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Notizie su Israele 414 - 13 febbraio 2008

1. L'attività monotematica dell'Onu contro Israele
2. Ma non deve essere chiamato antisemitismo
3. Contro il boicottaggio di Israele
4. Ricerca scientifica in Israele
5. Gli ultimi giorni di Oskar Schindler
6. Parla una scampata dalle camere a gas
7. Cala l'iimigrazione in Israele
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Isaia 33:5-6. Eccelso è il Signore perché abita in alto; egli riempie Sion di equità e di giustizia. I tuoi giorni saranno resi sicuri; la saggezza e la conoscenza sono una ricchezza di liberazione; il timore del Signore è il tesoro di Sion.
1. L'ATTIVITÀ MONOTEMATICA DELL'ONU CONTRO ISRAELE




In tutto il mondo si commettono crimini e atrocità,
ma per l'ONU Israele è il perfetto capro espiatorio


Diciannove risoluzioni adottate contro Israele dall'Assemblea Generale dell'ONU nella 62ª sessione e quindici dal Consiglio per i Diritti Umani dell'ONU nel biennio 2006-2007.

di Carmine Monaco

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Il Palazzo di Vetro dell'Onu
Alla sua sessantaduesima sessione, l'Assemblea Generale dell'ONU ha adottato ben 19 risoluzioni di condanna contro Israele, e altre 15 risoluzioni di condanna sono state adottate dal Consiglio per i diritti umani dell'ONU nel solo biennio 2006-2007, ovviamente sempre contro Israele. Per comodità, sono tutte di seguito riportate.
Nel frattempo, nel mondo sono in corso conflitti in Aceh, Afghanistan, Algeria, Burundi, Cecenia, Colombia, Congo R.D., Costa d'Avorio, Eritrea-Etiopia, Filippine, Haiti, Iraq, Kashmir, Kurdistan, Liberia, Nepal, Nigeria, Repubblica Centrafricana, Somalia, Sri Lanka, Sudan, Uganda, ecc.
    In questi paesi (e in tanti altri) vi sono stati massacri, pulizie etniche, esecuzioni di massa, stupri etnici, oppure torture, lapidazioni di donne ritenute adultere, impiccagioni di omosessuali, oppositori politici e apostati, come ad esempio avviene in Iran. Alcuni paesi, condannano alla pena di morte i propri cittadini per reati non violenti o di natura economica, spinti talvolta dalla fame a rubare, o persino per il possesso di materiale ritenuto pornografico, come avviene in Cina, che peraltro "ospita" in campi di lavoro (i tristemente poco noti "laogai", cfr. http://www.laogai.org) centinaia di migliaia di persone condannate spesso con processi farsa per reati inesistenti, sfruttate fino allo stremo delle loro forze per 12 ore al giorno e più, in cambio di un pasto. Una prassi schiavista che consente alla Cina di invadere i mercati di tutto il mondo con prodotti a costo bassissimo. Una manodopera di cui approfittano anche molte aziende occidentali, che peraltro non sono mai oggetto dei boicottatori di professione che preferiscono dedicarsi ad Israele.
    Ancora la Cina è in cima alle orribili classifiche delle esecuzioni capitali e della vendita di organi da trapiantare, e di sicuro non per la coscienza civica dei suoi cittadini, quanto piuttosto per gli espianti eseguiti sui condannati a morte e addirittura su persone ancora vive, come accade ai membri della minoranza religiosa dei Falun Gong, perseguitata dal regime per la sue pratiche di meditazione. Le esecuzioni capitali in Cina vengono eseguite per lo più a poche settimane dal verdetto e con un proiettile alla testa, il cui costo viene sostenuto dalle famiglie dei condannati. La Cina, paese organizzatore delle prossime Olimpiadi del 2008, ha eseguito ufficialmente 1051 esecuzioni nel 2006, ovvero i due terzi delle 1591 esecuzioni ufficialmente compiute nel mondo (il 40% in meno delle 1770 esecuzioni ufficiali del 2005) , secondo i dati di Amnesty International, ma attivisti per i diritti umani ritengono che il numero reale delle esecuzioni oscilli tra le 10.000 e le 15.000 all'anno (cfr. http://www.laogai.org).
    Vi sono state repressioni di movimenti indipendentisti, come quello ceceno, e atti di terrorismo gravissimi come quelli accaduti a Mosca e a Breslan. Vi sono paesi che occupano illegittimamente altri paesi, e di sicuro contro la volontà delle popolazioni indigene, come ad esempio fa da decenni la Cina nei confronti del Tibet, tra l'indifferenza e/o l'impotenza generale. E vi sono ancora paesi come Cuba, sempre in prima fila nel condannare Israele, che praticano una pesante repressione nei confronti degli oppositori politici, con condanne a morte, carcerazioni arbitrarie e processi assolutamente ridicoli e illegali.     
    Dove e quante sono le risoluzioni di condanna contro tali paesi emanate dall'Assemblea Generale dell'ONU e dal Consiglio per i Diritti Umani? Basterà contarle, laddove vi fossero, per capire che Israele è al centro di un'attenzione che potremmo definire quanto meno "sproporzionata", mentre altri paesi che si sono resi protagonisti di violazioni ben più gravi e drammatiche, vengono citati una volta sola o non appaiono affatto.
    E' del tutto evidente che le Nazioni Unite, le leggi internazionali e i diritti umani sono abusati da una campagna di demonizzazione e delegittimazione dello stato ebraico che dura ormai da decenni. È del tutto evidente che Israele è un efficace strumento di copertura politica e mediatica delle innumerevoli brutalità ed atrocità che vengono commesse in tutto il mondo, il perfetto capro espiatorio dei mali del mondo. E' del tutto evidente che la campagna di demonizzazione e delegittimazione dello stato ebraico prosegue attraverso le azioni di boicottaggio economico, politico ed ora persino religioso - come nel caso dell'annullamento della visita dei rappresentanti della Moschea di Roma alla Sinagoga - e culturale, come è accaduto per il Salone del libro di Torino. E' del tutto evidente che ciò appare tale solo a chi ha occhi per vedere, a chi vuole sentire e capire. Così come appare ormai lampante quali sono le subculture politiche e le idee pseudo religiose che fomentano l'ondata di antisemitismo più becero, violento e idiota dai tempi della notte dei cristalli.   

