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Notizie 16-28 febbraio 2023


“Non c’è posto per l’anarchia”

Perdere il controllo. In Israele nei diversi editoriali, nelle analisi, nelle affermazioni dei politici i fatti di questi giorni – gli attacchi terroristici palestinesi, le violente azioni di estremisti israeliani nel villaggio palestinese di Huwara – hanno come punto in comune questa preoccupazione. Il rischio che gli eventi sfuggano di mano e si perda il controllo. Lo ha sottolineato dalla Knesset il Primo ministro Benjamin Netanyahu, condannando quanto accaduto a Huwara e rassicurando sul fatto che lo stato sta agendo per contrastare il terrorismo. “Nonostante tutto il fervore, non c’è spazio per l’anarchia con cui non verremo a patti”, le sue parole, in risposta alla furia scatenata da giovani israeliani degli insediamenti sul villaggio palestinesi. Una violenza scoppiata dopo l’assassinio di due fratelli, Hillel e Yagal Yaniv. “Non accetteremo una situazione in cui ognuno fa quello che vuole: incendiare case, bruciare auto, attaccare intenzionalmente i civili”, la condanna di Netanyahu. “Questo è esattamente ciò che i nostri nemici vogliono vedere: Perdita di controllo e un circolo infinito di sangue, fuoco e fumo”, ha avvertito. Una spirale che nel frattempo ha fatto un’altra vittima: Elan Ganeles, 27 anni, cittadino israeliano e americano, assassinato da un terrorista mentre percorreva in auto la strada 90, usata in genere per raggiungere il Mar Morto. Ganeles, raccontano i media, viveva negli Stati Uniti, aveva servito come volontario nell’esercito israeliano ed era in visita nel paese per un matrimonio. “Neolaureato, Elan aveva un futuro brillante davanti a sé. I nostri cuori vanno alla sua famiglia e alla comunità di West Hartford. Piangiamo insieme a loro”, il messaggio di cordoglio della Federazione ebraica del Nord America.
  L’attentatore che ha ucciso Ganeles è ricercato dalle forze di sicurezza, impegnate in una caccia all’uomo per assicurare alla giustizia anche i responsabili dell’attentato ai fratelli Yaniv. “Sventeremo il terrore di qualsiasi tipo e continueremo a usare tutti i mezzi operativi e di intelligence per catturare i terroristi”, la dichiarazione della guida dell’esercito Herzi Halevi. Il capo di Stato maggiore è intervenuto anche sulle violenze di estremisti israeliani. “Gli eventi terribili e disastrosi di Huwara saranno oggetto di un’indagine approfondita”, le sue parole. L’esercito ha fatto sapere che estremisti ebrei hanno attaccato anche alcuni soldati israeliani: prima uno ha cercato di investire un ufficiale della pattuglia Golani, poi altri hanno lanciato pietre contro le forze armate. “Un attacco a soldati dell’esercito da parte di rivoltosi ebrei è altamente inaccettabile. Non ci sarà alcuna tolleranza per i trasgressori della legge”, la posizione del ministro della Difesa Yoav Gallant. All’interno della coalizione di governo però le posizioni appaiono diverse. Il partito di estrema destra Otzma Yehudit ha boicottato la sessione speciale in cui Netanyahu ha riferito al parlamento, contestando le azioni dell’esecutivo di cui fa parte. In particolare ha criticato la politica di contenimento del terrorismo adottata dal governo, con alcuni esponenti di Otzma Yehudit che hanno approvato quanto accaduto a Huwara. Inoltre a Netanyahu è stato contestato il fatto di non aver informato di un delicato vertice diplomatico in Giordania e di non aver avvisato il leader nonché ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir della rimozione dei sigilli alla casa di un terrorista palestinese. In più i parlamentari del partito di estrema destra hanno contestato l’evacuazione da parte di giovani israeliani dell’avamposto illegale di Evyatar . A loro dire l’azione dell’esercito rappresenta “una violazione degli accordi di coalizione e della politica di destra”. Si tratta di uno scontro che avrà ulteriori strascichi, scrivono gli analisti, con Netanyahu impegnato a governare le anime più estremiste della sua coalizione e del paese. E a far fronte alle grandi proteste di piazza generate dalla controversa riforma della giustizia promossa dal suo governo.
  Nel mentre a condannare la violenza contro i palestinesi a Huwara è stata anche – in un intervento inusuale – la Orthodox Union, una delle più grandi organizzazioni ebraiche ortodosse negli Stati Uniti. “Come può accadere una cosa del genere? Come si può arrivare a questo, che giovani ebrei saccheggino e brucino case e automobili?”, la condanna del vicepresidente esecutivo della Orthodox Union, rav Moshe Hauer. “Possiamo comprendere la profonda angoscia per l’orribile omicidio di giovani e cari amici. Possiamo riconoscere la frustrazione per i continui attacchi agli ebrei e la mancanza di una risposta decisa ed efficace dell’esercito. Ma non possiamo capire o accettare tutto questo”, ha continuato Hauer. “Attaccare un villaggio non merita di essere chiamato ‘farsi giustizia da soli’. Questa non è la legge; è furia indisciplinata e casuale”. Per il rav è necessario che la leadership parli “in modo coerente e chiaro, garantendo sicurezza e una risposta decisa a coloro che commettono atti di terrore e violenza contro gli ebrei, ma condannando assolutamente e rifiutando la violenza indiscriminata commessa dagli ebrei contro chiunque, ovunque. Quello che è successo [a Huwara] non deve mai, mai più accadere”.

(moked, 28 febbraio 2023)

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Mondiale, destinazione Giakarta

Quella di Cristiano Ronaldo sembra una stella declinante. Dopo cinque palloni d'oro e innumerevoli trofei sollevati nel corso di una carriera con pochi termini di paragone nella storia del calcio, la decisione di accettare l'offerta "monstre" giuntagli dall'Arabia Saudita pare averne declassato l'appeal internazionale. Non certo in Medio Oriente, però, dove l'acronimo CR7 è popolare come non mai. Per la gioia dei tifosi dell'A1 Nassr, la sua nuova squadra.
  Secondo l'emittente israeliana Kan tra quanti starebbero pensando di "sfruttarne" l'immagine vi sarebbe anche il ministero degli Esteri di Gerusalemme, intenzionato a farne il possibile ambasciatore di una prossima "normalizzazione" dei rapporti tra lo Stato ebraico e Riad nel solco degli Accordi di Abramo stipulati finora con varie realtà del mondo arabo. Ancora una ipotesi, viene sottolineato, ma attorno alla quale si starebbero innescando delle riflessioni. Anche perché, a detta di vari osservatori, il negoziato tra i due governi starebbe procedendo con profitto, per quanto con tempi di formalizzazione ancora incerti.
  Non è una novità comunque che Israele e Arabia Saudita vedano i propri nomi affiancati in progetti legati allo sport e in particolare al calcio, passione comune ad entrambi i popoli. Come la possibile candidatura congiunta per ospitare i Mondiali del 2030, in un ticket che vede la presenza anche di Emirati Arabi ed Egitto.
  Fu Pagine Ebraiche, la scorsa estate, a svelare questa eventualità ancora embrionale ma comunque suggestiva. Chissà che non possa riaccendersi con CR7 come ambasciatore di un eventuale accordo.
  La Israele del pallone "incontrerà" intanto il mondo islamico in un appuntamento di fine primavera sul quale vari riflettori si accenderanno a breve, anche per le sue implicazioni non solo sportive ma anche geopolitiche: il campionato mondiale Under 20 che si svolgerà in Indonesia dal 20 maggio all'11 giugno prossimi, con la partecipazione anche dell'Italia. La squadra israeliana ci arriva in virtù dello straordinario risultato conseguito appena pochi mesi fa, con un secondo posto agli Europei di Slovacchia che ha fatto gridare all'impresa (solo l'Inghilterra l'ha battuta in finale).
  Ventiquattro le compagini in lizza, da tutti e sei i continenti. Attenzione fin da adesso ad alcuni incroci "pericolosi" nel calendario. In marzo si sapranno infatti i nomi delle quattro squadre che spettano all'Asia: le semifinaliste cioè dell'Asian Cup che si terrà in Uzbekistan dal primo al 18 del mese. Tra le 16 partecipanti nemici di lungo corso dello Stato ebraico come Iran e Siria. Viene da chiedersi, in caso di qualificazione, quale sarà l'atteggiamento delle rispettive federazioni nazionali. Se vi sarà ad esempio un'azione nel segno del boicottaggio come è già capitato di vedere in altri contesti (persino alle Olimpiadi).
  Una veemente contestazione al diritto stesso di Israele a partecipare è d'altronde in corso nella stessa Indonesia, dove la pressione di gruppi propal continua a farsi sentire ad ogni livello. E dove ad alzare la voce è stato tra gli altri il consiglio nazionale degli ulema, noto per le sue posizioni ultraconservatrici, che ha chiesto al governo di Giakarta di "valutare tutte le possibili conseguenze". Un invito, insomma, a bloccare la partecipazione d'Israele al Mondiale. Per il momento il governo sembra irremovibile e non disposto ad assecondare una posizione contraria non soltanto alla decenza e ai valori dello sport ma anche alle regole statutarie della Fifa, con il rischio di veder compromessa ogni credibilità e di andare incontro a pesanti sanzioni. Non sarebbe la prima volta, fa notare il Jakarta Post (testata in lingua inglese che sulla vicenda ha assunto una chiara posizione: "Shalom to Israeli team"). Nel 1958 l'Indonesia fu estromessa dalle qualificazioni al Mondiale per essersi rifiutata di giocare contro il team israeliano. Nel 1962 un nuovo caso, sanzionato dal Comitato Olimpico Internazionale. Mentre nel 2006 la federazione tennistica fu multata e a un passo dall'estromissione dalla scena per il suo rifiuto a partecipare alla Fed Cup a Tel Aviv. Negli ultimi anni qualcosa sembra essere cambiato. E in questa direzione vanno le parole di alcuni esponenti del governo, che hanno evidenziato come non vi sia motivo per ostracizzare la presenza d'Israele al Mondiale, soprattutto "nel contesto di una competizione organizzata dalla Fifa".

(Pagine Ebraiche, febbraio 2023)

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Israele riconquista le attenzioni dei turisti italiani. Nuove iniziative per il trade

Kalanit Goren Perry
Israele punta sulla varietà dell’offerta per la riconquista totale dei turisti italiani. “La ripresa c’è e siamo soddisfatti perché stiamo tornando ai numeri del 2019, la tendenza è assolutamente positiva – commenta Kalanit Goren Perry, direttrice in Italia dell’Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo -. Dopo momenti di alti e bassi, il mercato italiano  si conferma quinto a livello mondiale, con una discreta componente importante di repeater, anche grazie alla collaborazione del trade e alla fiducia verso la nostra offerta”
  Un elemento significativo è “la richiesta di nuovi prodotti come il deserto di Negev, Eilat o Nazareth. Oltre ai viaggiatori spirituali, stiamo puntando su nuovi target, interessati al contatto con la realtà locale e la natura, all’arte e lgtb. Inoltre, è partita la nuova campagna sul digitale, che ha l’obiettivo di rilanciare Gerusalemme e Tel Aviv quali mete ‘come nessun’altra al mondo’”.
  A favore della destinazione spicca l’ampia stagionalità, l’offerta alberghiera  in evoluzione e diversificata su tutto il territorio e all’apertura di nuove attrazioni e musei, eventi  e mostre e cammini, nonostante sia un paese piccolo.
  Novità per il rapporto con il trade, per il quale è previsto un fitto calendario di appuntamenti e nuovo modello di incentivi per stimolare e supportare l’attività di tour operator e compagnie aeree dedicato anche ai paesi stranieri.

(Travel Quotidiao, 27 febbraio 2023)

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Pfizer rivela: i vaccini sulle donne in gravidanza approvati senza sperimentazione

di Giorgia Audiello

Il colosso farmaceutico Pfizer non ha portato a termine gli studi clinici randomizzati riguardanti gli effetti del vaccino anti-Covid sulle donne in gravidanza e che allattano e, dunque, non dispone dei dati sufficienti per poter ritenere il farmaco sicuro durante la gestazione. È quanto emerge da un’indagine condotta dalla giornalista d’inchiesta australiana Maryanne Demasi che ha interpellato direttamente i rappresentanti della Pfizer. L’azienda ha spiegato di non aver potuto concludere i trial per mancanza di volontarie, ma, nonostante ciò, il farmaco è stato comunque raccomandato dalle agenzie regolatorie del farmaco – l’EMA europea e la FDA statunitense – che pure erano al corrente del fatto che mancassero i dati necessari per poter raccomandare il vaccino. Pfizer, infatti, ha ammesso che la Food and Drug Administration americana e l’Agenzia europea del farmaco erano al corrente del fatto che l’azienda non stesse effettuando sperimentazioni «perché il numero di donne partecipanti era molto basso».
  Ma questo non è l’unico motivo per cui Pfizer ha interrotto i test clinici: lo stesso colosso, infatti, ha spiegato in una mail inviata a Demasi che proseguire con i trial non aveva più senso, dal momento che le agenzie regolatorie avevano già garantito sia ai ginecologi che alle pazienti la sicurezza della vaccinazione a mRNA: «Questo studio è stato promosso prima della disponibilità o della raccomandazione per la vaccinazione COVID-19 nelle donne in gravidanza. L’ambiente è cambiato durante il 2021, quando i vaccini COVID-19 sono stati raccomandati dagli organismi di raccomandazione applicabili (ad es. ACIP negli Stati Uniti) per le donne incinte in tutti i paesi partecipanti/pianificati e, di conseguenza, il tasso di iscrizione è diminuito in modo significativo. Con il calo delle iscrizioni, lo studio aveva una dimensione del campione insufficiente per valutare l’obiettivo primario di immunogenicità e la continuazione di questo studio controllato con placebo non poteva più essere giustificata a causa delle raccomandazioni globali», si legge nella mail.
  Prima dell’avvio, annunciato da Pfizer nel 2021, dei test randomizzati mai conclusi, l’azienda aveva studiato l’effetto del siero solo su femmine di ratto gravide, come si è appreso da una richiesta di accesso agli atti presentata al regolatore dei farmaci australiano nel 2021. Gli animali coinvolti nello studio erano appena 44: a metà fu iniettato il farmaco a mRNA e a metà un placebo. In base ai risultati dello studio è stato possibile rilevare che «il vaccino ha portato a un raddoppio statisticamente significativo della perdita fetale (9,77% nel gruppo trattato con mRNA e 4,09% in quello che aveva ricevuto il placebo), ma Pfizer ha concluso che la differenza tra i due gruppi non era biologicamente significativa», scrive Demasi dopo aver visionato la documentazione.
  Il ricercatore di politiche pubbliche presso la Johns Hopkins University, Marty Makary, ha chiesto che almeno vengano forniti i dati della sperimentazione condotta sulle 349 donne volontarie, nonostante l’esiguità del campione: «Dovrebbero dire qualcosa, hanno il dovere morale di parlare. Eccoci qui, 18 mesi dopo, i risultati di quelle 349 donne non sono mai stati resi pubblici», ha protestato il ricercatore. Ha inoltre aggiunto che «L’hanno consigliato alle donne incinte con zero dati. E forse è per questo che [la Pfizer] ha interrotto lo studio. L’esecuzione di uno studio rischia di dimostrare che potrebbero non esserci benefici nelle donne in gravidanza».
  A ben guardare la posizione delle agenzie regolatorie del farmaco risulta addirittura più grave di quella della Pfizer, in quanto EMA e FDA, il cui compito è proprio quello di vigilare sulla sicurezza dei farmaci e sugli studi condotti su di essi, hanno autorizzato e raccomandato il siero alle donne in gravidanza e allattamento, nonostante sapessero che lo stato dei test era assolutamente incompleto. La Pfizer, invece, non ha mai raccomandato la vaccinazione di questa fascia di popolazione perché non disponeva dei dati sufficienti. La conclusione è, dunque, che milioni di future madri hanno inconsapevolmente fatto da cavie per un farmaco ancora in fase di sperimentazione e alcune di loro potrebbero anche avere subito effetti avversi. 

(L'Indipendente, 28 febbraio 2023)

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Israele: esplode la violenza. Uccisi 3 israeliani e 1 palestinese. Herzog condanna l’attacco nella città araba di Huwara

E’ altissima la tensione in Israele. Domenica 26 febbraio un terrorista ha ucciso nella città due fratelli israeliani, Hallel Yaniv, 21 anni, e Yagel Yaniv, 19 anni, sparando a distanza ravvicinata contro la loro auto sull’autostrada Route 60. Poche ore dopo, molti coloni hanno attaccato la città palestinese di Huwara, dove era avvenuto l’uccisione, incendiando case e automobili. Un uomo palestinese in una città vicina è stato ucciso da presunti colpi di arma da fuoco israeliani durante i disordini, anche se le circostanze sono rimaste poco chiare quasi 24 ore dopo.
  Lunedì 27 febbraio in un altro attacco terroristico vicino a Gerico,  è rimasto ucciso un uomo israeliano-americano, Elan Ganeles, 27 anni, un veterano delle forze di difesa israeliane originario di West Hartford, nel Connecticut. Secondo l’IDF, diversi uomini armati sono arrivati in auto sull’autostrada Route 90, vicino alla base militare di Nevo, e hanno aperto il fuoco contro un veicolo di proprietà israeliana. I terroristi hanno poi continuato a guidare e hanno aperto il fuoco contro un’altra auto vicino all’incrocio di Beit Ha’arava, prima di continuare e sparare a una terza auto nelle vicinanze, ha detto l’IDF.

• Una violenza criminale contro innocenti
  “Israele è un paese di leggi e ne siamo orgogliosi. I nostri principi e le nostre basi come nazione e paese sono totalmente contrari a qualsiasi attacco contro innocenti”. Con queste parole il presidente israeliano Isaac Herzog ha condannato lunedì 27 febbraio in una nota la “furia crudele e violenta” dei coloni nella città di Huwara in Cisgiordania avvenuta poche ore dopo l’uccisione dei due fratelli israeliani, Hallel Yaniv, 21 anni, e Yagel Yaniv, 19 anni.
  “Condanno fermamente la furia crudele e violenta contro gli abitanti di Huwara ieri. Questo non è il nostro modo di agire. È una violenza criminale contro innocenti”, ha detto. “Danneggia lo Stato di Israele, danneggia noi, danneggia i coloni. Danneggia le forze di sicurezza che sono impegnate a cercare i responsabili dell’attacco terroristico e, soprattutto, danneggia noi come società morale e paese legittimo”.
  Alludendo alle divisioni politiche, Herzog ha affermato che Israele “non sta attraversando giorni semplici”. Ha esortato sia i leader politici che i cittadini ad agire con “responsabilità” e a “seguire la legge e consentire alle forze di sicurezza di svolgere il proprio lavoro”
  “Il terrore non ci vincerà. La violenza e l’odio non ci vinceranno – ha detto -. La nostra fede nella rettitudine del nostro cammino, la nostra moderazione, la nostra resilienza nazionale, la forza delle famiglie in lutto e il sostegno dell’IDF e delle forze di sicurezza – rimarranno la fonte della nostra forza, al di sopra di tutti i disaccordi e contro qualsiasi nemico ,” Ha aggiunto.
  Commentando l’attacco terroristico di domenica, Herzog ha detto che “tutti i nostri cuori sono stati lacerati da un dolore terribile” dopo la sparatoria, che ha causato la morte di “due dei nostri ragazzi più puri… solo perché erano ebrei, solo perché erano israeliani”.
  “La nostra fede nella rettitudine del nostro cammino, la nostra moderazione, la nostra resilienza nazionale, la forza delle famiglie in lutto e il sostegno dell’IDF e delle forze di sicurezza – rimarranno la fonte della nostra forza, al di sopra di tutti i disaccordi e contro qualsiasi nemico ,” ha aggiunto.

(Bet Magazine Mosaico, 28 febbraio 2023)


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Strage a Gerusalemme, almeno 42 arresti. A Jenin e Gaza festa nelle strade. Hamas: “Atto eroico”

Almeno 42 persone sono state arrestate dalla polizia in seguito all'attentato terroristico di ieri sera davanti ad una sinagoga di Gerusalemme. Lo ha reso noto la polizia spiegando che gli arrestati - fra cui membri della famiglia dell'attentatore - sono tutti residenti del quartiere di a-Tur, a Gerusalemme est. L'esercito e la polizia, in conseguenza dell'attentato in cui sono rimasti uccisi sette civili israeliani, hanno elevato lo stato di allerta in tutto il Paese, con ulteriori spiegamenti di forze in Cisgiordania ed il presidio di luoghi pubblici in Israele. «Un’azione eroica che rappresenta una conferma di come continuerà la resistenza in tutti i Territori occupati». Così il portavoce del movimento islamico palestinese di Hamas, Hasem Kassem, ha elogiato l'attacco condotto questa mattina da un palestinese di 13 anni nella zona archeologica di Silwan, a Gerusalemme, nel quale sono rimaste ferite due persone. «L'azione eroica a Silwan è la conferma che la resistenza continuerà in tutti i territori occupati ed è una risposta ai crimini commessi dall'occupante contro il nostro popolo nei luoghi sacri», ha detto Kassem.

• Un altro attacco fuori da una sinagoga a Gerusalemme est, due persone ferite
  Un uomo armato ha aperto il fuoco a Gerusalemme est, ferendo almeno due persone. Lo riferisce il servizio di soccorso israeliano, che ha identificato i feriti come due uomini, di 23 e 47 anni, padre e figlio, che sarebbero entrambi in gravi condizioni. L’assalitore è stato neutralizzato. Sono stati colpiti «'nella parte alta del corpo»'. Lo riferiscono i paramedici giunti sulla scena dell'attacco e citati dal Jerusalem Post. «Siamo arrivati rapidamente sulla scena e abbiamo visto le vittime. Erano pienamente coscienti e hanno subito ferite da arma da fuoco nella parte superiore del corpo», ha detto il paramedico Fadi Dekidak. «Li abbiamo trasferiti rapidamente in un'unità di terapia intensiva e li abbiamo evacuati con cure mediche salvavita all'ospedale Shaare Zedek», ha aggiunto. La polizia e le forze dello Shin Bet sono arrivate sul posto in pochi minuti dopo l'allerta della polizia. L'aggressore, un ragazzino di 13 anni, è stato ucciso. Maariv afferma che sono in corso ricerche nell'area per valutare se l'uomo avesse complici.

• La condanna degli Usa
  La Casa Bianca condanna «fermamente l'odioso attacco terroristico che ha avuto luogo questa sera in una sinagoga di Gerusalemme», «siamo scioccati e rattristati dalla perdita di vite umane». Un attentato «tragicamente avvenuto durante la Giornata internazionale della memoria dell'Olocausto». E' quanto si legge in una nota. «Gli Stati Uniti estenderanno il loro pieno sostegno al governo e al popolo di Israele».
  Un «attacco al mondo civilizzato»: così il presidente Usa Joe Biden ha definito l'attentato che ha preso di mira una sinagoga provocando sette morti. Biden ha chiamato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per assicurargli il sostegno e ricordando «l’impegno degli Stati Uniti per la sicurezza di Israele» come si legge in un comunicato alla Casa Bianca. 
   Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha condannato fermamente «l'attacco terroristico perpetrato da un palestinese davanti a una sinagoga di Gerusalemme», un attacco che finora ha provocato la morte di sette persone. Guterres ha sottolineato come «particolarmente odioso» che questo attacco abbia preso di mira un luogo di culto e «lo stesso giorno in cui viene commemorato il Giorno della Memoria dell'Olocausto ebraico». Poi ha aggiunto che «non c'è mai una scusa per gli attacchi terroristici: devono essere tutti chiaramente condannati e respinti». Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha rilevato che, quello accaduto in serata a Gerusalemme Est, è stato «uno dei peggiori attacchi degli ultimi anni».
  «Penso alle vittime dell'attacco perpetrato ieri contro una sinagoga a Gerusalemme, ai loro cari, al popolo israeliano. Ferma condanna per questo atto odioso. La spirale della violenza va evitata ad ogni costo». lo scrive in un tweet il presidente francese, Emmanuel Macron. 

• Festa nelle strade a Gaza e Jenin
  Mentre a Gerusalemme si contano i morti dell'attentato, a Jenin, in Cisgiordania, la notizia dell'attacco è stata celebrata con «fuochi d'artificio e spari in aria». In diverse località della Striscia di Gaza decine di palestinesi si sono riuniti in manifestazioni spontanee per celebrare l'attacco a Gerusalemme. Celebrazioni simili sono state segnalate nella città di Ramallah, in Cisgiordania.
  L'attacco segue giorni di violenza in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. E le tensioni sono aumentate ulteriormente giovedì mattina, quando un raid delle truppe israeliane in Cisgiordania contro una cellula terroristica ha provocato la morte di almeno nove palestinesi. La reazione, nella notte di giovedì, è stato il lancio di numerosi razzi da Gaza, a cui Israele ha reagito con raid aerei. Venerdì la tensione è stata alta anche a Gerusalemme e sul Monte del Tempio, anche se le preghiere dei musulmani sono andate avanti senza problemi. Per il governo Netanyahu, insediato da qualche settimana appena, si preannunciano giornate complicate. 

• Gli sposi uccisi mentre aiutavano i feriti 
  Tra i sette israeliani uccisi ieri da un attentatore palestinese nelle vicinanze di una sinagoga di Gerusalemme c'è anche una coppia di sposi: Eli (48 anni) e Natalie (45) Mizrahi. Il padre di Eli, Shimon Mizrahi, ha detto alla televisione che i due erano nel loro appartamento quando hanno sentito i primi spari. «Si sono lanciati in strada per soccorrere i feriti e non hanno notato il terrorista che era fermo accanto ad una automobile in sosta. Questi ha sparato loro a bruciapelo, uccidendoli sul posto». Le vittime dell'attentato sono ebrei ortodossi. In base alla ortodossia ebraica, i loro funerali dovrebbero avere luogo al termine del riposo sabbatico, nella nottata di oggi.

(La Stampa, 28 febbraio 2023)


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Le quattro crisi che assediano Israele

di Ugo Volli

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E’ un momento estremamente difficile per Israele, dove si sovrappongono, si incrociano e si aggravano a vicenda quattro diverse crisi. Per Bibi Netanyahu, che ha il compito di guidare il paese in questo tempo, si tratta dell’impegno più difficile della sua lunga carriera politica. Al di là delle posizioni politiche, chi ama Israele non può non augurarsi che ce la faccia.

• La prima crisi: l’Iran
  I giornali e anche i cuori sono pieni dell’emergenza terrorismo, ma la prima crisi, la più vasta e la più pericolosa è quella determinata dall’armamento iraniano. La Commissione Atomica dell’Onu ha reso pubblico qualche giorno fa il fatto che l’Iran è riuscito ad arricchire l’uranio all’84%. Il grado di arricchimento dell’uranio necessario per innescare la reazione a catena che fa funzionare una bomba atomica è del 90%. Per la Cia all’Iran basterebbero un paio di settimane per arrivarci. Si è anche saputo di recente che in cambio del sostegno nell’invasione dell’Ucraina, la Russia ha accettato di fornire all’Iran 24 dei suoi aerei più avanzati, i SU-35. Probabilmente i prossimi mesi sono l’ultimo momento per impedire agli ayatollah di diventare una potenza nucleare, rovesciando la bilancia del potere in Medio Oriente. Per farlo Israele ha bisogno di tutte le sue forze e dell’appoggio degli Usa, che sono titubanti dato che l’amministrazione Biden è tradizionalmente filo-iraniana ed è impegnata sul fronte ucraino e potenzialmente su quello cinese. Netanyahu deve fare tutto il possibile per ottenere questo appoggio, anche in vista della ricaduta della crisi, che sarebbe grave anche se il bombardamento degli impianti nucleari iraniani andasse bene.

• La seconda crisi: il terrorismo palestinese
  Certamente ispirato e appoggiato dall’Iran, il terrorismo non conosce soste e cresce da alcuni anni. Gli attacchi con le pietre sono passati dai 3805 del 2019 ai 7589 dell’anno scorso; quelli con molotov da 839 a 1268, con armi da fuoco da 19 a 285 (dati dell’IDF). L’anno nuovo sta battendo tutti i record e purtroppo le vittime innocenti da lamentare sono parecchie. Vi sono basi terroriste ormai ben stabilite a Jenin a Shehem (Nablus) con centinaia di uomini. Le consultazioni tenute nei giorni scorsi ad Aqaba per “de-scalare” la situazione non hanno cambiato la situazione. Gli Usa pretendono che Israele smetta di aiutare gli insediamenti in Giudea e Samaria e di far entrare le forze dell’ordine nelle città arabe per arrestare i terroristi. Ma questo non è possibile di fronte all’intensificarsi del terrorismo e del resto vi sono forti segnali di sofferenza da parte della popolazione bersagliata dalla violenza terrorista, come si è visto nelle reazioni all’attentato di Huwara in cui sono stati uccisi i due fratelli Hillel e Yagel Yeniv. Molti politici di tutti i partiti hanno ammonito che non bisogna farsi giustizia da sé; ma ciò richiede un maggiore impegno antiterrorismo delle forze armate, non un loro freno. Il governo ha approvato una legge sulla pena di morte per i terroristi, che però ha incontrato il parere negativo del Procuratore generale Gali Baharav-Miara, nominata dal governo Lapid e contraria in genere alle politiche di Netanyahu.

• La terza crisi: la politica interna di Israele e la riforma della giustizia
  Il governo attuale è il risultato di elezioni tenute appena quattro mesi fa, dopo che il precedente governo uscito dall’assortimento molto disomogeneo dei nemici di Netanyahu era collassato da solo. Quello costituito da Netanyahu è un governo politico con un mandato elettorale molto preciso: riforma della giustizia, sostegno agli insediamenti e ai settori haredì, cambiamenti nella gestione dello stato, provvedimenti sociali. L’opposizione però non ha accettato il risultato delle elezioni e cerca di contrapporre ai provvedimenti della maggioranza una mobilitazione di piazza condotta in toni estremi e con modalità violente. Si è cercato di impedire ai deputati di votare, si è accusata in piena Knesset la maggioranza attuale di essere “come Hitler”. C’è un braccio di ferro in corso che al di là del giudizio sui singoli provvedimenti non rientra nella normale dialettica democratica e indebolisce fortemente il paese. Se la protesta prevalesse, si aprirebbe una crisi politica drammatica, perché certamente non sarebbe possibile riproporre la vecchia coalizione suicidatasi l’anno scorso, né tentare un’alleanza con i partiti arabi che in sostanza sostengono il terrorismo.

• La quarta crisi: l’economia e i prezzi
  Israele vive un momento difficile anche per l’inflazione e il valore dello shekel, che hanno dato segnali preoccupanti e che rendono difficile la vita dei ceti meno abbienti. In realtà l’economia israeliana è prospera, una delle meno colpite in assoluto dalla crisi che viene dal Covid e dalla guerra; ma vi è una forte speculazione politica su questo piano, perché alcuni settori imprenditoriali allineati con l’opposizione hanno scelto di proclamare il proprio disimpegno dal paese in seguito al conflitto politico interno. Naturalmente non c’è rapporto fra carovita e riforma della giustizia. Ma anche questo è un punto di crisi.

• L’intreccio delle crisi
  E’ chiaro che il terrorismo è funzionale all’Iran e che per ottenere l’appoggio degli Usa Israele deve limitare la propria autodifesa, scontentando parte dei partiti della maggioranza e i loro sostenitori, ma soprattutto le comunità più esposte agli assalti palestinesi. La crisi della giustizia si riflette sull’attività del governo sia per l’atteggiamento della Corte Suprema e del Procuratore Generale che in genere frenano lo sviluppo degli insediamenti in Giudea e Samaria e la possibilità di autodifesa delle forze dell’ordine e della comunità. Chi guida la protesta di piazza, intensa e molto diffusa cerca di paralizzare l’attività del governo e della Knesset, e quando ci riesce si giova anche la carta della minaccia economica, e dell’appello agli Stati Uniti “in difesa della democrazia”, che è un evidente pretesto, come dimostra la stessa presenza indisturbata delle manifestazioni.

• La speranza
  Diverse voci, fra cui quella del presidente Herzog, si sono alzate per invocare unità nazionale e responsabilità da parte di tutti. Ma la strada non può essere quella della rinuncia ad attuare il programma di governo, perché questo porterebbe a una pericolosa crisi dell’esecutivo e alla mancanza di un progetto politico, che oggi è essenziale. Bisogna invece sperare che l’esperienza e la saggezza politica di Bibi Netanyahu sappiano sciogliere il nodo delle crisi e far crescere la sicurezza e la prosperità di Israele.

(Shalom, 28 febbraio 2023)

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L’antisemitismo cresce e cavalca i complotti su Telegram

Nel 2022 più episodi in Svizzera, sia sul web sia nella vita reale. Sotto accusa la mancanza di moderazione delle chat sul servizio di messaggistica

Il numero di episodi antisemiti in Svizzera è aumentato nel 2022. Lo evidenzia l’ultima indagine sul tema, secondo cui di molti casi è responsabile una sottocultura ossessionata dalle teorie del complotto. Lo Stato deve intervenire contro i messaggi di odio su Telegram, chiedono inoltre gli autori.
  Stando al rapporto sull’antisemitismo per il 2022, pubblicato oggi, l’anno scorso sono stati registrati 910 incidenti, di cui 853 sul web (+6%). Altri 57, contro i 53 del 2021, si sono invece verificati nella vita reale.
  Da notare come il sondaggio, condotto dalla Federazione svizzera delle comunità israelite e dalla Fondazione contro il razzismo e l’antisemitismo, si sia concentrato sulle regioni tedescofone, italofone e romance del Paese. Per la Romandia, una statistica a parte è invece stata confezionata dal Coordinamento intercomunitario contro l’antisemitismo e la diffamazione (Cicad), che riferisce di 562 casi nel 2022.
  Dal rapporto odierno emerge come il 75% degli episodi osservati online sia da far risalire al servizio di messaggistica Telegram. Si tratta di una notevole crescita in termini percentuali rispetto al 2021, quando tale quota si era fermata al 61%. Le ragioni di tale incremento sono da un lato la mancanza di moderazione e sanzioni da parte dei gestori della piattaforma, carenze già criticate negli anni precedenti. Dall’altro, a colpire è la forte attività ininterrotta su questo palcoscenico, scrivono gli autori.
  In passato si era già giunti alla conclusione che la pandemia avesse dato una spinta alle teorie cospirative antisemite. Dall’opposizione alle misure statali anti-Covid, in Svizzera è nata una sorta di sottocultura fissata con convinzioni cospirative di ogni genere, un fenomeno che la guerra in Ucraina non ha fatto altro che alimentare. Secondo l’indagine, ciò che accomuna i membri di questi gruppi è la persuasione che dietro a tutto ci sia un potere segreto che vuole dominare, schiavizzare o sterminare l’umanità. Tale potere segreto viene inteso come una piccola élite dai molti volti e viene subito fatto il collegamento con gli "ebrei", spiegano gli autori.
  Nel mondo reale nel 2022 è avvenuto poco più di un incidente antisemita alla settimana, in primis dichiarazioni, insulti o diffamazioni. Per la prima volta dal 2018 è però stata segnalata pure un’aggressione: in febbraio, a Zurigo, un uomo ebreo che indossava la kippah – il copricapo circolare distintivo della religione, fra le altre cose obbligatorio nei luoghi di culto – si è visto lanciare alle spalle un vasetto di yogurt da quattro giovani.
  Gli artefici della relazione chiedono poi un coinvolgimento dello Stato nel monitoraggio di antisemitismo e razzismo. A loro giudizio infatti questi compiti non possono essere di esclusiva responsabilità di organizzazioni e associazioni non governative.
  Concretamente, andrebbero esaminati gli strumenti legali per censire e contenere i discorsi d’odio. I politici dovrebbero influenzare social media e piattaforme, Telegram su tutti, per impedire la diffusione di questi messaggi contro le minoranze. Inoltre, il parlamento dovrebbe mettere al bando i simboli nazisti.

(laRegione, 28 febbraio 2023)

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Roger Waters, cancellato il concerto a Francoforte: «È il più famoso antisemita»

La città tedesca ha annullato il suo show previsto per il prossimo 28 maggio.

La città di Francoforte ha cancellato il concerto dell’ex Pink Floyd Roger Waters in programma il prossimo 28 maggio, chiamandolo «l’antisemita più conosciuto al mondo». Alla base dell’annullamento ci sono infatti le note posizioni pro Palestina e anti Israele del musicista 79enne che si è più volte espresso in modo controverso sulla questione, paragonando il governo di Tel Aviv all’apartheid sudafricano e anche al nazismo. In passato, durante i concerti, Waters ha anche fatto discutere per aver liberato in aria palloncini a forma di maiale con la stella di David impressa sopra.
  Oltre alle accuse di odio verso Israele, l’artista è stato inoltre criticato per alcune dichiarazioni relative alla guerra in Ucraina, in particolare quando davanti al Consiglio di sicurezza dell’Onu ha difeso Vladimir Putin, affermando di condannare «l’invasione, ma anche chi l’ha provocata».
  A prendere posizione contro Roger Waters è stata di recente anche Polly Samson, co-autrice di alcuni testi dei Pink Floyd nonché moglie dell’ex compagno di band David Gilmour: «Sfortunatamente Roger Waters sei antisemita fino al midollo. Sei anche un apologeta di Putin e un bugiardo, un ladro, un ipocrita, uno che elude le tasse e canta in playback, un misogino, un invidioso patologico, un megalomane. Ne abbiamo abbastanza delle tue c.», ha scritto Samson su twitter. Waters ha reagito accusandola di «giudizi scorretti» e Gilmour (con cui da anni non scorre buon sangue) a sua volta è intervenuto replicando che quel che dice la moglie è «tutto vero e verificabile».
  L’annullamento del concerto di Francoforte è stato salutato con favore dalla Comunità ebraica della città. Il Consiglio centrale degli ebrei in Germania ha anche detto che la decisione «dimostra che l’antisemitismo nell’arte e nella cultura non deve essere tollerato», invitando a considerare questa cancellazione come «un segnale per tutte le altre sedi del tour tedesco di Roger Waters».

(Corriere della Sera, 28 febbraio 2023)

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Israeliani uccisi in un attacco a Huwara in Cisgiordania, scoppia la rabbia dei coloni: un palestinese morto e due feriti

Avevano 21 e 22 anni ed erano fratelli i coloni uccisi. In serata, l'escalation di violenza. Il premier Netanyahu: "Fermatevi"

Due fratelli israeliani sono stati uccisi nella cittadina di Huwara in Cisgiordania. Hillel, 21 anni, e Yagal, 22, Yaniv erano residenti del vicino insediamento di Har Bracha, studiavano nel collegio rabbinico locale. Uno aveva appena terminato il servizio di leva, mentre l'altro stava per iniziarlo. Sono stati raggiunti dai colpi sparati da un palestinese contro l'auto a bordo della quale viaggiavano. L'uomo si è poi dato alla fuga. Trasportati in elicottero in ospedale, sono morti per le ferite riportate. I militari israeliani hanno lanciato una caccia all'uomo per trovare il responsabile dell'attacco, riporta Times of Israel.
  Una dichiarazione congiunta del primo ministro, Benjamin Netanyahu, e del suo ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha confermato che "due civili israeliani sono stati uccisi in un attacco terroristico palestinese" nel Nord della Cisgiordania. "La nostra risposta al terrorismo è combatterlo con forza e rafforzare le nostre radici nella nostra terra", ha dichiarato Netanyahu.
  Nel frattempo - riferisce la agenzia di stampa palestinese Wafa - gruppi di coloni hanno compiuto attacchi contro proprietà di palestinesi. Danni materiali sono stati registrati a Huwara, Burin e Qaryut. Un contadino palestinese è rimasto ferito, secondo l'agenzia. L'esercito israeliano - che nella zona di Nablus è ancora impegnato nelle ricerche degli attentatori - non ha ancora commentato queste informazioni.

• I colloqui ad Aqaba
  L'attacco arriva a pochi giorni dalla morte di dieci palestinesi a Nablus e  mentre ad Aqaba, in Giordania, sono in corso colloqui tra israeliani e palestinesi, con egiziani e giordani, su pressione Usa per allentare le tensioni. Alti ufficiali della difesa israeliana incontreranno dei rappresentanti dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) nel tentativo di abbassare l'attuale tensione in Cisgiordania e impedire nuove escalation.
  Per Israele, secondo le stesse fonti, dovrebbero esserci il capo dello Shin Bet (Sicurezza interna), Ronen Bar, e il Consigliere della sicurezza nazionale, Tzachi Hanegbi. Da parte palestinese stretti collaboratori del presidente Abu Mazen, tra cui il capo dell'intelligence, Majed Faraj, il segretario dell'Olp, Hussein a-Sheikh, il consigliere Majdi al-Khaldi e il portavoce presidenziale, Nabil Abu Rudeinah.

