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Notizie 16-30 giugno 2023


Il Mossad svela operazione anti-terrorismo a Cipro

In un video la confessione del killer iraniano che doveva colpire un uomo d’affari

di Alessandro Cavaglià

Nuovo clamoroso capitolo della guerra segreta sotterranea che da decenni vede impegnati Israele e Iran in tutto il Medio Oriente e oltre. Il Mossad ha rivelato i dettagli di una operazione di sicurezza con la quale agenti dell’Agenzia hanno rintracciato e interrogato in Iran un killer legato ai pasdaran, che intendeva colpire obiettivi israeliani a Cipro. Con una particolare operazione trasparenza, il servizio di Gerusalemme ha reso pubblico il filmato della confessione del terrorista Yousef Shahbazi Abbasalilo. Al momento non si conosce la sorte dell’uomo dopo l’interrogatorio. Gli 007 israeliani hanno svolto un lavoro di grande successo, penetrando in profondità l’apparato di sicurezza del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (IRGC).

• OMBRA
  Il giornalista Yaakov Katz, autore del libro “Israel vs. Iran: The Shadow War”, ha detto alla BBC: “Quando un’operazione come questa diventa pubblica è inevitabile da un lato il grande imbarazzo per Teheran e dall’altro lato appare in tutta evidenza la forza dell’Agenzia di intelligence israeliana”. La scoperta del complotto iraniano aveva portato la scorsa settimana a una serie di arresti a Cipro. La polizia cipriota ha annunciato di aver identificato una squadra terroristica a Limassol. Il nucleo di fiancheggiatori di Abbasalilo, rientrato in gran fretta in Iran dopo il fallimento della missione, era composto da pakistani ed elementi locali. In una nota diffusa dall’Ufficio del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, si afferma che “il Mossad continuerà ad agire con determinazione per prevenire attacchi contro ebrei e israeliani in tutto il mondo. Lo Stato d’Israele opera utilizzando un’ampia varietà di metodi e in ogni luogo per proteggere ebrei e israeliani e continuerà ad agire per distruggere il terrorismo iraniano ovunque alzi la testa, anche sul suolo iraniano”.

• OBIETTIVI
  Un alto funzionario dell’Agenzia ha commentato: “Raggiungeremo chiunque pianifichi attacchi terroristici contro gli ebrei, ovunque si trovino”. Nell’interrogatorio a cui è stato sottoposto da parte di agenti israeliani, Abbasalilo ha fornito dettagli sull’attacco pianificato contro un uomo d’affari israeliano. Secondo la rete televisiva israeliana Channel 12 tra gli obiettivi a Cipro c’erano anche una Chabad House, centro di diffusione dell’ebraismo ortodosso Chabad-Lubavitch, oltre a hotel e luoghi di intrattenimento frequentati da turisti israeliani. L’iraniano ha anche rivelato il ruolo di ufficiali pasdaran dietro il complotto, i metodi operativi, le armi e i mezzi di comunicazione utilizzati. Secondo fonti israeliane dietro il complotto ci sarebbe il dipartimento di intelligence estera dell’IRGC. Negli ultimi due anni gli 007 di Gerusalemme hanno sventato numerosi attacchi terroristici contro israeliani a Cipro, in Turchia, in Georgia e in Grecia. Si tratta di operazioni coperte dal massimo riserbo, ma proprio l’efficienza e l’efficacia del Mossad nella lotta al terrorismo di marca iraniana avrebbe portato lo scorso anno alla sostituzione del capo dell’intelligence dell’IRGC.

(in20righe, 30 giugno 2023)

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Europei Under 21: Israele vola ai quarti di finale

