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Per le strade d'Israele, inseguendo Dan Bahat

Impressioni sparse e frammentarie di un viaggio memorabile

di Marcello Cicchese

Entusiasmo
e passione
«Orrribile!» sentivamo dire con foga e inusuale frequenza dalla nostra eccezionale guida, l'archeologo di fama mondiale Dan Bahat, che per dodici anni è stato l'archeologo ufficiale di Gerusalemme e adesso guidava il nostro piccolo gruppo alla scoperta dei tesori d'Israele. Le erre che sentivamo erano proprio tre, e anche qualcuna di più, pronunciate con la corretta dizione della resh ebraica. E' incredibile il numero delle cose che Dan trovava orribili: dallo scempio che le autorità arabe fanno dei resti archeologici del secondo Tempio, al puzzo di sudore degli intabarrati ebrei ortodossi il cui corpo, secondo lui, vede l'acqua soltanto nei bagni rituali che precedono lo Shabbat; dalle nefandezze storiche di un criminale come Arafat, al goffo modo di abbigliarsi delle grasse turiste russe.
Ma all'aggettivo negativo si contrapponeva sempre, in continua alternanza, un altro positivo: «Bellissimo!» E le cose di cui Dan cercava di farci capire la bellezza erano davvero tante: un mosaico di cui forse noi vedevamo soltanto che era incompleto e rovinato, i resti di un'antica costruzione di cui ci sforzavamo di capire l'importanza, e tante, tante altre cose che ci presentava e spiegava con abbondanza di particolari e di entusiasmo.

All'inseguimento
di Dan Bahat
Per dieci giorni siamo stati al suo inseguimento, in senso fisico e culturale.
In senso fisico, perché non appena aveva finito una spiegazione partiva a razzo verso il luogo della successiva, e soltanto due o tre fra i più pronti riuscivano a rimanergli a ruota; il resto del gruppo si sgranava in una fila che col passare dei giorni e l'aumentare della stanchezza diventava sempre più lunga. «Ma dove trova tanta energia quell'arzillo vecchietto con i baffi alla Francesco Giuseppe Imperatore d'Austria e Ungheria?» mi chiedevo ogni tanto. E se qualche volta, nei momenti di particolare stanchezza, ero tentato di chiedere comprensione per la mia tarda età, mi ricordavo che Dan è mio coetaneo e andavo avanti in silenzio.
Inseguimento in senso culturale, perché cercavamo sinceramente, soprattutto nei primi giorni, di seguirlo da vicino nelle sue dettagliate spiegazioni archeologiche, storiche, religiose, ma alla fine, davanti alla mole enorme di informazioni che ci trasmetteva abbiamo dovuto accontentarci di seguirlo da lontano, cogliendo e ritenendo quello che ci sembrava più chiaro e importante, e rinviando l'approfondimento del resto ad un futuro più o meno prossimo, se mai ci sarà, quando cananei, erodiani, romani, bizantini, arabi, crociati, mamelucchi, ottomani riusciranno a trovare la giusta collocazione nella nostra mente.

Domande
imbarazzanti
Ma il guaio è che Dan ogni tanto si ricordava di essere non solo un ricercatore archeologico, ma anche un professore universitario. E i professori, si sa, oltre a dare spiegazioni fanno anche esami e domande. «E' chiaro? Avete capito tutti?» chiedeva ogni tanto con insistenza creando il panico nel gruppo. «C'è qualcosa che non hai capito?» chiedeva a quello che gli stava più vicino, e in quel momento i più lontani si rallegravano di non essere riusciti ad avvicinarsi di più a lui, come avrebbero voluto per sentire meglio le sue spiegazioni, perché di cose non capite ce n'erano sicuramente più di una.
Ma nessuno si è mai lamentato, né per lo sforzo fisico né per quello intellettuale: avevamo non soltanto la possibilità di essere fisicamente in Israele, ma anche il privilegio di affinare gli occhi culturali con cui potevamo guardarlo. Ed eravamo più che soddisfatti.