Fonte: UNWatch. Sito web: http://www.unwatch.org

(Ricevuto dall'autore, 8 febbraio 2008)





2. MA NON DEVE ESSERE CHIAMATO ANTISEMITISMO




Il nuovo odio parte da lontano

di David Menghnagi

ROMA (8 febbraio) - Fino alla seconda metà degli anni Ottanta i principali editori in Italia hanno di fatto operato una silenziosa censura contro la letteratura israeliana. Il premio Nobel Agnon era quasi del tutto sconosciuto se non ci fosse stata la Bompiani. Lo stesso accadeva con il primo grande romanzo di Amos Oz incentrato sul dramma interiore di una donna posseduta dagli incubi di un’intera nazione. A tradurre Yehoshua era la Giuntina, una piccola editrice ebraica che ha avuto il grande merito di far conoscere per prima in Italia l’opera di Wiesel. Eppure la letteratura israeliana, come avrebbe poi dimostrato con la grande esplosione degli anni Ottanta e Novanta, è uno dei più grandi laboratori di scrittura, di pensiero e di invenzione linguistica di ogni tempo.
    “La principessa addormentata”, come con amore la chiamavano i padri fondatori della rinascita ebraica, per tornare in vita aveva bisogno del contatto più intenso con l’intero patrimonio culturale delle lingue parlate e scritte. Dalla filosofia all’arte, dalla scienza alla letteratura non vi è campo in cui i traduttori non si siano cimentati per trovare le parole per dire in un gioco di scambi unico tra la lingua dei testi contemporanei e quella delle Scritture.
    Il clima è cambiato dopo la caduta del Muro di Berlino e con gli accordi di Oslo tra israeliani e palestinesi. Gli scrittori israeliani hanno fatto la fortuna dei loro editori. La letteratura è arrivata dove la politica appariva cieca e incapace di andare oltre gli stereotipi e i luoghi comuni della guerra fredda, dei pregiudizi e degli stereotipi del conflitto.
    Se non fosse per le conseguenze devastanti sul piano morale e politico del boicottaggio, verrebbe da ridere amaramente di fronte all’idea che per malintesi sentimenti di solidarietà verso i popoli oppressi, qualcuno non trovi di meglio che prendersela coi libri. I libri come gli alberi non si possono difendere. Sono loro a nutrirci ma se non li proteggiamo diventiamo noi stessi secchi e aridi. Che a lanciare gli anatemi contro la Fiera del Libro, siano i fondamentalisti islamici non sorprende. Né sorprende se a fare da gran cassa siano i relitti di un comunismo che non hanno mai fatto realmente i conti con la tragedia dei gulag e del totalitarismo. Come non sorprende che sul web ci sia qualcuno che stili una lista di professori ebrei o filo-israeliani. Il copione è vecchio.
    Fa da sfondo ad un antisemitismo che si alimenta del conflitto mediorientale ed ha come oggetto la demonizzazione dello Stato di Israele e della sua esistenza. L’aspetto più inquietante di questo nuovo antisemitismo è la riscoperta di “un sentimento di innocenza”, che il vecchio antisemitismo non potrebbe rivendicare. L’odio un tempo rivolto contro gli ebrei in quanto singoli e in quanto comunità è oggi perversamente diretto contro lo Stato di Israele assurto a simbolo di ogni male.
    Come giudicare altrimenti la richiesta di estendere l’invito come ospiti d’onore della Fiera ai palestinesi. La richiesta apparentemente moderata e ragionevole nasconde l’idea che lo Stato di Israele non è uno Stato come gli altri, non è uno Stato sovrano, ma uno Stato paria permanentemente in stato di osservazione, oggetto delle nostre proiezioni e di fantasmi irrisolti.
    Come dovremmo giudicare altrimenti la confusione di termini e concetti che dovrebbero essere distinti, come Stato di Israele e Israele biblico, ebrei e israeliani. Unificati in un unicum indifferenziato gli ebrei come gli israeliani appaiono trasformati in un archetipo che li annulla come persone. Celebrati come “vittime” nel giorno della memoria, in un gioco di scambi e rovesciamenti perversi possono essere rappresentati come “carnefici” in quanto israeliani. Ridotti ad immagine, privati di umanità propria, ritornano come persone attraverso la grande letteratura che hanno saputo restituirci come dono. Anche per questo i nemici della Fiera vorrebbero che ne fossero allontanati. Vivendo di simboli necrofili, hanno in odio la vita e le persone reali.

