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Notizie su Israele 398 - 18 agosto 2007

1. Caos nella striscia di Gaza
2. Il business dei tunnel
3. Ritrovata collezione segreta del Führer
4. E' morto Raul Hilberg, storico dell'Olocausto
5. Gente d'Israele - Reportage
6. Libri
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Geremia 31:35-36. Così parla il Signore, che ha dato il sole come luce del giorno e le leggi alla luna e alle stelle perché siano luce alla notte; che solleva il mare in modo che ne mugghiano le onde; colui che ha nome: il Signore degli eserciti. «Se quelle leggi verranno a mancare davanti a me», dice il Signore, «allora anche la discendenza d'Israele cesserà di essere per sempre una nazione in mia presenza».
1. CAOS NELLA STRISCIA DI GAZA




Dove Israele si ritira
arriva l'Islam



Due anni dopo il ritiro unilaterale da Gaza e un anno dopo la fallita guerra del Libano, oggi nella striscia di Gaza è al potere un fanatico regime islamico. In un'azione fulminea durata cinque giorni il radicale Hamas ha cacciato la milizia Fatah dalla provincia meridionale palestinese e ha messo sotto il suo controllo la striscia di Gaza. E' incredibile, ma 10.000 miliziani di Hamas hanno sopraffatto le forze di sicurezza di Fatah che disponevano di 60.000 uomini. I sanguinosi scontri hanno provocato più di 300 morti, principalmente tra i membri di Fatah. Entrambe le parti si sono combattute senza pietà, come se si trovassero davanti al "nemico sionista". Non è esagerato dire che si è trattato di una guerra civile palestinese. Terroristi fuggivano davanti ad altri terroristi. Centinaia di seguaci di Fatah, che soltanto poche settimane fa lanciavano razzi Qassam insieme ai loro camerati di Hamas, adesso cercano protezione in Israele. Alla radio palestinese della striscia di Gaza, che adesso è sotto il controllo di Hamas, i palestinesi di Fatah sono descritti come "assassini e criminali", "portatori di fucili sionisti", "piccoli diavoli", "cani di sangue freddo", "code americane", "sporchi peccatori" e così via.
    «Viviamo in un mondo in cui governano l'Islam estremista e i razzi», ha dichiarato a israel heute il capo del Likud Benjamin Netanjahu. «I territori che sgomberiamo unilateralmente sono occupati da forze estremiste islamiche. Dallo sgombero del sud del Libano nel 2000, in quella zona governano gli Hezbollah, e dal 2006 Hamas nella striscia di Gaza. Io ho continuato sempre ad avvertire, ma nessuno ha voluto ascoltarmi.» Come Netanjahu, anche l'esperto di Medio Oriente Ronen Bergmann vede l'Iran dietro la conquista di Hamas della striscia di Gaza. «Israele deve assolutamente spezzare l'asse Iran-Hamas», pensa Bergmann.

Armi invece di aiuti

Giornalisti palestinesi riferiscono a israel heute con quale spietatezza i diversi gruppi palestinesi hanno sparato gli uni contro gli altri. «I soldati israeliani nelle loro incursioni nella striscia di Gaza hanno mostrato di avere più riguardi per la popolazione palestinese che non i palestinesi fra di loro», ha detto Mahmud di Rafah. «Gaza è strapiena di armi, ma la gente non ha abbastanza da mangiare!» Il portavoce di Hamas, Shahawan, ha annunciato con fierezza: «Da ora in poi a Gaza regnerà la giustizia e la sharia (legge islamica)». Jakob Amidror, ex membro dello Stato Maggiore nel servizio informazioni militare, commenta: «Nella striscia di Gaza regna l'anarchia, e chi ne soffre di più è la popolazione palestinese, che nel gennaio 2006 ha votato a grande maggioranza per Hamas. I palestinesi si sono inguaiati da soli.»
    «Abbiamo votato per Hamas perché il governo Fatah sotto Mahmud Abbas ci aveva derubato e non ci aveva dato nessuna speranza», ci ha detto la palestinese Samach, del campo profughi Tschabaliya. «Ma adesso governerà un rigido Islam e di questo molti palestinesi hanno paura.» Come molti paletinesi, anche Samach dà la colpa a Hamas e a Fatah per i sanguinosi scontri. «Tutti e due ci hanno promesso una vita migliore e tutti e due ci hanno ingannato!» Il padre di sette bambini, Antuwan (33 anni) da Khan Yunis nella striscia di Gaza, impreca contro il governo di Hamas: «Invece di provvedere alle persone, da quando ha preso il potere Hamas si preoccupa soltanto del suo armamento. Dal momento che Hamas ha vinto su Fatah, il popolo palestinese ha perso! La nostra vita non diventerà più facile.»

«La colpa è di Israele»

«Il caos nella striscia di Gaza è il risultato della politica fallimentare di Israele negli ultimi 15 anni», ha detto il premio Nobel per l'economia israeliano prof. Israel Aumann, che considera la politica come la causa di una possibile fine dello Stato d'Israele. «Chi vuole la pace deve prepararsi alla guerra. E' una cosa che sapevano già gli antichi romani. Israele deve innanzitutto essere capace di difendersi.» Aumann si è occupato intensamente della relazione tra conflitto e cooperazione. «Dobbiamo essere psicologicamente capaci non soltanto di sopportare perdite, ma se necessario anche di provocare perdite. Non serve continuare a gridare alla pace.»

«Sotto Israele era meglio!»