• La rabbia dei coloni israeliani
  La diplomazia non è però bastata e in serata è scoppiata la rabbia di decine di coloni israeliani, che hanno appiccato il fuoco a proprietà palestinesi e, secondo il ministero della Salute palestinese, nell'ambito di questi disordini un palestinese è stato ucciso a Zatara, cittadina a sud di Huwara. Lo riporta Times of Israel precisando che non si sa se l'uomo sia stato colpito dai coloni o dalle truppe israeliane durante gli scontri.
  Diversi incendi dolosi di automobili, di negozi e anche di edifici sono segnalati in serata a Huwara (Nablus) nel luogo dell'attentato ai due fratelli. Lo riferisce l'agenzia di stampa palestinese QudsNews secondo cui le fiamme sono state appiccate da coloni ebrei. La Mezzaluna Rossa - aggiunge l'agenzia -, ha reso noto che un centinaio di palestinesi sono rimasti contusi o intossicati a Huwara in scontri con coloni e con l'esercito. Un palestinese, secondo la Mezzaluna Rossa, è stato ferito da una pugnalata ed una persona malata di diabete ha perso conoscenza a causa dei gas lacrimogeni. Mezzi di soccorso palestinesi sono stati attaccati a sassate, secondo fonti locali. L'esercito israeliano non ha ancora commentato questi incidenti.

• L'appello di Netanyahu
  Col diffondersi delle drammatiche immagini di edifici in fiamme a Huwara, il premier Benyamin Netanyahu ha lanciato un appello ai coloni autori di quei raid. "Il sangue ribolle, gli animi sono accesi - ha detto loro - ma nessuno ha il diritto di prendere la legge nelle proprie mani". Il presidente Abu Mazen ha condannato "gli attacchi terroristici dei coloni". Al Fatah sta facendo appello alla mobilitazione popolare.

(la Repubblica, 27 febbraio 2023)
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Purtroppo oggi si devono registrare altri due attentati a colpi di arma da fuoco; nel primo, all’importante incrocio stradale tra Gerico ed il Mar Morto, un 25enne è stato ferito gravemente e trasportato d’urgenza all’ospedale Hadassah di Gerusalemme. Nel secondo avvenuto nei pressi dello stesso luogo, una famiglia in auto non è stata colpita.
Dalla lettura del comunicato dell’incontro di Aqaba sembra, tuttavia, che si sia più di fronte ad una dichiarazione di intenti che ad un cambiamento reale della situazione. E.S.A.

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Per la prima volta, un padiglione israeliano alla International Defense Exhibition & Conference di Abu Dhabi

di David Fiorentini

Un tempo poteva sembrare assurdo che Israele e un Paese arabo collaborassero nello sviluppo della tecnologia militare. Grazie agli Accordi di Abramo ciò è divenuto realtà, per la prima volta Israele ha partecipato alla International Defense Exhibition & Conference di Abu Dhabi.
  Nell’ambito degli sforzi congiunti per rafforzare le relazioni con i Paesi degli Accordi di Abramo, la SIBAT, la Direzione per la cooperazione internazionale in materia di difesa del ministero della Difesa israeliano, ha inaugurato il primo padiglione negli Emirati Arabi Uniti (nella foto).
  La IDEX è la più grande esposizione di armi e tecnologie di difesa del Medio Oriente, coinvolgendo le più importanti aziende del settore, dalla ricerca e sviluppo fino alla costruzione e la vendita.
  Un’importante pietra miliare per le relazioni diplomatiche dello Stato ebraico, spiega il Brig. Gen. Yair Kulas, leader della SIBAT. “Siamo orgogliosi di presentare e condividere le tecnologie e i sistemi innovativi sviluppati e creati dalle industrie israeliane e dal Ministero della Difesa israeliano. Abbiamo in programma diversi incontri durante la fiera per discutere di nuove aree di collaborazione e siamo fiduciosi di rafforzare la futura cooperazione con i nostri partner negli Emirati Arabi Uniti”, ha dichiarato.
  Oltre 30 aziende israeliane leader nel settore della difesa hanno preso parte al padiglione, mettendo in mostra le loro soluzioni alle moderne minacce che mettono a rischio la sicurezza di Israele e dei suoi alleati. Alcune delle tecnologie includono sistemi di difesa aerea, sistemi antimissilistici, velivoli senza equipaggio, intelligenza artificiale, sistemi elettro-ottici, soluzioni informatiche e altro ancora.
  Tra i partecipanti spicca il gigante israeliano Rafael, che recentemente ha aperto una nuova succursale negli EAU.
  “Siamo incoraggiati da un altro passo concreto nel rafforzamento dei legami tra Rafael e gli Emirati Arabi Uniti”, ha dichiarato Yoav Har-Even, presidente e amministratore delegato. “Con questo investimento inaugurale possiamo dire di aver costruito un ponte con gli Emirati Arabi Uniti e siamo entusiasti di continuare ad espandere le relazioni coltivate finora”.

(Bet Magazine Mosaico, 27 febbraio 2023)

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Ritrovato a Megiddo un antico cranio: potrebbe aver subito il primo intervento chirurgico al cervello

di Michelle Zarfati

FOTO 1
FOTO 2
Oltre 3.500 anni fa, due fratelli riuscirono a sopravvivere ad una grave malattia, uno di loro riuscì persino a farsi curare attraverso un intervento chirurgico al cervello: la procedura radicale di trefinazione. A rivelare tutto questo una recente scoperta a Megiddo. Quando gli archeologi hanno scavato i resti dei due fratelli nel nord di Israele, non si aspettavano di certo che uno dei due avesse addirittura un buco di forma quadrata nel cranio. Il foro tagliato con precisione è infatti il risultato di uno dei primi interventi chirurgici cerebrali eseguiti in Medio Oriente, noto anche come "trefinizione". L’operazione consiste nella rimozione di un pezzo del cranio.
  La trefinazione, a volte chiamata trepanazione, è uno dei più antichi interventi chirurgici conosciuti, e le civiltà di tutto il mondo praticano la procedura da migliaia di anni. In Francia, all’interno di un sito archeologico risalente a 6.500 anni sono stati trovati 120 scheletri, 40 di questi avevano subito la trefinazione. “Circa una dozzina di antichi teschi con buchi di trefinazione sono stati scoperti in tutto il Medio Oriente”, ha detto Rachel Kalisher, dottoranda presso l'Istituto Joukowsky per l'archeologia e il mondo antico della Brown University.
  I medici oggi usano ancora una variazione di questo intervento chirurgico, chiamata “craniotomia”, per alleviare il gonfiore nel cervello dopo una lesione cerebrale traumatica.
  I due fratelli di Megiddo provenivano probabilmente da una famiglia benestante e vissero tra il 1550 a.C. e il 1450 a.C. nella tarda I età del bronzo. Sono stati sepolti sotto una casa in una delle parti più ricche della città. Uno dei fratelli, che aveva un cranio intatto, morì durante la fine dell'adolescenza o i primi anni '20, pochi anni prima di suo fratello, e fu riesumato e sepolto insieme a lui quando morì il secondo fratello. L'altro fratello, che aveva avuto la procedura di trefinazione, aveva un’età indefinita tra i 21 e i 46 anni quando morì. Non c'erano prove di guarigione intorno al sito di trefinazione, quindi probabilmente è morto immediatamente o subito dopo l'operazione.
  Ciò che ha affascinato gli archeologi coinvolti nello studio è che entrambi i fratelli mostrano prove di essere stati malati per un lungo periodo di tempo. Le ossa recuperate da entrambi mostrano delle porose e contrassegnate lesioni, portando gli archeologi a ipotizzare che soffrissero di una malattia sistemica come la lebbra, la tubercolosi o anche una malattia genetica. Alcune indicazioni scheletriche, tra cui la presenza di una struttura frontale extra molare e atipica nel fratello con la trefinazione, indicano interruzioni dello sviluppo che potrebbero indicare una malattia genetica come la displasia cleidocranica, o la sindrome di Down.
  "Questi fratelli facevano parte della classe più ricca che viveva a Megiddo, che era di per sé una città piuttosto ricca", ha detto Kalisher. "Non facevano parte della popolazione media, ed è quello che crediamo abbia permesso loro di sopravvivere con la malattia che avevano. Il luogo in cui sono stati trovati è molto vicino al palazzo di Megiddo", ha spiegato il Prof. Israel Finkelstein, direttore della Scuola di Archeologia e Cultura Marittima dell'Università di Haifa. I fratelli sono stati sepolti in cima ad un’elaborata tomba di pietra piena di ornamenti in oro, bronzo, argento e ossa, scoperta nel 2016.
  Anche il luogo in cui la scoperta è stata fatta è estremamente rappresentativo. Megiddo è conosciuta dai cristiani come Armageddon ( dell'ebraico "Har Megiddo", o monte Megiddo). L’area, situata nel nord di Israele, è stata abitata continuamente da circa il 7.000 a.C. al 500 a.C. I cristiani credono che Megiddo sarà il luogo della battaglia finale per la fine del mondo, come menzionato nel Libro delle Apocalisse. Megiddo appare in "tutti i grandi archivi del Medio Oriente". È menzionata nella Torah, così come nei documenti assiri, egiziani e itti. La città era un centro commerciale prospero e importante lungo la Via Maris, una via cruciale che collegava Egitto, Siria, Mesopotamia e Anatolia.

(Shalom, 27 febbraio 2023)

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L’Oman apre (intanto) i cieli a Israele

Non è ancora membro degli Accordi di Abramo, ma il collegamento ha un valore tecnico e simbolico: Muscat apre i cieli israeliani e facilita le rotte verso l’Asia. Il corridoio che passa da Riad e Abu Dhabi è completato.

di Emanuele Rossi

“L’Estremo Oriente non è così lontano e i cieli non sono più un limite: questo è un giorno di grandi notizie per l’aviazione israeliana. Israele è diventato, di fatto, il principale punto di transito tra l’Asia e l’Europa. Abbiamo lavorato per aprire lo spazio aereo, prima sull’Arabia Saudita e dal 2018, quando ho visitato l’Oman, per aggiungere anche l’Oman in modo da poter volare direttamente in India e poi in Australia. Questo risultato è stato raggiunto oggi, dopo notevoli sforzi, anche negli ultimi mesi. Ecco una buona notizia: Israele si sta aprendo all’Oriente su una scala senza precedenti”.
  Il commento con cui il primo ministro Benjamin Netanyahu ha raccontato l’accordo tra Oman e Israele per l’apertura del transito dei voli aerei attraverso i cieli del sultanato lascia pochi dubbi sul valore che il governo israeliano intende dare a queste nuove rotte di collegamento. E va bene che aumentare il peso delle celebrazioni serve per evidenziare un successo in mezzo al caos (interno, regionale e internazionale) e alle accuse ricevute per la riforma giudiziaria e le operazioni militari contro i palestinesi.
  Ma resta tuttavia evidente che la concessione da parte di Muscat dei diritti di sorvolo dello spazio aereo omanita ai vettori israeliani sia un valore aggiunto per Gerusalemme. Frutto di dialogo e negoziato. Sia per le questioni tecnico-tattiche elencate da Netanyahu (in sostanza accorcia di un paio di ore i collegamenti verso l’Asia creando un corridoio saudi-emiratino-omanita verso l’Oceano Indiano). Sia perché — con una lettura più strategica — segue il trend di aperture che lo stato ebraico incassa dai Paesi arabi sulla scia degli accordi di normalizzazione (gli Accordi di Abramo).
  “Sebbene l’Oman — come l’Arabia Saudita — non sia ancora pronto ad aderire agli Accordi di Abramo, sta segnalando di essere pronto ad accogliere Israele in modo più discreto. Si tratta di uno sviluppo gradito dopo che, a dicembre, il parlamento di Muscat avrebbe avanzato una proposta di legge che avrebbe ampliato i divieti di contatto con Israele”, spiega Mark Dubowitz, direttore generale della Foundation for Defense of Democracies (Fdd).
  “Adempiendo agli obblighi previsti dalla Convenzione di Chicago del 1944, l’Oman sta segnalando che — come l’Arabia Saudita — la sua nuova leadership dà priorità agli interessi nazionali omaniti, allontanandosi dalla politica e dagli slogan populisti. Come per il Saudi First, una politica omanita di “First” si basa sulla crescita dell’economia della conoscenza e dei servizi, che a sua volta richiede la costruzione di forti relazioni bilaterali con Paesi dalle economie vivaci, in particolare con Israele”, aggiunge il collega Hussain Abdul-Hussain, ricercatore dell’FDD.
  L’apertura dello spazio aereo omanita ha suggerito un potenziale avvicinamento allo Stato ebraico da parte dell’attuale sultano, Haitham bin Tariq, che finora non aveva manifestato l’entusiasmo del suo defunto predecessore, Qaboos bin Said, per l’idea di normalizzazione. L’apertura dei cieli è simbolica?
  Dal 2020, l’Arabia Saudita ha segnalato il suo sostegno tattico agli Accordi di Abramo permettendo alle compagnie aeree israeliane di sorvolare il suo territorio verso gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein, firmatari. Lo scorso luglio, il presidente Joe Biden ha annunciato che Riad avrebbe esteso questo permesso di sorvolo in modo che le compagnie aeree israeliane potessero sorvolare il territorio saudita verso altre destinazioni a est. Ma poiché tale corridoio si estendeva anche sull’Oman, non poteva essere attuato senza ricevere l’apertura da Muscat.

(Formiche.net, 26 febbraio 2023)

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Dacci oggi il nostro vaccino annuale

L’Ema ha annunciato che le campagne di vaccinazione contro il Covid-19 potrebbero diventare annuali, come quelle antinfluenzali, che si svolgono all’inizio dell’inverno. Una sconfessione di quanto dichiarato nel 2021. 

L’Ema, l’ente regolatore europeo chiamato a dare il via libera ai farmaci, ha annunciato che le campagne di vaccinazione contro il Covid-19 potrebbero diventare annuali, come quelle antinfluenzali, che si svolgono all’inizio dell’inverno. Lo ha dichiarato il farmacologo Marco Cavaleri, un italiano che presso l’Ema è responsabile di un ufficio dedicato alla strategia per le minacce sanitarie e i vaccini. Cavaleri ha trascorso diversi anni in multinazionali con il ruolo di ricerca e sviluppo di farmaci. Il suo incarico era quello di valutare i medicinali prima di chiedere l’autorizzazione all’ente regolatorio. In particolare si è occupato delle procedure per l’autorizzazione di vaccini. Il suo ruolo nell’Ema è diventato centrale quando sono arrivate le prime richieste di autorizzazione dei vaccini, con l’approvazione dei prodotti mRNA e la bocciatura del vaccino russo Sputnik.  
  Negli scorsi giorni Cavaleri ha incontrato la stampa internazionale durante uno dei periodici briefing dell’Ema. In tale circostanza, pur sottolineando che la situazione epidemiologica in Europa è in costante miglioramento, con un netto calo del numero di nuove infezioni, ricoveri e decessi, documentato dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, che sono ai livelli più bassi osservati nell’Ue negli ultimi 12 mesi, il dirigente dell’Ente europeo ha tuttavia incoraggiato i fragili alla vaccinazione. «Covid-19 rappresenta ancora un onere significativo per i sistemi sanitari – ha dichiarato -. La scarsa diffusione delle dosi di richiamo vaccinale tra i gruppi vulnerabili all’infezione e alle sue conseguenze più gravi è motivo di preoccupazione per la sanità pubblica». Per questo «incoraggiamo gli anziani, le donne in gravidanza e i pazienti immunocompromessi che non sono stati rivaccinati con un vaccino anti-Covid adattato alle nuove varianti a farlo».
  Il funzionario dell’Ema ha inoltre rilasciato alcune dichiarazioni a proposito della variante Kraken, ammettendo che tale variante sembra non aver causato un carico eccessivo di malattia, ma nonostante ciò ha affermato che «è importante non abbassare la guardia mentre il virus continua ad evolversi. Mentre accogliamo con favore le tendenze epidemiologiche positive nell’Unione europea, continuiamo dunque a monitorare la situazione molto da vicino». Pertanto la vaccinazione anti Covid deve proseguire anche per i prossimi anni, assumendo la caratteristica di una vaccinazione annuale e stagionale, con un costante aggiornamento dei vaccini. Esattamente come avviene per l’influenza, con vaccini che cambiano di anno in anno.
  Ormai è quindi evidente che i messaggi di inizio campagna vaccinale del 2021, che asserivano che «ne saremmo usciti col vaccino», e più precisamente con due dosi, sono stati soppiantati completamente da una nuova narrazione: il virus sarà sempre con noi, anche negli anni venturi, mutando costantemente e i creativi al servizio dei media saranno impegnati nel trovare sempre nuovi nomi evocativi e spaventosi; verranno sempre evocati i ricordi delle terapie intensive e dei pazienti pronati, si continuerà ad insistere che non ci sono cure, e si continuerà a proporre ogni anno una campagna vaccinale.
  C’è solo una possibile variabile di scenario, in senso peggiorativo: l’arrivo di nuove pandemie. E’ il caso dell’influenza aviaria, sulla quale i media mainstream hanno cominciato a battere la grancassa. Anche su questo argomento il farmacologo italiano si è pronunciato: «Stiamo monitorando molto da vicino ciò che sta accadendo con l'influenza aviaria, per la quale nell'ultimo periodo sono stati segnalati casi anche nei mammiferi, e ovviamente anche con il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie e altre autorità sanitarie pubbliche stiamo cercando di capire cosa sta succedendo. Oltre a monitorare strettamente l'epidemiologia, dobbiamo considerare qual è il nostro portafoglio di opzioni. Abbiamo alcuni vaccini approvati per l'influenza aviaria, basati essenzialmente sul ceppo H5N1, e questi potrebbero essere utilizzati nel caso in cui vi sia un salto di specie nell’uomo». Insomma, la minaccia dell’aviaria, di cui si parla da circa 20 anni, è ancora solo teorica, ma c’è già pronta la soluzione.

(La Nuova Bussola, 27 febbraio 2023)


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Vaccino, il mistero delle morti improvvise. La sanzione da 100 euro è l’ultimo “ricatto” >

Riflettori ancora puntati sui vaccini ed i suoi effetti avversi. Dopo che la rappresentante della Pfizer aveva riferito dinanzi al Parlamento Europeo, che mai la società produttrice dei vaccini aveva garantito la non trasmissibilità del virus da un soggetto vaccinato all’altro e viceversa, durante la puntata del 14.02.2023 della trasmissione “Fuori dal Coro”, condotta da Mario Giordano emergeva, che dietro al muro dell’omertà si nascondono anche le morti improvvise, verificatesi dopo l’inoculazione del vaccino.
  Nessuno ne parla, anche se l’inviata della trasmissione di Rete 4 intervista un agente della Polizia di Stato che, mantenendo il suo anonimato per ovvie ragioni, rompe il muro del silenzio sugli effetti avversi del vaccino e dichiara:
  “La verità non si può dire, altrimenti crollerebbe tutto”. Nel servizio si parla di morti improvvise, eccesso di mortalità tra quelli che si sono vaccinati, mostrando nomi, volti ed età di persone, che erano prive di patologie. Anche minorenni.
  Morti silenziose che si incrociano con verità nascoste e censurate. Il poliziotto riferisce che “sul tema c’è una grandissima omertà e che in tutti gli apparati delle Forze dell’Ordine si stanno verificando decessi. Non si eseguono autopsie, perché c’è un decreto, che sconsiglia in tal senso, se non strettamente necessarie.
  Morti improvvise, che non vengono registrate. In Italia attraverso queste violazioni normative si nasce una volta e si muore due volte. Si muore per una causa vera e si viene classificati con un’altra causa di morte. Questo è stato rilevato e questo è stato portato in Procura”.
  Il servizio prosegue con il dolore, di quelli che hanno perso i propri cari come un bambino sano, che il 16 gennaio fa la seconda dose ed il 31 gennaio muore. L’autopsia rivela un ingrossamento del cuore, come se fosse raddoppiato e parla di ipertrofia al cuore.
  Mentre l’esposto della madre viene archiviato, il motivo ufficiale del decesso rivelato dalla scheda madre Istat parla di un edema polmonare acuto! Il poliziotto dice, che questa è un’altra violazione che hanno riscontrato, perché loro sono in possesso di schede Istat, in cui una persona che entra con una patologia, poi alla fine gli viene attribuita un’altra tipologia di diagnosi. Secondo Barbara Balanzoni, medico e consulente tecnico, “le autopsie eseguite sono poche, superficiali e sbrigative, non tese alla ricerca della proteina spike.Siamo al limite della falsità in atti, nel dichiarare la causa di morte”.
  Censurato poi a Roma il docu-film sulle morti improvvise “Invisibili”, con Federica Angelini, presidente del Comitato Ascoltami, che si vergogna di vivere in Italia.
  Intanto la dott.ssa Loredana Frasca, nominata dall’Istituto Superiore della Sanità (I.S.S.), quando pubblica i risultati di uno studio, da cui emerge che la frequenza delle miocarditi tra i giovani vaccinati è molto elevata e che c’è una compromissione del sistema immunitario, viene sconfessata dallo stesso I.S.S. Ed alla domanda rivoltale, cambiamento del sistema immunitario irreversibile? – lei risponde:
  “Questo non si può dire. Certo non era necessario vaccinare i più giovani, poiché il vaccino era sperimentale ed aveva qualcosa di inesplorato”.
  Eppure tra farmaci, vaccini e tanti soldi, molte persone sono ormai ammalate e non possono più né lavorare, né curarsi. Senza risposte restano anche i quesiti di tanti parlamentari europei, che chiedono chiarimenti sui contratti milionari di acquisto dei vaccini.
  Uno di essi, R.Roos, si chiede ‘com’è possibile, che l’Unione Europea permetta a Pfizer di aumentare costantemente il prezzo dei vaccini. Purtroppo non ci sono i contratti e non si sa cos’è stato concordato”. Ed in effetti i contratti di acquisto continuano ad essere censurati sia nella sezione delle caratteristiche quantità acquistate, sia in quella relativa ai costi ed alle modalità di pagamento.
  La stessa presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, si rifiuta di dare risposte sugli sms scambiati con il numero uno di Pfeizer Alfred Bourla sul contratto di acquisto stipulato dall’UE.
  Anzi, sono in arrivo vaccini per 3 miliardi di euro.
  Anche la Corte dei Conti Europea si è espressa negativamente in merito a ciò, mentre la Procura europea sta indagando. Ed il New York Times ha fatto causa alla Commissione Europea per la mancata trasparenza, sottolineata anche dal Prof.Vittorio Agnoletto. Ora stanno arrivando le sanzioni da 100 euro, a chi si rifiutò di vaccinarsi e di subire la dittatura sanitaria di Mario Draghi e company.

(Oblò Magazine, 27 febbraio 2023)

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Il centurione di Capernaum

di Marcello Cicchese

LUCA, cap. 7

  1. Dopo che egli ebbe finito tutti i suoi ragionamenti al popolo che l'ascoltava, entrò in Capernaum.
  2. Il servo di un certo centurione, che gli era molto caro, era malato e stava per morire;
  3. il centurione, avendo udito di Gesù, gli mandò degli anziani dei Giudei per pregarlo che venisse a salvare il suo servo.
  4. Ed essi, presentatisi a Gesù, lo pregavano con insistenza, dicendo: “Egli è degno che tu gli conceda questo,
  5. perché ama la nostra nazione ed è lui che ci ha edificato la sinagoga”.
  6. Gesù s'incamminò con loro e ormai non si trovava più molto lontano dalla casa, quando il centurione mandò degli amici a dirgli: “Signore, non ti dare questo incomodo, perché io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto,
  7. perciò non mi sono neppure reputato degno di venire da te, ma di' una parola e il mio servo sarà guarito.
  8. Poiché anch'io sono uomo sottoposto all'autorità altrui e ho sotto di me dei soldati; e dico a uno: 'Va'' ed egli va; a un altro: 'Vieni' ed egli viene; e al mio servo: 'Fa' questo' ed egli lo fa”.
  9. Udito questo, Gesù restò meravigliato di lui e, rivoltosi alla folla che lo seguiva, disse: “Io vi dico che neppure in Israele ho trovato una così gran fede!”.
  10. E quando gli inviati furono tornati a casa, trovarono il servo guarito.

MATTEO, cap. 8

  1. Quando Gesù fu entrato in Capernaum, un centurione venne a lui pregandolo e dicendo:
  2. “Signore, il mio servo giace in casa paralitico, gravemente tormentato”.
  3. Gesù gli disse: “Io verrò e lo guarirò”. Ma il centurione, rispondendo, disse:
  4. “Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito.
  5. Poiché anch'io sono uomo sottoposto ad altri e ho sotto di me dei soldati e dico a uno: 'Va'' ed egli va, e a un altro: 'Vieni' ed egli viene, e al mio servo: 'Fa' questo' ed egli lo fa”.
  6. Gesù, udito questo, ne restò meravigliato e disse a quelli che lo seguivano: Io vi dico in verità che in nessuno, in Israele, ho trovato una fede così grande.

La storia di questo anonimo centurione romano preoccupato per la salute di un suo ancor più anonimo servo, dove affiorano inaspettati sentimenti di gratitudine degli anziani di una sinagoga per un militare dell'esercito di occupazione, con un Gesù che si lascia sorprendere da una fede che non aveva mai visto neppure in Israele, è uno dei quadri più dolci e significativi dei Vangeli.
  Il racconto però non è tra i più "gettonati", battuto di gran lunga in fatto di popolarità da parabole come "Il buon samaritano" o "Il figliuol prodigo". Ma il guaio è che proprio la popolarità di queste parabole contribuisce a deformare la comprensione dei Vangeli. Non soltanto le parabole, ma tutte le parole e le azioni di Gesù rischiano di essere considerate come universali modelli di ideali comportamenti umani, col risultato che alla fine l'intera raccolta dei quattro Vangeli diventa, in questa comprensione, un'antologia di edificanti racconti morali presentata in forma artistico-letteraria. Se poi qualcuno ci vuol metter dentro anche Dio, può farlo, la cosa non disturba ma non è essenziale.
  I Vangeli invece sono storia. Trattano una questione di verità: la verità di Dio nel suo rapporto con la terra e gli uomini. Rispondono alla domanda: chi è Gesù? E al lettore pongono la domanda: e tu, chi dici che sia Gesù?

    "Gesù, venuto nelle parti di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: “Chi dice la gente che sia il Figlio dell'uomo?” Essi risposero: “Alcuni dicono Giovanni il battista; altri, Elia; altri, Geremia o uno dei profeti”. Ed egli disse loro: “E voi, chi dite che io sia?” Simon Pietro, rispondendo, disse: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Matteo 16:13-16).

Come si vede, le risposte riportate dai discepoli sono diverse, ma tutte pongono una questione di verità facendo riferimento alla storia di Israele.
  All'interno di questa storia, la domanda su Gesù si particolarizza in modo più preciso: "E' Gesù il Messia di Israele?" A questa domanda i Vangeli rispondono decisamente "sì", ma la loro risposta non è una trattazione teologica ben argomentata: i Vangeli rispondono trasmettendo in forma scritta, sotto l'azione dello Spirito di Dio, quello che è avvenuto in Israele con la nascita e l'opera di Gesù.
  I Vangeli sono l'autopresentazione di Gesù. Ma come può avvenire questo, se non si può incontrarlo da nessuna parte? Qualcuno forse invidierà chi ha potuto conoscerlo di persona quando era presente corporalmente sulla terra, ma questo è stato possibile soltanto per un tempo.

    La Parola è stata fatta carne e ha abitato per un tempo fra noi, piena di grazia e di verità, e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come quella dell'Unigenito venuto dal Padre (Giovanni 1.14).

Quel tempo ormai è passato, e adesso? Adesso Gesù non c'è più perché.... perché è morto, dirà qualcuno, come tutti. Certo, indubbiamente Gesù è morto, ma non come tutti. Perché Gesù ora vive. Ma non è "tornato in vita", non è rimbalzato sul muro della morte e rigettato indietro là dov'era prima. Gesù è passato attraverso il muro della morte e nel far questo l'ha distrutta. Gesù è risuscitato:

    "Cristo, essendo risuscitato dai morti, non muore più; la morte non lo signoreggia più" (Romani 6:9).

Dopo la sua risurrezione, con un corpo redento da ogni traccia di male, Gesù si è intrattenuto per quaranta giorni coi suoi discepoli; poi, con loro sorpresa, è stato ripreso da Dio e riportato in cielo.
  E dei discepoli rimasti inaspettatamente senza il loro Maestro in terra, che ne è stato? Per loro i tre giorni in cui il corpo di Gesù è rimasto sotto terra devono essere stati terribili. E' stata un'esperienza di morte, tormentati da un dubbio angosciante: ma allora, avevano forse ragione quelli che dicevano che Gesù non è il Messia?
  Mentre era con loro Gesù sapeva che avrebbero dovuto passare per quel tremendo travaglio. Quattro capitoli del Vangelo di Giovanni, dal 13 al 16, sono dedicati a riportare i discorsi con cui Gesù nella tormentata ultima cena pasquale ha annunciato ai discepoli, con enigmatiche e tenere parole, il suo imminente distacco da loro:

    Ora me ne vado a colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: 'Dove vai?'. Invece, perché vi ho detto queste cose, la tristezza v'ha riempito il cuore. Pure, io vi dico la verità: è utile per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore, ma, se me ne vado, io ve lo manderò (Giovanni 16:5-7).

Lo Spirito Santo che ha riempito Giovanni Battista fin dal grembo di sua madre (Luca 1:13-17), che è venuto su Maria e l'ha coperta della sua ombra quando ha concepito Colui che sarà chiamato "Figlio dell'Altissimo" (Luca 1:28-33), che ha riempito Elisabetta quando udì il saluto di Maria (Luca 1:39-42), che ha riempito Zaccaria quando Dio gli ha ridato la parola mettendogli in bocca una solenne benedizione profetica (Luca 1:67-79), che ha concesso a Simeone il privilegio di vedere coi suoi occhi la Consolazione di Israele prendendo il bambino Gesù tra le sue braccia (Luca 1:25-32), che è sceso su Gesù in forma corporea come una colomba il giorno del suo battesimo nelle acque del Giordano (Luca 3:21-22), è anche Colui che ha oggi il compito di trasmettere la parola viva di Gesù a coloro che crederanno in Lui senza averlo incontrato corporalmente di persona. E' questa la promessa che Gesù ha fatto ai suoi discepoli in quell'ultima cena pasquale:

    Molte cose ho ancora da dirvi, ma non sono per ora alla vostra portata, però quando sarà venuto lui, lo Spirito della verità, egli vi guiderà in tutta la verità, perché non parlerà di suo, ma dirà tutto quello che avrà udito e vi annuncerà le cose a venire. Egli mi glorificherà perché prenderà del mio e ve l'annuncerà. Tutte le cose che ha il Padre, sono mie: per questo ho detto che prenderà del mio e ve lo annuncerà (Giovanni 16:12-15).

Proprio questo avviene quando si leggono i Vangeli in posizione di disponibilità: lo Spirito della Verità cerca la verità in chi legge, cioè la sincerità, e se la trova, la Parola di Dio che si è fatta carne in Gesù di Nazaret raggiunge nello Spirito la "carne" di chi si pone davanti al testo biblico.
  Quindi anche il passo che qui vogliamo esaminare non può essere considerato come un semplice oggetto di studio, ma come rivelazione che Gesù fa di Se stesso. E' un modo strano di farlo, dirà qualcuno oggi, ma è la stessa cosa che dicevano allora molti di quelli che avevano incontrato Gesù "in carne ed ossa". Non abbiamo dunque un minore vantaggio rispetto a loro, e neppure minore responsabilità. Con i Vangeli dunque il Signore vuol far conoscere la persona di Gesù, e questo è come dire che i Vangeli sono l'autopresentazione di Gesù.
  Osserviamo dunque Gesù nel percorso della sua autopresentazione. Se lo seguiamo nella lettura del Vangelo di Luca, dopo averlo sentito parlare per la prima volta con i dottori della legge nel Tempio, dopo averlo visto prendere il battesimo di Giovanni, lo vediamo "condotto dallo Spirito nel deserto" per essere tentato dal diavolo (Luca 4:1-13), come fu tentato Adamo nell'Eden.
  Dopo di che Gesù inizia il suo ministero pubblico. Predica senza molto successo nella sinagoga della sua Nazaret, da dove è cacciato via in malo modo dai suoi compaesani e trascinato sull'orlo di una rupe con l'intenzione di buttarlo giù (Luca 4:16-28); opera guarigioni, liberazioni da demoni e segni miracolosi; costituisce una squadra di dodici fedeli a cui dà il nome di apostoli (Luca 6:12-16).
  La sua azione, insieme a quella dei suoi discepoli, si rivolge esclusivamente ad Israele. Aveva cominciato ripetendo le parole di Giovanni Battista: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo" (Marco 1:15). In questo annuncio ci sono due indicativi: è compiuto, è vicino; e due imperativi: ravvedetevi, credete. Sono parole rivolte ai figli di Abraamo, perché il regno di Dio ha come centro Israele, e se Dio viene a regnare, vuol dire che viene a mettere tutte le cose a posto: innanzi tutto in Israele, e poi, avendo al centro un Israele purificato, in tutte le nazioni.
  E' ovvio dunque che il lavoro deve cominciare da Israele. Per questo Gesù, come saggio stratega di un esercito di liberazione, invita la sua milizia a non disperdere gli obiettivi e ad attenersi agli ordini:

    “Non andate fra i gentili e non entrate in alcuna città dei Samaritani, ma andate piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele. Andando, predicate e dite: Il regno dei cieli è vicino" (Matteo 10:5-7).

I discepoli potevano pensare che avendo a disposizione la potenza del Messia si sarebbero potute sanare molte penose situazioni, come la rivalità tra giudei e samaritani o le insopportabili angherie dei romani, ma Gesù è deciso e richiede il rispetto delle priorità: per prima cosa bisogna rivolgersi ai figli d'Israele.
  Qui succede un fatto imprevisto. Gesù, che aveva ordinato di non andare fra i gentili, inaspettatamente riceve il messaggio di un gentile che gli chiede di andare da lui. Imbarazzante. Si noti che il centurione di Capernaum aveva chiesto proprio questo: "... gli mandò degli anziani dei Giudei per pregarlo che venisse a salvare il suo servo". Non gli aveva chiesto una guarigione a distanza ma proprio di venire. Se in seguito qualcosa cambierà, sarà per motivi che cercheremo di capire.
  Innanzitutto però vogliamo interessarci di questo strano militare romano. Se lo Spirito Santo che nel piano di Dio ha il compito di annunciare ciò che è di Gesù, ha scelto di trasmettere questo episodio con tanti particolari apparentemente superflui, vuol dire che tutto questo fa parte dell'autopresentazione di Gesù; dunque non possono essere trascurati, perché si tratta in primo luogo di rivelazione, non di istruzione morale o spirituale.
  Di questo centurione certamente si può dire, usando le parole di Gesù, che aveva "un cuore onesto e buono" (Luca 8:15). Oltre alla sua buona disposizione verso la nazione di Israele, aveva anche una tenerezza d'affetto fuori del comune per il suo attendente, che era malato, forse da molto tempo, e in ogni caso non era più in grado di svolgere quei compiti di cui il centurione aveva certamente bisogno per svolgere il suo servizio. Se quel servo fosse morto, dal punto di vista amministrativo non sarebbe stato un gran problema. Il centurione avrebbe ottenuto un altro attendente sano ed efficiente e il servizio se ne sarebbe avvantaggiato.
  Ma il centurione non si rassegna al pensiero che il suo amato servitore possa morire. Il servo è  "gravemente tormentato" ("soffre terribilmente", traduce la CEI), è in agonia e potrebbe morire da un momento all'altro. Il centurione non sa che fare. Certamente era già informato su Gesù, se non altro per i motivi di ordine pubblico che gli competono; e inoltre Gesù in quel momento era una star, ne parlavano tutti.
  Di quello che poi accade cercheremo di fare una ricostruzione verosimile ricorrendo a entrambe le versioni di Luca e Matteo, che a una prima lettura appaiono in disaccordo.

    "Il centurione, avendo udito di Gesù, gli mandò degli anziani dei Giudei per pregarlo che venisse a salvare il suo servo" (Luca 7:3).

Il centurione non incontra subito Gesù, ma lo prega tramite messaggeri di venire a salvare il suo servo. Da notare i messaggeri che sceglie: come centurione esercitante l'autorità di Roma in Capernaum, non avrebbe avuto problemi a far venire Gesù da lui: gli sarebbe bastato mandargli un paio di soldati con l'invito a presentarsi da lui per questioni da discutere. Ma non fa così. Il centurione se ne intende, in fatto di autorità, e una cosa che certamente ha capito è che su questioni di morte o vita come quella in cui si trova il suo servitore, Gesù ha un'autorità superiore alla sua. Per arrivare a Gesù deve trovare un'altra strada che non faccia riferimento all'autorità di Roma, ma si inserisca con rispetto in quel mondo ebraico in cui si muove Gesù. Si rivolge  allora agli anziani della sinagoga, chiede il loro intervento, la loro intercessione. Insomma, chiede loro di "metterci una buona parola".
  E loro ce la mettono. Vanno da Gesù e gli illustrano con fervore il caso del centurione romano presentandolo come una persona degna. Con molte parole lo pregano di accontentare la richiesta di quell'uomo, perché sì, è vero, lui non è ebreo, per di più è addirittura un militare dell'esercito di occupazione, ma non è come gli altri, lui vuole bene alla nostra nazione, ci ha costruito la sinagoga, dicono a Gesù. E glielo dicono "con insistenza".
  Ma perché con insistenza? Molto probabilmente perché Gesù in un primo momento ha opposto resistenza. L'aveva detto chiaramente: "Non andate tra i gentili" (Matteo 10:5); può allora Gesù fare qualcosa che aveva detto ai discepoli di non fare? Deve forse abbandonare l'opera di predicazione del Regno di Dio, di liberazione da malattie e schiavitù demoniache per occuparsi di un militare che la folla vede come un esponente di quella Roma imperiale che tiene in schiavitù la nazione di Israele? Gli anziani comprendono le perplessità di Gesù, ma cercano di fargli capire che il centurione è un caso particolare.
  Forse però Gesù ha resistito anche per ritardare la risposta, come faceva spesso con chi gli chiedeva aiuto. Faceva parte del suo stile. Si pensi al suo prolungato silenzio davanti alle suppliche della donna cananea (Matteo 15:22-28); o al ritardo con cui si muove quando gli comunicano che il suo amico Lazzaro è malato, e al suo arrivo si sente fare da Marta un garbato rimprovero: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto" (Giovanni 11:21).
  Gli anziani però non mollano e continuano a fare pressioni su Gesù in favore del centurione. Insistono nel dire che "Egli è degno...", e se fanno così è perché avrebbe potuto anche non esserlo. Avrebbe potuto essere uno di quelli che sfruttano la loro posizione di comando per esigere servizi di ogni genere da quelli che considera inferiori. Dovevano dunque evitare che Gesù li considerasse agli ordini di un potente pagano per compiacenza e opportunismo.
  Alla fine Gesù si lascia convincere e s'incammina con loro verso la casa del centurione.
  Ma intanto il tempo  passa. E il centurione sta sulle spine perché  il suo amato servo sta morendo in mezzo ai tormenti. E Gesù non arriva.  Allora, forse temendo  che il fatto di venire in casa di un impuro gentile potesse essere un elemento di discussione tra Gesù e gli anziani, taglia la testa al toro e invia a Gesù un'altra delegazione. Stavolta non ci sono gli anziani della Sinagoga ma non precisati amici, probabilmente militari come lui.

    Gesù s'incamminò con loro e ormai non si trovava più molto lontano dalla casa, quando il centurione mandò degli amici a dirgli: “Signore, non ti dare questo incomodo, perché io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, perciò non mi sono neppure reputato degno di venire da te, ma di' una parola e il mio servo sarà guarito" (Luca 7:6-7).

Gli amici certamente non dovevano dire a Gesù di affrettarsi perché se no il servo muore, ma gentilmente dovevano dirgli che non era necessario che Lui si scomodasse ad arrivare fino a casa, e che il centurione l'invitava a dire una sola parola, e certamente il suo servo sarebbe guarito.  E' qui che arriva la "richiesta di guarigione a distanza", non prima. Ma come vedremo, questa sarà qualcosa di più di una richiesta.
  Gesù invece continua a camminare verso la casa, ed è a questo punto che si inserisce il racconto di Matteo, che taglia tutta la parte precedente.
  Quando il centurione sente che Gesù sta per arrivare, esce e gli va incontro. Gesù nota la sua trepidazione e lo conforta assicurandogli che sarebbe venuto e avrebbe guarito il suo servitore.