di Jacqueline Sermoneta

FOTO
Vittoria a sorpresa per la nazionale israeliana agli Europei Under 21. I ragazzi del ct Guy Luzon hanno battuto mercoledì scorso la Repubblica Ceca 1-0, qualificandosi ai quarti di finale.
  Omri Gandelman ha segnato all'82’ minuto su assist di Oscar Gloukh, assicurando così alla squadra il secondo posto nella classifica finale del Gruppo C, che vede l'Inghilterra in testa dopo aver sconfitto la Germania 2-0.
  Il risultato porta dunque gli israeliani alla fase a eliminazione diretta, dove affronteranno la Georgia.
  "Una nuova grande sorpresa negli Europei Under 21. - scrive il quotidiano spagnolo Marca - Israele è passato ai quarti di finale dopo una fantastica partita. Gandelman ha realizzato il sogno con un gol vincente".
  La UEFA ha nominato Oscar Gloukh "Player of the match", il migliore in campo nell'importante vittoria contro i cechi grazie alla sua "capacità tecnica, supervisione e creatività. Le azioni più significative sono partite da lui. Anche quando era difficile superare la difesa avversaria, ha continuato a provarci fino all’assist della vittoria".
  Come riporta Ynet, anche i media cechi hanno elogiato la squadra israeliana: "Israele è stato più attivo e determinato fin dall'inizio della partita. L'esperienza e la fortuna hanno deciso gli ultimi minuti del match".
  Gli israeliani affronteranno i padroni di casa a Tbilisi il 1° luglio alle ore 18. Una partita importante che permetterà alla squadra vincitrice di accedere alla semifinale e di staccare il pass per le Olimpiadi di Parigi 2024.

(Shalom, 30 giugno 2023)

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La TV israeliana trasmette per la prima volta nei Paesi arabi

Due serie israeliane del canale "Kan" saranno presto trasmesse nei Paesi arabi. È la prima volta che i diritti televisivi vengono venduti al mondo arabo.

GERUSALEMME - Per la prima volta delle produzioni televisive israeliane sono state vendute per essere trasmesse nei Paesi arabi. Lo ha annunciato martedì il canale televisivo israeliano "Kan".
  I diritti della serie di documentari "Cassandra's Prophecy" sono stati acquistati dall'emittente saudita "MBC". Presto gli spettatori interessati potranno vedere la serie in Medio Oriente e Nord Africa.
  La serie è un documentario su una rete dell'organizzazione terroristica libanese Hezbollah e dell'Iran, che ricicla denaro e contrabbanda droga. Le autorità israeliane, compreso il servizio di intelligence straniero Mossad, stanno cercando di fermare la rete.
  La serie è una coproduzione israelo-tedesca-canadese. Non sorprende quindi che venga presto trasmessa dalla ZDF tedesca e dalla CBC canadese, oltre che dal canale francese "Arte".
  Kan" ha venduto i diritti della serie drammatica "Special" anche al canale turco "Kanal D". Per la prima volta gli spettatori turchi potranno vedere in televisione una serie drammatica originale israeliana. "Special" tratta dei bisogni speciali dei giovani affetti da autismo. La serie potrà essere vista in Turchia in prima serata a partire dal 4 luglio.
  Il responsabile del programma educativo di "Kan", Omer Manor, è soddisfatto della vendita dei diritti televisivi al mondo arabo: "Siamo orgogliosi di rendere il programma disponibile ai giovani spettatori in più parti del mondo".

(Israelnetz, 30 giugno 2023)

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Daniel Ellsberg, l'Impero americano e la guerra ucraina

Daniel Ellsberg,
Edward Snowden
Julian Assange
Il 16 giugno è morto Daniel Ellsberg, ormai ignoto ai più, ma entrato alla storia per aver passato ai media americani documenti segreti sulla guerra del Vietnam, che nel 1971 rivelarono al mondo le menzogne profuse da Washington sul conflitto, aprendo la via alla sua risoluzione.
  I documenti segreti, infatti, iniziarono a essere pubblicati sul New York Times e poi sul Washington Post, nonostante le immani pressioni per metterli a tacere. Lo stesso Ellsberg ebbe a subire pressioni fortissime; contro il lui l’amministrazione Nixon arrivò a brandire l’Espionage Act, ma a salvarlo arrivò il Watergate che precipitò Nixon nell’inferno della storia (l’unico presidente Usa a pagare per i suoi errori, peraltro meno gravi di tanti suoi omologhi).
  Alla sua morte, i media Usa lo hanno celebrato come un eroe americano. Il paradosso è che gli stessi giornali trattano come traditori Julian Assange, Edward Sowden e di altri che hanno ripercorso le orme di Ellsberg, rivelando al mondo le menzogne propalate dagli gli Stati Uniti nelle più recenti avventure imperialiste.
  Peraltro, lo stesso Ellsberg aveva speso parole di elogio per Assange e Snowden, ma non c’è traccia di tutto ciò nei suoi necrologi. Ne scrive Ryan McMaker su  Consortium News il 28 giugno: “Sostenere gli Ellsberg dei giorni nostri – come anche Assange, Snowden, Reality Winner, Chelsea Manning e Jack Texeira – richiede un certo grado di pensiero indipendente, scetticismo e disprezzo per i regimi. Questo è il motivo per cui così pochi giornalisti nei media importanti supportano questi leaker moderni. Farlo potrebbe mettere in pericolo le posizioni dei giornalisti presso gli organi di potere all’interno dei media mainstream. Inoltre, la maggior parte dei giornalisti dei media importanti è dalla parte del regime. Non hanno alcun interesse a minarlo”.

