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Notizie su Israele 472 - 1 ottobre 2009

1. Palestinesi che preferiscono Israele
2. Storico intreccio di ebraismo e cristianesimo
3. Visita al museo ebraico di Salonicco
4. La questione dello Stato ebraico
5. «Non siamo stranieri in questa terra»
6. Libri
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Geremia 3:17. Allora Gerusalemme sarà chiamata il trono del Signore; tutte le nazioni si raduneranno a Gerusalemme nel nome del Signore, e non cammineranno più secondo la caparbietà del loro cuore malvagio.
1. PALESTINESI CHE PREFERISCONO ISRAELE




A colloquio con la palestinese Nisreen

di Aviel Schneider

Nisreen Abdel Nabi
Nisreen Abdel Nabi è palestinese e vive a Beit Hanina, in Gerusalemme Est. La ventiquattrenne ha fatto parlare di sé lo scorso agosto quando si è rivolta con una lettera al Ministro degli Esteri Avigdor Liebermann.
«Signor Liebermann, lei insiste sulla lealtà, senza lealtà niente diritti civili», ha detto Nisreen riportando la sua posizione. «Su questo anch'io, come palestinese, sono d'accordo, e conosco molti palestinesi che la pensano come me.»
A bassa voce molti palestinesi di Gerusalemme Est e dei territori dell'Autonomia palestinese in Giudea e Samaria parlano positivamente di Israele, ma evitano di dirlo in pubblico.
«Il popolo palestinese ha paura dei suoi dirigenti, non di Israele. Sempre più palestinesi sperano di riavere il governo militare israeliano nei territori occupati.»
Nel colloquio con israel heute la giovane donna ha detto che lei, e con lei la maggior parte degli abitanti di Gerusalemme, non vuole una divisione della città, ma nessuno chiede la loro opinione. Nisreen è la nona di undici fratelli ed è stato proprio il padre ad educarla a non odiare Israele.

- Nisreen, perché ha scritto a Liebermann?
- Stimo gli uomini con una visione chiara, e Liebermann è uno di questi. Condivido la sua posizione politica: senza lealtà niente diritti civili. Conosco molti palestinesi che vorrebbero vivere sotto l'amministrazione israeliana e addirittura vorrebbero che fosse aperto anche a loro il servizio nella polizia israeliana e nell'esercito.

- Com'è la sua vita oggi?
- Lavoro come giornalista indipendente, lavoro alla radio e come volontaria in diversi posti a Gerusalemme. Ho studiato all'Università palestinese Bir Zeit e all'Università ebraica di Gerusalemme.

- Lei certamente sa che Liebermann spesso è stato accusato di essere fascista e razzista.
- Lo so, ma è semplicemente falso. Se c'è qualcuno che vuole lasciar essere israeliani i cittadini arabi di Gerusalemme, questo è Liebermann. Le garantisco che la maggioranza dei palestinesi di Gerusalemme in nessun caso vuole vivere sotto il governo dell'Autonomia palestinese. Noi rifiutiamo Abu Mazen e il suo governo di Autonomia. Quello che si dice sulla divisione di Gerusalemme per amor di pace non è altro che agitazione politica. I cittadini palestinesi di Gerusalemme dovrebbero farsi sentire e dimostrare contro la divisione di Gerusalemme. Ma la paura di Abu Mazen li paralizza.

- Ma il governo dell'Autonomia sembra essere molto più liberale, a confronto con il governo di Hamas nella striscia di Gaza.
- E' una sciocchezza! Abu Mazen e il suo governo sono ladri e bugiardi. Non vedo nessuna differenza tra Hamas e il governo dell'Autonomia di Abu Mazen. Vada nei villaggi palestinesi e parli sul posto con le persone, e si accorgerà di quello che pensano di Abu Mazen e della sua banda.

- Nisreen, lei è giovane e per di più donna. Non ha paura ad esprimersi negativamente su Abu Mazen?
- No, io ho paura soltanto di Allah. So bene che a Ramallah i palestinesi che parlano contro Abu Mazen vengono rapiti. Per questo naturalmente sono prudente. Ma d'altra parte so anche che Abu Mazen a Ramallah non è gradito. Il popolo odia il suo governo.

- Ma all'estero spesso il quadro presentato è un altro. Di solito si sente dire che Abu Mazen è buono e i coloni ebrei sono cattivi.
- E io che ci posso fare? A noi non danno fastidio gli insediamenti ebraici e i coloni. Al contrario, con la maggior parte di loro ci accordiamo benissimo. Inoltre molti palestinesi guadagnano il loro stipendio in questi insediamenti. Per questo un congelamento della costruzione di insediamenti sarebbe anche un atto contro i palestinesi. Mi creda, molti palestinesi in Cisgiordania vorrebbero l'amministrazione militare israeliana, che tratta i palestinesi con molto maggior riguardo dei poliziotti palestinesi dell'Autonomia. I poliziotti palestinesi sono un terrore, i poliziotti e i soldati israeliani no.

- Ma d'altra parte avvertiamo anche l'odio contro Israele.
- La propaganda di odio contro Israele comincia nelle scuole palestinesi in Gerusalemme Est e in Cisgiordania. Questo è un brutto problema, soprattutto nelle scuole di Gerusalemme Est, che in parte sono finanziate dal Ministero dell'Istruzione israeliano. I bambini palestinesi vengono nutriti di odio contro i loro vicini ebrei. I palestinesi cambiano il loro atteggiamento verso gli ebrei e gli israeliani soltanto quando cominciano a conoscerli personalmente. Allora si accorgono che non sono dei diavoli.

