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Memoria come coscienza della Storia

di Guido Vitale

Fra le tante affermazioni, i tanti spunti di riflessione che ci ha lasciato questo giorno della Memoria, sono numerosi, gli elementi vivi che ci restano non sono pochi. Perché la Memoria autentica, come ricorda uno dei massimi studiosi della Shoah Georges Bensoussan nell'intervista su Pagine Ebraiche, è materia viva e non rito. Proprio in questa intervista Bensoussan tocca con coraggio i temi scottanti della Memoria viva. Nelle sue risposte sottolinea i gravissimi rischi di rendere la Memoria e i luoghi di memoria componenti di una religione civile. Indica il pericolo di assecondare la falsata immagine di un popolo vittima predestinata. Demolisce il velenoso luogo comune secondo cui la creazione dello Stato di Israele sarebbe una conseguenza della Shoah. Riafferma i valori del sionismo come ideale anticolonialista. Spiega come e perché la Shoah sia una tragedia non sovrapponibile ad altre nel corso della storia, come l'antisemitismo non possa essere confuso con una qualunque forma di razzismo. Accusa l'Islam radicale di preparare nuovi genocidi. Lancia un segnale di speranza sugli esiti ancora molto incerti di una guerra civile interna al mondo islamico fra chi vuole opporsi al terrore e alla sopraffazione e chi vuole prevalere con il terrore e la sopraffazione. Non è possibile e non è necessario che le sue idee facciano l'unanimità, ma vale sicuramente la pena di ascoltarlo con attenzione.

Si fa presto a ripetere la parola Memoria. Scritta, scolpita, insegnata, negata, riaffermata; risuona sulla bocca di tutti, ma ognuno vi attribuisce significati e sfumature differenti. Storico dall'immensa autorevolezza e contemporaneamente lontano dalle strettoie dell'accademia, Georges Bensoussan ha dedicato alla ridefinizione della Memoria gli studi fondamentali di questi ultimi anni. Sua e di altri colleghi coraggiosi l'affermazione che la Memoria ebraica in ogni caso non può essere ridotta a rito. Sua la strenua difesa delle ragioni di Israele e la confutazione chiara della pericolosa interpretazione che l'esistenza di uno Stato ebraico sarebbe giustificata unicamente con l'avvenimento della Shoah. Sua l'apertura di nuove prospettive di didattica e di ricerca lontane dalla meccanica ripetizione e attenta a rafforzare gli strumenti interpretativi.

- Eccoci ancora, professore, agli ultimi giorni di gennaio. L'appuntamento con il Giorno della Memoria cosa significa per uno studioso che alla Memoria si dedica ogni giorno dell'anno?
  La Memoria della Shoah è oggi di fronte a molte sfide e a molte minacce. I fraintendimenti non si contano e così le strumentalizzazioni.

- Quali sono le piste da seguire?
  I rischi che ci stanno davanti vanno ben al di là delle grottesche attività dei negazionisti che cercano di cancellare le tracce di un'evidenza storica. Assistiamo a una banalizzazione della Memoria, a un culto della Memoria, alla costituzione, soprattutto in Europa, di una religione civile. E a gravissimi, minacciosi fraintendimenti riguardo all'identità e alla legittimità di Israele.

- Cominciamo a sgombrare il campo da questo ultimo punto. Che relazione corre fra Israele e la Memoria della Shoah?
  Bisogna fare tutto il possibile per smontare il mito velenoso di una interdipendenza fra la legittimità dello Stato di Israele e la Shoah. Lo Stato di Israele è nato da un movimento politico di liberazione sociale e nazionale, la ferita della Shoah non ne ha né giustificato, né tanto meno favorito la creazione. Non è possibile capire il sionismo e non è possibile capire la Memoria se non si fa chiarezza su questo punto.