• Ellsberg e la manipolazione dell’opinione pubblica
  Riportiamo alcune considerazioni di Ellsberg tratte dal libro War Made Invisible: How America Hides the Human Toll of its Military Machine di Norman Solomon, riportate su The Intercept.
  Guardando a ritroso, al modo con cui gli americani si sono relazionati alle vittime di guerra, Ellsberg non era ottimista, infatti diceva: “È doveroso rilevare […] che l’opinione pubblica non mostra nessuna reale preoccupazione per il numero di persone che uccidiamo in queste guerre. Al massimo ci si preoccupa delle vittime americane, soprattutto se sono troppe”.
  “Sopporterà, in modo quasi sorprendente, anche un livello molto alto di vittime americane, soprattutto se le cose stanno andando bene e se il presidente può rivendicare un successo […]. Ma sulle persone che vengono uccise nelle nostre guerre, i media non si fanno nessuna domanda, né l’opinione pubblica chiede qualcosa su di loro ai media, e quando qualcosa viene rivelato, in un modo o nell’altro, in maniera occasionale, nulla cambia”.
  Ciò che viene nascosto agli americani “è che sono cittadini di un impero, sono al centro di un impero che si sente in diritto di decidere chi governa altri paesi, e se tali governi non sono graditi a causa delle loro interazioni con gli interessi corporativi [degli Stati Uniti] o perché rifiutano di concederci basi” militari o altro, “ci sentiamo assolutamente nel giusto e siamo capaci di rimuoverli attraverso i regime-change”.
  “Praticamente ogni presidente ci dice, o ci rassicura, che siamo un popolo che ama davvero la pace, particolarmente cauto prima di iniziare una guerra, anzi riluttante, forse addirittura troppo in certi casi, ma più che determinato una volta che siamo intervenuti, e che ci vuole tanto per farci accettare l’idea di andare in guerra, che questo non è il nostro status normale. Ciò ovviamente stride con il fatto che siamo stati in guerra quasi sempre…”
  “Che ci sia un inganno, che l’opinione pubblica sia evidentemente fuorviata, fin dall’inizio del gioco, nell’approccio alla guerra, così che sia convinta ad accettare e poi a sostenere una guerra, è la realtà. Quanto peso hanno i media nell’ingannare l’opinione pubblica e quanto è difficile ingannarla? Da ex insider direi che non è poi così difficile ingannarla”.

• Ellsberg e l’Ucraina
  Così chiudiamo con la lezione di Ellsberg sulla guerra ucraina: “Non l’hanno provocata né gli Stati Uniti né la Russia da sole: ci sono persone nel mondo che vogliono la Guerra fredda, che trovano che sia meglio governare il mondo avendo antagonisti come Cina o Russia, così da poterci convincere del perché dobbiamo fare tutto ciò essi che vogliono”.
  E ancora: “Zelensky e Putin avevano essenzialmente fatto un accordo, erano molto vicini a un accordo, che prevedeva il ritorno allo status quo prebellico in Crimea e nel Donbass, si erano accordati anche in relazione alla NATO e a tutto il resto, ma gli Stati Uniti e gli inglesi, nel caso specifico Boris Johnson, sono andati [da Zelensky] e gli hanno detto: ‘Non siamo pronti per questo. Vogliamo che la guerra continui. Non accetteremo la trattativa’”.
  “Direi che è stato un crimine contro l’umanità. E, in tutta serietà, dico che l’idea che era necessario che delle persone di entrambe le parti venissero uccise allo scopo di ‘indebolire i russi’ [sul punto cita esplicitamente il Segretario alla Difesa Lloyd Austin] non a beneficio degli ucraini, ma per una strategia geopolitica complessiva, era [e resta ndr] malvagia ”.
  Questo j’accuse di Ellsberg contro quanti stanno alimentando la guerra ucraina ovviamente non è stato riportato dai media mainstream quando lo hanno celebrato post mortem. E, sempre per restare a quanto ha detto l’ex insider sulle interessate amnesie dei media e sul disinteresse riguardo le vittime altrui, val la pena annotare che il numero delle vittime che l’esercito ucraino registra al fronte è uno dei segreti meglio custoditi di questo conflitto.
  L’ecatombe che si sta consumando in assalti senza scopo e senza esito , al solo scopo di proseguire questa guerra per procura contro la Russia, sarebbe uno shock terribile per l’opinione pubblica occidentale. Potrebbe suscitare domande scomode sulla necessità di procrastinare i negoziati e sull’asserita eroicità della leadership ucraina. Da cui l’inconfessabile segreto.

