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Notizie su Israele 497 - 29 dicembre 2010

1. Documenti inediti sulla seconda guerra mondiale
2. L'ebraismo: non si conosce, ma incuriosisce
3. Un mondo a parte all'interno di Israele?
4. Il contrasto fra laici e ortodossi si acuisce
5. Gesù nella moderna cultura ebraica
6. Una domanda decisiva
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Isaia 59:8-9. La via della pace non la conoscono, non c'è equità nel loro procedere; si fanno dei sentieri tortuosi, chiunque vi cammina non conosce la pace. Perciò la rettitudine è lontana da noi, e non arriva fino a noi la giustizia; noi aspettiamo la luce, ma ecco le tenebre; aspettiamo il chiarore del giorno, ma camminiamo nel buio.
1. DOCUMENTI INEDITI SULLA SECONDA GUERRA MONDIALE




Quegli ebrei più furbi della «volpe» Rommel

di Giancarlo Meloni

Alcuni documenti inediti degli archivi tedeschi svelano come un gruppo di miliziani sionisti fece saltare l'«intelligence» del feldmaresciallo.

Erwin Rommel
Per il lettore che vive nel Terzo Millennio non è semplice tornare sui fatti della seconda Guerra mondiale. Eppure a volte emergono dei momenti, degli snodi epocali, in cui si avverte il bisogno di riesaminare, pur con estrema cautela, quel piacevole ma ambiguo chiacchiericcio che sempre accompagna il corso della Storia. Anche se costa qualche fatica ammettere, per esempio, che i valzer e le mazurche dei panzer di Rommel nel deserto libico-egiziano, '41-42, non erano solo la spettacolare musica suonata da un «artista» della guerra moderna, ma anche e soprattutto il risultato di un efficientissimo sistema di radiospionaggio che il generale tedesco aveva organizzato dal Cairo a Gerusalemme: occhi e orecchi segreti che immancabilmente gli consentivano di conoscere e prevedere ogni mossa del nemico, l'8a Armata britannica.
    Diceva il più grande stratega degli ultimi secoli, Napoleone, che non aveva bisogno di generali bravi; gli bastava che fossero fortunati. Rommel fu uno di quei generali bravi, forse anche troppo, che a un certo punto si trovò a dover fare i conti con la sfortuna, e inevitabilmente perse la partita. Sfortuna materializzata in un pugno di uomini e donne ebrei combattenti dell'Haganah e del Palmach, all'epoca i gruppi armati del Movimento sionista in Palestina, che con una fulminea operazione di intelligence e sabotaggio neutralizzarono le centrali di ascolto dell'Afrika Korps - il Raggruppamento motocorazzato della Wehrmacht sbarcato in Libia nel novembre 1941 allo scopo di aiutare la 1a Armata italiana in difficoltà - per convertirle in centrali di disinformazione grazie all'aiuto di marconisti tedeschi catturati e costretti, con la tortura, a trasmettere false informazioni militari ai loro Comandi.
    Documenti inediti recentemente scoperti nel ministero degli Esteri della Germania e negli Archivi Militari di Friburgo da due studiosi, Klaus Mallmann dell'Università di Stoccarda e Martin Cüppers dell'Università di Ludwisburg, indicano che tra gli eventi che portarono alla sconfitta dell'Afrika Corps a El Alamein ebbe un'importanza fondamentale proprio la cattura, da parte di un gruppo di miliziani sionisti, dei sei uomini di un'unità speciale SS, l'Einsatz Kommando Egypt, inviata nelle retrovie britanniche per facilitare l'avanzata di Rommel e organizzare lo sterminio degli ebrei di Palestina con l'aiuto degli arabi. Anche Massimo Lomonaco, nel libro La caccia di Salomon Klein (Mursia) utilizza gli stessi documenti per raccontare questa singolare vicenda bellica.
    In quei drammatici mesi dei primi anni Quaranta, l'Egitto, e Il Cairo in particolare, somigliavano in qualche modo alla Casablanca di Ingrid Bergman e Humphrey Bogart, dove dai muri delle ambasciate e dei consolati, se avessero potuto parlare, Dio solo sa quali fosche storie di intrighi, agguati e sanguinosi crimini sarebbero mai uscite. La città, capitale del regno di Faruk sotto controllo britannico, era sede del ministro inglese per il Medio Oriente, Walter Guinnes, e dell'alto Commissario per la Palestina, Harold Mc Michael. In gran segreto vi si riunivano David Ben Gurion, presidente mondiale dell'Associazione Ebraica; Begin, leader dell'Irgun zwai leumi, la più antica organizzazione