Inizio - Attualità »
Presentazione »
Approfondimenti »
Notizie archiviate »
Notiziari »
Arretrati »
Selezione in PDF »
Articoli vari»
Testimonianze »
Riflessioni »
Testi audio »
Libri »
Questionario »
Scrivici »
Approfondimenti



Diritti legali e titolo di sovranità del popolo ebraico sulla Terra d'Israele e Palestina secondo il diritto internazionale

di Howard Grief

Area della "National Home" ebraica
L'obiettivo di questo articolo è di esporre in modo succinto, ma chiaro e preciso, i diritti legali e il titolo di sovranità del popolo ebraico sulla Terra d'Israele e Palestina secondo il diritto internazionale. Questi diritti hanno origine nel globale accordo politico e legale concepito durante la prima guerra mondiale e posto in essere negli anni del dopoguerra tra il 1919 e il 1923. Per quanto riguarda l'Impero turco-ottomano, l'accordo prendeva in considerazione le aspirazioni dell'Organizzazione sionista, il movimento nazionale arabo, i curdi, gli assiri e gli armeni.

I termini dell'accordo fra le Potenze alleate

Come parte dell'accordo, nel quale gli arabi ricevevano la maggior parte dei paesi che erano stati sotto la sovranità turca in Medio Oriente, l'intera Palestina, su entrambe le rive del Giordano, era riservata esclusivamente al popolo ebraico come sua sede nazionale e futuro stato indipendente.
    Nei termini dell'accordo fatto tra le principali Potenze alleate, costituite da Gran Bretagna, Francia, Italia e Giappone, non ci fu nessuna annessione dei territori turchi conquistati da una qualsiasi delle Potenze, come invece era stato progettato nell'accordo segreto Sykes-Picot del 9 e 16 maggio 1916. Al contrario, questi territori, compresi i popoli ai quali erano stati assegnati, sarebbero stati posti sotto il sistema dei Mandati e amministrati da una nazione progredita fino al momento in cui sarebbero stati pronti ad amministrarsi da soli. Il sistema dei Mandati era stabilito e governato dall'Articolo 22 del Patto della Società delle Nazioni contenuto nel Trattato di Versailles e in tutti gli altri trattati di pace fatti con le Potenze centrali: Germania, Austria-Ungheria, Bulgaria e Turchia. Il Patto era stata un'idea del Presidente USA Woodrow Wilson e conteneva il suo Programma in quattordici punti dell'8 gennaio 1919, mentre l'Articolo 22, che stabiliva il sistema dei Mandati, era stato in gran parte opera di Jan Christiaan Smuts, il quale formulò i dettagli in un memorandum che diventò noto come la Risoluzione di Smuts, ratificata dal Consiglio dei Dieci il 30 gennaio 1919, in cui la Palestina, come veniva considerata nella Dichiarazione Balfour, era nominata come uno degli stati mandati che dovevano essere creati. La creazione ufficiale del paese avvenne nella Conferenza di pace di Sanremo, dove la Dichiarazione Balfour fu adottata dal Consiglio Supremo delle principali Potenze alleate come base per la futura amministrazione della Palestina, che da quel momento sarebbe stata riconosciuta come la Sede Nazionale Ebraica (Jewish National Home).

La Palestina nasce come sede della nazione ebraica

Il momento della nascita dei diritti legali ebraici e del titolo di sovranità avvenne dunque nello stesso momento in cui fu creata la Palestina mandataria, perché l'unico motivo per cui essa fu creata era di ricostituire l'antico stato ebraico di Giudea in adempimento della Dichiarazione Balfour e delle disposizioni generali dell'Articolo 22 del Patto della Società delle Nazioni. Questo significa che in teoria fin dall'inizio la Palestina fu legalmente uno stato ebraico che doveva essere guidato verso l'indipendenza da un Mandatario o Fiduciario, il quale avrebbe agito come Tutor, con il compito di prendere le necessarie misure politiche, amministrative ed economiche per costituire la Sede Nazionale Ebraica. Il modo principale per la realizzazione di questo obiettivo doveva essere quello di incoraggiare l'immigrazione ebraica su larga scala in Palestina, e questo alla fine avrebbe dovuto fare della Palestina uno stato ebraico indipendente, non solo legalmente, ma anche in senso demografico e culturale.