- Che cosa intende quando parla di religione civile dell'Europa?
  Stiamo assistendo a una preoccupante avanzata del culto della Memoria e di un culto dei luoghi della Memoria. Il rischio è la costituzione di una religione civile in cui l'Europa, in una stagione cupa si rinchiuda, una stagione dove si respira la perdita di fiducia nei confronti del presente e l'incapacità di progettare l'avvenire. Il passato diviene un rifugio del pensiero e ritorna in quanto struttura museale dove portare al riparo i nostri sentimenti. In questa regressione la Memoria, infine, diviene impropriamente un fatto religioso e un dovere.

- Ammettiamo che la Memoria non possa essere una religione, ma perché non dovrebbe costituire un dovere civile?
  Questo processo rappresenta una pericolosissima regressione. Ci si immerge nella storia prescindendo dalla funzione della ricerca che porta all'analisi del futuro, si prescinde da una conoscenza della realtà ebraica. Si afferma infine un dovere, ma la memoria non può essere un dovere, perché è in effetti una funzione naturale. Se fosse ridotta a un processo artificiale, finirebbe allora per costituire la prova dell'oblio.

- Immagino quello che sta per dire...
  Proprio così, se vissuto in modo fisso e ritualistico, se circoscritto in una specifica occasione segnata sul calendario, il Giorno della Memoria rischia di divenire la migliore maniera di dimenticare.

- Quali altri rischi vede all'orizzonte?
  Il rischio di costituire uno stimolo alla trasgressione, perché la religione civile, in quanto nuovo conformismo, suscita automaticamente in alcuni il desiderio di farsi notare, di dimostrarsi a poco prezzo fuori norma.

- Cosa può essere fatto, insegnato, per recuperare il significato autentico?
  Cominciamo a chiarire che la Shoah non coinvolge in primo luogo la concezione di essere ebrei, ma riguarda soprattutto un ragionamento sulla condizione umana di tutti gli esseri umani. La Shoah non è "un" massacro, ma la trasgressione assoluta della regola umana. Equivale a un'irradiazione atomica, a una contaminazione irreparabile dell'animo umano. La Shoah non è una dose di odio e distruzione, è un fenomeno che va ben al di là di questo.

- Auschwitz non è il luogo da cui dovrebbe ripartire la lotta al razzismo?
  L'antisemitismo non è esattamente una forma di razzismo e Auschwitz non può essere il simbolo autentico della Shoah.

- E quale sarebbe questo simbolo autentico?
  Soprattutto Treblinka, il prototipo organizzativo del campo di sterminio, il luogo univoco dove solo la morte senza alcuna altra possibile, remota, eventuale soluzione, neppure, per pochi privilegiati, la prigionia e il lavoro forzato, poteva essere praticata. Lì l'antisemitismo ha raggiunto la sua coerenza, poiché gli esseri umani vi venivamo eliminati come fossero dei rifiuti.

- Ma l'antisemitismo è il prototipo di tutti i razzismi...
  Il razzismo è un'odiosa ingiustizia, una concezione gerarchica della vita che tende ad affermare la supremazia dei più prepotenti, l'asservimento di altre categorie ritenute inferiori. L'antisemitismo è qualcosa di diverso. Al di là della superficie, agli occhi dell'antisemita l'ebreo non è un essere inferiore, qualcuno che deve essere asservito, piuttosto costituisce un'entità da negare alla radice, da eliminare. Sappiamo anzi bene che in un certo senso nella mente dell'antisemita l'ebreo costituisce un'entità superinfluente, superpotente, superintelligente. In un certo senso una sorta di superuomo pericoloso e quindi da eliminare. Qui c'è ben di più dell'odio, del generico desiderio di distruzione. L'antisemita in realtà non predica l'asservimento degli ebrei, ma la loro distruzione. Per questo mi sembra molto ipocrita e molto buffo, prima ancora che inesatto, parlare di "antisemitismo moderato". L'antisemitismo, al di là delle maschere, non può contenere alcuna moderazione. La logica paranoide dell'antisemita, la subcultura che vede complotti dappertutto, la logica del "noi o loro", non porta a qualche forma di razzismo, ma direttamente allo sterminio.

