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Notizie su Israele 410 - 29 dicembre 2007

1. Accade in Israele
2. Accade nei territori palestinesi
3. Come rovinare un'economia con donazioni
4. Manoscritto del XIV secolo salvato dai nazisti
5. Come in un film di spionaggio
6. Un campo di battaglia di parole ed espressioni
7. La Bibbia sulla testa di uno spillo
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Sofonia 3:16-17. Quel giorno si dirà a Gerusalemme: «Non temere, o Sion, le tue mani non si indeboliscano! Il Signore, il tuo Dio, è in mezzo a te, come un potente che salva; egli si rallegrerà con gran gioia per causa tua; si acqueterà nel suo amore, esulterà, per causa tua, con grida di gioia».
1. ACCADE IN ISRAELE




Baruch Kaplan riceve l'assegno dai professori Magidor e Rabinovich

Il prof. Baruch Kaplan (85 anni) proviene da Bialystok (Polonia) ed è un sopravvissuto all'Olocausto. Era un ottimo studente al ginnasio ebraico della sua città natale e aveva l'intenzione di andare a studiare all'Università ebraica di Gerusalemme. Nel giugno 1939 suo padre pagò all'Università ebraica le relative tasse per due anni. Ma l'aggressione nazista alla Polonia e la conquista della città di Bialystock misero fine ai propositi di emigrazione in Eretz Israele. La città andò alla Russia, e Kaplan cominciò i suoi studi alla Facoltà di Chimica dell'Università di Lwow, fino a che, nel giugno 1941, dopo l'attacco della Germania alla Russia fuggì all'est. In seguito Kaplan venne a sapere che tutta la sua famiglia era stata sterminata. Entrò nell'Armata Rossa e combatté quattro anni contro i nazisti.
    Dopo la guerra studiò chimica a Mosca. Nel 1990 gli studenti del ginnasio ebraico di Bialystock organizzarono un incontro a Tel Aviv, a cui anche Kaplan fu invitato. Nel 1992 emigrò in Israele con sua moglie e la famiglia di sua figlia.
    Un suo amico di gioventù gli ha fatto notare che probabilmente avrebbe potuto ricevere indietro i soldi delle tasse pagate. Si è rivolto allora all'Università ebraica. Fin dalla sua prima lettera gli fu risposto in modo benevolo: Kaplan ha ricevuto indietro i soldi pagati da suo padre. L'assegno gli è stato consegnato dal Presidente dell'Università, prof. Menachem Magidor, e dal suo Rettore, prof. Haim Rabinowitch. Il denaro è stato accantonato per la sua pronipote. Per gli studi, naturalmente.

(israel heute, dicembre 2007 - trad. www.ilvangelo-israele.it)





