioni per gli ebrei in modo che se un non ebreo è più forte l'ebreo dovrebbe fare in modo che la sua morte sia provocata in maniera indiretta, e che la colpa di questa morte ricada su una nazione di non ebrei; in tal modo si provocherà un conflitto tra nazioni di non ebrei che si distruggeranno a vicenda. Dio premierà ogni ebreo che abbia contribuito al conflitto fra altre nazioni con la vita eterna in paradiso".

"Il dott. Muhammad Abu Ghadir, che ha diretto il Dipartimento di lingua ebraica dell'Università di Al-Azhar, sottolinea che gli ebrei sono fermamente convinti che violenza e sangue siano le uniche cose in grado di salvaguardare le loro vite.... I libri della religione ebraica raccontano che in tempi antichi Dio abbia detto al fedele ebreo che egli deve avere un nemico, e se non ne ha uno lo deve inventare per poterlo sconfiggere ed uccidere acquisendo in tal modo la benevolenza di Dio ed il suo premio....l'80% dei versetti religiosi (nei libri della religione ebraica) chiedono agli ebrei di uccidere i non ebrei...".

"Il dott. Jama a-Husseini Abu Farha, docente di teologia all'Università di Suez, sottolinea che ciò che i media ci fanno vedere ogni giorno sul comportamento degli israeliani nei territori occupati non è diverso da quanto la loro storia ci mostra sulle loro pratiche inumane nei confronti dell'umanità intera. Basta evidenziare che il Talmud chiede loro di essere delle sanguisughe, e di uccidere e bere il sangue in particolare dei musulmani e dei cristiani, e di usare il loro sangue nei rituali religiosi israeliani.
    Il terrorismo ebraico è arrivato al punto di nascondere che i Dieci Comandamenti - come loro li chiamano - affermano il diritto degli ebrei di saccheggiare e rubare il denaro dei non ebrei e di impadronirsi del loro sangue, del loro onore e delle loro proprietà...".

"Portiamo a conoscenza dei lettori una confessione scritta dal rabbino ebreo noto come Neofita il Convertito al Cristianesimo... egli vi dice che fin dalla tenera età i rabbini insegnano ai loro allievi come usare il sangue dei non ebrei per guarire le malattie e compiere stregonerie... I rabbini usano questo sangue in svariati riti religiosi, tra questi il matrimonio quando un uovo viene spalmato di sangue e la coppia appena sposata lo mangia nella notte di nozze per ottenere il potere di ingannare chiunque non sia ebreo... il sangue è anche mescolato al pane delle feste ed in molti altri riti talmudici...".

"Per queste ragioni questi rituali che sono menzionati dal Talmud e che rivelano la verità sull'attuale modo di pensare terroristico degli ebrei sono certamente aggiornati di tempo in tempo, e non esitano a distorcere l'immagine dell'Islam descrivendolo come una fede terrorista".


L'analisi

    Chiunque abbia una sia pure minima conoscenza della religione ebraica non può che restare allibito dinanzi ad una tale sequela di imbecillità e di palesi menzogne, che per quanto siano arricchite da dotte citazioni restano tali. E tuttavia queste menzogne trovano spazio nei media più prestigiosi e nelle aule universitarie di un paese laico e politicamente filo-occidentale, che da un quarto di secolo vive in pace con Israele. Non solo, ma il verificarsi di un gran numero di altri episodi molto simili a questo lasciano intravedere l'esistenza di un progetto di cui tutto ciò è parte.
    Proviamo pertanto a capirne motivi e meccanismi, per quanto ci è possibile, ben consapevoli che le nostre argomentazioni possono ben poco per scalfire la credulità ed il fanatismo accecante di chi presta fede a queste calunnie.