I documenti alla base dei diritti legali ebraici sulla Palestina

I particolari per il progettato stato indipendente ebraico sono inseriti in tre basilari documenti che possono essere denominati come i documenti fondamentali del Mandato per la Palestina e del moderno Stato ebraico d'Israele che ne è scaturito. Essi sono la Risoluzione di Sanremo del 25 aprile 1920, con cui le principali Potenze alleate conferirono alla Gran Bretagna il Mandato per la Palestina, che fu poi confermato dalla Società delle Nazioni il 24 luglio 1922, e l'Accordo franco-britannico sulle frontiere del 23 dicembre 1920. Questi documenti fondamentali furono integrati dall'Accordo anglo-americano del 3 dicembre 1924 che confermava il Mandato per la Palestina. E' di estrema importanza ricordare sempre che questi documenti sono l'origine o la sorgente dei diritti legali ebraici e del titolo di sovranità su Palestina e Terra d'Israele secondo il diritto internazionale, perché è completamente falsa la quasi universale convinzione che sia stata la Risoluzione di partizione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 29 novembre 1947 a far nascere lo Stato d'Israele. In realtà, quella risoluzione Onu fu un'illegale abrogazione dei diritti legali ebraici e del titolo di sovranità sull'intera Palestina e Terra d'Israele, piuttosto che un'affermazione o un progenitore di tali diritti.
    La Risoluzione di Sanremo ha trasformato la Dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917 da semplice dichiarazione di simpatia britannica per l'obiettivo del movimento sionista di creare uno stato ebraico in un atto vincolante di legge internazionale che richiedeva alla Gran Bretagna lo specifico adempimento di tale obiettivo in un attiva cooperazione con il popolo ebraico. Con la Dichiarazione Balfour, come emessa in origine, il Governo britannico prometteva soltanto di fare ogni sforzo per facilitare l'insediamento in Palestina di una nazione ebraica. Ma nella Risoluzione di Sanremo del 24-25 aprile 1920, le principali Potenze alleate, come gruppo coeso, hanno posto sul Governo britannico la responsabilità o l'obbligo legale di mandare ad effetto la Dichiarazione Balfour. Sulla Gran Bretagna fu posto quindi un preciso onere legale, al fine di assicurarsi che la Sede Nazionale Ebraica fosse debitamente costituita. Il Governo britannico accettò volentieri questo onere perché nel periodo in cui fu formulata la Dichiarazione Balfour, poi adottata dalla Conferenza di pace di Sanremo, la Palestina era considerata un valido punto di forza strategico e un centro di comunicazioni, e quindi una necessità vitale per la protezione dei vasti interessi imperiali britannici che si estendevano dall'Egitto all'India. La Gran Bretagna temeva di ritrovarsi posizionato lungo il Canale di Suez un importante paese o una potenza diversa da se stessa, specialmente Francia o Germania,

L'uso orginario dell'espressione "Jewish National Home"

Il termine "Jewish National Home" usato dal Governo britannico nella seduta di gabinetto che approvò la Dichiarazione Balfour il 31 ottobre 1917 significava uno stato. Era questo il significato dato in origine a questa espressione da Theodor Herzl, il fondatore dell'Organizzazione sionista, e dal comitato che abbozzò il Programma di Basilea nel primo Congresso sionista dell'agosto 1897. La parola "home" usata nella Dichiarazione Balfour e successivamente nella Risoluzione di Sanremo era semplicemente un eufemismo per indicare uno stato. Il termine era stato adottato in origine dall'Organizzazione sionista quando il territorio della Palestina era soggetto all'Impero ottomano per non provocare una dura opposizione del Sultano e del suo Governo contro l'obiettivo sionista, perché questo avrebbe implicato una potenziale perdita di territorio da parte dell'Impero. Non c'era alcun dubbio sul vero significato di questa parola nella mente degli autori del Programma di Basilea e della Dichiarazione Balfour; il cui significato era rinforzato dall'aggiunta dell'aggettivo "national" al termine "home"" . Comunque, il fatto di non usare direttamente la parola "stato" e di non proclamarne apertamente il significato, o addirittura il tentare di nascondere il suo vero significato quando il termine fu usato all'inizio per indicare l'obiettivo sionista, ha ottenuto il risultato di fornire munizioni a coloro che hanno cercato di impedire la nascita dello Stato ebraico o a quelli che considerano la "Home" soltanto in termini culturali.

Il significato dell'espressione "in Palestina"

L'espressione "in Palestina", un'altra espressione presente nella Dichiarazione Balfour che ha sollevato molte controversie, si riferiva all'intero paese, incluse Cisgiordania e Transgiordania. E' assurdo immaginare che questa frase potesse essere usata per dire che soltanto una parte della Palestina era riservata alla futura Nazione ebraica, perché entrambe sono state create simultaneamente e usate scambievolmente, e il termine "Palestina" stava ad indicare il luogo geografico del futuro stato indipendente ebraico. Se "Palestina" avesse significato un paese suddiviso in certe aree da assegnare agli ebrei ed altre agli arabi, questa intenzione sarebbe stata espressa esplicitamente quando la Dichiarazione Balfour fu abbozzata e in seguito approvata dalle principali Potenze alleate. Nessuna allusione è stata mai fatta a tutto questo nelle discussioni che ebbero luogo in seguito per divulgare la Dichiarazione e assicurarne l'approvazione internazionale.
    Non esiste quindi nessuna base giuridica o fattuale per asserire che la frase "in Palestina" limiti il luogo di fondazione della Nazione ebraica a una sola parte del paese. Al contrario, Palestina e Nazione ebraica erano considerati termini sinonimi, come è messo in evidenza dall'uso della stessa frase nella seconda parte della Dichiarazione Balfour, dove ci si riferisce alle esistenti comunità non-ebraiche "in Palestina", che evidentemente indica l'intero paese. La stessa evidenza esiste nel preambolo e nei termini dello Statuto del Mandato

