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Notizie su Israele 296 - 16 maggio 2005

1. La terza intifada dopo il ritiro?
2. Antisemitismo accademico - Parte seconda
3. Ricerche israeliane nel campo della biotecnologia
4. Sharon agli evangelici: «Continuate a pregare!»
5. In certe scuole belghe l'antisemitismo è di moda
6. Musica e immagini
7. Indirizzi internet
Ezechiele 37:28. «Le nazioni conosceranno che io sono il Signore che santifico Israele, quando il mio santuario sarà per sempre in mezzo a loro.»
1. LA TERZA INTIFADA DOPO IL RITIRO?




Il prossimo autunno, poche settimane dopo lo sgombero della striscia di Gaza, le forze di sicurezza israeliane si aspettano lo scoppio di una terza intifada. Secondo il servizio informazioni dell'esercito israeliano, i palestinesi manterranno la calma nei territori sgomberati, ma la stessa cosa probabilmente non avverrà nei cosiddetti territori occupati. Stando alle possibilità finora immaginate, Israele teme che in queste zone i palestinesi di Giudea e Samaria passeranno ad attacchi di guerriglia nello stile del fanatico movimento Hezbollah, che dal sud del Libano minaccia le frontiere settentrionali di Israele: lancio di razzi dai territori palestinesi e assalti in strada nella biblica zona di Giudea e Samaria.
    Secondo dati di ufficiali dell'esercito israeliano, le azioni di riarmo da parte dei palestinesi procedono a tutto gas. Nei territori palestinesi del nord, gruppi terroristici palestinesi trasportano di contrabbando armi e munizioni nel deserto Arawa attraverso la frontiera israeliano-giordana, e dal Mar Morto in Giudea. Poiché la striscia di Gaza è ermeticamente bloccata e recintata, i terroristi palestinesi hanno difficoltà in questa zona a far passare le armi contrabbandate attraverso i tunnel dalla striscia di Gaza in Giudea e Samaria.
    Hamas e Jihad islamica stanno equipaggiandosi fin d'ora, secondo fonti delle forze di sicurezza israeliane, alla prossima rivolta. In parte queste affermazioni vengono confermate perfino dagli stessi gruppi terroristici palestinesi, perché, stando alle loro stesse dichiarazioni, non hanno fiducia nel nuovo processo di pace. Inoltre, la direzione palestinese guidata da Mahmud Abbas ha ufficialmente comunicato a tutti i gruppi terroristici che almeno fino allo sgombero della striscia di Gaza tutti gli attacchi terroristici devono essere sospesi. «Dobbiamo comportarci in modo calmo, affinché Israele esca finalmente dalla striscia di Gaza», ha dichiarato il palestinese Adel, del villaggio palestinese Halul vicino a Hebron, a "israel heute". «Non appena Israele sarà uscito dalla striscia di Gaza, faremo in modo che come prossimo passo Israele esca dalla Cisgiordania.» E la migliore forma di pressione per ottenere successi politici con Israele è - come sempre - il terrorismo.
    Secondo valutazioni dell'esercito israeliano, dal luglio 2004 al febbraio 2005 sono state contrabbandate in Gaza attraverso i tunnel 3.000 mitragliatrici e oltre 400.000 cartucce. E inoltre sono state anche trasportate 400 pistole, 600 kg di esplosivo e circa 200 razzi anticarro. Secondo dati di un portavoce dell'esercito israeliano, le forze di sicurezza riescono a riprendere ogni anno circa il 30% delle armi contrabbandate.
    Nonostante tutte queste oscure previsioni e questi fatti, il governo israeliano guidato da Ariel Sharon non vuole rinunciare al piano di ritiro perché - secondo dichiarazioni di stretti consiglieri di Sharon - a Israele non resta più altra scelta. «Ariel si rivelerebbe inaffidabile se lasciasse naufragare il suo piano di ritiro», ha dichiarato il membro del Likud Gidon Saar.
    
(israel heute, maggio 2005)





2. ANTISEMITISMO ACCADEMICO - Parte seconda




Il clamore intorno al caso della prof. Daniela Santus, duramente contestata e aggredita da studenti "antisionisti" all'Università di Torino, è arrivato fino in Israele. Ne dà notizia il Corriere della Sera.