politico-militare sionista; Yitzak Sadeh, l'ex ufficiale dell'Armata Rossa comandante del Palmach; Weizmann e Alterman, capi dell'Haganah. Il Gran Muftì di Gerusalemme Amin al Husseini che, filonazista, risiedeva a Berlino, disponeva al Cairo di un'importante base operativa dei «Fratelli Musulmani» per sostenere la Guerra Santa contro gli ebrei, mentre vi erano di guarnigione Gamal Nasser e Anwar el Sadat, i fondatori del «Movimento dei Giovani Ufficiali» egiziani, entrambi arrestati dagli inglesi perché filotedeschi. Lo stesso Churchill talvolta si incontrava con gli alti ufficiali del Quartier generale britannico in Medio Oriente in un salone dell'albergo «Majesty».
    Il generale Bernard Montgomery vi mise piede la prima volta il 16 agosto 1942, convocato da Churchill per sostituire nel comando dell'8a Armata Claude Auchinleck. Militare della migliore tradizione, quasi ascetico e religiosissimo, Montgomery non beve, non fuma, non frequenta giovani donne disponibili. Prudente e pianificatore di ogni mossa nei minimi dettagli, intuisce che per vincere bisogna dimostrare ai soldati che Rommel non è imbattibile. Il Fingerspitzgefuhl (sesto senso) dello stratega nemico non è infatti altro che un ingegnoso, efficientissimo servizio di radiointercettazioni e radioinformazioni che puntualmente gli arrivano dalla Compagnia Trasmissioni «Horch» del capitano Seebohm, in gran parte dislocata nei pressi di El Alamein, e dagli addetti alla cellula spionistica «Missione Condor», sistemata in una chiatta ancorata sul Nilo.
    «Condor» viene scoperta e neutralizzata il 10 agosto '42 grazie a una «soffiata» della danzatrice del ventre amante di uno degli agenti tedeschi incaricati della complessa operazione di intelligence. I due uomini, sorpresi e catturati dall'Haganah, non hanno il tempo per distruggere il loro segreto sistema di cifratura e decifratura dei messaggi, il Codice Nero, che da quel momento viene utilizzato dagli inglesi per depistare Rommel. «Condor» diventa così il tallone d'Achille del feldmaresciallo perché gli specialisti in radiotrasmissioni dell'8a Armata, a sua insaputa, continuano a utilizzarlo per informarlo di ciò che Montgomery vuole fargli sapere.
Proprio questo imprevisto, decisivo rovesciamento delle posizioni ha intrigato gli storici, fino a ieri all'oscuro della realtà di alcuni fatti e dell'importanza determinante per le sorti del conflitto di quell'eccezionale intervento dei commando ebraici. Basti pensare che, in quei giorni, una sconfitta di Rommel, più che sorprendente e inspiegabile sembrava assurda. Convinzione che diviene uno dei principali catalizzatori della resistenza sionista, per di più messa in allarme dalla notizia che uno «Junker» tedesco ha sbarcato a poca distanza dall'Oasi di Baharya, in pieno territorio egiziano, l'Einsatz Kommando Egypt, un gruppo di sei agenti nazisti guidati dal colonnello SS Walter Rauff con l'obiettivo di facilitare l'avanzata dell'Afrika Korps e di organizzare assieme agli arabi lo sterminio di tutti gli israeliti di Palestina.
    E proprio per catturare e eliminare gli uomini dell'Einsatz Kommando e per localizzare e distruggere i principali supporti di informazione dislocati dai tedeschi in Egitto e Africa settentrionale, decine e decine di militanti dell'Haganah diventano spazzini e venditori ambulanti, commessi, baristi, fiorai e giornalai, camerieri, idraulici e nullafacenti, tutti mobilitati per controllare palmo a palmo città e villaggi. Intanto «Ultra», prodigiosa macchina per decrittare i messaggi in codice, la vera arma segreta inglese che riesce a intercettare e leggere in chiaro i segnali del pur avveniristico «Enigma», il sistema di radiotrasmissione nemico, il 24 settembre capta e traduce il dispaccio con cui Rommel informa l'Alto Comando Wehrmacht del suo immediato rimpatrio per curarsi una grave forma di epatite. Tutto lo sforzo dello Stato maggiore germanico per nascondere l'imbarazzante incidente risulta così inutile. Montgomery ora conosce perfettamente la difficile situazione in cui si trova l'Afrika Korps, compreso il nome del temporaneo sostituto del comandante, il mediocre generale Stumme. Tutto l'esercito italo-tedesco in Libia e Egitto è ormai alla mercé degli inglesi.