La Risoluzione di Sanremo

La Risoluzione di Sanremo sulla Palestina combinava la Dichiarazione Balfour con l'Articolo 22 del Patto della Società delle Nazioni. Questo significa che i provvedimenti generali dell'Articolo 22 si applicavano esclusivamente al popolo ebraico, il quale avrebbe stabilito la sua sede e la sua nazione in Palestina. Non c'era nessuna intenzione di applicare l'Articolo 22 agli arabi del paese, come erroneamente concluso dalla Palestine Royal Commission che fece riferimento a questo articolo del Patto come base legale per giustificare la partizione della Palestina, oltre alle altre ragioni portate. La dimostrazione dell'applicabilità dell'Articolo 22 al popolo ebraico - includente non solo le persone che si trovavano in Palestina in quel momento, ma anche quelle che si aspettava arrivassero in gran numero in futuro - si trova nella Risoluzione di Smuts , che diventò l'Articolo 22 del Patto. In essa si nomina specificamente la Palestina come uno dei paesi a cui questo articolo sarebbe stato applicato. Non c'è alcun dubbio che quando la Palestina fu nominata nel contesto dell'Articolo 22, essa era associata esclusivamente alla Sede Nazionale Ebraica, come intesa nella Dichiarazione Balfour, fatto di cui tutti a quel tempo erano consapevoli, inclusi i rappresentanti del movimento nazionale arabo, come evidenziato nell'accordo tra l'Emiro Feisal e il dr. Chaim Weizmann in data 3 gennaio 1919, e anche in un'importante lettera inviata dall'Emiro al futuro giudice della Corte Suprema USA Felix Frankfurter in data 3 marzo 1919. In quella lettera Feisal giudicava "moderate e corrette" le proposte sioniste presentate da Nahum Sokolow e Weizmann al Consiglio dei Dieci nella Conferenza di pace a Parigi il 27 febbraio 1919, in cui si caldeggiava lo sviluppo della Palestina con ampie frontiere in un commonwealth ebraico. L'argomento sollevato in seguito dai leader arabi che la Dichiarazione Balfour e il Mandato per la Palestina fossero incompatibili con l'Articolo 22 del Patto è totalmente confutato dal fatto che la Risoluzione di Smuts - che ha preceduto e suggerito l'Articolo 22 - include specificamente la Palestina nel suo impianto legale.
    La Risoluzione di Sanremo sulla Palestina diventò l'Articolo 95 del Trattato di Sèvres con il quale si intendeva porre fine alla guerra con la Turchia. E benché questo trattato non sia mai stato ratificato dal Governo nazionale Turco di Kemal Ataturk, la Risoluzione mantenne la sua validità come atto indipendente di legge internazionale quando fu inserita nel Preambolo del Mandato per la Palestina e confermata da 52 stati. La Risoluzione di Sanremo è il documento base su cui il Mandato fu costruito e al quale doveva conformarsi. E' dunque il pre-eminente documento fondante dello Stato d'Israele e il coronamento del pre-stato sionistico. E' stato adeguatamente presentato come la Magna Carta del popolo ebraico. E' la migliore dimostrazione che l'intero paese della Palestina e Terra d'Israele appartiene esclusivamente al popolo ebraico per diritto internazionale.

Il Mandato per la Palestina e l'impegno contrattuale della Gran Bretagna

Il Mandato per la Palestina rendeva esecutivi sia la Dichiarazione Balfour, sia l'Articolo 22 del Patto della Società delle Nazioni, cioè la Risoluzione di Sanremo. Questi quattro documenti costituivano dunque altrettanti mattoni della struttura legale che era stata creata allo scopo di fondare uno stato ebraico indipendente. La Dichiarazione Balfour in sostanza stabiliva il principio o l'obiettivo di uno Stato ebraico. La Risoluzione di Sanremo le dava il sigillo di legge internazionale. Il Mandato forniva tutti i dettagli e i significati per la realizzazione dello Stato ebraico. Come già osservato, l'obbligo fondamentale della Gran Bretagna come Potenza mandataria fiduciaria e tutelante era la creazione di appropriate condizioni politiche, amministrative ed economiche al fine di assicurare lo Stato ebraico. Tutti i 28 articoli del Mandato erano finalizzati a questo obiettivo, inclusi quegli articoli che non facevano menzione esplicita della nazione ebraica. Il Mandato ha creato il diritto al ritorno in Palestina per il popolo ebraico e il diritto a stabilire insediamenti sulla terra in tutto il paese per arrivare a creare il progettato Stato ebraico.
    Nel conferire il Mandato per la Palestina alla Gran Bretagna fu creato un vincolo contrattuale fra le principali Potenze alleate e la Gran Bretagna, le prime come Mandante e la seconda come Mandatario. Le principali Potenze alleate designarono il Consiglio della Società delle Nazioni come supervisore del Mandatario al fine di assicurare che tutti i termini dello Statuto del Mandato fossero rigorosamente osservati. Il Mandato fu redatto nella forma di una decisione del Consiglio della Società confermante il Mandato e non come parte di un trattato con la Turchia firmato dalle Alte Parti contraenti, come si era pensato all'inizio. Per garantire la conformità al Mandato, il Mandatario doveva sottoporre ogni anno un rapporto al Consiglio della Società, in cui doveva riferire su tutte le sue attività e sulle misure prese durante l'anno precedente per la realizzazione dello scopo del Mandato e per l'adempimento dei suoi obblighi. Anche questo fatto creava una relazione contrattuale fra la Società delle Nazioni e la Gran Bretagna.
    La prima bozza del Mandato per la Palestina fu formulata dall'Organizzazione sionista e fu presentata alla delegazione nella Conferenza di pace a Parigi nel 1919. La Delegazione di pace britannica presentò alla Conferenza una propria bozza, e le due bozze cooperarono alla stesura di una bozza comune. Questa cooperazione avvenne quando era Ministro degli Esteri Arthur James Balfour e terminò soltanto quando Lord Curzon, il Segretario agli Esteri che sostituì Balfour il 24 ottobre 1919, si occupò personalmente del processo di stesura del Mandato nel marzo del 1920. Curzon escluse l'Organizzazione sionista dalla partecipazione diretta alla stesura della bozza, ma il leader sionista Chaim Weizman fu tenuto informato dei nuovi cambiamenti portati alla bozza del Mandato e gli fu consentito di fare commenti. I cambiamenti prodotti da Curzon diluirono l'evidente carattere ebraico del Mandato, ma non riuscirono a eliminare il suo obiettivo: la creazione di uno Stato ebraico.La partecipazione dell'Organizzazione sionista nel processo di stesura del Mandato conferma il fatto che il popolo ebraico era l'esclusivo beneficiario dei diritti nazionali racchiusi nel Mandato. Nessuna parte araba è stata mai consultata per ascoltare le sue opinioni sui termini del Mandato prima della sottomissione di questo strumento al Consiglio della Società per la conferma, il 6 dicembre 1920. Furono salvaguardati invece i diritti civili e religiosi di tutte le comunità religiose esistenti in Palestina, sia musulmane che cristiane, come anche i diritti civili e religiosi di tutti gli abitanti della Palestina, senza distinzione di razza o di religione. Furono quindi garantiti legalmente i diritti degli arabi, sia come individui sia come membri di comunità religiose, ma non come nazione. Inoltre, nessun danno doveva provenire alla loro posizione finanziaria ed economica dalla prevista crescita della popolazione ebraica.