Sulla stampa israeliana arriva il caso Italia.
«C' è odio contro di noi»

di Davide Frattini

GERUSALEMME - Introduzione all' odio per Israele. Sotto al titolo una lunga inchiesta sul caso Torino e gli altri episodi degli ultimi mesi nelle università italiane. Il quotidiano Maariv è entrato nelle aule «dove gli israeliani non hanno diritto di parlare». Due pagine di testimonianze per provare a capire come sia potuto succedere proprio in Italia: «Qui il governo professa con orgoglio di aver compreso più di tutte le altre nazioni europee il pericolo antisemitismo». Eppure - commenta preoccupato il giornalista Menachem Gantz - «la nuova generazione dell' estrema sinistra non tiene conto dei proclami dei politici a Roma. Questi ragazzi scelgono i loro slogan: i rappresentanti dello Stato d' Israele non possono avere voce negli atenei italiani». Il racconto di Maariv mette in evidenza che in tutti gli incidenti si è trattato di «gruppuscoli di teste calde» , accusa le autorità universitarie di non aver difeso i docenti contestati. «Nessuno si è preoccupato di strappare i manifesti contro Daniela Santus che hanno tappezzato i muri dell' ateneo torinese». Gantz parla con un gruppo di studenti arabo israeliani, descrive la paura tra i ragazzi: «Sarebbero stati pronti a prendere le difese della professoressa, non l' hanno fatto perché temevano di essere accusati di " collaborazionismo" e di sostenere il governo di Ariel Sharon». Per provare a capire che cosa stia succedendo nei nostri atenei, Maariv interpella Daniele Scalise. «Il problema principale - spiega l' autore di I soliti ebrei (Mondadori) - sono i professori, per cui non dovete stupirvi degli studenti. Oggi gli antisemiti si nascondono dietro all' odio per lo Stato israeliano, l' unica nazione che continua a essere criticata anche solo per la sua esistenza». Al suono delle sirene, mercoledì scorso gli israeliani si sono fermati per ricordare le vittime dell' Olocausto, giovedì celebrano l' indipendenza. Sono i giorni in cui editorialisti e intellettuali si interrogano su come il Paese venga percepito nel mondo. «Oggi - scrive Ofer Shelah su Yedioth Ahronoth - siamo forti economicamente e militarmente, ma continuiamo a sentirci vittime, un' isola in un mare di odio generato dal mondo musulmano e gran parte dell' Europa. E' questo che imparano i nostri ragazzi nei loro viaggi in Polonia: non solo l' orrore di quanto accadde sessant' anni fa, ma anche quanto è terribile quello che sta accadendo attorno a noi». Il caso Italia è arrivato sui giornali poche settimane dopo la decisione dell' associazione dei docenti britannici di interrompere le relazioni con le università di Haifa e Bar Ilan. «Il boicottaggio - commenta Eitan Gilboa, docente di Scienze politiche - è un attacco terroristico accademico contro di noi. I pretesti senza fondamento su cui si basa vogliono solo camuffare un' altra mossa nella strategia della campagna per delegittimare Israele».

(Corriere della Sera, 9 maggio, 2005)


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Risponde il rettore dell'Università di Torino.