(Il Messaggero, 8 febbraio 2008)





3. CONTRO IL BOICOTTAGGIO DI ISRAELE




In occasione della fiera del libro

Gli intellettuali a Napolitano: "Venga a Torino"

ROMA, 7 febbraio - Intellettuali, imprenditori e politici di diverso orientamento, con una lettera aperta al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, hanno preso pubblica posizione contro il boicottaggio di Israele in occasione della Fiera del Libro di Torino. Nella lettera si chiede al Capo dello Stato di presenziare alla manifestazione letteraria.

"Signor Presidente, in occasione del suo discorso d'insediamento il 15 maggio 2007 Ella invito' a costruire una cornice di politica internazionale, condivisa dagli opposti schieramenti politici, "nel pieno riconoscimento del diritto dello Stato di Israele a vivere in sicurezza e del diritto del popolo palestinese a darsi uno Stato indipendente". "Come cittadini italiani noi apprezzammo il suo limpido monito di allora a respingere ogni rigurgito d'antisemitismo, anche quando l'antisemitismo si mostra mascherato da antisionismo. E' quanto accade oggi, con la pretestuosa e violenta polemica volta a boicottare la libera decisione degli organizzatori della Fiera del Libro di Torino di scegliere Israele come paese di cui si accoglie e si ascolta la letteratura. E', ancora una volta, il tentativo di negare agli ebrei d'Israele il diritto d'essere nazione, di avere cittadinanza tra i popoli e di portare nel mondo, con la dignita' di cittadini, la lingua e la cultura ebraica. E' l'antisemitismo mascherato da antisionismo, che si accanisce contro l'intero popolo israeliano, che vuole tacitarne persino la voce piu' profonda e intima, la lingua letteraria, o pretende di condizionarne l'espressione a umilianti rituali di bilanciamento. "Israele - prosegue la lettera - e' uno Stato che la Repubblica italiana liberamente riconosce e con il quale intrattiene relazioni d'amicizia e cooperazione. Israele e' la patria per la meta' della popolazione ebraica nel mondo. Israele e' il paese che ha fatto rinascere l'ebraico come lingua viva, quando le comunita' ebraiche erano annientate in Europa. Israele e' il paese che con le sue vivaci istituzioni culturali preserva e fa vivere la memoria della millenaria cultura ebraica. Israele onora e piange le vittime della Shoa' nel memoriale di Yad Vashem, ricorda i Giusti delle nazioni. I cittadini dello Stato d'Israele che portano in Italia la testimonianza della loro lingua letteraria, della loro poesia, del loro narrare, siano i benvenuti nel nostro paese. La loro liberta' sul suolo italiano e' la nostra liberta' e il nostro onore". "Agli scrittori israeliani invitati alla Fiera del Libro di Torino - prosegue l'appello rivolto a Napolitano - noi tutti dobbiamo riconoscenza per le loro voci d'umanita' e saggezza, per le testimonianze di vita contemporanea che ci trasmettono, per le memorie che fanno rivivere di famiglie e comunita', per la capacita' di restituirci in ebraico, con la vivida efficacia del racconto e ciascuno nella propria tonalita', i conflitti interiori, le passioni, le vicende storiche. Siamo loro grati perche' c'invitano a indagare con coraggio e pieta', con speranza, il fondo di comune umanita', luce e ombra, che tutti ci lega e ci accomuna. Se la loro voce fosse impedita sul suolo italiano, se la Repubblica italiana non sapesse tutelarne la liberta' di parola e testimonianza entro i propri confini, se dovessero essere esposti a episodi di violenza o scherno, sarebbe, crediamo, una gravissima violazione della liberta' nella nostra democrazia, una ferita aperta, una vergogna per l'immagine dell'Italia all'estero. "Signor Presidente, nel pieno rispetto della sua alta autorita' istituzionale, con fiducia nel suo ruolo di garante della Carta Costituzionale - si legge nell'appello - Le chiediamo d'esprimersi fermamente contro ogni discriminazione e cieca intolleranza verso i cittadini e la cultura dello Stato d'Israele. Le chiediamo di voler onorare con la Sua presenza la prossima edizione della Fiera del Libro a Torino, per avere occasione d'incontrare in quella sede gli scrittori israeliani invitati a parteciparvi, a testimonianza dell'amicizia e dell'accoglienza che la nazione italiana offre agli autori israeliani, che si sono distinti per i meriti della loro opera letteraria in ebraico".

