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Notizie 1-15 agosto 2021


Scontro diplomatico fra Polonia e Israele

È crisi politica conclamata fra Israele e Polonia dopo la decisione del presidente Andzej Duda di firmare a Varsavia una legge che limita i diritti dei sopravvissuti all'Olocausto o dei loro discendenti di reclamare le proprietà sequestrate dall'ex regime comunista. Per Israele si tratta proprio di un insulto alla Shoah. Per questo sono state prese subito drastiche misure diplomatiche.

IL RITIRO DELL'AMBASCIATORE DA VARSAVIA
  "La Polonia ha approvato una legge antisemita e immorale, come accaduto anche in passato. Ho chiesto all'incaricato d'affari dell'ambasciata israeliana a Varsavia di tornare immediatamente in Israele per consultazioni a tempo indeterminato": ha tuonato il ministro degli esteri israeliano Yair Lapid.

LA LEGGE E L'OLOCAUSTO
  La legge non fa esplicito riferimento all'Olocausto tuttavia stabilisce che qualsiasi decisione amministrativa emessa 30 anni fa (ed oltre) non può più essere impugnata, cio' significa che i proprietari di immobili a cui sono state sequestrate case o attività in epoca comunista non possono più avere risarcimenti. Dal canto suo la Polonia intende porre fine a "un'era di caos legale" e a manovre di nuove privatizzazioni. Il governo afferma che ripristinerà la certezza del diritto sul mercato immobiliare e bloccherà le false richieste di restituzione.
   La crisi diplomatica tra il nuovo governo israeliano e il governo conservatore nazionalista polacco, dopo anni di stretti legami sotto l'ex primo ministro Benjamin Netanyahu, evidenzia una svolta del nuovo esecutivo che comprende alti funzionari figli di sopravvissuti all'Olocausto che adottano una politica molto più conflittuale nei confronti di Varsavia.
   Il ministero degli Esteri israeliano ha anche affermato di raccomandare all'ambasciatore polacco, che è in vacanza in patria, di non tornare in Israele.

(euronews, 15 agosto 2021)


Fiamme sulle colline di Gerusalemme, impiegati aerei ed elicotteri

Evacuazione preventiva di circa diecimila persone da diverse comunità.

di Filippo Zanoli

TEL AVIV - Un vasto incendio di una foresta ha costretto, stando ai media locali, all'evacuazione di circa 10mila persone di 6 comunità sulle Colline della Giudea non distanti da Gerusalemme.
Dal fuoco - che ha un fronte di circa 13 chilometri a occidente della città ed è alimentato da un forte vento - si innalza un fumo denso che ha anche oscurato il sole del pomeriggio. Secondo i pompieri e le forze di soccorso si tratta di uno dei maggiori degli ultimi anni.
Il premier Naftali Bennett ha interrotto una seduta del Consiglio di sicurezza per consultazioni sugli interventi da assumere. Nell'operazione di contenimento dell'incendio sono attualmente impiegati 60-70 pompieri, 12 aerei ed elicotteri antifiamme.

(Ticino online, 15 agosto 2021)


L'Italia boicotti il vertice antisemita

«Non possiamo sposare le idee di chi vuole cancellare Israele». Intervista ad Antonio Tajani.

- Onorevole Antonio Tajani, il 22 settembre ci sarà la riunione Onu per il ventesimo anniversario della Dichiarazione di Durban, conferenza diventata sinonimo di intolleranza verso Israele. Stati Uniti, Canada, Australia, Austria, Repubblica Ceca, Olanda, Francia hanno annunciato che non parteciperanno. Cosa deve fare il governo italiano?
  «Partecipare significherebbe incentivare l'antisemitismo. Non possiamo sposare le posizioni di chi vorrebbe cancellare Israele dalla carta geografica. Ricordo nel 2009 quando il ministro Frattini annunciò che l'Italia non avrebbe preso parte alla conferenza e quando Berlusconi sposò la proposta di Marco Pannella per l'ingresso di Israele nell'Unione Europea. L'Europa e il mondo hanno delle colpe verso il popolo ebraico, non possiamo abbandonarlo adesso. Tanto più in un momento storico in cui rischiamo la nascita di un nuovo Stato islamico con la vittoria dei talebani».

- C’è chi sostiene che dovrebbe esserci una risposta comune di tutti gli Stati dell'Ue. Cosa ne pensa?
  «Sì, l'Europa deve dare un segnale di fermezza e sostenere paesi che rappresentano presidi di democrazia, penso anche alla Giordania e al Marocco. Sulla difesa di Israele non può esserci titubanza, altrimenti rischiamo di accreditare chi compie azioni antisemite. Non bisogna concedere alcuna sponda perché si rischia di favorire l'estremismo e il fondamentalismo. Siamo per la pace, siamo convinti che debbano esserci due Stati, ma non possiamo pensare che Israele non abbia diritto a esistere e a difendersi. Non ci si può mettere dalla parte del carnefice dando del carnefice alla vittima»

- Questa conferenza rischia di produrre un contraccolpo sulla credibilità delle Nazioni Unite?
  «Purtroppo alcuni Paesi fondamentalisti cercano di utilizzare l'Onu per i loro fini, ma le Nazioni Unite non possono essere trasformate in uno strumento di propaganda, devono essere equidistanti e lavorare per la pace, senza farsi strumentalizzare, altrimenti si mette a rischio il multilateralismo. Sostenere tesi che di fatto incitano all'odio razziale, dimenticando quanto l'Europa ha vissuto con l'Olocausto e quanto ancora continua ad accadere, penso agli assurdi rigurgiti antisemiti e al negazionismo, non è assolutamente tollerabile. lo, peraltro, continuo a essere favorevole e credo sia necessario che si continui a lavorare affinché l'Unione Europea ottenga un seggio nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Rappresenterebbe un segnale di forza e una dimostrazione di unità».

(il Giornale, 15 agosto 2021)


*


L'Italia boicotti la conferenza antisemita dell'Unesco

Dal 2001 la Conferenza Unesco di Durban attacca Israele.

di Fiamma Nirenstein

Adesso tocca all'Italia. Mario Draghi sa benissimo che il nostro Paese non deve consentire alla vergogna di Durban di ottenere di nuovo un palcoscenico mondiale. Macron ha annunciato che la Francia parteciperà alla quarta replica della conferenza del 2001 che - sotto l'egida dell'Unesco e col titolo fasullo di «Conferenza contro il razzismo, la xenofobia e l'intolleranza» - ha gettato le basi teoriche e politiche dell'attuale ondata di letale antisemitismo. Un nucleo di rabbioso antisionismo, che attacca insieme Israele e il popolo ebraico e non nasconde il suo scopo genocida. Un movimento pericoloso perché senza confini geografici, sposato col terrorismo e con la violenza e travestito coi panni dei diritti umani e della «critica legittima» a Israele.
  La quarta replica di questa conferenza avrà luogo il 22 settembre: gli USA, il Canada, la Germania, Israele, la Repubblica Ceca, la Gran Bretagna e l'Olanda hanno già annunciato il loro boicottaggio. Lo stesso deve fare l'Italia e così rifiutare la criminalizzazione dello Stato d'Israele e l'antisemitismo che essa genera. A Durban nacquero gli slogan di Israele stato razzista, di apartheid e genocida contro ogni realtà dei fatti, dato che lo Stato Ebraico, spasmodicamente democratico, pratica una politica che è l'opposto di questa. A Durban si disegnò l'idea dell'occupazione «fuorilegge», in spregio agli accordi di Oslo firmati da Rabin e Arafat e contro tutta la storica discussione giuridica sull'argomento. A Durban iniziò la propaganda contro l'occupazione «illegittima e coloniale» dei territori, senza mai tirare in ballo le tante altre occupazioni, come quella Turca di Cipro o quella Cinese del Tibet... A Durban 2001, da inviata della Stampa, ho raccontato giorno dopo giorno incredula come Arafat, Fidel Castro, Mugabe, forti del sostegno antiamericano e antisraeliano basato sulla tradizione sovietica, inveissero a turno dalla tribuna. Nelson Mandela era là presente; mentre le delegazioni di tutto il mondo si agitavano inquiete senza sapere che fare,loro propagandavano il loro odio antisemita: Israele era uno Stato di apartheid che doveva cessare di esistere; Israele era lo zombie del colonialismo contemporaneo, mentre lo Stato palestinese - mai esistito - era il simbolo di salvezza. E mentre i terroristi palestinesi con la seconda Intifada compivano strage di donne e bambini nelle strade di Gerusalemme, a Durban gli ebrei - da assassini di Cristo, razza inferiore da cancellare e infedeli invasori dell'islam - diventavano una bestemmia fatta popolo, in questo mondo che venera a senso unico i diritti umani.
  Nell'emiciclo semibuio, affollato e confuso, le delegazioni perplesse uscivano nel corridoio per cercare un accordo impossibile sulle risoluzioni. Dalla delegazione italiana Margherita Boniver si batteva coraggiosamente, quando ci incontravamo nei corridoi ci scambiavamo parole disperate. Negli intervalli incontravo altri ebrei come me, rifugiati e inseguiti, agli speaker veniva impedito di prendere la parola. Le Ong, in mobilitazione permanente, distribuivano materiali di odio antiebraico come i Protocolli dei Savi di Sion, indossavano la kefiah, terrorizzavano la delegazione israeliana. I tutsi, i tibetani, i guatemaltechi del Premio Nobel Rigoberta Manchu che si aggirava nei suoi abiti multicolori, gli «intoccabili» indiani, gli Uiguri: tutti gli oppressi furono ridotti a comparse della ben programmata guerra contro Israele.
  Oggi rischiamo, andando a Durban di rinvigorire le teorie razziste che l'hanno dominata. La vergogna della celebrazione di un simile evento deve essere evitata per il bene dell'umanità. Accusare Israele di genocidio e di razzismo, delegittimarne l'esistenza stessa, è il nutrimento primario del movimento antisemitia contemporaneo in continua crescita, che in più si è arricchito in questi ultimi tempi del termine «suprematismo». Sulla linea dell'equivoco di Durban, le folle - impugnando a piacere la bandiera dei diritti umani, quella dei musulmani contro l'islamofobia, o dei neri contro il razzismo («Black lives matter») -, gridano che la Palestina sarà libera e chiedono la cancellazione di Israele. A Londra si è sentito gridare «fuck the Jews» («fanculo gli ebrei»); a Los Angeles in un ristorante hanno chiesto «chi è ebreo qui?». Signor Primo Ministro, chiudiamo almeno questo rubinetto d'odio, passato negli anni nelle mani di Gheddagi e del negazionista Ahmadinejad. Nel 2001, sotto il cielo del Sudafrica liberato dall'apartehid, la cronista vide ondeggiare i ritratti sollevati bene in alto di Osama Bin Laden. Pochi giorni dopo, tornata a Gerusalemme, vidi in diretta il disastro che ha cambiato il mondo.

(il Giornale, 15 agosto 2021)


Gli sposi sotto alla chuppà: chi va destra? il valore delle usanze locali

Gli sposi sotto alla chuppà: chi va destra? Il valore delle usanze locali

di Rav Riccardo Di Segni

Mi è capitato in questi ultimi tempi di celebrare matrimoni in cui lo sposo o la sposa non erano romani, o sono stati invitati rabbini non romani, e ogni volta c’è stato un po’ di imbarazzo sul posizionamento degli sposi sotto la chuppà. Nella comune consuetudine romana la sposa si colloca alla destra dello sposo, in altri luoghi sta alla sua sinistra, e quando si confrontano diverse tradizioni c’è sempre un problema da risolvere. In questo caso sembrerebbe un problema di poco conto, ma dietro c’è una lunga storia, che proprio a Roma ha avuto un suo sviluppo particolarmente acceso. Questa storia è venuta alla luce recentemente, in un articolo scritto da Eliezer Baumgarten e Uri Safrai (Mechqare Yerushalaim beMachshevet Israel, 5781 n. 26) e vale la pena raccontarla almeno per sommi capi.
  I dettagli di ogni procedura cerimoniale di solito sono definiti, e il matrimonio non fa eccezione. Solo che alcune cose sono prescritte chiaramente, anche se esistono tradizioni diverse, altre sono meno definite, e ci si rifà alla consuetudine, al minhàg. Di solito siamo molto attenti al minhàg, che è una sorta di specifica identità locale, e facciamo bene a difenderlo. Ma molto spesso un minhàg che a tutti sembra normale e consolidato, non sappiamo in realtà a quando risalga, chi l’ha istituito e perché. Qualche volta ha radici antichissime, anche millenarie, ed è documentato in testi accreditati; altre volte è relativamente più recente, anche di pochi decenni, anche se sembra chissà quanto antico, e ha soppiantato altri minhaghìm. Tornando alla posizione degli sposi tutti sappiamo che a Roma si fa così e le memorie personali e le foto più antiche possono dimostrarlo. Ma da quando? A questa risposta è difficile rispondere con precisione, ma ora ci sono documenti di 500 anni fa che dimostrano che su questo problema si scatenò una piccola tempesta.
  I primi decenni del ‘500 furono turbolenti per l’arrivo dei profughi spagnoli e dell’Italia meridionale, per il continuo afflusso da nord, per eventi drammatici come il sacco di Roma del 1527. Ogni nuovo arrivato portava le sue tradizioni ovviamente sostenendo che quelle sue erano quelle giuste. Qualcuno dei locali protestò per l’invasione e l’ingerenza (scenario consueto che si ripete anche oggi). Nel 1538 dirigenti comunitari, che allora erano i tre “massari”, vollero andare fino in fondo per capire quale fosse l’originaria tradizione romana e fecero dei quesiti, a Roma e altrove. Di questa corrispondenza ci è rimasta qualche traccia, soprattutto in due risposte di orientamento diverso. Un rabbino romano, Yehudà ben Michael, che era anche un medico importante (chiamato abbìr harofeìm, “campione dei medici”) scrisse una vibrante protesta contro l’abitudine, che secondo lui era stata di recente importata da fuori, mentre nelle antiche tradizioni romane, confermate da testimonianze di anziani, la sposa era sempre stata a sinistra. Chi fossero gli importatori del nuovo uso non lo dice, ma dovevano essere gente del nord, presumibilmente ashkenaziti. Ma la domanda dei massari circolò e da Recanati arrivò una risposta di tutt’altro senso. Il rabbino Yaacov Israel Finzi, con toni ispirati, nel paese dove tre secoli dopo sarebbe fiorito Leopardi, parlò del valore della donna e della sposa, portando avanti una tesi del tutto opposta a quella del rabbino romano: la sposa per lui deve stare a destra dello sposo. (Pietro Perugino,"Sposalizio della Vergine",1502 - Raffaello Sanzio,"Sposalizio della Vergine",1504 )
  La polemica tra i due rabbini è interessante per tanti motivi, e uno di questi è il tipo di argomenti portati, che sono essenzialmente basati sulla kabbalà. Si tratta insomma di una discussione sui simboli della mistica ebraica e sulle conseguenze che ne derivano nella regola pratica. Per spiegare molto brevemente i termini della questione, bisogna capire che nella kabbalà il ricorso a immagini simboliche è essenziale e tra le tante sono importanti le contrapposizioni destra-sinistra, maschio-femmina, chesede din (passione e giustizia). Nei mondi superiori gli attributi divini, le sefirot, si dispongono con queste contrapposizioni. Secondo i kabbalisti negli atti che compiamo, soprattutto con valore rituale, bisogna rispettare e imitare la struttura dei mondi superiori, in cui l’elemento maschile sta a destra e quello femminile a sinistra. Tutta la scena delle nozze che si svolge sotto a una chuppà, è interpretata nei suoi dettagli come una imitazione dei mondi superiori delle sefirot. Per questo motivo, ragiona il rabbino romano, se in alto la “femmina” sta a sinistra, tale deve essere la sua posizione sotto la chuppà. A rinforzo della sua tesi porta alcune citazioni da testi di kabbalà tra cui una dallo Zohar in cui si dice che la costola di Adamo da cui venne creata Eva era una costola sinistra (particolare che la Torà non dà). Nel 1538 lo Zohar non era stato ancora stampato e il problema è che questo brano non si trova nelle edizioni stampate e nei manoscritti.
  La risposta di Finzi, che era un esperto di kabbalà e forzava le decisioni di halakhà in base alle dottrine kabbaliste, è che è vero che la donna ha una simbologia a sinistra, ma proprio per questo, nel momento delle nozze, la sposa si deve collocare a destra, in modo tale che la carica di severità, propria della sinistra, si addolcisca e si trasformi in amore.
  C’è un altro aspetto che entrambi discutono, e è l’insegnamento più esplicito sul problema della posizione degli sposi, proveniente da Eleazar di Worms (Magonza 1176-1238), autorità rabbinica riconosciuta, talmudista e attivo nel movimento del Hasidismo tedesco. Diceva rabbi Eleazar che il fatto che la sposa debba stare alla destra è indicato da un versetto dei Salmi (45:10) dove è detto נצבה השגל בימינך, “la compagna sta alla tua destra”. Secondo il rabbino romano, Eleazar di Worms si ferma al significato letterale, è un filosofo (termine che ha connotazioni polemiche e offensive) che non capisce il senso profondo dell’espressione; secondo Finzi si tratta di accuse molto irrispettose mentre il parere di rabbì Eleazar va rispettato al massimo.
  Non sappiamo come sia andata a finire la discussione nel 1538 e quando si è arrivati a Roma a una decisione definitiva. Certo è che prima e dopo in ogni luogo sono andate avanti le opposte tradizioni. Anche le testimonianze iconografiche, in cui si rappresentano in manoscritti ebraici miniati le nozze, danno indicazioni contraddittorie. E potrebbe essere una fonte importante anche l’iconografia cristiana che rappresenta “lo sposalizio della vergine”, un episodio di storia cristiana narrato nei Vangeli apocrifi, ma che aveva ebrei come protagonisti; i pittori in qualche modo rappresentavano una scena ebraica in cui uomini e donne sono divisi e Giuseppe infila un anello nelle dita di Maria; quanto alla destra e sinistra, poco prima della discussione romana, nel 1504, due grandi pittori si cimentarono sul tema con due scene che sono entrate nella storia dell’arte; Pietro Perugino, che lavorava a Perugia, e il suo giovane allievo Raffaello Sanzio che in quel momento stava a Città di Castello. Nei due quadri le posizioni degli sposi sono invertite. Perugia e Città di Castello erano sedi di importanti comunità ebraiche; in particolare da Città di Castello, venti anni prima, era partito per recarsi in terra d’Israele il suo rabbino, Ovadià da Bertinoro.
  Tornando alle fonti ebraiche, in un testo sul matrimonio (Chuppat Chatanima pag. 33a) scritto dal livornese Refael Meldola (1754-1828) che fu rabbino dei Sefarditi di Londra, si dice che le tre parole dei Salmi, citate da Eleazar di Worms, contengono nelle lettere finali la parola kallà, sposa; aggiunge un insegnamento del Chidà (Azulai) che avrebbe sentito a nome di Izchaq Luria (haArì haqadòsh) che quanto indicato dal Salmo andava bene fino a che è esistito il Santuario, ma ai nostri giorni bisogna mettere lo sposo a destra, perché un versetto dice השיב אחור ימינו “ha tirato indietro la Sua destra”(Ekhà 2:3).
  Insomma, questo è il tipico caso in cui a sostegno di opposte letture vi sono autorità e fonti di tutto rispetto, e non rimane che conformarsi all’uso locale, ammesso che esista….

(Shalom, 15 agosto 2021)


Morto l’ultimo sopravvissuto alla Rivolta del Ghetto di Varsavia

Leon Kopelman, l’ultimo sopravvissuto noto alla rivolta del ghetto di Varsavia del 1943 contro i nazisti tedeschi, è morto venerdì all’età di 97 anni.

Kopelman è nato in Polonia nel 1924. Quando i nazisti occuparono il paese e fondarono il ghetto di Varsavia, la sua famiglia fu costretta in una piccola casa nella prigione a cielo aperto. Durante la sua permanenza lì, Kopelman divenne attivo nell’esercito ebraico sotterraneo che resistette alle deportazioni ebraiche nei campi di sterminio. La Zydowska Organizacja Bojowa, o ZOB, è stata costituita nell’estate del 1942 durante un’ondata di due mesi di deportazioni verso il campo di sterminio di Treblinka, secondo Yad Vashem.
   “Ho combattuto nel ghetto di Varsavia dopo l’inizio delle Aktions, quando i tedeschi hanno iniziato a portare gli ebrei all’annientamento. Nel 1942, quando avevo 18 anni e mia madre 40, fu portata a Treblinka. Un giorno sono tornato dal lavoro per i tedeschi e lei se n’era andata”, ha detto Kopelman a Ynet news nel 2018. Si unì alla più grande rivolta degli ebrei durante la seconda guerra mondiale, uccidendo soldati tedeschi nel ghetto in battaglie prima dello scontro finale nell’aprile 1943. Kopelman fu catturato dai nazisti e invece di essere mandato a Treblinka con gli altri combattenti, fu mandato a lavorare come meccanico in un’officina di Varsavia, dopo aver mentito sulla sua esperienza, cosa che gli salvò la vita. Fu liberato dai combattenti della resistenza polacca nel settembre 1944 e si unì a loro nei loro sforzi contro i nazisti tedeschi.
   Kopelman alla fine utilizzerà documenti di identità falsi per raggiungere l’Italia e poi imbarcarsi su una nave illegale diretta in Israele dove è stato ricongiunto con sua sorella e suo padre. Si è unito alle forze di difesa israeliane e ha combattuto nella guerra d’indipendenza nel 1948. Incontra poi sua moglie e cresce una famiglia numerosa, che secondo lui fu la sua più grande vittoria sui nazisti. Sua moglie, Hava, con cui era sposato da quasi 70 anni, è morta diversi mesi fa. Lasciano tre figli, nove nipoti e tre pronipoti.
   Inizialmente si pensava che Simcha Rotem fosse l’ultimo combattente sopravvissuto alla rivolta del ghetto di Varsavia fino a quando Kopelman non disse che anche lui era un combattente. Rotem è morto nel 2018.

(Bet Magazine Mosaico, 15 agosto 2021)


Per un paese meno inquinato

di Aviram Levy

Nelle scorse settimane il governo israeliano ha adottato un piano che prevede una significativa riduzione delle emissioni di gas serra entro il 2050; con questo piano Israele ottempera al Trattato internazionale firmato a Parigi nel 2015 da 196 paesi che punta a contenere il surriscaldamento globale. Secondo alcuni studi, Israele è più esposta di altri paesi agli effetti del riscaldamento globale a causa della sua posizione geografica, Sulla carta il piano è ambizioso ma è stato oggetto di numerose critiche da parte delle associazioni ambientaliste israeliane. Il piano è articolato per settore economico e per ognuno di questi fissa degli obiettivi specifici: nel settore dei rifiuti solidi urbani, entro il 2030 le quantità gettate in discarica si dovranno ridurre del 70% rispetto ai livelli attuali. Nel campo dei trasporti gli obiettivi sono altrettanto ambiziosi: nel 2030 le autovetture immatricolate dovranno emettere il 5% (un ventesimo) di ossido di carbonio rispetto alle vetture immatricolate nel 2020; dal 2026 tutti i nuovi autobus per il trasporto urbano dovranno essere elettrici (attualmente ce ne sono solo 80 in circolazione). Infine, nel 2026 le emissioni originate dalla produzione di elettricità e dall’industria dovranno ridursi del 30%.
  Nonostante l’apparente serietà del piano esso è stato subissato di critiche, di tre tipi. In primo luogo Israele è uno dei pochi paesi che non si è dato l’obiettivo di azzerare completamente le emissioni nette nel 2050, ma solo di ridurle. In secondo luogo il Governo non ha stanziato fondi per finanziare gli obiettivi del piano: come è noto, la riduzione delle emissioni inquinanti richiede da un lato una riconversione di numerosi settori dell’economia (industrie inquinanti, settori ad alto consumo di energia, etc.), dall’altro comporta una tassazione dei combustibili fossili (carburanti, gas per uso domestico) che penalizza i ceti meno abbienti e richiede sussidi alle famiglie. Senza fondi, affermano gli ambientalisti, il Piano non ha speranza di essere attuato. In terzo luogo, il Piano non ha forma di Legge approvata dal Parlamento, che vincolerebbe il Governo e lo esporrebbe a una chiamata in giudizio per inadempienza, ma è solo una Risoluzione, ossia un intendimento non vincolante. Quale giudizio si può dare di questo piano? La scarsa determinazione dimostrata dal Governo nella lotta al riscaldamento climatico è in parte spiegata dalla constatazione, molto realistica, che il paese è molto indietro rispetto agli altri paesi sviluppati e che quindi non sarebbe credibile darsi obiettivi più ambiziosi: ricordiamo che Israele ha un sistema di trasporto arcaico, incentrato sul trasporto su gomma e con una rete ferroviaria del tutto inadeguata, anche perché si è iniziato a costruirla con un ritardo di decenni. Anche sul fronte dei rifiuti urbani Israele è molto indietro rispetto all’Europa; la raccolta differenziata è iniziata da pochi anni ed è ancora marginale.

(Pagine Ebraiche, agosto 2021)


Il moderno paganesimo

L'idolatria oggi non esiste più. La nostra società è troppo illuminata perché adori oggetti inermi ... o no?

di Wilfred J. Hahn

In realtà le nostre culture moderne adorano idoli di legno e di pietra e l'idolatria è più avanzata e più complessa che mai. L'idolatria che è descritta nella Bibbia solitamente si riferisce ai pagani. Se oggi abbiamo tanta idolatria al mondo, quali sono i pagani di oggi? Senza dubbio l'uomo moderno ha raggiunto uno stadio molto più razionale e illuminato dei pagani dell'antichità. Dovremmo fare forza su noi stessi per ammettere che la nostra società sia profondamente pagana. Un pagano non è forse un indigeno selvaggio che indossa un perizoma, vive nella giungla e adora il sole? In realtà nel mondo di oggi ci sono pagani che sono molto più infedeli e arroganti di quelli che si possono trovare nella giungla. Per ottenere risposte franche e la giusta visione delle cose, è opportuno rivolgerci direttamente alla Bibbia.
  I paleontologi parlano di vari tipi di ominidi preistorici che si pensa fossero gli antenati dell'homo sapiens moderno. Si suppone che il processo evolutivo che essi rappresentano abbia avuto luogo numerosi milioni di anni fa. Naturalmente, a prescindere dall'interpretazione letterale della Bibbia, siamo coscienti che tutta questa branca della scienza continua a propagare idee molto fantasiose e speculative. Già ora esiste tutta una serie di temi in cui la Bibbia si è rivelata molto più attendibile dello scetticismo scientifico: che si tratti di interrogativi storici, fisici o altro. Tutta la Bibbia si è rivelata veritiera. Numerose affermazioni bibliche si sono già realizzate e sono risultate accurate al cento per cento. Perciò è necessaria soltanto una piccola dose di fede per riconoscere che anche le restanti affermazioni bibliche, che la scienza continua a contrastare, prima o poi renderanno necessaria una revisione delle odierne posizioni scientifiche. Questo fatto evidente tocca tanto la scienza quanto la teoria dell'evoluzione. Per quanto riguarda l'evoluzionismo, la Bibbia non parla di differenti specie di ominidi o di vari stadi di sviluppo degli esseri umani. In realtà continua a non esistere alcuna prova della teoria evoluzionista. Essa è una religione. Allo stesso modo non esiste una differenza fra gli uomini dell'antichità e quelli di oggi. I caratteri fondamentali degli esseri umani, sia a livello fisico sia a livello del temperamento, sono rimasti invariati. Riguardo all'umanità, la Bibbia fa una sola distinzione di tipo razziale: fra Ebrei e gentili. Tuttavia esiste una differenza ancora più importante, quella fra empi e giusti. In questo vediamo la prova di un'evoluzione, sebbene di tipo spirituale: il paganesimo. Il pagano di oggi è vivo e in buona salute ma ha miti molto più sofisticati, come vedremo in seguito. Quasi tutti gli antropologi sono concordi nell'affermare che la terra di oggi è popolata da cosiddetti «uomini moderni». La profezia biblica parla, invece, del pagano moderno che vivrà nel tempo della fine. Oggi lo individuiamo nella creatura più abile alla sopravvivenza che popola e controlla la nuova sfera economica. Riconoscete di chi si tratta?
  Prima di andare alla ricerca del pagano moderno, vogliamo esaminare il carattere e il comportamento del pagano antico. La Bibbia lo descrive dettagliatamente, ma per ottenere un'idea equilibrata e precisa, dobbiamo fare un breve studio semantico. Non esiste una parola specifica per «pagano» nella Bibbia. In realtà la parola stessa in alcune traduzioni della Bibbia non compare affatto perché questo termine sorse tardi, al tempo del Nuovo Testamento.
  Oggi usiamo solitamente la parola «pagano» per descrivere qualcuno che adora altri dei o idoli estranei al cristianesimo o al giudaismo. Ai tempi della Bibbia, «pagano» era praticamente sinonimo di «non Ebreo», anche se esistevano dei non Ebrei che credevano in Dio. Prima che Cristo morisse per i peccati di tutti ed estendesse la salvezza anche ai non Ebrei (detti anche gentili), i gentili e i pagani erano essenzialmente identici. All'inizio dell'era neotestamentaria, la maggior parte degli Ebrei considerava la salvezza tramite il Messia, che aveva appena scoperto, una progressiva realizzazione dell'originaria fede ebraica. Il mondo religioso non era ancora diviso in modo chiaro fra Ebrei e cosiddetti cristiani. Dovette trascorrere del tempo prima che si riconoscesse che esistevano anche dei cristiani gentili che non erano né pagani né ebrei. Per questo motivo, all'inizio dell'epoca della chiesa, esisteva una sola parola che si continuò a utilizzare per indicare sia i gentili sia i pagani: «ethnos». Tale parola compare 167 volte nel Nuovo Testamento. Vorrei specificare che nel nostro studio semantico dell'evoluzione della parola «pagano», prenderemo in considerazione soltanto quei versetti del NT in cui «ethnos» è utilizzato chiaramente con l'accezione moderna del termine «pagano».
  Uno studio biblico rivela numerose caratteristiche generali del «pagano» e ne esamineremo cinque. Esse sono direttamente collegate all'evoluzione del pagano moderno e materialista che incontriamo oggi.

  1. INTERESSE PERSONALE
    «Infatti, se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?» (Matteo 5:46-47).
In questi versetti Gesù afferma che i pagani agiscono per puro interesse personale. Le loro azioni sono motivate dai propri desideri e piacere, dalla ricerca della propria felicità e comodità. Amano soltanto quelli che ricambiano i loro sentimenti e così disprezzano quelli che nutrono avversione nei loro confronti.
  Oggi, circa duemila anni dopo, il carattere pagano dell'interesse personale ha raggiunto livelli molto più alti ed è considerato la forza che può portare il mondo a migliorare, a progredire e a creare benessere per tutti. In realtà, alcune teorie economiche apparentemente avanzate, stimano molto questo impulso. È il risultato di un cambiamento avvenuto in pochi secoli ed è diventato un dogma del capitalismo di mercato (come viene definito il commercio praticato oggi che, fra parentesi, ha ormai ben poco a che vedere con il capitalismo nel senso originario del termine). L'effetto principale è che il mondo intero è stato profondamente commercializzato. Il commercio sta diventando sempre più la ragione fondamentale dell'esistenza e viene considerato semplicemente «vita». Che cosa afferma la Bibbia sull'«interesse personale» dell'uomo moderno? Essa ha un messaggio chiaro per le società che vogliono definire la propria esistenza in termini puramente pagani, ossia per le società che si sottomettono al dominio dell'economia e del denaro. In questo ambito sono particolarmente eloquenti gli esempi di Tiro e di Babilonia. Nell'impero neobabilonese tutto ruotava attorno agli affari. Le ricerche degli storici hanno rivelato che Babilonia in realtà era una civiltà del commercio. Quasi tutti i documenti dell'epoca, che sono stati scoperti, derivano dal mondo degli affari. Un altro buon esempio è la storia di Tiro, la cui estrema commercializzazione è documentata molto esplicitamente nella Bibbia.
  A tempi ancora più remoti risale l'esempio della città di Gerico. Probabilmente fu la più antica e una delle più ricche città abitate della terra. Dio stabilì che fosse la prima città che gli Israeliti sconfissero dopo la loro entrata nella terra di Canaan. In realtà fu l'unica città conquistata in modo miracoloso e l'unica in Canaan ad essere distrutta totalmente - insieme alle donne e ai bambini, al bestiame e a tutto ciò che conteneva. Dio volle che fosse cancellata del tutto. Perché? Forse a causa della sua commercializzazione idolatra? Dio non voleva che la cultura di Gerico infettasse seppur minimamente il popolo d'Israele e Giosuè profetizzò che colui che avrebbe ricostruito Gerico lo avrebbe fatto al prezzo del suo primogenito e del suo figlio minore (Giosuè 6:26). Ciò avvenne proprio come era stato predetto, seicento anni dopo, durante il regno di Omri, nella vita di Chiel di Betel (1 Re 16:34).

  1. PREOCCUPAZIONE PER LE COSE TERRENE

Secondo le Scritture i pagani si preoccupano e sono ansiosi per le cose terrene:

    «Non siate dunque in ansia, dicendo: «Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?» Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose» (Matteo 6:31-32; v. anche Luca 12:29-30).

Secondo questa definizione è dunque un comportamento pagano cercare la soddisfazione nel possesso e in uno stile di vita agiato. Le Scritture nominano soltanto due aspetti: il cibo e l'abbigliamento, che nella società di quel tempo illustravano tanto lo stile di vita quanto ciò che era necessario per vivere. Questo versetto quindi non si riferisce solo ai semplici mezzi di sussistenza. Il nutrimento e l'abbigliamento sono necessari, ma attribuire loro un valore diverso diventa idolatria e paganesimo.
  Naturalmente lo stile di vita oggi si definisce in molti altri modi e non soltanto con il cibo e i vestiti. Esistono marchi e stilisti famosi e prodotti alla moda non solo nel campo dell'abbigliamento ma anche del nutrimento: si gustano i vini più pregiati e si acquistano i marchi alimentari maggiormente pubblicizzati. Ma lo stile di vita viene mostrato ancora di più con altri status symbol come orologi svizzeri, automobili di lusso, i più recenti apparecchi elettronici, ville lussuose, viaggi esotici ecc. Possedere tutto ciò è considerato il culmine del successo e rappresenta il laccio della vita elitaria, l'obiettivo e il valore implicito di una società pagana. La ricerca di tali obiettivi fa parte di una cultura estremamente sofisticata di politica del marchio, sondaggi di mercato, pubblicità e ricerca psicologica. In questo senso, nel corso dei secoli e dei millenni sono cambiate molte cose e ciò dimostra, ancora una volta, l'avvenuta evoluzione verso il pagano moderno. Se si considera quanto sia profondamente radicata la commercializzazione negli Stati Uniti e in altre nazioni, è difficile immaginare che essa possa progredire ancora per molto.

  1. PREOCCUPAZIONE PER IL DOMANI

Le società che non confidano in Dio devono inevitabilmente preoccuparsi delle incertezze del domani. La Bibbia afferma che dovremmo fare il contrario:

    «Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più. Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di sé stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno» (Matteo 6:33-34).

Tale affermazione è legata ai due versetti precedenti (v. 31-32) che parlano delle azioni dei pagani. Da ciò capiamo che la preoccupazione del domani è un carattere pagano, un'ansietà che provano gli «ethnos». La preoccupazione per le incertezze del futuro è un motore importante dell'evoluzione economica e finanziaria degli ultimi secoli e decenni. Essa ha chiaramente contribuito all'intensificarsi della commercializzazione della vita umana.
  Un esempio ne è la creazione delle assicurazioni. Non c'è dubbio che buona parte dei prodotti assicurativi sul mercato ha una ragione d'essere. Negli scorsi decenni c'è stato un boom di complessi strumenti finanziari che hanno a loro volta sostenuto una crescita senza precedenti della ricchezza finanziaria globale. Molti di questi strumenti si basano su concetti matematici che tentano di superare l'incertezza del domani. Sono poche le persone esperte o consapevoli di queste tendenze nella giungla selvaggia delle innovazioni economiche e finanziarie. Nel frattempo, tornando alla vita quotidiana del cittadino comune, è evidente che essa sia cambiata per effetto dei numerosi servizi che affrontano le incertezze del domani». Nessuno oggi penserebbe di non stipulare una polizza assicurativa sulla vita, sugli immobili o sull'automobile. Alcune di queste assicurazioni sono addirittura obbligatorie. La maggior parte della gente affermerebbe che non è saggio rinunciare alla previdenza privata o alla pensione per la vecchiaia per assicurarsi contro i rischi del pensionamento. Se usufruiamo dei cinque servizi menzionati, dovremo versare cinque contributi mensili. Questo dimostra che l'esagerata preoccupazione cronica del futuro ha provocato una crescente commercializzazione e un'idolatria chiaramente pagana. L'aumentata «ansia per il domani» è una caratteristica del pagano moderno.

  1. ECCESSI E DISSOLUTEZZA.

La Bibbia afferma chiaramente che le persone che vivono una vita dissoluta e dettata dal piacere hanno evidentemente dei caratteri pagani. Paolo criticò gli Israeliti perché si erano comportati come pagani quando celebrarono feste e orge mentre Mosè si trovava sul Monte Sinai (v. Esodo 32):

    « ... perché non diventiate idolatri come alcuni di loro, secondo quanto è scritto: Il popolo si sedette per mangiare e bere, poi si alzò per divertirsi» (1 Corinzi 10:7).

L'apostolo Pietro condivide questo giudizio:

    «Basta con il tempo trascorso a soddisfare la volontà dei pagani vivendo nelle dissolutezze, nelle passioni, nelle ubriachezze, nelle orgie, nelle gozzoviglie, e nelle illecite pratiche idolatriche. Per questo trovano strano che voi non corriate con loro agli stessi eccessi di dissolutezza e parlano male di voi» (1 Pietro 4:3-4).

Orge, dissolutezza, ubriachezze e sensualità smodata furono considerate parte degli esercizi idolatrici pagani. La traduzione Amplified Bible parla anche di frivolezza e ilarità. Questi aspetti del paganesimo sono molto propagati oggi. Perché? Perché sono positivi per gli affari... favoriscono la crescita economica. La morale non è rilevante. Orge e frivolezze, in qualsiasi forma, influiscono positivamente sull'economia. Le ditte che sono all'avanguardia in questo settore spesso sono quelle di maggior successo. Programmi televisivi e film che sostengono questa tendenza ne sono un esempio, e se ne potrebbero elencare numerosi altri. Tutto ciò è parte di una sofisticata cultura economica. Sempre più, le attività che rispecchiano lo stile di vita pagano includono chiacchiere fatue, droghe, pornografia e molto altro. Il pagano moderno consuma e segue le sue passioni senza sensi di colpa.

  1. COMPETIZIONE ECCESSIVA

La Bibbia definisce la competizione un carattere dei pagani. Questi ultimi vengono definiti persone che gareggiano per raggiungere la soddisfazione dei loro desideri. Come abbiamo già visto, «corrono dietro» alle cose che desiderano (Matteo 6:31). Gesù parla indirettamente di un altro comportamento di rivalità dei pagani:

    « ... chiunque vorrà essere grande tra di voi, sarà vostro servitore; e chiunque tra di voi vorrà essere primo, sarà vostro servo; appunto come il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti» (Matteo 20:26-28).

Pare che abbia pronunciato queste parole mentre si trovava a Gerico, la località che era stata ricostruita sulle rovine dell'antica città. In contrapposizione a ciò afferma:

    «I re delle nazioni le signoreggiano, e quelli che le sottomettono al loro dominio sono chiamati benefattori» (Luca 22:25).

Da ciò si deduce che in una società pagana si vuole sempre precedere e superare gli altri, essere in cima alla gerarchia ed esercitare potere sugli altri. Per ottenere questo scopo è necessario lottare contro la concorrenza.
  Naturalmente riconosciamo che la concorrenza in campo commerciale è uno dei principi più stimati al mondo per ottenere crescita economica e benessere. Non c'è nulla di male nello sforzo per il progresso, a patto che le motivazioni siano sane ed equilibrate. Noi assistiamo però a una concorrenza che si può definire «legge della giungla»: il più forte sopravvive. Si tratta di una specie di rivalità spietata e priva di amore per il prossimo. Questo tipo di concorrenza è profondamente radicata nella società pagana - nella nostra società. Persino una cosa così semplice come l'acquisto di un titolo sul mercato azionario allo scopo di trarne un profitto, è espressione del pensiero che il successo dell'uno è possibile soltanto con la previsione dell'insuccesso di un altro. Comunque sia, si tratta del comportamento generalmente accettato del pagano moderno.
  Dopo aver descritto i cinque caratteri pagani dell'antichità, vi riconosciamo già la prova di un'evoluzione. Tutti i caratteri fondamentali dell'umanità sono rimasti fondamentalmente gli stessi, ma costatiamo anche che ne è uscito un pagano moderno, altamente sviluppato. Chiunque capisca veramente come funziona l'enorme mercato globale, deve riconoscere quanto sia diventato pagano il mondo di oggi. Come abbiamo già descritto brevemente, il mondo del pagano moderno è in forte contrasto con il pagano primitivo dell'antichità. La nostra società moderna, e persino le nazioni con un'alta percentuale di cristiani, sono profondamente paganeggianti. Evidentemente molti non riconoscono tale realtà, contemporaneamente causa e risultato della generale commercializzazione corrotta e dello spiccato materialismo che sommergono il nostro mondo. La Bibbia aveva già predetto che questo sarebbe avvenuto.
  Il doloroso aspetto di questo sviluppo escatologico è l'influsso che ha sulla morale dei cristiani e sul cambiamento della dottrina insegnata nelle chiese sedicenti cristiane. Per questo motivo vogliamo ora rivolgere la nostra attenzione a questa dinamica pericolosa. Per farlo è necessario, prima di tutto, informare i cristiani sul come la scienza del presunto uomo evoluto, sia passata a mietere le sue vittime fra i pagani della fine dei tempi e i cristiani sprovveduti.
  Chiunque abbia posto la propria vita sotto la signoria di Gesù Cristo conosce il dilemma descritto da Paolo in Romani 7. Come mai alla fine facciamo esattamente quello che non vogliamo? La maggior parte di noi si identifica con il detto: «Lo spirito è pronto ma la carne è debole.» Paolo scrive:

    « ... allora non sono più io che lo faccio, ma è il peccato che abita in me. Difatti, io so che in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene; poiché in me si trova il volere, ma il modo di compiere il bene, no. Infatti il bene che voglio, non lo faccio, ma il male che non voglio, quello faccio. Ora, se io faccio ciò che non voglio, non sono più io che lo compio, ma è il peccato che abita in me» (Romani 7:17-20).

