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Ben Gurion ha compiuto il capolavoro di restituire Israele al suo popolo

di Andrea Carrubba

David Ben Gurion
David Gruen (Ben Gurion), padre nobile della causa sionista mondiale, insieme a C. Weizmann e T. Herzl, nasce nella città di Plonsk (Polonia) il 16 ottobre del 1886. Giovanissimo emigra in Palestina: figlio di leader del movimento per l'indipendenza della Palestina, fa dell'indipendenza di Israele l'obiettivo della sua vita.
   La sua persona è indiscutibilmente legata alla nascita dello stato di Israele. Politico dotato di eccezionale acume strategico, dotato di energie inesauribili, leader carismatico, è riuscito a concretizzare il sogno di restituire Israele al suo popolo. E' da considerare senza riserve l'architetto dello Stato ebraico, nonchè uno dei più grandi protagonisti della storia del Novecento, capace di porsi al centro della questione medio-orientale riuscendo a catalizzare le attenzioni del mondo su di essa.
   Ben Gurion fu costretto ad emigrare in Palestina nel 1906 a causa dell'espulsione dalla Polonia avvenuta nel 1905 ad opera delle autorità ottomane, per le attività svolte in seno al partito Po'alei Zion che, fondato in Russia nel XIX secolo, cercava di conciliare l'ideologia marxista con quella sionista. Fu proprio in questi anni che maturò l'idea di uno Stato per tutti gli ebrei, un rifugio dove sentirsi al riparo dalle vessazioni e dalle persecuzioni. Dopo aver lavorato come agricoltore nelle comuni agricole chiamate Kibbutz, favorì il loro insediamento e contribuì alla creazione dell'Hashomer, servizio di autodifesa degli insediamenti ebraici. Si distinse inoltre per le sue capacità politiche e organizzative: come sindacalista difese i diritti dei lavoratori della terra ebrei e arabi.
   Nel 1910 insieme a Yitzhak Ben Zvi (futuro secondo presidente di Israele) iniziò una importante azione di propaganda a favore della creazione di un'entità territoriale ebraica indipendente in Palestina. Proprio la causa indipendentista lo costrinse a lasciare la Palestina e a emigrare negli Stati Uniti, dove gli ebrei erano un milione e mezzo. Lì cercò di conquistare tutti coloro che risultavano contrari o indifferenti alla causa sionista. Riuscì ad acquisire un'influenza sempre crescente nel sionismo internazionale. Ben Gurion sosteneva che "il movimento sionista doveva comprendere che il sionismo non era più quello che era stato in origine. Le sue dimensioni e la sua natura sono cambiate, così come la sua dinamica e i suoi bisogni. E se il sionismo non si trova capace di soddisfare questi nuovi bisogni, attraverso nuove dinamiche e dimensioni, non potrà che fallire e scomparire". Era necessario pertanto saper trovare risposte credibili ed efficaci, senza nascondersi dietro dogmi e pregiudizi ideologici.
   Ma proprio a causa della forte frammentazione ideologica e delle rissosità delle varie correnti politiche, diventò ancor più faticoso garantire l'indipendenza e la sicurezza del Paese. Per questo ammonì duramente "coloro i quali desiderassero fomentare delle guerre di religione o delle lotte di classe per forzare la mano a decisioni estreme" che il loro comportamento avrebbe finito per "sabotare la sicurezza dello Stato". Pertanto, salvare il Paese e preservare la sua indipendenza diventava più importante di qualsiasi altro ideale religioso.
   Ben Gurion, con straordinarie doti carismatiche di leader capace di entusiasmare la gente, diede inizio a una serie di incontri e di conferenze per l'America. Perseguì il suo instancabile lavoro per la creazione del futuro Stato di Israele. Tornato in Palestina favorì la nascita dell'Histadruth, l'organizzazione dei lavoratori ebrei, fondò il Mapai, il partito operaio di Israele e sostenne la nascita dell'Haganah, un esercito clandestino che difende gli ebrei dalle vessazioni arabe. Tale esperienza si rivelò importantissima perchè, attraverso la difesa comune, contribuì "a rafforzare una coscienza nazionale collettiva ebraica".
   Fu in occasione della seconda guerra mondiale, quando il governo britannico pubblicò il Libro Bianco che fissava il tetto dell'immigrazione ebraica in Palestina, che Ben Gurion si lasciò andare alla famosa frase "combattere Hitler come se non ci fosse il Libro bianco e combattere il Libro Bianco come se non ci fosse Hitler", alla quale seguì l'arruolamento di volontari nella brigata ebraica che contribuì attivamente alla causa alleata soprattutto in Italia. Contemporaneamente autorizzò un organismo segreto a nascondere i rifugiati ebrei nel Paese. Con la staordinaria lungimiranza e capacità di leggere l'evolversi degli equilibri geopolitici, riuscì a intuire che erano ormai maturi i tempi per inseguire con più incisività il sogno dell'indipendenza dello Stato di Israele e vedere negli Stati Uniti il paese cui guardare per trovare un importante alleato e partner strategico: imbastì pertanto una serie di azioni spettacolari volte ad attirare, senza spargimento di sangue, l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale sul problema della Palestina e mettere la Gran Bretagna in una difficile situazione negoziale. E, ormai in pieno scontro aperto con la Gran Bretagna, Ben Gurion, ben consapevole dell'importanza del momento con toni enfatici affermò in Congresso che "Per gli ebrei l'immigrazione in Palestina è una questione di vita o di morte. Per loro la terra di Israele è un bisogno vitale, una condizione di sopravvivenza. Il destino degli ebrei è laterra di Israele o la morte". I tempi per la proclamazione dell'indipendenza erano ormai maturi.
