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Notizie su Israele 284 - 1 marzo 2005

1. Svolta nella politica per l'immigrazione in Israele
2. La Destra israeliana nel XXI secolo
3. Inaspettata testimonianza
4. Resti di tempio di 40 mila anni fa
5. Convegno sulla storia degli ebrei in Italia
6. Il sentimento di «dhimmitudine» degli europei
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Zaccaria 8:22-23. Molti popoli e nazioni potenti verranno a cercare il Signore degli eserciti a Gerusalemme e a implorare il favore del Signore. Così parla il Signore degli eserciti: «In quei giorni avverrà che dieci uomini di tutte le lingue delle nazioni piglieranno un Giudeo per il lembo della veste e diranno: “Noi verremo con voi perché abbiamo udito che Dio è con voi”».
1. SVOLTA NELLA POLITICA PER L'IMMIGRAZIONE IN ISRAELE




ISRAELE - La Jewish Agency ha deciso di concentrarsi di più sulle comunità dell'occidente e quindi per la prima volta gira le spalle all'est. Con questa decisione, i mezzi finanziari messi a disposizione per l'immigrazione dai paesi dell'ex Unione Sovietica saranno gradualmente diminuiti. Negli ultimi 15 anni circa 1,1 milioni di persone sono immigrate in Israele, e di queste circa 200.000 ebrei nell'anno record 1990. Adesso la grossa ondata di immigrazione dall'est ormai è finita e quindi bisogna rivedere tutto.
    Nel 2004 soltanto 11.000 persone sono immigrate in Israele dall'ex Unione Sovietica. La direzione della Jewish Agency è quindi dell'idea che ormai non ha più senso stanziare annualmente milioni di euro per così pochi immigranti.
    Ma c'è anche un altro motivo per questa decisione della Jewish Agency. Sta crescendo la spinta delle ricche comunità ebraiche del Nord America, che insistono nel chiedere che i soldi dei donatori siano usati per incoraggiare l'educazione sionistica all'interno delle comunità ebraiche dell'occidente. Secondo dati della Jewish Agency, negli anni 2003 e 2004 ci sono stati 22.651 immigrati dagli stati dell'ex Unione Sovietica, 6.721 dall'Etiopia, 3.989 dagli USA, 3.792 dalla Francia, 1.851 dall'Argentina e 696 dalla Gran Bretagna.

    
"L'est non vale più la pena"

    Con queste parole è stato sintetizzato uno dei primi passi fatti quest'anno per gli immigrati russi: l'importo a loro dedicato, che fino ad ora era di 26 milioni all'anno, nel 2005 sarà diminuito del 30%. I fondi che in questo modo si libereranno andranno a beneficio delle comunità ebraiche del Nord America e della Francia. "Siamo di fronte a una drastica svolta nel nostro lavoro quotidiano", spiega il responsabile delle finanze della Jewish Agency in Israele, Shai Hermesh. "Per gli 11.000 ebrei che vengono dall'est non abbiamo più bisogno di impegnare le risorse finanziarie come prima, e inoltre negli USA vivono 5,2 milioni di ebrei che oggi costituiscono nel mondo la più grande comunità ebraica della diaspora." A questo si aggiunge che i donatori ebrei vogliono sempre di più decidere dove devono andare i soldi delle loro offerte. Il bilancio annuale della Jewish Agency ammonta a 120 milioni di euro e proviene principalmente dalle comunità degli USA (United Jewish Committee). Molti soldi devono essere impegnati per permettere a 20.000 giovani di famiglie ebree degli USA di passare un anno di studio in Israele - con la speranza che metteranno lì le loro radici.
    