Il rettore: io non sono rimasto in silenzio

di Jacomella Gabriela

«Come rettore dell' università di Torino ho stigmatizzato subito e con forza l' accaduto, e ho espresso solidarietà alla professoressa Santus. Detto questo, bisogna fare attenzione a non " montare" casi: a quanto mi consta, quella lettera al Foglio non è mai stata mandata...». Ezio Pelizzetti preferisce ribaltare la prospettiva, «negli ultimi mesi l' ateneo ha accolto studenti palestinesi e israeliani, come sempre si è dimostrato un' arena di confronto. Il nostro ruolo è quello di trasmettere un messaggio di cultura, l' unico elemento che può far progredire il dialogo». Oggi, però, c' è un elemento in più su cui riflettere, la denuncia del giovane israeliano sulle pagine di Maariv... «Ma è uno studente di Torino?» , Pelizzetti chiede conferma, «a me ovviamente queste voci non sono arrivate, altrimenti sarei stato il primo a prendere posizione. Mi stupisce però che queste persone contattino i media invece di chiedere un incontro con le autorità accademiche. Tra l' altro mi risulta che l' incontro tra preside, docente e studenti si sia concluso in maniera positiva, nel segno del dialogo». L' allarme sul clima di «acquiescenza, se non compiacenza» che negli atenei avvolgerebbe gli episodi di antisemitismo, lanciato dal professor Giorgio Israel in un' intervista al Corriere , non è condiviso dai rettori. «Non so su cosa si basi questa affermazione, ma non credo corrisponda al vero». Piero Tosi , presidente della Crui (la conferenza dei rettori), è lapidario: «Ci sono stati episodi gravi, assolutamente da condannare. Ma non si tratta di un virus dilagante, né si può parlare di renitenza nell' affrontarli». «Da noi ha insegnato per alcuni anni il rabbino capo della comunità milanese (Giuseppe Laras, docente di Storia della filosofia ebraica, ndr) e nessuno si è mai permesso di fare alcunché, scherziamo?» , Decleva , rettore della Statale di Milano, è altrettanto netto e sicuro: «Nessun allarme. Se Israel ha elementi per sostenerlo, lo dica; ma non sono cose che si possono affermare così...». Della stessa opinione Augusto Martinelli : «A Firenze abbiamo avuto la contestazione all' ambasciatore Gol. Un fatto intollerabile, ma limitato a una decina di giovani facinorosi (che peraltro non ce l' avevano con gli ebrei, ma con la politica di Israele), completamente isolati dall' ateneo, dalla città, dai partiti». Isolare, condannare. E soprattutto lavorare per il dialogo, «« a Pisa abbiamo subito stigmatizzato la contestazione al consigliere d' ambasciata Cohen - ricorda il rettore Marco Pasquali -. Possono sembrare solo parole, ma poi ci sono la collaborazione con l' istituto Yad Vashem, a Gerusalemme, il Centro studi per la pace... L' università è il luogo dove si manifestano di più i fermenti sociali, ed è una delle sue ricchezze: le situazioni non condivisibili vanno chiarite e combattute, ed è quello che cerchiamo di fare. Ogni giorno».

(Corriere della Sera, 9 maggio, 2005)


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Giorgio Israel replica ai rettori.

“Invitate docenti israeliani nelle università”

Roma. “Le reazioni dei miei colleghi mi hanno stupito: sono di un’ambiguità sconcertante”. Giorgio Israel, docente di Storia delle matematiche all’Università la Sapienza di Roma, avrebbe sperato che insegnanti e rettori commentassero diversamente l’ultimo episodio di antisemitismo studentesco avvenuto all’Università di Torino (dove la professoressa Santus è stata minacciata, usata come bersaglio per le uova, invitata a esplodere su un autobus “come i bambini ebrei”, e gli stessi studenti hanno contestato a furia di “assassino” il diritto di parola del viceambasciatore di Israele Elazar Cohen, intervenuto alla lezione della professoressa per parlare di medio oriente”. Israel aveva denunciato sabato, con un’intervista al Corriere della Sera, il clima di “acquiescenza, se non di compiacenza” negli atenei italiani verso manifestazioni squadriste che violano la libertà d’insegnamento, spesso ridimensionate dagli stessi docenti in contestazioni un po’ vivaci da condannare blandamente. “Il rettore dell’Università di Pisa Marco Pasquini ha reagito definendoli ‘fermenti sociali, una delle ricchezze dell’Università’: ma quale ricchezza? Sono la manifestazione del degrado più profondo”.