Sempre più spesso si trovano palestinesi che oggi ammettono che la vita sotto l'amministrazione israeliana era non solo migliore, ma anche molto più comoda che sotto la cosiddetta libertà palestinese. «Se soltanto avessimo immaginato che dopo l'occupazione israeliana saremmo stati esposti a simili conseguenze, non avremmo dato il nostro consenso all'Autonomia palestinese», ci ha detto il trentacinquenne Anwuar della striscia di Gaza. Durante la prima intifada (1987-93) anche lui, come giovane, aveva lanciato pietre contro gli israeliani. «Per 15 anni ci hanno lavato il cervello per farci odiare Israele, ma oggi odio i miei dirigenti più di Israele.» In un'intervista telefonica con israel heute, il politico di Fatah, dr. Sufian Abu Zaida (47 anni), fuggito dalla striscia di Gaza, ha detto di aver perso ogni speranza. «Mi è del tutto passata la voglia di trattare per la pace. Hamas ha distrutto il sogno palestinese», ha detto sospirando il ministro palestinese di Fatah, Abu Zaida, che parla correntemente ebraico.
    Hamas considera la conquista come una seconda liberazione di Gaza dopo lo sgombero degli israeliani. «Nello stesso modo libereremo le altre città palestinesi e introdurremo la legge islamica, compresa Gerusalemme!», ha dichiarato il politico di Hamas Sami Abu Zuhri. «Fino a quel momento non deporremo le armi.» Di fatto a Gaza non esiste più un'Autonomia palestinese. L'incubo di un regime islamico radicale alla frontiera meridionale di Israele è diventato realtà.

Look islamico

Per i cristiani arabi, in tutto duemila, la vita è diventata ancora più pericolosa. In modo particolare per i duecento cristiani nati di nuovo di Gaza città. Durante la rivoluzione islamica una chiesa e una scuola cristiana sono state incendiate da fanatici musulmani. I credenti cristiani non osano parlare al telefono con israeliani, perché Hamas controlla le loro telefonate. Gli uomini si lasciano crescere la barba per non dare nell'occhio in strada. Un aspetto islamico protegge la vita. Fanno così anche ex membri di Fatah che adesso si inseriscono nelle file di Hamas. Un cristiano palestinese di Ramallah ha comunicato a israel heute che la famiglia di suo zio a Gaza non esce più di casa. «Uno dei suoi figli è stato pestato da giovani musulmani, e poiché loro sono cristiani, non ha osato portare suo figlio ferito all'ospedale», ha detto il cristiano di Ramallah, il quale chiede di pregare per i suoi parenti e per la comunità cristiana nella striscia di Gaza.

Israele deve mettersi in ginocchio

«Siamo sull'orlo di una nuova guerra e purtroppo abbiamo ancora il governo più debole che Israele abbia mai avuto», ha detto il responsabile della comunità messianica Shimon Nachum. «Da come si presentano le cose, a Israele non resta che mettersi in ginocchio e supplicare l'aiuto di Dio. E la sua salvezza arriverà, ma come già accaduto spesso nella storia biblica, soltanto all'ultimo momento. Con la sua saggezza Dio metterà ordine nel disordine politico. Come, non sappiamo. Ma chi crede nei miracoli confida nell'intervento di Dio.»

Due palestine

La vittoria di Hamas nella striscia di Gaza mette in nuova luce la soluzione-due-stati. Invece di esserci Palestina qui e Israele lì, adesso praticamente esistono due Palestine - una nella striscia di Gaza sotto il governo di Hamas e l'altra nel territorio biblico Giudea-Samaria sotto il governo di Fatah. Il fatto che Fatah sia ancora al governo in Giudea-Samaria è dovuto all'esercito israeliano che controlla il territorio centrale biblico e non lo ha ancora sgomberato.

(israel heute, agosto 2007 - trad. www.ilvangelo-israele.it)