    
Nessun motivo per venire in Israele

    La comunità ebraica degli USA si vede sempre di più esposta al pericolo dell'assimilazione, perché sempre più ebrei si sposano con non ebrei. Per questo la Jewish Agency vuole fare qualcosa il più presto possibile, soprattutto per favorire la politica di immigrazione in Israele. Al contrario degli ebrei russi, che sono immigrati a ondate a causa del passato comunista, la comunità ebraica del Nord America deve anzitutto essere convinta dei motivi per cui vale la pena di immigrare in Israele. Per il momento gli ebrei americani non vedono alcun motivo per tornare nella lodata Terra, perché la vita negli USA è molto più comoda che in Terra Santa. "Prima dovevamo concentrarci quasi esclusivamente sull'immigrazione, oggi invece dobbiamo concentrarci soprattutto sull'educazione sionistica tra gli ebrei nordamericani", dice il presidente del dipartimento dell'immigrazione della Jewish Agency, Arie Asulai.
    Fornisce inoltre un'altra ragione che ha spinto la Jewish Agency verso la sua recente decisione. Negli ultimi otto anni, la Jewish Agency è stata spesso criticata da partiti ortodossi della Knesset perché in Israele immigrano sempre più non ebrei, e non soltanto ebrei secondo la legge ebraica Halacha, cioè figli di madre ebrea. Ma secondo la legge di immigrazione israeliana ha diritto di immigrare in Israele chiunque può dimostrare di avere un genitore - o un nonno - ebreo, o che è sposato con un ebreo. Ma su questo gli ebrei ortodossi non sono d'accordo, e insistono per un cambiamento della legge.
    

Il Nord America cerca di attirare ebrei

    Oltre a questo, c'è anche il fatto che il governo americano, e anche quello canadese, cercano di attirare ebrei dalla Francia, entrando così in concorrenza con Israele. Soprattutto le comunità ebraiche del Canada "combattono" per convincere gli ebrei francesi a non emigrare in Israele, ma nei territori francofoni del Canada. A Parigi ci sono stazioni radio ebraiche che allettano gli ebrei con Greencards, invogliandoli a venire in America. Gli ebrei francesi che nonostante tutto preferiscono immigrare in Israele attribuiscono alla Jewish Agency la responsabilità di non fare abbastanza per invogliare gli ebrei che vivono in Francia a venire in Israele.
    
(israel heute, febbraio 2005)