I docenti assicurano comunque che si tratta di episodi isolati, da loro immediatamente condannati. “Nemmeno io ritengo che si tratti di un virus dilagante, ovviamente: ho già detto che nella mia Università non è mai accaduto niente del genere, e che in Italia la situazione è certo migliore rispetto a quella francese, ma sono eventi di una gravità estrema, che dovrebbero ricevere in risposta un segnale chiaro, e invece non vengono nemmeno sanzionati, ma condannati a parole, con le solite manifestazioni di solidarietà. Cosa se ne fa della solidarietà Shai Cohen, consigliere per gli affari politici dell’ambasciata di Israele, al quale nella facoltà di Scienze politiche di Pisa è stata impedita la parola da una trentina di studenti con la kefiah che gridavano ‘Israele boia, Cohen boia’? Il preside ha preferito interrompere la lezione e non chiamare le forze dell’ordine, ma avrebbe dovuto reiterare l’invito e garantire a Cohen il diritto di parola: invece ha preferito soprassedere e parlare di intollerabile atto di violenza”. Israel ritiene che si tratti di “casi isolati”, come dicono i suoi colleghi, soltanto perché “si evita di chiamare nelle Università italiane rappresentanti israeliani: si invitano palestinesi e islamici a parlare di Palestina e il diritto di parola viene giustamente sempre garantito, invece quelle pochissime volte che si cerca un dialogo, un approfondimento, anche con gli israeliani, va sempre a finire malissimo”. A Pisa, dove Shai Cohen è potuto uscire dall’aula magna senza essere toccato dietro la promessa del preside agli studenti di non chiamare la polizia. A Firenze, dove l’ambasciatore israeliano Ehud Gol è stato contestato prima ancora che cominciasse a parlare al grido di “fascisti”, “assassini”, “Palestina rossa”, e il rettore ha spiegato che però i facinorosi ce l’avevano con “la politica di Israele” e non con gli ebrei. A Bologna, dove un incontro è stato annullato dopo i fatti di Firenze, “vista la situazione nella nostra facoltà”. A Torino il consigliere Elazar Cohen è riuscito a parlare solo perché la professoressa Santus aveva preventivamente chiamato la polizia, “ed è stata assai criticata per questo”, spiega al Foglio Israel. “Non voglio entrare nei complicati rapporti della docente con i suoi superiori, ma è evidente che è terrorizzata: il preside non avrebbe dovuto certo metterla a confronto con quei giovanotti che già le avevano tirato uova e persino lanciato un razzo. Ed è inaccettabile che vicende del genere vengano derubricate con leggerezza a contestazioni, perché esiste una simpatia politica di base per queste persone, e perché ancora si pagano i guasti che arrivano dal ’68, quando le minacce fisiche erano considerate in fondo normali”.

Il rettore Decleva, della Statale di Milano, ha detto: “Nessun allarme. Se Israel ha elementi per sostenerlo, lo dica: ma non sono cose che si possono affermare così”. Israel ribatte che gli elementi sono sotto gli occhi di tutti, e nessuno afferma niente di diverso da quel che succede, “è strano che il rettore Decleva non li veda, e anzi la cosa mi inquieta: in ogni caso un’autorità accademica deve garantire la libertà di insegnamento e la libera espressione del pensiero, e impedire che l’Università venga sfregiata da eventi del genere. Bisognava intervenire e riparare. Non è successo”. (ab)

(Il Foglio 10 maggio 2005)


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E a Torino gli studenti ebrei nascondono la loro origine.

Peer, giovane universitario: «Ho cercato di discutere con i contestatori, ma è stato inutile»

«Da israeliano non puoi capire l' antisemitismo. Ho sempre pensato che fossero la paura e la paranoia degli ebrei che non vivono in Israele. E' stato molto difficile scoprire che esiste ancora». A Torino, magari? Amit Peer, 27 anni, ha appena finito di vedere Milan-Juve e si appresta ad assistere a Maccabi Tau (Eurolega basket). Alla domanda, risponde partendo da lontano. «Sono nato in Israele, in un kibbutz, da famiglia mitteleuropea. Da 3 anni vivo a Torino, dove frequento la facoltà di Veterinaria. Sono felice di essere qui e sono grato all' Italia per avermi dato la possibilità di studiare qui. Personalmente, non ho mai avuto nessun problema come ebreo e israeliano. Ma a Torino ho scoperto che ci sono ebrei che preferiscono che la gente non conosca la loro identità per paura di diventare un obiettivo. In particolare, tre compagni universitari mi hanno confidato che (uno fin dagli anni del liceo) celano il proprio nome di famiglia o fanno credere che il cognome non sia ebreo. Soltanto gli amici intimi conoscono la loro vera origine, non si fidano di rivelarla nemmeno agli insegnanti. A proposito, puoi non scrivere il mio, di cognome? Sai, non vorrei che all' università, magari durante qualche esame, o fuori, questa pubblicità non voluta venisse fraintesa e mi creasse qualche guaio...».

LE REAZIONI - Sarà pur vero, come sostiene il sindaco torinese Sergio Chiamparino, che «all' università di Torino non c' è il clima delle camicie brune». Sarà pur vero, come sostiene il capo della Digos Giuseppe Petronzi, che «nessuno studente ebreo ha mai denunciato di essere stato costretto a dare nomi falsi». «Sarà pur così - commenta Eyal Mizrahi, 46 anni, presidente dell' Associazione amici di Israele, con sede a Pioltello (Milano), nata nel 2000 per combattere i pregiudizi verso Israele - ma la testimonianza di Amit e tutto quello che sta succedendo negli ultimi tempi è inquietante: ci ha messo sul chi va là e spinto a darci una mossa. Il 15 maggio e a metà giugno saremo in piazza a Milano». «Certo non siamo alla vigilia della cacciata di studenti e docenti ebrei dagli atenei come 59 anni fa, né esiste un clima di antisemitismo tradizionale a Torino o in università. Ma è davvero strano - ironizza amaro il professor Ugo Volli, 57 anni, docente di Semiotica - che gruppetti minoritari, duri, e tollerati per calcolo politico, tentino di negare sistematicamente la parola a rappresentanti di Israele e mai a quelli della Russia, che devasta la Cecenia, o della Cina. Nel caso della collega Santus è poi mancata una sostanziale solidarietà del mondo accademico».