2. IL BUSINESS DEI TUNNEL




Gaza nei tunnel del contrabbando

di Roberto Bongiorni

Cercateli i tunnel, senza l'aiuto dei "topi"o dei contrabbandieri non li troverete mai. Potreste passarci accanto e non ve ne accorgereste. L'autostrada delle armi inizia con un foro largo un metro a Rafah, nel sud della striscia di Gaza. L'ingresso può essere ovunque, nel bagno di una fatiscente casa palestinese, nel retrobottega di un piccolo negozio o, come nel nostro caso, tra un cumulo di macerie. L'uscita è dall'altra parte del confine, in Egitto. Il buco riappare in luoghi impensabili: in una delle tante fattorie, in una polverosa casa in mezzo alle galline o nella cantina di una casa popolare.
    Ali e Hassan sono due topi, due professionisti dei tunnel. Vivono a Rafah, nella parte palestinese. Un muro lungo 14 chilometri e alto dieci metri, noto come corridoio di Philadelphia, la divide dalla Rafah egiziana. Prima c'erano gli israeliani a presidiare il confine. Nel novembre del 2005 hanno ceduto il controllo alle forze di Abu Mazen, che lo hanno perso lo scorso giugno. Oggi il corridoio tra le due frontiere è pattugliato dalle guardie di Hamas, che si guardano in cagnesco con i colleghi egiziani.
    La galleria di Ali e Hassan è uno dei tanti anonimi "buchi" a poche decine di metri dal muro. Superata l'entrata non si immaginerebbe di trovare una stanza sorretta da pericolanti colonne. Quel che resta di un edificio alto dieci piani e ora intrappolato sotto la terra. Poco sotto eccoci davanti all'occhio del tunnel. Va giù in profondità per sette metri,appoggia su un terreno sabbioso. E da lì una stretta galleria orizzontale dal diametro di 75 centimetri , si allunga per 750 metri nelle viscere della terra per sbucare in una casa dell'altra Rafah. Il tunnel si percorre a gattoni. Lo attraversiamo per 70 metri. Qui, sottoterra, tutto è silenzio. La sabbia ti si infila ovunque, sotto i vestiti, nelle scarpe, si dentro ai polmoni. Ali e Hassan lo hanno scavato sette mesi fa con altri due topi: 12 settimane di lavoro incessante,in compagnia di una pila e di un martello pneumatico. La terra estratta nascosta in grandi sacchi, per non destare sospetto. "Nel tunnel" ricorda Hassan, 28 anni, "ti sembra di morire. Prima di entrare ti togli il cuore e lo depositi in un angolo". "Tutto è ostile"gli fa eco Ali, 22 anni. " All'uscita potresti trovare le guardie di Hamas ed essere arrestato. Sotto devi prestare attenzione alla terra che potrebbe cedere da un momento all'altro. E in agguato c'è sempre il peggiore dei pericoli: il gas immesso dalle guardie egiziane quando scoprono il tunnel. Te ne accorgi solo quando la gola ti si serra e ormai è troppo tardi. Di topi a Rafah ne sono morti parecchi, ma nessuno ne parla".
    Il tunnel di Ali e Hassan ora è a riposo. E non è il solo. E' l'effetto di Hamas. Da quando il movimento islamico ha conquistato a metà giugno la Striscia di Gaza, sbarazzandosi delle forze di Fatah in cinque giorni, il contrabbando ha accusato un crollo verticale. Nei tunnel si trafficava di tutto: laptop, sigarette, hashis , medicinali, anche viagra. E naturalmente armi di ogni tipo, ma soprattutto la regina delle merci: l'Ak 47, meglio noto come kalashnikov. L'arma più richiesta, il business, il più remunerativo fino a quel 19 giugno.
    Attraverso queste gallerie ne sono transitati decine di migliaia.
    Ventimila solo nel 2006, secondo le autorità israeliane. "Molti, molti di più" , avverte un venditore di armi. Fino a metà giugno la Striscia di Gaza era la terra dell'anarchia. Alle armi ci si doveva subito abituare. Le esibivano le diverse milizie, gli apparati di polizia e dell'esercito, i clan criminali. Giravano armati persino i padri di famiglia, terrorizzati dalla faida tra Fatah e Hamas. Due mesi fa chi poteva permetterselo acquistava un kalashnikov al mercato nero, al prezzo di 1550-1700 dollari.
    Gaza oggi è la terra di Hamas. Gaza è Hamastan. Sono loro, gli uomini del movimento islamico vincitore alle elezioni palestinesi del gennaio 2006, i signori di questo fazzoletto di terra lungo 40 chilometri e largo poco più di dieci. E per convincere il mondo di esser i soli capaci a riportare l'ordine, hanno deciso di cambiare volto alla Striscia. Gaza non è mai stata così tranquilla. Di mitra in giro non se ne vedono più. "Chiunque venga sorpreso con le armi in pubblico, viene arrestato e l'arma sequestrata", ci spiega Islam Shahwan, portavoce delle Forze di sicurezza preventiva, la polizia di Hamas. Così è cambiata la Striscia, dove un tempo la raffica di kalashnikov era un suono familiare. Oggi solo gli uomini della sicurezza preventiva possono girare armati. I miliziani della Jihad e del Fronte popolare sono autorizzati a possedere munizioni, ma solo fuori città, e solo per la resistenza contro Israele.
    Il giorno della resa di Fatah, Hamas si trovò davanti a un arsenale inesauribile:le armi abbandonate nelle caserme e quelle sequestrate i giorni seguenti ai 25mila soldati di Fatah rimasti a Gaza. Munizioni spesso fornite dagli Stati Uniti. Poi fu il turno di clan e famiglie potenti. Anche loro hanno subito la stessa sorte. Allarmato, chi aveva acquistato un Ak 47 iniziò a liberarsene, svendendolo. Hamas faceva sul serio: a costo di sequestrare i carichi, non esitava a ingaggiare violenti combattimenti con i contrabbandieri. Lo sa bene Suleyman, 38 anni, contrabbandiere Rafah. Lui è il padrone del tunnel dove lavoravano Ali e Hassan, a loro dà un sesto dei suoi guadagni. Le guardie di Hamas hanno aperto il fuoco contro la sua palazzina e gli hanno sequestrato 70 Ak 47. "Il mercato dei kalashnikov è crollato. Adesso" commenta amareggiato Suleyman, il volto coperto da una kefiah bianca a quadri rossi "trovate un kalashnikov a 300 dollari. A me portarlo dall'Egitto costa 500. Molti dei miei colleghi si trovano i magazzini pieni, hanno nascosto le armi dovunque".
    Ma quanti sono i tunnel al confine con l'Egitto? C'è una persona a Rafah molto bene informata al riguardo. Si fa chiamare Abu Mohammed. "A Rafah esistono venti, trenta tunnel principali che arrivano in Egitto. Ma in tutto sono oltre 200. Perchè ogni grande tunnel è collegato all'arrivo e alla partenza da diverse gallerie secondarie. Se ne distruggono una deve sempre esserci un'alternativa". Dati non ne esistono. Si sa tuttavia che dal Settembre del 2005, quando gli israeliani evacuarono gli insediamenti di Gaza, le guardie di frontiera egiziane hanno individuato e distrutto 138 tunnel. Si sa che dalla vittoria di Hamas ne hanno già trovati sei. Si sa che gli israeliani si accorsero fin dalla Seconda Intifada (scoppiata a fine Settembre del 2000) della crescente minaccia dei tunnel. La grande operazione Rainbow, nel 2004 era finalizzata proprio alla distruzione del network delle talpe palestinesi. Rasero al suolo molte case vicino al muro e distrussero 90 cunicoli. Ma i topi continuarono la loro opera. Così come le milizie di Hamas. Grazie a un tunnel entrarono in territorio israeliano, uccisero due soldati esequestrarono il caporale Gilad Shalit. Era il 25 Giugno 2006. Da allora Israele ha distrutto altri 40 tunnel.
    "Di tunnel" dice Abu Mohammed "ne faranno altri sempre più lunghi. Oggi ce ne è uno che supera i 3,5 chilometri. E con Hamas il business dei tunnel procede comunque molto bene, semplicemente è cambiato: chi vendeva Ak 47 e hashis piange lacrime amare. Ma chi si è specializzato in pallottole ed esplosivo fa grandi affari. E' la merce più appetita. Non solo le gallerie servono per far passare anche persone. Mohammed Daif (il capo delle Brigate Ezzedin al-Qassam, ricercato numero uno da Israele) è passato da qui per andare a farsi curare in Iran quando scampò a un attacco israeliano. Da qui sono passati i miliziani di Ezzedin addestrati in Iran".
    Dichiarazioni sempre respinte da Hamas. Ma che ruolo ha il movimento islamico? Ha deciso di punire i contrabbandieri e al contempo continua a rifornirsi di armi. "Il business è in mano a dieci grandi contrabbandieri. Li chiamano in King of Rafah, ciascuno di loro quadagna non meno di 3 milioni di dollari, ma anche più di 5 ogni anno". Secondo i contrabbandieri, Hamas si rifornirebbe da loro per alcune merci, a patto che rispettino gli accordi e non vendano a clan e privati. Ma corre voce che il movimento islamico possieda i suoi tunnel privati. Segretissimi, illuminati. dotati di binari per far scorrere i carrelli e sorretti da architravi di legno contro il pericolo di cedimenti. Mahmoud dice di non saperlo, di non volerlo dire. Ma afferma con sicurezza che oggi arrivano qui moderni lanciarazzi, granate, missili anticarro cobra, esplosivo e armi iraniane. Merce destinata ad Hamas o alle milizie palestinesi. Hamas, accusano i servizi israeliani, vuole costruire un esercito simile a quello di Hezbollah.
    Hassan e Ali dicono di non avere più Ak 47, ma non hanno perso la speranza. "Che a Gaza ritornino le forze e i politici di Fatah. E soprattutto quell'ufficiale di frontiera, che strizzava l'occhio e allungava la mano destra. Ci permetteva di contrabbandare di tutto".