La lettera e' firmata da Bruna Ingrao con l'adesione di:
Luca Alessandrini, Magdi Allam, Pierluigi Battista, Daniela Benelli, Silvia Berti, Antonella Besussi, David Bidussa, Massimo Cacciari, Carlo Cerami, Valentina Colombo , Luigi Compagna, Emanuelle De Villepin, Dounia Ettaib, Ernesto Galli della Loggia, Giulio Giorello, Angelo Guerini, Giorgio Israel, Andrea Marcenaro, Piergaetano Marchetti, Alberto Martinelli, Cristina Mazzavillani Muti, Stefano Menichini, Giovanni Moglia, Riccardo Muti, Salvatore Natoli, Fiamma Nirenstein, Piero Ostellino, Carlo Panella, Stefano Parisi, Nicola Pasini, Filippo Penati, Michele Salvati, Sergio Scalpelli, Andre'e Shammah, Ermanno Tritto, Ugo Volli.

(AGI, 8 febbraio 2008)





4. RICERCA SCIENTIFICA IN ISRAELE




Rifiuti radioattivi trasformati in vetro inerte

di Ugo Persice Pisanti

Scienziati israeliani sono riusciti a trasformare i rifiuti radioattivi, i più pericolosi in assoluto, in vetro ed energia elettrica. Il brevetto è stato ceduto ad una ditta locale che, in tre anni, ha costruito un impianto nel quale, grazie alle leggi della fisica, i materiali radioattivi e i rifiuti solidi urbani vengono, di fatto, vetrificati.
    In questo modo uno dei problemi più gravi per l’intera umanità: l’eliminazione delle scorie radioattive, sembrerebbe essere del tutto risolto. Dico: “Sembrerebbe”, perché al momento le informazioni provenienti da Israele, per i motivi che potete ben immaginare, sono molto limitate. In ogni caso anche altri paesi industrializzati hanno avviato ricerche per risolvere questo grave problema. La ditta che ha acquistato il brevetto, ha costruito l’impianto grazie al finanziamento ottenuto da un fondo d’investimento internazionale. Alla conferenza stampa di presentazione della nuova tecnologia è stato presentato, al folto pubblico dei presenti, un pezzo di roccia nera, molto simile a quella presente sui vulcani. Il materiale nero e lucido, appena uscito dal reattore per il trattamento dei rifiuti, costruito in una località nel nord d’Israele, è talmente privo di radioattività da poter essere utilizzato come materiale di costruzione o per pavimentare le strade. Il processo industriale consente anche di trasformare i rifiuti solidi urbani, i rifiuti ospedalieri e i rifiuti a bassa radioattività in energia elettrica. Questa nuova tecnologia al Plasma, è stata sviluppata oltre che dagli israeliani anche da un gruppo di scienziati russi che, per primi, sono riusciti, grazie all’utilizzo d’altissime temperature, a trasformare i rifiuti in lava “simil vulcanica”. Tra l’altro, le temperature, che arrivano fino a 7000 gradi centigradi, consentono di eliminare qualsiasi elemento chimico che può in qualche modo nuocere all’ambiente. Il processo utilizzato, infatti, non inquina l’acqua né in superficie né nel sottosuolo e non contamina i terreni circostanti l’impianto. Il reattore funziona grazie alla combinazione di tre processi.
    Le torce al plasma “dissociano” i rifiuti. I residui carboniosi sono gassificati. Le sostanze inorganiche sono convertite in un materiale solidissimo. La roccia nera vetrificata risultante dal processo industriale, essendo totalmente inerte, può essere utilizzata, con opportune lavorazioni, per la produzione di piastrelle, mattoni, lastre, blocchi, da utilizzare nelle costruzioni d’edifici, strade ecc. Sono due gli impianti, attualmente in funzione, che utilizzano questo tipo di processo di trasformazione: uno in Ucraina e uno come abbiamo già detto, in Israele. Ogni ora trattano da un