Vediamo che l'umanità è inseparabilmente legata al peccato. Questa caratteristica - la natura peccaminosa che nel Nuovo Testamento viene nominata più di venti volte - è letteralmente programmata nel nostro patrimonio genetico. Ciò spiega abbastanza bene perché il mondo ancora oggi è corrotto dalla carne e totalmente pagano. L'apostolo Pietro descrive tale stato con le parole «corruzione che è nel mondo a causa della concupiscenza.» (2 Pietro 1:4).
  Non sorprende che la lotta contro la carne negli ultimi giorni sia diventata più cruda e pesante. Mentre una volta era considerata una virtù sociale vincere i vizi innati dell'uomo, oggi lo sfruttamento di tali vizi peccaminosi è diventato una scienza stimata. Proprio come i moderni missili ad alta precisione sono in grado di colpire un obiettivo molto piccolo, così i sensi carnali dell'uomo vengono bombardati come mai prima.
  Perché? Negli ultimi anni scienziati e psicologi hanno aperto un nuovo campo di ricerche generalmente chiamato neuroscienze e psicologia cognitiva. Pur comprendendo una serie di specializzazioni, le premesse fondamentali di questa ricerca sono sempre le stesse: si tenta di scoprire il «codice» basilare dell'uomo naturale o istintivo. In altre parole: gli analisti tentano di capire come funzioni fondamentalmente la natura umana subconscia per riuscire a sviluppare tecniche più adeguate che raggiungono direttamente gli istinti fondamentali dell'uomo. Quel che è peggio - sebbene pochissimi lo ammetterebbero apertamente - è che si vuole riuscire a manipolare meglio la gente eludendo l'intelletto.
  Per spiegare come ciò avvenga, rivolgiamo la nostra attenzione ad alcuni sviluppi in questo campo.
  Qual è il maggior problema che si trovano ad affrontare gli esperti di marketing oggi? Apparentemente è il pensiero razionale. Clotaire Rapaille, autore del libro The Culture Code afferma: «Nella triplice battaglia fra la corteccia cerebrale, dove ha luogo il nostro pensiero cosciente, il sistema limbico (il centro delle emozioni) e il cervello rettile, vince sempre il rettile.» L'area rettile del cervello, come la definisce, è il centro degli istinti ed è accessibile soltanto tramite il subconscio. In questo consiste la sfida tanto per gli addetti alle vendite, quanto per i manipolatori e gli scienziati: come stimolare la parte rettile del cervello tramite l'inconscio? In ogni caso è necessario evitare l'intelletto che potrebbe rifiutarsi di rispondere ai desideri del venditore.
  Gli scienziati in questo campo affermano che i sistemi istintivi e fisici dell'organismo umano siano programmati per reagire in modo predefinito. La carne, abbandonata al suo modo animalesco e non-pensante, sceglierà sempre la gratificazione, la riproduzione e la sopravvivenza, a prescindere dai costi morali o da tutto il resto. Per questa ragione ogni proposta che tocca gli istinti di base promette maggiore successo.
  Le questioni pecuniarie sono un altro campo fondamentale che attrae molte analisi del comportamento. Come è facile immaginare, lo scopo preponderante di questo tipo di ricerca finanziaria non è di aumentare il successo dell'investitore medio bensì di permettere all'industria finanziaria di sfruttare al meglio le debolezze del comportamento umano. Anche questo ha portato a rendere lo studio delle «passioni della carne» una scienza avanzata. Secondo un autore che conosce bene queste tecniche, «le società di Wall-Street preferiscono in realtà un mercato pieno di investitori irrazionali che possono essere facilmente manipolati senza che se ne rendano veramente conto ... Essi hanno reso "il controllo dei pensieri" un'arte».
  Questa branca della ricerca ha un nome dal suono scientifico: «neurofinanza», e in essa sono riposte grosse speranze: «Gli scienziati del cervello sono i pionieri del futuro mondo finanziario», afferma il noto esperto Daniel Kahneman che nel 2002 ha ottenuto il premio Nobel per il suo lavoro pionieristico nella neurofinanza. Perché la finanza è un campo di ricerca tanto promettente? Evidentemente gli scienziati hanno scoperto che la mente umana è avida di denaro quanto di sesso. Il professor Brian Knutson dell'Università di Stanford ha fatto questa «eccitante» scoperta analizzando degli studenti volontari in una macchina di risonanza magnetica. (C'è da chiedersi che cosa scoprirebbe questo scienziato se analizzasse una Bibbia nella stessa macchina.)
  Un'altra possibilità a disposizione del venditore o del manipolatore, per evitare una reazione matura e razionale del cliente, è di rivolgersi ai bambini. I bambini esercitano una forte influenza sui loro genitori e influiscono in modo decisivo sulle loro scelte negli acquisti. James McNeal è esperto di tecniche di marketing nei confronti dei bambini. Secondo le sue stime, i bambini sotto i 14 anni influiscono su più del 47 per cento della spesa dei privati negli USA. Esiste una spiegazione logica di ciò: numerose ditte hanno scoperto che è molto più lucrativo presentare i loro prodotti ai figli piuttosto che ai genitori.
  Perché vogliono (adattando Matteo 19:14) «lasciare che i bambini vengano a loro»? Gli esperti di marketing sanno che i bambini sono nettamente più influenzabili rispetto agli adulti. Molti di loro non hanno ancora raggiunto l'età in cui si possa distinguere il bene dal male (Isaia 7:15-16). Per natura i bambini sono degli edonisti incontrollati e impulsivi. Se si assalgono gli istinti di bambini vulnerabili, si insegna loro a soddisfare i desideri della carne in età molto precoce. In questo modo si prepara la strada a un mondo di edonisti i cui appetiti e preoccupazioni sono in netto contrasto con qualsiasi interesse per la verità dell'evangelo. A prescindere da ciò, la Bibbia ammonisce severamente a non corrompere i bambini:

    «Ma chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me, meglio per lui sarebbe che gli fosse appesa al collo una macina da mulino e fosse gettato in fondo al mare» (Matteo 18:6).

Qual è il significato del fatto che la scienza si focalizzi su un comportamento istintivo e irrazionale? Sicuramente corrisponde ai fenomeni che la Bibbia descrive per gli ultimi giorni. Gran parte dei risultati delle ricerche nelle scienze cognitive probabilmente sarà applicata direttamente al mondo della pubblicità per i consumatori. Il loro influsso ha tuttavia una portata molto più ampia: forma un mondo in cui gli istinti e i desideri umani sono idolatrati e contribuisce a preparare la strada a una nuova religione globale che promuoverà la fusione fra religione e commercio nella grande Babilonia e porterà a un amalgama indistinto, come viene descritto in Apocalisse 17-18. L'apostolo Paolo parla di un tempo caratterizzato da un individualismo incontrollato, da passioni e mancanza disciplina. Ciò corrisponde agli sviluppi che sono generalmente osservabili oggi: gli uomini saranno egoisti, sfrenati e ameranno il piacere più di Dio (2 Timoteo 3:1-4). Questa relazione può non essere chiara per chi vive nel ricco Occidente. Il parere di Lord Saatchi ci potrà però aiutare a capirla (Saatchi è amministratore generale di M. & C. Saatchi, un'importante impresa pubblicitaria). Egli lamenta lo sviluppo moderno di «indigeni digitali». Con ciò intende i membri della giovane generazione di oggi che elabora le informazioni in modo completamente diverso dai più anziati perché è cresciuta con le cuffie sulle orecchie e lo schermo davanti agli occhi. Egli afferma che la loro ricettività è ridotta e che la loro capacità mnemonica è calata in modo significativo. Che fare allora? Il suo consiglio per le imprese che stanno cercando di incrementare le vendite alle giovani generazioni è il seguente: Trovate una parola - un'unica parola - che viene messa in relazione con dei valori dalla persona moderna e «carnale». Utilizzando un linguaggio figurato molto religioso, Saatchi afferma: «Nel principio era 'la parola' ... scopritela e avrete trovato la via della salvezza e della vita eterna» - intendendo con ciò il successo commerciale.
  È decisivo riconoscere che Saatchi collega «valori» alla stipulazione di un contratto d'affari («valore» nel senso filosofico e non come prezzo vantaggioso). Dato che i valori ricadono nel campo della religione, ogni marchio e ogni prodotto collegato a un «valore» diventa una mini-religione. Per esempio, lo slogan del produttore di articoli sportivi Nike è: «Just do it» («Fallo e basta!»). Si tratta di un'affermazione filosofica e non della descrizione di un prodotto e favorisce l'identificazione con un determinato stile di vita. È fondamentale riconoscere che il tramonto spirituale e psicologico va di pari passo con una straripante cultura del commercio. Un altro esperto di marketing afferma: «Ci troviamo ad affrontare il problema che, per ogni esigenza del cliente, esistono già almeno 20 prodotti. Per questo motivo le imprese di maggior successo inevitabilmente promuovono le innovazioni più con il marketing che con il design dei prodotti.» Che cosa intende con ciò? Il marchio oggi lancia un forte «messaggio psicologico», in altre parole trasmette «valore». Quando i valori stimolano maggiormente l'acquisto che la funzione del prodotto, ci troviamo già a buon punto sulla via che porta alla cultura apocalittica di Babilonia, descritta in Apocalisse 17-18. In effetti, possiamo affermare che buona parte delle società corrisponde già in larga misura a tale descrizione.
  Il consumatore dissoluto, controllato dall'istinto e dalla carne, è un fattore indispensabile per l'avvento del colosso che dominerà il tempo della fine ed è costituito dal commercio e dalla religione. A questo scopo è utile che i consumatori siano piuttosto degli animali irrazionali che delle persone «guidate dallo Spirito di Dio» (Romani 8:14; Galati 5:18). Finora ci siamo tuttavia limitati a spiegare quale sia la via seguita dal mondo e come esso manipoli e sfrutti la natura peccaminosa dell'uomo con mezzi sempre più complessi. Come abbiamo detto, le tecniche utilizzate sono molto raffinate e stanno sfociando in una religione.
  Purtroppo non è ancora il culmine della corruzione: le stesse tecniche sono utilizzate anche nel campo della religione. Qui costatiamo che gli istinti e i desideri carnali sono introdotti espressamente e direttamente anche negli ambienti evangelici. Oggi la religione è offerta in vendita come la maggior parte degli altri prodotti. Con sondaggi si cerca di individuare quali siano gli interessi della gente. In seguito si sviluppano «merci» e «prodotti» religiosi che «fanno bene» al consumatore e vengono incontro ai «valori» carnali.
  Naturalmente non si tratta di una sfida nuova per la chiesa. Già al tempo del Nuovo Testamento c'era un'evidente tendenza in questa direzione, sebbene non avvenisse in nome del progresso scientifico. La differenza, rispetto allora, è che queste tecniche sono il risultato di precisi metodi scientifici. È d'altronde significativo che anche in questo si stanno realizzando le profezie. Giuda scrive che gli apostoli hanno detto:

    «Negli ultimi tempi vi saranno schernitori che vivranno secondo le loro empie passioni. Essi sono quelli che provocano le divisioni, gente sensuale, che non ha lo Spirito» (Giuda 18-19).

In primo luogo è il corrotto istinto umano di queste guide religiose a sedurre molti.« ... come bestie prive di ragione ... » (2 Pietro 2:12). « ... parlano in maniera oltraggiosa di quello che ignorano, e si corrompono in tutto ciò che sanno per istinto, come bestie prive di ragione» (Giuda 10).
  Ciò che sta avvenendo davanti ai nostri occhi oggi corrisponde già alla descrizione biblica delle «nazioni» (pagane) degli ultimi giorni. Sicuramente un antropologo che studiasse il testo di Apocalisse 17-18, confermerebbe scientificamente che si tratta della descrizione del tempo del pagano moderno e orgoglioso. Evidentemente si tratta di una civiltà caratterizzata da un consumismo estremo, da desideri illimitati, dalla deificazione di ciò che è terreno e dalla fissazione sul benessere e sulla ricchezza. L'evoluzione di questo «pagano» in realtà è molto avanzata.
  La sua descrizione corrisponde esattamente all'uomo d'oggi. Quanti di noi si renderanno conto che il loro stile di vita somiglia a quello del pagano moderno? Si tratta di una domanda importante e impellente. Alla fine - dopo la grande tribolazione - i «pagani» e gli Ebrei sopravvissuti si prostreranno infine davanti a Dio per adorarlo. «Tutte le nazioni verranno e adoreranno davanti a te, perché i tuoi giudizi sono stati manifestati» (Apocalisse 15:4). Ogni ginocchio si piegherà davanti a Dio (Isaia 45:23).
  Dove si può trovare oggi un'indicazione affidabile, vera e ragionevole della via da seguire? Evidentemente non dobbiamo lasciarci guidare dal nostro istinto e dalla natura carnale. Che Dio ci preservi dallo sfruttare gli istinti pagani per diffondere e rendere popolare un falso evangelo! Paolo pregò i Corinzi:

    «Fateci posto nei vostri cuori! Noi non abbiamo fatto torto a nessuno, non abbiamo rovinato nessuno, non abbiamo sfruttato nessuno» (2 Corinzi 7:2).

Nonostante ciò, le persone controllate dai loro istinti seguono facilmente delle false dottrine che attirano i loro sensi carnali. Come si può allora evitare il dilemma descritto da Paolo in Romani 7, soprattutto ai tempi nostri in cui ci sono tante tentazioni che appellano alla nostra natura carnale? Paolo afferma che dobbiamo camminare nello Spirito (Romani 8:12-14).

    «Ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non abbiate cura della carne per soddisfarne i desideri» (Romani 13:14).

Mentre il mondo vuole attirarci con il canto delle sue sirene e ci lancia «frecce infuocate del male» (Efesini 6:16), abbiamo più bisogno che mai di cercare protezione in Cristo. Soltanto lui può soddisfarci profondamente: «Il tuo regno è un regno eterno e il tuo dominio dura per ogni età».

    Il Signore sostiene tutti quelli che cadono e rialza tutti quelli che sono curvi. Gli occhi di tutti sono rivolti a te, e tu dai loro il cibo a suo tempo. Tu apri la tua mano, e dai cibo a volontà a tutti i viventi» (Salmo 145:13-16).

Un giorno tutti i «pagani» canteranno un nuovo cantico:

    «Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai acquistato a Dio, con il tuo sangue, gente di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e ne hai fatto per il nostro Dio un regno e dei sacerdoti; e regneranno sulla terra» (Apocalisse 5:9-10).
(Chiamata di Mezzanotte, maggio-giugno 2021)



«Il blocco dei risarcimenti contro gli ebrei è inaccettabile»

La nuova legge polacca impone una prescrizione di 30 anni per rivendicare i beni degli ebrei espropriati dai nazisti e dal regime comunista. Di fatto impedisce la restituzione della maggior parte delle proprietà.

di Elisabetta Rosaspina

Sempre più isolato a livello internazionale, il governo di Mateusz Morawiecki, in Polonia, non sembra sensibile alle pressioni di Washington e di Bruxelles. Né disposto a retrocedere dalla battaglia legale che si profila con l'americana Discovery International, proprietaria della rete televisiva indipendente 1VN24, cui non sarà rinnovata la licenza, se entreranno in vigore le nuove norme che impediscono a entità extraeuropee di possedere più di 4996 di stazioni radiofoniche o televisive. Un bavaglio che pare fatto su misura per quell'emittente troppo ascoltata e troppo poco mansueta con il potere. Prosegue il suo corso tra le polemiche anche la legge che blocca i risarcimenti agli ebrei (e non ebrei) espropriati durante la Seconda Guerra mondiale e nella furia nazionalizzatrice del regime comunista. Ponendo il limite massimo di 30 anni per la presentazione del ricorso da parte degli ex proprietari, o degli eredi, il governo vanifica in blocco tutte le istanze.
   Entrambe le leggi sono state approvate dalla Camera. La prima deve ancora passare il vaglio del Senato. Alla seconda manca solo la firma del presidente Andrzej Duda, membro del partito di maggioranza Diritto e Giustizia (Pis) cui appartiene anche l'ex premier Iaroslaw Kaczynski, ancora molto potente. L'opposizione non ha la forza per fermarle; e il presidente (salvo colpi di scena), la volontà. Nonostante le sollecitazioni del Segretario di Stato americano, Tony Blinken.
   Per chiudere definitivamente il capitolo risarcimenti, e per giustificare la decisione, il legislatore si è fatto forte di un complicato fardello pregresso di atti giuridico amministrativi, risalente ai decenni passati. Ma ciò che ha scatenato l'ira degli Stati Uniti e di Israele sono state le allusioni al rischio di possibili «tentativi di truffa» da parte di millantatori, indice per Washington e Gerusalemme di una politica «cripto-antisemita». Non esplicita, ma già nei fatti.
   «Se non vuole restituire i beni ai loro antichi proprietari, il governo avrebbe potuto trovare argomenti un po' più estesi e razionali del timore di frodi. Invece fra tutti quelli possibili ha scelto probabilmente il peggiore» osserva lo scrittore e teologo polacco Maciej Bielawski, nato a Bydgoszcz, in Pomerania, e da trent'anni residente in Italia, dove insegna Letteratura slava e russa all'Università di Verona e dove i suoi libri sono tradotti da Lemma Press, Fazi, Garzanti e altri editori.
   «Il rifiuto del governo sarebbe forse suonato più accettabile se avesse ammesso di non essere in grado di restituire i beni ai legittimi proprietari: perché durante il conflitto e l'occupazione nazista la Polonia è stato il paese più distrutto. Perché i suoi confini sono quelli che hanno subito il maggior numero di spostamenti - prosegue Bielawski -. Ma il governo avrebbe avuto anche una terza opzione: stanziare una cifra, compatibile con le sue possibilità, da mettere a disposizione per le compensazioni, certamente inadeguate, che avrebbero però rappresentato almeno un gesto simbolico».

(Corriere della Sera, 14 agosto 2021)


Perché Iran e Israele non entreranno in un conflitto armato

La trappola di Tucidide rovesciata. Tel Aviv si sente da sempre minacciata dalle armi nucleari di Teheran. La tensione però potrebbe restare una eterna Guerra Fredda dei tempi moderni, che vede sullo sfondo gli interessi commerciali della Cina.

di Vincent Ligorio

La trappola di Tucidide rovesciata. Tel Aviv si sente da sempre minacciata dalle armi nucleari di Teheran. La tensione però potrebbe restare una eterna Guerra Fredda dei tempi moderni, che vede sullo sfondo gli interessi commerciali della Cina.
   In un bellissimo libro “Destinated for War” Graham T. Allison spiega come Cina e Stati Uniti cadranno nella cosiddetta trappola di Tucidide. Il termine trova origine dal postulato dello storico e generale militare ateniese Tucidide. Egli capì i motivi di fondo per i quali Sparta e Atene si sarebbero scontrate militarmente: la crescente paura di Sparta per l’ascesa della forza Ateniese avrebbe innescato lo scontro.
   Utilizziamo questo postulato contestualizzandolo nel tempo e nello spazio a un altro potenziale conflitto: quello tra Iran e Israele. La crescente fobia – teorica a nostro avviso – di Israele di essere attaccata con armi nucleari da parte dell’Iran dovrebbe condurre la prima a sferrare un attacco preventivo innescando di fatto un conflitto regionale su larga scala.

LA TRAPPOLA DI TUCIDIDE CAPOVOLTA
  Nell’ultimo periodo tra ambienti accademici e mainstream, la tesi di un potenziale conflitto tra questi due Paesi si è fatta sempre più forte. Questa, però, si basa su fatti e dati che non tengono in considerazione alcune variabili sia interne sia esterne a Teheran e a Tel Aviv.
   La nostra idea è che un conflitto tradizionale non sia una ipotesi per nessuno dei due i Paesi per almeno tre ordini di motivi concentrici.
   La variabile interna gioca un ruolo fondamentale affinché le tensioni tra i due nemici restino sotto livelli di allarme.

LA SITUAZIONE INTERNA IN IRAN
  In Iran, la forte crisi economica è figlia sia delle sanzioni internazionali sia della pandemia. Si accompagna alla crisi sociale che si sta allargando su tutto il territorio e che sta mettendo a dura prova la leadership del presidente Rayees. Si vedano in questa prospettiva anche le rivolte partite dalla provincia a maggioranza araba del Kuzhestan e allargatesi a macchia di leopardo in altri distretti.
   Rayees, insediatosi ufficialmente il 5 agosto scorso, avrà come primo obiettivo quello di riconquistare il consenso perso, così da gestire più agevolmente anche i dossier internazionali. Un compito non facile, considerato che l’affluenza alle urne a giugno è stata tra le più basse mai registrate.

LA SITUAZIONE INTERNA IN ISRAELE
  In Israele, l’interminabile stallo politico dettato dalla lunga e tumultuosa formazione del governo post Netanyahu, con una maggioranza del tutto inedita, ha spostato gli equilibri e il focus più sulla gestione della politica interna, inclusa la questione dei territori occupati.
   La seconda variabile da tenere in considerazione è quella della stabilità regionale, che si muove in parallelo con quella che definiremo “fattore esterno”.

FATTORI ESTERNI ISRAELIANI: EASTMED, IL PORTO DI HAIFA
  Una serie di progetti, tra cui la costruzione da parte di Israele di un nuovo gasdotto sottomarino EastMed che dovrebbe arrivare sino in Italia, spingono Tel Aviv a ridurre le tensioni internazionali nella regione.
   Unitamente a questo, la necessità di attrarre capitali e finanziamenti da altri partner che non siano gli USA spingono Israele a dover ridurre l’incisività di alcune azioni militari per limitare i rischi collaterali verso attori esterni. In primis la Cina, con l’acquisto delle concessioni sul porto di Haifa.

I FATTORI ESTERNI IRANIANI: YEMEN E AFGHANISTAN
  Dal lato iraniano, la sovraesposizione militare nella regione sta inducendo sempre più Teheran a trasformarsi in baricentro nel Golfo e in Medio Oriente. Il supporto allo Yemen, il dislocamento di milizie proxy in Iraq e Siria, assieme al costante degradamento della situazione al confine con l’Afghanistan sono ulteriori elementi che trasformano Teheran più in una guida politica che in un vero e proprio braccio armato.
   L’Iran, quindi sempre più elemento di stabilità che servirà anche per rassicurare la Cina sui propri investimenti nel Paese. Si parla di un accordo dello scorso marzo che dovrebbe portare nelle casse iraniane 400/600 miliardi di dollari per venticinque anni.

IL RUOLO DELLA CINA
  Infine Pechino, che ha bisogno di ridurre il più possibile i conflitti su larga scala. Vuole infatti ottenere il massimo dagli snodi commerciali paralleli, che passeranno per paesi dell’Asia Centrale prima e Pakistan, Afghanistan e Iran poi.
   Se l’impossibilità di uno scontro frontale rimane a nostro avviso un’ipotesi remota, non è esclusa l’eventualità di perpetuare una linea meno dura, ma non meno incisiva. La crisi sociale che attanaglia l’Iran in questi mesi potrebbe essere un buon banco di prova per Tel Aviv per cercare un’alternativa interna al paese persiano con cui dialogare e costruire le basi per delle relazioni più morbide.

(Notizie geniali, 14 agosto 2021)


Eitan conteso da due famiglie. Ma soltanto per amore

di Karen Rubin

Due donne si rivolsero al re Salomone rivendicando la maternità dello stesso bambino. Il sovrano escogitò un piano per capire chi fosse la vera madre e rivolgendosi alle sue guardie esclamò: «Tagliate in due il bambino e datene una metà all'una e una metà all'altra». Una delle due si rivolse al re: «Date a lei il bimbo; non dovete farlo morire!». L'altra rispose: «Non sia né mio né tuo; tagliatelo». Il re prese la parola: «Date il bimbo alla prima; non dovete farlo morire. Quella è sua madre».
   Ci vorrebbe la saggezza di Salomone per decidere il destino del piccolo Eitan: il bambino, sopravvissuto alla strage del Mottarone, in cui perse la Madre Tal e il padre Amit, è conteso dalla zia Aya, sorella del padre e dalla zia Gali, sorella della madre. La zia materna sostiene che il bambino debba tornare con lei in Israele affinché possa vivere immerso nella cultura ebraica, la zia paterna ricorda come i cinque anni del bambino siano trascorsi in Italia dove a condividere quotidianità e festività erano la sua famiglia e quella del fratello, giunto in Italia per diventare un medico seguendo un percorso già intrapreso da lei. Il bambino ha subito un trauma difficile da superare e il buon senso indica la strada da seguire, allontanarlo dai luoghi in cui è cresciuto, dai compagni di scuola, dai parenti frequentati fin qui insieme ai suoi genitori è un trauma ulteriore da evitare. Il fatto che il bimbo sia di religione ebraica non obbliga a nessun trasferimento in Israele.
   A favore del bambino sono stati donati dei soldi ma non sono quelli, come qualcuno ha ipotizzato, ad aver innescato la contesa tra le zie. La famiglia materna ha perso una figlia, e il nipote è una parte di lei, da amare e proteggere adesso che la mamma non c'è più. È un conflitto che nasce dall'amore di entrambe le donne per il bambino e chi lo ha generato. Dopo una tragedia può capitare che i minori sopravvissuti non abbiamo nessuno disposto ad occuparsi della loro crescita con una grande disponibilità affettiva. Eitan ha perso le sue figure fondamentali di riferimento ma l'amore, per fortuna, non gli mancherà.

(il Giornale, 14 agosto 2021)


«Nostre tradizioni rispettate anche in scuola cattolica»

«Un bimbo ebreo iscritto in una scuola cattolica? Non è un problema, ci sono anche scuole ebraiche aperte a tutti. Come quella di Torino. Si può essere ebrei anche frequentando una scuola cattolica e rispettando a casa le tradizioni». A spiegarlo è Milo Hasbani, presidente della comunità ebraica di Milano. La stessa che frequentava anche Amit Biran, il padre di Eitan. «Conosco entrambe le famiglie, di certo non posso risolvere le loro controversie: abbiamo contatti con entrambi i rami - aggiunge - Però più di così, la nostra comunità non può fare». Il presidente aveva detto l’altro giorno di «non poter dare dei giudizi personali, Eitan l'ho visto circa un mese fa a casa della zia paterna e l'ho trovato inserito, insieme alle due cugine, una della sua età e una più piccola. Non posso parteggiare per l'uno o per l'altro ma se si vuole ragionare con una logica il bambino è insieme ad altri bambini e ad una zia che sta vicino a lui da quando è nato».

(la Provincia, 13 agosto 2021)


HRW accusa di crimini di guerra le milizie locali di Gaza

A maggio lanciarono migliaia di razzi contro città israeliane

GAZA - Gli attacchi con razzi e mortai condotti da Gaza contro obiettivi civili in Israele rientrano nella categoria dei "crimini di guerra": lo ha stabilito Human Rights Watch (Hrw) in un rapporto dedicato al versante palestinese del conflitto che nei giorni 10-21 maggio 2021 ha opposto Israele a Hamas. In precedenza Hrw aveva pure condannato gli attacchi dell'aviazione israeliana a Gaza, che avevano causato perdite fra civili.
   "Durante i combattimenti di maggio - afferma Hrw - i gruppi armati palestinesi hanno violato in modo flagrante le convenzioni internazionali di guerra che vietano attacchi indiscriminati quando hanno lanciato verso città israeliane migliaia di razzi, privi peraltro di una guida a distanza".
   Complessivamente le vittime israeliane di quegli attacchi furono 13. Hrw ha stabilito inoltre che i gruppi palestinesi hanno provocato vittime anche fra gli abitanti di Gaza, perché una parte dei loro razzi erano difettosi e sono esplosi anzitempo.
   In una prima reazione Hamas ha respinto ogni addebito. "I veri criminali - ha affermato un portavoce - sono l'aviazione israeliana e il blocco imposto attorno alla Striscia".

(ANSAmed, 12 agosto 2021)


L’Azerbaigian apre un ufficio di rappresentanza commerciale a Tel Aviv

di David Fiorentini

A fronte di scambi commerciali di un valore di almeno 200 milioni di dollari, l’Azerbaigian ha finalmente aperto il suo primo ufficio di rappresentanza economica e commerciale in Israele, tre decenni dopo che i Paesi hanno intrapreso relazioni diplomatiche.
   I due Stati asiatici hanno instaurato i primi rapporti nel 1992 e da molti anni Israele ha un’ambasciata a Baku.
   “Le relazioni tra Israele e l’Azerbaigian sono di natura strategica e si basano sulla fiducia e il rispetto reciproco” – ha dichiarato il Ministro del Turismo israeliano Yoel Razvozov – “negli ultimi tre decenni abbiamo assistito a molti progressi nelle relazioni tra i due Paesi, ma l’invio di una rappresentanza ufficiale per il commercio e il turismo è un evento storico.”
   “Vorrei congratularmi con il presidente Ilham Aliyev per questa importante decisione che rafforzerà ulteriormente la partnership tra i due Stati. Servirà sicuramente come incentivo per gli imprenditori israeliani in campi come l’energia, la medicina, il trattamento delle acque, l’agricoltura e gli investimenti.”
   Durante la cerimonia a Tel Aviv, il Ministro dell’Economia azero Mikayil Jabbarov ha incoraggiato le imprese israeliane ad approfittare della vantaggiosa atmosfera commerciale creatasi negli ultimi mesi per facilitare gli investimenti e l’import/export di merci.
   L’apertura della sede rappresentativa azera si colloca all’interno di un grande mosaico di relazioni internazionali, che naturalmente fanno capo agli storici Accordi di Abramo sanciti lo scorso anno. Dopo Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Marocco e Sudan, si auspica che anche l’Azerbaigian possa allinearsi nel nuovo scacchiere mediorientale.  
   Una speranza condivisa già dall’allora Ministro degli Esteri israeliano Gabi Ashkenazi, che durante le trattative degli scorsi mesi ha affermato: “L’Azerbaigian è un alleato, un amico e il maggior fornitore di risorse energetiche di Israele. Continueremo a lavorare allo sviluppo dei legami strategici con l’Azerbaijan e li espanderemo in nuove aree.”

(Bet Magazine Mosaico, 13 agosto 2021)


Israele avvisa gli Usa. Che fare se l’Iran si ritira dal Jcpoa?

L’Iran è in difficoltà con il Covid, con l’economia e con il malcontento generale dei propri cittadini. Potrebbe rivitalizzarsi con la ricomposizione del Jcpoa ma, come credono a Gerusalemme, la presidenza Raisi potrebbe non accettare compromessi.

di Emanuele Rossi

Stati Uniti e Israele dovrebbero iniziare a lavorare su una strategia comune secondo uno scenario in cui l’Iran sceglie di non tornare all’accordo nucleare Jcpoa. È questo il messaggio che il primo ministro israeliano, Naftali Bennett, ha passato al capo della Cia, Bill Burns. Lo rivela Barak Ravid, informatissimo giornalista di Axios che aveva anticipatoil viaggio a Gerusalemme del direttore dell’agenzia americana.
   È possibile che dopo mesi di trattative, in cui dopo ogni riunione qualcuno dei diplomatici presenti annunciava che un accordo era stato quasi raggiunto, adesso Teheran si tiri indietro? Potenzialmente sì. Chi ha negoziato il ripristino dei dettami dell’intesa (ossia lo stop alle violazioni controllate) in cambio della ricomposizione del quadro dell’accordo — ossia del rientro degli americani — ora non è più al governo. La presidenza di Ebrahim Raisi ha iniziato il suo mandato da pochi giorni, ma ancora prima dell’inaugurazione aveva chiesto uno stop ai negoziati.
   Raisi è un conservatore, ideologicamente non incline al dialogo con l’Occidente (sebbene nel Jcpoa ci siano anche Russia e Cina, che il neo presidente potrebbe vedere come interlocutori preferenziali). Non è ancora chiaro cosa intenda fare con la politica estera, ma è possibile che per il peso retorico che l’accordo si è portato dietro nella polemica interna in Iran possa scegliere di fermare le trattative. Allo stesso tempo anche sul suo lato politico esistono posizioni pragmatiche che vedono nell’intesa — dunque nel congelamento del programma atomico — l’unica via per rivitalizzare il Paese. Ovviamente attraverso lo sblocco delle sanzioni.
   La questione non è solo economica — anche se l’aspetto economico-commerciale è cruciale, in grado di riportare benessere e prosperità. La Tv di Stato ha recentemente ammesso che in Iran ogni due minuti muore una persona a causa del Covid (ogni due secondi c’è un nuovo infetto). Mancano forniture mediche agli ospedali ingolfati. La Repubblica islamica ha accusato le sanzioni statunitensi di ostacolare gli acquisti e le consegne di dispositivi medici da altre nazioni, ma cibo, medicine e altre forniture umanitarie sono esenti dalle sanzioni statunitensi reimposte a Teheran con l’uscita Usa dal Jcpoa.
   I cittadini si lamentano, scendono in strada assetati contro la crisi idrica nel Khuzestan tanto quanto esasperati dall’inazione del loro governo contro la pandemia. Criticano la Guida Suprema, Ali Khamenei, che tempo fa ha bloccato gli acquisti di vaccino da Stati Uniti e Regno Unito dicendo che propagava il virus. Una scelta apparentemente ideologica legata anche alla volontà nazionalistica di spingere COVIran Barakat, farmaco casalingo dietro a cui la ragione sanitaria copre la componente narrativa (l’Iran che resiste da solo davanti alle difficoltà) e la protezione degli interessi di gruppi di potere interno vicini alla Guida (dinamica simile a quella alla corsa agli armamenti, made in Iran).
   E mentre l’efficacia del vaccino iraniano non è nota, la campagna di somministrazione è molto indietro, con solo il 4 per cento della popolazione che ha ricevuto la prima dose. Tra quei pochi eletti c’è la leadership e la sua cerchia, e questo non contribuisce a sedare le tensioni tra la popolazione. A maggio dello scorso anno, quando l’Iran si auto definiva fuori da una pandemia che non aveva mai tracciato e controllato, l’ex viceministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollhaian annunciava che il suo Paese avrebbe condiviso il know-how acquisito sul Covid con la Comunità internazionale. Era un’altra forma narrativa per dare slancio alla resistenza.
   I dati ammessi adesso sono chiari: l’Iran avrebbe bisogno di aiuto, ma chi lo comanda non ha intenzione di ammetterlo per ragioni politico-ideologiche. Abdollhaian intanto è stato da poco nominato al ministero. Sarà il capo della diplomazia del presidente Raisi. Ha visioni pragmatiche, ma è pur sempre un uomo che viene dalle Quds Force dei Pasdaran, l’unità d’élite guidata dall’epico (a proposito di narrazioni in Iran) Qassem Soleimani, ucciso in un raid aereo americano a gennaio 2020.
   Anche ammesso che voglia riprendere il dialogo sul Jcpoa, cambierà ritmo e cambierà il modo con cui Teheran ne parlerà. Soprattutto è improbabile (ma in fondo lo era già) che dalla ricomposizione di quell’accordo del 2015 si possa aprire a un negoziato più ampio che comprenda le attività regionali e il controllo del programma dei missili balistici iraniani.

(Formiche.net, 13 agosto 2021)


Eitan iscritto alla scuola delle suore "Il bimbo si è ripreso, ora sta meglio"

Ma è battaglia legale tra le famiglie sul superstite del Mottarone. La zia israeliana: riceva una formazione ebraica. Un avvocato della zia che lo accudisce: "Il tribunale ha confermato la tutela”.

di Sandro Barberis

PAVIA - Eitan, il bambino di 6 anni unico superstite della strage del Mottarone, è stato iscritto alla prima elementare a Pavia. «Siamo pronti ad accoglierlo» spiegano dalla scuola. Frequenterà la prima elementare all'istituto delle suore Canossiane, lo stesso dove frequentava la materna e dove sono iscritti i suoi cugini, i figli della zia patema Aya Biran e del marito Or Nirko. Persone che quindi Eitan vedeva già prima della tragedia. Volti che ora vede tutti i giorni, in quanto è affidato alla zia Aya. Il 23 maggio il bimbo ha perso padre, madre, fratellino e due bisnonni.
   Un futuro, quello di Eitan, ancora tutto da definire. Il ramo materno della famiglia, parenti che vivono in Israele, ha usato toni durissimi contro la zia paterna che vive a Travacò. La zia materna Gali Peleg ha parlato di «Eitan ostaggio in Italia, dove non può ricevere una formazione ebraica ma frequenta una scuola cristiana. Il suo posto è in Israele». I parenti israeliani hanno avanzato un'istanza al tribunale per avere l'affidamento del nipotino, con l'avvocato israeliano che accusa Aya «di non permettere, se non saltuariamente, contatti con Eitan al ramo materno».
   «Per noi Eitan al momento è regolarmente iscritto alla prima elementare. Conosciamo già Aya, i suoi figli sono nostri alunni. Ora ha iscritto Eitan per continuare il percorso all'interno della nostra scuola - spiega la direttrice, madre Paola Canziani -. Sappiamo che il bambino sta meglio, ha ancora qualche problema di deambulazione. A settembre siamo pronti ad accoglierlo». L'eco delle polemiche tra i due rami della famiglia è arrivato anche alle maestre e alle suore Canossiane: «Posso solo dire che il bambino ha fatto tutto il percorso d'asilo qui», spiega la direttrice.
   L'avvocato Cristina Pagni, che rappresenta Aya ha fatto sapere che ci sono stati numerosi attestati di solidarietà a zia Aya, 41enne medico dell'Asst di Pavia. La legale di Aya dice di «non avere nulla da aggiungere dopo la risposta dell'altro giorno in seguito alle accuse arrivate». Pagni spiega però, tecnicamente, che l'istituto giuridico che permette ad Aya di occuparsi di suo nipote Eitan non è l'affidamento bensì la tutela. «Tutela che è stata confermata proprio negli scorsi giorni dal tribunale - aggiunge-. Eitan e la tutrice sono affidati alla giustizia italiana sotto la guida e il controllo del giudice tutelare». Il pool di legali di Aya Biran (ci sono anche dei penalisti) ha parlato «di espressioni fuori luogo e inappropriate».
   Le ultime 48 ore hanno riportato al centro dell'attenzione le sorti del bambino. Eitan, che ha compiuto 6 anni a luglio, il 23 maggio era sulla cabina della funivia del Mottarone precipitata nel vuoto spazzando via 14 vite, tra cui tutte quelle della sua famiglia. Eitan era stato ricoverato in gravissime condizioni all'ospedale pediatrico Regina Margherita di Torino. Operato d'urgenza si era poi ripreso e dimesso il 10 giugno. Ora è ancora in fase di guarigione.

(La Stampa, 13 agosto 2021)


La visita di Lapid in Marocco e la nuova lingua tra arabi e israeliani

di Micol Flammini

ROMA - Yair Lapid, ministro degli Esteri israeliano, è tornato da una visita di due giorni in Marocco, uno di quei viaggi storici che, nell'ultimo anno, stanno portando Israele a stringere relazioni diplomatiche con paesi arabi con i quali, fino a poco tempo fa, sarebbe stato impensabile averne. Lapid non perde occasione per viaggiare, stringere mani, unire quello che fino a poco tempo fa sembrava inconciliabile. Mercoledì è partito per Rabat, diventando così il primo ministro degli Esteri a visitare il Marocco dal 1999. Con il suo omologo marocchino ha firmato diversi accordi sulla base di quello già stipulato lo scorso dicembre per ristabilire le relazioni diplomatiche tra i due paesi e ieri ha inaugurato la missione diplomatica israeliana a Rabat. Questo è soltanto un tassello piccolo di tutto ciò che sta avvenendo tra i due paesi: un nuovo modo di relazionarsi fatto di sicurezza, economia e viaggi. Fra Israele e Marocco i voli sono in continuo aumento e dovrebbero diventare quotidiani nel giro di qualche mese. Un'unità antiterrorismo marocchina è andata a Gerusalemme per partecipare a un'esercitazione internazionale, anche le agenzie di difesa informatica stanno collaborando e si stanno scambiando dati e alcuni analisti riferiscono di accordi strettissimi per trasformare gli uffici di collegamento diplomatico in vere ambasciate.
   Un anno fa iniziava la stagione degli Accordi di Abramo, la normalizzazione dei rapporti tra Israele ed Emirati Arabi Uniti, seguiti da Bahrein, e poi allargata, ma non ancora ultimata, a Sudan e Marocco. L'era aperta dall'Amministrazione Trump il 13 agosto scorso, ma che i democratici con Joe Biden hanno deciso di non interrompere, si arricchisce e in un anno ha contribuito a ridisegnare il codice dei rapporti in medio oriente e a instillare l'idea che l'effetto domino che c'è stato dopo l'adesione degli Emirati probabilmente andrà avanti e sarà un bene. Non è più la stagione dei boicottaggi, gli Accordi di Abramo hanno ribaltato la conversazione. C'è sì della convenienza nella ripresa di queste relazioni, come hanno sottolineato i più scettici, ma i rapporti economici, culturali, di sicurezza sono al momento la maggior sicurezza di pace nell'area. Nessuno rinuncia alla propria causa - il re marocchino Muhammad VI, accogliendo Lapid ha chiesto che vengano ripresi i negoziati con i palestinesi, ha ricevuto un invito da parte del nuovo presidente israeliano Isaac Herzog e probabilmente non perderà l'occasione per parlarne - ma è cambiato il lessico, è cambiato il codice con cui le battaglie di ciascuno vengono portate avanti. Tutti i rapporti, infatti hanno retto, nonostante la prima grande sfida che si è presentata a maggio con il rinnovo del conflitto tra Hamas e Israele.
  La normalizzazione dei rapporti tra Gerusalemme e Rabat era stata annunciata da Donald Trump a dicembre dello scorso anno, Washington aveva ribaltato anni di tensioni con il riconoscimento della sovranità marocchina nel Sahara occidentale e l'Amministrazione Biden non ha fatto passi indietro, nonostante l'ala più radicale del suo partito non fosse d'accordo. In un contesto in cui gli scambi si fanno sempre più intensi, in cui i viaggi, i rapporti finanziari e culturali sono alla base di un nuovo modo di parlarsi, è ormai chiaro che gli Accordi di Abramo e tutto quello che è venuto dopo siano il ribaltamento di un tabù: non sono stati firmati turandosi il naso, ma con la volontà di ridisegnare il medio oriente. "Questa pace e questa amicizia vengono ripristinate da chi ripensa e ridefinisce le controversie storiche", ha detto Lapid a Rabat. All'appello manca l'Arabia Saudita, ma i giornali israeliani lasciano intendere che le trattative sono in corso, ci vorrà soltanto più tempo.

Il Foglio, 13 agosto 2021)


Test obbligatori in Israele per i bambini dai tre anni

di David Zebuloni

Già oggi in Israele è obbligatorio, per i bambini di età superiore ai 12 anni, mostrare il green pass per partecipare a varie attività. L'intenzione, che a breve sarà trasformata in realtà, è quella di rendere obbligatori i test sulla positività al coronavirus a partire dai tre anni di età.
   La disposizione entrerà in vigore a partire dalla prossima settimana e sarà richiesta per permettere ai bambini di frequentare scuole, piscine, hotel o palestre. Il primo ministro israeliano Naftali Bennett ha dichiarato che da mercoledì lo stato finanzierà test illimitati per i bambini dai tre agli 11 anni. E durante un colloquio con l'amministratore delegato di Pflzer Albert Bourla lo ha esortato ad accelerare l'approvazione del vaccino contro il Covid-19 per i minori di 12 anni.
   Un primato che va ad aggiungersi ad un altro discusso record per Israele, quello di anticipare il via libera del FDA, il gigante della farmaceutica statunitense, e somministrare ai cittadini over 60 con una terza dose di Pfizer contro la variante Delta e i suoi preoccupanti sviluppi. I primi volontari a vaccinarsi, sotto gli occhi vigili ( o preoccupati?) del Premier Naftali Bennett, sono stati il Presidente lsaac Herzog e la moglie Michal. Da allora, ovvero dal primo del mese di agosto, la situazione pare essere precipitata: con un picco di seimila contagi giornalieri e più di quattrocento pazienti ricoverati in gravi condizioni.
   Ciò accade pochi mesi dopo un totale ritorno alla normalità nello Stato Ebraico. Un ritorno alla vita privo di mascherine e distanziamenti sociali, privo di scuole virtuali e palestre domestiche. Nel mese di marzo, infatti, prima ancora dell'invasione della nuova variante, Israele aveva effettivamente sconfitto il virus. Con quasi sei milioni di cittadini vaccinati ( su otto) e zero contagi giornalieri, l' allora governo Netanyahu aveva abolito ogni sanzione che rievocasse l'anno trascorso all'insegna del Covid. Oggi, il governo Bennet, si trova ad affrontare una battaglia tanto complessa da confondere persino gli esperti: prima schierati all'unanimità a favore dei vaccini, ora scettici sulla loro efficacia rinnovata.
   Intanto, le ultime sul fronte della ricerca dicono che secondo il team del Sourasky Medicai Center di Tel Aviv un farmaco sviluppato in Israele e sperimentato in Grecia è riuscito a curare in meno di 5 giorni il 93% dei 90 pazienti ricoverati in gravi condizioni a causa del Covid. Lo studio, condotto ad Atene poiché in Israele fino allo scorso mese non vi erano ancora abbastanza pazienti positivi, ha superato con successo la prima e la seconda fase della sperimentazione.

Libero, 13 agosto 2021)


Israele approva la terza dose dai 50 in su

Era già nell’aria, ma adesso è ufficiale. Dopo essere stato il primo paese al mondo a somministrare la terza dose di vaccino contro il Covid-19 ai cittadini dai sessant’anni in su, adesso Israele passa ai cinquantenni.
   La decisione è stata presa dopo una lunghissima riunione, ed è stata annunciata dall’ufficio del Primo Ministro. I cittadini dai 50 in su potranno vaccinarsi per la terza volta sin da subito.
   "I membri del team (l’unità di crisi sul Covid – 19) hanno lavorato diligentemente, professionalmente e accuratamente e sono giunti alla conclusione che la terza dose per le persone di età pari o superiore ai 50 anni e per le équipe mediche è efficace e corretta. - ha affermato il Primo Ministro Naftali Bennett - La campagna per vaccinare le persone dai 60 anni in su è stata un grande successo. Finora sono state vaccinate oltre 750.000 persone e stiamo passando alla fase successiva. Questo è un passo importante nella lotta contro la variante Delta”.
   Le prenotazioni per la nuova fascia di età sono state aperte immediatamente. "Chiedo a tutti gli over 50 di mettersi in fila domani mattina. - ha detto Bennett – Andate a vaccinarvi”. Bennett ha concluso sottolineando che Israele possiede “una grande quantità di vaccini per facilitare un'azione rapida nel vaccinare i cittadini e proteggerli dalla variante Delta".