(Il Sole 24 Ore, 12 agosto 2007)





3. RITROVATA COLLEZIONE SEGRETA DEL FÜHRER




La serie di dischi per grammofono era stata ritrovata nel 1945 a Berlino da un ex-ufficiale sovietico. Secondo quanto riporta il quotidiano britannico, pare che Adolf Hitler gradisse Wagner, Tchaikovsky, Rachmaninov e Borodin. Tutti artisti denigrati pubblicamente di fronte al suo paese.

ROMA - Durante il Terzo Reich Hitler ha bandito musicisti russi ed ebrei dagli auditorium tedeschi; nel suo Mein Kampf ha tuonato contro la cultura ebrea mettendo in dubbio la sua stessa esistenza; e, sempre in quelle pagine, ha definito i russi degli aborti dell'umanità. Eppure, nel segreto delle sue stanze, Adolf Hitler ascoltava e apprezzava molto la loro musica.
    Secondo quanto riporta oggi il sito del quotidiano britannico The Guardian,sono circa 100 i dischi per grammofono, appartenuti al dittatore nazista, ritrovati alle porte di Mosca nella casa di proprietà di un ex-ufficiale dell'intelligence sovietica.
    I brani presenti in questa collezione rivelano chiaramente che, in realtà, i gusti musicali di Hitler erano molto vicini a quegli artisti che lui, puntualmente e pubblicamente, denigrava nei suoi discorsi inneggianti alla "razza pura". La passione del Führer per Richard Wagner è cosa assai nota, ma la serie di dischi annovera fra gli altri anche alcune opere di Tchaikovsky, Rachmaninov e Borodin. Tutti quanti ritrovati in condizioni pessime perché ascoltati molto spesso all'epoca.
    Molto apprezzato era Bronislav Huberman, violinista ceco che fu costretto all'esilio forzato. Fuggì da Vienna nel 1937, un anno prima dell'Anschluss, e fu dichiarato pubblicamente nemico del Terzo Reich. Oltre a quella di Huberman, la collezione comprende anche la musica del pianista ebreo di nazionalità austriaca Arthur Schnabel.
    Lew Besymenski era un ufficiale dell'intelligence sovietica che interrogò diversi gerarchi nazisti catturati dai russi nel 1945. Trovò la collezione nella cancelleria del Führer nel maggio di quello stesso anno, quando gli fu ordinato di perquisire gli edifici abbandonati dai nazisti subito dopo che Berlino cadde in mano dei sovietici. I dischi erano imballati in una cassa, probabilmente pronti per essere trasferiti in tutta fretta nel Berghof, la tenuta alpina di Hitler nella zona di Obersalzberg.
    Fin quando è stato in vita, Besymenski non ha mai parlato di questa collezione perché temeva che potesse essere accusato di saccheggio. Conclusa la carriera militare divenne uno storico, e dichiarò di avere assistito all'autopsia dei resti carbonizzati del cadavere di Adolf Hitler. Dopo la sua morte, avvenuta all'età di 86 anni la scorsa estate, la collezione fu riportata alla luce dalla rivista tedesca Der Spiegel.
    In una lettera in cui spiega come entrò in possesso di quei dischi, Besymenski ha scritto: ''C'erano registrazioni delle migliori orchestre europee e tedesche con i migliori solisti dell'epoca. Ero incredulo quando in quella collezione ritrovai anche dei musicisti russi''.
    Alexandra, la figlia dell'ex-ufficiale, ha detto di essere disgustata dall'ipocrisia di Hitler nel denigrare di fronte al suo paese quegli artisti che invece, in segreto, ammirava e ascoltava. "Si tratta di una vera e propria beffa" ha concluso. ''Milioni di slavi e di ebrei sono stati massacrati a causa della sua ideologia razzista''