(israel heute, ottobre 2009 - trad. www.ilvangelo-israele.it)





2. STORICO INTRECCIO DI EBRAISMO E CRISTIANESIMO




Praga, la «città d'oro» ebraica e cristiana

Da Kafka a Mendel, da Havel a Kundera: nella capitale boema s'intrecciano le due grandi tradizioni che hanno segnato la cultura d'Europa, rinascendo dopo ogni catastrofe storica. Eccone le indelebili tracce.

di Giorgo Pressburger

«La città d'oro». Per molto tempo, questo è stato, ed è tutt'oggi, il soprannome, di Praga. Perché la città d'oro? Probabilmente per le cupole delle numerose chiese barocche, costruite nel Cinque-Seicento dai monarchi che vi avevano stabilito la loro sede, come Mattia Corvino e Rodolfo d'Asburgo e altri. Praga doveva essere la città cattolica per eccellenza anche se proprio in Boemia, di cui è la capitale, si sono svolte guerre lunghissime, come la Guerra dei Trent'anni, in nome del protestantesimo da una parte e della Chiesa cattolica dall'altra. La storia del conte Wallenstein ne è un esempio eloquente, avventuroso e tragico. La residenza praghese di questo grande guerriero, uomo politico complicato e continuamente in bilico tra le due parti, è uno dei più bei palazzi barocchi della «città d'oro». Ma quanto all'oro a Praga se ne vede parecchio, specialmente negli edifici religiosi. Nelle due famose chiese dedicate a san Nicola, e in tante altre, ma anche sul famoso Ponte Carlo, che conduce nella Malà Strana, la «Parte piccola».
    Stringe davvero il cuore leggere la scritta sul piedistallo di una delle statue allineate sul ponte, recante la notizia che quella statua è stata eretta con lo Judengeld, la tassa che gli ebrei dovevano pagare. Quale tassa? La tassa per il solo fatto di essere ebrei, per il solo fatto che la Praga cristiana dava loro accoglienza. L'intreccio secolare tra la Praga cristiana e quella ebraica è davvero uno dei capitoli più interessanti della storia di quella città. Tra gli imperatori austriaci c'erano dei veri alchimisti, dediti alla magia. Rodolfo II, per esempio. Ma anche nella fitta comunità ebraica c'erano cabalisti la cui fama si estendeva a tutto il mondo occidentale di allora. Non tutti sanno, per esempio, che la regina Elisabetta d'Inghilterra , nel Seicento, aveva spedito a Praga un suo uomo di fiducia, John Dee, per fargli apprendere dai rabbini la cabala. Attraverso la cabala (scienza esoterica ebraica) voleva mostrare la supremazia dell'Inghilterra su tutto il mondo. Quando l'uomo tornò da Praga a Londra, il suo protettore, sir Walter Releigh, era già stato decapitato. John Dee dovette fuggire di casa in casa. La sua storia, ben celata, è stata scritta da Shakespeare nell'ineguagliabile tragedia Re Lear.
    Ma l'intreccio tra ebraismo e cristianesimo è rispecchiato anche nella leggenda del Golem, la statua di argilla costruita da un rabbino e chiamato a vita dalla parola Verità ("emet" in ebraico) inserita nella sua fronte. Questa statua-mostro deve difendere gli ebrei dai maltrattamenti, soprusi e uccisioni. Il Golem si mette in cammino e sta per distruggere la città quando il rabbino toglie dalla sua fronte la parola magica. Il Golem torna a essere una statua inanimata. Angelo Maria Ripellino, lo slavista italiano di fama europea, ha scritto negli anni sessanta, un famoso volume sulla Praga magica. Queste e altre storie davvero eccentriche vi si trovano in quantità, ma chi vuole afferrare l'anima di quella città unica al mondo, fa bene a legger quest'opera.
    Ma l'intreccio tra le due culture continua nei secoli successivi. Anche Johann Sebastian Bach va a Praga a studiare la cabala, e la applica alla sua teoria del contrappunto musicale. Mozart rappresenta il suo Don Giovanni proprio a Praga e anche in quell'opera non mancano elementi soprannaturali. Il vero grande connubio tra le due culture si realizza però tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Allora nascono i veri grandi ingegni da tutte e due le parti. I grandi musicisti, gli umili ma importantissimi scienziati, alcuni stravaganti scrittori da una parte, e dall'altra pensatori, filosofi, linguisti e scrittori. Facciamo qualche nome, anche se è forse inutile e superfluo, tanto sono diventati famosi coloro che li portavano. Smetana, Dvoràk, Janàcek, e Mendel, padre della biologia moderna, scopritore delle leggi dell'ereditarietà.
    Dalla parte ebraica basta un nome, anche se ce ne sono tanti: Franz Kafka. Nella sinagoga «vecchia nova» di Malà Strana tra i nomi dei grandi saggi nati nella comunità ebraica di Praga c'è anche il suo. Sì, la grandezza di Franz Kafka oltrepassa i limiti di una professione, quella dello scrittore. Questo semplice impiegato delle assicurazioni Generali (di Trieste), morto di tubercolosi a poco più di quarant'anni, è annoverato tra i maestri, quasi dei profeti dell'umanità. Tra i grandi eccentrici cristiani, invece, non possiamo "saltare" il nome di Jaroslav Hasek creatore del personaggio del «buon soldato Sc'vèik». Questo anarchico, gran bevitore, verso la fine della sua non lunghissima vita, fondò un partito monarchico, in onore dell'imperatore Francesco Giuseppe, tanto sbeffeggiato, pochi anni prima in Sc'vèik.
    Lo scoppio della Seconda guerra mondiale pose fine a questo strano intreccio di culture, unico nel suo genere. Le grandi potenze occidentali lasciarono la Cecoslovacchia in balia della Germania nazista che con il consenso di tutti, Churchill, Roosevelt, Stalin, Mussolini, la invase e la soggiogò. Gli ebrei di Praga furono deportati e sterminati, A sessanta chilometri da Praga si trova la cittadina di Terezín. Porta il nome dell'imperatrice asburgica Maria Teresa d'Austria. Fu lei a fondarla, nel Settecento. Fu lì che duecento anni dopo i nazisti stabilirono il loro campo di concentramento per bambini ebrei. Di questi restano soltanto i disegni. Quasi tutti vennero trasportati ad Auschwitz e, dopo esperimenti paurosi, uccisi.
    La storia di cui parliamo però non finisce ancora, perché durante i difficili anni dello stalinismo, sono apparse nuove importanti figure che rappresentano le due culture. Basti pensare a Bohumil Hrabal, a Vàclav Havel e a Milan Kundera: tutti e tre noti nel mondo. Per il suo travolgente vitalismo e buonumore il primo, per le sue commedie mordaci e per il fatto di essere diventato presidente della Repubblica dopo la caduta del Muro il secondo, per i suoi romanzi filosofici scritti in francese, diventati bestseller il terzo. In questi tre autori continua, rivive una lunga tradizione culturale, unica nel nostro continente. Di ebrei invece sono rimasti pochissimi a Praga. Di loro esiste soltanto il ricordo. Ivan Kraus ha scritto un romanzo, negli anni Sessanta, intitolato I topi della signora Moschabrova, feroce satira dello stalinismo, ma la sua opera oggi è pressoché sconosciuta. Hrabal si è suicidato. Poi è venuta l'Europa allargata, e oggi siamo al punto a cui siamo. Mercato. Editoria di mercato. E uno scenario mondiale sconvolto. Ma la storia continua.