(piccole note, 30 giugno 2023)

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Operazione del Mossad in Iran: catturato il terrorista di Cipro

Con una operazione in territorio iraniano il Mossad è andato a prendere "sul posto" il terrorista incaricato di compiere attentati contro cittadini israeliani a Cipro.

L’agenzia di spionaggio israeliana Mossad ha annunciato giovedì di aver catturato, nel corso di un’operazione speciale in territorio iraniano, il terrorista iraniano inviato a guidare un progetto di attacco terroristico contro obiettivi israeliani a Cipro.
  Il Mossad ha indicato l’uomo come Yousef Shahbazi Abbasalilo e ha pubblicato un video del suo interrogatorio da parte dei suoi agenti, in cui ha confessato il complotto e ha fornito dettagli su di esso.
  L’agenzia ha dichiarato che Abbasalilo ha ricevuto le armi per l’attacco da alti funzionari del Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche (IRGC) e le istruzioni per la sua attuazione. L’agenzia di spionaggio ha dichiarato che il piano prevedeva di colpire uomini d’affari israeliani nella piccola nazione insulare.
  Durante l’interrogatorio, Abbasalilo ha raccontato di aver seguito un obiettivo e di aver aspettato l’occasione per ucciderlo, ma ha detto che alla fine la polizia ha scoperto il complotto ed è stato costretto a fuggire in Iran.
  Le informazioni ottenute da Abbasalilo hanno portato allo smantellamento del resto della cellula terroristica da parte delle forze di sicurezza cipriote, ha dichiarato il Mossad. Tra i terroristi c’erano iraniani, pakistani e locali.
  Abbasalilo ha indicato il suo referente come Hassan Shoushtari Zadeh, una figura nota e di alto livello nel Foreign Intelligence Branch delle IRGC.
  Nel video, Abbasalilo ha detto che Shoushtari Zadeh ha discusso con lui di ciò che aveva intenzione di fare a Cipro. Gli ha detto: “Devi entrare a Cipro Nord, dove abbiamo alcune persone che possono mandarti da lì a Cipro Sud”.
  Poi continua: “Mi ha detto lui stesso: ‘Mi fido dei [pakistani] e del loro gruppo, hanno svolto un’attività molto importante per me'”.
  “Ho risposto: ‘Se è possibile, porterò a termine questa missione immediatamente’. Lui mi ha risposto: ‘Aspetta, non è ancora possibile, perché ci sono poliziotti che ti stanno cercando'”.
  Abbasalilo ha detto di aver seppellito l’arma ricevuta sotto un cespuglio e alla fine “ho ricevuto il mio obiettivo tramite un’interfaccia WhatsApp che ho ricevuto dall’organizzazione di intelligence IRGC”.
  “Ho ricevuto una foto dal signor Shoushtari e il percorso GPS per raggiungere la casa dove vive”.
  Abbasalilo ha quindi iniziato a seguire il suo obiettivo da lontano, scattando fotografie e preparandosi per l’assassinio.
  Il piano era di uccidere l’obiettivo alla prima occasione possibile lungo la strada nel caso in quel momento non ci fosse stato nessuno.
  Ma i suoi responsabili hanno scoperto che la polizia lo stava cercando e gli hanno ordinato di nascondere l’arma, sbarazzarsi di tutto l’equipaggiamento e tornare in Iran.
  Non è stato chiarito cosa ne sia stato di Abbasalilo dopo l’interrogatorio.
  Negli ultimi anni sono stati sventati diversi tentativi iraniani di uccidere israeliani a Cipro, in Turchia, Georgia e Grecia. Ci è stato riferito che altri attentati sono stati sventati senza che la questione arrivasse ai media.
  Nella sua dichiarazione, il Mossad ha affermato che “continuerà ad agire con decisione per prevenire danni agli ebrei e agli israeliani in tutto il mondo”.