    "Quando Gesù fu entrato in Capernaum, un centurione venne a lui pregandolo e dicendo: “Signore, il mio servo giace in casa paralizzato, gravemente tormentato. Gesù gli disse: «Io verrò e lo guarirò»" (Matteo 8:5-7).

A questo punto il centurione avrebbe dovuto soltanto aprire la porta e lasciar entrare Gesù perché guarisse il malato come aveva promesso. Le cose invece vanno diversamente:

    Ma il centurione, rispondendo, disse: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito (Matteo 7:8).

Gli anziani avevano detto che il centurione è degno, perché tale lo consideravano nel suo rapporto con Israele, il centurione invece considera se stesso non degno nel suo rapporto con Gesù. Non perché si sente peccatore non è questione di moralità o spiritualità personale, ma di posizione gerarchica. Gesù è superiore al centurione come il centurione è superiore ai suoi soldati. E come avviene in tutte le scale gerarchiche, la superiorità di posizione si traduce in una diversa possibilità di uso della forza di comando.
  Si può trovare un esempio in Giovanni Battista che dice:

    “Dopo di me viene colui che è più forte di me, al quale io non son degno di chinarmi a sciogliere il legaccio dei calzari" (Marco 1:7).
Giovanni riconosce che Gesù è in una posizione di superiorità rispetto a lui nel Regno di Dio, quindi è più forte di lui. Dunque questa superiorità si deve manifestare negli inferiori anche con atteggiamenti consoni. Proprio come Giovanni non si sente degno di avere l'onore di poter sciogliere i legacci dei calzari di "colui che è più forte" di lui, così il centurione non si sente degno di ricevere in casa sua la persona di Gesù, che riconosce spiritualmente superiore alla sua.
  La scena che segue è unica nei Vangeli. Si vede un militare della potente Roma che sulla base della sua esperienza spiega garbatamente a Gesù come stanno le cose in fatto di gerarchia quando si tratta di dare ordini e pretendere esecuzioni:

     "Anch'io sono uomo sottoposto all'autorità altrui e ho sotto di me dei soldati; e dico a uno: 'Va'' ed egli va; a un altro: 'Vieni' ed egli viene; e al mio servo: 'Fa' questo' ed egli lo fa” (Matteo 7:9).

Il centurione si aspettava che Gesù facesse una cosa simile: che desse un ordine. E gli ordini si danno dicendo soltanto una parola, come ALT o DIETROFRONT, come fa lui, militare romano, che per ordinare a un soldato di andare dice soltanto «Va'!», quello va; e per dirgli di venire dice soltanto «Vieni!», e quello viene. Ecco perché mentre era sulle spine vedendo che il suo servo stava per morire in mezzo ai tormenti, dopo delegazione degli anziani gliene manda un'altra con la supplica "di' soltanto una parola", che è come dire "ti basta dare un ordine, basta una parola, dilla!" e io so che "il mio servo sarà guarito", anche se tu non sei ancora qui. E' fede. Gesù è attonito. E uno stupore simile non si ritrova più nei Vangeli.

    Udito questo, Gesù restò meravigliato di lui e, rivoltosi alla folla che lo seguiva, disse: “Io vi dico che neppure in Israele ho trovato una fede così grande!” (Luca 7:9).

Il centurione, che con la sua fede è riuscito a sorprendere Gesù, dimostra  di riuscire anche a fargli cambiare decisione. Gesù gli aveva detto “Io verrò e lo guarirò", quindi era pronto a fare la cosa più naturale che ci fosse: entrare in casa, farsi conoscere dal malato e donargli la guarigione, insieme a parole di conforto e raccomandazioni. Ma il centurione, che aveva già fatto dire a Gesù dagli amici di non essere degno di riceverlo sotto il suo tetto (Luca 7:6), gli ripete di persona la stessa dichiarazione (Matteo 8:7-8). E da militare attento alle differenze di posizione gerarchica, resta fermo nella sua volontà di vedere rispettati i giusti gradi di onore: non è opportuno che Gesù entri nella sua casa perché lui non è degno di questo onore. Gesù acconsente.

    E Gesù disse al centurione: “Va', ti sia fatto come hai creduto” (Matteo 8:13).

Ordine impartito.
  E gli amici mandati in missione da Gesù e tornati indietro insieme a Lui, mossi da comprensibile curiosità entrano in casa per vedere come stanno le cose:

    E quando gli inviati furono tornati a casa, trovarono il servo guarito (Luca 7:10).

Ordine eseguito. Guarigione a distanza.

RIFLESSIONI

All'inizio di questo articolo abbiamo detto che il racconto del centurione di Capernaum è uno dei quadri più dolci e significativi dei Vangeli.
  E' dolce, perché in esso tutto è positivo. I vari rapporti tra i personaggi: centurione-servo, centurione-anziani, anziani-Gesù, e infine Gesù-centurione, si svolgono in un clima di armoniosa benevolenza e comprensione. Da nessuna parte appare il lato negativo della storia, come spesso accade in altri racconti.
  E' significativo, perché in esso ci sono aspetti di solito trascurati che lo collegano ai tre elementi fondamentali  della storia del mondo: Dio (Gesù), Israele (gli anziani), le nazioni (il centurione).
  Considerata nel quadro storico delle civiltà, la relazione tra centurione romano e anziani della sinagoga richiama alla mente la nota frase di Orazio: "Graecia capta ferum victorem cepit" (La Grecia conquistata conquistò il feroce vincitore), nel senso che la potente Roma,  affascinata dalla superiore civiltà della sottomessa Atene, ne rimase culturalmente avvinta.
   Qui al posto della Grecia abbiamo Israele. Nel cuore di questo centurione la caserma romana (le nazioni) è stata vinta dalla sinagoga ebraica (Israele), e questo amore per un Israele sinagogale (non sacerdotale) ha permesso a Dio di aprirgli gli occhi sulla persona di Gesù. E il tutto si riunisce in un quadro armonioso. Opera di Dio.
  Abbiamo anche detto che i Vangeli sono l'autopresentazione di Gesù; dunque anche in questo racconto si deve cercare quello che può avvicinarci a conoscerlo meglio. L'abbiamo visto staccarsi da un programma di missione indirizzato alle "pecore perdute della casa d'Israele" per accondiscendere alla richiesta di aiuto di un pagano militante fra i nemici di Israele. Una deviazione non prevista nel suo programma; e tanto meno prevista poteva essere una reazione tanto  benevola e ossequiente, e anche istruttiva per certi versi, come quella di quel centurione.
  Abbiamo ricordato l'opera svolta dallo Spirito Santo nel far conoscere la persona di Gesù, cosa che oggi avviene soprattutto attraverso la Scrittura. Ma abbiamo anche ricordato che nei Vangeli lo Spirito Santo soprassiede in ogni momento all'opera di Gesù sulla terra, dall'annuncio della sua nascita (Luca 1:35, al momento stesso della nascita (Matteo 1:18), nel periodo della sua crescita (Luca 1:80), nel momento del suo battesimo:

    E Gesù, appena fu battezzato, salì fuori dall'acqua ed ecco i cieli si aprirono ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dai cieli che disse: “Questo è il mio diletto Figlio nel quale mi sono compiaciuto (Luca 3:21-22).

In questi due versetti si può vedere l'azione di quella che in lingua teologhese si chiama Trinità. La voce dai cieli è il Padre che legittima sulla terra il Figlio affidandolo alla cura "pedagogica" dello Spirito. Si capisce allora il versetto che segue poco dopo:

    "Gesù, ripieno dello Spirito Santo, se ne ritornò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto per quaranta giorni ed era tentato dal diavolo" (Luca 4:1).

Dio è onnipotente, onnisciente e onnipresente, ma il Figlio di Dio non ha avuto a disposizione tutte queste facoltà quando era sulla terra, proprio a motivo della missione che doveva compiere (Filippesi 2:1-9). Gesù è stato perfetto in santità, cioè "senza peccato" (Ebrei 4:15), ma in molte cose è stato simile a noi. Nessuno come Lui conosceva a fondo uomini e situazioni, ma non era onnisciente (Matteo 24:36). Quindi anche Lui crebbe in conoscenza, esperienza e anche in ubbidienza: "Benché fosse Figlio, imparò l’ubbidienza dalle cose che soffrì " (Ebrei 5:8).
  E tutto questo con l'assistenza dello Spirito "sopra di lui" (Matteo 12:18; Luca 4:18), che come l'ha condotto nel deserto per essere tentato prima che iniziasse il suo ministero in Israele (senza spiegargli in anticipo come si sarebbero svolte le tentazioni), come l'aveva fatto incontrare ancora dodicenne con i dottori della legge nel Tempio, così ora lo conduce a manifestare, per la prima volta verso un gentile, la sua autorità messianica di guarigione dei malati.
  Lo Spirito aveva preparato l'occasione agendo in anticipo su un militare romano che amava la nazione  d'Israele ed era attratto dalla Sinagoga. un uomo che nell'incontro con Gesù manifesta una tale fiducia in Lui che Gesù stesso ammette di non aver mai trovato nulla di simile in Israele. Un pagano è riuscito a sorprendere Gesù con la sua fede.
  Tanto più tenere e preziose suonano allora le parole autorevoli con cui Gesù lo congeda: "Va', ti sia fatto come hai creduto”.

(Notizie su Israele, 26 febbraio 2023)



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«L'Europa in guerra»

L'ultimo libro del generale Fabio Fini. Dalla Premessa

La guerra in Ucraina è stata la giusta difesa di un Paese membro delle Nazioni Unite dall'attacco alla sua sovranità da parte della Russia, suo confinante che l'ha invasa il 24 febbraio 2022. Questa è la patente di giustizia e legittimità esibita dall'Ucraina al Mondo all'atto dell'invasione. Una patente incontestabile se non fosse stata rilasciata dall'Occidente molto tempo prima dell'invasione, senza esami, quasi a volerla provocare. Una patente con validità retroattiva per tutte le infrazioni passate e a priori per quelle future. Una patente usata non per evitare il conflitto, ma per inasprirlo, allargarlo e prolungarlo. Una patente a prescindere da ciò che era accaduto pochi giorni prima, pochi mesi prima, pochi anni prima e diversi decenni prima. La guerra poteva essere evitata, ma non l'ha voluto nessuno. Ed è una guerra strana proprio per questa esistenza di un dopo senza che sia mai stato considerato un prima qualsiasi. La legittimità ''a priori e a prescindere'' è un dogma dell'Occidente. Ma chi è l'Occidente e su quali princìpi si basa la sua visione del mondo? È quella parte del mondo che rappresenta appena un quarto delle terre emerse e un settimo della popolazione mondiale. Quella che produce il cinquanta per cento del prodotto nazionale lordo (PIL) globale (circa novantaquattro trilioni di dollari) e consuma gran parte di quello del resto del mondo. L'Occidente culturale si basa sui princìpi della civiltà classica ed europea, ma soprattutto sulla ricchezza materiale; sull'idea che esista una supremazia del denaro sullo spirito e che lo spirito stesso giudaico-cristiano sia superiore a qualsiasi altro: a priori e a prescindere. L'Occidente geopolitico comprende Stati Uniti, Canada, Unione Europea, altri Stati europei, Gran Bretagna, Israele, Giappone, Sud Corea e Australia.

(Notizie su Israele, 25 febbraio 2023)

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Regno Unito, introdotto un disegno di legge per la costituzione di un memoriale nazionale della Shoah

di David Fiorentini

Il Governo britannico ha presentato al Parlamento una nuova legge per la costituzione di un memoriale nazionale della Shoah.
  Il disegno di legge, annunciato per la prima volta dal Primo Ministro Rishi Sunak il mese scorso, aggiorna una legislazione risalente all’epoca vittoriana che in passato ha impedito la concessione degli spazi per il nuovo memoriale presso i Victoria Tower Gardens di Westminster.
  In un comunicato, il Board of Deputies of British Jews ha accolto con favore l’iniziativa volta a favorire la costruzione del Westminster Holocaust Memorial and Learning Centre: “Questo memoriale sarà uno strumento potente e importante per combattere la crescente ondata di negazionismo e distorsione dell’Olocausto”.
  Inizialmente, l’autorizzazione alla costruzione del memoriale nei Victoria Tower Gardens è stata concessa nel luglio 2021, ma la decisione è stata annullata dall’Alta Corte nell’aprile 2022 a causa di una legislazione approvata nel 1900 per estendere i giardini. Il presente provvedimento mira a rimuovere questo ostacolo e a garantire che il progetto possa essere completato nel modo più efficiente ed economico possibile.
  Sebbene l’iter legislativo sia appena stato intrapreso, si auspica una veloce approvazione dato il favore riscosso anche tra le fila dell’opposizione. Il capogruppo laburista della House of Commons Thangam Debbonaire ha confermato il suo sostegno offrendo al Governo “la collaborazione dei laburisti per far passare il disegno di legge il più rapidamente possibile, perché non ci siano ulteriori ritardi”.
  La notizia è stata accolta con favore anche dall’Holocaust Educational Trust, il cui amministratore delegato, Karen Pollock CBE, ha dichiarato: “Il tempo è essenziale, i sopravvissuti all’Olocausto sono sempre meno e sempre più fragili; la nostra speranza è che il memoriale sia completato in tempo per essere visto da loro”.

(Bet Magazine Mosaico, 24 febbraio 2023)

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“Beni culturali ebraici in Italia, un anno di grandi sfide e progetti”

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C’è il grande lavoro di catalogazione e digitalizzazione del patrimonio conservato nella Biblioteca Nazionale dell’Ebraismo Italiano Tullia Zevi (ex Centro Bibliografico di Lungotevere Sanzio 5) così come la valorizzazione di quest’ultima come polo culturale. C’è la prosecuzione dei lavori al cimitero dell’antica Gorizia ebraica a Valdirose. Poi un progetto di restauro avviato con la Comunità ebraica di Livorno e ancora le iniziative nel Sud Italia, da Trani alla Sicilia. Sono molti gli impegni che hanno caratterizzato il denso 2022 della Fondazione per i Beni Culturali Ebraici in Italia (Fbcei), il cui Consiglio si è riunito a Roma dove ha approvato all’unanimità il bilancio. “È stato un anno di lavoro intenso, in cui abbiamo sviluppato importanti progetti di recupero e valorizzazione dei beni culturali ebraici in Italia”, evidenzia a Pagine Ebraiche il presidente della Fondazione Dario Disegni, che ha firmato la relazione sul 2022 approvata dal Consiglio.
  Nelle sue parole, la soddisfazione di aver messo in cantiere molte attività: alcune, spiega, vedranno compimento in questo 2023, altre proseguiranno il loro sviluppo nel corso dell’anno e altre ancora prenderanno avvio.
  Al primo punto, l’impegno sul fronte della Biblioteca Nazionale dell’Ebraismo Italiano. “L’assunzione della nuova denominazione rappresenta parte della sfida di rendere l’ente un riferimento centrale per le diverse biblioteche ebraiche sul territorio e per rafforzarne il ruolo di polo culturale nazionale”. Per favorire quest’ultimo elemento, si sta costruendo un ampio programma di eventi, seminari, conferenze, che ha già preso avvio e che proseguirà in questo 2023.
  Tornando al patrimonio librario e archivistico, rileva Disegni, è in corso un lavoro per promuovere un progetto triennale che porti alla creazione di una libreria digitale. Obiettivo, mettere a disposizione dell’utenza tutto il materiale online. “È un’iniziativa molto ambiziosa e siamo alla ricerca delle risorse economiche per poterla completare”. Un’operazione che si intreccia con un altra iniziativa di grande respiro in cui è coinvolta la Fondazione: il progetto I-tal-ya Books – con protagonisti UCEI, Biblioteca Nazionale Centrale di Roma e la Biblioteca Nazionale d’Israele – , volto a rendere fruibile in rete il patrimonio librario in lingua ebraica custodito nelle biblioteche italiane.
  Rimanendo in tema di catalogazione, “significativi passi avanti sono stati fatti per quella dedicata al patrimonio culturale ebraico in Italia”. Un lavoro, si spiega nella relazione, avviato nel 2016 “con il duplice obiettivo di aggiornare scientificamente e con il supporto di immagini fotografiche le schede compilate negli anni ’80 nell’ambito del piano di lavoro Ars – Presenza Ebraica in Italia, nonché di inventariare ex novo il materiale conservato presso le singole Comunità, i cimiteri ebraici non ancora censiti, i Musei statali e civici”.
  Nel corso del 2022 è inoltre proseguito il lavoro di catalogazione, destinato in prospettiva a dare vita a un vero e proprio Centro del Catalogo, da collocare presso il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara
  Molto è stato fatto poi sul fronte dei restauri, dove uno dei progetti più articolati è quello dedicato al cimitero di Valdirose. Qui l’orizzonte è il 2025 quando Nova Gorica e Gorizia saranno insieme Capitale Europea per la Cultura. Un’occasione internazionale per raccontare anche l’impronta ebraica su questi luoghi. Il progetto prevede la realizzazione, presso il primo piano dell’ex-Tempietto per i riti funebri, di uno spazio espositivo e informativo riguardante la storia del cimitero ebraico, della sua Comunità e dei personaggi di grande fama qui seppelliti, tra cui il rabbino Isacco Samuele Reggio, la giornalista e patriota Carolina Luzzatto, il filosofo Carlo Michelstaedter e il primo rettore dell’Università di Trieste Giulio Morpurgo.
  Un’idea simile vuole essere seguita a Finale Emilia, racconta Disegni, per un’iniziativa che sta prendendo piede. “Finale Emilia ha ospitato una importante comunità ebraica e abbiamo patrocinato un progetto, promosso dall’associazione Alma Finalis, che intende restaurare la casa del bellissimo cimitero ebraico in modo che possa ospitare un museo che ne racconti la storia”.
  In cantiere c’è anche un lavoro di recupero e restauro a Livorno, grazie alla collaborazione con la Comunità ebraica locale. I dettagli saranno poi presentati nel corso di quest’anno.
  Rimanendo in Toscana, nel 2021 è stato sottoscritto un accordo di collaborazione con The Medici Archive Project per collaborare alla ricostruzione 3D digitale dello spazio del Ghetto di Firenze, che dovrebbe essere oggetto di una mostra verso fine anno alla Galleria degli Uffizi dal nome “I Medici e gli ebrei”, con il patrocinio della Fondazione.
  Andando a Sud, l’impegno si è concentrato nel valorizzare il patrimonio ebraico di Trani e di diverse realtà siciliane. Rispetto all’isola, Disegni spiega che si vuole avviare un restauro delle lapidi ebraiche di Ortigia. “L’impegno è che siano recuperate e musealizzate perché purtroppo ora sono abbandonate alle intemperie”.
  “Sono quindi molteplici e importanti gli impegni che portiamo avanti. – afferma il presidente della Fondazione Beni Culturali Ebraici in Italia – Lo sforzo del Consiglio è duplice: sia mettere le diverse competenze professionali al suo interno a disposizione dei diversi progetti. Sia lavorare per reperire le ingenti risorse economiche all’esterno per poterli portare avanti e completare”. Anche il 2023 dunque si prefigura come un anno di grande intensità. “Siamo pronti. – conclude Disegni – Posso dire che c’è una squadra molto compatta, che lavora in perfetta unità di intenti, con grande professionalità per raggiungere i risultati prefissati. Ci auguriamo di continuare su questa strada per rispondere alle sfide legate alla conservazione e valorizzazione dei beni ebraici italiani”.

(moked, 24 febbraio 2023)

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Il pregiudizio anti-israeliano nei media: il caso del New York Times

di Luca Spizzichino

Uno studio condotto dall'Università Bar-Ilan nel corso del 2022, per il quale sono stati analizzati sia i modelli di copertura che di omissioni di informazioni, ha evidenziato un presunto pregiudizio anti-israeliano nel New York Times su entrambi i livelli; lo ha riportato Israel National News.
  Questa ricerca, che è stata condotta dall'autore israeliano e giornalista di Ma'ariv Lilac Sigan e dal professor Eytan Gilboa, esperto di comunicazione internazionale e diplomazia pubblica dell'Università di Bar-Ilan, ha rivelato dati preoccupanti sulla copertura mediatica rivolta allo Stato ebraico dal giornale statunitense, la cui scelta non sarebbe casuale. Infatti, secondo Sigan, il NYT è "il più importante canale di notizie al mondo, con una reputazione di lunga data per la professionalità".
  Il 2022 è stato un anno di copertura particolarmente pesante di Israele all'interno delle sue pagine, mentre il terrore e le minacce che Israele deve affrontare sono stati quasi del tutto trascurati. I risultati dello studio sono stati inviati al giornale, che ha però rifiutato di pubblicare un articolo di opinione che spiegasse lo studio e le principali scoperte.
  “Questo è uno studio importante e unico: raccoglie dati sulla copertura di Israele nel più importante canale di notizie del mondo e li analizza; raccoglie anche dati su eventi e fatti di fondo che giornalisti ed editori omettono, causando errori, pregiudizi e distorsioni” ha spiegato il Prof. Eytan Gilboa.
  “Quello che ho scoperto dopo un anno di ricerca è stato cupo e inquietante - ha ammesso Lilac Sigan - A parte l'effetto immediato sull'immagine e sullo status di Israele, la copertura distorce continuamente la realtà in Israele e nella regione, in un modo che crea una falsa percezione per le generazioni future”. “Ciò influisce sui legami che Israele ha con gran parte del pubblico americano, e specialmente con la comunità ebraica. Il lettore riceve solo fatti parziali dal notiziario, che dipinge un quadro cupo e monocromatico. Questo è inquietante, distorsivo e pericoloso” ha aggiunto.
  Alla luce delle ricerche, anche l’Ambasciatore di Israele presso le Nazioni Unite Gilad Erdan ha inviato una lettera all'Executive Editor del New York Times Joseph Kahn, in cui ha criticato aspramente il pregiudizio anti-israeliano del giornale.
  Come riporta Israel National News, l'Ambasciatore ha accusato il quotidiano di omettere dettagli e di distorcere la realtà dei fatti. "I capisaldi dell'etica del giornalismo sono la verità, l'accuratezza e l'obiettività - valori che, quando si tratta di Israele, il Times si rifiuta deliberatamente di sostenere”, si legge nella lettera. “Quando il New York Times sceglie di demonizzare Israele, il minimo che il giornalismo professionale esiga è che il lettore sia esposto all'intera storia per formulare un'opinione imparziale. Tuttavia, quando il Times riporta le azioni di Israele con un contesto quasi inesistente, contribuisce attivamente a deformare la verità”, afferma l’ambasciatore Erdan.
  "A causa della vostra copertura del terrorismo palestinese e della propagazione di mezze verità, i vostri lettori sono a malapena consapevoli dell'esistenza di queste organizzazioni jihadiste, per non parlare della costante minaccia che rappresentano per Israele. In futuro, se Israele sarà di nuovo costretto a difendersi contro il lancio indiscriminato di razzi palestinesi sul nostro fronte interno, sia da Gaza che dal Libano, i vostri lettori dedurranno inconsapevolmente che Israele è l'aggressore, nonostante sia vero l'esatto contrario. Attraverso questa copertura ingannevole, il Times non solo distorce la verità, ma incentiva anche il terrorismo", si legge ancora.
  "Come sapete, l'antisemitismo sta crescendo a un ritmo terrificante. Gran parte del violento odio contro gli ebrei di oggi assume la forma dell'odio contro Israele”, sottolinea Erdan, che dà la colpa ai media che coprono le notizie in maniera distorta. “Le narrazioni diffamatorie del New York Times stanno contribuendo attivamente al crescente odio del mio paese e, di conseguenza, la vostra pubblicazione ha un ruolo nel mettere in pericolo gli ebrei in tutto il mondo" conclude.
  Nel corso del 2022, Sigan e Gilboa hanno preso in esame 361 articoli, dove oltre la metà degli articoli copre negativamente le notizie provenienti dallo Stato ebraico e in quasi tutte c’è una costante omissione di informazioni riguardanti le minacce che Israele ha dovuto affrontare. In particolare è emerso come le organizzazioni terroristiche non abbiano ricevuto una copertura adeguata, per esempio nell’arco del 2022 Hezbollah è stato menzionato solo in 4 titoli durante tutto l'anno, di cui 1 negativo, e Hamas in 2 titoli, di cui 1 negativo.
  Il leader di Hamas Yahya Sinwar è stato definito solo 2 volte come terrorista, mentre il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah nemmeno una volta. Inoltre le parole "Hamas" e "organizzazione terroristica" sono apparse insieme negli articoli del New York Times solo 13 volte durante l'anno, sebbene sia considerata come tale ufficialmente dal Dipartimento di Stato americano, dall’Unione Europea, dal Regno Unito e da altri paesi.
  Al contrario il New York Times non ha perso occasione di citare il ministro Itamar Ben-Gvir insieme alla parola “terrorista” ben 20 volte, e di mettere insieme le parole "Israele" e "apartheid" 39 volte nel corso del 2022. Un altro particolare preoccupante è quello inerente alla narrativa delle operazioni fatte dall’esercito israeliano. Infatti il New York Times ha affermato che la maggior parte dei palestinesi uccisi durante il 2022 erano civili, al contrario di quanto rivelato costantemente dall'IDF secondo cui la maggioranza delle vittime erano terroristi.

(Shalom, 24 febbraio 2023)

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L’Oman apre il suo spazio aereo alle compagnie di bandiera israeliane

di David Fiorentini

L’Oman ha aperto il suo spazio aereo ai voli delle compagnie israeliane. “Questa storica decisione accorcerà i tempi di volo da Israele verso l’Asia e abbasserà i prezzi dei biglietti”, ha dichiarato il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen. “Ringrazio il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, il Sultano dell’Oman Haitham bin Tariq Al Said e i nostri amici americani per il loro sostanziale aiuto”.
  L’annuncio arriva dopo mesi di colloqui tra il ministero degli Esteri israeliano e le autorità dell’Oman, e dopo che l’Arabia Saudita, un’altra monarchia del Golfo che non ha legami diplomatici con Israele, lo scorso luglio ha approvato un simile provvedimento.
  “L’Estremo Oriente non è così lontano e i cieli non sono più un limite. Questo è gran giorno per l’aviazione israeliana. Israele è diventato, di fatto, il principale punto di transito tra l’Asia e l’Europa”, ha dichiarato Netanyahu. “Abbiamo lavorato per aprire lo spazio aereo, prima sull’Arabia Saudita e dal 2018, quando ho visitato lo Stato, anche sull’Oman in modo da poter volare direttamente in India e poi in Australia. Israele si sta aprendo all’Oriente su una scala senza precedenti”.
  A titolo di esempio infatti, il volo diretto di El Al da Tel Aviv a Bangkok attualmente dura circa 10 ore e 45 minuti, ma con questa scorciatoia, i tempi di percorrenza si ridurranno notevolmente, diventando paragonabili a quelli di Royal Jordanian che da Amman, 160 km a est di Tel Aviv, raggiunge la Cambogia in solamente 8 ore e 10 minuti.
  Inoltre, la notizia fa eco anche a un’altra partnership, sancita tra El Al e il vettore emiratino Etihad Airways. I frequent flyer possono ora accumulare e utilizzare miglia aeree con entrambe le compagnie.
  Tuttavia, facendo fronte alle relazioni ancora complicate tra gli Stati del Golfo e Israele, l’autorità per l’aviazione dell’Oman non ha menzionato esplicitamente lo Stato ebraico nel suo comunicato, limitandosi a esplicitare che secondo la Convenzione di Chicago del 1944 lo spazio aereo nazionale è “aperto a tutti i vettori che soddisfano i requisiti delle autorità per il sorvolo”.

(Bet Magazine Mosaico, 24 febbraio 2023)

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“Beni culturali ebraici in Italia, un anno di grandi sfide e progetti”

C’è il grande lavoro di catalogazione e digitalizzazione del patrimonio conservato nella Biblioteca Nazionale dell’Ebraismo Italiano Tullia Zevi (ex Centro Bibliografico di Lungotevere Sanzio 5) così come la valorizzazione di quest’ultima come polo culturale. C’è la prosecuzione dei lavori al cimitero dell’antica Gorizia ebraica a Valdirose. Poi un progetto di restauro avviato con la Comunità ebraica di Livorno e ancora le iniziative nel Sud Italia, da Trani alla Sicilia. Sono molti gli impegni che hanno caratterizzato il denso 2022 della Fondazione per i Beni Culturali Ebraici in Italia (Fbcei), il cui Consiglio si è riunito a Roma dove ha approvato all’unanimità il bilancio. “È stato un anno di lavoro intenso, in cui abbiamo sviluppato importanti progetti di recupero e valorizzazione dei beni culturali ebraici in Italia”, evidenzia a Pagine Ebraiche il presidente della Fondazione Dario Disegni, che ha firmato la relazione sul 2022 approvata dal Consiglio.
  Nelle sue parole, la soddisfazione di aver messo in cantiere molte attività: alcune, spiega, vedranno compimento in questo 2023, altre proseguiranno il loro sviluppo nel corso dell’anno e altre ancora prenderanno avvio.
  Al primo punto, l’impegno sul fronte della Biblioteca Nazionale dell’Ebraismo Italiano. “L’assunzione della nuova denominazione rappresenta parte della sfida di rendere l’ente un riferimento centrale per le diverse biblioteche ebraiche sul territorio e per rafforzarne il ruolo di polo culturale nazionale”. Per favorire quest’ultimo elemento, si sta costruendo un ampio programma di eventi, seminari, conferenze, che ha già preso avvio e che proseguirà in questo 2023.
  Tornando al patrimonio librario e archivistico, rileva Disegni, è in corso un lavoro per promuovere un progetto triennale che porti alla creazione di una libreria digitale. Obiettivo, mettere a disposizione dell’utenza tutto il materiale online. “È un’iniziativa molto ambiziosa e siamo alla ricerca delle risorse economiche per poterla completare”. Un’operazione che si intreccia con un'altra iniziativa di grande respiro in cui è coinvolta la Fondazione: il progetto I-tal-ya Books – con protagonisti UCEI, Biblioteca Nazionale Centrale di Roma e la Biblioteca Nazionale d’Israele – , volto a rendere fruibile in rete il patrimonio librario in lingua ebraica custodito nelle biblioteche italiane.
  Rimanendo in tema di catalogazione, “significativi passi avanti sono stati fatti per quella dedicata al patrimonio culturale ebraico in Italia”. Un lavoro, si spiega nella relazione, avviato nel 2016 “con il duplice obiettivo di aggiornare scientificamente e con il supporto di immagini fotografiche le schede compilate negli anni ’80 nell’ambito del piano di lavoro Ars – Presenza Ebraica in Italia, nonché di inventariare ex novo il materiale conservato presso le singole Comunità, i cimiteri ebraici non ancora censiti, i Musei statali e civici”.
  Nel corso del 2022 è inoltre proseguito il lavoro di catalogazione, destinato in prospettiva a dare vita a un vero e proprio Centro del Catalogo, da collocare presso il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara
  Molto è stato fatto poi sul fronte dei restauri, dove uno dei progetti più articolati è quello dedicato al cimitero di Valdirose. Qui l’orizzonte è il 2025 quando Nova Gorica e Gorizia saranno insieme Capitale Europea per la Cultura. Un’occasione internazionale per raccontare anche l’impronta ebraica su questi luoghi. Il progetto prevede la realizzazione, presso il primo piano dell’ex-Tempietto per i riti funebri, di uno spazio espositivo e informativo riguardante la storia del cimitero ebraico, della sua Comunità e dei personaggi di grande fama qui seppelliti, tra cui il rabbino Isacco Samuele Reggio, la giornalista e patriota Carolina Luzzatto, il filosofo Carlo Michelstaedter e il primo rettore dell’Università di Trieste Giulio Morpurgo.
  Un’idea simile vuole essere seguita a Finale Emilia, racconta Disegni, per un’iniziativa che sta prendendo piede. “Finale Emilia ha ospitato una importante comunità ebraica e abbiamo patrocinato un progetto, promosso dall’associazione Alma Finalis, che intende restaurare la casa del bellissimo cimitero ebraico in modo che possa ospitare un museo che ne racconti la storia”.
  In cantiere c’è anche un lavoro di recupero e restauro a Livorno, grazie alla collaborazione con la Comunità ebraica locale. I dettagli saranno poi presentati nel corso di quest’anno.
  Rimanendo in Toscana, nel 2021 è stato sottoscritto un accordo di collaborazione con The Medici Archive Project per collaborare alla ricostruzione 3D digitale dello spazio del Ghetto di Firenze, che dovrebbe essere oggetto di una mostra verso fine anno alla Galleria degli Uffizi dal nome “I Medici e gli ebrei”, con il patrocinio della Fondazione.
  Andando a Sud, l’impegno si è concentrato nel valorizzare il patrimonio ebraico di Trani e di diverse realtà siciliane. Rispetto all’isola, Disegni spiega che si vuole avviare un restauro delle lapidi ebraiche di Ortigia. “L’impegno è che siano recuperate e musealizzate perché purtroppo ora sono abbandonate alle intemperie”.
  “Sono quindi molteplici e importanti gli impegni che portiamo avanti. – afferma il presidente della Fondazione Beni Culturali Ebraici in Italia – Lo sforzo del Consiglio è duplice: sia mettere le diverse competenze professionali al suo interno a disposizione dei diversi progetti. Sia lavorare per reperire le ingenti risorse economiche all’esterno per poterli portare avanti e completare”. Anche il 2023 dunque si prefigura come un anno di grande intensità. “Siamo pronti. – conclude Disegni – Posso dire che c’è una squadra molto compatta, che lavora in perfetta unità di intenti, con grande professionalità per raggiungere i risultati prefissati. Ci auguriamo di continuare su questa strada per rispondere alle sfide legate alla conservazione e valorizzazione dei beni ebraici italiani”.

(moked, 24 febbraio 2023)

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L’Italia e gli ebrei nei territori occupati durante la Seconda Guerra Mondiale

di Amedeo Osti Guerrazzi

“Tutti coloro che per varie ragioni hanno abbandonato il loro paese sono con il presente proclama invitati a ritornarvi. Le forze armate italiane sono i garanti della loro sicurezza, della loro libertà e delle loro proprietà”. Queste parole sono tratte da un proclama del generale Vittorio Ambrosio del settembre 1941. Ambrosio era il comandante della 2a Armata italiana, responsabile dell’occupazione di parte della ex Jugoslavia da poco conquistata e smembrata dalle forze dell’Asse. In pratica, secondo la storiografia, con questo proclama Ambrosio garantiva la salvezza per tutte le minoranze presenti sul territorio occupato dalla sua armata, ebrei compresi. Insomma un generale dell’Asse, in un momento storico nel quale la Shoah era in pieno svolgimento, dichiarava apertamente che avrebbe difeso la libertà e le proprietà dei perseguitati, in primis gli ebrei.
  Come è stato possibile? Come interpretare la scelta delle Forze armate italiane di impedire apertamente la persecuzione degli ebrei andando contro non solo la volontà dei nazisti, ma anche di tanti loro alleati come gli Ustascha croati o i fascisti romeni?
  L’Italia ebbe un ruolo non secondario nelle politiche di occupazione dell’Asse in Europa. L’esercito italiano aveva occupato, e controllava, la parte meridionale della Francia, buona parte della Jugoslavia e della Grecia e una parte del bacino del Don. Tutte zone dove si trovavano decine di migliaia di ebrei. In nessuno di questi territori costoro furono uccisi direttamente dagli italiani. Fino all’armistizio del 1943, nei territori occupati, così come in Italia, la vita degli ebrei fu al sicuro, tanto che le forze armate italiane si trovarono a dover gestire migliaia di rifugiati ebrei che scappavano dalle aree circostanti.
  Furono anche numerosi, inoltre, i funzionari, i diplomatici e gli italiani in genere che, in altre zone europee, non sotto il controllo delle nostre forze armate, decisero di salvare la vita ad ebrei, rischiando personalmente. Il caso di Giorgio Perlasca, l’agente di commercio italiano che si spacciò per console spagnolo a Budapest, salvando la vita di numerosi ebrei ungheresi, è solo il più noto di tanti poi raccontati in una bella mostra curata un paio di anni fa da Marcello Pezzetti, intitolata Solo il dovere oltre il dovere.
  Eppure questa storia non è chiara e pulita come vorremmo che fosse. La storiografia ha interpretato in maniera talvolta completamente divergente la politica complessiva del regime fascista nei territori occupati fino all’armistizio. Alcuni l’hanno interpretata come il risultato di un mero scontro di potere tra Italia e Germania, con la prima che cercava di ritagliarsi degli spazi di autonomia e quindi si rifiutava di accogliere le richieste naziste di consegnare, se non eliminare direttamente, gli ebrei. Altri hanno parlato invece di una differenza culturale (o addirittura antropologica) tra italiani e tedeschi. Alcuni ancora hanno parlato di interessi economici, ovvero di semplice corruzione a fini predatori dei beni degli ebrei in fuga che, disperati, avrebbero pagato profumatamente la loro salvezza.
  Insomma è un argomento su cui si è scritto molto, ma soprattutto a livello di politiche complessive del regime fascista. Molto meno sappiamo dell’atteggiamento in loco dei militari o dei funzionari che, nei territori occupati, si trovarono a gestire direttamente e personalmente, spesso senza direttive chiare, il “problema” degli ebrei e a contrattare, giorno per giorno, con gli ingombranti alleati nazisti.
  Lo scopo del convegno del 27-28 febbraio prossimo è proprio questo: mettere a confronto studiosi, molti dei quali appartenenti a una nuova leva storiografica, che stanno analizzando questo tema, ovvero le decisioni, le scelte, a volte le non scelte, di chi si trovò a dover attuare o non attuare le politiche del regime fascista. L’ambizione del convegno è di ottenere un quadro molto più preciso di ciò che videro e vissero i funzionari e i militari italiani, cosa scelsero di fare, sulla base di quali motivazioni, con una visione il più possibile “dal basso” delle occupazioni italiane e della Shoah in quei territori. Grazie a questo approccio, sarà possibile avere un’immagine più chiara, o almeno meno sfocata, di ciò che fu la posizione non dell’Italia fascista, ma degli italiani, nei territori occupati, nei confronti degli ebrei.

(Shalom, 24 febbraio 2023)

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«Diritti umani violati»: Ascoltami porta i vaccini davanti alla Cedu

Le reazioni avverse al vaccino covid provano che le leggi che hanno imposto la vaccinazione hanno violato un diritto umano. I danneggiati da vaccino-Covid riuniti nel Comitato Ascoltami portano la sentenza della Corte costituzionale davanti alla Corte europea dei diritti umani: «È stata lesa la Convenzione di Roma in relazione al diritto alla vita, alla salute, all’integrità psicofisica, alla dignità umana». Si profila una battaglia legale per chiedere giustizia. 

di Andrea Zambrano

Le reazioni avverse al vaccino hanno costituito una lesione dei diritti umani». Il Comitato Ascoltami ha deciso di passare al contrattacco e di presentare un ricorso che segna un punto di svolta nella ricerca della verità sulla campagna vaccinale appena trascorsa. Il Comitato che riunisce i danneggiati da vaccino anti covid si rivolgerà alla Cedu, la Corte europea dei diritti dell’uomo, portando le sentenze numero 14, 15 e 16 della Corte costituzionale, che hanno confermato la correttezza delle politiche coatte sull’inoculo “salvando” così il governo Draghi che li aveva imposti per medici, personale della sanità, docenti, personale della scuola, studenti e tirocinanti.
  Il Comitato ne ha dato notizia attraverso le sue piattaforme social a tutti gli iscritti:

    «IMPORTANTE: il Comitato Ascoltami davanti alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU). Stiamo preparando una delle azioni più importanti dalla nascita del Comitato Ascoltami: andremo a richiedere a Strasburgo giustizia per il diritto alla vita e alla salute VIOLATO. Andremo come Comitato Ascoltami e come singoli individui. Vogliamo iniziare INSIEME in tantissimi un’azione FORTE, CHIARA, SIMBOLICA e CONCRETA».