prosegue ->
In Egitto autori o anche solo mediatori di queste infamanti accuse contro gli ebrei sono docenti universitari, direttori di prestigiose istituzioni culturali, giornalisti influenti; è legittimo ritenere pertanto che alle loro spalle agiscano anche esponenti non secondari della politica e del governo, che si mantengono prudentemente dietro le quinte.
    Non dobbiamo dimenticare che l'Egitto è la patria politica e spirituale dei Fratelli Musulmani, che hanno generato il mostro di Al Quaeda; che il braccio destro di Bin Laden è un egiziano che, per conto dei Fratelli Musulmani, ha a suo tempo assassinato il presidente Sadat, reo di aver firmato la pace con Israele, ed ha tentato poi di assassinare anche l'attuale presidente Mubarak; che l'Egitto nutre da mezzo secolo ambizioni sempre frustrate di leadership panaraba.
    E sta forse in questa ultima notazione la risposta ai nostri interrogativi. L'Egitto, se vuole perseguire la propria ambizione di predominio nello scacchiere arabo, non può trascurare il potente strumento di penetrazione nei meccanismi emotivi e pre-culturali dei popoli arabi che è, oggi, costituito dall'antisemitismo.
    La domanda iniziale, pertanto, è da intendersi su due livelli: perché l'Egitto si faccia portavoce di tali mostruose menzogne, e perché una parte importante del mondo arabo abbia deciso di resuscitare un antisemitismo che altrove, per quanto spesso latente, è tuttavia un relitto del passato.
    La prima domanda ha avuto una risposta che ci pare possa chiarire alcuni aspetti del problema; la seconda richiederebbe analisi più complesse, che qui non troverebbero spazio.Ma alcune considerazioni vanno fatte comunque.
    Il mondo arabo è percorso da violenti sussulti di estremismo, che a sua volta si nutre di fanatismo religioso. La Siria occupa da sempre una posizione di primo piano in questo quadro, ma in realtà a muovere le fila sono gli ayatollah iraniani. Gli Hezbollah che agiscono nel Libano (di fatto divenuto un protettorato della Siria) e Hamas che agisce in Palestina non sono che due dei gruppi che da Teheran ricevono armi, denaro ed ordini; Al Sadr ed il suo esercito di fanatici che cerca di destabilizzare l'Iraq del dopo-Saddam è un'altra delle pedine che Teheran muove sulla scacchiera del potere. In sintonia con la violenza ed il terrore che tutto ciò genera e gestisce troviamo, sempre, anche l'antisemitismo, che ne è al tempo stesso causa ed effetto.
    Questo nazislamismo ha reinventato un antisemitismo che aveva imperversato nell'Europa cristiana del Medio Evo, e poi in quella nazista, ma non solo. Il complotto giudaico contro l'umanità, i progetti di dominio mondiale, l'odio innato per chiunque non sia ebreo, l'omicidio rituale dei bambini cristiani erano sfociati nella demonizzazione del Talmud, proprio come avviene ora. La variante consiste nell'inserimento di elementi tipici del fanatismo e dell'odio di matrice islamica, ad esempio aggiungendo all'uccisione di bambini cristiani quella di bambini musulmani come obbligo religioso degli ebrei.
    Anche l'Arabia Saudita, che ha un ruolo di preminenza religiosa nell'Islam e nel mondo arabo in particolare, ma non ambisce ad uno politico-militare, e che come l'Egitto è apparentemente filo-occidentale, e come l'Egitto ha nutrito con idee e uomini Al Quaeda, diffonde con ampiezza di mezzi l'antisemitismo senza farsi scrupolo di fornirgli una forte connotazione di sostegno ufficiale. E'solamente l'ultimo degli episodi la pubblicazione, avvenuta in questi giorni da parte del giornale Al-Jundi Al-Muslim ("Il soldato musulmano"), edito dal Dipartimento degli Affari Religiosi delle forze armate, di un lungo articolo nel quale si afferma che "la maggior parte delle rivoluzioni, dei colpi di stato, e delle guerre che ci sono state nel mondo, tutte quelle attuali e tutte quelle future, sono quasi interamente opera degli ebrei... allo scopo di obbedire alle imposizioni dei falsi denominati Torah, Talmud e Protocolli dei Savi di Sion che chiedono la distruzione di tutti i non ebrei per poter dominare il mondo...".


Conclusione

    Non è questa la sede per elencare una volta di più tutte le manifestazioni di antisemitismo promosse e diffuse dal nazislamismo in questi ultimi tre anni, né compete a noi entrare nel dettaglio per smascherarne la falsità, a volte anche ingenua, e la subdola macchinazione che, ad esempio, associa in una unica accusa di falso i due capisaldi della religione ebraica (Torah e Talmud) ed il noto falso storico dei "Protocolli" che è, esso sì, alla base delle ripetute accuse di complotto giudaico.
    E', piuttosto, interessante notare che esiste un meccanismo noto a tutti gli studiosi di psicologia per cui si tende ad attribuire ad altri le colpe ed i difetti che sono invece propri. Bernard Lewis ha dimostrato con i suoi libri che l'Islam ne è vittima quando attribuisce al mondo esterno la responsabilità della propria arretratezza culturale e sociale, o la colpa delle sconfitte politiche e militari subìte; questo meccanismo è stato ora trasferito anche sul piano dell'antisemitismo, tanto che le dotte citazioni accademiche firmate da significativi esponenti della cultura egiziana, e da noi parzialmente tradotte, affermano che gli ebrei considerano scimmie i non ebrei, quando notoriamente è invece il Corano che così definisce gli ebrei e gli infedeli.
    Chiudiamo con una domanda non nuova, che tuttavia non ha trovato una risposta esauriente e soddisfacente.
    Per quali motivi, e sotto quali spinte, una parte della sinistra occidentale si associa acriticamente a questa ondata di antisemitismo, ed un'altra parte della sinistra la tollera avvolgendola in un complice silenzio? Indymedia pubblica nel suo sito il testo inglese dei "Protocolli" con una chiosa che lo definisce profetico e verificabile nei fatti dell'attualità: le saldature politiche ed ideologiche fra chi null'altro ha in comune si basano nuovamente sull'odio contro gli ebrei?