L' ALLARME - E' stata proprio la denuncia del giovane Amit al giornale israeliano Maariv (e ribadita ieri al Corriere) a far scattare l' allarme internazionale dopo la contestazione, avvenuta il 20 aprile e il 2 maggio, alla professoressa Daniela Santus (attaccata per aver invitato a una lezione il viceambasciatore Elazar Cohen) e quelle dei mesi scorsi a Pisa, Firenze, Bologna. Il giornale ebraico, per la verità, fa risaltare come il governo italiano si impegni nel combattere l' antisemitismo, ma, aggiunge, nelle università la sinistra militante cerca di impedire la libertà di espressione a chi venga identificato con Israele. «Non capisco questi gruppi - aggiunge Amit - : io stesso sono di sinistra e critico il mio governo, senza rinunciare a essere ebreo. Ho cercato di discutere con i più esagitati, impossibile: credono solo a una versione dei fatti e della storia. Mi dispiace non poter dialogare e soprattutto mi hanno fatto paura certe frasi contro la Santus. Ero lì, ho sentito quello che qualcuno le ha gridato: " Devi morire come i bimbi ebrei negli autobus, chi va in Israele deve pagarne le conseguenze". Sia chiaro: io starò qui. Ma come farò a dire queste cose a mio nonno, sopravvissuto all' Olocausto?».

prosegue ->
L' INCONTRO - Per contrastare quelli che la «militante» triestina Deborah Fait definisce sprezzantemente «pidocchi dell' umanità figli di Hitler e di Stalin» , ieri si sono incontrati a Torino, in occasione della giornata dedicata all' editoria israeliana della Fiera del Libro, Eyal Mizrhai, Angelo Pezzana, Shai Cohen, consigliere dell' ambasciata, e Andrea Jarach, presidente della federazione delle Associazioni amici Italia Israele. Ci sarebbe dovuta essere anche la professoressa Santus. Non si è vista: per non alimentare le polemiche, è la sua versione. Perché ha paura, afferma invece Mizrhai, che lancia l' ultima frecciata: «Come mai il 25 aprile a Milano la Brigata ebraica era l' unica a essere scortata dalla polizia?».

(Corriere della Sera, 9 maggio, 2005)


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Sulla grave situazione creatasi nelle università italiane prende posizione la Federazione Associazioni Italia Israele.

In merito all'articolo pubblicato sul Corriere di oggi circa la situazione creatasi a seguito di numerosi episodi di intolleranza antiebraica nelle universita' italiane desidero precisare quanto segue: La mobilitazione delle Associazioni Italia Israele a seguito dei gravi atti di intolleranza avvenuti non riguarda in particolare la violazione dei diritti di questa o quella persona ma in generale la violazione dei diritti di liberta' di pensiero che stanno alla base della civilta' in cui ci riconosciamo. In difesa di questi diritti violati sempre più' spesso dai nemici di Israele in nome di un malinteso senso di solidarieta' per i palestinesi afflitti a loro volta da una dittatura interna (almeno fino alla scomparsa di Yassir Arafat), ci siamo mobilitati noi amici di Israele per il bene di tutti e non per il solo bene di Israele. L'allarme dovrebbe colpire tutti coloro che hanno a cuore la liberta' e la giustizia. I nostri associati sono certo i primi fra questi. In maggioranza esponenti della societa' civile di ogni angolo di Italia, gli amici di Israele sono in maggioranza anche non ebrei ma sono persone che riconoscono allo Stato di Israele quei valori che tutti a parole difendono dopo gli orrori della seconda guerra mondiale e dei regimi assolutisti. Nel bellissimo libro di Amos Oz scrittore israeliano di grande fama si ricorda come nell'Europa pre Shoah si scrivesse sui muri "ebrei fuori dall'Europa, ebrei in Palestina" . Oggi si deve sentire il contrario nelle Universita' europee. Rispetto all'articolo pubblicato dal Corriere vorrei solo precisare che oggi il nostro sentimento non e' di paura ma di indignazione. Oggi gli amici di Israele chiedono agli amici della democrazia e della liberta' di insorgere e bloccare con la loro solidarieta' senza distinguo i tentativi di imporre con la violenza un' idea e di impedire a chiunque di parlare nelle universita' italiane.

