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Pensando al domani: giovani ebrei e futuro in Italia

di Tobia Zevi

Tobia Zevi
Molti anni fa - frequentavo ancora l'asilo - mi misi a inseguire un mio compagno di classe, tempestandolo con un'unica, insistente domanda: «Ma tu sei ebreo?». A un certo punto, reso esausto e sbigottito dalla mia perserveranza, il coetaneo si voltò di scatto e, allargando le braccia, mi rispose: «Aho, io so' Jacopo». Questo episodio mi torna spesso in mente, e descrive secondo me in modo abbastanza gustoso cosa si provi a far parte di una minoranza. Con quel bambino condividevo non solo la scuola, ma probabilmente buona parte della giornata e delle abitudini, i luoghi di villeggiatura, la professione dei genitori. Eppure persino un bambino si rende conto della differenza, sottile e profonda, di essere Altro. Simile ma diverso. Mi sembra che possiamo partire da qui, se vogliamo fare un ragionamento sui giovani ebrei italiani di oggi. E mi pare un esercizio utile, dal momento che la Giornata della cultura ebraica di quest'anno si concentra sull'evoluzione tecnologica e scientifica, e parla dunque in primo luogo delle e alle nuove generazioni.
Iniziamo con un fatto: i giovani ebrei italiani sono pochi. Secondo i dati dell'Unione delle Comunità ebraiche gli iscritti tra i 19 e i 35 anni non arrivano a cinque mila unità; tra questi, circa 2900 risiedono a Roma, che conta quindi più della metà dell'intera popolazione giovanile. In presenza di numeri simili è evidente che una domanda va posta con urgenza: come garantire la continuità ebraica nel nostro paese? Come mantenere vitale una comunità che, pur essendo molto attiva, corre iI serio rischio di estinguersi?
E qui dobbiamo sfatare il primo luogo comune, che riguarda le nuove tecnologie. Non è affatto scontato che l'esplosione di internet, dei social network, dei viaggi low cost, delle vacanze-studio sia di per sé un fattore positivo. Sebbene infatti questi strumenti favoriscano l'incontro tra giovani ebrei di vari paesi, consentendo a molti di formare una famiglia ebraica, è evidente che il rischio, per gli italiani, di essere assorbiti culturalmente dalle maggiori comunità nel mondo (Israele, Stati Uniti, e, molto dopo, Francia, Gran Bretagna) è molto forte. La globalizzazione è una risorsa se la si riesce a gestire, ma spesso per navigarci in sicurezza occorre avere la stazza sufficiente. E in questo senso l'ebraismo italiano è oggettivamente in diffIcoltà. In molte città italiane l'emigrazione di ragazze e ragazzi dopo la maturità porta quasi naturalmente alla scomparsa della comunità d'appartenenza; non si può certo essere scontenti se un giovane fa un'esperienza di studio o di lavoro all'estero, e se nel corso del soggiorno si arricchisce grazie al contatto con comunità più popolose, ma al tempo stesso è chiaro che servono strategie per provare a garantirci un futuro.
In più bisogna considerare alcuni fattori generali. Analizzando le ultime ricerche sociologiche e demografiche, emerge con chiarezza la grande sfiducia e disillusione dei giovani italiani: le prospettive lavorative sono ritenute scarse o di poca qualità a causa della precarietà; le istituzioni appaiono poco interessate al futuro e concentrate invece a garantire privilegi consolidati e spesso ingiusti; l'economia non sembra in grado di riprendersi dalla crisi per competere nel mercato globale con i paesi emergenti, in realtà già abbondantemente emersi; la cultura diffusa non pare intenzionata a promuovere l'iniziativa personale, il merito, la capacità di mettersi in gioco e di rischiare, ma sembra invece orientata a marcare ulteriormente le differenze sociali: l'Italia del 2011 è, tra i paesi sviluppati, quello con la minore mobilità sociale e il più basso tasso di crescita delle imprese. Certo, non mancano le eccellenze e le eccezioni, ma i giovani italiani riscontrano quotidianamente quanto sia difficile ottenere credito da una banca se non si possiede un appartamento, quanto conti la famiglia per mantenersi agli studi, quanto sia difficile diventare avvocati, notai, ingegneri, architetti, imprenditori se i genitori non fanno lo stesso mestiere. In questo contesto è chiaro che i giovani ebrei italiani, spinti anche dalle loro motivazioni particolari, abbiano la forte tentazione di cambiare aria. Magari trasferendosi in Israele, il paese che, secondo le statistiche internazionali, ha il maggior numero di start-up imprenditoriali pro-capite.