2. ACCADE NEI TERRITORI PALESTINESI




Le donne di Khan Younis

di Milena Nebbia
 
Scendendo verso il sud della Striscia di Gaza, prima di Rafah, vicino al confine egiziano, c'è Khan Younis. È la seconda città della Striscia e probabilmente la più conservatrice. Qui le donne che portano lo hijab sono la normalità, così come gli uomini con le barbe incolte. Al di fuori di questa normalità, c'è sicuramente Majda, 38 anni, master a Londra in antropologia, che in un territorio chiuso e tradizionalista come questo si è inventata l'associazione "Libero pensiero", per aiutare le donne a prendere consapevolezza dei loro diritti.
    Majda gira senza velo, in jeans e maglietta, non per sfida, semplicemente per un diverso modo di vivere il proprio essere donna. "Le violenze domestiche in questa zona sono all'ordine del giorno - spiega alla delegazione del movimento Donne in nero, giunta a casa sua - gli uomini non lavorano, stanno a casa, specie dall'inizio dell'assedio. Mancano le sigarette, accumulano rabbia, diventano aggressivi. La nostra associazione cerca di offrire alle donne che vivono situazioni difficili in famiglia un appoggio dal punto di vista psicologico e giuridico, ma in questa fase ha assunto priorità l'emergenza economica, quindi ad esempio ci viene chiesto vestiario invernale per i bambini, anche perchè qui le case non sono riscaldate. L'emergenza creata dall'assedio e dall'embargo imposto alla Striscia da Israele ha portato ai tagli dell'erogazione elettrica, così ogni tanto se ne va la luce (lo verifichiamo personalmente due volte a casa di Majda), di solito due volte al giorno per qualche decina di minuti, altre volte per dieci ore. Passi per chi è a casa, ma negli uffici, negli ospedali, in tutte le altre attività risulta veramente difficile andare avanti".
    "Le donne, specialmente nel sud della Striscia, non hanno la possibilità di esprimersi. Noi lavoriamo sia con loro che con i bambini, spesso vittime anche loro di violenza in casa, a scuola o in strada. Crediamo che, se cresceranno con dignità e con una cultura più aperta, riusciranno a costruire una società migliore di quanto non siamo riusciti a fare noi. Naturalmente nella nostra azione troviamo molti uomini che non vogliono l'emancipazione femminile. Siamo state, personalmente e come struttura, vittime di atti intimidatori, ma noi proseguiamo nel nostro percorso. Cerchiamo di far capire alle donne che è un loro diritto avere propri spazi per riunirsi, giocare, fare teatro, ballare o avere la possibilità di vedere un dottore, un avvocato. Ogni mese ne vediamo in tutto 650. La maggior parte vengono qui, le altre le raggiungiamo noi, a causa dei trasporti costosi o dei mariti che impediscono loro di uscire".
    "Tra i casi più frequenti di difficoltà ci sono i matrimoni delle giovanissime: casi di adolescenti che avevano mal di pancia e poi si scopre che stavano nascondendo una maternità. A volte ci sono abusi anche da parte di componenti di famiglie più agiate che sostengono quelle più povere e che, con quella scusa, approfittano delle giovani donne. Una volta mandavamo i casi più difficili nell'unico centro che ha delle case famiglia, a Betlemme, ma adesso uscire dalla Striscia è praticamente impossibile. Ci sono situazioni come quella di una donna uccisa perché, secondo i pettegolezzi di qualcuno, aveva avuto un figlio fuori dal matrimonio, salvo poi venire a sapere che era una bugia. Aveva solo 22 anni. La polizia, se vuoi denunciare la cosa, non ti ascolta. Inoltre quella di Hamas è tutta corrotta. E poi come si fa a denunciare un crimine a una polizia illegale che ha preso il potere con la forza? Non voglio demonizzare Hamas, anzi, il primo anno in cui è stato al potere abbiamo collaborato, ma da giugno la situazione è cambiata. Ci sono uccisioni tutti i giorni. C'è una sorta di coprifuoco, per la strada dopo il tramonto non c'è quasi nessuno, i negozi chiudono presto, mentre prima restavano aperti fino all'una di notte".
 
(PeaceReporter, 21 dicembre 2007)





3. COME ROVINARE UN'ECONOMIA CON DONAZIONI




L'economia palestinese allo sfascio

di Daniel Pipes

Gli aiuti finanziari occidentali forniti ai palestinesi sortiscono – come da me illustrato la scorsa settimana – il perverso e controintuitivo effetto di accrescere il tasso degli atti di violenza, inclusi quelli terroristici. Questa settimana offro due esempi di una notizia probabilmente ancora più curiosa in merito agli innumerevoli miliardi di dollari e di donazioni pro-capite, dai trascorsi devastanti, elargiti dai paesi occidentali. Innanzitutto, tali aiuti hanno reso i palestinesi più poveri. In secondo luogo, l'impoverimento palestinese è uno sviluppo positivo a lungo termine.
    Tanto per cominciare, vorrei evidenziare alcuni fatti fondamentali in merito all'economia palestinese, attingendo a una eccellente indagine condotta da Ziv Hellman, dal titolo "Terminal Situation" e apparsa sul Jerusalem Report del 24 dicembre:

