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Notizie 1-15 giugno 2023


Israele ha annunciato la creazione di un sistema per intercettare i missili ipersonici SkySonic

La società di difesa israeliana Rafael ha affermato di lavorare da tre anni su un sistema di intercettazione missilistica ipersonica chiamato SkySonic. Il nuovo sviluppo sarà mostrato al salone aereo di Le Bourget la prossima settimana.
  Lo SkySonic è un missile intercettore in grado di distruggere bersagli a velocità fino a Mach 10. Ciò pone questo sistema alla pari con i più avanzati sistemi di difesa aerea del mondo, inclusa la capacità di resistere alle ultime minacce ipersoniche.
  L'interesse per le tecnologie ipersoniche nel mondo sta crescendo. Si noti che all'inizio di giugno l'Iran ha presentato il proprio missile ipersonico, affermando che è in grado di raggiungere velocità da 12 a 13 MAX. È stato in risposta a questo tipo di minaccia che è stato sviluppato il sistema israeliano SkySonic.
  Lo sviluppo e l'implementazione di sistemi di intercettazione di missili ipersonici è uno dei compiti chiave nel campo della difesa per molti paesi. Ciò è dovuto al fatto che i missili ipersonici hanno un'elevata velocità e manovrabilità, il che li rende difficili da intercettare.
  I dettagli sul sistema SkySonic non sono ancora stati resi noti, tuttavia, si prevede che ulteriori informazioni su questo promettente sviluppo saranno presentate al prossimo Le Bourget Air Show.

(AVIA.PRO, 15 giugno 2023)

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Le conclusioni dell’inchiesta militare sull’assassinio dei tre soldati israeliani nel Sinai

di Ugo Volli

Si è conclusa nei giorni scorsi l’inchiesta dell’esercito israeliano sull’attentato che durante la notte fra il 2 e il 3 giugno è costata la vita a tre soldati di Israele: Lia Ben-Nun, Uri Itzhak Ilouz e Ohad Dahan. Come si ricorderà, prima dell’alba un poliziotto egiziano ha superato la barriera di protezione che divide Israele dall’Egitto nel Sinai, ha sorpreso due soldati che stavano in una postazione di guardia e li ha uccisi. Il comando della brigata si è reso conto del problema solo alcune ore dopo, e ha iniziato una caccia all’uomo in cui il terrorista è riuscito a uccidere ancora un militare israeliano, prima di essere a sua volta eliminato. È stato un episodio molto grave, che ha colpito molto, non solo per il numero e la giovane età delle vittime, ma anche perché esso è avvenuto in una zona del paese che è sì percorsa dai contrabbandieri, ma in genere non è considerato troppo pericolosa sul piano militare, dato che la collaborazione di sicurezza fra Israele ed Egitto è essenziale per entrambi i Paesi.

• La dinamica dell’attentato
  Subito dopo l’attacco era difficile capire che cosa fosse realmente accaduto. Alcune cose sono emerse presto. L’episodio è stato un vero attentato, non il frutto di un malinteso durante l'inseguimento di contrabbandieri, come aveva preteso l’Egitto subito dopo i fatti e neppure il frutto di una complicità del poliziotto con i contrabbandieri, come altri avevano supposto. L’attentatore portava un Corano addosso ed era un integralista islamico. Per il “merito” di aver ucciso degli israeliani e per la sua posizione ideologica, è stato subito esaltato soprattutto da Hamas e dai suoi sostenitori. È entrato in Israele da un varco segreto della barriera di sicurezza, nascosto ma non sbarrato, che evidentemente conosceva per il suo lavoro. Ha sorpreso i soldati di guardia nella postazione israeliana che sorvegliava un altro tratto della barriera ed è riuscito a eliminarli. Almeno dai tempi del sequestro di Gilad Shalit in una torretta di sorveglianza ai confini di Gaza, l’esercito israeliano sa bene che queste posizioni apparentemente noiose e protette, ma indispensabili, possono essere particolarmente a rischio. Si è anche saputo che a due chilometri di distanza c’era un’altra postazione israeliana, che i soldati di guardia lì avevano sentito dei colpi, ma seguendo le istruzioni non erano intervenuti perché sono frequenti in quella zona tiri d’arma da fuoco da parte dei contrabbandieri. Infine il presidente egiziano Morsi ha avuto un colloquio con Netanyahu, esprimendo le sue condoglianze. Può sembrare un gesto ipocrita ma è importante per marcare la presa di distanza ufficiale dell’Egitto dal terrorismo antisraeliano. C’è stato anche un lavoro di coordinamento fra i comandanti israeliano ed egiziano del settore, per prevenire nuovi attacchi.

• L’inchiesta
  Come accade in tutti gli incidenti militari rilevanti, il capo di stato maggiore delle forze armate ha ordinato un’inchiesta interna, che si è svolta velocemente ma in maniera severa e approfondita. L’inchiesta non ha rilevato alcune responsabilità da parte dei soldati uccisi, che al momento dell’attentato stavano svolgendo la loro vigilanza secondo le istruzioni ricevute, come il terzo militare ucciso durante l’inseguimento dell’attentatore. Ha invece censurato disciplinarmente i loro ufficiali per tre livelli gerarchici (il comandante di divisione per omesso controllo, quello di brigata per non aver organizzato efficacemente la sorveglianza, quello della compagnia per l’inefficacia della reazione). La vigilanza al confine con l’Egitto sarà immediatamente riorganizzata, con turni di guardia più brevi e altre modalità operative che permetteranno ai militari israeliani un’autodifesa efficace. C’è stata dunque un’autocritica incisiva. Certamente ciò non rimedia al dolore per l’assassinio di due ragazzi e una ragazza colpevoli solo di difendere i confini del loro stato. Ma servirà a migliorare la sicurezza di Israele: imparare anche e soprattutto dagli episodi più tristi, senza nascondere gli errori, è la condizione dell’efficienza di una forza mitica ma certo non infallibile come l’esercito israeliano.

(Shalom, 15 giugno 2023)

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Oggi in Belgio incontro tra il Ministro della difesa israeliano e quello americano

Il Ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant incontrerà oggi (giovedì) in Belgio il suo omologo americano, il Segretario alla Difesa Lloyd Austin, dopo che il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha vietato ai suoi ministri di recarsi a Washington per affari ufficiali.
  Netanyahu non è ancora stato invitato alla Casa Bianca, dopo sei mesi di mandato, per incontrare il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che ha spiegato la sua decisione citando le preoccupazioni per la spinta del governo a rivedere il sistema giudiziario in un modo considerato da Washington come un attacco alla democrazia di Israele.
  Gallant e Austin discuteranno delle minacce poste dall’Iran, ma non è previsto che l’incontro si concentri sulle preoccupazioni israeliane in merito al fatto che l’amministrazione sia pronta a tornare sull’accordo nucleare iraniano del 2015. Secondo fonti che hanno familiarità con le posizioni del ministro della Difesa, Gallant non vuole “perdere tempo” sulla questione poiché gli Stati Uniti hanno già preso la loro decisione.
  Gli alti funzionari della difesa discuteranno del rafforzamento della cooperazione bilaterale in materia di sicurezza e delle future esercitazioni militari congiunte. Gallant presenterà inoltre ad Austin le prove del crescente coinvolgimento iraniano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Gallant esprimerà la posizione che la proiezione di forza americana nella regione è fondamentale per mettere in guardia l’Iran da un’opzione militare credibile in risposta al suo continuo sviluppo di armi nucleari.
  Nel corso dell’incontro, il ministro della Difesa solleverà la necessità di preservare il vantaggio militare di Israele in Medio Oriente e si aspetta di sentire dal suo omologo la posizione degli Stati Uniti sull’importanza di mantenere la calma sul fronte palestinese, come è stato espresso negli incontri passati.
  Dal Belgio Gallant dovrebbe recarsi a Parigi per incontri con altri ministri della Difesa.

(Rights Reporter, 15 giugno 2023)
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Israele si appoggia agli Stati Uniti per difendere la sua esistenza o lo stato americano strumentalizza lo stato israeliano (come tanti altri) per difendere il mantenimento della sua egemonia sul mondo? In ogni caso, questo traballante legame israeliano con gli Stati Uniti sembra che stia spostando sempre di più una parte del giustificato malumore contro lo stato americano verso una nuova ingiustificata ostilità contro Israele. M.C.

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L'80% dei palestinesi è insoddisfatto di Mahmoud Abbas

Se le elezioni si tenessero oggi, il 34% voterebbe per Hamas

Un nuovo sondaggio condotto dal Centro di ricerca palestinese con sede a Ramallah mostra che l'80% è insoddisfatto delle politiche del presidente dell'Autorità palestinese Mahmoud Abbas e chiede le sue dimissioni. Solo il 17% si è detto soddisfatto di Mahmoud Abbas e molti si sono rifiutati di commentare. Dal sondaggio è emerso anche che il 69% si è detto favorevole a nuove elezioni per la presidenza dell'Autorità Palestinese, mentre il 28% si è detto contrario.
  Secondo il sondaggio, il 35% ritiene che il rischio maggiore per l'esistenza del popolo palestinese sia il conflitto interno tra Hamas e Fatah dal 2007. Tuttavia, il 32% ha risposto che "l'occupazione israeliana" della Cisgiordania rappresenta la più grande minaccia per l'Autorità palestinese. Un altro 25% ritiene che la questione irrisolta dei rifugiati sia l'aspetto più pericoloso dell'esistenza palestinese.
  Alla domanda sul conflitto con Israele, il 71% degli intervistati ha espresso il proprio sostegno alla formazione di gruppi armati palestinesi non subordinati all'Autorità Palestinese e alle forze di sicurezza. Il 23% ha risposto di essere contrario. Il 55% ha dichiarato di temere che la formazione di questi gruppi armati possa effettivamente portare a conflitti interni con le forze di sicurezza, mentre il 41% ha risposto di non temere questi gruppi armati.
  Inoltre, circa la metà degli intervistati ha risposto che l'interesse dei palestinesi sta nel crollo o nello scioglimento dell'Autorità Palestinese, mentre il 46% ha risposto che è nell'interesse del popolo che l'Autorità Palestinese continui a esistere. In caso di nuove elezioni, il sondaggio prevede che Hamas otterrebbe il 34% dei voti, mentre Fatah solo il 31%.

(i24, 15 giugno 2023)

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Di Veroli, l'unico calciatore ebreo a giocare in serie A

Giovanni Di Veroli è stato uno sportivo, calciatore in un paese in cui il calcio ha da sempre raccontato le aspirazioni degli italiani, ed ebreo del ghetto romano, scampato per miracolo al rastrellamento del 16 ottobre del '43. La sua storia è raccontata nel libro "Una stella in campo.

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Giovanni Di Veroli, dalla persecuzione al calcio di serie A", scritto da Paolo Poponessi e Roberto Di Veroli e presentato al Collegio Romano dal ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano con la presidente della Comunità Ebraica di Roma, Ruth Dureghello e la presidente della Fondazione SS Lazio 1900, Gabriella Bascelli. Giovanni Di Veroli è un bambino ebreo nato a Roma, al Ghetto, vicino il Portico D'Ottavia, nel 1932 e la sua storia, come quelle della sua comunità, è specchio delle vicende di quegli anni: le leggi razziali, che fanno perdere il lavoro a suo padre, i trasferimenti, la nuova casa a Milano distrutta da un bombardamento, nuovi trasferimenti, nuovi bombardamenti, il rastrellamento del 16 ottobre da cui i Di Veroli scampano per miracolo, il ritorno al ghetto ormai depredato dai tedeschi, le difficoltà economiche, la sopravvivenza fatta di espedienti.
  Poi, alla fine della guerra i Di Veroli tornano a Milano su un camion della Brigata Ebraica. Il papà riprende a lavorare e Giovanni torna a giocare a calcio, fa un provino con l'Ambrosiana che va bene, ma il padre vuole di nuovo tornare a Roma. È il 1949. Giovanni inizia a giocare con una formazione ebraica romana, la Stella Azzurra, ma quando la Lazio apre la leva calcio partecipa. È poco più che un ragazzino, ma sta bene in campo e la Lazio lo prende. Inizia così la sua carriera partendo dalle minori poi fa il suo esordio nella massima serie nel 1952-53. L'avventura con la Lazio finisce nel 1958, in tempo però essere ancora nella rosa della squadra che vince la Coppa Italia.

(ANSA, 12 giugno 2023)

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Vaccino Covid, Bizzarri: "Ci avrei pensato 10 volte prima di vaccinare i pazienti oncologici. Proteina Spike potrà fare danni. Green Pass privo di razionalità scientifica"

L'oncologo Mariano Bizzarri: "La proteina spike potrà fare danni. Il vaccino non viene inattivato, come dichiarato da Big Pharma, e produce processi autoimmunitari. Il diritto all'oblio? Un'idiozia. Dato che chi è vaccinato può contagiare ed essere contagiato.

l professor Mariano Bizzarri, oncologo e docente presso il Dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università La Sapienza di Roma, ha parlato dei rischi e dei dubbi sui vaccini anti-Covid. Si è concentrato in particolare sui pazienti oncologici e sui bambini, spiegando come i brevi studi che hanno preceduto l'avvio delle vaccinazioni fossero inadeguati. Ha parlato delle poche certezze che c'erano e che ci sono ancora oggi e delle reazioni avverse. "La proteina spike potrà fare danni - ha precisato - . Il vaccino non viene inattivato, come dichiarato da Big Pharma, e produce processi autoimmunitari".

• Vaccino Covid, Bizzarri: "Ci avrei pensato 10 volte prima di vaccinare i pazienti oncologici
  "Ci avrei pensato non una, ma dieci volte prima di vaccinare un paziente oncologico, salvo rarissime condizioni. Soprattutto, precisiamo che non è un vaccino, ma una terapia genica, dato che fornisce informazioni specifiche, tramite mRNA, e che viene utilizzato per sintetizzare una proteina contro cui l’organismo produrrà una risposta anticorpale. Proprio perché considerato vaccino, non è stato necessario valutarne la cancerogenicità, e ciò complica la valutazione di eventuali effetti collaterali”. Così il professor Mariano Bizzarri, oncologo, docente presso il Dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università La Sapienza di Roma, biofisico, alla guida del System Biology Group Laboratory, già presidente del Consiglio Tecnico Scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana, all’agenzia di stampa Dire. L'esperto si è concentrato soprattutto sul complesso tema del rapporto tra cancro e vaccino, partendo da quanto accaduto durante la pandemia.
  Bizzarri ha sempre espresso la propria contrarietà alla vaccinazione di massa, soprattutto sulla popolazione più giovane e sui pazienti oncologici, riferendosi al cosiddetto vaccino mRNA, mentre ha sempre difeso l’utilità del vaccino tradizionale, basato sul virus “intero”, come quello realizzato in India o a Cuba. Sul fatto che possa esserci un legame tra il vaccino e il risveglio di tumori rilevato in diversi pazienti “sono cauto – ha detto –. Non ci sono studi né indicazioni statistiche. Potrebbe essere, ma bisogna studiare e avere dati, prima di sbilanciarsi in un senso o in un altro. In questi mesi è mancata la prudenza da parte degli scientisti di turno e non vorrei incorrere nel medesimo errore. Del resto, l’aumento certificato di casi di tumore nel corso della pandemia (circa 15mila casi nel 2022) potrebbe trovare altre e più complesse spiegazioni”.

• Vaccini Covid, tumori e recidive
  Negli ultimi mesi si è sentito molto parlare del ritorno di alcuni tumori in pazienti che erano guariti e di tumori che sembravano “silenti”, ma sono ricomparsi. “Può esserci il sentore di una slatentizzazione del cancro, ma è vago”, dice Bizzarri. “Il vaccino consente l’esposizione al sistema immunitario di un organismo a un patogeno trattato e mitigato. Se sviluppo un vaccino mRNA che codifica per un singolo target, ovvero la proteina Spike, e il virus la modifica successivamente a causa di una mutazione – come è accaduto –, il vaccino farà produrre bersagli non più espressi dal virus, che non verrà, quindi, riconosciuto dagli anticorpi. In compenso, la proteina Spike prodotta potrà fare danni. Il fatto, poi, che il vaccino non venga prontamente inattivato, come inizialmente dichiarato da Big Pharma, ma continui a essere presente e attivo (in una percentuale probabilmente non inferiore al 10% della popolazione), farà sì che lo stimolo a produrre Spike e anticorpi continui per mesi (6-9 settimane), con effetti dannosi, incluso l’attivazione di processi autoimmunitari”.
  “L’uomo di scienza deve essere prudente – sottolinea il professor  Bizzarri –, e io non discuto affatto la validità dei vaccini che costituiscono uno strumento importante della medicina. Ma contesto la validità di questo tipo di vaccino, basato sul mRNA e sulla politica, che ha preteso di vaccinare tutti, senza distinzioni, senza considerare i reali benefici attesi e le più che probabili ricadute su fasce di popolazioni affette da specifiche patologie. Non è un caso che io sia stato attaccato quando ho promosso nelle Marche – grazie al sostegno del presidente Francesco Acquaroli e dell’onorevole Mirco Carloni – un sensore per individuare il virus con analisi salivari al costo quasi simbolico di 1 euro. Invece di apprezzare l’innovazione, mi hanno criticato adducendo come scusa il fatto che un test economico potesse dissuadere le persone dal sottoporsi alla vaccinazione. Incredibile!".

• Vaccini mRNA anti-Covid nei bambini: i rischi e le reazioni avverse autoimmuni
  Il professor Bizzarri ha affrontato un altro delicato tema, quello del vaccino anti.Covid nei bambini. “Numerosi report scientifici hanno sottolineato che gli studi preventivi fatti, per esempio, sui bambini, fossero del tutto inadeguati. Questo vaccino – ha spiegato l’esperto – dà meno rischio agli anziani. Se dai una spinta al sistema immunitario di una persona anziana, più di tanto veloce non va. Ma sui ragazzi, dove il sistema immune funziona, in genere, perfettamente, una ‘spinta’ può far sì che il sistema vada ‘fuori strada’. E a vedere la frequenza di miocarditi da vaccino segnalate tra i giovani c’è da pensare che questo sia effettivamente avvenuto”.
  Va ricordato, poi, secondo Bizzarri, come “il tasso di mortalità del Covid al di sotto dei 70 anni sia stato paragonabile a quello dell’influenza. Al di sotto di quella soglia non c’era alcuna necessità di condurre una vaccinazione di massa, tanto più – come oggi riconosciuto da tutti, ma evidente sin dal 2021 – che il vaccino non protegge dal contagio: chi è vaccinato può diffondere la malattia come chi non ha ricevuto il vaccino. Questa semplice evidenza priva il Green Pass di qualsiasi razionalità. È stato solo una misura di controllo e coercizione, arbitraria e punitiva. Ma non ho visto studenti strapparsi le vesti e denunciare la limitazione delle loro libertà. A quel tempo nessuno ha piantato tende, ma hanno preferito comportarsi da pecoroni docili nelle mani del potere”.

• "Vigile attesa inutile"
  “Tutto questo – ha aggiunto Bizzarri – ha fatto dimenticare l’importanza delle terapie che già avevamo – antibiotici, anti-infiammatori, clorochina – e che, se fossero state utilizzate, avrebbero ridotto la mortalità del 90%, come ammesso dallo stesso professor Giuseppe Remuzzi, un alfiere della vaccinazione. Le indicazioni del Ministero sono state, al riguardo, fuorvianti e ridicole: Tachipirina e vigile attesa. Eppure – ha continuato Bizzarri –, se viene da me un paziente con tosse e febbre non ho bisogno che il ministro Speranza mi dica cosa fare. Adotterei le misure minime necessarie, che spesso sono quelle che ti salvano la vita. Se avessimo curato con Aspirina, antinfiammatori e antibiotici, avremmo ridotto la mortalità, senza aspettare che la malattia facesse il suo corso”.

• “Terapie mRNA anticancro? Siamo alla cartomanzia"
  Per Bizzarri è discutibile anche invocare l’uso delle terapie geniche a base di mRNA per combattere il cancro, perché, spiega il professore, non ci sono solide prove che ciò avvenga. “Come si possa prevedere che saranno pronte nel 2027 rileva della cartomanzia, non della scienza. Un farmaco non si costruisce con la tastiera del computer, come quelli basati sulle stringhe di mRNA. Né è sufficiente aver decodificato il genoma per trovare la soluzione alle malattie che affliggono l’umanità: occorrono sperimentazione, studi sugli animali e pazienza, non trucchi ingegneristici. Per decenni, per esempio, la medicina ha imposto la lobotomia (asportazione di una parte del lobo frontale del cervello) come cura per alcune patologie psichiatriche. Finalmente, dopo quasi un secolo, alla fine degli anni ’70, tale pratica ignobile (e inefficace) è stata proibita. Ma il caso ci ricorda come siano state adottate, anche nel passato recente, misure terapeutiche tutt’altro che fondate, promosse da una minoranza illuminata, a cui tanti si sono piegati senza esercitare alcun controllo critico”.

• Il diritto all’oblio
  “La malattia è parte della storia di ciascuna persona: acquisisce senso solo nella prospettiva della nostra esistenza. Ed essendo parte della nostra storia non può e non deve essere ‘dimenticata’, perché porta con sé un insegnamento inestimabile e irrinunciabile. Per questo il cosiddetto diritto all’oblio è un’idiozia che non vale neanche la pena commentare. Un paziente che ha affrontato e superato l’esperienza del cancro ne esce trasformato e più forte. Perché dovrebbe rinunciare a questa ricchezza?”, ha commentato Bizzarri a proposito delle recenti campagne di istituzioni e associazioni sul cosiddetto “diritto all’oblio”.
  “Nella storia di una persona, anche i momenti clinici dolorosi nel tempo diventano memoria preziosa. Non vorrei dimenticare i momenti in cui ho sofferto e mi sono rialzato. Questa idea del diritto all’oblio porta a cancellare elementi identitari che concorrono a definire la storia della persona. Se ho avuto il cancro e ho riportato una vittoria, sarò ben contento di ricordare anche momenti poco felici. Il fatto è che non esiste il diritto alla vita felice, ma il diritto a battersi per una vita felice. Ma niente può evitare a un individuo di affrontare drammi e difficoltà inevitabili. Dobbiamo attrezzarci per imparare a combattere, dato che un soldato che non ha mai combattuto non saprà farlo nel momento vero del bisogno. È questo il vero senso del termine ‘ascesi’: esercizio, dal greco. Questo trasforma il dolore – che è cieco e insopportabile quando privo di senso – in sofferenza, quando quel dolore viene interpretato e compreso nel suo significato medico e spirituale. Come una volta scrisse un mio paziente – ha raccontato Bizzarri –, ‘se non avessi avuto un cancro sarei morto da un pezzo’. La metafora mette bene in evidenza come non di rado la malattia risvegli una consapevolezza necessaria per l’individuo e lo riporti, in qualche modo, al centro di se stesso. E al centro c’è sempre la dignità della persona e il suo diritto a compiere scelte, tra cui quella di ricevere o meno un vaccino la cui efficacia e utilità è ben lungi dall’essere stata dimostrata. Non è forse una grave contraddizione, quella della nostra società, che da un lato si batte per il diritto a ricevere la ‘buona morte’ – l’eutanasia –, ma al tempo stesso nega alla persona il diritto a rifiutare un trattamento?

(Il Giornale d'Italia, 15 giugno 2023)

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Berlusconi e Israele

di Kishore Bombaci

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La morte di Silvio Berlusconi addolora per tanti motivi, molti dei quali sono noti e già oggetto di attenzione da parte dei media di tutto il mondo.

Berlusconi e Israele
  Ma c’è un motivo – che costituisce uno dei grandi meriti dell’ex Premier – che passa in sordina e che invece deve essere divulgato in modo chiaro e palese: Silvio Berlusconi era un sincero amico di Israele e tale è rimasto sino alla fine. Se prima di lui, i Governi della Prima Repubblica avevano adottato un atteggiamento ambiguo quando non palesemente filo-arabo, con Silvio Berlusconi, il nostro Paese finalmente ha mutato radicalmente il proprio posizionamento internazionale schierandosi senza tentennamenti con lo Stato di Israele.
  Insomma, come ha giustamente ricordato Ruth Dureghello “ a lui si deve il cambio di paradigma tra l’Italia e lo Stato Ebraico”.

Israele come punto di riferimento dei liberali, nelle parole di Silvio Berlusconi
  E la Dureghello ha pienamente ragione, poiché a differenza dei personaggi politici del passato (salvo qualche rara e preziosa eccezione), Berlusconi sapeva benissimo che sostenere Israele era sostenere la democrazia in un’area – quella mediorientale – in cui prevaleva e prevale una forma di stato autocratica e antitetica ai valori liberali di cui l’ex Premier era un fiero rappresentante. E, infatti, il sostegno non è mai mancato.
  Nel 2015 così si esprimeva: “La difesa di Israele oggi più che mai è la difesa delle ragioni della libertà, della democrazia, del pluralismo civile e religioso.” e nel 2018 “Considero Israele una parte della nostra cultura e della nostra civiltà, un faro di libertà e democrazia nel Medio Oriente”. Insomma, non si può in alcun modo negare la sincera amicizia che legava Berlusconi a Israele e tale amicizia non riguardava soltanto i profili geopolitici internazionali, ma si estendeva alla piena consapevolezza della dignità, del valore e dell’importanza del popolo ebraico. Per questo fu fiero oppositore di ogni forma di antisemitismo e negazionismo, oltre che avversario irriducibile dell’antisionismo.

Fiero avversario dell’antisemitismo
  Parlando della tragedia della Shoah e riprendendo l’espressione di Gianfranco Fini, Berlusconi la definì come il male assoluto su cui non vi può essere alcun fraintendimento. E proprio perché i germi che dettero origine a quella follia totalitaria sono ancora presenti nelle nostre società, il Cavaliere invitava a non abbassare mai la guardia e a essere sempre vigili. A tal proposito richiamava l’esperienza familiare della madre che salvò una ragazza ebrea destinata a essere inviata nei campi di sterminio. Insomma, una presa di posizione netta ferma e mai messa in discussione quella del leader di Forza Italia che non per niente fu il primo leader italiano a essere inviato a parlare innanzi alla Knesset.

“Israele, grazie di esistere!”
  In quell’occasione, fra le tante cose di pregio che ebbe a dire, spiccano senza dubbio queste parole «Noi liberali vi ringraziamo per il fatto stesso di esistere» .
  Un insegnamento dunque da non perdere e che deve costituire senza alcun ombra di dubbio parte costitutiva di un centrodestra che non può non dirsi orgogliosamente filo-israeliano.

(AdHoc News, 14 giugno 2023)

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Gli “Accordi di Abramo” trainano il commercio di armi fra Israele e mondo arabo

Dati del ministero della Difesa parlano di esportazioni per 12,5 miliardi di dollari. I partner dell’accordo rappresentano il 25% circa del totale. Il dato complessivo aumentato del 50% rispetto al triennio precedente. Asia e Pacifico il 30% del mercato, seguiti dall’Europa col 29%. 

GERUSALEMME - Gli “Accordi di Abramo” continuano a trainare le esportazioni israeliane di armi, con numeri da record fra le nazioni del Golfo e nel continente asiatico. Secondo i dati del ministero della Difesa, nel 2022 lo Stato ebraico ha venduto a nazioni estere prodotti per la difesa per un valore complessivo superiore ai 12,5 miliardi di dollari. Di questi, i partner arabi (Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco e Sudan) compresi nel patto siglato nel 2020 sotto l’egida statunitense e per volere dell’amministrazione repubblicana guidata dall’allora presidente Donald Trump, rappresentano circa un quarto del totale. Già lo scorso anno l’ex titolare della Difesa Benny Gantz esaltava il “valore militare” del patto con affari per tre miliardi. 
  Secondo gli ultimi dati elaborati dal ministero, il 2022 ha segnato un aumento pari al 50% rispetto ai tre anni precedenti e un raddoppio del volume complessivo rispetto al decennio precedente. I droni militari rappresentano il 25% delle esportazioni nello scorso anno, seguiti da missili, razzi o sistemi di difesa per un valore del 19% circa.
  Pur senza specificare i nomi, fonti del dicastero affermano che il 24% delle esportazioni nel settore sono andate verso Paesi partner degli “Accordi”, che vedono in prima fila gli Emirati e il Bahrein. Allargando lo studio ai continenti, l’Asia e il Pacifico hanno rappresentato il 30% del mercato, seguiti da Europa con il 29% e Nord America con l’11%.
  Lo scorso anno Israele ha inviato in Bahrein un alto ufficiale della marina e, secondo immagini satellitari, gli Eau hanno schierato sistemi di difesa aerea israeliani Barak, a conferma ulteriore di una solida partnership. La scorsa settimana l’inviato israeliano in Marocco ha dichiarato che Elbit Systems, una delle principali aziende tecnologiche nel settore della difesa, ha in programma l’apertura di due siti in Marocco, mentre il governo valuta il riconoscimento della sovranità di Rabat sul territorio conteso del Sahara occidentale.
  Il boom delle armi mostra come i legami siano progrediti tra Israele e gli Stati arabi, nonostante le recenti tensioni in Cisgiordania e la riluttanza delle nazioni del Golfo ad aderire a un gruppo di difesa sponsorizzato da Usa e Israele, ribattezzato “Nato del Medio Oriente”. Ad una escalation degli affari va di pari passo l’aumento delle tensioni, con un alto comandante militare israeliano giunto ad affermare che “vi è più possibilità di una guerra su larga scala che mai”, in particolare con lo storico nemico iraniano.
  I timori nelle alte sfere dello Stato ebraico sono andati crescendo di pari passo con la prospettiva di un rinnovato accordo nucleare fra Washington e Teheran sul nucleare iraniano. La settimana scorsa fonti di Middle East Eye avevano ipotizzato un “patto provvisorio” fra le parti, per congelare le attività nucleari della Repubblica islamica in cambio della revoca delle sanzioni e della possibilità di vendere petrolio. In parallelo vi sono gli sforzi diplomatici del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu nella prospettiva di una normalizzazione delle relazioni con Riyadh, sebbene il regno wahhabita abbia più volte condizionato l’ingresso negli accordi a una soluzione della questione palestinese. Resta la cautela dei sauditi nel concludere, anche perché il Paese ha da tempo abbandonato la sfera di influenza (esclusiva) degli Stati Uniti per stringere accordi e cooperazione - in campo economico, diplomatico e militare - con la Cina.

(AsiaNews, 14 giugno 2023)

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Israele e Diaspora: un confronto internazionale sui grandi temi

Per quattro giorni, con conclusione dei lavori in queste ore, l’American Jewish Committee (AJC) ha riunito a Tel Aviv 1500 persone provenienti da 60 paesi per dibattere i temi di maggior attualità e interesse per l’ebraismo e Israele. I delegati hanno potuto partecipare a varie sessioni di lavoro che hanno visto anzitutto la partecipazione di alcuni grandi protagonisti della vita politica israeliana: il premier Netanyahu invia in un video un messaggio di saluto, e di persona il capo dello Stato Herzog, il ministro per la Diaspora Chikli e i leader Lapid e Gantz. Tutti gli intervenuti hanno sottolineato la vitalità della democrazia israeliana, la delicatezza del momento politico istituzionale del paese, l’importanza che la diaspora faccia sentire la sua voce. Sostegno allo Stato d’Israele e attenzione al dibattito in corso sulle possibili riforme istituzionali è stato inoltre espresso da leader politici ed ambasciatori di diversi Paesi di tutto il mondo.
  Ma il forum è stata anche l’occasione per approfondire temi che riguardano l’ebraismo in generale: la lotta all’antisemitismo, con la partecipazione straordinaria dei principali leader mondiali che si occupano del problema, gli accordi di Abramo, le relazioni tra Usa, India e Israele, il rapporto tra Israele e la diaspora e tra Israele e l’Africa, oltre al conflitto mediorientale.
  Nella terza giornata di lavori sono state inoltre organizzate diverse gite a tema: innovazione tecnologica a servizio dell’agricoltura, arte, cultura, scienza, immigrazione e integrazione sociale, storia beduina, tradizione e modernità nella società haredi, attualità del sionismo. Tra i riconoscimenti che l’AJC ha voluto attribuire da segnalare quello ai giovani giuristi che contrastano l’antisemitismo e a una famiglia arabo israeliana che si è distinta nella difesa dello Stato d’Israele, perdendo molti dei suoi membri. L’AJC Global Forum, come evidenziato dai partecipanti, ha rappresentato un’opportunità straordinaria per creare relazioni internazionali tra associazioni, organismi e istituzioni ebraiche.
  Tra i presenti, hanno seguito i lavori congressuali il vicepresidente UCEI Milo Hasbani, l’assessore UCEI Davide Jona Falco, la presidente Ecjc Claudia Fellus, il sindaco di Pescara Carlo Masci e alcuni delegati dell’Unione Giovani Ebrei d’Italia, con il presidente David Fiorentini.

(moked, 14 giugno 2023)

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Sinagoga di Casale Monferrato: due appuntamenti

“La Bibbia illustrata di Paolo Novelli”, “Il fagotto e la tradizione ebraica”

Doppio appuntamenti domenica 18 giugno nel complesso Ebraico di Vicolo Salomone Olper a Casale Monferrato. Si comincia al mattino parlando di arti visive con l’inaugurazione, alle 11.30, della mostra La Bibbia illustrata di Paolo Novelli”, che viene presentata dal noto artista casalese (ma ormai conosciuto in tutto il mondo), insieme alla Curatrice del Museo dei Lumi Daria Carmi. La storia di queste tavole comincia nel 2007, quando Novelli realizzò per la Fondazione Casale Ebraica ETS una serie di illustrazioni su carta dedicate ai temi fondamentali della Bibbia ebraica.
  Ora le opere vengono nuovamente esposte al pubblico a distanza di sedici anni, in occasione dell’anniversario dell’inserimento del Monferrato nella Lista dei siti Patrimonio dell’Umanità insieme a Langhe e Roero avvenuta il 22 Giugno 2014. Sono dipinti che ritraggono i principali personaggi biblici: “Adamo ed Eva”, “Mosè divide le acque”, “L’arca di Noè” e recano in sé la domanda “Può un artista dichiaratamente ateo trattare temi religiosi senza sottovalutarli?”. Nel caso di Paolo Novelli la risposta è sì ed è lui stesso ad illustrarla: “Agisco nel rispetto della Sapienza antica e della millenaria tradizione religiosa del popolo ebraico; un popolo che per secoli è stato ingiustamente calunniato ed oppresso, come dimostra ampiamente il grande storico ebreo Hyam Maccoby.” La mostra sarà aperta fino al 3 Settembre.
  Il pomeriggio di domenica 18 giugno, alle 17, vede un altro appuntamento di “Musica nel complesso Ebraico”, la rassegna creata dal compositore Giulio Castagnoli che porta brani e autori legati alla tradizione di questo luogo. Questo terzo concerto del 2023 si intitola “Il fagotto e la tradizione ebraica” e ha per esecutori Erica Patrucco, violoncello, Franco Taulino, fagotto e lo stesso Giulio Castagnoli al clavicembalo.
  Il programma è estremamente originale e prevede anche una prima assoluta: si comincia con un autore barocco poco conosciuto Johann Ernst Galliard (1680 ca.- 1747) del quale ascolteremo la Sonata Prima per fagotto e continuo, si prosegue con Baldassarre Galuppi (1706 - 1785) e la Sonata Quinta in Do maggiore per clavicembalo solo, poi di Mozart (1756 -1791) l’Allegro dalla Sonata KV 292 per fagotto e violoncello e di Jacques Offenbach (nato Jakob Levy Eberst, 1819-1880) i Tre duetti per violoncello e fagotto.
  Conclude in concerto la prima esecuzione di Tre intonazioni ebraiche (2023) per fagotto, violoncello e clavicembalo dello stesso Castagnoli. Tre brani che usano come fonte i canti di tre luoghi dell’ebraismo: dalla Spagna sefardita arriva Sha’ar asher nisgar, dalla tradizione tedesca Castagnoli utilizza due versioni sovrapposte di Shofet kol haaretz e infine per rappresentare la tradizione degli ebrei monferrini il compositore usa il materiale di “Alenu lesabeach leadon hakol, canto raccolto dall’etnomusicologo Leo Levi da Florio Foa a Moncalvo, nel 1954.

(Il Monferrato, 14 giugno 2023)

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Israele, sommozzatori recuperano 120 kg di rifiuti dai fondali

di Jacqueline Sermoneta

Ha preso il via il programma “Clean Beach” in Israele. Il progetto, promosso dal Ministero della Protezione ambientale, ha l’obiettivo di contrastare l’accumulo dei rifiuti attraverso un’opera di pulizia dei fondali del Mar Mediterraneo e del Golfo di Eilat.
  Come riporta il Jerusalem Post, cinquantacinque sommozzatori hanno partecipato alle operazioni di bonifica. Grazie alle prime immersioni, svolte lo scorso 8 giugno a Givat Alya e a Jaffa in occasione della Giornata mondiale degli oceani, sono stati raccolti circa 120 chilogrammi di materiale come plastica, involucri alimentari monouso e lattine.
  “Ogni anno sosteniamo le immersioni per liberare i fondali dai rifiuti e cerchiamo di sensibilizzare per mantenere pulite le spiagge – ha detto Idit Silman, ministro della Protezione ambientale – I primi risultati mostrano ancora una volta ciò che già tutti sappiamo: i rifiuti di plastica che le persone lasciano inquinano non solo le spiagge ma il mare stesso”.
  La campagna di pulizia si svolgerà per tutto il mese di giugno e sarà coordinata dalla Sea Guard della Israel Diving Association in collaborazione con la Nature and Parks Authority. I dati raccolti dalle immersioni saranno utilizzati per comprendere la provenienza dei rifiuti e per trovare delle soluzioni, oltre che per sensibilizzare sul problema ambientale.
  Il 2023 segna il 18esimo anno del progetto. Secondo una recente ricerca dell’Università di Tel Aviv la costa israeliana è contaminata da oltre due tonnellate di microplastiche pericolose per l’ambiente e per la salute.