- Cosa altro dobbiamo cercare, allora...
  Se possiamo tenere da un canto i ragionamenti di comodo, cominciamo con ammettere che l'antisemitismo è profondamente radicato nelle religioni monoteiste...

- Lei vuole affermare che studiare la Shoah non può ridursi a una tranquillizzante distribuzione di responsabilità, all'identificazione di buoni da salvare e di cattivi da neutralizzare...
  Stiamo trattando evidentemente di una materia molto pericolosa. La Shoah non è una storia di vittime e di carnefici, così come la si potrebbe intendere nella comune semplificazione. La storia del popolo ebraico non può essere ridotta all'icona del popolo vittima per eccellenza. E non solo perché questo non corrisponde alla realtà storica. Ma anche perché costituire l'immagine delle vittime per eccellenza significa preparare nuovi stermini.

- Lei è uno dei massimi esperti di didattica della Shoah. Cosa dovrebbe essere insegnato, e come?
  E' soprattutto molto importante lavorare sulla formazione degli insegnanti. Far comprendere loro che la Shoah non è la storia di una persecuzione come un'altra. Non sta nelle pagine commoventi di Anna Frank, non si può risolvere limitandosi a predicare la pietà e la tolleranza. Ma con la volontà di studiare la Storia.

- Torniamo a Israele. E' per questi motivi che lei ritiene importante scindere chiaramente le vicende del sionismo e la Shoah?
  Il sionismo non ha in alcun modo beneficiato della Shoah, ma al contrario, ne è stato la prima vittima. I sionisti sono stati i primi a capire che gli ebrei non devono preoccuparsi esclusivamente di essere amati, ma prima ancora devono preoccuparsi di vivere, di essere se stessi, di testimoniare della propria esistenza e dei propri valori.

- Che cos'è davvero, allora, il sionismo?
  Un movimento di decolonizzazione. Un movimento di liberazione delle intelligenze e dei destini politici e nazionali.

- La Memoria della Shoah deve occuparsi di conoscere un capitolo della storia umana o di prevenire un rischio sempre in agguato? Il nazismo può tornare?
  E' troppo comodo archiviare i nazisti e i fascisti come mostri del passato, come un brutto sogno ormai svanito. In quanto individui non erano dotati di poteri sovrannaturali o di caratteristiche che li rendessero radicalmente diversi da tanti altri comuni esseri umani. La loro negazione della vita e la loro carica distruttiva può ripetersi. Ed è questo che dobbiamo combattere.

- Cosa, chi può rappresentare un nuovo nazismo?
  L'islamismo militante, con la sua intolleranza nei confronti della varietà umana, il suo irrispetto per le donne, il suo delirio purificatore, la sua attesa della fine dei tempi. Mi sembra che costituisca un buono spunto.

- Lei pensa a Ahmadinejad?
  No, penso a casa nostra. Di ritorno da un viaggio ad Auschwitz uno studente francese di religione islamica ha scritto una bellissima poesia che ha vinto il primo premio di un importante concorso. Al momento della premiazione ufficiale, quando si è trattato di proclamarla in pubblico, ha però dovuto rinunciare. La poesia conteneva una parola che non poteva da lui essere pronunciata in pubblico. La parola "ebreo".

- Le primavere arabe annunciano nuovi orrori?
  E' una tragica eventualità, non un destino. Nel mondo islamico è in corso una guerra civile e le primavere costituiscono un fenomeno contraddittorio, ma non necessariamente negativo. C'è spazio per la speranza e per l'impegno. C'è motivo di essere vigili, ma anche ottimisti. E il dovere degli ebrei è quello di vivere la propria vita e di testimoniare il proprio impegno senza lasciarsi piegare dal pessimismo e dalla disperazione.

(Pagine Ebraiche, febbraio 2012)