(il Giornale, 12 dicembre 2010)





2. L'EBRAISMO: NON SI CONOSCE, MA INCURIOSISCE




Google, lo Zeitgeist e i pregiudizi

di Ugo Volli

La rete è una straordinaria miniera di notizie, anche perché di ogni azione che vi si compie resta traccia da qualche parte. Ogni anno, in questo periodo, Google - che come molti sanno è il principale "motore di ricerca" del web - rende pubbliche le chiavi di ricerche più popolari che gli sono state sottoposte durante i dodici mesi precedenti, e anche quelle che sono cresciute o diminuite di più. In maniera ironicamente corretta questa indagine viene chiamata "Zeitgeist", cioè "spirito del tempo": il termine coniato da Herder per indicare il modo in cui si manifesta in un certo momento storico lo "spirito oggettivo" di hegeliana memoria.
    In realtà quello che testimonia la ricerca di Google mode, più o meno velocemente contagiose, più o meno permanenti, negli interessi e nelle curiosità del pubblico. Mi è stato fatto notare che nella ricerca riguardante l'Italia, nella categoria delle "Ricerche associate alla parola "significato" di crescente popolarità" cioè quando le persone usano la rete come dizionario, nei dieci termini più ricercati, accanto a "bunga bunga", "waka waka", "probiviri", "bischero" e "sarcasmo" compaiono due termini che ci riguardano: al secondo posto "kippà" e al decimo "Shoà". Controllando per gli altri paesi, non ho trovato domande analoghe, e il Medio Oriente e la difficile partita che vi si gioca non sembra appassionare affatto il pubblico della rete, che appare piuttosto interessato a Lady Gaga e alla "chatroulette" (il termine la cui popolarità cresce di più in Italia e in tutto il mondo, corrispondente a un sito che mette in contatto e fa chiacchierare gente che non si conosce).
    Resta il fatto che i significati di kippà e Shoà incuriosiscono gli italiani. La cosa dovrebbe indurci a qualche riflessione: evidentemente una buona parte della popolazione anche più evoluta, quella che possiede un computer, ha un collegamento internet e li usa per ottenere informazioni, dell'ebraismo non sa nulla, né dei suoi costumi rituali e tradizionali ("kippà"), né della sua storia ("Shoà"). Qualunque ebreo consapevole si sia trovato a discutere di politica e religione avrà notato un'analoga distanza. Io ricordo una simpatica cena in cui illustri intellettuali mi dissero con convinzione che lo stato di Israele era una teocrazia... perché non aveva una costituzione. Vi è naturalmente anche il rovescio della medaglia, cioè che l'ebraismo incuriosisce, suggerisce alla gente di informarsi e di capire.
    Non si tratta solo di un problema ebraico. Tullio De Mauro ha mostrato, in una serie di fondamentali ricerche, che in generale il lessico dei giornali, della politica e della burocrazia è incomprensibile a buona parte della popolazione italiana. Ma per l'ebraismo il caso è più grave, perché la difficoltà linguistica si sovrappone a un pregiudizio millenario. Credo che questi risultati dovrebbero farci meditare. Molti di noi per esempio tendono a considerare con distacco e perfino fastidio circostanze "rituali" e "formali" come le giornate della cultura ebraica e della memoria, o i viaggi ad Auschwitz; molti non capiscono la funzione dei musei ebraici, che, come quello di Casale, ricostruiscono in piccoli ambienti un seder, una sukkà o perfino un pasto sabbatico. Lo Zeitgeist di Google ci conferma che queste cose sono ignote ai più, probabilmente sospette ai più per i nomi stranieri, filtrate certamente da antichi pregiudizi teologici e razziali e da nuovi stereotipi diffusi dai media. Quanti sanno le cose basilari sullo stato di Israele, quando è stato fondato, che cosa c'era prima, le guerre che ha subito, la sua struttura geografica e politica? Quanti conoscono il numero esiguo degli ebrei italiani? Quanti conoscono la differenza fra ebreo e israeliano? La lezione è che non bisogna stancarsi di spiegare, di mostrare, di discutere, di contrastare i pregiudizi; che non bisogna dare per scontato quel che ci appare più che banale dell'ebraismo, che non bisogna aver paura di ripeterci e di aprirci, perché ce n'è un grande, urgente bisogno.