  Lunedì sera si terrà una riunione tra gli iscritti nella quale verranno illustrate le modalità per partecipare al ricorso dei quali costi si farà carico interamente il Comitato.
  Ad affiancare i danneggiati nella loro battaglia, dopo mesi passati a sperare di essere ascoltati dallo Stato, ci sarà un pool di avvocati a cui è stato chiesto di preparare il ricorso. «È la prima volta che una sentenza della Corte costituzionale viene portata davanti alla Corte Europea per i diritti umani», spiegano alla Bussola dal team di legali. La Corte di Strasburgo ha giurisdizione per accertare l’avvenuta violazione dei diritti umani e delle libertà inalienabili».
  Ma che cosa c’entra con la campagna di vaccinazione e le reazioni avverse?
  Secondo la Corte costituzionale l’obbligo vaccinale covid19 imposto dal governo Draghi può definirsi sicuro e non sperimentale e quindi, nell’insieme, costituzionalmente legittimo secondo canoni di ragionevolezza e proporzionalità. Il ricorso si fonda invece sul ritenere non solo che questo sia un clamoroso errore giuridico, ma alla luce della mole di danneggiati da vaccino che la norma impositiva del vaccino e le sentenze di omologa della Corte costituzionale violino i diritti umani.
  Una sentenza della Cedu di accoglimento delle contestazioni e doglianze avrebbe l’effetto di “sporcare” l’operato dello Stato italiano e della Corte costituzionale e si porrebbe come precedente vincolante facendo emergere le infrazioni commesse.
  Per poter raggiungere questo scopo, gli avvocati di Ascoltami dovranno dimostrare che in relazione all’obbligo vaccinale in Italia sono avvenute «violazioni dei diritti umani come il diritto alla vita, alla salute, all’integrità psicofisica, alla dignità umana, al divieto di discriminazione fondato su condizioni personali. Si tratta dei principi sanciti dalla Convenzione di Roma del 1950, il trattato internazionale sottoscritto da 47 Stati europei che è volto a tutelare i diritti umani e le libertà fondamentali in Europa e che fissa le regole per il rispetto dei diritti dell’uomo, della libertà, della sicurezza e dell’equo processo.
  In sostanza, si cercherà di provare che l’obbligo vaccinale ha comportato una serie di violazioni della convenzione di Roma. «Violazioni – dicono - che non sono derogabili nemmeno in stato di guerra».
  Chi potrà partecipare a questa azione? «Persone iscritte al Comitato Ascoltami con reazioni avverse da vaccino anti covid-19 e persone iscritte come “amici” del Comitato non danneggiati nel corpo ma nell’anima purché appartenenti alle seguenti categorie dell’obbligo vaccinale: operatori sanitari e personale di strutture sanitarie, corpo docente e personale delle scuole, studenti universitari, tirocinanti e specializzandi.
  La motivazione dei danneggiati attiene principalmente a un atto di giustizia: «Dopo che la Corte costituzionale si è vergognosamente espressa possiamo e dobbiamo appellarci alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo. Il Comitato Ascoltami ci sarà. Uniti e compatti a richiedere Giustizia».

(La Nuova Bussola Quotidiana, 24 febbraio 2023)

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Jerusalem Marathon

Torna a Gerusalemme l'evento sportivo più atteso dell'anno: in migliaia sul percorso che unisce la città vecchia e i nuovi quartier

Anche quest’anno a Gerusalemme è tutto pronto per accogliere la 10ª edizione della Jerusalem “Winner” Marathon, uno egli eventi più entusiasmanti e attesi del calendario sportivo in città. Venerdì 17 marzo, infatti, Gerusalemme verrà animata da sportivi provenienti da ogni parte del mondo ed appuntamenti di respiro internazionale. La Maratona Internazionale, grazie ai magnifici panorami e alle strade ricche di storia che le fanno da sfondo, è davvero unica al mondo. I corridori sapranno sicuramente apprezzare la corsa, così come gli scenari mozzafiato e le celebri attrazioni culturali della città che s’incontrano lungo il percorso. Ogni anno, partecipano all’evento più di 20 mila persone tra residenti e turisti che arrivano nella città “santa” per veder gareggiare atleti amatoriali e professionisti provenienti da diversi paesi.
  La maratona, che ha conquistato status di evento sportivo più importante in Israele, è riuscita a farsi spazio nel panorama degli appuntamenti internazionali di punta grazie alla sua combinazione di sport, storia e grandi valori. La Jerusalem Winner Marathon favorisce l’incontro di tutte le comunità e promuove i principi di diversità ed accoglienza. Il grande interesse dei partecipanti è legato alla fama della maratona, il suo percorso ad alto tasso scenografico che, attraversano il passaggio tra i quattro quartieri della città e le sue principali attrazioni, raccontano la storia di Gerusalemme, ma anche ai valori di una delle città più antiche del mondo.
  La partenza della gara è davanti al Parlamento Israeliano, il Knesset, per passare poi intorno al Giv'at Ram campus dell’Università Ebraica, lungo la Valle della Croce e attraverso diversi quartieri disposti lungo la strada in salita che conduce al Campo del Monte Scopus dell’Università Ebraica. Il percorso, poi, scenderà verso la Città Vecchia, accompagnando i maratoneti attraverso la Porta di Giaffa e il Quartiere Armeno e fuori dalla Porta di Sion, sulla strada verso la Foresta di Gerusalemme, fino a raggiungere il traguardo a Sacher Park.
  Come negli anni passati, i partecipanti avranno la possibilità di disputare 6 percorsi differenti: una maratona completa di 42.2 km, una mezza maratona di 21,1 km, un percorso di 10 km, uno di 5 km, una gara di famiglia e una gara di comunità. Un’occasione imperdibile per scoprire la destinazione sotto una nuova luce e unirsi alla più grande manifestazione sportiva sociale d’Israele.
  Oltre alla gara, durante la maratona si svolgeranno numerosi altri eventi per celebrare la comunità e la vita sportiva. Nel giorno della maratona, tutti i partecipanti, i residenti e i visitatori vivranno un giorno di festa. Gli spettatori avranno l’opportunità di partecipare a una serie di piccoli eventi lungo il tracciato della gara, comprese attività sportive e spettacoli.
  La Maratona di Gerusalemme invita tutti a partecipare alla fiera e festival dello sport, dove i corridori e gli spettatori si potranno divertire con esercizi di stretching, aerobica, zumba e altro ancora, con i migliori istruttori di fitness d’Israele. Il festival ospiterà anche gruppi di percussionisti e artisti di strada.
  Dettagli, aggiornamenti sugli eventi e il form di iscrizione alla maratona sono disponibili sul sito ufficiale.

(MarathonWorld, 24 febbraio 2023)

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Israele: scoperte prove di chirurgia cranica risalenti a 3.500 anni fa

Gli archeologi hanno rinvenuto nell’antica città di Megiddo, prove di chirurgia cranica dell’età del bronzo.

di Lucia Petrone

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Megiddo è un’antica città, i cui resti formano un Tel (un tumulo archeologico), situata nel nord di Israele vicino al Kibbutz Megiddo. Durante l’età del bronzo, Megiddo era un’importante città-stato cananea, abitata da una civiltà di lingua semitica che aveva centri abitati nella regione del Levante meridionale nel Vicino Oriente antico. Megiddo è emersa come un importante centro commerciale, controllando l’attraversamento all’estremità settentrionale della gola di Wadi Ara, che funge da passaggio attraverso la cresta del Carmelo, e dalla sua posizione domina la ricca valle di Jezreel da ovest. Recenti scavi al Tel hanno portato alla luce un luogo di sepoltura, dove gli archeologi hanno trovato il cranio di un maschio adulto con prove di trapanazione. La trapanazione è un intervento chirurgico in cui viene praticato un foro o raschiato nel cranio umano. La perforazione intenzionale del cranio espone la dura madre per trattare problemi di salute legati a malattie intracraniche o rilasciare l’accumulo di sangue sotto pressione da una lesione. Il foro è di dimensioni quadrate, più o meno delle dimensioni di un grosso francobollo, ed è stato praticato con grande cura per non perforare uno strato di tessuto che protegge il cervello. Il team ha trovato due dei pezzi di osso che erano stati staccati dal cranio, suggerendo che l’uomo è morto poco dopo la procedura medica. Un esame dei resti ha mostrato che il cranio presenta diverse anomalie, tra cui un molare extra, un naso rotto che era guarito in modo asimmetrico e un difetto nelle ossa della fronte che non si sono mai fuse correttamente.
  Le ossa dell’uomo sono segnate da lesioni coerenti con una malattia infettiva come la tubercolosi o la lebbra. Adiacente alla tomba c’è un’altra sepoltura con lesioni simili sulle ossa, per le quali un’analisi del DNA ha rivelato che era il fratello minore dell’uomo. “Forse erano predisposti ad avere le stesse malattie”, suggerisce Rachel Kalisher, bioarcheologa e studentessa laureata alla Brown University. O “forse vivevano insieme e uno ha contratto la malattia infettiva dell’altro”. Secondo Kalisher, i due fratelli provenivano da un’area domestica direttamente adiacente al palazzo della tarda età del bronzo di Megiddo, suggerendo che i due fossero membri d’élite della società e forse anche reali stessi. I fratelli furono sepolti con pregiate ceramiche cipriote e altri beni di valore e, come dimostra la trapanazione, ricevettero un trattamento che non sarebbe stato accessibile alla maggior parte dei cittadini di Megiddo.

(Scienze Notizie, 23 febbraio 2023)

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Razzi palestinesi e reazioni israeliane

Nella notte, sei razzi palestinesi sono stati lanciati da Gaza verso comunità civili israeliane nel sud del paese. Il sistema difensivo israeliano “Cupola di ferro” ne ha intercettati cinque. Il sesto è caduto in un’area non edificata.
Le Forze di Difesa israeliane hanno reagito colpendo giovedì mattina obiettivi militari di Hamas nella striscia di Gaza
, tra cui un deposito di armi posizionato vicino a una moschea, un ambulatorio sanitario e una scuola. “Prova ulteriore che i terroristici posizionano le loro risorse militari in mezzo alla popolazione civile”, ha detto il portavoce militare israeliano.
Più tardi, giovedì mattina, una palestinese ha tentato di accoltellare personale di sicurezza in servizio a un posto di controllo all’ingresso dell’agglomerato ebraico di Ma’ale Adumim (poco a est di Gerusalemme), ma è stata colpita in tempo dalla reazione degli agenti.

(israele.net, 23 febbraio 2023)

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Intesa Pfizer-Israele: le carte pubblicate sono piene di omissis

Israele pubblica i contratti con Pfizer, ma censura le parti sulle responsabilità giuridiche in caso di danni da vaccino. In Europa, s'era già scoperto che sono gli Stati a doversi sobbarcare spese legali e risarcimenti. E intanto, i membri della commissione d'inchiesta sul Covid al Parlamento Ue insorgono, chiedendo di visionare gli accordi con il colosso farmaceutico senza omissis. 

di Alessandro Rico 

Sui contratti per i vaccini anti Covid di Pfizer si consuma un paradosso: più se ne sa, meno la 
  faccenda si chiarisce. Prendete l'ultima: in Israele, dopo un'estenuante trafila, sono stati pubblicati gli accordi siglati dal governo con la casa farmaceutica. Un particolare balza all'occhio. Emerge dall'Appendice A al cosiddetto «Term sheet giuridicamente vincolante». Anzi, a voler essere precisi, da quelle pagine non emerge un bel niente. Il capitolo dedicato a «Responsabilità ed erogazione delle indennità», in caso di danni da inoculazione, risulta oscurato. Peraltro, il ministero della Salute israeliano si è vincolato, ai sensi della sezione 10.1, alla massima riservatezza. Risultato: le informazioni più succose, quelle che concernono l'eventualità in cui un vaccinato, danneggiato dal medicinale, avvii una causa in tribunale, sono nascoste da una lunga serie di omissis. 
  Chi paga per le reazioni avverse? Chi ne risponde in sede penale? Una risposta almeno parziale, qui nell'Ue, ce l'abbiamo. Ad aprile 2021, il quotidiano catalano La Vanguardia tirò fuori le carte della stipula tra Bruxelles e Pfizer, risalente a novembre 2020, per l'acquisto di 200 milioni di dosi di vaccino. Fu accertato che la società sarebbe stata esentata da qualsiasi responsabilità nell'ipotesi di danni a terzi, salvo che fossero stati accertati difetti nella produzione delle fiale. Lo scorso dicembre, durante il Consiglio europeo dei ministri della Salute, Orazio Schillaci aveva aggiunto un dettaglio: gli Stati sono tenuti a pagare le spese legali, se la multinazionale viene portata alla sbarra da un cittadino. 
  Da un lato, è comprensibile che Bigpharma abbia strappato clausole vantaggiose, vista l'emergenza internazionale del 2020. Dall'altro, tocca registrare come le autorità pubbliche e l'Ue, che pure pretende di vantare maggior potere negoziale rispetto alle singole nazioni, abbiano calato le braghe al cospetto dei produttori. Il presunto successo dell'Unione è consistito nel sottostare a condizioni capestro, trattando in modo opaco: è quasi superfluo citare i messaggi privati tra Ursula von der Leyen e il ceo di Pfizer, Albert Bourla. 
  Chi dovrebbe difendere gli interessi della popolazione s'era invece impegnato a mega acquisizioni, com'è accaduto in Israele, ancor prima che i preparati delle ditte ricevessero le autorizzazioni provvisorie: un preliminare di Gerusalemme con Pfizer risale a luglio 2020, laddove il via libera alle iniezioni della prima agenzia regolatoria al mondo, quella britannica, sarebbe arrivato cinque mesi dopo. Va anche ricordato che Israele, pur di accelerare le consegne, aveva accettato di cedere all'azienda una mole impressionante di dati sanitari, trasformandosi, di fatto, in una sorta di laboratorio a cielo aperto. La campagna di somministrazioni, nel Paese mediorientale, ha funto dunque da studio sul campo. Non è un caso se è lì che ci si è resi conto che l'efficacia dei vaccini scemava rapidamente, che lo scudo da essi conferito veniva aggirato già dalla variante Delta e che, negli adolescenti, le somministrazioni potevano dare luogo a miocarditi e pericarditi. Ciliegina sulla torta: alla fine dello scorso anno, il responsabile del dicastero della Salute, Nitzan Horowitz, sosteneva di non riuscire più a trovare il faldone che illustrava i termini dell'accordo con il colosso farmaceutico. 
  La pubblicazione degli ultimi documenti non è passata in osservata, nel Vecchio continente. Se n'è accorto Rob Roos, l'eurodeputato olandese che, in audizione alla commissione d'inchiesta, aveva incalzato la rappresentante di Pfizer, Janine Small, costringendola ad ammettere che il vaccino non era mai stato testato per la capacità di bloccare la trasmissione del virus. Riferendosi alle pagine sbianchettate sulla responsabilità per gli effetti collaterali, l'esponente conservatore ha twittato: «È come al Parlamento europeo. Noi, in quanto membri della commissione speciale sul Covid, non abbiamo ancora visto un singolo contratto senza censure! Sono questi i cosiddetti "valori europei"? È questa la "trasparenza" che caratterizza una democrazia?», Intervistata dalla Verità, anche la numero uno del comitato, la socialista belga Kathleen Van Brempt, si era lamentata: «Sono convinta», aveva argomentato, «che i membri della commissione e del Parlamento europeo debbano avere pieno accesso ai contratti, senza parti oscurate, al fine di svolgere propriamente il loro lavoro. Non è accettabile che organismi cui i trattati conferiscono il compito di vigilare sul bilancio non possano accedere a tutte le informazioni rilevanti». Sacrosanto. 
  Giacché, man mano che affiorano nuovi elementi, la vicenda dei negoziati sui vaccini diventa più torbida, non sarebbe ora di sollevare il velo? Se è filato tutto liscio, se ognuno ha agito per il bene collettivo, cosa c'è nascondere? 

(La Verità, 23 febbraio 2023)


Nella questione della legittimità
dello Stato ebraico sulla sua terra
Israele si trova dalla parte della verità
e contro il mondo
Nella questione delle vaccinazioni Israele si trova dalla parte del mondo
e contro la verità.


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“L’Iran spia i membri della comunità ebraica e israeliana. Diverse le minacce di assassinio e rapimento"

Così il Ministro della Sicurezza dello UK

di Giovanni Panzeri

“Tra il 2020  e il 2022 l’Iran ha cercato di raccogliere informazioni riservate su diversi individui ebrei o israeliani risiedenti nello UKha dichiarato il ministro della sicurezza britannico Tom Tugendhat nel suo discorso alla Camera dei Comuni lunedì scorso.
  “Dall’inizio del 2022” ha continuato il ministro “ abbiamo risposto a 15 casi in cui c’erano credibili minacce di morte o rapimento indirizzate a residenti nel Regno Unito da parte del regime iraniano”.
  Il ministro ha poi proseguito sottolineando come queste minacce non siano  legate ad “elementi deviati”, ma al contrario “rappresentino una chiara strategia del governo iraniano” portata avanti da elementi riconducibili alla Guardia rivoluzionaria.
  Oltre alle minacce verso appartenenti alla comunità ebraica e cittadini israeliani il ministro ha inoltre denunciato i tentativi di ritorsione verso alcuni giornalisti residenti nel Regno Unito, e le loro famiglie, colpevoli di lavorare per Iran international, uno dei principali media in lingua persiana ad aver denunciato la violenta repressione delle recenti proteste anti-governative.
  “Sappiamo che i servizi segreti iraniani lavorano a stretto contatto con il crimine organizzato” ha continuato Tugendhat “ e vi posso assicurare che perseguiremo chiunque collabori con loro”. Inoltre, come riporta il Financial Times, il governo inglese sta considerando di dichiarare la Guardia rivoluzionaria un’organizzazione terroristica.
  Secondo il Jewish Chronicle, queste dichiarazioni potrebbero confermare una serie di rivelazioni recentemente pubblicate dallo stesso giornale, secondo cui l’Iran starebbe raccogliendo informazioni su membri importanti della Diaspora, che diventerebbero bersaglio di “squadre della morte” nel caso di un attacco israeliano.

(Bet Magazine Mosaico, 23 febbraio 2023)

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Israele al secondo posto negli investimenti in proteine alternative nel 2022

di Luca Spizzichino

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Secondo il rapporto pubblicato dal Good Food Institute Israel, organizzazione che cerca di promuovere la ricerca e l’innovazione nella tecnologia alimentare, lo Stato Ebraico si è classificato secondo, dopo gli Stati Uniti, negli investimenti su startup che si occupano di proteine ​​alternative, con oltre 454 milioni di dollari di capitale raccolti nel 2022.
  Gli investimenti in Israele rappresentano circa il 15% del capitale globale raccolto per il settore. Al terzo posto la Francia, con 184 milioni di dollari di investimenti, seguita da Singapore con 170 milioni di dollari. L’anno scorso il 60% degli investimenti nelle compagnie di food tech è andato a quelle legate proprio alle proteine alternative che comprendono: sostituti vegetali per carne, latticini e uova, latticini coltivati, carne e frutti di mare ottenuti da cellule e vari processi e prodotti di fermentazione.
  “Quello che abbiamo visto nel 2022 è che nel settore sta avvenendo una corsa globale alle proteine”, ha dichiarato al Times of Israel Nir Goldstein, amministratore delegato dell’organizzazione. “Abbiamo visto grandi paesi seguire il presidente Biden, che ha ordinato di mettere insieme una strategia per rafforzare le biotecnologie, comprese le proteine ​​alternative. La Cina ha una strategia quinquennale e paesi più piccoli come il Regno Unito e la Danimarca hanno effettuato investimenti significativi” ha sottolineato il CEO del Good Food Institute Israel, che si è posto questa domanda: quale sarà il futuro dello stato d’Israele nel settore? Secondo Goldstein, “Israele può sicuramente diventare un centro sia per la ricerca e lo sviluppo che per la produzione industriale".
  Secondo quanto riportato nello studio fatto dal GFI, gli investimenti nel food tech in Israele sono stati i meno colpiti rispetto ad altri settori tecnologici. Mentre gli investimenti privati ​​nel settore tecnologico sono diminuiti del 42%, quelli nelle startup che producono proteine alternative sono diminuite del 20%.
  “Durante il 2021 e la maggior parte del 2022 la questione della sicurezza alimentare nazionale è diventata sempre più centrale a causa della crisi che abbiamo visto in Ucraina, la pandemia e l'influenza suina”, ha affermato Goldstein. "Abbiamo posto il problema ai governi e agli investitori, che ora sono alla ricerca di modi più resilienti ed efficienti per produrre proteine", ha aggiunto.
  L'accordo più importante nel settore delle proteine ​​vegetali israeliane nel 2022 è stato l'investimento di 135 milioni di dollari in Redefine Meat, che fa prodotti a base di carne vegetale stampati in 3D, per finanziare le linee di produzione in Israele e nei Paesi Bassi, nonché estendere le collaborazioni con ristoranti e trattorie. Mentre il secondo più grande investimento è stato di 124 milioni di dollari per Remilk, uno sviluppatore di latte e prodotti lattiero-caseari senza animali.
  Come riportato dal Good Food Institute, molte delle tecnologie utilizzate nel settore sono basate sulla ricerca accademica. Le tecnologie alla base di due aziende israeliane più importanti, Aleph Farms e Future Meat, si fondano sulla ricerca di bioingegneria sviluppata dai rispettivi co-fondatori, la Prof. Shulamit Levenberg del Technion e il Prof. Yaakov Nahmias della Hebrew University di Gerusalemme.
  Sebbene le aziende israeliane nel settore continuino a espandersi, la maggioranza si sposta all'estero, secondo il rapporto GFI Israel. Goldstein ha suggerito che per affrontare le sfide future del settore in Israele è necessario un piano politico per la tecnologia alimentare e le proteine ​​alternative. “Per rimanere competitivi dobbiamo muoverci rapidamente e assicurarci di avere piani per il settore accademico e delle startup che stanno incontrando difficoltà a causa delle condizioni macroeconomiche” ha detto Goldstein. Goldstein ha proposto l’offerta di prestiti garantiti dallo stato per consentire alle startup di costruire nuove fabbriche. "Ciò consentirebbe alle startup di superare la relativa carenza di investimenti sostenuti da capitale di rischio nelle condizioni di mercato odierne", ha aggiunto.

(Shalom, 23 febbraio 2023)

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Torino, insulti al bimbo ebreo undicenne: “In un’altra epoca ti avremmo bruciato”

Preso di mira dai compagni perché indossa la kippah. La denuncia del presidente della Comunità ebraica: “Tutti ridevano”

di Bernardo Basilici Menini

TORINO. «Peccato che non ti possiamo bruciare, in passato avremmo potuto farlo». E tutti intorno a ridere. Una frase choc, resa ancora più inquietante dal fatto che è stata pronunciata da un bambino, rivolto a un suo coetaneo, e che è stata accolta dalle risate dei compagni di classe. È successo a Torino, la scorsa settimana. A raccontare l'accaduto è Dario Disegni, presidente della Comunità ebraica cittadina.
  I fatti: un bambino di undici anni, studente della scuola ebraica di Torino, pochi giorni fa è andato a una festa con altri coetanei a casa di uno di loro che compiva gli anni. Lo ha fatto indossando la kippah, il tradizionale copricapo ebraico. Un particolare a cui i piccoli normalmente non fanno nemmeno caso, o che al massimo accolgono con curiosità. E invece a quella festa è successo qualcosa di diverso. Un altro dei bambini presenti si è avvicinato: «Peccato che non siamo in anni precedenti o ti avremmo potuto bruciare». I compagni tutti intorno «si sono messi a ridere», rivela Disegni.
  L'accaduto è stato riportato al presidente dai genitori del piccolo, membri della Comunità ebraica, e al momento non è chiaro se madre e padre abbiano intenzione di prendere provvedimenti per l'accaduto. Quel che è certo è che il bambino che ha pronunciato la frase – che gli altri coetanei hanno capito, ridendo di tutta risposta – non può essersela inventata. Da qualche parte deve aver udito e compreso espressioni antisemite di questo tipo. «E io mi chiedo dove sentano certe cose i bambini, mi viene da chiedermi quale sia il ruolo delle famiglie quando capitano fatti di questo genere», riflette amareggiato Disegni.
  La Città medaglia d'oro per la Resistenza, così, non è più solo quella delle lapidi dei partigiani infrante o delle svastiche sulle porte delle case dove vivono gli ebrei, ma anche quella in cui gli l'antisemitismo finisce in bocca ai bimbi. «Non si può negare che i fenomeni di antisemitismo e di intolleranza siano in crescita. È un trend che ci preoccupa molto», spiega Disegni. «La percezione degli ebrei in Europa è di crescente insicurezza. Circa il 10% degli italiani è censito come antisemita, ma c'è un antisemitismo serpeggiante molto superiore».
  La politica, secondo i rappresentanti della Comunità ebraica, non aiuta. Disegni attacca il rapporto di Amnesty International “Apartheid di Israele contro la popolazione palestinese” presentato in Comune qualche settimana fa, in un evento organizzato da Sinistra Ecologista: «Le frasi su Israele che porterebbe avanti l'apartheid sono pericolose, perché non hanno a che fare con il giudizio sulle politiche di Israele che sollevano dubbi anche tra gli stessi ebrei». Ancora più netto il rabbino capo torinese Ariel Finzi che ha definito come «antisemite». Alice Ravinale, capogruppo di Sinistra ecologista che aveva organizzato l'evento, chiarisce: «Nessuno si permetterebbe di mettere in discussione l'esistenza dello stato di Israele: sono state semplicemente espresse delle analisi critiche nei confronti di alcune politiche».

(La Stampa, 22 febbraio 2023)

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Cinema, Helen Mirren: “Golda Meir donna coraggiosa dedita alla sua missione come la regina Elisabetta”

L’attrice al Festival di Berlino con il film in cui interpreta la premier israeliana

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BERLINO – L’ultimo miracolo di Helen Mirren si chiama “Golda” ed è il film in cui, diretta da Guy Nattiv, interpreta la prima donna premier dello Stato di Israele, in una delle fasi più drammatiche della storia del Paese, la guerra del Kippur scoppiata nell’ottobre del ’73, cruciale nell’evoluzione del conflitto arabo-israeliano. Nel gioco della trasformazione mimetica Mirren è già stata la regina Elisabetta II di “The Queen”, ma, stavolta, nascosta sotto un massiccio make up, appesantita nel corpo e nello sguardo, sembra rinunciare del tutto a sé stessa, una sfida ancora più difficile perché con Golda Meir non ha nulla in comune, nemmeno il piglio tutto british che l’aveva aiutata a diventare Sua Maestà: «Interpretare Golda è stata un’esperienza incredibile, dovevo farla vivere dentro di me, era una donna coraggiosa, totalmente dedita alla sua missione, e, in questo, forse, simile a Elisabetta II. Come lei, aveva visto la sua vita prendere una direzione diversa da quella immaginata, seguendola era arrivata alla totale consacrazione». Non mancano, però, le differenze: «Dal punto di vista emotivo Golda era più espressiva, più scoperta, sapeva di dover contenere le sue emozioni, soprattutto quando era in pubblico, ma, nella sua natura, il pragmatismo si univa a un forte spirito compassionevole».
  Sullo schermo, tra crisi di governo, consultazioni febbrili, macabri bollettini con lunghi elenchi di caduti, incontri al vertice in cui si avvicendano personaggi celebri come Moshe Dayan (Rami Heuberger), Mirren è grigia, al massimo beige, malata di linfoma, avvolta dalla nuvola dell’immancabile sigaretta, il viso segnato dalle rughe, i piedi gonfi nelle pesanti scarpe ortopediche, testarda, dispotica, amorevolmente seguita dall’assistente Lou Kaddar (Camille Cottin): «Ho lavorato con una straordinaria équipe di truccatori. Costumi e make up sono di grande aiuto, contribuiscono in modo significativo alla creazione di un personaggio». Dal vivo, alla Berlinale, dove il film è fuori gara, Mirren è radiosa come una ragazza, maglia rosa shocking, capelli color platino raccolti nella coda di cavallo: «Ho guardato e letto tutto il possibile su Golda, e ho anche pensato alla sua infanzia, al modo in cui era cresciuta, perché è da lì che vengono i segni che non si cancellano, i riferimenti fondamentali per capire la natura delle persone». Al primo annuncio del progetto erano scoppiate, a suo tempo, polemiche sollevate da chi pensava che, in un ruolo così iconico, avrebbe dovuto esserci un’attrice israeliana. Il commento spetta al regista Nattiv, nato a Tel Aviv nel ’73, ma la chiosa è nello stile Mirren: «Appena ho incontrato Helen ho avuto l’impressione di trovarmi davanti a una persona di famiglia, ha capito subito che film volevo fare, ne abbiamo parlato per ore, poi, sul set, Helen è stata circondata da una troupe completamente israeliana». L’attore Lior Ashkenazi, che interpreta David Elazar, capo di Stato maggiore delle forze israeliane, rincara la dose: «E allora chi dovremmo scegliere quando decidiamo di fare un film su Gesù, un ebreo o un non ebreo?» Mirren ribatte pronta: «Di sicuro, in questo caso, non me. Gesù, non potrei proprio farlo».
  Prima di Mirren sono state Golda Ingrid Bergman (in “Una donna di nome Golda” ) e Anne Brancroft: «Ho visto le loro prove, ma poi sono andata per la mia strada. Ho cercato di cogliere l’espetto profondamente materno di Golda, la sua passione per la cucina e per gli oggetti domestici che, tra l’altro, condivido». Il racconto non tralascia l’amicizia che la legava a Henry Kissinger (Liev Schreiber) e che, nelle ore concitate dell’attacco, ebbe peso significativo: «Tra di loro c’era una chimica, erano due persone molto pratiche e per questo andavano d’accordo». Le perdite ingenti di soldati giovanissimi furono imputate alla Meir, che, nata a Kiev e segnata, fin da piccola, dalle persecuzioni razziste contro la comunità ebraica, finì alla sbarra con l’accusa di non aver preso decisioni adeguate alla situazione, di non aver organizzato l’attacco preventivo che, poi come Kissinger confermò, avrebbe impedito, in seguito, l’arrivo di aiuti americani. «Non avevo mai capito fino in fondo» confessa Mirren «che cosa avesse potuto significare, per uno Stato giovane come quello di Israele, perdere, in quegli anni, tanti ragazzi. Golda ha portato questo peso sulle sue spalle, ma la sua unica colpa era stata quella di trovarsi, in quei giorni, nella posizione di chi deve scegliere». A sostenerla c’era soprattutto una certezza: «La sua forza è stata nell’assoluta convinzione che Israele dovesse esistere, che il popolo ebreo dovesse essere nazione».

(Il Secolo XIX, 22 febbraio 2023)

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«L’arte mi ha avvicinato all’ebraismo»

Intervista all’artista americano Alex Woz

di Ghila Lascar

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Alex Woz, artista ebreo emergente di Los Angeles, a soli 24 anni conta oltre 16 mila follower sulla sua pagina Instagram @woz_art, nella quale mette in mostra le sue opere. Queste lo hanno reso un esponente dell’arte ebraica contemporanea grazie a stampe uniche nel loro genere, che esaltano la cultura, la storia e la tradizione ebraica con un pizzico di ironia e di divertimento. HaTikwa lo ha intervistato per conoscere meglio lui e la sua arte.

- Come ti sei avvicinato all’arte?
  Mi sono avvicinato all’arte abbracciando le diverse culture che ho incontrato nella mia vita. Da bambino la mia famiglia si è spostata molto a causa del lavoro di mio padre spostandoci dalla Svezia all’Italia, passando per la Francia, l’Argentina, il Messico e infine gli Stati Uniti.  Oltre a questo, entrambi i rami della mia famiglia sono fuggiti in Argentina: la famiglia di mio padre ha origini ashkenazite, con mio nonno che è stato uno dei pochi sopravvissuti alla Shoah, mentre la famiglia di mia madre ha origini siciliane. La mia vena artistica proviene proprio dalla famiglia materna. Infatti, mia madre, mia nonna e la mia bisnonna hanno dovuto rinunciare a diventare delle artiste, nonostante fosse la loro vocazione. Io fin da quando ero bambino non facevo altro che disegnare e, quando ho deciso di intraprendere la carriera di artista, mia madre mi ha sostenuto in tutto e per tutto. Sono il primo, dopo tante generazioni, a poter essere ciò che voglio essere. Mi ritengo molto fortunato.

- L’ebraismo ha influito in qualche modo nel tuo essere artista?
  Credo che sia stata proprio l’arte ad avermi portato all’ebraismo. Mi sono sempre dedicato all’ebraismo, ma ho cominciato a definirmi ebreo solo più avanti. Sono cresciuto in una zona non ebraica, ero uno dei pochi ragazzi ebrei nel mio liceo e questo mi ha esposto a tanto antisemitismo. Inizialmente, quando venivo attaccato, la mia difesa era la risata e pensavo che inserendomi in questa dinamica sarei stato protetto e non sarei diventato un bersaglio. Questo ha funzionato per tanto tempo, ma poi, crescendo, ho realizzato che non era giusto: la mia identità ha molto più valore di quelle persone. Quindi ho iniziato a studiare e ciò mi ha condotto ad essere chi sono oggi. Adesso è impossibile separare la mia identità ebraica da ciò che faccio. L’arte è diventata la mia voce, per questo sento una grande responsabilità verso gli altri.

- Sulla tua pagina Instagram hai scritto: “Aiutare ad amare sé stessi attraverso l’arte”.  È il tuo motto?
  La comprensione della mia identità ebraica è avvenuta tramite l’antisemitismo e questo mi ha portato ad esplorare diversi temi ebraici nella mia arte. Non solo: mi ha anche permesso di connettermi a D-o e con me stesso, migliorandomi. Io voglio aiutare i miei fratelli a rafforzare ciò che sono e riprendere il controllo della loro storia tramite le immagini.
  In generale l’arte e le illustrazioni hanno il grande potere di far cambiare prospettiva alle persone. Un esempio è la propaganda. Voglio far cambiare la relazione che le persone hanno con loro stesse. Per tanto tempo ho basato la mia identità ebraica sull’antisemitismo, però non è giusto, perché c’è tanto altro. Nonostante l’antisemitismo faccia paura, è necessario ricordare cosa dicono i nostri Maestri: “Dobbiamo essere reattivi o proattivi?”. Per ora vedo le persone essere reattive, io ho deciso di essere proattivo: una cosa che faccio quando vedo tanto odio verso gli ebrei è fare una Mitzvà o della Tzedakà. Questo perché mi ricorda quanto è bello essere ciò che sono, anziché pensare a quanto le persone mi odino per il mio essere ebreo.

- Parliamo della tua arte nel dettaglio. Qual è il tuo quadro preferito? Ce ne è uno che ti ha ispirato o che in qualche modo ti rappresenta?
  La crocifissione di Marc Chagall, uno degli artisti ebrei più famosi di sempre. Il quadro che ho citato rappresenta Gesù sulla croce con talled e tefillin. È una forte affermazione verso il mondo cristiano: se uccidete gli ebrei, uccidete Gesù. Trasmettere questo tipo di messaggio vivendo in uno shtetl in Russia è stato un grande atto di coraggio.

- Ci sono altri artisti che ti hanno ispirato?
  Assolutamente. La mia più grande ispirazione è Herbert Pagani, un fiero difensore del popolo ebraico, che è riuscito a fondere insieme l’attivismo e l’arte in un modo mai visto prima.

- Come hai conosciuto le sue opere?
  Sai, come figlio di immigrati italiani, Herbert Pagani fa parte del mio bagaglio culturale. Credo che la prima volta che ho sentito parlare di lui sia stato attraverso “Arringa per la mia terra”. Poi ho cominciato a scoprire tutta la sua produzione artistica, i suoi disegni e la sua musica. Era un vero e proprio prodigio. Oltre a dedicarmi all’arte, anche io sono un musicista e uno scrittore, e credo che ciò caratterizzi il mio attivismo ebraico. Sento di condividere molto con Herbert Pagani, a partire dal suo pensiero.
  Una delle mie grafiche è dedicata proprio a Pagani. In questa stampa ho citato un verso di “Arringa per la mia terra”. In generale però sento di condividere molto con tutti i grandi artisti ebrei. Quando creo, penso di essere circondato da loro. Pagani e Chagall su tutti.

- Come crei le tue grafiche?
  Nel 2017, quando ho aperto la pagina Instagram, pubblicavo disegni, ma dopo aver definito il mio stile, ho cancellato tutto e ho ricominciato. Al momento utilizzo la tecnica del collage. A maggio 2021, quando ho visto le persone essere così discriminate e vittime di attacchi di antisemitismo, ho preso le forbici e ho cominciato a tagliare immagini di ebrei da tutto il mondo dal libro “Portrait of Israel”. Ho preso le immagini, le ho scannerizzate e ho cominciato a lavorarci su Photoshop, insieme a paesaggi presi da vecchie riviste della National Geographic. Una volta fatto questo, aggiungo le tipografie.

- Hai cominciato a pubblicare le tue opere nel bel mezzo del conflitto tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza. Queste generalmente trasmettono gioia, come sei riuscito a trasmetterla in un periodo del genere?
  Nel 2021 la situazione era tesa e ho pensato di usare colori per esprimere gioia. Mi ha permesso di “accendere una candela in una stanza buia”, pensando ad un importante insegnamento ebraico. Ho cercato di aiutare gli altri a guarire dai propri traumi attraverso una rappresentazione positiva della nostra cultura e del nostro Popolo. E nel far ciò penso che alla fine abbia guarito anche me stesso.

- Per concludere, hai progetti per il futuro? Vuoi condividere qualcosa con noi?
  Ho tanti progetti per il futuro: sto lavorando a qualcosa che non ho mai fatto prima e sono molto emozionato al riguardo. Non ne posso parlare, ma spero di farlo presto. Coinvolgerà altri artisti ebrei. Sono convinto che il fenomeno degli artisti ebrei sia nuovo, perché per tanto tempo ci è stato privato di esprimerci. Quindi è necessario capire che il movimento dell’arte ebraica è una novità ed è necessario dargli rilevanza.

(Unione Giovani Ebrei d'Italia, 22 febbraio 2023)

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La cerchia ristretta di Netanyahu crede che stia affrontando una rivolta di sicurezza israeliana

di Alexander Grigriev

In Israele, da sei settimane, regolarmente, ogni sabato e lunedì, ci sono state proteste contro l'iniziativa legislativa del primo ministro Benjamin Netanyahu, volta a indebolire la magistratura a favore dell'esecutivo. Le manifestazioni sono ancora pacifiche, ma il numero dei partecipanti è in costante crescita e ha già raggiunto decine di migliaia di persone.
  Lunedì scorso i manifestanti hanno circondato le abitazioni di alcuni membri della Knesset, impedendo loro di uscire e votare il disegno di legge. Un lungo corteo intorno al palazzo del parlamento dopo una manifestazione organizzata dal movimento di opposizione Black Flag ha paralizzato per diverse ore il traffico nel centro di Gerusalemme.
  La cerchia ristretta di Netanyahu crede di trovarsi di fronte a una rivolta di sicurezza israeliana, scrive l'autore di un articolo pubblicato sul quotidiano Haaretz. Il giornalista cita un post pubblicato lunedì dal figlio del primo ministro Yair Netanyahu sui social media:

Lo Shabak (il servizio di sicurezza generale di Israele) è coinvolto in un colpo di stato contro il primo ministro!

Un altro segno che dietro le proteste potrebbero esserci forze terze, molto probabilmente i servizi speciali israeliani, l'autore considera l'assenza di rappresentanti dell'opposizione tra gli organizzatori delle manifestazioni. Il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir ha tenuto colloqui dietro le quinte con il leader dell'opposizione Yair Lapid, ma è improbabile che ciò fermi i manifestanti, perché non vengono portati in piazza dai rappresentanti dei partiti di opposizione.
  Un tentativo del presidente israeliano Isaac Herzog di mediare tra coloro che non sono d'accordo con l'adozione di disegni di legge per limitare i poteri della Corte Suprema e la coalizione di governo di Benjamin Netanyahu, che sta promuovendo questi emendamenti, non ha ancora avuto successo. Il primo ministro ha inizialmente accettato di sospendere l'adozione degli emendamenti per il periodo dei negoziati, ma poi, sotto la pressione dei compagni di partito, ha annullato questa decisione.
  Alla manifestazione ha partecipato anche l'ex capo di stato maggiore dell'IDF e ministro della difesa sotto i precedenti governi Netanyahu, Moshe Ya'alon, e ora una figura centrale nelle proteste contro di lui. Ha detto che nel prossimo futuro potrebbe esserci una situazione in cui i leader della sicurezza come il capo di stato maggiore delle forze di difesa israeliane, il direttore della sicurezza dello Shin Bet e il commissario della polizia nazionale dovranno scegliere tra obbedire agli ordini del primo ministro e del governo e guidato dal procuratore generale.
  Il giornalista fa notare che il commissario di polizia Kobi Shabtai, presente alla manifestazione, si è tenuto in disparte e non ha dato ordine ai suoi subordinati di disperdere i manifestanti e, inoltre, di arrestare i mandanti dell'azione. Inoltre, ha avviato trattative con i leader dei partiti di opposizione in uscita dalla Knesset. E questo è un altro segnale che i vertici delle forze di sicurezza di Israele non sono d'accordo con le iniziative legislative del premier e della coalizione di governo.