I confini della Palestina mandataria

In origine era inteso che lo Statuto del Mandato avrebbe definito i confini della Palestina, ma questo si dimostrò essere un lungo processo che coinvolgeva negoziati con la Francia sui confini della Palestina con la Siria a nord e nord-est. Fu perciò deciso di fissare questi confini in un trattato separato, che fu stipulato il 23 dicembre 1920 nella Convenzione franco-britannica sui confini. I confini si basarono su una formula presentata dal Primo Ministro britannico David Lloyd George quando incontrò la sua controparte francese, Georges Clemenceau, a Londra il 1o dicembre 1919, e definivano la Palestina come estendentesi tra le antiche città di Dan e Beersheba. Questa definizione fu immediatamente accettata da Clemenceau, il quale pensava che i confini della Palestina avrebbero dovuto includere tutte le zone del paese occupate dalle dodici tribù d'Israele nel periodo del primo Tempio, comprendenti la Palestina storica sia ad est che ad ovest del fiume Giordano. Le precise parole "da Dan a Beersheba" implicavano che l'intera Palestina ebraica avrebbe dovuto essere ricostituita come Stato ebraico. Anche se la Risoluzione di Sanremo non definiva esplicitamente i confini della Palestina, era inteso dalle Principali Potenze alleate che questa formula avrebbe costituito il criterio da usare per delinearli. Comunque, quando dopo la Conferenza di pace di Sanremo iniziarono le trattative sull'effettiva frontiera, per quanto riguarda il confine nord della Palestina la Francia illegalmente e caparbiamente, e con gallici scoppi di sentimenti antisemiti e antisionisti, insistette affinché si seguisse il defunto accordo Sykes-Picot nonostante che fosse stato concordato di includere entro questa frontiera la Galilea, ma non le sorgenti d'acqua della valle del Litani e della zona adiacente. Il risultato fu che alcune parti della Palestina storica a nord e a nord-est furono illegalmente escluse dalla Sede Nazionale Ebraica. La Convenzione sui confini del 1920 fu emendata il 3 febbraio 1922 da un altro accordo franco-britannico sulla linea di divisione tra Siria e Palestina che entrò in vigore il 10 marzo 1923. Fu illegalmente rimossa la parte del Golan che era stata precedentemente inclusa nella Palestina nella Convenzione del 1920, concedendo in cambio di porre il Kinneret (Mare di Galilea) entro i confini della Sede Nazionale Ebraica, con l'aggiunta di altri piccoli aggiustamenti territoriali. Le trattative franco-britanniche non avevano il diritto legale di rimuovere o escludere nessun "territorio palestinese" dai limiti della Palestina, ma potevano soltanto assicurare che tutti quei territori vi fossero inclusi. Lo scambio di "territorio palestinese" con un altro "territorio palestinese" tra Gran Bretagna e Francia era quindi vietato, essendo una violazione della formula di Lloyd George accettata alla Conferenza di pace di Sanremo.