(Shalom, 13 agosto 2021)


Il patriarca maronita scuote il Libano. Ma Hezbollah non ci sta

Il patriarca maronita, cardinale Bechara Rai, ha pronunciato un sermone domenicale nel quale ha ricordato che ogni Paese sovrano deve poter decidere sulla propria politica di difesa, offensiva e difensiva. Parole difficilmente contestabili, ma che in Libano hanno scatenato un autentico fuoco mediatico ispirato chiaramente da Hezbollah che ha avocato a sé la politica di difesa del Libano. 

di Riccardo Cristiano

La vita dei libanesi è impossibile. Oltre al Covid e le sue conseguenze c’è il default economico in cui è piombato il Libano, la cui valuta è precipitata in 18 mesi da un cambio di 1500 lire libanesi per un dollaro a quello attuale di 22000.
   Il recente anniversario dell’esplosione del porto di Beirut, sulle cui responsabilità il Libano non ha ancora accertato alcunché, ha dimostrato anche la mancanza di volontà politica a scoprire finalmente come sia stato possibile. E infatti da allora il Paese è senza governo. I partiti non trovano l’accordo sui ministri e secondo tutte le voci che rimbalzano da Beirut anche il nuovo premier incaricato, Miqati, comincerebbe a pensare a rinunciare all’incarico.
   In questo contesto, con la piazza libanese che il 4 agosto ha inondato il centro di Beirut lasciando chiaramente intendere che molti vedono con sospetto la condotta di Hezbollah, alcuni missili lanciati in direzione di Israele hanno fatto temere il peggio. Evitato certo, ma come mai in una situazione del genere Hezbollah pensa a infiammare il confine? Le tesi al riguardo sono diverse e facilmente immaginabili. Si va dalla distrazione di massa dall’inchiesta sull’esplosione del porto che non decolla ad altro.
   In questo quadro il patriarca maronita, cardinale Bechara Rai, ha pronunciato un sermone domenicale molto importante, nel quale ha ricordato che ogni Paese sovrano deve poter decidere sovranamente sulla propria politica di difesa, offensiva e difensiva. Parole difficilmente contestabili, ma che in Libano hanno scatenato un autentico fuoco mediatico con il patriarca, ispirato chiaramente da Hezbollah che ha avocato a sé la politica di difesa, offensiva e difensiva, del Libano.
   Il patriarca ha ricordato la vigenza del cessate il fuoco del ‘49 e quindi chiesto all’esercito di garantirne il rispetto. Per Hezbollah è stato un insulto all’asse della resistenza, che incarna. Il Presidente della Repubblica, il cristiano Michel Aoun, alleato di Hezbollah, ha criticato gli eccessi mediatici, dicendo che ognuno deve essere libero di dire la sua, non ha convenuto con il patriarca. Lo hanno fatto invece i partiti cristiani guidati da Geagea e Gemayel, i sunniti di Hariri, i drusi di Jumblatt. Era la maggioranza che scese in piazza il 14 marzo dopo l’assassinio di Rafiq Hariri, per la cui morte un tribunale internazionale ha condannato un effettivo di Hezbollah. Così quel vecchio cartello è parso tornare in vita nella solidarietà con il patriarca ma soprattutto nell’indicazione più importante che ha dato: può un Paese sovrano non avere il controllo della sua politica di difesa? È la domanda a cui dovrebbe rispondere il partito che fa riferimento al Presidente della Repubblica e oggi guidato da suo genero, Gebran Bassil. È una risposta che non arriverà perché farebbe saltare l’asse con Hezbollah, costruito da anni nel nome dell’alleanza delle minoranze, cioè l’accordo tra la minoranza cristiana e la minoranza islamica.
   Ma il nodo attorno a cui ruota è la questione dell’esplosione del porto. Se si considera che Hariri è stato ucciso nel 2005 e una prima verità su quel crimine è stata appurata nel 2020 si può capire che la soluzione non sia dietro l’angolo. Ma il Libano potrà rimanere senza governo così a lungo? La bancarotta comporta un disastro umanitario già in atto e per evitarne peggiori derive il calcolo di legare la concessione di qualche ministro competente all’esito del negoziato sul nucleare iraniano potrebbe apparire quello giusto.
   Intanto però la Chiesa maronita sembra aver svegliato una politica piombata nel letargo, che però deve sapere e capire che una figura religiosa non può svolgere una vera supplenza della politica. Screditati e contestati dai loro stessi sostenitori, i leader di quella che fu la grande mobilitazione del 14 marzo hanno ora un’ultima chance. Che richiederebbe il coinvolgimento nella leadership della società civile, affermatasi come autentico soggetto politico in questi anni. A loro decidere se perdere anche questo treno inatteso.

(Formiche.net, 12 agosto 2021)


Lapid in Marocco: "Visita storica, incentiveremo i rapporti economici e politici"

Il ministro israeliano è volato a Rabat, a un anno dagli accordi di Abramo continuano a consolidarsi le relazioni del Paese ebraico con i Paesi arabi.

di Sharon Nizza

GERUSALEMME – Continua a consolidarsi la rete dei rapporti diplomatici tra Israele e i Paesi arabi dall’avvio degli Accordi di Abramo, diventati parte del lessico mediorientale un anno fa con l’annuncio della normalizzazione tra lo Stato ebraico e gli Emirati Arabi Uniti, seguiti poi da Bahrein, Marocco e Sudan. Il ministro degli Esteri Yair Lapid è atterrato oggi a Rabat per la prima visita di Stato, nel corso della quale incontrerà l’omologo Nasser Bourita e inaugurerà la sede diplomatica israeliana, operativa già da diversi mesi.
  “Questo è un viaggio storico che riafferma un’amicizia di lunga data e la profonda connessione, fatta di radici e tradizioni, della comunità ebraica in Marocco e della grande comunità di israeliani di origine marocchine”, ha dichiarato Lapid alla partenza. “Ora è il momento di incentivare l’attività politico-economica e continueremo a lavorare per nuovi accordi che portino innovazione e opportunità ai nostri Paesi”. Alla delegazione partecipa anche il ministro del Welfare Meir Cohen, nato in Marocco, il presidente della Commissione esteri e difesa della Knesset Ram Ben Barak (già vicedirettore del Mossad), oltre a funzionari dei ministeri degli Esteri e della Salute.
  Il Marocco ha ospitato per secoli una delle comunità ebraiche più fiorenti del mondo arabo. A oggi, circa 4000 ebrei vivono nel Paese nordafricano. Lapid incontrerà esponenti della comunità ebraica di Casablanca in una cerimonia speciale domani. Circa mezzo milione di israeliani hanno origini marocchine, tra cui 150,000 nati in Marocco ed emigrati in Israele nel corso degli anni. L’anno scorso, in un passo considerato propedeutico all’annuncio della normalizzazione, il Marocco ha introdotto lo studio del retaggio ebraico nei testi scolastici delle classi elementari.
  Non si tratta della prima visita ufficiale di un ministro israeliano in Marocco: dopo gli Accordi di Oslo, i due Paesi avevano instaurato relazioni diplomatiche, interrotte nel 2000 con lo scoppio della Seconda Intifada. Rapporti turistici, commerciali e nell’ambito della sicurezza si sono mantenuti sottobanco anche nei vent’anni di rottura ufficiali. Centinaia di migliaia di israeliani hanno visitato il Paese con visti speciali concessi per volontà del Re. Il mese scorso sono stati inaugurati i voli diretti da Tel Aviv per Casablanca e Marrakesh.
  La ripresa delle relazioni tra Israele e Marocco, come per gli altri Stati arabi, ha per ora tenuto alla prima sfida presentatasi a maggio con il rinnovato conflitto tra Israele e Hamas e le tensioni a Gerusalemme.
  Il 20 dicembre scorso, il presidente Trump aveva annunciato la normalizzazione dei rapporti tra Israele e Marocco. La mediazione americana aveva portato in cambio al riconoscimento da parte di Washington della sovranità di Rabat sul Sahara occidentale, territorio conteso con il Fronte Polisario che ne rivendica l’indipendenza. Nei mesi scorsi il Sottosegretario Anthony Blinken aveva confermato all’omologo marocchino la decisione dell’amministrazione Biden di mantenere immutata la decisione dell’amministrazione precedente.
   Nei mesi scorsi, Rabat anche ha riaperto la missione diplomatica a Tel Aviv e, secondo fonti del ministero degli esteri israeliano, sono in corso contatti per una visita del ministro Bourita in Israele.

(la Repubblica, 12 agosto 2021)


Un anno fa gli Accordi di Abramo. Israele più vicino a quattro Paesi arabi

L'allacciamento di relazioni diplomatiche e commerciali ha portato i suoi frutti i anche se le recenti tensioni tra lo Stato ebraico e i palestinesi non facilitano una piena distensione. Joe Biden spera che presto anche Arabia Saudita e Oman aderiscano all'intesa.

di Osvaldo Migotto

Primo anniversario per gli Accordi di Abramo che hanno portato, con tempistiche diverse, quattro Paesi arabi ad avviare relazioni diplomatiche con Israele, infrangendo un'ostilità durata decenni. Un successo diplomatico che ha preso forma a partire dal 13 agosto del 2020 sotto la spinta dell'ex presidente USA Trump e dell'ex premier israeliano Netanyahu.
   Grazie a tali accordi, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan e Marocco hanno avviato rapporti diplomatici e commerciali con lo Stato ebraico. Un avvicinamento non certo semplice, anche a causa delle persistenti tensioni tra israeliani e palestinesi. Gli Emirati sono stati il primo Paese arabo del Golfo Persico a riconoscere ufficialmente Israele. Lo scorso 29 giugno il capo della diplomazia dello Stato ebraico, Yair Lapid, si è recato negli Emirati per inaugurare l'ambasciata d'Israele. Un viaggio storico, ma la visita di questo alto responsabile israeliano è stata poco seguita dai media locali in quanto avvenuta in un contesto di grandi tensioni nei Territori palestinesi occupati da Israele.
   Le espulsioni dei residenti palestinesi da Sheikh Jarrahdi, quartiere storico di Gerusalemme, e i bombardamenti israeliani su Gaza avevano messo in imbarazzo i nuovi partner commerciali arabi dello Stato ebraico, di fronte a una popolazione araba molto critica nelle strade e sui social network.
   Ad ogni modo, tra alti e bassi, il processo di avvicinamento tra Israele e quattro Paesi arabi va avanti. E non è un caso che proprio ieri il ministro degli Esteri israeliano Lapid sia giunto in Marocco per la prima visita da quando, nel dicembre scorso, i due Paesi hanno ripristinato le relazioni diplomatiche. L'ultima visita di un ministro degli Esteri israeliano in Marocco risaliva al 2003. «Si tratta di un viaggio storico» ha affermato Lapid che ha incontrato il suo omologo marocchino Nasser Bourita e che aprirà un ufficio di rappresentanza diplomatica a Rabat. «Questa visita - ha aggiunto Lapid - rientra nella continuazione di una amicizia vecchia di anni e nel contesto delle profonde radici degli israeliani di origini marocchine con il loro Paese di origine». Gli Accordi di Abramo hanno portato a una serie di intese tra Israele e i quattro Paesi arabi nelle aree del commercio, dell'hi-tech, della sicurezza, dell'educazione, dell'agricoltura ma anche a livello sociale e sportivo.
   Tali intese rappresentano il primo passo di un'ulteriore normalizzazione dei rapporti tra lo Stato ebraico e i Paesi arabi dopo i Trattati di pace raggiunti da Israele con l'Egitto (1979) e con la Giordania (1994). Per ora l'intesa, che punta all'adesione di Arabia Saudita e Oman, ha retto e l'amministrazione Biden spera di riuscire a coinvolgere, in forme da studiare' anche l'Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen.

(Corriere del Ticino, 12 agosto 2021)


Mottarone, contesa fra le zie: «Il bimbo ostaggio in Italia vogliamo che viva in Israele»

Tel Aviv, scontro sul piccolo sopravvissuto. La replica: «Frasi surreali». Il presidente della comunità ebraica milanese: «E una vicenda triste».

di Giuseppe Guastella

Ha bisogno di tanto calore, di molta protezione, di grande aiuto, ciò di cui certamente non ha la minima necessità a 6 anni appena compiuti è ulteriore clamore da sommare a quello già enorme della tragedia della funivia del Mottarone alla quale il 23 maggio è scampato in mezzo a 14 morti e che lo segnerà per l'intera vita, ora che i suoi parenti in Israele accusano quelli residenti in Italia, ai quali è affidato da un giudice, di tenerlo «come in ostaggio». «Siamo sbalorditi per le surreali dichiarazioni, decisamente inaspettate e fuori contesto. Non si comprende sinceramente il perché tanta acrimonia e falsità», commentano i legali del bambino e dei congiunti italiani.
  Invece, appena guarite le tante fratture riportate nello schianto della cabina in cui ha evitato miracolosamente la morte grazie al padre che lo ha protetto con il proprio corpo e ha perso i genitori, il fratellino di due anni e due nonni, il bambino si ritrova suo malgrado al centro di un tira e molla che, al momento, sembra innescato dalla zia materna che con l'agenzia Ansa accusa da Tel Aviv la zia paterna, che vive nel Pavese, di voler trattenere in Italia il piccolo e solleva perplessità sulla decisione del Tribunale per i minorenni di Torino di affidarlo alla stessa parente italiana. Il bambino è nato in Italia dopo che il padre si era trasferito con la moglie per studiare medicina, parla italiano ed ha frequentato la scuola materna. «La tutrice si confronta, per quando dovuto e necessario, con il giudice tutelare per il solo bene» del bambino, dichiarano ancora gli avvocati Cristina Pagni, Massimo Sana e Armando Simbari, che assistono la signora e lo stesso bambino.
  Ieri gli zii materni hanno tenuto in Israele una conferenza stampa annunciando di aver incaricato un avvocato di chiedere l'adozione del nipotino per farlo crescere in Israele «così come ardentemente desiderava sua madre». «Siamo determinati a circondarlo di calore e di affetto», ha dichiarato la signora sostenendo che la sorella era andata in Italia per un periodo limitato e manteneva legami stretti con Israele», per lei «erano importanti l'identità ebraica e quella israeliana». Identità che, a suo parere, verrebbe progressivamente «cancellata» in Italia.
  Subito dopo l'incidente, zii e i nonni materni sono venuti in Italia per incontrare il bambino mentre è sottoposto costantemente a cure mediche e psicologiche, ma per farlo devono essere autorizzati dal giudice. «Possiamo vederlo due volte la settimana, per due ore e mezzo ciascuna», afferma il marito della donna, la quale dice di essere rientrata da poche ore dall'Italia con la netta «sensazione che il bambino ci sia stato sottratto, che sia in procinto di essere staccato da noi». «L'ho incontrato, ma lui non capisce perché ci tratteniamo così poco e quando lo lasciamo scoppia in lacrime. Ci chiede se ha fatto qualcosa di male. Noi dobbiamo allora tranquillizzarlo, così come possiamo». Un eventuale processo (sono indagate 12 persone e due società) potrebbe chiudersi con risarcimenti importanti per il piccolo e per i parenti. Gli zii israeliàni, che dichiarano di essere in condizioni economiche solide, affermano che la questione non è di loro interesse e che comunque sarebbe lui stesso a decidere cosa fare dei soldi quando sarà maggiorenne.
  Le affermazioni degli zii del piccolo lasciano perplesso anche il presidente della Comunità ebraica di Milano, Milo Hasbani: «È abbastanza triste, non so che logica ci possa essere a portare il bambino in Israele, in un ambiente un po' diverso». Escludendo di parteggiare per l'una o per l'altra parte, racconta di aver incontrato il bambino un mese fa e di averlo «trovato inserito» in casa della zia che gli «sta vicino da quando è nato».

(Corriere della Sera, 12 agosto 2021)


Israele - COVID19: i casi aumentano sensibilmente, al via nuove restrizioni

COVID19: Il governo approva nuove restrizioni man mano che i casi aumentano e si prevede un significativo aumento per settembre, a causa dell’inizio delle scuole e delle festività ebraiche. Col 18 agosto il Green Pass si applicherà a tutti i maggiori di tre anni.

Nel tentativo di frenare un numero sempre crescente di nuovi casi di COVID19, compresi i casi gravi che hanno raggiunto un nuovo massimo con 400 pazienti, il governo si è riunito ieri ed ha approvato una nuova serie di restrizioni. “Senza misure significative per rallentare il tasso di infezione”, ha affermato mercoledì mattina un rapporto del Coronavirus National Information and Knowledge Center, “si prevede che ci sarà un carico pericoloso per gli ospedali”.
  Il governo ha deciso di estendere il Green Pass a tutti i rami dell’economia ad eccezione dei centri commerciali e dei luoghi di commercio. Ora si applicherà anche a partire dall’età di 3 anni e ciò significa che le persone non vaccinate – per scelta o perché non idonee per le vaccinazioni – dovranno presentare un test COVID19  negativo prima di entrare in piscine, palestre, istituzioni accademiche, eventi sportivi e culturali, convegni, musei, biblioteche, ristoranti e alberghi. I  test per i bambini fino a 11 anni saranno pagati dallo Stato, mentre chiunque ha 12 anni o più sarà tenuto a pagarsi i test. Il fatto di dover pagare per i test sembra aver causato un incremento di adolescenti che chiedono di vaccinarsi. Sia il Maccabi Healthcare Services che la Meuhedet Health Maintenance Organization, due delle casse mutua israeliane, hanno dichiarato che il numero di ragazzi di 12-15 anni che hanno preso appuntamento per vaccinarsi questa settimana è stato il doppio rispetto alla settimana precedente.
  Il Green Pass esteso entrerà in vigore mercoledì prossimo, 18 agosto. “Oltre al Green Pass che si applicherebbe per intero, sono necessarie anche restrizioni sui raduni di massa per prevenire l’infezione di massa”, ha affermato il ministro della Sanità Nitzan Horowitz poco prima dell’inizio della riunione del gabinetto, pertanto, il governo ha votato per avviare il programma per limitare le persone all’interno dei negozi dei centri commerciali e luoghi di commercio in base all’occupazione: una persona per sette metri quadrati.   Infine, il governo ha deciso che ci saranno ulteriori restrizioni sugli assembramenti nei luoghi con posti a sedere contrassegnati o fissi, sarà consentito l’ingresso di sole 1.000 persone negli spazi chiusi e di 5.000 all’aperto.
  Gli eventi privati più piccoli, come quelli a casa di una persona, dovrebbero essere limitati a 50 persone all’interno e 100 all’esterno. Il numero di casi COVID19 non sembrano essere in calo. Mercoledì mattina, il Ministero della Salute ha riferito che 694 persone sono in cura negli ospedali, 400 dei quali in condizioni gravi.  Ci sono state altre 5.755 persone con diagnosi COVID19, secondo il ministero, in calo rispetto alle oltre 6.000 di martedì, con il 4,59% di quelle risultate positive al test, una leggera diminuzione rispetto al 4,84% di martedì.
  Il bilancio delle vittime è stato di 6.580. Dall’inizio di agosto sono morti più di 100 pazienti a causa del COVID19, quasi il doppio rispetto a luglio e oltre 10 volte rispetto a giugno. Il governo si è riunito con l’intesa che Green Pass e altre restrizioni simili non fermeranno efficacemente la diffusione della variante Delta. Pertanto, il primo ministro ha annunciato prima della riunione un piano di investimento per $2,5 miliardi di NIS nel sistema sanitario.”Ci stiamo preparando per un aumento significativo del numero di pazienti gravi”, ha detto Bennett in una conferenza stampa. “Il nostro obiettivo è raddoppiare la capacità del sistema sanitario”. Bennett  ha detto che la variante Delta sta “spazzando il mondo” e che Israele “sta conducendo una campagna determinata per combatterla – una campagna per la salute, ma anche per l’economia. Per questo abbiamo deciso di dare una iniezione di danaro al sistema sanitario. “Ogni paziente serio ci ferisce. Ogni famiglia che perde qualcuno a causa del COVID19 ci provoca dolore. Ma ogni imprenditore che perde il suo mondo fa male anche a noi”.
  I soldi saranno utilizzati per finanziare 770 nuovi posti letto ospedalieri, 800 nuove posizioni mediche – medici, infermieri e personale paramedico – e 3.000 studenti che saranno formati nel campo sanitario e inoltre, gli istituti geriatrici riceveranno 1.000 nuovi posti. Infine, altri 1.400 posti letto verranno aggiunti alla rete di ospedalizzazione domiciliare in collaborazione con le casse mutua israeliane e con il supporto dell’esercito.
  Con questi cambiamenti, si prevede che il sistema sarà in grado di gestire 2.400 pazienti gravi, il doppio del numero più alto gestito dagli ospedali durante la terza ondata. Più di 650.000 cittadini di età superiore ai 60 anni o immunodepressi hanno ricevuto una terza dose del vaccino Pfizer. Il governo spera che le nuove restrizioni facciano guadagnare tempo fino a quando non si potranno vedere gli effetti della campagna di vaccinazione. I funzionari del Ministero della Salute stanno anche discutendo la possibilità di dare un terzo vaccino ai più giovani, probabilmente dai 45 anni in su. Un alto funzionario di un fondo sanitario ha affermato che una decisione del genere potrebbe essere presa anche nei prossimi giorni.

(israele360, 12 agosto 2021)


La Polonia vieta la restituzione delle proprietà confiscate dai nazisti

Protestano Israele e gli Stati Uniti

ROMA – Il parlamento polacco ha approvato una legge che impedisce agli ex proprietari, compresi i sopravvissuti all’Olocausto e i loro discendenti, di tornare in possesso delle proprietà espropriate dai nazisti.
   Dopo la caduta del regime comunista, nel 1989, la Polonia aprì alla possibilità di restituire le proprietà espropriate. Non c’è mai stata una legge in materia, ma nei tribunali alcune cause sono andate avanti. Secondo l’attuale maggioranza, tuttavia, nel corso del tempo si sono registrate irregolarità e frodi, per cui si è reso necessario modificare il diritto amministrativo.
    Il provvedimento stabilisce ora che non si possono impugnare le decisioni amministrative dopo un periodo di 30 anni, così impedendo agli ebrei, di fatto, di recuperare proprietà che, espropriate durante la seconda guerra mondiale, furono poi incamerate dalle autorità comuniste.
   Israele ha condannato la nuova normativa per bocca del ministro degli Esteri Yair Lapid, riferisce l’Associated Press. Secondo il capo della diplomazia dello Stato ebraico, questa “danneggia sia la memoria dell’Olocausto che i diritti delle sue vittime”.
    Gideon Taylor, presidente della World Jewish Restitution Organization (Wjro), ha sottolineato che il disegno di legge è “ugualmente ingiusto sia per gli ebrei che per i non ebrei”.
   Sul tema è intervenuto anche il Segretario di Stato Usa Antony Blinken, che ha dichiarato: “Siamo profondamente preoccupati per il fatto che il parlamento polacco abbia approvato oggi una legge che restringe severamente il processo per i sopravvissuti all’Olocausto e le loro famiglie, così come per altri proprietari di proprietà ebrei e non ebrei, per ottenere la restituzione dei beni confiscati ingiustamente durante l’era comunista della Polonia”. Il ministro degli Esteri statunitense ha esortato il presidente polacco Andrzej Duda a non firmare il disegno di legge o a deferirlo alla corte costituzionale.

(askanews, 12 agosto 2021)


Galeotta fu la caccia al tesoro. Bambina israeliana trova una moneta dell’era del Talmud

di Giulia Favignana

È successo martedì, durante una caccia al tesoro, all’interno di “Korazim”. Una bambina israeliana ha trovato una moneta di bronzo antica di 1.500 anni. L’attività didattica ha preso una svolta sorprendente per la ragazza e la famiglia, portando alla luce un tesoro estremamente interessante.
  Korazim è un villaggio dell'era del Talmud nel nord di Israele; è antico circa 2000 anni, e raggiunse il suo apice durante il periodo della Mishnah e del Talmud. Ciò che rende speciale Korazim non è solo la sua ricchezza di reperti archeologici, ma come questa sia stata mantenuta negli anni.
  La ragazzina e i suoi familiari stavano visitando il parco archeologico, vicino al Mar di Galilea, secondo quanto riportato da Israel Hayom. Durante il gioco, lei ha trovato la moneta per terra. Secondo il direttore del Parco Korazim, Dekel Segev, la moneta risale al periodo talmudico, tra il IV e il V secolo d.C.
  Korazim è uno dei pochi siti archeologici in Israele che mostra ai visitatori un'antica comunità agricola ebraica che vanta una sinagoga, case, un mikveh, frantoi per l'olio d'oliva e un torchio per il vino.
  Oltre ad offrire percorsi e creare attività di caccia al tesoro, il parco offre anche ai visitatori curiosi la possibilità di “sporcarsi le mani” scavando con un archeologo professionista in un programma chiamato "Scavare nel tempo".
  Segev, ha elogiato la bambina per aver consegnato immediatamente la moneta alle autorità del parco: "La ragazza e la sua famiglia hanno dato esempio di essere dei buoni cittadini consegnando la moneta, che rappresenta tesoro nazionale. Il pezzo sarà inviato all'Autorità per le antichità israeliane per ulteriori ricerche e per la conservazione”.

(Shalom, 12 agosto 2021)


Israele alle prese con la ''pandemia Delta'', torna la quarantena

Con oltre 6mila nuovi casi al giorno e un tasso al 5% ora si teme l'avvio dell'anno scolastico e il ritorno di decine di migliaia di israeliani all’estero.

L'illusione di un ritorno alla normalità, grazie alla vaccinazione di massa, è svanita e Israele è alle prese con quella che il suo premier definisce la "pandemia Delta" ed un nuovo incubo contagi. Con i nuovi casi che corrono ad un ritmo di 6 mila al giorno ed un tasso di positività che sfiora il 5% mentre sale il numero dei malati gravi. Nel Paese che ha rappresentato un esempio virtuoso nella gestione dell'emergenza Covid, pesano anche i tanti (circa un milione di persone) che non hanno risposto all'appello a immunizzarsi mentre è già partita la campagna con il booster, la terza dose di richiamo per gli aver 60 e i fragili.
   «La situazione è allarmante, siamo ad un punto critico» ha avvertito il coordinatore della lotta alla pandemia mentre il primo ministro Naftali Bennett ha sottolineato come lo Stato ebraico sia «impegnato in una campagna contro la pandemia Delta, che ha investito il mondo intero: gli apparati di difesa sono in prima linea in questa campagna, assieme con tutto il personale medico», ha aggiunto Bennett, parlando da una "task-force" creata nel comando delle retrovie. E tornano le strette: da oggi per chi atterra a Tel Aviv da una trentina di Paesi (fra cui l'Italia) torna obbligatoria la quarantena, anche se si è vaccinati o guariti dal Covid. È inoltre vietato agli israeliani, se non in casi eccezionali, di recarsi in una dozzina di Paesi fra cui Gran Bretagna, Spagna, Turchia e Cipro.
   Ormai non c'è tempo da perdere perché il numero dei malati gravi è salito a quasi 400. Di questi 88 versano in condizioni critiche e di loro 63 sono in rianimazione. Per il sistema sanitario, la "linea rossa" è rappresentata da 1.000 malati gravi. Un traguardo che, secondo il professor Eran Segal dell'Istituto Weizman di Rehovot, rischia di essere raggiunto entro la fine di settembre. Mentre la casse mutue hanno avuto istruzione a tenersi pronte per organizzare ricoveri domiciliari per mille malati medio-gravi, l'apprensione fra i responsabili sanitari cresce per una concomitanza di circostanze. Fra tutte la prossima apertura delle scuole il primo settembre, il ritorno di decine di migliaia di israeliani all'estero per le vacanze e diverse ricorrenze religiose ebraiche in calendario il mese prossimo che prevedono preghiere in sinagoghe affollate e riunioni familiari.
   Da alcuni giorni è in vigore un Green pass rafforzato: ma ormai è evidente che non basta più. Il problema centrale, ribadiscono le autorità, è rappresentato da oltre un milione di israeliani che pur potendosi vaccinare finora resistono a tutti gli appelli. A dare l'esempio sono invece gli Over 60 che hanno accolto in massa l'appello ad assumere la terza dose di Pfizer, avendo ricevuto la seconda oltre cinque mesi fa. In otto giorni la loro vaccinazioni sono state 600 mila, e l'obiettivo è di raggiungere a giorni la cifra di 900 mila. La terza dose, secondo gli esperti locali, protegge da forme gravi di malattia e in prospettiva sarà estesa anche agli Over 50 e agli Over 40. I malati attivi sono decine di migliaia e potrebbero nelle prossime settimane crescere fino a centinaia di migliaia.

(Avvenire, 11 agosto 2021)


Conclusione: se i contagi diminuiscono il merito è della vaccinazione già fatta; se invece crescono la colpa è di quelli che non si sono ancora fatti vaccinare. Dunque, se i contagi rimarranno alti anche dopo il 90 percento di vaccinati, bisognerà dare la caccia a quel 10 percento che si sono rifiutati di farlo e costringerli con le buone o con le cattive a vaccinarsi. E costringere quelli che hanno fatto solo la prima dose a fare anche la seconda; e dopo la seconda anche la terza; rimanendo aperta la possibilità di arrivare alla quarta se necessario. Lo richiede il «bene dell'umanità». Qualcuno potrebbe chiedersi: e se fosse proprio la vaccinazione a far aumentare i contagi? Forse soltanto per qualche errore di manovra. E' "scientifico" escludere questa possibilità? Non è stato affatto escluso che sia stato proprio un errore di manovra degli scienziati cinesi di Wuhan a produrre quella straordinaria specie di virus che oggi affligge l'umanità. E siamo sicuri che altri errori non potrebbero ripetersi? Dovremmo fidarci ciecamente non solo di chi studia il vaccino, ma anche di chi lo produce e di chi lo commercia e di chi compie le inoculazioni per sentirci "messi in sicurezza" dalle autorità politiche? Chi spera di sentirsi in sicurezza in questo modo vivrà ogni giorno nell'ansia. M.C.


Israele, strategie per combattere il cambiamento climatico

A seguito dei moniti lanciati nel sesto rapporto, appena pubblicato, dal Comitato intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), l’ente delle Nazioni Unite che studia il riscaldamento del pianeta, Israele ha risposto sottolineando l’importanza di agire a tutti i livelli e delineando i piani da attuare contro l’emergenza climatica, come riferito dal sito Arutz Sheva.
  “Il rapporto è un campanello d'allarme – riporta la nota del ministero degli Esteri - Richiede un'azione internazionale congiunta e la condivisione di conoscenze ed esperienze, volte a prevenire gli scenari estremi in esso descritti”.
  Il Ministero degli Esteri e i funzionari israeliani sostengono la figura strategica dell’”Inviato speciale del clima”, che partecipi agli eventi internazionali sul cambiamento climatico, come la Giornata della Terra, in cui decine di delegati israeliani in tutto il mondo organizzano eventi per sensibilizzare sull’argomento e sull’attuale tecnologia israeliana”.
  Il rapporto dell’Ipcc ribadisce che tutti i cambiamenti che stanno avvenendo nell’ambiente sono provocati dall’attività umana.
  Il direttore generale del ministero, Alon Ushpiz, ha affermato che lo Stato ebraico è in una posizione unica per aiutare il resto della comunità internazionale a gestire questa emergenza.
  "Israele, che ha affrontato difficoltà legate al clima fin dalla sua istituzione, ha una vasta conoscenza ed esperienza nei campi dell'innovazione legata al clima e può aiutare i paesi di tutto il mondo nei settori della tecnologia idrica e della desalinizzazione dell'acqua di mare, nell’agricoltura contro la siccità e il cambiamento climatico, nell’energia rinnovabile e nello stoccaggio di energia, nello sviluppo di sostituti delle proteine ​​animali, nella riforestazione, per affrontare le prossime sfide del cambiamento climatico".

(Shalom, 10 agosto 2021)


Il capo della Cia in Israele. Per decidere la rappresaglia contro l’Iran?

Il capo della Cia, Bill Burns, è oggi, martedì 10 agosto, in Israele per incontri che dovrebbero riguardare l’Iran. La visita doveva essere discreta, ma il giornalista di Axios Barak Ravid ha ricevuto un’imbeccata su incontri e obiettivi, e dunque è possibile che ci sia l’intenzione di far trapelare una certa attività focalizzata su Teheran. Il viaggio, il primo da quando Burns è stato nominato, prevede due tappe: la prima al Mossad, con il capo dell’intelligence esterna israeliana David Barnea, la seconda dal primo ministro Naftali Bennett – conferma tra l’altro di come in Israele, paese fatto dagli apparati, molta della politica estera sia condotta con interlocuzioni da e con le leadership degli apparati di sicurezza.
  La tempistica: Burns arriva a Gerusalemme mentre le tensioni tra Israele e Iran si sono alzate a seguito dell’attacco drone al tanker “Mercer Street”, collegato a una società controllata dal magnate ebreo israeliano Eyal Ofer. Ci sono stati due morti, circostanza che ha reso l’evento singolare all’interno di una costante guerra ombra condotta tra i due paesi – guerra di cui gli Stati Uniti sono stati più volte parte attiva al fianco israeliano. Washington e Gerusalemme, con Londra e Bucarest (le vittime erano un inglese e un romeno), hanno promesso una rappresaglia congiunta contro l’Iran, ritenuto responsabile dell’azione condotta una settimana fa.
  Responsabilità addossatagli anche grazie alla condivisione di informazioni da parte di Israele. Ora il punto sta in che genere di rappresaglia aspettarsi, perché a questo punto è praticamente impossibile dal punto di vista narrativo tornare indietro. Una volta annunciata in modo pubblico come è stato fatto, una ritorsione si esegue: pena sembrare deboli. Come? Difficile anticiparlo visto il livello di riservatezza elevatissimo sui piani, sebbene è possibile pensare a uno schiaffo cyber, ossia un’azione molto simbolica che possa colpire la Repubblica islamica ma non gli iraniani, per esempio sul programma atomico.
  Possibile anche si possa trattare di una retaliation che coinvolga asset esterni come le milizie sciite addestrate e guidata dai Pasdaran. Nei giorni scorsi, uomini dello Special Boat Services sarebbero arrivati in Yemen per condurre indagini: l’informazione sullo spostamento degli incursori della marina di Sua Maestà è uscita su alcuni media inglesi senza conferme, chiaramente, ma come forma di messaggio a Teheran. Un ufficiale del Pentagono ha detto a Newsweek che l’attacco potrebbe essere stato condotto dallo Yemen, dove in effetti i nordisti Houthi hanno più volte usato droni Shahed-136 di fabbricazione iraniana per colpire i loro obiettivi.
  Gli americani hanno ritrovato rottami di quei droni sul ponte del Mercer Street. Secondo l’iraniana Nour News, un sottomarino Classe Dolphin israeliano ha attraversato Suez il 4 agosto. I sottomarini possono avere deck appositi per ospitare le forze speciali e fare da base mobile per le loro missioni. Nour News ha anche elencato tutti i presunti sabotaggi subiti da navi iraniane tra Mar Rosso e Mediterraneo negli anni 2019, 2020 e 2021. La rete è collegata al Supremo consiglio di sicurezza nazionale e dunque non scevra dalla propaganda.
  Val la pena anche ricordare che l’uccisione del generale Qassem Soleimani, capo dell’unità di élite dei Pasdaran e ideatore del network di milizie con cui l’Iran cerca influenza nella regione mediorientale, avvenne sotto coordinamento Usa-Israele. Il Mossad fornì intelligence alla Cia quando il 3 gennaio 2020 i missili Hellfire di un drone americano centrò, lungo la strada che costeggia l’aeroporto di Baghdad, due auto in cui viaggiavano Soleimani e il capo delle milizie irachene riunite. Allo stesso modo, quando il fisico nucleare Moseh Fakhrizadeh fu ucciso qualche dozzina di chilometri fuori Teheran mentre andava a trovare il fratello fuori città, con moglie e scorta, la Cia condivise informazioni con il Mossad che il 27 novembre 2020 attivò la squadra killer.
  Anche l’Iraq potrebbe essere di nuovo un terreno di sfogo della ritorsione. Oppure la Siria. Sempre oggi, il Consigliere per la sicurezza israeliano uscente Meir Ben Shabbat ha accompagnato l’entrante Eyal Hulta a Mosca per incontri con funzionari russi guidati da Nikolai Patrushev, capo del Consiglio di sicurezza nazionale del Cremlino. Al di là dei convenevoli, anche questo potrebbe essere un meeting che anticipa qualche azione. Israele è dal 2013 che bombarda costantemente in Siria i traffici di armi tra Pasdaran e gruppi sciiti collegati, su tutti Hezbollah; la Russia controlla i cieli siriani e chiude più di un occhio al passaggio dei caccia con lo Scudo di David.
  Certi contatti tra leadership delle intelligence sono passaggi cruciali per lo sviluppo delle relazioni e delle attività. Burns, che oggi ha avuto incontri anche con l’Autorità Palestinese, ha già condotto le attività di backchannel con Israele quando nel 2013 si stava costruendo il Jcpoa. Con lui, a condurre i rapporti col principale alleato americano in Medio Oriente, c’era l’attuale Consigliere per la sicurezza nazionale di Joe Biden, Jake Sullivan. I due avevano un ruolo molto importante, perché i rispettivi leader, Barack Obama e Benjamin Netanyahu, non si parlavano, e gli Stati Uniti avevano tutto l’interesse di costruire un accordo sul nucleare con l’Iran, mentre Israele aveva come obiettivo impedirlo.
  Situazione simile adesso, con l’amministrazione Biden che cerca in modo complicato, e senza fretta, di ricostruire l’accordo messo alle corde dalla decisione di uscita unilaterale di Donald Trump. Su questo dossier, Israele vuole dire la sua e sta da tempo cercando di filtrare le scelte americane. Tanto più adesso, che a Teheran si è insediato un presidente, Ebrahim Raisi, che promette di attestarsi su una visione, che seppur pragmatica allinea tutto il policentrismo iraniano sull’asse del conservatorismo – opposto alle apertura delle due presidenze Rouhani precedenti.

(Formiche.net, 10 agosto 2021)


Grave terremoto colpì Gerusalemme 2800 anni fa, le prove nei resti archeologici

Un forte terremoto è avvenuto all’incirca 2800 anni nel territorio dell’odierno Israele, un terremoto che colpì anche Gerusalemme, secondo alcune indagini archeologiche condotte da una squadra di ricercatori dell’Autorità per le antichità israeliane. I primi risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla pagina Facebook del team in via preliminare. Le prove archeologiche del terremoto, occorso durante il Regno di Giuda secondo quanto descritto nella Bibbia, risiederebbero in alcuni resti ritrovati nel Parco nazionale della città di David.
  Già in passato alcune prove del suddetto terremoto erano state trovate in diversi siti di Israele ma questa è la prima volta che si trovano prove del fatto che il terremoto ha colpito anche Gerusalemme. Il terremoto viene descritto sia nel libro di Zaccaria che in quello di Amos. Le descrizioni vennero immortalate diversi anni dopo l’evento e riguardano soprattutto la distruzione che lo stesso terremoto ha apportato al territorio e lo ha segnato per i decenni successivi.
  I ricercatori sono giunti alla conclusione relativa fatto che questo terribile terremoto é occorso anche a Gerusalemme esaminando con attenzione vari resti di ceramiche, lampade, utensili vari, in particolare da cucina, mobili e pareti sbriciolate. Oltre a questi oggetti chiaramente in frantumi, i ricercatori hanno analizzato anche diversi resti di navi, in particolare le merci danneggiate dalle scosse che queste navi trasportavano.
  Secondo i ricercatori si tratta di danni non intenzionali oppure provocati da altre tipologie di eventi, quali incendi. La causa più probabile deve risiedere in una forte scossa tellurica e deve essere stato il terremoto descritto nei suddetti libri della Bibbia in quanto i periodi coincidono. In ogni caso Gerusalemme non doveva essere l’epicentro perché, pur fortemente colpita, ha continuato ad esistere e a svilupparsi fin poi alla distruzione babilonese avvenuta un paio di secoli dopo.

(Notizie scientifiche.it, 10 agosto 2021)


Porto di Haifa in vendita

di Abele Carruezzo

HAIFA - Il Governo israeliano, già nell’anno scorso, aveva approvato il piano per la privatizzazione del porto di Haifa, dopo la riforma sui porti del 2005: si doveva incidere sui mercati con infrastrutture adeguate e attrarre nuovi traffici merceologici. Haifa, città posta nella parte settentrionale di Israele, ha il più grande porto del Paese e con il maggior numero di traffici di merci.
   Al bando emanato dalla Government Companies Authority (GCA) – organo istituzionale che sta gestendo la vendita – sono in corsa quattro gruppi di investimento che stanno cercando di acquisire il porto israeliano di Haifa, stimato per un valore di 600 milioni di dollari.
   Le offerte previste saranno formalizzate entro ottobre prossimo per chiudere una campagna di una nuova strategia israeliana in tema di portualità: vendere i porti statali non competitivi e costruire nuovi moli privati nel tentativo di incoraggiare la concorrenza e ridurre i costi di gestione delle infrastrutture e ridurre la prassi burocratica.
   Allo stesso tempo si sta operando in legami economici con i vicini paesi arabi creando nuove opportunità commerciali, rivalutando e sfruttando la posizione geografica del porto di Haifa per farlo diventare un hub regionale. Infatti, da quest’anno, ha preso il via il terminal container gestito dalla cinese Shanghai International Port Group (SIPG), sito lungo la costa israeliana ed è per questo che il porto di Haifa dovrà essere aggiornato nelle sue infrastrutture se vorrà competere. L’innovativo terminal container, con fondali a – 17,3 metri, si trova vicino al vecchio porto di Haifa e consente di scaricare velocemente grandi navi lunghe 400 metri e larghe 62 che trasportano più di 18.000 container.
   Il bando dovrà dichiarare il concorrente scelto entro la fine di quest’anno con la proprietà da trasferire all’inizio del 2022 e la concessione avrà validità fino al 2054.
   L’aggiudicatario della gara dovrà impegnarsi per un investimento minimo di 290 milioni di dollari, di cui 115 milioni di dollari andranno per investimenti in infrastrutture. I lavoratori del porto riceveranno un ‘bonus di privatizzazione’ e una parte del finanziamento verrà utilizzata per la compensazione dell’interruzione dal lavoro per circa 200 posizioni.
   I gruppi che si stanno contendendo il porto di Haifa provengono da Israele, Europa, India ed Emirati Arabi Uniti, che solo l’anno scorso hanno normalizzato i legami economici con Israele.
   Una nota della GCA afferma che la vendita è stata “un processo ordinato e internazionale”, aggiungendo: “la geopolitica non è un fattore”.
   Per attirare investitori, evitando la concorrenza con il terminal gestito dalla Cina, posizionato proprio nella baia, Israele sta vendendo il porto di Haifa e relativo entroterra da sviluppare per una crescente domanda di beni per i investitori e consumatori. Anche se questo ha messo in allerta la diplomazia americana.
   Uno dei quattro gruppi concorrenti al bando, la Israel Shipyards Industries che sta operando un’offerta congiunta con la DP World di Dubai, è convinta che il progetto è fattibile per rendere il porto di Haifa ‘gateway- porta del Mediterraneo’.
   La britannica DAO Shipping che sta collaborando con il fondo infrastrutturale israeliano Generation Capital e la Compagnia di Navigazione Lomar, con il gruppo leader Libra, con sede a Londra, sta finalizzando la sua partecipazione al consorzio, affinché il porto di Haifa diventi un importante porto di merci alla rinfusa, di automobili, ro-ro e anche come porto per crociere da/per tutta la regione compresa la Palestina. Sono convinti di avere tutto il potenziale per trasformare il porto in un hub strategico multi – carico che andrà a beneficio di Israele e della regione in generale.
   L’altro concorrente è l’Adani Ports dell’India che sta partecipando separatamente con il Gadot Group di Israele e un quarto pretendente, la società israeliana Shafir Engineering che in questa fase non ritengono di rilasciare dichiarazioni in merito.
   Tutto questo avviene in un momento in cui i porti, a livello mondiale, sono alle prese con complessi problemi di congestione. I ritardi, causati in gran parte da intoppi nella catena di approvvigionamento, sono ulteriormente cresciuti durante la pandemia, allungando i tempi di consegna e aumentando i costi di spedizione. Più del 99% del commercio israeliano avviene via mare, pertanto, l’apertura d’infrastrutture aggiuntive sarà vitale per risolvere le congestioni, consentire prezzi al consumo più bassi e creare nuovi posti di lavoro.

(Il Nautilus, 10 agosto 2021)


Covid Israele, oltre 6 mila contagi nelle ultime 24 ore

Sono 6.275 i nuovi contagi da Covid-19 registrati in Israele nelle ultime 24 ore. Lo riferisce il ministero della Sanità, sottolineando che è il dato più alto dal picco della pandemia a febbraio, con un tasso di positività che sale al 4,84%. I pazienti in gravi condizioni aumentano a 394. Lo riporta il Jpost.
   “Il momento è critico per tutti noi, la salute, la vita e l’economia” ha affermato Salman Zarka, commissario anti-Covid, in un’intervista a Radio Kan Bet.
   Attualmente i casi attivi sono 35.466, le vittime dall’inizio della pandemia sono 6.559, tra cui 16 persone decedute domenica scorsa, giorno che segna il maggior numero di morti da aprile.
   I funzionari del ministero della Sanità sperano in un miglioramento significativo con la somministrazione della terza dose di vaccino agli over 60 e alle persone con sistema immunitario fragile. Da quando è iniziata la campagna vaccinale circa 600mila israeliani hanno ricevuto la “dose booster”.
   Il direttore generale, Nachman Ash, ha affermato che il Governo sta facendo di tutto per evitare il lockdown. Il Gabinetto ministeriale per il Covid si riunirà nei prossimi giorni.