(Notiziario Ucei, 12 dicembre 2010)





3. UN MONDO A PARTE ALL'INTERNO DI ISRAELE?




La disinvolta comunità che ama il maiale
e sconvolge il crogiolo israeliano

Medio oriente, i russi sono una forte presenza. Conservano le loro abitudini, anche alimentari, e la loro lingua. E' un mondo a parte

di Dan Rabà

I russi in Israele non sono più "russi": come si sa, la disgregazione dell'Unione sovietica ha fatto riemergere i nazionalismi interni, che si sono via via consolidati: sono ucraini, moldavi, caucasici... parlano lingue diverse e hanno recuperato le loro originarie identità nazionali. E il nuovo caleidoscopio etnico si rispecchia fedelmente nella cospicua presenza di immigrati provenienti dall'ex-Urss in Israele. Si tratta di un milione e mezzo, poco più degli arabi israeliani (palestinesi), diversi dei quali, peraltro, solo sulla carta sono davvero ebrei.
    Nelle città, così come gli arabi hanno formato quartieri omogenei con scritte quasi esclusivamente in arabo, i "russi" hanno quartieri abitati principalmente da loro. Come gli arabi, amano molto i mercatini e sono sempre lì a mercanteggiare: tirano sul prezzo, contrattano, discutono! I "russi" d'Israele non sono particolarmente credenti: anzi, con la fine del comunismo sono sì riemerse le religioni osteggiate dal regime, ma la maggioranza della popolazione è rimasta atea, senza un buon Dio, e questo è vero anche nella comunità russa mediorientale.
    Per dire, a differenza degli israeliani ebrei praticanti e degli arabi, i russi consumano carne di maiale. Nei loro negozi trovi normalmente prosciutto, salame, nodini e costolette, etc. E, non osservando le regole kosher (che notoriamente mette al bando la carne suina) non pagano le "tasse" ai rabbini per avere il permesso di vendere, e così tutto costa meno che nei negozi degli ebrei, compresi i formaggi, le acciughe, il pollo o il tacchino, alimenti invece contemplati nella dieta kosher. Il problema però è trovarle, queste cose. Già, perché nei loro negozi, tutto è scritto in russo. E un povero israeliano che non conosce la lingua, non ci capisce niente: dov'è il prosciutto? E il salame? Quanto costa? E poi i salumi capita che siano messi insieme ai formaggi, cose che a dir poco disorientano i clienti israeliani ebrei, i quali non mescolano mai carne e latte (e derivati). Anche le scatole, le conserve, la birra e la vodka: tutto ha etichette scritte in russo.
    I pochi italiani che entrano nei negozi russi si arrangiano a gesti: per favore mi dia quel salame, quel prosciutto, quella mortadella (sì, hanno anche la mortadella!).
In queste botteghe è sempre possibile assaggiare i salumi e c'è sempre chi, con la scusa, mangia a quattro palmenti.
    Ma le commesse sorridono lo stesso.
    Sorridono spesso, le donne russe. Sono belle , educate, gentili, non ti urlano dietro e sono ben curate e truccate; persone normali, insomma, ma più avvenenti. Guardandole, ho spesso l'impressione che non vivano la sensualità e il desiderio come un peccato mortale: al banco sanno anche giocare con la loro femminilità. Per molti "locali" le russe sono tutte "sgualdrine", il che, ovviamente, non è vero: sono semplicemente consapevoli di essere donne. Il femminismo, se c'era, ha lasciato in eredità a queste donne il fatto di essere sensuali e seducenti.
Il senso comune locale (in particolar modo degli ebrei) sostiene che i russi fanno di più all'amore dei religiosi ebrei o degli arabi ma poi rimangono comunque con un figlio solo: questo porta chiaramente a più ampie divergenze sul significato del rapporto uomo/donna e, più in generale, sul concetto di famiglia.
    La frequenza di molti figli unici nelle famiglie russe distingue marcatamente questa comunità dagli arabi e dagli ebrei israeliani, che hanno di solito proli numerose.
Nessuno di loro, in bottega, ti guarda male se chiedi solo cento grammi di salame o due bistecche di maiale; nei supermercati israeliani, invece, una persona che compra "poco" (che so, un paio d'etti di prosciutto o di petto di tacchino) viene guardato in tralice.
    In Israele i russi e gli arabi sono rispettivamente un milione e mezzo (tre milioni in totale), gli ebrei "veri" solo quattro milioni e mezzo. Il problema demografico è sempre al centro del dibattito politico. Ci sono poi russi che si sposano con gli arabi, il che