  Lunedì, Channel 12 ha riferito che gli obiettivi del complotto cipriota includevano un imprenditore immobiliare israeliano e una casa Chabad, oltre ad alberghi e luoghi di intrattenimento frequentati da turisti israeliani. Questa informazione non è stata confermata dal Mossad.
  L’agenzia ha anche affermato che nei giorni scorsi i servizi segreti greci hanno arrestato sette cittadini pakistani che erano stati reclutati dall’Iran per compiere attentati nel Paese. Non è stato chiarito se anche loro fossero legati al complotto di Cipro.
  Il rapporto ha sottolineato la stretta collaborazione tra il Mossad e i servizi di intelligence di Grecia, Cipro e Stati Uniti.
  Il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche dell’Iran è una branca dell’esercito iraniano considerata un’organizzazione terroristica da diversi Paesi, tra cui gli Stati Uniti.
  I media ciprioti hanno affermato che i presunti attentatori dello sventato complotto stavano usando la parte settentrionale dell’isola occupata dalla Turchia come punto di sosta per il potenziale attacco e che i servizi segreti ciprioti avevano seguito da vicino la cellula per diversi mesi.
  L’Ufficio del Primo Ministro israeliano ha rilasciato una dichiarazione stampa domenica in cui si legge che: “Lo Stato di Israele opera utilizzando un’ampia varietà di metodi in ogni luogo per proteggere gli ebrei e gli israeliani, e continuerà ad agire per distruggere il terrorismo iraniano ovunque alzi la testa, anche in territorio iraniano”.
  Il Consiglio di sicurezza nazionale israeliano ha avvertito all’inizio di quest’anno che Cipro e la Grecia sono Paesi in cui l’Iran potrebbe prendere di mira ebrei e israeliani. I Paesi sono destinazioni popolari per i turisti israeliani, oltre ad avere comunità di espatriati relativamente consistenti.
  A marzo, la polizia greca ha arrestato due cittadini pakistani che avrebbero pianificato attacchi terroristici di massa per conto dell’Iran contro obiettivi israeliani ed ebraici in Grecia. Il Mossad, che ha aiutato le indagini greche, ha dichiarato in un comunicato che i due facevano parte di una rete terroristica iraniana.
  Un funzionario del governo greco ha dichiarato che uno degli obiettivi era un ristorante kosher nel centro di Atene, che fa parte di una Chabad House della capitale. Altri rapporti indicavano che l’obiettivo era la stessa Casa Chabad.
  Nell’ottobre 2021, Israele ha reso noto che un complotto iraniano contro uomini d’affari israeliani a Cipro era stato sventato. Secondo quanto riportato, il sicario era di origine azera ed era arrivato a Cipro con un volo dalla Russia, utilizzando un passaporto russo. Cipro ha accusato sei persone del complotto, tra cui il principale sospettato e tre cittadini pakistani.
  A novembre, i funzionari di sicurezza georgiani hanno sventato il tentativo di un cittadino pakistano di uccidere un israeliano in Georgia su ordine di un agente iraniano.
  La scorsa estate, le forze turche hanno sventato un tentativo di uccidere israeliani a Istanbul da parte di agenti iraniani, arrestando tre uomini. Un mese prima, il Mossad e le sue controparti locali avevano sventato tre attacchi iraniani contro civili israeliani a Istanbul. L’Iran ha negato le accuse.
  Iran e Israele sono impegnati in una guerra ombra che dura da decenni in tutto il Medio Oriente e oltre.

(Rights Reporter, 30 giugno 2023)