    • Il reddito annuo palestinese pro-capite è diminuito di circa il 40 per cento, passando dai 2.000 dollari del 1992 (prima dell'avvio dei negoziati di Oslo), anno di picco, a meno di 1.200 dollari oggidì.
    • Il reddito israeliano pro-capite, 10 volte superiore a quello palestinese nel 1967, è oggi 23 volte maggiore.
    • Il grave stato di indigenza in cui versava il 22 per cento della popolazione di Gaza nel 1998, si è intensificato colpendo circa il 35 per cento della popolazione nel 2006; e concernerebbe quasi il 67 per cento, se non fosse per le rimesse e per gli aiuti alimentari.
    • I diretti investimenti esteri esistono a malapena, mentre il capitale locale viene perlopiù inviato all'estero oppure investito in beni immobili o in operazioni a breve termine.
    • Come scrive Hellman, l'economia dell'Autorità palestinese (AP) "si basa largamente sui monopoli in varie industrie concessi dai funzionari dell'AP in cambio di tangenti".
    • Il libro paga dell'AP è così gonfiato che solamente i costi degli stipendi superano tutte le entrate.
    • Un disastrato sistema giudiziario dell'AP implica che, in genere, le dispute commerciali vengono risolte da bande armate.

    Prevedibilmente, Hellman rappresenta l'economia palestinese come se fosse "allo sfascio".
    Tale sfacelo non dovrebbe sorprendere, poiché, come lo scomparso Lord Bauer e altri hanno rilevato, gli aiuti esteri non funzionano. Essi corrompono e distorcono una economia; più ingenti sono le somme devolute, tanto maggiore sarà il danno. Un dettaglio significativo: durante il regno di Yasser Arafat, un terzo del budget dell'AP è stato impiegato per "le spese dell'ufficio del Presidente", senza ulteriori spiegazioni, revisioni o contabilità. La Banca Mondiale era contraria, ma il governo israeliano e l'Unione europea hanno appoggiato questo corrotto accomodamento, pertanto, esso è rimasto in auge.
    In effetti, l'AP offre un esempio da manuale di come rovinare una economia soffocandola sotto donazioni ben intenzionate, ma incaute. I 7,4 miliardi di dollari promessi di recente per il periodo 2008-2010 esacerberanno ulteriormente il danno.
    Paradossalmente, questo errore potrebbe contribuire a risolvere il conflitto arabo-israeliano. Per comprendere il perché, si prendano in considerazione due modelli, privazioni contro euforia, il che spiega l'estremismo palestinese e la violenza.
    Il modello privazioni, sottoscritto da parte di tutti i paesi occidentali, attribuisce le azioni dei palestinesi alla povertà, all'isolamento, ai posti di blocco israeliani, alla mancanza di uno stato, etc. Mahmoud Abbas, leader dell'AP, ha sintetizzato questa ottica alla Conferenza di Annapolis svoltasi a novembre. "La mancanza di speranza e l'immensa disperazione (…) alimentano l'estremismo". Eliminando tali avversità, i palestinesi, presumibilmente, rivolgerebbero la loro attenzione a preoccupazioni costruttive come lo sviluppo economico e la democrazia. Il guaio è che il cambiamento non arriverà mai.
    Il modello euforia ribalta la logica di Abbas: la mancanza di disperazione e l'immensa speranza, di fatto, alimentano l'estremismo. Per i palestinesi la speranza deriva da una percezione della debolezza israeliana, il che implica un ottimismo e l'eccitamento che lo stato ebraico possa essere eliminato. Al contrario, quando i palestinesi non riescono a scorgere una soluzione contro Israele, essi si dedicano ai più ordinari compiti di guadagnarsi da vivere e allevare i propri figli. Si osservi che l'economia palestinese raggiunse l'apice nel 1992, nel momento in cui, dopo il crollo dell'Unione Sovietica e successivamente alla guerra del Kuwait, le speranze di eliminare Israele toccarono il minimo storico.
    L'euforia, e non le privazioni, giustifica il bellicoso comportamento palestinese. Di conseguenza, tutto ciò che modera le certezze palestinesi è una buona cosa. Una fallita economia deprime i palestinesi, per non parlare delle loro capacità militari e non solo, e rende altresì la risoluzione più a portata di mano.
    I palestinesi devono sostenere la dura prova della sconfitta, prima di rinunciare al loro disgustoso obiettivo di eliminare il vicino israeliano e iniziare a costruire la loro economia, la forma di governo, la società e la cultura. Non esiste una scorciatoia per conseguire questo felice esito. Chi ama veramente i palestinesi deve desiderare che essi presto arrivino a disperarsi, in modo che una popolazione abile e dignitosa possa andare oltre il suo attuale barbarismo e costruire qualcosa di decente.
    Ironia della sorte, una smisurata e inutile valanga di aiuti da parte dei paesi occidentali è causa di quella disperazione in due modi: incentivando il terrorismo e distorcendo l'economia, ed entrambe le cose comportano il declino economico. Raramente la legge delle conseguenze accidentali funziona così ingegnosamente.