(Shalom, 14 giugno 2023)
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Molto bene naturalmente. Ma sembra che la sensibilità sul problema ambientale cresca in proporzione inversa alla sensibilità sul problema morale. Non solo in Israele naturalmente. M.C.

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L’economia mondiale sta cambiando e la Cina sta vincendo

Mentre la Cina sta vincendo la guerra economia con gli Stati Uniti e i Paesi BRICS superano il PIL totale del G7, si scopre un altro motivo per cui le sanzioni contro Russia, Iran e altri non funzionano.

di Richard Wolff*

Il 2020 ha segnato la parità tra il PIL totale del G7 (Stati Uniti e alleati) e il PIL totale del gruppo BRICS (Cina e alleati). Da allora, le economie dei BRICS sono cresciute più velocemente di quelle del G7. Ora un terzo della produzione mondiale totale proviene dai Paesi BRICS, mentre il G7 rappresenta meno del 30%.
  Al di là dell’ovvio simbolismo, questa differenza comporta reali conseguenze politiche, culturali ed economiche. Portare l’ucraino Zelenskyy a Hiroshima per parlare al G7 non è servito a distogliere l’attenzione del G7 dall’enorme questione globale: cosa sta crescendo nell’economia mondiale e cosa sta diminuendo.
  L’evidente fallimento della guerra delle sanzioni economiche contro la Russia offre un’ulteriore prova della forza relativa dell’alleanza dei BRICS. Questa alleanza ora può e offre alle nazioni delle alternative all’accomodamento delle richieste e delle pressioni del G7, un tempo egemone.
  Gli sforzi di quest’ultimo per isolare la Russia sembrano essersi rivelati un boomerang e hanno invece messo in luce il relativo isolamento del G7. Persino il presidente francese Macron si è chiesto ad alta voce se la Francia non stia puntando sul cavallo sbagliato nella corsa economica tra G7 e BRICS che si è svolta sotto la superficie della guerra in Ucraina. Forse i precursori di questa gara, meno sviluppati, hanno influenzato le fallimentari guerre terrestri degli Stati Uniti in Asia, dalla Corea al Vietnam, fino all’Afghanistan e all’Iraq.
  La Cina compete sempre più apertamente con gli Stati Uniti e i suoi alleati internazionali (FMI e Banca Mondiale) nei prestiti allo sviluppo del Sud globale. Il G7 attacca i cinesi, accusandoli di replicare i prestiti predatori per i quali il colonialismo era e il neocolonialismo del G7 è giustamente famigerato. Gli attacchi hanno avuto scarso effetto, vista la necessità di tali prestiti che spinge i Paesi in via di Sviluppo ad accogliere le politiche di prestito della Cina.
  Il tempo dirà se lo spostamento della collaborazione economica dal G7 alla Cina lascerà alle spalle secoli di prestiti predatori. Nel frattempo, i cambiamenti politici e culturali che accompagnano le attività economiche globali della Cina sono già evidenti: ad esempio, la neutralità delle nazioni africane nei confronti della guerra Ucraina-Russia nonostante le pressioni del G7.
  La de-dollarizzazione rappresenta un’altra dimensione degli ormai rapidi riallineamenti dell’economia mondiale. Dal 2000, la percentuale delle riserve valutarie delle banche centrali detenute in dollari si è dimezzata. Il declino continua. Ogni settimana arrivano notizie di paesi che tagliano i pagamenti commerciali e di investimento in dollari USA a favore di pagamenti in valuta propria o in valute diverse dal dollaro USA. L’Arabia Saudita sta chiudendo il sistema dei petrodollari che sosteneva in modo cruciale il dollaro americano come valuta globale preminente. La riduzione della dipendenza globale dal dollaro americano riduce anche i dollari disponibili per i prestiti al governo degli Stati Uniti per finanziare i suoi debiti. Gli effetti a lungo termine di questa situazione, soprattutto se si considera che il governo degli Stati Uniti ha un immenso deficit di bilancio, saranno probabilmente significativi.
  La Cina ha recentemente mediato il riavvicinamento tra i nemici Iran e Arabia Saudita. Fingere che questo processo di pace sia insignificante è un’illusione. La Cina può e probabilmente continuerà a fare la pace per due motivi fondamentali. In primo luogo, ha risorse (prestiti, accordi commerciali, investimenti) da impegnare per addolcire gli accordi tra avversari. In secondo luogo, l’incredibile crescita della Cina negli ultimi tre decenni è stata realizzata nell’ambito e per mezzo di un regime globale per lo più di pace. Le guerre di allora erano per lo più limitate a specifiche località asiatiche molto povere. Queste guerre hanno interrotto in minima parte il commercio mondiale e i flussi di capitale che hanno arricchito la Cina.
  La globalizzazione neoliberista ha avvantaggiato la Cina in modo sproporzionato. La Cina e i Paesi BRICS hanno quindi sostituito gli Stati Uniti come paladini del mantenimento di un regime globale di libero scambio e di circolazione dei capitali ampiamente definito. La risoluzione dei conflitti, soprattutto nel controverso Medio Oriente, consente alla Cina di promuovere l’economia mondiale pacifica in cui ha prosperato. Al contrario, il nazionalismo economico (guerre commerciali, politiche tariffarie, sanzioni mirate, ecc.) perseguito da Trump e Biden ha colpito la Cina come una minaccia e un pericolo. In reazione, la Cina è stata in grado di mobilitare molte altre nazioni per resistere e opporsi alle politiche degli Stati Uniti e del G7 in vari forum globali.
  La fonte della notevole crescita economica della Cina – e la chiave della sfida ora vinta dai Paesi BRICS al dominio economico globale del G7 – è stata il suo modello economico ibrido. La Cina si è distaccata dal modello sovietico non organizzando l’industria come un’impresa principalmente di proprietà statale e gestita dallo Stato. Si è distaccata dal modello statunitense non organizzando le industrie come imprese di proprietà e gestione privata. Ha invece organizzato un ibrido che combina imprese statali e private sotto la supervisione politica e il controllo finale del Partito Comunista Cinese. Questa struttura macroeconomica ibrida ha permesso alla crescita economica cinese di superare sia l’URSS che gli Stati Uniti. Sia le imprese private che quelle statali cinesi organizzano i loro posti di lavoro – il micro-livello dei loro sistemi produttivi – nelle strutture di datore di lavoro e dipendente esemplificate dalle imprese pubbliche sovietiche e da quelle private statunitensi. La Cina non si è distaccata da queste strutture microeconomiche.
  Se definiamo il capitalismo proprio come quella particolare struttura microeconomica (datore di lavoro-impiegato, lavoro salariato, ecc.), possiamo differenziarlo dalle strutture microeconomiche padrone-schiavo o signore-servo dei luoghi di lavoro schiavistici e feudali. Seguendo questa definizione, la Cina ha costruito un capitalismo ibrido tra Stato e privato, gestito da un partito comunista. Si tratta di una struttura di classe piuttosto originale e particolare, designata dall’autodescrizione della nazione come “socialismo con caratteristiche cinesi”. Questa struttura di classe ha dimostrato la sua superiorità rispetto all’URSS e al G7 in termini di tassi di crescita economica e di sviluppo tecnologico indipendente. La Cina è diventata il primo concorrente sistemico e globale che gli Stati Uniti hanno dovuto affrontare nell’ultimo secolo.
  Lenin una volta si riferì alla prima URSS come a un “capitalismo di Stato” sfidato dal compito di compiere un’ulteriore transizione verso il socialismo post-capitalista. Xi Jinping potrebbe riferirsi alla Cina di oggi come a un capitalismo ibrido Stato-più-privato, che si trova a dover affrontare il compito di navigare verso un vero e proprio socialismo post-capitalista. Ciò comporterebbe e richiederebbe una transizione dalla struttura del posto di lavoro del datore di lavoro al dipendente alla struttura microeconomica alternativa democratica: una comunità cooperativa sul posto di lavoro o un’impresa autogestita dai lavoratori. L’URSS non ha mai compiuto questa transizione. Seguono due domande chiave per la Cina: Può farlo? E lo farà?
  Anche gli Stati Uniti si trovano di fronte a due domande fondamentali. In primo luogo, per quanto tempo ancora la maggior parte dei leader statunitensi continuerà a negare il proprio declino economico e globale, agendo come se la posizione degli Stati Uniti non fosse cambiata dagli anni ’70 e ’80? In secondo luogo, come si può spiegare il comportamento di questi leader quando le grandi maggioranze americane riconoscono questi declini come tendenze in atto nel lungo periodo? Un sondaggio casuale del Pew Research Center, condotto tra gli americani tra il 27 marzo e il 2 aprile 2023, ha chiesto quale fosse la situazione degli Stati Uniti nel 2050 rispetto a quella attuale. Circa il 66% prevede che l’economia statunitense sarà più debole. Il 71% prevede che gli Stati Uniti saranno meno importanti nel mondo. Il 77% prevede che gli Stati Uniti saranno più divisi politicamente. L’81% prevede che il divario tra ricchi e poveri aumenterà. I cittadini percepiscono chiaramente ciò che i loro leader negano disperatamente. Questa differenza perseguita la politica degli Stati Uniti.
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* Richard Wolff è autore di Capitalism Hits the Fan e Capitalism's Crisis Deepens. È fondatore di Democracy at Work

(Rights Reporter, 14 giugno 2023)
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E' singolare la pubblicazione di un articolo come questo in un sito che ha sempre appoggiato con impeto la "guerra santa" della Nato a trazione Usa contro la diabolica Russia di Wladimir Putin. Adesso si scopre che "gli sforzi per isolare la Russia sembrano essersi rivelati un boomerang" e che "sotto la superficie della guerra in Ucraina" ci sia una guerra economica mondiale i cui effetti negativi gli Stati Uniti ora cercano di scaricare su altri stati dell'area occidentale. Dopo la disfatta nazista nella battaglia di Stalingrado la seconda guerra mondiale è durata altri due anni, aumentando a dismisura morti e macerie. Quanto durerà la battaglia di Kiev prima che la sconfitta degli Usa nella loro smania di governare il mondo diventi evidente, e morti e macerie continuino ad accumularsi? M.C.

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Mondiale U20, terzo posto per Israele

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La nazionale israeliana chiude la prima partecipazione al Mondiale Under 20 con uno storico terzo posto.
  Ad alzare la Coppa del Mondo è l’Uruguay, che ha battuto l’Italia 1-0 allo stadio ‘Diego Armando Maradona’ di La Plata, in Argentina. È il primo successo per la squadra uruguaiana dopo le finali perse nel 1997 e nel 2013.
  I ragazzi del ct Ofir Haim, dopo aver sconfitto il Brasile ai quarti, hanno subìto una battuta d’arresto, arrendendosi in semifinale all’Uruguay per 1-0.
  Nella ‘finalina’ contro i coreani, ad aprire le marcature è stato il centrocampista israeliano Ran Binyamin. Quattro minuti dopo è arrivato il pareggio del coreano Seung-Won Lee. A suggellare la vittoria, i gol firmati da Senior e Khalaili nel secondo tempo. Israele batte così la Corea del Sud 3-1.
  “Congratulazioni alla squadra di calcio giovanile israeliana per il risultato storico: il terzo posto al Mondiale! – ha commentato il presidente Isaac Herzog alla fine del match - Si è concluso un viaggio meraviglioso ed entusiasmante e siamo tutti orgogliosi di voi”.
  Il torneo si è svolto in Argentina dopo che l’Indonesia, inizialmente Paese ospitante, ha rifiutato la partecipazione della delegazione israeliana per motivi politici. La FIFA ha risposto cambiando sede ed escludendo la squadra di Giacarta dal Mondiale.

(Shalom, 13 giugno 2023)

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Marocco, Sahara occidentale. «Gerusalemme riconoscerà la sovranità di Rabat» sul territorio conteso

Secondo il presidente della Knesset israeliana

Il presidente della Knesset (il parlamento israeliano) Amir Ohana ha proseguito la sua visita ufficiale nel Regno nordafricano incontrando il suo omologo marocchino, Rachid Talbi El Alami. Egli gli avrebbe assicurato che le discussioni relative al riconoscimento da parte dello Stato ebraico della sovranità marocchina sul Sahara occidentale sono avviate e, inoltre, che «ritiene che Israele presto annuncerà la sua decisione in tal senso».
  Nel corso della sua visita, la prima visita di un presidente della Knesset al parlamento marocchino, Ohana ha dichiarato che «si tratta di un momento storico per me come presidente della Knesset e come figlio di marocchini. Sta sorgendo una nuova era nelle relazioni tra i nostri due Stati. La cooperazione politica, di sicurezza, civile e parlamentare è al suo apice.
  Questa storica visita e la firma di un memorandum d’intesa tra i parlamenti apre la strada all’approfondimento dei rapporti tra i due Paesi e alla conversione delle nostre rappresentanze in ambasciate».
  Dal canto suo El Alami ha replicato che «il Marocco è il primo stato musulmano che ha avuto il coraggio di invitare il presidente del parlamento israeliano», aggiungendo che: «La tua venuta è un grande onore per me, rappresenta un passo importante per il futuro della pace in Medio Oriente. Non è stato facile fare un invito del genere, ma la storia è scritta da persone coraggiose».

(Insidertrend, 13 giugno 2023)

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Hezbollah: se Israele commette errori entreremo in Galilea

“Hezbollah diventerà ogni giorno più forte finché esisterà Israele e la lotta continuerà fino all’annientamento di Israele”. Parole del capo del consiglio esecutivo di Hezbollah.  Più chiaro di così! NsI

In un’intervista al quotidiano iraniano Tasnim, il capo del consiglio esecutivo di Hezbollah, Sua Eminenza Sayyed Hashem Safieddine, ha fatto importanti osservazioni sulla situazione regionale e sulla lotta tra la Resistenza e l’entità israeliana.
  Sayyed Safieddine ha indicato una recente esercitazione che l’Unità Speciale di Radwan ha svolto il 25 maggio in occasione dell’anniversario della Giornata della Resistenza e della Liberazione, osservando che il Segretario Generale di Hezbollah, Sua Eminenza Sayyed Hassan Nasrallah, ha ripetutamente avvertito che “se Israele commette errori di calcolo, i nostri missili colpiranno Tel Aviv e l’Unità Radwan entrerà in Galilea”.
  “Il messaggio è chiaro: siamo sempre preparati per qualsiasi cosa di cui abbiamo parlato finora, che si tratti dell’Unità Radwan, dell’ingresso in Galilea o di un sogno grande e determinante. Non fa differenza. Questo è un messaggio serio e de facto, non una parola vuota”, ha aggiunto Sua Eminenza.
  Il funzionario di Hezbollah ha sottolineato che il gruppo della Resistenza è stato formato per distruggere l’entità israeliana, sottolineando che Hezbollah diventerà ogni giorno più forte finché esisterà Israele e la lotta continuerà fino all’annientamento di Israele.

• Conflitti interni in Israele
  Sua Eminenza ha anche commentato i conflitti interni e le crisi nei territori occupati, che Sayyed Nasrallah ha descritto come fratricidio sionista, e la possibilità dello scoppio di una guerra civile tra i sionisti. “La comunità israeliana è crollata dall’interno. Non hanno più leader storici. I loro attuali leader sono leader meschini noti per la corruzione e il furto. Alcuni hanno precedenti penali e altri finiranno in prigione”.
  Descrivendo questi sviluppi come parte della realtà dell’esistenza sociale al collasso del regime israeliano, il capo del Consiglio esecutivo di Hezbollah ha affermato che la realtà sul terreno porta i residenti dei territori occupati a concludere che hanno un governo transitorio e la loro residenza in quei territori sarebbe temporanea e di breve durata.

• Accordo di Pechino
  Ha anche parlato dell’accordo di Pechino sul ripristino delle relazioni tra Iran e Arabia Saudita, aggiungendo: “L’Iran era potente prima dell’accordo di Pechino, ed è più potente e forte dopo di esso. Il ripristino dei legami tra Iran e Arabia Saudita è nell’interesse del mondo islamico e arabo. Quello che è successo a Pechino va contro gli interessi degli Stati Uniti e di Israele”.
  Riguardo al recente avventurismo dell’entità israeliana in alcuni Paesi vicini all’Iran e alle sue relazioni esplicite con l’opposizione anti-iraniana, Sua Eminenza ha dichiarato: “Quando abbiamo visto che il figlio di Pahlavi era in Israele, abbiamo riso molto e ci siamo resi conto di quanto sia debole Israele. Penso che il popolo iraniano lo sappia meglio di me; è molto ridicolo quando un regime come Israele ospita il figlio di Pahlavi per usarlo. Perché, naturalmente, il lato debole ha bisogno di un lato forte per diventare forte, non di un lato molto più debole”.
  Ha anche sottolineato che le nazioni regionali sono ora diventate più consapevoli e si sono rese conto che il Paese che si sacrifica e si batte per le questioni del mondo musulmano e arabo è la Repubblica Islamica dell’Iran. “Quello che è successo negli ultimi 40 anni è che Israele ha cercato di nascondere e distorcere questa realtà. Ciò che gli Stati Uniti e Israele hanno fatto in questi anni è stato creare sedizione tra sunniti e sciiti, creare l’Isil e poi distorcere il volto dell’Iran affermando che l’Iran vuole dominare il mondo musulmano e mondo arabo. La natura di tutte queste distorsioni è diventata chiara alle nazioni regionali”.

• Hezbollah condanna i crimini americani
  Sayyed Safieddine ha denunciato il dollaro Usa e le sanzioni come strumenti dei crimini americani. Ha anche sottolineato il terrorismo economico del governo degli Stati Uniti contro le nazioni della regione, affermando che Washington commette un atto criminale quando usa il dollaro per imporre pressioni.
  “In precedenza, c’è stata una riunione del Congresso degli Stati Uniti sulla regione e il fulcro delle discussioni erano gli stretti e le acque della regione. Hanno sottolineato che devono mantenere queste aree sotto il loro controllo. Hanno detto che non permetteranno all’Iran di averli. Ecco perché fanno morire di fame il popolo dello Yemen, dell’Iraq e del Libano. Fanno la stessa cosa con i palestinesi a Gaza. Anche in Cisgiordania la situazione è spaventosa per la fornitura di generi alimentari di base”, ha dichiarato Safieddine.
  L’alto funzionario ha inoltre sottolineato che la soluzione ai problemi esistenti nel sistema politico libanese e alla crisi dell’elezione del presidente della Repubblica richiederebbe un compromesso libanese-libanese, additando l’interferenza delle ambasciate di alcuni governi stranieri come la causa principale del ritardo di un accordo tra i gruppi libanesi.

(l Faro sul Mondo, 13 giugno 2023)

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Una domanda europea elevata per le carote israeliane

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La domanda europea di carote di dimensioni più grandi provenienti da Israele è molto alta in questa stagione. Nel Paese manca ancora un mese e mezzo alla fine della campagna. Le nazioni dell'Europa meridionale stanno iniziando a raccogliere carote, ma hanno soprattutto ortaggi di dimensioni più piccole provenienti dal nuovo raccolto. Amir Porat, amministratore delegato di Gezer Shluhot, uno dei maggiori coltivatori ed esportatori di carote israeliani, afferma di essere felice di soddisfare la domanda insolitamente più alta dell'Europa.
  "Il 2023 è una stagione unica e a richiesta elevata, soprattutto da parte del mercato europeo. È diversa da quella dell'anno precedente. I produttori europei hanno iniziato a raccogliere soprattutto carote più piccole quest'anno, mentre la domanda di ortaggi grandi è ancora presente. Per quanto riguarda le carote di medie dimensioni, la produzione locale europea vedrà aumentare i volumi di settimana in settimana. Siccome l'Europa richiede principalmente carote di grandi dimensioni, in Israele la produzione terminerà tra circa quattro o sei settimane", spiega Porat.
  "Gezer Shluhot può fornire carote di buona qualità fino alla fine della campagna. Saremo il principale esportatore durante le ultime settimane, perché ci troviamo nella parte settentrionale di Israele, il che ci rende unici ed è ciò per cui siamo conosciuti. I produttori del sud di Israele hanno terminato la raccolta. Nel corso del prossimo mese, quando nel Paese terminerà la stagione delle carote, vedremo che verranno raccolte sempre più ortaggi europei locali".
  Porat è sollevato dal fatto che questa stagione si sia rivelata soddisfacente rispetto all'anno scorso, che descrive come una campagna negativa. "Nei prossimi mesi vedremo sempre più produzione locale europea che sostituirà le carote israeliane importate. Gezer Shluhot continuerà a fornire le proprie carote tardive, che crescono in terreni pesanti nella parte settentrionale di Israele, con dimensioni prevalentemente grandi e di ottima qualità", conclude Porat.

(FreshPlaza, 13 giugno 2023)

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Con lui il Paese cambiò la politica su Israele. La Knesset pianse per il suo intervento

Il ricordo di chi accompagnò Berlusconi nello storico viaggio del 2010 che rivoluzionò un rapporto fino ad allora ambiguo. Con un discorso memorabile

di Fiamma Nirenstein

Su un piccolo aereo al seguito del più grande cambiamento della politica italiana verso Israele, accompagnai Berlusconi nel suo viaggio verso la Knesset nel febbraio del 2010. Incontrammo le felicitazioni di Netanyahu e di Shimon Peres: non c'era differenza politica nel riconoscere che Berlusconi era un Europeo diverso, appassionato del popolo ebraico, rivoluzionario rispetto alla politica europea, sospettosa, filoaraba. Ero allora Vicepresidente della Commissione Esteri, nella breve vacanza dal mio lavoro di giornalista in cui sono stata membro del Parlamento italiano. Berlusconi cambiava la storia. L'intervento che preparò lo rilesse prima Giuliano Ferrara, inventore di una grande manifestazione di entusiasmo per Israele e poi lo rilessi anche io, e se racconto in prima persona è perché oggi purtroppo è il giorno adatto a commuoversi ricordando un attore così importante e discusso della politica italiana.
  Sugli ebrei e il loro Stato, dopo decenni di giravolte sospette da parte della Democrazia Cristiana andreottiana, e dopo gli atteggiamenti filopalestinesi da Guerra Fredda della sinistra italiana, compreso Bettino Craxi che fece pagare a Israele il suo distacco dalla sinistra italiana, Berlusconi fu illuminato dalla sua posizione di conservatore liberale e atlantista. Con Israele fu se stesso, sapeva che gli ebrei erano nati là, cosa avevano sofferto e che non avevano a che fare con nessuna accusa di colonialismo. La Knesset ascoltandolo aveva le lacrime agli occhi, finalmente un leader europeo fu capace di stabilire con precisione l'indispensabilità dello Stato Ebraico, la sua speranza che entrasse un giorno a far parte dell'Unione Europea (speranza su cui Marco Pannella insistette fino alla fine), la sua ammirazione: «Noi liberali vi ringraziamo per il fatto stesso di esistere» disse agli israeliani chiamandoli, come Giovanni Paolo, «fratelli maggiori».
  E sottolineò come Israele risultasse intollerabile ai fanatici, e quindi ai terroristi di tutto il mondo, proprio perché dimostrava che «esiste una possibilità di far vivere la democrazia anche fuori dei confini dell'Occidente». Berlusconi in quel viaggio e nella sua politica non si limitò a esclamazioni ma promise di ottenere «senza perdere tempo» e con «impegno quotidiano, sanzioni contro l'Iran che vuole l'atomica per distruggerlo». Questo era parlar chiaro. Berlusconi cambiò la strada dell'Italia invertendone la politica spinto dalla questione essenziale di un necessario fronte democratico e occidentale al tempo del terrorismo, e quindi decisamente filoamericano oltre che filoisraeliano. Berlusconi riuscì a mantenere un atteggiamento forte e dignitoso: l'Italia aveva combattuto a livello mondiale la sua lotta contro il terrorismo.
  Bush, Aznar, Blair e anche Putin, furono allora compagni di strada. L'Italia di Berlusconi tentava strade europee proprie, che evitassero lo scontro con l'asse Franco-tedesco ma ne fossero consapevoli; che nel mondo stringessero migliori patti con gli Stati Uniti anche sul terreno militare. Sgominare la prepotenza di Saddam Hussein e delle fonti di terrorismo, promuovendo la sicurezza del medio Oriente con un profondo accordo con l'unica democrazia, Israele, gli apparve una strada naturale. Fu nel suo periodo che Gianfranco Fini, uomo di destra e presidente della Camera, impegnandosi a porre fine all'eredità ideologica antiebraica, compì una visita storica a Gerusalemme inginocchiandosi al Museo della Shoah, Yad va Shem. Berlusconi fu accolto con stupore e amicizia: era il primo europeo che, pur andando a trovare Abu Mazen, ripeté la sua fede assoluta nella necessità che gli ebrei avessero il loro Stato. Ripeteva sovente, e ho l'onore di aver udito più volte questo racconto, come sua madre Rosa, avesse salvato a rischio della sua propria vita una ragazza ebrea in viaggio su un treno.
  Berlusconi amava raccontare, era un vulcano di idee. Durante i miei 5 anni alla Camera ho potuto formare col suo consenso la prima Commissione contro l'antisemitismo mai avuta dal Parlamento e il primo Comitato Interparlamentare fra Camera e Knesset. Ascoltava, incitava a mettere in pratica le idee, correva via, passava ad altro, a volte raccontava prima di andarsene una delle sue barzellette. Io lo pregavo rispettosamente di evitare quelle sugli ebrei, anche se erano certo innocenti. Non mi dava retta.

(il Giornale, 13 giugno 2023)

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Da Israele a Boffalora sopra Ticino: un evento straordinario

di Anpi Magenta

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Un evento straordinario, sia per la sua tempistica organizzativa, dovuta a una richiesta “dell’ultimo minuto”, sia (soprattutto) per gli ospiti e il contenuto, ha avuto luogo il 6 giugno 2023, alle 17, presso Villa La Fagiana di Boffalora Sopra Ticino (MI), in Località Madonnina (Ponte del Ticino).
  Si è trattato di un incontro con un gruppo di israeliani, in Italia in un “viaggio della Memoria”, per una visita guidata a quello che fu il sito del Campo A per l’Aliyah Bet 1945-’48 di Boffalora Sopra Ticino (noto come “di Magenta”). Cioè del principale (per dirigenza e funzione) Campo-profughi ebrei sopravvissuti alla Shoah, esistente in quegli anni sul suolo nazionale, finalizzato alla loro partenza verso la Palestina mandataria.
  Un’operazione clandestina quella dell’Aliyah Bet: dal ’39 fino alla nascita di Israele, infatti, gli amministratori inglesi sbarrarono le porte della Palestina agli ebrei. L’Aliyah Bet del dopoguerra – da Germania, Austria e Italia – fu di 70.000 persone, di cui 25.000-30.000 solo dall’Italia, mentre altri 180.000 profughi ebrei partirono in modo ufficiale dai Campi UNRRA, per Canada, Stati Uniti o Inghilterra.
  A organizzare e a condurre l’iniziativa, l’ANPI di Magenta, che ha esteso l’invito alla partecipazione al Parco del Ticino e ai Comuni di Boffalora Sopra Ticino e di Magenta, oltre che ai rappresentanti del Percorso della Memoria Diffusa (ANPI Prov. Milano, Ass. Raggrupp. Divisioni Patrioti Alfredo Di Dio – Fivl, Ecoistituto Valle Ticino), gruppo promotore della stele alla Memoria del Campo A, inaugurata l’11 settembre 2022, e a quelli del Gruppo Ricerca Campo A Magenta 2014-2017 (ANPI Magenta fa parte di entrambi i gruppi).
  L’eccezionalità dell’incontro è stata la presenza, fra i diciassette visitatori da Israele, di alcuni eredi di questa Memoria, figli di militari che furono operativi nel Campo A. Inoltre, la partecipazione di Aldo Li Gobbi, figlio del Gen. Alberto Li Gobbi, ufficiale (allora Capitano) dell’esercito che dopo l’8 Settembre si unì alla Resistenza, e che nel dopoguerra fu parte attiva dell’operazione Aliyah Bet. E quella di Asher Diamant, figlio di una signora di Magenta e di un militare del Campo A.
  Con gli ospiti da Israele, un’interprete, che ha agevolato notevolmente il percorso di spiegazione.
  La visita, dopo i saluti e un’introduzione storica da parte del capogruppo, Col. Benny Michelsohn, Presidente della Commissione di Storia militare israeliana, ha avuto inizio negli spazi privati di Villa La Fagiana, aperti nell’occasione dal proprietario, che con la consueta cortesia e disponibilità verso l’ANPI ha fatto accoglienza.
  Il gruppo si è poi trasferito all’esterno, presso la stele, il cui testo a fronte in inglese è stato letto con attenzione dai visitatori.
  A conclusione, l’intervento di Elisabetta Bozzi, Vicepresidente dell’ANPI di Magenta che, a completamento del quadro storico, ha sottolineato il sostegno morale e fattivo del CLN all’operazione Aliyah Bet del dopoguerra, raccontando così l’intreccio di due storie di Resistenza. Esprimendo inoltre gratitudine alla Brigata Ebraica, per il contributo alla nostra Liberazione, e ricordandone i caduti seppelliti a Piangipane, nel Ravennate.
  Un opuscolo dall’emblematico titolo, Il Ponte, curato da ANPI Magenta in versione italiana e inglese, che oltre alla storia del Campo A riporta quella della Resistenza nel Magentino e del ponte napoleonico sovrastante il sito, è stato donato ai presenti.

(Bet Magazine Mosaico, 13 giugno 2023)

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Berlusconi morto, da Israele il commosso messaggio di Netanyahu : “Rip amico mio”

L'omaggio su Twitter del Primo Ministro Netanyahu dopo la morte del Presidente del Consiglio Berlusconi

di Ilaria Calabrò

Il Primo Ministro Netanyahu ha reso omaggio sul suo account Twitter ufficiale all’ex Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi:
    “Sono stato profondamente addolorato per la morte dell’ex Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi. Invio le mie condoglianze alla sua famiglia e a i cittadini italiani. Silvio è stato un grande amico d’Israele ed è stato sempre al nostro fianco. Riposa in Pace amico mio”.
(strettoweb, 12 giugno 2023)

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È morto Silvio Berlusconi, leader italiano amico degli ebrei e di Israele

di Ugo Volli

• Il pensiero di Berlusconi su Israele e il popolo ebraico
  “La difesa di Israele oggi più che mai è la difesa delle ragioni della libertà, della democrazia, del pluralismo civile e religioso.” (19 ottobre 2015) “Considero Israele una parte della nostra cultura e della nostra civiltà, un faro di libertà e democrazia nel Medio Oriente.” (8 gennaio 2018) "Siamo qui per testimoniare l'amore, la vicinanza e la volontà di collaborare. Il mio sogno è annoverare Israele tra i Paesi dell'Unione europea". “(4 febbraio 2010) "Non si può mettere in dubbio la nostra e la mia personale coerenza su un tema di straordinario valore morale e civile come l'amicizia con il popolo ebraico e lo Stato d'Israele. [... Da qui] la nostra radicale opposizione ad ogni forma di antisemitismo vecchio e nuovo, un pericolo che io stesso tante volte ho denunciato [perché la Shoà] è stato il male assoluto, sul quale non è tollerabile alcun revisionismo, negazionismo o sottovalutazione: su questi temi, e sulla nostra fermissima opposizione ad ogni intolleranza e ad ogni totalitarismo di destra come di sinistra, la nostra storia parla per noi. Ho imparato questo valore, il grande valore della libertà, da mio padre, esule in Svizzera per non essere arrestato dai nazifascisti, e da mia madre che, incinta, rischiò la vita per sottrarre a un soldato nazista una donna ebrea destinata ai campi di sterminio" (novembre 2019).

• Un amico sincero
  Sono queste alcune delle numerose dichiarazioni di amicizia che Berlusconi ha fatto durante la sua vita politica nei confronti di Israele e del popolo ebraico, che gli sono state riconosciute costantemente dall’ebraismo italiano e anche da Israele. Lo dice bene la dichiarazione della presidente della Comunità di Roma, Ruth Dureghello: “Sono addolorata per la morte di Silvio Berlusconi, un grande amico del popolo ebraico e Israele.” Al di là del compianto per un leader e per un uomo di cui si possono certamente discutere tanti episodi e atteggiamenti, ma non la sua costante difesa di Israele e degli ebrei contro ogni forma di antisemitismo, revisionismo o antisionismo, c’è un altro dato su cui riflettere, che Dureghello sintetizza molto efficacemente nella sua dichiarazione: “A lui si deve il cambio di paradigma tra l’Italia e lo Stato ebraico.”

• Il cambio di paradigma
  È vero, per quanto riguarda Israele c’è stata un’Italia prima di Berlusconi, in cui gli amici erano piccole forze politiche che vanno ricordate con onore: i repubblicani di La Malfa e Spadolini, i liberali di Malagodi, i radicali di Pannella e pochi altri. Ma la maggioranza (quasi tutti i democristiani e i comunisti, i socialisti non solo nella versione filoaraba di Craxi) erano forze politiche diffidenti nei confronti dello stato ebraico e ben disposte a patteggiare con i terroristi arabi anche al prezzo della loro impunità. La burocrazia, la diplomazia, buona parte degli apparati giudiziari, gli intellettuali seguivano la stessa impostazione. Fu Berlusconi a cambiare tutto, a schierare l’Italia a fianco di Israele. Anche alcuni sviluppi che non lo riguardano direttamente, come la svolta di Fini che si prolunga oggi fino a Salvini e Meloni, nascono dal suo esempio.

• Il riconoscimento di Israele
  Per questo quando Berlusconi arrivò a Gerusalemme in visita di stato nel 2010 egli fu il primo leader italiano ad essere invitato a parlare alla Knesset (il suo discorso si può ancora sentire qui) accolto con grandissimo calore sia dal primo ministro (che allora era già Netanyahu, il quale ricordò accogliendo l’ospite il merito di sua madre nel salvataggio di una ragazza ebrea) sia dal leader dell’opposizione (Tzipi Livni) e da tutta la stampa.

(Shalom, 12 giugno 2023)

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Intelligence israeliana: nasce Branch 54, la sezione dedicata alla guerra contro l’Iran

L'obiettivo dell'unità è quello di prepararsi a un potenziale conflitto tra Israele e Iran; la sua istituzione rappresenta un passo importante nella pianificazione strategica dell'esercito israeliano - la natura unica di tale conflitto richiede un approccio diverso rispetto alle operazioni militari precedenti.

È passato quasi un decennio dall’inizio del confronto militare diretto tra Israele e Iran. Recentemente, le Forze di Difesa Israeliane hanno iniziato a prepararsi alla possibilità di una guerra con il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC). In parole povere, l’intelligence dell’IDF sta completando i contorni di una guerra che nessuno immaginava sarebbe mai arrivata: la prima guerra Israele-Iran.
  Negli ultimi anni, la tensione tra Israele e Iran si è intensificata. Circa 10 droni sono stati lanciati verso Israele, l’ultimo dei quali è stato intercettato sopra la Valle di Hula, nel nord di Israele, circa due mesi fa. Inoltre, la Forza Quds dell’IRGC ha inviato più volte negli ultimi anni terroristi che hanno tentato di piazzare cariche esplosive contro le forze dell’IDF e terroristi di una delle loro unità hanno cercato di colpire turisti israeliani all’estero, principalmente in Turchia.
  L’aumento degli scontri diretti tra i due Paesi ha posto fine ad anni di ambiguità nella lotta per la regione. Tuttavia, lo stallo nel raggiungimento di un nuovo accordo nucleare tra l’Iran e le potenze mondiali, insieme alle valutazioni all’interno dell’establishment della sicurezza secondo cui la prossima guerra sarà un conflitto su più fronti, ha portato l’esercito israeliano a entrare in una fase di preparazione per una guerra diretta contro l’Iran, o almeno per diversi giorni di conflitto con le forze della Repubblica Islamica.
  “Si tratta di un significativo cambiamento di mentalità che l’IDF deve fare. Non è simile a una guerra contro Hezbollah o a un’operazione a Gaza contro Hamas o la Jihad islamica”, ha spiegato il tenente colonnello T., capo del dipartimento di ricerca della Branch 54, il nuovo ramo sull’Iran istituito presso la Direzione dell’intelligence militare. “È come informare un alto comandante dell’IDF che si addestra tutto il giorno per la guerra in Libano o a Gaza, e dirgli che questa volta è completamente diverso da quello che ha conosciuto finora”.
  Secondo T.: “Siamo responsabili di fornire ai militari l’infrastruttura di conoscenze sulle capacità militari iraniane e sui sistemi strategici sotto il loro controllo. Siamo impegnati nella ricerca degli elementi di controllo in Iran, dal livello superiore fino agli operatori in prima linea”.
  La nuova sezione è destinata ad essere il primo punto focale nei preparativi dell’IDF per uno scenario di ampio e palese confronto militare con l’esercito iraniano. In generale, il ramo si concentra sull’apprendimento dell’intelligence, in modo simile ai preparativi per un addestramento aggiornato basato sull’intelligence per il combattimento con Hezbollah e Hamas. Uno dei dipartimenti all’interno della sezione è considerato operativo e raccoglie informazioni sull’esercito regolare dell’IRGC.
  La sezione è composta da soli 30 soldati, non ha ancora un nome, ma è responsabile della preparazione dell’IDF per una guerra contro l’Iran, poiché ogni giorno gli agenti operativi sviscerano un altro strato dell’esercito iraniano, rivelando un’altra dottrina, un metodo di combattimento o una tecnica di addestramento del nemico.
  Nelle loro discussioni interne, sono ben consapevoli che non si tratta dello scenario che l’IDF praticherà nei prossimi mesi, come una guerra a due o più fronti. Si tratta di una guerra completamente diversa, che richiederà una grande resistenza da parte del pubblico israeliano, quasi come una guerra totale moderna.
  I capi del ramo provengono da un background di specializzazione palestinese. Uno di loro, il tenente colonnello Y., è a capo del dipartimento di targeting, una posizione che non lascia dubbi sul suo scopo nella preparazione di una possibile guerra.
  In tutto l’Iran ci sono migliaia di obiettivi militari che Israele potrebbe attaccare, ma il dipartimento di targeting ha il compito di individuare e designare gli obiettivi primari. “Analizziamo l’IRGC specificamente all’interno dell’Iran, non la Forza Quds”, ha descritto un ufficiale. “L’Iran è un Paese molto grande in termini di territorio e sanno che le nostre operazioni all’interno del loro territorio avranno delle conseguenze, ma è un gioco di esposizione reciproca”.
  “Ciò che stiamo raccogliendo e ricercando sull’IRGC influenza direttamente la costruzione del potere dell’IDF e il nuovo piano pluriennale delineato dal capo di stato maggiore, fungendo da bussola per modellare la forza dell’IDF nei prossimi anni”.
  Y. non ha ancora partecipato alle esercitazioni pratiche con le forze che guideranno la futura guerra contro l’esercito iraniano, come l’aviazione israeliana, ma sta già monitorando meticolosamente le capacità di inganno dell’esercito iraniano.
  “Ogni giorno raccogliamo più bersagli e obiettivi a un ritmo soddisfacente e impariamo a colpirli in modo efficace. Abbiamo già raddoppiato il numero di obiettivi in Iran, a prescindere dalle strutture nucleari. È molto diverso dalle operazioni tra le due guerre. Un confronto militare palese sarà una storia completamente diversa”, ha detto Y..
  La sezione ha già condotto diversi giochi di guerra e presentazioni di scenari con squadre di esperti, alcuni dei quali non sono più in servizio attivo. Insieme ai rappresentanti di spicco delle unità di intelligence come l’Unità 8200 e l’Unità 9900, e con l’assistenza significativa delle sue controparti americane, il ramo dell’intelligence completa la mappatura della guerra che nessuno avrebbe mai immaginato di realizzare: la prima guerra Israele-Iran.