(Avvenire.it, 22 settembre 2009)





3. VISITA AL MUSEO EBRAICO DI SALONICCO




La Shoah sulla porta dell'Oriente

Solo 1949 israeliti fecero ritorno dai campi di concentramento di Auschwitz-Birkenau.

di Domenico Cacopardo

Il museo ebraico di Salonicco
II cielo è coperto. Di tanto in tanto cade un'acqueruggiola leggera che penetra nelle ossa. Smette quando folate di vento smuovono l'aria. II golfo è scomparso in una cortina grigiastra. È il Meltemi, spiegano da queste parti: arriva in agosto e se ne va a settembre inoltrato. Siamo a Salonicco, una città che, con poche altre, merita il titolo di porta d'Oriente. Per motivi storici, più che per l'attualità. Girando per le vie, visitando i musei, le chiese, ci si rende conto che qui la civiltà occidentale s'è arrestata nel 1453, con la caduta di Costantinopoli e dell'lmpero, per poi riprendere la sua strada nell'800, quando la Grecia moderna ha conquistato l'indipendenza: le memorie del passato annoverano Filippo e Alessandro di Macedonia, Teodosio, le basiliche della prima cristianità, adorne di dipinti (che smentiscono in modo evidente la celebrata e discussa fissità espressiva) e di mosaici e trovano efficace testimonianza nei musei archeologico (stupenda la collezione di auree corone reali) e della civiltà bizantina.
    Di quello delle guerre macedoni non posso far parola: l'ho trovato, all'italiana, chiuso per ferie. Ma questa civiltà cristiana che tanto ha dato alla storia dell'umanità è talvolta degenerata, trasformandosi in barbarie: sia nel Medio Evo per le devastazioni prodotte dai crociati in viaggio dall'Europa alla Terra santa, sia in tempi recenti. Di questo, a Salonicco, c'è una toccante dimostrazione. Affrontiamola, quindi, recandoci in piazza Eleftherìas e incamminandoci verso l'interno, lungo l'odos (via) Venizelou. Percorso un centinaio di metri, sulla sinistra, appare l'odos Agiou Mina. Ecco la nostra meta: il Jewish Museum. Un piccolo edificio identificabile dalla garitta di ferro nero sistemata sull'esterno. Nessun poliziotto presidia il luogo e il portone è chiuso. Basta, però, suonare al citofono e dall'interno viene fatta scattare una serratura elettrica. Così, senza alcuna formalità o cautela, si accede all'interno. In Grecia non ci sono segni visibili di immigrazione islamica e questo spiega l'inesistenza di specifiche misure di sicurezza intorno al museo che narra la storia della locale comunità ebraica sino al '43, anno della grande deportazione nazista, e, al termine della guerra, alla chiusura dei campi di sterminio. Ma andiamo con ordine. Gli ebrei giungono in massa qui, nella bassa Macedonia nel 1492. Sono sefarditi e vengono dalla Spagna, dove proprio in quel periodo i re cattolici Ferdinando e Isabella hanno riconquistato lo stato arabo di Granada, manifestando un rigida intolleranza nei confronti di israeliti e musulmani. Tracce di presenza ebraica risalgono, è vero, anche al periodo romano. Una comunità, quella israelo-tessalonicese, povera e operosa, integrata per tanti secoli con i greci e gli occupanti ottomani: mercanti, artigiani, e, più di recente, tipografi, meccanici, orologiai. Tutto sino al 1943, quando il comando tedesco attua la soluzione finale: prima di tutto convocando gli uomini di razza ebraica nella centralissima piazza Aristotele. Qui, tenuti in piedi dalla mattina sino alla tarda sera, sono sottoposti a pratiche umilianti, allo scopo di snervarne il morale in vista del successivo trasferimento. Infatti, il 15 marzo, gli israeliti d'ogni sesso ed età sono costretti a marciare da piazza Aristotele alla stazione. I carri merci si stipano di dolenti esseri umani: unica la destinazione, Auschwitz-Birkenau. Di 46.091 deportati solo 1.949 faranno ritorno. I sopravvissuti - e il loro museo - ricordano e onorano il coraggioso comportamento del Metropolita ortodosso di Salonicco, Gennadios, che insieme all'arcivescovo cattolico Damaskinos e a ventisette leader culturali, politici, accademici rese pubblico un forte documento di condanna delle persecuzioni e delle deportazioni. Un piccolo museo, ben tenuto, questo di Salonicco: un'atmosfera dolce, ovattata, in cui il dramma emerge dalle innumerevoli piccole cose.
    Gli oggetti di tutti i giorni. Le lapidi del cimitero profanato dai nazisti. Gli abiti della festa. Le foto dei caduti nella guerra scatenata dall'Italia nel '41. E le foto del lager, foto parlanti con la voce flebile delle vittime. Un lamento, più che una denuncia, che aiuta a rivedere e a ricordare. A capire no: ancora oggi è impossibile accettare le ragioni e le dimensioni dell'Olocausto. Non dimenticarlo è un dovere. Perché non abbia mai a ripetersi qualcosa di simile.