Fatte queste considerazioni negative, non bisogna però eccedere nel pessimismo. Nessuno di noi può sapere cosa accadrà nei prossimi decenni, e dobbiamo perciò cercare strade percorribili e soluzioni praticabili. Secondo una recente ricerca sui giovani ebrei italiani elaborata dall'Associazione di cultura ebraica Hans Jonas ed edita da Giuntina, emerge che questi ultimi sono legatissimi all'ebraismo soprattutto dal punto di vista culturale e identitario; non rinnegano la religione - nel complesso il tasso di osservanza dei precetti registra anzi una crescita - ma considerano centrale formare una famiglia ebraica ed educare ebraicamente i loro figli. Anche con un partner di altra confessione, purché questi sia disponibile ad avere figli ebrei. I giovani mostrano una certa insoddisfazione verso le istituzioni ebraiche ma ritengono che la presenza di una comunità sia fondamentale per stabilirsi in un'altra città.
Ma come sarà la comunità ebraica del futuro? Possiamo tentare di immaginarne le caratteristiche? Grazie alla modernità gli spostamenti sono diventati rapidi, si viaggia comodamente e a poco prezzo. Per questa ragione, io credo, la comunità non va più concepita come un luogo dove si nasce, si cresce e si muore. E del resto nessuno di noi può oggi ragionevolmente stabilire dove morrà e quale sarà il suo mestiere nel corso della sua vita. L'ebraismo italiano del futuro andrebbe pensato come un sistema, come un'unica rete di comunità sul territorio, ognuna con una sua vocazione specifica: in due o tre città, dove la popolazione è maggiore, ci saranno le scuole ebraiche; altri luoghi ospiteranno musei, siti archeologici e archivi; altri ancora vivranno di manifestazioni specifiche, quali festival e feste tematiche, fondamentali anche per raccogliere le risorse economiche. Il Collegio rabbinico si troverà in un posto ulteriore, così da favorire la formazione ebraica di giovani motivati, certamente da incentivare sul piano finanziario. Questa struttura articolata si dovrà necessariamente rispecchiare nelle esistenze degli ebrei italiani di domani, destinati a spostarsi in ragione delle scelte professionali, delle esigenze educative dei fIgli, delle curiosità culturali e di svago.
Le istituzioni ebraiche devono prendersi il tempo per riflettere con un orizzonte lungo, provando a immaginare scenari temporalmente lontani. Investendo sui giovani con atteggiamento professionale e non dilettantesco.
Infine, i giovani ebrei italiani dovranno essere cittadini italiani responsabili e consapevoli, protagonisti del dibattito pubblico e alfieri dei loro valori e della loro tradizione. In una società che ogni giorno si trasforma, sempre più multietnica e multicuIturale, l'ebraismo italiano può rappresentare un punto di vista importante e significativo anche al di là dei numeri. Non bisogna cedere alla tentazione - diffusa oggi in ogni ambito e in ogni luogo - della paura, della chiusura identitaria, dell'esclusività. I giovani ebrei potranno mantenere con più convinzione la loro identità se sapranno occuparsi anche dei problemi degli altri, di chi è più debole, di chi ha meno diritti. Mostrando in questo modo di essere degni eredi di una tradizione, quella dell' ebraismo italiano, di cui sono giustamente fieri.

(UCEI, Giornata della Cultura Ebraica, 4 settembre 2011)