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I cloud informatici al padiglione israeliano alla 18° Biennale di architettura

di Aldo Premoli

La porta serrata del Padiglione Israeliano
Molto politically correct la 18° Biennale Architettura di Venezia, che allinea centinaia di progetti per lo più collegati da un’impostazione postcolonialista che la curatrice Lesley Lokko ha dettato con piglio inflessibile. Ai Giardini i padiglioni nazionali conservano, tuttavia, una loro autonomia espositiva che non contrasta ma nemmeno necessariamente risulta così allineata a questo indirizzo.
   Tra questi, quello di Israele presenta un’esposizione non facile ma di grande attualità. Il padiglione in realtà è inaccessibile: disegnato nel 1952 dall’architetto Ze’ev Rechter con ampie vetrate sul fronte, è ora sigillato.
Modello in cemento vuoto della centrale telefonica di Afula, 2023
All’esterno concede solo un titolo (Cloud-to-ground, il termine scientifico che indica un fulmine che colpisce la terra), un pannello esplicativo, un secondo pannello contenete le didascalie dei cinque piccoli “plastici” sistemati nello spazio antistante un finto ingresso. Le cinque sculture di cemento riproducono alcuni edifici costruiti un tempo su territorio israeliano per ospitare centrali telefoniche cittadine, ma ora vuoti e destinati alla demolizione. Ognuna di loro emette un suono che rende manifesto lo spazio negativo occupato da queste costruzioni ormai inutili.
  Anche l’ingresso serrato sostiene un’opera: si tratta del disegno di un data center costruito in Israele per servire sia Google che Amazon. Un cloud denominato un poco minacciosamente Nimbus (′nuvola temporalesca′), che nasce in competizione con sforzi simili fatti dai nemici di sempre, in Egitto e Arabia Saudita.
A Passageway Genealogy, fotoincisione, 2023
E proprio questo è il senso di questa proposta espositiva che indaga la natura dei cloud, l’hardware della quarta rivoluzione industriale. Il progresso tecnologico in questo caso nei suoi aspetti fisici riflette anche lo spostamento dei poteri. Perché è il possesso di infrastrutture all’avanguardia il nuovo strumento di ogni sovranità. Un paese senza infrastrutture adeguate è destinato a soccombere: e questo dovrebbe far riflettere tutti, israeliani o non.
  Mentre ci affidiamo sempre di più a strutture informatiche, il volume dei data center si sta espandendo: si tratta di una crescita esponenziale anche fisicamente impattante sull’ambiente che contraddice l’eufemismo evocato dal vocabolo soffice di "nuvola".
;C’è un ultimo elemento posto esterno al cubo serrato proposto in questa mostra. Si tratta di una fotoincisione che sovrappone varie rotte per sottolineare lo stato di costante ri-colonizzazione da parte delle forze commerciali globali, ottenuto tramite il possesso di infrastrutture invece che con la conquista territoriale degli spazi del pianeta.
Oren Eldar e Edith Kofsky, Laying of the Blue-Raman Cable, 2023
Da quando è stato fondato nel 1948 lo Stato di Israele è un’isola in fragile equilibrio tra stati nemici. Equilibrio che potrebbe essere nuovamente scosso non dall’avanzata di carri armati, ma dal Blue-Raman, un cavo di fibra ottica con cui Google sta attraversando il deserto progettato per aggirare l′Egitto lungo il percorso che dall′India all′Europa fa rivivere antiche rotte commerciali.
  Se è vero che le principali rotte commerciali sono rimaste quasi invariate nel corso dei secoli, quello che è cambiato sono i governanti che le hanno usate, la tecnologia nel cui nome sono state lastricate e le tracce che hanno lasciato o lasceranno.

(L'HuffPost, 30 giugno 2023)

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Apre a Berlino il più grande centro ebraico della Germania dalla fine della seconda guerra mondiale

di Michael Soncin

Il 25 giugno 2023 a Berlino è stato inaugurato dai Chabad il più grande centro ebraico in Germania dal termine della Seconda Guerra Mondiale. La cerimonia ha visto la partecipazione di personalità della diplomazia e leader da tutto il mondo.
  Come spiega Toby Axelrod sul Jewish Telegraphic Agency, il Pears Jewish Campus copre una superfice di oltre 7000 metri quadri, ed è costato 47,5 milioni di euro. Unico nel suo genere perché tra i più grandi al mondo, sarà gestito dalla comunità dei Chabad-Lubavitch della città berlinese.
  Per il prossimo anno scolastico, tutti gli alunni della comunità che sono all’incirca 550 si trasferiranno in questo nuovo edificio, che ha al suo interno un campo da basket al coperto, uno studio musicale ed una gastronomia kosher, oltre ad una palestra che può prestarsi in certe occasioni a sala conferenze o cinema. Una costruzione che si sviluppa su 7 piani in completa armonia con il panorama architettonico della capitale tedesca. È stato definito come uno zaffiro, per la forma circolare che ricorda una gemma e per il colore dei suoi mattoni smaltati di blu.
  «È molto bello, è un luogo di scambio. Ci sono milioni di tedeschi che non sanno nemmeno chi siano gli ebrei. Intendiamo quindi creare consapevolezza di che cosa sia la vita ebraica. Non si tratta solo di combattere l’antisemitismo. Il tutto deve essere collegato alla positività, attraverso una vita ebraica gioiosa, vivace e orientata al futuro». A dirlo è stato Rav Yehuda Teichtal, direttore del centro Chabad.
  Parlando di numeri, secondo i dati del Consiglio Centrale degli Ebrei in Germania, 90.000 sono gli ebrei membri delle varie congregazioni, mentre altri 100.000 che si identificano come tali, non risultano iscritti a nessun ente.
  Nel 1996 quando Teichtal arrivò in Germania gli ebrei del movimento Chabad erano giusto un paio, oggi hanno 20 comunità in tutto il paese.