rende il mondo israeliano ancora più variegato e complesso, ma forse questo è anche il suo punto di forza: etnie diverse che si "scontrano" giornalmente ma che contribuiscono altresì a una crescita culturale interna al paese basata proprio sulla diversità dei suoi abitanti. Per vivere integrati al cento per cento in Israele bisogna sapere l'ebraico, l'inglese ma anche il russo e l'arabo; ci vuole una bella cultura emancipata e anti razzista... che però, per ora, non c'è. O forse non viene sufficientemente valorizzata e promossa per interni giochi di potere cui i cittadini non vengono chiamati a partecipare attivamente, e così tutti litigano come in una Torre di Babele.
    E pensare che è proprio da Babele - un posto in Mesopotamia, nell'attuale Iraq - che arrivano gli ebrei "originali". Il povero Abramo, per esempio, che dovette lasciare la casa del padre perché ruppe gli idoli che il padre scolpiva. Abramo credeva in un Dio solo e venne dalla Mesopotamia nella terra che gli indicò il Buon Dio!

(Europa, 22 dicembre 2010)





4. IL CONTRASTO FRA LAICI E ORTODOSSI SI ACUTIZZA




Il seguente articolo è la traduzione, fatta dal sito medarabnews, di un articolo comparso recentemente sul quotidiano israeliano Haaretz.

Israele deve separare la religione dalla politica

Il mix di religione e politica in Israele ha creato un ciclo infinito di odio e depravazione morale; l'istituzione religiosa corrompe il tessuto dello Stato, mentre lo Stato corrompe il tessuto della religione - sostiene l'ebreo ultraortodosso Dov Halbertal.