Andrea Jarach
Presidente Federazione delle Associazioni Italia Israele





3. RICERCHE ISRAELIANE NEL CAMPO DELLA BIOTECNOLOGIA




A Tel Aviv, dal 24 al 26 maggio 2005, la tecnologia biomedicale israeliana in mostra


«Biotech Israel 2005»:
una grande opportunità per l’industria farmaceutica mondiale


Tutti i traguardi raggiunti dai centri d’eccellenza israeliani per il benessere dell’umanità

di Carmine Monaco

La straordinaria vitalità della comunità scientifica d’Israele, sostenuta da un adeguato impegno statale a sostegno della ricerca, ha prodotto risultati riconosciuti da tutto il mondo, come ad esempio centri d’eccellenza ospedalieri all’avanguardia nei settori dei disturbi neurologici, del cancro e delle patologie autoimmuni, e un notevole record di brevetti pro capite depositati e rilasciati ogni anno.
    Secondo una strategia di lungo termine che sarebbe utile studiare anche in altri paesi europei, tra cui l’Italia, il governo israeliano sostiene la ricerca concedendo ad imprese ed istituti opportune sovvenzioni (il 35% del bilancio della ricerca civile e oltre il 40% dei finanziamenti sono destinati alle scienze biologiche) e tax holidays, ovvero periodi di sospensione degli obblighi fiscali.
    Grazie ai finanziamenti concessi agli incubatori industriali e ai crescenti investimenti di venture capital, l’industria biotecnologica conta oltre 160 imprese (dati 2004), soprattutto di piccole e medie dimensioni.
    Il settore attira i giovani studenti: un terzo di tutti i dottorati di ricerca viene conseguito in materie inerenti le biotecnologie e nelle università i dipartimenti di discipline correlate al biotech annoverano 900 tra ricercatori e professori ordinari.
    I risultati sono eccellenti: Exelon, il farmaco anti-Alzheimer di Novartis, è stato scoperto dalla professoressa Marta Weinstock-Rosin della Hebrew University di Gerusalemme; la scoperta del Doxil (il farmaco liposomico anticancro della Johnson&Johnson) è stata possibile anche grazie agli studi sui sistemi di rilascio dei liposomi compiuti dal professor Baerenholz. La commercializzazione di questi due soli prodotti ha creato introiti che hanno superato il mezzo miliardo di dollari nel 2002.
    L’auspicabile collaborazione con l’industria farmaceutica internazionale può, da un lato, aiutare la ricerca israeliana a superare le principali difficoltà che l’industria biotecnologica locale deve affrontare, ovvero gli ingenti costi della ricerca e la lontananza dai grandi mercati; dall’altro, la sinergia sul piano della ricerca e della commercializzazione dei farmaci, può favorire un costante aggiornamento delle multinazionali su tutti gli ultimi sviluppi della ricerca biotecnologica. La collaborazione garantirebbe tempi più rapidi di ricerca e di successiva commercializzazione.
    A promuovere l’imprenditorialità e ad incoraggiare la cooperazione internazionale nel settore Ricerca & Sviluppo è preposto l’«Office of the Chief Scientist» israeliano (OCS), il cui budget nel 2003 è stato di circa 400 milioni di dollari, investiti principalmente nel fondo industriale per il settore Ricerca & Sviluppo (circa 300 milioni di dollari), negli incubatori industriali, nel fondo speciale per le tecnologie generiche e l’università e infine nel Seed Fund, un fondo destinato a imprese “giovani”.
    Dal settore delle scienze biologiche in Israele, caratterizzato da un eccezionale ruolo delle istituzioni accademiche e dei centri di eccellenza, unito però a scarse infrastrutture produttive e a insufficienti investimenti da privati, possono scaturire notevoli opportunità per molti imprenditori, anche di casa nostra. L’osservatorio israeliano raccomanda, infatti, di incentivare lo scambio di conoscenze tecnologiche e di migliorare la commercializzazione nelle sue fasi iniziali e le infrastrutture produttive.
    Nel campo della biotecnologia, di grande interesse appare sicuramente il programma «Nofar» per lo scambio tra industria e università. Nel 2002 sono stati approvati 28 nuovi progetti per un totale di 9 milioni di dollari.
    Allo scambio delle conoscenze tecnologiche tra università e industria è dedicato invece il programma «Magneton»: nel 2002 sono stati approvati 10 nuovi progetti per un totale di 7 milioni di dollari.
    La 6ª edizione del progetto ISERD (ISrael Europe R&D) ha visto 52 società (su 324) ricevere finanziamenti per un totale di 11.1 milioni di euro; l’importo totale dei finanziamenti è stato di 167 milioni di euro mentre il budget per le scienze biologiche va ben oltre i due miliardi di euro.
    Con simili premesse è naturale attendersi una massiccia partecipazione al «Biotech Israel 2005. The Israel Biomedical Technologies», che avrà luogo a Tel Aviv, dal 24 al 26 maggio. Le compagnie e le industrie metteranno in mostra i traguardi raggiunti dai centri d’eccellenza israeliani per il benessere dell’umanità intera.
    La Camera di Commercio Israel–Italia partecipa attivamente alla manifestazione con il convegno: «Italy and Israel: Natural Partners in the Life Sciences», che si terrà mercoledì 25 maggio presso la sala C dell’Hotel David, a Tel Aviv, presieduto dal Dr. Simone Botti, General Partner di AltioraVentures. Apriranno il convegno S.E. Sandro De Bernardin, Ambasciatore d’Italia in Israele e il Presidente della Camera di Commercio Israel–Italia Ronni Benatoff. Molto attesi gli interventi di Giampaolo Russo, direttore dell’Inward Investment Development e del prof. Paolo Barbanti, docente di Biotecnologia all’Università di Bologna, sul tema «Costruire il Futuro attraverso la Scienza. Modelli di Partnering vincenti per Italia e Israele». I professori Adriano De Maio (LUISS) e Haim Garty (Istituto Weizmann) discuteranno di innovazione ed integrazione, mentre Abraham Sartani e Morris Laster illustreranno gli scenari delle possibili partnership tra Italia e Israele nell’industria delle Scienze della Vita. C’è spazio anche per alcune Start-up Stories, a cura di Cristina Contursi e Simone Botti, mentre Hillel Milo e Oozi Cats descriveranno le possibilità di cooperazione italo–israeliana nel campo della Finanza Innovativa.