(Shalom, 10 agosto 2021)


Fede no vax

Ricchi o poveri, quando l’estremismo religioso è usato per rafforzare l’antiscientismo.

di Enrico Bucci

In questa rubrica, i lettori hanno spesso potuto leggere del rapporto tra memi umani pericolosi – concetti rapidamente diffusibili nelle popolazioni umane, i quali possono predisporre a comportamenti erronei – e geni di parassiti, in particolare di Sars-CoV-2, ma anche di Xylella e di altri, che hanno potuto sfruttare idee sbagliate e diffuse in ambienti culturali predisponenti, per diffondersi meglio e più rapidamente.
   Fra gli esempi che vale la pena considerare, vi è una categoria di memi che vale la pena di osservare con maggiore attenzione. Si tratta delle credenze religiose, le quali hanno una presa molto forte e hanno valore prescrittivo, nel senso che determinano il comportamento degli esseri umani che ne sono portatori. All’inizio dell’epidemia, si ricorderà che le cerimonie religiose di una particolare setta coreana, la chiesa di Gesù di Shincheonji, divennero l’innesco principale dell’epidemia in Corea; sebbene questo fosse ovviamente un fatto accidentale, perché qualunque congregazione di un numero elevato di individui, in assenza di conoscenze del virus, avrebbe potuto essere un fattore importante nella propagazione iniziale, non tutti sono a conoscenza del fatto che, per motivi religiosi, il leader di quella setta si oppose all’efficiente programma di tracciamento del governo coreano. L’ottantottenne Lee Man-hee, a causa delle sue credenze, convinse i suoi fedeli a sottrarsi al tracciamento, in un periodo in cui non vi erano vaccini e il contenimento con misure non farmacologiche era l’unico che poteva contrastare un virus allora sconosciuto nei suoi effetti e nelle sue dinamiche.
   Si potrebbe pensare che il caso coreano sia il caso di un estremista religioso isolato, ma non è così: a gennaio, il leader religioso supremo dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, ha bandito l’importazione di vaccini fatti in Usa e in Inghilterra, stabilendo che sono inaffidabili e che potrebbero propagare l’infezione. L’azione politica di quel leader ha fatto ovviamente leva sulla religione iraniana, e sui memi ad essa legati; il risultato è stata una campagna di vaccinazione lentissima, con meno del 4 per cento degli 83 milioni di cittadini attualmente vaccinati, e un tasso di infezione attuale in Iran di una persona ogni due secondi, con un nuovo morto osservato all’incirca ogni due minuti, ospedali in crisi e sanità allo sbando.
   Anche nei paesi cosiddetti avanzati l’estremismo religioso è usato per rinforzare l’antiscientismo. Negli Usa, un sondaggio del Pew Research Center condotto a febbraio ha rilevato che gli evangelici bianchi sono il gruppo religioso che maggiormente si oppone alla vaccinazione contro Sars-CoV-2. Quasi la metà (45 per cento) ha dichiarato che non si sarebbe vaccinato contro il Covid-19, rispetto al 30 per cento della popolazione generale. L’obiezione religiosa, in paesi come gli Stati Uniti, può ancora essere riconosciuta come un motivo legalmente valido per l’obiezione vaccinale; il che, ovviamente, dimostra quale sia la potenza delle false credenze come varianti mentali accessorie alle varianti virali. Negli Usa, si è arrivati al punto che un gruppo di arcivescovi ha alimentato i dubbi dei fedeli sui vaccini, mettendo in questione la moralità dell’utilizzo di vaccini sviluppati attraverso l’utilizzo di linee cellulari originariamente derivate da embrioni umani. C’è voluto quindi l’intervento del Vaticano e del Papa per spegnere le obiezioni alla vaccinazione almeno nella comunità dei cattolici. Né ci si limita ai credenti cristiani: sempre in USA, un dibattito tra diverse autorità islamiche sembra rispecchiare quanto è avvenuto nella chiesa cattolica, con i fedeli confusi e in dubbio circa la possibilità di vaccinarsi e preservare la propria religione.
   Ora, il problema risiede naturalmente non nelle credenze religiose in sé, ma nel fatto che queste, se estremizzate e se caricate di scopi politici (come ad esempio in Iran, ma anche nell’ultradestra religiosa bianca americana), possono essere usate per produrre leve mentali estremamente potenti, in grado di favorire la diffusione del virus sia attraverso il negazionismo, sia attraverso la credenza che le misure preventive, tanto quelle vaccinali che quelle non farmacologiche, siano opera di entità malevole, cui il religioso deve opporsi in nome del bene. Le credenze religiose sono parte costitutiva della spiritualità di troppi esseri umani, perché si possa ignorare il loro peso nel determinarne il comportamento; è quindi essenziale, se si vuole raggiungere un tasso di vaccinazione sufficiente, che vi sia una collaborazione fra sanità pubblica e autorità religiose volta a scardinare gli usi impropri delle fedi religiose, oltre che per fermare la strumentalizzazione da parte di guru no-vax di ogni specie, pronti a cavalcare qualunque cosa sia utile per affermare la propria, di religione.

Il Foglio, 10 agosto 2021)


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Fede si vax

Scienziati e tutti gli altri, quando l'estremismo religioso scientista è usato per promuovere la caccia alle streghe eretiche dei no-vax sotto la spinta di guru si-vax pronti a colpire chiunque si opponga all'unica vera universale religione che deve accomunare oggi tutti gli uomini: la SCIENZA.

E' bene che tra i proseliti della religione SCIENZA ci sia qualcuno che sappia dire certe cose con decisione. Per semplice chiarezza e non per timore di un'eventuale persecuzione scientista, si avverte che chi scrive ha deciso di non vaccinarsi. Ma non invita altri a fare altrettanto, né si permette di fare valutazioni morali su chi prende una decisione diversa dalla sua. Non si tratta di attaccamento alla propria ego-libertà o di paura di soccombere alla temuta inoculazione.
   In ambito evangelico non è stata fatta una riflessione ordinata e condivisa sul rapporto tra fede e obbligo vaccinale, e quasi sicuramente la maggioranza si farà vaccinare. O l'ha già fatto. La reazione quasi rabbiosa che certi si-vax della maggioranza, soprattutto tra quelli che si trovano in posizione di potere, hanno verso coloro che si attentano a mettere soltanto in dubbio il valore sociale dell'operazione, fa capire che questo atto della vaccinazione ha assunto ormai il valore di un atto di iniziazione per l'ingresso nella società prossimo-ventura. Ha il valore di un engagement. La cui importanza sta nell'atto stesso che si compie. Il quale, per sua stessa natura e per le sue motivazioni, ne chiederà ben presto un altro. Se si è fatto il primo passo, che motivo c'è per non fare il secondo? E così via. Sta qui l'importanza dell'engagement iniziale. E la pressione che sarà fatta ogni volta sarà sempre maggiore, ma avrà in ogni caso un indiscutibile volto nobile: il «bene dell'umanità». "Vuoi tu essere un nemico dell'umanità rifiutandoti di sottoporti all'operazione che ti viene richiesta dal mondo intero?" Sarà la solenne domanda fatta ai renitenti. Le inevitabili punizioni in caso di insistenza nel diniego sono ancora confuse e in fase di elaborazione.
   Quindi, nel caso che qualcuno si fosse pentito di aver dato il proprio alla prima richiesta di vaccinazione, può tranquillamente aspettare di rifarsi alla seconda, perché prima o poi gli sarà fatta una richiesta simile. Solo che questa volta sarà più impegnativo rispondere no.
   Per quanto riguarda i cristiani evangelici nel loro complesso, si direbbe che non vedono nulla di "religioso" nelle attuali disposizioni delle autorità. Quindi, in massima parte, conformemente all'invito biblico ad essere sottoposti alle autorità, si attengono ordinatamente alle disposizioni. E si può ammettere che oltre all'assenza di chiari divieti biblici, ci sono buoni motivi pragmatici per aderire alle richieste governative, anche se non sono ancora espresse in forma di legge.
   E' bene però tener presente il motivo di fondo della richiesta: il «bene dell'umanità». E qual è il bene dell'umanità? La risposta si trova scritta nella dogmatica della religione SCIENZA. Bisogna lasciare dunque che i suoi teologi la spieghino, i suoi sacerdoti la amministrino e i fedeli la imparino e la mettano in pratica. Ma attenzione! Nessun'altra religione alla fine sarà tollerata. Già da adesso, in tempi in cui si tollera ancora la presenza di «culti ammessi», nonostante l'«ignoranza invincibile» che le informi, è bene che si sappia che nessun ostacolo che si frapponga al mantenimento del «bene dell'umanità», secondo la definizione datane dalla SCIENZA, sarà tollerato.
   Grazie, signor Bucci, di averci così premurosamente avvertiti. M.C.

(Notizie su Israele, 10 agosto 2021)


Il Palazzo di vetro e i 101 antisemiti

di Daniel Mosseri.

Perpetuare lo status di rifugiati attraverso le generazioni è un crimine piuttosto odioso. Dell'incombenza si fa carico ormai dal 1949, l'Unrwa, l'agenzia dell'Onu peri rifugiati palestinesi. Sulla sensatezza di avere un'agenzia dell'Onu a uso esclusivo degli arabi palestinesi la stessa Unrwa si interroga ormai dal 1951. In 70 anni di attività non si è data ancora una risposta. Intanto però per gli altri, ossia i rifugiati di seconda classe: quelli cioè non palestinesi, sotto la meno specifica protezione dell'Unchr, più che raddoppiati da 10,1 milioni nel 2010 a 20,7 milioni nel 2020.
   L'Unrwa non manca di dare scandalo: non solo perché rende ereditario lo status dei profughi palestinesi del 1948 e del 1967, balzati da 750 mila nel 1948 a 5,7 milioni l'anno scorso (dati Unhcr). Nel 2013 l'Unrwa ha fatto notizia per aver ospitato campeggi estivi jihadisti nelle proprie scuole; nel 2014 per aver custodito un deposito di munizioni di Hamas in locali dell'agenzia; nel 2017 vengono scoperti tunnel di Hamas situati sotto a diverse scuole gestite dall'Unrwa a Gaza. L'ultima perla è di questo agosto: l'agguerrita ong UN Watch ha messo alla berlina il comportamento di decine di insegnanti legati all'agenzia, accusati di spronare milioni di scolari palestinesi al jihad, all'antisemitismo e a rimpiangere Hitler, che lui sì aveva capito come si trattano gli ebrei. Colta nel vivo, l'Unrwa è corsa ai ripari lanciando un'indagine su 10 degli accusati. L'agenzia ha anche ricordato che negli ultimi 5 anni l'UN Watch ha identificato 101 casi di comportamento scorretto (leggi antiebraico) di funzionari e docenti Unrwa sui social «ma nel 57% dei casi non si trattava di personale nostro».

Libero, 10 agosto 2021)


Tutti a tavola con la Torah

Le norme ebraiche sull’alimentazione sono severe e cariche di divieti ma hanno prodotto una gastronomia che è un grande giacimento culturale

di Marino Niola

«Quanto si muove e ha vita, vi servirà di cibo. Vi do tutto questo, come già le verdi erbe. Soltanto non mangerete la carne con la sua vita, cioè il suo sangue». Siamo nel nono capitolo della Genesi , all’indomani del diluvio universale e il Signore mette sulla tavola degli uomini tutto ciò che sta nei cieli, nel mare, sulla terra, tutto ciò che cammina, che vola, che striscia. Ma pone subito numerosi tabù. Come quello di mangiare carne contenente sangue. Forse in memoria dell’assassinio di Abele. E ai divieti del primo libro della Bibbia seguono quelli del terzo, cioè il Levitico .Che traccia una invalicabile frontiera tra il puro e l’impuro, tra le specie commestibili e quelle che un ebreo osservante non può mangiare senza peccare. Disco verde per i ruminanti dotati dell’unghia bipartita. Una doppia clausola che taglia fuori di netto il maiale, perché ha sì l’unghia fessa, ma non rumina. E anche il cammello, che rumina ma non ha l’unghia bipartita. Sì agli uccelli, con moltissime eccezioni tra cui il pipistrello, che evidentemente anche prima del Covid non ha mai goduto di buona stampa. Ok anche per i pesci, purché abbiano pinne e squame. Quindi niente polpi, calamari, seppie, crostacei e frutti di mare. E mai, per nessuna ragione, associare la carne con il latte nello stesso pasto. Di conseguenza mangiare come Dio comanda nella cultura ebraica significa intonare un controcanto gastronomico della Torah . Un promemoria culinario che alterna ricette e precetti, per dirla con Miriam Camerini, nota studiosa di ebraismo. Rinsaldando i legami familiari e collettivi attraverso la preparazione e il consumo dei piatti della tradizione. Di fatto, i ricettari, tramandati di generazione in generazione, danno vita ad un grande patrimonio alimentare, attraverso il quale l’antico popolo di Israele si ritrova unito, anche se disperso ai quattro angoli del pianeta. Così la cucina diventa un fatto che è al tempo stesso intimamente domestico e intensamente pubblico. Perché mangiare alla giudia significa prima di tutto non dimenticare mai che il cibo è una cosa sacra. Non a caso all’inizio e alla fine del pasto si recita una preghiera per ringraziare Dio dei suoi doni alimentari e per chiedergli di contenere la voracità degli uomini entro i limiti della decenza. E non ci si può alzare dalla tavola senza aver benedetto e ringraziato il nome del Signore, raccolto e conservato le briciole di pane, segno di abbondanza e riposto il sale, simbolo del cerimoniale del Tempio di Gerusalemme. Questa acribia rituale rifletterebbe lo stato di perenne inquietudine in cui versano gli ebrei osservanti di fronte al cibo. A dirlo è la psicoterapeuta e scrittrice Anna Segre, che cita in proposito una fonte rabbinica secondo cui «quando il Tempio esisteva, l’altare espiava per tutti; dalla distruzione del Tempio (70 d.C.), la tavola di ciascuno espia per lui». 
  Quindi, osservare rigorosamente i precetti della Torah non rappresenta un esercizio ozioso, una pignoleria integralista, una puntigliosità anacronistica, come insinua un laicismo superficiale. Invece costituisce una forma di religiosità che non è fatta solo di incorporei misteri teologici e vertiginose altezze metafisiche, ma anche di comportamenti concreti, cerimonie casalinghe, gesti tramandati sempre alla stessa maniera, per non disperdere quella parte dell’identità collettiva che è tramata di vita quotidiana. Pratiche di distinzione, le ha definite il sociologo francese Pierre Bourdieu. Regole, prescrizioni, protocolli, paletti, impedimenti, interdizioni, obblighi e anche molti tabù. Un corpus di leggi conosciuto sotto il nome di kasherùt, che stabilisce cosa è kasher (o kosher), cioè puro, corretto, e cosa non lo è. Seguire i precetti religiosi significa dunque aderire ad un progetto esistenziale, ad un vero e proprio stile di vita, che fra l’altro vieta anche la prevaricazione dell’uomo sulla natura. 
  Ma la cucina ebraica non è solo divieti. A farne un grande giacimento culturale è una stratificazione secolare di sapori, umori, odori. Da cui sono nati capolavori della cucina italiana di cui beneficiamo tutti. La parmigiana di melanzane, le zucchine alla scapece, il baccalà fritto, le triglie alla mosaica (comunemente dette alla livornese), la crostate di ricotta e visciole, i carciofi alla giudia, che nella comunità ebraica di Napoli si soffriggevano con olive e capperi, mentre in quella romana, si immergono nell’olio bollente, per farli riemergere come fiori dorati e fragranti. E con tutta probabilità sono ebraici anche il pan di spagna e i baci di dama. Nonché il fish and chips, arrivato dall’Andalusia in Inghilterra seguendo il filo d’Arianna della diaspora sefardita. 
  E poi, nella cultura ebraica mangiare significa anche raccontare. Tanto che per i bambini vengono inscenate piccole pièce teatrali, come quando si porta a tavola la "Ruota di Faraone". È il manicaretto dello Shabbat Beschallach, il sabato in cui si ricorda la fuga degli ebrei dalla schiavitù egiziana. Racconta il Libro dell’ Esodo che il Mar Rosso prima si apre miracolosamente per far passare il popolo di Mosè, ma subito dopo si richiude sugli inseguitori. Le onde che sommergono l’esercito del Faraone in questo piatto vengono rappresentate dalle tagliatelle all’uovo immerse nel brodo di cappone. In quei deliziosi marosi galleggiano le teste dei soldati egiziani sotto forma di uvette e polpettine di manzo. Mentre i pinoli tostati simboleggiano le lance degli aggressori disperse tra i flutti. E una serie di rondelle di salsiccia d’oca (l’equivalente kasher del maiale) raffigurano le ruote divelte dei carri. È un piatto rituale, che consente di rimangiare la propria storia. Insomma, un modo di mandarla a memoria mandandola giù. 
  E da qualche anno, gli alimenti prodotti secondo le regole ebraiche e rigorosamente certificati dai rabbini, conquistano anche i palati dei Gentili, cioè i non ebrei. Nel Nord America rappresentano oltre un terzo dei cibi venduti. È un consumo parallelo, che in questo caso non obbedisce a nessun comandamento se non alla domanda di sicurezza e salubrità, parenti strette della purezza. Questi consumatori acquistano a marchio kasher per ragioni di fiducia, più che di fede. Evidentemente l’autorità religiosa è più credibile dell’autority alimentare. Siamo in pieno cortocircuito tra alimentazione e devozione, tra salute e salvezza. A riprova del fatto che il cibo è diventato la nuova religione del nostro tempo e la tavola l’altare dove si celebra il culto del corpo.

(la Repubblica, 10 agosto 2021)


Israele e la difficile convivenza arabi-ebrei. "I nostri vicini si sono rivoltati contro di noi"

La città mista di Lod sembrava un modello di tolleranza ma non è stata risparmiata da violenze e devastazioni.

di Stefano Stefanini

GERUSALEMME - Nessuno pensava che i nostri vicini si girassero contro di noi». Naomi (il nome è fittizio) è ebrea, i vicini arabi. Tutti cittadini israeliani. Le violenze dello scorso maggio l'hanno risparmiata. Ci mostra un appartamento adiacente travolto da un'ondata di puro vandalismo gratuito. Nulla rubato; tutto devastato. Siamo a Lod, città mista al centro di Israele. L'edilizia è decorosamente popolare. Non c'è separazione fisica. Arabi ed ebrei condividono scale e pianerottoli, cortili e negozi, autobus e nettezza urbana.
   Naomi viene da un insediamento. Si è trasferita a Lod con il marito per far crescere i figli in un ambiente diversificato, e perché le case sono meno care. Ha fatto attivismo civico. Possibile, e la voce le si rompe, durante le violenze «non ricevere neanche un sms, un come state» dai conoscenti arabi della porta accanto? Intorno a noi bambini giocano fra scivoli e altalene. Insieme? Naomi esita. Forse prima, ora chissà. Incrociamo un'anziana residente ebrea: «Sono qui da quarant'anni; grazie per essere venuti a vederci»,
   Il nostro fantastico accompagnatore di tutto il viaggio è il Generale (della riserva) Dov Sedaka. E' passato attraverso guerra, pace, cooperazione e negoziati. Proviene da un quartiere misto di Haifa e, dice, «lì stiamo tornando alla normalità». A Lod invece, dove la comunità ebraica più religiosa che secolare ha tenuto le distanze dalla maggioranza araba, con economia stagnante, «ci vorrà più tempo». Siamo nello strato centrale di quella che un analista chiama la «cipolla del Medio Oriente»: popolazioni e risorse, le prime generalmente in eccesso sulle seconde, gomito a gomito. Sconfina nel secondo: identità, religione, lingua. L'uno obbliga alla convivenza; l'altro la separa. Entrambi sono subiti, non scelti.
   Il terzo strato è regionale. Israele voleva essere un avamposto europeo; oggi è parte integrante del Medio Oriente. La svolta autoritaria in Tunisia sembra dare ragione allo scetticismo israeliano sulle «primavere arabe». «Qui non esiste primavera», è un concetto «eurocentrico», Le «primavere» hanno solo fatto venir meno i due pilastri dei regimi: il monopolio della forza e l'indottrinamento. Il primo incrinato da piazza, milizie e jihadisti; il secondo compromesso definitivamente dai social media. In pace fredda con Egitto, solida con Giordania, quasi calda con il Golfo, Israele non è più circondato da governi ostili ma da bandiere tribali a briglia sciolta. A Sud, c'è Hamas incuneato a Gaza e il Sinai egiziano nelle mani di simpatizzanti di Al Qaeda. A Nord, il Libano è una «cortina fumogena» per le operazioni di Hezbollah e i suoi mandanti iraniani; milizie al soldo di Teheran operano anche al confine siriano. Sunnite, non sciite, ma l'Iran è l'unico datore di lavoro sul mercato.
   All'esterno gli strati internazionali: lo scontro di potenze regionali, mascherato dal paravento religioso sunnita-sciita che si interseca con quello politico radicali-moderati; il grande gioco tra vecchi protagonisti, Stati Uniti e Russia, astri nascenti come Cina, forse India, personaggi in cerca d'autore, come l'Europa. Vicina geograficamente, dimenticata politicamente da Netanyahu. Potrebbe cambiare col nuovo governo - prova anche la recente visita del Ministro degli Esteri Yair Lapid in Italia. Ue ed europei dovranno però smarcarsi nettamente dal boicottaggio dei prodotti israeliani (Bds). Finché è campagna non governativa Israele fa buon viso a cattivo gioco contestandola dove e come può, ad esempio sul piano del diritto internazionale. Come componente di politica estera è inaccettabile.
   Risorse, territorio, identità sono stati ostacoli non sormontati in trent'anni di negoziati israelo-palestinesi. Anche quando le posizioni delle due parti sono state più vicine, raccontano i veterani delle trattative, lo erano più in principio che in concreto. Non è mai stato un classico negoziato internazionale; è un negoziato esistenziale. Israeliani e palestinesi devono accordarsi non solo su come ripartirsi il territorio - problema non da poco - ma su come condividere le rispettive versioni di storia, religione e cultura. Per legittimarle entrambi accampano titoli di proprietà di lunga data.
   Il catasto si perde nei millenni. Dall'alto dell'insediamento Eli, una colonna mostra orgogliosamente le sottostanti rovine della capitale del Regno di David. E' nata e cresciuta a Los Angeles, si sente tornata a casa. Nel tunnel sotto la spianata delle Moschee e il Muro del Pianto, un archeologo mette a nudo impressionanti muraglie, intatte, del tempio di «Erode il Grande», non nascondendo che gli scavi servono anche a dimostrare che «eravamo qui prima di loro».
   Sì, ma adesso sono tutti qui. Con i suoi quattro quartieri, armeno, cristiano, ebraico e musulmano, la città vecchia di Gerusalemme è già una comproprietà. Se «si toglie Dio dall'equazione», osserva alquanto irriverentemente una guida, la torta si può spartire. Sarebbe una vittoria per tutti. A condizione di far propria la raccomandazione che Sedaka fece ai suoi uomini nella «guerra dei soldati» del 1973, mentre difendevano strenuamente le alture del Golan dall'offensiva siriana: «Per vincere bisogna non odiare il nemico». Perché dopo la vittoria ci vuole la pace e non c'è pace con odio.

(La Stampa, 9 agosto 2021)


Israele, 500 mila hanno ricevuto terza dose Pfizer

Continua a ritmo serrato in Israele la vaccinazione con una terza dose di Pfizer per gli over 60 che hanno ricevuto le prime due dosi oltre cinque mesi fa. In otto giorni, informa il ministero della sanità, è stata somministrata a 500 mila israeliani. Il premier Naftali Bennett ha mostrato compiacimento per il successo della campagna e ha incoraggiato le casse mutue a completare entro venerdì la somministrazione della terza dose al 90 per cento di questa fascia della popolazione. Secondo il ministro della sanità Nitzan Horowitz i dati sono incoraggianti. In particolare si ritiene che chi ha ricevuto la terza dose sia meno esposto a complicazioni, se fossero contagiati dal virus. Quanto a effetti collaterali, la terza dose di vaccino Pfizer, secondo i report che arrivano da Israele, dà effetti collaterali «simili o minori» rispetto alla seconda.

(Corriere della Sera, 9 agosto 2021)

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Israele: 14 vaccinati con terza dose si sono ricontagiati

Undici dei 14 casi avevano più di 60 anni

In Israele procede la campagna di vaccinazione per somministrare la terza dose. Si è già raggiunto il numero di 420mila inoculati. Ma 14 israeliani si sono contagiati nonostante la terza dose di vaccino.

I dati del Ministero della Salute dello Stato di Israele sono stati forniti da Channel 12 News e ripresi da The Times of Israel.

La notizia è di ieri e non si sa al momento se le 14 persone abbiano contratto il virus prima o dopo aver ricevuto il richiamo di vaccino Covid.

Nel frattempo due dei 14 contagiati sono stati ricoverati in ospedale (over 60). Undici dei 14 casi avevano più di 60 anni, mentre i restanti 3 erano individui immunocompromessi sotto i 60 anni.

Quindi ricapitolando:

  • 2 ricoverati, contagiati,
  • 11 contagiati over 60,
  • 3 contagiati under 60.

Va aggiunto che sono 420mila le somministrazioni della terza dose dall’inizio della campagna di richiamo del Ministero della Salute.

In Israele oltre 5,8 milioni di cittadini hanno ricevuto almeno una dose di vaccino, rispetto ad una popolazione di circa 9,3 milioni. Gli israeliani che hanno ricevuto due dosi sono al momento 5,4 milioni, mentre quelli a cui è stata somministrata la terza dose sono 420mila.

Il governo israeliano – comunica The Times of Israel – ha discusso anche di un’altra eventuale chiusura, come avevamo accennato nel nostro post “Israele torna al pass sanitario e obbligo mascherine. Eventuale lockdown a settembre“, ma i canali di TV ebraica 12 e 13 hanno fatto sapere che il ministro dell’Istruzione Yifat Shasha-Biton ha definendo un “crimine” la pianificazione per la vaccinazione degli studenti nelle scuole, inoltre che l’opzione di un lockdown va rimossa “dall’ordine del giorno”.

Il ministro dell’intelligence Elazar Sternfa sapere The Times of Israel – ha detto che è necessario “eliminare la parola ‘blocco’ dal lessico”, perché è come se le persone stessero vivendo “sotto minaccia”.

Hamad Amar, un dirigente del Ministero delle Finanze, ha affermato che “il lockdown non è una soluzione“, che l’Australia è attualmente all’ottava chiusura, ma i casi sono comunque ancora in aumento.

Altri ministri invece hanno sottolineato che un lockdown è necessario, ma che si deve parlare pubblicamente prima di imporlo alla popolazione.

Va data anche notizia su Meirav Cohen, ministro per l’uguaglianza sociale, la quale si è unita alle proteste dei ministri contro l’esclusione delle sinagoghe legata alle nuove restrizioni ai raduni nell’ambito del rinnovato sistema green pass.

Ricordiamo che con il green pass “in formula piena” gli assembramenti di qualsiasi dimensione, sia al chiuso che all’aperto, sono limitati solo ai vaccinati, ai guariti dal virus o a tutti quelli che presentano un test Covid negativo.

(The Italian Tribune, 9 agosto 2021)


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Nuovo farmaco Covid dà risultati promettenti: “Il 93% dei pazienti dimesso in 5 giorni”

Chiamato EXO-CD4, il trattamento sperimentale è stato sviluppato dal team israeliano del Sourasky Medical Center di Tel Aviv e testato in uno studio di fase II condotto in diversi ospedali in Grecia: “Abbiamo trovato lo strumento per affrontare la malattia”.

di Valeria Aiello

Un nuovo farmaco sperimentale, sviluppato dal team israeliano del Sourasky Medical Center di Tel Aviv, ha dato prova di poter trattare con successo i pazienti Covid. Nel trial clinico di fase II condotto in diversi ospedali in Grecia, la terapia si è rivelata efficace in quasi la totalità dei casi, secondo quanto anticipato dagli stessi sviluppatori al Jerusalem Post. “Circa il 93% dei 90 pazienti con Covid grave trattati con il nuovo farmaco è stato dimesso in cinque giorni o meno” hanno indicato gli studiosi, confermando i risultati osservati nella prima fase di test svolta in Israele lo scorso inverno e che ha visto 29 pazienti su 30, in condizioni da moderate a gravi, riprendersi in pochi giorni.

L’obiettivo principale di questo studio era verificare che il farmaco fosse sicuro – ha affermato Nadir Arber, responsabile della ricerca – . Fino ad oggi non abbiamo registrato alcun effetto collaterale significativo in nessun paziente di entrambi gli studi”. La seconda fase di sperimentazione, spiega il quotidiano israeliano, si è svolta in Grecia perché in Israele non c’erano abbastanza pazienti in gravi condizioni. Il principale investigatore è stato il commissario greco per l’emergenza coronavirus, il professor Sotiris Tsiodras.

Il farmaco, chiamato EXO-CD4, è basato su una molecola chiamata CD4, che il team di ricerca guidato dal professor Arber studia da circa 25 anni. Questa molecola, naturalmente presente nell’organismo, è una piccola proteina ancorata alla membrana cellulare che svolge diverse funzioni, inclusa la regolazione del meccanismo responsabile della cosiddetta “tempesta di citochine”, la risposta immunitaria eccessiva che colpisce i pazienti con forme gravi di Covid. Arber ha sottolineato che il nuovo farmaco non interviene bloccando il sistema immunitario nel suo insieme, ma mira solo a questo meccanismo specifico, favorendo il ripristino del giusto equilibrio. “Questa è una medicina di precisione  – ha evidenziato – , e siamo molto felici di aver trovato uno strumento per affrontare la fisiologia della malattia”.

Rispetto alla terapia con gli corticosteroidi, come ad esempio il desametasone, (“che spegne l’intero sistema immunitario” ha spiegato Arber), il nuovo farmaco “bilancia la parte responsabile della tempesta di citochine, utilizzando il meccanismo endogeno dell’organismo, ovvero gli strumenti forniti dall’organismo stesso”. Un altro elemento importante del trattamento è la sua assunzione. “Utilizziamo gli esosomi, vescicole molto piccole derivate dalla membrana cellulare, che sono responsabili dello scambio di informazioni tra le cellule – ha indicato l’esperto – . Potendo consegnarli direttamente dove sono necessari, evitiamo molti effetti collaterali”.

I risultati dello studio di fase II aprono la strada all’ultima fase di sperimentazione che servirà per confrontare l’efficacia del trattamento rispetto ai pazienti trattati con placebo. Allo studio di fase III prenderanno parte circa 155 pazienti Covid, di cui i due terzi riceveranno il farmaco e un terzo un placebo. La sperimentazione sarà condotta in Israele e potrebbe coinvolgere altri Paesi qualora il numero di pazienti non fosse sufficiente. “Puntiamo a completare lo studio entro la fine dell’anno” ha concluso Arber, precisando che se i dati confermeranno risultati finora osservati, il trattamento potrà essere disponibile in tempi relativamente brevi e a basso costo.

(Scienze Fanpage, 9 agosto 2021)


Un pirata amico dei terroristi e presto armato con la bomba atomica. chi saprà reagire?

di Ugo Volli

Si chiama Ebrahim Raisi, indossa il turbante nero dei Seyed, cioè di coloro che pretendono la discendenza da Maometto, usa il titolo di Hojat-ol-eslam, che è quello immediatamente inferiore nella complessa gerarchia clericale sciita alla massima carica di Ajatollah. Di mestiere ha fatto il pubblico ministero della capitale Teheran, poi il procuratore generale della repubblica islamica, infine il capo dell’intero sistema giudiziario iraniano. In questi ruoli è stato responsabile direttamente o indirettamente di torture, arresti arbitrari, esecuzioni capitali di avversari politici e religiosi, omosessuali e criminali comuni in quantità tale da meritargli il soprannome di “macellaio”. Per chi non lo sapesse, vale la pena di ricordare che l’Iran occupa un posto di eccellenza nel mondo per numero di esecuzioni capitali: secondo di poco solo alla Cina che ha venti volte più abitanti. Raisi però da qualche giorno ha cambiato mestiere, ora fa l’ottavo presidente della Repubblica Islamica dell’Iran, eletto con un ottimo risultato apparente, il 72% dei voti espressi, che però perde tutto il suo valore se si tiene conto che il numero dei votanti è stato inferiore a tutte le elezioni precedenti e catastroficamente basso, soprattutto per un paese dove la vita pubblica è controllatissima, come l’Iran: appena il 48%.
  Il senso della sua carica diminuisce ancora se si tiene conto che nel sistema iraniano il presidente è un esecutore o al massimo un uomo di pubbliche relazioni, com’era il suo predecessore Rouhani, mentre il potere vero è in mano alla “Guida Suprema”, Ali Khamenei, il successore di Khomeini. Costui controlla ancora il paese e senza dubbio Raisi ha vinto non perché fosse il candidato più popolare nel paese ma perché Khamenei lo ha scelto; ma costui è anziano e non sta bene di salute, e Raisi è anche il principale candidato alla sua successione, condividendo con lui la linea dura contro l’opposizione interna e certamente anche l’imperialismo e l’odio di Israele che sono le chiavi della politica iraniana da quarant’anni in qua. La nomina di un personaggio del genere comunque indica la scelta del regime, è un segnale forte inviato a tutto il mondo: l’Iran non intende cambiare la sua aggressività, la sua politica imperialista, il suo tentativo di distruggere Israele, la demonizzazione dell’Occidente e degli Stati Uniti, il suo piano di armamento nucleare. Tocca agli altri paesi adattarsi, se ci riescono. Se no dovranno affrontare la violenza del regime, spesso impartita con mezzi subdoli e non dichiarati, come gli attentati all’estero e nei paesi obiettivo, attacchi anonimi per mezzo di droni, razzi, mine e bombe mai ammessi o dichiarati, anzi spesso negati anche di fronte all’evidenza; soprattutto l’uso di movimenti terroristici diretti dall’Iran come burattini o fantocci, nonostante la loro ostentazione di radicamento nelle nazioni dove si trovano: innanzitutto Hezbollah, che dal Libano si è espansa in Siria, poi Hamas, Jihad Islamica e anche in parte Fatah fra i palestinisti, gli Houti in Yemen, molti movimenti in Iraq, negli Emirati del Golfo, in Bahrein, Egitto, Sudan e altrove.
  La prova di questo segnale di continuità, anzi di intensificazione della politica imperialistica e guerrafondaia si è avuta pubblicamente alla cerimonia di insediamento di Raisi. In prima fila c’erano i rappresentanti dei movimenti che tutto il mondo classifica come terroristi, ma che per il regime iraniano sono amici, allievi, alleati disponibili, sostanzialmente strumenti politici. A fianco loro, e certe volte dietro a loro, in posizioni meno eminenti, stavano gli stati e i movimenti antioccidentali, fra cui con molto onore la Russia, alleata e concorrente in Medio Oriente e la Cina, con cui l’Iran ha stretto un patto economico-politico di lunga scadenza che lo subordina all’imperialismo mondiale cinese. Non c’erano naturalmente americani, inglesi, israeliani; ma invece l’Unione Europea aveva scelto di non mancare e di mandare il più importante burocrate del direttorato delle relazioni internazionali, ricompensata per quest’atto di accettazione senza principi da un posto di terza fila, proprio dietro Hamas che pure l’UE ha riconosciuto come un movimento terrorista. Non c’è stata una protesta europea per questa evidente umiliazione. Il cerimoniale diplomatico è fatto di segnali chiarissimi per gli occhi di chi sa leggerli e questo mostrava la disistima anche dell’Iran per i tentennamenti velleitari dei dirigenti dell’UE.
  Il segnale diplomatico non è rimasto isolato, ma è stato accompagnato da mosse di insolita evidenza aggressiva: la pirateria nei confronti delle navi israeliane (o considerate tali perché sono gestite da società in cui vi sono soci israeliani), l’accelerazione della raffinazione del combustibile nucleare, più di recente il lancio di una ventina di razzi dal Libano, rivendicati da Hezbollah. E’ evidente che questa aggressività è un segnale delle intenzioni degli ayatollah, e allo stesso tempo un test delle reazioni del mondo, in particolare dell’amministrazione Biden, che si è molto compromessa nel tentare un recupero dell’accordo nucleare con l’Iran e del nuovo, debole, governo israeliano. Nessuno sembra sapere che cosa fare nei confronti di un pirata con le armi atomiche, governato da un “macellaio”, come si avvia ad essere l’Iran. Gli ayatollah hanno l’abitudine di sfidare i loro nemici, di avanzare se non trovano risposta e di negare la loro responsabilità e di cambiare tattica se ne ricevono di decise. Per il momento non se ne sono avute. Speriamo solo che non ritorni l’epoca in cui per amor di “pace” si permise al terrorismo di compiere grandi stragi prima di reagire.

(Shalom, 8 agosto 2021)


Nasrallah, il leader di Hezbollah: "Non vogliamo la guerra, ma siamo pronti”

Il leader di Hezbollah ha elogiato la resistenza di Gaza. Anche all'inizio di maggio non era apparso in buona salute. Per rassicurare i sostenitori il figlio twitta: "E' solo un'allergia”. 

di Sharon Nizza

TEL AVIV - In un passaggio del lungo discorso in occasione del "quindicesimo anniversario dalla vittoria divina sul nemico sionista", il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah si è soffermato sabato sera sull'escalation in corso al confine con Israele negli ultimi giorni, definendola uno "sviluppo pericoloso". Ieri la milizia sciita che governa de facto il Sud del Libano ha rivendicato per la prima volta in anni il lancio di 19 razzi verso Israele, in reazione ai bombardamenti dei caccia israeliani avvenuti la notte precedente, a loro volta in risposta a tre razzi sparati mercoledì verso la città di Kiriat Shmona. "Non vogliamo la guerra, ma, nonostante tutte le difficoltà in Libano, siamo preparati per qualunque scenario", ha detto Nasrallah. "Se il nemico lancerà una guerra, realizzerà presto che si tratta del passo più stupido che avrebbe potuto intraprendere", ha aggiunto, sostenendo che Hezbollah può colpire Israele anche nel profondo della Galilea e che i raid israeliani in Siria - volti a minare le capacità militari dell'asse filoiraniano nell'area - "hanno fallito totalmente nei propri obiettivi".

• LA FOLLA DI SHWAYYA CONTRO IL BATTAGLIONE DI HEZBOLLAH
   Nasrallah si è dilungato sull'episodio - che ha definito "vergognoso" - in cui residenti del villaggio di Shwayya hanno assalito il battaglione di Hezbollah responsabile del lancio, accusandoli di mettere a rischio la popolazione civile, e in particolare in quell'area dove gli abitanti sono drusi e non sciiti. "I combattenti di Hezbollah sono degli eroi e chi ha cercato di fermarli deve essere indagato: la loro affiliazione è ben nota".
   Nel weekend i video della folla che aggrediva i militanti di Hezbollah sono diventati virali. Sostenitori di Hezbollah hanno diffuso notizie secondo cui gli oppositori sarebbero collaborazionisti d'Israele. Nasrallah ha spiegato che i miliziani di Hezbollah erano stati istruiti a sparare da quella zona, da cui era possibile mirare a una postazione militare israeliana e non verso aree abitate, per evitare consapevolmente una reazione israeliana contro aree abitate in Libano, cosa che non era possibile fare da altre postazioni, secondo il leader shiita. Il portavoce dell'esercito israeliano aveva detto ieri che "il fatto che Hezbollah abbia mirato ad aree disabitate è indice che la deterrenza è ancora efficace".

• IL TIMORE DI UN "MODELLO GAZA" NEL SUD DEL LIBANO
   Tra gli analisti israeliani invece, l'opinione più diffusa è che la deterrenza ottenuta negli ultimi quindici anni potrebbe essere ormai danneggiata. Solo da maggio scorso si sono verificati sei episodi di lanci di razzi verso Israele in violazione del cessate il fuoco in vigore dal 2006. In cinque casi precedenti, Israele ha attribuito la responsabilità a fazioni palestinesi attive nel sud del Libano, che avrebbero agito a sostegno di Hamas a Gaza.
   In Israele il timore è che vi sia un tentativo di replicare il "modello Gaza" nel Sud del Libano, con lanci di razzi sempre meno sporadici, un modo per testare il nuovo governo Bennett che si è insediato a giugno dopo dodici anni di leadership di Benjamin Netanyahu.
   In molti ricordano come la guerra del 2006 scoppiò dopo soli tre mesi che Ehud Olmert era alla guida del Paese per la prima volta. Finora l'esercito israeliano ha reagito ai razzi di venerdì con alcuni colpi di artiglieria in aree aperte e vi è un certo consenso in Israele che non si tratti di una risposta adeguata.

• IL DILEMMA DEL NUOVO GOVERNO ISRAELIANO
   Secondo gli analisti, il dilemma del nuovo governo sarebbe tra infliggere un duro colpo a Hezbollah, con il rischio di innescare un'escalation più ampia, o invece contenere, intaccando la deterrenza. In un modo o nell'altro, una recrudescenza del confronto è vista solo come una questione di tempo e la domanda è come si inserirà nel contesto più ampio della "guerra delle ombre" tra Israele e Iran, che si svolge sempre più alla luce del sole.
   La prima visita del premier Naftali Bennett alla Casa Bianca, prevista per le prossime settimane, e la minaccia di un nuovo lockdown causa ondata Delta, fanno pensare che la risposta al quesito potrebbe essere rimandata, almeno per ora.

(la Repubblica online, 8 agosto 2021)


Libellula Linoy, l’oro di Israele fa infuriare i russi

di Cosimo Cito

TOKYO — L’oro di Linoy Ashram resterà uno dei più storici e controversi di tutta l’Olimpiade. Mai una donna israeliana aveva vinto una gara a cinque cerchi e mai la ginnastica ritmica, nel concorso individuale, aveva premiato un Paese che non fosse la Russia o una repubblica ex sovietica. Con una sola eccezione, la vittoria della canadese Lori Fung. Ma si era a Los Angeles nel 1984, e tutto il blocco dell’Est era fuori dai Giochi. Fu, l’Olimpiade californiana, la prima edizione di sempre per lo sport di cerchio, nastro, palla e clavette. Anche a Tokyo la storia sembrava avviata a un epilogo scontato, con le gemelle Averina superfavorite.
Eppure non è andata così. Al nastro, l’ultima delle quattro prove, Linoy Ashram ha danzato come una libellula sulle note di Hava Nagila , un canto popolare ebraico. Nata a Rishon Le Zion nel 1999, con trascorsi anche italiani nella Associazione sportiva Udinese, due anni di servizio militare da segretaria in un comando, «lavoravo al mattino, mi allenavo tutti i pomeriggi tranne il sabato», famiglia di origini yemenite- sefardite, Linoy ha incantato i giudici nonostante una piccola incertezza. «Sono stati i minuti più lunghi della mia vita» ha raccontato, «il punteggio non spuntava e io morivo a poco a poco». Oro, con un margine piccolissimo su Dina Averina, 0.150, un battito di ciglia in una gara lunga due ore. La russa ha preso a singhiozzare. La sua federazione ha parlato di «giudizio strano, il nostro esercizio era molto complesso e ha avuto un voto basso. Abbiamo presentato appello, ma ci è stato respinto. Ma tutto il mondo ha visto questa ingiustizia».
È il 2° oro di Israele (prima volta anche questa) a Tokyo: Artem Dolgopyat aveva trionfato al corpo libero.