(Informazione Corretta, 24 agosto 2004)





4. PERCHÉ ISRAELE NON PUÒ CEDERE AI DETENUTI PALESTINESI




Il Foglio ha intervistato Tzachi Hanegbi, ministro per la Sicurezza interna israeliano, sullo sciopero della fame dei detenuti palestinesi.  
    

«Il ministro di Sharon dice i motivi della linea dura carceraria»


GERUSALEMME. Circa 1.500 detenuti palestinesi reclusi nelle carceri israeliane hanno cominciato domenica 15 agosto uno sciopero della fame, negli istituti di ’Eshel e Nafha, nel sud del paese, e Adarim, con l’intenzione di allargare la protesta, interrotta però ieri da 100 prigionieri. Secondo il quotidiano Haaretz 2.800 persone continuano lo sciopero, in reazione del quale nuove misure restrittive sono state imposte. La radio e la televisione all’interno delle carceri sono state rimosse, è stata sospesa la distribuzione di quotidiani. Sono state cancellate le visite dei congiunti e interrotta la vendita di sigarette. Alla direzione carceraria è venuta perfino l’idea di organizzare barbecue fuori dalle progioni per stimolare i prigionieri a mangiare. I detenuti chiedono la fine di maltrattamenti e intrusive perquisizioni corporali; la rimozione dei vetri che li separano dai parenti durante le visite e telefoni pubblici. Protestano contro le percosse delle guardie carcerarie. La reazione israeliana è stata dura fin dal primo momento. Il ministro per la Sicurezza interna, Tzachi Hanegbi, aveva detto di non avere nessuna intenzione di ammorbidire le condizioni carcerarie. “I detenuti possono scioperare per un giorno, un mese, addirittura andare avanti fino alla morte”. La dichiarazione ha causato molte polemiche, ma il ministro non ritratta. Hanegbi dice al Foglio che “la legge israeliana prevede che, anche se i prigionieri vogliono morire di fame, il nostro obbligo è assisterli, quando si sentono male. Saremo costretti ad alimentarli. Ma l’idea è ancora valida”, spiega il ministro.
    “I 4.000 prigionieri sono terroristi. Almeno il 70 per cento ha responsabilità dirette nell’uccisione di israeliani. Non vedo perché devo facilitare le loro condizioni”.
    Secondo il ministro il motivo per cui non tutti i 4.000 prigionieri hanno aderito all’iniziativa sta nel fatto che la lotta fra le diverse organizzazioni terroristiche palestinesi continua anche dentro le prigioni "La ragione per cui mi sono espresso in maniera tanto radicale è semplice. I prigionieri non chiedono un miglioramento delle condizioni umanitarie. Inchieste legate a diversi attacchi suicidi hanno appurato che certi attentati sono partiti proprio dalle prigioni. Per questa ragione ho ordinato di fare il possibile per rendere minime le loro possibilità di comunicazione con gli attivisti. Le pareti di vetro evitano che vengano passati cellulari all’interno. I prigionieri possono anche lamentarsi per i controlli a sorpresa o per le perquisizioni corporali, ma noi abbiamo trovato oltre 850 cellulari nascosti nelle parti intime dei detenuti. Se devo scegliere fra la morte di un terrorista che non vuole mangiare e quella di un cittadino israeliano che vuole continuare a vivere, non devo pensarci due volte”. Intanto la Commissione delle donne arabe a sostegno dell’Intifada in Siria ha promosso una campagna di solidarietà con i prigionieri palestinesi, organizzando un sit-in a Damasco. Inoltre una delle massime autorità religiose palestinesi, lo sheikh Taysir Tamimi, ha emesso una fatwa dichiarando che ogni morto per lo sciopero della fame sarà considerato martire e ha chiesto a tutti i musulmani di digiunare giovedì in solidarietà. “E’ un sciopero rivolto all’opinione pubblica – dice il ministro – Dopo otto giorni la maggior parte delle persone dovrebbe essere in condizioni pessime, invece il movimento nei cortili dove si gioca a basket è intenso. Alcuni mangiano di nascosto, altri chiedono assistenza medica e mangiano nelle cliniche, per non parlare dei leader: Marwan Barghuti si è fatto sorprendere mentre mangiava in cella”.