(Rights Reporter, 12 giugno 2023)

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Mieloma multiplo: oncologi israeliani individuano un trattamento che aumenta le aspettative di vita

di Michael Soncin

In Israele presso l’Hadassah-University Medical Centre di Gerusalemme è stato sviluppato un trattamento antitumorale che allunga l’aspettativa di vita dei pazienti affetti da mieloma. I test sono stati effettuati su un campione di 74 persone affette da mieloma multiplo, un tipo di cancro raro che si sviluppa dalle cellule del midollo osseo, considerato ancora incurabile.
  «Se prima era fantascienza ora è realtà». A dirlo è Polina Stepensky, direttrice del dipartimento di immunoterapia e trapianto di midollo osseo, che ha sviluppato la cura assieme a Cyril Cohen, responsabile del laboratorio di immunologia e immunoterapia del cancro dell’Università Bar Ilan.
  The Jewish Chronicle riporta che risultati condotti a livello sperimentale hanno visto una remissione della patologia nell’88% dei pazienti.
  Il trattamento sviluppato a partire dal 2018, utilizzando la terapia CAR-T (Chimeric Antigen Receptor T-Cell), consiste nell’estrarre le cellule del sistema immunitario, per poi ingegnerizzarle geneticamente in modo che siano capaci di identificare le cellule tumorali e attaccarle.
  Va specificato che la terapia CAR-T in Israele era stata sperimentata per il linfoma, ma nei tempi recenti non era ancora stata utilizzata per il trattamento del mieloma.
  «Quando mi sono laureata – afferma Stepensky – in medicina nel 1998, la sopravvivenza di chi aveva il mieloma era di 2 anni, mentre ora è di oltre 10 e speriamo di aumentarla ancora di più. Ora i pazienti che hanno diabete conducono una vita normale, spero quindi che sia lo stesso per quelli con il mieloma».
  «Sappiamo di non poter curare il mieloma, ma di poterlo trasformare in una malattia cronica», ha successivamente aggiunto la dottoressa.
  Ali Rismani, ematologo dell’ospedale ha definito «promettenti» i risultati ottenuti, sebbene il trattamento non sia efficace per tutti, oltre a non essere adatto in certe persone specialmente in quelle molto anziane.
  «La CAR-T ci offre un’opzione di trattamento per i pazienti che hanno esaurito le terapie. Non è una procedura semplice, ma se funziona, e a seconda della CAR-T utilizzata, i pazienti possono prolungare le aspettative di vita per un paio d’anni e a volte di più», ha detto Rismani.
  Rupal Mistry, dottoressa, portavoce del Cancer Research Uk, ha dichiarato: «I risultati di questo studio in fase iniziale che utilizza la terapia cellulare CAR-T sono incoraggianti per le persone con mieloma multiplo avanzato. Sebbene sia necessario un ulteriore lavoro per confermare questi risultati entusiasmanti su scala più ampia, questa ricerca ci porta un passo più vicini alla possibilità di fornire opzioni di trattamento più efficaci alle persone affette da questa malattia».

(Bet Magazine Mosaico, 12 giugno 2023)

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Radar tattici multiruolo di DRS RADA Technologies per Israele

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Leonardo DRS, Inc. ha annunciato che la sua business unit DRS RADA Technologies è stata selezionata per fornire al Ministero della Difesa Israeliano radar mobili avanzati che forniscono capacità aggiuntive per difendersi da una serie di minacce regionali emergenti.
  La società produrrà e consegnerà i radar per supportare le attuali capacità di sorveglianza aerea e di allerta precoce delle forze di difesa israeliane (IDF).
  Questi sistemi avanzati sono collaudati in tutto l’IDF e con le forze militari alleate in tutto il mondo.
  L’unità aziendale DRS RADA Technologies (precedentemente nota come “RADA”) è un leader globale nello sviluppo di sistemi radar tattici altamente mobili.
  Sono ampiamente utilizzati nell’IDF, negli Stati Uniti e nelle forze armate alleate per proteggere veicoli e combattenti da una serie di minacce di fuoco ostile aeree e terrestri attuali ed emergenti.
  Le missioni per questi sistemi includono sistemi di protezione attiva; difesa aerea mobile a corto raggio; C-RAM (contro razzo, artiglieria, mortaio); missioni contro gli UAS; protezione delle infrastrutture critiche e sorveglianza delle frontiere.
  I radar saranno costruiti nel sito produttivo della business unit situato a Beit Shean, in Israele.

(Ares-Osservatorio Difesa, 12 giugno 2023)

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Un lunedì di prima mattina



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La Knesset lancia ‘’waze per i non vedenti’’

di Jacqueline Sermoneta

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Lanciato un innovativo sistema di audio guida che permette a ciechi e ipovedenti di orientarsi in autonomia nei locali della Knesset - il Parlamento israeliano.
L’iniziativa di solidarietà in favore delle persone con disabilità visive, avvenuta proprio in occasione del “Blind Day”, va a integrare le strutture e i servizi già presenti che rendono la Knesset uno dei parlamenti più accessibili al mondo.
  Sviluppato e prodotto dalla startup israeliana RighHear, l’app guida virtualmente i non vedenti in tutto l’edificio. "L’innovativo sistema, che contribuisce a rendere accessibile la Knesset, comprende un modulo di gestione e di controllo con circa 55 sensori operanti tramite Bluetooth, sparsi nei punti di interesse del complesso. – ha affermato Sharon Cohen, responsabile dei sistemi e delle applicazioni nella divisione tecnologia e informatica della Knesset - Attraverso la nuova app gratuita sul telefono dell'utente, le persone con disabilità visive possono orientarsi ovunque".
  Il sistema collega l’app mobile ai dispositivi wireless posizionati strategicamente in spazi pubblici e in punti di accessibilità. Fornisce, inoltre, descrizioni audio del luogo, che vengono trasmesse direttamente a smartphone o tablet. “Quando l’utente arriva in una zona di interesse, – ha detto Cohen - può richiedere assistenza o accedere a ulteriori informazioni dettagliate sulla sua posizione”.
  "La Knesset continuerà a lavorare per rendere i locali accessibili alle persone con disabilità e consentirà a tutti i visitatori di effettuare la visita nel modo migliore. - ha affermato il direttore generale della Knesset, Moshe Chico Edri. - Siamo orgogliosi di mostrare le iniziative tecnologiche che stiamo implementando con un impegno costante per il progresso e l'innovazione".

(Shalom, 11 giugno 2023)

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Neodiplomatici della Farnesina, a confronto con il mondo ebraico

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Una delegazione di neodiplomatici del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ha svolto quest’oggi alcuni incontri con l’ebraismo italiano e romano. Dalla Biblioteca Nazionale dell’Ebraismo Italiano al Tempio Maggiore cuore della vita religiosa e aggregativa, dal Museo ebraico alla Fondazione Museo della Shoah. Un utile confronto, organizzato dall’ambasciata d’Israele in Italia, per mettere a fuoco molteplici temi e sfide.
  Il primo incontro si è svolto nella sede della Biblioteca Nazionale dell’Ebraismo Italiano con la presidente UCEI Noemi Di Segni. I neodiplomatici, salutati in avvio dal consigliere politico e portavoce dell’ambasciata d’Israele Uri Zirinski, si sono poi recati nel quartiere ebraico.
  Ad accoglierli, all’interno del Tempio Maggiore, hanno trovato tra gli altri la presidente della Comunità ebraica Ruth Dureghello. Sosta successiva, dopo una visita al Museo ebraico, la targa in ricordo di Stefano Gaj Taché, il bambino di due anni rimasto ucciso nell’attacco palestinese al Tempio del 9 ottobre 1982. A fare memoria di quel giorno sono stati, oltre a Zirinski e Dureghello, anche l’assessore UCEI alle Politiche Educative Livia Ottolenghi e il presidente del Benè Berith Sandro Di Castro (testimone dell’attacco e tra i quaranta feriti). Ultima sosta alla Fondazione Museo della Shoah, con interventi della responsabile delle relazioni istituzionali Micaela Felicioni e dello storico Marco Caviglia. A chiudere il percorso una visita alla mostra sui campi di sterminio di Belzec, Sobibor e Treblinka allestita in questi mesi alla Casina dei Vallati.

(moked, 11 giugno 2023)

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Salmo 92
    Canto per il giorno del sabato.
  1. Buona cosa è celebrare l'Eterno,
    e salmeggiare al tuo nome, o Altissimo;
  2. proclamare la mattina la tua benignità,
    e la tua fedeltà ogni notte,
  3. sul decacordo e sul saltèro,
    con l'accordo solenne dell'arpa!
  4. Poiché, o Eterno, tu m'hai rallegrato col tuo operare;
    io celebro con giubilo le opere delle tue mani.
  5. Come son grandi le tue opere, o Eterno!
    I tuoi pensieri sono immensamente profondi.

  6. L'uomo insensato non conosce
    e il pazzo non intende questo:
  7. che gli empi germoglian come l'erba
    e gli operatori d'iniquità fioriscono, per esser distrutti in perpetuo.
  8. Ma tu, o Eterno, siedi per sempre in alto.
  9. Poiché, ecco, i tuoi nemici, o Eterno,
    ecco, i tuoi nemici periranno,
    tutti gli operatori d'iniquità saranno dispersi.

  10. Ma tu mi dai la forza del bufalo;
    io son unto d'olio fresco.
  11. L'occhio mio si compiace nel veder la sorte di quelli che m'insidiano,
    le mie orecchie nell'udire quel che avviene ai malvagi
    che si levano contro di me.
  12. Il giusto fiorirà come la palma,
    crescerà come il cedro sul Libano.
  13. Quelli che son piantati nella casa dell'Eterno
    fioriranno nei cortili del nostro Dio.
  14. Porteranno ancora del frutto nella vecchiaia;
    saranno pieni di vigore e verdeggianti,
  15. per annunziare che l'Eterno è giusto;
    egli è la mia ròcca, e non v'è ingiustizia in lui.
    PREDICAZIONE
Marcello Cicchese
gennaio 2017


 
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Libano – Tensioni lungo la linea di confine

BEIRUT- E’salita nuovamente la tensione ieri tra Libano e Israele a seguito delle rivendicazioni territoriali al confine delimitato dalla Linea Blu . I due paesi sono formalmente ancora in stato di belligeranza . Sono stati lanciati gas lacrimogeni da parte dell’esercito israeliano nei confronti di manifestanti libanesi radunatisi nei pressi delle colline di Kfar Shuba, una zona agricola controllata di fatto da Israele ma rivendicata dal Libano. La manifestazione sul lato libanese era stata indetta per solidarietà con un contadino libanese che ieri aveva tentato di fermare un bulldozer israeliano che procedeva su quello che il contadino considera il suo terreno.
  La missione Onu (Unifil) schierata nel sud del Libano è intervenuta in maniera massiccia per tentare di riportare la calma. Sul posto sono intervenuti anche i militari libanesi. Sul lato israeliano c’è stato un dispiegamento di mezzi militari e di soldati. Secondo la tv al Manar degli Hezbollah libanesi filo-iraniani, i manifestanti hanno lanciato pietre contro i soldati israeliani.

(CongedatiFolgore, 10 giugno 2023)

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Spy story sul Lago Maggiore: Italia in pericolo tra Mossad e servizi iraniani

di Riccardo Franciolli

La tragedia consumatasi sul Lago Maggiore, dove hanno perso la vita quattro persone, continua a destare parecchio interesse e suscitare non poche perplessità. In particolare, la decisione di rivelare alla stampa i nomi delle vittime – membri dei servizi segreti italiani e israeliani – potrebbe compromettere l'anonimato e la sicurezza di molti colleghi delle vittime.
  “I servizi segreti iraniani non dimenticano e hanno una memoria di ferro. Se è vero che, e ripeto se, dietro a quanto successo sul Lago Maggiore ci fosse una missione congiunta italo-israeliana contro il nemico di sempre di Israele, per impedirgli di acquistare componenti tecniche e le attrezzature per progetti nucleari e militari, allora l’Italia potrebbe diventare un bersaglio dell’Iran”. Così si esprime con noi un ex alto dirigente dell’intelligence italiana dopo le rivelazioni su quanto accaduto a fine maggio sulle rive del Lago Maggiore.

• FACCIAMO UN PASSO INDIETRO
  Un compleanno da festeggiare sul lago con gli amici. La traiettoria insolita della tempesta sul Lago Maggiore proveniente da Nord Est, raffiche discendenti che superano i 100 km/h. Una barca senza pescaggio sovraccarica che naufraga nella tempesta. Quattro morti tra cui un ex agente del Mossad, due membri dell’intelligence italiana e una donna di origini russe.
  Sembrava davvero l’inizio di una promettente ‘spy story’ ambientata a pochi passi dal confine italo-svizzero. Invece è la nuda cronaca di quanto successo il 28 maggio scorso. Lo skipper, di 60 anni, è ora indagato per omicidio e naufragio colposo dalla Procura di Busto Arsizio. Era lui a guidare la cosiddetta ‘house boat’, una sorta di piattaforma galleggiante, più che una barca, di 16 metri che navigava sul Lago oltre l'ora prevista per il rientro e che è stata affondata nella tempesta che si è scatenata con raffiche che hanno raggiunto anche i 100 chilometri all'ora.
  Tra le vittime nel naufragio, oltre alla moglie del proprietario del natante, una donna di nazionalità russa la cui nazionalità però non risulterebbe significativa, anche un uomo e una donna di 53 e 62 anni, membri dei servizi segreti italiani e un agente del Mossad, ufficialmente in pensione, di 53 anni. Dei tre agenti, si saprà quasi subito i loro nomi. Da qui l’indignazione all'interno dei servizi di intelligence italiana e israeliana. “Dare i nomi degli agenti è come indicare un bersaglio semplice da colpire”, aggiunge la nostra fonte.
  Per tutti è stato indicato l'annegamento come causa della morte, anche se non sono state fatte le autopsie. Altre 19 persone si sono salvate. Secondo la stampa, che ha visionato le relazioni dei carabinieri ai magistrati, 13 erano agenti del Mossad israeliano e altre otto persone erano agenti dell’Aise, il servizio segreto italiano per l'estero, facente parte del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica che ha compiti e attività di intelligence al di fuori del territorio nazionale italiano. 
  La gita sul lago, secondo la versione ufficiale, è stata organizzata per festeggiare il compleanno di uno dei componenti della gita. Non sono mancate ovviamente le ipotesi su cosa ci facesse una imbarcazione piena di agenti segreti sul Lago Maggiore. Si saprà in seguito che agenti italiani e israeliani si trovavano sul Lago Maggiore nell'ambito di un'operazione congiunta e, per celebrarne il successo, avevano organizzato il viaggio sulla Goduria, una nave di proprietà del Comandante Claudio Carminati, un fidato contatto dell'intelligence italiana. Non solo. La Goduria era già stata utilizzata per altre missioni e celebrazioni.
  La storia della festa di compleanno, infatti, da subito è sembrata poco credibile. Il fatto che Israele abbia inviato immediatamente il Bombardier executive, l’aereo delle missioni più segrete del Mossad per riportare a Tel Aviv i superstiti al naufragio - scrive ad esempio il ManifestoLink esterno - rivela l’importanza delle persone e della loro missione in Italia. 
  Ai funerali dell’ex agente israeliano c’era anche il capo del Mossad, che ha tenuto l’elogio funebre, e lo stesso ufficio del premier Benyamin Netanyahu ha diramato un comunicato per ricordare che la spia morta – senza citarne il nome – ha “dedicato la sua intera vita alla sicurezza dello Stato di Israele per decine di anni anche dopo essere andato in pensione”.
  Non solo. I superstiti sono stati portati al pronto soccorso e sono stati sentiti dai Carabinieri. Ma tutti sono rapidamente scomparsi: chi legge ‘spy story’ sa che queste operazioni in gergo militare si chiamano ‘esfiltrazioni'. Gli israeliani sono stati riportati nel loro Paese e anche gli italiani sembra abbiano subito lasciato immediatamente l’ospedale.

• NOMI E COGNOMI
  Di questa vicenda ciò che maggiormente sconcerta l’ambiente dell’intelligence, è però la pubblicazione sulla stampa dei nomi dei tre agenti - due italiani e un israeliano – morti nell’incidente. Come recita un articolo pubblicato sul sito Intelligence onlineLink esterno, “al di là dello shock iniziale causato dall'incidente, l'incidente ha suscitato molto risentimento all'interno dei servizi di Intelligence. Alfredo Mantovano, delegato per la Sicurezza della Repubblica, ha rivelato alla stampa i nomi delle vittime. La decisione affrettata, presa sotto la pressione delle circostanze, potrebbe compromettere l'anonimato e la sicurezza di molti colleghi delle vittime”.
  Anche in Israele la pubblicazione dei nomi delle vittime ha destato sorpresa e pone gli stessi problemi di sicurezza. “Le autorità italiane hanno cercato di riscattarsi – continua l’articolo su Intelligence online – organizzando una rapida operazione per proteggere le identità degli altri agenti israeliani presenti, prelevandoli in gran segreto dall’ospedale e presso il loro albergo per poterli allontanare velocemente dalla zona”.
  L’articolo e le preoccupazioni annesse sono pienamente condivisi dalla nostra fonte come, a suo dire, anche dai membri dei servizi ancora in attività. “Il diritto all’informazione è sacrosanto – insiste la nostra fonte – ma è da stupidi attirare gratuitamente l’interesse di servizi segreti stranieri su fatti e soprattutto nomi che dovevano restare assolutamente segreti”.
  A causa della “maldestra comunicazione dei nomi degli agenti, la sicurezza di colleghi è messa in grave pericolo: come ho già detto – continua la fonte – gli iraniani, se davvero sono coinvolti, come sembra sia il caso, non dimenticano facilmente e la loro memoria è proverbiale all’interno dell’ambiente. Non succederà niente oggi o domani ma presto o tardi, statene certi, otterranno la loro rivincita: l’Italia è il loro bersaglio e con la pubblicazione dei nomi sanno anche con chi prendersela”.
  Ora che la vicenda si dipana, le paure dell’ex alto dirigente dell’intelligence italiana, si fanno ancora più concrete: “In un paese come l’Iran, dove se bevi una Coca cola finisci dimenticato in un qualche carcere se sei fortunato, direi ai cittadini italiani che si trovano là di stare attenti. Basta un nulla per scomparire per sempre”.

(tvsvizzera, 10 giugno 2023)

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La mostra. Così gli ebrei trovarono cittadinanza con le sinagoghe e i cimiteri

Esposte al Museo italiano dell’ebraismo di Ferrara testimonianze dell'identità israelitica nelle architetture di alcune città italiane. Una storia che risale alle lotte per l’emancipazione.

di Maurizio Cecchetti

Moise del Conte, Sinagoga vecchia Livorno (1791) - Comunità Ebraica di Livorno
Alcune delle pagine più intense scritte sui cimiteri ebraici si devono a un polemista francese di idee anarco-socialiste, Bernard Lazare, che morì a trentotto anni nel 1903. Definito da Charles Péguy una sorta di profeta, mente tra le più lucide nella Francia dell’affaire Dreyfus, Lazare riscoprì le proprie radici ebraiche prendendo le parti del capitano francese ingiustamente accusato. In un suo saggio, Le fumier de Job, che venne pubblicato postumo nel 1928, Lazare rilegge il travaglio dell’ebreo che nella cristianità è considerato un “paria”. E rifiuta l’accusa di deicidio: «Il popolo ebraico non ha crocifisso Gesù: seguiva il fariseo errante; amava ascoltarlo, lo accompagnò, piangendo, ai piedi della croce sulla quale lo inchiodarono i romani, con un’iscrizione derisoria per gli ebrei» e arriva a dire che «Gesù è il fiore supremo dello spirito ebraico, l’emanazione più pura della coscienza di Israele».
  Lazare morì dopo aver dedicato molte pagine a smontare la cultura dell’antisemitismo, ma nel Letame di Giobbe, tradotto quasi vent’anni fa con una lunga introduzione di Stefano Levi della Torre, mi colpì il sentimento poetico e tragico con cui descrive i cimiteri di Praga, Worms, Cracovia, Toledo, Lemberg, dei quali coglie l’aspetto di terra desolata: quello di Praga ha per lui un volto tetro, mentre quello di Worms gli appare allegro, dove «le lapidi si ergono in un vasto prato luminoso; stanno ritte nell’erba folta, e leggendo le vecchie iscrizioni, guardando gli antichi simboli sempre nuovi, si cammina sui morti». La pagina dopo si apre, non per caso, sull’altro caposaldo dell’identità ebraica: le sinagoghe.
  Le sue pagine mi sono tornate in mente visitando a Ferrara, nelle sale del Meis, il Museo nazionale dell'ebraismo italiano e della Shoah, la mostra Case di vita, ovvero un approfondimento su “sinagoghe e cimiteri in Italia” (a cura di Andrea Morpurgo e Amedeo Spagnoletto, fino al 17 settembre), dove appunto si cerca di mettere in luce il modo di essere, lo stile di vita, degli ebrei qualche secolo prima e poi con l’emancipazione che maturò con le due rivoluzioni moderne, quella dei movimenti democratico-borghesi e quella industriale, col progredire della cultura dei diritti umani e sociali, che non bastò tuttavia ad allontanare lo spettro dell’antisemitismo, come si vide nella vicenda di Dreyfus, che dopo la sua conclusione positiva lasciò comunque strascichi di decenni, fino al periodo della persecuzione nazista che trovò in Francia molti sostenitori, si pensi a Brasillach, grande intellettuale che fece opera di delazione sui giornali denunciando tanti ebrei che si nascondevano, oppure, sebbene con diversa spietatezza, un compagno nel grande critico letterario Maurice Blanchot, i cui articoli antisemiti vennero tradotti e pubblicati anche in Italia vent’anni fa. E naturalmente non si può tacere di Céline o di Drieu La Rochelle. Qualcuno ha sostenuto che quest’odio degli ebrei trovi in Francia il suo terreno di cultura (sia pure con orizzonti diversi, non si deve dimenticare che persino in Simone Weil vi sono pagine dove manifesta in modo deciso il suo antigiudaismo).
Intagliatore fiorentino, modelloper il nuovo Tempio Israelitico di Firenze (1874-1882) - Meis Ferrara
La mostra di Ferrara testimonia proprio questo cammino di emancipazione e di costruzione sociale di una identità delle comunità ebraiche attraverso la fondazione e il riconoscimento dei cimiteri e delle sinagoghe. L’architettura e l’arte che la decora sono come una marcatura del territorio attraverso cui ottenere una cittadinanza come diritto a far parte e a contribuire alla vita dei luoghi in cui gli ebrei si sono insediati, dapprima tollerati (a volte guardati con risentimento, per la solita accusa di essere usurai, cioè prestatori di denaro, attività che il Terzo concilio Lateranense nel 1179 aveva condannato); oltre a subire per secoli l’accusa di deicidio. Come scrive Morpurgo nel catalogo (Sagep) le architetture che caratterizzano sinagoghe e cimiteri «sono importanti perché hanno storie da raccontare», quelle di chi le ha usate, quelle dei fatti di cui furono teatro, quelle della loro funzione identitaria nello sviluppo delle città. Tra i protagonisti l’architetto vercellese Marco Treves, figura chiave dell’ebraismo postunitario, di cui in mostra è esposto il ritratto dipinto da Ercole Olivetti, che ristrutturò la sinagoga di Pisa e costruì quella di Firenze (in mostra c’è il modello ligneo eseguito da un intagliatore intorno al 1880), progettò sempre nel capoluogo toscano il cimitero israelitico. Altra figura chiave fu Elia Levi Deveali, ritratto da Francesco Mensi, che finanziò il Tempio di Alessandria e varie altre opere di pubblica utilità, esponente di una famiglia di dotti e rabbini da varie generazioni.
  Le architetture, non avendo un chiaro stile ebraico da esibire, pescano di volta in volta da motivi arabo-moreschi, come a Vercelli, oppure dalla tradizione egizia, siriana, persino assira. Nel disegno acquerellato della Sinagoga vecchia di Livorno, si scoprono la ricchezza decorativa che fonde il passato con le nuove teorie settecentesche dell’architettura; stesso interesse desta la litografia a colori di Heronymus Hess, viaggiatore che ritrae una delle cinque “schole” romane. Schola era il nome con cui si definiva la sinagoga, che non era soltanto un luogo di culto, ma anche di formazione e identità politica. All’interno, il centro del culto andava all’Arca lignea, l’Aron ha-Qodesh, dove venivano custoditi i rotoli del Pentateuco. In mostra quella particolarmente pregevole della Sinagoga di Vercelli. Treves aveva partecipato anche alla commissione per la realizzazione del Tempio torinese, che non avendo portato a un esito fattivo vide affidata la commissione del progetto ad Alessandro Antonelli, il quale avviò i lavori ma per mancanza di fondi dovette sospenderli finché il comune di Torino non acquistò l’edificio portandolo a termine. Numerosi altri sono i disegni di progetto per i templi a Milano (di Luca Beltrami), Roma, Trieste, Genova, Bologna, per Correggio e Reggio Emilia, Gorizia, Livorno. Ogni progetto risente delle qualità estetiche della tradizione artistica italiana, e viene anche in parte smontata l’idea che l’ebraismo conosca soltanto modelli astratti. Un esempio palmare di ciò sono i bozzetti molto belli di Emanuele Luzzati per le vetrate della Sinagoga di Geno.
Emanuele Luzzati, bozzetto per le vetrate della Sinagoga di Genova (1959 circa) - Meis Ferrara
Le testimonianze sui cimiteri segnano la seconda parte della mostra, a cominciare dal dipinto di Magnasco su un funerale ebraico. Di grande interesse l’acquaforte di Antonio Verico che riproduce a volo d’uccello il Cimitero nuovo di Livorno, smantellato a metà Ottocento perché troppo vicino alla città. Tra i documenti suggestivi esposti la lapide funeraria ebraica proveniente da Trieste, la Colonna in marmo rosa di Mantova, entrambe settecentesche, i disegni per i cimiteri di Milano, Roma, Napoli, Trieste, Firenze, il bellissimo seggio rabbinico per l’Edicola di Pisa di Mario Quadrelli del 1896. In questo spazio, quello funebre, tutto è più austero e più triste. E una questione interna alla psicologia dell’ebreo. Ancora Lazare scrive che «l’ebreo teme l’unico castigo che esista per lui: la cessazione della vita, che egli ama; non ci sarà mai in lui quell’anelito cristiano alla morte che nasce dall’orrore per la vita…». In realtà, sappiamo bene che Cristo è venuto a promettere la resurrezione della carne. E la carne è il centro della paura dell’ebreo che pensa la morte come negazione della vita e non spera nella resurrezione.

(Avvenire, 10 giugno 2023)

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Federalberghi, Touring club, Fiavet: «Turismo ebraico volano straordinario per la Calabria»

A scendere in campo sono i rappresentanti più autorevoli delle filiere turistiche calabresi che hanno sposato in pieno la causa di “Jewish Calabria”, percorso itinerante audiovisivo voluto da Calabria Film Commission e dalla Regione Calabria per promuovere i primati mondiali di questa Regione nel settore dei Beni culturali ebraici, patrocinato dall’Ucei (Unione delle comunità ebraiche italiane).
  Secondo Giuseppe Zampino, presidente Fiavet Calabria: «La prima cosa che dovrebbe fare la Regione è inserire nel portale istituzionale la pagina facebook Movimento giudecche di Calabria, che dovrebbe essere pubblicizzata e conosciuta in maniera strategica a tutto il mondo ebraico. Noi cercheremo in tutti i casi di dare il giusto apporto alla promozione turistica calabrese ma non soltanto in Calabria, in tutta Italia. Come agenzia di viaggi e tour operator abbiamo circa 1000/1200 agenzie con noi associate e a loro volta tantissimi clienti. Sicuramente daremo voce alla cultura ebraica così diffusa fra i nostri borghi affinché la Calabria possa essere esportata e allo stesso tempo importata da quel turismo ebraico che è un turismo attento, colto, sensibile».
  Stessi toni entusiastici per Domenico Cappellano, console regionale per la Calabria del Touring club italiano: «Il turismo ebraico di oggi è solo apparentemente di nicchia. In realtà offre potenzialità enormi: se si riesce a intercettare la grande massa di persone che professano da una parte la religione ebraica ma dall’altra sono interessate al messaggio di sincretismo culturale che esprime la nostra regione per venire a vedere luoghi importanti come Reggio Calabria, dove è stato stampato il primo Commentario al Pentateuco, la Sinagoga di Bova Marina e gli altri centri minori ove si trovano le testimonianze ebraiche, inneschiamo un movimento turistico di dimensioni infinite, autorevole, cosmopolita».
  Si dicono pronti anche gli albergatori, dalle parole di Fabrizio D’Agostino, presidente di Federalberghi Calabria: «I 20 milioni di ebrei che ci sono nel mondo si caratterizzano per una grande apertura mentale e culturale e cercano proprio questi posti che rappresentano la loro storia. E proprio per questo motivo noi chiediamo alla Regione Calabria di trasformare queste nicchie di turismo in una rete turistica, perché è proprio attraverso questa comunicazione di rete che poi consente a noi albergatori di elaborare un’offerta sensibile e attenta. Ormai è finito il mondo dell’albergo che riceveva la telefonata per la prenotazione alberghiera. Ormai comandano i nostri device, che sono i nostri cellulari che, secondo una statistica, tocchiamo ben 8000 volte al giorno. Dobbiamo agire a livello tecnologico per attrarre un turismo di livello».
  Intanto la Calabria debutta sulle testate israeliane con dei mini video redazionali rivolti ai cittadini dello Stato di Israele, oltre 10 milioni di persone. I mini “video content” raccontano a un target interessato alcune eccellenze della cultura ebraica calabrese. In primis Bova Marina, poi Santa Maria del Cedro e quindi Nicotera. A questi video seguirà un’attività di promozione che coinvolgerà le più importanti testate ebraiche israeliane e quelle ebraiche diffuse nei Paesi della diaspora ebraica in primis Inghilterra, Francia, Germania, Stati Uniti, Canada.

(Calabria.Live, 10 giugno 2023)

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Così Cia e Mossad liquidarono “l’uomo senza volto”

di Marco Pizzorno

Il 12 febbraio 2008 a Damasco il capo delle operazioni globali del gruppo terroristico libanese Hezbollah fu eliminato grazie ad un’operazione congiunta del Mossad e della Cia. Il suo nome era Imad Mughnieh, meglio conosciuto come “l’uomo senza volto”, in quanto si sottopose a ben due interventi chirurgici per nascondere la sua vera identità. Figlio di un ortolano libanese, così come lo descrivono le fonti aperte, si racconta che il terrorista abbia cominciato la sua carriera nell’agenzia di sicurezza di Yasser Arafat, denominata “Forza 17”.
  Assoldato come cecchino, fu inviato lungo la famosa “linea verde”, nota per essere il confine che divideva i quartieri cristiani da quelli musulmani di Beirut. Le sue abilità gli permisero di fare velocemente carriera, tanto da accendere l’attenzione della Cia, che dovette addirittura richiedere un’approvazione speciale dell’amministrazione del Presidente George W. Bush, per poter mettere fine alla sua vita.
  Il leader nascente degli Hezbollah, infatti, nel 1983, fu coinvolto in un attentato che colpì l’ambasciata degli Stati Uniti a Beirut. Inoltre, gli si attribuiscono l’uccisione dell’agente William F. Buckley, avvenuto nel 1995, oltre all’attentato alle Khobar Towers, in Arabia Saudita nel 1996.
  La questione Mughniyeh si rivelò non affatto facile per gli Usa, infatti vide coinvolte alte sfere di Washington, tra le quali il Procuratore generale degli Stati Uniti, il Direttore dell’intelligence nazionale, il Consigliere per la sicurezza nazionale e l’Ufficio del consulente legale del dipartimento di Giustizia, i quali dovettero lavorare a stretto gomito per poter autorizzare la sua eliminazione.
  Quest’operazione congiunta di Cia e Mossad è ricordata tra le più straordinarie missioni dei servizi segreti. Il Washington Post riferisce che il team della Central Intelligence Agency, di stanza in territorio siriano, dovette lavorare più del normale nella costruzione dell’ordigno, che fu poi utilizzato per portare a termine la missione. Il Times of Israel, inoltre, descrive che il lavoro dei servizi segreti fu preparato nei minimi dettagli, perché gli ordini erano quelli di evitare, al massimo, i danni collaterali alla comunità locale. Infatti la bomba fu testata per ben 25 volte, prima di essere utilizzata, affinché la sua detonazione potesse essere ben controllata.
  Dall’analisi delle risorse aperte, però, si evince un particolare rilevante, ovvero che a far detonare l’esplosione che uccise Mughniyeh fu il Mossad e non gli americani. Proprio per questo motivo il gruppo terroristico additò l’intelligence israeliana come unica colpevole dell’accaduto ed attuò, successivamente, una serie di attentati per ritorsione in Bulgaria, Thailandia, India e Georgia.

• Un’operazione di strategia per la deterrenza?
  Mughnieh è considerata, dalle letterature editoriali, la mente libanese responsabile di più morti americane di qualsiasi altro individuo prima dell’11 settembre. Per questo motivo la sua storia ora è divenuta una serie televisiva intitolata “Ghosts of Beirut“. Tale progetto è definito una rivisitazione drammatica degli eventi accaduti tra il Libano dei primi anni Ottanta e l’Iraq del 2007. Il copione si sviluppa tra investigazioni giornalistiche e rapporti proprio tra Cia e Mossad. Il fine è stato quello di produrre un thriller di spionaggio, che le risorse aperte dettagliano come: “romanzato con verità al centro”. Per questa produzione è stata richiesta la collaborazione di un veterano del Corpo dei Marines con circa 34 anni di servizio clandestino nell’intelligence.
Secondo quanto riportato su MilitaryTimes, l’obbiettivo del cast è stato quello di mettere in primo piano il concetto di “martirio”. I rapporti dei servizi segreti, infatti, indicano che gli attentati suicidi erano il “punto centrale” delle operazioni terroristiche di Mughnieh. Le analisi, invece, portano alla luce come probabili psy-operations degli Hezbollah, in collaborazione con l’Iran, siano riuscite a sviluppare l’ideologia dello shahīd all’interno di gruppi terroristici islamici, in quanto il suicidio è proibito dal Corano.
  Si apprende dal trailer che la struttura della serie ha il fine preciso di ripercorrere un arco temporale di ben 25 anni, attraverso i quali le agenzie d’intelligence raccontano l’assassinio del terrorista e l’introspezione tra gli agenti della Cia ed il resto della comunità dell’intelligence.
  Gli analisti, ora, riflettono sulla straordinaria strategia di deterrenza che questa serie TV possa sviluppare. Infatti, “Ghosts of Beirut”, ripercorre l’atrocità del combattente “senza volto”, attraverso una continua escalation situazionale della politica regionale. Proprio questo sta aprendo il dibattito tra gli addetti ai lavori, impegnati a dirimere la questione di quale impatto questa produzione potrà avere verso le grandi masse, nel descrivere l’ascesa, e soprattutto “la caduta”, di coloro che aspirano a diventare protagonisti del terrorismo moderno.

(Inside Over, 10 giugno 2023)

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Lo confermano in Sud Corea le autopsie: i vaccini Covid uccidono improvvisamente

Alcune morti improvvise sono causate dai vaccini COVID-19, confermano le autopsie

di Zachary Stieber

Otto persone che sono morte improvvisamente dopo aver ricevuto un vaccino COVID-19 contro l’RNA messaggero (mRNA) sono morte a causa di un tipo di infiammazione cardiaca indotta dal vaccino chiamata miocardite, hanno detto le autorità sudcoreane dopo aver esaminato le autopsie.
  “La miocardite correlata al vaccino era l’unica possibile causa di morte”, ha detto il dottor Kye Hun Kim del Chonnam National University Hospital e altri ricercatori sudcoreani.
  Tutte le morti cardiache improvvise (SCD) si sono verificate in persone di età pari o inferiore a 45 anni, tra cui un uomo di 33 anni che è morto solo un giorno dopo aver ricevuto una seconda dose del vaccino di Moderna e una donna di 30 anni che è morta tre giorni dopo aver ricevuto una prima dose del vaccino di Pfizer.
  La miocardite non è stata sospettata come diagnosi clinica o causa di morte prima delle autopsie, hanno detto i ricercatori.
  Altri tredici decessi sono stati registrati tra coloro che hanno avuto miocardite dopo la vaccinazione COVID-19, ma non sono stati dettagliati i risultati dell’autopsia. Alcuni di coloro che sono morti avevano ricevuto il vaccino COVID-19 di AstraZeneca.
  I risultati mostrano la necessità di “un attento monitoraggio o avvertimento della SCD come complicanza potenzialmente fatale della vaccinazione COVID-19, specialmente negli individui di età inferiore ai 45 anni con vaccinazione mRNA”, secondo i ricercatori, che hanno riportato i risultati in uno studio pubblicato dall’European Heart Journal il 2 giugno. Lo studio è stato finanziato dal governo sudcoreano.
  Il dottor Andrew Bostom, un professore di medicina in pensione negli Stati Uniti che non è stato coinvolto nella ricerca, ha detto che i risultati sottolineano perché imporre e promuovere i vaccini per i più giovani è sbagliato.
  “Queste sono persone che apparentemente non avevano bisogno del vaccino”, ha detto Bostom a The Epoch Times dopo aver esaminato il documento. “Questo è ciò che aggiunge la beffa al danno”.
  Pfizer, Moderna e la Food and Drug Administration degli Stati Uniti non hanno risposto alle richieste di commento.