(IGN, 8 agosto 2007)





4. E' MORTO RAUL HILBERG, STORICO DELL'OLOCAUSTO




WASHINGTON - Lo storico americano Raul Hilberg - che dedicò oltre mezzo secolo di studi all' Olocausto, sul quale scrisse un monumentale e fondamentale libro - è morto nei giorni scorsi a Burlington (Vermont), per un cancro polmonare, all'età di 81 anni. Lo ha annunciato l' Università del Vermont, dove aveva insegnato dal 1956 al 1991.
    Nato a Vienna il 2 giugno 1926, lui stesso ebreo, Hilberg è noto soprattutto per 'La distruzione degli ebrei d'Europà, opera di riferimento sulla Shoah, che descrive con completezza, precisione e rigore storico come la Germania nazista pianificò e mise in atto lo sterminio. Cominciò a lavorare alla monumentale opera (1. 200 pagine) nel 1948, quando - come disse lui

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stesso nel 2004 in una intervista all'agenzia Reuters - "nella comunità ebraica l' argomento era quasi tabù". "Andai avanti con il mio lavoro (...) quasi, vorrei dire, come forma di protesta contro il silenzio", sottolineò. Il libro fu pubblicato nel 1961 da un piccolo editore di Chicago, con un contributo dell'autore alle spese, ma Hilberg continuò a lavorare meticolosamente su testimonianze e documenti.
    L'apertura degli archivi sovietici a partire dagli anni '90 gli permise di arricchire considerevolmente la sua opera, che usci' nel 2003 in una terza edizione assai ampliata. "La distruzione degli ebrei non fu accidentale. Nei primi giorni del 1933, quando il primo funzionario stilò la prima definizione di 'non ariano' in un'ordinanza dell' amministrazione, la sorte del mondo ebraico europeo si trovò ad essere segnata", scrive Hilberg nel suo libro. L'opera - pur criticata da taluni per l'attenzione più sui carnefici e sulla macchina tecnico-burocratica all'origine dell'Olocausto che sulle vittime - resta un momumento di erudizione e una 'summa' storica. Dalle radici dell' antisemitismo in Germania all'atteggiamento della popolazione, dalle prime leggi antiebraiche allo sterminio di massa - passando per gli espropri, le deportazioni, i ghetti, i campi di concentramento, le "operazioni mobili di massacro" - Hilberg descrive accuratamente il "processo di distruzione" che portò all'eliminazione di sei milioni di ebrei in Europa.
    Nato da una famiglia ebrea che fu in parte uccisa dai nazisti, Hilberg emigrò nel 1939 negli Stati Uniti, dopo l' Anschluss (annessione) dell'Austria da parte della Germania hitleriana. Arruolatosi volontario a 18 anni nell'esercito Usa, combatté in Europa ed entrò nell'aprile 1945 a Monaco di Baviera con la 45/a divisione di fanteria. Dopo che il suo reparto aveva liberato il campo di concentramento di Dachau, il Hilberg cominciò a cercare nelle casse di documenti abbandonate dai gerarchi nazisti, e ad appassionarsi allo studio. Di lui restano anche altre opere dedicate alla Shoah: tra queste, 'Esecutori, vittime, testimoni' (1992), 'La politica della memoria' (1996), 'Olocausto: le fonti della Storia' (2201).

(ANSA, 8 agosto 2007)