Le manipolazioni britanniche per annacquare e deformare il Mandato

La Convenzione del 1920 includeva anche la Transgiordania nell'area della Sede Nazionale Ebraica, ma un intervento a sorpresa dell'ultimo minuto del Governo USA rinviò, senza che fosse necessario, la conferma del pendente Mandato. Questo diede a Winston Churchill, nuovo Segretario per le colonie incaricato delle questioni della Palestina, di cambiare il carattere del Mandato: primo, riuscendo a inserire un nuovo articolo (Articolo 25) che permetteva la separazione amministrativa della Transgiordania dalla Cisgiordania; secondo, ridefinendo la Sede Nazionale Ebraica in modo che non significasse uno Stato ebraico indipendente, ma soltanto un centro culturale o spirituale per il popolo ebraico. Questi radicali cambiamenti furono ufficialmente introdotti nel Libro bianco di Churchill del 2 giugno 1922 e condussero direttamente al sabotaggio del Mandato. Da quel momento i britannici non si allontanarono più dalla falsa interpretazione che avevano data della Sede Nazionale Ebraica, e questo fece naufragare ogni speranza di ottenere il prestabilito Stato ebraico sotto la loro tutela.
    La questione su quale stato, nazione o entità avesse la sovranità nel territorio del Mandato sollevò un grande dibattitto durante il periodo del Mandato, e non fu mai data una risposta definitiva. Questo è molto sorprendente perché il Trattato di Versailles, firmato il 28 giugno 1919 e ratificato il 10 gennaio 1920, stabiliva chiaramente, nell'Articolo 22, che gli stati che avevano governato in precedenza i territori che successivamente venivano amministrati da un Mandatario avevano perso la loro sovranità come conseguenza della prima guerra mondiale. Questo significava che la Germania non aveva più la sovranità sulle sue precedenti colonie in Africa e nel Pacifico, e che la Turchia non aveva più la sovranità sui possedimenti che aveva in Medio Oriente prima della firma del Trattato di Versailles. La data in cui avvenne il cambio di sovranità poteva soltanto essere il 30 gennaio 1919, data in cui il Consiglio dei Dieci decise irrevocabilmente di adottare la Risoluzione di Smuts , secondo la quale nessuno dei territori ex-tedeschi e ex-turchi sarebbe tornato ai suoi precedenti possessori. Quei territori furono allora posti nelle mani collettive e messi s disposizione dei principali Alleati e Potenze associate. Nel caso della Palestina la decisione fu fatta in favore del popolo ebraico nella sessione della Conferenza di pace di Sanremo che ebbe luogo il 24 aprile 1920, quando fu adottata la Dichiarazione Balfour come la ragione per creare e amministrare il nuovo paese della Palestina che, fino a quel momento, non aveva avuto esistenza ufficiale. Dal momento che la Dichiarazione Balfour fu fatta in favore del popolo ebraico, era a quest'ultimo che era stata devoluta de jure la sovranità sulla Palestina. Comunque, durante il periodo del Mandato fu il Governo britannico a esercitare gli attributi della sovranità e non il popolo ebraico, mentre in senso puramente teorico o nominale (cioè de jure) la sovranità restava assegnata al popolo ebraico. Lo stato della questione era riflesso nello Statuto del Mandato, in cui le componenti del titolo di sovranità del popolo ebraico sulla Palestina erano specificamente menzionate nei primi tre elementi citati nel Preambolo, cioè l'Articolo 22, la Dichiarazione Balfour e il collegamento storico del popolo ebraico con la Palestina. Queste tre componenti del titolo di sovranità furono i fondamenti per la ricostituzione della Sede Nazionale Ebraica in Palestina, come esplicitamente stabilito nel terzo elemento citato nel Preambolo. D'altra parte, poiché durante il periodo del Mandato il popolo ebraico era sotto la tutela della Gran Bretagna, era quest'ultima che esercitava gli attributi della sovranità ebraica sulla Palestina, come confermato dall'Articolo 1 del Mandato, che poneva il pieno potere legislativo e amministrativo nelle mani del Mandatario, con la condizione che questi dovevano rientrare nei termini del Mandato.
    Questa situazione avrebbe dovuto continuare fino a che il Mandato rimaneva in forza e il popolo ebraico vivente in Palestina non era in grado di stare in piedi da solo e quindi non era in grado di esercitare la sovranità attribuitagli con legge internazionale dalle principali Potenze alleate.
    Il momento decisivo del cambiamento arrivò il 14 maggio 1948, quando i rappresentanti del popolo ebraico in Palestina e l'Organizzazione sionista proclamarono l'indipendenza dello Stato ebraico, le cui foze militari controllavano solo una piccola parte del territorio originariamente assegnato alla Sede Nazionale Ebraica. Il resto del paese era in possesso illegale di stati arabi confinanti, i quali non avevano alcun diritto di proprietà su aree illegalmente occupate che storicamente erano parte della Palestina e Terra d'Israele, e non erano state pensate per l'indipendenza araba o per la creazione di un altro stato arabo. Questa è la ragione per cui Israele, che ha ereditato i diritti sovrani del popolo ebraico sulla Palestina, ha il diritto legale di mantenere tutti i territori che ha liberato nella Guerra dei Sei Giorni e che erano inclusi nella Sede Nazionale Ebraica durante il periodo del Mandato o costituivano parti integranti della Terra d'Israele illegalmente distaccate dalla Sede Nazionale Ebraica quando furono fissati i confini della Palestina nel 1920 e nel 1923. Per questa ragione nessuno può accusare Israele di "occupare" territori che secondo il diritto internazionale erano chiaramente parte della Sede Nazionale Ebraica o della Terra d'Israele. Quindi, tutto il dibattito incentrato sulla questione se Israele debba o no restituire "territori occupati" ai loro supposti proprietari arabi per avere pace è una delle più grandi falsificazioni della legge e della diplomazia internazionali.