(Jerusalem Post, 27 dicembre 2007 - dall'archivio di Daniel Pipes)





4. MANOSCRITTO DEL XIV SECOLO SALVATO DAI NAZISTI




Il Libro dell'Haggadah nella Sarajevo del 1941

di Piera Prister Bracaglia Morante

Che i nazisti siano stati dei gran trafugatori d'arte e' cosa risaputa, ma che siano stati sulle tracce del piu' celebre libro di Judaica, l'Haggadah, ossia il racconto epico e leggendario dell'esodo dall'Egitto del popolo ebraico, in una copia  risalente al XIV secolo, un vero e proprio tesoro di incalcolabile valore, ci riempe di curiosita': un'opera d'arte scritta su pelle schiarita e resa quasi bianca, con illustrazioni illuminate dall'oro e dal rame, con l'effetto di una luce festevole costellata da miriadi di stelle, e con una rilegatura  impreziosita da lapislazzuli, malachite, azzurrite e ricami d'oro e d'argento.  Ma per il trascorrere del tempo e per il suo lungo viaggio fino a Sarajevo il libro ha perduto gran parte del suo aspetto primigenio, soprattutto nella rilegatura.
    Intere generazioni, le sere del Seder, hanno letto a tavola, con tutti i simboli della vita, il dolce e l'amaro, e le lacrime salate dell'esilio, quel libro  che narra la fuga degli Ebrei dall'Egitto con le azzime, il pane non lievitato, verso la terra promessa e, a guardare bene, ci sono ancora macchie di vino sulle sue pagine. Il libro vide la luce nel 1350, in Spagna, fu salvato nella lunga marcia dell'esilio degli Ebrei Sefarditi espulsi dalla Spagna dell'Inquisizione, ai tempi dei re cattolici, Ferdinando ed Isabella, portato a Venezia e poi venduto alla Libreria Nazionale di Sarajevo. E' stato possibile ricostruire le vicissitudini di questo libro grazie all'indagine e alle interviste dei protagonisti della storia da parte di Geraldine Brooks gia' premio Pulitzer per la letteratura che ha pubblicato nel mese di dicembre un articolo sulla rivista americana "New Yorker".
    Quando i Tedeschi, forti dell'alleanza del governo croato ustascia di Ante Pavelic, arrivarono in Bosnia, a Sarajevo, in un clima di terrore e di caccia agli Ebrei, Zingari, Slavi e  partigiani, misero a sacco la citta', crocevia di popoli ed incontro di diverse civilta', dove nello spirito della "pax romana" di Augusto, di cui in Dalmazia ci sono indiscutibili tracce, convivevano cristiani, ebrei e musulmani. Misero a sacco le otto sinagoghe esistenti e ne trafugarono le opere d'arte e suppellettili, oggetti di culto raffinati e decorati, testimonianze di secoli