(Il Foglio, 24 agosto 2004 - da Informazione Corretta)





5. MESSIANISMO LAICO AL DI FUORI DELLA REALTA'




Le delusioni di Oslo al servizio del disimpegno

di Joel Fishman
membro associato del "Jerusalem Center for Public Affairs"


L'11 agosto, il popolare quotidiano israeliano Yediot Aharonot ha pubblicato un editoriale di Eitan Haber, ex direttore del gabinetto del defunto Primo Ministro Yitzak Rabin. Con il titolo "Non c'è niente di più importante", questo articolo difende appassionatamente l'immediata esecuzione del piano di disimpegno da Gaza del Primo Ministro Sharon e fa alcune straordinarie dichiarazioni. Tradotte in sintesi, esse suonano così:

    1) Dal nostro punto di vista, in questo paese di sofferenza e d'angoscia, non c'è niente di più importante dell'esecuzione del piano di disimpegno.
    2) Qualche migliaio di conferenze stampa del Ministro delle Finanze faranno per l'economia israeliana meno - quanto mi costa dire questo! - dell'evacuazione di Gaza e di tutto quello che il piano di Sharon implica. Nel fondo del suo cuore, Bibi Netanyahu lo sa meglio di chiunque altro.
    3) L'economia, e certamente anche l'ambiente politico e le forze di sicurezza, probabilmente miglioreranno dopo il ritiro da Netzarim.
    4) E'triste e doloroso, ma non abbiamo altra scelta.
    5) Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi dovremo rivolgere tutta la nostra attenzione sui residenti [di Gush Katif] che assisteranno alla distruzione delle loro case, sui soldati e sulla popolazione israeliana, che in maggior parte sarà traumatizzata.
    6) In molti sensi, il piano di Sharon costituirà uno "spartiacque" nella storia dello Stato d'Israele, e potrà perfino riempire le tasche di qualche cittadino più di qualsiasi altro piano economico.
    7) E'importante notare che in questo piano ci sono molti rischi, che però non sono mai così grandi come quelli che stiamo correndo oggi.
    8) E'necessario quindi che gli uomini politici della Knesset, i rappresentanti del Likud, dei laburisti, dello Shinui, di Aguda e altri mettano da parte tutte le loro divisioni per concentrarsi su ciò che è di importanza primaria e storica.