5. GENTE DI ISRAELE - REPORTAGE




Ziva Korsa, direttrice di un asilo a Sderot

di Anna Rolli

Sto viaggiando in macchina verso Sderot con un'amica israeliana che oggi mi farà da interprete. E'una persona senza peli sulla lingua come molti altri israeliani, e commenta " Ma perché Prodi non manifesta la sua intenzione di stabilire un dialogo con la Mafia e la Camorra per aiutarle ad evolvere?". Poi aggiunge: " Anche la Mafia e la Camorra presentano i loro uomini alle elezioni, e molte volte in passato sono riuscite a farli eleggere, quindi si potrebbe considerarle democratiche, perché no?".
    Io evito di rilevare il sarcasmo delle sue parole, e provo una sensazione di disagio che assomiglia alla vergogna. Poi torno ad osservare i campi arati, gli eucalipti, gli oleandri lungo le strade e le casette bianche.
    Ieri sono andata a Sderot per visitare un centro della Wizo, un asilo per novanta bambini dai sei mesi ai tre anni. Fa una strana impressione entrare in un asilo che è un bunker.
Un asilo, con una graziosa cupola orientaleggiante sul tetto, le pareti esterne decorate con mattonelline dai colori pastello, gialline, azzurrine, verdine, e tutto vivace all'interno, con fiori nei vasi e giocattoli ovunque e i bambini distribuiti nelle aule che dormono sul pavimento distesi su materassini di gomma, con il ciuccetto in bocca e le bamboline tra le braccia, giacché siamo arrivate durante il riposino pomeridiano.
    Poi ti giri e ti rendi conto che tutte le pareti esterne sono formate da enormi blocchi di cemento armato sovrapposti e dipinti di bianco e che tutte le finestre hanno vetri antiproiettile e che di fronte ad ogni apertura verso l'esterno sono state costruite pareti rinforzate per intercettare le schegge.
    La direttrice ci raggiunge ed è una donna sui quarant'anni con una figura da nuotatrice, alta e atletica, in scarpe da tennis e fuseau, e ci invita nel suo ufficio dai mobili semplicissimi sorridente di un sorriso incredibilmente spontaneo, uno di quei sorrisi non comuni pronti a trasformarsi in una risata di cuore e che ti fanno sentire subito come se tu avessi davanti, a parlare con te, tua sorella o una delle tue amiche più care.
    Per prima entra una bidella un po' intimidita con l'immancabile freschissima limonata alla menta che qui, a quanto pare, viene offerta dovunque, e poi altre collaboratrici. E osservando Ziva Korsa mentre parla a tutte con lo stesso tono rilassato e ridente ho pensato agli arcigni e acidi capetti che tante volte ho incontrato nei miei giri in Italia e a come sarebbe bello il mondo se in ogni luogo di lavoro si potessero avere direttrici e direttori aggraziati quanto lei.
    "Qui a Sderot quest'anno i ragazzi non hanno quasi studiato, perché le lezioni sono state quasi sempre sospese per i bombardamenti, poi a maggio le autorità militari hanno deciso di chiudere le scuole. Durante l'anno le aule erano state ricavate nelle cantine e siccome lo spazio si era rivelato insufficiente, era stato aumentato il numero degli alunni per classe e si facevano i turni per tutto il giorno.
    Per gli esami di maturità invece, gli allievi, sono stati mandati in altre città dove potessero sentirsi più tranquilli. Normalmente l'anno scolastico inizia il primo settembre e termina il 30 giugno.
    Ora stanno rinforzando tutte le scuole ma non so se riusciremo a riaprire per dopo l'estate, perché i genitori hanno paura di mandare i figli a scuola ed inoltre, perché qui, chi prende queste decisioni non è più il sindaco ma il comandante dell'esercito.
    Questo asilo, per ora, è l'unico completamente protetto ed è stato donato dai Rapaport, una famiglia di ebrei svizzeri.
    I missili kassam ci raggiungono da sette anni, ma gli ultimi due anni, dopo che hanno evacuato le colonie da Gaza, sono stati i peggiori, davvero tremendi. Qui c'erano 25.000 abitanti ma con il tempo molta gente è andata via.
    Si calcola che siano andate via circa 4000 persone, sono partiti tutti quelli più ricchi che ne avevano la possibilità, tutti quelli più colti che potevano trovare lavoro anche altrove, i dirigenti, gli uomini d'affari, gli imprenditori, quelli che davano lavoro agli altri e così l'economia ne sta risentendo sempre più e aumenta la disoccupazione.
    La gente che fa? Non lo so, che può fare? La gente prega Dio… e aspetta".
    Ziva alza gli occhi al cielo e guarda un po' me e un po' l'amica che mi fa da interprete. Ha i capelli neri neri corti corti e un ciuffetto bianchissimo proprio in mezzo alla fronte. Io le parlo in inglese, lingua che lei comprende abbastanza, ogni tanto mi risponde anche, con un inglese un po' incerto, poi subito torna all'ebraico.
    "Io una sera andavo a cena da amici. Il tempo di prendere il vassoio con i dolcetti dal portabagagli e di varcare l'uscio di casa e la mia automobile è stata centrata da un kassam e il salotto dei miei amici si è riempito di fumo e di calcinacci e ci siamo ritrovati sconvolti.
La mia bambina era terrorizzata e così l'ho mandata per un mese a Naharia da mia madre, ora è tornata ed è più tranquilla. L'estate scorsa mia madre e mia sorella sono sfollate perché Naharia era sotto il tiro di Hezbollah, sono venute qui per un po', ma qui ci bombardavano peggio che da loro, e così sono rimaste poco, si sono trasferite a Cesarea.
    La mia opinione è che gli ebrei dovrebbero vivere all'interno della Linea Verde, io penso che potrebbe essere una soluzione ed ho fiducia in Abu Mazen. Credo che anche lui voglia la pace. Sono molto ottimista perché c'è speranza e tutti speriamo che venga la pace. Certo con Olmert è un vero problema perché non è amato, non è un leader, non sa conquistare il popolo e non è adatto ad affrontare questa situazione così difficile.
    Io sono nata a Hedera ma sono cresciuta nel kibbutz di Nahal oz. A diciotto anni venni a Sderot perché avevano bisogno di volontari e lavorai per prestare aiuto nelle scuole, e così incontrai il ragazzo che sarebbe diventato mio marito. Dopo il servizio militare lasciai il kibbutz e venni qui a vivere con lui.
    Ho tre figli, la più grande ha 18 anni e tra poche settimane partirà per l'esercito, il secondo ha diciassette anni e partirà l'anno prossimo…".
    Ziva si trasforma, è un attimo e non è più la stessa. Il suo viso si spegne e per la prima volta mi accorgo che i suoi occhi stanno evitando i miei.
    "Ma" e quasi balbetto e inciampo in inglese " ma ci sarà la pace, di sicuro,… si metteranno d'accordo, si stanno già mettendo d'accordo…"
    La verità purtroppo è un'altra, la verità è che non mi sento affatto sicura.
    Ziva sospira e scuote il capo due o tre volte poi riprende.
    "Ci sarà la pace? O è tempo di guerra con la Siria? Potrebbe essere la volta buona per la pace… ma ho paura che la guerra arrivi dalla Siria più che da Gaza.
    Non c'è molta amicizia tra arabi ed ebrei, neppure qui in Israele dove siamo tutti cittadini israeliani.
    Gli arabi non amano gli ebrei e gli ebrei non amano gli arabi. Gli arabi dicono che gli ebrei vengono trattati meglio dal governo, ed è vero, io li capisco. Capisco perché non piacciamo loro, perché per la legge e sulla carta hanno esattamente gli stessi nostri diritti però nella realtà non è così. Perché sono una minoranza, e come in tutto il mondo, anche qui per le minoranze la vita è più dura. Certo gli arabi vorrebbero vivere come gli ebrei…".
    A questo punto l'interprete smette di tradurre e iniziano a discutere e a battibeccare in ebraico tutte accalorate e non so più come chetarle.
    "Gli arabi non fanno il militare e questo secondo alcuni è un grande vantaggio, i beduini o i drusi possono farlo ma non sono obbligati, vengono soltanto come volontari, agli altri non è permesso, invece per gli ebrei è obbligatorio. E' un grande vantaggio però anche questo li fa sentire diversi da noi.
    Anche gli ebrei non amano gli arabi. Gli ebrei ne hanno paura. Anch'io ho paura degli arabi perché sono violenti e non puoi mai fidarti di loro.
I Il cambiamento richiede tempo. Israele per cambiare ha lasciato Gaza e io credevo che fosse una buona decisione. Oggi, nonostante il disastro, forse lo penso ancora, però la nostra vita, da allora, è diventata molto più difficile. Io vorrei la pace, la quiete, vorrei che i miei figli e tutti i bambini di Sderot fossero felici. Ma come si può fare? Io non so come si può fare. Che l'esercito torni là, a Gaza, no, non mi piacerebbe, però se la situazione lo richiederà… a me non piacerebbe l'esercito a Gaza però Sderot deve vivere…".
    Finita la visita la mia amica interprete ed io ce ne andiamo a passeggio per Sderot, in automobile. E' una cittadina molto verde, con le villette coloniali tra i fiori e le palazzine popolari a quattro piani tutte in fila.
    Si vedono i campi di pallacanestro protetti da tettoie a prova di bombe. Le scuole con i lavori in atto, la sede degli scouts con un bunker davanti all' ingresso.
    Ci sono molti prati con le zone giochi per i bambini, proprio come in ogni parte del mondo, con gli scivoli, le altalene e le aiuole di sabbia, però qui nella zona giochi c'è, sempre, anche un bunker nel quale i bambini si rifugiano appena suona l'allarme che annuncia l'arrivo di un missile e concede due minuti di tempo.
    I bunker sono tutti uguali, un cubo di cemento armato, con due lati , quello davanti e quello dietro, appena scostati per lasciare lo spazio di entrata e di uscita.