(Gazzetta di Parma, 1 ottobre 2009)





4. LA QUESTIONE DELLO STATO EBRAICO




Lo Stato di Yahvè è la condizione per la pace

di Daniel Pipes

La questione dello Stato ebraico era già stata coraggiosamente affrontata dal premier israeliano Olmert nel corso dei colloqui di pace di Annapolis. L'11 novembre del 2007, il politico aveva dichiarato: «Non intendo in alcun modo trovare un compromesso sulla questione dello Stato ebraico. Ciò costituirà una condizione per il nostro riconoscimento di uno Stato palestinese.» Va però ricordato che 56 Paesi e l'Anp fanno parte dell'Organizzazione della Conferenza islamica; e la maggior parte di questi membri, inclusa l'Anp considera la shari'a (la legge islamica) come la loro principale, se non unica, fonte di legislazione. L'Arabia Saudita esige perfino che ogni suddito sia musulmano. Inoltre, il nesso religioso-nazionale si estende ben oltre i paesi musulmani. Jeff Jacoby del Boston Globe fa notare che la legislazione argentina «autorizza l'appoggio governativo alla fede cattolico-romana. La Regina Elisabetta II è il governatore supremo della Chiesa Anglicana. Nel regno himalayano del Bhutan, la Costituzione proclama il Buddismo "patrimonio spirituale" della nazione (…) La religione predominante in Grecia, dichiara il paragrafo II della Costituzione ellenica, "è quella della Chiesa Ortodossa Orientale di Cristo"».

E allora, perché il rifiuto camuffato da principio di riconoscere Israele come Stato ebraico? Probabilmente perché l'Anp - e l'Olp prima di questa - vuole ancora eliminare Israele come Stato ebraico. Si noti l'utilizzo del verbo "eliminare", non distruggere. Sì, è vero, l'antisionismo ha prevalentemente assunto fino ad ora una forma militare, dal proclama di Gamal Abdel Nasser di «gettare gli ebrei in mare» a quello di Mahmoud Ahmadinejad che «Israele deve essere cancellato dalle carte geografiche». Ma la potenza delle Israeli Defence Forces - le Forze speciali di combattimento israeliane, il complesso che unisce servizi segreti e militari in servizio - ha spinto l'antisionismo verso un più sottile approccio volto ad accettare uno Stato israeliano, ma smantellando il suo carattere ebraico. Gli antisionisti prendono in considerazione diversi modi per conseguire questo risultato:

Demografia. I palestinesi potrebbero sopraffare demograficamente la popolazione ebraica di Israele, un obiettivo evidenziato dalla loro pretesa di esercitare un "diritto al ritorno" e dalla loro cosiddetta guerra dell'utero.

Politica. I cittadini arabi di Israele ricusano sempre più la natura ebraica del paese ed esigono che esso diventi uno stato binazionale.

Terrorismo. Il centinaio di attacchi sferrati settimanalmente dai palestinesi dal settembre 2000 al settembre 2005 cercarono di provocare il declino economico, l'emigrazione e l'appeasement.

Isolamento. Tutte quelle risoluzioni delle Nazioni Unite, le condanne editoriali e le aggressioni nei campus intendono intaccare e distruggere lo spirito sionista.

Il riconoscimento da parte araba della natura ebraica di Israele deve avere la massima priorità diplomatica. Finché i palestinesi non accetteranno ufficialmente il sionismo, seguitando poi a porre fine a tutte le loro varie strategie per eliminare Israele, i negoziati dovrebbero essere interrotti e non riavviati. Fino ad allora, non c'è nulla di cui discutere.

(Liberal, 24 giugno 2009 - Archivio di Daniel Pipes)





5. «NON SIAMO STRANIERI IN QUESTA TERRA»




Discorso del Primo Ministro d'Israele, Benjamin Netanyahu

New York, 24 settembre 2009

Signor Presidente, Signore e Signori,

circa 62 anni fa le Nazioni Unite riconobbero il diritto degli Ebrei - popolo antico di 3500 anni - ad un proprio stato nella patria dei propri antenati.
    Oggi sono qui come Primo Ministro di Israele, lo stato ebraico, e vi parlo a nome del mio paese e del mio popolo. Le Nazioni Unite furono fondate dopo la carneficina della seconda guerra mondiale e gli orrori dell'Olocausto. Avevano il compito di prevenire la possibilità del ricorrere di tali orrendi eventi. Nulla minaccia alla base quel compito essenziale più dell'attacco sistematico alla verità. Ieri il Presidente dell'Iran era su questo stesso podio a sputare le sue ultime tiritere antisemite. Soltanto pochi giorni prima aveva ripetuto che l'Olocausto è una bugia. Il mese scorso sono stato in una villa in un sobborgo di Berlino chiamato Wannsee. Là il 20 gennaio 1942 dirigenti nazisti di alto grado si ritrovarono dopo un buon pasto a decidere come sterminare il popolo ebraico. Gli appunti dettagliati di quell'incontro sono stati conservati dai successivi governi tedeschi. Ecco qui una copia di quegli appunti, in cui i Nazisti davano istruzioni precise su come portare a compimento lo sterminio degli Ebrei. Si tratta di una bugia? Il giorno prima di andare a Wannsee, a Berlino mi hanno consegnato i disegni originali per la costruzione del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, dove furono assassinati un milione di Ebrei. Anche questa è una bugia? Lo scorso giugno il Presidente Obama ha reso visita al campo di concentramento di Buchenwald. Il Presidente Obama ha reso tributo a una bugia?
    E che dire dei sopravvissuti di Auschwitz che sulle braccia ancora portano tatuato il numero impresso loro dai Nazisti? Anche quei tatuaggi sono bugie? Un terzo del popolo ebraico morì in quell'inferno. Quasi tutte le famiglie ebree furono colpite, inclusa la mia. I nonni di mia moglie, le due sorelle ed i tre fratelli di suo padre, e tutte le zie gli zii e i cugini furono assassinati dai Nazisti. Anche questa è una bugia? Ieri su questo podio ha parlato l'uomo