Informazioni
preziose
Abbiamo ricevuto informazioni e testimonianze di vario genere che mai avremmo potuto ricevere da altre guide. Come quando, per esempio, davanti a non ricordo quali resti archeologici ci ha spiegato, con crudo linguaggio e abbondanza di particolari tecnici, la differenza tra la circoncisione fatta dagli ebrei e quella fatta dagli arabi. Non c'entrava molto con tutto il resto, ma il discorso è stato interessantissimo.

Propositi
omicidi
Nella prima parte del viaggio abbiamo alloggiato nel kibbuz Ma'agan, sulla costa meridionale del lago di Gennesaret, e abbiamo visitato la Galilea. Tiberiade, Bet Alfa, Bet Shean, Zippori, Kursi, Capernaum, Korazin, Safed sono le città che abbiamo visitato nei primi tre giorni.
La sera del terzo giorno Dan ci ha annunciato: "Domani vi voglio ammazzare". E il giorno dopo, quando stavamo rincorrendolo mentre andava su e giù per i pendii del Golan, mi sono chiesto se aveva detto per scherzo o aveva fatto sul serio. Ma siamo sopravvissuti. Partendo dall'alto di una panoramica terrazza abbiamo fatto un lungo cammino, prima in discesa poi in salita, per raggiungere Gamla, la città asmonea soprannominata la "Masada del nord" per l'eroica e tragica difesa che ne fecero gli ebrei nel 67 d.C. davanti all'esercito di Vespasiano. Dopo le consuete, ricchissime spiegazioni di Dan abbiamo preso la via del ritorno verso il pullman. Questa volta il percorso scelto dalla nostra guida è stato più breve, ma a quale prezzo! Una ripida scarpinata che anche alle capre avrebbe dato qualche problema. Ma ce l'abbiamo fatta!

Una bella
soddisfazione
In questa occasione mia moglie ed io abbiamo avuto anche una soddisfazione personale che ci ha ampiamente ripagati della fatica fatta. Stavamo camminando insieme al gruppo quando inaspettatamente ha squillato il cellulare di Lidia, mia moglie. Era un messaggio di nostro nipote Giacomo, dieci anni, che dopo essersi impossessato del cellulare di sua madre aveva voluto darci di suo pugno una notizia importante: "Ciao nonni lo sapete che a scuola o preso un 10 sugli ebrei", era scritto letteralmente nel messaggio. L'ho letto ai presenti ad alta voce e il gruppo è scoppiato in un applauso. E il famoso archeologo Dan Bahat mi ha stretto con impeto la mano congratulandosi con me. Una bella soddisfazione, non c'è che dire. Ma le congratulazioni devono essere girate alla madre e alle sorelle della chiesa che istruiscono i bambini.
A casa Giacomo ci ha spiegato com'erano andate le cose: durante una lezione la sua maestra aveva detto che Abramo ha avuto Isacco a novant'anni, e lui l'ha corretta: "No, aveva cento anni". "Visto che tu ne sai di più, raccontaci qualcosa sugli ebrei", gli ha detto allora la maestra. Lui l'ha fatto e si è meritato un bel 10. Bravo Giacomo!