2. LA DESTRA ISRAELIANA NEL XXI SECOLO




Il nuovo Likud di Sharon

La destra israeliana ha sempre vissuto di contraddizioni. Secondo un sondaggio di “Haaretz” del 1998 la maggior parte degli israeliani considerava “di destra” il mondo religioso israeliano. E questo avveniva prima che Ariel Sharon portasse ancora più in auge il mondo ultraortodosso nei suoi governi durante l'Intifada. Ma chi fa parte della curiosa “tribù dei neri”, come li chiamano i laici israeliani? Satmar, Belzer, Gor, Lubavitch sono solo alcuni dei nomi delle comunità “haredim”, in ebraico “timorati”, che vivono polarizzati all'interno d’Israele, a Gerusalemme nel quartiere di Meah Shearim, a Tel Aviv in quello di Bne Brak.
    È intanto crollato, e non ha più senso parlarne, il vecchio luogo comune, tutt'oggi resistente sulla stampa progressista, per cui i sefarditi sarebbero in lotta e si sentirebbero emarginati dall'establishment ashkenazita, quello di Ben Gurion, Golda Meir ed Eshkol, dei padri del 1948: fondamentali figure della politica israeliana di oggi, da Mofaz a Ben Eliezer a Katzav, sono sefarditi, chi viene dall'Iran e chi dall'Iraq, a dimostrare che quella barriera è destinata a cadere del tutto. Il Partito religioso nazionale (Nrp), il più grande della destra religiosa, è l'unico che attrae voti da tutti i gruppi etnici ebrei e attribuisce un valore quasi sacrale al sionismo e sono molto attivi negli insediamenti. I sostenitori dell’Nrp, a differenza degli altri, frequentano infatti le università e lavorano nelle professioni e nei settori più moderni dell'economia.
    La divisione fra i partiti religiosi attraversa le linee etniche del Paese: i membri di Shas provengono prevalentemente da ebrei osservanti di famiglie di origine nordafricana; Yadahut Hatorah (nato da un'alleanza di due partiti, Agudath Israel e Degel Hatorah) prende invece i voti degli ebrei osservanti di recente immigrazione dall'Europa orientale.
    Oltre a quella etnica, c’è anche una evidente frattura generazionale e di provenienza: il 27% è nato in Israele da genitori nati anch'essi in Israele; il 10% è nato in Israele da genitori nati in Asia, l'11% da genitori africani e il 15% da genitori nati in Europa e in America; il 5% è nato in Asia, il 7% in Africa, mentre il restante 25% proviene dall'Europa e dall'America (dati del Central Bureau of Statistics).
    Da un punto di vista religioso la suddivisione della società israeliana è tripartitica: osservanti per il 20%; tradizionalisti (29) e laici (51). Per quanto riguarda invece il grado di osservanza della “Halakhà”, cioè la legge ebraica, il quadro è simile: strettamente osservanti il 14 per cento; abbastanza osservanti il 24, saltuariamente osservanti il 41 e non osservanti il 21. Così il 66 per cento dei bambini israeliani frequenta scuole laiche, il 21 scuole confessionali finanziate dallo stato e il 13 scuole confessionali private.
    Stando a un sondaggio condotto nella città di Beersheva nel Neghev, si è rilevata una differenza fra gli israeliani originari dal Marocco, dall'Iraq, dalla Polonia o dalla Romania. Si definiscono "non osservanti" il 75 per cento di coloro che provengono dai due paesi europei, il 39 per cento di coloro che provengono dall'Iraq e il 27 per cento di coloro che provengono dal Marocco.