(la Repubblica online, 8 agosto 2021)

Gaza, raid notturno di Israele in risposta ai palloncini incendiari di Hamas

“Gaza non intende piegarsi ai dettami di Israele e ai suoi tentativi di imporre nuove equazioni”, ha detto il portavoce di Hamas Fawzi Barhoum riferendosi al rinnovo del trasferimento dei fondi del Qatar e al rilascio degli ostaggi.

di Sharon Nizza

TEL AVIV – I caccia israeliani hanno attaccato questa notte postazioni militari di Hamas nella Striscia di Gaza, in risposta al lancio di palloni incendiari che venerdì hanno provocato massicci incendi nelle comunità israeliane a ridosso della Striscia. Immagini rilasciate dal portavoce dell’esercito indicano che l’obiettivo, una rampa di lancio di razzi, si trovava non lontano da un’area abitata nei pressi di Jabalia, a nord della Striscia. Non sono stati riportati vittime o feriti.
   Il portavoce di Hamas Fawzi Barhoum ha detto oggi che il lancio di palloni incendiari è la dimostrazione che “Gaza non intende piegarsi ai dettami di Israele e ai suoi tentativi di imporre nuove equazioni”. Il riferimento è allo stallo che verte intorno al rinnovo del trasferimento dei milioni di dollari del Qatar, interrotto con lo scoppio dell’ultimo confronto tra Israele e Hamas a maggio. Fino ad allora, i fondi entravano in contanti, attraverso l’inviato di Doha Mohammed al-Emadi, in un’operazione concertata con l’esercito e le autorità politiche israeliane, nonostante l’assenza di rapporti diplomatici tra il Paese del Golfo e Israele. Una politica nata nel 2018 a seguito della decisione del presidente palestinese Abu Mazen - motivata dal persistente dissidio politico tra Hamas e Fatah - di interrompere il trasferimento dei fondi all’enclave palestinese che fino ad allora avveniva tramite Ramallah.
   Nonostante il raggiungimento del cessate il fuoco il 22 maggio dopo 11 giorni di conflitto tra Israele e Hamas, a oggi non è ancora stato risolto il nodo della ricostruzione di Gaza. Dopo gli scontri di maggio, Israele si oppone al rinnovo del passaggio dei contanti qatarioti – circa 30 milioni di dollari mensili, parte diretti a famiglie bisognose e parte a pagare stipendi di funzionari di Hamas - direttamente nelle mani dell’organizzazione terroristica che governa la Striscia di Gaza, sostenendo che non vi sia monitoraggio e che i soldi vengano utilizzati per scopi militari e non umanitari. I principali mediatori, gli egiziani e l’inviato dell’Onu Tor Wennesland, lavorano da mesi per cercare una soluzione. Solo giovedì, il ministro palestinese per gli affari sociali Ahmad Majdalani aveva affermato che l’Anp era vicina alla formulazione di un accordo con Doha, “ma che sussistevano ancora alcune difficoltà legate al sistema bancario”. Secondo quanto pubblicato dall’emittente israeliana Kan 11, il Qatar avrebbe stabilito di passare i fondi tramite banche palestinesi di Ramallah per una commissione dell’1,5%, ma il nodo verterebbe sull’utilizzo dei soldi per pagare gli stipendi dei funzionari di Hamas, a cui l’Anp si oppone. Un’altra richiesta da parte di Israele è di poter passare in rassegna le famiglie bisognose beneficiarie dei fondi (si tratta di 100$ a famiglia) per verificare che non abbiano legami con Hamas.
   Nelle lente trattative per la cementazione della fragile tregua un altro punto di attrito riguarda la richiesta di Israele di inserire la questione del rilascio degli ostaggi israeliani a Gaza (i corpi di due soldati morti e due civili disabili che si reputano ancora in vita). Quando parla di “nuove equazioni” Hamas si riferisce anche al tentativo israeliano di condizionare la ricostruzione di Gaza alla questione degli ostaggi, mentre Hamas è irremovibile sul fatto che la liberazione degli ostaggi possa essere effettuata solo in cambio del rilascio di prigionieri palestinesi, come avvenuto nel 2011 con il rapimento del caporale Gilad Shalit, liberato in cambio di 1,027 detenuti nelle carceri israeliane, tra cui diversi esecutori di attentati terroristici.
   Il bombardamento delle strutture militari a Gaza è arrivato dopo una giornata che ha visto la tensione in Israele concentrarsi prevalentemente sul fronte nord, dopo il lancio venerdì di 19 missili dal Libano verso il nord d’Israele - quasi tutti intercettati dal sistema Iron Dome, senza riportare vittime o feriti. Si tratta del sesto episodio di spari di razzi dal Libano da maggio, per la prima volta ufficialmente rivendicato dalla milizia sciita Hezbollah. Gli altri episodi erano stati attribuiti da Israele a fazioni palestinesi attive nel sud del Paese dei Cedri. Hamas ieri in un comunicato ha espresso sostegno per “la reazione condotta dalla resistenza islamica in Libano diretta contro obiettivi del nemico sionista”.
   Gli analisti israeliani temono che vi sia un tentativo di replicare il “modello Gaza” nel sud del Libano, con lanci di razzi sempre meno sporadici contro Israele, e che una reazione israeliana per ristabilire la deterrenza potrebbe essere solo questione di tempo, degenerando in un conflitto su larga scala. Nonostante la tensione tra i due Paesi, il confine israelo-libanese è relativamente calmo dalla fine della Seconda guerra del Libano di quindici anni fa.
   La sfida posta dai gruppi palestinesi nel sud del Libano si inserisce nel più ampio scenario dello scontro tra Israele e l’asse sciita pro-iraniano, che ha raggiunto un nuovo picco la settimana scorsa con l’attacco mortale alla petroliera Mercer Street nel Golfo dell’Oman, per il quale la comunità internazionale accusa Teheran. Il portavoce militare israeliano ha precisato ieri, rispetto al Libano, che “nessuna delle parti è interessata al conflitto”. Ma la convergenza dei diversi fronti su un unico confine potrebbe rendere la situazione inevitabilmente esplosiva.

(la Repubblica online, 7 agosto 2021)

Green pass e dissonanza cognitiva  

«Ormai è palese quanto gran parte della popolazione italiana sia inebetita e terrorizzata dai media militarizzati, che ogni giorno decantano presunti dati a favore dei vaccini e paventano la morte per chi non si vaccina, oltre alla velata minaccia di essere "ghettizzati" socialmente qualora non si vaccinassero». L'articolo che segue è stato scritto dopo le gravissime parole pronunciate dal Presidente del Consiglio al termine della sua conferenza stampa del 22 luglio (avallate in seguito dal Presidente della Repubblica) e prima del decreto governativo del 6 agosto. La "velata minaccia" di cui si parla non è più velata: la costruzione del "ghetto" procede a pieno ritmo. Il risalto nell'articolo è stato aggiunto. M.C.

di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno 

In questo ultimo periodo stiamo assistendo ad una offensiva inimmaginabile, da parte dell'attuale Esecutivo, con la sua forzatura nella somministrazione dei vaccini anti Covid-19. Gli ultimi provvedimenti legislativi hanno evidenziato l'aggressività e il tentativo impositivo da parte del Governo Draghi di indurre la popolazione italiana a vaccinarsi. Se non riguardasse un fatto così grave, che inerisce a un tema così vitale per la nostra salute e per la tutela dei nostri diritti costituzionali, oserei affermare, sarcasticamente, che ci troviamo di fronte alle "comiche finali". 
   Purtroppo, non è né una sceneggiatura di un film comico o di fantascienza e tanto meno di un thriller, ma siamo di fronte ad una deriva incostituzionale, sia nel merito dei principi che il Governo in modo recidivo sta violando e sia per quanto riguarda la procedura legislativa che sta attuando per realizzare queste violazioni. 
   Il fatto che la quantità di vaccini acquistati dallo Stato italiano si avvicina alla sua scadenza di ottobre è ormai risaputo e per questo, il generale Francesco Paolo Figliuolo, acclamato come una sorta di "salvatore della Patria" si sta prodigando a incrementare il più possibile la somministrazione di questi vaccini. E per questo stesso motivo il presidente del Consiglio si sta prestando ad escogitare tutte le restrizioni possibili, per impedire la facoltà di scelta dei cittadini italiani riguardo al loro diritto di non essere obbligati a un determinato trattamento sanitario, appunto, se non per disposizione di legge (ex articolo 32 della Costituzione). 
   Tra le mie competenze professionali non rientrano certamente quelle mediche e tanto meno aspiro a millantarle, come al contrario molti cercano di fare, ma sicuramente nessun può impedirmi di informarmi e fare delle analisi su dati e fatti oggettivi al riguardo. Prima di tutto merita sindacare il metodo legislativo utilizzato dal Governo, ossia l'atto avente forza di legge legiferato in casi di necessità ed urgenza, il decreto- legge. Non solo non ci sono i presupposti per utilizzare il decreto-legge, in quanto non vi è nessun caso di necessità ed urgenza, tanto più che il livello della pandemia è sotto controllo e sotto i parametri considerati pericolosi per la salute pubblica. 
   Qualcuno avrà da obiettare che è stato prorogato lo stato di emergenza, ma anche questo è ingiustificato, visto che non solo non siamo in uno stato di guerra, unica condizione costituzionale che lo autorizzerebbe, ma attualmente non esiste neanche alcuna emergenza sanitaria, visto che l'Italia è di colore bianco in ciascuna sua regione. Quindi, siamo al cospetto di una evidente violazione della nostra Costituzione, il cui principale garante, ovvero il presidente della Repubblica, rimane completamente inerte di fronte a tale attentato alla Costituzione. 
   Inoltre, la legiferazione del provvedimento "sovietico" e discriminatorio, nonché lesivo delle nostre libertà costituzionali, ossia il "Green pass", tramite un nuovo decreto-legge che reitera l'introduzione di un provvedimento già presentato in un precedente decreto-legge decaduto, perché non convertito in legge entro 60 giorni con la maggioranza dei voti del Parlamento, come prevede la nostra Costituzione, determina la sua nullità. 
   Infatti, la lettera d dell'articolo 15 della legge numero 400 del 23 agosto del 1988, stabilisce che "il Governo non può, mediante decreto-legge ... d) regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti". L'unico modo per legiferare un provvedimento precedentemente inserito in un decreto-legge non convertito in legge e quindi decaduto è farlo approvare dal Parlamento, inserendolo in una legge ordinaria. 
   Inoltre, entrando sempre nel merito del provvedimento che istituisce il "Green pass", si evince la non conoscenza e comunque la mancanza di rispetto della normativa europea, nel passaggio in cui prevede che siano i titolari degli esercizi commerciali a richiedere la visione e il controllo di tale documento, non sapendo o fingendo di non sapere che questo non è possibile, perché violerebbe il nuovo Regolamento europeo sul trattamento dei dati sensibili e personali (Gdpr), visto che solo un pubblico ufficiale può esercitare tale funzione. 
   Quindi, anche per questo motivo, il provvedimento in parola risulterebbe nullo. A questo punto, c'è da considerare se questo provvedimento non serva solo a terrorizzare e velocizzare le somministrazioni dei vaccini, da smaltire prima che a ottobre scadano, perché sarebbe impensabile che Mario Draghi e la sua maggioranza non sapessero o non fossero venuti a conoscenza di questa ulteriore violazione del Gdpr. 
   Dunque, passando all'analisi del merito del "Green pass", risulta alquanto sconcertante che Draghi l'abbia presentato come l'unico modo per salvare la popolazione dalla morte per Covid-19, in quanto sostiene che solo con la vaccinazione, per cui il "Green pass" verrà rilasciato, gli italiani saranno immuni sia dal contagio che dal contagiare gli altri e anche dal morire a causa di tale virus, tutto ciò senza alcuna documentazione scientifica mostrata e dimostrata al riguardo da dati certi e determinati in un tempo scientificamente plausibile. 
   Perfino il ministro alle Infrastrutture e Mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, ha smentito lo stesso Draghi, durante un suo intervento in una puntata della trasmissione televisiva "Porta a Porta" della Rai, in cui ha affermato che chi si vaccina può comunque contagiare gli altri, lasciando interdetto lo stesso presentatore Bruno Vespa. 
   In questa occasione eviterò di citare ciò che hanno affermato scienziati e medici, nonché premi Nobel per la Medicina come Luc Montagnier, che con documenti e studi scientifici asserisce l'inefficacia e soprattutto la possibile nocività a medio e lungo termine dei vaccini a tecnologia M-Rna e degli altri vaccini alternativi, sempre anti Covid-19, visto che per i danni immediati abbiamo già verificato che il 4 per cento (dichiarato ufficialmente) dei vaccinati ha subito delle trombosi ed ictus, a volte letali, a causa del vaccino. Detto ciò, non posso esimermi dal citare dei fatti, partendo da quello più recente, ossia che più della metà dei malati gravi ospedalizzati in Israele, a causa del Covid-19, sono vaccinati. 
   Un altro fatto che voglio evidenziare è quello che l'Ema (Agenzia europea per i medicinali) prevede per ogni nuovo vaccino una procedura ordinaria di controllo che va da 3 anni a 5 anni e che, solo quando non esistono cure immediate per contrastare un virus, subentra la procedura emergenziale e proprio per questo bisogna denunciare che quelle cure già esistenti, non sono state autorizzate, nonostante la loro efficacia, come la cura degli anticorpi monoclonali, per esempio. 
   Ormai è palese quanto gran parte della popolazione italiana sia inebetita e terrorizzata dai media militarizzati, che ogni giorno decantano presunti dati a favore dei vaccini e paventano la morte per chi non si vaccina, oltre alla velata minaccia di essere "ghettizzati" socialmente qualora non si vaccinassero. 
   Questo modus operandi del Governo e dei media, dallo stesso finanziati per promuovere la campagna vaccinale, insieme alla solita corte di nani e ballerine, che non si risparmiano mai di essere dei "servi sciocchi" o dei cortigiani ben remunerati , per avallare il millantato beneficio dei vaccini, non fa altro che risvegliare l'antico vizio gattopardesco e pusillanime nel suo opportunismo, anche se autolesionista, dell'italiano medio, che come un servo abituato alla sua catena, invece di ribellarsi, preferisce inocularsi ciò di cui non conosce gli effetti collaterali, pur di sfoggiare il suo nuovo "titolo" di Green pass, pensando di ottenere quella libertà che gli spetta già di diritto, ma che egli stesso ha permesso che gli venisse concessa anziché costituzionalmente riconosciuta senza il bisogno di alcun Green pass. Dopo tutto, l'immaturità incolta e qualunquista della gran parte degli italiani è radicata nella sua storia indigena. 
   Oltre a quello che è stato finora esposto, è importante evidenziare quanto questa vicenda abbia fatto scatenare la natura d'inquisizione atavicamente radicata nella cultura di matrice papista che la sinistra italiana, con la sua cultura catto-comunista, composita all'interno con le sue diverse sfaccettature, ha ben assorbito, sempre alla ricerca di un avversario da demonizzare come nemico dell'umanità o di un capro espiatorio da ghettizzare, sempre pronta alla "caccia alle streghe" nei confronti di chi non la pensa come il pensiero unico della Sinistra impone. 
   Perché per questi soloni, sedicenti detentori della verità assoluta, solo le élite (a cui essi stessi sono asserviti) "conoscono" il bene per la società, e per questo stesso motivo assistiamo alla surreale metodologia di cronaca e di analisi degli eventi da parte dei media e dell'attuale maggioranza parlamentare, secondo cui le manifestazioni a favore del Ddl Zan sono accettabili e non contagiano nessuno, mentre coloro che manifestano per il loro diritto costituzionale di scegliere il trattamento sanitario più opportuno, ricevono degli anatemi ed insulti di tutti i tipi e vengono additati come pericolosi ed irresponsabili untori della collettività. Siamo arrivati al triste paradosso che gli immigrati che sbarcano in Italia clandestinamente non devono mostrare alcun "Green pass", mentre gli italiani saranno costretti a farlo. 
   In finale, da tutta questa vicenda si ricava una sola considerazione, alquanto sbalorditiva, ossia che la mala fede pianificata da certe élite abbia trovato terreno fertile nell'incapacità di reagire e analizzare i fatti per quello che oggettivamente sono e non per quello che vogliono far credere che essi siano, al punto da vedere la maggioranza di un popolo in preda ad una dissonanza cognitiva (come la definisce Alessandro Meluzzi) che, ahimè, lascia molto poco spazio a qualsiasi ottimismo di far riemergere il buon senso e le capacità di discernimento. 
   Et posteris judicas ... 

(l'Opinione, 28 luglio 2021)


La vendetta di Lieberman: far lavorare gli haredim

di Giordano Stabile

Avigdor Lieberman prepara la sua vendetta contro gli ultra-ortodossi, gli haredim. Fra i risvolti della fine dell'era Netanyahu in Israele c'è anche questo. L'ex premier aveva come alleati più fidati i due partiti religiosi conservatori. Per Lieberman, leader della destra laica e soprattutto degli elettori di origine russa come lui, erano la bestia nera. Nell'ultima campagna l'avevano persino accusato di non essere un «vero ebreo», come tanti immigrati dall'ex Unione Sovietica. Lui li aveva definiti «renitenti alla leva», perché sono esentati dal servizio militare, ben tre anni, oltre a ricevere sussidi di tutti i tipi. E aveva promesso che se fosse tornato al governo, come è stato con il nuovo primo ministro Naftali Bennet, li avrebbe privati dei loro «privilegi». In realtà gli haredim sono fra le comunità più povere dello Stato ebraico. Soltanto metà degli uomini adulti ha un lavoro a tempo pieno, e questo perché gli obblighi religiosi sono molto pesanti, e comportano lo studio continuo dei testi sacri. Gli altri si dedicano a tempo pieno alla Torah nelle yeshivot, i seminari giudaici. Per contro circa i tre quarti delle donne lavorano, oltre a dovere accudire in media sei bambini, il triplo che nelle altre famiglie israeliane.
   Il risultato è gran parte dei nuclei famigliari tira avanti con gli aiuti di Stato, soprattutto per i figli minori. Lieberman si è attaccato proprio a questi, e ha presentato una proposta di legge per togliere i sussidi per gli asili nido che spettano ai piccoli di meno tre anni, se il padre non esercita nessuna professione. Una norma che andrà a impattare almeno 20 mila nuclei famigliari e quasi 100 mila haredim sul milione che abita in Israele. I due partiti religiosi sefardita e ashkenazita, Shas e Torah Unita, hanno subito alzato le barricate, i rabbini ultra-ortodossi hanno promesso «l'inferno» a chi voterà la legge ma Lieberman ha replicato che «nella Torah non c'è mica scritto che non si può lavorare». Un tono populista, ma che si appoggia anche a un rapporto della Banca centrale, in base al quale è «una questione strategica» convincere il maggior numero possibile di haredim a entrare nel mondo del lavoro. Lieberman punta a eliminare sussidi che in media valgono 260 euro al mese a tutti quelli che non lavorano almeno 24 ore alla settimana, oltre a modificare i programmi nelle scuole private, con «più matematica e inglese». Un banco di prova per Bennett.

(Specchio, 8 agosto 2021)



Il giusto timore dei giudizi di Dio

Riflessioni sul libro dei Proverbi. Dal capitolo 5.
  1. Infatti le vie dell’uomo stanno davanti agli occhi del SIGNORE,
    egli osserva tutti i suoi sentieri.
  2. L’empio sarà preso prigioniero dalle proprie iniquità,
    tenuto stretto dalle funi del suo peccato.
  3. Egli morirà per mancanza di correzione,
    andrà vacillando per la grandezza della sua follia.
  1. Infatti le vie dell’uomo stanno davanti agli occhi del SIGNORE,
    egli osserva tutti i suoi sentieri.

    Mentre il rapporto sessuale degli sposi avviene nel privato, quello degli adulteri avviene nel segreto. Non è una differenza di poco conto. L'appartarsi degli sposi costituisce uno schermo voluto da Dio per proteggere dal male la santità del rapporto matrimoniale; la segretezza degli adulteri è invece un paravento di menzogna dietro il quale i peccatori vorrebbero nascondersi agli occhi degli uomini e, se fosse possibile, a quelli di Dio. L'adulterio cerca "protezione" nelle tenebre. Ma se con gli uomini qualche volta questo funziona, nei confronti di Dio non serve a niente, perché non v’è nessuna creatura che possa nascondersi davanti a lui; ma tutte le cose sono nude e scoperte davanti agli occhi di colui al quale dobbiamo render conto” (Ebrei 4.13).

  2. L’empio sarà preso prigioniero dalle proprie iniquità,
    tenuto stretto dalle funi del suo peccato.

    Le tenebre sono una prigione, non una protezione. La rete di menzogne necessaria per mantenere in piedi una relazione illecita diventa ben presto una maglia soffocante che si stringe sempre di più intorno al malcapitato. L'adulterio, come ogni peccato che dura nel tempo, deve essere sempre accompagnato da tanti altri peccati. E questi costituiscono altrettante funi che costringono il peccatore a rimanere legato alle conseguenze delle sue scelte. Anche in questo caso si confermano vere le parole di Gesù: ”In verità, in verità vi dico che chi commette il peccato è schiavo del peccato” (Giovanni 8.34).

  3. Egli morirà per mancanza di correzione,
    andrà vacillando per la grandezza della sua follia.

    Il verbo "vacillare" coincide, nell'originale ebraico, con quello che nei versetti 5.19 e 5.20 viene tradotto con "invaghire". Il termine sembra esprimere uno stato d'animo di ebbrezza che può condurre, a seconda dei casi, a fare scelte sia giuste, sia sbagliate. Accostando i tre versetti si può arrivare allora a questa conclusione: se un uomo rifiuta di essere "inebriato" dall'amore per sua moglie e si lascia "inebriare" dal fascino della straniera, finirà inevitabilmente per essere "inebriato" dalla sua stessa follia, e non essendo quindi più raggiungibile dalla correzione della saggezza, che è ”la via della vita” (6.23), arriverà sicuramente al preordinato traguardo del suo percorso: la morte.

M.C.

 

Il nuovo farmaco israeliano anti Covid: “Guarisce pazienti gravi in 5 giorni”

di Federico Giuliani

Un nuovo farmaco israeliano potrebbe sferrare il colpo decisivo al Sars-CoV-2. È ancora presto per fare proclami ufficiali, visto che il suddetto prodotto si trova ancora nel bel mezzo della sperimentazione di Fase 2. Eppure, le prime indicazioni raccolte sul campo autorizzano gli esperti a tirare un bel sospiro di sollievo.

Il test è stato effettuato su un gruppo di 90 pazienti infettati dal coronavirus in forma grave e ricoverati in diversi ospedali greci. Il 93% di loro, dopo aver assunto il farmaco sviluppato da un team del Sourasky Medical Center di Tel Aviv, è stato dimesso in appena cinque giorni o addirittura in un lasso di tempo minore. Secondo quanto riportato dal Jerusalem Post, lo studio di Fase II ha confermato i risultati ottenuti dagli scienziati in Fase I.

Quest’ultima è stata condotta in Israele lo scorso inverno dando ottime risposte. Già, perché all’epoca, su 30 pazienti contagiati da forme di Covid che andavano da moderate a gravi, 29 sono riusciti a riprendersi nel giro di pochi giorni. Adesso, a distanza di qualche mese, ecco nuove prove derivanti dalla Fase II a suggellare l’eccellente azione del farmaco.

• COME FUNZIONA IL NUOVO FARMACO ISRAELIANO
   L’obiettivo principale degli studi era quello di verificare che il farmaco fosse sicuro. Fino ad oggi non abbiamo registrato alcun effetto collaterale significativo in nessun paziente di entrambi i gruppi”, ha affermato il prof. Nadir Arber. Dal punto di vista tecnico, lo studio è stato condotto ad Atene, e non ad Israele, per un motivo semplice: a Tel Aviv e dintorni non vi erano abbastanza pazienti affetti da forme gravi.
   In ogni caso, Arber e il suo team hanno sviluppato il farmaco sulla base di una molecola che lo stesso Arber studia da 25 anni. Si tratta della cosiddetta molecola CD24, che è naturalmente presente nel nostro organismo. Scendendo nel dettaglio, il farmaco sarebbe in grado di combattere la tempesta di citochine, una reazione immunitaria potenzialmente letale legata all’infezione da Sars-CoV-2, responsabile di un elevato numero di decessi.
   In generale, “è importante ricordare che 19 pazienti su 2 non hanno bisogno di alcuna terapia”, anche se, dopo una finestra di 5-12 giorni, quasi il 5% dei pazienti inizia a peggiorare, ha affermato Arber. Il motivo principale del loro deterioramento? Un’elevata attivazione del sistema immunitario, la citata tempesta di citochine. In alcuni casi accade che il sistema immunitario inizia ad attaccare le cellule sane nei polmoni. E a quel punto sono guai seri.

• RISULTATI CHE FANNO BEN SPERARE
  Tornando alla CD24, questa non è altro che una piccola proteina ancorata alla membrana delle cellule. Svolge varie funzioni, tra cui la regolazione del meccanismo responsabile della famigerata tempesta di citochine. Il trattamento, chiamato EXO-CD24, non colpisce il sistema immunitario nella sua interezza, ma solo ed esclusivamente questo meccanismo, aiutandolo a ritrovare il corretto equilibrio. “Questa è medicina di precisione. Stiamo bilanciando la parte responsabile delle tempeste di citochine utilizzando il meccanismo endogeno del corpo, ovvero gli strumenti offerti dal corpo stesso”, ha aggiunto il professor Arber.
   Adesso tutti gli sforzi saranno orientati per la realizzazione dell’ultima fase dello studio, al quale prenderanno parte 155 pazienti infetti. A due terzi di loro sarà iniettato il farmaco; ai rimanenti un placebo. L’obiettivo è completare il tutto entro la fine del 2021. Nel caso in cui non dovessero esserci intoppi, e tutto dovesse andare per il meglio, il trattamento EXO-CD24 potrebbe essere reso disponibile in tempi relativamente brevi e, per di più, a basso costo.

(Inside Over, 7 agosto 2021)


Dal Libano razzi su Israele ma i cittadini si ribellano

Gli abitanti delle zone controllate da Hezbollah non vogliono subire la reazione dello Stato ebraico.

di Davide Frattini

Questa volta le scie nel cielo e il fumo degli incendi causati dalle esplosioni non sono serviti a mantenere una cortina di ambiguità. Hezbollah ha rivendicato il lancio di 19razzi sul Nord di Israele, la maggior parte intercettati dal sistema Cupola di Ferro. E una rappresaglia - scrive in un comunicato l'organizzazione libanese filoiraniana - per i bombardamenti di giovedì sul Libano, dichiara di aver mirato a zone non abitate. I jet israeliani avevano risposto giovedì a un attacco sulla città di Kiryat Shmona; ancora razzi, senza però una firma. L'intelligence israeliana presume si tratti di gruppi palestinesi.
    Che in ogni caso per operare nel Sud del Libano hanno bisogno del benestare dei comandanti di Hezbollah. In queste aree gli abitanti sembrano per la prima volta ribellarsi a essere usati come base di lancio. Sui social sono apparsi i video che mostrano i drusi del villaggio di Chouya che fermano un pick-up pieno di razzi, probabilmente quelli appena usati. Impediscono ai miliziani di muoversi, ne prendono a schiaffi uno in borghese, aspettano che arrivino i soldati dell'esercito libanese. Sanno che i raid vicino ai loro campi li espongono ai colpi di artiglieria israeliani in risposta.
    Sul fronte Nord convergono gli eventi di questi giorni: l'insediamento di Ibrahim Raisi come presidente dell'Iran, il caos libanese che rischia di tracimare dall'altra parte, la tentazione dell'asse iraniano di mettere alla prova il neo-governo guidato a Gerusalemme da Naftali Bennett. Gli analisti avvertono:un errore di calcolo e questo ping pong bellico potrebbe diventare conflitto aperto.
    Hezbollah avrebbe l'interesse a distogliere l'attenzione dall'anniversario - il 4 agosto - dell'esplosione al porto di Beirut, commentano fonti dell'esercito al quotidiano Haaretz: «Il Paese è al collasso e i leader vogliono allontanare le critiche mettendo Israele in mezzo». Migliaia di libanesi hanno marciato contro i politici corrotti e per chiedere un'inchiesta che individui i responsabili del disastro di un anno fa, alcuni striscioni portavano scritto lo slogan: «Iran fuori dal Libano».
    Bennett, che è stato ministro della Difesa, e Benny Gantz, il ministro della Difesa che è stato capo di Stato Maggiore, sembrano essere stati presi di sorpresa dai razzi di ieri. «Siamo pronti a colpire l'Iran», ha già minacciato Gantz nei giorni scorsi. Adesso lo Stato Maggiore è convinto che Hezbollah non voglia spingere verso uno scontro più ampio e spiega di avere piani «per reagire con azioni allo scoperto e operazioni segrete», se le truppe irregolari non dovessero fermarsi.

(Corriere della Sera, 7 agosto 2021)


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Pioggia di razzi su Israele. Hezbollah alza il tiro: “Li abbiamo lanciati noi”

Dal Libano 19 missili contro il Paese ebraico. Sospetti di un patto con Hamas. I residenti libanesi contro il Partito di Dio: “Ci mettete in pericolo”.

di Sharon Nizza

TEL AVIV - Dopo 19 razzi lanciati ieri dal Libano verso il nord d’Israele – quasi tutti intercettati da Iron Dome – a lasciare interdetti gli israeliani più che l’insolita potenza dell’attacco è stata la rivendicazione: la firma questa volta è di Hezbollah, dopo che altri cinque lanci da maggio erano stati attribuiti a movimenti palestinesi attivi nel sud del Paese dei Cedri.
    In una nota ufficiale, il Partito di Dio ha affermato che l’attacco è una rappresaglia per i raid aerei israeliani avvenuti la notte precedente. Per la prima volta dal 2013, i caccia israeliani avevano colpito zone disabitate sotto il controllo di Hezbollah in risposta al lancio di tre razzi il giorno prima. Il portavoce dell’esercito israeliano dice che «nessuna delle parti vuole la guerra, ma non accetteremo che ogni due o tre settimane si spari dal nord».
    Israele ha risposto con colpi di artiglieria, ma di fronte all’aperta rivendicazione di Hezbollah, il rischio escalation rimane alto. Specie se considerato il più ampio scenario dello scontro con l’asse iraniano, che ha raggiunto un nuovo picco la settimana scorsa con l’attacco mortale alla petroliera Mercer Street nel Golfo dell’Oman, attribuito ieri anche dal G7 a Teheran che «con i suoi delegati minaccia la pace e la sicurezza internazionali».
    Gerusalemme cerca il coinvolgimento degli alleati anche per mantenere la calma sul fronte nord. In un colloquio con l’omologo americano, il ministro della Difesa Benny Gantz ha chiesto «alla comunità internazionale, e in particolare agli Usa, di esigere dal governo libanese di mettere fine ai lanci verso Israele, alla luce della volatile situazione in Libano». Hezbollah potrebbe volere scaldare il confine per distogliere l’attenzione dalla critica interna a cui è sottoposto a causa della crisi umanitaria, in particolare a due giorni dalle imponenti manifestazioni in commemorazione dell’esplosione al porto di Beirut, in cui è risuonato anche lo slogan “Iran fuori dal Libano”. Ieri un raro episodio ha dato la misura del fatto che i libanesi stessi potrebbero non tollerare questo gioco pericoloso: video diventati virali mostrano residenti del villaggio druso Shwaya, nei pressi della zona da cui è partito l’attacco, che assalgono un lanciarazzi e uomini di Hezbollah, accusando il movimento sciita di sparare da zone abitate.
    L’esercito libanese ha in seguito comunicato di aver sequestrato il lanciarazzi e arrestato quattro operativi. «Il Libano non è parte dello scontro tra Israele e Iran nel Golfo dell’Oman», ha twittato l’ex premier Saad Hariri, «il nostro popolo già soffre sotto il peso del collasso economico».
    Per quanto il Libano verta nel caos, la valutazione in Israele è che Hezbollah continui ad avere il polso della situazione nel sud e i cinque attacchi precedenti, quelli attribuiti ai palestinesi, sarebbero parte di un’intesa tra il Partito di Dio e Hamas: sviare l’attenzione al nord con lanci sporadici per incalzare un nuovo accordo sull’ingresso dei milioni del Qatar a Gaza. Il flusso, interrotto con l’ultimo conflitto di maggio, dovrebbe rinnovarsi a breve con la mediazione di Ramallah, sempre che la tensione al nord non cambi le carte in tavola.
    «C’è una linea comune tra i recenti eventi nel Golfo, in Libano e a Gaza» dice Michael Milstein, ricercatore dell’Università di Tel Aviv con un passato nell’intelligence militare. «C’è un tentativo di disegnare nuove regole del gioco contro Israele, per testare il nuovo governo, così come quello Usa». E per quanto sia nell’interesse israeliano mantenere il confine libanese calmo - specie in un frangente critico nel contenimento dell’ondata Delta in cui a Gerusalemme si pronuncia nuovamente la parola lockdown – resta alto il timore che la situazione possa sfuggire di mano.

(la Repubblica, 7 agosto 2021)

Due passi dentro la “VERA” resistenza iraniana

Due parole con la "vera" resistenza iraniana. Perché i persiani non sono “cammellieri arabi”, sono colti e fieri e bramano la libertà dagli Ayatollah

di Franco Londei

In Iran è iniziata l’era di Ebrahim Raisi e com’era prevedibile non solo non cambia nulla nei confronti di Israele, ma addirittura la situazione peggiora e probabilmente siamo sull’orlo di uno scontro diretto.
   Ma con l’elezione del boia di Teheran non è solo Israele a dover fare i conti con un importante inasprimento della tensione, anche gli iraniani non stanno messi proprio bene, almeno quei milioni che vorrebbero la fine del regime degli Ayatollah.
   Proprio pochi giorni fa mi è venuto a trovare il mio vecchio amico Shahyar, membro della resistenza iraniana (nulla a che vedere con il MEK) e rifugiato in Italia con tutta la sua famiglia.
   Il vecchio amico mi raccontava di temere per i suoi famigliari rimasti in Iran, i genitori e i suoceri, che con Rohuani non hanno avuto grossi problemi ma che non appena eletto Raisi si sono visti piombare in casa le “camice nere iraniane”, i fantomatici e fanatici Basij, la milizia paramilitare agli ordini dei Guardiani della Rivoluzione Iraniana.
   Gli hanno chiesto se erano in contatto con i loro congiunti fuggiti in Italia e se erano in contatto con il MEK, perché in Iran la resistenza per essere denigrata viene sempre associata ai Mojahedin del Popolo Iraniano, quando invece la vera resistenza iraniana è lontanissima dai Mullah in esilio.
   E così si è finiti a parlare degli iraniani e di quanto questo popolo fiero e colto sia lontano dagli Ayatollah e dalla loro teologia assassina.
   Certo, nelle campagne dove regna l’ignoranza i Mullah sono ancora fortissimi, ma nelle grandi città ormai non li sopporta più nessuno.
   E nessuno capisce perché l’Iran si debba mettere in conflitto continuo con Israele. Perché gli Ayatollah spendono miliardi di dollari che potrebbero essere usati nello sviluppo dell’Iran, per sostenere gruppi terroristici in configurazione anti-israeliana.

Gli iraniani sono lontanissimi dal considerare Israele e gli israeliani alla stregua di un nemico. Noi siamo persiani non cammellieri arabi
Gli iraniani sono lontanissimi dal considerare Israele e gli israeliani alla stregua di un nemico. Noi siamo persiani non cammellieri arabi» mi dice fiero Shahyar.
   «I persiani non odiano gli ebrei o Israele. Anzi, come loro abbiamo una storia millenaria, ci piace la modernità, lo sviluppo scientifico e come loro guardiamo avanti» continua Shahyar.
   «La cosiddetta “rivoluzione iraniana” ci ha scaraventati nel Medio Evo islamico quando tutti noi volevamo solo liberarci di Reza Pahlevi e instaurare una vera democrazia, non passare da un regime sanguinario ad un altro» continua.
   «Ma gli iraniani veri, i persiani non i cammellieri, non hanno nulla a che vedere con gli Ayatollah e quando lo abbiamo dimostrato con il Movimento Verde il mondo non ci ha supportati, anzi ci ha abbandonati».
   Conosco già questi discorsi, li abbiamo fatti un sacco di volte io e Shahyar, ma ogni volta resto sorpreso, colpito dal suo onesto livore e dal suo orgoglio persiano.
   «In tanti ci dicono “ma perché non mandate via gli Ayatollah?”» continua Shahyar. «Come se fosse una cosa facile. Con i Guardiani della Rivoluzione che controllano praticamente ogni singola porzione del Paese e dove non arrivano loro ci arrivano i Baij, le SS del regime».
   «Siamo in un vicolo cieco» continua. «Non riusciamo a organizzare una resistenza seria al regime. Non bastano le grandi città. Se non riusciamo a sfondare nelle zone rurali, nel bacino di consenso degli Ayartollah, non andiamo da nessuna parte».
   So già che le zone rurali sono diffidenti ai cambiamenti e che sono la solida base di consenso sulla quale poggiano gli Ayatollah, ma pensavo che con la crisi nella quale è sprofondato l’Iran delle sanzioni anche le zone rurali si sarebbero unite al dissenso delle città.
   «Sbagli» mi dice l’amico Shahyar. «Loro sentono di meno la crisi perché i prezzi sono più bassi e la loro è una economia si sussistenza. Hanno di che vivere e questo gli basta. Di tutto il resto non si interessano».
Se gli Ayatollah arrivano alla bomba non li ferma più nessuno
«Se gli Ayatollah arrivano alla bomba non li ferma più nessuno» mi dice all’improvviso. «Se adesso un vero atto ostile potrebbe spiazzarli e soprattutto potrebbe spiazzare le guardie rivoluzionarie, se arrivano alla bomba non cadranno mai e non si faranno nemmeno scrupolo di usarla» dice quasi rassegnato.
   Gli chiedo se per “vero atto ostile” intenda un attacco militare e mi conferma che intende un attacco alle centrali nucleari, l’arma definitiva degli Ayatollah.
   «Se gli togli quelle non hanno più niente. Ma se le lasci integre e lasci che arrivino alla bomba è finita» specifica.
   «L’occidente deve capire che gli iraniani sono prigionieri degli Ayatollah e soprattutto dei Guardiani della Rivoluzione islamica. Capirebbero qualsiasi atto ostile che non sia un attacco che uccida civili ma che possa indebolire i loro boia».
   E qui c’è la domanda delle domande. Lo capiranno soprattutto gli americani che lasciare che gli Ayatollah arrivino alla bomba è prima di tutto un “de profundis” per il popolo iraniano, addirittura prima ancora che una minaccia esistenziale per Israele?

(Rights Reporter, 7 agosto 2021)


Spunta pure la gogna di Stato per gli alunni non vaccinati

Anni a parlare di privacy, inclusività e rispetto. Poi nel dl è prevista la deroga all' obbligo di mascherina in classe solo se tutti hanno fatto la puntura. Senza modifiche entro settembre, partirà la caccia ai renitenti.

di Federico Novella

Il pensiero unico entra nelle scuole. E ci entra con la sensibilità di un panzer. All'articolo 1 comma 3 dell'ultimo decreto del governo, sta scritto che si potrà fare a meno delle mascherine in classe «qualora alle attività didattiche e curriculari partecipino esclusivamente studenti che abbiano completato il ciclo vaccinale o che abbiano un certificato di guarigione». Proprio così: a scuola si potranno togliere le mascherine, a patto che sui banchi regni l'unanimità vaccinale. E stavolta nel palazzo fanno sul serio: non esistono scappatoie, non c'entrano green pass né tamponi. O vaccino o mascherina. E se anche un solo bambino rifiutasse (o non potesse fare) l'iniezione? Allora nisba. Per colpa della piccola (parliamo di over 12) pecora nera, tutti imbavagliati per l'anno scolastico a venire. Un po' come nel film Full metal jacket, quando l'intero plotone è costretto ad ammazzarsi di flessioni perché la recluta "Palla di lardo», derisa da tutti, aveva infranto le regole mangiando un pasticcino. Eppure, il ministro dell'Istruzione, Patrizio Bianchi, esulta: «Invitiamo sempre a tenere la mascherina, ma se in classe sono tutti vaccinati sarà una gioia per tutti toglierla».
   Più che una gioia, è un trucchetto psicologico per spingere al vaccino, che è chiaro a tutti nella sua follia. Già ci immaginiamo le dita puntate, in classe, contro i ragazzini non vaccinati: guastafeste che obbligano l'intera scolaresca a indossare l'odiata mascherina. Decida il lettore come chiamare questa pazzia: gogna scolastica a norma di legge? Delazione minorile con bollino governativo?
   La parte surreale della faccenda è che nello stesso decreto, due righe più in alto, si specifica graziosamente che queste decisioni servono "ad assicurare il valore della scuola come comunità e tutelare la sfera sociale e psico-affettiva della popolazione scolastica». Alla faccia: per tutelare la sfera sociale dei bambini, discriminiamo quelli senza vaccino? E il metodo Montessori del governo: non potendo - o non volendo imporre l'obbligatorietà vaccinale a un dodicenne, non resta che rovinargli la vita sociale, nella speranza di farlo sentire in colpa. I piccoli reprobi possono tranquillamente frequentare in presenza: purché dietro la lavagna, con le orecchie d'asino in testa, potenziali untori, una palla al piede per tutti. E pensare che abbiamo passato l'estate a riempirci la bocca di belle parole: inclusività, accoglienza, rispetto delle diversità. Ricordiamocelo, alla prossima campagna governativa di sensibilizzazione contro il bullismo: perché, se questo non è bullismo di Stato, poco ci manca.
   Senza contare un leggerissimo effetto collaterale: la riservatezza dei dati sanitari andrà a farsi benedire. Ditemi che senso ha continuare a stipendiare un Garante della privacy, nel momento in cui ogni bambino dovrà dichiarare al mondo il suo stato di salute, l'immunità vaccinale, l'eventuale guarigione, ivi comprese quelle fragilità che magari gli impediscono di assumere il siero. Persino ai ragazzi più problematici questa norma impone di squadernare urbi et orbi la propria condizione, per far sì che gli altri possano condannarti o applaudirti. Ogni mamma che abbia messo piede in una scuola italiana sa già come andrà a finire: già al primo giorno di lezione tutti sapranno chi è vaccinato e chi no. E al secondo giorno, sarà già scattata la caccia alle streghe no vax, magari con l'ausilio nefasto delle chat di classe di genitori e amichetti. Con il rischio che alla gogna scolastica si aggiunga la gogna social. Quale sarà il prossimo passo? La vaccinazione inserita in pagella? Farà media nei giudizi insieme a storia, italiano e matematica? Oppure l'inoculazione Pfizer influirà sul voto in condotta?
   Ricordiamoci poi un piccolo particolare: i protagonisti di questo scempio sono quasi tutti minorenni, e dunque non hanno facoltà di decidere in autonomia sul vaccino (anche se il Comitato di bioetica ha fatto capire che, solo se si vaccinano, possono contraddire la volontà dei genitori). Questo vuol dire che un ragazzo pagherà in termini sociali una decisione che ovviamente spetta comunque in buona parte ai genitori. E parliamo di milioni di studenti. Attualmente i ragazzi nella fascia 12-19 anni immunizzati con due dosi di vaccino sono poco più del 20% del totale: questo vuol dire che 3 milioni e 600.000 ragazzi italiani saranno drammaticamente esposti, loro malgrado, al giudizio dell'Inquisizione vaccinale. Alcuni di loro nascono in famiglie di squinternati no vax, e non si capisce perché i figli debbano pagare per le storture dei padri. Ma molti altri hanno dei genitori che semplicemente si sono presi tempo per riflettere, anche sulla base del fatto che gli scienziati inglesi e tedeschi non hanno promosso il vaccino in età scolare.
   Ma, a quanto pare, riflettere è un'attività sconsigliata dal Cts. Bisogna agire e basta, con la massima urgenza. Anche sacrificando le basi della logica. Ci hanno detto per settimane che bisogna fermare il contagio delle scuole, che tutto passa dalle scuole, che bisogna tenere d'occhio le scuole. E loro cosa fanno? Tolgono le mascherine dalle scuole. Proprio in classe, dove si sta gomito a gomito per otto ore di fila. Qual è il senso? Se, come è ormai chiaro, i vaccinati contagiano e sono contagiati, perché togliamo la mascherina agli alunni? Con quale coerenza scientifica nello stesso decreto mettiamo i vaccinati in quarantena se a contatto con un positivo (ritenendoli contagiosi: altrimenti perché?) ma consentiamo agli studenti vaccinati di girare a scuola a volto scoperto (ritenendoli in questo caso non contagiosi)?
   Anziché rispondere a queste domande, i virologi alla Matteo Bassetti liquidano la questione a modo loro: «Siamo in guerra: a mali estremi, estremi rimedi». Ecco, premesso che questa storia del clima di guerra sta giustificando ogni nefandezza, la domanda è un'altra: siamo proprio sicuri di voler portare la guerra anche nelle scuole? Siamo proprio sicuri di voler mandare in trincea gli alunni, schierando le famiglie le une contro le altre? Siamo proprio sicuri - lo chiediamo agli psicologi e ai pediatri italiani - che fare leva sui sensi di colpa di un adolescente sia davvero la strada più giusta? Siamo proprio sicuri che questi metodi da Germania Est possano convincere una eventuale madre no vax a vaccinare il figlio?

(La Verità, 7 agosto 2021)


E' inutile cercare motivazioni sanitarie logiche nelle norme governative che obbligano a vaccinarsi; la logica va cercata nelle motivazioni politiche che obbligano ad usare il green pass. Non è l'interesse per la salute dei cittadini che si esprime nella logica di una norma, ma la rintracciabilità del loro muoversi in società. E la logica è questa: la norma è tanto più valida quanto più costringe a procurarsi il green pass governativo. M.C.


Errore politico inseguire i no vax

di Fiamma Nirenstein

In questi giorni in Israele (e a breve in tutta Europa) gli over 60 sono in coda per la terza dose di vaccino. È questa la libertà: quella di fare ciò che è giusto per sé e per la società intera secondo il buon senso, e ciò che ti viene indicato con il criterio del bene comune dal governo eletto. E chi non distingue la regola definita per il bene comune da una malvagia acquisizione di potere, peggio per lui. È nella Bibbia. Mosè diventa un uomo libero quando scende dal Monte con in mano la regola: quella è la libertà. Perché sono le leggi, e oggi le Costituzioni, che formano l'uomo libero. Anche quello che crede che libertà sia contestare il minimale diritto alla protezione della salute, che è la base stessa di un armonico vivere sociale.
   C'è chi pensa che nelle norme con cui si cerca di limitare il contagio del Covid ci sia qualcosa che viola «il semplice, amabile fatto di vivere l'uno accanto all'altro». Non hanno conosciuto l'isolamento? Dopo un anno e mezzo di pandemia, in cui l'uno accanto all'altro abbiamo temuto che il vicino potesse trascinarci col suo respiro nella valle della malattia e persino della morte, la cosa più logica è cercare i sentieri del ritorno alla salute. No, non deve essere obbligatorio vaccinarsi per questo, ma neppure si deve costringere qualcuno che ha fatto maggiori sacrifici per proteggere se stesso e i suoi cari, che magari, come è capitato a me, ha visto qualcuno soccombere in famiglia, all'insicurezza di condividere lo spazio con chi non vuole dirti se è vaccinato. Perché, alla fine, sai che ci sono molte probabilità che questo significhi che non lo è.
   A ogni latitudine un eccitato movimento «intersezionale» che ammonticchia tutti i diritti umani e tutti gli oppressi contro tutti gli oppressori, ci propone un'idea palingenetica di libertà - quella delle donne, dei neri, dei gay, delle minoranze, e ora dei No Vax e dei No Pass - che sospetta una rete di potere oppressivo che ha fatto la storia, la geografia, gli Stati, le leggi... La verità è che le cause di ciascuno vanno sempre bilanciate con la possibile distruttività che contengono.
   E qui, per quel goccio di libertà in più che può fornire non dovere mostrare un'app verde sul telefonino, si gioca sulla vita umana. È la libertà di passare col semaforo rosso. Inoltre chi ha la responsabilità della guida politica non deve dimenticare che l'opinione pubblica sulla salute, alla fine, è saggia: i leader che scelgono questa strada e non rincorrono i No Vax saranno i più ammirati... La legge e l'obbedienza, specie nella salute, danno la libertà.