(Nuova Agenzia Radicale, 15 Agosto 2007)





6. LIBRI




Religione teologica evangelicale
e antisemitismo cristiano

E' uscito recentemente un dizionario di teologia che nel suo titolo usa anche l'aggettivo "evangelica". I termini non sono brevettati e quindi ciascuno può usarli liberamente, ma forse sarebbe stato più appropriato usare l'aggettivo "evangelicale", che meglio si adatta alla dizione "religione teologica evangelicale" che, in sostituzione di "fede cristiana evangelica", dovrebbe essere usata per indicare la realtà ecclesiastica che con certe pubblicazioni si vorrebbe costituire o consolidare.
La semplice voce "Israele" nel dizionario non compare. Compaiono invece altre voci, considerate evidentemente più importanti, come:
    adiaphora, anamnesi, amiraldismo, apocatastasi, calvinismo, ipercalvinismo, neocalvinismo, pericoresi, deismo, docetismo, donatismo, dualismo, ellenismo, evangelicalismo, evoluzionismo, gnosticismo, idealismo, liberalismo, marcionismo, montanismo, nominalismo, perfezionismo, presupposizionalismo, relativismo, ricostruzionismo, sincretismo, sinergismo, svago.
Anche di Israele però un pochino si parla, e precisamente in due voci: "Nuovo Israele" e "Israele e profezia". Il primo articolo, come emerge dal titolo stesso e come accenneremo in seguito, non parla di Israele ma di qualche altra cosa. O se si vuole, nomina Israele soltanto per negarlo. Nel secondo articolo, che dovrebbe parlare di Israele nel futuro, l'autore riesce con teologica abilità a non dire niente. Parla di "difficoltà nella definizione dei termini": chissà che cosa significa la parola "profezia", chissà che cosa s'intende quando si parla d'Israele. E' tutto molto difficile.
    «Nell'interpretazione dei testi profetici, è difficile sapere se la restaurazione a cui alludono è adempiuta nel ritorno d'Israele nella terra promessa dopo l'esilio... oppure se parla di un futuro lontano».