che dice che l'Olocausto è una bugia. A voi che avete rifiutato di venire qui ad ascoltarlo, e a voi che siete usciti in segno di protesta: sia lode a voi. Avete mostrato dirittura morale e onorato i vostri paesi.
    Ma a voi che avete dato ascolto a questo negatore dell'Olocausto io dico a nome del mio popolo, il popolo ebraico, e di tutte le persone per bene in ogni parte del mondo: non vi vergognate? Non avete pudore? Appena sei decenni dopo l'Olocausto voi legittimate un uomo che nega che sei milioni di Ebrei siano stati assassinati e giura di eliminare lo stato ebraico.
    Che vergogna! Che presa in giro della Carta dell'ONU! Forse qualcuno di voi crede che quest'uomo e il suo odioso regime minaccino soltanto gli Ebrei. Sbagliate. La storia ha provato più volte che quando si inizia con l'attaccare gli Ebrei si finisce col travolgere anche gli altri.
    Questo regime in Iran si alimenta di un fondamentalismo estremista che ha fatto irruzione sulla scena mondiale tre decenni fa, dopo essere rimasto latente per secoli.Negli ultimi trenta anni questo fanatismo ha attraversato il globo con violenza omicida e con imparziale sangue freddo nella scelta delle sue vittime. Ha spietatamente macellato Musulmani e Cristiani, Ebrei e Induisti, e molti altri ancora. Benchè abbiano diverse origini, gli aderenti a questa fede spietata vogliono riportare l'umanità al Medio Evo. Ovunque possono, costoro impongono una società irreggimentata e arretrata in cui le donne, le minoranze, i gay e chiunque non paia seguace della vera fede è brutalmente sottomesso.La lotta contro questo fanatismo non è uno scontro di religioni nè uno scontro di civiltà. E' uno scontro fra la civiltà e la barbarie, fra il 21o e il 9o secolo, fra coloro che glorificano la vita e coloro che glorificano la morte. L'arretratezza del 9o secolo non può tener testa al progresso del 21o secolo.Il richiamo della libertà, il potere della tecnologia, l'ampiezza della comunicazione vinceranno sicuramente. Il passato non può davvero trionfare sul futuro. E il futuro offre a tutti i popoli magnifiche riserve di speranza. Il progresso avanza a velocità esponenziale. Sono passati secoli fra la macchina da stampa e il telefono, decenni fra il telefono e il personal computer, soltanto pochi anni fra il personal computer e internet. Quello che pochi anni fa sembrava irraggiungibile oggi è già obsoleto, e a malapena possiamo immaginare le evoluzioni future. Troveremo la chiave del codice genetico. Cureremo l'incurabile. Allungheremo la vita. Troveremo una alternativa economica ai combustibili fossili e ripuliremo il pianeta. Sono orgoglioso che il mio paese, Israele, sia all'avanguardia in questo progresso e traini l'innovazione nelle scienze e nella tecnologia, in medicina, biologia, agricoltura e acqua, energia e ambiente. Ovunque si sviluppino, queste innovazioni offrono all'umanità un futuro illuminato da promesse mai immaginate prima. Ma se il fanatismo più primitivo ottiene le armi più micidiali, la direzione della storia può invertirsi per un periodo di tempo. E come avvenne con la tardiva vittoria sul Nazismo, le forze del progresso e della libertà vinceranno soltanto dopo che l'umanità avrà pagato un terribile prezzo in sangue e in beni. E' per questo che il maggiore pericolo oggi per il mondo è il coniugarsi del fanatismo religioso con le armi di sterminio di massa.
    Il compito più urgente per questo consesso è impedire che i tiranni di Teheran si impossessino di armi nucleari. Gli stati membri dell'ONU saranno all'altezza della sfida? La comunità internazionale saprà tener testa a un dispotismo che terrorizza il proprio popolo che coraggiosamente chiede libertà? Agirà contro i dittatori che hanno frodato apertamente le elezioni e sparato agli Iraniani che protestavano, soffocandoli nel loro sangue?
    Si opporrà ai più pericolosi sostenitori e perpetratori di terrorismo al mondo? Soprattutto saprà la comunità internazionale impedire che il regime terrorista dell'Iran sviluppi armi nucleari, mettendo in pericolo la pace nel mondo intero? Gli Iraniani si stanno coraggiosamente opponendo a questo regime. Le persone di buona volontà in tutto il mondo sono dalla loro parte, come le migliaia di persone che stanno protestando qui fuori. Sarà l'ONU dalla loro parte?
    Signore e signori, il giudizio sull' ONU non è ancora emesso, ma gli indizi recenti non sono incoraggianti. Invece di condannare i terroristi e i loro protettori in Iran, qui alcuni hanno condannato le loro vittime.E' esattamente quello che ha fatto un recente rapporto ONU su Gaza, che ha messo sullo stesso piano i terroristi e le loro vittime. Per otto lunghi anni Hamas ha lanciato da Gaza migliaia di missili, mortai e razzi sulle città israeliane vicine. Anno dopo anno questi missili sono stati deliberatamente sparati sui nostri civili: l'ONU non ha votato neppure una condanna di questi attacchi criminali. Non abbiamo sentito una parola - neppure una - da parte del Consiglio per i Diritti Umani dell'ONU (istituzione dal nome quanto mai fuorviante).
    Nel 2005 Israele, nella speranza di favorire la pace, si ritirò unilateralmente fin dall'ultimo centimetro di Gaza. Smantellò 21 insediamenti e trasferì più di 8000 Israeliani. Non abbiamo avuto pace. Abbiamo avuto invece una base terrorista sostenuta dall'Iran a 50 miglia da Tel Aviv. La vita nelle città e nei paesi vicini a Gaza divenne un incubo. Gli attacchi dei razzi di Hamas, vedete, non soltanto continuarono, ma si moltiplicarono per dieci.
    Anche allora l'ONU tacque. Dopo otto anni di attacchi senza interruzione, Israele fu obbligata a rispondere. Come avremmo dovuto rispondere? Beh, c'è un solo esempio nella storia in cui migliaia di razzi vennero sparati su una popolazione civile. Fu quando i Nazisti lanciarono razzi sulle città inglesi durante la Seconda Guerra Mondiale. In quella guerra gli Alleati rasero al suolo le città tedesche, facendo centinaia di migliaia di morti. Israele decise di comportarsi diversamente. Di fronte a un nemico che commetteva un doppio crimine di guerra perché sparava su una popolazione civile riparandosi dietro a una popolazione civile, Israele tentò di condurre attacchi mirati contro i lanciarazzi.