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e secoli della storia del popolo ebraico ed inoltre piu' di centomila libri, perche'si diceva che Hitler nella sua mente malata, (simile a quella di Amahdinejad che di Hitler e' l'immagine sputata), in una delle sue farneticazioni demenziali, volesse fondare a Praga, nel quartiere ebraico Josevof, il Museo della Razza Estinta che a guerra conclusa sarebbe stato visitato solo da ariani, perche' gli ebrei tutti sarebbero nel frattempo scomparsi dalla faccia della terra. Ma gli eventi che seguirono non si svolsero cosi' come Hitler se li prefigurava: non aveva considerato che alla fine il Bene vince sul Male, anche quando si e' perduta ogni speranza... altrimenti come si sarebbe potuto salvare questo libro, se non miracolosamente? Le famiglie hanno l'obbligo di leggere l'Haggadah ai figli, perche' ha un immenso valore didascalico per le future generazioni cosi' come nelle scuole gli altri popoli studiano la loro epica: l'Iliade e l'Odissea per i Greci, l'Eneide per i Romani, I Cavalieri della Tavola Rotonda per gli Inglesi, Carlo Magno e i Paladini di Francia per i Francesi...
    Negli anni quaranta, gli anni che sono l'oggetto di quest'articolo, il ministro tedesco dei Territori Orientali Occupati, Alfred Rosenberg, era l'esperto di estetica, (quello che aveva considerato, come gia' Goebbels, l'espressionismo tedesco un arte degenerata) di cui si avvalse Hitler nel suo demoniaco disegno e che, in obbedienza al Führer sinistramente aveva messo gli occhi rapaci su un ben altro bottino: la cultura e l'arte ebraica. Ma quando il generale nazista Johann Fortner, il cui solo nome incuteva paura per tutte le scelleratezze commesse,  si presento' alla biblioteca del museo di Sarajevo per impossessarsi del prezioso libro, un uomo giusto, Dervis Korkut, poliglotta e studioso di  Islamistica, bibliotecario e geloso curatore di tutti i libri della biblioteca, lo aveva prelevato pochi minuti prima dalla cassaforte e nascosto sotto la sua giacca, proprio la mattina nella quale i nazisti erano arrivati per richiederlo. Lo stesso direttore del Museo, d'accordo con Korkut, lo aveva autorizzato. Cosi' i nazisti rimasero con un palmo di naso di fronte alla bugia del direttore che, inquisito, disse che il libro era stato consegnato ad un altro ufficiale nazista che s'era presentato giorni prima al museo e a cui ovviamente non aveva osato chiedere i documenti d' identita'.
    Cosi' grazie ad un uomo pio e giusto, colto e poliglotta che ci piace raffigurare vestito alla maniera islamica con tanto di fez per cappello, con occhiali e mustacchi, il libro dell'Haggadah fu salvato e nascosto, si pensa, tra altri volumi della biblioteca di Sarajevo o portato nel piccolo villaggio di Trescavica il cui Iman lo nascose nella locale moschea, in mezzo a molti Corani ed altri testi islamici.
    Ma ritorniamo al nostro eroe, Dervis Korkut che abbiamo definito un uomo giusto, un intellettuale musulmano che sotto l'occupazione nazista, quando dappertutto in quel clima di terrore, imperversarono le delazioni nel tentativo di ammansire la belva nazista, aveva avuto il coraggio di scrivere un articolo intitolato "L'antisemitismo e' del tutto estraneo al popolo di Bosnia e di Erzegovina" sconfessando la propaganda di odio antiebraica sia con i suoi scritti e sia con le buone azioni. Infatti salvo' e protesse anche una ragazza ebrea di nome Mira Papo, che  si era unita ad un gruppo di partigiani composto da giovani sionisti e socialisti che  combattevano nelle foreste e nelle alture contro i Tedeschi, vicende simili a quelle narrate da Primo Levi nel libro "Se non ora, quando?".
    Alla fine della guerra il libro dell'Haggadah, dopo molte traversie, fu restituito al suo legittimo proprietario, la biblioteca di Sarajevo, ma i guai cominciarono per il suo bibliotecario quando i comunisti entrarono nella citta'. Infatti il nostro eroe cadde in disgrazia presso Tito che lo accuso' di collaborazionismo con i nazifascisti. In verita' a Korkut non piacevano nemmeno i comunisti che incominciarono a distruggere i monumenti ottomani per rimpiazzarli con edifici nuovi di stile sovietico e non sopportava la loro intolleranza verso le religioni,  subi' un processo e il duro carcere per 6 anni in solitaria segregazione perche' considerato pericoloso. Mentre la sventura si abbatte' sulla sua famiglia, la moglie Servet e i suoi figli di 5 e di 2 anni  si ritrovarono sulla strada senza alcun mezzo di sostentamento, solo aiutati da amici. Dopo il carcere gli fu permesso di ritornare al suo vecchio lavoro ma senza passaporto e senza cittadinanza fino a che non mori'.
    Ma la cosa che piu' ci riempe di stupore è che il libro si sia salvato una seconda volta, quando Sarajevo fu messa ancora sotto assedio dal 1992 al 1996 da parte dei Serbi che bombardarono quell'edificio che ospitava la biblioteca e il museo e ne bruciarono i libri. Un bibliotecario di nome Enver Imanovic, riusci' a porre in salvo il libro dell'Haggadah e a metterlo segretamente al sicuro in una banca.
    Recentemente Dervis Korkut e sua moglie Servet sono stati nominati in Israele," Giusti fra le Nazioni", e i loro nomi incisi sulla lapide sotto gli alberi, nel giardino di Yad Vashem, vicino a quelli piantati in memoria di altri grandi benefattori di Israele.    
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A quest'articolo ha collaborato Giuditta Prister