(Top War, 22 febbraio 2023)

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Alla scoperta del pronto soccorso per le vittime degli attacchi cyber

Il centro di Be’er Sheva in Israele e le sue strategie fanno scuola: 100 delegazioni da 38 Paesi l’hanno già visitato

di Fabiana Magrì

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Be’er Sheva è l’anima del pronto soccorso cyber. Per chiunque in Israele sospetti di essere vittima di un attacco informatico e ha bisogno di assistenza, c’è un numero verde - l’119 - che risponde 24 ore su 24. Quando entriamo nella sala operativa dell’119 insieme con il direttore esecutivo dell’Israeli Cyber Emergency Response Team, Erez Tidhar, non è ancora mezzogiorno e la mappa globale delle minacce informatiche, aggiornata in tempo reale dalla società CheckPoint, segnala già oltre 6 milioni di tentativi di attacchi tra pishing (finti link che indirizzano verso siti web pericolosi), malware (software che si installano senza il consenso dell'utente per eseguire azioni dannose come il furto di password o di denaro) ed exploitation (distribuzione o pubblicazione non consensuale di foto o video intimi online).
  Fino al 2016, anno in cui il governo ha varato un’entità operativa per affrontare il cyberterrorismo, Israele proteggeva solo le infrastrutture critiche. “Oggi - puntualizza Tidhar, che dirige il centro nazionale che gestisce gli incidenti informatici nella sfera civile dello Stato di Israele - proteggiamo tutto il Paese, a partire dalle infrastrutture critiche, giù fino al singolo individuo. E ci occupiamo esclusivamente di difesa”.
  Gruppi di esperti che gestiscono gli incidenti di sicurezza informatica esistono in circa 100 nazioni. In Italia si chiama CSIRT (Computer Security Incident Response Team). Attualmente in Israele sono due le sedi del CERT, Tel Aviv e Be’er Sheva, ma nell’ambito della riqualificazione della città da “desert city” a “capitale cyber” anche la squadra di 400 persone impiegate sulla costa del Mediterraneo presto raggiungerà i colleghi nel capoluogo del Negev. Nella sede situata nel parco high-tech di Be'er Sheva, cuore dell'ecosistema cyber tra aziende high-tech, università, governo e industria, 120 operatori, tra veterani delle unità tecnologiche dell'esercito, laureati ed esperti in sicurezza informatica, rispondono alle chiamate (oltre 9 mila nel 2022) con l’obiettivo di identificare il tipo di minaccia, valutare l'entità del danno e fornire risposte personalizzate. Proprio come in un pronto soccorso d’ospedale, gli analisti del CERT-IL forniscono assistenza in base al livello di gravità. E poi dispensano indicazioni e strumenti per gestire l’incidente, oltre a istruzioni per aumentare i livelli di difesa delle risorse digitali. “Chi non rispetta le banali misure di prevenzione e manutenzione della sicurezza informatica dei propri mezzi, è come chi non si vaccina”, ammonisce il direttore del centro.
  Un’altra parte del lavoro, poi, inizia quando finisce l’emergenza. “Grazie ai dati raccolti, iniziamo a “unire i puntini” per individuare eventuali connessioni tra le segnalazioni. Per il futuro - annuncia Tidhar - intendiamo istituire una piattaforma globale tra nazioni per condividere e discute le informazioni”. Dall’esperienza sul campo dell’119 emerge che a essere prese più frequentemente di mira sono le realtà impegnate nel settore della salute, oltre agli enti governativi e alle società di hosting. Mentre i primi due sono considerati obiettivi sensibili per il tipo di dati che trattano, le società di hosting sono considerate un punto debole e la via di accesso più facilmente espugnabile per raggiungere il cuore di qualsiasi entità attraverso un sito web.
  “In Israele queste aziende, così come le università e le start-up, non sono tenute a sottostare alle normative sulla sicurezza informatica e il loro livello di protezione dipende solo dalla consapevolezza e dalla volontà del management di proteggere i propri sistemi. Per questo motivo - spiega ancora il direttore esecutivo - monitoriamo regolarmente 260 mila siti web israeliani”.
  Il CERT-IL fa parte dell'unità operativa dell'Israeli National Cyber Directorate (INCD), un'entità tecnologica di difesa gestita dallo Stato e dedicata alla protezione del cyberspazio israeliano. “Oltre 100 delegazioni internazionali da 38 Paesi hanno visitato il CERT nell'ultimo anno, portando visibilità internazionale alle aziende che si trovano in città”, ha illustrato Daniel Martin, direttore esecutivo di Cyber7 (si legge CyberSheva), la community di collegamento tra l'industria della sicurezza informatica, il governo israeliano, il settore privato, i laboratori informatici dell’accademia e le unità tecnologiche dell’esercito. Oltre all’119, nel CERT-IL coesistono e collaborano altre cinque realtà dedicate a diversi settori riferimento: finanza, ambiente, pubblica sicurezza, energia e comunicazioni. Entro fine anno è previsto il raddoppio del numero dei settori.

(La Stampa, 22 febbraio 2023)

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Inaugurata la prima sinagoga negli Emirati Arabi Uniti

di Jacqueline Sermoneta

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Ad Abu Dhabi è stata inaugurata la prima sinagoga degli Emirati Arabi Uniti (EAU), che, insieme a una chiesa e una moschea, fa parte del nuovo centro interreligioso, la “Casa della Famiglia Abramitica”. Il complesso dei tre luoghi di culto nasce con l’obiettivo di promuovere la convivenza, la conoscenza e il dialogo fra le fedi.
  Durante l’inaugurazione, il Rabbino Capo del Regno Unito, Efraim Mirvis, ha apposto la mezuzah all’ingresso della sinagoga, intitolata al grande rabbino e pensatore Mosè Maimonide. “I visitatori – ha affermato in un comunicato Muhammad Khalifa Mubarak, presidente del centro interreligioso - sono invitati a partecipare ai servizi interreligiosi, alle visite guidate e alle celebrazioni, occasioni per esplorare la fede”. Lo riferisce il Times of Israel.
  La piccola comunità ebraica locale ha celebrato lo Shabbat, guidata dal Rabbino Capo negli Emirati, Yehuda Sarna. Mohammed bin Zayed Al Nahyan, presidente degli EAU, ha, inoltre, donato un rotolo della Torah.
  “C’è qualcosa di molto speciale nel costruire una sinagoga in un Paese musulmano” ha affermato in un comunicato l’Associazione delle Comunità ebraiche del Golfo, che ha elogiato gli Emirati per aver aperto il luogo di culto ebraico nella regione. Finora l’unica sinagoga presente in un Paese arabo del Golfo si trovava in Bahrain.
  L’iniziativa si inserisce fra quelle promosse in seguito alla firma degli Accordi di Abramo, che ha visto la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Israele e altri Paesi come gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrain

(Shalom, 22 febbraio 2023)

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Inaugurato in Israele il Lenovo Cybersecurity Innovation Center

Lenovo mette l’accento sulla cyber security con un nuovo centro di ricerca costituito in Israele in collaborazione con il Cyber Security Research Center della Ben-Gurion University del Neghev.

La centralità della protezione cyber è il motore del nuovo annuncio di Lenovo, che ha inaugurato il Lenovo Cybersecurity Innovation Center (LCIC) in collaborazione con il Cyber Security Research Center della Ben-Gurion University del Neghev, in Israele. Il centro sarà gestito e coordinato da esperti di cybersecurity di Lenovo e dell'Università Ben-Gurion. Lenovo non è nuovo all’interesse e alla sensibilizzazione verso la sicurezza informatica: a novembre presentò uno studio globale da cui emergeva che la cybersecurity è uno degli elementi principali che piccole, medie e grandi aziende dovrebbero tenere in considerazione in caso decidessero di investire in soluzioni di digital transformation.
  Investimenti da cui è sempre più difficile chiamarsi fuori. Nonostante la digitalizzazione delle imprese italiane sia inferiore a quelle delle imprese negli altri Paesi di eurolandia, ci sono segnali di crescita evidenti: ICD stima per il 2023 una crescita del mercato delle infrastrutture pari al 7,5% e della spesa cloud del 22%. L’esperienza insegna che questa crescita dev’essere progettata e costruita con principi di security integrati.
  Quanto accaduto in tempo di pandemia ha insegnato che aggiungere una protezione a posteriori paga di più gli attaccanti che i difensori. Lenovo, in qualità di primo produttore mondiale di computer, non può che sensibilizzare il suo ampio bacino di utenza e mettere a disposizione dei decisori i reporting dei professionisti della cybersecurity di LCIC per fornire risposte più strategiche ed efficaci.
  Inoltre, le soluzioni che saranno sviluppate presso l'LCIC saranno integrate in ThinkShield, il portfolio Lenovo per la protezione completa end-to-end che comprende piattaforme per la sicurezza e la protezione dei dispositivi, strumenti per la protezione dei dati e copertura dalle minacce, oltre che per la gestione della sicurezza. I risultati delle ricerche condotte presso l’LCIC serviranno a Lenovo per sviluppare soluzioni ancora più sicure, e ai suoi clienti per entrare in contatto con esperti di cybersecurity a livello mondiale. Non a caso Israele è fra i Paesi più innovativi in ambito cybersecurity.
  In particolare, il centro sta avviando i lavori su alcuni dei fronti più caldi del momento: l’architettura Zero Trust per il controllo degli accessi e la protezione dei perimetri frammentati, e la sicurezza next-generation.

(SecuretyOpenLab, 22 febbraio 2023)

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Putin torna a parlare alla nazione: i passaggi principali del discorso

Nel discorso di due ore tenuto oggi all’Assemblea Federale a Mosca, il presidente russo Vladimir Putin ha ribadito l’intenzione di proseguire l’offensiva in Ucraina fino al raggiungimento dei propri obiettivi. L’ultimo discorso sullo stato della nazione si era tenuto nel 2021, mentre nel 2022 era saltato per via dello scoppio della guerra. Nel discorso di fronte alle Camere riunite il leader ha dichiarato che la Russia auspica una soluzione pacifica per evitare il conflitto in Ucraina, ma l’Occidente ha giocato «con carte false» per ingannare Mosca. Per questo motivo, Putin ha annunciato la «sospensione» (ma non il ritiro) del trattato Start sulla riduzione delle armi nucleari stipulato con gli Stati Uniti. La Casa Bianca ha definito «assurdo» il discorso di Putin, il quale per la NATO si starebbe preparando «a una nuova guerra».
  Il presidente russo ha spiegato che le operazioni militari in Ucraina iniziate un anno fa sono state motivate dal fatto che quest’ultima voleva «dotarsi di armi nucleari». «Non avevamo dubbi che a febbraio avevano pronte operazioni punitive nel Donbass, dove già avevano fatto bombardamenti, e questo era in contraddizione con la risoluzione dell’ONU». L’inizio della guerra sarebbe quindi da imputare agli ucraini, ha dichiarato Putin, che avrebbero avuto l’intenzione di attaccare non solo il Donbass, ma anche la Crimea. «Loro hanno fatto cominciare la guerra, noi usiamo la forza per fermarla» ha dichiarato. A questo si è aggiunto l’intento dell’Occidente di «portare la Russia a una sconfitta strategica», al fine di «eliminarci per sempre». «Non si rendono conto che è in gioco l’esistenza stessa della Russia» ha dichiarato Putin, aggiungendo che «l’Occidente ha preparato l’Ucraina a una grande guerra e oggi lo riconosce», spendendo (e continuando a spendere) miliardi di dollari in aiuti militari. Agli occidentali «non interessa niente e sono pronti a usare chiunque» per colpire la Russia, ha affermato il leader, denunciando l’appoggio degli Stati occidentali alle milizie naziste ucraine. «Più useranno sistemi a lungo raggio, quindi più armi a lunga distanza arrivano in Ucraina, più lontano noi saremo costretti a respingere la minaccia dai nostri confini, è chiaro e naturale». Putin ha poi dichiarato che «la forza di deterrenza nucleare» del Paese è dotata «al 90% di armi avanzate: un livello che dovrebbe essere esteso all’intero esercito». L’applicazione dello Start, il trattato sulla riduzione delle armi nucleari stretto con gli Stati Uniti, verrà «sospesa» ma non ritirata, ha annunciato il presidente, invitando il ministero della Difesa e l’azienda Rosatom a essere preparati per effettuare test sulle armi nucleari. «Non le useremo mai per primi, ma se lo faranno gli Stati Uniti dobbiamo essere pronti. Nessuno deve farsi illusioni: la parità strategica non deve essere infranta».
  Tenuto conto di ciò, Putin ha sottolineato di non essere «in guerra con il popolo dell’Ucraina», il quale «è ostaggio del regime nazista di Kiev e dei suoi patrocinatori, che hanno realmente occupato quel Paese politicamente, militarmente ed economicamente». In riferimento alle regioni annesse di Donetsk, Lugansk, Cherson e Zaporizhzhia, il presidente russo ha specificato che «sono sotto il nostro appoggio diretto e voglio dire che adesso siamo con voi, faremo di tutto perché in questi nostri territori torni la pace, la ripresa sociale ed economica per far ripartire le imprese e il lavoro e costruiremo strade moderne come in Crimea».
  In riferimento alle sanzioni imposte dall’Occidente alla Russia, il leader ha commentato che l’unico effetto è stato provocare «la crescita dei prezzi e la perdita dei posti di lavoro: sono vittime delle loro stesse decisioni e i cittadini lo sanno». «Le sanzioni anti-russe sono soltanto un mezzo, mentre l’obiettivo è, come dichiarano gli stessi leader occidentali, cito direttamente: ‘Far soffrire i nostri cittadini’. Ecco che tipo di umanisti sono. vogliono far soffrire le persone in modo da destabilizzare la nostra società dall’interno. Ma i loro calcoli non hanno dato buoni risultati». Per far fronte alle sanzioni, la Federazione Russa ha stanziato più di un trilione di rubli, reperiti con un forte contributo del mercato, mentre l’economia russa «ha superato tutti i rischi». «Espanderemo la cooperazione economica con altri Paesi e costruiremo nuovi corridoi logistici. Grazie a una buona bilancia dei pagamenti della Russia, non abbiamo bisogno di inchinarci e mendicare soldi all’estero» ha dichiarato il leader. Per gli oligarchi russi che hanno perso beni e capitali perché congelati dall’Occidente, Putin ha dichiarato che «nessuno dei comuni cittadini è dispiaciuto», invitando i miliardari a «non supplicare» l’Occidente per riavere i propri soldi. «Non investite all’estero, ma in Russia. Lo Stato e la società vi sosterranno».
  Riferendosi poi direttamente all’Italia, Putin ha dichiarato che «la Russia sa essere amica e mantenere la parola data, lo dimostra il nostro aiuto ai Paesi europei, come l’Italia, durante il momento più difficile della pandemia di Covid, esattamente come stiamo andando in aiuto nelle zone del terremoto». Sottolineando poi che «le elezioni a settembre e le presidenziali nel 2024 saranno tenute nel rispetto della legge», Putin ha infine dichiarato che «la Russia risponderà a qualsiasi sfida, perché siamo tutti un unico Paese. Siamo un grande popolo unito. Siamo fiduciosi nel nostro potere».

(L'Indipendente, 21 febbraio 2023)


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Nel triangolo Zelensky, Biden, Meloni c’è un’istantanea importante per capire come sfidare i tabù per difendere la libertà

Riportiamo questo editoriale del direttore del quotidiano "Il Foglio" a cui poniamo accanto un documentario dal titolo significativo: "Un anno di bugie". L'editoriale infatti può essere considerato un inno all'Occidente euratlantico baluardo di liberta. Libertà di dire e diffondere bugie a supporto di un sistema che per sua natura si alimenta di bugie. NsI

di Claudio Cerasa

Il primo, in questi dodici mesi, ha dimostrato cosa significa mettere in gioco la propria vita per difendere la libertà, ha ricordato al mondo che proteggere le democrazie può avere un costo e ha trovato una chiave straordinaria per mettere insieme due concetti che fino a qualche anno fa sembravano essere uno in contraddizione con l’altro: la compatibilità assoluta tra la difesa della patria e la difesa dell’Europa. Il secondo, in questi dodici mesi, ha dimostrato cosa significa difendere la società aperta, ha ricordato al mondo cosa è necessario fare per combattere i regimi illiberali e ha trovato una chiave straordinaria per mettere tutti gli estremismi politici, di destra e di sinistra, di fronte alla domanda delle domande: l’occidente è disposto o no a unirsi, a farsi forza, a proteggere i propri confini e a mettere da parte il proprio sonnambulismo secolare contro i suoi nemici, contro i nemici della libertà e contro i nemici della democrazia? La terza, in questi dodici mesi, ha fatto anche lei qualcosa di importante, a suo modo unico. Ha dimostrato cosa vuol dire difendere un principio a prescindere da ciò che suggeriscono i sondaggi, ha ricordato al suo mondo di riferimento perché cambiare idea non è sempre una cattiva idea e ha trovato una chiave straordinaria per mettere i suoi alleati di fronte a una scelta importante: restare ancorati, con le parole, a una stagione di equidistanza che non c’è più, oppure sfruttare la nuova fase storica, fase aperta dall’invasione della Russia in Ucraina, per mostrare di sapersi adattare a un mondo che cambia. Per onorare l’anniversario del primo anno di guerra in Ucraina, del primo anno di eccidi compiuti dalla Russia di Vladimir Putin contro un popolo che da un anno cerca di difendersi da un criminale macellaio giustamente definito terrorista dall’Unione europea, non ci poteva essere una triangolazione migliore rispetto a quella a cui Kyiv ha assistito ieri e rispetto a quella a cui Kyiv assisterà oggi: il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il presidente americano Joe Biden, il presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni. Quelle di Biden e Meloni, naturalmente, sono storie diverse, sono profili diversi, sono leadership diverse, ma entrambe sono accomunate da un filo conduttore importante che li ha portati a sfidare i tabù delle proprie parti politiche. Joe Biden lo ha fatto sfidando la sinistra del suo partito, e di riflesso anche le sinistre dei paesi che si riconoscono nel Patto atlantico, a riconoscere la necessità di difendere una democrazia non solo a parole ma anche, se necessario con le armi. Di riflesso, Meloni ha a sua volta sfidato un tabù altrettanto importante presente all’interno della destra sovranista europea e un anno fa, all’indomani dell’aggressione subita dall’Ucraina, è stata la prima leader di un partito nazionalista, con molti scheletri putiniani nell’armadio, a rinnegare il proprio passato, a sfidare i propri elettori e a costringere anche i propri alleati a scegliere da che parte stare senza troppe ambiguità. Zelensky, Biden, Meloni: in questo triangolo c’è l’istantanea importante di tutto ciò che la guerra in Ucraina ha insegnato all’occidente. C’è la storia della più grande democrazia del mondo, quella americana, che ha ridato senso alla Nato, ha rimesso gli Stati Uniti al centro della storia e ha guidato le società aperte nella difesa della libertà di un paese aggredito. C’è la storia di una grande democrazia, come l’Italia, che prima con Draghi e oggi con Meloni ha sfidato i fantasmi del passato, confinando parte dell’estremismo italiano in un angolo della storia. Un patriota che trasforma l’Europa nella culla della difesa delle libertà. Un progressista che trasforma la difesa armata dell’occidente in una prerogativa della sinistra. Una nazionalista che trasforma la difesa dell’Ucraina in un’occasione per fare i conti con il passato tossico del sovranismo. Zelensky, Biden, Meloni: non ci poteva essere forse un trio migliore per mostrare al mondo cosa significa, dodici mesi dopo, mettere il proprio paese al fianco di chi difende la libertà.

Il Foglio, 21 febbraio 2023)
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Per avere un quadro ricco di particolari storici poco noti della guerra che si gioca in Ucraina tra Stati Uniti e Russia si può cliccare qui o qui .

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Nonostante i tentativi di impedirlo con la forza, la Knesset ha approvato in prima lettura le leggi di riforma giudiziaria

di Ugo Volli

• Il voto
La Knesset, il parlamento israeliano, ha approvato con una netta maggioranza (63 a 47) in prima lettura la prima parte della riforma giudiziaria. Si tratta di due provvedimenti che emendano la “legge fondamentale” sul sistema giudiziario, modificando la composizione del comitato di selezione dei giudici e sottraendo alla Corte Suprema la possibilità di abrogare le “leggi fondamentali”, che hanno in Israele una funzione analoga alle nostre leggi costituzionali. Nel nuovo comitato non vi sarà più la maggioranza automatica di tre giudici della Corte Suprema più due rappresentanti dell’avvocatura su nove membri che faceva in sostanza della nomina dei giudici della Corte Suprema una cooptazione. Vi saranno invece rappresentanti della Knesset, inclusa obbligatoriamente l’opposizione, del governo e della società civile, con l’effetto di aumentare la differenza di posizioni all’interno della Corte. Il coinvolgimento della politica nella nomina della Corte Costituzionale è un principio derivante dall’equilibrio dei poteri ed è presente in quasi tutte le società occidentali, inclusi l’Italia e gli Stati Uniti. Altrettanto diffusa è l’interdizione per le Corti costituzionali di abrogare parti delle costituzioni e dei loro emendamenti e aggiornamenti.

• La giornata politica
  Lunedì 20 febbraio è stata una giornata difficilissima della politica israeliana. Gli oppositori delle riforme non si sono limitati al voto, ai discorsi in Parlamento e neppure alle manifestazioni. Hanno iniziato la mattina presto a cercare di sequestrare fisicamente i deputati della maggioranza a casa loro (inclusa una parlamentare cui è stato impedito di accompagnare a scuola una figlia con gravi problemi, suscitando lo sdegno generale). Poi hanno bloccato, sempre per impedire il funzionamento del parlamento, le maggiori strade e autostrade israeliane e hanno circondato l’edificio della Knesset. Solo l’intervento della polizia, con diversi arresti, ha consentito che i parlamentari potessero arrivare a svolgere la loro funzione. C’è stato quindi un tentativo di invasione del parlamento da parte dei manifestanti e anche nell’aula si sono ripetuti comportamenti di rottura delle regole da parte dei deputati dell’opposizione, che hanno portato all’espulsione temporanea di alcuni di loro, che poi sono stati comunque riammessi al voto. Nei discorsi parlamentari sono state pronunciate terribili accuse, compresa quella di un deputato del partito di Lapid che ha accusato la maggioranza di essere “nazista” e di un altro che ha letto un “elogio funebre” per la democrazia israeliana: esagerazione insultante, di cui invano Netanyahu ha chiesto la rettifica.

• Il commento del primo ministro Netanyahu
  “I manifestanti parlano di democrazia, ma stanno attentando alla democrazia quando impediscono ai rappresentanti pubblici di esercitare il loro diritto democratico fondamentale: il voto”. Ha aggiunto che stanno “calpestando la democrazia non permettendo ai rappresentanti eletti di Israele di portare avanti la loro politica. Non accettano l'esito delle elezioni, non accettano la decisione della maggioranza, non condannano gli appelli a uccidere il primo ministro e la sua famiglia, bloccano le strade e invocano la disobbedienza civile, invocano senza vergogna una guerra civile e per il sangue nelle strade, minacciano aggressivamente i membri della Knesset”.

• Che succede ora
  Essendo la Knesset un parlamento composto di una sola camera, sono prescritte tre sue votazioni per trasformare un testo in legge. Dopo l’approvazione del Comitato Legislativo, avvenuta la settimana scorsa, ieri c’è stata la prima, che è quella fondamentale perché certifica la volontà parlamentare di emanare la legge. Il testo ora torna nel Comitato Legislativo, dove può venire emendato e messo a punto; qui avvengono dunque le eventuali trattative fra maggioranza e opposizione. Poi dopo qualche giorno il testo così corretto torna all’assemblea della Knesset e la seconda e terza votazione avvengono normalmente nella stessa seduta. Vi è dunque ora un tempo per il compromesso, sempre che la minoranza voglia impegnarsi in esso. Dato che la coalizione di governo non ha accettato di bloccare il processo di riforma che faceva parte del resto del programma su cui ha vinto le elezioni tre mesi fa, essa ha annunciato un boicottaggio e ha rifiutato finora ogni negoziato. Bisognerà vedere se persisterà in questo atteggiamento.

• Il seguito della riforma
  Seguiranno poi con altre leggi altre parti della riforma, in particolare quella che prevede la possibilità della Knesset di riapprovare eventualmente provvedimenti abrogati dalla Corte e quella che dovrà riformare il ruolo del “consigliere giuridico” del governo, che è insieme il responsabile nazionale della Pubblica Accusa e il controllore degli atti di governo, quello che negli ultimi giorni si è arrogato il diritto di proibire a Netanyahu di parlare in qualunque modo della riforma del giudiziario, sotto la minaccia di decretarne la rimozione per un molto teorico conflitto di interessi, dato che egli è sottoposto in questo periodo a un processo. Questi ruoli che convivono in una sola persona dandole un potere immenso, dovrebbero secondo la maggioranza essere suddivisi fra diversi funzionari.

(Shalom, 21 febbraio 2023)


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La maggioranza degli israeliani è contro la riforma giudiziaria (compresi elettori del Likud): lo rivela un sondaggio


La maggioranza degli israeliani si oppone alla riforma giudiziaria voluta dall’attuale governo, passata in prima lettura il 20 febbraio: lo rivela un sondaggio dell‘Israel Democracy Institute, pubblicato martedì 21 febbraio.
  Come riporta il Times of Israel, il sondaggio ha rilevato che il 66% degli israeliani ritiene che la Corte Suprema dovrebbe avere il potere di respingere le leggi che sono incompatibili con le leggi fondamentali. Tra gli intervistati che hanno votato per i partiti di opposizione, l’87% sostiene il potere del tribunale di rivedere le leggi fondamentali e tra coloro che hanno votato per i partiti di coalizione, il 44%.
  Quasi la metà – il 47% – degli intervistati che hanno votato per il partito Likud di Netanyahu sostiene che la Corte abbia la capacità di supervisionare le leggi fondamentali.
  Il sondaggio rileva inoltre che il 63% degli israeliani pensa che il Comitato di selezione giudiziaria dovrebbe mantenere il suo equilibrio tra giudici e politici, che devono raggiungere un accordo sulle nomine giudiziarie, mentre la legislazione proposta dal governo darebbe ai politici il controllo sul comitato.
  Per gli elettori del Likud, solo il 39% ritiene che la coalizione dovrebbe sempre detenere la maggioranza nel comitato di selezione giudiziaria. La maggioranza degli elettori del partito Shas della coalizione – il 57% – è contraria alla proposta.
  Solo il 23% degli elettori ha affermato che più politici dovrebbero essere aggiunti al comitato di selezione giudiziaria.
  Il 58% degli elettori si oppone alla modifica del processo di nomina dei consulenti legali del governo, un altro elemento del piano giudiziario del governo.

• Necessario un compromesso
  La maggior parte degli israeliani, il 70%, ha affermato che la coalizione e l’opposizione dovrebbero tenere un dialogo nel tentativo di raggiungere un compromesso, compreso il 60% degli elettori della coalizione e l’84% di coloro che hanno votato per i partiti di opposizione. Il presidente Isaac Herzog ha chiesto negoziati, ma la coalizione ha rifiutato di sospendere il processo legislativo durante i colloqui, come richiesto dall’opposizione.

• Impatto sull’economia e sui diritti
  Una leggera maggioranza di israeliani concorda con gli avvertimenti secondo cui il piano danneggerà l’economia israeliana, mentre solo il 35% è d’accordo con Netanyahu, che ha contestato tali avvertimenti, afferma il sondaggio.
  Più della metà degli israeliani ha affermato di temere danni ai propri risparmi personali, restrizioni alla libertà di espressione, esposizione dei soldati dell’IDF ad accuse di crimini di guerra internazionali, politicizzazione del servizio civile, restrizioni sui trasporti pubblici durante lo Shabbat e danni all’uguaglianza di genere.
  Il 43% ha dichiarato di essere preoccupato per i danni ai diritti LGBTQ e il 45% temeva un impatto negativo sui diritti degli arabi israeliani, compreso l’87% degli arabi intervistati.

• Il sondaggio
  Il Centro per l’opinione pubblica e la ricerca politica di Viterbi dell’Israel Democracy Institute ha condotto il sondaggio online e via telefono tra il 9 e il 13 febbraio. Un totale di 606 israeliani è stato interrogato in ebraico e 150 in arabo, in un campione rappresentativo della popolazione adulta. L’errore di campionamento è stato del 3,56%, ha affermato l’Israel Democracy Institute.

(Bet Magazine Mosaico, 21 febbraio 2023)

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Il sistema di difesa aerea israeliano SPYDER punta al mercato europeo

di Eugenio Roscini Vitali

Secondo quanto pubblicato dalla rivisita digitale Breaking Defense, diverse nazioni europee sarebbero interessante al sistema mobile di difesa aerea SPYDER, intercettore per missili balistici a corto e medio raggio sviluppato da Rafael Advanced Defense Systems e da Israel Aerospace Industries.
  L’interesse coinvolgerebbe il Belgio, la Bulgaria, l’Ungheria, la Polonia e la Romania, paesi la cui attenzione ai sistemi antiaerei e antimissile sarebbe cresciuta in seguito al massiccio uso di droni e missili balistici da parte di Mosca contro obiettivi militari e civili in Ucraina. Nel Vecchio Continente il più interessato a questo sistema d’arma rimangono ovviamente le forze armate di Kiev anche se vi sono difficoltà politiche per il governo Netanyahu a  consentire una simile fornitura.
  Con l’obiettivo di bilanciare i rapporti con la Russia, Gerusalemme ha infatti negato all’Ucraina la condivisione dei suoi sistemi di difesa aerea, una dichiarazione di neutralità che ha lo scopo di ottenere in cambio il tacito via libera di Mosca agli attacchi israeliani contro obiettivi iraniani all’interno della Siria, principalmente contro i convogli di armi, soprattutto missili e razzi, destinati ad Hezbollah in Libano.
  Negli ultimi anni il sistema SPYDER, già acquisito da Azerbaigian, Etiopia, Filippine, Vietnam, India, Singapore, Repubblica Ceca e, secondo notizie  non confermate, dalla Georgia e da alcuni stati del Golfo, ha subito  numerosi aggiornamenti necessari a renderlo più efficace contro i missili balistici tattici utilizzati.
  Rafael Advanced Defense Systems ha recentemente svelato che il sistema  è già stato collaudato in combattimento, è ora dotato di capacità di contratto di missili balistici tattici, aerei, elicotteri, droni e missili da crociera.
  Prodotto in due varianti, a corto (SR) e medio raggio (MR), lo SPYDER è un sistema mobile terra-aria (SAM) a reazione rapida ravvicinata con capacità di ingaggio a 360 gradi. Armato con missili Python-5 e Derby, può neutralizzare un bersaglio in meno di cinque secondi dalla conferma dell’ingaggio e può colpire obiettivi ad una distanza di oltre 15 chilometri (9 miglia) e ad un’altitudine fino a 9.000 metri. Sistema dotato di architettura aperta – caratteristica che consente la successiva integrazione di nuovi componenti avanzate – può operare sia di giorno che di notte e con qualsiasi condizione atmosferica. È equipaggiato con radar tattico 3D a medio raggio EL/M-2106 ATAR (versione a corto raggio SPYDER-SR) o con radar multi-missione 3D AESA (SPYDER-MR), e può rilevare minacce anche quando in movimento, gestendo attacchi singoli o di saturazione a bersagli multipli.
  Oltre al sistema mobile SPYDER, diverse nazioni europee sarebbero anche interessate al sistema Barak LRAD di Israel Aerospace Industries (IAI), concetto di difesa aerea con capacità simili allo SPYDER, con copertura a 360 gradi e un focus sulle minacce balistiche a corto e medio raggio. Questo mentre la Germania chiude un accordo per l’acquisto del sistema missilistico ipersonico antibalistico esoatmosferico Arrow 3, affare che rientra nel piano di aggiornamento delle forze armate tedesche e che è parte di un più ampio sforzo finalizzato alla creazione di una rete di difesa aerea paneuropea.

(Analisi Difesa, 21 febbraio 2023)

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Complimenti alla Plasmon, che ci mostra come sarà l’Italia senza bambini

“Adamo”, l’ultimo bambino che nascerà fra una generazione

di Giulio Meotti

ROMA - Nel 1983, un demografo italiano fu contattato dai capi della Plasmon. L’azienda era interessata alle sue analisi sulla popolazione. I manager della Plasmon si dissero preoccupati su una tendenza che stavano osservando in Italia, principale mercato di sbocco per i loro prodotti alimentari per l’infanzia: “Professore, i bambini italiani stanno diminuendo e, se l’attuale trend dovesse continuare, diminuiranno sempre più rapidamente. Capirà bene che per noi si tratterebbe di una catastrofe. Lei crede sia possibile una qualche inversione di rotta?”. La risposta del demografo fu un secco “no”. I dirigenti della Plasmon allora controbatterono: “Sarebbe corretto diversificare rispetto al mercato dell’infanzia dedicandosi a una linea di prodotti ‘Misura’ per adulti?”. Questa volta il demografo rispose di “sì”.
  A fronte dell’“inferno demografico” come lo ha appena definito il ministro Roccella, per la Plasmon ci sono solo due soluzioni: diversificare o chiudere. Per questo, quarant’anni dopo quel colloquio, Plasmon ha realizzato “Adamo”, che non è solo il primo uomo, ma anche l’ultimo bambino che nascerà in Italia, raccontato in un cortometraggio con cui Plasmon ci proietta in un futuro neanche tanto lontano, il 2050, una generazione da ora, dove il numero di nascite è diminuito sempre di più fino ad arrivare appunto a uno. L’ultimo nato in Italia. Adamo.
  Si vedono un padre e una madre che raccontano Adamo che cresce in un mondo senza simili, senza bambini, senza sorelle, senza fratelli, senza nessuno con cui giocare, come il film “I figli degli uomini” aveva “Baby Diego”. Il demografo Alessandro Rosina nel film spiega cosa è successo. E non è fantascienza.
  “Se le nascite in Italia proseguissero il percorso di diminuzione con il ritmo osservato nel decennio scorso ci troveremmo a entrare nella seconda metà di questo secolo con reparti di maternità del tutto vuoti”, ha scritto Rosina giorni fa sul Sole 24 ore. “Lo scenario di zero nati nel 2050 difficilmente verrà effettivamente osservato – le dinamiche reali sono più complesse di una semplice estrapolazione –, ma i dati ci dicono che alto (oltre il livello di guardia) è diventato il rischio di un processo di declino continuo della natalità”. Se questa frana non s’arresta, le conseguenze ultime dell’illusione demografica sorprenderanno un popolo non più capace di riaversi, di riprendersi, di riconquistarsi, quando sarà troppo tardi. Terribile traiettoria segnata per l’Italia da cifre insofisticabili.
  A Genova, il “ground zero” della denatalità italiana, la città più vecchia d’Europa dove i morti sono il triplo dei nati, per due negozi della linea per bambini Prénatal ci sono una quindicina tra punti vendita e supermercati per animali delle catene Arcaplanet e Fortesan. Anche il Secolo XIX, giornale che da sempre tira la volata al progressismo genovese, si è accorto che qualcosa non va: “Provate a immaginare che Genova sia una città assolutamente morta: tanti funerali come sempre ma, da un momento all’altro, nemmeno una nascita. E questo non per un giorno o una settimana, ma per venti giorni consecutivi, durante i quali tutti i reparti di ostetricia restano vuoti, nessuna neomamma allatta al seno un figlio, nessun sms annuncia un lieto evento. Bene, i numeri dicono esattamente questo…”.
  In Giappone, l’occidente che sorge prima, il mercato dei pannoloni per anziani da anni surclassa quello per bambini. Qualche giorno fa, un professore di Yale, studioso con tutti i crismi accademici, ha suggerito il suicidio di massa dei vecchi in Giappone per risolvere il problema dell’invecchiamento. Non era più semplice favorire le nascite e la vita, prima che si compiesse il destino di Adamo?
   

Il Foglio, 21 febbraio 2023)

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Europarlamento, Daly esplode di rabbia in aula

"Silenzio totale su Usa e Nordstream. mi vergogno!"

Qualche settimana fa è emerso un articolo di un giornalista investigativo statunitense, Seymour Hersh, celebre per le sue innumerevoli inchieste in ambito militare che, tra l'altro, gli hanno consegnato il premio #Pulitzer nel 1970.
  L'ultima investigazione del giornalista rivolge l'attenzione sull'incidente del Nord Stream 2, il #gasdotto che collegava la #Russia con l'Europa, più precisamente con la #Germania, che però è esploso nelle acque del Mar Baltico nel settembre 2022. Gasdotto che sarebbe stato sabotato, scrive Hersh, dagli #USA, con la collaborazione della #Norvegia.
  La #parlamentare irlandese Clare Daly, membro del partito di sinistra irlandese Independents 4 Change e del Gruppo della Sinistra al #Parlamento Europeo ha riportato l'inchiesta a Strasburgo.
  "Da settembre va avanti una totale mancanza di interesse nel cercare di capire chi c'è dietro l'esplosione del nord stream. È stato un atto di sabotaggio, un atto di vandalismo economico e ambientale.
  Eppure non se ne sente parlare, non c'è discussione, non si parla del da farsi. Il più grande giornalista investigativo ha prodotto argomentazioni in un lungo articolo sul fatto che siano stati gli Stati Uniti tramite un aereo di sorveglianza norvegese.
  Il 26 settembre hanno fatto esplodere il gasdotto Nord Stream e tre mesi prima c'era anche stata un'esercitazione militare degli USA, ma nessuno ha fatto commenti. Parliamo di un giornalista molto serio, ed è veramente impressionante che l'Unione Europea non chieda chi è responsabile per il sabotaggio della sussistenza dei nostri cittadini.
  Mi vergogno di essere europea".

(RadioRadioTV, 20 febbraio 2023)
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E che cosa dicono i nostri politici di sinistra, i nostri liberal superdemocratici, i nostri europeisti senza se e senza ma, e anche i nostri nazionalisti governativi di destra? Nulla. Silenzio. Complimenti! Soprattutto agli intellettuali. M.C.

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Dopo il gas naturale, Israele diventa un esportatore di petrolio

di David Fiorentini

Dopo diversi anni di esportazione di gas naturale, per la prima volta nella sua Storia, Israele ha spedito un carico di petrolio greggio all’estero, ha annunciato la società britannico-greca Energean.
  Energean aveva iniziato a estrarre idrocarburi al largo della costa israeliana settentrionale, nel giacimento di Karish, già il 26 ottobre 2022, un giorno prima che Israele e Libano firmassero un accordo mediato dagli Stati Uniti sui confini marittimi.
  “Siamo felici e orgogliosi che Energean abbia facilitato l’ingresso di Israele nel club degli esportatori internazionali di petrolio”, ha dichiarato Mathios Rigas, amministratore delegato dell’azienda in un comunicato. “Questa è un’altra pietra miliare per noi, che rafforza la crescita di Energean come attore significativo nel mercato locale e regionale”.
  Israele è da tempo autosufficiente per quanto riguarda il gas naturale, riducendo la sua dipendenza dal carbone e contribuendo al miglioramento delle relazioni con Egitto e Giordania grazie a sostanziosi accordi di esportazione.
  Nonostante lo Stato ebraico importi ancora la maggior parte del suo petrolio greggio, con una domanda interna di 250.000 b/g, il successo della produzione di Karish è fondamentale per l’economia del progetto per Energean.
  Nick Witney, direttore commerciale dell’impresa, ha spiegato che “pur rimanendo un’azienda focalizzata sul gas, il petrolio greggio leggero prodotto responsabilmente da impianti moderni e a bassa intensità di carbonio è molto richiesto a livello globale”.
  La produzione di gas e petrolio di Energean, che comprende basi operative in Israele, Egitto, Italia e Croazia, dovrebbe aumentare con l’avvio di Karish da circa 41.000 barili di petrolio equivalente al giorno a 150.000 boe/d entro la fine dell’anno e a 200.000 boe/d nel 2024.