    A dimostrare ancora una volta che è soprattutto nel mondo sefardita e “arabo”, e nel mondo originario d'Israele (i cosiddetti “sabra”) che la religiosità ebraica ha oggi il suo cuore e la sua linfa pulsante. Il Likud, partito rappresentante una destra laica e aconfessionale, ha sempre attuato un'acuta politica di difesa delle minoranze ebraiche, sia orientali sia religiose, soprattutto per aiutare gli ebrei diasporici in difficoltà: fu Begin in persona ad adoprarsi per l'aliah, l'emigrazione degli ebrei etiopi, avversata dal Gran Rabbinato sefardita. La vittoria della destra del Likud nel 1977 e il peso politico crescente degli ultraortodossi, sostenuti dai sefarditi, nascono quindi dall'errore di valutazione degli askenaziti, che sin dalla nascita di Israele hanno emarginato o semplicemente ignorato i loro “fratelli poveri”. Solo nel 1997 e in modo poco convincente in nome del suo partito Ehud Barak si è scusato per le discriminazioni attuate dal laburismo nei confronti delle Edot ha Mizrah nei trent'anni del loro governo.
    Ariel Sharon oggi gode di un enorme credito, di un sostegno interpartitico e riscuote il plauso di molta parte della sinistra israeliana proprio perché erede prima di tutto della scelta di un partito laico e aconfessionale che da solo ha saputo raccogliere la sfida religiosa ed etnica. E farne un punto di forza.

(Avanti!, 25 febbraio 2005)





3. INASPETTATA TESTIMONIANZA




Eichmann, il vicino di casa di mia nonna

Una singolare ricerca promossa alla media Bellavitis sulle tragedie della seconda guerra mondiale.

di Annamaria Bizzotto

BASSANO - Scuola Media "Bellavitis". Una ricerca promossa in classe, avente per oggetto la raccolta di testimonianze di chi visse la tragedia della seconda guerra mondiale e l'immediato dopoguerra, ha portato alla luce una testimonianza del tutto speciale.
    Eichmann, il vicino di casa di mia nonna. Eichmann in Argentina, anni Cinquanta. Tutte le sere, alle 7,40, un signore di mezza età, Ricardo Klement, scendeva da un autobus alla periferia di Buenos Aires e copriva con passo lento la distanza di cento metri che lo separavano dalla sua casa di via Garibaldi.
    All'apparenza, si trattava di un normale signore che conduceva una vita metodica, ma un cieco, che aveva conosciuto il signor Ricardo Klement, giurava di aver "riconosciuto" in lui Adolf Eichmann, l'ex colonnello delle SS responsabile dello sterminio di milioni di ebrei durante il regime di Hitler.
    L'informazione giunse agli orecchi degli agenti segreti israeliani che da tempo davano la caccia ai criminali nazisti. A più riprese quest'uomo venne pedinato finché, nel 1960, il Mossad ebbe la certezza assoluta che Ricardo Klement era in realtà Adolf Eichmann. Iniziò allora una drammatica corsa contro il tempo per sottrarre il nazista alle autorità argentine e al rischio che ancora una volta la facesse franca. L'obiettivo perseguito dagli agenti israeliani era chiaro: catturare Eichmann vivo e portarlo in Israele dinanzi al tribunale del popolo ebraico. La difficilissima operazione fu condotta a termine con successo. Nonostante drammatici intoppi , lo spietato criminale venne trasportato all'aeroporto di Buenos Aires travestito da meccanico, per eludere ogni controllo, e imbarcato su uno speciale volo "diplomatico" con destinazione Gerusalemme. Il 13 dicembre 1961 Eichmann fu giudicato responsabile di "genocidio" e condannato a morte dal Tribunale di Gerusalemme.