(Informazione Corretta, 21 dicembre 2007)





5. COME IN UN FILM DI SPIONAGGIO




La fuga segreta degli ebrei iraniani

I particolari non si sapranno mai. E come in un film di spionaggio è avvenuto tutto con grande discrezione. In un silenzio religioso quaranta ebrei hanno lasciato l'Iran e sono atterrati a Tel Aviv martedì.

di Fabio Perugia

Una fuga dalla nazione che continua, ancora oggi, a tirare le sue frecce avvelenate sulle terre della «Palestina occupata», come la chiamano dalle parti di Theran.
    Già qualche mese fa era arrivata la comunicazione che il governo di Ahmadinejad aveva inviato nelle case ebraiche delle lettere in cui si richiedeva agli stessi ebrei di lasciare l'Iran. Il trattamento che lo stato arabo ha riservato in questi anni nei confronti di Israele è notoriamente intriso di astio, e spesso sono circolate notizie che parlavano di restrizioni nella vita degli ebrei iraniani. Per questo nel corso del 2007 altri 200 ebrei hanno deciso di trasferirsi in Terra Santa, ma in gruppi decisamente più piccoli.
    Quaranta ebrei che traslocano contemporaneamente, invece, ha fatto scalpore. Martedì si è conclusa una complessa operazione logistica che per mesi era rimasta nell'ombra. Dalle informazioni che si sono apprese, il trasferimento non è stato diretto. Prima di arrivare all'aeroporto Ben Gurion, il gruppo si è fermato una settimana in un Paese che non è stato identificato per ragioni di sicurezza. Poi l'ultimo volo per Tel Aviv con parenti e amici ad attenderli allo scalo israeliano, assieme ai funzionari dell'Agenzia ebraica che si occupa dell'Aliah, il ritorno degli ebrei della diaspora verso Israele.
    Anche il comitato centrale ebraico, la principale organizzazione ebraica in Iran, ha fatto sapere di non aver partecipato in alcun modo all'operazione. E probabilmente la manovra non è rimasta inosservata neanche agli occhi del governo di Teheran.
    Ora è probabile che altri iraniani di religione ebraica possano organizzarsi. Le stime parlano di 28mila ebrei ancora presenti in Iran, mentre altre fonti dicono 17-20mila. L'Agenzia, comunque si prefigge di farli espatriare tutti entro il 2010. Il vicepresidente e portavoce della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, contento per i 40 ebrei arrivati in Israele, resta comunque preoccupato per la situazione in Iran: «Rimane l'angoscia per le altre migliaia di ebrei che sono in Iran - ha spiegato Pacifici - Sono dei veri e propri ostaggi in mano a un tiranno tanto pericoloso quanto lo fu Hitler all'avvento del suo potere in Germania». Le condizioni degli ebrei in Iran, infatti e nonostante le smentite da parte del governo di Ahmadinejad, restano inquietanti e tengono alto il livello d'allarme delle autorità israeliane.
    