(Bet Magazine Mosaico, 20 febbraio 2023)

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Israele: scoperte sette nuove specie di ragni a imbuto

La scoperta è stata fatta in un sistema di grotte in Israele.

di Lucia Petrone

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Nelle grotte di Israele sono state scoperte sette nuove specie di ragni troglobi del genere Tegenaria . Delle sette nuove specie che sono state trovate, cinque hanno gli occhi ridotti, mentre le altre due specie sono completamente cieche. Esplorando i sistemi di grotte in Israele, il team dell’Università Ebraica di Gerusalemme e dell’Università del Wisconsin-Madison ha scoperto le sette nuove specie di ragni. Sono rimasti sorpresi nell’apprendere che le nuove specie sono più strettamente correlate alle specie trovate nelle grotte del Mediterraneo nell’Europa meridionale, che alle specie che vivono proprio accanto a loro nelle stesse entrate delle grotte in Israele. “In molti casi, questi adattamenti porteranno alla creazione di nuove specie, la cui distribuzione è geograficamente limitata in aree con condizioni ecologiche uniche, come una singola grotta o un sistema di grotte collegate”, spiega il dottorando Shlomi Aharon, che ha guidato lo studio, in una dichiarazione . Nel processo di campionamento, le grotte sono state suddivise in quattro diverse zone ecologiche: all’esterno della grotta; l’ingresso della grotta; e zone crepuscolari e buie. Diverse specie possono risiedere e adattarsi in modo diverso alle condizioni in ciascuna di queste aree. Il team ha voluto capire la relazione tra i ragni con gli occhi che in genere vivono nella zona di ingresso della grotta e quelli con gli occhi ridotti, che spesso si trovano nel buio in fondo alle grotte. Visitando circa 100 grotte dal 2014 al 2022, il team ha studiato circa 200 singoli ragni. Si è scoperto che trenta delle grotte contenevano specie di Tegenaria . In 26 di queste grotte, il team ha trovato specie troglofile, specie che hanno popolazioni che vivono sia sopra che sottoterra in Israele. In 10 grotte sono state trovate sia Tegenaria troglofila che troglobitica, a volte condividendo anche la stessa posizione all’interno di una grotta. Mentre questi ragni sembravano simili, avevano differenze nella riduzione degli occhi e nella pigmentazione che hanno fatto dubitare al team se fossero della stessa specie o di specie diverse.
  “In questo studio abbiamo cercato di comprendere le relazioni evolutive tra i ragni a imbuto ( Agelenidae , Tegenaria ) con occhi normali che si trovano all’ingresso delle grotte in Israele, e quelli che si trovano in profondità nelle caverne e sono privi di pigmento, con occhi ridotti e persino completamente cieco”, ha continuato Aharon. Studiando il DNA dei ragni, il team ha scoperto che tutte le specie troglobie di Tegenaria trovate in Israele fanno parte di un clade di ragni lontanamente imparentati con le specie troglofile trovate agli ingressi delle caverne. Il team ha concluso che la loro analisi ha rivelato che le nuove specie troglobie israeliane di Tegenaria sono più strettamente imparentate con i ragni del Mediterraneo orientale che con le altre specie che condividono le stesse grotte. Suggeriscono anche che la specie si sia evoluta da un antenato che viveva al di fuori delle caverne e che potrebbe essersi estinto a causa del cambiamento climatico sstorico avvenuto nell’area. “Dobbiamo proteggere la natura unica di Israele, preservare i suoi sistemi sotterranei per il futuro ed esplorare ulteriormente i processi che hanno creato questi sistemi nel paese”, ha affermato il professor Dror Hawlena del Dipartimento di ecologia, evoluzione e comportamento dell’Università ebraica di Gerusalemme.

(Scienze Notizie, 20 febbraio 2023)

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In viaggio nel Belpaese, a cavallo delle parole. L’avventura delle lingue giudaico-italiane 

Un “pastiche” linguistico unico. Dal giudeo-romanesco al giudeo-mantovano con i prestiti dallo yiddish, fino al bagitto livornese contaminato col "sefardì" degli ebrei cacciati dalla Spagna ... "Dialetti" e lingue vernacolari anche del nostro Sud. Un prezioso testo riunisce oggi gli “Idiomi degli Ebrei d'Italia“. Ne parliamo con l'autrice Maria Mayer Modena, intervistando esperti e "parlanti" che ancora si esprimono in quell'italiano misto a ebraico i cui esiti comici sono a volte irresistibili.

di Michael Soncin 

Uffa, che meghillà! Che barba, che noia, che meghillà, appunto! A molti di noi può essere capitato di imbattersi nella lettura di una meghillà. Ma prima che qualcuno possa fraintendere, qui non stiamo affatto parlando del rotolo di pergamena contenente la storia di Ester. Sebbene il prestito derivi proprio dalla festività di Purim, in verità ci si riferisce ad un testo, saggio, romanzo, discorso, troppo "lungo e noioso"; mentre rivolgersi ad una persona dicendole che è bella come il 14 di Adar, non è certo farle un complimento, anzi. 
  Queste sono solo alcune delle espressioni presenti nelle parlate degli ebrei italiani alla base di una ricerca pionieristica, uno studio senza precedenti condotto dalla professoressa Maria Luisa Mayer Modena, confluito nella recente pubblicazione di Vena hebraica nel giudeo-italiano - Dizionario dell'elemento ebraico negli idiomi degli Ebrei d'Italia. «Prima d'allora erano stati fatti degli studi per regione, ma non c'era un unico studio che le raggruppasse. L’aspetto interessante di questo lavoro è stato quello di riunire i risultati delle varie zone italiane in un dizionario scientifico», racconta Mayer Modena a Bet Magazine. Come spiega la studiosa, questi sono i risultati di una lunga ricerca sulle tradizioni linguistiche delle comunità ebraiche, che parte da un progetto in origine creato da Shlomo Morag, all'Università Ebraica di Gerusalemme, continuato poi da Aharon Maman. 
  «Lo scopo era quello di raccogliere e studiare le testimonianze allora ancora reperibili degli idiomi ebraici, con particolare riguardo all'ambito mediterraneo e orientale, presentando i lessemi derivati dalla componente ebraico-aramaica in una prospettiva comparata». Le ricerche delle varie aree sono state poi raccolte in un dizionario curato da Maman, in cui sono stati inseriti la maggior parte dei lemmi che ora compaiono in Vena Hebraica. 
  «A Gerusalemme si stava facendo una raccolta di tutte le lingue ebraiche e a me hanno affidato l'Italia. Ho trascorso un anno in Israele, era il mio anno di congedo - prosegue Mayer Modena - . L’ambito italiano ha presentato fin da subito delle problematiche molto particolari, dovute anche alla ricchezza e alla complessità della storia linguistica d'Italia. Perciò, il lavoro di raccolta di questo materiale è cominciato creando un database pensato appositamente per rispondere ad una realtà così specifica. È stata un'esperienza indimenticabile. Vicino a me sedeva uno studioso dello Yemen, uno di Algeri, e tanti altri. C'è stata una continua collaborazione tra le varie tradizioni. È da lì che è cominciato tutto quanto». 

• UNA MOLTEPLICITÀ DI FONTI,
  TRA CUI IL TEATRO RINASCIMENTALE, PREZIOSA TESTIMONIANZA 

Una pluralità di fonti. Una ricerca perseguita tenendo in considerazione testi letterari e semiletterari giudeoitaliani delle varie epoche storiche; lo studio delle testimonianze scritte sul parlato, come i verbali dell'Inquisizione o il teatro rinascimentale italiano; le interviste dirette e indirette a parlanti e informatori delle varie regioni. « Una testimonianza preziosissima per l'età del Rinascimento ci viene dal teatro, che si serviva spesso del plurilinguismo per ottenere effetti comici. Il fatto che in quel quadro gli ebrei compaiano con questa funzione, ci dimostra ovviamente che la loro parlata veniva percepita come ben distinta dall'ambiente linguistico circostante. Si pensi ad Orazio Vecchi, con l'opera LAmfiparnaso del 1597, o più avanti nel tempo a Carlo Goldoni». Chiaramente questi testi possono presentare un problema di attendibilità, motivo per il quale hanno richiesto opportune indagini di ricerca. «Si tratta di testimonianze preziose perché, quasi tutte, si riferiscono alla vigilia della chiusura nei ghetti che viene considerata il momento in cui si "fissano" le parlate moderne. Da allora, infatti, il giudeoitaliano parlato o meglio, a questo punto, 'le parlate" saranno da una parte sempre più legate alla loro sede specifica, perché diminuisce la mobilità dei nuclei ebraici, ma dall'altra contemporaneamente differenziate, in senso arcaistico e con la conservazione di cospicue tracce delle sedi precedenti, dalla parlata non-ebraica locale, data appunto la concreta chiusura dell'ambiente». 

• LA COMPONENTE "EBRAICA" DELLE "PARLATE" 
  Vi sono l'area piemontese, l'emiliano-veneta, l'area toscana e umbro-marchigiana, con l'inconfondibile bagitto, originario di Livorno, chiamato per l'appunto anche giudeo- livornese, e poi il colorito giudeo-romanesco, che tutt'ora passeggiando per il ghetto di Roma si può ascoltare nella sua vitalità. Sono lingue diverse tra loro ma tutte accomunate dalla presenza della componente ebraica. Pertanto, che cosa intendiamo quando parliamo di componente ebraica nelle varie parlate? «Per elemento ebraico in questo caso intendiamo anche quello ebraico-aramaico perché la lingua sacra comprende, oltre a quella della Bibbia, anche quella del Talmud, che sappiamo essere scritto in buona parte in aramaico. Le parole scelte derivano quindi dell'ebraico biblico, dall'ebraico mishnaico, dall'aramaico biblico e talmudico, e anche dell'ebraico medievale, attraverso le preghiere composte in quel periodo. Sono estremamente rari i casi di fonti più moderne. Il corpus cui si attinge è sostanzialmente lo stesso per le varie aree italiane, così come per le varie aree della Diaspora». 
  C'è poi il problema della scelta dei termini della "lingua sacra", per cercare di distinguere quando fanno parte della parlata e quando invece sono solo dei prestiti, un aspetto che viene chiaramente sottolineato e affrontato nel capitolo introduttivo al dizionario Vena hebraica nel giudeo-italiano. 

(Bollettino della Comunità ebraica di MIlano, febbraio 2023)

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Chiedete la copia della prescrizione medica dei vaccini Covid ricevuti

Per eventuali danni futuri

“Consiglio importante per tutti i “vaccinati”- Covid-19 – chiedete subito il rilascio di copia della prescrizione medica che per legge deve esserci!”, scrive l’avvocato Renate Holzeisen. “Considero di fondamentale importanza per ogni persona che si è fatta inoculare un cosiddetto “vaccino”- COVID-19 – anche se non avesse ancora alcun sintomo di evento avverso – di chiedere immediatamente l’ostensione della prescrizione medica obbligatoriamente prevista dalla Commissione Europea nelle Decisioni di autorizzazione per l’immissione sul mercato di queste sostanze sperimentali a base genica, e nella rispettiva Determina dell’AIFA. 

Ogni inoculazione avvenuta di queste sostanze sin dal 27 dicembre 2020 è avvenuta in gravissima violazione anche di questo presupposto fondamentale per la legittimità del trattamento fatto con queste sostanze.

Dato che gli effetti a medio e lungo termine di queste sostanze non li conosciamo ancora, consiglio a tutti i cittadini “vaccinati” – non soltanto ai parenti dei morti e ai gravemente danneggiati – di chiedere copia di questa PRESCRIZIONE MEDICA che avrebbe dovuto essere rilasciata anche in rispetto dell’art. 13 Codice Deontologico dei Medici.

Qui trovate la bozza della richiesta di ostensione sia nella versione dell’uso della pec, sia nella versione dell’uso della raccomandata/ar per coloro che non hanno la pec. Inoltre trovate le bozze già compilate anche con gli indirizzi per i Sudtirolesi e le bozze utilizzabili in tutta Italia”.

Avv.DDr. Renate Holzeisen


FACSIMILE DELLA LETTERA FORNITA DALL'AVVOCATO

Nome e cognome del mittente ….

Indirizzo di residenza …..

ALL'AZIENDA SANITARIA LOCALE

(competente per il luogo dove Voi avete avuto l’inoculazione)

Direzione Generale

Indirizzo completo (lo trovate su internet)

a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno

ISTANZA DI URGENTE OSTENSIONE E RICHIESTA DI COPIA
ai sensi dell’art. 22 e segg. Legge 241/1990

Al/la sottoscritto/a (cognome e nome) ……….., nato/a il …… a ……, residente a ……….….., in data……è stato somministrato il cosiddetto “vaccino” Covid-19, presso l’hub vaccinale Covid-19 di …. ed il …. a ……. (se conoscete il nome, indicatelo: Comirnaty di Pfizer/BioNTech, Spikevax di Moderna, Vaxzevria di Astrazeneca, Janssen di Johnson & Johnson).

Il/la sottoscritto/a ha appreso solo ora che per l’iniezione dei cosiddetti “vaccini” Covid-19 era obbligatoria la prescrizione medica secondo le condizioni d’uso di queste sostanze previste dall’EMA/Commissione Europea (Allegato II, punto B delle varie decisioni attuative per l’immissione in commercio) e dall’AIFA (le corrispondenti cosiddette “Determine”), anche perché, secondo le informazioni di cui sono venuto/a a conoscenza solo ora, avrebbero dovuto essere valutate le informazioni rilasciate pubblicamente dai produttori nel cosiddetto Piano di Gestione del Rischio (RMP Risk Management Plan) in merito alle mancanti informazioni (missinginformation) sugli effetti  che queste sostanze possono avere su persone con un processo infiammatorio pre-esistente nel corpo, su persone con una malattia autoimmune, le correlazioni con altri farmaci, su donne incinte, su donne allattanti, ecc..

Non mi è mai stata rilasciata una prescrizione medica per questa/e sostanza/e e non so se e chi l’abbia rilasciata e su quale base!

So però che nessuno dei responsabili dell`“hub vaccinale” mi ha avvertito che per queste sostanze non erano stati effettuati studi essenziali che, come ho scoperto solo in seguito altrove, sono assolutamente necessari per garantire la “sicurezza” di una sostanza, che interferisce direttamente con la funzione delle cellule del mio corpo.

Poiché l’iniezione di queste sostanze avrebbe dovuto avvenire solo dietro prescrizione medica, e questa prescrizione medica non mi è mai stata consegnata,

CHIEDO

a questa Azienda Sanitaria Locale, in qualità di autorità responsabile della “campagna vaccinale” Covid 19 a livello territoriale, l`urgente ostensione della/le prescrizione/i medica/che necessaria/e per la “vaccinazione” del/la sottoscritto/a con il cosiddetto “vaccino” Covid 19 nelle date e nei luoghi sopra indicati, nonché il rilascio di una copia, con la comunicazione dell’autorità (indicando nome, indirizzo e persona responsabile) presso la quale tale copia può essere ritirata. Con riserva di ulteriori azioni legali.

Luogo e data

Firma del richiedente

Allegati:

1. copia della/e carta/e d’identità del richiedente. 

2. certificato/i di “vaccinazione” individuale – iniezioni di Covid-19, solo per coloro che le hanno ricevute e conservate



(Presskit, 20 febbraio 2023)

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Netanyahu sulle proteste contro la riforma giudiziaria: “Israele resterà una democrazia forte”

Le affermazioni sembrano rispondere all'invito dell'ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, Tom Nides, che ha chiesto a Netanyahu di "tirare il freno".

Israele “è, e rimarrà, una democrazia forte, vibrante e indipendente. Sono lieto di rassicurare i nostri amici”. Lo ha detto oggi il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, durante la riunione settimanale del governo. Le dichiarazioni sono rivolte alle centinaia di manifestanti e all’opposizione, entrambi certi che la riforma della giustizia possa mettere in discussione i valori democratici del Paese. Inoltre, le affermazioni sembrano rispondere all’invito dell’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, Tom Nides, che ha chiesto a Netanyahu di “tirare il freno”. Nella riunione odierna del governo, Netanyahu ha affermato: “Nel quadro delle aspettative dei nostri nemici, aspettative di distruzione e spargimento di sangue, i discorsi sul sangue nelle strade devono cessare. Le fiamme devono essere spente. L’umore deve essere calmato”. Il premier ha auspicato che “tutti i leader pubblici dicano queste parole chiare. Questo è ciò che il pubblico israeliano si aspetta da noi ed è il messaggio chiaro che dobbiamo inviare ai nostri nemici”.
  Nel corso della riunione del governo, Netanyahu ha affermato: “Stiamo affrontando i nostri nemici su due fronti principali: il fronte del terrorismo e il fronte iraniano”. Sul fronte del terrorismo, “oltre alle azioni e alle leggi che stiamo promuovendo contro i terroristi e la loro cerchia più vicina, stiamo intraprendendo un’azione vigorosa contro l’istigazione. Durante il fine settimana, ho concordato con il ministro (della Sicurezza pubblica) Ben-Gvir la formazione di una task force speciale per combattere coloro che incitano ad atti omicidi contro di noi”. Inoltre, sul fronte iraniano, “i nostri sforzi sono incessanti per il semplice motivo che gli atti di aggressione dell’Iran sono incessanti. La scorsa settimana, l’Iran ha nuovamente attaccato una petroliera nel Golfo Persico e ha colpito la libertà di navigazione internazionale. Ieri, l’Iran ha attaccato una base statunitense in Siria. L’Iran continua a inviare armi letali che attaccano masse di civili innocenti lontano dai suoi confini”, ha affermato Netanyahu. Il capo dell’esecutivo ha aggiunto: “L’Iran sta cercando incessantemente di attaccare lo Stato di Israele e i suoi cittadini ovunque si trovino nel mondo. Gli attacchi dell’Iran non ci indeboliranno. Non permetteremo all’Iran di ottenere armi nucleari e non gli permetteremo di trincerarsi sul nostro confine settentrionale. Stiamo facendo – e faremo – di tutto per difendere il nostro popolo e stiamo rispondendo con forza agli attacchi contro di noi”. Al riguardo, vale la pena sottolineare che ieri sera un attacco attribuito a Israele ha colpito postazioni iraniane in Siria.

(Nova News, 19 febbraio 2023)

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La rappresentante di Israele cacciata dalla riunione dell'Unione Africana

La decisione su spinta di Algeria e Sudafrica. Gerusalemme accusa: "Presi in ostaggio da un piccolo numero di Paesi estremisti guidati dall'odio e controllati dall'Iran".

Incidente diplomatico ad Addis Abeba: durante una riunione dell'Unione africana (Ua), la rappresentante israeliana è stata scortata fuori dalla sala dalla sicurezza, apparentemente dopo pressioni di Algeria e Sudafrica. "È triste vedere che l'Unione africana è stata presa in ostaggio da un piccolo numero di Paesi estremisti come Algeria e Sudafrica, che sono guidati dall'odio e controllati dall'Iran", ha commentato il ministero degli Esteri israeliano.
  Fonti diplomatiche dello Stato ebraico hanno riferito che Sharon Bar-Li aveva l'autorizzazione a partecipare come osservatore, status concesso a Israele nel 2021, diciannove anni dopo essere stato estromesso dall'Ua dietro pressioni dell'allora leader libico Muammar Gheddafi. Colloqui sono in corso per permettere a Bar-Li di tornare a partecipare al vertice che continuerà domani.
  Secondo un funzionario dell'Ua, la diplomatica israeliana - vice direttrice generale per l'Africa al ministero degli Esteri - non era autorizzata a seguire la riunione, dal momento che l'invito è valido solo per l'ambasciatore israeliano presso l'Unione africana, Aleli Admasu, e non è cedibile. "È spiacevole che la persona in questione abusi di una simile cortesia", ha aggiunto il funzionario.
  Quanto alle accuse dello Stato ebraico nei confronti del Sudafrica, sono "affermazioni che devono essere comprovate", ha sottolineato il portavoce del presidente Cyril Ramaphosa.  

(la Repubblica, 19 febbraio 2023)

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Israele al bivio

Quali sono i veri obiettivi della contestatissima riforma della giustizia che vuole ridurre i poteri di controllo della Corte suprema per affidarli al governo. Un braccio di ferro politico, ma anche un evidente conflitto tra potere esecutivo e giudiziario.

di Claudio Vercelli

Il quadro è cambiato. Radicalmente. Anche se i segni premonitori erano già di antica data. Quel che conta, comunque, è ciò che si vede ad oggi. Un panorama, per capirci, dove la polarizzazione politica e, in immediato riflesso, sociale, è diventata nettissima. In Israele, al pari di altri paesi, la svolta a destra porta con sé molte conseguenze. Alcune, al momento, ancora ipotetiche. Altre, invece, già da adesso tangibili. Quanto meno in prospettiva. Occorre quindi partire da una premessa: ciò che sta avvenendo non è in linea di continuità con il passato, ossia con la consolidata tradizione politica, ed anche civile e sociale, dell’intero paese ma ne rappresenta una sorta di discontinuità. Di quale genere e natura, e soprattutto con quali esiti di lungo periodo, bisognerà capirlo. Nessuno è aruspice né, tanto meno, indovino.  Ma è comunque un capitale errore di interpretazione il pensare che tutto sia destinato a rimanere come prima, ovvero identico a sé. Poiché è l’insieme dei paesi a sviluppo avanzato, dei quali Israele è parte a pieno titolo, a conoscere un profondo mutamento. Soprattutto sul piano delle società. Il transito da un capitalismo industriale, con le sue forme di organizzazione della rappresentanza politica, a società in via di digitalizzazione, inesorabilmente chiama in causa la funzionalità di queste ultime sul piano della decisione collettiva e della sua traduzione in fatti. Non sono in discussione la persistenza e la continuità delle funzioni rappresentative delle moderne democrazie (quindi il ricorso al voto tra partiti e liste concorrenti) bensì altri aspetti che, tuttavia, sono non meno importanti di queste ultime. Tra di essi, l’intermediazione svolta dalla molteplicità di corpi intermedi (sindacati, associazionismo diffuso, modelli e pratiche di impegno civile strutturato in organizzazioni non effimere) e, soprattutto, i regimi di separazioni tra poteri.
  Si inserisce in quest’ordine di considerazioni il ripetersi, da più settimane, di grandi manifestazioni popolari nelle maggiori città israeliane. In esse confluiscono motivi differenti, come sempre capita quando si assiste ad una mobilitazione popolare. Senz’altro c’è anche l’espressione dello sconcerto degli sconfitti, a partire da una oramai quasi inesistente sinistra che ha un presidio parlamentare ridottosi al lumicino e che, non di meno, si è consegnata alla sostanziale irrilevanza. Tuttavia, il punto d’attacco è al momento soprattutto uno, quello alla riforma parlamentare del potere giudiziario, che intende limitare soprattutto il ruolo della Corte suprema. Dietro questa grande tema in realtà si celano anche altri problemi non meno importanti, a partire da quelli del rapporto con la controparte palestinese e, in immediato riflesso, con l’oramai vasto e ramificato insediamento ebraico in Cisgiordania, che nell’esprimere una netta preferenza per le destre israeliane, manifesta anche, almeno in alcuni suoi componenti, una crescente indisponibilità verso il tradizionale ordinamento istituzionale d’Israele. La destra dei coloni, che è di molto cresciuta, sia sul piano quantitativo che sul versante della capacità di influenzare le decisioni politiche nazionali, è estranea per più aspetti al patto politico (e costituzionale) che dal 1948 in poi si è andato formulando e rigenerando, per arrivare quasi fino ai giorni nostri. Non per questo è un soggetto politico unitario. Semmai, al suo interno, somma componenti tra di loro anche molto diverse, articolate in una vasta gamma che va dal nazionalismo più tradizionale alle posizioni autenticamente eversive di alcune frange estreme. Il minimo comune denominatore è tuttavia la centralità della terra, ossia della dimensione spaziale d’Israele, come asse su cui ridisegnare l’intera identità nazionale.
  Il tema della riforma della giustizia, che assomma su di sé diverse ricadute, va quindi inserito anche in un tale quadro di riferimento. Presentata dal nuovo ministro della Giustizia Yariv Levin, ha trovato da subito l’assenso delle forze di maggioranza, a partire dallo stesso Likud di Benjamin Netanyahu e dai partiti ultraortodossi. La formazione politica del premier accusa la magistratura israeliana di accanirsi contro il suo maggiore esponente per ragioni meramente politiche, dando corso ad una vera e propria persecuzione giudiziaria con l’obiettivo di delegittimarlo. Le formazioni religiose, a loro volta, non solo accusano la Corte di interferire con le libertà degli elettori che si sono incaricati di rappresentare (ad esempio, con la limitazione delle esenzioni al servizio militare altrimenti rivendicate dagli appartenenti all’ultraortodossia) ma anche di svolgere un ruolo, quello di giudice di ultimo grado, che non intendono riconoscere come funzione primaria ad un organismo laico.
  L’insieme di queste obiezioni, ovvero la loro rilevanza, è pero comprensibile solo se si ha a mente l’organizzazione dei poteri pubblici e delle istituzioni nel Paese. Alcuni elementi, infatti, emergono come dirimenti: l’assenza di una Costituzione (non voluta a suo tempo, con un vero e proprio fuoco di sbarramento, dagli stessi partiti religiosi); la presenza di un sistema di Leggi fondamentali, a carattere costituzionalistico, che stabiliscono e tutelano i diritti imprescindibili nonché i rapporti tra cittadini e amministrazioni; la scarsità di contrappesi istituzionali all’operato dell’esecutivo che, a sua volta, è quasi sempre fortemente condizionato dall’azione della maggioranza parlamentare che lo sostiene; la natura coalitiva – con un vero e proprio bricolage di gruppi parlamentari – di qualsiasi governo; l’unicameralità parlamentare, che di fatto impedisce qualsiasi forma di confronto dialettico tra camera bassa e camera alta; il ruolo meramente rappresentativo del presidente dello Stato, che non ha potere di veto sulle leggi come, invece, è dato in altri sistemi a democrazia rappresentativa.
  Da quando il Likud, con la seconda metà degli anni Novanta, è tornato al governo, dopo la stagione di Yitzhak Rabin, le trasformazioni introdotte dai governi di destra proprio sul versante giudiziario hanno, di fatto, incrementato il ruolo della Corte suprema d’Israele in quanto effettivo contrappeso all’azione dell’esecutivo. Con un’ampia successione di sentenze, di fatto non si è impegnata solo ad abrogare o a neutralizzare gli effetti di quelle norme che potevano risultare in contrasto con le Leggi fondamentali ma è più volte intervenuta nel merito delle singole leggi così come degli stessi provvedimenti di natura amministrativa emanati dalle istituzioni pubbliche. La cosiddetta «clausola di ragionevolezza», nella sua tendenziale discrezionalità, permette infatti alla Corte di sovrapporsi al parlamento anche in passaggi decisivi della vita pubblica del Paese. Un esempio recente – al riguardo – sono le repentine dimissioni del ministro Arye Dery, a carico del quale, in seguito a un patteggiamento con sospensione della pena, gravava l’ipotesi di una sospensione pluriennale dall’esercizio dei pubblici uffici. La Corte ha giudicato la sua permanenza al governo come contraria alle leggi e all’interesse collettivo. Benjamin Netanyahu, a quel punto, non ha potuto fare altro che ritirargli le deleghe.
  La riforma voluta da Levin e sostenuta da tutta la maggioranza ruota intorno a due assi. Il primo di essi è la trasformazione delle modalità di selezione, candidatura e nomina dei giudici della Corte. Attualmente l’identificazione dei magistrati, anche di quelli delle corti di rango inferiore, è affidata ad una commissione mista, composta da nove membri. Due di essi sono parlamentari (maggioranza e opposizione), due sono titolari di dicasteri nell’esecutivo, due sono espressione dell’associazionismo forense israeliano e tre sono essi stessi già giudici in carica presso la Corte. Va da sé che il margine di influenza per il governo  ruoti intorno ai quattro rappresentanti di sua nomina. Benché l’indirizzo della Corte suprema sia già da tempo orientato in senso conservatore, la sua autonomia è tuttavia elemento di forte attrito con il nuovo esecutivo. Che caldeggia quindi la ricomposizione in undici membri della commissione elettiva. Otto di essi dovrebbero essere di nomina politica. La qual cosa, va da sé, darebbe al governo, un significativo vantaggio in tutte le procedure di selezione dei magistrati.
  Il secondo asse riguarda invece il potere che la Corte può esercitare nell’abrogazione, totale o parziale, delle leggi licenziate dalla Knesset. A tale riguardo, la riforma Levin intende cancellare la «clausola di ragionevolezza», riconducendo la discrezionalità giudiziaria al solo esame della pertinenza delle norme rispetto ai principi contenuti nella Leggi fondamentali. A ciò si aggiungerebbe poi la facoltà del parlamento di arrivare ad annullare le stesse decisioni della Corte, votando, a maggioranza semplice e non qualificata, una seconda volta sulla legittimità della legge in discussione, rendendola infine operativa a prescindere dal giudizio altrimenti espresso dagli alti magistrati.
  Intorno a queste due opzioni, quindi, nel giro di pochi giorni si è alimentata una discussione vivacissima e la conseguente mobilitazione di piazza. Non solo le opposizioni parlamentari ma anche un grande numero di giuristi si sono espressi negativamente. Lo stesso presidente Isaac Herzog ha pubblicamente dichiarato che la riforma, se definitivamente approvata – poiché è già stata discussa e licenziata in sede di commissione referente, essendo ora in attesa di essere dibattuta in aula – creerebbe «gravi preoccupazioni per gli impatti negativi sulle fondamenta democratiche dello Stato di Israele». La richiesta, rivolta ad entrambi gli schieramenti, di giungere ad un compromesso, se in un primo momento è sembrata in via di accoglimento da parte di Simcha Rothman, esponente della destra radicale nonché presidente della commissione parlamentare che ha seguito l’iter della legge, di fatto è poi stata azzerata dall’azione della maggioranza, che ha proseguito sul suo cammino senza coinvolgere né, tanto meno, negoziare alcunché con l’opposizione.  Gli stessi lavori in commissione sono stati costellati da accesi diverbi e temporanee espulsioni di parlamentari.
  L’aggravio decisionale attribuito alla Corte suprema nell’attuale sistema istituzionale e legale del Paese è riconosciuto da molti. Così come altrettanti rivendicano la necessità di un riequilibrio dei poteri, nel senso della loro maggiore concorrenza. Rimane il fatto che la riforma voluta dall’attuale maggioranza, oltre ad attribuire all’esecutivo un’influenza pressoché insindacabile, determinerebbe anche una situazione per molti aspetti disallineata rispetto ai sistemi costituzionalisti vigenti, impedendo ad un organismo diverso dal parlamento di valutare la liceità, la legittimità e la stessa legalità delle norme che esso stesso licenzia. I suoi oppositori hanno quindi paventato l’ipotesi della «morte della democrazia». I suoi sostenitori, invece, dichiarano di volersi pronunciare contro il fatto che «il potere supremo su quasi ogni questione della vita politica [sia] nelle mani di un’aristocrazia giudiziaria auto-perpetuante, non eletta, la quale gestisce il paese non secondo una legge scritta ma in base alla propria visione del bene» (Russel Shalev).
  La limitazione del potere giudiziario è parte integrante dell’accordo di coalizione che ha portato Netanyahu per la settima volta ad occupare lo scanno di premier. Al nocciolo della contesa, nei fatti, vi è la contrapposizione tra diversi modi di intendere il potere. Mentre sul versante politico e parlamentare avanza l’idea che solo chi è «eletto dal popolo» possa, in ultima istanza, decidere dell’interesse collettivo, sul piano giurisdizionale la magistratura intende se stessa come l’autentico ed esclusivo organismo che è chiamato a vigilare sulla tutela della democrazia. I suoi detrattori la descrivono come perlopiù depositaria esclusiva della «dottrina del guardiano». Così, a tale riguardo: «i guardiani, piuttosto che agire come argini nelle circostanze più estreme, si sono costituiti come sovrani alternativi ai cittadini e alla Knesset». Ed ancora: «se la Knesset dovesse adottare politiche che limitano i diritti dei cittadini israeliani, saranno prontamente espulsi alle prossime elezioni. Ciò è in contrasto con la Corte Suprema, che è isolata dalla responsabilità popolare e non deve affrontare nessuna conseguenza per la legislazione giudiziaria o la creazione di specifici indirizzi politici».
  Proprio perché uno squilibrio di fatto sussiste da tempo, ma non sarà in alcun modo sanato dalla volontà del governo Netanyahu, è bene ricordare che l’epicentro delle controversie sul ruolo della Corte si era già determinato quasi quattro decenni fa, quando l’alta magistratura intervenne con una sentenza che riguardava l’esenzione degli studenti delle yeshivot dall’espletamento del servizio militare. Il campo ultraortodosso, non a caso, oggi più che mai vicino alla destra di governo, costituiva già allora un terreno minato rispetto all’intera partita dei diritti e dei doveri civili e di cittadinanza. Pronunciandosi contro le esenzioni, di fatto la Corte nell’oramai lontano 1988 aveva deciso di venire meno a quella pratica di astensione, la dottrina della «giurisdizionalità», per la quale invece dichiarava la non competenza giuridica su alcune materie che semmai riguardavano e richiamavano, per la loro stessa natura, la negoziazione e la loro soluzione per parte di soggetti diversi dalle magistrature medesime.
  La dottrina della «ragionevolezza» rivista e rafforzata si inscrive quindi in un quadro di cambiamenti delle funzioni dei massimi organi istituzionali israeliani, trasformatisi significativamente dagli anni Ottanta in poi. Per usare il linguaggio dei costituzionalisti, si tratta del farsi di quella «Costituzione materiale» che non corrisponde alle regole formali, come tali inserite in norme di diritto, ma a consuetudini che poi diventano prassi ineludibili. L’instabilità politica  del Paese ha peraltro concorso molto ad un tale esito. Una figura innervata e, al medesimo tempo, espressione di una tale traiettoria rimane Aharon Barak, presidente della Corte per una decina di anni (tra il 1995 e il 2006)  nonché suo membro per oltre un quarto di secolo. Durante la sua presidenza ha sostenuto un  approccio basato sull’interventismo giudiziario, in base al quale il tribunale supremo non era tenuto a limitarsi all’interpretazione legale dei fatti segnalatigli ma anche, e soprattutto, ad impegnarsi a colmare le lacune della legge attraverso la produzione di sentenze vincolanti. Questo criterio rimane per molti controverso, incentivando l’opposizione di una parte della politica, ora riconosciutasi in Netanyahu. «Barak vede la Corte suprema come una [forza per il cambiamento della società], ben oltre il ruolo primario di decisore ultimo nelle controversie. La Corte suprema, sotto la sua guida, ha adempiuto a un ruolo centrale nella formazione della legge israeliana, non di molto inferiore alla Knesset» (Ze’ev Segal, nel 2004). L’estensione del ricorso alla dottrina della ragionevolezza ha quindi implicato, in più di un caso, soprattutto sul piano dell’annullamento degli atti di natura amministrativa, notevoli frizioni con i diversi governi succedutisi nel frattempo. Il ricorso alla Corte è stato esteso anche a soggetti terzi, ossia individui o gruppi d’individui non direttamente coinvolti nelle questioni fatte oggetto di parere legale vincolante, permettendo ai cittadini estranei alle singole vertenze di adire le vie del tribunale superiore. Fino al punto di teorizzare la sussistenza di un potere di annullamento nei confronti di tutte quelle norme che contrastassero con la natura costituzionalistica delle Leggi fondamentali.
  La questione dell’evidente conflitto di poteri, tra esecutivo e giudiziario, è tuttavia soprattutto un braccio di ferro politico che il governo Netanyahu rilancia con forza e potenza. Per molti, con deliberata prepotenza. Poiché al centro della contesa non c’è solo il grado di legittimazione e lo spazio di azione dei singoli poteri ma, più in generale, la rinegoziazione dei complessi rapporti di forza tra di essi nel momento della radicalizzazione della politica nazionale. Un tema strategico, quindi, soprattutto in un’età, quella nella quale stiamo vivendo, dove le correnti populiste rivendicano un po’ ovunque, in base all’investitura popolare di rappresentanza, di potere limitare altre intermediazioni e, soprattutto, di rivedere l’assetto degli organi istituzionali a favore delle funzioni di governo.

(JoiMag, 19 febbraio 2023)

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Oltre $1,5 miliardi di dollari trasferiti all’estero dalle banche israeliane

Oltre $1,5 miliardi di dollari trasferiti all’estero dalle banche israeliane a causa dei timori di un “colpo di stato” giudiziario Nel settore della gestione del denaro, si stima che i clienti privati abbiano trasferito miliardi di shekel da Israele nelle ultime settimane. Insieme ai trasferimenti delle aziende, la somma ammonta a circa $3 miliardi di dollari.

“Recentemente abbiamo ricevuto molte richieste da parte di privati e aziende che desiderano aprire conti presso UBS. I richiedenti vedono questo processo come un passo strategico che serve i loro interessi a lungo termine”, ha dichiarato Ido Ben-Haim, responsabile dell’area di mercato Israele della banca svizzera UBS, descrivendo diplomaticamente quanto sta accadendo in Israele nelle ultime due settimane.
  Ben-Haim è tra le decine di operatori del wealth management, dell’investment banking privato e dei direttori finanziari di aziende high-tech che stanno cercando di camminare su una linea sottile per non creare un’inutile e pericolosa isteria. D’altra parte, non possono negare ciò che stanno vedendo, ovvero un governo israeliano che sta portando avanti un “colpo di stato” giudiziario. Il tema ricorrente che si sente ripetere, dalle aziende ai privati, è la preoccupazione per un “crescente livello di rischio e possibili restrizioni ai movimenti di capitale”.
  Mentre c’è chi rimane paziente e non agisce, altri non esitano. All’inizio della scorsa settimana 37 aziende hanno deciso di ritirare $780 milioni di dollari in Israele, ma dopo aver raccolto altre cifre, sembra che questo numero sia in realtà di $1,5 miliardi di dollari. Allo stesso tempo, i clienti privati – la maggior parte dei quali facoltosi individui high-tech, ma non solo – hanno ritirato una somma complessiva di diversi miliardi di shekel. I proprietari di family office e di società specializzate nella gestione patrimoniale hanno parlato di un aumento dei trasferimenti di fondi e portafogli di investimento verso banche estere. “Nelle ultime due settimane ho trasferito denaro all’estero. Stimo di aver già trasferito 100 milioni di dollari”, ha dichiarato il proprietario di una azienda.
  “Nelle ultime due settimane ho trasferito il 10% del patrimonio su conti all’estero”, ha osservato un partner senior che lavora solo con clienti con un patrimonio superiore a $28 milioni di dollari (100 milioni di NIS).