di Dov Halbertal *

In qualità di ebreo ultraortodosso, mi appresto a scrivere alcune affermazioni molto forti. Non posso tuttavia fare a meno di scriverle, dopo aver raggiunto la conclusione che sia giunto il momento di un cambiamento radicale.
    Purtroppo, devo concentrarmi sul lato negativo piuttosto che su quello positivo. Proprio come l'occupazione corrompe - come anche i suoi sostenitori ammetteranno - allo stesso modo la politica corrompe la religione. Il mix di politica e religione in questo paese ha creato un ciclo infinito di depravazione morale e di odio fraterno. L'istituzione religiosa corrompe il tessuto dello Stato, mentre lo Stato corrompe il tessuto della religione.
    L'unica soluzione possibile, per il bene della religione e per il bene dello Stato, è quella di adottare il primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti e separare Stato e Chiesa.
    Ritengo che nessuno debba pagare per le mie convinzioni. Non è etico che l'opinione pubblica laica finanzi gli studenti delle yeshivot (scuole ebraiche (N.d.T.) e l'alto tasso di natalità tra gli ebrei ultraortodossi. Non c'è niente di più irritante per gli israeliani laici che ricevere uno sputo in faccia dopo aver dato agli ultraortodossi generose somme di denaro. Gli ultraortodossi si oppongono ai valori di una società laica - il sionismo, la creatività, l'arruolamento nell'esercito, l'uguaglianza tra i sessi e altro ancora. Tuttavia, essi non esitano a chiedere e ricevere denaro da questa società, intensificando così l'animosità dell'opinione pubblica nei loro confronti.
    Cerchiamo di essere onesti con noi stessi. Non c'è nessuna ragione per cui l'opinione pubblica laica debba finanziare coloro che mostrano disprezzo per i suoi valori. La soluzione che propongo andrà a beneficio della religione ancor più che dello Stato. Non voglio far parte di una società che usa la coercizione. Non voglio far parte di una società in cui vi è istigazione al razzismo, e non voglio far parte di una società religiosa ingrata.
    I processi di pensiero distorti non fanno parte della halakha (la legge religiosa ebraica (N.d.T.). Essi traggono origine dalle interpretazioni distorte che derivano principalmente da ripugnanti connessioni instauratesi tra la politica, le istituzioni e la religione. Gli ebrei americani non avrebbero osato bloccare le strade e colpire i poliziotti perché è stato aperto un centro commerciale durante lo Shabbat. Negli Stati Uniti, i rabbini non si sognerebbero mai di emanare un manifesto che vieta agli ebrei di affittare appartamenti ai gentili.
    È giunto il momento di dire "basta": basta con i partiti religiosi; basta con la loro vergognosa preoccupazione auto-centrata per i bilanci, mentre essi ignorano il resto del paese e del mondo; basta con la corruzione morale ed estetica della religione; basta far ingoiare a forza leggi a un'opinione pubblica che non crede in esse.
    Parafrasando Martin Luther King Jr., anch'io ho un sogno: sogno che la politica sia separata dalla religione; io ho un sogno: che un bambino laico possa studiare le fonti ebraiche per amore e non per paura dei risultati riflessi nella vetrina dell'istituzione religiosa; Io ho un sogno: di appartenere ad una società religiosa haredi (ultraortodossa (N.d.T.) ) moderata, con ampi orizzonti, il cui slogan è "vivi e lascia vivere".
    A volte sembra che gli haredim siano motivati da un senso di vittimizzazione. Questo è ciò che definisce loro e il loro diritto ad esistere, come se in cima all'agenda del presidente Barack Obama e della Corte Suprema ci fosse la questione di come eliminare il giudaismo religioso. C'è da meravigliarsi che l'antisemitismo e l'odio per gli ebrei stiano prosperando? Che cosa dovremmo noi stessi pensare di una setta religiosa sprezzante, concentrata su se stessa, che si considera un faro per gli altri, ma semina polemiche e isolamento?
    Ad ogni essere umano, ebreo o gentile, deve essere consentito vivere secondo le sue convinzioni, con pari diritti, sulla base di un riconoscimento effettivo dei diritti umani concessi a tutti coloro che sono stati creati a immagine di Dio. Una cosa è chiara: non esiste una combinazione peggiore del mix di religione e politica.