Totale disaccordo. Fa impressione sentir dire certe cose da parte ebraica. L’autrice può essere certa che da parte mia non mi azzarderei mai a “costringere” una vaccinata come lei a “condividere lo spazio con chi non vuole dirle se è vaccinato”, tanto più che nel mio caso, per esempio, sarei pronto a dirle chiaro e tondo che non sono vaccinato. M.C.


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Veleno sparso sulla vita sociale

E' questo il "bene comune" che si voleva salvaguardare con la doppia imposizione di vaccino e greenpass?

Si ricorderà bene il canto degli inni nazionali rilanciati da balcone a balcone nel desiderio di vincere uniti la nuova tremenda battaglia anticovid che molti, senza distinzione, sentivano di dover combattere uniti. Poteva essere vista come un'ingenuità, e ovviamente era destinata a cambiare aspetto, ma ci si poteva comunque aspettare che fosse una spinta a modificare in meglio le tensioni dei rapporti sociali, ad avvicinare in qualche modo le persone. Non è stato così, e l'abbassamento delle attese era in un certo senso inevitabile. Ma era forse evitabile che i rimedi offerti dalle autorità fossero peggiori del male che si diceva di voler combattere. Si continua a dire che bisogna sacrificare gli egoismi libertari sull'altare del superiore bene sociale. Ma in che consiste la socialità di questo bene? Solo nel fatto che vaccinandosi in massa ci sarebbero meno malati e meno morti? Ma questo resta ancora indimostrato e forse anche indimostrabile, se non si assegna il termine "dimostrazione" alle valanghe di statistiche a lettura variabile che vengono propinate tutti i giorni.
   Ma se pur così fosse, come vivranno coloro che sopravvivono al covid? "C'è chi pensa che nelle norme con cui si cerca di limitare il contagio del Covid ci sia qualcosa che viola «il semplice, amabile fatto di vivere l'uno accanto all'altro»", dice l'autrice dell'articolo precedente. E questo ricorda stranamente il classico slogan riferito al problema israeliani-palestinesi: "due popoli che vivono uno accanto all'altro in pace e sicurezza". Le due proposizioni hanno verosimilmente lo stesso grado di attinenza alla realtà.
   Cerchiamo infatti di immaginare come potrà essere «il semplice, amabile fatto di vivere l'uno accanto all'altro» dei sopravvissuti al covid dopo che ai mali del morbo si saranno aggiunti i mali di quelli che con le loro imposizioni dicono di voler combattere il morbo. Siamo passati dai richiami unitari dai balconi ai perfidi "vade retro" lanciati contro tutti quelli non possono o non vogliono esibire il certificato di purezza anticovid. "Se vado al ristorante - ha scritto un pro-greenpass su un giornale - esigo che tutti siano vaccinati. E' una questione di sicurezza". Comprensibile, no? Dunque, chi ha ottenuto dal governo il lasciapassare per entrare in un ristorante, stia comunque in guardia quando entra, perché oltre ad essere vagliato dal ristoratore, potrebbe essere guardato con diffidenza anche dagli altri avventori. Non si sa mai...
   Ma è solo un esempio. Si preannuncia un "tutti contro tutti". I medici contro i pazienti, i ristoratori contro i clienti, i datori di lavoro contro gli operai, i docenti contro genitori, i genitori contro i figli. E viceversa. E oltre ai contrasti tra categorie, ci saranno i contrasti interni in ogni categoria. "Dobbiamo vaccinare i nostri i figli?" Si chiedono i genitori. Sì, no, forse. E i nonni che dicono?" Ciascuno può proseguire la serie dei prevedibili contrasti che inevitabilmente si aggiungeranno a quelli che già ci sono.
   E' stata già elencata una quantità di problemi tecnici di attuazione, ognuno dei quali genererà una serie interminabile di contrasti. E' questo il comune bene sociale che si vorrebbe "responsabilmente" difendere? Possibile che le autorità non abbiano previsto il sorgere di problemi come questi? No, non è possibile: l'hanno messo in conto. E il governo a guida Draghi e a imitazione di Israele ha deciso di andare avanti. L'importante è dare il via al greenpass obbligatorio; il resto si aggiusterà. E quando si sarà aggiustato, la società non sarà più quella di prima. Irreversibilmente. M.C.

(Notizie su Israele, 6 agosto 2021)


Il governo di Raisi

C’è molta meno voglia di accordo sul nucleare, l’Iran assapora la convenienza di non negoziare.

di Cecilia Sala

ROMA - Checkpoint e blocchi stradali, treni sospesi e i cinque aeroporti più vicini a Teheran chiusi. Ieri la cerimonia d’insediamento del nuovo presidente conservatore Ebrahim Raisi si è svolta in una capitale blindata. Il leader iraniano ha due settimane per presentare al Parlamento la lista dei suoi ministri, ma i tempi questa volta saranno rapidi: la Guida suprema, Ali Khamenei, ha lanciato un appello per una transizione veloce, il Parlamento e il governo – adesso entrambi dominati dai conservatori – andranno d’amore e d’accordo, e ci sono le emergenze, dagli ospedali al collasso all’inflazione, dai blackout continui alle proteste nelle regioni di sud-ovest dove manca anche l’acqua. Fuori dai confini tutti gli occhi sono puntati sul dicastero degli Esteri. Per ovvie ragioni, ma in questo particolare momento soprattutto perché l’accordo sul nucleare iraniano – che solo un mese e mezzo fa sembrava cosa fatta – è precipitato in uno stallo che ha prima sorpreso e poi preoccupato gli occidentali. A giugno, quando si è concluso il sesto round dei negoziati, alcuni delegati europei avevano lasciato le scarpe e le camicie nelle loro stanze dell’hotel Palais Coburg di Vienna dove si tengono i meeting internazionali, convinti che nell’arco di pochi giorni ci sarebbero tornati per il round definitivo. Da fonti dell’Amministrazione Biden trapelava la fretta di chiudere prima dell’insediamento: è la prima volta che in Iran entra in carica un presidente sanzionato dal Tesoro americano, e per la delegazione americana dialogarci è imbarazzante.
  La fretta non era solo loro, i conservatori della Repubblica islamica hanno sempre sostenuto che fidarsi dell’occidente è un errore, per questo non “sporcarsi le mani” e lasciar concludere l’accordo al governo riformista uscente conveniva e avrebbe permesso a Raisi di beneficiare della fine delle sanzioni appena insediato. Invece, il tempo è passato e non è successo nulla. E’ per questo che adesso, mentre ci si interroga su quale sia la strategia iraniana, se sia cambiata di recente e come, cimentarsi nel totonomi sul ministero degli Esteri non è un esercizio fine a se stesso ma utile a capire cosa abbia davvero in mente la Repubblica islamica.
  Adnan Tabatabai è un analista iraniano del Carpo, è consulente di istituzioni e società europee e un volto noto della Cnn e di Bbc World. “La prima cosa interessante da scoprire è se il prossimo ministro sarà un militare che non è mai uscito dalla regione oppure qualcuno che parla inglese e francese, che ha viaggiato fuori dal medio oriente per meeting internazionali e si è già occupato di negoziati sul nucleare”. Arrivati a questo punto i papabili non sono molti, ci sono i falchi come Hosseini Tash o Bagheri Kani: “La loro nomina sarebbe il segnale che per l’Iran l’accordo non è più una priorità: se Joe Biden per primo toglie le sanzioni ‘bene’, altrimenti si va avanti con l’economia di resistenza”. La posizione ufficiale della Repubblica islamica è che non si può tornare all’accordo se gli americani non si vincolano in qualche modo, se manca la garanzia che non riaccada ciò che è successo nel 2018, quando Donald Trump è uscito unilateralmente e sono tornate le sanzioni. “Anche se Biden rimanesse nell’accordo finché è presidente, e non è comunque scontato visto i mal di pancia nel suo partito, la leadership iraniana si chiede: ‘E se nel 2024 vincesse le presidenziali uno come Mike Pompeo?’. Se per gli Stati Uniti non ci sono conseguenze negative nel momento in cui abbandonano il patto, prima o poi accadrà di nuovo”, dice Tabatabai. Ma, appunto, i problemi potrebbero sorgere già prima di una futuribile presidenza repubblicana.
  Se Biden rimuove parte delle sanzioni con un ordine esecutivo, a un certo punto il Congresso dovrà convertirlo in legge. “I democratici contrari non sono pochi – ricorda Tabatabai – Il governo di Raisi rischierebbe di ritrovarsi di nuovo con le sanzioni come è capitato a quello riformista di Hassan Rohani”. Con due differenze: sarebbe la seconda volta, quindi difficilmente perdonabile. E i riformisti avevano promesso quell’accordo, mentre i conservatori lo hanno sempre bollato come una follia pericolosa – farebbero molta fatica a giustificarsi in uno scenario come quello appena descritto. Forse, per l’establishment conservatore iraniano, l’ipotesi di una figuraccia del genere è un rischio politico talmente grosso per cui vale la pena sopportare una crisi che però si scarica soprattutto sui più deboli e non certo sull’élite di cui fanno parte. “Gli occidentali sono convinti che la Repubblica islamica sia disposta a tutto. La crisi economica è profonda e reale, ma quel giudizio è comunque un giudizio avventato. L’ultimo mese e mezzo di stallo, che altrimenti sarebbe difficilmente spiegabile, lo dimostra”, dice Tabatabai.
  Ci sono altri fattori e incentivi da considerare, per esempio il vantaggio militare dato da una maggiore libertà di movimento, perché a luglio nei siti iraniani si sono spenti sensori e telecamere di controllo dell’Agenzia dell’Onu per il nucleare, e senza un nuovo accordo difficilmente riprenderanno a funzionare.
  In conclusione, Tabatabai dice il suo pronostico: “Che al ministero degli Esteri vadano i più intransigenti anti occidentali non è a mio parere l’ipotesi più probabile. Anche se l’accordo oggi non è più imprescindibile, da un punto di vista strategico non avrebbe senso essere tanto espliciti fin dall’inizio (del mandato, ndr) con le controparti. Mi aspetto piuttosto che il nuovo capo della diplomazia sia Hossein Amir-Abdollahian”. Che parla perfettamente l’inglese, è legato ai conservatori e ai pasdaran, ma è stato viceministro anche nell’ultimo governo dei riformisti. Un uomo fidato che può andar bene per qualsiasi stagione ed eventualità. Perché adesso serve tenersi le mani libere, avere un piano A e un piano B. La novità è che non si può più dare per scontato che il piano A sia l’accordo.

Il Foglio, 6 agosto 2021)


Ma come sono nazi gli imam norvegesi

«Il Führer ha lasciato alcuni ebrei così il mondo può vedere quanto sono crudeli»

di Mirko Molteni

La Norvegia è scioccata da proclami pubblicati su Facebook da un imam della comunità islamica di Drammen, seconda città del paese per immigrati dopo Oslo. Noor Ahmad Noor, della confraternita Minhaj-ul-Quran, ha scritto sul suo account in lingua urdu: «Hitler ha lasciato vivi alcuni ebrei affinché il mondo possa vedere quanto siano crudeli e perché è necessario ucciderli. Israele è il Diavolo e Hitler l'ha lasciata indietro perché f umanità possa capire di essere in pericolo».
   A denunciare l'incitamento antisemita che mescola estremismo islamico e nazismo è stato il giornale Drammens Tidende, che l'ha fatto tradurre dall'urdu al norvegese e che si assume «la responsabilità di eventuali errori di traduzione». Ma la traduzione sembra corretta, poiché i violenti commenti di Noor s'inquadravano nel discorso sulla guerra Gaza-Israele.
   L’imam conta 2900 "amici" Facebook e 1150 "followers". Dopo la denuncia, ha rimosso il post e chiesto scusa, sostenendo: «Ho sempre lavorato per la tolleranza». Ma i suoi toni violenti parlano da soli. Nella vicina Svezia, intanto, l'imam Basem Mahmoud, della moschea al-Sahaba di Rosengard, sobborgo di Malmò, ha tenuto sermoni farneticanti: «Gli ebrei sono progenie di maiali e scimmie. Il Giorno del Giudizio non verrà finché noi musulmani non avremo ucciso gli ebrei». Ha inoltre vietato ai suoi fedeli fuso della bandiera svedese «perché contiene una croce».

Libero, 6 agosto 2021)


Scoperte prove archeologiche di un terremoto citato nella Torah

di Michelle Zarfati

“Due anni prima del terremoto” questo è il primo versetto che troviamo nel libro di Amos, il profeta biblico dell'VIII secolo a.C. Due secoli dopo, il profeta Zaccaria fece nuovamente riferimento a questo terremoto distruttivo. Ora, per la prima volta, un team di archeologi della Israel Antiquities Authority nella città di David, a Gerusalemme, rivela di aver trovato prove concrete senza precedenti di questo terremoto dell'VIII secolo a.C. a Gerusalemme
  Il famoso terremoto, avvenuto in Israele circa 2.800 anni fa, compare sulla Torah. I ricercatori ritengono che per la prima volta sono stati in grado di identificare alcune testimonianze archeologiche che indicano che il terremoto ha colpito anche Gerusalemme - la capitale di Giuda. Questi reperti archeologici saranno mostrati al pubblico alla conferenza "City of David Research" - la conferenza archeologica annuale dell'Istituto Megalim che si terrà all'inizio del prossimo mese.
  Gli scavi archeologici dell'Autorità per le antichità israeliane nel Parco nazionale della città di David, hanno rivelato uno strato distrutto, in cui sono stati rinvenuti: una fila di vasi in frantumi, ciotole, lampade, utensili da cucina, e giare per la conservazione, che sono state frantumate quando le pareti dell'edificio sono crollate. Secondo i ricercatori, poiché non sono stati trovati segni di incendio,il motivo del crollo dell'edificio è il terremoto avvenuto in Israele durante l'VIII secolo a.C., nel periodo del Regno di Giuda.
  "Quando abbiamo scavato la struttura e scoperto uno strato di distruzione dell'VIII secolo a.C., siamo rimasti molto sorpresi, perché sappiamo che Gerusalemme ha continuato ad esistere in successione fino alla distruzione babilonese, avvenuta circa 200 anni dopo. Ci siamo chiesti cosa potesse aver causato quel drammatico strato di distruzione che abbiamo scoperto. Esaminando i reperti degli scavi, abbiamo cercato di verificare se vi fosse un riferimento ad esso nel testo biblico. Il terremoto che compare nella Bibbia nei libri di Amos e Zaccaria, è avvenuto nel momento in cui, il complesso da noi scavato nella Città di David, è crollato. La combinazione dei reperti nel campo, insieme alla descrizione biblica, ci ha portato alla conclusione che il terremoto che colpì la Terra d'Israele durante il regno di Uzzia re di Giuda, colpì anche Gerusalemme”. Hanno detto alla stampa i Dr. Joe Uziel e Ortal Chalaf, direttori degli scavi per conto dell'Israel Antiquities Authority.
  Secondo i ricercatori: "Il terremoto che si è verificato a metà dell'VIII secolo a.C. è stato probabilmente uno dei terremoti più forti e dannosi dei tempi antichi.

(Shalom, 6 agosto 2021)


Netanyahu torna all'attacco e critica il suo successore Naftali Bennet

di Elena Grigatti

Benjamin “Bibi” Netanyahu torna all’attacco e critica il suo successore Naftali Bennett. Secondo l’ex Premier, ora all’opposizione, il dialogo costante (e morboso?) con gli alleati d’oltreoceano sarebbe deleterio per la risposta dello Stato ebraico verso i suoi nemici. Come a dire: in guerra ognuno pensi per sé. E, soprattutto, non riveli le proprie strategie. Che Israele soffra lo scacco degli Usa? O tema soltanto una riconciliazione tra Washington e Teheran? Specialmente in vista di un imminente accordo nucleare?

NETANYAHU CRITICA BENNETT?
  “Non dovremmo informare gli americani di tutto quello che facciamo contro l’Iran”. Così ritiene Benjamin Netanyahu, l’ex Premier più longevo dello Stato ebraico che ora guida l’opposizione. Un compito che il leader conservatore adempie con zelo, dopo una sconfitta elettorale rimastagli indigesta. Nonostante alle consultazioni del 23 marzo il suo Likud avesse ottenuto più seggi rispetto alle altre formazioni, Netanyahu ha dovuto cedere lo scettro al suo ex protetto, nonché franco tiratore, Naftali Bennett. Proprio il leader di Yamina, che servirà come Primo ministro del governo del cambiamento fino a settembre 2023, è spesso oggetto delle critiche al vetriolo di Netanyahu. In particolare, Bibi ha biasimato la “politica senza sorprese” promessa a Washington dal nuovo pot pourri al gabinetto dello Stato ebraico. Specialmente perché potrebbe compromettere l’azione di Israele contro i suoi nemici. Tra cui il rivale atavico: l’Iran.

LA DICHIARAZIONE
  Durante un’accesa discussione alla Knesset, il Parlamento monocamerale israeliano, Netanyahu ha affermato che il successo delle sue politiche anti-Teheran nell’epoca in cui era Premier, deriva dall’aver tenuto all’oscuro i presidenti d’oltreoceano sulle operazioni israeliane in Medio Oriente. Come riporta il Times of Israel, il leader di destra ha spiegato che: “Le informazioni inviate in America potrebbero essere divulgate ai principali media e in questo modo le nostre operazioni verrebbero ostacolate“. “Ecco perché nell’ultimo decennio ho rifiutato le richieste dei presidenti americani di informarli sempre delle nostre azioni“, ha chiarito Netanyahu. E ancora. “Questo è un problema esistenziale per Israele, in cui potrebbero esserci sorprese e talvolta le sorprese sono necessarie“. Insomma, una logica cristallina. Almeno per Bibi.

NETANYAHU CRITICA BENNETT "SENZA SORPRESE"
  In effetti, una tale (cieca) collaborazione nelle relazioni bilaterali implica che Israele informi con anticipo Washington di qualsiasi operazione programmata dalle Forze di Difesa Israeliane (IDF) nei confronti della Repubblica islamica. Il che si traduce, nell’ottica di Netanyahu, in una minaccia alla sicurezza di Israele. A tal proposito, l’ex Primo ministro ha osservato che il governo di Bennett “ci ha trasformato in una sorta di protettorato con l’obbligo riferire tutto quello che facciamo“. Come ha fatto notare il leader di Likud, “Se non abbiamo indipendenza su questa materia, non abbiamo alcuna indipendenza“. Il tutto mentre a Vienna sono ripresi i negoziati per il JCPOA: il programma nucleare iraniano.

LA QUESTIONE IRANIANA
  Nei mesi scorsi, le autorità sioniste hanno mostrato una preoccupazione crescente riguardo alla ripresa dei colloqui nella capitale austriaca. Difatti, non è un segreto che lo Stato ebraico osteggi un accordo internazionale che permetta a Teheran di arricchire uranio. Sulla scorta dei molteplici appelli lanciati, è chiaro che Israele ne tema l’utilizzo a fini militari. Come lo sviluppo di un’arma atomica. Anche per questo, l’Iran ritiene che siano proprio le IDF israeliane le uniche responsabili dei recenti attacchi ai danni della Repubblica islamica. Tra cui l’assassinio dell’autorevole scienziato nucleare, Mohsen Fakhrizadeh, e il sabotaggio all’impianto nord-orientale di Natanz. Oltre che al raid che aveva colpito una petroliera iraniana. Tutti atti che si considerano diretti a minare le capacità nucleari dell’Iran.

NEMICI AMICI
  Se non un nemico in senso stretto, dunque, gli Usa rappresentano quantomeno un ostacolo. Per Netanyahu, infatti, una cieca collaborazione con Washington porterà l’amministrazione statunitense a divulgare informazioni ai media. Il tutto allo scopo di manipolare lo Stato ebraico. In questo senso, Netanyahu ritiene che l’amministrazione Biden sfrutterà la buona volontà di Israele a suo vantaggio, in particolare per sventare un attacco contro l’Iran. D’altronde, le tempistiche con cui Netanyahu ha diramato il suo messaggio non lasciano spazio a dubbi. A ben vedere, seguono alla discussione tra i massimi funzionari statunitensi e israeliani in materia di sicurezza regionale, in cui hanno affrontato la “minaccia iraniana” dopo il recente attacco alla petroliera MV Mercer Street. In merito, le autorità sioniste avevano prontamente accusato la Repubblica islamica di aver ordinato l’attacco. Mentre gli alleati occidentali hanno promesso ritorsioni contro Teheran, il governo sciita esclude ogni coinvolgimento nell’attentato.

NETANYAHU CRITICA BENNETT PERCHE' CONVIENE
  Per la prima volta dopo anni, Netanyahu ha esposto la sua visione del mondo. E lo ha fatto con la spietatezza di un leader che assapora la vendetta nel caos che lo circonda. Oltre a Bennett, Bibi ha criticato anche il ministro degli Esteri Yair Lapid, prossimo Premier di Israele. Il quale mette in pericolo lo Stato ebraico impegnandosi a informare con anticipo gli Stati Uniti su qualsiasi azione militare che Israele potrebbe intraprendere contro l’Iran. Eppure, Netanyahu pecca di onestà. Perché durante il suo regno, alti funzionari israeliani avevano concordato con Washington nei colloqui relativi al dossier nucleare iraniano che non ci sarebbero state “sorprese” sulla questione. Piuttosto, che gli eventuali disaccordi sarebbero stati affrontati a porte chiuse, come conferma una fonte interna. Ora cos’è cambiato?

LAMA A DOPPIO TAGLIO
  A questo punto, si potrebbe considerare la campagna personale di Bibi come una battaglia al jihadismo che avviluppa il Medio Oriente. O almeno è così che la vede Netanyahu. Al di là delle recenti ostilità tra Israele e Hamas, oltre che dell’eterno conflitto palestinese, l’ex Premier avverte che Israele si trova in una regione “che è stata presa dall’estremismo islamico“. Il quale “Sta abbattendo paesi, molti paesi”. “Bussa alla nostra porta, a nord e a sud“, ha osservato il leader dell’opposizione. Attenzione, però. Se da una parte Netanyahu ha condannato la politica della trasparenza come una strategia suicida per lo Stato ebraico, dall’altra ha dimenticato come la stessa sia stata utilizzata a beneficio di Gerusalemme. In passato, infatti, ha rappresentato uno scudo per Israele. Soprattutto, consentiva alle autorità sioniste di rimanere aggiornate sulle eventuali aperture statunitensi nei riguardi della Repubblica islamica.

DO UT DES
  A marzo, quando Netanyahu era Premier, l’allora ministro degli Esteri Gabi Ashkenazi riferiva che Israele e l’amministrazione democratica di Joe Biden avevano concordato una politica di “senza sorprese”. Ad aprile, lo confermava a NBC News anche il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Jake Sullivan. In tutto ciò, Netanyahu era ancora in carica. “Crediamo, profondamente e appassionatamente, nell’assicurarci che noi e Israele non abbiamo una politica senza sorprese, che stiamo comunicando tra di noi su una base futura, in modo da avere una migliore comprensione“, diceva Sullivan. “Quanto a ciò che l’altra parte intende fare rispetto a tutta una serie di questioni di sicurezza nella regione“, riferiva il funzionario statunitense.

IL PUNTO
  Ma non finisce qui. Se nel 2011 Jeffrey Goldberg scriveva su Bloomberg che Netanyahu sembrava essersi rifiutato di impegnarsi a ragguagliare Washington sulle operazioni israeliane, nel 2014 la questione pareva risolta. Quell’anno, infatti, il quotidiano di sinistra Haaretz riportava che: “Un alto funzionario israeliano ha affermato che Israele e gli Stati Uniti hanno un’intesa che richiede una politica ‘senza sorprese’ nel quadro degli attuali negoziati tra l’Iran e le sei potenze, che si svolgono nel tentativo di raggiungere un accordo definitivo sul programma nucleare iraniano“. Non solo. “Come parte di questa intesa, gli Stati Uniti hanno informato Israele in anticipo del suo piano per tenere colloqui bilaterali diretti con l’Iran a Ginevra questa settimana“.

PERCHE' NETANYAHU CRITICA BENNETT
  Dunque, le tempistiche non vanno sottovalutate. I commenti di Netanyahu, infatti, sono giunti dopo che il primo ministro Naftali Bennett si è scagliato contro il suo predecessore per aver “lasciato dietro di sé una scia di caos”. Anche, e soprattutto, per quanto riguarda la questione iraniana. Quindi, il “principio di nessuna sorpresa” dell’ex ambasciatore Michael Oren “equivale a un virtuale veto di Netanyahu su qualsiasi cosa il governo degli Stati Uniti possa contemplare di fare o su Israele“. Così scriveva Bernard Avishai sul New Yorker, nel 2015. Pertanto, l’attacco di Netanyahu appare l’ultimo guizzo di un animale all’angolo. E ferito.

(Periodico Daily, 5 agosto 2021)


«La nave è stata dirottata. Iraniani a bordo»

L'assalto alla petroliera nel golfo di Oman

Israele reagisce Muscat II Centro per la sicurezza marittima dell'Oman ha fornito ieri la prima conferma ufficiale che la petroliera panamense Asphalt Princess è stata vittima martedì di un «dirottamento in acque internazionali nel Golfo di Oman», dirottamento che vede sospettato l'Iran. Secondo lo stesso istituto, in seguito alla segnalazione dell'incidente la Marina militare di Muscat ha dispiegato diverse navi nell'area, con il sostegno di mezzi aerei, per «contribuire alla sicurezza delle acque internazionali nella regione». Sono ancora da chiarire le dinamiche di quanto avvenuto martedì, quando sei petroliere contemporaneamente avevano segnalato di essere fuori controllo.
   Tre diverse fonti di sicurezza marittima hanno riferito che il tentativo di dirottamento è stato compiuto da agenti iraniani, ma Teheran ha negato ogni coinvolgimento. Sulla Asphalt Princess a un certo punto è salito a bordo un commando armato, che poi ha lasciato la nave. L'equipaggio ha comunicato che sulla petroliera erano saliti «cinque o sei iraniani». Ieri il ministro della Difesa israeliano, Benny Gantz, in una riunione con gli ambasciatori dei Paesi membri del Consiglio di sicurezza Onu, ha puntato il dito contro i Pasdaran per un altro dirottamento avvenuto la settimana scorsa al largo dell'Oman contro la petroliera Mercer Street, gestita da una società israeliana e costato la vita a due membri dell'equipaggio. Gantz ha accusato il comandante delle forze aeree dei Pasdaran, AmirAli Hajezda, e il capo della sezione che si occupa di droni, Saeed Ara Jani. Quest'ultimo «fornisce i rifornimenti, l'addestramento, i piani ed è responsabile di molti atti di terrorismo nella regione», ha affermato Gantz, assicurando che fornirà ai diplomatici prove di intelligence a sostegno delle sue accuse.

(Avvenire, 5 agosto 2021)


Il conflitto Israele-Hamas si sposta sulle criptovalute

La guerra si combatte, ormai, non solo sul terreno, ma anche su altri fronti, come ad esempio le fonti di finanziamento che si ritiene vengano utilizzate per alimentare un conflitto o, come nel caso di Israele ed Hamas, per irrobustire un arsenale militare.
  Per questo, come ha rivelato per il quotidiano Haaretz il giornalista Omer Benjakov, Israele alla fine di giugno ha preso di mira il flusso di cassa digitale di Hamas, sequestrando dozzine di portafogli digitali associati al gruppo islamista che governa, con pugno di ferro, la Striscia di Gaza.
  Secondo più fonti concordanti, Hamas, inserito come gruppo terroristico nella lista nera di Stati Uniti e Unione Europea, ha utilizzato a lungo le valute digitali per aggirare le sanzioni. Il gruppo utilizza le criptovalute, difficili da rintracciare e che presumibilmente offrono l'anonimato online, per raccogliere fondi e trasferirli nella Striscia utilizzando un sistema di portafogli digitali.
  L'Ufficio nazionale contro il finanziamento del terrorismo del ministero della Difesa israeliano ha reso noto di avere sequestrato una serie di portafogli digitali collegati ad Hamas in quella che viene considerata la prima e più aggressiva azione contro l'utilizzo di criptovaluta del gruppo islamista.
  Secondo alcune branche dell'intelligence israeliana, durante i più recenti combattimenti tra Israele e Hamas, quest'ultimo ha lanciato una massiccia campagna di raccolta fondi utilizzando le criptovalute. Circostanza confermata anche da un articolo del Wall Street Journal che, in giugno, ha riferito di un picco nelle donazioni di criptovaluta all'organizzazione. Una parte del denaro sarebbe utilizzata per scopi militari e quindi probabilmente destinata all'ala militare di Hamas, Iz al-Din al-Qassam.
  Tra gli oltre 70 account sequestrati il 30 giugno c'erano quelli che includevano bitcoin - la valuta digitale più comune e più conosciuta -, ma anche altri tra cui Ethereum e anche Dogecoin, una valuta che ha attirato l'attenzione dei media dopo che Elon Musk vi ha investito.
  Il sequestro dei conti è stato autorizzato direttamente dal ministro della Difesa, Benny Gantz, dopo che un'operazione congiunta con una società di monitoraggio di criptovalute "ha scoperto una rete di portafogli elettronici" utilizzati da Hamas per raccogliere fondi.
  La notizia arriva mentre gli Stati occidentali stanno valutando di adottare una serie di misure per reprimere i portafogli digitali, grazie ai quali i criminali informatici riciclano le ingenti somme accumulate con attacchi ransomware. 
  La raccolta fondi bitcoin di Hamas è sempre più complessa, dicono i ricercatori.
  "L'intelligence, gli strumenti tecnologici e legali che ci consentono di mettere le mani sul denaro dei terroristi in tutto il mondo costituiscono una svolta operativa", ha detto il ministro Gantz commentando l'operazione.
  Di recente, i regolatori statunitensi hanno suggerito di modificare l'architettura dei portafogli digitali in modo che non possano più essere anonimi e di ritenere le società responsabili se i fondi digitali che pagano ai criminali come parte degli attacchi ransomware vengono utilizzati per scopi illegali.

(Italia Informa, 5 agosto 2021)


L'Ue va dal macellaio di Teheran

Al giuramento di Ebrahim Raisi sarà presente un funzionario europeo

Al giuramento del presidente iraniano Ebrahim Raisi davanti al Parlamento previsto per oggi sono attesi i rappresentanti di 73 nazioni. Tra loro ci sarà anche Enrique Mora, vicesegretario generale del Servizio europeo per l'azione esterna (Seae), che parteciperà a nome di Josep Borrell, l'Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza. Lo ha annunciato martedì la portavoce del Seae, aggiungendo che "è fondamentale impegnarsi diplomaticamente con la nuova Amministrazione e trasmettere direttamente messaggi importanti".
   All'ultimo giuramento, quello del presidente uscente Hassan Rohani, andò Federica Mogherini, allora rappresentante della politica estera europea, c'erano grandi speranze in quella che si presentava come un'Amministrazione innovatrice, ma le stesse speranze non sono presenti oggi. Raisi è l'espressione di un Iran ultraconservatore, non è interessato a migliorare i suoi rapporti con l'occidente, né nei fatti né a parole. Mora non è Borrell ma è comunque un funzionario europeo importante e la decisione di portare un rappresentante dell'Ue in Iran per assistere all'insediamento del macellaio di Teheran è stata criticata fortemente da Israele, che l'ha definita "sconcertante", tanto più che Gerusalemme, Regno Unito e Stati Uniti hanno accusato Teheran dell'attacco a una nave civile venerdì scorso e ci sono prove sempre più forti sul tentato dirottamento di una seconda nave martedì nel Golfo. Per Borrell la necessità è però tenere aperto il negoziato sul nucleare, è il coordinatore dei negoziati, nei quali è coinvolto anche Mora.
   L'arrivo dell'Amministrazione Biden ha dato nuove speranze all'accordo, ma Teheran ha bloccato tutto fino all'arrivo del nuovo presidente. Gli americani sanno che dovranno riavvicinarsi al tavolo dei negoziati con più cautela di prima, e varrebbe la pena che lo sapesse anche Borrell. L'idea che l'accordo sul nucleare — anzi, la mera chance di una accordo — faccia sparire tutto il resto come se non accadesse è sbagliata.

Il Foglio, 5 agosto 2021)


Le restrizioni anti Delta e il nuovo lockdown a settembre: che cosa succede in Israele

"Dobbiamo preparare la popolazione e l'opinione pubblica per una nuova serrata a settembre" spiega il governo. La stretta nel paese con il più alto tasso di vaccinazione al mondo.

l governo dello Stato di Israele ha approvato ieri sera nuove restrizioni per contenere la diffusione della pandemia di Covid-19 e non esclude l'eventualità di una nuova serrata a settembre. Secondo quanto riporta il quotidiano israeliano Jerusalem Post a partire da domenica 8 agosto le mascherine ritorneranno obbligatorie in tutti gli incontri all'aperto e il green pass sarà necessario in tutti i luoghi pubblici senza eccezioni. Inoltre i genitori che si occupano di minori sotto i 12 anni risultati positivi saranno sottoposti a quarantena nonostante abbiano già ricevuto il vaccino o siano guariti dal Covid-19. Gli uffici governativi torneranno a lavorare al 50 per cento in smart working e il settore privato sarà incoraggiato a fare altrettanto. Infine saranno formulati criteri più rigorosi per disincentivare i viaggi all'estero o da Paesi a rischio.
  Una stretta inattesa nel paese che ha immunizzato la più larga fetta della popolazione e che ha iniziato la somministrazione della discussa terza dose: già 142mila over 60 hanno ricevuto il nuovo richiamo vaccinale. Eppure i dati del contagio destano allarme: lo scorso 2 agosto, Israele ha registrato oltre 3.800 nuovi casi nelle 24 ore precedenti su 113.723 tamponi, il dato piu' alto dall'inizio di marzo. Inoltre, con i dieci decessi registrati domenica primo agosto e altri sette il giorno successivo, Israele ha registrato il più alto numero di morti in 48 ore in quattro mesi.
  Il primo ministro Naftali Bennett ha giustificato le nuove norme con l'esigenza di tenere sotto controllo la diffusione della variante Delta: "Evitate la folla e fatevi vaccinare, ora. Altrimenti, non ci sarà altra scelta che imporre restrizioni più severe, inclusa una nuova serrata", ha dichiarato. "Dobbiamo preparare la popolazione e l'opinione pubblica per una nuova serrata a settembre, che è un mese in cui il danno economico sarà minore", ha dichiarato da parte sua il ministro della Difesa Benny Gantz, riferendosi al periodo delle feste ebraiche.

LA TERZA DOSE E IL FULL GREEN PASS
  Obiettivo del governo è assicurare che tutti coloro che lo necessitano possano avere la possibilità di vaccinarsi con la terza dose che , come spiega il premier Bennet, "semplicemente 'ricarica' le difese dell'organismo e ci permette di salvare vite umane". Ad accompagnare il piano del governo e per tentare di evitare una serrata generale verrà applicato lo schema del green pass che dal 20 agosto non esenterà neppure i bambini al di sotto dei 12 anni.

(Today mondo, 5 agosto 2021)


Israele, boom di contagi e ricoveri: il 58% dei pazienti gravi ha la doppia dose di vaccino

Dopo il caso Islanda, l’isola del “tutti vaccinati” dove sono riesplosi i contagi, ecco arrivare un’altra conferma da Israele, dove nelle ultime 24 ore sono quasi 4.000 i contagi da coronavirus secondo i dati del bollettino giornaliero del ministero della Salute e riportati da Ynet. Si parla di altri 3.818 israeliani risultati positivi al test per il Covid-19 e di un tasso di positività rispetto al numero di esami effettuati arrivato al 3,78%. Si tratta, scrive il Jerusalem Post, del bollettino più preoccupante da inizio marzo.
  Inoltre, con altri 15 decessi da lunedì mattina il Paese registra il bilancio più grave da quattro mesi. I pazienti in condizioni definite gravi sono 221, nove in più rispetto a ieri, 66 in più – sottolinea ancora il giornale – rispetto a martedì scorso. Secondo i dati del ministero della Salute, aggiunge Haaretz, il 42% dei pazienti in condizioni gravi non è vaccinato contro il coronavirus. Il che vuol dire che il 58% dei paziente gravi è in realtà vaccinato con doppia dose.
  I casi attivi, riporta Ynet, sono 22.345 e sono 6.492 le vittime dall’inizio della pandemia. Il gabinetto ministeriale di Israele per il coronavirus intanto ha stabilito nuove restrizioni. A partire dal 20 agosto, infatti, sarà di nuovo operativo il sistema completo del Green pass. A partire da domenica, le mascherine saranno obbligatorie in tutti gli incontri all’aperto e anche un genitore vaccinato o in guarigione che si prende cura di un bambino in quarantena di età inferiore ai 12 anni dovrà isolarsi.
  Inoltre, gli uffici governativi di Israele lavoreranno con solo il 50% della loro forza lavoro di persona e il settore privato sarà incoraggiato a fare lo stesso. Inoltre, saranno formulati criteri più rigorosi per porre ai paesi il divieto di viaggio, lasciando un gruppo molto limitato di nazioni da visitare liberamente dagli israeliani senza la necessità di mettersi in quarantena al loro ritorno, indipendentemente dal loro stato di immunizzazione. Beh, non c’è che dire: il vaccino è stata davvero l’arma per tornare alla normalità, vero? Boom di contagi e il 58% dei pazienti gravi ha due dosi.

(Il Paragone, 4 agosto 2021)


Terza dose, no dell'Ema. Berlino e Londra pronte. E Israele ha già iniziato

Spinta di Big Pharma, alcuni Paesi sono partiti. Ma mancano le prove scientifiche

REZZA (SALUTE)
«Probabilmente bisogna partire dai fragili e dagli immunodepressi»
GERUSALEMME
Al via i richiami su base volontaria agli over 60 In Germania a settembre

di Antonio Caperna

La necessità della terza dosa sta catalizzando il dibattito scientifico e politico dell'estate. Se da un lato, infatti, si spinge per raggiungere la massima copertura della popolazione, ragionando sui giovani per il prossimo anno scolastico e su qualche milione di over 50 ancora scoperto, dall'altra non si hanno le idee chiare se attivarsi in una nuova campagna vaccinale e soprattutto a chi destinarla. Il rischio concreto è di andare in ordine sparso con alcune nazioni che hanno già deciso (Israele, Germania, Gran Bretagna), altre con qualche dubbio (Italia), altre ancora lontane dal dibattito (Svizzera) mentre l'Agenzia europea del farmaco Ema ha ribadito ancora una volta, tramite il direttore esecutivo, Emer Cooke, che «al momento non ci sono dati sufficienti per indicare che sia necessario un richiamo. Per alcune popolazioni si potrebbe iniziare a vedere la necessità, il che non significa che ce ne sia bisogno in generale». La questione, perciò, assume soprattutto i caratteri di una scelta politica anche per metter un freno alla recrudescenza di contagi per la variante Delta, poiché dal punto di vista scientifico mancano le prove per una decisione definitiva. Lo studio condotto in Israele e pubblicato sul New England Journal of Medicine, infatti, è solo un primo passo: su 11.500 operatori sanitari coinvolti ne sono stati identificati solamente 39 vaccinati e reinfettati con sintomi lievi o nessuno; tra questi in appena 22 lavoratori si hanno avute misurazioni anticorpali. I ricercatori hanno poi esaminato i dati di 104 lavoratori completamente vaccinati, che non sono stati infettati pur essendo stati a contatto con il virus. Il confronto ha mostrato che i livelli di anticorpi neutralizzanti erano più bassi tra coloro che sono stati infettati, fornendo la prima prova diretta di questo effetto. Un dato simile si era ottenuto durante gli studi clinici per Astrazeneca. Il numero esiguo del campione e il fatto che «l'analisi non fornisce un livello specifico di anticorpi associato alla protezione, e su questo è necessario ora indagare», sottolineano gli autori, lascia qualche dubbio. Da considerare poi i dati sulle reinfezioni nei guariti da Covid, come riportato a fine maggio su Jama Internal Medicine. In questa situazione complessa il dg della Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, ha sottolineato comunque la necessità di decidere «nel giro di un mese chi vaccinare e in quali tempi con una terza dose. Una decisione che va meditata bene. Probabilmente saranno persone più fragili e immunodepresse ma non sappiamo quando. C'è indecisione, perché non ci sono ancora evidenze forti per poter dire che la faremo a tutti piuttosto che ad alcuni». In Israele intanto, è partita la somministrazione su base volontaria agli over 60, anche se in un sondaggio, solo il 52% degli israeliani con due dosi sarebbe disponibile alla terza. Secondo la ricerca, rilanciata dal Jerusalem Post, appena il 47% degli under 60 riceverebbe un'ulteriore dose, che sale al 67% negli over 60. La vicina Svizzera è attendista, con Virginie Masserey dell'Ufsp, che ribadisce innanzitutto la necessità vaccinare chi ancora è scoperto e dopo si penserà alla terza dose. La Germania e la Gran Bretagna invece puntano già al 1 settembre: i ministri della Salute dei Lander hanno approvato all'unanimità un piano per iniziare con Pfizer o Moderna dalle persone anziane e a rischio; Oltremanica il governo sta «preparando un piano di richiami» per 32 milioni di persone tra over 50, fragili, lavoratori dell'assistenza e della sanità ma i dettagli della decisione finale saranno resi pubblici «a tempo debito» anche sulla base di studi in corso. 

(il Giornale, 4 agosto 2021)


Scienza e politica, attenti a quelle due

La storia ci mette in guardia dal mescolarle. Etica e ricerca non sempre vanno d'accordo

Non si tratta di equiparare fenomeni diversi ma di stimolare la riflessione Ragioni mediche possono portare a un controllo sociale senza precedenti

di Giorgio Agamben

Si parla spesso, per giustificare i decreti emessi dal governo sul green pass, ma anche tutto il modo in cui la pandemia è stata politicamente governata, delle ragioni scientifiche su cui questi decreti si fondano. E' bene fare qualche riflessione sul nesso fra scienza e politica che in questo modo si viene incautamente a stabilire, senza valutare se le conseguenze che esso implica siano o meno accettabili.
  Quando Mussolini decise di introdurre le leggi razziali in Italia si preoccupò innanzitutto di dare ad esse una legittimazione e un fondamento scientifico. Per questo, un mese prima della pubblicazione del primo decreto-legge del 5 settembre 1938, apparve sul Giornale d'Italia del 14 luglio una dichiarazione firmata da dieci illustri scienziati, tutti docenti nelle principali università italiane (il cui elenco vorrei che i virologi e i medici che si pronunciano oggi con tanta sicurezza su ciò che la scienza infallibilmente dimostra leggessero) in cui si affermava su basi «puramente biologiche» che le razze esistono e che gli ebrei non appartengono alla «pura razza italiana».
  Per una mente minimamente attenta e responsabile questo dovrebbe dar luogo a due ordini di considerazioni: la prima è che pretendere di fondare su ragioni scientifiche decisioni che per loro natura implicano conseguenze politiche è estremamente rischioso; la seconda è che competenza scientifica e coscienza etica non vanno necessariamente d'accordo e che anzi, se si ricorda che scienziati all'epoca considerati importanti non hanno esitato a usare i deportati dei lager come cavie umane per i loro esperimenti, sembrano molto spesso divergere. E non sarà fuori luogo ricordare che la prima volta che uno Stato si assunse programmaticamente la cura della salute dei cittadini è nel luglio 1933 quando Hitler, immediatamente dopo l'ascesa al potere, fece promulgare un decreto per proteggere il popolo tedesco dalle malattie ereditarie, che portò alla creazioni di speciali commissioni mediche che decisero la sterilizzazione di circa 400.000 persone.
  Meno noto è che, ben prima del nazismo, una politica eugenetica, potentemente finanziata dal Carnegie Institute e dalla Rockefeller Foundation, era stata programmata negli Stati Uniti, in particolare in California, e che Hitler si era esplicitamente richiamato a quel modello. Se la salute diventa l'oggetto di una politica statuale trasformata in biopolitica, allora essa cessa di essere qualcosa che riguarda innanzitutto la libera decisione di ciascun individuo e diventa un obbligo da adempiere a qualsiasi prezzo, non importa quanto alto.
  Non si tratta qui, lo ricordiamo ancora una volta, di equiparare fenomeni storici diversi, ma di far riflettere gli scienziati, che sembrano poco sensibili alla storia delle loro stesse discipline, sulle possibili implicazioni di un nesso acriticamente assunto fra scienza e politica. Così come il diritto e la vita non devono essere confusi e il legislatore, come la Costituzione ricorda, deve essere particolarmente cauto quando tocca la vita e la dignità della persona, così è bene che anche diritto e medicina non pretendano di coincidere.
  La medicina ha il compito di curare le malattie secondo i principi che segue da secoli e che il giuramento di Ippocrate - che i medici sembrano oggi ignorare e trasgredire in molti punti essenziali - sancisce irrevocabilmente. Se, stringendo un patto necessariamente ambiguo e indeterminato con i governi, si pone invece - implicitamente o esplicitamente - in posizione di legislatore, non soltanto, come si è visto in Italia per la pandemia, ciò non conduce necessariamente a risultati positivi sul piano della salute, ma può condurre a inaccettabili limitazioni delle libertà degli individui, rispetto alle quali le ragioni mediche possono offrire, come dovrebbe oggi essere per tutti evidente, il pretesto ideale per un controllo senza precedenti della vita sociale.