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4. SHARON AGLI EVANGELICI: «CONTINUATE A PREGARE!»




GERUSALEMME - Martedì 10 maggio il Primo Ministro Ariel Sharon ha ricevuto una delegazione di cristiani evangelici dagli USA. Il suo timore che i cristiani volessero soprattutto protestare contro il piano di ritiro non si è avverato. Il gruppo ha parlato con il Premier sulle possibilità di far venire più turisti nel paese.
    Tra gli otto leader evangelici che hanno incontrato Sharon c'era anche Jey Sekulow, un importante rappresentante degli ebrei messianici. Sekulow è il capo del "Centro Americano per Legge e Diritto" a Washington, che si impegna per la difesa dei diritti dei cristiani. E' stato fondato dall'evangelista Pat Robertson ed è molto vicino al Presidente George W. Bush.
    Sekulow, che dall'ebraismo è arrivato alla fede cristiana, è autore di trattati del tipo "Come un avvocato ebreo di Brooklin è arrivato alla fede in Gesù". I suoi testi vengono pubblicati sulla homepage di "Jews for Jesus". Conduce inoltre una trasmissione radio quotidiana che viene mandata in onda da 550 emittenti.
    Secondo un rapporto del "Jerusalem Post", Sharon non sapeva nulla della provenienza ebraica di Sekulow. «Questi 'Hardcore-Repubblicani' sostengono molto Israele», ha detto un confidente del Premier. E in relazione a Sekulow ha aggiunto: «Quando arrivano qui, noi non chiediamo a quale religione appartengono. Quest'uomo fa molto per lo Stato d'Israele.»
    Tra gli ospiti c'erano inoltre Paul Crouch, fondatore e presidente della più grande rete al mondo di televisioni cristiane "Trinity Broadcastin Network" (TBN), e Michael Little, Presidente del "Christian Broadcasting Network" (CBN). Anche Ted Haggard, Presidente dell'Unione Nazionale di Evangelici era nel gruppo dei visitatori.
    Dall'ufficio di Sharon si è saputo che il Premier aspettava con scetticismo questo incontro, perché si aspettava una forte critica al piano di ritiro. Nella sua ultima visita a Crawford, Texas, un gruppo di cristiani evangelici aveva dimostrato contro il piano di ritiro.
    In seguito Sharon ha detto che l'incontro è stato "cordiale e importante". La delegazione ha voluto esprimere la sua solidarietà a Sharon, ha riferito l'ufficio del Premier. «Vogliamo che Lei sappia che noi appoggiamo i suoi e i vostri sforzi di raggiungere la pace», ha detto Haggard. La politica della sua organizzazione è di "sostenere lo Stato di Israele, qualunque cosa avvenga". Queste parole, ha detto Haggard, vengono da Bush. Le aveva dette in un incontro con dei leader evangelici nel novembre scorso. «Noi la appoggiamo perché crediamo che sia volontà di Dio», ha aggiungo l'americano.
    Uno dei principali obiettivi della delegazione è stato di favorire il turismo in Israele per i cristiani, ha comunicato un portavoce dell'ufficio di Sharon. I cristiani evangelici sono venuti in Israele anche nei momenti più difficili del conflitto. Con i delegati Sharon ha discusso anche sulla possibilità di istituire un fondo per portare più turisti in Israele e su possibili aiuti nel campo umanitario, agricolo o pedagogico. Sharon infine ha chiesto ai delegati di "continuare a pregare per Israele", "Sembra che serva", ha aggiunto.
    