• RARO, MA GRAVE IN UN QUINTO DEI CASI
  L’insorgenza complessiva di miocardite dopo la vaccinazione COVID-19 era rara, secondo lo studio, anche se uno dei suoi limiti è che il numero reale potrebbe essere più alto.
  Su 44,2 milioni di persone che hanno ricevuto almeno una dose dei vaccini Pfizer, Moderna, Johnson & Johnson o AstraZeneca tra il 26 febbraio 2021 e il 31 dicembre 2021, 1.533 casi di sospetta miocardite sono stati segnalati all’Agenzia coreana per il controllo e la prevenzione delle malattie. Di questi, un comitato di esperti ha confermato 480 casi di miocardite indotta da vaccino.
  I casi si sono verificati principalmente nei maschi e nelle persone sotto i 40 anni. Tutti tranne 18 sono stati causati da un vaccino mRNA.
  Il tasso complessivo è stato di un caso ogni 100.000 persone vaccinate. I tassi più alti erano nei 12-17 anni, con 3,7 casi per 100.000 e 5,2 casi per 100.000 maschi.
  I numeri non sono stati suddivisi per tipo di vaccino ed età, il che significa che i tassi sono stati diluiti perché includevano destinatari di vaccini non mRNA. L’esclusione di colpi non mRNA ha portato alla stima di tassi più elevati in altri luoghi, come 75,9 casi per un milione di seconde dosi di Pfizer nei maschi americani di 16 e 17 anni.
  Sia questi numeri che le cifre coreane sono inclini a sottostimare. In Corea, le autorità hanno automaticamente escluso qualsiasi caso di miocardite sviluppato 43 giorni o più dopo la vaccinazione, nonché tutti i casi che includevano un test COVID-19 positivo, nonostante alcuni esperti affermino che ci sono prove più forti per la miocardite causata dal vaccino rispetto all’infiammazione cardiaca indotta da COVID-19.
  “Abbiamo bambini che si presentano, giovani adulti che si presentano con dolore al petto, e la maggior parte di loro finisce in ospedale per 24, 48, 72 ore e torna a casa. Ma ci mancano le persone che stanno morendo prima di arrivare in ospedale?” Il dottor Anish Koka, un cardiologo americano, ha detto a The Epoch Times dopo aver esaminato lo studio.
  “Ora, solo perché viviamo nel mondo reale e non vediamo valanghe di bambini morire, sappiamo che è un segnale raro, ma quanto è raro? Sta succedendo?” ha aggiunto. “Il nuovo studio mostra chiaramente che sta accadendo. Senza dubbio abbiamo avuto morti negli Stati Uniti post-vaccino che non sono state attribuite correttamente”.
  La miocardite è un noto effetto collaterale dei vaccini mRNA COVID-19 e può causare la morte, secondo precedenti ricerche e medici legali. I sintomi includevano dolore toracico, disturbi del sonno e febbre. Mentre molte persone che soffrono di miocardite dopo la vaccinazione vengono dimesse dall’ospedale entro un giorno o due, possono ancora soffrire di problemi a lungo termine.
  Il nuovo studio ha classificato 1 su 5 casi di miocardite indotta da vaccino come gravi. Questi casi riguardavano uno o più dei seguenti: ricovero in unità di terapia intensiva, miocardite fulminante, uso di ossigenazione extracorporea a membrana, trapianto di cuore e morte.
  “Un quinto dei casi è stato determinato per essere grave”, ha detto Bostom. “È inquietante”.

• SISTEMA DI REPORTING
  Il governo della Corea del Sud ha istituito un sistema di segnalazione per tutti gli eventi avversi a seguito della vaccinazione prima che i vaccini COVID-19 fossero lanciati, legandolo a un sistema di compensazione nazionale che paga le spese mediche relative agli eventi avversi.
  Il sistema fornisce anche un risarcimento alle persone che non possono stabilire la causalità di un vaccino, ma forniscono prove come l’associazione temporale o l’evento che si verifica subito dopo la vaccinazione. Le autorità concedono denaro anche alle persone che soffrono di effetti lievi.
  Più di 20.000 persone sono state risarcite attraverso il programma a partire da agosto 2022.
  Al contrario, il sistema negli Stati Uniti ha risarcito solo quattro persone a partire dal 1 ° maggio e ha respinto un numero i cui medici hanno diagnosticato loro lesioni da vaccino.
  Entrambi i paesi richiedono agli operatori sanitari di segnalare determinati eventi dopo la vaccinazione, come la miocardite, anche se non tutti i casi sono stati segnalati, almeno negli Stati Uniti.
  I funzionari statunitensi hanno esaminato le autopsie fatte su persone morte dopo aver ricevuto vaccini COVID-19, ma si sono rifiutati di rilasciarli. In un aggiornamento di febbraio, i funzionari hanno detto che avrebbero fornito alcune informazioni dai rapporti dell’autopsia, ma fino ad oggi non lo hanno fatto.

(spazio radio, 10 giugno 2023)

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Netanyahu: 'La normalizzazione delle relazioni con l'Arabia Saudita sarebbe un salto di qualità storico'

TEL AVIV - Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che un'eventuale normalizzazione delle relazioni con l'Arabia Saudita sarebbe un "salto di qualità storico"." L'Arabia Saudita è il Paese arabo più influente al mondo, non solo nel mondo arabo ma anche, credo, nel mondo musulmano", ha detto il premier, parlando a Sky News e sottolineando come le piene relazioni tra i due Paesi "potrebbero aiutarci a porre fine al conflitto israelo-palestinese".
  Da parte sua, il ministro degli Esteri saudita Faisal bin Farhan, parlando ieri nell'ambito della visita del segretario di Stato americano Antony Blinken, aveva fatto notare che proprio lo storico conflitto tra israeliani e palestinesi potrebbe limitare un riavvicinamento tra Riad, convinto sostenitore della costituzione dello Stato palestinese, e Tel Aviv.
  "Dobbiamo trovare una via per la pace attraverso una soluzione a due Stati. Senza la pace per il popolo palestinese, senza affrontare questa sfida, qualsiasi normalizzazione delle relazioni con Israele avrà benefici limitati", ha commentato Bin Farhan prima di aggiungere che gli Stati Uniti , grande alleato di Israele, "condividono una posizione simile sulla vicenda".

(Adnkronos, 9 giugno 2023)

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Gerusalemme apre il nuovo museo della Torre di David

Esperienza immersiva e interattività dopo tre anni di lavori

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MILANO – Un’esperienza totalmente immersiva e interattiva per addentrarsi nell’antica Gerusalemme. Dopo oltre un decennio di progettazione e tre anni di costruzione con un team multidisciplinare di archeologi, architetti, curatori, ricercatori, designer e creativi, ha aperto al pubblico il nuovo Museo della Torre di Davide di Gerusalemme nell’antica cittadella che per la prima volta nella sua storia è ora accessibile.
  L’antica cittadella della Torre di Davide, simbolo di Gerusalemme, situata tra la città vecchia e quella nuova, si trova in una posizione unica per raccontare la storia di una città unica al mondo. Con il suo nuovo percorso di visita – dal padiglione d’ingresso incassato della Porta di Giaffa, passando per le gallerie e il punto di osservazione della Torre Phasael, fino all’uscita nella Città Vecchia – il Museo della Torre di Davide di Gerusalemme diventa il perfetto punto di accesso per andare alla scoperta di Gerusalemme.
  La storia di Gerusalemme – di circa 4000 anni – e l’importanza della città per le tre maggiori religioni monoteiste sono raccontate attraverso diverse modalità interattive che rendono il visitatore partecipe del passato della città. Le 10 gallerie tematiche, completamente nuove, si trovano nascoste nelle antiche guardiole della struttura che circondano il cortile esterno, pieno di reperti archeologici risalenti a 2800 anni fa.
  Artefatti e modelli originali sono affiancati da esposizioni multimediali innovative e stimolanti. Il risultato è un’esperienza sensoriale che incoraggia il coinvolgimento attivo e permette ai visitatori di esplorare la storia di Gerusalemme in modo dinamico, stimolante e divertente.
  La parete multimediale interattiva di 12 metri, Sands of Time, che percorre tutta la galleria di ingresso, permette ai visitatori di scoprire autonomamente i 4000 anni di storia di Gerusalemme con un semplice tocco. Altri elementi di spicco sono l’animazione delle mappe del Medioevo, la scansione 3D di una veduta a volo d’uccello di un modello di Gerusalemme del XIX secolo, la proiezione interattiva su una cartina a mosaico, una copia della famosa mappa di Madaba e una sfera interattiva del mondo che, con un semplice tocco, misura la distanza tra diverse città del mondo e Gerusalemme.
  “Nessun altro museo può raccontare la storia di Gerusalemme in un ambiente così particolare, all’interno di questa cittadella, che è stata testimone di così tanti periodi significativi del passato della città – ha sottolineato Eilat Lieber, direttore e capo curatore del museo – Oltre alla conservazione delle mura e delle torri di questo antico sito, abbiamo sviluppato una mostra permanente del tutto inedita e una programmazione creativa che racconta la lunga, dinamica e complessa storia di Gerusalemme in maniera rispettosa, innovativa e coinvolgente”.

(MAGAZINE, 9 giugno 2023)

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Roma ebraica, la leadership che verrà

di Ariela Piattelli

Il 18 giugno gli ebrei di Roma andranno alle urne per scegliere chi guiderà la Comunità per i prossimi anni. Nei programmi delle tre liste di candidati che si propongono agli elettori come leader della collettività ci sono temi e valori importanti che attraversano e ricorrono in modo trasversale i progetti avanzati. Il miglioramento della scuola, il rafforzamento dei servizi, una buona amministrazione, il sostegno alle fasce più deboli, l’inclusione, il rapporto con le altre istituzioni, l’amore profuso per la collettività ebraica e per lo Stato d’Israele.
  Sono però le visioni differenti dei singoli gruppi a costituire le diverse identità delle liste e sta all’elettore comprendere quale tra queste visioni possa rappresentare un modello di gestione per affrontare le sfide che verranno. Alcune tra queste le conosciamo, ma, come ci ha insegnato la dura lezione della pandemia, non possiamo immaginare cosa c’è all’orizzonte e viviamo sempre in “un’epoca di grandi incertezze”. Le voci che abbiamo ascoltato in questo numero di Shalom Magazine spiegano che una leadership dell’ebraismo, assieme a tutte le qualità e i valori di cui è portatrice, deve essere preparata all’emergenza, saper scegliere in situazioni estreme e prendere decisioni non sempre popolari, dialogando con interlocutori talvolta difficili. Di esempi ne abbiamo, anche nella nostra storia recente. Sono proprio queste capacità gli indicatori che rivelano la misura e la tenuta di una leadership.
  Il periodo della campagna elettorale è sempre stato per la Comunità Ebraica di Roma un momento di grande confronto sui diversi temi e di ascolto per interpretare le necessità degli elettori. Si tratta di un lavoro necessario, ma che deve saper raccontare sempre le differenti visioni.
  Non conosciamo le sfide del futuro, ma possiamo decidere adesso quale è per ognuno di noi la visione che meglio può interpretare la nostra identità perché è la leadership, sia religiosa sia politica, che ha garantito oltre la sopravvivenza del nostro popolo per millenni, la partecipazione e il confronto con il mondo che ci circonda. In questo numero di Shalom Magazine il lettore troverà tutte le indicazioni e gli strumenti per il voto di domenica 18 giugno. Il nostro invito è di andare a votare, perché soltanto alle urne possiamo contribuire e scrivere il futuro della nostra Comunità e a delineare il nuovo volto della leadership che verrà.

(Shalom, 9 giugno 2023)

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Ritrovati in Israele misteriosi flauti in osso risalenti a 12mila anni fa

Ossa perforate trovate in Israele, potrebbero essere i più antichi strumenti a fiato della regione. I ricercatori suggeriscono che questi piccoli flauti potrebbero essere stati utilizzati per suonare musica, richiamare gli uccelli (in particolare i falchi) o comunicare a distanze brevi. Gli strumenti sono stati scoperti in un sito lacustre chiamato Eynan-Mallaha, che era abitato dai cacciatori-raccoglitori fino a circa 12.000 anni fa. I flauti, realizzati dalle ossa delle ali degli uccelli acquatici locali, mostrano segni di lavorazione umana e potrebbero essere stati utilizzati anche durante la caccia. Sebbene siano gli strumenti a fiato più antichi del Medio Oriente, in Germania sono stati trovati strumenti ancora più antichi fatti di osso e avorio.

(La Stampa, 9 giugno 2023)

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Il nuovo prefetto di Roma Lamberto Giannini in visita in comunità

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Il nuovo prefetto di Roma Lamberto Giannini è stato ricevuto presso la Comunità Ebraica di Roma per una visita di cortesia a pochi giorni dalla sua nuova nomina come prefetto della Capitale.
  Nell’occasione, Giannini ha incontrato il Rabbino Capo Riccardo Di Segni, la Presidente della Comunità Ruth Dureghello e altri componenti della Giunta.
  L’incontro ha sottolineato il rapporto ormai consolidato della Comunità Ebraica romana con le istituzioni cittadine e con le forze dell’ordine.
  Lo stesso Giannini ha evidenziato una volta di più il suo legame con il mondo ebraico: negli anni in cui è stato a capo della polizia, infatti, si è impegnato contro l’antisemitismo, ricevendo anche, a novembre 2021, il riconoscimento del King David Award dalla European Jewish Association, per il lavoro svolto con le forze dell’ordine a difesa dei luoghi ebraici in tutta Italia, oltre che nella lotta all’estremismo.
  Giannini è entrato in servizio nella Polizia di Stato nel 1989; nel 2021 è stato nominato al vertice della Polizia di Stato. Ricopre ufficialmente il ruolo di Prefetto della Capitale dall’11 maggio scorso.

(Shalom, 9 giugno 2023)

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Parashà di Beha’alotekhà: Quali sono i momenti di crisi?

di Donato Grosser

Questa parashà descrive la mitzvà data a Moshè di fabbricare due trombe d’argento. Lo scopo delle trombe era molteplice. Il primo motivo per dover disporre di due trombe d’argento è spiegato all’inizio del decimo capitolo dove è scritto: “L’Eterno parlò ancora a Moshè, dicendo: Fatti due trombe d’argento; le farai d’argento battuto; ti serviranno per convocare la comunità e per far partire gli accampamenti” (Bemidbàr, 10: 1-2). Più avanti viene introdotto un secondo motivo per le trombe: “Quando nel vostro paese andrete alla guerra contro il nemico che vi attaccherà, suonerete a lunghi e forti squilli con le trombe, e sarete ricordati dinanzi all’Eterno, al vostro Dio, e sarete salvati dai vostri nemici” (ibid., 9).
  Qual era lo scopo di suonare le trombe in caso di guerra? L’autore catalano del Sèfer Ha-Chinùkh (XIII sec.) scrive che nei momenti di crisi (et tzarà) il suono delle trombe serve a concentrarsi nel supplicare l’aiuto divino.
  R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (p. 72), scrive che  riguardo alla tefillà (preghiera) nei momenti di crisi vi è una differenza di opinione tra i nostri grandi maestri. La differenza consiste nel definire l’espressione “et tzarà”.
  Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) afferma che la tefillà  giornaliera è una mitzvà comandata dalla Torà. 
  Il Nachmanide (Girona, 1194-1270, Acco) afferma invece che l’obbligo di dire la tefillà ogni giorno è di origine rabbinica. È comandato dalla Torà solo nei momenti di crisi, come si impara da questa parashà.            
  R. Soloveitchik afferma che il Maimonide e il Nachmanide concordano che la tefillà ha significato solo se deriva da una senso di crisi (tzarà). Il Maimonide considerava la vita di ogni giorno una tzarà. Questa tzarà porta una persona sensibile ad avere un “feeling” di disperazione, a un cupo senso di mancanza di significato nella vita, di assurdità e di mancanza di tranquillità. La parola tzarà ha un significato che va al di là delle preoccupazioni che vengono dal di fuori. Questa parola suggerisce una condizione emozionale  e intellettuale nella quale l’essere umano vede sé stesso intrappolato in un universo vasto, desolato e senza speranza. Mentre il Nachmanide tratta solo di crisi esterne e di tzarà collettiva, il Maimonide considera tutta la vita una tzarà personale. La tzarà del Nachmanide è una crisi esterna che non dipende dall’essere umano. Emerge dall’ambiente esterno e solitamente appare all’improvviso. La situazione critica è visibile; la sentiamo e la soffriamo ansiosamente. Non è necessario essere introspettivi  per percepire questo tipo di crisi. Anche la persona più semplice la percepisce, sia essa causata dalla povertà, da malattie, da fame, da guerra o dalla morte. La profonda tzarà di cui tratta il Maimonide è chiaramente una situazione senza una soluzione. È una realtà esistenziale, una condizione dell’esistenza umana. 
  Un simile messaggio viene da ‘Olàt Reayà (p.13) l’opera che contiene gli insegnamenti di rav Avraham Yitzchak Kook (Griva-Lettonia, 1865-1935, Gerusalemme) sulla tefillà: “Per noi e per tutto il mondo, la tefillà è una totale necessità [...]. Desideriamo da noi stessi e dal mondo una perfezione che la ristretta realtà non ci può dare. E per questo ci troviamo in una grande crisi (tzarà ghedolà), la cui sofferenza ci può far perdere la testa e perdere l’attaccamento al Creatore. Ma prima che questo ostacolo possa concretizzarsi in noi, abbiamo la tefillà. In essa noi versiamo le nostre parole e ci eleviamo verso un mondo di una realtà perfetta. Così il nostro mondo interiore diventa anch’esso perfetto e troviamo la tranquillità”.

(Shalom, 9 giugno 2023)
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Parashà della settimana: Beha'alotecha (Far salire)

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Israele: primo test di ‘taxi volanti’ autonomi

di Jacqueline Sermoneta

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In arrivo una vera e propria rivoluzione nel trasporto aereo e nella mobilità urbana. È il taxi volante senza pilota. A tal scopo undici aziende, nell’ambito dell’Israel National Drone Iniziative – una partnership tra enti governativi e autorità per l’aviazione civile del Paese – hanno effettuato i primi test necessari per la messa a punto dei nuovi velivoli elettrici a decollo e atterraggio verticali ad uso autonomo (gli eVTOL, acronimo di electric vertical take-off and landing aircraft).
  "Il velivolo in fase di prova sarà in grado di evitare gli ingorghi stradali e decongestionare il trasporto, seguendo allo stesso tempo i sistemi di gestione del traffico aereo"ha affermato Orly Stern, Ceo delle Autostrade di Ayalon.
  L'obiettivo non è solo agevolare le aree molto trafficate, ma anche trasportare merci, fornendo servizi commerciali e pubblici in modo più efficiente, allo scopo di portare alle aziende israeliane un vantaggio competitivo globale.
  "Il progetto di collaborazione – ha detto Il ministro dei Trasporti Miri Regev – esamina tutti gli aspetti, inclusa la regolamentazione coinvolta nell'operazione commerciale dei droni, come strumento aggiuntivo per affrontare il traffico”.
  “Per noi è un mondo nuovo, appassionante e stimolante, con possibilità illimitate. - ha aggiunto Regev - Faremo di tutto affinché Israele continui a essere in prima linea nella ricerca e nello sviluppo mondiale su terra, aria e mare".
  Tra i veicoli aerei testati c'è Air Zero, progettato e prodotto in Israele, che può ospitare fino a due passeggeri, trasportare un carico massimo di 220 kg fino a una distanza di 160 Km.
  L’azienda Dronery Fly, filiale di Cando Drones, ha testato il velivolo EH216-S di Ehang,di produzione cinese, partito dalla piattaforma di Pal-Yam a Cesarea, che può trasportare due passeggeri, un carico di 220 kg, con un’autonomia di 35 km.
  Cando Drones ha condotto voli di consegna, voli notturni nella fascia costiera di Hadera in collaborazione con il comune e attività di monitoraggio del traffico.
  Finora Down Wind ha condotto il volo più lungo dell'iniziativa, aprendo una traiettoria di volo tra l'Hillel YaffeMedical Center e il Rambam Medical Center.
  Nei prossimi due anni, le aziende partecipanti all'iniziativa effettueranno voli di prova in tutto il Paese per una settimana al mese. I test si svolgeranno in uno spazio aereo controllato, copriranno distanze fino a 150 chilometri e trasporteranno carichi più pesanti. Le autostrade di Ayalon continueranno a fungere da sito pilota per il loro svolgimento.

(Shalom, 8 giugno 2023)

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«Cari amici di Israele»

Editoriale di "Nachrichten aus Israel"

di Fredi Winkler

In relazione alla prevista riforma giudiziaria in Israele, ci si dovrebbe innanzitutto chiedere: perché Israele non ha ancora una Legge fondamentale dopo 75 anni di esistenza dello Stato?
  In realtà, ogni Stato che fa parte dell'Organizzazione delle Nazioni Unite deve avere una Legge fondamentale. Anche Israele aveva promesso di redigere successivamente una Legge fondamentale dello Stato. Ma questo non è ancora avvenuto. Con la fondazione dello Stato è scoppiata la Guerra d'Indipendenza e la giovane nazione aveva altre preoccupazioni più importanti. Finita la guerra, è iniziata una grande ondata di immigrazione e Israele ha avuto di nuovo altre preoccupazioni più importanti.
  Poi, quando i problemi iniziali più essenziali erano stati risolti e si sarebbe potuto passare ai problemi amministrativi, iniziò la resistenza degli Stati arabi confinanti, che portò alla Guerra dei Sei Giorni e poi alla Guerra dello Yom Kippur. Dopo la guerra dello Yom Kippur, l'opposizione andò al potere per la prima volta. Israele continuò a essere preoccupato da problemi esistenziali, e la questione della Legge fondamentale fu nuovamente rimandata.
  Nel frattempo, però, la necessità di una Legge fondamentale è diventata sempre più urgente perché a causa di questa carenza la Corte Suprema aveva acquisito un potere eccessivo per i gusti di molti. Inoltre, il parlamento israeliano si basa su un sistema "unicamerale" e quindi non ha un vero strumento di controllo. La grande domanda ora è: come dovrebbe essere la Legge fondamentale dell'unico Stato ebraico al mondo? Dovrebbe essere simile a quella della maggior parte degli Stati del mondo o dovrebbe essere diversa?
  C'è chi pensa: Abbiamo una legge fondamentale, la "Torah", quella che Dio ha decretato per il popolo di Israele attraverso Mosè. Una futura legge fondamentale per Israele dovrebbe quindi basarsi principalmente sulla Torah?
  Nella Torah ci sono comandamenti difficili da adattare ai nostri tempi, come il sabato o l'anno giubilare. Su questi comandamenti le opinioni sono molto diverse e sarà difficile trovare un consenso. Inoltre, bisogna considerare che il 20% della popolazione non è ebrea e che anche gran parte della popolazione ebraica non osserva le norme e i regolamenti religiosi. Inoltre, il governo di Israele è criticato e ammonito da molti Stati a causa della riforma giudiziaria, anche dai suoi migliori amici come gli Stati Uniti.
  Probabilmente le cose continueranno come prima, cioè che questioni più urgenti e problemi più attuali continueranno a mettere in "secondo piano" la questione della Legge fondamentale.
  Di recente, il Ministro degli Esteri iraniano si è recato in Libano per visitare gli alleati, ovvero Hezbollah. In occasione della visita, ha colto l'occasione per guardare oltre il confine con Israele. Ha detto che lo Stato ebraico - a causa di tutto ciò che sta accadendo in Israele in questo momento - ha iniziato a disintegrarsi dall'interno. La fine dello Stato sionista è vicina, ha detto.
  Queste osservazioni devono essere prese sul serio da Israele, perché mostrano come i nemici esterni valutano e giudicano i problemi interni del Paese. Infatti, la maggior parte degli ex capi di stato maggiore e anche dei capi dell'intelligence mettono in guardia contro la riforma giudiziaria prevista, perché ha il potenziale di dividere il popolo e indebolire la volontà di Israele di difendersi. Ma possiamo essere certi che Dio tiene gli occhi aperti su quanto sta accadendo, perché dietro a tutto ciò che sta accadendo a Israele c'è il piano di Dio per il ritorno del Messia Gesù.

(Nachrichten aus Israel, giugno 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Il presidente della Liguria incontra l’ambasciatore israeliano in Italia Alon Bar

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GENOVA - Il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti ha ricevuto e incontrato l’ambasciatore di Israele in Italia Alon Bar, a cui ha donato la bandiera ufficiale di Regione Liguria.
  Al centro dell’incontro la cooperazione e i solidi e storici rapporti di amicizia e vicinanza tra Liguria e Israele, i temi della portualità e degli scambi commerciali tra realtà affacciate sul Mediterraneo, quelli dell’innovazione, dell’high tech e della cyber security, su cui Liguria e Israele hanno forti affinità.
  Oltre a questo la Liguria è stata la prima Regione italiana ad approvare un ordine del giorno in Consiglio regionale per chiedere l’adozione, da parte dell’Italia, della definizione operativa di antisemitismo sancita dall’Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto.

(Genova24, 8 giugno 2023)


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Il nuovo ambasciatore israeliano Alon Bar a Savona

Prima tappa in tribunale poi il saluto in Provincia

di Elena Romanato

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Si è presentato alla comunità Savonese, questa mattina, il nuovo ambasciatore di Israele in Italia Alon Bar. Dopo il saluto e l'intervento a Palazzo di giustizia, a Savona, l'ambasciatore Bar è andato in Provincia dove, nella sala consiliare di Palazzo Nervi ha rivolto i suoi saluti ai rappresentanti delle istituzioni ed enti locali del territorio. Tra i presenti il presidente della Provincia Pierangelo Olivieri e il consigliere regionale Angelo Vaccarezza.
  “Ringrazio gli amici dell'associazione Italia Israele  di Savona e la sua presidente Cristina Franco per l'impegno profuso in questi ultimi anni – ha detto l'ambasciatore Bar - per la conoscenza  e l'adozione del concetto di antisemitismo nelle principali istituzioni locali e nazionali”.
  Poi il riferimento ai buoni rapporti tra Italia e Israele, e l'importanza della cooperazione tra i due paesi nei temi di sicurezza, lotta al terrorismo, energia, ma anche turismo e cultura.
  “Affrontare in modo congiunto queste sfide – ha proseguito Alon Bar - sarà a beneficio di entrambi. E' importante non solo la collaborazione a livello nazionale ma anche regionale e locale. Ed è importante coltivare i rapporti di amicizia tra nazioni”.
  Il consigliere regionale Angelo Vaccarezza ha poi ricordato la poesia attribuita a Bertold Brecht ma in realtà parte di un sermone del pastore Niemoller per rimproverare l'inattività degli intellettuali tedeschi dopo l'ascesa al potere dei nazisti e sull'indifferenza per quanto succede al prossimo. “Siamo sicuri - ha detto Vaccarezza, che è anche presidente onorario dell'associazione - che noi non ci troviamo in questa situazione?”.
  Dopo l'intervento dell'ambasciatore Bar e delle istituzioni c'è stato un rinfresco a base di piatti israeliani preparati e serviti dagli studenti dell'istituto alberghiero  Migliorni di Finale Ligure ai quali l'ambasciatore israeliano fatto i suoi saluti e auguri per il loro futuro scolastico e professionale.
  Nella mattinata l'ambasciatore aveva già avuto modo di incontrare il presidente della Regione Giovanni Toti, il quale gli ha donato la bandiera ufficiale regionale.
  Al centro dell’incontro la cooperazione e i solidi e storici rapporti di amicizia e vicinanza tra Liguria e Israele, i temi della portualità e degli scambi commerciali tra realtà affacciate sul Mediterraneo, quelli dell’innovazione, dell’high tech e della cyber security, su cui Liguria e Israele hanno forti affinità.
  Oltre a questo va ricordato come la Liguria sia stata la prima regione italiana ad approvare un ordine del giorno in Consiglio Regionale per chiedere l'adozione, da parte dell'Italia, della definizione operativa di antisemitismo sancita dall'Alleanza Internazionale per la Memoria dell'Olocausto.

(Savona News, 8 giugno 2023)

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Finalmente dopo 23 anni vede la luce

Itsik Manger, "Le meravigliose avventure di Shmuel-Abe Abervo", ed. Belforte, 2003

di Barbara Mella

Finalmente, dopo 23 anni, vede la luce questo gioiello della letteratura yiddish, tradotto da Sigrid Sohn e da me: tanti ne sono occorsi prima di riuscire a trovare un editore.
Di che cosa si tratta, è presto detto: i bambini, come tutti sappiamo, prima di nascere sono degli angioletti e stanno in Paradiso. Quando arriva il momento di nascere, un angelo specificamente addetto a questo compito porta l’angioletto al confine fra il Paradiso e la terra, gli taglia le ali e gli dà un buffetto sul naso, e poi lo spedisce giù. La funzione del buffetto è quella di fargli dimenticare tutto ciò che ha visto, imparato e vissuto in Paradiso (è per questo che i bambini, quando nascono, non sanno niente e non sanno fare niente). Il nostro Shmuel-Abe, però, voce narrante e protagonista di questa storia, con uno stratagemma riesce a evitare il buffetto, e di conseguenza arriva giù con tutti i ricordi intatti, che provvede a raccontare. E così incontriamo angeli e gente comune, i santi Patriarchi coi loro difetti e le loro debolezze (santi sì, ma pur sempre uomini), ricchi e poveri, gente per bene e gente per male, sfruttati e sfruttatori (sì: il Paradiso, almeno per il momento, non è un Paradiso per tutti), re Davide che ancora non ha perso il vizio di correre dietro a tutte le donne che gli capitano a tiro… Un Paradiso, insomma, che non assomiglia per niente a quello che noi “conosciamo”, e non è facile credere a questo Paradiso che assomiglia molto più a uno stetl dell’Europa orientale che al luogo di beatitudine che aspetta i giusti dopo la morte; d’altra parte non possiamo dimenticare che noi, il “nostro” paradiso, lo immaginiamo, mentre lui ci è vissuto: perché dovremmo dunque credere più al nostro che al suo?
C’è un po’ di tutto, in questo libro: un vivo affresco della vita – molto spesso dura e piena di ingiustizie – dei villaggi ebraici dell’Europa orientale, denuncia sociale, poesie (Manger era soprattutto poeta, e anche in questo romanzo ci sono numerose poesie – e posso dire, con orgoglio, che la loro resa con metro, rime, e contenuto perfettamente fedele al testo originale, è interamente opera mia), e un infinito amore per quel mondo perduto tra le ceneri di Auschwitz.

(ilblogdibarbara, 8 giugno 2023)

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Direttore delle testate editoriali, il bando UCEI

Dopo le dimissioni del precedente direttore Guido Vitale

L’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha lanciato un bando, con scadenza al 16 giugno per la presentazione delle candidature, dedicato alla ricerca e selezione di un direttore per le testate editoriali UCEI. La figura ricercata, si annuncia, “ha una solida e comprovata esperienza nel campo del giornalismo e delle pubblicazioni editoriali, unita a una profonda conoscenza della cultura ebraica”. E ricoprirà “il ruolo di responsabile diretto della pianificazione e del coordinamento della comunicazione editoriale dell’Ente UCEI, nonché della gestione delle testate giornalistiche dell’Ente, inclusi notiziari, riviste e pubblicazioni online; avrà inoltre il compito di organizzare e garantire i servizi di rassegna stampa dei quotidiani e quelli dell’Ufficio Stampa UCEI”. Tra i compiti e responsabilità che vengono esplicitati:
  1. Definizione della strategia editoriale: sviluppare un piano strategico per le testate editoriali e giornalistiche dell’UCEI, stabilendo obiettivi e percorsi editoriali coerenti con la missione dell’Ente editore, sulla base delle linee guida da questo definite.
  2. Supervisione delle operazioni giornalistiche: assicurarsi che le pubblicazioni siano prodotte in modo tempestivo, accurato e rispettoso degli standard etici del giornalismo; supervisione delle attività di redazione, impaginazione, revisione e pubblicazione.
  3. Supervisione dei processi relativi alla stampa e alla distribuzione del giornale stampato; strategie degli abbonamenti.
  4. Gestione delle risorse umane: coordinare il personale contrattualizzato e i collaboratori volontari delle testate editoriali e giornalistiche, assegnando compiti, fornendo orientamenti, supervisionando il lavoro e valutando le prestazioni.
  5. Responsabilità del budget, delle risorse finanziarie e degli investimenti assegnati per garantire un’efficace operatività.
  6. Sviluppo delle relazioni con le testate giornalistiche, con i media nazionali, internazionali, comunitari e con altri partner chiave nel settore editoriale e giornalistico, assicurando sinergie e valorizzazione dell’apporto della comunicazione istituzionale UCEI al panorama italiano e internazionale.
  7. Raccordo interno: pianificare e svolgere l’attività sulla base di un efficace raccordo con la Presidenza, la Giunta e l’Assessorato alla Comunicazione dell’UCEI, sulla base di un approccio di reciproca consultazione e di valutazione dei percorsi intrapresi; raccordo con tutte le funzioni di comunicazione interna dell’Ente e con altri presidi e servizi di comunicazione esterna dedicati, favorendo sinergie e collaborazione con tutti gli uffici e le aree operative dell’Ente.
  8. Innovazione e adattamento: curare l’aggiornamento sulle tendenze nel campo dei media, esplorare nuovi formati e strategie di pubblicazione, adottare tecnologie innovative, implementare pratiche avanzate per migliorare la qualità e la rilevanza delle pubblicazioni”.
Il Bando

(moked, 6 giugno 2023)

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Ocse: “Israele ha un’economia solida, ma le tensioni politiche sono un rischio”

L’economia israeliana è destinata a crescere, ma a un ritmo ridotto quest’anno e il prossimo rispetto alle previsioni. A segnalarlo, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) nel suo report dedicato a dare un quadro della situazione globale e dei diversi paesi che ne fanno parte. In particolare si parla di una revisione al ribasso sul PIL che passa da una crescita del 3 per cento previsto per il 2023 al 2,9 e dal 3,4 al 3,3 nel 2024. Dati che testimoniano come Israele rappresenti una delle realtà più solide dell’Ocse, ma, evidenziano gli esperti dell’organizzazione, come allo stesso tempo il governo non possa sottovalutare alcune criticità.
  “L’intensificarsi degli incidenti di sicurezza e le continue tensioni politiche sulla riforma giudiziaria potrebbero aumentare la percezione del rischio, portare a un inasprimento delle condizioni finanziarie e pesare sul clima di fiducia delle imprese e sugli investimenti”, si legge ad esempio nel rapporto pubblicato in concomitanza con la visita a Parigi del ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich. Una presenza dovuta alla riunione del Consiglio dei ministri dell’Ocse. “Ringrazio l’organizzazione per la previsione di crescita positiva che ci è stata fornita. Non ho dubbi – il commento di Smotrich sul report – che la forza economica e la stabilità di Israele nelle acque turbolente dell’economia internazionale siano un’ancora significativa per il paese e per il mondo”.
  Rispetto agli avvertimenti sugli investimenti, gli esperti dell’Ocse rilevano come “la fiducia delle imprese si è indebolita, ma rimane positiva”, dall’altra parte “la raccolta di capitali da parte delle imprese high-tech è diminuita notevolmente rispetto ai livelli elevati del 2021 e dell’inizio del 2022”.
  Nelle sue raccomandazioni, il rapporto dell’OCSE dedica ampio spazio alle sfide demografiche di Israele. “Affrontare le sfide demografiche, legate alla quota crescente di gruppi di popolazione con un debole attaccamento al mercato del lavoro, è fondamentale per mantenere la crescita futura e la sostenibilità fiscale. Ciò richiederà la definizione di adeguati incentivi al lavoro, un migliore sostegno ai genitori che lavorano, anche attraverso l’espansione delle strutture di assistenza all’infanzia nelle aree poco servite, il miglioramento delle competenze in tutte le fasi del ciclo di apprendimento e la facilitazione della mobilità verso posti di lavoro e aziende ad alta produttività”.
  Tra i temi ovviamente quello dell’inflazione, che rappresenta una sfida globale. La Banca centrale del paese ha continuano in questi mesi a ritoccare verso l’alto il tasso d’interesse di riferimento (attualmente al 4,75 per cento) proprio come strategia per contenere l’inflazione. L’obiettivo è portarla al di sotto del 3 per cento, mentre negli ultimi mesi continua ad aggirarsi attorno al 5. “L’inflazione elevata peserà sulla crescita dei consumi privati e le esportazioni saranno frenate dalla moderata crescita della domanda dei partner commerciali”, la valutazione dell’Ocse. “Il mercato del lavoro si raffredderà leggermente con la moderazione della crescita”.
  Nelle sue raccomandazioni, il rapporto dedica poi ampio spazio al tema demografica israeliano. “Affrontare le sfide demografiche, legate alla quota crescente di gruppi di popolazione con un debole attaccamento al mercato del lavoro, è fondamentale per mantenere la crescita futura e la sostenibilità fiscale. Ciò richiederà la definizione di adeguati incentivi al lavoro, un migliore sostegno ai genitori che lavorano, anche attraverso l’espansione delle strutture di assistenza all’infanzia nelle aree poco servite, il miglioramento delle competenze in tutte le fasi del ciclo di apprendimento e la facilitazione della mobilità verso posti di lavoro e aziende ad alta produttività”.