Le responsabilità dei governi israeliani

Il più sorprendente sviluppo riguardo alla questione della sovranità sulla Palestina è che lo Stato d'Israele, quando ebbe finalmente un'opportunità di esercitare la sua sovranità su tutto il paese a ovest del Giordano dopo la vittoria ottenuta nella Guerra dei Sei Giorni del 10 giugno 1967, non lo fece, eccetto il caso di Gerusalemme. La Knesset, approvò comunque un emendamento alla "Law and Administration Ordinance" del 1948 aggiungendo la Sezione 11B che consentiva questa possibilità ed era una premessa all'idea che Israele possedeva una tale sovranità. Israele non rinforzò nemmeno l'esistente legge sulla sovranità approvata dal Governo Ben Gurion nel settembre del 1948, nota come "Area of Jurisdiction and Powers Ordinance", che richiedeva di incorporare immediatamente ogni area della Terra d'Israele che il Ministro della Difesa avesse dichiarato, per proclamazione, che doveva essere mantenuta dall'esercito di Israele.
    I diritti legali di Israele e il titolo di sovranità su tutta la Terra d'Israele - specificamente riguardo a Giudea, Samaria e Gaza - subirono un grosso salto indietro quando il Governo del Primo Ministro Menahem Begin approvò a Camp David l'Accordo quadro di pace per il Medio Oriente, in cui si propose che avvenissero trattative per determinare lo "stato finale" di quei territori. La frase "stato finale" era un sinonimo per la parola "sovranità". E' un fatto inescusabile che né Begin né i suoi consiglieri legali, incluso Aharon Barak, futuro Presidente della Corte Suprema di Israele, sapessero che la sovranità era già stata legalmente assegnata al popolo ebraico, e quindi allo Stato d'Israele, molti anni prima, alla Conferenza di pace di Sanremo. La situazione diventò ancora peggiore, raggiungendo il livello del tradimento, quando il Governo del Primo Ministro Yitzhak Rabin sottoscrisse la Dichiarazione di Principi (DOP) con l'Organizzazione della liberazione della Palestina (OLP) e accettò di cedere il 90% o più della Giudea e Samaria e la maggior parte di Gaza, in un periodo di transizione di cinque anni, al fine di "raggiungere una giusta, durevole e comprensiva composizione pacifica e una storica riconciliazione attraverso il processo politico di accordo" con gli arabi della Palestina. L'illegale cessione di territorio all'"Autorità Palestinese", originariamente chiamata "Consiglio" nell'Articolo IV del DOP fu occultato in quell'articolo con l'uso della parola "giurisdizione" invece di "sovranità". Un'ulteriore dissimulazione venne fuori con il riferimento compensativo al "raddoppiamento delle forze militari israeliane in Giudea, Samaria e nella Striscia di Gaza" per camuffare l'illegale atto del trasferimento di una parte della Sede Nazionale Ebraica all'OLP. Un modo per non dire pane al pane.

Le cause della falsa interpretazione del Mandato

Per capire come mai lo Stato d'Israele non crede ancora oggi nel suo titolo di sovranità su territori che anche da influenti politici e giuristi in Israele sono indebitamente chiamati "territori occupati", è necessario collocare le cause nel periodo del Mandato:

    1. La non-ratificazione del Trattato di Sèvres con la Turchia del 10 agosto 1920, che conteneva la Risoluzione di Sanremo sulla Palestina, e la non-inclusione di questa Risoluzione nel Trattato di Losanna del 24 luglio 1923, diedero l'errata impressione che lo stato legale della Palestina come un tutto non fosse mai stato definitivamente stabilito come Sede Nazionale Ebraica per legge internazionale e che la Turchia non avesse perso la sua sovranità fino alla firma di quest'ultimo trattato.
    2. Il non-rafforzamento della maggior parte dei termini del Mandato, secondo le loro autentiche intenzioni e significati, all'interno della stessa Palestina, sia da parte del Governo britannico che della magistratura amministrativa britannica, che servilmente assecondava il Governo fino al punto di abuso di potere.
    3. La deliberata falsa interpretazione del significato del Mandato da parte del Governo britannico, il quale supponeva che obblighi di ugual peso fossero stati presi a favore degli arabi di Palestina, mentre in realtà tali obblighi non erano mai esistiti. In particolare, non esisteva l'obbligo di favorire lo sviluppo di istituzioni di autogoverno a loro beneficio. Istituzioni che invece erano state pensate per la Sede Nazionale Ebraica.
    4. La pubblicazione di diversi Libri bianchi, a cominciare dal Libro bianco di Churchill del 3 giugno 1922 per finire con il Libro bianco di Malcolm MacDonald del 17 maggio 1939, il cui effetto fu di annullare i termini fondamentali del Mandato e impedire che sotto l'amministrazione britannica del paese venisse alla luce uno Stato ebraico occupante tutta la Palestina. Quello che ha fatto in sostanza la Gran Bretagna quando ha governato la Palestina è stato lo sforzo di favorire la falsa interpretazione del Mandato, invece di sottolineare il suo chiaro linguaggio e significato. Questo ha del tutto capovolto lo Statuto del Mandato e ha reso irrealizzabile il suo obiettivo di costituire uno Stato ebraico.
5.. L'illegale introduzione dell'Articolo 25 nello Statuto del Mandato, che dopo la sua applicazione il 16 settembre 1922 portò al distaccamento della Transgiordania dalla Sede Nazionale Ebraica ed ebbe anche un'influenza deleteria sull'amministrazione della Cisgiordania perché incoraggiò la falsa idea che esistessero diritti nazionali arabi non solo sulla zona distaccata dalla Sede Nazionale Ebraica al di là del Giordano, ma anche sulla parte restante.