* Dov Halbertal insegna Diritto ebraico; è stato direttore dell'ufficio del rabbino capo d'Israele

(medarabnews, 27 dicembre 2010)





5. GESÙ NELLA MODERNA CULTURA EBRAICA




Rabbi Gesù secondo Shlomo Riskin

di Zwi Sadan

Shlomo Riskin
Shlomo Riskin non è il primo rabbino che chiama Gesù "Rabbi Gesù ". Ma sembra che ogni volta che un rabbino dice qualcosa di positivo su Gesù, si debba scatenare uno scandalo nel mondo ebraico. Riskin (70 anni) è nato a Brooklyn, New York, ed è emigrato in Israele nel 1983. E' rabbino capo della città di Efrat.
    Ebreo ortodosso-moderno, Riskin è noto in Israele per le sue idee liberali. Tra gli ebrei laici gode di grande simpatia. Tra le altre cose Riskin è il fondatore di "Or Torah Stone - Centro per la comprensione e cooperazione ebraico-cristiana". Sugli stretti legami tra ebrei e cristiani, Riskin ha fatto la seguente dichiarazione: "Io sono un rabbino ortodosso molto interessato alla religione in generale, al cristianesimo, e in particolare alla persona di Gesù. Sono davvero affascinato dalla personalità di Gesù, che indico sempre come Rabbi Gesù perché penso che sia stato in molte cose un vero Rabbi esemplare che ha vissuto in Israele come un Rabbi ebreo in un periodo molto critico della nostra storia. Studio sempre la sua personalità e i suoi insegnamenti, che si basano fortemente su insegnamenti talmudici. Sono giunto alla conclusione che ebrei e cristiani sono la radice e il ramo, perché Gesù è venuto dagli insegnamenti ebraici e dalla società ebraica. Gesù ha mostrato a tutto il mondo molte verità fondamentali della Bibbia."
    Quello che Riskin ha detto si trova in rete in un clip di YouTube del 28.12.2009. La dichiarazione ha scatenato un'ondata di indignazione. Siti religiosi e giornali si sono affrettati a condannare il rabbino liberale. Il titolo del "Yeshiva World News" del giorno stesso diceva: "Video shock: Rabbi Riskin, rabbino capo di Efrat, loda 'J' e lo chiama Rabbi". Altre voci erano ancora più arrabbiate, specialmente in Israele. "Tsofar", un sito internet religioso, ha accusato Riskin di essere un "propagandista per il cristianesimo".
    Tre giorni dopo, in un tentativo di riparare i danni, Riskin ha pubblicato una dichiarazione, sempre su YouTube. In questo video dice che la clip precedente era stata pubblicata in modo fuorviante e sbagliato. "Noi ebrei non potremo mai riconoscere Gesù come Messia e Figlio di Dio. Chi fa questo non è un ebreo, e perde tutti i suoi privilegi ebraici." Al sito "Kipa" Riskin ha detto: "Non ho mai elogiato il carattere o la personalità della persona nel cui nome sono stati massacrati degli ebrei nel corso della storia." Il ritiro dei remi in barca di Riskin mostra quanto devono essere prudenti gli ebrei, particolarmente i rabbini, a dire qualcosa di buono su Gesù.
    
(israel heute, dicembre 2010 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


COMMENTO - Nell'articolo che segue.





6. UNA DOMANDA DECISIVA




E tu, chi dici che sia Gesù?