    Una signora di Buenos Aires che conobbe personalmente Eichmann in Argentina è Julia Alessandrello, nonna di un'alunna che frequenta la terza media nella scuola cittadina "G. Bellavitis". Raggiunta telefonicamente dalla nipote, la signora Julia ha ricordato i momenti in cui ha avuto come vicino di casa Adolf Eichmann, conosciuto come il signor Ricardo Klement, prima che si trasferisse nella casa di via Garibaldi.
    La signora Alessandrello gestiva un negozio di generi alimentari nel quartiere Olivos, alla periferia di Buenos Aires, dove alcuni tedeschi, ex SS, avevano trovato rifugio nel dopoguerra.
    Questa la sua testimonianza.
    "La prima volta che vidi Eichmann fu mentre entrava nella sua bella casa con la moglie, nel quartiere Olivos (la via in cui abitava l'ex nazista era una combinazione bizzarra di case modeste e residenze di lusso, abitate soprattutto da tedeschi, ex SS, ndr) . Abitava a 100 metri da casa mia e sembrava una persona simpatica, sui 40-45 anni. Avevo degli amici che lo conoscevano un po' e lo descrivevano come una persona non molto socievole, forse perché viveva con la paura che qualcuno lo riconoscesse, ma comunque una persona intelligente e simpatica. Nulla che facesse sospettare che dietro le sembianze di un uomo felicemente sposato e con quattro figli, si nascondesse un criminale nazista. Eichmann lavorava a Pacheco, una cittadina brutta e povera, nelle autofficine Mercedes. Un giorno un suo amico mi disse che il signor Klement, cioè Eichmann, si sarebbe trasferito in un altro quartiere periferico della città, San Fernando, solo per comodità di lavoro.
    San Fernando è un quartiere grande come la città di Vicenza, si trova vicino al fiume Tigre che spesso allora straripava. A quei tempi non c'era la luce e le strade erano di fango. La sua casa si trovava in via Garibaldi ma ora non c'è più, è stata demolita su richiesta dei discendenti di Eichmann: il luogo, infatti, divenne meta di un tristo via vai di curiosi che si arrampicavano dappertutto per vedere l'ultima dimora del criminale nazista.
    Mentre Eichmann abitava ancora nel nostro quartiere, Olivos, ci fu, per la verità, un momento in cui vedemmo qualcosa di strano ma non capimmo le ragioni. Tutti i giorni da un furgoncino color panna scendevano delle persone straniere. Sentimmo subito che non erano delle nostre parti: a quei tempi non passavano inosservate, poiché il turismo non esisteva. Questi quattro signori, che facevano parte, come si seppe poi, del servizio segreto israeliano, mandati per catturare Eichmann, prendevano ogni giorno il caffè nel bar di fronte al mio negozio. Un giorno i miei figli stavano giocando a pallone vicino al furgoncino. Il pallone cadde dietro al furgone, così i bambini andarono a recuperarlo, sbirciarono dentro e videro che il furgone era carico di fiale di sangue, siero e materiale per le flebo. I bambini corsero da me spaventati e mi raccontarono il fatto. Io pensai che l'episodio fosse frutto della loro immaginazione, così li calmai dicendo loro che erano giocattoli per i bambini poveri. Raccontai però il fatto a mio marito che cominciò a sospettare qualcosa di strano, ma non sapevamo se dirlo alla polizia o meno. Alla fine non chiamammo nessuno.
    La notizia della cattura di Eichmann fu riportata con grande rilievo da tutti i giornali, stentavamo a credere che Ricardo Klement fosse il gerarca nazista e che i quattro uomini del furgoncino fossero dei servizi segreti di Israele.
    La cosa che mi scosse di più fu saper che lui dichiarasse apertamente di