Il risultato finale del sabotaggio britannico fu la falsa interpretazione, la distorsione e la categorica negazione di quello che il Mandato significava riguardo ai diritti legali ebraici e al titolo di sovranità sull'intera Palestina come originariamente previsti nella Risoluzione di Sanremo. E il Mandato divenne così indistinto, offuscato e confuso da non essere più alla fine né compreso né tenuto per vero. Neppure gli esperti legali dell'Agenzia Ebraica per la Palestina e l'Organizzazione sionista sostenevano la sovranità ebraica sull'intero paese nei loro documenti ufficiali o memorandum presentati al Governo britannico o alla Società delle Nazioni.
    La mutilazione dello Statuto del Mandato fu proseguita dalle Nazioni Unite, quando questa nuova organizzazione mondiale prese in mano la questione della Palestina. Il 31 agosto 1947 l'"United Nations Special Committee on Palestine" (UNSCOP) propose un illegale piano di partizione che riconosceva i diritti nazionali arabi nella Palestina occidentale, specificamente nell'area della Galilea occidentale, in Giudea e Samaria, nella pianura costiera meridionale da Ashdod fino alla frontiera con l'Egitto e una parte del Negev occidentale, compresa Beersheba e quella che poi diventò Eilat. Si direbbe che ai membri del Comitato rappresentante 11 stati e diretto dal Presidente della Corte svedese Emil Sandstrom non sia venuto in mente che le Nazioni Unite non avevano l'autorità legale di dividere il paese a favore degli arabi della Palestina, i quali non erano i beneficiari nazionali del Mandato con diritto di autodeterminazione. La negazione dei diritti legali del popolo ebraico sull'intera Palestina da parte delle Nazioni Unite era una chiara violazione del Mandato, che proibiva la partizione, e anche dell'Articolo 80 dello Statuto dell'ONU, che in effetti vietava l'alterazione dei diritti ebraici garantiti sotto il Mandato, indipendentemente dal fatto che fosse stata nominata un'istituzione fiduciaria per sostituirlo, cosa che avrebbe potuto essere fatta soltanto attraverso un precedente accordo degli stati direttamente interessati. L'illegale progetto di partizione, con qualche modifica territoriale fatta a maggioranza all'originale progetto presentato da UNSCOP, fu poi approvato dall'Assemblea Generale il 29 novembre 1947 come Risoluzione 181. L'Agenzia Ebraica per la Palestina, sotto il contraccolpo della perdita di sei milioni di ebrei nell'Olocausto, e nel tentativo di recuperare qualcosa dal malgoverno britannico sulla Palestina, accettò questa illegale Risoluzione. Facendo questo accordò credito alla falsa idea che la Palestina appartenesse sia agli arabi che agli ebrei, il che era un'idea estranea alla Risoluzione di Sanremo, al Mandato e alla Convenzione franco-britannica del 23 dicembre 1920. L'Agenzia Ebraica avrebbe dovuto riferirsi esclusivamente a questi tre documenti per dichiarare l'esistenza dello Stato ebraico su tutta la Palestina, anche se non era in grado di controllare tutte le zone del paese, seguendo l'esempio di ciò che avevano fatto in Siria e in Libano nella seconda guerra mondiale.

La passività americana di fronte alla perfidia britannica

Un altro aspetto della storia riguardante l'illegale negazione dei diritti legali ebraici e del titolo di sovranità sulla Palestina è stato l'atteggiamento assunto dal Governo degli Stati Uniti riguardo all'infame Libro bianco britannico del 17 maggio 1939. Gli Stati Uniti accettarono l'Amministrazione britannica della Palestina secondo il Mandato quando fu sottoscritta e ratificata la Convenzione anglo-americana del 3 dicembre 1924. Questa imponeva al Governo USA il solenne obbligo di denunciare ogni violazione britannica di questo trattato - che nel preambolo della Convenzione ripeteva ogni parola, sillaba e titolo dello Statuto del Mandato - senza guardare se la violazione danneggiasse i diritti americani o quelli del popolo ebraico. Ma quando fu pubblicato il Libro bianco nel 1939, il Governo USA non mosse un dito per denunciare la clamorosa illegalità contenuta nella nuova espressione della politica britannica che mandava in frantumi la Dichiarazione Balfour e il Mandato e recava immensa gioia alla parte araba. Accettarono l'incredibile tesi britannica secondo cui i cambiamenti effettuati dal Libro bianco ai termini del Mandato non richiedevano il consenso americano dal momento che nessun diritto degli USA o dei suoi cittadini era danneggiato, un argomento chiaramente falso. Questa passività americana di fronte alla perfidia britannica, che fu severamente denunciata dal venerabile David Lloyd George e perfino da Winston Churchill, che pure aveva lui stesso contribuito al tradimento del popolo ebraico e dei loro diritti sulla Palestina, permise al Governo britannico di uscire fuori indenne da quella gravissima violazione del diritto internazionale proprio nel momento in cui gli ebrei subivano la più grande catastrofe della loro storia. Non c'è alcun dubbio che l'Olocausto avrebbe potuto essere largamente prevenuto, o i suoi effetti mitigati, se i termini del Mandato fossero stati debitamente resi effettivi per consentire un massiccio afflusso di ebrei nella loro sede nazionale.
    La passività americana verso il Governo britannico fu particolarmente imperdonabile in quanto gli articoli del Mandato erano parte della legge interna degli americani, e gli USA erano il solo stato che avrebbe potuto obbligare la Gran Bretagna a ripudiare il malevolo Libro bianco e a ristabilire il diritto degli ebrei d'Europa a ottenere rifugio nella loro patria.
    Sia il Mandato, sia la Convenzione anglo-americana avevano cessato di esistere. Ma comunque, tutti i diritti del popolo ebraico che derivavano dal Mandato rimanevano pienamente in vigore. Questo è la conseguenza del principio dei diritti legali acquisiti che, applicati al popolo ebraico, significa che i diritti che avevano acquisito o erano stati riconosciuti come appartenenti a loro quando la Palestina fu legalmente creata come Sede Nazionale Ebraica non sono inficiati dalla scadenza del trattato o degli atti di diritto internazionale che furono la sorgente da cui questi diritti scaturirono. Questo principio esisteva già quando la Convenzione anglo-americana giunse al termine, contemporaneamente al Mandato per la Palestina, il 14-15 maggio 1948. Esso è stato codificato nell'Articolo 70(1) della Convenzione di Vienna del 1969 sul Diritto dei Trattati. Questo principio di diritto internazionale dovrebbe essere applicato perfino quando una delle parti del trattato non adempie gli obblighi che le sono imposti, come fu il caso del Governo britannico nei riguardi del Mandato per la Palestina.
    Il lato opposto al principio dei diritti legali acquisiti è la dottrina della preclusione, che è anch'essa di grande importanza per il mantenimento dei diritti nazionali ebraici. Questa dottrina proibisce ad uno stato di negare ciò che è stato precedentemente accettato o riconosciuto in un trattato o in un altro accordo internazionale. Nella Convenzione del 1924 furono riconosciuti tutti i diritti accordati al popolo ebraico sotto il Mandato, in particolare il diritto all'insediamento ebraico in ogni parte della Palestina o Terra d'Israele. Quindi, al Governo USA oggi è legalmente interdetto di negare il diritto degli ebrei in Israele di stabilire quegli insediamenti in Giudea, Samaria e Gaza che sono stati approvati dal Governo israeliano. Inoltre, agli Stati Uniti è anche interdetto di protestare per l'installazione di quegli insediamenti, perché essi sono basati su un diritto che è divenuto parte della legislazione interna americana dopo che la Convenzione del 1924 fu ratificata dal Senato americano e proclamata dal Presidente Calvin Coolidge il 5 dicembre 1925. Questa convenzione è finita, ma non sono finiti i diritti da essa accordati al popolo ebraico. La politica americana che si oppone agli insediamenti ebraici in Giudea, Samaria e Gaza potrebbe essere un adeguato oggetto di controllo giurisdizionale per la Corte USA, perché calpesta legittimi diritti ebraici riconosciuti in precedenza dagli Stati Uniti e tuttora facenti parte della legislazione interna. Un'azione legale per contrastare questa politica, se fosse accolta, potrebbe porre fine alle iniziative americane per promuovere il cosiddetto stato "palestinese" che abrogherebbe l'esistente diritto all'insediamento ebraico in ogni zona della Terra d'Israele che oggi si trova sotto un governo illegale [arabo-palestinese, ndt].