(Israelnetz Nachrichten, 11 maggio 2005)





5. IN CERTE SCUOLE BELGHE L'ANTISEMITISMO E' DI MODA




Elisabeth Van Wilder, professoressa di francese all'Ateneo Maimonide di Bruxelles, ha inviato qualche settimana fa la seguente lettera di testimonianza ai giornali belgi "Le Soir", "La Dernière Heure", "La Libre Belgique", "Le Vif".

BRUXELLES - Stavo accompagnando, in questo pomeriggio del 19 aprile, i miei alunni della 4a e della 6a secondarie al Heysel, dove si teneva l'«Operazione carriere», che il Rotary organizza ogni anno con successo e con il più grande profitto per i giovani visitatori. L'avvenimento ha attirato un numero impressionante di scuole di Bruxelles. Tutti gli adolescenti erano alla ricerca di informazioni, prima di scegliere la loro professione futura e di conseguenza i loro studi, universitari o di altro tipo. Data l'ora, tutti questi adolescenti si trovavano ammassati nel metrò che li portava a destinazione. Il gruppo vicino al nostro non passava inosservato. Al loro interno le invettive volavano, e la più frequente era «sporco ebreo!» Ebrei, i miei allievi lo erano davvero, e se ne stavano tranquilli. Non portavano né kippa né stella di Davide, oggetti che - qualcosa me lo faceva pensare - non sarebbero stati appropriati in un ambiente in cui abbondavano nuche rasate, foulard e i veli. Un ragazzo ha gridato a uno dei suoi compagni: «Se continui, ti sgozzo!», e a una ragazza che faceva fatica ad aprirsi un passaggio tra la folla: «Vuoi che ti apra un varco col coltello?» Mi sono permessa di raccomandare all'autore di queste parole un vocabolario meno aggressivo, sanguinoso. Mi ha rimproverato di mancare di umorismo. Questa amabile gioventù si apprestava a smontare i sedili della società tranviaria quando, molto opportunamente, arrivammo a destinazione.
Nel metrò di ritorno, sola, ho inteso questa volta pronunciare la parola «sinagoga». Un giovane, anche lui di origine belga, continuava a ripetere a due suoi compagni che lui sapeva dov'era la «sinagoga». «Sì, è così che si chiama», diceva, aggiungendo che sarebbe stato bene farla "esplodere"... Io fremevo, certamente perché mancavo di umorismo.
Mi sono ricordata allora di un incidente di due anni fa. Stavo scendendo in compagnia del mio preside la scala della scuola professionale dove allora insegnavo. I nostri sguardi caddero contemporaneamente su un'iscrizione che ornava un muro: «Morte agli ebrei!» Il mio superiore ebbe un sospiro desolato e commentò: «C'est la mode...»
Uff! Quand c'est la mode, tout est commode...

Elisabeth Van Wilder

(UPJF, 22 aprile 2005)





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