    Analizziamo adesso il significato letterale e profondo di queste affermazioni.
    Haber comincia con la frase "in questo paese di sofferenza e d'angoscia", riprendendo quasi esattamente i termini del discorso di Yitzhak Rabin sul prato della Casa Bianca, nel settembre 1993, quando disse: "Noi veniamo da una terra di sofferenza e d'angoscia". E'la retorica di Oslo. Continua poi dicendo che il lavoro di Netanyahu sul budget è molto meno importante del piano di Sharon. L'affermazione che perfino Bibi lo sa, sottintende che forse non sta agendo in buona fede.
    Haber promette poi dei miglioramenti immediati e radicali dell'economia, della situazione politica e del rapporto di forze militari dal giorno stesso del ritiro da Netzarim. Il disimpegno sarà doloroso, ma non c'è altra scelta. E'un sacrificio necessario, ma traumatizzante, soprattutto per i "coloni". Nondimeno, il piano di Sharon costituirà uno spartiacque nella storia dello Stato e riempirà le tasche di ogni israeliano. Sarà doloroso, ma del tutto preferibile alla situazione attuale. Infine, la sua importanza centrale e il suo significato storico esigono che tutti lo sostengano.
    Questo editoriale di Eitan Haber offre qualche stravagante promessa: il destino d'Israele cambierà immediatamente in meglio; la sua posizione internazionale migliorerà subito dopo il ritiro; i benefici diretti del disimpegno saranno maggiori degli sforzi di Netanyahu e porranno fine al nostro deficit. Circa undici anni fa, promesse simili hanno sedotto gli israeliani, e la società israeliana non ha ancora finito di pagarne il terribile prezzo.
    Golan Lahat, dottorando all'Università di Tel Aviv, ci fornisce gli strumenti per analizzare questo tipo di linguaggio. Nel suo studio della sinistra israeliana e del processo di pace, intitolato "La tentazione messianica" (in ebraico "Ha-Pitui Ha-Meshichi", Tel Aviv, Am Oved 972 series, 2004), Lahat descrive l'esperienza di Oslo come un esempio di messianismo laico fallito con tendenze totalitarie. Egli individua quattro caratteristiche del pensiero messianico laico:
    - rifiuto della realtà attuale;
    - appello al cambiamento rivoluzionario e rigetto della riforma amministrativa graduale;
    - rivoluzione rapida e immediata;
    - convinzione certa che questa è l'unica verità.
    Se si paragonano i quattro criteri di Lahat con il testo di Haber, appare evidente che Haber è colpito da questo tipo di messianismo laico, soprattutto per il suo desiderio di creare una realtà nuova in un breve lasso di tempo.
    Lahat spiega inoltre che il gradualismo, e in modo particolare il gradualismo del sionismo classico, richiede forza, che invece qui manca. Al contrario, si avverte una sgradevole impressione di debolezza e di gratuita disperazione (schmertz). L'autore sostiene che lo slancio messianico del periodo di Oslo si basava sul desiderio degli israeliani di farla finita con la loro condizione di incertezza. E sottolinea che, per l'israeliano medio, il termine "Pace" non significa la correzione dell'ingiustizia del passato ma un aiuto a pagare le prossime vacanze o a comprare un appartamento ai figli. Questa affermazione si attaglia perfettamente all'argomento di Haber: "riempire le tasche".
    Questo modo di parlare e di pensare è pericoloso perché falsa la percezione della realtà e rigetta ogni pensiero razionale. Di più, se si agisce a partire da una percezione della realtà deliberatamente deformata, il risultato sarà certamente disastroso. Un esempio può servire a capirlo facilmente: il sacrificio e il trauma che Haber con tanta leggerezza chiede ai "coloni", nostri concittadini israeliani.
    Allo scoppio del terrorismo palestinese che seguì la firma degli accordi di Oslo, il governo Rabin decise di non rispondere. Yitzhak Rabin razionalizzò la perdita di vite civili ricorrendo al maledetto e menzognero slogan "sacrifici per la Pace" (in ebraico, "korbanot ha-Shalom" ), un'espressione che probabilmente fu forgiata subito dopo l'assassinio di Ofra Felix nel gennaio 1965. Nel febbraio 1996, dopo l'attentato suicida del bus della linea 18 nel cuore di Gerusalemme, Shimon Peres dichiarò: "La pace ha anche un prezzo in vite umane" (in ebraico, "Le-shalom yesh mechir gam be-nefesh").
Ofra Felix
    Secondo Golan Lahat, il sentimento dominante a quell'epoca era che se un radioso futuro è a portata di mano, certe perdite devono essere sopportate con serenità, perché il peggio sarà ben presto alle nostre spalle e un nuovo giorno sorgerà. Ma non è mai sorto. Per nostra memoria, nella scorsa primavera il "prezzo della pace" ammontava a 1.213 morti, di cui 256 dalla firma della "Dichiarazione di principio" del settembre 1993 fino al settembre 2000, e 957 dal 29 settembre 2000 fino al marzo 2004.
    Non sembra che gli architetti di Oslo e i suoi apologeti abbiano mai fatto un esame di coscienza, e nessuno di loro si è fatto avanti per prendere su di sé la responsabilità di un simile costo in vite umane. L'elevato numero di perdite civili che il governo Rabin e i suoi successori hanno scelto di accettare è un argomento che è stato rimosso, ma che deve invece essere esaminato onestamente, completamente, e criticamente messo in conto. Non si decreta l'inizio di una nuova epoca a volontà. C'è stata una sola Genesi (Bereshit). Proclamare ogni tanto un nuovo inizio della storia può essere un buon modo per sottrarsi alla responsabilità del passato. Ma la storia non si ferma, e le tracce restano archiviate. Poiché quelli che hanno partecipato, direttamente o indirettamente, al più recente sbandamento messianico d'Israele, il processo di Oslo, non si sono assunti la responsabilità di una cosi grande perdita di vite umane, non hanno alcuna autorità morale per chiedere ai loro concittadini sacrifici di qualsiasi tipo.

(Makor Rishon, 20 agosto 2004)





6. MUSICA E IMMAGINI




Shir Habokrim




7. INDIRIZZI INTERNET




Kahane.org

Christians for Israel




Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse liberamente, citando la fonte.