L'idea mistificante di un popolo e di una nazione mai esistiti

La più grave minaccia ai diritti legali e al titolo di sovranità sulla Terra d'Israele proviene sempre dalla stessa fonte che ha combattuto il ritorno degli ebrei nella loro patria, cioè l'insieme dei gentili di lingua araba che abitano accanto agli ebrei. Adesso non dicono più di essere arabi o siriani, ma "palestinesi". E questo ha prodotto un cambiamento di identità nazionale. Nel periodo del Mandato, come palestinesi si intendevano gli ebrei, ma gli arabi adottarono questo nome dopo che gli ebrei costituirono lo Stato d'Israele e cominciarono a chiamarsi israeliani. L'uso del nome "palestinesi" per intendere gli arabi non prese piede fino al 1969, quando le Nazioni Unite riconobbero l'esistenza di questa presunta nuova nazione, e successivamente cominciarono ad approvare risoluzioni dichiaranti la sua legittimità e gli inalienabili diritti della Palestina. L'intera idea che una tale nazione esista è la più grande mistificazione del ventesimo secolo, che continua immutata anche nel ventunesimo. Che si tratti di una mistificazione, può essere visto facilmente dal fatto che i "palestinesi" non hanno né una storia, né una lingua, né una cultura proprie, e in senso etnologico non sono essenzialmente diversi dagli arabi che vivono nei paesi confinanti di Siria, Giordania, Libano e Iraq. Il nome specifico della supposta nazione non è arabo in origine e deriva da radici di lettere ebraiche. Gli arabi di Palestina non hanno nessun collegamento o relazione con gli antichi Filistei da cui hanno preso il loro nuovo nome.
    E' un fatto della massima ironia e sbalordimento che la cosiddetta nazione palestinese ha ricevuto il suo più grande incremento proprio da Israele, quando questi ha consentito ad una amministrazione "palestinese" di impiantarsi nelle zone di Giudea, Samaria e Gaza sotto la direzione di Yasser Arafat.
    Il fatto che gli arabi di Palestina e della Terra d'Israele rivendichino gli stessi diritti legali del popolo ebraico viola il diritto internazionale creato in origine con la Risoluzione di Sanremo, il Mandato e la Convenzione franco-britannica del 1920. Fa parte della follia mondiale sopraggiunta dopo il 1969, quando il "popolo palestinese" ricevette il primo riconoscimento internazionale e l'autentico diritto internazionale è stato rimpiazzato da una legge internazionale sostitutiva costituita da illegali Risoluzioni ONU. La Quarta Convenzione di Ginevra del 1949 e le Regole di Hague del 1907 sono atti di autentico diritto internazionale, ma non hanno diretta applicazione o rilevanza per lo status legale di Giudea, Samaria e Gaza, che sono territori integranti della Sede Nazionale Ebraica e della Terra d'Israele sotto la sovranità dello Stato d'Israele. Questi atti dovrebbero essere applicati soltanto all'occupazione araba di territori ebraici, come è avvenuto tra il 1948 e il 1967, e non al caso del Governo israeliano sulla sua patria ebraica. La mistificazione del popolo palestinese e dei suoi pretesi diritti sulla Terra d'Israele, così come la farsa della citazione di uno pseudo-diritto internazionale a supporto della loro pre-costruita causa, deve essere denunciata e fatta cessare.
    Gli arabi della Terra d'Israele hanno attizzato una guerra terroristica contro Israele per ricuperare quella che considerano la loro patria occupata. Il loro obiettivo è una fantasia basata su un grosso mito e su una menzogna che non si possono compiacere, perché questo significherebbe la trasformazione della Terra d'Israele in un paese arabo. E' ora che il Governo d'Israele muova i necessari passi per rimediare quella che è diventata un'intollerabile situazione che minaccia di far perdere al popolo ebraico i suoi immutabili diritti alla sua propria e unica patria.

(A Journal of Politics and the Arts, Vol.2 / 2004 - trad. www.ilvangelo-israele.it)