minimo di cinquecento ad un massimo di mille chili di rifiuti. I precedenti sistemi riuscivano, al massimo, a trasformare un centinaio di chilogrammi di rifiuti radioattivi l’ora, con costi infinitamente maggiori. La scoperta è molto interessante anche per quanto riguarda lo smaltimento delle scorie atomiche. La produzione d’energia dal nucleare, ha creato, purtroppo, un’incredibile quantità di rifiuti radioattivi. Scorie radioattive sono prodotte anche dai laboratori di ricerca, dalle industriali, dai centri medici, dalle università, dai macchinari diagnostici ecc. Per questo, il mercato che si apre a questa nuova tecnologia potrebbe valere almeno sei miliardi di dollari l’anno. In tutto il pianeta sono depositate, in luoghi “sicuri”, quantità enormi di scorie radioattive, del tipo detto a bassa emissione. Uno dei problemi più impellenti da risolvere è la loro eliminazione definitiva. A Chernobyl, per esempio, dopo più di venti anni dall’incidente al reattore nucleare, risultano ancora contaminati centinaia di chilometri quadrati di territorio. Decine di migliaia di case con dentro ancora i mobili e gli oggetti personali, lasciati in fretta e furia dall’intera popolazione, sono li, piene di radioattività, a testimoniare tutta la stoltezza dell’umanità. Tenuto conto che quei rifiuti stanno contaminando le falde acquifere la scoperta israeliana, sembra giungere proprio al momento giusto. L’unico ostacolo all’utilizzo del sistema anche per l’eliminazione dei rifiuti solidi urbani è l’altissimo costo: circa 3.000 dollari a tonnellata.
    A mio parere, quindi, pur risolvendo egregiamente il problema dei rifiuti radioattivi, il processo inventato dagli israeliani e dai russi non può, in alcun modo, essere compreso nell’elenco delle soluzioni da adottare in Campania per risolvere l’emergenza rifiuti.

(Pupia, 9 febbraio 2008)





5. GLI ULTIMI GIORNI DI OSKAR SCHINDLER




Le lettere di Schindler
"Amici ebrei, aiutatemi"

L'industriale che salvò dallo sterminio 1.200 ebrei morì alcolizzato e senza un soldo.
Ecco il carteggio in cui chiedeva denaro a un giudice israeliano.