(moked, 7 giugno 2023)

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Gli ebrei di Libia e il tema della cittadinanza, una questione ancora aperta

di Luca Spizzichino

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In occasione del 75esimo anniversario dei disordini del 1948, che diedero il via all’esodo degli ebrei dalla Libia, l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha organizzato un seminario di studio per approfondire dal punto di vista storico e giuridico il problema della cittadinanza degli ebrei libici. Presenti al seminario la presidente UCEI Noemi Di Segni, la presidente della Comunità Ebraica di Roma Ruth Dureghello e Davide Gerbi, presidente dell’Associazione Internazionale per la Commemorazione Ebrei di Libia e il Sostegno agli Accordi di Abramo.
  “È necessario fare chiarezza sulla condizione degli ebrei di Libia. Oggi siamo qui per approfondire la questione non solo dal punto di vista storico, ma anche dal punto giuridico, che si riflette ancora oggi” ha spiegato Saul Meghnagi, che ha introdotto i saluti istituzionali.
  “È fondamentale capire cosa è successo dal 1948 fino al 1967, e quali sono le criticità attuali della questione dello status giuridico degli ebrei di Libia” ha affermato la presidente UCEI Noemi Di Segni. “La Comunità è stata capace di accogliere e assistere gli ebrei libici, costruendo così un unicum nella vita comunitaria” ha detto la presidente Dureghello, che ha successivamente fatto una riflessione sullo status degli ebrei libici, che ancora oggi vivono di situazioni irrisolte dal punto di vista giuridico. “All’epoca venne addirittura istituito un comitato per gli ebrei di Libia, per ascoltare le loro istanze” ha ricordato.
  David Gerbi, ripercorrendo quella che fu la sua fuga da Tripoli nel 1967, ha parlato di tutti i beni sequestrati dalla Libia: non solo i cimiteri, le sinagoghe e gli immobili, ma anche tutta la documentazione, tra cui i certificati di nascita e di morte. Ha inoltre illustrato le iniziative portate avanti dalla sua associazione per la memoria di quanto accaduto alla comunità libica. Si è soffermato anche sugli sforzi del ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen sulla questione. “Grazie all’aiuto del governo israeliano, i dirigenti libici sembrano essere disposti ad aiutare” ha affermato.
  Successivamente il seminario si è diviso in due panel: il primo, moderato da Sira Fatucci, ha visto al tavolo come relatori la professoressa Chiara Renzo e il professor Alessandro Volterra.
  La professoressa Renzo è autrice di uno studio sull’argomento. Tra i temi trattati dalla professoressa, c'è stato il tema dell’accoglienza da parte del governo italiano durante l’esodo della comunità ebraica libica dopo il ‘67. Il professor Volterra invece ha posto il focus sul tema della cittadinanza e del razzismo coloniale. Ha inoltre raccontato la vicenda dei cittadini con passaporto britannico, che furono deportati e portati nel campo di Bergen Belsen. Successivamente furono liberati nel quadro di uno scambio di prigionieri tra inglesi e tedeschi. In quel caso, ha spiegato, “a prevalere non fu l’identità religiosa ma la cittadinanza”.
  La seconda parte del convegno, moderata da Saul Meghnagi, ha visto invece un approfondimento di tipo giuridico sulla questione della cittadinanza. A parlarne, l’assessore UCEI Davide Jona Falco e il vicepresidente Giulio Di Segni. Jona Falco ha trattato lo status degli ebrei italo-libici dopo il 1967, soffermandosi sui risultati raggiunti dalla Commissione di studio sotto la guida di Giovanni Canzio. Nel 2021 infatti, con la legge di Bilancio, sono state apportate alcune modifiche alla legge Terracini sulla presunzione di persecuzione. “Tuttavia, permangono problemi applicativi, soprattutto in un certo atteggiamento della pubblica amministrazione nel negare le benemerenze” ha affermato l’assessore UCEI.
  “Pochissimi ebrei libici hanno ottenuto in questi anni dei riconoscimenti a causa della persecuzione razziale. Eppure la persecuzione c’è stata ed è riconosciuta dagli storici” sottolinea il vicepresidente UCEI Giulio Di Segni. “L’UCEI continua a chiedere che sia fatta luce” ha dichiarato, sottolineando l’impegno delle istituzioni ebraiche a perseguire questa causa.

(Shalom, 7 giugno 2023)

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Reperti archeologici rubati e recuperati a Gerusalemme: ritrovato un tesoro di altissimo valore

Durante una fortunata ispezione, i detective del quartiere di Beit Hanina a Gerusalemme hanno ritrovato un tesoro di grandissimo valore: dei reperti che erano stati rubati da un sito archeologico.

di Caterina Damiano

Ciò che esisteva nel nostro passato è un mezzo estremamente importante per raccontarci, dipingere e tratteggiare storie lontane. I reperti archeologici non sono solo straordinari da vedere, ma hanno anche un grande potere, ossia quello di permetterci di ricostruire la storia. Purtroppo (e per fortuna), però, hanno anche un grande valore, cosa che porta spesso gruppi di malintenzionati a saccheggiare i siti d’ogni parte del mondo.
  Spesso, sfortunatamente, dopo il passaggio dei saccheggiatori, i reperti sottratti vengono immessi nel mercato illegale e, una volta venduti, vengono persi per sempre. Esistono però dei casi, come quello che recentemente ha interessato Gerusalemme, in cui questi tesori vengono recuperati e restituiti non solo agli istituti di competenza, ma anche e soprattutto all’intera umanità.

• LE AREE PREZIOSE INTORNO A GERUSALEMME
  Dunque, cos’è successo? Per chi non lo sapesse, intorno a Gerusalemme esistono molte, moltissime aree archeologiche. Negli ultimi cento anni (e più) Israele si è distinta per l’individuazione di diverse zone d’interesse storico, alcune più vicine alla città e altre più lontane, nascoste in ampi panorami desertici o tra quelli che apparentemente sembrano naturali accumuli rocciosi. Purtroppo, la verità è che un così vasto patrimonio archeologico richiederebbe un monitoraggio attento delle zone di valore, cosa che manca.
  Più volte l’istituto di tutela e ricerca Israel Antiquities Authority ha sottolineato il grave problema dei saccheggiatori e non solo: gli archeologi dell’istituto sono più volte intervenuti in prima persona, con il supporto delle forze dell’ordine. Ciò è accaduto anche questa volta, con la creazione di una task force formata dagli studiosi dell’Unità Prevenzione Furti dell’istituto e dai detective del Dipartimento di Polizia di Gerusalemme.

• IL FURTO E IL RITROVAMENTO
  La task force è stata creata in seguito ad alcuni avvenimenti, in particolare il ritrovamento di un tesoro nascosto in una grotta in Galilea che aveva evidenziato proprio la forte presenza di saccheggiatori in grado di trasportare fuori dalle aree archeologici anche materiali piuttosto pesanti. Dopo questa drammatica presa di coscienza, l’area intorno a Gerusalemme è diventata, oggetto di maggiori controlli, anche sui veicoli in transito.
  Ed è stato proprio il controllo su un veicolo che stava viaggiando intorno alla città a svelare la presenza del tesoro rubato. I detective del quartiere di Beit Hanina hanno infatti individuato un’automobile ritenuta sospetta per i suoi spostamenti e hanno deciso di fermare il conducente. Una volta aperto il portabagagli, eccoli lì: decine di antichi mattoni di argilla con impronte della decima legione romana, che distrusse Gerusalemme quasi 2000 anni fa.

• I MATTONI E LE NUOVE INDAGINI
  Dopo l’arresto del conducente, i mattoni sono stati portati al sicuro dagli archeologi dell’Israel Antiquities Authority. Gli studiosi hanno potuto constatare che oltre a recare, appunto, le impronte inconfondibili dei militari romani (che avevano costruito il loro campo militare a Gerusalemme dopo la distruzione del 70 d.C), i mattoni mostravano segni recentissimi di interventi umani, il che significa che non doveva essere passato molto dalla loro illecita rimozione da un sito archeologico.
  Purtroppo, non è ancora chiaro da dove siano stati sottratti. Secondo il dottor Amir Ganor, Direttore dell’Unità di Prevenzione Furti, i mattoni facevano sicuramente parte del marciapiede di un edificio pubblico. Nonostante le loro condizioni, rivelano molte informazioni utili sul periodo, ma per poter davvero scoprire tutto ciò che serve bisogna scoprire qual è davvero il sito da cui sono stati prelevati. Le indagini sono attualmente in corso e, frattanto, pare che verranno ulteriormente incrementate le attività di controllo.

(Tecnologia, 7 giugno 2023)

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Latte sintetico, Israele autorizza la produzione. Ma è allarme: «Non è cibo, più simile a un farmaco»

Dopo la carne arriva il latte senza mucche. Israele ha infatti autorizzato una startup locale di food-tech, la Remilk, ad iniziare la produzione di proteine di latte ottenuta attraverso un processo di fermentazione a base di lievito che le rende «chimicamente identiche» a quelle presenti nel latte e nei latticini di mucca.
  Secondo la startup il latte così prodotto è privo di lattosio, colesterolo, ormoni della crescita e antibiotici. All’inizio dell’anno le autorità di Singapore hanno autorizzato la vendita di questo genere di latte e – secondo quanto riporta la stampa locale – la Food and Drug Administration negli Stati Uniti ne ha già riconosciuto la sicurezza per il consumo alimentare Una nuova avanzata del cibo coltivato contro il quale, però, l’Italia torna a fare muro sia con il Governo che con le associazioni di categoria.

• L’ALLARME
  Al Tuttofood in Fiera Milano (2.500 brand da 46 Paesi e oltre 800 buyer da 86 Paesi) Coldiretti, Filiera Italia, Assica, Assolatte Unaitalia e Assocarni lanciano «la prima alleanza contro l’assalto del cibo sintetico alle tavole mondiali e a comparti strategici del vero Made in Italy agroalimentare, dalla carne ai salumi, dal latte ai formaggi. È «aberrante mettere a rischio la salute» ha detto il ministro dell’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste. «Ci batteremo anche in Europa perché non passi».
  «Abbiamo un ministro della Salute – ha proseguito – che ci ha dato una indicazione: il cibo sintetico non è sicuro, anzi, la potenzialità che possa essere dannoso esiste». Ma da Più Europa Giordano Masini della segreteria chiede di «sapere sia da Lollobrigida che da Schillaci su quali evidenze fondino questa spericolata affermazione».
  Intanto da Israele il premier Benyamin Netanyahu, che nei giorni scorsi ha visitato lo stabilimento della Remilk ha sottolineato che questa autorizzazione» è l’inizio di un balzo in avanti, è una pietra miliare in un’area in cui Israele è già un leader tecnologico». «Lo sviluppo di questa tecnologia – ha aggiunto – rafforzerà l’economia di Israele, la sua sicurezza alimentare, aiuterà ad affrontare i cambiamenti climatici e a sostenere il benessere degli animali».

• I NODI
  «L’apertura del mercato israeliano a prodotti latticini di origine non animale porterà Israele in prima linea nella ricerca mondiale e di sviluppo di food-tech», ha previsto la Remilk, che ha annunciato l’apertura della più grande sede di produzione di latte ottenuto con la fermentazione di precisione su un’area di quasi 70 mila metri quadrati in Danimarca, a Kalundborg, preparandosi a sbarcare sui mercati europei. Non è solo il cibo a base cellulare o a fermentazione a tenere banco. In primo piano nel settore alimentare del made in Italy anche le norme europee.
  L’allarme arriva dalla Coldiretti per il nuovo regolamento sugli imballaggi dell’Unione Europea, con l’addio alle confezioni monouso per frutta e verdura di peso inferiore a 1,5 chilogrammi. «Rischia – sostiene Coldiretti – di cancellare dagli scaffali dei supermercati l’insalata in busta, i cestini di fragole, le confezioni di pomodorini e le arance in rete ma anche le bottiglie magnum di vino con un effetto dirompente sulle abitudini di consumo degli italiani e sui bilanci delle aziende agroalimentari».

(Il Messaggero, 7 giugno 2023)
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Certi primati tecnologici di Israele in campo biologico cominciano ad essere davvero un po' inquietanti. Speriamo che non generino il fiorire di un nuovo sentimento anti-israeliano. M.C.

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La quinta edizione del memorial "Nonno Bruno il Giusto di San Saba"

Si è svolta nel Primo municipio di Roma la quinta edizione del premio "Nonno Bruno il Giusto di San Saba" dedicato a Bruno Fantera che difese gli ebrei durante l'occupazione nazifascista.

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Nel municipio I di Roma si è svolta la quinta edizione del premio “Nonno Bruno il Giusto di San Saba” che ha visto partecipare i bambini delle scuole del territorio.
La giornata si svolge in memoria di Bruno Fantera (scomparso nel 2017 all’età di 96 anni) che durante i mesi dell’occupazione nazifascista insieme a sua mare Esìfile nascose in casa la famiglia ebrea romana dei Moscati e aiutò altri perseguitati e prese a suo nome attività commerciali e conti bancari, puntualmente restituiti a seguito della liberazione. Per questo Bruno Fantera ricevette nella Sinagoga maggiore di Roma dallo Stato di Israele l’onorificenza di Giusto tra le Nazioni.
  Partendo dall’esempio di Bruno Fantera, esempio del fare del bene senza chiedere nulla in cambio, i bambini hanno dovuto raccontare con diversi tipi di elaborati, immagini, parole e altre tecniche, la lotta alla diseguaglianza e discriminazione.

(Roma Today, 7 giugno 2023)

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Commissione Europea e OMS hanno firmato l’accordo per il “Green pass globale”

di Giorgia Audiello

Il passaporto sanitario mondiale non è più una previsione da “complottisti”, ma realtà: ciò che era emergenziale – e che sarebbe quindi dovuto rimanere limitato al periodo pandemico – è diventato effettivamente ordinario, confermando il ruolo delle emergenze nell’accelerare la costruzione di nuovi assetti sociopolitici, sanitari e di sicurezza. Lo conferma il nuovo accordo firmato ieri tra l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) e la Commissione europea che prevede l’adozione del sistema di certificazione digitale Covid19 dell’Ue – il cosiddetto Green Pass – per costituire un sistema di controllo uniforme tra gli Stati membri dell’agenzia che dovrebbe contribuire a facilitare la mobilità globale e a proteggere i cittadini di tutto il mondo dalle minacce sanitarie attuali e future, comprese le pandemie. È noto, infatti, che da tempo le cassandre del potere internazionale avvisano il mondo di prepararsi a future – e forse più letali – pandemie, lanciandosi in previsioni che suscitano più di qualche interrogativo. Si tratta, in ogni caso, solo del primo elemento di quella che costituirà una rete globale di certificazione della salute digitale dell’OMS che è perfettamente in linea con i progetti di digitalizzazione totale della vita promossi dalla Commissione europea e dal World Economic Forum (WEF) di Davos. Del resto, L’Indipendente non aveva mancato di anticipare questo progetto già più di un anno fa, quando l’OMS stava già lavorando in questa direzione. Ora, dunque, si sta semplicemente assistendo alla concretizzazione di quell’iniziativa in tempi piuttosto rapidi.
  «La partnership è un passo importante per il piano d’azione digitale della strategia sanitaria globale dell’Ue. Utilizzando le migliori pratiche europee, contribuiamo agli standard sanitari digitali e all’interoperabilità a livello globale […]», ha affermato Stella Kyriakides, commissaria Ue per la Salute e la Sicurezza alimentare. Dunque, le certificazioni vaccinali non verranno meno con la fine della pandemia, ma continueranno a funzionare in modo efficace, creando le condizioni per monitorare capillarmente lo stato vaccinale dei cittadini, impedendo eventualmente a chi non fosse in regola con le inoculazioni ogni spostamento e qualunque altro diritto garantito dalla Costituzione. L’iniziativa si integra con il progetto europeo del portafoglio di identità digitale, pensato proprio in vista della digitalizzazione di tutti i dati, compresi quelli sanitari relativi alle vaccinazioni. Ne consegue un contesto di totale digitalizzazione della vita e della realtà a cui nessuno potrà sfuggire senza rimanere escluso dall’accesso ai principali servizi e dalla possibilità di viaggiare liberamente. Si tratta di un progetto che non nasce oggi, ma che i filantropi internazionali, la Commissione europea e il WEF portano avanti da diverso tempo: basti pensare che già nel 2020 Bill Gates aveva lanciato l’ID2020.
  Oggi, i progetti di Bill Gates e del WEF stanno per essere realizzati ad opera dell’OMS e della Commissione europea: l’iniziativa attuale fa seguito all’accordo del 30 novembre 2022 tra il commissario Kyriakides e il dottor Ghebreyesus per rafforzare la cooperazione strategica sulle questioni sanitarie globali. L’OMS adotterà a livello globale i certificati Covid 19 interoperabili – denominati «certificato digitale Ue Covid-19» o «Eu Dcc» – come primo passo verso la costruzione di una rete globale di certificazione sanitaria digitale. Questa iniziativa sarà già operativa a partire dal mese corrente – giugno 2023 – e mira ad essere sviluppata progressivamente nei prossimi mesi. «Basandosi sulla rete di certificazione digitale di grande successo dell’Ue, l’Oms mira a offrire a tutti gli Stati membri dell’Organizzazione sanitaria mondiale l’accesso a uno strumento sanitario digitale open-source, che si basa sui principi di equità, innovazione, trasparenza, protezione dei dati e privacy», ha affermato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms.
  Si tratta di un passo importante verso quella transizione digitale propugnata con forza dalla finanza mondiale, dai fautori del fanatismo ipertecnologico, dai cosiddetti filantropi e dal WEF e che costituisce una svolta determinante su un duplice piano, antropologico e sociopolitico: sul primo, infatti, contribuisce alla costruzione dell’“uomo nuovo digitale”, schiavo della tecnologia e della sua presunta “comodità”; sul secondo, la democrazia cede il passo alla tecnocrazia, in cui sarà la tecnica a dominare l’uomo e la realtà, riducendo al minimo la facoltà di libera scelta dei cittadini i cui dati e i cui movimenti saranno tracciabili e monitorabili in ogni momento. Il prossimo passo in questa direzione di cui ancora si parla poco potrebbe essere l’adozione di chip sottocutanei attraverso cui, grazie al 5G e all’Internet of Things (IoT), si prospetta la possibilità di fare digitalmente qualunque cosa, dagli acquisti all’aprire lo sportello della macchina e la porta di casa da remoto. Al momento, ciò che è certo è che la tecnologia adottata dall’Ue durante l’emergenza ha permesso l’instaurazione di un sistema sanitario globale che consiste in un certificato internazionale digitale di vaccinazione o profilassi senza il quale sarà difficile spostarsi. Allo stesso tempo, si assiste anche a una delle prime iniziative politiche globali, legittimate dalla “crisi sanitaria” e dal rischio di ulteriori pandemie, che convergono verso il progetto di governance globale promossa dal WEF e guidata dagli enti sovranazionali e dalle forze finanziarie globali.

(L'Indipendente, 6 giugno 2023)

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Egitto-Israele, telefonata tra Al Sisi e Netanyahu: il focus è sull’attacco al confine di sabato

Il presidente egiziano e il primo ministro israeliano hanno sottolineato l'importanza di un pieno coordinamento per chiarire tutte le circostanze dell'incidente.

Il presidente dell’Egitto, Abdel Fattah al Sisi, ha ricevuto oggi una telefonata dal primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu. Lo riferisce il portavoce ufficiale della presidenza della Repubblica, il consigliere Ahmed Fahmy, indicando che “la chiamata si è concentrata sulla sparatoria avvenuta sabato 3 giugno al confine egiziano-israeliano, che ha provocato la morte del personale di sicurezza del confine”. “Il presidente e il primo ministro israeliano hanno sottolineato l’importanza di un pieno coordinamento per chiarire tutte le circostanze dell’incidente e l’intenzione delle due parti di continuare a lavorare e coordinarsi nel contesto delle relazioni bilaterali e ad adoperarsi per raggiungere un accordo giusto e mantenere la stabilità nella regione”, ha concluso Fahmy.
  Il 3 giugno, un agente di polizia egiziano, Muhammad Salah, ha ucciso tre membri delle forze di difesa israeliane (Idf) nel deserto del Negev, nel sud di Israele, vicino al confine con l’Egitto, durante uno scontro a fuoco. Secondo le Idf, Salah si è infiltrato in Israele in precedenza, uccidendo due militari, un uomo e una donna, che si trovavano in una postazione di osservazione. Successivamente, il poliziotto egiziano e i militari israeliani hanno ingaggiato uno scontro a fuoco, conclusosi con l’uccisione dell’agente e di un altro componente delle Idf. Da parte sua, il ministero della Difesa egiziano ha subito confermato l’uccisione di un membro delle proprie forze di sicurezza in uno scontro a fuoco al confine tra Egitto e Israele.

(Nova News, 6 giugno 2023)

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Foca monaca avvistata sulla costa tra Israele e Palestina: è la prima volta

di Maria Grazia Filippi

Da Israele a Gaza, messaggera, forse, di pace. Yulia, un raro esemplare di foca monaca, era stata avvistata a largo della costa israeliana a metà maggio. Da allora, giorno per giorno, gli ispettori e i volontari dell'Ente Natura e Parchi israeliano l’hanno monitorata per evitare che i curiosi le si avvicinassero e nel frattempo hanno condiviso con altri studiosi le sue foto.
  Proprio dalle sue foto i ricercatori turchi dell'International Union for Conservation of Nature  hanno riconosciuto Julia come una foca che avevano già visto in passato: era stata avvistata in Turchia e Grecia e chiamata Tugra. Intanto Yulia, ormai una piccola star in grado di portare un po’ di leggerezza e di bellezza nelle giornate degli scontri tra Gaza e Israele, continuava placidamente ad alternare lunghe dormite sotto il sole a nuotate lungo brevi tratti di costa. Alla fine è riapparsa a Gaza, pieno territorio palestinese, segno che per lei i confini hanno poco senso. E che un animale può trasformarsi anche in un innocente messaggero di pace.
  La dottoressa Mia Elser, della Delphis Association, un'organizzazione con sede ad Ashdod che ricerca e protegge i mammiferi marini, ha detto che la foca monaca del Mediterraneo è uno dei 12 mammiferi più rari al mondo. Si pensa che ne rimangano circa 700, la maggior parte dei quali vive sulle coste di Grecia, Turchia e Cipro, mentre altre potrebbero vivere al largo della costa del Sahara occidentale e della Mauritania. «Il loro tasso di riproduzione — ha spiegato la dottoressa – prevede una nascita ogni due-tre anni. Il che vuol dire una probabilità di estinzione molto alta». Mia Elser sostiene anche che «negli ultimi anni ci sono stati centinaia di avvistamenti della rara foca nell'acqua» dando speranza che questi mammiferi possano un giorno tornare in Israele, anche se sulle sue coste non se ne vedono praticamene mai. Questa, in particolare, è stata chiamata Yulia da Muhammed, un ragazzino che era sulla spiaggia quando la foca è stata scoperta e ha aiutato i ricercatori di Delphis a impedire che altri bambini la infastidissero mentre riposava.
  Anche l'autorità per la natura e i parchi israeliana è rimasta sulla spiaggia tutta la notte per sorvegliare Yulia, cominciando poi a fornire aggiornamenti sulle sue condizioni e su i suoi spostamenti.  Aggiungendo però una serie di regole per evitare di infastidirla e di costringerla ad allontanarsi. «Prima di tutto: mantieni le distanze! Questo è un animale selvatico e non dovrebbe essere disturbato. Segnalaci sul sito:  o direttamente per telefono (050-3225227 – Mia), in modo che i ricercatori dell'associazione possano raggiungere il posto. Fotografare (a distanza e senza flash!) la foca. Si consiglia di girare sia in foto che in video. Se l'animale è sulla spiaggia, tieni lontano i cani (al guinzaglio), stai zitto e non puntare le torce verso l'animale».
  Anche a Gaza il suo arrivo sulle coste è stato segnalato con grande rispetto e curiosità. L'associazione dei pescatori – secondo quando riferito dalla televisione israeliana Canale 13 – ha subito fatto appello alla popolazione di non molestarla in alcun modo, in quanto si tratta di una specie molto rara in questa zona. Dopo averle concesso alcune ore di riposo sulla sabbia della Striscia, i pescatori l’avrebbero poi riaccompagnata in mare.
  Anche la Delphis Association conferma il suo arrivo a Gaza. «Secondo la pagina Facebook di Abdel Fatah Abd Rabo, professore di scienze ambientali e marine presso l'Università Islamica di Gaza, Julia gira sulle coste della Striscia da circa tre giorni. Un pescatore di Deir El Balah, al centro della striscia, lo aveva infatti contattato mercoledì scorso, sostenendo di aver visto la foca sulla spiaggia di sera, ma appena lei lo aveva notato, era tornata velocemente in mare e lui non aveva avuto modo di fotografarla».
  Un’altra segnalazione sarebbe arrivata ad Abd Rabo un paio di giorni dal pescatore Joseph Ashur, che ha visto Julia sulla costa di Rafih, nel sud della Striscia, a circa un chilometro dal confine con l'Egitto. «Ashur ha detto che quando si è avvicinato a una delle rocce ha sentito improvvisamente un respiro pesante. Si è girato per capire da dove veniva il suono, e poi ha visto la foca che riposava accanto a una roccia». Il confronto tra fotografie dei diversi esperti, israeliani e palestinesi, avrebbe confermato che si trattava proprio di Yulia.
  «Queste relazioni illustrano solo la necessità e l'importanza di creare uno spazio sicuro per le foche monache in Israele e dintorni – conclude Delphis Association che ha già individuato un contesto naturale locale l’area perfetta per l’accoglienza per le foche di passaggio – il primo obiettivo è ripristinare per Julia e i suoi amici le grotte naturali di Rosh Hanikra. Potremmo anche costruire – per la prima volta al mondo – una grotta artificiale che sarà utilizzata per le foche, permettendo loro di riposare nel lungo viaggio, e magari anche offrire loro un soggiorno permanente sulle spiagge di Israele».
  Gaza ha salutato l’arrivo di Yulia come un vero e proprio evento, segnalando che era la prima volta che una foca monaca veniva avvistata sulla sua costa. «Questo raro evento è la prima segnalazione del passaggio di una foca monaca mediterranea nelle acque marine palestinesi della Striscia di Gaza, ponendo fine a un dibattito decennale sulla presenza o meno di questo raro tipo di mammifero marino nel acque marine della Striscia di Gaza, come evidenziato da precedenti rapporti ambientali locali» spiega il professor Abd Rabo – Le foche monache mediterranee appartengono alla famiglia Phocidae e le stime attuali indicano che ce ne sono 700 o meno che vivono in tre o quattro sottopopolazioni isolate nel Mar Mediterraneo e nell'Oceano Atlantico nord-orientale. Possono raggiungere una lunghezza di oltre due metri e un peso medio di 300 chilogrammi. Di solito usano le grotte costiere per riprodursi e riposare, come quelle sulle spiagge di Grecia, Turchia, Cipro, Italia e alcuni altri paesi. La foca monaca mediterranea si nutre di una varietà di pesci e molluschi come polpi e calamari ed è minacciata dal degrado dell'habitat, dall'inquinamento, e dalla caccia».

(kodàmi, 6 giugno 2023)

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Italia-Israele, perché la strategia dei conservatori passa da Gerusalemme

In occasione della conferenza dell’Ecr Party non solo c’è stata un’ulteriore tappa di avvicinamento alle elezioni europee del prossimo anno, ma è stato fatto un passo verso il governo Netanyahu con la scelta della sede. Fidanza: “Gas, geopolitica e accordi di Abramo sono temi fondamentali su cui stiamo lavorando. C’è una tendenza ad accorciare le catene del valore e quindi riportare le produzioni in Europa”.

di Francesco De Palo

L’obiettivo è cucire, politiche, relazioni e progetti, per arrivare alle prossime elezioni europee con un bagaglio solido e foriero di iniziative in seno alle istituzioni europee. La tre giorni di conferenza dell’Ecr Party che si è conclusa ieri a Gerusalemme è un altro pezzetto di strada in Europa che i conservatori di Giorgia Meloni hanno inserito nel cronoprogramma che li condurrà alle urne del 2024, nella consapevolezza che al di là dei discorsi sulla futura commissione, i conservatori si portano avanti su temi primari come gas, geopolitica e accordi di Abramo.

• Geopolitica e cooperazione
  “Ci troviamo in un contesto geopolitico mutevole e instabile – dice a Formiche.net Carlo Fidanza, capodelegazione di Fratelli d’Italia-Ecr al Parlamento Europeo – nel quale l’Europa si è risvegliata debole dopo la doppia crisi rappresentata da pandemia e Ucraina. Ha capito, tardivamente, che si era privata della sua capacità di produrre gran parte delle cose che le servivano, come i principi attivi per i vaccini fino al grano per la nostra pasta, piuttosto che al litio per le batterie della transizione ecologica. E ce ne siamo accorti quando purtroppo i buoi erano scappati. Ora con questo quadro c’è una tendenza, anche se tardivamente condivisa, di accorciare le catene del valore e quindi riportare le produzioni in Europa”.
  In questo senso si inserisce il dialogo con Israele, player amico e affidabile sul piano della collocazione geopolitica con cui poter sviluppare insieme progetti: al primo posto l’energia con la partita italiana dell’hub energetico del Mediterraneo dopo lo sblocco dell’accordo Israele- Libano sulla zee. “Lì si aprono opportunità enorme che noi dobbiamo assolutamente intercettare e ciò passa naturalmente da un rapporto ulteriormente consolidato con Israele in vari ambiti come la gestione delle acque, la sicurezza, l’intelligence, la difesa e le tecnologie militari”.
  Il tutto senza tralasciare il tema degli accordi di Abramo che Tel Aviv vorrebbe “provare a estendere anche ad altri Paesi arabi con cui sta dialogando, al netto dei problemi interni sulla riforma della giustizia da un lato e le nuove tensioni con la parte palestinese dall’altro”.
  Altro tema sensibile su cui Ecr riflette con i colleghi israeliani quello dei flussi migratori, a poche ore dalla visita a Tunisi del premier Giorgia Meloni. “Vedo una partita su due livelli, in primis una discussione abbastanza surreale a Bruxelles sul patto migrazione. E’ una proposta della Commissione europea di quattro anni fa che giunge ora al negoziato, ma ancora con la vecchia logica della ridistribuzione e di un ruolo ancora molto gravoso per i Paesi di primo approdo come l’Italia”. Di contro, aggiunge, esiste un meccanismo di solidarietà e chi non lo applica subisce delle multe: “È la traduzione degli accordi di Malta dentro un testo ufficiale, mentre la questione vera per noi è quella che ha avviato Giorgia Meloni al Consiglio europeo straordinario di febbraio, ovvero la protezione delle frontiere esterne e la cooperazione con l’Africa per creare gli hotspot in territorio extra europeo dove effettuare la valutazione delle richieste di asilo”.

• Siccità e know how israeliano
  Perché Gerusalemme? Al momento in Ue nessuno ha trasferito la propria ambasciata a Gerusalemme, per cui l’evento vuole dare solidarietà alla questione, legittimando la rivendicazione di Israele. “Coloro che condividono la nostra opinione secondo cui Gerusalemme è la capitale eterna dello stato ebraico devono unire le forze”, ha detto il ministro israeliano Gila Gamliel, ministra dell’Intelligence e membro della Knesset per il Likud, a dimostrazione dell’attenzione manifestata dal Governo Netanyahu.
  Inoltre Gerusalemme è stata scelta anche per la strategicità di temi chiave, come ad esempio le nuove sfide agricole. Alla luce della scarsità delle risorse idriche e dell’aumento del riscaldamento globale il ruolo tecnologico israeliano in grado di bypassare una terra arida e brulla assume un peso specifico maggiore. Non solo dato dall’ingente sforzo umano ma anche il frutto di coraggiose innovazioni nella gestione dell’acqua e nei metodi agricoli che hanno permesso di affrontare queste sfide. Ciò secondo Ecr rappresenta un’occasione imperdibile di confronto e di collaborazione sia a livello governativo che industriale. La presenza di Ofir Akunis, ministro israeliano dell’innovazione va proprio in questa direzione.

• Vento conservatore
  Al panel “International cooperation: sharing best practices and solutions” è intervenuto anche il ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, secondo cui la vittoria elettorale di Fdi dello scorso settembre farà da apripista alle prossime elezioni europee, “così da determinare un cambiamento anche in Ue, il vento del conservatorismo che, sempre di più, sta soffiando in Europa nasce da valori e radici comuni e la ricchezza del mondo che vogliamo preservare sono le peculiarità delle tradizioni e delle culture”.
  Sulla comunità fra culture si è soffermato il segretario generale di Ecr Antonio Giordano secondo cui la scelta di organizzare il meeting a Gerusalemme nasce dalla consapevolezza che “le persone di destra sono solidali non quando c’è da condividere il potere, che è quello che succede sempre ai nostri avversari di sinistra, ma quando c’è bisogno di essere vicini ad amici che sono in difficoltà. Israele ha subìto – soprattutto nell’ultimo periodo – il solito trattamento riservato a noi persone di destra da moltissimo tempo, ultimamente in maniera molto più ossessiva, come è anche successo a Fratelli d’Italia”.

(Formiche.net, 6 giugno 2023)

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Intelligenza artificiale: Israele “potenza” mondiale, la Cina verso una stretta

Il governo israeliano si prepara a formulare una politica sull’intelligenza artificiale (AI), con la promessa che il Paese diventerà una potenza nel campo. Lo ha annunciato il primo ministro Benjamin Netanyahu dopo aver parlato con Elon Musk e Sam Altman, co-fondatore di OpenAI, responsabile di ChatGpt. “Nei prossimi giorni ho intenzione di riunire un think tank per discutere una politica nazionale sull’intelligenza artificiale sia in ambito civile, sia in quello della sicurezza”, ha detto il premier.
  “Proprio come stiamo trasformando Israele in una potenza informatica globale, così faremo anche nell’AI”, ha aggiunto Netanyahu, secondo una dichiarazione rilasciata dal suo ufficio. Il comunicato riferisce anche che durante la sua conversazione con Musk, il premier ha sottolineato “la necessità per i governi di comprendere sia le opportunità che i pericoli dell’intelligenza artificiale” e “ha espresso la sua opinione che Israele possa diventare un attore di importanza globale nel settore”.

• Verso una “cooperazione” con OpenAI
  Il colloquio con Altman, che è in Israele nell’ambito di un viaggio che proseguirà con tappe in Giordania, Qatar, Emirati Arabi Uniti, India e Corea del Sud, ha anche affrontato l’importante ruolo che Israele potrebbe svolgere nell’AI, nonché la potenziale “cooperazione” tra lo Stato ebraico e OpenAI.
Il co-fondatore di OpenAI ha anche tenuto un incontro con il presidente israeliano Isaac Herzog, durante il quale ha fatto riferimento all’importanza di lavorare per “mitigare gli enormi rischi” che la rapida crescita dell’intelligenza artificiale porta con sé. Inoltre, ha evidenziato la velocità con cui l’ecosistema tecnologico e imprenditoriale israeliano ha incorporato gli strumenti di intelligenza artificiale.

• L’annuncio di Musk: Cina verso una regolamentazione sull’AI
  Alti ufficiali cinesi, intanto, hanno parlato a Elon Musk di un piano per regolamentare l’intelligenza artificiale, durante la recente visita del miliardario statunitense nel Paese asiatico. La scorsa settimana il proprietario di Twitter e ceo di Tesla ha avuto incontri con alti ufficiali a Pechino e con funzionari a Shanghai: durante i colloqui si è parlato dei rischi dell’intelligenza artificiale – ha fatto sapere Musk – e della necessità di una supervisione o di una regolamentazione. Musk ha descritto i suoi incontri in Cina come “molto promettenti”. “Ho sottolineato che se esiste una super intelligenza digitale straordinariamente potente, sviluppata in Cina, in realtà è un rischio per la sovranità del governo cinese”, ha affermato. “E penso che abbiano preso a cuore questa preoccupazione”.
  Musk, i cui vasti interessi in Cina non sono ben visti a Washington, ha parlato dei suoi colloqui con funzionari cinesi durante il dibattito su Twitter con il candidato democratico alla presidenza Robert Kennedy Jr, nipote di John F. Kennedy.

• Unione Europea verso il “bollino” anti disinformazione
  Sul tema si appresta a muoversi anche l’Unione europea. La Commissione chiederà infatti ai rappresentanti di oltre quaranta organizzazioni che hanno aderito al codice di condotta dell’Ue contro la disinformazione, di creare un "bollino" per identificare i contenuti generati dall’intelligenza artificiale e limitare così la disinformazione. 