(La Stampa, 4 agosto 2021)


Ragione che dorme e ragione che sconfina

«Il sonno della ragione genera mostri», è la scritta che compare su un dipinto del pittore spagnolo Francisco Goya, trasformata poi in un aforisma che ha indubbiamente il suo valore nel giusto contesto. Ad esso se ne può accostare un altro di nuovo conio: «Lo sconfinamento della ragione ospita demoni». E' quello che oggi sta avvenendo sotto i nostri occhi, con la nostra più o meno consapevole partecipazione. Con l'inizio dell'era pandemica ha ripreso vita il culto della "dea Ragione". Il riferimento al Vaccino nelle varie forme salvifiche in cui si presenta agli uomini, appoggiato dall'autorità considerata indiscutibile della "scienza", ha ormai assunto i caratteri di un culto idolatrico, con i suoi dogmi, i suoi precetti, i suoi premi e i suoi castighi. E dietro agli idoli ci sono sempre i demoni.
Chi scrive nega autorità al tipo di scienza che oggi viene invocata a sostegno della politica dei governi per combattere il Covid. Non si disconosce ogni forma convenzionale di euristica autorità, al fine della prosecuzione delle indagini, ma si nega in modo deciso l'autorità che pretende di avere, o che ad essa viene data, sul bene e sul male, e dunque sulla realtà concreta della vita degli uomini. «La scienza moderna non è osservazione distaccata della realtà e sua rappresentazione concettuale. La scienza moderna è intervento sulla realtà, manipolazione», si trova scritto nell'articolo precedente su fede e scienza. Questo è indiscutibile, e chi lo nega è un ignorante colpevole di ignoranza. Studiare il movimento dei pianeti, come hanno fatto a suo tempo Copernico e Galilei, non è la stessa cosa che studiare il movimento dei virus nel corpo umano, come fanno oggi i virologi. Esaminare scientificamente un oggetto significa oggi manipolarlo secondo dati protocolli, e quindi alterarlo in modo più o meno esteso e in molti casi irreversibile. E l'essere umano, creato a immagine di Dio, non può essere oggetto di manipolazione forzata. Per nessuna ragione.
Il saggio che segue è stato presentato circa trent'anni fa come lavoro introduttivo e propositivo in un seminario tenuto in ambito evangelico. La presentazione delle tesine in forma numerica doveva servire a facilitare la discussione dei singoli punti. M.C.

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Fede cristiana, scienza e limiti della conoscenza

di Marcello Cicchese

RIFERIMENTI BIBLICI
  1. Dopo la creazione l'uomo poteva guardare in tre direzioni: a) in alto, verso il Creatore; b) a lato, verso il suo simile; c) in basso, verso il creato.
  2. Il suo atteggiamento doveva essere: a) di ubbidienza fiduciosa, verso il Creatore; b) di comunione, verso il suo simile; c) di dominio creativo e preservativo, verso la natura.
  3. L'uomo è l'unica creatura fatta a immagine di Dio. Per questo Dio concede all'uomo uno spazio di dominio e libertà sulla terra, sugli animali e sulle piante. L'uomo è libero e dominatore nei confronti della natura: può mangiare i frutti di tutti gli alberi (tranne uno), può trasformare la terra con il suo lavoro, può dare il nome agli animali.
  4. L'uomo è limitato e sottomesso nei confronti di Dio: la parola di Dio è il suo limite. L'albero proibito sta proprio nel mezzo del giardino e il suo nome si collega al nostro tema: albero della conoscenza del bene e del male.
  5. Nel principio tutto era "molto buono". L'equilibrio tra Creatore, uomo e natura era perfetto.
  6. Il punto di rottura è avvenuto nella relazione tra l'uomo e il suo Creatore. Quindi, l'origine dei guai dell'uomo non sta né nella politica (relazione con il proprio simile), né nell'ecologia (relazione con l'ambiente), ma nel suo rapporto con Dio.
  7. Il peccato dell'uomo sta nel non aver accettato il limite verso l'alto. Egli non si è accontentato della libertà e del dominio verso il basso, ma ha cercato un ampliamento delle sue possibilità nella conquista di una conoscenza superiore: ha desiderato essere più "intelligente", più capace di conoscere e dominare la realtà.
  8. Le conseguenze hanno danneggiato tutte le relazioni dell'uomo: a) verso l'alto: l'uomo è stato cacciato dalla presenza di Dio, non ha potuto mangiare il frutto dell'albero della vita, ha "conosciuto" la morte; b) a lato: l'uomo e la donna hanno iniziato un'incessante contesa (dominio dell'uomo e desideri di rivalsa della donna); c) verso il basso: la natura non si è più piegata docilmente al suo naturale dominatore, ma ha cominciato a produrre "spine e triboli".
  9. Tuttavia, anche dopo la caduta le relazioni dell'uomo nelle tre direzioni indicate restano dello stesso tipo, anche se distorte dalla presenza del peccato. Quindi: a) l'uomo è chiamato ad ascoltare, con ubbidienza e fiducia, la parola di Dio che lo conduce sulla via della salvezza; b) è chiamato a coltivare la comunione con i suoi simili, anche se questo non avverrà senza contrasti e sofferenze; c) è chiamato a dominare, ordinare e custodire la natura, anche se questa gli resiste tenacemente e gli procura grandi dolori e delusioni.

RIFERIMENTI STORICI
  1. Fino a che l'uomo è rimasto in una posizione di debolezza nei confronti della natura, egli ha provato verso di lei il timore che si ha davanti a una divinità. L'uomo ha accostato natura e divinità, e la forza minacciosa della natura lo ha spinto a cercare di ingraziarsi la divinità che ci stava dietro.
  2. Il rapporto tra uomo e natura, simile a quello tra uomo e divinità, è stato dunque sentito come un rapporto di forza, in cui l'uomo era la parte più debole. Per questo la scienza apparteneva ai sacerdoti: perché erano gli uomini che più di tutti gli altri conoscevano come si doveva trattare con chi ha il potere.
  3. Dal periodo classico dell'antica Grecia si comincia ad avere notizia di un atteggiamento più "scientifico" dell'uomo verso la natura. L'uomo avverte di poter dominare la natura non solo con l'abilità tecnica, ma anche con la capacità di "pensarla", cioè di contemplarla e di spiegare le ragioni del suo essere senza far riferimento diretto alla divinità. La cornice può restare religiosa (come nei Pitagorici), ma il metodo di approccio è più legato al pensiero dell'uomo. L'uomo comincia a prendere coscienza della possibilità di dominare la natura comprendendone le ragioni profonde con la riflessione e la speculazione.
  4. La geometria di Euclide è rimasta per secoli il modello insuperato di comprensione scientifica della realtà: percezione delle verità elementari e fondamentali dello spazio attraverso l'intuizione, e acquisizione di altre verità più difficili e riposte con l'uso delle capacità logiche dell'intelletto.
  5. L'ascesa politica e sociale della chiesa cattolica ha rallentato per molti secoli lo sviluppo dell'autonomia di pensiero dell'uomo nei confronti della natura. L'istituzione ecclesiastica ricorda all'uomo il suo limite nei confronti di Dio, ma lo fa più per innalzare se stessa che per dare gloria a Dio. La chiesa cattolica, e con essa tutto il cristianesimo, assume gradualmente la fama non del tutto immeritata di nemica della scienza e del progresso del pensiero umano.
  6. Nel Medioevo l'immagine del mondo era quella dei piani sovrapposti: al centro la terra, destinata all'uomo; in alto i cieli, dimora particolare di Dio e delle creature celesti; in basso l'inferno, sede del Diavolo e dei suoi angeli. Solo la realtà terrena era accessibile alla conoscenza naturale dell'uomo; ma stretta com'era tra cielo e inferno, di cui solo la chiesa ufficiale era abilitata a dare spiegazioni, ben poco era lo spazio che restava all'uomo per applicarvi la forza del suo pensiero.
  7. Dagli inizi del seicento alla prima metà dell'ottocento abbiamo la nascita e lo sviluppo della scienza sperimentale moderna. Nasce il concetto di legge naturale espressa in linguaggio matematico, che il ricercatore riesce a scoprire sulla base di esperimenti. Lo sviluppo imponente della matematica (geometria analitica, algebra, calcolo differenziale), con le sue prodigiose applicazioni alla meccanica terrestre e celeste, sono tali da dare le vertigini all'uomo che per secoli è rimasto rinchiuso nel mondo religioso del Medioevo. I risultati sono indiscutibili e sembrano promettere una crescita lineare della conoscenza sulla base dei metodi razionali di indagine della natura.
  8. L'uomo comincia a credere che la sua ragione è in grado di cogliere la struttura profonda dei fenomeni, perché essa coincide con il principio razionale costitutivo dell'universo. La scienza si emancipa quindi dalla metafisica e tende anzi a sostituirla.
  9. La matematica e la fisica contagiano con i loro successi tutto il mondo della scienza, e ne nasce un atteggiamento di ottimismo scientifico (positivismo) che in forma attenuata e settoriale perdura ancora oggi. E' in questo clima che nascono le grandi teorie "scientifiche" di Darwin, Marx, Freud.
  10. I successi della scienza dell'età moderna convincono l'uomo della forza del suo pensiero e lo spingono a sentirsi autonomo da Dio. Lo spazio infinito sostituisce i cieli, e Dio rimane senza casa. Le leggi naturali sostituiscono la provvidenza divina, e Dio rimane senza lavoro. La vecchia immagine del mondo a tre piani viene abolita e sostituita da un'altra che non ha più posto per Dio: agli uomini non è proibito averne uno, ma la sua eventuale esistenza è comunque irrilevante per l'indagine della realtà.
  11. Come già detto, questo atteggiamento di trionfalismo umanistico è stato favorito soprattutto dal comprensibile entusiasmo per i successi ottenuti dalla matematica e dalla fisica, un entusiasmo che poi, senza ragionevoli motivi, si è esteso a tutte le altre discipline.
  12. Nel frattempo, dalla fine del secolo scorso a oggi, nella matematica e nella fisica si sono verificati terremoti tremendi che hanno portato a modificare non tanto i metodi di indagine, quanto piuttosto l'intero atteggiamento concettuale verso la realtà. Ma purtroppo le profonde crisi di identità della matematica e della fisica non hanno avuto nella società la stessa ripercussione che hanno avuto i suoi successi. Probabilmente ciò è dovuto all'aspetto poco spettacolare e poco divulgativo dei veri motivi che hanno provocato questo cambiamento di atteggiamento.
  13. Per la matematica si possono citare: la scoperta delle geometrie non euclidee; la scoperta delle antinomie logiche; l'impossibilità di dimostrare la non esistenza di contraddizioni in un qualunque sistema logico-formale che contenga i numeri interi; la presenza ineliminabile di proposizioni indimostrabili in un qualsiasi sistema logico-formale di tipo matematico; la possibilità di costruire diverse matematiche partendo da fondamenti diversi, senza che si abbiano ragioni decisive per sceglierne una invece di un'altra. In conclusione, il tentativo serio e impegnato di dare fondamenti solidi alle discipline matematiche ha portato alla conclusione che tali fondamenti assoluti non si possono trovare. La matematica viene ormai considerata come un'attività umana, del tutto umana, di cui si riconosce che in molti casi "funziona", anche se non si sa spiegare bene perché.
  14. Per la fisica si possono citare: la dissoluzione del concetto di "materia" come fondamento ultimo dell'essere, sostituito dal concetto di "energia", che è un "nome" creato dagli uomini (la materia non "è", la materia "avviene"); la dissoluzione del concetto di "spazio vuoto e infinito" (non c'è spazio dove non c'è qualcosa, e quello che c'è non è infinito); la dissoluzione del concetto di "tempo infinito" (il mondo ha un'età e una durata limitate); la dissoluzione del concetto di "causa" (le particelle elementari fanno quello che vogliono, e la regolarità dei fenomeni macroscopici è un fatto statistico di cui non si conoscono i veri motivi). In conclusione, la ricerca coscienziosa di fondamenti solidi per lo studio della struttura della materia ha aperto baratri di oscurità, che hanno portato a concludere che nella fisica non si possono trovare fondamenti assoluti. Anch'essa è e resta un'attività puramente umana che si accredita nella misura in cui "funziona". E quando questo accade, non si sa bene perché.
  15. "Che cos'è dunque la matematica, visto che non è una struttura logica unica e rigorosa? Questa scienza è un insieme di grandi intuizioni accuratamente vagliate, raffinate e organizzate dalla logica che, in ogni epoca, gli uomini sono disposti ad applicare e sono capaci di applicare. Più essi tentano di raffinare i suoi concetti e di ordinare sistematicamente la sua struttura definitiva, più le intuizioni della matematica si fanno sofisticate. Ma questa scienza si fonda su alcune intuizioni che, forse, possono essere il prodotto di quello che sono gli organi sensoriali, il cervello e il mondo esterno. Essa è una costruzione umana e ogni tentativo di fondarla su una base assoluta è probabilmente condannato al fallimento" (M. Kline).
  16. "La fisica attraversa oggi un periodo di radicale trasformazione, il cui tratto saliente sembra essere il ritorno all'originaria autolimitazione. Il contenuto filosofico di una scienza viene garantito solo dalla consapevolezza dei propri limiti. Le grandiose scoperte intorno alle proprietà di singoli fenomeni naturali sono possibili solo quando non si stabilisca a priori, generalizzando, l'essenza di tali fenomeni. Solo rinunciando a stabilire che cosa siano, nella loro essenza ultima, corpo, materia, energia, ecc., la fisica può giungere a conoscere singole proprietà dei fenomeni che noi indichiamo con quei concetti, e tali conoscenze potranno poi aprire la strada a vere prospettive filosofiche" (W. Heisenberg)
  17. Che è successo? E' successo che nei suoi secoli d'oro la scienza ha tentato di sostituire gradualmente la metafisica, e quando ci è riuscita ne ha assunto le medesime caratteristiche. Gli attributi del Creatore sono stati trasferiti sul creato: a un Dio infinito si è sostituito uno spazio infinitamente esteso in ogni direzione; a un Dio immutabile si è sostituito una materia ultima sempre uguale a sé stessa; a un Dio eterno si è sostituito un tempo senza inizio e senza fine; a un Dio che esprime sovranamente la sua volontà si è sostituita la "volontà" delle leggi naturali. E la sostituzione è parsa vantaggiosa all'uomo, perché la natura è più adatta a subirne la concupiscenza. Essa infatti, al contrario di Dio, non ha bisogno di essere ubbidita e adorata: essa può essere dominata.
  18. E com'è andata a finire? E' andata a finire che fino a un certo punto la natura si è lasciata dominare, permettendo all'uomo di interpretarne e regolarne certi suoi comportamenti; ma quando questi ha tentato di scoprire in essa l'assoluto, essa si è sornionamente sottratta, e ha costretto il suo intraprendente ammiratore ad un inseguimento vano e prolungato che ha rischiato di farlo impazzire. L'uomo è andato a sbattere contro i suoi limiti, e la botta è stata dura.

LA SITUAZIONE ATTUALE DELLA MATEMATICA E DELLA FISICA
  1. La matematica e la fisica sono arrivate quindi ad una visione molto più sobria di sé stesse proprio in virtù della validità e legittimità dei loro metodi di indagine. Sono metodi "onesti" che hanno condotto a conclusioni oneste.
  2. L'onestà dei metodi può essere biblicamente fondata sul fatto che è volontà di Dio che l'uomo cerchi di comprendere, ordinare, dominare, conservare la natura che gli è stata sottoposta. Ma certamente non è volontà di Dio che l'uomo si dimentichi del suo Creatore. Non è quindi strano che l'uomo che ha sperato di incontrare l'assoluto nella natura, ha trovato qualcosa che gli ha dato un senso di angoscioso disagio, simile forse a quello che provavano i primi uomini davanti a fatti misteriosi che facevano temere la presenza di qualche minacciosa divinità.
  3. La situazione adesso è questa: che la matematica e la fisica restano ancora oggi (inspiegabilmente) potenti strumenti di indagine, controllo e previsione di innumerevoli fatti della vita dell'uomo, e nello stesso tempo i ricercatori hanno acquisito la sgradevole consapevolezza di non poter trovare fondamenti solidi e indiscutibili all'edificio delle loro conoscenze.
  4. Tutto questo conferma quello che dice la Bibbia. L'uomo è libero e dominatore quando si mette in relazione con ciò che sta sotto di lui, cioè la natura, ma va a sbattere contro insuperabili limiti quando pensa di poter dominare ciò che sta sopra di lui. E l'assoluto, sia pure ricercato nei fondamenti della matematica o della struttura della materia, sta sopra di lui.
  5. Ogni volta che gli uomini hanno cominciato a costruire un potente e glorioso edificio unitario, in forma politica o scientifica, Dio ha preso ad osservare gli industriosi edificatori dell'ultima torre di Babele, e alla fine è sempre sceso a confondere le lingue. E l'opera si è arrestata. Qualcosa di simile è successo anche alla matematica e alla fisica negli ultimi decenni.
  6. Cessata forzatamente l'edificazione superba della torre di Babele unitaria, l'opera dei matematici e dei fisici può tuttavia serenamente proseguire. Se resta nei suoi limiti, l'uomo ha la libertà di essere dominatore e ordinatore della natura; può dare nomi diversi ai fenomeni che incontra; può sostituire le teorie esistenti con altre migliori; può discutere sulla bontà di una soluzione e cercarne un'altra più adatta. Finché fa questo, non pecca: è lo spazio che Dio gli concede sulla terra. Il dominio dell'uomo sulle cose è reale e visibile (anche se non assoluto), perché rientra nel piano di Dio. L'indubbia efficacia della tecnologia, frutto evidente dell'aumento delle conoscenze, conferma che Dio gradisce che l'uomo "si renda soggetta" la terra.
  7. Il peccato dello scienziato della natura non sta nel suo lavoro, ma nel modo in cui considera il suo lavoro e ne applica i risultati.

LE RIPERCUSSIONI SULLE SCIENZE DELL'UOMO
  1. I prodigiosi successi ottenuti dalle scienze della natura nell'età moderna hanno spinto anche gli studiosi delle scienze dell'uomo (psicologia, sociologia, economia, storia, filosofia, teologia, ecc.) a cercare metodi di indagine "rigorosi" che potessero condurre a conclusioni altrettanto "certe" di quelle ottenute dalla matematica e la fisica. Chi non è rimasto intimidito davanti alle pretese di "scientificità" delle teorie di Marx e di Freud? Chi, tra i credenti, non è stato qualche volta turbato dalla "scientificità" dei risultati prodotti dalla critica biblica?
  2. In molte discipline di studio si continua a lavorare dentro la cornice ottimistica del positivismo ottocentesco. Si dice che un metodo di ricerca è "scientifico" quando si svolge dentro certe regole che l'ambiente dei ricercatori si è dato, ma non si sa dire qual è il valore intrinseco di quelle regole; si dice "scientifico" e si pensa a "vero", ma il problema della verità resta sostanzialmente accantonato, o peggio ancora, mistificato.
  3. Il tentativo di trasferire alle scienze dell'uomo il grado di certezza e di funzionalità dei risultati delle scienze della natura è stato un abuso dell'uomo superbo, che ha creduto di scorgere la possibilità di dominare con le sue ricerche non solo la terra, ma anche l'uomo e Dio. Ancora oggi viviamo, a livello popolare, in questo clima culturale. Davanti a ogni tipo di guai gli uomini invocano la scienza. Ma la scienza così intesa è un idolo, e questo è confermato dal fatto che quando cominciano a sorgere dubbi sui reali poteri della scienza, gli uomini si rivolgono a idoli più chiaramente dichiarati, come maghi, stregoni, guaritori, pratiche occulte, ecc..
  4. Ma l'uomo è fatto a immagine di Dio. L'uomo quindi non può studiare sé stesso come studia un pezzo di roccia, perché non ha questo mandato. L'uomo è chiamato ad avere una comunione d'amore con il suo simile e una relazione di ubbidienza fiduciosa con il suo Creatore, di cui porta l'immagine.
  5. Il tentativo di assumere verso l'uomo lo stesso atteggiamento che si ha verso la natura nasconde il desiderio di superare il limite imposto dal Creatore. L'uomo vuole essere "come Dio", vuole dominare non solo la natura ma anche gli uomini e gli dèi, vuole avere non solo la conoscenza delle piante e degli animali ma anche la conoscenza del bene e del male.
  6. Da questo si deduce che lo studioso di scienze dell'uomo corre il rischio, a differenza dello scienziato della natura, di peccare proprio nel suo lavoro. Non solo il suo atteggiamento di fondo e le applicazioni dei suoi studi possono essere peccato, ma anche i metodi stessi che usa possono essere espressione di peccato. In questo caso non si può più dire con certezza che i suoi metodi sono onesti, perché forse sono essi stessi un'espressione di rivolta contro Dio. E se non sono onesti, non sono neppure validi, perché non hanno il supporto della verità, ma della menzogna. Per esempio, marxismo e freudianesimo non si limitano a contenere "errori" che l'uomo possa correggere e modificare, essi sono "menzogne" che hanno ingannato e ingannano gli uomini, contribuendo a tenerli lontani da Dio.
  7. Ma, a differenza di quello che è accaduto alla matematica e alla fisica, non è detto che gli studiosi delle scienze dell'uomo arrivino ad una visione altrettanto sobria delle loro discipline. Ancora una volta, questo dipende dal fatto che i metodi usati non sono onesti e quindi non consentono di arrivare alla percezione del limite. Nella misura in cui sono menzogna, questi metodi continueranno a tenere lontano il ricercatore dalla scoperta dei suoi limiti, entro i quali sarebbe dolorosamente costretto a rientrare.
  8. Ma esiste anche un'altra possibilità. Matematici e fisici hanno riconosciuto i loro limiti, hanno rinunciato alla pretesa di afferrare l'assoluto e hanno ammesso che il loro studio è un'attività puramente umana. Tuttavia hanno fiducia che questa attività sia tuttora valida e possa produrre risultati utili anche in futuro. Ma la giustificazione di questa fiducia non è la stessa per tutti: essa dipende dall'immagine del mondo extra-scientifica che il ricercatore ha.
  9. C'è quindi spazio per il credente, il quale ha fiducia che la sua attività non è vana perché corrisponde al mandato di Dio di "lavorare e custodire" la terra. Egli sa che a fondamento di tutto il suo operare scientifico c'è Dio, anche se sa di non poterne dimostrare scientificamente la necessità.
  10. Ma c'è anche spazio per il non credente, che da questo crollo di assoluti può essere indotto a credere che al di là dell'attività umana non c'è nulla. Tutto è opera dell'uomo, e se si cerca un fondamento al di fuori si trova il "nulla". Anche questa possibilità non può essere dimostrata scientificamente, ma neppure può essere confutata. Resta lo spazio aperto per l'annuncio del Vangelo.
  11. Potrebbe quindi avvenire, e probabilmente in parte è già avvenuto, che la sobria visione di sé stesse raggiunta dalla matematica e dalla fisica si allarghi a tutta la comprensione della realtà e induca a credere che l'uomo non abbia da ricercare nulla al di fuori di sé stesso, e non solo una verità scientifica assoluta e indubitabile. Anche in questo caso sarebbe sempre l'uomo a restare al centro di ogni cosa, se non proprio nella posizione di dominatore incontrastato, almeno in quella di libero creatore del vero e del falso, del bene e del male. E anche questa sarebbe un'illecita estensione di un atteggiamento che è accettabile solo nelle scienze della natura.
  12. In conclusione, poiché conoscere scientificamente significa dominare, lo spazio della conoscenza scientifica, cioè di quella conoscenza che presuppone una posizione di distaccata superiorità del ricercatore nei confronti del suo oggetto di studio, è limitato a ciò che sta sotto l'uomo, cioè la natura. La conoscenza che l'uomo deve avere di Dio e del suo simile è di tutt'altro genere, e quindi non deve neppure lontanamente assomigliare alla relazione di conoscenza che lega uomo e oggetto.
  13. E' chiaro che con questa impostazione non si risolvono tutti i problemi specifici. Ci sono settori di confine, come la biologia e la medicina, che sono particolarmente delicati sotto questo rispetto. Ma per muoversi adeguatamente in mezzo a questioni spinose come l'ingegneria genetica, le malattie psichiche, l'eutanasia, ecc. bisogna avere non solo una conoscenza tecnica di come funzionano certe cose, ma anche dei punti di riferimento biblici entro cui far crescere la propria riflessione e cercare soluzioni concrete. Ma questo è proprio ciò che manca, e di cui i credenti dovrebbero farsi carico.
  14. Perché oggi le conoscenze crescono, ma la sapienza diminuisce, perché si dimentica che "il timore dell'Eterno è il principio della scienza" (Proverbi 1:7).
(Notizie su Israele, 4 agosto 2021)

Golfo, concluso il sospetto dirottamento della nave al largo degli Emirati

Abbordata ieri da uomini armati nel Golfo dell'Oman è stata rilasciata ed è al sicuro. Lo riporta Ukmto, agenzia per la sicurezza marittima britannica che aveva dato l'allarme.

di Sharon Nizza

È finito senza danni il potenziale dirottamento di una nave al largo degli Emirati Arabi Uniti: lo rende noto l'Ukmto, agenzia per la sicurezza marittima britannica. Le persone che erano salite a bordo "hanno lasciato la nave, che adesso è al sicuro", spiega l'Ukmto su Twitter sottolineando che "l'incidente è concluso".
  La nave Asphalt Princess dirottata ieri è stata rilasciata. L'Ukmto in una nota, ha fatto una raccomandazione alle navi di "esercitare estrema cautela durante il transito in quest'area".
  Ieri pomeriggio, a circa 90 km al largo dell’emiratina Fujairah, nel Golfo, dove insieme a quello di Hormuz passa circa il 40 per cento del petrolio mondiale, quasi contemporaneamente, altre 5 petroliere hanno “perso il controllo”, ovvero non riuscivano più a muoversi: la Golden Brilliant battente bandiera di Singapore, la Velos Forza (Isole Marshall), Abyss (Vietnam), Khamdenu (Isole Cook), Queen Ematha (Guyana), la Jag Pooja (India).
  Ed è di cinque giorni fa l'attacco a una petroliera nel Golfo dell'Oman in cui sono stati uccisi due membri dell'equipaggio. Assalto che Israele, gli Usa e il Regno Unito hanno attribuito all'Iran.
  Il potenziale dirottamento è stato reso pubblico ieri dall'Ukmto. E' successo a circa 60 miglia nautiche al largo del porto emiratino di Fujairah. In base a quanto riferisce l'emittente "Sky News", un gruppo di almeno nove uomini armati l'avrebbe abbordata facendo irruzione a bordo.
  Secondo fonti del "The Times", tra le ipotesi vi sarebbe il coinvolgimento di forze iraniane o milizie collegate a Teheran, che smentisce alcuna responsabilità.

(la Repubblica, 4 agosto 2021)


Netanyahu: “Non dovremmo informare gli americani di tutto quello che facciamo contro l’Iran”

L’ex Primo ministro e ora leader dell'opposizione israeliana, Benjamin Netanyahu, ha criticato il governo in carica per la cosiddetta "politica senza sorprese" con gli Stati Uniti, lamentandosi che potrebbe potenzialmente contrastare gli attacchi di Israele contro il suo rivale Iran, secondo quanto riferito dai media israeliani.

Secondo Netanyahu le politiche anti-Iran dei suoi mandati avevano conseguito importanti successi proprio perché, al contrario della linea del nuovo governo, tenevano all'oscuro i presidenti americani sui piani di Israele nella regione.
  "Le informazioni inviate in America potrebbero essere divulgate ai principali media e in questo modo le nostre operazioni verrebbero ostacolate", ha detto Netanyahu citato da The Times of Israel. "Ecco perché nell'ultimo decennio ho rifiutato le richieste dei presidenti americani di informarli sempre delle nostre azioni".
Secondo quanto riferito, "questo è un problema esistenziale per Israele, in cui potrebbero esserci sorprese e talvolta le sorprese sono necessarie".
  Ciò avviene mentre i massimi funzionari statunitensi e israeliani hanno discusso sulla sicurezza regionale, in cui hanno menzionato la "minaccia iraniana" sulla scia del recente attacco contro la petroliera MV Mercer Street. Il governo israeliano ha rapidamente accusato Teheran di essere dietro l'attacco, con gli alleati occidentali che hanno fatto eco alle accuse e hanno giurato una dura risposta all'Iran. Teheran ha negato qualsiasi coinvolgimento nell'incidente.
  L'approccio "senza sorprese" nelle relazioni bilaterali implica che Israele informi in anticipo gli Stati Uniti in merito a qualsiasi operazione delle Forze di Difesa Israeliane contro la Repubblica islamica. Netanyahu già in precedenza aveva criticato questa politica come una minaccia alla sicurezza di Israele che avrebbe rovinato la sua libertà di azione contro il programma nucleare di Teheran.
  Il governo israeliano, quando Netanyahu era primo ministro, ha a lungo lanciato l'allarme sul presunto lavoro dell'Iran per sviluppare un'arma atomica. Ciò ha portato alla convinzione che Israele fosse dietro i recenti attacchi contro l'Iran, incluso l'assassinio del suo principale scienziato nucleare Mohsen Fakhrizadeh e un incidente di "sabotaggio" presso l'impianto di Natanz, tutti atti presumibilmente volti a minare le capacità nucleari dell'Iran.

(Sputnik Italia, 3 agosto 2021)

Sheikh Jarrah, la Corte suprema israeliana rinvia la decisione: un'altra settimana per cercare un accordo

La storica contesa per la proprietà di una serie di edifici a Gerusalemme oppone alcune famiglie palestinesi e un gruppo di coloni: l'alta tensione è esplosa recentemente negli scontri tra Hamas e Israele

di Sharon Nizza

GERUSALEMME – Nessuna decisione presa e aggiornamento della Corte: è l’esito dell’atteso dibattimento che si è svolto oggi presso la Corte Suprema israeliana sulla controversia di Sheikh Jarrah, il quartiere di Gerusalemme est diventato oggetto dell’attenzione internazionale nei mesi scorsi. La disputa attuale riguarda quattro famiglie palestinesi, ma potrebbe determinare il destino di almeno altre nove famiglie che si trovano in condizioni simili e che rischiano di essere evacuate dalle loro case, secondo quanto stabilito da due precedenti gradi di giudizio che hanno confermato la proprietà ebraica dei lotti contesi. Durante le oltre cinque ore di udienza, i corridoi della Corte sono inondati di giornalisti della stampa mondiale, di parlamentari della Lista Araba Unita e del Meretz (quest’ultimo oggi parte della coalizione di governo) e di manifestanti a sostegno delle famiglie palestinesi, tra cui diverse organizzazioni israeliane per i diritti umani che si battono per la causa da decenni. All’udienza si sono presentati anche diversi diplomatici delle rappresentanze europee a Gerusalemme, tra cui Italia, Danimarca, Francia, Spagna, Germania, “per esprimere solidarietà alle famiglie contro una pratica illegale secondo il diritto internazionale”, come dice un’esponente della missione dell’Unione Europea.
  La Corte si era riunita per stabilire se accogliere la richiesta di appello presentata dalle famiglie per impugnare la sentenza. Invece, il collegio dei tre giudici ha tentato di raggiungere una mediazione tra le parti, per cui ai palestinesi sarebbe confermato lo status di “inquilini protetti” per tre generazioni, ma riconoscendo la proprietà ebraica a cui verserebbero un affitto simbolico di poche centinaia di sheqel l’anno. “Il compromesso darà la possibilità di respirare per un buon numero di anni e fino ad allora si potrà raggiungere un accordo immobiliare o chissà, magari si arriverà alla pace”, ha detto il giudice Amit. Le famiglie non vogliono accettare la mediazione perché rivendicano la proprietà sulle case in questione. La Corte ha dato una settimana di tempo per cercare di fare dialogare le parti. “I giudici stanno solo cercando di evitare di assumersi le proprie responsabilità, sono preoccupati dall’impatto mediatico e vogliono spingerci a farci pagare l’affitto ai coloni”, dice fuori dall’aula Mohammad, uno dei gemelli al-Kurd diventati simbolo della battaglia, con milioni di follower sui social. “Non ho nessuna fiducia nella Corte, sono coloni che parlano a coloni”.
  La vicenda si trascina nei tribunali da oltre trent’anni e nel 2009 già due famiglie palestinesi erano state sfrattate in un altro procedimento legale simile a quello in corso. Solo nei mesi scorsi però la battaglia ha raggiunto l’opinione pubblica globale, con l’hashtag #savesheikhjarrah diventato virale, dopo che il quartiere è stato al centro della tensione che ha portato il 10 maggio all’inizio di un nuovo scontro tra Israele e Hamas. Dopo giorni di scontri tra la polizia israeliana e i palestinesi che protestavano contro la minaccia di sfratto, Hamas ha lanciato dei razzi verso Gerusalemme dando il via a 11 giorni di conflitto terminati con un cessate il fuoco che ancora non è del tutto cementato e rischia di esplodere nuovamente. Per questo, la valutazione è che ci sia un interesse politico a posticipare quanto possibile qualsiasi decisione che possa rendere esecutivo lo sfratto, per evitare di gettare benzina su una situazione già incandescente.
  Nei giorni scorsi, il Jerusalem Post aveva riportato una fonte vicina al premier Naftali Bennett, subentrato a Netanyahu a metà giugno, secondo cui il governo intendeva placare la controversia e non procedere allo sfratto. Sebbene lo Stato non sia parte in causa, se anche la Corte respingesse il ricorso delle famiglie palestinesi, spetta al ministero della Sicurezza Interna autorizzare de facto le operazioni di sfratto. Il nuovo esecutivo, che si regge su una maggioranza risicata ed estremamente eterogenea che include esponenti della destra nazionalista così come il partito islamista Ra’am, non intende affrontare nessuna questione altamente controversa nei prossimi mesi, almeno fino a quando non avrà superato il primo grande ostacolo, ovvero l’approvazione della finanziaria entro novembre. Secondo l’accordo di governo, se il budget non venisse approvato, l’esecutivo cadrebbe automaticamente.
  “Ci sono molti modi in cui la Corte può prendere una decisione che faccia giustizia”, dice a Repubblica Eyal Raz, attivista israeliano che da oltre 15 anni manifesta tutti i venerdì a Sheikh Jarrah. “Ma la decisione va presa a livello politico, cambiando le leggi che indirizzano le decisioni dei giudici”.
  Nel 1956, i giordani, che dopo la guerra del ’48 occuparono la parte orientale di Gerusalemme, costruirono su alcuni terreni fino al ’48 abitati da ebrei, 28 abitazioni per accogliere famiglie palestinesi, in cambio della rinuncia allo status di rifugiato rilasciato dall’Unrwa. Con la guerra dei Sei giorni nel ‘67, Israele conquista Gerusalemme Est dalle mani della Giordania, annettendola al resto della città che considera “capitale unica e indivisibile”. In virtù della “legge sulle proprietà degli assenti” del 1950, che consente a Israele di confiscare i beni di “chi ha lasciato le proprietà per recarsi in un Paese nemico”, le abitazioni in questione sono tornate in mano agli eredi dei proprietari ebrei, che in seguito ne hanno venduti i diritti a delle associazioni legate alla destra israeliana che vogliono ricreare in loco l’insediamento ebraico nato nel 1875 intorno a quella che la tradizione ebraica identifica come la tomba di Simeone il Giusto. “L’ingiustizia deriva dal fatto che lo stesso diritto a reclamare le proprietà antecedenti al 1948 non è riservato ai palestinesi, che rischiano di diventare profughi due volte”, dice Raz.
  “Nel 1947 i Paesi arabi hanno rifiutato la Risoluzione di Spartizione dell’Onu e dichiarato guerra a Israele. Non è una condizione unica al mondo: la popolazione locale passata sotto uno Stato nemico (la Giordania in questo caso, ndr) ha perso il diritto alla proprietà nel momento in cui l’aggressore è uscito sconfitto dalla guerra”, dice Jonathan Yosef, il nipote dello storico rabbino capo sefardita d’Israele Ovadia Yosef che abitava qui negli anni ‘40. “Chi parla di pulizia etnica non sa cosa dice: agli inquilini viene offerto di rimanere pagando una cifra simbolica. Ma la proprietà è nostra e questo ci va riconosciuto”.
  Tra gli inquilini minacciati dallo sfratto, c’è chi punta il dito anche contro l’ex Paese nemico d’Israele. “La Giordania ha le sue responsabilità perché ha tergiversato per anni e non ha mai compiuto la registrazione a nome nostro delle proprietà”, ci dice Samira, una delle inquiline su cui pende una causa separata che pure potrebbe concludersi con lo sfratto. Nella richiesta di appello, l’avvocato Sami Ershid, che rappresenta i ricorrenti, ha inserito un nuovo documento che la Giordania ha fatto recapitare di recente alle famiglie che dimostrerebbe che Amman stava procedendo alla registrazione della proprietà a nome degli inquilini, procedura interrotta con lo scoppio della guerra nel 1967. Non è chiaro se è un documento che potrà essere ritenuto rilevante in una fase così inoltrata del procedimento giudiziario. Quello che sembra profilarsi è un continuo rinvio della saga giudiziaria, almeno finché sarà al centro dell’attenzione internazionale.

(la Repubblica, 3 agosto 2021)


L'oro storico di Artem divide Israele

di Davide Frattini

GERUSALEMME - In Israele ci è arrivato dodici anni fa a dodici anni. L'ebraico lo ha imparato durante gli allenamenti invece che nelle scuole create per i nuovi immigrati. Adesso è considerato un eroe che ha vinto al corpo libero la seconda medaglia d'oro nella storia sportiva del Paese. Eppure il ginnasta Artem Dolgopyat è «l'orgoglio della nazione sul podio e un cittadino di seconda classe sotto la hupa», la tenda dei matrimoni tradizionali ebraici, commenta Yoel Razvozov, il ministro del Turismo, anche lui originario dell'ex Unione Sovietica e un passato da judoka olimpionico. Lo ripete quasi in lacrime la madre di Artem: «Vive con la fidanzata da tre anni, non possono sposarsi, dovrebbero andare all'estero e lui non ha tempo». Non possono sposarsi a casa loro perché i rabbini ortodossi non riconoscono Artem come ebreo: lo è solo il lato paterno della famiglia, non la madre. Così niente cerimonia in sinagoga, resta la possibilità dell'unione civile in un Paese straniero riconosciuta poi dallo Stato israeliano. Che mette una pezza legale al monopolio del rabbinato sui matrimoni. Una soluzione che comincia a non bastare, la norma laica e quella religiosa si contrastano: Artem è potuto immigrare perché lo Stato garantisce la cittadinanza a chiunque abbia almeno un nonno ebreo.
   Sempre più israeliani si trovano nelle sue condizioni, soprattutto il milione e duecentomila «russi» (lui è nato in Ucraina). Al punto che Merav Michaeli, ministra dei Trasporti e leader laburista, annuncia di voler cambiare la legge nel nome di Artem e revocare la concessione fatta ai rabbini 73 anni fa da David Ben-Gurion, il laicissimo padre fondatore della patria. I partiti religiosi preparano l'opposizione: «Ci dispiace, ma vincere l'oro non lo trasforma in ebreo».

(Corriere della Sera, 3 agosto 2021)


L’assassinio del re di Giordania nel 1951 - Un anniversario importante

di Ugo Volli

Da pochi giorni è passato il settantesimo anniversario di un evento che pochi ricordano, ma che ha avuto un influsso profondo sulle vicende del Medio Oriente: l’assassinio del re di Giordania Abdullah I, bisnonno dell’attuale sovrano che porta il suo nome. Esso fu perpetrato il 20 luglio 1951 da un palestinese, Mustafa Shukri Ashshu, legato al Muftì di Gerusalemme Amin al-Husseini a Gerusalemme per incontrare i dirigenti israeliani e trattare una pace separata. Qualche giorno prima, il 16 luglio, era stato ucciso il primo ministro del Libano, Riad al Sohl, coinvolto anch’egli nel progetto di una chiusura del conflitto con Israele. Abdullah aveva incontrato Reuven Shiloah, il primo direttore del Mossad, e Golda Meir in una serie di discussioni dal 1949 al 1950 e il giorno del suo assassinio doveva avere un altro incontro con Shiloa e col diplomatico israeliano Moshè Sasson. Nella biografia del nipote di Abdullah, Hussein (“Lion of Jordan: The Life of King Hussein in War and Peace”), si dice che il re abbia detto a Sasson: "Voglio fare la pace con Israele non perché sia diventato sionista o mi preoccupi per il benessere di Israele, ma perché è nell'interesse del mio popolo. Sono convinto che se noi non facciamo pace con voi, ci sarà un'altra guerra, e poi un'altra guerra, e un'altra guerra ancora, e noi perderemo tutte queste guerre. Quindi è supremo interesse della nazione araba fare la pace con voi."
  Parole sagge e preveggenti. Ma frustrate dalla violenza dei fanatici antisemiti nel mondo arabo. L’assassinio di Abdullah non solo frustrò quella pace possibile, ma fece da esempio. Anche il primo ministro egiziano Sadat fu ucciso nel 1981 per aver fatto la pace con Israele. Raghib Nashashibi, membro della famiglia araba di Gerusalemme rivale di Amin al Husseinie sostenitore di una politica di compromesso con gli ebrei, fu sottoposto a diversi tentativi di omicidio e dovette fuggire in Egitto. Anche lo zio di Abdullah I, Feisal I, re dell’Iraq, aveva tentato un accordo di convivenza con Weizmann, siglato ai margini della conferenza di Versailles, alla fine della I Guerra Mondiale, ma poi fu costretto a rinunciare dalla violenta pressione dei dirigenti arabi che non volevano alcun accomodamento con gli ebrei.
  L’omicidio di Abdullah ha segnato anche i rapporti fra Israele e Giordania con un’ambiguità che ha preso forma diverse nei decenni. Per Israele il regno hashemita è un presidio importante della lunga frontiera orientale, che la separa dai nemici più potenti come l’Iraq e, almeno fino a un certo momento l’Arabia. Per la Giordania Israele è il vicino più potente, da cui dipende non solo militarmente, ma anche per l’acqua e i trasporti. I due stati hanno un nemico comune, il sovversivismo palestinista che vuol distruggere Israele ma ambirebbe anche a impadronirsi della Giordania, che dopotutto è un pezzo del mandato britannico di Palestina, quello che fu riservato dalla Gran Bretagna agli arabi durante la sua prima divisione in “due stati”, nel 1922. Questo asse si è visto in numerosi occasioni, quando la Giordania ha bloccato le azioni terroriste, e in particolare nel settembre del 1970, quando re Hussein si decise, con il tacito appoggio israeliano, a smontare con la forza lo stato nello stato che era stato costruito da Al Fatah. Venne poi il trattato dell’Arvà fra i due stati (1994) e la reazione di Hussein a un terribile attentato terrorista quando un soldato giordano uccise a fucilate sette ragazzine adolescenti in gita scolastica in un parco sul Giordano (1997): il re si recò personalmente a chiedere scusa alle famiglie delle vittime. E però la Giordania non seppe mai resistere alle pressioni della lega araba e partecipò a tutte le guerre contro Israele, rifiutando gli accordi di non belligeranza che Israele le propose. L’occupazione giordana di Giudea e Samaria e di Gerusalemme fu una vergognosa pulizia etnica e culturale, contro tutte le norme umanitarie e i trattati. Inoltre Hussein, ma soprattutto suo figlio Abdullah II che gli è succeduto, non hanno mai risparmiato la retorica palestinista e gli attacchi pubblici allo stato ebraico, principalmente a proposito di Gerusalemme. Inoltre la Giordania si rifiuta di estradare i terroristi che vi hanno trovato rifugio, innanzitutto Ahlam Tamimi, responsabile della strage della pizzeria Sbarro. Tutto ciò si spiega pensando che la maggioranza dei sudditi giordani, inclusa la moglie del re, ha origini palestinesi e il parlamento è dominato dagli integralisti e il re è continuamente minacciato da rivolte e colpi di stato.
  Ci si può chiedere come sarebbero andate le cose se gli arabi, ragionando come Abdullah I, avessero scelto la strada degli accordi invece che della guerra e del terrorismo. Senza dubbio tutto il Medio Oriente sarebbe più prospero e pacifico. Oggi, grazie agli “accordi di Abramo” patrocinati da Trump vediamo come può essere fruttuosa l’accettazione araba dell’esistenza di Israele. Nonostante tutti gli ostacoli, non si può che sperare che questa scelta si generalizzi.