    Non era un compito facile, perchè i terroristi sparavano dalle case e dalle scuole, usavano le moschee come depositi di armi e trasportavano gli esplosivi sulle ambulanze. Israele, invece, cercò di ridurre al minimo i morti avvisando i civili palestinesi di lasciare le zone di attacco. Abbiamo lanciato innumerevoli volantini sulle loro case, mandato migliaia di SMS, chiamato migliaia di cellulari per chiedere alla popolazione di andarsene. Nessun altro paese si è mai data tanta pena per allontanare dalla zona di pericolo la popolazione civile nemica. Eppure di fronte a un caso tanto chiaro di aggressione, chi ha scelto di condannare il Consiglio per i Diritti Umani dell'ONU? Israele. Una democrazia che si difende legittimamente dal terrorismo è moralmente impiccata e squartata, e per di più dopo un processo ingiusto. In base a questi principi distorti, il Consiglio per i Diritti Umani dell'ONU avrebbe mandato alla sbarra Roosevelt e Churchill come criminali. Che perversione della verità. Che perversione della giustizia. Signori delegati all'ONU, intendete accettare questa farsa? Se lo fate, l'ONU tornerà ai suoi giorni più bui, quando i peggiori violatori dei diritti umani sedevano a giudicare le democrazie rette dalla legge, quando il Sionismo fu considerato razzismo, quando una maggioranza automatica poteva dichiarare che la terra è piatta. Se questa Assemblea non respinge la relazione del Consiglio, manda ai terroristi in tutto il mondo il messaggio che il terrore paga, che se lanci attacchi contro zone densamente popolate la fai franca.
    E condannando Israele questa Assemblea sferrerebbe un colpo mortale alla pace. Ecco perchè. Quando Israele lasciò Gaza, molti sperarono che gli attacchi missilistici sarebbero cessati. Altri pensarono che, se non altro, Israele sarebbe stata legittimata all'auto-difesa. Quale legittimazione? Quale auto-difesa?La stessa ONU che si rallegrò per l'uscita di Israele da Gaza e promise di sostenere il nostro diritto all'autodifesa ora ci accusa - accusa il mio popolo, il mio paese - di crimini di guerra? E per che cosa? Per esserci difesi con senso di responsabilità. Che presa in giro! Israele si è giustamente difesa dal terrorismo. Questa relazione squilibrata e ingiusta è un banco di prova per i governi. Vi schierate con i terroristi o con Israele? Dovete rispondere ora. Ora, non più tardi. Perchè se chiederete ad Israele di assumersi altri rischi per la pace, dobbiamo sapere - oggi - che domani sarete al nostro fianco. Soltanto se sappiamo di aver diritto a difenderci possiamo ancora correre altri rischi per avere la pace. Signore e Signori, tutta Israele vuole la pace. Ogni volta che un leader arabo cercò davvero la pace, noi abbiamo fatto pace. Abbiamo fatto pace con l'Egitto di Anwar Sadat. Abbiamo fatto pace con la Giordania di Re Hussein. E se i Palestinesi vogliono davvero la pace, io e il mio governo e il popolo di Israele faremo pace. Ma vogliamo una pace vera, difendibile, definitiva.
    Nel 1947 questa Assemblea stabilì due stati per due popoli - uno stato ebraico e uno stato arabo. Gli Ebrei accettarono la decisione. Gli Arabi la rifutarono. Chiediamo ai Palestinesi di fare finalmente quello che hanno rifutato per 62 anni: dire sì allo stato ebraico. Proprio come a noi si chiede di riconoscere uno stato nazionale palestinese, ai Palestinesi si deve chiedere di riconoscere lo stato nazionale degli Ebrei. Gli Ebrei non sono conquistatori stranieri in Israele. Questa è la terra dei nostri padri. Sul muro di questo grande edificio è incisa la grande visione biblica della pace: 'Le nazioni non alzeranno la spada sulle nazioni. Non conosceranno più guerra'. Queste parole furono dette dal profeta ebreo Isaia 2800 anni fa nel mio paese, nella mia città, sulle colline della Giudea e per le strade di Gerusalemme. Non siamo stranieri in questa terra. E' la nostra patria. Benchè così strettamente legati a questa terra, noi riconosciamo che ci vivono anche i Palestinesi, che vogliono una casa propria. Vogliamo vivere fianco a fianco con loro, due popoli liberi che vivono in pace, dignità e prosperità. Ma dobbiamo avere sicurezza.
    I Palestinesi avranno tutti i poteri necessari per il pieno autogoverno, eccetto quei pochi poteri che possono essere un pericolo per Israele. Per questo uno stato palestinese deve essere de-militarizzato in modo reale. Non vogliamo un'altra Gaza, un'altra base terroristica iraniana sopra Gerusalemme e sulle colline a pochi chilometri da Tel Aviv.
    Vogliamo la pace. Credo che la pace si possa raggiungere. Ma soltanto se respingiamo le forze del terrore, guidate dall'Iran, che vogliono distruggere la pace, eliminare Israele e scardinare l'ordine mondiale. La scelta per la comunità internazionale è se vuole tener testa a quelle forze, o vuole lasciar loro spazio. Più di 70 anni fa Winston Churchill denunciò la 'riconfermata incapacità dell'umanità ad imparare', la maluagurata abitudine delle società civili a dormire finchè il pericolo quasi le soffoca. Churchill deprecò quella che definì 'mancanza di previsione, indisponibilità ad agire quando è semplice e facile farlo, poca chiarezza di idee, confusione nelle valutazioni, finchè si arriva all'emergenza, finchè l'istinto di auto conservazione non alza la sua voce dissonante'.
    Parlo qui oggi con la speranza che il giudizio di Churchill sulla 'indisponibilità ad imparare dell'umanità' si riveli questa volta errato. Parlo qui oggi con la speranza che impariamo dalla storia - che questa volta riusciamo a prevenire il pericolo. Nello spirito delle parole eterne pronunciate da Giosuè oltre 3000 anni fa, siamo forti e d'animo coraggioso. Affrontiamo il pericolo, assicuriamo il nostro futuro e, col volere di Dio, costruiamo una pace che duri nelle generazioni future.