Lei non sa
chi sono io
Dopo la faticaccia di Gamla abbiamo visitato Katsrin e infine ci siamo avviati verso Tel Dan, un parco nazionale all'estremo nord del paese.
Lì è accaduto qualcosa che soltanto con Dan Bahat poteva accadere. Il parco di Tel Dan chiude alla cinque del pomeriggio, ma quando siamo arrivati abbiamo letto che le visite non possono iniziare dopo le quattro, e noi eravamo arrivati alle quattro e un quarto. Che avrebbe fatto una guida normale? "Cari signori, purtroppo siamo arrivati in ritardo e dobbiamo tornare indietro", avrebbe detto una guida normale. Ma Dan Bahat una guida normale non è, e quindi ha cominciato subito a litigare vivacemente con il guardiano del parco. Che cosa gli abbia detto e quali argomenti abbia usato per sostenere le sue ragioni forse non lo sapremo mai, ma a un certo punto l'abbiamo visto tornare indietro.
Arriva fino a noi ma non si ferma né ci spiega. Continua il suo cammino dirigendosi verso il pullman che avevamo lasciato più lontano. Sparisce alla nostra vista e noi rimaniamo lì senza sapere che cosa fare e che cosa pensare. Dopo un po' vediamo l'autista venirci incontro e farci segno di venire e salire. Andiamo e saliamo, ma Dan nel pullman non c'è. Ci accorgiamo poi che è salito con un'altra persona su una macchina davanti a noi, la quale parte in un'altra direzione. E il pullman la segue. Quando scendiamo la cosa si chiarisce: era partita una telefonata per il direttore del parco, il quale, saputo di chi si trattava, si è offerto di aprirci un altro cancello di accesso con le sue chiavi personali, lasciandoci il permesso di rimanere dentro fino alle cinque e mezza del pomeriggio. Un trattamento fuori dell'ordinario, certo, ma anche Dan Bahat è fuori dell'ordinario.

Un protagonista
della storia d'Israele
Quando siamo stati dentro il parco abbiamo capito perché Dan è davvero speciale. Gli scavi che ci ha mostrato erano in molti casi quelli a cui lui stesso aveva lavorato durante la guerra dei sei giorni. Ci ha indicato la collina da cui sparavano i siriani e ci ha spiegato gli accordi intercorsi tra esercito e archeologi. "Scavate - dicevano i militari agli archeologi - se trovate qualcosa, bene, altrimenti useremo i vostri scavi per le nostre fortificazioni". E ci ha parlato, tra una spiegazione e l'altra, di come si è contrapposto violentemente a Moshe Dayan per quello che permetteva di fare ai soldati con i reperti archeologici che trovavano, e di come si è rifiutato di presentarsi a lui quando l'ha convocato per un colloquio, perché - ci ha detto - "in quel caso l'autorità ero io, ed era lui che doveva venire da me". Abbiamo così potuto renderci conto di come in Israele l'archeologia si colleghi alla storia, non solo quella lontana, ma anche quella molto vicina a noi. E che di questa storia lo stesso Dan Bahat è un protagonista.

Quello che si può ottenere
facendo teatro
La sera in albergo ci ha fatto firmare una lettera di ringraziamento al direttore del parco per la cortesia che ci aveva usata. E ci ha informati che lui avrebbe aggiunto una sua lettera personale per spiegare al suo amico direttore il motivo per cui "aveva dovuto fare il teatro di essersi arrabbiato". "Fare il teatro di essersi arrabbiato!" Lidia ed io siamo rimasti colpiti da questa espressione. Dunque lui non era veramente arrabbiato, ma aveva "fatto scena" perché voleva ottenere un obiettivo. E l'ha ottenuto.
Questo ci ha fornito la chiave di spiegazione di un altro fatto, abbastanza grave, che ci aveva raccontato durante la visita. Gli archeologi avevano trovato a Tel Dan, sempre durante gli scavi del '67, i resti di un'antica costruzione di cui lui aveva capito subito l'importanza archeologica. Ma per non so quale motivo strategico il suo superiore negli scavi, che lavorava insieme a lui, aveva ricevuto l'ordine di rompere quel reperto con una ruspa. Per lui questo sarebbe stato un mostruoso scempio di enorme gravità scientifica, ma non aveva l'autorità per impedirlo. Ha risolto la cosa in questo modo: ha preso un piccone, e brandendolo in aria con viso minaccioso ha detto al suo superiore: "Se prendi quella ruspa io t'ammazzo!" Per un po' l'altro ha pensato che non facesse sul serio e ha provato ad andare avanti, ma poiché Dan continuava a ripetere la sua minaccia in tono sempre più infuriato e deciso, l'altro ha pensato bene che era meglio non correre rischi e per prudenza ha desistito. E lo scempio non è avvenuto. Per anni, in seguito - ci ha detto poi Dan - quella persona l'ha ringraziato, perché si era reso conto di quale gravità scientifica sarebbe stato lo sbaglio di rovinare quel reperto. Osiamo sperare allora che anche in quel caso Dan abbia "fatto il teatro di essere arrabbiato" per ottenere un obiettivo importante, ma non avesse avuto davvero l'intenzione di ammazzare quel povero tapino che in quel momento aveva il solo torto di non aver capito l'importanza scientifica di un reperto archeologico. Ma in ogni caso abbiamo avuto un altro scorcio della personalità di Dan Bahat.