Bisogna avere «un sano scetticismo» - dice l'autore - contro tutti quelli che dicono qualcosa sull'argomento.
    «I tentativi di collegare il ruolo d'Israele al millennio di Apocalisse 21,1-10 sono ugualmente deboli e dovrebbero essere trattati con molta cautela, considerate le difficoltà interpretative del testo rispetto alle sue applicazioni presenti e future.»
E quanto all'Israele di oggi:
    «La ricostituzione del moderno stato d'Israele nel 1948 ha dato origine, sia nel giudaismo sia nel cristianesimo, ad una rinnovata speculazione circa la restaurazione d'Israele e il compimento delle attese escatologiche dei profeti».
Va da sé che per l'autore certe "speculazioni" vanno rifiutate a priori, senza bisogno di dimostrazione biblica. Così è e così deve essere. Verso la fine dell'articolo l'autore si esibisce in un'impagabile "teologata" che vale la pena di riportare per intero:
    «La prospettiva biblica che emerge dagli scritti profetici è che la storia umana ha una direzione e un movimento all'interno della provvidenza di Dio in cui Israele ha un ruolo continuo. Dalla prospettiva del NT, la fede nella seconda venuta di Cristo, insieme all'escatologia profetica riguardante Israele, deve essere compresa mediante la fede.»
Israele dunque ha un ruolo continuo. Quale? Non viene detto, e non si può negare che all'interno della provvidenza di Dio anche Satana ha un ruolo continuo. Pietro il Venerabile (XII sec. ), abate di Cluny, aveva detto qualcosa di simile sugli ebrei: «... Dio non volle che fossero uccisi ma che come Caino sopravvivessero in una condizione di vita peggiore della morte...» . Un ruolo continuo, appunto.
Vale la pena poi di esaminare l'ultima frase riportata: «... la fede nella seconda venuta di Cristo ... deve essere compresa mediante la fede.» La fede deve essere compresa mediante la fede: spiegazione teologica ineccepibile. Viene in mente quel sonetto in romanesco del poeta Gioacchino Belli in cui un popolano romano racconta quello che ha capito dalla predica di "Quer bon padre Curato tanto dotto" che "se piantò co' le chiappe sul paliotto - a spiegà li misteri della fede". Il sonetto si conclude cosi: "Inzomma, da la predica de ieri - gira che t'ariggira, in concrusione - venissimo a capì che so misteri".
Quanto alla voce "Nuovo Israele", l'articolo comincia così:
    «Una descrizione della chiesa che emerge dalla convinzione che la posizione d'Israele come popolo eletto di Dio sia stata trasferita alla chiesa. La descrizione non è usata nel NT, ma questo non vuol dire che il NT non la possa far propria senza usare l'espressione. Quest'ultima è stata impiegata dal tempo di Tertulliano ed è importante sapere se il NT la sostiene.»
Si vorrebbe sapere allora se, secondo l'articolista, il Nuovo Testamento la sostiene. La risposta dell'articolista evidentemente è "sì", ma ci arriva dopo una serie di contorsioni teologiche che dovrebbero attenuare l'impatto della conclusione:
    «I giudei che rifiutano di credere [in Cristo] perdono il diritto di chiamarlo padre [Dio] e di godere dell'appartenenza ad Israele. Così, il nome d'Israele è giustamente applicato solo a quei giudei che formano il resto salvato in Cristo (cf Gal 6,16 dove la frase "Israele di Dio" può essere [si badi: "può essere", non "è", come evidentemente pensa l'autore, ndr] riferita alla chiesa intera, composta di giudei e non giudei, ma probabilmente [si badi: "probabilmente", non "certamente", come scaturirebbe da una corretta esegesi, ndr] Paolo sta pregando specialmente per i cristiani giudei).»
L'articolo si conclude con queste parole:
    «L'espressione "nuovo Israele" invita a prendere sul serio l'affermazione di Paolo secondo cui il vangelo riguarda il giudeo prima e poi il greco».
Che cosa voglia dire "prendere sul serio" un'affermazione della Sacra Scrittura rimane un mistero. Il semplice fatto di usare un'espressione simile in una pubblicazione teologica invita a non prendere sul serio chi la usa.
Ma se la presentazione del nuovo Israele nella corrispondente voce risulta fumosa, ci pensano i curatori del dizionario a essere più chiari. In un articolo a firma P.B. l'articolista scrive:
    «L'impostazione dispensazionalista è sicuramente diversa da quella degli apostoli che consideravano la chiesa il "nuovo Israele". Secondo la Scrittura, coloro che sono stati lavati nel sangue di Cristo sono diventati le nuove "dodici tribù"».
In conclusione, gli ebrei che non credono in Cristo perdono il diritto di appartenere a Israele; la chiesa è il "nuovo Israele"; le dodici tribù ebraiche sono svaporate e si sono ricondensate nei cristiani. Questa è teologia della sostituzione della peggiore specie, e la conseguenza più o meno prossima di una siffatta teologia è l'antisemitismo, teorico o pratico, potenziale o attuale.
Anche quella sorta di concentrazione cristologica (comune alla neo-ortodossia barthiana) con cui si riporta formalmente tutto a Cristo facendo esaurire e svanire nella sua persona tutto quello che la Bibbia dice su Israele, nonostante la parvenza di superspiritualità in realtà non è affatto biblica, e il solo risultato che ottiene è di far giocare la figura di Gesù contro il popolo d'Israele. E questo, come già è avvenuto nel passato, costituisce la base teologica di una qualche forma di antisemitismo operante. Anche i teologi nazisti hanno sovraccaricato teologicamente la persona di Gesù a scapito degli ebrei. E' un diabolico giochino da teologi che molti hanno praticato, compreso il riformatore Martin Lutero, ma che deve essere chiaramente e fermamente respinto. In generale, ogni sistema teologico che attribuisce a Israele un posto diverso da quello voluto da Dio, inevitabilmente prima o poi si scontra con l'opera che Dio continua a compiere con il popolo che Egli "si è formato" e che "non ha rigettato". Quando questo accade, i teologi della sostituzione, per far tornare i conti senza dare torto a Dio, devono per forza dare torto a Israele. Non per questo chiederanno che gli ebrei siano uccisi, per carità, non sia mai, certamente anche loro hanno qualche amico ebreo. Ma se qualcuno lo farà, «beh, alla fine, in fondo in fondo, con tutta la loro testardaggine, se lo sono proprio voluto, Dio li ha castigati», diranno. O penseranno, che è ancora peggio. Questo è già più volte accaduto nel passato e ora si deve vedere chi è disposto oggi a favorire che accada di nuovo. Nel caso di una teologia della sostituzione come quella sostenuta da questo dizionario, è necessario che singoli e chiese cristiane evangeliche prendano posizione. Non si tratta di sfumature perché, per dirla nel gergo che piace ai teologi, il tema Israele appartiene alla cristologia. E la cristologia della teologia della sostituzione è gravemente errata e fuorviante.

Marcello Cicchese






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