di Marcello Cicchese

L'articolo riportato sopra è comparso sul numero di dicembre del mensile "israel heute", stampato a Gerusalemme in lingua tedesca. La rubrica in cui è inserito contiene le seguenti parole del curatore: "Il complesso rapporto che gli ebrei hanno con Gesù ha il suo riflesso nella moderna cultura ebraica. La mia speranza è che i cristiani percepiscano quanto gli ebrei siano affascinati dalla persona di Gesù, anche se in modo diverso dal loro."
    Essere affascinati dalla persona di Gesù non è di per sé un fatto rassicurante. E' scritto che quando Gesù parlò alla folla di Gerusalemme poco prima di essere condannato a morte "tutta la moltitudine era rapita in ammirazione della sua dottrina" (Marco 11:18). Questo non impedì che poco tempo dopo quella medesima moltitudine approvasse tacitamente la condanna della persona che l'aveva così tanto affascinata. I giudizi positivi su Gesù certamente non mancano nella storia: difensore dei poveri, amico dei fanciulli, primo taumaturgo, primo esorcista, primo socialista, primo pedagogo, primo psicologo, e via discorrendo secondo una lista che continuamente si aggiorna. L'ultimo aggiornamento è quello più pregnante e ricco di riferimenti all'attualità: primo shadid (martire) palestinese. E' chiaro allora che, nel confronto con la lista di epiteti riportata, il titolo di Rabbi applicato a Gesù, oltre ad essere il primo in ordine di tempo, è anche quello più pertinente alla storia della sua persona. Ma è sufficiente?
    Molti, anche tra gli atei, trovano interessanti i quattro Vangeli: i moralisti vi ricavano storielle istruttive, i credenti esempi edificanti, i teologi dottrine complicate. Ma leggendoli attentamente ci si accorge che i Vangeli sono stati scritti per rispondere a una precisa domanda: "Chi è Gesù?" E al lettore pongono a loro volta una precisa domanda: "E tu, chi dici che sia Gesù?" Dalla risposta a queste due domande dipendono tutte le dottrine e tutti gli insegnamenti pratici che se ne possono trarre.
    Gesù stesso ha espresso la necessità di una precisa presa di posizione a suo riguardo in un serio e grave colloquio avuto con i suoi discepoli verso la fine del suo ministero:
    Poi Gesù, giunto nei dintorni di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «Chi dice la gente che sia il Figlio dell'uomo?» Essi risposero: «Alcuni dicono Giovanni il battista; altri, Elia; altri, Geremia o uno dei profeti» (Matteo 16:13-14)
Le risposte, come si vede, sono tutte positive, ma nessuna di queste è quella giusta. Gesù allora interpella direttamente i discepoli:
    Ed egli disse loro: «E voi, chi dite che io sia?» (Matteo 16:15).
Gesù chiede dunque una precisa presa di posizione.
    Simon Pietro rispose: «Tu sei il Cristo [Messia], il Figlio del Dio vivente» (Matteo 16:16).
Questa, e solo questa, è la risposta giusta. Tutte le altre sono sbagliate, anche se le intenzioni di chi le dice sono buone. Gesù è il Cristo, cioè il Messia, il Figlio di Dio di cui si parla nelle Scritture (Salmo 2). Pietro riceve conferma dell'esattezza della sua risposta:
    Gesù, replicando, disse: «Tu sei beato, Simone, figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli (Matteo 16:17).
Gesù non dice: «Bravo, Pietro! Risposta esatta!» E tanto meno promette un premio, come nei quiz televisivi. Quella confessione non è opera umana: a Pietro Gesù dice «Beato», cioè benedetto, toccato dalla grazia della rivelazione di Dio.
    Il problema dunque non sta nel riuscire a trovare un equilibrato e pacifico rapporto tra ebraismo e cristianesimo, ma nell'assumersi personalmente la responsabilità di rispondere a una precisa domanda: "Chi dici tu che sia Gesù?" Dalla risposta che darò a questa domanda, e dal vaglio che ne sarà fatto riguardo alla mia sincerità e alle conseguenze che ne avrei dovuto trarre, dipenderà la mia collocazione personale nell'opera temporale ed eterna di Dio
    Or Gesù fece ancora molti altri segni in presenza dei suoi discepoli, che non sono scritti in questo libro. Ma queste cose sono state scritte, affinché voi crediate che Gesù è il Cristo [Messia], il Figlio di Dio e affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome (Giovanni 20:30-31).
(Notizie su Israele 497, 29 dicembre 2010)





MUSICA E IMMAGINI




Ki Gadol Kadosh Israel




INDIRIZZI INTERNET




Myths and Facts. U.S. and the Arab-Israeli Conflict

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