(Il Tempo, 27 dicembre 2007)






6. UN CAMPO DI BATTAGLIA DI PAROLE ED ESPRESSIONI




L'ebraico in Israele

da un articolo di Meir Shalev

Tanto tempo fa, dopo una conferenza che avevo tenuto negli Usa, una donna mi si avvicinò e mi chiese di firmare uno dei miei libri che era stato pubblicato là. "E' per mio figlio, mi disse in ottimo ebraico. "Come si chiama?" chiesi. "Sagi" rispose "ma per favore lo scriva in inglese".
    Io scrissi "A Sagi" e, tanto per non sbagliare, scrissi anche il mio nome in inglese. Chi non sa leggere il proprio nome in ebraico troverà probabilmente difficoltà a leggere altri nomi. La donna era imbarazzata. "Lo so che cosa sta pensando" disse "ma con i ragazzi è così. Dopo una generazione o due in America, la loro israelianità scompare, e così il loro ebraico".
    Il giorno dopo, in un'altra città, trovai lo scena opposta. Un ex israeliano tra il pubblico si alzò e disse con ira: "Ogni volta che vado in Israele, non capisco quello che dicono per la strada. Non capisco questo nuovo slang. Che razza di ebraico è?".
    Questa volta non riuscii a trattenermi. "Mentre voi ve ne state comodi in America, noi, in Israele, lavoriamo. Parliamo in ebraico, scriviamo in ebraico e inventiamo nuove espressioni e nuove parole. Non abbiamo intenzione di congelare l'ebraico in attesa delle vostre visite".
    Ho raccontato queste storie perché oggi l'Accademia della Lingua Ebraica celebra il 150esimo anniversario della nascita di Eliezer Ben-Yehuda, colui che "resuscitò la lingua ebraica."
    Prima di tutto devo dire che questo titolo di merito deve essere modificato. Ben-Yehuda non resuscitò l'ebraico per la semplice ragione che l'ebraico non era mai morto. Era stato tenuto in vita. Certo, non era usato nella vita quotidiana, ma testi letterari e religiosi erano scritti in ebraico, era usato per comunicazioni tra comunità ebraiche che non potevano corrispondere in altre lingue, ed era perfino parlato, anche se soprattutto con Dio.
    Non intendo sottovalutare l'opera o la figura di Ben-Yehuda. Egli è una delle più grandi figure nella storia del popolo ebraico. Sarebbe appropriato non solo per l'Accademia, ma anche per la Knesset, indire un convegno speciale in suo onore. Il dizionario da lui composto fu un'impresa gigantesca compiuta da un uomo solo, che disgraziatamente nessuno finora è stato in grado di ripetere, anche se ce n'è bisogno.
    Ogni foglio scritto e ogni conversazione in ebraico sono un memoriale a Ben-Yehuda. Io ho particolarmente cara la vista degli ultra-ortodossi a Gerusalemme che parlano tra di loro in buon ebraico moderno. I loro antenati perseguitarono Ben Yehuda, lo accusarono falsamente, gli fecero la spia fino a farlo imprigionare in un carcere turco Eppure eccolo qui a celebrare la sua vittoria con le parole dei loro discendenti.
    Mi domando se avesse previsto la sua grande vittoria. Comprendeva quale bella addormentata stava baciando? Quale meraviglioso genio della lampada stava liberando dai libri e dalle preghiere? In un tempo relativamente breve siamo riusciti ad avere una lingua viva e dinamica, al punto che i genitori trovano difficile capire quello che dicono i figli, eppure allo stesso tempo, con quegli stessi figli, possono leggere versi scritti migliaia d'anni fa.
    Ma l'ebraico è anche un campo di battaglia di parole ed espressioni, di esistenza e sopravvivenza. Subisce rapidamente dei processi che per le altre lingue sono stati lenti. Senza averne l'intenzione, Ben-Yehuda si imbarcò in un processo che in futuro vedrà l'ebraico spaccato in una lingua moderna e una classica. Già oggi molte allusioni bibliche non vengono capite dai lettori, mentre i modi di dire antichi vengono dimenticati, oppure usati senza riconoscerne l'origine. Dovremmo forse dispiacerci di quest'ignoranza? Non necessariamente. Quando un modo di dire si distacca dalla sua origine, sappiamo che ha raggiunto uno status indipendente e forte.
    Mentre celebriamo il 150esimo anniversario di Ben-Yehuda, l'ebraico è una realtà. Eppure è minacciato da altri pericoli. Uno di essi è la diminuzione e l'appiattimento. Un altro è rappresentato dalle lingue straniere. Non il produttivo scambio tra le lingue, ma piuttosto l'imitazione e il disprezzo di sé. Il terzo è un vero e proprio pericolo esistenziale. L'ebraico non continuerebbe ad esistere senza Israele. Senza uno stato ebraico, morirebbe nel giro di due generazioni, proprio come diceva la madre di Sagi.