• ISRAELE: PANICO SENZA PRECEDENTI
  Anche le conversazioni con le banche straniere confermano questa tendenza. “Nemmeno nel 2003 (durante la seconda intifada) abbiamo visto un tale interesse e una tale transizione di clienti come nelle ultime due settimane”, a una delle banche straniere che operano in Israele. “Ci contattano clienti di tutti i tipi, anche privati e aziende di tutti i settori, non solo high-tech. Siamo costretti a respingere molti di coloro che non hanno l’importo minimo richiesto per aprire un conto”.
  “I numeri dell’ultima settimana e mezza sono semplicemente ridicoli. Solo io ho parlato con 150 persone, non sono volumi di richieste settimanali nel settore bancario, certamente non nel private banking”, ha dichiarato un dirigente di una delle banche straniere che operano in Israele. “Il fermento è incomparabile con qualsiasi situazione del passato che io ricordi, né in tempo di guerra né di crisi economica. Ci contattano anche giovani del settore high-tech, ma anche persone più anziane che stanno pensando ai loro risparmi. Abbiamo anche ricevuto diverse richieste da parte di studi legali che hanno raggruppato i loro clienti in modo da poter raggiungere la soglia minima richiesta per aprire un conto. Dalle domande che ci vengono poste capiamo che non si tratta di persone che operano nel private banking, che non lo conoscono. Non hanno mai pensato a un conto bancario all’estero e ora si chiedono se il governo sarà in grado di portare via i loro soldi se sono depositati in una banca estera”.
  Ovviamente, nel 2003 l’economia in Israele non aveva molto da perdere, perché semplicemente non c’erano molti soldi qui e non c’erano molte persone in grado di aprire un conto in una banca estera. Negli ultimi anni, Israele è diventato uno dei Paesi con il più alto tasso di crescita di nuovi milionari grazie all’industria high-tech. Parte del denaro confluito nelle aziende ha raggiunto anche le tasche dei dipendenti e dei fondatori, tanto che oggi Israele è nella top ten mondiale dei milionari pro capite. Secondo un rapporto dell’Autorità fiscale, nel 2021 e nella prima metà del 2022 le aziende high-tech hanno incassato un totale di $14 miliardi di dollari (50 miliardi di NIS).
  Secondo le stime, le banche straniere hanno già superato i loro obiettivi annuali di apertura di conti da parte degli israeliani, e siamo solo a metà febbraio. Le principali banche del mercato della gestione patrimoniale, come Credit Suisse, UBS e Goldman Sachs, richiedono un minimo di 5 milioni di dollari per aprire un conto. Banche come Safra, Rothschild, Julius Baer si accontentano anche di somme minori, da 1 a 3 milioni di dollari.
  Nel settore della gestione del denaro, si stima che i clienti privati abbiano trasferito miliardi di shekel da Israele nelle ultime settimane. Insieme ai trasferimenti delle aziende, la somma ammonta a circa 3 miliardi di dollari (10 miliardi di NIS). Il rafforzamento del dollaro nei confronti dello shekel, che ha raggiunto un picco di 3,54 shekel per dollaro, e l’indebolimento del mercato obbligazionario nel corso della scorsa settimana, sono la prova di questi trasferimenti. Anche il mercato azionario è stato volatile. Non tutti i trasferimenti hanno un impatto sul mercato azionario e sui tassi di cambio, poiché in questa fase, secondo le testimonianze, gran parte dei fondi trasferiti erano già denominati in dollari.
  Nel frattempo, dopo che la tensione ha raggiunto l’apice all’inizio della settimana durante la grande manifestazione a Gerusalemme e l’appello del presidente Yitzhak Herzog per i colloqui, la situazione si è un po’ calmata e tra le aziende high-tech si parla addirittura di bloccare il trasferimento di fondi all’estero finché il quadro non sarà più chiaro. “Tutto ciò che è stato fatto finora è stato un tentativo di agire con il minor danno possibile per Israele e la sua economia, e anche di attenersi ad azioni reversibili”, ha dichiarato a Calcalist un alto funzionario dell’industria high-tech. “Tuttavia, se dopo essersi fermati per vedere se i negoziati iniziano davvero e il processo legislativo si ferma, si scoprirà che non è così, l’ondata si rinnoverà e diventerà più violenta”.
  La vera preoccupazione non sono solo gli importi che stanno lasciando Israele, ma piuttosto i fondi che al momento non entrano e forse non entreranno affatto. Questi importi sono molto più difficili da quantificare. Si tratta di rendimenti derivanti dalle operazioni correnti delle aziende che rimarranno nelle banche straniere e non saranno convertiti in shekel. Ma soprattutto, si tratta di investimenti che al momento non vengono effettuati in start-up israeliane per la decisione di aspettare a causa dell’instabilità e della minaccia di un colpo di stato giudiziario.

(Israele 360, 18 febbraio 2023)

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Die Welt: “L’approvazione dei vaccini mRNA di Pfizer basata su documentazione parziale e falsa?”

“L’approvazione condizionata del vaccino mRNA Covodi-19 prodotto da Pfizer BioNTech potrebbe essersi basata su documentazione parziale ed errata“. Lo afferma il prestigioso quotidiano tedesco Die Welt

di Stefano Pezzola

A firma della giornalista Elke Bodderas il prestigioso quotidiano tedesco di stampo conservatore, fondato nell’allora zona occupata dal Regno Unito, ad Amburgo il edizione 2 aprile 1946, pubblica oggi un circostanziato articolo dal titolo “Le molte incongruenze nel trial di Pfizer“.
  “Il vaccino mRNA di Biontech/Pfizer potrebbe essere stato approvato grazie a documentazione falsa. Ci sono crescenti dubbi sui dati dello studio autorizzativo di fase 3. Pfizer elude le accuse e si rifiuta di indagare” afferma la redattrice.
  “In una sintesi di tutti i dati dello studio datati 11 agosto 2021 per la Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti, è stato registrato un solo caso di pericardite tra i soggetti vaccinati – aggiunge la Bodderas – sono dati falsi e Die Welt ha richiesto a Pfizer una dichiarazione scritta sulle moltissime incongruenze rilevate. La risposta è arrivata prontamente. Pfizer afferma che le autorità regolatorie di tutto il mondo hanno approvato il vaccino mRNA Covid-19 e queste approvazioni si basano su una valutazione solida e indipendente dei dati scientifici su qualità, sicurezza ed efficacia, incluso lo studio clinico di fase 3“.
  L’articolo inchiesta si conclude con la riflessione da parte di Elke Bodderas che si domanda: “ma c’è stato tempo per una valutazione così solida da parte delle autorità? Le e-mail di EMA, rese disponibili per Die Welt, mostrano che FDA, MHRA ed EMA stessa avevano già concordato la data di approvazione, ancor prima di poter valutare i documenti presentati da Pfizer. Il tempo stringeva e non c’era tempo per controlli meticolosi e puntuali, a quanto pare, allora“.

(ArezzoWeb, 18 febbraio 2023)

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Vaccini Covid, siamo in eccesso di scorte e le case farmaceutiche fanno muro sui contratti

I Paesi Ue chiedono di cancellare o rivedere gli accordi sottoscritti in piena pandemia, i produttori non mostrato la minima intenzione di rinegoziare

Gli Stati membri dell'Ue hanno chiesto, "unanimi" alla Commissione Europea di rinegoziare i contratti siglati con le case farmaceutiche per la fornitura di  vaccini contro la Covid-19, dato che, ora che l'emergenza pandemica  appare alle spalle, si ritrovano con un eccesso di dosi rispetto alla  domanda.
  Alcuni Paesi si sono spinti fino a chiedere la pura e  semplice cancellazione degli accordi. Ma le case farmaceutiche, forti  dei contratti firmati con le capitali nel pieno della pandemia, non  hanno mostrato la minima intenzione di rinegoziarli. E' il quadro che  la commissaria europea alla Salute Stella Kyriakides ha fatto nell'ultimo collegio dei commissari del 2022, il 13 dicembre scorso a  Strasburgo, come emerge dal verbale della riunione, consultato  dall'Adnkronos.
  Kyriakides era reduce dal Consiglio Salute tenutosi la settimana prima a Bruxelles, nel quale il ministro Orazio Schillaci, in sessione  pubblica, aveva rivelato un dettaglio dei contratti che non era noto,  dato che la Commissione li ha pubblicati solo con omissis molto estesi. Il ministro aveva informato che gli Stati sono costretti, nel  caso in cui un cittadino citi in giudizio una casa farmaceutica per un effetto collaterale del vaccino, a pagare le spese legali in cui  incorrono i produttori, in pratica a pagare loro gli avvocati.
  I  contratti quadro, o Advanced Purchase Agreement (Apa in gergo), sono  stati negoziati dalla Commissione in un periodo in cui la pandemia  infuriava in Europa: si sapeva che la responsabilità giuridica di  eventuali effetti collaterali era uno dei punti più delicati (gli  omissis su quelle parti sono a 'lenzuolo', coprono quasi tutto).
  La mancanza di trasparenza riguardo ai contratti ha esposto la  Commissione a ripetute critiche, tanto che la presidente Ursula von der Leyen è stata recentemente citata in giudizio alla Corte di Giustizia Ue dal New York Times per i messaggi scambiati con l'ad  della Pfizer Albert Bourla, che secondo l'esecutivo Ue sono stati  cancellati. Ma, al di là della trasparenza che interessa più la stampa (e i cittadini), gli Stati hanno un problema più pressante: si  ritrovano legati a contratti piuttosto onerosi, con i quali si sono  impegnati ad acquistare dosi di vaccini in quantità che era molto  difficile 'dimensionare' in modo adeguato, dato che l'evoluzione della pandemia era impossibile da prevedere. Pertanto, in Consiglio si sono  fatti sentire con la commissaria.
  La Commissione finora ha "scoraggiato cambiamenti unilaterali delle condizioni contrattuali che sono state già approvate". Tuttavia, nota Kyriakides, "è vero che il mandato per la strategia vaccinale Ue viene in ultima analisi dagli Stati membri". Sono gli Stati che decidono in  materia di politica sanitaria, l'Ue ha competenze residuali. Pertanto, ha informato Kyriakides, la Commissione,  attraverso la  Health Emergency Preparedness and Response Authority  (Hera), "ha lavorato con i Paesi membri e con i produttori di vaccini  per alcuni mesi, nel quadro del comitato direttivo sui vaccini  (Vaccine Steering Board), con lo scopo di allineare i contratti alla  situazione attuale". Tuttavia, ha constatato la commissaria, "i  produttori di vaccini non sono disponibili a ridurre il numero di  dosi, al momento". 

(RaiNews, 17 febbraio 2023)
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"Gli Stati sono costretti, nel  caso in cui un cittadino citi in giudizio una casa farmaceutica per un effetto collaterale del vaccino, a pagare le spese legali in cui  incorrono i produttori, in pratica a pagare loro gli avvocati". Il che - come diceva Giovannino Guareschi - è bello e istruttivo. M.C.

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Mondo in una spirale in discesa. Ma Lui lo giudicherà

Se guardiamo nel mondo, possiamo diventare spaventati e ansiosi. Ma la profezia biblica e le immagini che troviamo nella storia di Davide ci mostrano come finisce davvero questo vortice discendente.

di Philipp Ottenburg

Da bambino, avevo sempre paura di togliere il tappo quando la vasca da bagno era piena d'acqua. All'inizio, non c'era nulla da vedere. Quasi impercettibilmente, l'acqua si riduceva e improvvisamente si formava un vortice sopra lo scarico, l'acqua ruotava mentre veniva drenata e verso la fine il vortice diventava più forte. Questo vortice produceva anche un rumore crescente che mi faceva paura. Da bambino, trovavo terribile sentire questi rumori. 
  Il mondo intero è in un vortice discendente molto più grande da quando il peccato, con tutte le conseguenze e le cose terribili che accadono, è venuto in questo mondo (Genesi 3). Soprattutto al giorno d'oggi, notiamo come questo vortice continui a girare inesorabilmente, trascinando tutto verso il basso. E sembra che il vortice con i suoi rumori stia diventando sempre più forte e veloce. I valori e le verità bibliche vengono semplicemente rigettati. Tutto è sempre più contorto, tutto è confuso. Le persone senza orientamento, che non conoscono la Bibbia, sono spazzate via da questa attrazione. Tutto sembra cadere a pezzi. L'intero castello di carta dell'organizzazione umana vacilla sempre di più e minaccia di sgretolarsi. 
  Se enumerassimo tutto ciò che sta accadendo in questo mondo, l'elenco sarebbe molto, molto lungo. In sintesi, possiamo citare la Bibbia: il mistero dell'iniquità è già all'opera. 
  E poi ci sono i problemi e le difficoltà personali che ognuno di noi ha. Per l'uno o l'altro, la sua situazione potrebbe improvvisamente diventare troppo pesante. Ma nella Parola di Dio troviamo una chiave per avere ancora una barca stabile con un'ancora molto buona e sicura in questo vortice discendente del mondo. Con tutto ciò che accade e accadrà, possiamo rimanere calmi, sia di fronte agli eventi globali che nelle nostre vite. Sì, il mondo è in un vortice verso il basso - ma Lui lo giudicherà. 
  Consideriamo la vita di Davide con le sue meravigliose immagini profetiche che indicano il vero pastore e re d'Israele, Gesù Cristo, la sua prima e seconda venuta e quindi anche il suo regno messianico. Quando leggiamo di Davide, leggiamo la storia della salvezza. La sua storia, la sua persona ed il suo ambiente costituiscono un importante fondamento della profezia biblica. E la sua storia, con tutte le sue gloriose allusioni ed immagini profetiche, può anche incoraggiarci e stupirci personalmente. 
  Passiamo agli eventi che circondano Davide, che si nascondeva nella grotta di Adullam. Questo tempo è stato segnato dalla fuga e dalla persecuzione e profeticamente indica la regalità nascosta di Cristo nel nostro tempo. L'afflizione e la fuga di Davide e dei suoi seguaci 
  è anche un'immagine per il popolo assediato di Israele allora e in futuro. Dopo aver soggiornato nella grotta di Adullam, Davide e i suoi 300 uomini dovettero fuggire da Saul. Da un deserto all'altro, il suo viaggio è stato caratterizzato dalla paura e dall'angoscia. 

• UNA PULCE IN FUGA 
  Davide rimase prima nel deserto di Zif e poi si trasferì nel deserto 
  di Maon, ma lì non si sentì più al sicuro. Davide sperimentò anche un vortice verso il basso. Poi fuggì con i suoi compagni più vicini nella zona del Mar Morto, nel deserto di En-Gedi, di nuovo un'area con molte rocce e grotte (1 Sam 24). Il Mar Morto ... il punto più basso di tutta la terra. 
  Anche tu sei in fuga, da un deserto all'altro? Hai raggiunto un punto basso? Sei stanco e svuotato? Nella paura e nell'angoscia? Ti senti braccato, senza riposo e senza pace? Forse non riesci a staccare la spina la sera, rimani sveglio a letto e pensi: come dovrebbe essere? 
  Saul era di nuovo alle calcagna di Davide, con ben 3.000 uomini (1 Sam 24:3). Per due volte Davide disse a Saul: «Re d'Israele, chi stai perseguitando? Chi stai inseguendo? Un cane morto! Una pulce!» (v. 15; cfr cap. 26,20). 
  Qui risplende così gloriosa l'immagine di Gesù Cristo, cioè di Cristo nella sua umiltà sulla terra, immagine della sua regalità nascosta. Una pulce misura circa 4 mm ed è appena percettibile. Sebbene non abbia le ali, può saltare rapidamente grazie alle zampe posteriori ed è un parassita. Cristo non è forse considerato un parassita dal mondo? Non è considerato come 
  un corpo estraneo da far scomparire? È stato lo stesso con Davide. Saul perseguitò una pulce insignificante. 
  Questo vortice verso il basso, la paura e l'ansia non erano facili da sopportare per Davide. Anzi, lo toccarono in profondità e lo buttarono così giù che egli disse persino che un giorno sarebbe morto a causa di Saul. Nonostante tutta la sua fiducia nella bontà di Dio nelle varie situazioni in cui lo stava istruendo (cfr Sal 23,6), Davide pensò più volte di essere ormai spacciato. Il vortice discendente infuriava dentro di lui ed esteriormente nella realtà che percepiva. 
  Lo constatiamo anche nella nostra vita. Fondamentalmente, sappiamo che Dio raggiunge il Suo obiettivo con ognuno di noi. Sappiamo che un giorno Egli giudicherà e sconfiggerà il nemico. Conosciamo la Sua onnipotenza e che nulla è troppo difficile per Lui. Eppure Davide, qui ci mostra la realtà. La fede non è sempre la stessa. Sperimentiamo fluttuazioni, dubbi, ansie. Esteriormente, siamo bravi ad apparire, allora irradiamo certezza, forza e fiducia. Mostriamo di essere veri uomini e vere donne di Dio. Ma che dire dell'interno? Non entriamo forse in situazioni che ci fanno dire: «Un giorno sarò spazzato via dalla mano di Saul!» (1 Sam 27:1) 
  La bellezza di Davide è la sua sincerità verso Dio. Egli non nasconde la sua debolezza e, nonostante tutto, è un uomo secondo il cuore di Dio. Questo dovrebbe incoraggiarci. Riceve anche questa descrizione perché è onesto. Non dobbiamo fingere nulla con Dio. - Immagina che i tuoi cari fingano con te, la cosa ti risulterebbe sicuramente insopportabile. 
  Allora, che cosa fece Davide, persino nel più grande bisogno? Una volta doveva anche essere lapidato «e Davide era molto angosciato». Ma poi aggiunge: «Ma Davide si rafforzò nel Signore suo Dio» (1 Sam 30:6). 
  C'è il vostro mondo, il vostro ambiente, il vostro io interiore, che può trovarsi in questo vortice verso il basso. Ti senti come una piccola pulce, in fuga, insignificante. Non hai nulla per opporti a queste forze superiori o a tutte le grandi cose che stanno accadendo nel mondo. C'è forse rabbia per le decisioni politiche, risentimento contro le ingiustizie che sperimentiamo ogni giorno o per il modo in cui le persone si trattano a vicenda. Ma una cosa possiamo e dobbiamo fare: rafforzarci nel Signore nostro Dio. 
  Come fece Davide a realizzarlo? Parlando costantemente con Dio. Ha urlato, lo ha sfidato, gli ha ricordato le sue promesse, l'ha supplicato, ringraziato, ecc. E così nacquero tutti quei meravigliosi salmi raccolti nella Bibbia. Sì, Davide era in fuga come una piccola pulce, nella paura esistenziale, il suo mondo sembrava essere in un vortice discendente, si sentiva in balia di esso, ma si rafforzava nel Signore, il suo Dio. 

• LA LANCIA INUTILIZZATA 
  Quando Davide era ad En-Gedi, si verificarono due situazioni che ci dimostrano in modo impressionante perché lui sia un'immagine del Messia. E questo è anche della massima importanza per noi da un punto di vista pastorale. 
  Per due volte accadde che Saul fosse completamente alla mercé di Davide e dei suoi uomini. Entrambe le volte, però, Davide rinunciò al potere detenuto in queste situazioni. Davide disse che non avrebbe toccato il re unto da Dio. La sua convinzione era: solo Dio può eseguire il giudizio finale su colui che ha respinto. In realtà, Davide era già stato unto da Samuele come re d'Israele, ma a quel tempo Saul era ancora sul trono. 
  In un certo senso, questa circostanza può essere applicata anche al presente. Saul governava ancora - il principe di questo mondo, Satana, regna ancora. Ma Cristo, simboleggiato da Davide, si erge come Re. È Dio che rimuove i re e ne nomina altri. 
  La prima delle due situazioni menzionate si trova in 1 Samuele 24:3-8. Davide e i suoi uomini erano in una grotta quando Saul entrò per fare i suoi bisogni. Saul era alla mercé di Davide, presente con i suoi uomini nel retro della caverna oscura. Davide tagliò solo una punta del mantello di Saul. 
  Nella seconda situazione, Saul dormì in un campo di carri (1 Sam 26:5-12). La cosa interessante di questa storia è che Davide, il più forte, trovò Saul, il più debole, addormentato, di notte. Da un punto di vista salvifico, questo è di nuovo molto appropriato. La prima venuta del Messia sulla terra, nel dominio del principe di questo mondo, fu anche un'intrusione del più forte nella notte di Israele e nel mondo delle nazioni. E così sarà al ritorno del Signore. 
  Saul giaceva nel campo dei carri in mezzo al suo popolo. Abisai, figlio di Zeruia, voleva accompagnare Davide a sconfiggere Saul. 
  I due trovarono Saul addormentato, accanto a lui la sua lancia ed una brocca d'acqua. Si limitarono a portarle via con loro. La lancia rimase inutilizzata, anche se avrebbe fornito in questa occasione l'arma ideale per uccidere Saul. Abisai sarebbe stato fin troppo felice di usare la lancia. Ma ancora una volta, Davide si astenne dal fare del male a Saul. 
  Che cosa avremmo detto se fossimo stati il compagno più vicino a Davide? I suoi amici furono colpiti dalla persecuzione di Saul tanto quanto lui. Anche le loro mogli e i loro figli erano in pericolo. Se avessimo potuto, non avremmo afferrato la lancia e reagito come Abisai?

• ORA DEVI! 
  In entrambe le situazioni, diventa chiaro che l'atteggiamento di David era completamente in contrasto con l'atteggiamento dei suoi uomini. Erano infuriati e non avevano alcuna comprensione per le azioni di Davide. 
  Che cosa avrebbe significato se Davide avesse ucciso Saul? Avrebbe portato all'immediata conquista del regno da parte di Davide. Non sarebbe andato tutto bene? Il vortice discendente per lui e per il suo regno sarebbe stato fermato. E se non fosse stato così, Cristo avrebbe letteralmente e immediatamente assunto la regalità al Suo arrivo qui sulla terra? Invece, Egli risparmiò il nemico, rinunciando al potere, prolungando la vita nella miseria e nell'afflizione. Ecco perché la rabbia intorno a Davide si diffuse. Ha continuato a nascondersi nelle caverne e tra le rocce, ha continuato con le palpitazioni, ha continuato con l'essere sorpreso. Di conseguenza, gli uomini reagirono quando incontrarono Saul nella grotta: «Allora gli uomini di Davide gli dissero: Ecco, questo è il giorno in cui il Signore ti ha detto: Ecco, io darò il tuo nemico nelle tue mani, affinché tu possa fare con lui ciò che ti piace!». (1 Sam 24:5). 
  Ora devi! 
  Ma Davide non usa queste occasioni per prendere il potere. Si può dire che i seguaci di Davide vivevano in una bella attesa del futuro regno di Davide. E questa è un'immagine dei problemi quasi insopportabili del mondo intero e della storia della salvezza. 
  Quando arriverà finalmente la data del regno di Cristo? 
  Per quanto tempo ancora, Signore, rimarrai lontano? 
  Ora finalmente devi! Signore, stai dormendo? 
  Ricordiamo i figli del tuono che volevano far piovere il fuoco direttamente dal cielo (cfr Lc 9:54). Ora devi prendere il potere! Questo deprimente periodo di attesa è segnato dal nascondimento di Dio e dal nascondimento di Cristo, mentre noi con impazienza ci poniamo la domanda: quando si compie il tempo? Quando verrà finalmente il Signore? 
  Quando il tempo si compì, Dio mandò Suo Figlio per la prima volta. E ciò si compirà di nuovo, per la seconda volta. «Ecco, questo è il giorno!», gridarono gli uomini di Davide, il giorno dell'eliminazione del re Saul. E sì, il giorno in cui nostro Signore regnerà, preparerà, innalzerà e giudicherà è fissato. Il giorno in cui tutti i nemici saranno posti sotto i piedi di Gesù e la morte sarà finalmente sconfitta (1 Corinzi 15). E' certo. Ma ... al tempo di Dio. 
  Il nostro Signore Gesù è ancora seduto alla destra di Dio Padre, rimanendo apparentemente nascosto, presumibilmente inattivo da un punto di vista umano e, come dice la Bibbia, in attesa di quel giorno (Ebrei 10:13). Aspettiamo con Lui e lo faremo direttamente con Lui dopo il Rapimento, unendo la nostra testa e le nostre membra, aspettando il giorno del Suo ritorno nella gloria. Molte cose terribili accadranno sulla terra, ma rimarremo nascosti come Sue membra con Lui, il Capo. E tutto questo al tempo di Dio. 
  Conoscere i tempi non è una questione né per gli amici di Davide né per i discepoli di Gesù (cfr Atti 1:7). Così, gli amici di Davide, i suoi eroi e compagni più stretti sono un'immagine appropriata e profetica per la creatura in attesa e sofferente e anche un'immagine appropriata per l'esortazione dei discepoli di Gesù. 
  Ora finalmente devi! 
  Certo, ci è permesso pregare: «Signore, vieni presto», assolutamente, ma sempre nella consapevolezza che è il disegno di Dio e la sua determinazione. Perciò, aspettate pazientemente con Lui, il nostro Capo. Che siano stati i profeti a ricercare le date esatte dell'adempimento della profezia biblica (1 Pietro 1:10-12), o qui con Davide, il motto rimane sempre: attraverso la sofferenza verso la gloria. E così è stato con Cristo. 

• LA PUNTA DEL MANTELLO E LA CROCE 
  Com'era il mondo quando Cristo era qui sulla terra? Il suo messaggio era che il regno si era avvicinato. I suoi seguaci si stavano già torcendo le mani. Ma Cristo rinunciò ai Suoi mezzi di potere. È stato facile per il Signore? Sappiamo che Egli pianse con gli altri, perché la Sua misericordia è grande. I miracoli che fece si rivelarono essere piccoli esempi del miracolo più grande. Erano i segni del Suo regno. Un assaggio di ciò che verrà. 
  E così il mantello di Saul nella mano di Davide era un assaggio della vittoria nel suo insieme. Fin dalla croce, il mantello di Satana è stato nelle mani di Cristo. La tentazione per Davide di usare semplicemente la lancia in fretta - non solo la punta del mantello, ma anche di più - era certamente immensa. Immaginiamo com'è stato per Cristo. In Ebrei leggiamo: 

    «Non abbiamo infatti un sommo sacerdote che non possa avere compassione delle nostre debolezze, ma uno che sia stato tentato in tutto in modo simile a noi, ma senza peccato» (Ebrei 4:15). 

Oppure: 

    «E sebbene fosse un figlio, imparò l'obbedienza da ciò che soffrì». (Ebrei 5:8). 

Qual era la tentazione di Gesù? Non era, forse, la tentazione di prendere il potere in fretta? Cambiare tutto in un colpo solo, prima del tempo stabilito? Se Davide, di mezzi, ne ha avuti due, Cristo ne ha avute dozzine di occasioni in cui avrebbe potuto farlo. Gli sarebbe stata risparmiata la croce. Questo è ciò che riguardava la tentazione del Signore nel deserto (nota a margine: Davide era anche nel deserto ... ): 

    «E il diavolo gli disse: 'Ti darò tutta questa potenza e la sua gloria; perché mi è dato, e io lo do a chi voglio. Se ora adori davanti a me, lascia che tutto sia tuo!» (Luca 4:6-7). 

Tutto questo è stato promesso a Cristo dal Padre. Ma il diavolo disse: Te lo darò prima di Lui! Più volte il Signore fu sfidato alla Sua auto-espressione. Pensiamo agli scherni: «Scendi dalla croce». - «Aiuta te stesso», «Può aiutare gli altri, ma non se stesso». Dodici legioni di angeli che avrebbe potuto recuperare ... 
  Quanto deve essere stato difficile questo per il Signore, che avrebbe potuto facilmente dimostrare il Suo potere, ma non lo fece. Dall'agnello al leone di Giuda sarebbe stato un piccolo passo.
  Cristo non riteneva che fosse qualcosa a cui aggrapparsi avidamente l'essere come Dio. Si umiliò e divenne un uomo, sotto la legge. La prova più alta della Sua rinuncia mostra la punta del mantello: la croce. Se Cristo avesse ceduto da qualche parte, la croce non ci sarebbe stata. Ma si attenne al tempo stabilito. Nemmeno la grande paura nel Giardino del Getsemani lo dissuase dal farlo. Considerava suprema la volontà del Padre. Stando lontano dalla sua potenza, silenzioso, non libero, limitato nella sua libertà d'azione, impotente e debole, è così che si è presentato ai suoi discepoli amaramente delusi, Lui, l'unto di Dio. Quando Davide andò da Saul nel campo dei carri, era accompagnato da qualcuno che voleva assolutamente andare con lui e aveva immediatamente risposto alla domanda di Davide: Abisai, un figlio di Zeruia. Abisai significa giustamente: Padre della forza di volontà. Zeruja, la madre di Abisai, era una sorella di Davide. Il loro nome, sorprendentemente, significa: nemico del Signore. Quando applichiamo questa storia a Gesù, ci ricorda Pietro, che fu il primo e l'unico che coraggiosamente volle andare da Gesù sull'acqua. 
  Abisai voleva uccidere Saul. Ora devi! 
  Non solo la punta del mantello! Ma il potere! Prendi la lancia! Umanamente comprensibile, ma in questa situazione Abisai si dimostrò letteralmente un figlio di Zeruia, un nemico di Dio - applicato in senso figurato: un nemico della croce. Infatti anche Pietro disse al Signore quando annunciò la sua imminente morte in croce: «Che questo non ti accada!». Anche in questo caso la reazione è stata comprensibile da un punto di vista puramente umano. Pietro, così, nella sua vicina attesa del regno, chiese: Non la croce, ma la potenza! 
  Allora Gesù gli dice: «Lascia il posto a me, Satana!», e con questo intendeva: «Allontanati da me, avversario» (questo è il significato della parola «Satana»), come avversario contro il disegno di Dio. Non credo che Gesù intendesse veramente il diavolo stesso. Perché non voleva impedire a Gesù di sfuggire dalla croce, ma andò persino da Giuda per consegnare il Signore alle autorità. Pietro, d'altra parte, voleva tenere fuori il Signore, e quindi in questa situazione fu chiamato avversario dei piani di Dio. 
  Considerate cosa significa affermare la rinuncia al potere, sia per gli amici di Davide che per i discepoli di Gesù. L'accettazione della croce, naturalmente, porta conseguenze. Anche i discepoli volevano unirsi, battersi e combattere. Ricordiamo Pietro e l'orecchio di Malco. Ma l'attaccamento immediato al potere e l'esercizio impaziente del potere sono principi terreni. Ciò che distingue un credente fedele e maturo, d'altra parte, è saper attendere il tempo di Dio nella sua storia di salvezza. Perché se dovessimo anticipare, significherebbe che non ci fidiamo di Dio, dubitando che i Suoi tempi siano buoni e giusti. Ciò significa fidarsi: lasciare che sia Lui ad agire ed essere alla Sua mercé. Per questa affermazione della via con Cristo, il Signore ha promesso ai suoi discepoli di regnare con Lui nel Regno Millenario: 

    «Ma voi siete quelli che hanno sopportato con me le mie prove. E così vi do regalità, come il Padre mio me l'ha data, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno e sedervi sui troni per giudicare le dodici tribù d'Israele» (Lc 22:28-30). 

Cosa significa questo per le nostre vite? Prima di tutto, dobbiamo tenere presente che non siamo solo discepoli del Signore. Noi siamo il Suo Corpo. E per noi come membra del Corpo di Cristo, significa che se Egli è il nostro capo e noi siamo il Suo Corpo, e se Egli attende pazientemente alla destra di Dio il Suo ritorno, aspettiamo con Lui e sopportiamo tutto. Anche dopo il rapimento, l'attesa con Lui continua. Aspettando il tempo di Dio. 
  Potremmo sapere che un giorno Egli giudicherà! Egli lo giudicherà, preparerà i Suoi piani e giudicherà con giustizia. E se ci inchiniamo a questa volontà di Dio, scegliamo di aspettare con Cristo, allora questo atteggiamento corregge già molte cose nella nostra vita di oggi. Pace e tranquillità ci invadono, una serenità nonostante il vortice verso il basso. 
  Davide alla fine divenne re e sotto di lui sorse un regno di pace su piccola scala. Quando Cristo ritornerà nella gloria, insieme a noi come Suoi membri, fermerà il vortice verso il basso. Porterà la calma nel mare ruggente delle acque dei popoli. Questa prospettiva può aiutarci a tacere, a vivere la nostra fede, a crescere nella Parola e nella conoscenza di Lui Stesso. 
  Così, quando questa profezia biblica si adempirà, sarà invertito il vortice discendente, come vediamo anche nella storia di Davide; e con questa conclusione, figurativamente trasferita a noi, vorrei concludere: «Saul tornò a casa; Ma Davide e i suoi uomini salirono alla roccaforte» (1 Sam 24:23). 

(Chiamata di Mezzanotte, Nr. 5/6 2022)


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Milley: né Russia né Ucraina possono vincere

Nella nota pregressa abbiamo dato conto di una dialettica interna all’Impero, che vede i falchi anti-russi contrapporsi ai falchi anti-cinesi, con questi ultimi che vorrebbero chiudere la guerra ucraina per riorientare la politica estera Usa verso il contenimento della Cina.
  La dialettica interna all’impero sta assumendo i toni di un conflitto aperto. Di ieri l’intervista del Capo degli Stati Maggiori congiunti, generale Mark Milley, al Financial Times, nella quale ribadiva quanto aveva detto nel novembre scorso, cioè che nessuno dei due eserciti può vincere la guerra, da cui l’inevitabilità di aprire un negoziato.

•L’INTERVISTA DI MILLEY
  Interessante sia il contenuto dell’intervista che altro a essa legato. Anzitutto il contenuto: Milley spiega che la Russia non può vincere perché non può “conquistare l’Ucraina. Ciò non succederà”. Il dettaglio è importante, perché la Russia ormai non mira più a controllare l’Ucraina, e in realtà non è mai stato quello l’obiettivo, ma a controllare il Donbass.
  Così, implicitamente, Milley accede all’idea che il negoziato possa comprendere concessioni sul Donbass ai russi. Cosa che conferma nella risposta successiva, quando spiega che “è molto difficile che l’Ucraina cacci i russi da tutto il territorio”, aggiungendo che lo scenario che vede la vittoria totale di Kiev “richiederebbe essenzialmente il collasso dell’esercito russo”.
  Cosa che sa perfettamente che è impossibile, perché vorrebbe dire l’incenerimento della stessa Russia, cosa che Mosca non permetterebbe (vedi alla voce testate atomiche).
  Al di là del contenuto, è interessante anche notare che quando il generale aveva detto cose analoghe a novembre, successivamente aveva dovuto fare marcia indietro a causa delle pressioni dei falchi anti-russi. Il fatto che ieri abbia rilanciato quelle prospettive vuol dire che la sua posizione è più solida, ha forze che lo supportano.
  Inoltre, è interessante notare che l’intervista è stata rilasciata al giornale della City di Londra, il Paese più ingaggiato nella guerra ucraina, come per inviare un messaggio all’alleato affinché moderi la sua aggressività.
  Aggressività ieri rilanciata dal premier britannico Rishi Sunak che, in un summit congiunto con il presidente polacco Andrzey Duda, ha chiesto di accelerare l’invio di armi e di aerei Nato a Kiev. Giustamente, Dagospia ha titolato: “Londra e Varsavia scherzano con il fuoco”.
  Nel summit i due si sono elogiati a vicenda per il “ruolo guida” assunto nel supporto all’Ucraina… ed è questo appunto il focus della vicenda: a fronte del conflitto interno Usa, Londra, con il supporto della subordinata Polonia, vuole assurgere a dominus del fronte anti-russo (ovviamente grazie alla sponda neocon).
  Scontro aperto, dunque, con l’amministrazione americana. E con la povera Unione Europea, che oltre al giogo Usa si sta mettendo al collo anche il cappio insaponato per lei da Londra, che vede in questa contesa con Mosca un’occasione esistenziale… l’unico modo, secondo i suoi strateghi, per sopravvivere e rilanciarsi nell’era della post-Brexit.

• LA CRIMEA IL MINISTRO DELLA DIFESA UCRAINO
  Non solo la contesa della Manica, l’amministrazione Usa deve fare i conti anche con la fortissima pressione neocon, fotografata in maniera plastica da una controversia recente.
  In una conversazione via zoom di mercoledì con alcuni esperti, riporta Politico, Blinken ha affermato che attaccare la Crimea supera una linea rossa di Mosca, che potrebbe scatenare una risposta forte. Nel commentare la notizia, Dave DeCamp spiega che si tratta di un’inversione di tendenza rispetto a quanto “riferiva il New York Times il mese scorso, cioè che l’amministrazione [Usa] voleva aiutare l’Ucraina ad attaccare la penisola e non era preoccupata per l’escalation”.
  Prospettiva rilanciata ieri dalle dichiarazioni incendiarie di Victoria Nuland al Carnegie Endowment for International Peace. Parlando di possibili attacchi ucraini alle installazioni militari in Crimea e di eventuali escalation conseguenti, il Sottosegretario di Stato Usa ha dichiarato che si tratta di “obiettivi legittimi e noi li sosteniamo” (Reuters). Una netta contrapposizione, dunque, con Blinken.
  La guerra ormai aperta nel cuore dell’impero ha nel destino del ministro della Difesa ucraino Oleksej Reznikov  una partita importante, dal momento che l’amministrazione Usa lo voleva far fuori sostituendolo con il più fidato Kyrylo Budanov.
  Una settimana fa Reznikov  aveva annunciato le sue dimissioni, ma dopo il viaggio di Zelensky a Londra e la riunione dei ministri della Difesa Nato a Bruxelles di ieri, il ministro della Difesa ha dichiarato che il presidente lo vuole ancora al suo posto.
  Peraltro, appare indicativo in tal senso un suo tweet: “È stato un onore per me essere invitato e partecipare alla sessione #DefMin del Consiglio Nord Atlantico”. Non si invita un dimissionario. Tradotto: la Nato vuole che resti…
  Budanov avrebbe potuto spingere per chiudere il conflitto ed eventualmente sarebbe stato utile se si fosse resa necessaria una destituzione di Zelensky, cosa che il presidente ucraino deve aver subodorato.

• LA GUERRA E IL CAPITALE
  Interessante, però, anche il ruolo del Grande Capitale in questa partita. La scorsa settimana il presidente e amministratore delegato di JP Morgan, Jamie Dimon, si è recato a Kiev dove ha incontrato Zelensky.
  Così Dimon: “Siamo orgogliosi del nostro sostegno di lunga data all’Ucraina e ci impegniamo a fare la nostra parte per risollevare il paese e la sua gente. Tutte le risorse di JPMorgan Chase sono disponibili per L’Ucraina mentre traccia il suo percorso di crescita postbellico“.
  Dimon giunge a Kiev dopo che Zelensky ha già venduto quel che doveva a Blackrock, il più importante fondo di investimenti del mondo. E quando ormai anche Goldman Sachs et similia “sono già diventati parte del nostro mondo ucraino”, come ha dichiarato Zelensky durante la visita di Dimon.
  Insomma, c’è una spinta a fare affari, sia speculando sulla guerra, come scrive American Conservative da cui abbiamo tratto queste notizie, ma anche al di là dei carrarmatini.
  La guerra, per gli squali della Finanza, rappresenta un’opportunità, ma potrebbe anche diventare un problema. Non per nulla Milley ha rilasciato la sua intervista al giornale della City, ansiosa di essere più coinvolta nel banchetto ucraino, sia nel corso del conflitto che nel dopoguerra.
  Guerra aperta, dunque, tra le due fazioni dell’Impero. Vedremo. Resta che l’Ucraina del dopoguerra, quando questo inizierà, sarà ancora più di prima una proprietà privata delle banche e dei grandi fondi di investimento. Per il povero popolo ucraino non si prospetta un destino felice.

(Piccolenote, 17 febbraio 2023)

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L'Iran pianifica ritorsioni nei confronti della diaspora in caso di attacco israeliano

di Luca Spizzichino

L’Iran starebbe stilando una lista di figure dell’ebraismo della Diaspora da assassinare come rappresaglia per un eventuale attacco israeliano ai suoi impianti nucleari. Questa è la rivelazione fatta dalla giornalista Catherine Perez-Shakdam al The Jewish Chronicle.
  Unin vero e proprio scoop se si considera che la giornalista è ebrea. Infatti il tutto è avvenuto all'insaputa del regime iraniano che si è fidato del ruolo ricoperto da Perez-Shakdam presso il think tank della Henry Jackson Society, con cui ha contribuito come analista mediorientale e ricercatrice, e ai suoi contatti nel regime, in particolare quello da lei considerato "il dottor Goebbels dell'Iran", Nader Talebzadeh, che è morto lo scorso aprile a causa di un arresto cardiaco.
  Infatti, durante un evento chiuso da lui organizzato prima della sua morte, Perez-Shakdam è stata informata del piano “per identificare tutte le ONG di spicco gestite da ebrei, rabbini importanti e altre figure di spicco”. Una volta fatta una mappatura, il piano prevedrebbe l’attivazione di diverse squadre d’assalto in grado di colpire i diversi obiettivi identificati così da "far pagare un prezzo alla diaspora".
  “Khamenei sembrava spaventato solo da una cosa: un attacco israeliano”, ha affermato Catherine Perez-Shakdam. “Crede alle minacce di Netanyahu e sa che, per ora, Israele è militarmente superiore" ha aggiunto.
  Un portavoce del Community Security Trust, ente il cui scopo è fornire sicurezza, protezione e consulenza alla comunità ebraica nel Regno Unito, ha dichiarato: “Sappiamo da molti anni che l'Iran è coinvolto nel complotto terroristico contro le comunità ebraiche, ma è assolutamente agghiacciante averlo spiegato in modo così chiaro e dettagliato. Quando le persone chiedono perché le scuole e le sinagoghe ebraiche abbiano bisogno di sicurezza, questa è gran parte della risposta”.

(Shalom, 17 febbraio 2023)

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Orsogna, il paese che nascose e salvò decine di ebrei durante le persecuzioni nazi-fasciste

di Serena Giannico e Massimiliano Brutti

ORSOGNA, 17 feb - Nel paese della “tolleranza, dell’accoglienza e della pace”. E’ stata ospite questa mattina ad Orsogna, Noemi Di Segni, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, perché in questo centro della provincia di Chieti, durante le persecuzioni nazi-fasciste dell’ultima guerra mondiale, la popolazione, aiutata anche dal podestà dell’epoca che forniva loro documenti falsi, nascose e salvò più di trenta ebrei.
  Uno di essi, scampato ai lager, è Bruno Laufer, allora bimbo di circa 4 anni, internato: con i genitori trovò accoglienza nelle famiglie del posto, in cui rimase per diversi mesi. Lui è ora suocero di Di Segni, vive a Roma e, tornando ad Orsogna, - afferma - “ se ho avuto figli, nipoti e pronipoti e una lunga esistenza lo devo agli orsognesi”. Una cerimonia del ricordo, nella pineta del paese, a cui la comunità ebraica ha donato una stele e un albero d’ulivo, simbolo di pace, giunto da Gerusalemme. A fare da padrone di casa il sindaco Ernesto Salerni, accompagnato da altri amministratori dei centri vicini e da Vittorio Pace, che è stato il promotore della cerimonia. Presenti anche il parroco, Giuseppe Liberatoscioli, con le sue memorie storiche; gli scolaretti e l’Orchestra degli studenti di Orsogna.
  “E’ commovente - dice ad Abruzzolive.tv, Di Segni - stare qui e vedere tutti questi ragazzi, perché, di questa giornata, ognuno di loro si porterà una goccia di memoria nel cuore”. Con lei il Comune sta preparando diverse iniziative, come il premio nazionale giornalistico "Rocco Trentini" sui temi della solidarietà e dell'accoglienza.