(CorCom, 6 giugno 2023)

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Il TuS Makkabi Berlin è la prima squadra ebraica a partecipare alla Coppa di Germania

di Luca Spizzichino

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Il TuS Makkabi Berlin sarà la prima squadra di calcio ebraica a partecipare alla Coppa di Germania, nota anche come DFB-Pokal. Il club, che gioca nella quinta divisione calcistica tedesca, sabato ha vinto la Coppa di Berlino battendo lo Sparta Lichtenberg, squadra di sesta divisione; il risultato del match disputato allo stadio Mommsen è stato di 3-1 dopo i tempi supplementari. Con questa vittoria, il Makkabi parteciperà al primo turno della Coppa di Germania, dove affronterà una squadra della prima o della seconda divisione della Bundesliga, la lega calcistica tedesca. Il sorteggio si svolgerà il 18 giugno e le partite del primo turno si giocheranno dall'11 al 14 agosto. Il club riceverà anche un significativo impulso finanziario dalla sua corsa alla coppa, in quanto è garantito che guadagnerà quasi 210.000 euro dalla sua partecipazione.
  La partita è stata vissuta a ritmi al cardiopalma. Dopo essere passato in svantaggio al 13' con un calcio di rigore, il Makkabi è riuscito a pareggiare al 51'. La partita è rimasta bloccata fino alla fine dei tempi regolamentari. Negli ultimi minuti dei supplementari, il Makkabi è riuscito a segnare due gol, suggellando così la vittoria e a scrivere la storia. Il capitano del Makkabi Doron Bruck ha espresso al Jerusalem Post la sua gioia e il suo orgoglio dopo la partita. “È qualcosa di storico per il club; è la prima volta che arriviamo così lontano. Soprattutto con la storia che abbiamo” racconta Bruck.
  Il TuS Makkabi Berlin è stato fondato nel 1970 dalla fusione di tre associazioni sportive ebraiche: Bar-Kochba Berlin (ginnastica e atletica), Hakoah Berlin (calcio) e Makkabi Berlin (boxe). Il club afferma di essere il successore del Bar-Kochba Berlin, fondato nel 1898 e diventato una delle più grandi organizzazioni ebraiche del mondo nel 1930 con oltre 40.000 membri provenienti da 24 paesi. Tuttavia, sotto il regime nazista, i club sportivi ebraici furono discriminati e alla fine banditi dalle competizioni. I club predecessori di Makkabi furono tra quelli che subirono persecuzioni e repressioni. Oggi, conta circa 500 membri ed è una delle più grandi associazioni Maccabi in Germania e promuove il dialogo e l'integrazione attraverso lo sport.
  Per commentare lo storico traguardo del TuS Makkabi, Shalom ha intervistato il presidente del Makkabi Deutschland Alon Meyer. “Il successo del Makkabi Berlin difficilmente può essere espresso a parole. Questa squadra unisce 17 nazioni diverse e simboleggia esattamente ciò che è il Maccabi: apertura e convivenza. La vittoria nella finale di coppa è il culmine di una stagione di incredibili successi” ha affermato Meyer, a capo del Maccabi tedesco da 10 anni.
  “La ciliegina sulla torta ora sarebbe trovare un avversario importante come l'FC Bayern Monaco in Coppa di Germania, un'opportunità per aumentare ulteriormente la nostra immagine. Il Maccabi fa di nuovo la storia, non possiamo essere più orgogliosi” ha aggiunto.
  La vittoria del TuS Makkabi Berlin è l’ultimo grande successo del Maccabi a livello nazionale. Una crescita esponenziale iniziata nel 2015, quando sono stati organizzati i Giochi Europei del Maccabi nella capitale tedesca. “Hanno rappresentato una pietra miliare nella storia del movimento Maccabi, ma anche nella vita ebraica in Germania e in Europa. Sono stati la scintilla iniziale per un nuovo percorso e una consapevolezza maggiore, un enorme afflusso di atleti e di sostenitori” ha spiegato. “Ora il Makkabi è affermato anche come attore sociale ed è coinvolto nella lotta all'antisemitismo e al razzismo nello sport” ha concluso Meyer.

(Shalom, 6 giugno 2023)

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Israele, niente Conference League per il Beitar Gerusalemme: la decisione della Federcalcio

di Marzia Bosco

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Il Beitar Gerusalemme non parteciperà alla Conference League, è questa la decisione presa dal Tribunale disciplinare della Federcalcio di Israele che ha escluso la possibilità dopo i gravi disordini, con danni alle strutture dello stadio, avvenuti nella finale della Coppa di Israele. Per festeggiare la vittoria sul Maccabi Natanya, i tifosi del Beitar avevano invaso il campo impedendo di fatto la cerimonia di premiazione e mettendo in pericolo l’incolumità del presidente israeliano, Isaac Herzog. 
  La tifoseria del Beitar è considerata una delle più turbolente e legata all’estrema destra israeliana. Il club è stato condannato anche ad un multa di circa 20mila euro e alla perdita di tre punti nel prossimo campionato. La decisione della Disciplinare ha stabilito anche che a giocare in Conference sia il Maccabi Netanya. La decisione è stata contestata con forza dal Beitar che l’ha definita “irragionevole e che nuoce al club” annunciando il ricorso e auspicando che “prevalga il buon senso il prima possibile, in modo da poterci preparare per l’obiettivo”.
  Anche il ministro dello sport, Miki Zohar, ha espresso la sua: “La punizione inflitta al Beitar non rappresenta valori sportivi. La squadra ha vinto la coppa e quindi merita di giocare in Europa”. 

(SportFace, 5 giugno 2023)

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Strage degli 007 sul lago Maggiore, i pranzi segreti del premier israeliano Netanyahu

Il locale che domenica 28 maggio aveva accolto il pranzo di fine missione degli agenti del Mossad con i colleghi italiani dell’Aise, poche ore prima della tragedia, in passato aveva ospitato anche il primo ministro di Tel Aviv.

di Andrea Galli

Gli arrivi in elicottero preceduti dalle bonifiche dei sommozzatori, la sosta per pranzare nel ristorante ma non per fermarsi a dormire nella locanda, certo rinunciando a uno dei più suggestivi tramonti d’Italia; una scelta ripetuta in passato, appena si è profilata l’occasione, quella del premier d’Israele Benjamin «Bibi» Netanyahu, negli anni fra i tanti ospiti segreti del ristorante stellato «Il Verbano» che domenica scorsa aveva accolto il pranzo di fine missione degli agenti del Mossad insieme ai colleghi italiani dell’Aise.
  Preludio, quella tavolata, quella strage a non meno di cento metri dalle coste opposte del lago, all’altezza di Sesto Calende, in provincia di Varese, avvenuta alle 19.20 a causa del maltempo, forse una tromba d’aria, di sicuro con impetuose raffiche di vento, sembra sui 70 chilometri orari se non più forti, che avevano rovesciato l’imbarcazione sulla quale viaggiavano gli agenti. Quattro i morti annegati nel lago Maggiore: Tiziana Barnobi e Claudio Alonzi, l’ex Mossad Erez Shimoni (non era la sua vera identità) e la moglie dello skipper Claudio Carminati, la russa Anya Bozhkova.
  Se ormai pare acclarato, come detto sopra, che non vi fosse nulla di «operativo» nel pranzo degli agenti al ristorante (in aggiunta frequentato da nomi influenti del centrodestra), bensì un’umana giornata di tranquillità dopo sessioni di lavoro, non era casuale la geografia. Punto primo, per i visitatori della zona l’isola dei Pescatori, che conta cinquanta abitanti, è una destinazione scontata; punto secondo, lo stesso Carminati, indagato per la strage dalla Procura di Busto Arsizio, rappresentava un contatto per i Servizi segreti, un solido appoggio essendo egli un uomo dagli infiniti agganci, anche ovviamente fra i commercianti; punto terzo, la medesima isola dei Pescatori, e la passione di Netanyahu lo conferma, da sempre suscita negli israeliani un fascino superiore al litorale da Stresa a Verbania, peraltro assai frequentato e vissuto, però mai come succede con i russi. Mai. Specie a Stresa.
  Ora, sarà forse impossibile scoprire quale fosse l’obiettivo vero degli agenti segreti. Permangono però, anche nelle analisi di esperti quali il giornalista e scrittore Yossi Melman — conviene ricordare che in Israele vige la censura — gli scenari che conducono all’eterna sfida con l’Iran per le componenti tecniche e le attrezzature dei progetti nucleari e militari. L’alta densità nella provincia di Varese di piccole, medie e grandi imprese di svariati settori strategici collima con questo scenario. Di nuovo Melman osserva la solidità, in tema di forniture, del rapporto tra l’Iran e la Russia. Sicché rieccoci a loro, i russi, e rieccoci a Stresa, località che sul Foglio Fabiana Giacomotti aveva così descritto nel 2021: «Appena insediata, la sindaca», ovvero Marcella Severino, «ha identificato una serie di concessioni a cittadini dell’est europeo senza storia ma molto denaro contante, che negli ultimi anni hanno usato per comprare ville e terreni».
  Ebbene, si aggiungano i recenti hotel, da rilanciare o da costruire da capo financo raggiungendo le 7 stelle, e le annesse realizzazioni di maestosi parchi — lecito desumere che saranno creazioni non per la comunità quanto per i futuri elitari clienti —; le presenze russe sono aumentate, in un composito elenco di putiniani, doppiogiochisti, spie, mogli e amanti di magnati con due mete: di là le banche di Lugano, di qui il quadrilatero della Moda. Una logistica pure scontata, non fosse che negli istituti di credito giacciono gli immensi capitali che consentono le operazioni immobiliari in Italia. Risulta infine questo elemento: da Como, i russi si stanno spostando a Stresa. Da un lago all’altro. Perché?

(Corriere della Sera, 5 giugno 2023)

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Israele scopre un nuovo giacimento di gas

di David Fiorentini

Il Ministero dell’Energia israeliano e la compagnia petrolifera greco-britannica Energian hanno ufficialmente annunciato la scoperta di un nuovo giacimento di gas naturale al largo delle coste israeliane.
  Secondo le prime stime, il campo contiene circa 68 miliardi di metri cubi di gas, un numero notevole se considerato che il fabbisogno annuale israeliano si attesta poco sotto i 13 miliardi di metri cubi.
  Il nuovo giacimento è stato denominato “Katlan”, che in ebraico significa “Orca”, e si classifica come la quarta scoperta più vasta al largo delle coste israeliane. Sul podio salgono le riserve di Leviathan con oltre 600 miliardi di m3, seguito da Tamar con 300 miliardi di m3 e Karish-Tanin con circa 100 miliardi di m3, anch’esso di proprietà di Energian.
  “Questa scoperta creerà un valore considerevole per tutti i nostri partner e aprirà nuove opportunità per il gas israeliano sia nel mercato locale che in quello regionale, contribuendo al benessere dell’economia israeliana nel suo complesso”, ha dichiarato Matthew Rigas, amministratore delegato di Energian.
  La joint venture greco-britannica ha già individuato due potenziali rotte di esportazione per il gas estratto da Katlan. Nel dicembre 2021, infatti, l’azienda aveva firmato un memorandum d’intesa con la Egyptian Natural Gas Holding Company (EGAS) per la vendita di una quantità media di 3 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno per un periodo di 10 anni. Inoltre, l’azienda sta valutando la possibilità di esplorare altri mercati di esportazione europei tramite nuovi gasdotti o partnership con Cipro ed Egitto.
  Una scoperta che ha ricevuto anche il plauso del ministro dell’Energia, Israel Katz, il quale ha sottolineato come “le riserve di Katlan, insieme alle già presenti in Israele, abbia trasformano il panorama dell’economia energetica locale, rendendo Israele una potenza energetica globale”.
  Dal reperimento delle prime riserve di gas naturale al largo delle coste israeliane nel 2004, lo Stato di Israele ha generato entrate pari a circa 5,35 miliardi di dollari, che sono stati convogliati nel settore del welfare. Solo nel 2022, Israele ha ricevuto 45,5 milioni di dollari in royalties dalle compagnie che operano nei suoi giacimenti offshore.

(Bet Magazine Mosaico, 5 giugno 2023)

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Egitto e Israele avviano colloqui urgenti sulla morte di soldati israeliani al confine

Tre soldati israeliani e un poliziotto egiziano sono rimasti uccisi in una sparatoria al confine tra i due stati. Ora Egitto e Israele sono costretti ad avviare negoziati urgenti, riporta Egypt Independent.

Secondo la pubblicazione, l'incidente al confine è stato il primo caso di scontro a fuoco mortale tra l'esercito egiziano e quello israeliano in più di un decennio. Un ufficiale di polizia egiziano, secondo la parte israeliana, ha attraversato il confine e ucciso due soldati israeliani che prestavano servizio in un posto di guardia. Poi il poliziotto è stato eliminato, ma un altro soldato israeliano è stato ucciso in risposta al fuoco.
  L'incidente è avvenuto vicino al checkpoint di confine di Nitzana, che si trova a 40 chilometri a sud-est del punto in cui convergono i confini di Israele, Egitto e Striscia di Gaza. La parte egiziana afferma che un agente di sicurezza ha inseguito i contrabbandieri, durante l'operazione, le forze dell'ordine egiziane hanno attraversato il confine israeliano e l'esercito israeliano ha aperto il fuoco su di loro.
  La parte israeliana denuncia anche il contrabbando di droga, solo nel senso che l'esercito israeliano ha impedito un tentativo di contrabbando di sostanze illegali. Secondo alcuni rapporti, nella sparatoria sarebbe stata coinvolta un'organizzazione precedentemente sconosciuta, lo Scudo d'Egitto. A questo proposito, la stampa israeliana sostiene che bisogna ricordare le minacce che giungono al Paese da questa direzione.
  Si noti che la penisola del Sinai è una regione molto problematica in termini di criminalità e traffico di droga. L'esercito e la polizia egiziani, al meglio delle loro capacità, stanno cercando di resistere all'attività criminale, ma a volte questo porta a tali incidenti. Tuttavia, difficilmente ci si dovrebbe aspettare che uno sfortunato incidente al confine porti a una sorta di escalation tra i due paesi vicini.

(Top War, 5 giugno 2023)

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L’IDF festeggia il suo 75° anniversario

di Jacqueline Sermoneta

“La sicurezza del popolo e della patria d’ora in poi sarà nelle mani di questo esercito”. Con queste parole il 26 maggio 1948 il Primo ministro David Ben-Gurion istituiva ufficialmente le IDF – Israel Defense Forces, in ebraico “Tzahal” (acronimo di Tzva HaHaganah leYisrael).
  “Sono passati 75 anni. - ha affermato il Capo di Stato Maggiore, il Tenente Generale Herzi Halevi, come riporta il Jerusalem Post – Israele è un Paese forte e in continuo sviluppo, e, come in tutte le società prospere, in esso avvengono molte trasformazioni. Anche le sfide per la sicurezza stanno cambiando e con loro l’IDF. – ha aggiunto – Ogni giorno i nostri nemici sono pronti a mettere in pericolo la superiorità del nostro esercito, che viene mantenuta tale grazie alla sua alta capacità di apprendimento, al suo costante cambiamento e alla sua abilità di adattarsi a mutevoli sfide”.
  “Il provvedimento che istituisce oggi l’IDF è stato firmato allora con il giuramento di coloro che indossavano l’uniforme per la difesa del Paese. – ha continuato Halevi - Lo stesso giuramento viene ancora oggi pronunciato dalle giovani reclute e trasmesso come filo conduttore di generazione in generazione. Continueremo e manterremo la promessa di dedicarci tutti alla difesa della patria e della libertà d’Israele e al mantenimento della sicurezza del Paese e dei suoi cittadini”.
  Per l’occasione gli edifici sono stati illuminati di verde ed è stato svelato per la prima volta il simbolo che verrà impresso su tutti i carri armati e i veicoli blindati: “lo scudo d’acciaio” rappresentato dalla Stella di David a indicare l'indipendenza, l' unità e la protezione, e l’acciaio come il coraggio, la determinazione e la lealtà.
  L’IDF fu istituito poche settimane dopo la fondazione d’Israele, attingendo le sue prime reclute dalle unità paramilitari già esistenti. Oggi si compone di tre rami principali - fanteria, aeronautica e marina - che operano sotto un comando unificato, guidato dal Capo di Stato maggiore nominato dal governo, su proposta del Primo ministro e del ministro della Difesa. All’interno dell’IDF donne e uomini prestano servizio fianco a fianco in tutti i ruoli. È inoltre considerato una delle istituzioni più importanti nella società per la sua influenza sull’economia e sulla politica del Paese.

(Shalom, 5 giugno 2023)

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“Io, arabo cristiano, amo Israele, l’unico paese mediorientale con valori liberali”

Nato in Libano, Fred Maroun spiega perché difende lo stato ebraico dai terroristi e dai suoi nemici (anche occidentali).

Scrive il Times of Israel (28/5)

Mi è stato chiesto perché amo Israele” scrive Fred Maroun sul Times of Israel. “Dopotutto, Israele è ancora in guerra con il mio paese natale, il Libano, di cui un tempo occupava una parte, per non parlare del persistente conflitto con i palestinesi. E’ una domanda a cui non è facile rispondere, non perché non mi venga in mente un motivo, ma perché i motivi sono tanti e difficili da spiegare.
  Provo risentimento verso Israele per la sua invasione del Libano (avvenuta quando vivevo ancora lì)? Forse un po’, ma non proprio. Si può mettere in dubbio quanto fosse inevitabile quell’invasione (molti israeliani certamente l’hanno fatto), ma l’invasione non sarebbe mai avvenuta se Israele non fosse stato continuamente attaccato da terroristi palestinesi che agivano dal territorio libanese.
  Anche la guerra di Israele con Hezbollah è principalmente colpa nostra, per via della nostra incapacità di disarmare Hezbollah e per avergli permesso di agire come uno stato all’interno di uno stato.
  Da arabo nato cristiano e oggi ateo, vedo Israele come un bastione della libertà e dei diritti umani circondato da un mare di tirannia. I cristiani godono di alcune libertà anche in Libano, ma il Libano è impantanato non solo in una corruzione politica di livello mondiale, ma anche nell’estremismo musulmano influenzato sia dall’Iran che dall’Arabia Saudita. Durante una processione, domenica 30 aprile a Haifa, in Israele, per celebrare la Vergine Maria, Fadi Talhamy, un cristiano israeliano, ha spiegato: ‘Si prova un sentimento di appartenenza, a conferma che non siamo stranieri, che siamo di qui: cittadini dello stato d’Israele, che amiamo e che ci dà non solo piena libertà di culto, ma risorse per esercitarla’.
  Amo Israele per aver avuto successo dove tanti altri avrebbero fallito. Non solo per aver resistito a numerosi attacchi arabi, ma anche per aver costruito una nazione democratica e di successo in una regione dove democrazia e progresso sono una rarità. Il successo di Israele mi fa sperare che a volte prevalga la parte giusta, contro ogni probabilità.
  Amo Israele per aver ridato agli ebrei la loro casa dopo che gli era stata rubata così tante volte.
  Amo Israele per il modo in cui combatte le guerre che è costretto a combattere, con uno standard etico più elevato di quello che qualsiasi altra nazione potrebbe reggere in circostanze simili. Israele non combatte mai le guerre volentieri, ma solo perché sente di non avere altra scelta. Cerchiamo di essere del tutto onesti su questo punto: se tutti nel mondo avessero nei confronti della guerra lo stesso atteggiamento che ha Israele, non ci sarebbero più guerre.
  Amo Israele perché è un paese mediorientale con valori liberali di tipo occidentale. Certo, Israele è tutt’altro che perfetto. Ma quale paese è perfetto? La verità è che le imperfezioni di Israele me lo fanno amare ancora di più”.

Il Foglio, 5 giugno 2023)

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Iran: il primo ministro di Israele si scaglia contro l’Agenzia internazionale per l’energia atomica

Netanyahu: "La resa dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) all'Iran è una macchia sulla sua condotta. Le scuse fornite dall'Iran non sono né credibili né possibili. Se l'Aiea diventa un'organizzazione politica, la sua supervisione in Iran e i suoi rapporti non hanno senso".

GERUSALEMME - La “resa dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) all’Iran è una macchia sulla sua condotta. Le scuse fornite dall’Iran non sono né credibili né possibili. Se l’Aiea diventa un’organizzazione politica, la sua supervisione in Iran e i suoi rapporti non hanno senso”. Lo ha detto oggi il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, durante la riunione settimanale del governo. Le dichiarazioni del capo dell’esecutivo israeliano si riferiscono alla decisione dell’Aiea di alcuni giorni fa di chiudere le indagini su un sito iraniano sospetto.
  Già il primo giugno Netanyahu ha promesso che Israele farà tutto il necessario per impedire all’Iran di avere armi nucleari, rivolgendosi sia “all’Iran che alla comunità internazionale”. In precedenza, il portavoce del ministero degli Esteri di Israele, Lior Haiat, ha definito la chiusura di un’indagine dell’Aiea su un sito iraniano sospetto “una questione di grande preoccupazione”. Per Haiat “le spiegazioni fornite dall’Iran per la presenza di materiale nucleare nel sito non sono affidabili o tecnicamente possibili”. “L’Iran continua a mentire all’Aiea e ad ingannare la comunità internazionale”, ha aggiunto.
  All’inizio di questa settimana, l’Aiea ha interrotto le sue indagini sulle tracce di uranio artificiale trovate a Marivan, circa 525 chilometri a sud-est di Teheran. Gli analisti avevano ripetutamente collegato Marivan al programma nucleare militare segreto dell’Iran e accusato la Repubblica islamica di aver condotto lì test ad alto potenziale esplosivo nei primi anni 2000. Haiat ha avvertito che la chiusura del caso “potrebbe avere conseguenze estremamente pericolose” e che invia un messaggio agli iraniani, ovvero che possono “continuare a ingannare la comunità internazionale nel loro cammino verso il raggiungimento di un programma nucleare militare completo”. Infine Haiat ha indicato che la decisione “danneggia gravemente la credibilità professionale dell’Aiea”.

(Nova News, 4 giugno 2023)

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Tre soldati israeliani uccisi in un attentato al confine egiziano

di Ugo Volli

• La dinamica dell’attentato
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Tre militari israeliani sono stati assassinati sabato nel Sinai, al confine con l’Egitto, a una ventina di chilometri a sudest della striscia di Gaza. I loro nomi sono Lia Ben-Nun, Uri Itzhak Ilouz e Ohad Dahan. La zona dove sono accaduti i fatti è molto isolata, desertica e montagnosa. Solo qualche passaggio interrompe la barriera di protezione che marca il confine. Ben-Nun e Iluz erano a guardia di uno di questi passaggi ma non si sono accorti delle intenzioni aggressive di un poliziotto egiziano che proveniva da oltre il confine, o semplicemente non l’hanno visto. L’ultimo loro contatto con la base è avvenuta alle 4,15 di mattina, ben prima dell’alba, ma il loro silenzio evidentemente non ha suscitato allarme per qualche ora. I soccorsi sono stati inviati solo alle 9 e hanno scoperto i loro corpi senza vita. Sono stati chiamati dei rinforzi, è scattata una caccia all’uomo, il poliziotto egiziano è stato individuato da un drone, ma ha avuto comunque modo, prima di essere eliminato, di affrontare e uccidere l’altro soldato Dahan e di ferire leggermente un altro soldato israeliano.

• Le cause possibili
  La prima ipotesi che viene in mente e ancora la più probabile è che si sia trattato di un attentato islamista da parte di un militare radicalizzato. Purtroppo vi sono diversi precedenti di soldati di paesi arabi ufficialmente in pace con Israele che compiono attentati; il caso più famoso e terribile accadde nel ‘97 sulle rive del Giordano, quando una sentinella giordana prese di mira un pullman di studentesse in gita scolastica, compiendo una strage. Ma vi è un’altra pista. La zona del Negev al confine con l’Egitto è un luogo di contrabbando (soprattutto di droga, ma anche di armi e di esseri umani) gestito da tribù beduine spesso legate all’Isis, incontrollabili anche per il governo egiziano. Nella stessa notte fra venerdì e sabato e nella stessa zona, verso le 2.30, era avvenuto un sequestro di droga, di valore consistente (circa mezzo milione di euro). L’Egitto sostiene che il suo poliziotto avrebbe sconfinato all’inseguimento di contrabbandieri e che così sarebbe nato lo scontro. È anche possibile che il militare fosse al soldo dei contrabbandieri, come spesso accade, e che l’omicidio sia stato una vendetta o il tentativo di un altro passaggio di merce sporca. C’è un’inchiesta bilaterale in corso per capire questa dinamica.

• Le relazioni con l’Egitto
  Israele ha chiesto spiegazioni all’Egitto, con cui è in vigore un trattato di pace ormai storico, dato che risale al 1979. Esso però non è mai cresciuto fino a diventare amicizia fra i due popoli o almeno serena convivenza. Il mantenimento di questo accordo è comunque fra le premesse fondamentali della strategia israeliana tanto nei confronti del nemico comune Iran, quanto dei terroristi di Gaza, che l’Egitto, almeno dopo la fine dell’esperimento islamista di Morsi, tiene ben sigillato per evitare un contagio di Hamas nel suo territorio. Certo esso non può essere messo in discussione per un incidente del genere, come non lo è stato in passato quando dal Sinai sono stati tirati razzi su Eilat. Ma è chiaro che Israele deve cambiare parzialmente atteggiamento e vigilare ora più attentamente il confine del Sinai, così difficile sul piano topografico e ambientale.

• La deterrenza da mantenere
  Vi sono evidentemente però anche lezioni che Israele deve trarre sulle proprie tattiche di controllo del territorio. Un crimine del genere, con il prezzo terribile di tre ragazzi in servizio militare uccisi è certamente stato facilitato da errori tattici che andranno corretti, perché esso non si deve ripetere. La sicurezza di Israele non si gioca certamente su episodi come questi, ma i terroristi sono sempre alla ricerca di punti deboli e di affermazioni simboliche. Bisogna prevedere la possibilità che vi sia emulazione, che altri assalti del genere siano tentati. È importante che anche in luoghi così isolati della frontiera Israele sappia difendere i suoi ragazzi e mantenere la deterrenza.

(Shalom, 4 giugno 2023)


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Israele, la soldatessa Lia uccisa a 19 anni da un militare egiziano

Nell’agguato alla frontiera morti anche l’aggressore e due uomini di Gerusalemme

di Rossella Tercatin

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GERUSALEMME - Lia Ben Nun aveva 19 anni e indossare l'uniforme dell'esercito israeliano da soldato combattente era sempre stato il suo sogno, come testimoniato da una delle sue insegnanti del liceo. Ed è proprio mentre prestava servizio di guardia sul confine tra Israele ed Egitto nell'Unità Bardelas, una delle squadre combattenti in cui uomini e donne servono insieme, che Lia è stata uccisa insieme al commilitone Ori Yitzhak Iluz. Ad assassinarli, una guardia di frontiera egiziana che ha poi eliminato un terzo militare dell'Idf - Ohad Dahan - prima di essere a sua volta colpita a morte, in uno degli incidenti più gravi dalla pace tra i due paesi siglata nel 1979 - sebbene i vertici politici e militari delle due nazioni abbiano ribadito che il legame è saldo.
  "Era un soldato incredibile, e doveva iniziare l'addestramento come comandante", ha dichiarato il superiore di Lia Shahaf Katz, "era il cuore dell'unità e ora sono tutti inconsolabili". Sin dalla fondazione di Israele nel 1948, il servizio di leva è obbligatorio sia per gli uomini sia per le donne. Negli ultimi anni, sono state create diverse unità combattenti miste stanziate soprattutto a controllarne i confini. La zona tra Egitto e Israele è spesso teatro di contrabbando di droghe, attività che le truppe di entrambe le nazioni cercano di contrastare. Secondo l'IDF, un'operazione anti-droga è stata realizzata verso le 2.30 della notte tra venerdì e sabato - con la confisca di narcotici per oltre 400mila dollari.
  Verso le quattro, Ben Nun e Iluz, di guardia in una postazione a circa tre chilometri di distanza, hanno riportato via radio che la situazione era tranquilla. Cinque ore dopo sono stati ritrovati morti e poco dopo il responsabile - che indossava l'uniforme egiziana - è stato identificato con un drone non lontano dal luogo dell'attacco. Nel conflitto a fuoco che ne è seguito oltre all'attentatore ha perso la vita Dahan. La versione del Cairo invece sostiene che sia il militare egiziano e sia quelli israeliani siano morti in uno scontro a fuoco durante l'operazione anti-droga. I vertici militari del Cairo hanno espresso le loro condoglianze alle vittime israeliane. L'indagine per capire la dinamica dell'accaduto - e se la guardia fosse affiliata a qualche gruppo terrorista - prosegue.

(la Repubblica, 4 giugno 2023)

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Incidente Egitto-Israele, Netanyahu: "Apriremo un'indagine"

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha promesso un'indagine sull'uccisione di tre soldati lungo il confine meridionale con l'Egitto in un incidente dai contorni ancora poco chiari, in cui è morto anche un agente egiziano. La stampa israeliana ha fatto emergere nuovi dettagli, scrive che l'agente egiziano sarebbe stato motivato dall'estremismo religioso, dall'altra parte l'Esercito del Cairo sostiene che l'ufficiale coinvolto avrebbe oltrepassato la frontiera nel tentativo di inseguire trafficanti di droga.
  E poche ore prima dello scontro a fuoco sarebbe avvenuto un'operazione contro un gruppo di narcotrafficanti, come spesso avviene sul poroso confine di oltre 200 km, tra Israele ed Egitto, lungo il quale corre una tecnologica barriera di separazione costruita inizialmente da Israele per bloccare l'afflusso di migranti dall'Africa dopo la rivoluzione del 2011 in Egitto il conseguente aumento delle attività di gruppi jihadisti sulla frontiera, la presenza dell'Esercito israeliano è stata rafforzata.
  Nell'ultimo anno sarebbe inoltre raddoppiato il contrabbando di droga nell'area e l'attività, spiegano i media israeliani, coinvolgerebbe gruppi terroristici. Dal Cairo le autorità hanno fatto sapere che stanno collaborando alle indagini su quanto accaduto sabato e non ci sarebbero in Israele timori di una possibile crisi diplomatica, la relazione con l'alleato egiziano resta infatti centrale, è stato il Cairo ad aver mediato poche settimane fa, e non per la prima volta, un cessate il fuoco dopo giorni di violenze tra le milizie armate del jihad islamico ed Esercito israeliano e secondo fonti di stampa araba l'Egitto starebbe lavorando a una tregua sul lungo periodo tra Israele e gruppi armati palestinesi.

(Sky Video, 4 giugno 2023)

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Così il Kafka uno e trino cercava una nuova teologia

di Marino Freschi 

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«Quando Kafka leggeva i suoi scritti agli amici, quell'umorismo diventava particolarmente manifesto. Ridemmo, per esempio, senza freno quando ci fece sentire il primo capitolo del Processo. Egli stesso rideva talmente che per qualche momento non era capace di continuare la lettura. Fatto abbastanza strano quando si pensi alla tremenda serietà di questo capitolo».
  Così Max Brod ricordava la lettura, nel 1914, del più famoso romanzo del suo amico, nel Café Arco di Praga, la loro città, dove - a differenza del Café Continental, per Brod «una delle roccaforti del germanesimo di Praga», o della Kavárna Union e Café Slavia completamente ceche - si praticava il bilinguismo con la presenza degli artisti figurativi del Gruppo degli Osma, degli Otto germanofoni e cechi insieme, ovvero: autentici boemi. Dovevano essere serate vivaci e celebri, al punto che non passarono inosservate a Karl Kraus che da Vienna li battezzò ironicamente gli «Arconauti». In realtà il riservato Doctor juris Franz Kafka, funzionario dell'Imperial-regio «Istituto per gli Infortuni sul lavoro», frequentava anche il Café Louvre, dove erano assidui i discepoli del filosofo Franz von Brentano e dove, nel suo anno a Praga nel 1911, bazzicava anche Albert Einstein, nonché l'iniziatore della psicologia della Gestalt, Christian von Ehrenfels, come pure Rudolf Steiner, il fondatore dell'antroposofia, quand'era nella capitale boema. Insomma Kafka così solitario non era, anzi era partecipe del grande dibattito intellettuale ed estetico del suo tempo, che in gran parte è anche il nostro. Certo, Praga gli stava stretta, come scriveva, non ancora ventenne, all'amico del cuore, Oskar Pollak, nel 1902: «Praga non molla... Questa mammina ha gli artigli. Bisogna adattarsi o... In due punti dovremmo appiccarle il fuoco, al Vyehrad e al Hradschin, e così sarebbe possibile liberarci... Pensaci un po' su fino carnevale». Sempre quell'ironia disperata, pur nel graffiante umorismo. Qualcheduno ce l'aveva fatta a lasciare Praga: Rilke, che se ne fuggì e per tutta la vita non ne volle sapere di tornare.
  Praga significava per Kafka la famiglia, il padre Hermann, robusto, autoritario, un self-made-man, una forza della natura, un provinciale che da un oscuro villaggio ceco si era affermato nell'elegante Primo Distretto, e la madre Julie Löwy, discendente di una famiglia di rabbini. Stranamente un perfetto matrimonio. In effetti Kafka in quella Praga ebraica, di rabbini e di mercanti, era proprio radicato con tutta la sua anima antica, come confessò al giovane ammiratore Gustav Janouch, che gli aveva chiesto se ricordava ancora l'antico ghetto: «Dentro di noi vivono ancora gli angoli bui, i passaggi misteriosi, le finestre cieche, i sudici cortili, le bettole rumorose e le locande chiuse. Oggi passeggiamo per le ampie vie della città ricostruita, ma i nostri passi e gli sguardi sono incerti. Dentro tremiamo ancora come nelle vecchie strade della miseria. Il nostro cuore non sa ancora nulla del risanamento effettuato. Il vecchio malsano quartiere ebraico dentro di noi è più reale della nuova città igienica intorno a noi. Svegli, camminiamo in un sogno: fantasmi noi stessi di tempi passati». La tensione della memoria allude al nucleo più autentico della concezione del mondo kafkiana: quella di una nuova teologia - per rifarsi al testo postumo di Roberto Calasso, L'animale della foresta (Adelphi) - espressa negli Aforismi di Zürau (Adelphi, sempre a cura di Calasso), in cui affiora potente l'intuizione: «L'uomo non può vivere senza una costante fiducia in qualcosa di indistruttibile dentro di sé, anche se quell'indistruttibile come pure quella fiducia possono rimanergli costantemente nascosti. Una delle possibilità di esprimersi, per tale rimanere nascosto, è la fede in un Dio personale».
  L'universo kafkiano non sempre è ingarbugliato in percorsi letterari indecifrabili. Sovente Kafka è di una straordinaria e lucente chiarezza, alla pari con i grandi mistici d'Occidente: «Non è necessario che tu esca di casa. Rimani al tuo tavolo e ascolta. Non ascoltare neppure, aspetta soltanto. Non aspettare neppure, resta in perfetto silenzio e solitudine. Il mondo ti si offrirà per essere smascherato, non ne può fare a meno, estasiato si torcerà davanti a te». Queste intuizioni sono il risultato di un lungo periodo di solitudine in un villaggio, in una casa assai modesta, quando ormai era stata diagnosticata la tubercolosi che lo avrebbe portato alla morte - dolorosa - il 3 giugno del 1924, a Kierling, in una clinica vicino Vienna, a soli 41 anni. Era nato, infatti, il 3 luglio 1883. In questi mesi la sua opera viene rivisitata con riedizioni come l'adelphiana Il messaggio dell'imperatore a cura di Anita Rho, nonché con una ragguardevole impresa de Il Saggiatore che propone nuove traduzioni dei capolavori kafkiani: Il disperso, a lungo noto con il fuorviante titolo datogli da Brod America. La traduttrice Silvia Albesano si rifà all'edizione critica del 1983. Ugualmente alla medesima edizione si ricollega la nuova versione de Il processo a cura di Valentina Tortelli, e così pure Il castello a cura di Alessandra Iadiciccio che riconosce i meriti della «vecchia (e stupenda) traduzione di Anita Rho». Avremo tempo per valutare e apprezzare queste nuove proposte traduttive che ci forniscono in un linguaggio senz'altro più aggiornato i romanzi kafkiani. Il Saggiatore ci offre anche una riedizione di Kafka. Una battaglia per l'esistenza di Klaus Wagenbach (tradotto nel 1968 da Ervino Pocar), che è uno dei più validi contributi per avvicinarsi alla vita e all'opera dell'autore praghese.
  Praghese, ma anche ebreo, ma anche tedesco: questa triplice identità costituisce il complesso intreccio della scrittura di Kafka, così incerta e insieme così eccezionalmente lucida. Kafka chi era? L'amico degli espressionisti del Café Arco, sodale di Brod, Werfel, Kubin. Il riservato funzionario austro-ungarico. Oppure l'ebreo occidentale, assimilato e acculturato, tormentato dall'insicurezza metafisica, che voleva tornare all'ebraismo, a quello vero degli ebrei orientali, come scriveva a Milena, la raffinata intellettuale, sua traduttrice in ceco, con cui visse un breve e trascinante amore, custodito in uno dei più appassionati epistolari: «Se mi avessero dato la possibilità di essere ciò che voglio, avrei voluto essere un ebreo orientale giovinetto». L'ultimo amore fu Dora Diamant, una giovane ebrea orientale, di una famiglia ortodossa. Solo con lei trovò il coraggio di emanciparsi dagli artigli di Praga, ma era ormai tardi, anche se lui ancora progettava di salire (secondo l'uso ebraico) in Palestina, di aprire con Dora un caffè, lui cameriere, lei cuoca sopraffina. E studiava, studiava l'ebraico e riempiva quaderni di vocaboli più che di racconti. Scrisse, ai primi di maggio 1924, al padre di Dora per chiedere, come prescrive la tradizione, il permesso di sposarla. Il pio uomo mostrò la richiesta al suo Rabbi della dinastia chassidica di Ger. Il Rabbi si espresse negativamente. La risposta raggiunse Kafka ormai allo stremo delle forze. Dora gli era accanto con un giovane medico, Robert Klopstock: erano la sua dolce e affettuosa famigliola. I nodi si scioglievano, i problemi della vita trovavano una soluzione: la scrittura si conciliava con il matrimonio, con la fondazione della famiglia secondo l'aspettativa della Legge.
  Ma era tardi per aprire un Caffè in Palestina. La situazione precipitò. Per i dolori alla trachea Kafka non poteva più parlare, scriveva bigliettini eppure curava le bozze del suo ultimo racconto: Josefine la cantante o il popolo dei topi, uno dei più sofferti e significativi. Un testo tra i più emblematici della modernità. Praghese, ebreo, ceco e tedesco, funzionario, scrittore, mistico, il suo mistero è la sua grandezza, fondata sull'indistruttibile, che è il suo messaggio e la nostra interrogazione.

(il Giornale, 2 giugno 2023)

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Dalla Miriam di Israele alle Miriam dei Vangeli (4)

di Gabriele Monacis

    “Ecco, io sono la serva del Signore; mi sia fatto secondo la tua parola” (Luca 1:38).