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essere contento di avere progettato con Hitler il piano del genocidio degli ebrei".
    La storia non si fa con i se e con i ma.... ma sorge spontanea una domanda: che cosa sarebbe successo se la signora Julia e suo marito avessero denunciato alla polizia i loro sospetti? Si sa che Eichmann godeva di grandi protezioni e non si può escludere che, avvertito da qualcuno del pericolo, si sarebbe eclissato di nuovo. La Storia decise diversamente: Eichmann fu processato e impiccato a Gerusalemme, nel carcere di Ramleh il 31 maggio 1962. Una fine scontata se si pensa che perfino il figlio ultimogenito del criminale nazista, Ricardo Eichmann, (oggi stimato professore di archeologia all'università di Tubinga), stringendo la mano all'agente israeliano che 35 anni prima aveva catturato suo padre , nel 1995 si espresse con queste parole: "Capisco perché gli ebrei, 20 anni dopo Olocausto abbiano deciso di condannare a morte mio padre".

(Il Gazzettino On Line, 25 febbraio 2005)





4. RESTI DI TEMPIO DI 40 MILA ANNI FA




FIRENZE - I resti di un tempio, o meglio un luogo rituale di culto, risalenti a 40 mila anni fa, sono stati scoperti sull'altopiano Har Karkom, un plateau di 850 metri sul livello del mare che, secondo molti studiosi, sarebbe il vero monte Sinai della tradizione biblica e che si trova a nord dell'omonima penisola, tra le citta' Eilat e Mizperamon.
     Ai piedi sono inoltre stati trovati segni di accampamenti risalenti alle ipotetiche date dell'esodo degli ebrei dall'Egitto.
    La scoperta e' stata fatta nel corso della spedizione archeologica italiana nel Sinai e nel deserto del Negev, diretta dal professor Emmanuel Anati, fondatore e direttore del Centro Camuno di Studi Preistorici, che ha sede in Valcamonica, in provincia di Brescia, e che e' stato docente di preistoria all'universita' di Tel Aviv e di Paletnologia all'universita' di Lecce. Anati, che da 24 anni svolge ricerche nella zona a nord del Sinai e nel deserto del Negev, illustrera' le sue recenti scoperte mercoledi' prossimo, 2 marzo, alla 10,30 a Livorno, nella Biblioteca Labronica, in occasione della Conferenza Enriques 2005.
    I resti individuati sul Har Karkom risultano ad oggi, secondo il professor Anati, quelli del tempio piu' antico del mondo. Si tratta di una serie di monoliti antropomorfi, una quarantina in tutto, sistemati in un avvallamento, invisibile dal basso, e sull'orlo di un precipizio. ''Appare come un vero e proprio luogo di culto risalente al periodo di passaggio tra il paleolitico medio e quello superiore - spiega il professor Anati - che attesta l'antichissima sacralita' del luogo posto lungo il percorso migratorio tra l'Africa e l'Asia''.
    Lungo tutto l'altopiano ci sono tracce di templi anche di epoche successive ed ai piedi del rilievo la spedizione del professor Anati ha trovato tracce di accampamenti umani risalenti al periodo indicato dalla tradizione biblica come quello dell' uscita degli ebrei dall' Egitto sotto la guida della mitica figura di Mose'. Sono stati scoperti fondi di capanne in pietra e fondi scavati nel terreno. ''Le tracce - spiega il professore - indicano almeno 120 accampamenti capaci di ospitare diverse migliaia di persone''. Il fatto che questi siano stati trovati ai piedi del rilievo e che, invece, i templi si trovassero sulla sommita' fa inoltre pensare ad una netta divisione dei ruoli in quelle antiche societa' che riservavano quello sacro solo ad una ristretta cerchia di iniziati ammessi a salire sulla montagna sacra. Tutto cio' confermerebbe la narrazione biblica che parla di un solo uomo, Mose', autorizzato a salire sul monte.
    ''Le nuove scoperte - spiega Anati, che si riserva di scoprire tutte le carte in occasione della conferenza di Livorno - rimettono inoltre in discussione le date ipotetiche dell'esodo degli ebrei dall'Egitto che potrebbe risalire ad un'epoca precedente''.
    La convinzione che il vero Monte Sinai della tradizione biblica sia in realta' lo Har Karkom non e' solo di Emmanuel Anati, ma e' condivisa da molti altri studiosi. ''L'indicazione di quello dove sorge il santuario di Santa Caterina come il Monte Sinai sul quale sali' Mose' - spiega Anati - fu assunta in epoca bizantina, trecentocinquanta anni dopo Cristo e molto probabilmente questo accadde solo perche' era la montagna piu' alta della zona''.