A Gerusalemme,
guardando pietre
e incontrando persone
Il giorno dopo abbiamo percorso la costa settentrionale d'Israele, cominciando da Akko, e trascurando Haifa e il monte Carmelo ci siamo fermati a Cesarea. Di lì, dopo le consuete abbondantissime spiegazioni di Dan, siamo "saliti" a Gerusalemme. E lì siamo rimasti alloggiati fino alla fine del viaggio.
I quattro giorni pieni passati a Gerusalemme con Dan Bahat rimarranno impressi a lungo nella nostra memoria. Si partiva puntuali alle otto e mezza di mattina e non si tornava prima delle cinque del pomeriggio. Camminavamo in continuazione, con una mezz'ora o poco più di libera uscita per trovare qualcosa da mangiare: falafel o cose simili. Ma anche in questo caso, nessuna lamentela: era troppo interessante.
E poi Dan da solo era uno spettacolo. Ogni tanto incontrava qualcuno che lo conosceva: saluti rispettosi da parte di ex allievi o suoi ammiratori; fragorose strette di mano con gli amici che lo riconoscevano mentre circolavamo nelle viuzze del mercato arabo. Spesso poi ci spiegava chi erano le persone incontrate e che cosa si erano detti, in arabo naturalmente. Così ci siamo resi conto che Dan ha molti amici anche tra gli arabi. Uno di noi allora gli ha chiesto se lui si fida dei suoi conoscenti arabi. Ci ha pensato un po' su, poi ci ha raccontato una sua vicenda personale.
Qualche anno prima aveva avuto bisogno di fare delle ristrutturazioni nel suo appartamento, e non potendo rimanere in casa tutto il giorno aveva lasciato le chiavi di casa al muratore arabo con cui si era accordato. Dopo una decina di giorni il lavoro era finito e tutto era andato bene, ma qualche tempo dopo aveva letto sui giornali che quel muratore arabo era stato arrestato perché aveva partecipato ad un attentato in cui erano morte diverse persone. Il muratore è ancora in carcere e Dan ha detto che una cosa simile di certo non la farà più.
Il primo giorno a Gerusalemme abbiamo visitato il lungo tunnel che costeggia il muro occidentale del Tempio, a cui lo stesso Dan ha lavorato per anni. Durante il percorso abbiamo incontrato un drappello di militari. La persona che li guidava ha riconosciuto Dan, e dopo averlo salutato si è fermato a parlare con lui. Dagli sguardi che ci rivolgeva abbiamo capito che chiedeva a Dan chi erano quelle persone che stava accompagnando, e probabilmente si sarà meravigliato nel sapere che non erano noti archeologi, ma semplici amici che amano Israele. Ma quando Dan ci ha detto che quella persona era il portavoce di Tzahal, l'esercito israeliano, il gruppo è scoppiato spontaneamente in un lungo applauso. Il militare ha mostrato di apprezzare il segno di amicizia e col capo ha fatto un cenno di ringraziamento. Anche in questo modo pensiamo di aver reso un piccolo servizio ad Israele.
Più avanti abbiamo incontrato un gruppo di tre persone: una donna con un ragazzo e un giovane. Dopo aver parlato con loro, Dan ci ha spiegato: molti ebrei, soprattutto tra gli americani benestanti, hanno l'abitudine di festeggiare il Bar Mitzvah dei loro figli a Gerusalemme. Il ragazzo avrebbe celebrato il suo Bar Mitzvah pochi giorni dopo, e in quel momento stava seguendo insieme alla madre una guida che aveva il compito di istruirlo su fatti storici riguardanti Gerusalemme. Nel giorno della festa sarebbe stato il ragazzo a fare da guida agli invitati e a spiegare loro quello che aveva imparato. Anche queste sono tracce di Israele: tracce viventi di un popolo che esiste ancora, e non soltanto resti archeologici di un popolo che non esiste più.