(Shalom, 3 agosto 2021)


Mercer Street: Usa, Uk e Israele fanno fronte comune contro l’Iran

di Filippo Jacopo Carpani

Stati Uniti e Regno Unito uniscono le loro voci a Israele e indicano l’Iran come responsabile dell’attacco alla petroliera Mercer Street, costato la vita a due membri dell’equipaggio (un cittadino britannico e uno rumeno). Giovedì la nave è stata bersagliata da due droni suicidi mentre navigava al largo della costa dell’Oman. Il vascello, di proprietà della giapponese Taihei Kaiun Co., è gestito dalla Zodiac Maritime, parte dell’omonimo gruppo del miliardario israeliano Eyal Ofer. Non è la prima volta che una nave collegata alla Zodiac subisce un attacco: in giugno, la nave cargo Csav Tyndall, mentre navigava nell’Oceano Indiano settentrionale, è stata danneggiata da un’esplosione, le cui cause sono ancora ignote. Forse un semplice incidente o forse qualcosa di più.
  Saeed Khatibzadeh, portavoce del ministero degli Esteri iraniano, ha affermato ieri che “il regime sionista ha creato insicurezza, terrore, violenza. Queste accuse riguardo al coinvolgimento dell’Iran sono condannate da Teheran”, sottolineando anche che già altre volte Israele ha rivolto accuse simili al suo Paese. La risposta dello Stato ebraico non si è fatta attendere e aiuta a comprendere quale sia la linea che il nuovo premier Naftali Bennett intende adottare in situazioni simili. Nella riunione del governo di ieri, il primo ministro ha dichiarato che “l’Iran, in maniera codarda, sta cercando di schivare le proprie responsabilità. Quindi lo dichiaro inequivocabilmente: l’Iran ha condotto l’attacco contro la nave”. Nei giorni precedenti, altri esponenti del governo israeliano avevano rilasciato dichiarazioni, come il ministro degli Esteri Yair Lapid, che ha sostenuto il fatto che “l’Iran non è solo un problema di Israele, ma un esportatore di terrorismo, distruzione e instabilità che ci danneggia tutti”, aggiungendo che “il mondo non deve stare in silenzio di fronte al terrorismo iraniano, che danneggia anche la libertà di navigazione” e che sia necessaria una dura risposta. Il sito israeliano di news Yenet ha citato un ufficiale, il cui nome non è specificato, secondo cui “sarà difficile che Israele chiuda un occhio su questo attacco”. Tutte dichiarazioni, queste, che preannunciano un aumento considerevole della tensione nell’area, ma mai quanto le parole di Bennett: “In ogni caso, sapremo come trasmettere il messaggio all’Iran”.
  Londra e Washington, pur allineate con Israele, hanno commentato l’accaduto con parole decisamente meno forti, tipiche dell’equilibrata ed (decisamente troppo) educata diplomazia occidentale. Oggi, il segretario di Stato per gli affari esteri del Regno Unito Dominic Raab ha indicato come “molto probabile” la responsabilità iraniana nell’attacco, un atto “deliberato e una chiara violazione delle leggi internazionali”. Il Regno Unito, ha aggiunto, è al lavoro con i partner internazionali per stabilire una “risposta coordinata”. Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha commentato che l’accaduto “minaccia la libertà di navigazione attraverso questa via marittima cruciale, le spedizioni, il commercio internazionale, e le vite di coloro che si trovano sulle navi coinvolte”. Gli altri Stati nell’area, per ora, non hanno rilasciato dichiarazioni.
  Questo attacco non è il primo rivolto a navi collegate, in qualche modo, a Israele. Esse hanno cominciato ad essere dei bersagli dal 2019, circa un anno dopo il ritiro dell’allora presidente Donald Trump dal nuclear deal con l’Iran. Ufficiali dello Stato ebraico hanno ripetutamente accusato il governo di Teheran di essere il mandante di questi attacchi, tutti parte della shadow war tra le due nazioni. L’attacco alla Mercer Street è stato il più sanguinoso dall’inizio del conflitto. Israele stesso è sospettato di aver condotto numerosi attacchi contro l’Iran e, proprio il mese scorso, la più grande nave da guerra iraniana ha preso fuoco (in circostanze misteriose) ed è affondata, mentre si trovava vicino allo Stretto di Hormuz. Non serve essere dei complottisti per ricollegare questa (inspiegabile) tragedia, per la Marina militare iraniana, alla lunga serie di attacchi ad altri vascelli di entrambe le parti.
  Restiamo in attesa di ulteriori sviluppi. In particolare, sarà interessante vedere come si muoverà il premier Bennett, già sostenitore, in passato, della necessità di attaccare direttamente l’Iran e non le sue appendici secondarie, come gli Hezbollah. Le sue parole lasciano intendere un qualche tipo di reazione, nel prossimo futuro, e rincuora il fatto che non sembri incline ad attendere le mosse della ben più lenta diplomazia occidentale. Forse basterà la sua energia a dare uno scossone a tutti gli altri Paesi danneggiati dall’aggressività di Teheran.

(l'Opinione, 2 agosto 2021)


L'attacco alla petroliera nell'Oman, ultimo episodio della guerra nell'ombra tra Iran e Israele

Il premier Bennett definisce "un atto di codardia" il tentativo di Teheran di negare il proprio coinvolgimento nell'azione con un drone suicida in cui sono morti due membri dell'equipaggio della Mercer Street, un inglese e un rumeno. Blinken parla di "indagine congiunta", Raab propone una risposta concertata "per quello che crediamo essere un attacco deliberato"

di Sharon Nizza

GERUSALEMME – L’attacco venerdì alla petroliera Mercer Street nel Golfo dell’Oman estende la partita a più attori internazionali, e con essa il possibile perimetro delle reazioni: sulla nave di proprietà giapponese, gestita dalla compagnia Zodiac Maritime, con sede a Londra, del miliardario israeliano Eyal Ofer, hanno perso la vita due uomini dell’equipaggio, un inglese e un rumeno. A pochi giorni dall’insediamento del nuovo presidente iraniano Ebrahim Raisi, con l’incognita che la sua figura riserva rispetto al futuro dell’accordo nucleare Jcpoa, Israele spera di monetizzare l’episodio per portare dalla sua maggiore sostegno diplomatico. “Il mondo ha ricevuto un promemoria dell'aggressione iraniana, questa volta via mare”, ha detto il premier Naftali Bennett, definendo un atto di “codardia” il tentativo dell’Iran di negare il proprio coinvolgimento, annunciato ieri dal portavoce del ministero degli esteri di Teheran, smentendo la televisione vicina ai pasdaran che aveva parlato venerdì di una reazione a un precedente attacco in Siria attribuito agli israeliani, che avrebbe provocato due vittime. Il ministro degli Esteri Yair Lapid si è coordinato durante il weekend con gli omologhi britannico e rumeno e il segretario di Stato Usa Antony Blinken ha parlato di “indagine congiunta”. Ieri in serata, il ministro degli Esteri inglese Dominic Raab ha detto che ci sarà una risposta concertata a “quello che crediamo essere un attacco deliberato, mirato e una chiara violazione del diritto internazionale da parte dell’Iran”.
  L’attacco con un drone suicida alla Mercer è l’ultimo episodio di quella che gli israeliani chiamano la “battaglia tra le guerre” – o nel suo acronimo ebraico “Mabam” – che lo Stato ebraico e l’Iran conducono da anni nella penombra su diversi fronti. Il più noto è la Siria, dove l’aviazione israeliana colpisce periodicamente gli interessi di Teheran. Lo scontro marittimo principalmente al largo del Golfo Persico ha registrato negli ultimi sei mesi una decina di episodi, ma potrebbe essere solo la punta dell’iceberg. Solo nei mesi scorsi è trapelato questo nuovo fronte, dove almeno dal 2019 Israele attacca navi da carico e petroliere iraniane per sabotare il contrabbando di armi a Hezbollah e le spedizioni di petrolio in Siria. Dal canto suo l’Iran ha aumentato il tiro perché sa che sul fronte marittimo gioca in casa, vicino alle proprie coste, mentre Israele con una escalation rischia di danneggiare le proprie rotte commerciali, che al 99% dipendono da compagnie straniere. Un aumento dei costi assicurativi potrebbe incidere direttamente sull’economia israeliana.
  Un altro fronte che vede sempre più impegnati i due rivali è quello cyber: in Israele si pensa che l’attacco al mercantile sia una risposta a un’operazione di hackeraggio al sistema ferroviario iraniano avvenuta agli inizi di luglio: gli hacker sono riusciti a mandare in tilt i tabelloni nelle stazioni di tutto il Paese, peraltro lasciando il numero dell’ufficio del leader supremo Ali Khamenei “per chiarimenti”. L’anno scorso l'Iran aveva lanciato un cyber-attacco, sventato in extremis, contro il sistema idrico israeliano.
  Per Bennett, ancora alle prime armi del nuovo governo, si tratta di un primo banco di prova nello scacchiere internazionale. Quando ancora era ministro della Sicurezza, nel 2020, diceva che Israele deve “mirare alla testa e non ai tentacoli”: ergo puntare a Teheran per fare fuori Hamas e Hezbollah. È il messaggio con cui si prepara a visitare gli Stati Uniti, nel primo incontro con il presidente Joe Biden previsto per metà agosto a Washington.

(la Repubblica, 2 agosto 2021)


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Nave assaltata, Iran nel mirino. «Imminente una risposta dura»

Teheran nega ogni responsabilità, ma Bennett avverte: «Sbaglio che pagherete». Si muovono gli Usa.

di Fiamma Nirenstein

GERUSALEMME - «Israele dimostrerà che l'Iran ha fatto un serio errore attaccando la nave Mercer Street» ha detto il primo ministro Naftali Bennett ieri. Non gli importa se dopo una prima generica ammissione, il portavoce del ministero degli Esteri Said Khatibzadeh ha negato tutto. Per Bennett si tratta di un gesto codardo e possiamo cominciare a interrogarci su quale sarà la sanzione. Lo stesso segretario di Stato americano Antony Blinken assicura che è «imminente» una risposta appropriata. Qualcosa accadrà. Israele ha dimostrato di avere molte possibilità di penetrare la corazza iraniana per trovare la strada del cuore nucleare, delle centrali cibemetiche, delle basi dei «proxy» anche senza avventurarsi in guerre fatali.
  Bennett nel passato, quando era ministro della Difesa di Netanayhu disse che avrebbe costretto l'Iran a lasciare la Siria: «Che ci sta a fare là? In 12 mesi lo cacceremo». Così disse, ma Bennett sapeva benissimo che gli Ayatollah sanno quello fanno, e che la Siria è un anello fondamentale nella loro strategia, anzi, in quella del defunto generale Soleimani che stava costruendo la sua grande «luna crescente» dall'Irak allo Yemen giù per il Libano e la Siria in tutto in Medioriente.
  La nave su cui sono stati fatti fuori il capitano romeno e un inglese, era l'obiettivo, presumibilmente, di una vendetta iraniana contro i bombardamenti israeliani su basi e convogli iraniano-libanesi in Siria. 11 fatto che non sia venuta dalla Siria, può dimostrare semplicemente che le forze della Repubblica islamica sono indebolite dall'assenza di Soleimani, e che risulta più comodo colpire in mezzo al mare vicino all'Oman tramite l'uso della schiera di droni iraniani. D'altra parte può significare che è proprio il potere centrale a Teheran, compreso il nuovo presidente Raisi che sta per insediarsi, che ha deciso di colpire dove Israele è più indifeso.
  L'uccisione di due marinai del tutto estranei, fra cui di un cittadino di un Paese che appartiene alla Nato, dà spazio al nuovo programma del ministro degli Esteri Yair Lapid di spiegare al mondo che l'Iran per colpire Israele non ha problemi a uccidere chi gli capita. Che il pericolo iraniano, riguarda tutti. Anzi, che le dimostrazioni di spavalderia contenute nel terrorismo gli si attagliano: fanno paura a tutti, e spingono al silenzio; portano anche al compromesso a Vienna, dove insieme a Biden tutto il mondo siede impaziente di firmare un accordo uguale a quello disastroso di Obama del 2015. Ma accadrà presto?
  L'Europa dà qualche segno di essersi stufata, l'Iran ha giocato a rimandare l'accordo: tutti sanno che sta usando questo tempo per arricchire velocemente tutto l'uranio che può. Il fatto che l'Iran crei tanta confusione proprio adesso non deve essere considerato casuale: è prima di tutto un film per la folla disperata nelle strade che grida a Khamenei che non ne può più e si batte valorosamente contro la Guardia Rivoluzionaria. Se per l'Occidente arrivare a un accordo è un obiettivo che fa da comma alla parola pace, per gli Ayatollah l'interesse primario è la necessità divina di mantenere il potere e di usarlo per i propri fini espansivi. L'arricchimento atomico non sarà sacrificato se questi obiettivi non concorderanno con l'eventuale patto. Bennett parte per gli Usa per il suo primo incontro con Biden questo mese. Speriamo si capiscano.

(il Giornale, 2 agosto 2021)


Israele: 45mila over 60 hanno ricevuto terza dose

Il governo vuole accelerare campagna vaccinale

Finora 45mila israeliani di età superiore ai 60 anni o con sistema immunitario fragile hanno già ricevuto una terza dose del vaccino anti Covid, ma il primo ministro Naftali Bennett vorrebbe accelerare la campagna vaccinale. Sono infatti 2.114 i nuovi casi di coronavirus Sars-CoV-2 registrati in Israele nelle ultime 24 ore. Lo riferisce il ministero della Salute israeliano, spiegando che 212 pazienti sono ricoverati in gravi condizioni. Si tratta del dato più alto da aprile. Il sito di Ynet sottolinea che il tasso di contagio in Israele è salito al 2,95%. Dall'inizio della pandemia, in Israele 6.474 persone sono morte per complicanze riconducibili a Covid-19.

(Adnkronos, 2 agosto 2021)


Fede e scienza. E' possibile un'interazione?

Il punto di forza su cui si appoggiano gli araldi del vaccino nella guerra contro il mostro pandemico ormai è chiaro e apparentemente inattaccabile: la scienza. Ad essa si richiama la politica, dopo di che il discorso è chiuso: la scienza ha parlato, la politica ha ordinato. Punto. I cittadini devono ubbidire. E' davvero sorprendente la cedevolezza acritica con cui tante persone di cultura laica o religiosa hanno depositato le loro armi intellettuali per accogliere quasi senza discutere l'autorità tutta da dimostrare di una scienza tutta da definire. Come cristiano evangelico che ha svolto tutta la sua attività di lavoro in ambito scientifico, mi sono sempre preoccupato di riflettere sul rapporto tra fede e scienza. Presento allora gli appunti di uno studio che presentai circa trent'anni fa a un gruppo di studenti dei GBU, Gruppi Biblici Universitari, su un libro allora da poco uscito di Jader Jacobelli, dal titolo che suona attuale: "Scienza e etica. Quali limiti?" M.C.

di Marcello Cicchese
    La scienza moderna non è osservazione distaccata della realtà e sua rappresentazione concettuale. La scienza moderna è intervento sulla realtà, manipolazione. Attraverso la crescita tecnologica, questa manipolazione può produrre effetti di portata enorme e non soggetti a sicuri controlli.

Diamo per scontato di intenderci su che cosa è fede. Il problema è: che cosa intendiamo per scienza?
  - Nell'antichità la scienza coincideva con la metafisica, con la filosofia, perché la vera scienza era scienza dell'universale, scienza dell'"essere". Ciò che interessava era l'essenza degli oggetti, le cause che provocano le loro mutazioni, i principi che regolano i loro svolgimenti. Aristotele: "Del particolare non si dà scienza". 
  - Con Galileo nasce la scienza moderna, all'inizio come un tentativo di ritagliare delle autonomie particolari all'interno scienza universale. Galileo non si azzardava a "tentar l'essenza" degli oggetti che studiava, ma si limitava a studiarne alcune particolari "affezioni" (accidenti). La Bibbia ci dice "come si va al cielo" e non "come va il cielo". 
  - Lo sganciamento della scienza dalla metafisica ha consentito, nel seicento e nel settecento, risultati di portata veramente grandiosa.
  - Come conseguenza, la scienza non si limita più a rivendicare  autonomia dalla metafisica, ma tende a sostituirsi ad essa. Si arriva al positivismo.
  - E' da questo momento che scoppiano, anche in campo protestante, le contrapposizioni fede-scienza. Noi protestanti siamo subito stati dalla parte di Galileo, ma abbiamo avuto qualche difficoltà con Darwin, Freud, Marx, e anche con l'uso del metodo storico-critico della Bibbia, che fa la sua apparizione alla fine del 700.
  - Tra la fine dell'800 e l'inizio del 900 il positivismo va in crisi per due tipi di motivi: crisi fondazionali all'interno della matematica e della fisica; rivendicazione di autonomia da parte della filosofia (varie forme di idealismi spiritualistici).
  - La visione della scienza tende a ridursi alla dimensione di un convenzionalismo efficace per dominare alcuni gruppi di fenomeni.
  - Questa può essere la visione che non dà problemi al cristiano: la scienza è un puro strumento per l'indagine di alcuni settori particolari del nostro mondo. Che ci può essere di male?
  - Negli ultimi anni si tende a dare, in ambito epistemologico, una visione meno rinunciataria della scienza. Essa costituisce un'effettiva forma di sapere, anzi, (come dicono alcuni) pur senza le pretese universali della metafisica antica, non esiste alcuna altra forma superiore di effettiva conoscenza. La scienza è, per l'uomo moderno, il "paradigma del sapere". Il sapere o è sapere scientifico o non è sapere.
  - A questo atteggiamento spingono, da una parte, la disillusione sul piano filosofico-religioso, dall'altra, la potenza travolgente dell'attuale sistema scientifico-tecnologico.
  - Ma proprio la potenza di questo sistema comincia a dare problemi di tipo nuovo: problemi etici.
  -  Se fino a qualche tempo fa il contrasto tra fede e scienza si poneva ad un livello molto elevato, e poteva essere considerato come un contrasto di idee, oggi il conflitto acuto sembra avvenire sul piano del bene e del male (Evandro Agazzi, "Il bene, il male e la scienza"). Come mai? 
  - La scienza moderna non è osservazione distaccata della realtà e sua rappresentazione concettuale. La scienza moderna è intervento sulla realtà, manipolazione. Attraverso la crescita tecnologica, questa manipolazione può produrre effetti di portata enorme e non soggetti a sicuri controlli.
  - Quali limiti? Il libro di J. Jacobelli potrebbe essere un buon punto d'approccio per la discussione sui rapporti fede-scienza. Per un cristiano il limite dovrebbe essere Dio, la Sua volontà. Non aveva forse Dio posto un limite alla conoscenza nel giardino di Eden? Nel libro si parla infatti del giardino di Eden, ma mai per prendere seriamente in considerazione quello che la Bibbia dice. Un solo autore nel libro sostiene che i limiti vanno cercati nella trascendenza, in un "Assoluto" non meglio identificato. Tutti gli altri cercano un "autolimite", una presa di "responsabilità" che conduca a stabilire dei limiti. Prospettiva interamente umanistica, modulata in diverse, interessanti forme. Avrebbe potuto non essere così?
  - L'atteggiamento coerentemente "scientifico" non è forse, per sua natura, non religioso, non fideistico? Essere scienziati coerenti non significa forse dover dimenticare di essere credenti?
  - Perché gli increduli discutono tranquillamente di scienza sulla base delle loro ideologie e noi cristiani non sappiamo farlo sulla base della nostra fede?
  - E' importante, perché in realtà il problema non sta soltanto nei rischi che si possono correre usando inopportunamente certi ritrovati tecnici (non siamo più soltanto al rischio atomico). L'apparato scientifico-tecnologico pone oggi agli uomini questioni vitali di portata planetaria, che procedono non solo dai risultati che ottiene, ma proprio dalla sua struttura teorico-pratica.
  - Per esempio, se nella tradizione etica occidentale l'uomo è sempre da considerarsi come fine e non come mezzo (Kant), l'apparato scientifico-tecnologico tende per sua natura a considerare se stesso come il fine e l'uomo come un mezzo. 
  - Leggiamo in "Scienza e etica", p.61, per capire in quale forma oggi la scienza può contrapporsi alla fede.
  - Non tutti, anche tra gli studiosi di epistemologia, condividono la visione di una "scienza che è il nostro mondo". "Il bene, il male e la scienza": p.116.
  - Se veniamo ai GBU, vuol dire che siamo universitari, e quindi il nostro atteggiamento nei confronti della scienza e, in generale, della cultura è benevolo. Probabilmente siamo portati a cercare l'armonizzazione delle due sfere.
  - Teniamo presente, allora, che non siamo più ai tempi di Galileo. Non basta dividersi educatamente i campi della verità (da una parte le verità di fede, dall'altra quelle di scienza). Togliamoci dalla mente, una volta per tutte, l'idea che la scienza sia soltanto un semplice strumento per l'indagine di alcuni aspetti particolari della realtà.
  - Per l'apparato scientifico-tecnologico non c'è da spartirsi serenamente i fattori di verità da indagare. Molto semplicemente, non esiste una verità esterna che possa limitare la nostra attività. Possiamo e forse dobbiamo autolimitarci, ma non c'è nulla al di fuori di quello che noi facciamo. Questa è l'educata forma operativa (quindi non necessariamente speculativa) in cui si presenta oggi, nell'ambito scientifico, la filosofia della morte di Dio. Dopo essere scomparso il cielo metafisico, è scomparsa anche la terra metafisica, cioè la natura, intesa come limite alla conoscenza e all'azione dell'uomo.
  - Come atteggiarsi concretamente? Che cosa pensare? Di solito prendo posizione in modo abbastanza preciso. In questa sede preferisco limitarmi a "problematizzare", perché credo che sia questa la prima cosa da fare, data la gravità dell'impegno che ci incombe come cristiani.
  - Dopo aver letto il libro "Scienza e etica, quali limiti", mi sono chiesto: "Perché nessun credente ha scritto un suo contributo su questo tema? Perché ci si può rifare ad Aristotele, Platone, Kant, a Nietzsche, a Heidegger, e non a Gesù Cristo, all'apostolo Paolo, alla Bibbia?
  - Naturalmente ho delle idee più precise sulla questione, anche se certamente non ho portato a termine le mie riflessioni. Certamente, in un'ora non è possibile dire cose che valgano indistintamente per la fisica, la medicina, la psicologia, la parapsicologia o, magari, l'astrologia. Ritengo, in particolare, che non si possano fare gli stessi discorsi per le scienze della natura e le cosiddette scienze dell'uomo (scienze della natura: il modo di essere coincide con il dover essere).
  - Riflettere su quello che stiamo facendo praticando la nostra disciplina è un imperativo per i credenti che pensano di inserirsi nel mondo della scienza e della tecnica. Non è possibile, non è cristianamente lecito risolvere il problema sdoppiandosi. Non basta essere buoni cristiani andando in chiesa, leggendo la Bibbia come libro di devozione da una parte, e immergersi nella propria professione tecnico-scientifica dall'altra. E' assolutamente necessario arrivare a chiarire a noi stessi, come figli di Dio, quello che stiamo facendo nei nostri studi e nella nostra professione.
  - Non arriveremo a chiarire le cose in pochi giorni. Ma dobbiamo porci questo obiettivo in modo serio.

  1. Essere cristiani biblici consacrati, seri (con serietà non minore di quella richiestaci dalla nostra disciplina scientifica), approfondendosi nella riflessione continua e ubbidiente della Parola di Dio, convinti che "il timore dell'Eterno è il principio della scienza" (Proverbi 1:7);
  2. non limitarsi a fare quello che tutti fanno nel proprio ambiente di studio e di lavoro, ma riflettere, come cristiani, su quello che si fa, perché la Parola di Dio ci invita a guardarci da quella che "falsamente si chiama scienza" (1 Timoteo 6:20);
  3. essere pronti, fin dall'inizio, a non "amare la gloria degli uomini più della gloria di Dio".
Nulla di originale, dunque. Ma in fondo, che cosa si può chiedere a dei cristiani, se non di "amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente propria"?

Firenze, 26 maggio 1992

Nei prossimi giorni è prevista l'uscita di un saggio più elaborato.

(Notizie su Israele, 2 agosto 2021)


Se la Polonia nega i danni della Shoah

di Elena Loewenthal

Quella storia fa ancora tanta, tanta paura. Come fosse un presente troppo ingombrante per essere riconosciuto, ammesso, fatto proprio per riuscire a guardarlo dritto negli occhi. È proprio così, quel passato: un peso insostenibile, almeno fino a quando non farà veramente parte di una memoria condivisa. La Camera di Varsavia ha approvato nei giorni scorsi un provvedimento che fissa in trent’anni il termine massimo per impugnare una decisione amministrativa. Una decisione dall’innocua apparenza burocratica che ha invece delle colossali implicazioni storiche perché di fatto rende impossibile la restituzione dei beni ebraici sequestrati, cioè rubati durante la Shoah. Tanto è vero che a corredo di questa norma si staglia una nota da brividi da parte del ministro degli Esteri polacco: “La Polonia non è responsabile dell’Olocausto, un crimine commesso dagli occupanti polacchi”.
  Per molto tempo dopo la fine della guerra le campagne intorno a Oswiecin, cioè Auschwitz, restarono coperte da una patina impalpabile, arida, grigiastra: era la cenere fuoriuscita dalle ciminiere dei forni crematori. Le si vedeva da molto distante, in quel paesaggio uniforme, quasi desolato. E i treni: i treni che passavano sempre carichi in una direzione e vuoti nell’altra. L’Europa era in quei mesi un reticolo ferroviario di viaggi avanti e indietro verso i campi di sterminio. A volte si fermavano nelle piccole stazioni sperdute, a volte correvano lasciando dietro di sé la scia di grida di terrore, dolore, sgomento. Qualche biglietto lanciato dallo stretto spiraglio d’aria dei carri merci. Quella storia riguarda tutti: vittime. Carnefici. Il resto del mondo che non poteva non vedere, non sentire. Tutti sono responsabili di quell’orrore. Tutti. In Polonia, prima dell’inizio della guerra vivevano tre milioni di ebrei: erano lì da secoli, disseminati in una miriade di shtetlach, borghi di campagna con le sinagoghe fatte tutte di legno, e per le grandi città. Alla fine della guerra il novanta per cento di loro era stato sterminato. Sparito nel silenzio dell’assenza, nel fumo dei forni crematori.
  “Tornare in Polonia, dopo quello che era successo? Non ci ho mai più messo piede e finché vivo non ci tornerò mai più. Ho paura. Tanta paura”. A più di cinquant’anni di distanza così mi disse mia suocera, israeliana dal 1948, polacca di nascita. Quel giorno capii che toccava a me, e non a lei, spiegare ai miei figli il perché di quel numero tatuato sul braccio della nonna, sbiadito dal tempo ma non dalla memoria. Per questo, e per tanto altro, come fa il ministro degli Esteri polacco a sostenere che la Shoah non riguarda i polacchi?
  Quella storia, come ha detto qualche settimana Ursula von der Leyen in visita a Fossoli, è colpa e responsabilità di tutti. Lei si sente chiamata in causa da quella storia in quanto tedesca, ma tutti dovrebbero essere così come lei, di fronte a quella storia: perché riguarda tutti. Perché fino a quando non se ne sarà fatta memoria condivisa e responsabile, fino a quando non la si sarà riconosciuta come propria e non altrui, quella storia resterà un ostacolo a tutto. All’Europa, ai diritti comuni, a una pacificazione che non sia rimozione ma consapevolezza di un passato scomodo. Un passato inaccettabile, che diventa insopportabile quando si tenta, invano, di dimenticarlo.

(La Stampa, 2 agosto 2021)


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I droni contro il mercantile: la guerra sui mari tra Israele e Iran

di Davide Frattlni

GERUSALEMME La famiglia Ofer è una delle più ricche di Israele. Il decano Sammy, morto nel 2012, una volta ha donato 25 milioni di dollari per la costruzione di un parcheggio sotterraneo che potesse funzionare anche come bunker-ospedale in caso di attacco chimico. Dalle parti del porto di Haifa da dove i mercantili del gruppo salpano per tutto il mondo. Haifa, i suoi depositi di ammonio, sono tra i bersagli sempre minacciati dall'Hezbollah libanese, il gruppo filo-iraniano fa da braccio armato agli ayatollah nella sfida con Israele sul confine nord. Uno scontro che si estende alla Siria — dove l'aviazione israeliana continua a colpire gli obiettivi legati a Teheran — e da lì verso l'Oceano Indiano, i golfi e gli stretti davanti all'Oman, allo Yemen, qui navigano i mercantili sulle rotte più affollate.
   L'intelligence iraniana individua — non è difficile — quali siano di proprietà israeliana (battono bandiere diverse), spesso degli Ofer e della loro Zodiac. Attaccano questi bestioni lunghi 600 metri perché sono facili da raggiungere e sanno che il messaggio sarà ricevuto a Gerusalemme: l'ultimo blitz giovedì è stato effettuato con uno sciame di droni, ha ucciso due marinai, un britannico e un rumeno, nonostante la scorta militare americana anti-pirateria. «L'Iran è un problema globale, i Pasdaran non si trattengono più: volevano così tanto colpire gli israeliani che si sono infilati in un incidente internazionale», commenta una fonte a Gerusalemme. Yair Lapid, il ministro degli Esteri, è in contatto con il britannico Dominio Raab e gli chiede «una risposta comune». Nessuna rivendicazione ufficiale come in passato. In mezzo al mare resta l'ambiguità, la stessa che copre le missioni israeliane dentro l'Iran per rallentarne lo sviluppo atomico: Anche se Aviv Kochavi, il capo di Stato Maggiore, ha avvertito: «Le nostre mosse in Medio Oriente non sono nascoste agli occhi del nemico».
   In aprile una mina ha danneggiato il mercantile iraniano Saviz mentre navigava nel Mar Rosso: è considerato dagli 007 una postazione avanzata di comando usata per coordinare le operazioni degli Houthi, sostenuti da Teheran, nella guerra in Yemen. La chiamano guerra ombra, fa vittime come quella reale e prepara uno scontro aperto alla luce delle esplosioni.

(Corriere della Sera, 1 agosto 2021)


Golfo. Due vittime nella battaglia navale tra Iran e Israele

di Farian Sabahi

Uccisi da un drone iraniano due membri dell’equipaggio di una petroliera israeliana, un britannico e un rumeno. Prosegue così lo scontro a distanza tra i due paesi, mentre Teheran si prepara al passaggio di poteri tra il moderato Rohani e il conservatore Raisi
  Israele accusa l’Iran di essere dietro all’attacco di giovedì scorso a una petroliera in cui hanno perso la vita un cittadino britannico e uno rumeno, membri dell’equipaggio. Senza carico, la petroliera MV Mercer Street stava procedendo da Dar es Salaam (Tanzania) nell’Oceano indiano settentrionale in direzione degli Emirati arabi.
  Si trovava nei pressi dell’isola omanita di Masirah, al largo delle coste dell’Oman, nel mare Arabico. Di proprietà giapponese, batte bandiera liberiana e le sue operazioni sono gestite dalla società Zodiac Maritime con sede a Londra e di proprietà del magnate israeliano dei trasporti Eyal Ofer.
  L’autorità navale britannica sta facendo luce sull’incidente e rende noto che «le forze della coalizione» stanno garantendo la sicurezza della nave che si sta spostando verso un porto sicuro. Venerdì il ministro degli Esteri israeliano, Yair Lapid, ha puntato il dito contro «il terrorismo iraniano» e ha aggiunto che «l’Iran non è solo un problema di Israele, il mondo non deve essere silenzioso».
  Ora, Israele sta facendo pressione affinché vi sia un’azione internazionale nei confronti dell’Iran. In particolare, Yair Lapid ha scritto su Twitter: «Ho dato indicazioni alle ambasciate a Washington, Londra e presso l’Onu di lavorare con i loro interlocutori al governo e le rilevanti delegazioni al quartier generale del Palazzo di Vetro a New York».
  Intanto, un’emittente televisiva iraniana in lingua araba avanza l’ipotesi che si sia trattato della vendetta di Teheran in seguito a un attacco israeliano a un aeroporto in Siria, alleata dell’Iran.
  Da anni, Israele e Iran si stanno facendo la guerra con varie modalità. In questi anni il Mossad è riuscito a uccidere una serie di scienziati nucleari di Teheran. L’ultima vittima era stato Mohsen Fakhrizadeh lo scorso novembre.
  Più di recente, a metà aprile 2021, i servizi segreti dello Stato ebraico avevano messo in atto un attacco informatico che aveva fatto saltare la corrente nello stabilimento nucleare di Natanz, destinato all’arricchimento dell’uranio.
  E sono stati numerosi i bombardamenti dell’aviazione israeliana verso postazioni militari iraniane in Siria. Gli iraniani hanno ovviamente risorse decisamente inferiori rispetto alle forniture militari made in the Usa in possesso all’esercito israeliano.
  Ma se gli iraniani si erano finora dimostrati succubi della forza militare israeliana, pare che in questo caso siano riusciti a colpire davvero, grazie ai droni. Sarebbe stato proprio uno di questi droni esplosivi ad avere ucciso i due membri dell’equipaggio sulla petroliera MV Mercer Street. Il risultato di questo ennesimo attacco è l’escalation in una regione già caldissima.
  Nella pericolosa battaglia navale in corso in questi ultimi anni tra Iran e Israele, finora c’erano stati diversi incidenti ma senza vittime. Si era trattato di scaramucce, seguite da reciproche accuse. Ora, invece, c’è scappato il morto, anzi due. Il morto che «conta» davvero pare essere il cittadino britannico.
  Intanto, sul fronte interno gli iraniani si preparano al passaggio di testimone alla presidenza tra il moderato Hassan Rohani e l’ultraconservatore Ebrahim Raisi, previsto per il 3 agosto. Si teme il peggio, ma c’è comunque una buona notizia: il leader supremo ha concesso la grazia a 2.825 prigionieri in occasione di due commemorazioni religiose.
  Il 21 luglio ricorreva Eid al-Adha, la festa del sacrificio celebrata da tutti i musulmani. E giovedì scorso gli sciiti hanno celebrato Eid al-Ghadir ricordando il giorno in cui il profeta Maometto aveva designato suo erede il cugino e genero Ali.
  Non è la prima volta che l’Ayatollah Khamenei dimostra clemenza nei confronti dei carcerati: in occasione dell’anniversario della nascita dell’Imam Reza aveva dato ordine di liberare 5mila prigionieri. Da questo gesto restano però esclusi i prigionieri politici.

(Diritti Globali, 1 agosto 2021)


Israele vuole acquistare diciotto CH-53K

di Aurelio Giansiracusa

Il Dipartimento di Stato di Washington ha dato parere favorevole ad una possibile vendita militare straniera (FMS) al Governo Israeliano di elicotteri da trasporto pesante CH-53K con supporto e relative attrezzature per un costo stimato di 3,4 miliardi di dollari.
  La Defense Security Cooperation Agency ha consegnato la certificazione richiesta notificando al Congresso questa possibile vendita.
  Il Governo di Israele ha chiesto di acquistare fino a diciotto elicotteri CH-53K Heavy Lift, fino a sessanta motori T408-GE-400 (di cui 54 installati e 6 come ricambio) e fino a trentasei sistemi di posizionamento globale integrato /sistemi di navigazione inerziale (EGI) con modulo di disponibilità selettiva/anti-spoofing (SAASM).
  Inoltre, nel pacchetto richiesto sono inclusi anche le apparecchiature di comunicazione, mitragliatrici GAU-21 da 12,7×99 mm, sistemi di pianificazione della missione, lo studio, la progettazione e realizzazione di impianti.
  Richiesti anche parti di ricambio, apparecchiature di supporto e collaudo, pubblicazioni e documentazione tecnica, formazione per gli equipaggi e del personale addetto alla manutenzione oltre supporto tecnico e logistico.
  Gli appaltatori principali saranno Lockheed Martin e General Electric Company.
  Il CH-53K “King Stallion” è l’ultima versione dell'elicottero trimotore pesante da trasporto Sikorsky (Lockheed Martin) CH-53.
  Ha un equipaggio di quattro uomini e può trasportare sino a 30 soldati completamente equipaggiati ; può trasportare al gancio baricentrico sino a circa 17 tonnellate, mentre all’interno può caricare sino 11 tonnellate.
  Ha una velocità massima di 170 nodi, capacità di rifornimento in volo e raggiunge i 18.000 piedi di altitudine massima.

(Ares Osservatorio Difesa, 1 agosto 2021)

Paragon Solutions : la startup israeliana super segreta

Paragon Solutions non ha un sito web. Ci sono pochissime informazioni online, anche se i dipendenti della startup con sede a Tel Aviv sono su LinkedIn. Non è male come numero di dipendenti per una azienda che sembra essere invisibile, finanziata da americani che “hackera WhatsApp e Signal”

Paragon Solutions ha un cofondatore, direttore e principale azionista che farà girare la testa: Ehud Schneorson, l’ex comandante dell’equivalente NSA israeliano, noto come Unit 8200. Gli altri cofondatori – CEO Idan Nurick, CTO Igor Bogudlov e vicepresidente della ricerca Liad Avraham – sono anche ex intelligence israeliana. Nel consiglio c’è anche il direttore cofondatore ed ex primo ministro israeliano Ehud Barak. Hanno anche un importante finanziatore americano: Battery Ventures, con sede a Boston, nel Massachusetts. Secondo due dipendenti senior di aziende del settore della sorveglianza israeliana, che hanno parlato a condizione di anonimato, hanno affermato che la venture capital ha investito tra i $ 5 e i $ 10 milioni, sebbene Battery abbia rifiutato di commentare la natura del suo investimento, che è menzionato solo in breve sul sito web della società. Il prodotto di Paragon Solutions probabilmente otterrà critiche da parte di esperti spyware ed esperti di sorveglianza allo stesso modo: Paragon Solutions afferma di dare alla polizia il potere di violare da remoto le comunicazioni crittografate di messaggistica istantanea, che si tratti di WhatsApp, Signal, Facebook Messenger o Gmail. Un altro dirigente del settore dello spyware ha affermato che promette anche di ottenere un accesso più duraturo ad un dispositivo, anche quando viene riavviato.
   La startup, fondata nel 2019, sta silenziosamente crescendo in un momento in cui i suoi concorrenti nel settore degli hacker su commissione sono sotto tiro. Il Progetto Pegasus, un insieme di organizzazioni non profit e pubblicazioni globali, questo mese ha affermato di aver scoperto la sorveglianza mondiale di giornalisti, avvocati e politici eletti di alto profilo da parte dei clienti del più noto fornitore di spyware israeliano, la NSO Group. L’amministratore delegato della società ha respinto le affermazioni, affermando di non avere prove che i loro strumenti siano stati utilizzati per prendere di mira quelli nominati nei rapporti, dalla moglie del giornalista assassinato Jamal Khashoggi al presidente francese Emmanuel Macron. Il governo francese ha già avviato le sue indagini, ma altre amministrazioni in tutto il mondo sono ora chiamate a indagare su chi è stato hackerato dallo spyware di NSO e perché. Anche prima del Progetto Pegasus, il presidente di Microsoft Brad Smith ha avvertito che l’industria da 12 miliardi di dollari nel suo insieme rappresentava una minaccia, scrivendo: “Un segmento dell’industria che aiuta gli attacchi informatici porta cattive notizie su due fronti. In primo luogo, aggiunge ancora più capacità ai principali aggressori degli stati/nazione e, in secondo luogo, genera una proliferazione di attacchi informatici ad altri governi che hanno i soldi ma non le persone per creare le proprie armi. In breve, aggiunge un altro elemento significativo al panorama delle minacce alla sicurezza informatica”.
   Un dirigente senior di Paragon, che ha rifiutato di commentare, ha affermato di non voler parlare dei suoi prodotti ma, nel tentativo di evitare i problemi che NSO ha avuto con alcuni dei suoi clienti che sono stati esclusi per uso improprio, l’esecutivo ha aggiunto che Paragon venderebbe solo a paesi che rispettano le norme internazionali e che rispettano i diritti e le libertà fondamentali. Regimi autoritari o non democratici non sarebbero mai clienti, ha aggiunto. Due fonti del settore hanno affermato di ritenere che Paragon stesse cercando di distinguersi ulteriormente promettendo di accedere alle applicazioni di messaggistica istantanea su un dispositivo, piuttosto che assumere il controllo completo di tutto su un telefono. Una delle fonti ha affermato di aver capito che lo spyware di Paragon sfrutta i protocolli delle app crittografate end-to-end, il che significa che entrerebbe nei messaggi tramite vulnerabilità nei modi principali in cui opera il software.
   Il personale della società, secondo i profili LinkedIn, ha un forte background nella sorveglianza, con il suo vicepresidente delle operations e il responsabile delle risorse umane ex NSO e molti dei suoi sviluppatori provenienti dalle unità di intelligence delle forze militari israeliane. Uno dei suoi sviluppatori di software, Alon Weinberg, ha precedentemente presentato una ricerca sull’hacking del software in esecuzione su chip Intel e AMD alla famosa conferenza di hacking statunitense DefCon.

SORVEGLIANZA ISRAELIANA CON I SOLDI AMERICANI
  Con un investitore americano, sembra che Paragon cercherà di violare le forze dell’ordine americane dove altri come NSO hanno fallito. Secondo un profilo LinkedIn, un veterano di 30 anni dell’intelligence israeliana, Menachem Pakman, è stato assunto per aiutare a trovare business negli Stati Uniti. Tuttavia, non ci sono ancora indicazioni che abbiano clienti dall’altra parte dell’Atlantico.
   Secondo il documento aziendale per la società, Battery ha investito tramite due dei suoi veicoli di capitale di rischio nel settembre 2019, indicando che ha contribuito a lanciare l’attività, mentre il suo vicepresidente con sede in Israele, Aaron Rinberg è un osservatore del consiglio di amministrazione di Paraandare. Battery, che ha raccolto oltre 9 miliardi di dollari dalla sua fondazione nel 1983, ha sostenuto alcuni investimenti di grande successo a suo tempo, tra cui Coinbase, Groupon, Splunk, SkullCandy e il creatore di Pokémon Go Niantic. La società non aveva commentato il suo investimento nel gioco di sorveglianza per smartphone israeliano al momento della pubblicazione.
   John Scott-Railton, ricercatore senior presso Citizen Lab presso la Munk School dell’Università di Toronto, ha affermato che se l’obiettivo dell’attività di Paragon è aiutare le agenzie americane a prendere di mira gli americani, allora deve essere esaminato attentamente. “Qualsiasi investitore americano che sta investendo denaro nel settore in questo momento, ha urgente bisogno di un serio controllo. Avremo bisogno di sapere chi sono i loro clienti. Abbiamo appreso cosa succede quando l’industria opera in segreto e afferma di avere a cuore la protezione dei diritti umani”, ha affermato. “L’industria dell’hack-for-hire è andata molto oltre su un arto legale.” Il dirigente di Paragon ha affermato che la società non rivelerà i futuri clienti.
   Paragon non è la prima azienda israeliana a prendere capitale di rischio americano al momento del lancio. Toka, che si concentra sull’aiutare le forze dell’ordine ad hackerare dispositivi Internet of Things (IoT) come Amazon Echos per la scientifica o durante le incursioni nelle proprietà, ha raccolto $ 12,5 milioni nel 2018, in un round che includeva finanziamenti da Dell Technologies Capital e Andreessen Horowitz. NSO, nel frattempo, era di proprietà di maggioranza della società di private equity statunitense Francisco Partners fino a quando una società di private equity britannica, Novalpina Capital, ne ha preso il controllo. La leadership di Paragon è anche nell’interessante posizione di lavorare sia per la difesa informatica che per le società in modalità “offensive”. Nel 2019, lo stesso anno in cui hanno fondato Paragon, Nurick e Schneorson hanno presentato una società che avevano cofondato, Hunters.ai, una startup che promette intelligenza artificiale in grado di dare la caccia agli hacker su una rete ed è supportata società di investimento di Microsoft M12.

(israele360, 1 agosto 2021)


Un eccentrico e misterioso rabbino tunisino a Nizza e nel Ponente ligure al tempo dei Savoia

di Pierluigi Casalino

Dopo la caduta di Napoleone, le restaurate monarchie imposero agli ebrei molte delle passate restrizioni. Nel 1818 Abraham Belaiss Naskar, un erudito rabbino, costretto a fuggire da Tunisi, sua città natale, probabilmente per atti poco onesti, giunse nel Regno di Sardegna dopo peregrinazioni presso varie corti europee. Fu un personaggio stravagante, che, con odi encomiastiche e comportamenti da cortigiano, seppe conquistarsi il favore dei sovrani, ma suscitò la diffidenza degli ebrei piemontesi. Parlava solo ebraico o arabo, ma Vittorio Emanuele I nel 1820 lo impose come rabbino a Nizza Marittima, con il sottinteso incarico di sorvegliare gli ebrei di quella città, sospettati di simpatie per le idee della Rivoluzione. In realtà Carlo Felice, il successore di Vittorio Emanuele I, fu amato dagli ebrei nizzardi per la sua liberalità e soprattutto da tutta la città per aver posto le basi della moderna Nizza sabauda e poi francese. Il rabbino suscitò a Nizza molte polemiche.
   Dopo anni di contrasti, il rabbino tunisino, nel 1826, fu, comunque, costretto ad abbandonare Nizza, soggiornando a Sanremo e Porto Maurizio, dove non raccolse simpatie da parte di ebrei e non ebrei, per poi stabilirsi in Piemonte. Rimasto in Piemonte fino al 1830, dopo permanenze in Olanda e Francia, si stabilì a Londra, dove morì ottantenne nel 1853. Nella vita raccolse notizie per le polizie segrete di mezza Europa e seppe garantirsi una discreta capacità di superare le difficoltà quotidiane. Quando visse a Sanremo, ad esempio, collaborò attivamente con l'autorità governativa anche per attività di controspionaggio nei confronti di agenti stranieri.

(ImperiaNews.it, 1 agosto 2021)

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