(Ansa, 26 febbraio 20059)





5. CONVEGNO SULLA STORIA DEGLI EBREI IN ITALIA




La storia degli ebrei in Italia e in Europa sarà al centro di un incontro con il professor Amos Luzzatto, Presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche in Italia, in programma giovedì 3 marzo, alle 17.30, a palazzo Montereale Mantica, in corso Vittorio Emanuele, a Pordenone, organizzato dall'Associazione pordenonese Italia - Israele in collaborazione con l'Assessorato alle Politiche sociali del Comune di Pordenone.
    Luzzatto conduce attualmente corsi e laboratori semestrali sulla cultura ebraica all'Università di Roma Tre, che ha già condotto anche per l'Università di Venezia.
    La storia degli ebrei italiani comincia attorno al 300 aC, con le prime richieste di alleanza nella guerra contro i Seleucidi. Attorno all'anno 150 aC la loro presenza è già consistente. Si parla di 30 mila nella capitale dell'Impero e di altri 40/50 mila nel resto dello stivale. Ma dopo un'iniziale tolleranza i tempi cambiano con Tito, che distrugge Gerusalemme, il Tempio e trasforma lo status degli ebrei da cittadini a profughi. Con Costantino iniziano pesanti discriminazioni, che cessano solo temporaneamente con l'invasione degli Ostrogoti. In seguito l'Italia meridionale, più aperta al contatto con culture diverse e alla tolleranza permette agli ebrei di avere scuole, sinagoghe, botteghe artigiane, grazie alla tutela normanna; al Nord le rigide strutture unitarie dello stato franco-longobardo costringono gli ebrei a fuggire.
    Poi arriva l'oscurantismo papale del Medioevo, con la "bolla" di Callisto II, che vieta agli ebrei di erigere nuove sinagoghe, seguita dalla sfida al papato di Federico II, che finirà per questo scomunicato. Verso la fine del 1200 la saga dei Normanni si chiude con la morte di Manfredi e si assiste, a Napoli, al primo "pogrom": sinagoghe bruciate, botteghe saccheggiate, uomini uccisi e donne violentate. Tra crociate, persecuzioni, e accuse di essere gli untori della tremenda epidemia di peste, il numero degli ebrei in Europa si riduce vistosamente. Solo con il passaggio dei crociati nelle città tedesche del Reno ne vengono massacrati 100 mila. L'Italia è però relativamente al riparo da questa ondata di follia. In Lombardia, Trentino, Piemonte, Veneto ed Emilia si concentrano le comunità ebraiche. In seguito allo scisma dei cristiani "protestanti", il '500 segna un drastico giro di vite per gli ebrei: la Riforma induce il papato a un generale irrigidimento. Una bolla di papa Paolo IV, nel 1555, impedirà agli ebrei di vivere a contatto con i cristiani e li condannerà alla vergogna e al disprezzo. Con il succedersi dei papi le condizioni degli ebrei non mutano. Solo con la Rivoluzione francese gli ebrei italiani (circa 30.000) faranno il loro ingresso nella vita pubblica del Paese, ma come essi stessi si aspettavano, la Restaurazione non attese molto a far tornare indietro le lancette dell'orologio.
    A partire dalla metà dell'800 la storia degli ebrei italiani si confonde sempre più con la storia d'Italia e non meraviglia la loro partecipazione diretta ai moti risorgimentali, alle campagne garibaldine e al governo di Camillo Benso, conte di Cavour. Dietro l'angolo c'è il 1870 e la breccia di Porta Pia. L'ultimo ghetto d'Europa viene abbattuto. L'Italia porta agli ebrei libertà e uguaglianza. La Prima guerra mondiale vede anche gli ebrei italiani al fronte.
    Poi arrivano il Fascismo, le leggi razziali del '38, l'esodo volontario di 4/5 mila persone dal Paese, la razzia dell'oro degli ebrei nel '43 a Roma, le deportazioni, il massacro della Shoa.
    Oggi gli ebrei italiani sono meno di 30 mila, residenti in particolare a Roma e Milano. Gli altri sono sparsi in comunità medio-piccole, come quelle di Torino, Venezia, Trieste, Livorno, Firenze. Malgrado i problemi, malgrado la crisi demografica, l'ebraismo italiano resta comunque vivo e vivace e rappresenta un elemento di stimolo, riflessione e confronto.