di Alberto Stabile

GERUSALEMME - Non era neanche vecchio. Quando morì, nel 1974, a Hildesheim, in Assia, Oskar Schindler, l'industriale tedesco che salvò 1.200 ebrei dallo sterminio (oltre ai 1.100 della famosa lista se ne aggiunsero altri cento negli ultimi mesi di guerra) aveva 66 anni, ma era solo, alcolizzato, indebitato e letteralmente senza un soldo. Meditava l'ennesimo viaggio in Israele, in tutto ne fece 17, l'unico posto al mondo dove era benvoluto e, soprattutto, dove, grazie ai sussidi delle organizzazioni ebraiche e ai regali dei suoi "salvati", che organizzarono per lui un "Fondo Schindler", poteva mettere insieme il pranzo con la cena.
    Tutto questo è ulteriormente chiarito da un carteggio, di cui per la prima volta il quotidiano Maariv pubblica alcune lettere, che uno degli Schindlerjuden, come ancora oggi vengono chiamati gli ebrei sottratti da Schindler ai nazisti, il giudice della Corte Suprema israeliana Moshè Bejski ha lasciato in eredità alla sua morte, avvenuta nel 2007, all'Istituto Israeliano per la Storia dell'Olocausto Massuah.
    Lo sfondo in cui s'inquadra la corrispondenza è quello di una disfatta personale. Alla fine della guerra, Oskar Schindler e sua moglie Emilie, che lo aveva coadiuvato nella sua opera di salvataggio, erano letteralmente sul lastrico. Schindler non era riuscito ad adattarsi alle condizioni della Germania "Anno Zero" e tentò una serie di operazioni commerciali che fallirono miseramente, al punto da ritrovarsi, come chiarisce in una delle lettere, perseguito da 17 ordini di arresto per bancarotta.
    Oppresso dai debiti, inseguito dai creditori, Schindler si rivolse per la prima volta all'organizzazione ebraica americana Joint Distribution Commettee per ottenere un prestito di 5000 dollari con cui potersi recare in Argentina.
    Ma in Argentina, dove arriva nel 1949 assieme ad un gruppo di sopravvissuti dell'Olocausto, le sue fortune non cambiano. E qualche anno dopo è costretto a ritornare in Germania, lasciando Emilie, che non aveva nemmeno i "soldi per comperarsi un paio di occhiali", a sbrigarsela coi creditori. In questa situazione a chi può rivolgersi per aiuto se non agli amici ebrei? "Caro Signor Bejski, spero che Lei non s'arrabbi con me se le scrivo troppi rapporti interinali", esordisce Schindler in una lettera del luglio 1963.
    L'industriale tedesco ha continuato a ricevere gli aiuti del Fondo Schindler e, con puntigliosa quanto scoraggiante tempestività, mette i suoi benefattori al corrente della sua situazione debitoria, vagheggia progetti improbabili, spera di poter risalire la china.
    Con largo anticipo su Spielberg, che ne ha tratto un film a metà degli anni Novanta, capisce che la sua storia può interessare il grande pubblico. "Mi interessa particolarmente il fatto - scrive - che uno degli amici stia tentando di presentare la mia vicenda alla televisione di Los Angeles, cosa che senza dubbio potrebbe salvarmi economicamente. "Ma nel frattempo - racconta - la situazione non è semplice. Non ho pagato da molti mesi l'affitto della casa in cui abito e la padrona non vede la cosa di buon occhio. Mi ha detto di non capire perché non paghi dal momento che ho ricevuto molti soldi dai miei amici americani".
    L'uomo che Israele avrebbe insignito, assieme alla moglie Emilie, dell'onorificenza di Giusto delle Nazioni era piuttosto malvisto in patria. "È impossibile liberarsi della sensazione che tentino di strapparmi il tappeto da sotto i piedi, nella speranza di vedermi fuori dal paese".
    Moshè Bejski, che assieme a Itzhak Stern e Poldek Pfefferberg fu tra i pochissimi componenti della lista ad essere a conoscenza sin dal principio del piano orchestrato da Schindler per salvare i "suoi" ebrei, si adoperò molto per togliere l'imprenditore dai guai economici in cui s'era cacciato. E il tono delle lettere di Schindler si fa sempre più amichevole (da "Caro signor Bejski" a "Caro amico Dottor Bejski" a "Caro Moshè") e sempre più schietto.
    "Per un lungo periodo sono stato costretto a dormire in alberghi a buon mercato nelle vicinanze della stazione centrale e a chiedere in prestito denaro da amici non ebrei, se non altro per poter mangiare una modesta colazione. Oggi semplicemente scappo dal mio appartamento prima dell'alba per sfuggire ai creditori e alla polizia. Le giuro che persino nel Terzo Reich ho avuto meno paura".
    Nel novembre del 1967, ma senza indicare il luogo, Schindler annuncia a Bejski che tre settimane prima è stato trascinato fuori dal letto "per dichiarare la bancarotta". Vorrebbe emigrare ma non ha i soldi. "Economicamente parlando in Germania sono finito". Cinque anni dopo, nel 1972, tramite Moshè Bejski, chiede il parere di un medico israeliano, certo "Dottor Franck" sulla salute che va deteriorandosi.
    Segue la meticolosa elencazione delle donazioni ricevute: "Ho ricevuto dal signor Korn 1.000 lire israeliane (circa 240 dollari dell'epoca, una cifra rispettabile per quel periodo in Israele equivalente ad uno stipendio mensile medio). Anche Halina Dawidovitch mi ha dato 500 lire israeliane. Sternberg mi ha dato ancora mille marchi e ha lasciato 200 dollari per me presso il suo amico di Francoforte. Questa somma mi sarà di grande aiuto e vi ringrazio di cuore".
    Rifiutato dal suo mondo, ma non dalle persone che aveva soccorso, Oskar Schindler morì a casa di una coppia di amici ebrei, gli Starr, che lo ospitarono e lo curarono fino alla fine.