(ALtv, 17 febbraio 2023)

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Sottoscritta la convenzione tra Comune di Trani e Comunità Ebraica di Napoli

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Si è svolta nella sala Tamborrino del Comune di Trani la sottoscrizione della convenzione tra Comune di Trani e Comunità Ebraica di Napoli per la concessione in comodato d’uso non oneroso della Scolanova fino al 2027. Ad accompagnare la firma dell’accordo, siglato per la Comunità di Napoli è stata Lydia Schapirer, che ne è la presidente. Nella convenzione si garantisce, pur nella rigorosa salvaguardia delle festività e dei giorni riservati al culto ebraico, la pubblica fruibilità della Sinagoga, assicurando l’apertura in linea con l’orario degli altri luoghi di culto della città, degli altri attrattori culturali e degli altri luoghi della tradizione ebraica, al fine di potenziare l’offerta turistica e religiosa.
  In quest’ottica, a margine della sottoscrizione della convenzione, è stato presentato il gruppo di studio che si occuperà di un progetto di messa a valore del quartiere ebraico “dal punto di vista culturale, turistico e architettonico”, esso sarà coordinato dal consigliere comunale Irene Cornacchia (presidente della VI Commissione all’urbanistica, edilizia privata, edilizia pubblica) delegata del sindaco proprio per la valorizzazione del quartiere ebraico. Fra gli altri, faranno parte dell’ équipe, Lydia Schapirer (presidente della Comunità Ebraica di Napoli), Renzo Funaro (architetto e vice presidente della Fondazione Beni Culturali Ebraici Italiani), don Nicola Napolitano (direttore dell’Ufficio Beni Culturali Diocesani della Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie), Giancarlo Lacerenza (storico e docente presso l’Università Orientale di Napoli),  Giorgio Gramegna (architetto e progettista museologico della Sezione Ebraica del Museo Diocesano di Trani, già chiesa di S. Anna e Sinagoga Grande).

(Il Giornale di Trani, 17 febbraio 2023)

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Israele e la strategia di Leonardo per l’innovazione. Parla Savio

Il rafforzamento di Leonardo nel mondo segue un approccio strategico che mira a una presenza strutturale di lungo periodo utilizzando le leve a disposizione del gruppo, a partire dall’innovazione. Ne sono un esempio i recenti accordi con Israeli Innovation Authority e Ramot. L’intervista ad Airpress di Enrico Savio, chief strategy and market Intelligence officer di Leonardo.

di Marco Battaglia

A inizio febbraio Leonardo ha rinsaldato i rapporti con Israele sul tema dell’innovazione, un settore dove Tel Aviv può vantare un ecosistema unico al mondo fatto di 7mila start up, centinaia di acceleratori e decine di incubatori attivi. Il gruppo di Piazza Monte Grappa ha infatti sottoscritto due accordi con Israeli Innovation Authority, un’agenzia pubblica a supporto tecnico e finanziario di progetti innovativi, e con Ramot, una technology transfer company per la valorizzazione della proprietà intellettuale dell’università di Tel Aviv. Gli accordi si inseriscono nella più ampia strategia di rafforzamento di Leonardo nel mondo, come descritto ad Airpress da Enrico Savio, chief strategy and market Intelligence officer di Leonardo.

- Di cosa si occuperanno e quali sono gli obiettivi delle due intese?
  Gli accordi in oggetto si inseriscono nel quadro della strategia di rafforzamento di Leonardo nel mondo come global player, anche attraverso la leva dell’innovazione e quindi la creazione di rapporti strutturali con gli ecosistemi di innovazione più avanzati. Israeli Innovation Authority (Iia) è l’autorità delegata dal governo israeliano alla promozione dell’innovazione e con l’accordo firmato il 1° febbraio abbiamo voluto rafforzare e ampliare il campo di collaborazione, previsto dall’accordo del 2014, anche ad altri campi dell’innovazione incluso lo scouting di start up. Inoltre, per rendere immediatamente operativo l’accordo, stiamo già lavorando con Iia allo scouting di start up per il programma di accelerazione di Leonardo che si chiama Business innovation factory che quest’anno si focalizza sui verticali di Simulation & gamification, Cybersecurity & networking, ambiti di eccellenza delle start up israeliane.
  L’accordo con Ramot che è il technology transfer office dell’università di Tel Aviv, si focalizza su progetti di ricerca su temi di interesse per Leonardo come il cyber, il quantum, i materiali avanzati, i sistemi di guida autonoma, e qualora la collaborazione sia fruttuosa potremmo valutare l’apertura di un Leonardo Lab in Israele. Ramot per Leonardo è un altro gateway sull’innovazione israeliana potendo contare su 30mila studenti di cui 16mila ricercatori, 1,600 brevetti, e con un tessuto di founder di start up di livello mondiale; infatti, si classifica sesto nel mondo per numero di studenti che fondano una start up e settimo per studenti che fondano una start up con valutazioni superiori ai cinquanta milioni di dollari.

- Le partnership sembrano inserirsi nel solco dell’operazione Leonardo Drs-Rada. Qual è, in questo senso, il ruolo di Israele nella strategia di crescita del Gruppo a livello internazionale, vista anche l’importanza dell’ecosistema di start up innovative di Tel Aviv?
  Per lo sviluppo ed il rafforzamento di Leonardo nel mondo siamo passati da un approccio opportunistico guidato dalla sola opportunità commerciale a un approccio strategico che mira a una presenza strutturale di lungo periodo utilizzando tutte le leve a disposizione del gruppo, incluso l’innovazione, le mergers and acquisitions (M&A), le partnership strategiche, oltre al peso delle relazioni diplomatiche, istituzionali e governative tra l’Italia ed il Paese prescelto. È chiaro che l’approccio strategico richiede investimento di tempo e di risorse importanti e per sua natura deve essere selettivo. Infatti, a valle di un’analisi rigorosa, oltre ai Paesi domestici per il gruppo, quali Italia, Stati Uniti, Regno Unito e Polonia, abbiamo definito una lista ristretta di Paesi strategici sui quali investire, tra i quali Israele.
  L’acquisizione di Rada si inserisce in questo quadro strategico di localizzazione di Leonardo che oggi può contare su circa trecento risorse locali, sul contributo di prodotti e tecnologie all’avanguardia, oltre all’opportunità di aver potuto utilizzare il veicolo di Rada già quotato al Nasdaq ed alla borsa di Tel Aviv per quotare DRS, operazione che avevamo sospeso perché non sussistevano le condizioni. A questo si aggiunge la leva dell’innovazione e quindi la volontà di Leonardo di costruire rapporti strutturali con ecosistemi di Innovazione nei paesi capaci di contribuire al piano strategico Be Tomorrow 2030 che mira a rafforzare il posizionamento competitivo del Gruppo utilizzando anche l’innovazione aperta.
  Non abbiamo avuto dubbi ad ingaggiare l’ecosistema di innovazione di Israele che è diventato un modello virtuoso e motore della crescita del Paese, contribuendo al 15% del Pil, al 50,4% dell’export, occupa circa il 10,4% della forza lavoro su una popolazione di nove milioni e mezzo. Inoltre, come startup Nation, consta di oltre settemila start up, 428 fondi di venture capital, più di cento acceleratori, 37 incubatori, quasi cinquecento centri di ricerca e sviluppo di multinazionali, 17 programmi di Transfer of technology, nove università pubbliche.

- Le collaborazioni si concentrano soprattutto nei settori strategici della difesa, della cyber-sicurezza e dell’aerospazio. Quali ricadute ci si aspetta sul piano delle tecnologie?
  Le collaborazioni con Israele terranno in considerazione da una parte, le necessità di Leonardo di attingere all’open innovation come contributo all’innovazione. Ricordo che Leonardo investe ogni anno in ricerca e sviluppo il 12, 13% (12,8% nel 2021) del fatturato per un valore pari a 1,8 miliardi di euro nel 2021, e dall’altro le specificità e le eccellenze di Israele inserite in un disegno complessivo che include sia i Paesi domestici sia gli altri Paesi strategici. I temi citati di Simulation & gamification, Cybersecurity & networking sono i verticali della Call for startup che abbiamo lanciato a gennaio 2023 per selezionare dieci team che entreranno nel programma di accelerazione della Business innovation factory Bif23. Quest’anno per promuovere la call faremo un road show in cinque tappe cominciamo da Napoli, proseguiamo con Milano, Monaco, Tel Aviv e finiamo con Londra tutte città in Paesi domestici o strategici. L’adesione è libera e coloro interessati a partecipare ai road show o ad applicare alla Bif23 possono andare sul sito di Leonardo Accelerator.

- Una partnership resa possibile anche dal supporto della diplomazia dei due Paesi. Un esempio di sinergia pubblico-privata da mettere a sistema anche per il futuro?
  Il supporto delle istituzioni, del governo, dei ministeri e della diplomazia sono tasselli fondamentali per lo sviluppo strategico del gruppo nel mondo. Ci muoviamo in contesti geopolitici complessi dove la competizione è feroce non solo tra aziende ma tra sistemi-Paesi. Basti pensare a come Francia, Regno Unito e Stati Uniti si muovono sullo scacchiere internazionale. Dobbiamo essere tutti co-interessati a favorire la crescita delle grandi aziende nazionali come Leonardo perché ciò vuol dire contribuire alla crescita economica, occupazionali e di competenze dell’Italia migliorando la competitività e la sostenibilità del sistema paese nel suo complesso.

- Quali saranno i prossimi passi avviati dalla stipula degli accordi?
  Con l’Israeli Innovation Authority come detto siamo già al lavoro per trovare start up di interesse per il programma di accelerazione Bif23 che partirà a maggio, durerà sei mesi e prevede anche la realizzazione di un Proof of concept. Ci auguriamo che ai nastri di partenza a maggio potremo avere almeno una start up Israeliana. Inoltre, come anticipato il 28 febbraio avremo il roadshow della Bif23 a Tel Aviv dove vogliamo far conoscere il gruppo Leonardo agli operatori dell’innovazione in Israele, presentare il programma di accelerazione e attrarre le start up di interesse.

(l'Opinione, 17 febbraio 2023)

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Israele accende i riflettori sul futuro del Food Retail & Restaurant Tech al Tel Aviv Innovation Tour

Dal 21 al 23 febbraio CEO e Founders di start up e catene italiane incontreranno a Tel Aviv venture capitals, investitori, Istituzioni, business partners e imprese locali per sviluppare il proprio brand

In uno dei più innovativi ecosistemi al mondo dedicati all’innovazione, la startup milanese , con il proprio brand Resmart, sarà tra i promotori di un evento dedicato ai CEO e ai Founders di catene di ristorazione e start up italiane che operano nel food retail & restaurant tech.
  Il Tel Aviv Innovation Tour, evento organizzato insieme ad Appetite for disruption, Think Tank italiano nel mondo della ristorazione commerciale, con il supporto del Ministero dell’Economia e dell’Industria di Israele e della Municipalità di Tel Aviv, si terrà dal 21 al 23 febbraio in Israele.
  L’obiettivo è creare connessioni, promuovere e sviluppare innovazione e business con i tanti attori coinvolti nella tre giorni: fondi di investimento, venture capitals, partner istituzionali israeliani, start up e multinazionali locali, banche e società di sviluppo, verticali su food retail e food retail tech.

• Tel Aviv Innovation Tour: un’opportunità di crescita per Resmart
  “Il Tel Aviv Innovation Tour rappresenta un’entusiasmante opportunità di crescita per Maiora Solutions e in particolare per Resmart – commenta Andrea Torassafondatore con Emilio Zunino della start up milanese – Dopo la felice esperienza dello scorso anno con Accelerate in Israel, abbiamo deciso di organizzare questo nuovo evento con Appetite for Disruption: Israele è uno dei luoghi al mondo più aperti all’innovazione e ripetere la full immersion in questo ambiente rappresenta una fonte di ispirazione per sviluppare business è denso.  
  Resmart è lo strumento di intelligenza aumentata dedicato al mondo della ristorazione che permette di massimizzare i ricavi dell’azienda, elevare l’esperienza per il cliente, ottimizzare la composizione del menu e i prezzi e azzerare gli sprechi di cibo. Resmart analizza i dati interni come vendite, listino prezzi, costi e acquisti di materie prime incluse e i dati esterni, vale a dire: prezzi dei concorrenti, trend di mercato, elementi macroeconomici legati alla geolocalizzazione. Combinando le informazioni con quelle della segmentazione della clientela, l’intelligenza artificiale è in grado di fornire previsioni di domanda futura.

• Israele, la culla delle startup innovative
  Tel Aviv oggi è la città con la maggiore densità di startup al mondo dove operano quasi 3.000 imprese, che rappresentano un ecosistema di oltre 120 miliardi di dollari, in grado di raccogliere, lo scorso anno, oltre 20 miliardi di dollari di capitali. In Israele hanno sede oltre 300 centri di ricerca e sviluppo, tra cui quelli di Apple, Microsoft e Amazon, mentre il settore high-tech produce il 12% del PIL e il 43% dell’export.
  In questo contesto, il 2022 è stato l’anno dei record per il venture capital, tanto che Isreale ha realizzato da sola quanto tutta l’Europa insieme. Nello specifico, gli investimenti hanno superato i 26 miliardi di dollari, un’enormità se confrontati con i 12,5 miliardi di investimenti in Gran Bretagna, i 5,3 miliardi in Germania, i 5,1 in Francia e il miliardo e mezzo di dollari di investimenti in Italia.
  In questi giorni, Maiora Solutions ha fatto parte della delegazione italiana selezionata dall’Agenzia ICE per partecipare del OurCrowd Global Investors Summit, uno dei principali eventi al mondo per lo scouting tecnologico nonché il più importante vertice di investitori nel Medio Oriente. L’evento è stato organizzato dal venture capital israeliano OurCrowd, che gestisce attualmente 1,4 miliardi di dollari ed è il leader mondiale nel crowdfunding e rappresenta una piattaforma di lancio di start up israeliane ed internazionali. La manifestazione ha richiamato professionisti, corporates, venture Capital e startup plurisettoriali da tutto il mondo.

(Agrifoog Tech, 17 febbraio 2023)

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“Giorno della libertà”, due iniziative della Chiesa Valdese a Marsala e Trapani

Si ricorda la concessione dei diritti civili a Valdesi ed Ebrei dal re Carlo Alberto il 17 febbraio 1848

In occasione del “Giorno della libertà”, che ricorda la concessione dei diritti civili a Valdesi ed Ebrei il 17 febbraio 1848, la Chiesa Evangelica Valdese di Trapani e Marsala, ha organizzato due eventi pubblici.
Il primo si terrà oggi a Marsala, presso la locale chiesa valdese, nel vicolo Evangelista Pace, alle ore 18,30. Si tratta di un concerto pubblico con letture di testi sulla libertà e sulle vicende riguardanti la concessione delle Lettere Patenti da parte del re Carlo Alberto a Valdesi ed Ebrei.
Il secondo appuntamento si svolgerà a Trapani il 19 febbraio, alle ore 10.30, presso l’auditorium della chiesa valdese di via Orlandini e replicherà il programma proposto a Marsala.
Le iniziative sono libere, pubbliche e gratuite. “Tutti – dicono gli organizzatori – sono benvenuti”.

(TrapaniSì, 17 febbraio 2023)


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17 febbraio 1848: Lettere patenti. Libertà di culto per valdesi ed ebrei

di Galli Gabriele

Appena ventun giorni prima della proclamazione dello Statuto albertino  che farà del Regno di Sardegna una monarchia costituzionale, Carlo Alberto, un re famoso anche per le sue mille titubanze, emana le Lettere patenti che riguardano i Valdesi, fatti oggetto dai suoi antenati di persecuzioni anche crudeli; questo documento così si conclude:
    “I Valdesi sono ammessi a godere di tutti i diritti civili e politici de’ Nostri sudditi; a frequentare le scuole dentro e fuori delle Universita’, ed a conseguire i gradi accademici”. 
È consuetudine che la sera del 16 febbraio nelle borgate delle Valli valdesi del Piemonte si accendano dei fuochi di gioia in ricordo delle “Lettere Patenti” che concessero loro libertà religiosa e pari diritti civili.
  Intorno al falò si raduna tutta la popolazione al di là delle differenziazioni politiche, culturali, religiose, per una grande festa popolare. Impossibile dire quanti siano i falò che si accendono la sera del 16 febbraio sui fianchi delle colline del pinerolese e per le pendici dei monti della Val Pellice, della Val Chisone e della Val Germanasca. Qua e là, spontaneamente si formano delle fiaccolate che precedono l’accensione dei falò. Alle ore 20, si accendono i fuochi, intorno ai quali la gente si riunisce per cantare, ascoltare brevi messaggi e riscaldarsi con un bicchiere di “vin brulé” e cioccolata calda generosamente offerto dalle associazioni locali. Suggestivo è lo spettacolo dei tanti fuochi che illuminano la notte.
  Il 29 marzo 1848 Re Carlo Alberto, sul campo dì battaglia di Voghera, firma un decreto col quale concede tutti i diritti agli ebrei ed agli altri acattolici. L’atto dà un peso alle comunità ebraiche e ciò fu immediatamente testimoniato dalla scelta del primo ministro Camillo Benso di Cavour di essere affiancato da un segretario personale ebreo. Gli ebrei giunsero in Piemonte a seguito della loro cacciata dal nord Europa.
  La prima comunità si stabilì a Savigliano. Altre 18 seguirono. Di queste realtà sono rimaste oggi tre comunità attive: a Torino, a Casale Monferrato e a Vercelli, e 12 sinagoghe. Quasi ovunque però sono rimaste tracce dei ghetti e dei cimiteri ebraici. Infatti, dopo il 1848, gli ebrei piemontesi poterono scegliere dove vivere e molti si allontanarono dalle città dove per generazioni avevano vissuto e lavorato.
  Con la seconda guerra mondiale il processo di dispersione si accentuò e oltre la metà degli ebrei non tornò più ai luoghi d’origine.
  Attualmente, in Piemonte vi sono circa 1.000 ebrei sui 30.000 esistenti in tutta Italia.
  La maggior parte di essi si trova a Torino, dove la comunità ha un pensionato e una scuola ebraica che, unica in Italia, è aperta anche a studenti non ebrei.
  Proprio nella Sinagoga di Torino resta un armadio dipinto di nero che testimonia il gesto di lutto che la Comunità Ebraica volle portare in occasione della morte del Re Carlo Alberto, che avvenne l’anno successivo alla loro emancipazione.
  In quegli anni, sempre in segno di riconoscenza, furono molti i bambini ebrei che presero il nome di Alberto.

(Il dito nell'occhio)

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Il ministro degli esteri israeliano Cohen incontra Zelensky: Iran nemico comune

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha incontrato ieri a Kiev il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen dichiarando che l'Iran è un "nemico comune".
  Cohen ha sottolineato a Zelensky che Israele "sostiene l'integrità territoriale e la sovranità del paese. Il volto malvagio dell'Iran viene rivelato in Ucraina". L'Iran ha fornito alla Russia droni usati per attaccare l'Ucraina.
  Durante l’incontro il ministro israeliano ha offerto a Zelensky e al ministro degli Esteri ucraino nuove misure di sostegno, tra cui una garanzia di prestito di 200 milioni di dollari per l'assistenza sanitaria e le infrastrutture civili, e l'impegno a sviluppare un "sistema di allerta precoce intelligente".
  Il sistema di allarme per gli attacchi aerei sarebbe simile alla tecnologia che Israele utilizza per avvertire i civili degli attacchi missilistici e dovrebbe raggiungere l'Ucraina entro 3-6 mesi.
  Zelensky ha anche chiesto a Cohen di aumentare il numero di soldati feriti in cura in Israele e di consentire ad altri 15.000 ucraini di entrare in Israele con permessi di lavoro.
  Cohen ha affermato che Israele offrirà un elenco di misure tangibili, tra cui ricostruzione e progetti idrici, entro 3-4 mesi.
  Il presidente ucraino dopo l’incontro ha dichiarato che Israele "è sempre stato il nostro partner importante in Medio Oriente. Sono grato per gli aiuti umanitari forniti. Con il ministro Cohen abbiamo discusso della partecipazione del Paese alla ricostruzione postbellica. L'Ucraina potrebbe sfruttare l'esperienza di Israele nello sminamento".

(Bet Magazine Mosaico, 17 febbraio 2023)


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Israele-Ucraina, diplomazia dei funamboli. ‘Aiuti e niente armi’, ma apre gli arsenali Usa che ha in casa

Le ‘non armi’ col trucco. Israele non cederà direttamente armi e munizioni all’Ucraina ma farà da intermediario del ‘grossista’ Biden. Gli Stati Uniti hanno riempito nel tempo la Terrasanta di armi base e munizioni per le guerre in Medio Oriente. La Casa Bianca ha pregato Netanyahu di fare da corriere e ora Mosca certamente si arrabbierà con qualche rischio tra Siria e Libano, per non parlare dell’Iran. Marasma diplomatico e confusione geopolitica sempre più accentuate.

di Piero Orteca

Ieri, quasi a sorpresa, è sbarcato a Kiev il Ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen, in visita semi-ufficiale. Ha incontrato il suo omologo Dmytro Kuleba e, soprattutto, il Presidente Zelensky. Una mossa che, fino a qualche mese fa, sarebbe stata difficilmente pronosticabile, visto l’atteggiamento ‘ di ‘non interferenza’ assunto da Israele sulla guerra in corso in Ucraina.  I due governi precedenti (quelli guidati da Bennett e poi da Lapid, per capirci) avevano condannato, è vero, l’invasione russa, ma senza sforzarsi troppo. Nessun aiuto militare, come chiedevano l’Ucraina e gli altri alleati occidentali, era mai partito da Gerusalemme. Solo parole di solidarietà, qualche sostegno sanitario e, in generale, di assistenza “umanitaria”. Realpolitik allo stato puro, insomma. E dopo vedremo il perché.

• Netanyahu tra Casa Bianca e Mosca
  Adesso, invece, Netanyahu, ridiventato per l’ennesima volta premier israeliano, ha capovolto (all’apparenza) i termini dell’equazione strategica, fin qui seguita dallo Stato ebraico. Tutto si tiene per mano e, mai come in questo momento, la politica internazionale influenza gli affari domestici delle democrazie. E viceversa. Dunque, se ‘pecunia non olet’, a maggior ragione non puzza la ricerca del potere, comunque esso arrivi. Gli ucraini hanno bisogno di armi e sostegno finanziario. Biden ha bisogno di avere alleati affidabili ed efficienti, come Israele. Mentre Netanyahu, sotterrato dai problemi giudiziari in patria, cerca una sponda di ‘comprensione’ proprio nella Casa Bianca, ma senza inimicarsi troppo la Russia.

• Diplomazia dei funamboli
  Una diplomazia ‘parallela’ da funamboli, con margini di errore strettissimi. Al di là dei proclami roboanti e delle belle intenzioni, come scrive il Jerusalem Post, la Casa Bianca ha chiesto a Israele di fare da ‘corriere’ o, comunque, di mettere a disposizione dell’Ucraina molte delle armi pesanti, munizioni e missili Usa che si trovano stoccati nei depositi della Terra Santa. Si tratta di un vero arsenale, della polveriera che gli israeliani custodiscono, come abbiamo già detto, per conto degli americani, in caso di conflitto in Medio Oriente. La sopravvivenza politica di Netanyahu, quindi, potrebbe essere co-determinata dalla capacità di assecondare gli Stati Uniti, senza però pregiudicare le relazioni con Putin.

• Forse gli ’Iron Dome’
  Ancora lo scorso ottobre, Gerusalemme ha detto di no alla possibilità di cedere alle forze armate di Zelensky il sistema missilistico antiaereo ‘Iron Dome’, basato sulle batterie dei ‘Patriot’. Ora, però, le cose potrebbero cambiare. Intanto, il Ministro Cohen si è impegnato a cedere, ‘entro tre-sei mesi’ un apparato d’allarme per la sicurezza dei cieli ‘a uso civile’. Cioè, un sofisticato radar di scoperta aerea che, non c’è bisogno di spiegarlo, ha prima di tutto impieghi bellici. Cohen, poi, ha promesso a Kuleba anche un prestito di 200 milioni di dollari, da impiegare nel settore sanitario.

• All’armi di Zelensky
  Come scrive il quotidiano Haaretz, Zelensky invece vorrebbe un prestito di almeno mezzo miliardo di dollari e una cessione più estesa di sistemi d’arma antiaerei. Si parla, oltre ai Patriot, di ‘Light Shield’, ‘Barak8’, ‘David’s Sting’ e ‘Arrow’. Tempo addietro, ma la notizia non è confermata, sembra che siano stati chiesti anche i temibili carri armati ‘Merkava’. Comunque sia, a sentire la stampa israeliana, Cohen si sarebbe spinto fino al punto di promettere il suo appoggio alla risoluzione sul piano di pace, che Zelensky dovrebbe presentare la settimana prossima alle Nazioni Unite.

• Netanyahu e Cremlino, Medio Oriente e Golfo Persico
  Adesso bisognerà vedere come il Cremlino giudicherà il giro di valzer di Netanyahu. Indubbiamente, il repentino cambiamento potrebbe essere stato determinato anche dalla ‘saldatura’ strategica tra Mosca e Teheran. Il fatto che i negoziati di Vienna, sul nucleare iraniano, siano finiti su un binario morto, può significare che l’area di crisi sviluppatasi nell’Europa centro-orientale d’ora in poi avrà ricadute sempre più pesanti, anche nel Medio Oriente e nel Golfo Persico.A dimostrazione del fatto che, più dura la guerra alimentando l’afflusso di armi e maggiori sono i rischi di un allargamento incontrollato del conflitto. Che potrebbe finire per coinvolgere Paesi non direttamente interessati, ma comunque obbligati a schierarsi, senza che però si vogliano percorrere opzioni diplomatiche praticabili.

(Remocontro, 17 febbraio 2023)

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Il Sudafrica impedisce alla squadra israeliana di rugby di entrare nel Paese

di David Fiorentini

La squadra di rugby israeliana Tel Aviv Heat è stata esclusa dalla Mzansi Challenge 2023 dalla South Africa Rugby Union (SARU), affermando di voler evitare una “fonte di divisione”.
  Come riporta Jewish News, l’unione rugbistica sudafricana ha dichiarato di aver “ascoltato le opinioni di importanti gruppi” e di aver preso la decisione “per evitare che la competizione diventi una fonte di divisione, nonostante il fatto che Israele sia un membro a pieno titolo di World Rugby e del Comitato Olimpico Internazionale”.
  La scelta è stata condivisa anche dal partito di maggioranza, alla guida del Governo sudafricano, l’African National Congress (ANC), affermando di aver invitato “tutte le forze progressiste del Mondo a continuare a fare pressione su Israele affinché torni a dialogare pacificamente sulla soluzione a due Stati e ponga fine a uno dei conflitti più longevi del Medio Oriente”.
  Questa non è la prima volta che membri dell’esecutivo si espongono in maniera così critica dello Stato ebraico. Già a luglio, il Ministro degli Esteri sudafricano, Naledi Pandor, aveva dichiarato che: “La narrazione palestinese evoca esperienze passate della Storia del Sudafrica, di segregazione e oppressione razziale. Lo Stato di Israele sta commettendo crimini di apartheid e persecuzione contro i palestinesi”.

• La reazione della squadra israeliana
  Di opinione diametralmente opposta il comunicato stampa dei Tel Aviv Heat, che sottolinea la centralità di una cultura di squadra inclusiva e solidale, all’interno dei valori che contraddistinguono la società sportiva israeliana.
  “Bloccare la partecipazione alla Mzansi Challenge ha privato i Tel Aviv Heat di un’opportunità strategica per continuare a svilupparsi come squadra di rugby professionistica d’élite, oltre a punire e demoralizzare ingiustamente giocatori, allenatori, staff e tifosi nel bel mezzo della preparazione per la competizione” ha affermato la squadra israeliana. “La decisione della SARU è contraria allo spirito e ai valori fondamentali del rugby, promuove la politica dell’odio e dell’esclusione rispetto ai sommi valori dello sport ed espone Tel Aviv Heat e i suoi sostenitori a un linguaggio aggressivo e d’odio, progettato per intimidire, delegittimare e zittire”.
  Un’ingiustizia a cui però numerosi enti ebraici locali non hanno voluto cedere, a partire dalla South African Jewish Board of Deputies (SAJBD). Il Vicepresidente Zev Krengel ha accusato la SARU di aver “ritirato l’invito quando il Movimento BDS (Boycott, Divestment, Sanctions) e altri gruppi antisemiti hanno fatto pressione su di loro e hanno minacciato di morte i membri del Consiglio di Amministrazione”.
  Inoltre, aggiunge Krengel, “l’ironia è che questa è la stessa Unione che 35 anni fa non permetteva ai giocatori neri e di colore di giocare per gli Springboks. Siamo quindi molto dispiaciuti che un’organizzazione che ha letteralmente incarnato il regime di apartheid si comporti nello stesso identico modo, in un Paese libero a 25 anni di distanza”.

(Bet Magazine Mosaico, 17 febbraio 2023)

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«Parmalat incontra Israele per investire nel «food tech»

Un ministro e otto startup di Tel Aviv fra Parma e Collecchio

di Patrizia Ginepri

«Una giornata come questa, e un po' come aprire uno squarcio sul futuro». Non ha dubbi il general manager di Parmalat, Maurizio Bassani, nel presentare l'iniziativa «Start Up FoodTech Day», che si è svolta ieri tra Parma e Collecchio.
  Lactalis ha ospitato otto startup del Tel Aviv Tech Hub, accompagnate dai rappresentanti istituzionali del governo israeliano. Obiettivo? Avviare una selezione delle nuove realtà ad alto tasso di tecnologia, attraverso il team di Open Innovation di Parmalat per dare vita a future sinergie utili alla crescita e al business. In mattinata la delegazione israeliana ha visitato il polo produttivo di Collecchio, mentre all’Hotel Parma e Congressi si sono svolti, in seguito, i lavori dell'incontro.
  La vetrina parmigiana ha riguardato, nell'ambito del food tech, nuove tecnologie green, dal packaging all'impatto ambientale delle produzioni, con focus specifici sui consumi idrici, sull'ottimizzazione di processo 4.0 e sul benessere animale.
  Jonathan Hadar, ministro per gli Affari economici d'Israele in Italia ha spiegato la sua missione, incentrata sulle potenzialità dell'innovazione israeliana che deve essere conosciuta maggiormente all'estero e trasferita. «Siamo molto felici di collaborare con Parmalat - ha detto - perché ci troviamo d fronte ad alte professionalità. Noi mettiamo a disposizione una community dì stratup che può avere un forte impatto in tema di innovazione, ma per concretizzare le nostre idee abbiamo bisogno della tecnologia di un leader internazionale. E Parmalat, nel cuore delle: food valley, è il nostro partner ideale. Il governo israeliano investe molto in tecnologia, inoltre esiste nel nostro Paese un sistema flessibile per i partner esteri, che facilita lo scouting».
  «Il senso di questa iniziativa è andare oltre l'innovazione classica che ci caratterizza da sempre - sottolinea Bassani - provando ad accelerare, esplorando a più ampio raggio, per capire che cosa succede in altri mondi ovviamente vicini a noi. E, infatti, parliamo in questo caso di food tech. Noi siamo una grande azienda di Parma, ma al tempo stesso abbiamo anche un forte respiro internazionale: vogliamo unire il nostro radicamento sul territorio senza perdere di vista cosa succede nel mondo, per portare nuove idee e progetti al nostro interno. La nostra ricerca non è a random, ci concentriamo su filoni precisi. Sicuramente in Israele l'innovazione ha un ruolo primario da sempre, ricordiamo ad esempio, che in mezzo al deserto questo Paese ha dovuto inventarsi un nuovo modo di coltivare che poi anche noi abbiamo copiato. Ad esempio, l'irrigazione goccia a goccia. Oggi sono qui a Parma i referenti di otto start-up, ma a far la differenza è che queste realtà sono accompagnate dal ministero, hanno il governo alle spalle».
  Il progetto Open Innovation di Parmalat è iniziato quattro anni fa. È stato creato un team trasversale e circa un anno fa si è allargato il perimetro con l'upgrade del progetto: da livello di business unit Parmalat a tutta Lactalis Italia. Ad oggi, in Parmalat sono operativi già due progetti. Tutti gli investimenti sono all'insegna della sostenibilità, compresi quelli sul fronte energetico, a cominciare dal fotovoltaico».

(Gazzetta di Parma, 17 febbraio 2023)

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Il parlamento israeliano ha approvato una legge che revoca la cittadinanza

La legge permetterà di togliere la cittadinanza a chi è condannato per terrorismo e riceve fondi dall’Autorità Nazionale Palestinese.

Mercoledì il parlamento israeliano ha approvato una legge che permetterà di revocare la cittadinanza a tutte le persone condannate per terrorismo e che ricevono finanziamenti dall’Autorità Nazionale Palestinese, l’organismo politico che governa nei territori palestinesi. La legge riguarderà anche chi non ha la cittadinanza ma un permesso di residenza permanente, come la maggior parte dei palestinesi che abitano a Gerusalemme est, la parte della città che appartiene ai territori palestinesi occupati da Israele dal 1967.
  Anche se la legge non lo dice esplicitamente, è palese quindi che riguarderà principalmente i palestinesi con permessi di residenza e la comunità araba con cittadinanza israeliana. Sono infatti per la maggior parte gli arabi israeliani e i palestinesi le persone in carcere in Israele per reati di terrorismo, solitamente per attentati e altre azioni legate alla causa palestinese.
  Oltre che una condanna per terrorismo, l’altro requisito affinché possa venire revocata la cittadinanza è che si ricevano direttamente o indirettamente finanziamenti dall’Autorità Nazionale Palestinese. Quest’ultima riconosce da molti anni una sorta di indennizzo ai palestinesi in carcere per terrorismo, e aiuta economicamente le loro famiglie sovvenzionandole attraverso un apposito fondo. Secondo il governo israeliano questi aiuti economici sarebbero di fatto un finanziamento delle attività terroristiche palestinesi.

(il Post, 16 febbraio 2023)

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Volley - Il Maccabi scrive la storia: è la prima squadra israeliana in una finale europea

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La prima semifinale di ritorno di Challenge Cup maschile entra nella storia della pallavolo europea: per la prima volta in assoluto una squadra israeliana, il Maccabi Yeadim Tel Aviv, accede alla finale di una competizione continentale. Per la verità già la semifinale era stato un traguardo mai raggiunto prima dalla formazione di Gal Galili, che aveva toccato il suo apice a livello europeo qualificandosi ai quarti della stessa competizione nel 2012 e nel 2013. Ora però gli israeliani sono andati molto oltre, vincendo per 3-1 l’andata contro l’ AJ Fonte Bastardo e perdendo per 3-2 il rematch in Portogallo: dopo il primo set vinto dai portoghesi, conquistando il secondo e il terzo il Maccabi si è assicurato la qualificazione.
  Per conoscere la loro avversaria gli israeliani attendono ora di conoscere il risultato del derby greco di ritorno tra Panathinaikos e Olympiacos, in programma oggi alle 13.30: all’andata i biancoverdi, trascinati da Jiri Kovar, si sono imposti per 3-1 in casa dei rivali, allenati da Alberto Giuliani e guidati in campo da Dragan Travica. La finale di andata si disputerà tra il 7 e il 9 marzo, quella di ritorno la settimana successiva, dal 14 al 16 marzo.

(VolleyNews, 16 febbraio 2023)

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Usa, il nuovo antisemitismo

In crescita, secondo i dati Fbi, gli hate crimes contro gli ebrei: più 275% nel 2022.

di Lorenzo Vidino

L'America sta vivendo un'ondata di antisemitismo senza precedenti. I numeri confermano l'allarme dato da organizzazioni ebraiche e governo americano: l'Fbi stima che il 57% degli hate crimes (crimini con motivi discriminatori) siano a sfondo antisemitico, nonostante gli ebrei costituiscano solo il 2% della popolazione americana. A New York, dove si trova la più forte concentrazione di ebrei in America, nel 2022 si è registrato un aumento del 275% di hate crimes rispetto all'anno precedente.
  Per quanto l'antisemitismo non sia certo un fenomeno nuovo, questo drammatico aumento ha sconvolto gli ebrei americani, che storicamente si sono sentiti dei privilegiati, al riparo dall'antisemitismo che da sempre la comunità ha subito in Europa e, negli ultimi decenni, in Medio Oriente. Ma a sconvolgere gli ebrei americani è anche la trasversalità di questa ondata di antisemitismo. Dai messaggi di odio in rete ai piccoli atti vandalici a veri e propri attentati terroristi, i nuovi antisemiti americani adottano un'amplissima gamma di ideologie e, in alcuni casi, varie ideologie insieme o nessuna.
  Oggi, come da sempre, la principale fucina di odio antisemita è, numeri alla mano, l'estrema destra americana, in tutte le sue sfaccettature che vanno dai nostalgici del Kkk a nuove formazioni e sub - correnti ideologiche. Gli attentati alle sinagoghe di Pittsburgh e San Diego (12 morti in totale) sono solo la punta dell'iceberg di un fenomeno in forte crescita e che ha visto una dozzina di attacchi sventati negli ultimi mesi. Non nuovo è anche l'odio antisemita di matrice islamista, che proviene sia da soggetti ispirati al jihadismo che da network legati ad Hamas e Hezbollah, entrambi ben insediati da decenni sul territorio americano.
  Ma negli ultimi anni si è registrata un'impennata di atti antisemitici non provenienti da questi soliti sospetti. Si parla molto dell'influenza dei Black Hebrew Israelites, gruppo che ritiene che i neri americani siano i veri ebrei e che gli "ebrei bianchi" siano degli impostori, accusandoli anche di aver orchestrato la tratta degli schiavi neri e di aver inventato l'Olocausto. Nel 2019 adepti del gruppo hanno assaltato la casa di un rabbino e un negozio kosher in New Jersey, uccidendo quattro persone. Ma preoccupa anche l'ondata di attacchi contro ebrei ortodossi in parti di New York: gli assalitori sono spesso adolescenti afroamericani che, pur non appartenendo al gruppo, ne hanno adottato alcuni dei messaggi antisemiti attraverso i social. Attacchi contro ebrei sulle strade di New York, Los Angeles e Miami sono di recente avvenuti anche a margine di eventi pro-Palestina e solo nelle ultime settimane in vari campus americani la coalizione di gruppi di sinistra estrema e pro-palestinesi ha esposto messaggi inneggiando all'Intifada e alla "soluzione finale".
  Si uniscono all'odio antisemita anche Anti Vax, terrapiattisti e complottisti di ogni tipo, creando un mix ideologico che trova nel web il suo ambiente naturale. È infatti sui social, che consentono un grado di interconnessione senza precedenti tra estremisti di ogni genere, che si osserva come testi, meme e sentimenti antisemiti sono condivisi tra vari ambienti ideologici. Non è raro vedere neonazisti tessere gli elogi di attentatori palestinesi e islamisti lodare i suprematisti bianchi quando attaccano le sinagoghe. In alcuni casi estremi, come quello di Nicholas Young, poliziotto di Washington amante del Reich che si convertì all'Islam e fu poi arrestato per aver cercato di unirsi all'Isis, l'antisemitismo è il collante che unisce il passaggio da un estremismo all'altro.
  La convinzione che gli ebrei siano l'archetipo del male, che manipolano segretamente gli eventi del mondo, è ormai il comune denominatore di praticamente tutte le forme di estremismo presenti oggi in America. Una convinzione antica ma che, grazie al web, è sempre più trasversale, intersezionale. E se in America il fenomeno dilaga, è sbagliato pensare che non avvenga anche da noi, in Europa e in Italia.

(la Repubblica, 16 febbraio 2023)

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