(Informazione Corretta, 25 settembre 2009 - trad. Laura Camis de Fonseca)





6. LIBRI




Saul Friedländer, Gli anni dello sterminio, Garzanti, 2009.

Dalla copertina:

Gli anni dello sterminio porta a termine uno dei maggiori sforzi compiuti da uno storico contemporaneo per ricostruire e comprendere l'evento chiave del Novecento: la persecuzione e lo sterminio di milioni di ebrei nell'Europa occupata dai nazisti.
Per realizzare il loro piano, i tedeschi avevano bisogno della collaborazione delle autorità locali e dei vari corpi di polizia e della passività delle popolazioni, a cominciare dalle élite politiche e spirituali. Ma era necessaria anche la disponibilità a obbedire agli ordini da parte delle vittime, che così speravano spesso di veder alleviate le loro sofferenze o di sopravvivere abbastanza a lungo da ottenere un visto per sfuggire agli aguzzini.
Saul Friedländer studia la macchina nazista ai suoi diversi livelli e nei diversi paesi: ci permette finalmente di capire la scala, la complessità e l'interdipendenza dei vari fattori che resero possibile lo sterminio. Il materiale esaminato è enorme: non solo documenti ufficiali, ma anche diari, lettere e memorialistica. Questa poderosa sintesi non addomestica la memoria dell'orrore, ma ci restituisce una terribile pagina di storia in tutte le sue sfaccettature, erigendo un autentico monumento alle sue vittime. L'opera di Friedländer - lo sforzo dell'intera vita di un grande studioso - rappresenta una svolta nella storiografia del Novecento: grazie a lui disponiamo finalmente della ricostruzione definitiva dell'Olocausto.

Alcuni estratti dal libro:

L'esile voce del dodicenne Dawid Rubinowicz, il più giovane dei diaristi, non aveva nulla del senso di urgenza ampiamente condiviso, né i suoi appunti mirano a un resoconto sistematico dei fatti. Eppure nelle loro annotazioni semplici, misurate e dirette, i cinque quaderni di Rubinowicz rivelano un'insolita sfaccettatura di vita ebraica nel Governatorato generale tra il marzo del 1940 e il giugno del 1942, quello di una famiglia semicontadina di cinque persone (Dawid aveva un fratello e una sorella) che viveva a Krajno, un villaggio nei pressi di Bodzentyn, nel distretto di Kielce. Il padre aveva comprato un pezzo di terra, poi un caseificio. Quando il ragazzo cominciò a scrivere, i Rubinowicz possedevano ancora una mucca (non risulta chiaro, dal testo, se ne possedessero addirittura più di una). La prima annotazione di Dawid, il 21 marzo 1940, menzionava un nuovo decreto: «La mattina di buon'ora ho attraversato il villaggio in cui viviamo. In lontananza ho visto un avviso sul muro del negozio. Sono andato in fretta a leggerlo. Il nuovo avviso diceva che gli ebrei non possono in nessun caso viaggiare su veicoli» (l'uso della ferrovia era stato proibito già da tempo). Fu quindi a piedi che, il 4 aprile, il ragazzo si recò a Kielce: «Oggi mi sono alzato di buon'ora perché dovevo andare a Kielce. Sono partito dopo colazione. È stato triste seguire i sentieri nei campi tutto da solo. Dopo quattro ore ero a Kielce. Quando sono entrato nella casa dello zio li ho visti tutti seduti così tristi e ho saputo che ebrei stavano venendo deportati da varie vie [in un ghetto] e mi sono intristito anch'io. La sera sono uscito in strada per prendere qualcosa».
    Nella sua maniera concreta Dawid annotò i piccoli avvenimenti della sua vita quotidiana e altri accadimenti di cui può avere compreso o meno il significato. Il 5 agosto 1940 scrisse: «Ieri il funzionario governativo locale è venuto dal sindaco del nostro villaggio per dire che tutti gli ebrei con famiglia devono andare a registrarsi presso gli uffici distrettuali rurali. Alle 7 del mattino ci trovavamo già negli uffici del villaggio. Siamo rimasti là per diverse ore perché gli adulti stavano eleggendo il Consiglio di anziani ebrei. Poi siamo tornati a casa». Il 1o settembre, il primo anniversario dello scoppio della guerra, Dawid rimuginò sulla sofferenza e la diffusa disoccupazione: «Prendiamo noi. Un tempo avevamo un caseificio e ora siamo totalmente disoccupati. Rimangono solo pochissime scorte, da prima della guerra; le stiamo ancora usando ma stanno per esaurirsi, e a quel punto non sappiamo cosa faremo». (pp.146-147)

«Ovunque si guardi c'è sudiciume, e gli stessi ebrei sono pieni di sudiciume», riferì alla sua famiglia, il 17 novembre 1940, il soldato semplice della Wehrmacht E., stanziato in un punto imprecisato della ex Polonia. «È davvero comico: gli ebrei ci salutano tutti benché noi non rispondiamo né siamo autorizzati a farlo. Si tolgono il cappello e con un ampio gesto lo abbassano fino a terra. In realtà, il saluto non è obbligatorio ma è un residuo dei tempi delle SS; è così che hanno addestrato gli ebrei. Quando si guardano queste persone si ha l'impressione che non abbiano davvero alcuna giustificazione per vivere sulla terra di Dio. Bisogna averlo visto con i propri occhi, altrimenti non ci si può credere.»
    Nell'agosto 1940 il caporale WW. era stato stanziato vicino alla linea di demarcazione con l'Unione Sovietica; anche lui aveva qualcosa sugli ebrei da scrivere a casa: «Qui in questa cittadina (Siedlce) ci sono 40.000 abitanti, di cui 30.000 ebrei. Metà delle case sono state distrutte dai russi. Gli ebrei giacciono per le strade come maiali, come si addice a un "popolo eletto" [...]. Ovunque serviamo la nostra madrepatria, la Grande Germania, siamo orgogliosi di poter aiutare il Führer. Solo fra molte generazioni la grandezza di questa epoca sarà riconosciuta. Ma vogliamo tutti poterci ergere dinnanzi alla Storia, pieni di orgoglio, sicuri di avere anche fatto il nostro dovere».
    Nel marzo del 1941 il caporale L.B. sintetizzò la situazione della popolazione ebrea nella sua area della Polonia: «Qui si ha a che fare con gli ebrei e [dovreste vedere] come le SS si prendono cura di questi porci [...]. Vorrebbero togliersi la fascia dal braccio, per non essere riconosciuti come ebrei. Ma poi ricevono un gran bel memento dalle SS e si fanno davvero piccini, questi ebrei-maiali». (pp.147-148)