(la Repubblica, 8 febbraio 2008)





6. PARLA UNA SCAMPATA DALLE CAMERE A GAS




Ex deportata rompe il silenzio: "Fui una vittima di Mengele"

Dopo 63 anni racconta per la prima volta la sua storia. Nel 1944 è stata deportata ad Auschwitz con la madre.



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Sylva Sabbadini
VARESE - «Mi raccomando non sbagli il mio nome. È una cosa che mi fa arrabbiare molto». Sylva Sabbadini ha 76 anni, vive a Marchirolo, è ebrea e nel 1944 è stata deportata  nel campo di sterminio di Auschwitz. Una storia che non ha mai voluto raccontare. Fino a quando, due mesi fa, ha incontrato Angelo Chiesa, segretario provinciale dell’Anpi, mentre stava facendo una conferenza, e gli ha mostrato il braccio sinistro con il numero di matricola tatuato dai nazisti. 63 anni dopo, Sylva Sabbadini, ha deciso di raccontare quell’esperienza ai ragazzi dell’Isis di Varese. «Abitavamo a Padova, dove mio padre faceva l’ingegnere. Io sono una di quelle ragazze che quando nel 1938 entrarono in vigore le leggi razziali venne espulsa da scuola. Mio padre, che era un funzionario del ministero dell'Agricoltura, perse il lavoro. Un giorno il questore di Padova arrivò a casa nostra e disse a mio padre che era venuto il momento di tagliare la corda e così scappammo in campagna ospiti di una famiglia di contadini».
    I Sabbadini tirano avanti gestendo una gelateria che avevano intestato al marito della loro donna di servizio. Come è accaduto a molti altri ebrei, anche loro vengono traditi e venduti ai nazisti dagli italiani. Il federale del paese si presenta alla fattoria, con lui ci sono le Ss tedesche che arrestano tutta la famiglia. Sylva, i suoi genitori e la nonna vengono portati prima in una villa a Vo' Euganeo e subito dopo a Trieste. «Ci hanno rinchiusi nella Risiera di San Sabba, un vero e proprio lager. Con noi c’era anche uno zio, mentre mia nonna l’avevano risparmiata perché aveva più di 60 anni. Ricordo i rumori e le grida e poi il viaggio verso Auschwitz in quei carri bestiame. Ancora oggi non riesco a fermare lo sguardo su un treno merci».
    Al suo arrivo nel campo di sterminio, Sylva passa indenne la selezione e continua a rimanere con la madre. Il destino le riserverà una seconda opportunità quando viene selezionata dal dottor Mengele per i suoi esperimenti medici. «Quando arrivai ad Auschwitz avevo tredici anni e mezzo e mi salvai dalla camera a gas perché ero già formata, sembravo una donna adulta, quindi potevo lavorare. Una ragazza della mia età, alta e secca, che viaggiava con me, venne spedita subito a morire. Rimasi sempre con mia madre, lei parlava lo yiddish, la lingua della sua famiglia, e quindi capiva bene anche il tedesco, aspetto molto importante per sopravvivere. Un pomeriggio arrivò nella nostra baracca  il dottor Mengele e mi scelse insieme ad altre due ragazze per delle sperimentazioni mediche. Ci trasferirono nell’infermeria. Eravamo sedute e aspettavamo di essere chiamate, intuendo quello che ci aspettava. Uscì l’infermiera e prese una di noi tre, una ragazza dell’est».
    Per Sylva Sabbadini il momento della liberazione, nel gennaio del 1945,  ha un suono preciso e un’immagine nitida. «Sentivamo il rumore dei cannoni molto vicino. I tedeschi a quel punto in preda al panico ci chiesero se volevamo fuggire con loro in quella conosciuta poi come la marcia della morte, tutti quelli che accettarono vennero uccisi durante il tragitto. Mia madre mi guardò fissa e mi chiese che cosa dovevamo fare e io le risposi che morire per morire preferivo rimanere lì con lei in infermeria. Eravamo abbandonati a noi stessi, senza forze, quando una mattina sono comparsi dei soldati, parlavano russo e giravano nelle camerate guardandoci sbalorditi, sembravano dei marziani. Se avessero ritardato di quindici giorni saremmo morti tutti».
    Sylva Sabbadini e sua madre rimasero ancora per tre mesi ad Auschwitz a servire nella mensa ufficiali. «L’odore dei cadaveri che bruciavano era insopportabile, volevamo andarcene a tutti i costi. Mia madre conobbe un ufficiale rumeno che ci portò a Bucarest. Una volta lì contattammo il console italiano. Ci venne incontro un uomo elegante che ci portò in un appartamento molto bello dove c'erano altri italiani. Mia madre vide un pianoforte e lo fissò a lungo, senza parlare. Non mi meravigliai, dopo tutto lei era una concertista e come quasi tutti i componenti della sua famiglia suonava il pianoforte e il violino. Erano emigrati agli inizi del ‘900 da Odessa, quando era ancora Russia, a Trieste. A un certo punto si avvicinò a quel grande pianoforte a coda, si aggiustò il seggiolino, iniziò a premere sui tasti. Fu così che ricominciammo a vivere».