Queste sono le ultime parole che Miriam disse all’angelo Gabriele, prima che lui se ne andasse e dopo averle annunciato che lei sarebbe diventata la madre di Gesù, il quale sarà chiamato Figlio dell’Altissimo.
  Del personaggio di Miriam, viene spesso messa in risalto l’umiltà, anche a motivo di ciò che disse di se stessa: Io sono la serva del Signore. Parole, tra l’altro, che pronunciò dopo essere stata investita di un ruolo che toccò solo a lei nella storia, cioè diventare la madre del Messia. Un qualcosa che avrebbe potuto inorgoglirla non poco.
  Non c’è dubbio che Miriam sia un esempio di modestia e di umiltà davanti al Signore e davanti alle creature angeliche, come Gabriele che le stava davanti. “Mi sia fatto secondo la tua parola” dice Miriam all’angelo. In queste parole c’è l’esatto opposto della ribellione. C’è una totale accettazione del compito che si è ritrovata nelle mani da un momento all’altro, con una visione che va ben oltre le conseguenze immediate, anche traumatiche, che questo ruolo avrebbe potuto comportare: diventare madre prima di diventare moglie, per giunta senza l’intervento del futuro marito Giuseppe. Non c’è dubbio che con queste parole all’angelo Gabriele, Miriam mostra di accettare con fede sincera il futuro che Dio ha scelto per lei, con spirito di umiltà e servizio, un futuro che avrebbe potuto portarla ad essere abbandonata e oltraggiata dai suoi conterranei.
  Ma aldilà dell’umiltà di assoluta particolarità di questa donna, le parole di Miriam mostrano anche altro di lei, e cioè la sua notevole consapevolezza della storia della salvezza di Dio verso Israele. Infatti, volendo proseguire a leggere il dialogo tra l’angelo Gabriele e Miriam con la chiave di lettura della continuità storica e dell’adempimento delle promesse di Dio, l’espressione usata da Miriam “serva del Signore” riporta il lettore ad altri servi del Signore di cui si legge nell’Antico Testamento. L’elenco vede personaggi di rilievo lungo tutta la storia di Israele, partendo dai patriarchi per arrivare al ritorno di Israele a Gerusalemme dopo l’esilio a Babilonia.
  Dio chiama Abramo “mio servo” in Genesi 26:24, ma anche Giacobbe, in Ezechiele 28:25, è chiamato così. Il personaggio a cui il titolo “servo dell’Eterno” viene attribuito più volte è certamente Mosè, non solo nel Pentateuco, ma anche in diversi altri libri dell’Antico Testamento, come Giosuè, i libri dei Re e delle Cronache. Anche Giosuè eredita il titolo di “servo dell’Eterno”, oltre al ruolo di guida del popolo dopo la morte di Mosè (vedi Giosuè 24:29). L’elenco potrebbe continuare con Giobbe, Davide, il re Ezechia, Eliachim e Zorobabele, che guidò parte degli esiliati da Babilonia di ritorno a Gerusalemme. Dio chiama “mio servo” ognuno di questi personaggi, almeno una volta nella Scrittura.
  Pertanto, questo titolo al femminile che Miriam attribuisce a se stessa, non mostra soltanto la sua umiltà, ma la inserisce a pieno titolo nella linea della storia del popolo di Israele, dalle origini dei patriarchi fino al periodo post-esilico che precedette il tempo in cui visse Miriam. È verosimile che, aspettando che Dio portasse a compimento la salvezza di Israele dopo questo lungo percorso storico, Miriam riconobbe di essere stata scelta da Dio come un ulteriore tassello verso l’adempimento della Sua salvezza.
  Ma c’è un ulteriore porzione della Scrittura che lega a doppio filo Miriam con Israele, ancora grazie al titolo di “servo del Signore”: è il libro del profeta Isaia. Si prenda ad esempio il versetto di Isaia 44:21, in cui Dio si rivolge a Israele chiamandolo “suo servo” per ben due volte nello stesso versetto:

    “Ricordati di queste cose, o Giacobbe, o Israele, perché tu sei mio servo, io ti ho formato, tu sei il mio servo, o Israele, tu non sarai da me dimenticato”.

Nei capitoli del libro di Isaia cha vanno dal 41 al 53, Israele non è l’unico ad essere chiamato “il servo dell’Eterno”. Infatti, nel capitolo 49 si parla del servo dell’Eterno che sarà formato, fin dal grembo materno, per essere Suo servo, per ricondurgli Giacobbe e per raccogliere intorno a Lui Israele (Isaia 49:5).
  E nel versetto seguente l’Eterno aggiunge:

    “È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e per ricondurre gli scampati d'Israele; voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra”. (Isaia 49:6)

È evidente che in questi due versetti si parli innanzitutto di un uomo, di un individuo, visto che sarà formato nel grembo di sua madre. E questo individuo non può essere il popolo di Israele, visto che al servo dell’Eterno di cui si parla è affidato un compito nei confronti del popolo, cioè di ricondurre Giacobbe all’Eterno e raccogliere Israele intorno a Lui.
  Il titolo “servo dell’Eterno” in questi versetti va dunque attribuito al Messia, cioè a Colui che salva Israele e lo riconduce all’Eterno. Non solo. Questo servo dell’Eterno è luce delle nazioni e strumento di salvezza fino alle estremità della terra. L’opera di questo Servo dell’Eterno è dunque salvifica non soltanto per Israele, ma per tutte le nazioni. Questa è la portata dell’opera di salvezza del Servo del Signore. E Dio ha chiamato Miriam affinché dal suo grembo nascesse il Servo del Signore.
  L’animo di Miriam deve aver raggiunto il culmine della meraviglia proprio in questo momento della sua vita. Ma deve aver provato anche profonda gratitudine verso Dio, che ha deciso di mandare il Suo Servo proprio in quel momento storico, per realizzare la tanto attesa salvezza di Israele e del resto delle nazioni.
  Dopo l’incontro con l’angelo, Miriam si reca a casa di Zaccaria ed Elisabetta, mentre questa era ancora incinta di Giovanni Battista, forse per cercare in lei un po’ di sostegno e comprensione. Alla vista e al saluto di Miriam, ad Elisabetta sobbalzò il bambino in grembo ed esclamò:

    “Benedetta sei tu fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno! Come mai mi è dato che la madre del mio Signore venga da me? Poiché ecco, non appena la voce del tuo saluto mi è giunta agli orecchi, il bambino mi è balzato nel grembo per la gioia. Beata è colei che ha creduto che quanto le è stato detto da parte del Signore avrà compimento” (Luca 1:42-45).

Grazie alla fede di Miriam nella parola che Dio le ha rivolto, fu possibile l’adempimento in lei di questa parola. “Beata è colei che ha creduto che quanto le è stato detto da parte del Signore avrà compimento”, le dice Elisabetta, testimoniando che lo stupore di Miriam dopo l’incontro con l’angelo e il sentimento di riconoscenza verso Dio, non sono solo una sua esperienza privata di fede personale. Anzi, gli effetti di quell’incontro si sono già estesi a membri della famiglia di Miriam, come Zaccaria ed Elisabetta.
  In quei giorni a casa di Elisabetta, sua parente, con il cuore pieno di lode ed esaltazione verso il Dio dei suoi padri, Miriam pronunciò queste parole:

    “L'anima mia magnifica il Signore
    e lo spirito mio esulta in Dio, mio Salvatore,
    poiché egli ha riguardato alla bassezza della sua serva . Da ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata,
    poiché il Potente mi ha fatto grandi cose. Santo è il suo nome
    e la sua misericordia è di età in età per quelli che lo temono.
    Egli ha operato potentemente con il suo braccio, ha disperso quelli che erano superbi nei pensieri del loro cuore;
    ha detronizzato i potenti e ha innalzato gli umili;
    ha ricolmato di beni gli affamati e ha rimandato a mani vuote i ricchi.
    Ha soccorso Israele, suo servitore, ricordandosi della misericordia
    di cui aveva parlato ai nostri padri, verso Abraamo e verso la sua discendenza per sempre”.

    (Luca 1:46-55)

Anche in questo canto, il personaggio di Miriam si identifica con il popolo di Israele. Parlando dell’Eterno, Miriam dice nuovamente di essere “Sua serva” e Israele è “Suo servitore”. Con questa identificazione, Miriam afferma che ciò che Dio ha appena fatto in lei, un membro di Israele, è come se lo avesse fatto nell’intero Suo popolo. Attraverso Miriam, Dio ha adempiuto la Sua promessa di salvezza in Israele e per Israele.
  Con questo canto, sembra che Miriam voglia chiamare tutto Israele, e tutti quelli che temono il Signore, a lodarlo ed esaltarlo con lei, per essersi ricordato del Suo patto con Abramo e per essersi dimostrato misericordioso ancora una volta verso Israele.
  “Egli ha operato potentemente con il suo braccio” dice Miriam. E ancora: “ha detronizzato i potenti e ha innalzato gli umili”. Non sono forse queste parole un richiamo ad un altro evento della storia di Israele in cui Dio stese il Suo braccio per togliere potere ai potenti ed innalzare gli umili? Era il giorno in cui un’altra Miriam diceva ai figli di Israele:

    “Cantate all'Eterno, perché si è sommamente esaltato; ha precipitato in mare cavallo e cavaliere” (Esodo 15:21).

Israele cantò all’Eterno quando Egli gettò nel mar Rosso i cavalli e i cavalieri degli egiziani, nemici di Israele, che era appena uscito dalla terra d’Egitto. Dio fece morire gli egiziani nel mare, ma lasciò che tutto Israele lo attraversasse all’asciutto. Allora tutto il popolo vide la grande potenza che l'Eterno aveva dispiegata contro gli Egiziani; così il popolo temette l'Eterno e credette nell'Eterno e in Mosè suo servo (Esodo 14:31).
  Così i figli di Israele cantarono all’Eterno. E Miriam, sorella di Mosè e Aaronne, si mise alla guida delle donne di Israele con timpani e danze, rispondendo loro:

    Cantate all'Eterno, perché si è sommamente esaltato; ha precipitato in mare cavallo e cavaliere”.
Ecco. Il personaggio di Miriam, sorella di Mosè, è tornato dopo molti secoli. La Miriam che aiutò il piccolo Mosè a non annegare nelle acque del fiume Nilo, lo stesso Mosè che poi liberò Israele dagli egiziani; la Miriam che guidò Israele a lodare ed esaltare Dio, ecco, proprio quel personaggio torna nel Vangelo; anche se in un contesto storico e sociale completamente diverso, torna con lo stesso ruolo. Miriam, la madre di Gesù, ha infatti permesso che venisse al mondo Colui che è la salvezza non solo di Israele, ma anche delle altre nazioni; e ha anche intonato il canto sopra riportato, affinché tutto Israele si unisse a lei per lodare ed esaltare il Signore, che in Gesù il Messia, il servo dell’Eterno, ha adempiuto la Sua promessa.
  Ma a differenza di Miriam, sorella di Aaronne, la quale non riconobbe l’autorità che Dio aveva dato al Suo servo Mosè e diventò lebbrosa, la Miriam, madre di Gesù, dice di se stessa in totale sottomissione alla volontà di Dio: “Io sono la serva dell’Eterno, mi sia fatto secondo la parola dell’angelo”. E poi esulta con il suo canto, perché sa che la salvezza di Israele sta per arrivare grazie al Messia, il Servo dell’Eterno, che nascerà da lei.
  Ricordando proprio l’episodio della lebbra di sua sorella Miriam, Mosè fece un monito a Israele, un invito da prendere seriamente in quanto valido ancora oggi:
    "Ricordati di quello che l’Eterno, il tuo Dio, fece a Miriam, durante il viaggio, dopo che foste usciti dall’Egitto (Deuteronomio 24:9).
(4. fine)
(Notizie su Israele, 4 giugno 2023)



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Israele, tre soldati uccisi alla frontiera con l’Egitto. 

«È stato un poliziotto egiziano infiltratosi oltre confine». Incidente di frontiera tra i più gravi da quando i due Paesi hanno siglato il Trattato di pace. Ma i due eserciti assicurano collaborazione nelle indagini.

Tre soldati israeliani sono stati uccisi oggi, sabato 3 giugno, a ridosso del confine con l’Egitto. Ad aprire il fuoco contro due di essi nelle prime ore del mattino, e poi contro un terzo attorno alle 12, sarebbe stato un poliziotto egiziano, ha fatto sapere l’Esercito israeliano. Nel secondo scontro a fuoco l’assalitore stesso è stato ucciso dalle forze israeliane. L’assalto armato, avvenuto tra il Monte Sagi e il Monte Harif, nel deserto del Negev, è uno dei più gravi incidenti di confine tra Israele e Egitto da quando i due Paesi hanno firmato il Trattato di pace, nel 1979. Tel Aviv ha comunque assicurato che è in corso un’indagine per far pienamente luce su quanto accaduto «in piena collaborazione con l’esercito egiziano».

• La dinamica del doppio agguato
  A ricostruire pubblicamente quanto accaduto, dopo che le famiglie delle vittime erano state informate, è stato un portavoce militare israeliano. «Nelle prime ore del mattino due soldati dell’esercito, un uomo e una donna, sono stati uccisi da un assalitore che ha aperto il fuoco contro di loro mentre assicuravano una postazione militare al confine egiziano. Subito dopo altri soldati sono arrivati nell’area e vi hanno condotto ricerche. A mezzogiorno (ora locale), durante le ricerche, i soldati hanno identificato l’assalitore in territorio israeliano e uno scambio a fuoco si è sviluppato tra l’assalitore e i soldati. I soldati hanno sparato ed ucciso il sospetto. Durante lo scontro a fuoco, un soldato è stato ucciso e un sottufficiale è stato leggermente ferito». L’assalitore è un poliziotto egiziano, ha detto ancora il portavoce, e i soldati di Tzahal «continuano a perlustrare l’area per escludere la presenza di altri assalitori».

• Cosa è andato storto
  Mentre il premier Benjamin Netanyahu, ha fatto sapere il suo staff, «è costantemente aggiornato sulla situazione», sono in corso le indagini dell’Esercito israeliano coordinate con quelle del Cairo per capire come i due soldati di stanza al confine possano essere stati colti di sorpresa e freddati dall’assalitore. Come ha potuto in particolare colui che è descritto come un poliziotto egiziano infiltrarsi, armato, nel territorio israeliano e agire per ore indisturbato? Il portavoce di Tzahal Daniel Hagari ha detto che i due soldati uccisi per primi – un uomo e una donna – avevano preso servizio per il loro turno di guardia venerdì sera. Dopo che i due non hanno risposto agli appelli radio dei colleghi sabato mattina, un ufficiale li ha raggiunti e li ha trovati morti. Più tardi, rintracciato l’assalitore, il secondo scontro a fuoco mortale.

Libero, 3 giugno 2023)
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Purtroppo, come tutti sanno (ma pochi dicono) la pace tra Israele ed Egitto è una “pace fredda” che si tiene soprattutto grazie alla volontà di Al-Sisi (con Morsi era ben diverso). La maggior parte della popolazione continua a considerare gli ebrei dei nemici da uccidere, come viene insegnato loro nel Corano, in molte scuole e in molte moschee. Non a caso anche in Egitto girano indisturbati il Mein Kampf e i Protocolli dei Savi di Sion. Emanuel Segre Amar

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Bandiere Blu 2023: Israele è una perfetta meta green

di Francesca Spanò

Israele si riconferma come la destinazione giusta per chi vuole unire paesaggi mozzafiato alla sostenibilità e, anche stavolta, ha fatto incetta di Bandiere Blu. Sono, infatti, ben 56 le spiagge che hanno ottenuto il prestigioso riconoscimento, insieme a 3 porti turistici affacciati su Mar Rosso, Mar Mediterraneo e Mar Morto. Ad assegnarle è stata la Foundation for Enviromental Education (FEE), l’organo leader nel campo dell’educazione ambientale allo sviluppo sostenibile.

• Cosa sono e cosa rappresentano le Bandiere Blu?
  Vengono riconosciute dopo attenti controlli annuali e la selezione prevede il superamento di 6 criteri principali: qualità dell’acqua, educazione ambientale, responsabilità verso la fauna selvatica, gestione ambientale, sicurezza e servizi offerti e responsabilità sociale. L’obiettivo finale è quello di indirizzare le attività delle località costiere, soprattutto quelle turistiche, verso una gestione ecosostenibile del territorio.

• Quali sono i luoghi di Israele con le Bandiere Blu 2023?
  Kalanit Goren, Consigliere per gli Affari Turistici, Ambasciata d’Israele e direttrice Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo in Italia ha dichiarato:

    Sostenibilità, ospitalità e cura dell’ambiente sono da sempre pilastri fondamentali per Israele, che essendo un paese giovane è concepito con strutture ricettive moderne e all’avanguardia nel rispetto delle risorse del territorio. Inoltre Israele è un paese fortemente cosmopolita e nel tempo ha saputo rispondere alle esigenze culturali, alimentari e sociali di tutte le etnie che vi risiedono o che vengono in visita. Gran parte della ricerca della start up Nation è indirizzata proprio alla sostenibilità; si pensi che Israele è l’unico Paese al mondo che riesce a riutilizzare oltre il 70% delle acque reflue grazie ai sistemi di riciclo e depurazione delle acque nel deserto del Negev.

Le località balneari israeliane sono sempre molto gettonate per la loro bellezza, il mare cristallino e la sabbia finissima: i servizi che offrono ai visitatori sono unici e i panorami incontaminati sono capaci di emozionare. Ecco quali sono:

  • Galei Galil (Nahariya)
  • Argaman North, Argaman South (Akko)
  • Naot 2 (Kiryat Haim Center), Naot 3 (Kiryat Haim North), Bat Galim , Bat Galim 2, Carmel 1, Carmel 2, Zamir North, Zamir Center, Zamir South, Dado North, Dado Center, Dado South (Haifa)
  • Neve, Yam, Dor Center, Aquaduct (Hof Hacarme)
  • Tsanz (religioso) , Haonot Amphi, Herzl, Sironit A (nord), Sironit B (sud), Lagoon (Argaman), Poleg (Netanya)
  • Acadia nord, Acadia sud, Marina Herzliya (Herzliya)
  • Zuk nord, Zuk sud, Tel Baruch, Mezizim , Nordau , Hilton, Gordon, Frischmann, Bograshov, Gerusalemme, Aviv, Charles Clore, Givat Aliyah, Marina Tel Aviv, Porto di Giaffa (Tel Aviv-Giaffa)
((Travelglobe, 3 giugno 2023)

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Il silenzio scende sul naufragio della “barca delle spie” sul Lago Maggiore

“Sono un funzionario della Presidenza del Consiglio” e “Faccio parte di una delegazione governativa israeliana”. Questo si sono limitati a dichiarare gli agenti dei servizi segreti italiani e del Mossad testimoni del naufragio e che erano a bordo della ‘Gooduria’, la barca affondata nel Lago Maggiore.
  La Procura di Busto Arsizio riconvocherà nei prossimi giorni gli agenti italiani, quelli israeliani sono stati subito portati via con un volo speciale proveniente da Israele. L’obiettivo è ricostruire come e perché l’imbarcazione sia affondata durante una tromba d’aria. Gli 007 forniranno le loro versione sulla dinamica dei fatti mentre potrebbero decidere di non rispondere in maniera esaustiva a domande sul perché si trovassero a Sesto Calende, se solo per partecipare alla gita sul Lago Maggiore o per una riunione di lavoro tra servizi di intelligence.
  Che sulla vicenda stia già calando una rapidissima nebbia di copertura lo si desume dalla decisione di non effettuare le autopsie sui quattro cadaveri del naufragio. Il medico legale ha dichiarato che sono morti per ‘annegamento’ e che non presentano segni di lesioni e la Procura ha quindi ritenuto di non effettuare ulteriori accertamenti.
  Il New York Times fa parlare uno dei magistrati incaricati dell’indagine. “Non voglio che ci siano dubbi sul fatto che non abbiamo portato avanti le indagini fino in fondo”, ha detto il Procuratore capo di Busto Arsizio, il dott. Nocerino. “La barca e il suo contenuto sarebbero stati confiscati e posti sotto l’autorità giudiziaria”.
  A partire da mercoledì pomeriggio, la barca era stata trascinata vicino alla riva, ma è rimasta sott’acqua, dopo diversi tentativi infruttuosi di risalire in superficie con palloni aerostatici.
  La salma dell’agente cinquantenne del Mossad Shimoni Erez è stata riportata in Israele già mercoledì 31 maggio, come ha annunciato in una nota ufficiale del primo Ministro israeliano a nome dell’agenzia. “Il Mossad ha perso un caro amico, che ha dedicato la sua vita alla sicurezza dello Stato di Israele per decenni, anche dopo essere andato in pensione”.
  “Non era lì per una vacanza o una festa di compleanno. Non era una missione operativa, ma era legata al suo lavoro”, ha accennato il parlamentare israeliano ed ex vice capo del Mossad, Ram Ben Barak, in un’intervista alla radio pubblica israeliana. 
  La televisione israeliana “I-24 news” scrive che gli israeliani  potrebbero aver “monitorato i contatti tra aziende italiane e iraniane” impegnate a “trattare con componenti civili usati per i droni” che potrebbero essere usati nella guerra in Ucraina. Inoltre, l’area ospita un certo numero di ricchi ebrei italiani che hanno contatti regolari con politici locali e internazionali di alto livello, personaggi della cultura e altri personaggi degni di nota. Il rapporto suggerisce che gli agenti dell’intelligence potrebbero aver completato o intrapreso una missione relativa a entrambi i gruppi di figure residenti nell’area. “La rapida estradizione da parte delle agenzie di spionaggio italiane e israeliane che non fa che aumentare l’intrigo” riporta il servizio di I-24 News.
  Il problema è che in questa vicenda ci sono quattro morti. Silenziarla potrebbe fare troppo rumore.

(Contropiano, 3 giugno 2023)

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Qual è lo stato dell’ebraismo in Italia?

Fotografia di uno stallo, tra identità, identitarismo, conservazione e incoscienza storica

di Claudio Vercelli

Queste non sono noccioline. Ovvero, non costituiscono parole gratuite come neanche il classico “sasso lanciato nello stagno”, tanto per fare un po’ di scena, magari sul momento, per poi velocemente smontare baracca e burattini e tornare quindi nel silenzio. Di esercizi manieristi e coreografici, peraltro, sono lastricate le strade dell’incomprensione.
  Veniamo quindi al dunque. Qual è lo stato dell’ebraismo in Italia? Forse siamo in presenza di un paradosso. Oppure, pensandoci, tale non è, non almeno ad osservare le cose con uno sguardo un po’ meno superficiale di quello che, altrimenti, si è disposti ad offrire ad esse. Mentre l’ebraismo, a partire proprio da quello italiano, gode di un’attenzione mediatica, e di pubblico, che è andata crescendo dagli anni Ottanta in poi, non essendo solo la risultante dell’immagine di una «minoranza» bensì il calco storico e culturale di una più grande collettività – ossia, nel nostro caso, di un intero Paese, e quindi della sua stragrande maggioranza, composta da cristiani – la sua presenza demografica va ridimensionandosi, sempre più spesso racchiusa, così com’è, in classi di età avanzate. In parole spicciole, si parla di ebrei nel momento in cui la loro presenza va progressivamente rarefacendosi. C’è un qualche nesso tra l’una cosa (il rendere oggetto di attenzioni mediatiche una minoranza) e l’altra (il misurarne la consunzione numerica)? Evitiamo facili speculazioni così come banalizzazioni. Cerchiamo invece di capire perché una tale attenzione pubblica (beninteso, a volte non sempre benevola) si manifesti proprio in un tornante demografico invece decrescente. Certo: l’impatto culturale di un gruppo non lo si misura esclusivamente sul numero di elementi che lo compongono. Semmai conta il ruolo che storicamente ha esercitato. Tuttavia, ciò non basta per arrivare ad una qualche conclusione.
  Non c’è comunque solo questo aspetto. Si tratta anche d’altro, che pure non è per nulla estraneo alla trasformazione nella composizione della società ebraica peninsulare. La quale, comunque, continua a dare anche segni di vitalità, soprattutto nel Meridione d’Italia. A non pochi – infatti – il dibattito interno alle Comunità, e ai suoi organismi nazionali, pare essere spesso ingessato. Ossia, incapace di andare oltre non solo alle medesime posizioni già manifeste, quelle in qualche modo precostituite, ma ad un orizzonte, altrimenti disegnato a priori, dove chiunque non adotti schemi di pensiero e di espressione collaudati rischia non solo di essere frainteso bensì di subire un qualche scherno pubblico.
  Al limite, soprattutto quando si scade nel confronto virtuale – laddove le responsabilità sono e rimangono comunque sempre personali – di una sorta di gogna mediatica, tra irrisioni e vituperi, sarcasmi e rifiuti. La qual cosa, in sé, è ancora più incongrua dal momento che non esiste una “linea ufficiale” nell’ebraismo italiano, alla quale tutti dovrebbero allinearsi, se non per ciò che, del tutto legittimamente, costituisce il perimetro della difesa (e promozione) della sua continuità storica ed esistenziale.
  L’ebraismo non è un partito. Almeno su questo ultimo aspetto non si potrà che concordare. Raccoglie il pluralismo di coloro che ne sono parte come anche le influenze del dibattito che si svolge intorno ad esso. Dopo di che, è proprio sul modo in cui intendere il senso di quel “perimetro di difesa” che invece le posizioni non solo divergono (e fin qui poco o nulla di male) ma, troppo spesso, si contrappongono, fino alla censura reciproca. A tale riguardo esiste anche il fenomeno del «fuoco amico», che si esprime con un’intransigenza che rasenta l’intolleranza verso l’altrui opinione. Si tratta di un costume di comportamento che si associa a quel populismo comunicativo che è grande parte del tempo che stiamo vivendo. Al pari di certo revisionismo spicciolo, e di uno stile di condotta intellettuale che porta al rifiuto identitario di ogni forma di dialogo, un tale approccio, nel mentre disseziona ogni affermazione altrui – decontestualizzandola, privandola dei significati che la corroborano, trasformandola in materia di pura polemica – al medesimo tempo si erige a giudice implacabile di un’ortodossia culturale che non ammette repliche. Non sono mai il dibattito e l’analisi critica a dividere; semmai è il gusto dello scontro implacabile a fare appassire la vitalità che pure sussiste ma fatica a manifestarsi.
  Non di meno, mentre da una parte si chiede legittimamente a tutti gli italiani di comprendere e riconoscere le radici storiche e le ragioni civili di una minoranza, dall’altra si rischia di essere inesorabilmente intransigenti nel giudicare quelle posizioni che non traducano la comprensione in mera identificazione, ossia in un rapporto acritico, quindi aprioristico, non tanto con la propria storia di gruppo bensì con l’idea prevalente, a tratti immaginaria, che di essa si nutre. In una sorta di richiesta di allineamento, non si sa bene neanche rispetto a qualcosa che non sia, il più delle volte, pura ricostruzione in chiave di insindacabile mitografia. Si tratta, in quest’ultimo caso, di un meccanismo ideologico che assume ed indossa vesti tanto rilucenti quanto ingannevoli. Tali poiché abbaglianti, in grado di produrre incrostazioni che, nel corso del tempo, sono destinate a non fare più fluire la corrente dell’identità. In quanto quest’ultima non è mai un elemento fermo, fisso, immobile ma un muoversi nel tempo. Se non trova canali di scorrimento, è obbligata a divenire una sorta di anacronismo.
  In ciò che diciamo non c’è nessuna licenza poetica, né un gratuito filosofeggiare – tanto per capirci – bensì la consapevolezza che coloro i quali pensano, e quindi osservano, quanto è passato come se costituisse un tempo senza storia, rischiano di mummificare non solo ciò che fu ma anche, e soprattutto, il presente. Proprio ed altrui. Si scambia infatti troppo spesso la sclerosi per auto-protezione, la separazione per conservazione, il particolarismo per tradizione. E molto altro ancora.
  Liberarsi dalla necessità di nutrire il bisogno di illusioni è invece la premessa per non ingannarsi da sé. Poiché qualsiasi questione che rimandi alle idee diffuse, di senso comune, ha a che fare con quella condizione che chiamiamo con il nome di «potere»: è tale ciò che, avendo la forza di includere, può al medesimo tempo decidere di escludere, emarginando quanti non intendano sottomettersi ad esso. Da sempre è così. Non è una questione “ebraica”; si tratta di un fatto sociale, che attraversa tutti i gruppi storici. Un tale riscontro deve quindi indurre a non pensare che la preservazione di una storia collettiva debba sempre e comunque risolversi in coloro che esercitano, di volta in volta, una egemonia di comunicazione rispetto al gruppo di appartenenza. Non è una lotta tra persone, e men che meno tra schieramenti precostituiti, bensì un problema di equilibri e tolleranze tra le diverse parti. Equilibri, per capirci, che non evocano improbabili par condicio e, ancora meno, lottizzazioni di sorta. Semmai domandano di non utilizzare temi e problemi come terreni di dogmatismo e di scomunica.
  Proprio per tali ragioni, se la lotta contro l’antisemitismo deve essere patrimonio comune, per ebrei e (soprattutto) non ebrei, bisogna allora capire non solo cosa si stia chiedendo agli interlocutori ma anche che cosa possa essere offerto in chiave di apertura, scambio e condivisione. In quanto il rapporto, tra minoranze e maggioranza, non è mai univoco. Semmai biunivoco, richiamando un obbligo di restituzione: se tu mi ascolti, e cerchi di capirmi, al pari mi impegno a comprenderti. Anche nelle tue contraddizioni. Fermo restando un riscontro che, invece, a molti sfugge: l’ebraismo non si riduce esclusivamente al racconto delle sofferenze sopportate e ad un lacrimevole passaggio su questa terra. Non si può racchiudere e risolvere la sua dimensione storica solo ed esclusivamente nelle persecuzioni subite. Come invece piacerebbe a non pochi interlocutori. Altrimenti il sionismo, e lo stesso Stato d’Israele, non sarebbero mai esistiti. Su un tale piano inclinato, una riflessione rispetto al tema ricorrente della «memoria», sui suoi molti usi ma anche su alcuni abusi, ovvero sulle sue torsioni di significato, a questo punto si imporrebbe. In maniera laica e pacata.
  Sì, è vero: si continua a parlare degli ebrei soprattutto in rapporto alla Shoah. Ossia, di quella catastrofe collettiva che ha cercato di cancellarne la presenza planetaria. Lo stesso interesse per la cultura ebraica, e per la sua profonda presenza nella società dei gentili, viene spesso risolto in questa immedesimazione, a tratti quasi sentimentale ed affettiva. Non per questo, tuttavia, si deve assecondare una tale prassi, quand’anche da essa se ne possano trarre quei legittimi riscontri di tangibilità che, invece, non sono riconosciuti dal costituire una cultura e un insediamento complessi, fatti di continuità e discontinuità, di narrazioni e di interruzioni, di passaggi così come di incontri, commistioni, condivisioni. L’ebraismo è sopravvissuto al tempo (e nel tempo) proprio per questa sua capacità adattiva. Non è camaleontismo ma è pluralismo interno. Che a certuni piaccia o meno.
  Ed al riguardo, in un oramai non troppo recente numero di Moked, si era già avuto modo di scrivere: «c’è uno spettro che si aggira per l’Europa; non è quello del comunismo e neanche del fascismo bensì quel fantasma della libertà che è costituito dall’aggrapparsi al discorso sulla “identità”. Soprattutto quando quest’ultima è millantata per una qualche forma di diritto assoluto, inderogabile, non giudicabile (“io sono ciò che dichiaro di essere, punto e basta”) mentre nei fatti è invece un dovere imposto a terzi, in nessun modo negoziabile (”avete l’obbligo di piegarvi alla signoria del mio giudizio, altrimenti siete in fallo”).
  Come esiste una malattia dello Stato nazionale nell’età della sua crisi, ed è il sovranismo, così si dà una patologia del carattere individuale, e del pensiero di gruppo, che è l’identitarismo. Cerchiamo di capirci. […] L’identità, in sé, è un architrave fondamentale del modo in cui le persone intendono se stesse. […] L’identitarismo è invece la perversione del presupposto identitario, in quanto lo trasforma in un mero costrutto ideologico. E ciò avviene quando l’identità perde quel tratto non solo soggettivo, personale, quindi fluido, destinato a modificarsi nel tempo – per adattamento ai mutamenti dell’ambiente circostante – ma anche la sua natura di elemento di comunicazione. Fatto che si verifica tanto più nel momento in cui gli individui, tra di loro consorziati, si arroccano nella rivendicazione di uno spazio di gruppo completamente chiuso rispetto a qualsiasi influenza esterna: una sorta di recinto mentale, prima ancora che altro, ossia un confine d’acciaio che finge di potere prescindere da qualsiasi confronto con ciò che gli sta intorno. I fondamentalismi di ogni genere e risma, quindi non solo quelli religiosi, storicamente soddisfano un tale criterio di condotta. Ma per estensione sono anche altri gli atteggiamenti collettivi che ne rimangono interessati. Il tratto comune a tutti è il riferimento ad una qualche forma di paura da contaminazione: se mi confronto e mi “confondo” con ciò che è diverso da me, rischio di corrompermi. Ragion per cui mi rinserro in me stesso, nel mio gruppo di omologhi e rifiuto tutto quanto possa in qualche misura rimanere estraneo da ciò. […] L’identità, quindi, come tratto profondo, ascritto, [al pari di] un calco ineludibile e non trasformabile; non invece [elemento della] personalità, in quanto prodotto storico. I fondamentalismi, d’altro canto, da sempre cancellano la storia come racconto della trasformazione degli individui, delle comunità e delle società. Nell’età della globalizzazione, l’angoscia da omologazione così come il timore per un tempo a venire del quale non si colgono i lineamenti, possono produrre molti mostri. Soprattutto quelli che abitano i pensieri di chi non riesce a pensarsi».
  Ecco, forse bisogna ripartire anche da quest’ansia che, a volte, sembra essere lenita da una tentazione desecolarizzante, quand’anche, in fondo, ciò non segni ritorno alcuno alla religiosità ma, piuttosto, un vagare tra suggestioni di improbabili uniformità, laddove invece ciò che si ottiene è una crescente incoscienza di sé e della propria medesima storia.

(JoiMag, 28 maggio 2023)


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Disagio davanti a una fotografia

Come persona che da più di vent'anni pone l’attenzione e scrive su Israele, e di conseguenza segue dall’esterno quello che accade e si dice in ambito ebraico italiano, ho cominciato a leggere con interesse l’articolo che qui precede dal titolo “Qual è lo stato dell’ebraismo in Italia?” Alla fine della lettura ho provato quel senso di disagio che sempre  mi coglie quando leggo gli articoli di questo autore. E mi sono posto la solita domanda: ma alla fine, che ha detto? Mi dico che forse la risposta sintetica si trova nell’ultimo capoverso: “Ecco, forse bisogna ripartire anche da quest’ansia…”  Cerco allora di capire cos’è quest’ansia e vado al capoverso che precede, dove trovo scritto che nell’età della globalizzazione, l’angoscia da omologazione può produrre molti mostri. Volendo scoprire da dove vengono questi mostri, risalgo all’inizio del capoverso e trovo scritto che esiste una malattia dello Stato nazionale, che è il sovranismo, il quale nella sua forma patologica più acuta diventa identitarismo, che però si distingue dall’identità perché “l’identitarismo è la perversione del presupposto identitario, in quanto lo trasforma in un mero costrutto ideologico”. E per spiegare il meccanismo della trasformazione si aggiunge che  “ciò avviene quando l’identità perde quel tratto non solo soggettivo, personale, quindi fluido, destinato a modificarsi nel tempo”. E’ difficile a questo punto resistere alla tentazione di applicare al discorso il noto neologismo semantico di Ugo Tognazzi. Ma non sarebbe giusto. L’autore certamente ha voluto dire qualcosa. Già, ma che cosa? E’ difficile districarsi nel profluvio di “ismi” e concetti astratti di cui l’autore fa abbondante uso. A parte termini largamente usati in politica e letteratura come fascismo, comunismo, ebraismo, sionismo per indicare sommariamente fenomeni storici ormai noti, è difficile pensare di poter spiegare un’esistente situazione di fatto con un discorso infarcito di termini astratti e generici come pluralismo, pluralismo interno, populismo, populismo comunicativo, identitarismo, presupposto identitario, revisionismo, revisionismo spicciolo, sovranismo, dogmatismo, camaleontismo, meccanismo ideologico, globalizzazione, tentazione desecolarizzante, angoscia da omologazione. Ciascuno di questi termini ha una valenza semantica talmente ampia che a seconda di come li si usa  possono dare al discorso una varietà illimitata di significati. Non è vero dunque che chi scrive non voglia dire nulla, come avviene  nei personaggi di Tognazzi, ma l’eventuale significato di quello che l'autore vuol comunicare rimane oscuro, e si disperde tra i lettori in una molteplicità talmente vasta di interpretazioni che alla fine si equipara al nulla. Ha bisogno di questo l’ebraismo in Italia? M.C.