Il ruolo delle chiese cristiane fu naturalmente decisivo per la permanenza e la diffusione di convinzioni e atteggiamenti antiebraici in Germania e in tutto il mondo occidentale. In Germania circa il 95 per cento dei Volksgenossen rimasero praticanti, negli anni Trenta e Quaranta. Benché l'élite del partito fosse generalmente ostile alle credenze cristiane e avversa ad attività (politiche) organizzate della chiesa, l'antigiudaismo religioso rimaneva un utile sfondo per la propaganda e le misure antisemite naziste.
    Tra i protestanti tedeschi, che generalmente condividevano la forte angolazione antiebraica del luteranesimo, i «cristiani tedeschi», che miravano a una sintesi tra il nazismo e il loro filone di «cristianesimo ariano (o germanico)», ottennero due terzi dei voti nelle elezioni ecclesiastiche del 1932. Nell'autunno del 1933 il loro predominio fu sfidato dalla fondazione e dallo sviluppo della «chiesa confessante», palesemente di opposizione. Eppure, sebbene quest'ultima rifiutasse l'antisemitismo razziale dei cristiani tedeschi e lottasse per mantenere l'Antico Testamento (che però presentava spesso come una fonte di precetti antiebraici), non era essente dalla tradizionale ostilità antiebraica. [...]
    L'onnipresenza dell' antisemitismo nella maggior parte della chiesa evangelica luterana trovò un'illustrazione eloquente nella cosiddetta «dichiarazione di Godesberg» che, volta a creare una base comune per i cristiani tedeschi e la maggioranza «neutrale» della chiesa evangelica, fu pubblicata ufficialmente il 4 aprile 1939 e accolta con diffuso sostegno dalla maggior parte delle chiese regionali (Landeskirchen) nel Reich. Il terzo dei cinque punti ivi contenuti affermava: «La visione del mondo nazionalsocialista ha lottato inesorabilmente contro l'influenza politica e spirituale della razza ebraica. sulla nostra vita nazionale [völkisch]. In totale obbedienza alle divine regole della creazione, la chiesa evangelica afferma la propria responsabilità relativamente alla purezza del nostro popolo [Volkstum]. Sopra e al di sopra di ciò, nel regno della fede non esiste opposizione più netta di quella esistente tra il messaggio di Gesù Cristo e quello della religione ebraica di leggi e aspettative messianiche».
Nel maggio del 1939 la chiesa confessante divulgò una risposta, esempio eloquente delle sue ambiguità: «Nel regno della fede esiste un netto contrasto tra il messaggio di Gesù Cristo e i suoi apostoli e la religione ebraica di legalismo e speranza politica messianica, già enfaticamente criticata nell' Antico Testamento. Nel regno della vita [völkisch] la tutela della purezza del nostro popolo richiede una politica razziale solerte e responsabile».
    La dichiarazione di Godesberg fu seguita nel maggio di quell'anno dalla fondazione dell'Istituto per lo studio e l'eliminazione dell'influenza ebraica sulla vita ecclesiastica tedesca (lnstitut zur Erforschung und Beseitigung des jüdischen Einflusses auf das deutsche kirchliche Leben) e la nomina a suo direttore scientifico del docente di Nuovo Testamento e teologia völkisch all'Università di Jena, Walter Grundmann. Entrarono a farne parte in parecchi, teologi e altri studiosi, e già durante il primo anno di guerra l'istituto pubblicò un Nuovo Testamento de-giudeizzato, Die Botschaft Gottes (250.000 copie vendute), una raccolta di inni de-giudeizzata e, nel 1941, un catechismo de-giudeizzato. (pp. 86-88)

Dichiarando formalmente guerra agli Stati Uniti [1941], in accordo con il Patto tripartito, il Führer aveva chiuso la cerchia dei suoi nemici in una guerra mondiale di furia ancora ignota.
    Il giorno seguente, 12 dicembre, [Hitler] si rivolse ai Reichsleiter e ai Gauleiter in un discorso segreto riassunto da Goebbels: «Quanto alla questione ebraica, il Führer è deciso a fare piazza pulita [reinen Tisch zu machen]. Profetizzò agli ebrei che, se avessero provocato ancora una volta una guerra mondiale, sarebbero stati annientati. Non erano semplici parole. La guerra mondiale è qui, lo sterminio degli ebrei deve essere la necessaria conseguenza. Questa faccenda deve essere prevista senza alcun sentimentalismo. Non ci troviamo qui per avere compassione degli ebrei ma per avere compassione del nostro popolo tedesco. Visto che il popolo tedesco ha ancora una volta sacrificato circa 160.000 caduti nella campagna orientale, i responsabili di questo sanguinoso conflitto dovranno pagarne il fio con le loro vite».
    Poi, stando a un'annotazione sull'agenda di Himmler datata 18 dicembre, in un incontro nello stesso giorno il leader nazista gli fornì la seguente indicazione: «Questione degli ebrei / sterminarli in quanto partigiani». La lineetta verticale non è ancora stata spiegata. L'identificazione degli ebrei come «partigiani» non si riferiva ovviamente agli ebrei su territorio sovietico che venivano massacrati già da sei mesi bensì al letale nemico interno, il nemico che lottava entro i confini del suo territorio, che mediante complotto e tradimento era in grado, come già nel 1917-1918, di pugnalare il Reich alla schiena, ora che una nuova «guerra mondiale», su tutti i fronti, ravvivava tutti i pericoli della precedente. Inoltre, la definizione di «partigiani» si associava forse alla connotazione più generica usata da Hitler nella sua dichiarazione durante la conferenza del 16 luglio 1941: tutti i potenziali nemici alla portata della Germania; era intesa, come abbiamo visto, a includere qualsiasi civile e intere comunità, a proprio piacimento. Quindi l'ordine era chiaro: lo sterminio senza limitazione alcuna si applicava qui agli ebrei. (p. 340)





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