   Si giunse così al capolavoro politico di Ben Gurion: il 15 maggio del 1948, allo scadere del mandato britannico in Palestina, gli ebrei di Palestina proclamarono la nascita del nuovo Stato di Israele. Ben Gurion fu nominato Premier e ministro della Difesa. Memorabile e lungimirante fu, in proposito, un discorso pronunciato qualche anno prima presso le Nazioni Unite, sulla questione palestinese, nel quale affermava: "Ci sono ebrei e comunità ebraiche in molti paesi, ma in Palestina si manifesta un fenomeno unico, una nazione ebraica, con tutti gli attributi e tutte le aspirazioni dell'essere nazione". Finalmente in capo al popolo ebraico veniva riconosciuto "il diritto di poter disporre del proprio destino, come tutti gli altri popoli,nel proprio Stato sovrano".
   Con la Costituzione dello Stato di Israele, in veste di Capo dello Stato, Ben Gurion si troverà a dover risolvere, grazie all'intuito politico e alla lungimiranza che lo caratterizzavano, numerose questioni, dalla definizione dei confini dello Stato, agli attacchi provenienti da Egitto, Siria, Giordania e Libano, fino ai rapporti con l'organizzazione paramilitare di destra Ergun decisa a destabilizzare il Paese appena nato. E proprio in tali occasioni il ruolo di Ben Gurion assunse ancora una volta rilievo eccezionale. Autentico leader e, per certi versi anche despota, seppe cavalcare eventi terribili, sostenuto da un'incrollabile fede nella bontà della propria azione. Seppe incarnare per la sua gente, nel momento di massimo pericolo, l'antico concetto della bhitzua, della capacità cioè di saper condurre le cose a buon fine, dell'agire con la consapevolezza degli eventi e dei loro sviluppi, pervenendo a esiti positivi e concreti.
   Dopo aver lasciato l'attività politica nel 1953 tornò al governo nel 1955 (sempre come primo ministro e titolare della Difesa) per sostituire il collega Lavon travolto da uno scandalo spionistico. Fin dal 1954 organizzò segretamente, insieme ai governi di Francia e Gran Bretagna, l'aggressione tripartita del 1956 contro l'Egitto, che avrebbe dovuto fornire alle due vecchie potenze coloniali il pretesto per rovesciare il regime di Nasser, che sosteneva la guerra di liberazione algerina e la nazionalizzazione del Canale di Suez, e nutriva velleità antimperialistiche. In cambio, Israele avrebbe potuto annettersi il Sinai. Malgrado l'insuccesso politico dell'operazione, che si concluse con la restituzione del Sinai imposta da Stati Uniti e Unione sovietica per interposto intervento dell'Onu, si mantenne fedele a una linea politica sostanzialmente neocolonialistica, incoraggiando i movimenti autonomistici delle minoranze del mondo arabo (in particolare quello berbero nell'Algeria indipendente). Già nel 1958 si era dichiarato pronto a occupare la Cisgiordania in caso di rovesciamento della dinastia hashemita, allora vacillante per il contraccolpo della rivoluzione irachena del 14 luglio. Coerentemente con questa posizione, dopo la guerra del 1967 sostenne decisamente la necessità di conservare i territori arabi occupati (Cisgiordania e Gaza).
   Nel 1960 ottenne armi dalla Repubblica federale tedesca in cambio, a quanto pare, dell'impegno a non trasformare il processo contro il criminale nazista Adolf Eichmann in un'operazione di propaganda antitedesca. Con l'aiuto della Francia e poi degli Stati Uniti gettò inoltre le basi per la produzione di aerei avanzati, armi nucleari e missili. Nell'estate del 1963 le polemiche suscitate nell'opinione pubblica e nello stesso Mapai dai rapporti con la Repubblica federale tedesca lo indussero a lasciare il governo. Tornato a vita privata, incoraggiò Moshe Dayan ad attaccare il suo successore Levi Eshkol, giudicato non sufficientemente energico nella guida del governo. Posto in minoranza dal congresso del Mapai nel 1965, uscì dal partito fondando il Rafi (Lista operaia israeliana), ma abbandonò anche questa formazione quando essa si fuse (1968) con il Mapai e altri gruppi nel Partito israeliano del lavoro o Partito laburista. Costituì allora la Lista di Stato, che finì con l'unirsi al Likud di Menahem Begin.
   Uomo politico di grandi capacità, intelligenza e afflato religioso, instancabile devoto alla causa per il suo Paese, è considerato ad oggi uno dei più grandi ebrei della storia.

(l'Occidentale, 24 giugno 2011)