(Varesenews, 8 febbraio 2008)





7. CALA L’IMMIGRAZIONE IN ISRAELE




Senza fede Israele è più attraente

Il ritmo di immigrazione in Terra Santa diventa ogni anno più lento. Secondo i dati del Ministero israeliano per l’immigrazione, nel 2007 sono arrivate in Israele meno di 20.000 persone. E’ il più piccolo numero di immigrati negli ultimi 18 anni, dalla grossa ondata di immigrazione proveniente dagli stati dell’ex Unione Sovietica, nel 1989. Rispetto al 2006, la quota di immigrazione è scesa del 6%. «Il fatto che ci siano sempre meno ebrei che vogliono immigrare in Israele deve far suonare il campanello d’allarme», ha dichiarato il Ministro israeliano per l’immigrazione Jakob Edri. «Dobbiamo convincere gli ebrei della diaspora a tornare a casa e a portare nuova vita nell’opera sionistica.» Un terzo (6445) degli immigrati nel 2007 provengono dagli stati della CSI (Comunità degli Stati Indipendenti, ex Unione Sovietica), il 19% (3607) dall’Etiopia e il 15% dal Nord America (USA e Canada).
    Se non c’è una particolare spinta, la maggioranza degli ebrei che vivono nella diaspora (da 6 a 7 milioni) non immigra in Israele, e il motivo più forte per il ritorno in Terra Santa è l’antisemitismo nella diaspora. Fino a che gli ebrei all’estero stanno bene socialmente ed economicamente, non si trasferiscono in Medio Oriente. Però sempre più famiglie comprano appartamenti in Israele, affinché in caso di pericolo possano fuggire subito in Israele. Questa tendenza è particolarmente marcata tra gli ebrei francesi, da quando è cresciuta l’onda antisemitica in Europa negli ultimi cinque anni. Secondo il settimanale Jerushalaym, ci sono 8000 appartamenti vuoti nelle migliori zone, perché il proprietario vive all’estero e ha comprato l’appartamento per i casi di emergenza o per investimento. Si parla già di città fantasma, e con questo ci si riferisce alle zone residenziali di Gerusalemme senza abitanti, dove il proprietario viene forse ogni due anni nei giorni delle feste ebraiche. Dall’altra parte le giovani famiglie israeliane non hanno i soldi necessari per trasferirsi a Gerusalemme, perché Gerusalemme è tra le città più care di Israele. Israele tenta allora di attirare di nuovo a casa le famiglie israeliane che nei decenni scorsi hanno lasciato il paese per motivi economici o di lavoro. Oltre a questo, anche il conflitto in Medio Oriente ha la sua influenza sulla decisione delle famiglie di immigrare in Israele. I continui titoli sui giornali di lanci di razzi non agiscono certamente da magnete per la Terra Santa. L’uomo cerca pace e sicurezza, e fino che questo gli viene offerto più all’estero che in Israele, niente lo spinge verso Israele, a meno che non sia l’ideologia o la fede.
    L’Occidente attira più israeliani di quanto Israele attiri gli ebrei della diaspora. Come mostra un’inchiesta dell’Istituto Smith, un ebreo su tre in età fra i 14 e i 18 anni mostra interesse per una vita all’estero. Per molti israeliani la vita negli USA e in Europa è più attraente che in Medio Oriente. Israele è un paese in cui ci sono tensioni troppo grandi, e il 70% dei giovani interrogati sono stati concordi nel dire che i cittadini arabi di Israele (1,2 milioni) non sono fedeli allo Stato d’Israele. La gioventù israeliana mostra di avere piena fiducia nell’esercito israeliano (73%), ma non nei suoi dirigenti. Soltanto l’11% degli interrogati ha fiducia nei dirigenti del loro paese. Dopo sessant’anni di esistenza, il popolo si trova in una pericolosa crisi di direzione, cosa che è stata confermata dalla terza generazione di Israele nella recente inchiesta per il Congresso Ebraico.

(israel heute, febbraio 2008 - trad. www.ilvangelo-israele.it)





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