(YnetNews, 121 ottobre 2007 - da israele.net)





7. LA BIBBIA SULLA TESTA DI UNO SPILLO




NEW YORK - Per le persone che vogliono una lettura sintetica della Bibbia, l'ultima novità viene da un gruppo di scienziati israeliani: stampare tutto il Vecchio Testamento su un chip di silicio grande come una capocchia di spillo.
Usando la nanotecnologia, i ricercatori del Technion-Israel Institute of Technology hanno stampato il Vecchio Testamento su un semiconduttore che in realtà è anche più piccolo di una testa di spillo: meno di un millesimo di pollice (2,54 centimetri).
Il professor Uri Sivan, della Facoltà di Fisica, a cui si deve l'idea, ha detto che il testo è stato scritto usando un generatore di raggio ionico concentrato che "spara" particelle sulla superficie dorata sovrastante la base di silicio.
Sivan ha detto che il procedimento somiglia allo scavo di una buca usando un getto d'acqua.
Per la scrittura materiale del testo ci sono voluti 90 minuti, ma sviluppare il programma che guida il fascio di ioni ha richiesto oltre tre mesi.
"Il progetto della nano-bibbia dimostra che la miniaturizzazione è alla nostra portata", ha detto Sivian in una dichiarazione diffusa dalla American Technion Society (ATS), che sostiene l'educazione superiore in Israele.
"Questa ricerca potrebbe condurre alla creazione di strutture miniaturizzate più avanzate - e immagini - su una scala nanometrica, progressi nella conservazione delle informazioni in spazi molto ridotti, e l'uso delle molecole Dna per stoccare informazioni".

(Reuters, 22 dicembre 2007)





MUSICA E IMMAGINI




Josephs Coat




INDIRIZZI INTERNET




Middle East: MidEastWeb

Christian Friends of Israeli Communities




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