Perché i cristiani
vanno in Israele?
Nei giorni successivi abbiamo visitato naturalmente alcuni dei classici posti di Gerusalemme: la chiesa del Santo Sepolcro, la tomba del giardino, il Cenacolo, la tomba di Davide, la spianata del Tempio, la città di Davide, il tunnel di Ezechia, il Monte degli Ulivi, i rotoli del Mar Morto. E spesso Dan ci indicava altri posti che avremmo dovuto visitare, ma non ne avevamo il tempo. "Sarà per il prossimo anno", ripeteva sempre, e questo avrebbe dovuto tranquillizzarci.
Anche se molti dei luoghi visitati hanno riferimenti con personaggi biblici, tra cui naturalmente Gesù, Dan ci ha detto che quasi nessuno di questi riferimenti può essere considerato storicamente sicuro. In certi casi anzi è chiaramente inventato, per motivi che a seconda dei casi possono essere turistici o idolatrici, o tutti e due insieme. Cenacolo e tomba di Davide sono esempi: il primo per i cristiani, il secondo per gli ebrei. Quasi sicuramente Gesù non ha niente a che vedere con quella stanza e Davide niente a che vedere con quella tomba. "Ma chi c'è allora dentro quella cassa sepolcrale intorno alla quale ebrei ortodossi pregano e lanciano grida?" gli ha chiesto qualcuno. "Un cavaliere crociato - ha risposto Dan -, ma se lo diciamo in modo chiaro e pubblico chissà che cosa succede".
Questo mi ha portato a fare alcune considerazioni e a pormi alcune domande. Perché molti vengono in Israele? Una risposta ovvia e semplice può essere: per motivi turistici. E certamente è una risposta più che giustificata, perché è indubbio che Israele, qualunque cosa si pensi o si creda, è un posto di un interesse unico. Ma perché ci vogliamo andare noi cristiani in quanto cristiani? Probabilmente perché desideriamo vedere i luoghi stessi in cui è stato Gesù, e certamente in qualche modo ci riusciamo: Gerusalemme, il Giordano, Nazaret, Betlemme, Capernaum, il lago di Galilea, Betsaida sono sempre lì, non si sono spostati. Ma sono sempre gli stessi? Possiamo davvero scorgere in quei luoghi qualche precisa e concreta traccia della vita terrena di Gesù? Se questo è il nostro desiderio profondo, siamo destinati ad essere o delusi o ingannati. Le tracce autentiche e fondamentali della persona di Gesù sono altre: sono quelle lasciate nei Vangeli dalla sua parola. Cercarne altre più valide e fondanti può condurre soltanto allo sviamento dell'idolatria. E come sappiamo, molti ci sono caduti e ci cadono ancora.
Le sole, indiscutibili tracce storiche e attuali di Gesù sono quelle lasciate indirettamente dal suo popolo: Israele. E queste sono riconoscibili, sia nel passato storico, sia nel presente politico. L'importanza grandissima del nostro viaggio sta proprio nel fatto che Dan Bahat, da scienziato ebreo sionista non religioso, ma attento alla verità storica, nelle sue esposizioni ha inserito con naturalezza fatti di Gesù riportati nei Vangeli nell'ambito della storia passata e presente del popolo di Israele a cui egli appartiene, mostrandocene via via le tracce, sia quelle lasciate dalle pietre che osservavamo, sia quelle lasciate dalle persone che incontravamo. So che a qualcuno sembrerà un'enormità, ma la dico ugualmente: gli intabarrati ebrei ortodossi vestiti di nero che ti passano accanto senza degnarti di uno sguardo e gli allegri gruppi di giovani militari che rispondono al saluto e ti sorridono, sono tracce indirette di Gesù: tracce visibili del suo popolo e della verità della sua parola.