Franco Mazzotta

(Il Gazzettino On Line, 27 febbraio 2005)





6. IL SENTIMENTO DI «DHIMMITUDINE» DEGLI EUROPEI




L’Europa e l’Islam, meglio fare attenzione

di Pierluigi Agnelli

Nel suo libro intitolato "La rabbia, l’orgoglio" Oriana Fallaci sostiene una tesi che fa scandalo: «L’Europa non è più l’Europa. È diventata una provincia dell’islam come la Spagna e il Portogallo ai tempi dei Mori. Ospita sedici milioni di immigrati musulmani . Rigurgita di mullah, di ayatollah, di imam, di moschee, di turbanti, di barbe, di burqa, di chador, e guai a protestare. Nasconde migliaia di terroristi che i governi non riescono né a controllare né a identificare. Ergo la gente ha paura e sventolando la bandiera del pacifismo, pacifismo-uguale-antiamericanismo, si sente protetta».
    Ma questa tesi non è nuova né isolata. È proposta pari pari da Enzo Bettiza, giornalista e saggista di rilievo, esperto in politica internazionale, in un capitolo del suo libro: "Viaggio nell’ignoto. Il mondo dopo l’11 settembre", edito nell’ottobre del 2002. E soprattutto ha a suo sostegno gli studi di una storica dell’islam di riconosciuto valore: Bat Ye’or, nata in Egitto, cittadina britannica, residente in Svizzera, massima autorità negli studi sulla condizione dei "dhimmi" nel mondo islamico e autrice di molti libri sull’islam, l’antisemitismo e il cristianesimo.
    Bat Ye’or collabora con Frontpage Magazine e National Review. Il "dhimmi" dice la Bat, nella storia e nella legislazione islamica è colui che si «sottomette alla legge islamica per salvarsi la vita». I paesi non musulmani sono chiamati "dar al-harb", paesi di guerra. Una possibilità di tregua può esistere solo a certe condizioni: il pagamento di un tributo e lo sviluppo dell’islamismo nel paese che sancisce la tregua. In questa situazione la "dhimmitudine" è una condizione simile a quella dell’ostaggio.
    In una serie di saggi pubblicati in Francia e negli Stati Unit, Bat Ye’or ha ricostruito in termini nuovi rispetto agli schemi correnti la teoria e la pratica - dalle origini a oggi - della jihad islamica, o guerra santa, e soprattutto della "dhimmitudine": la condizione assegnata ai cristiani e agli ebrei dalla dottrina musulmana. Ed è quello che sostiene Oriana Fallaci: i cristiani d’Europa, col loro filoislamismo, cercano protezione. Anzi, vivono come già sentendosi dhimmi, per paura. Enzo Bettiza aggiunge che questo sentimento di "dhimmitudine" è una trappola ideata dalle moderne élite islamiste per la conquista dell’Europa e del mondo. Una trappola che già funziona: molti europei, «volenti o nolenti, consapevoli o meno, già collaborano da tempo alla propria metamorfosi in dhimmi».
    Bettiza cita un saggio pubblicato nel 2002 da Bat Ye’or sulla rivista di Parigi "Commentaire" che ha per titolo: "Ebrei e cristiani sotto l’Islam. Dhimmitudine e marcionismo". In esso, l’autrice mostra come tredici secoli di protezione/sottomissione esercitata dai musulmani sulle popolazioni infedeli hanno lasciato una traccia profonda anche nel modo con cui l’Europa di oggi si rapporta all’islam. Tra i "servigi" di questa "dhimmitudine occulta" dell’Europa c’è il lassismo nei confronti dell’immigrazione musulmana. C’è la tolleranza dei separatismi culturali sul proprio territorio. C’è la concessione di aiuti finanziari a governi ferocemente ostili all’Occidente. C’è il discredito dello Stato d’Israele. C’è la comprensione per il terrorismo palestinese e islamista. C’è lo scudo umano offerto dai frati francescani ai guerriglieri arabi rifugiati nella basilica di Betlemme. C’è il silenzio su secoli di jihad islamica rimpiazzato dall’autoflagellazione per le crociate: «Il male viene attribuito a ebrei e cristiani per non urtare la suscettibilità del mondo musulmano, che rifiuta ogni critica al suo passato di conquiste». Insomma: «L’antico universo della dhimmitudine, con la sottomissione e il servilismo come pegni di sopravvivenza, è stato ricostituito nell’Europa contemporanea».
    In più, Bat Ye’or mostra che c’è anche una dhimmitudine teologica all’origine del filoislamismo di molti cristiani che vivono in paesi arabi. Una dhimmitudine che ridà vita alla dottrina di Marcione: un eretico del secondo secolo che, per dare il massimo riconoscimento al Dio amorevole del Vangelo, negò ogni valore alla Bibbia ebraica, ritenuta espressione di un Dio ingiusto e crudele. Oggi, questo marcionismo rivive tra i cristiani d’Oriente nella visione di un Gesù arabopalestinese e antiebraico, in tendenziale concordanza con la visione islamica della storia. Bettiza non accetta le conclusioni di Bat Ye’or su un’Europa già in piena "sindrome dhimmi". Ma ritiene questa deriva un reale pericolo. Mentre Oriana Fallaci la denuncia come già avvenuta.
    Vero o no questo giudizio, resta il fatto che l’attuale conflitto tra Europa e America sulla guerra all’Iraq nasce anche da un’esperienza di dhimmitudine che solo il Vecchio Continente ha provato. Mimetismo filoislamico come protezione. Il dramma, a mio avviso, è che non esiste una coscienza in merito a questa condizione di dhimmitudine. In un’intervista la Bat dice: «Ci sono dei musulmani progressisti, moderni, perfettamente adattati alla nostra cultura. Ma io non conosco un solo partito musulmano che abbia adottato un programma e una visione secolare, la separazione dei poteri, l’indipendenza giudiziaria e l’eguaglianza di generi e religioni, che abbia iniziato un serio ripensamento del jihad e dell’imperialismo musulmano. Il dialogo non può cominciare senza questo aggiornamento religioso. La Chiesa si è scusata per le crociate, l’Inquisizione e altre crudeltà storiche. Ma non abbiamo sentito niente sulla jihad che ha devastato e coperto di rovine i paesi cristiani, sui massacri, la spoliazione, la deportazione, la schiavitù dei non musulmani, specialmente dei cristiani nei Balcani. C’è tutta una storia che bisogna rivedere con un nuovo spirito, come ha fatto la Chiesa. Questo deve essere la prima pietra per il dialogo, non soltanto le scuse e il mea culpa dell’Europa cristiana». Condivido pienamente.

(Giornale di Brescia, 27 febbraio 2005)





MUSICA E IMMAGINI




Artza




INDIRIZZI INTERNET




Meir Panim

Israel National Radio




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