(Notizie su Israele, 3 giugno 2023)

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La mia “Hashomer Hatzair”

Si sono svolti anche in Israele i festeggiamenti per i 110 anni dell’HaShomer Hatzair. Angelica Edna Calo Livne ci spiega cosa rappresenta per l’intero paese.

di Angelica Edna Calo Livne

Giovani dell’HaShomer agli inizi dello Stato d’Israele
L’educazione informale è un’inestimabile occasione di crescita. Le arti, lo sport, i corsi di arricchimento sono un prezioso complemento alla storia, alla matematica e alle scienze che si imparano a scuola ma hanno un valore speciale perché sono stati scelti, desiderati e adattati alla propria personalità.
  Ma il movimento giovanile ha un ruolo ancora più potente nella vita di un giovane perché è gruppo, responsabilità, iniziativa, aiuto reciproco e empatia. È lo sviluppo naturale e il consolidamento delle soft skills di cui tanto si parla nel mondo moderno: le “abilità personali”, quelle competenze legate all’intelligenza emotiva e alle abilità naturali che ciascuno di noi possiede.
  Il movimento giovanile le scopre e le porta alla luce proprio come Michelangelo riusciva a far scaturire un angelo da un blocco di marmo. Nelle peulot – le attività e nei campeggi, nei seminari e in ogni incontro i ragazzi e le ragazze imparano ad interagire con i propri compagni, a risolvere i problemi e a gestire programmi e piani di lavoro scritti magistralmente da loro e sviluppano e mettono in pratica in un’aria gioiosa, ricca di energia e ispirazione tutte quelle competenze trasversali  essenziali nella nostra vita, valori che non si possono imparare nei libri o in google ma solo attraverso l’esempio personale.
Giovani dell’HaShomer Hatzair, oggi
Il movimento Hashomer Hatzair, la Giovane Guardia
, compie 110 anni e nel corso della sua storia ha raccolto con orgoglio storie di amicizia indistruttibile, di ideali realizzati, di timidezza trasformata il leadership, di rivolte verso l’oppressore nazista: erano i giovani madrichim e madrichot, le guide, che a Varsavia e a Vilna, in Polonia organizzarono, unirono, raccolsero tutte le loro forze per opporsi all’ingiustizia, al razzismo e alla ferocia. La Giovane Guardia vigila da 110 anni sui valori etici e umanistici che ragazzini/e di 12-13 anni possono imparare solo attraverso un gioco all’aperto, attraverso una gita nella natura, arrampicandosi su una corda e aiutando un compagno. Questo movimento educativo continua instancabilmente a dare all’inquietudine dell’adolescenza quel significato che cambia la vita per sempre, che insegna l’onestà profonda e la creatività senza confini e quella marcia in più necessaria per guardare al di là dei propri conflitti di ogni giorno per espandere lo sguardo verso la sofferenza, l’ingiustizia per inventare nuovi modi per agire, per essere coinvolti nella società circostante.
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L’Hashomer Hatzair è responsabilità verso il popolo d’Israele nella nostra terra e nel resto del mondo. Siamo sempre in prima fila con entusiasmo e determinazione, con kavvana’ – l’intenzione, per mantenere lo spirito che ci ha dato e continua a darci la forza di risollevarci. E vedere 235 ragazzi e ragazze a Firenze in camicia blu e laccio bianco, di età differente, intervenuti a festeggiare insieme la festa del Movimento, nonostante le passate restrizioni del covid, nonostante lo sciopero dei treni e la pioggia incessante, ha ricordato a tutti noi, ancora una volta, che siamo in shlichut costante, in missione, per opporci alla corruzione e all’estremismo ma soprattutto per vivere in pace con noi stessi e con i nostri vicini per trasformare il piccolo nostro mondo, la nostra terra d’Israele e questa umanità che ogni giorno sembra dimenticarsi del rispetto per l’altro, in una realtà più vivibile e serena.
  PAAM SHOMER TAMID SHOMER una volta shomer sempre shomer e lo dico, lo canto, lo danzo con orgoglio, insieme ai miei figli e ai miei nipotini perche’ ormai l’Hashomer Hatzair l’abbiamo nel DNA, è passata attraverso le generazioni, e non smetteremo mai di essere in “movimento”. E considero questo modo di vivere iniziato a 12 anni, poco dopo il mio bat mitzvà, una delle più grandi benedizioni che ho ricevuto nella vita!

(Riflessi Menorah, 31 maggio 2023)

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L'ultima vittima dell'attentato alla pizzeria sbarro del 2001 muore dopo 22 anni di coma

di Luca Spizzichino

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Chana Nachenberg è la sedicesima vittima dell’attentato al ristorante Sbarro a Gerusalemme, uno degli attacchi terroristici più sanguinosi della Seconda Intifada. La donna, rimasta in uno stato vegetativo per oltre 22 anni, è morta per le ferite riportate all'ospedale Ichilov di Tel Aviv.
  “Sua figlia, nostra nipote, oggi compie 24 anni e mezzo. Mia figlia avrebbe dovuto compiere 53 anni tra un mese. Sono passati 21 anni e nove mesi dall'attacco, per il quale mia figlia è rimasta priva di sensi, in coma, al Reuth [Rehabilitation] Hospital di Tel Aviv. Circa tre settimane fa, è stata ricoverata all'ospedale Ichilov, dove è morta questa sera”, ha detto il padre di Chan Nachenberg, Yitzhak, ai giornalisti.
  Il 9 agosto del 2001, proprio durante l’ora di punta e con la pizzeria colma di persone, Izz al-Din Shuheil al-Masri fece detonare una bomba nascosta in una custodia di chitarra all’interno del locale, uccidendo 15 civili, tra cui sette bambini, e ferendo oltre 130 persone. Quel giorno Nachenberg aveva 31 anni ed era lì con sua figlia Sarah, che all'epoca aveva tre anni, che rimase miracolosamente illesa. Il gruppo terroristico palestinese Hamas si è assunse la responsabilità dell'attacco.
  Tra le vittime c'erano anche due cittadini americani, tra cui il quindicenne Malki Roth, i cui genitori hanno condotto una campagna per ottenere l'estradizione negli Stati Uniti di Ahlam Tamimi, che scelse l'obiettivo e guidò lì l'attentatore.
  Tamimi venne arrestata settimane dopo l'attentato e condannata da Israele a 16 ergastoli con l'ordine del giudice di non essere mai rilasciata. Tuttavia, la terrorista è tornata in libertà in cambio del rilascio del soldato israeliano Gilad Shalit, catturato da Hamas nel 2005 e tenuto in ostaggio a Gaza.
  Dal suo rilascio in Giordania, non ha espresso rimorso e si è sempre detta soddisfatta dell'elevato numero di vittime, ed è ancora oggi in libertà nonostante le diverse richieste di estradizione inviate dalle autorità statunitensi ai giudici giordani.

(Shalom, 2 giugno 2023)


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«Il numero dei morti continuava a crescere, e tutti applaudivano»

Ecco alcuni estratti da un'intervista con la terrorista liberata di Hamas, Ahlam Tamimi, andata in onda su Al-Aqsa TV il 12 luglio 2012.

Intervistatore: 16 sionisti sono stati uccisi [nell'attentato suicida che lei ha contribuito a compiere]. Era il suono dell'esplosione...? E' stato molto forte.
Ahlam Tamimi: Il mujahid Abdallah Barghouti ha fatto un lavoro perfetto suonando la chitarra [contenente la bomba], e i risultati hanno stupito tutti, grazie ad Allah.
In seguito, quando ho preso l'autobus, i palestinesi intorno alla Porta di Damasco [a Gerusalemme] erano tutti sorridenti. Si poteva avvertire che erano tutti contenti. Quando sono arrivata sul bus, nessuno sapeva che ero io che avevo guidato [l'attentatore suicida all'obiettivo] ... Mi sentivo abbastanza strana, perché avevo lasciato [l'attentatore] 'Izz Al-Din dietro, ma dentro il bus tutti si congratulavano l'un l'altro. Nemmeno si conoscevano fra di loro, ma si scambiavano complimenti.
Mentre ero seduta sul bus, l'autista ha acceso la radio. Ma prima, lasciate che vi dica l'aumento graduale del numero di vittime. Mentre ero sul bus e tutti si congratulavano l'uno con l'altro, hanno detto alla radio che c'era stato un attacco di martirio al ristorante Sbarro, e che tre persone erano rimaste uccise. Devo ammettere che ero un po' delusa, perché avevo sperato in un risultato più grande. Eppure, quando hanno detto "tre morti" ho detto: "Allah sia lodato."

Intervistatore: Era una stazione radio israeliana o palestinese?
Ahlam Tamimi: La stazione era in lingua sionista, e l'autista traduceva per i passeggeri.
Due minuti più tardi alla radio hanno detto che il numero era salito a cinque. Volevo nascondere il mio sorriso, ma proprio non ci sono riuscita. Allah sia lodato, è stato fantastico. Poiché il numero di morti continuava a crescere, i passeggeri applaudivano. Non sapevano nemmeno che c'ero io in mezzo a loro.
Sulla via del ritorno [a Ramallah], abbiamo passato un posto di blocco della polizia palestinese, e i poliziotti ridevano. Uno di loro infilò la testa e disse: "Congratulazioni a tutti noi". Erano tutti contenti.

(Memri TV, agosto 2012 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Nasò. Guardare sé stessi da fuori

di Ishai Richetti

Nella Parashà di Nasò, riguardo il nazir, leggiamo: “Questa è la legge del nazir: Il giorno in cui la sua condizione di nazir sarà terminata, si recherà (letteralmente yavi oto – si porterà) all’ingresso della tenda del convegno” Nel contesto della discussione sulle leggi del nazir, la Torà istruisce il nazir su cosa fare quando ha completato il suo periodo di astinenza, che comprende il non bere vino e non tagliarsi i capelli. I commentatori notano l’insolita espressione usata nella Torà nel versetto citato “egli si porterà” (yavi oto). Sarebbe sembrato più logico scrivere semplicemente “egli verrà, o si recherà”. Nessun altro lo sta portando quindi, essendo che nella Torà non c’è nessuna parola superflua, ci deve essere un’allusione a qualcos’altro.
  Il Meshech Chochma spiega che il motivo per cui una persona si dichiara nazir è perché sente che i suoi desideri lo hanno sopraffatto e non ha più il controllo di se stesso, quindi teme, tra le altre cose, le conseguenze del bere troppo vino. Per riaffermare il controllo sulle sue passioni e sui suoi desideri, quindi, diventa un nazir e sceglie volontariamente di astenersi dal vino. Ma come può il nazir essere sicuro che il processo a cui si è sottoposto gli abbia permesso di raggiungere il suo scopo e di avere ripreso il controllo? Il Meshech Chochma risponde: “Quando guarda ai propri problemi come guarda alle azioni di altre persone.” Una persona che è schiavo di un desiderio non riesce a vedere se stesso in modo obiettivo e, d’altro canto, solo una persona che raggiunge certi livelli di obiettività su se stesso può essere cosciente di non essere più schiavo dei propri desideri.
  Rav Frand commenta: “A cosa si può paragonare questa faccenda? Diciamo che siamo in un ristorante o a un matrimonio e vediamo una persona in questo ristorante o al buffet che accumula cibo nel piatto. Notiamo che questa persona è molto sovrappeso e diciamo a noi stessi: “Non c’è da meravigliarsi che sia sovrappeso – guarda quanto cibo prende da questo buffet. Qualcuno può guardare questa persona e riconoscere immediatamente che ha un problema alimentare o ha qualche tipo di problema di cui non ha il controllo. Ma lo guardiamo in quel modo e lo giudichiamo perché, ovviamente, è qualcun altro”. Essere un nazir è un processo in base al quale qualcuno ha bisogno di controllarsi in modo tale da poter guardare la persona (se stesso) che era prima dell’inizio del suo diventare nazir e vedere se stesso come una persona completamente diversa. Rav Frand continua dicendo che questo processo è comune a tutte le persone che sono in grado di liberarsi dalla loro dipendenza.
  Ad esempio, un alcolista in recupero riconosce il suo vecchio sé quando vede qualcuno che soffre ancora della dipendenza della quale si è liberato: Nel mezzo del suo commento, il Meshech Chochma menziona una Baraita nel Trattato di Nedarim 9b in cui si parla di un Nazir. “(Rabbi) Shimon haTzaddik disse: In tutti i miei giorni come Kohen, non ho mai mangiato l’offerta per la colpa di un nazireo ritualmente impuro, tranne che in un’occasione. Una volta, un uomo in particolare che era un nazireo venne dal sud, e vidi che aveva degli occhi bellissimi ed era di bell’aspetto, e le frange dei suoi capelli erano raccolte in riccioli. Gli ho detto: Figlio mio, cosa hai visto che ti ha fatto decidere di distruggere questi tuoi bei capelli diventando un nazireo? Mi disse: Ero un pastore per mio padre nella mia città, sono andato ad attingere acqua dalla sorgente e, mentre la attingevo, ho guardato il mio riflesso nell’acqua e la mia inclinazione malvagia mi ha rapidamente sopraffatto e ha cercato di espellermi dal mondo. Mi sono detto: Malvagio! Perché ti vanti di un mondo che non è il tuo? Perché sei orgoglioso di qualcuno che alla fine sarà cibo nella tomba per i vermi, cioè il tuo corpo? Giuro sul servizio del Tempio che ti raderò per amore del Cielo. Shimon haTzaddik continua il racconto: Mi sono subito alzato e l’ho baciato sulla testa. Gli ho detto: Figlio mio, possano esserci altri che fanno voto di nazireato come te tra il popolo ebraico. Di te il versetto afferma: “Quando un uomo o una donna farà chiaramente voto, un voto di nazireato, di consacrarsi al Signore” (Bamidbar 6:2)”. C’è uno strano aspetto nel modo in cui viene raccontata questa storia – il nazir parla di sé in terza persona. Il Bei Chiya risponde, sulla base del Meshech Chochma, che la persona il cui racconto viene riportato nella Ghemara ha visto che era stata sopraffatta dalla sua inclinazione negativa ed è diventata una persona diversa. È stato in grado di vedere obiettivamente cosa stava succedendo, pertanto si riferisce a se stesso in terza persona.
  Questa idea non è limitata alle persone con gravi dipendenze o al nazir, ma è molto pertinente a molti aspetti della nostra vita. In un mondo come quello di oggi, è spesso difficile riuscire ad andare oltre l’apparenza, a valutare bene se stessi e gli altri, a giudicare in positivo, e alle volte, presi dalla frenesia, crediamo che quello che facciamo sia per il miglior interesse della nostra persona o degli altri. Spesso, invece di essere in grado di valutare razionalmente la situazione, usiamo le nostre passioni e i nostri desideri che però offuscano la nostra obiettività. Per contrastare questa inclinazione, bisogna essere in grado di fare un passo indietro e cercare di vedere le cose con razionalità. Questa è una sfida che ci accompagna per tutta la vita e che, per essere superata, richiede una combinazione di apprendimento della Tora, autovalutazione e crescita. Dobbiamo imparare a parlare in terza persona. Dobbiamo imparare a comprendere dove siano le nostre debolezze e trovare le forze di volerci migliorare per noi stessi ma anche per chi ci sta intorno

(Kolòt, 2 giugno 2023)
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Parashà della settimana: Nassò (Conta)

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Enorme tempesta di sabbia colpisce Egitto e Israele

Una potente tempesta di sabbia ha colpito Egitto e Israele, causando morti, feriti e danni materiali. Le autorità hanno chiuso porti e sentieri escursionistici a causa delle condizioni meteorologiche estreme e dell'elevato rischio di incendi.

Egitto e Israele hanno subito le conseguenze di una potente tempesta di sabbia giovedì, segnata da scarsa visibilità e forti venti, che ha provocato diversi morti e feriti, oltre a danni materiali.
  Nella capitale egiziana, Il Cairo, e in altre città vicine, la tempesta ha causato almeno quattro morti e cinque feriti. Il forte vento ha fatto cadere un gigantesco cartellone pubblicitario su alcune auto, uccidendo una persona e ferendone cinque; un altro cartellone è crollato in un paese vicino alla capitale, schiacciando una ragazza. Anche un uomo nella provincia di Menufiyah è stato ucciso quando una palma è caduta su di lui. La quarta persona è morta dopo aver perso l’equilibrio mentre guardava la tempesta da un balcone del quarto piano nella città di Suez.
  Forti venti e onde alte fino a 4 metri hanno costretto le autorità del Paese a chiudere i porti di Suez e Zaitiyat nel Mar Rosso. Le tempeste di sabbia hanno devastato anche il deserto dell’ovest del Paese, lungo la costa mediterranea, l’area del Grande Cairo, il delta del Nilo e le città del Canale di Suez. Il maltempo dovrebbe continuare fino a venerdì.
  Nelle prossime 48 ore le temperature potrebbero superare i 40 gradi Celsius in alcune zone del Paese. L’Egyptian Meteorological Authority (EMA) ha consigliato alla popolazione di evitare il contatto diretto con la luce solare, di indossare mascherine all’aperto e di bere acqua a sufficienza. Le tempeste di sabbia, note come ‘khamasin‘, sono comuni in Egitto in questo periodo dell’anno.

• DANNI E FERITI IN ISRAELE PER LA TEMPESTA "KHAMASIN"
  La tempesta di sabbia ha poi raggiunto Israele, dove ha provocato anche diversi feriti e danni materiali. Nella città di Hod HaSharon una palma è caduta su un’auto, ferendo una donna all’interno. A Tel Aviv anche un uomo di 68 anni è rimasto ferito a causa della caduta di un albero. I forti venti hanno causato il crollo di una gru, scontrandosi con un’altra gru, sebbene nessuno sia rimasto ferito nell’incidente.

• CONDIZIONI METEOROLOGICHE ESTREME
  I servizi meteorologici israeliani prevedono un’ondata di caldo senza precedenti, con temperature che potrebbero raggiungere i 47 gradi Celsius in alcune zone del Paese. A causa delle condizioni meteorologiche estreme e dell’elevato rischio di incendio, il Commissario dei vigili del fuoco e dei soccorsi, Eyal Casspi, ha firmato un’ordinanza che vieta i falò. L’autorità israeliana per la natura e i parchi ha anche temporaneamente chiuso tutti i sentieri escursionistici nelle riserve naturali e nei parchi nazionali nelle aree colpite.

(Travel Friend, 2 giugno 2023)

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Netanyahu: “Israele farà tutto il necessario per impedire all’Iran di avere armi nucleari”

Le dichiarazioni giungono dopo che ieri l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) ha chiuso le indagini su un sito sospetto

GERUSALEMME - Israele farà tutto il necessario per impedire all’Iran di avere armi nucleari. Lo ha detto oggi il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, in un videomessaggio, rivolgendosi sia “all’Iran che alla comunità internazionale”. Le dichiarazioni giungono dopo che ieri l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha chiuso le indagini su un sito sospetto. Inoltre, negli ultimi giorni sono circolate notizie secondo cui Israele temerebbe che gli Stati Uniti si stiano muovendo verso un nuovo accordo nucleare con Teheran, a cui Gerusalemme si oppone aspramente.
  In precedenza, il portavoce del ministero degli Esteri di Israele, Lior Haiat, ha definito la chiusura di un’indagine dell’Aiea su un sito iraniano sospetto “una questione di grande preoccupazione”. Per Haiat “le spiegazioni fornite dall’Iran per la presenza di materiale nucleare nel sito non sono affidabili o tecnicamente possibili”. “L’Iran continua a mentire all’Aiea e ad ingannare la comunità internazionale”, ha aggiunto. All’inizio di questa settimana, l’Aiea ha interrotto le sue indagini sulle tracce di uranio artificiale trovate a Marivan, circa 525 chilometri a sud-est di Teheran. Gli analisti avevano ripetutamente collegato Marivan al programma nucleare militare segreto dell’Iran e accusato la Repubblica islamica di aver condotto lì test ad alto potenziale esplosivo nei primi anni 2000.
  Haiat ha avvertito che la chiusura del caso “potrebbe avere conseguenze estremamente pericolose” e che invia un messaggio agli iraniani, ovvero che possono “continuare a ingannare la comunità internazionale nel loro cammino verso il raggiungimento di un programma nucleare militare completo”. Infine Haiat ha indicato che la decisione “danneggia gravemente la credibilità professionale dell’Aiea”.

(Nova News, 1 giugno 2023)

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Conte contro Israele: la grillina Ascari ospite degli amici di Hamas in Svezia

L’Olimpo della sinistra europea pro Palestina – e anti Israele – ha partecipato all’evento organizzato dalla “Conferenza Ue dei palestinesi” e celebrato nel fine settimana a Malmö, in Svezia. La notizia ha fatto eco anche in Italia soprattutto per la partecipazione della deputata pentastellata Stefania Ascari, accolta con calore alla kermesse dall’agenzia vicina ad Hamas, Quds news network.
  Inquietudine e polemiche si sono propagate dalle parole di David Lega deputato europeo svedese e membro della commissione Esteri e Diritti umani che ha dichiarato: “Sono davvero furioso”. La linea dei 5stelle è sempre stata ambigua nei confronti di Israele, posizione condivisa sin dalla nascita dell’allora Movimento sia dal padre padrone Beppe Grillo, sia da quello che fu il suo primo delfino, Alessandro Di Battista le cui orme, l’onorevole Ascari, ha sempre seguito. Secondo la deputata i palestinesi sono “vittime silenziose di un genocidio” e i territori contesi sono “un inferno sulla Terra”.
  La colpa? Ovviamente da addebitare a Israele, senza considerare tutte le parti in gioco come quella degli Stati arabi o del terrorismo di Hamas. Ascari era stata già al centro delle polemiche per aver portato a gennaio alla Camera Mohammad Hannoun, presidente di una controversa onlus finita sotto la lente dell’Antiriciclaggio per presunti legami con Hamas. Lo stesso Hannoun (come riporta Infopal) ha guidato la delegazione italiana capitanata da Ascari alla conferenza di Malmö guidata da Amin Abu Rashed, considerato da molti come emissario di Hamas in Europa.

(il Riformista, 1 giugno 2023)

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L'intelligence, la gita in barca, gli oligarchi russi: i dubbi sul naufragio del Lago Maggiore

si Andrea Muratore 

Il naufragio del Lago Maggiore di domenica 28 maggio si è tinto di "giallo" dopo che è emersa la presenza di un ampio numero di funzionari dell'intelligence italiana e israeliana sulla "Gooduria", l'imbarcazione naufragata nel tragico incidente dovuto ad avverse condizioni meteo in cui sono morte quattro persone. Tra cui due funzionari del Sistema informativo per la sicurezza della Repubblica che coordina l'intelligence italiana, un ex membro dei servizi segreti di Israele e una cittadina russa, compagna dello skipper dell'imbarcazione.

• Scenari d'intelligence
  E proprio lo skipper dell’imbarcazione, Claudio Carminati, al centro delle indagini per possibili omissioni securitarie che hanno portato alla tragedia per la tromba d'aria che ha capovolto l'imbarcazione domenica sera, è risultato essere un uomo su cui le agenzie di sicurezza italiane hanno più volte contato per operazioni logistiche e sostegno.
  Le fonti di Piazza Dante emerse sui media hanno portato alla ricostruzione precisa delle agenzie coinvolte: l'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise) italiana e il Mossad israeliano. Due apparati la cui rilevanza operativa è legata principalmente alle operazioni di teatro all'estero o, nel caso dell'Aise, alle attività di controspionaggio.
  C'è stata polemica per la repentina scomparsa degli operativi ricoverati dopo la tragedia dagli ospedali e dalle case di cura, ma ricordiamo che si tratta di una classica operazione dei servizi segreti per evitare che i "metadati" degli agenti, i loro contatti personali, le loro informazioni identificative e sanitarie, potessero essere acquisite da possibili agenti ostili tramite fuga di notizie. E questo si intreccia direttamente alla domanda chiave: cosa facevano gli agenti italiani e israeliani sulle sponde del Lago Maggiore? Proviamo a costruire alcuni scenari.

• Il triangolo Italia-Israele-Russia
  Il primo scenario è quello che vedrebbe gli agenti italiani e israeliani intenti a "pedinare" sulle sponde del Lago Maggiore, nella zona di Verbania, oligarchi russi e altri personaggi sospetti ritiratisi sulle placide rive del Lago Maggiore, lontani dai riflettori, dopo l'invasione dell'Ucraina. "Negli ultimi tempi sono aumentati gli arrivi di «pesanti» personaggi russi, focalizzati sulla riqualificazione e l’apertura di hotel, per loro ammissione con l’obiettivo dichiarato, sempre che non sia una semplice copertura, di spostare gli investimenti dal lago di Como a qui", nota il Corriere della Sera.
  L'ipotesi è sicuramente interessante, specie se si considera che Israele è un altro Paese in cui molti oligarchi hanno basi d'appoggio o seconde cittadinanze (si pensi al caso emblematico di Roman Abramovich). Dopo che l'attenzione si è concentrata a inizio guerra sul sequestro delle ville sul Lago di Como di oligarchi e magnati di vario livello, è possibile che, complici triangolazioni con la Svizzera in società di comodo, molti big della finanza russa riparati in Italia si siano spostati tra Varese e l'Ossola.
  Ma anche in questo caso la questione è troppo generica. Perché mai l'Aise e il Mossad avrebbero dovuto mettere in campo un così ampio schieramento di forze? Perché costruire uno scenario tanto complesso, con annessa riunione fuori porto in battello, per uno scambio informativo su oligarchi e imprenditori su cui altre agenzie, dalla Guardia di Finanza in giù, avranno sicuramente indagato con forza? Il nodo Russia può essere anche connesso alla presenza sulla barca di Anna Bozhkova, 50 anni, moglie dello skipper morta nella tragedia, probabilmente in funzione di interprete. Ma il "pedinamento" degli oligarchi non appare una soluzione soddisfacente per giustificare la grandezza della missione.

• Il nodo spionaggio industriale
  Mossad e Aise potrebbero aver concordato una missione congiunta per ovviare a un altro problema potenzialmente decisivo riguardante la presenza russa in Italia: lo spionaggio industriale. Le aree varesine da cui la "crociera delle spie" è partita e le confinanti regioni del Piemonte sono vicine a una zona chiave per la sicurezza industriale nazionale, in quanto terreno centrale per la produzione aeronautica.
  Tra Varese e Sesto Calende, ad esempio, Leonardo ha gli stabilimenti ex AgustaWestland in cui si producono elicotteri fondamentali sia per l'esportazione militare italiana che per l'equipaggiamento di forze alleate in tutto il mondo. Nel 2022 Leonardo ha siglato con Israele programmi di vendita di elicotteri prodotti negli stabilimenti americani ma pensati e progettati nel cuore italiano dell'azienda e nel 2023 ha siglato partnership per la creazione di start-up della Difesa con l'Israel Innovation Autorithy.
  Logico pensare che Mossad e Aise abbiano, complementariamente a questi accordi, aumentato l'impegno comune per la difesa delle proprietà intellettuali da qualsiasi minaccia, prima fra tutte quella russa. All'Aise - lo ricordiamo - compete sul suolo nazionale l'attività di controspionaggio a protezione degli interessi politici, militari, economici, scientifici e industriali italiani. Il Mossad, invece, ha una forte postura militare e una grande attenzione alle catene del valore della Difesa. Un fronte comune di intervento, dunque, potrebbe essere nello scambio informativo su possibili attività ambigue russe, magari connesse anche ai citati movimenti degli oligarchi, tra l'area di Varese e la provincia di Verbania ove si distribuiscono molte aziende della catena del valore, della subfornitura e della produzione di materiali strategici e componenti per la filiera aeronautica e degli elicotteri.
  A tal proposito, sarebbe interessante sapere quanti dei funzionari dell'Aise chiamati a partecipare al meeting sul Lago Maggiore fossero, al contempo, militari in passato in servizio e anche le aree di competenza degli stessi per capire quanto l'idea del controspionaggio industriale possa essere valida come tesi.

• Iran e antiterrorismo, il terzo scenario sull'incontro d'intelligence
  Un terzo scenario lascia invece pensare che il Lago Maggiore sia stato solo il luogo del rendez-vous e che in realtà il tema non riguardasse la Russia in senso stretto, quanto piuttosto una serie di scenari a tutto campo in cui Italia e Israele hanno comuni preoccupazioni securitarie. Pensiamo, ad esempio, all'Iran, Stato nei cui confronti in questa fase storica inaugurata dai governi Draghi e Meloni l'Italia si è schierata in una posizione fortemente critica. Decisamente più dura di quella mostrata in Europa da Paesi come Francia e Germania e allineata alle visioni di Stati Uniti, Regno Unito e della stessa Israele.
  Aise e Mossad potrebbero aver operato uno scambio informativo di documenti riguardanti l'Iran o, come ricorda il Corriere della Sera, le attività delle aziende nazionali nella Repubblica Islamica: "gli israeliani avrebbero interessi nel monitorare i contatti tra le ditte italiane e iraniane impegnate a trattare i componenti civili dei droni usati proprio nella guerra" russo-ucraina, acquistati da Mosca. L'Italia può aiutare Israele nella retro-ingegneria dei droni iraniani, mappare i movimenti sospetti di funzionari attorno all'ambasciata di Teheran in Via Nomentana a Roma, mappare l'attività informativa e di influenza di Teheran nel nostro Paese, fornire informazioni utili a coordinare con Tel Aviv il sostegno al principale gruppo di opposizione al governo legittimo dell'Iran, il Mek con base in Albania e forte sostegno da parte di Israele.

• La quarta ipotesi: il "buco" securitario
  Vi è poi un quarto scenario, che si può sovrapporre a ciascuno dei tre precedenti. E prende le mosse dal fatto che la vera missione non fosse legata alla "crociera" sul Lago Maggiore organizzata a fini di scambio informativo ma fosse precedente quella che si è rivelata un'occasione di diporto finita in tragedia. La missione congiunta potrebbe aver avuto un fronte operativo ben preciso a cui è seguita poi un'occasione di svago (si parla di un pranzo tra agenti) conclusasi con il naufragio.
  Ma in quest'ottica sarebbe da sottolineare una tematica fondamentale: la carenza della necessaria tutela securitaria a cui gli agenti coinvolti in operazioni dovrebbero essere sottoposti. La crociera nelle acque agitate del Lago Maggiore potrebbe essere anche stata una tragica scelta compiuta per leggerezza dagli operativi di Aise e Mossad, ma la buona norma della pratica dei servizi insegna che agli agenti è chiesto di non compiere alcuna mossa potenzialmente lesiva della propria incolumità nell'adempimento della sua missione. E anche strategicamente parlando la presenza di una ventina di agenti di due Paesi alleati su una sola imbarcazione la rende un obiettivo sensibile per minacce di ogni tipo, ivi comprese le tragedie dovute al clima mutevole a cui sembra che il naufragio debba iscriversi. Un dato fondamentale - da non sottovalutare - che rende ancora più complessa la corretta valutazione di uno scenario su cui l'immediata esfiltrazione dei superstiti ha posto un cono d'ombra proprio dei servizi d'intelligence di fronte a scenari di crisi di vario tipo, prevedibili o inattesi che siano, riguardanti i propri agenti in prima persona.

(il Giornale, 1 giugno 2023)

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«La Diaspora e Israele devono crescere insieme»

Intervista al nuovo Shaliach del KH, Eyal Avneri. Classe 1973, sposato con Hila Schlesinger, psicologa, e padre di Emilia e Gioia, è arrivato in Italia nel settembre 2022 con la sua famiglia allargata a cani e gatti. Gli obiettivi? Rafforzare il legame tra gli ebrei italiani e la Medinat Israel

di Ester Moscati

Eyal Avneri ha un curriculum eclettico e interessante, che racconta di un uomo di grandi risorse intellettuali e di alti valori, capace di mettersi in gioco e impegnarsi a fondo nei progetti che persegue. Parla perfettamente italiano (ha studiato a Roma) ed è un conversatore brillante.

- Quando è nato e dove? Ci racconta qualche cosa di lei?
  Sono nato a Tel Aviv il 17 marzo 1973, sono sposato con Hila Schlesinger, psicologa, e ho due meravigliose figlie, Emilia di 16 anni e Gioia di 14. Amo molto gli animali e ho due cani, fratelli, maschio e femmina che si chiamano Bono (come Bono degli U2) e Bianca. Abbiamo anche due gatti, anche loro fratello e sorella, che si chiamano Buffon e Pelma. Tutti cuccioli trovatelli, salvati dalla strada; il randagismo è un problema in Israele. Quando siamo venuti in Italia a settembre li abbiamo portati tutti con noi. Sono cresciuto a Tel Aviv, da ragazzo giocavo a basket e suonavo il basso in un gruppo. Poi mi sono appassionato anche di fotografia e durante il servizio militare sono stato fotografo per l’IDF impegnato nell’area del portavoce militare. Dopo i tre anni di leva mi sono trasferito a New York per sei mesi e poi sono tornato in Israele dove ho lavorato per EL AL per due anni e mezzo. Successivamente, mi sono trasferito a Roma nel 2000 per studiare disegno industriale presso l’ISIA, una scuola prestigiosa e molto selettiva, con difficilissimi test d’ingresso in italiano, perché non ci sono posti per stranieri. Per cui ho dovuto imparare molto bene l’italiano, la cultura, l’arte e acquisire in breve tempo le conoscenze che i ragazzi italiani assimilano al liceo. Per motivi di famiglia sono tornato in Israele e ho finito la mia formazione alla Bezalel Academy of Arts and Design a Gerusalemme.
  Dopo la laurea ho lavorato come regista e sono molto orgoglioso di un film in particolare, Little Peace of Mine (Shalom katan sheli) che ha vinto premi e riconoscimenti nel mondo e mi ha portato a conoscere il mio idolo, Bob De Niro, con cui ricordo ancora una piacevolissima serata a cena. In Israele ho finito il mio master universitario e ho iniziato a lavorare nel marketing tecnologico, e aprire mercati in diversi Paesi per le aziende con le quali lavoravo. Tutto questo fino al periodo della pandemia di Covid, che mi ha fatto riflettere molto. Alla vigilia dei cinquant’anni, mi sono chiesto che cosa potevo fare al di là della mia carriera professionale e della mia vita familiare. Cosa potevo fare di più per aiutare Israele. Per diverso tempo ho cercato un’idea per aiutare gli altri e il mio Paese in un modo diverso, allargando gli orizzonti.

- Come si è avvicinato al Keren Hayesod?
  Proprio in quel periodo ho ricevuto una chiamata dal KH, per partecipare a un progetto. Questo mi ha consentito di entrare in questo mondo. Non è per me un lavoro, la considero una missione alla quale mi sono preparato con esami, test, corsi… perché entrare a far parte della grande famiglia del KH non è una cosa semplice; richiede un percorso di formazione molto intenso e molto approfondito. Ho iniziato nel settembre del 2021 e nel settembre del 2022 sono arrivato con tutta la mia famiglia in Italia.

- Quali sono le sue aspettative? Che impressioni ha avuto delle Comunità italiane e in particolare di Milano?
  Il mio obiettivo è soprattutto quello di rafforzare il collegamento tra la diaspora e Israele; io penso che siamo una grande famiglia al di là delle divisioni politiche, sociali, di provenienza … in questo credo moltissimo perché è l’unica cosa che può aver fatto sì che per 3.500 anni siamo rimasti un popolo unito, nonostante tutte le vicissitudini in cui siamo stati coinvolti. Il mio pensiero in questa missione in Italia è focalizzato su come si può continuare a rafforzare questo legame, incrementarlo e migliorarlo sempre di più. Tramite l’Agenzia ebraica, il KH aiuta tutti coloro che vogliono fare l’Aliya in Israele a inserirsi nel Paese. Sosteniamo questa iniziativa e rafforziamo i legami in diverso modo; per esempio con i viaggi dei giovani in Israele, finanziando i ragazzi delle scuole ebraiche di Milano e di Roma che non possono sostenere le spese del viaggio. Questo perché tutti abbiano l’opportunità di conoscere meglio il paese. Ci tengo anche a dire che nel periodo della pandemia il KH, tramite l’Agenzia ebraica, ha dato alle Comunità italiane un milione di euro perché abbiamo visto e compreso bene le difficoltà che attraversava l’Italia, soprattutto nel primo periodo della pandemia e abbiamo voluto dare un aiuto concreto.
  Il mio secondo obiettivo è il rafforzamento di Israele e l’aiuto alla sua popolazione. Vorrei far comprendere agli ebrei italiani quanto sia importante e necessario per Israele il loro aiuto. Con le persone con cui parlo, mi sento spesso dire che Israele è forte, è un’assicurazione per il popolo ebraico, che può dare agli ebrei del mondo, non solo italiani ed europei, una difesa sia politica sia in termini di sicurezza contro l’antisemitismo; e questo è senz’altro vero, perché Israele consente agli ebrei di tutto il mondo di avere uno Stato autorevole che funziona da garanzia a diversi livelli. Però voglio sottolineare come questo aiuto debba essere reciproco. Ci sono molte similitudini tra l’Italia e Israele; comunità come Roma e Milano per esempio sono formate da ebrei di diverse provenienze, esattamente come Israele. E tutti questi ebrei, nonostante abbiano magari origini molto diverse, hanno valori comuni, valori che ci legano in quanto ebrei, molto specifici e molto forti. Per questi forti legami che ci uniscono voglio che sia molto chiaro che Israele ha bisogno degli ebrei del mondo, ha bisogno degli ebrei italiani, perché è vero che è un Paese forte, è vero che ci sono città come Tel Aviv che sono città ricche, all’avanguardia nel mondo… ma Tel Aviv rappresenta il 15% della società israeliana. Le periferie (e per “periferie” non intendo solo le piccole città, ma anche centri come Beer Sheva, per esempio) hanno delle vaste aree di povertà economica e di disagio sociale che vanno aiutate e sostenute. Il KH è in prima linea in questo. In Israele ci sono molti ragazzi che vanno aiutati non solo dal punto di vista economico, ma anche nel sostegno per uscire da traumi causati dalla guerra, dagli attentati; questo soprattutto nel sud di Israele dove ci sono città che vengono bombardate tutti i giorni da vent’anni. Ragazzi che sono cresciuti in questo contesto hanno un grandissimo bisogno di supporto.
  Ci sono poi gli anziani, spesso anche gli ultimi sopravvissuti alla Shoah, che versano in difficoltà economiche molto profonde. Per la sicurezza interna di Israele vengono spese delle somme ingentissime e l’80% della società israeliana è sostenuta solo da quel 15% di persone che grazie all’economia dell’high-tech all’avanguardia hanno risorse con cui devono sostenere tutto il resto della popolazione israeliana.
  Parlando con molte persone mi sono reso conto che in Italia non molti sanno che alla Knesset è stata varata una legge speciale per il Keren Hayesod: è l’unica organizzazione che Israele riconosce ufficialmente come partner nel sostegno dello Stato. Ci occupiamo dei cittadini israeliani dalla nascita fino alla vecchiaia, con tutta una serie di progetti.
  Di recente il KH Italia ha inaugurato una iniziativa focalizzata proprio sulle vittime del terrorismo che hanno subito danni fisici e danni psicologici. C’è un enorme bisogno di terapie post-trauma per aiutare le persone a recuperare. È un progetto molto importante che voglio portare avanti con la comunità italiana.

(Bet Magazine Mosaico, 1 giugno 2023)

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