La faticaccia
di Masada
L'ultimo giorno abbiamo visitato Qumran e Masada. Sotto il sole. Una faticaccia. Ma ne valeva la pena. Ci ero già stato con mia moglie due anni fa, ma questa volta è stato diverso. Dall'alto di Masada Dan Bahat ci ha mostrato in basso i segni degli accampamenti romani e ce ne ha indicato in particolare uno: "Lì sono vissuto in tenda per tre anni con il gruppo di archeologi che ha fatto scavi qui a Masada", ci ha comunicato. E' chiaro allora che su quei resti Dan aveva cose da raccontarci che non si trovano nelle normali guide turistiche. Ogni tanto dopo una spiegazione aggiungeva: "Ecco, questo l'ho scavato io".
Ha avuto a che fare anche con Ben Gurion, che non vedeva di buon occhio Masada, perché secondo lui un suicidio di massa di ebrei non era un buon esempio per i giovani israeliani. Ma gli archeologi gli fecero cambiare parere, e una volta il grande leader d'Israele si decise a fare una visita ufficiale agli scavi della fortezza. Proprio in quei giorni i ricercatori avevano fatto una scoperta interessante (che naturalmente Dan ci ha spiegato nei particolari ma io non mi azzardo a ripetere per tema di essere impreciso); gli archeologi ebbero modo di illustrargliela e di convincerlo ad appoggiare il proseguimento dei lavori.

Un vero uomo
La sera ci siamo radunati tutti in albergo intorno a Dan e a sua moglie, che in quell'occasione era venuta a prenderlo. Era l'ultima sera del nostro viaggio e naturalmente volevamo tutti ringraziarlo e salutarlo. Uno di noi aveva preparato un foglio con le foto di tutti i membri del gruppo. Dietro al foglio era scritto:
    Noi non abbiamo conosciuto solo
    l'Archeologo di Gerusalemme, famoso in tutto il mondo,
    un personaggio che lascerà un segno nella storia d'Israele,
    una persona squisitamente gentile e simpatica,
    una persona piena d'ironia verso se stessa,
    una persona che ricerca la giustizia;
    ma abbiamo avuto il privilegio
    di conoscere un uomo,
    un vero Uomo!
    Grazie Dan, per tutto quello che ci hai trasmesso con passione.

    Jerushalaym, 5 maggio 2012
La Bibbia, un libro
di verità storica
Il viaggio a cui abbiamo partecipato è stato pensato e organizzato da EDIPI (Evangelici d'Italia per Israele), ma pur essendo i partecipanti in grande maggioranza evangelici, il viaggio non ha avuto una particolare accentuazione religiosa. Scopo dell'iniziativa in questo caso era quello di accertare, fare proprio e se possibile diffondere un particolare tipo di verità archeologica e storica contro cui si accaniscono le forze della menzogna politica e religiosa. E a questo scopo la scelta di Dan Bahat come guida non poteva essere migliore: ne va dato il merito e il ringraziamento ai responsabili di EDIPI. Da loro è venuta anche un'altra ottima idea: in certi momenti, quando ci trovavamo in un luogo che aveva chiari e precisi riferimenti a fatti o profezie bibliche, uno di loro ha aperto la Bibbia e ha letto ad alta voce il passo corrispondente, senza fare commenti o discussioni, ma sottolineando in questo modo il fatto che la Bibbia è un libro di verità storica, non una raccolta di belle favole.

Prima di separarci
Prima di separarci da Dan Bahat e da sua moglie, gli organizzatori mi hanno chiesto di elevare a Dio una preghiera di ringraziamento per il viaggio e di benedizione per la nostra incomparabile guida. Cosa che naturalmente ho fatto, ringraziando il Signore nel nome di Gesù. A Lui sia la gloria!

(Notizie su Israele, 17 maggio 2012)