• “Portare luce nell’oscurità”
  È stato proprio lui due decenni fa ad inaugurare in Germania la tradizione di accendere i lumi in occasione della festività di Hanukkah, collocando una grande Menorah davanti la porta di Brandeburgo, proprio lì, dove negli anni bui vi erano infisse le bandiere col simbolo del nazismo.
  Rav Teichtal ha molto caro il concetto del tikkun olam. La dimostrazione è la raccolta fondi intrapresa per sostenere le nuove scuole ebraiche nella città, finanziate anche dalla Comunità Ebraica di Berlino e dalla Fondazione Ronald S. Lauder.
  Ci saranno anche attività previste per gli adulti e persone di ogni credo. Il nuovo centro è frutto di donazioni di differente provenienza, sia pubbliche che private, pur portando il nome della Pears Foundation, il principale finanziatore, che ha sede in Gran Bretagna.
  Incisive le parole di Rav Menachem Margolin, a capo dell’Associazione Ebraica Europea, che venerdì scorso da Bruxelles ha definito il nuovo centro: «Un grande esempio della rinascita della vita ebraica in Europa, in Germania e a Berlino in particolare». Ha però sottolineato che «il più grande pericolo per quella rinascita viene dalle politiche che minacciano la libertà religiosa, compresi i diritti di eseguire la circoncisione rituale e di eseguire la macellazione kosher».

(Bet Magazine Mosaico, 30 giugno 2023)

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Parashot di Chukkàt e Balàk

di Donato Grosser

Parashà di Chukkàt Le guerre che potevano essere evitate

Dopo quasi quarant’anni nel deserto era arrivato il momento di entrare nella Terra Promessa. Il popolo si trovava a Kadèsh, al confine sud-occidentale del paese. La via più diretta passava attraverso il territorio di Edòm, i discendenti di Esaù.  L’Eterno aveva proibito al Moshè di condurre il popolo di forza nel territorio degli edomiti con queste parole: “Comanda al popolo dicendo: Voi state per passare i confini dei vostri fratelli, figli di Esaù, che dimorano in Se’ir; essi avranno paura di voi; state quindi bene in guardia; non fate loro guerra, poiché del loro paese io non vi darò neppure quanto ne può calcare un piede; poiché ho dato il monte di Se’ir a Esaù, come sua proprietà” (Devarìm, 2:4-5).
              Il Re di Edòm negò loro il permesso di passaggio. Fu quindi necessario fare un lungo giro tornando a nord dalla Transgiordania e chiedere al re Sichòn il permesso di passaggio per raggiungere il fiume Giordano ed entrare nella Terra di Canaan. Pertanto: “Israele mandò ambasciatori a Sichòn, re degli Emorei, per dirgli:  Lasciami passare per il tuo paese; noi non devieremo per i campi, né per le vigne, non berremo l'acqua dei pozzi; seguiremo la via regia finché abbiamo oltrepassato i tuoi confini” (Bemidbàr, 21: 21-22).  Sichòn rifiutò di concedere il passaggio e uscì sul campo di battaglia con tutto l’esercito per combattere contro Israele. Il risultato fu devastante: “Israele lo sconfisse passandolo a fil di spada, e conquistò il suo paese dall’Arnòn fino al Yabbòk, sino ai confini dei figli di ‘Ammòn (ibid., 24). Successivamente fu ‘Og, re del Bashàn che scese in campo contro Israele. Anche loro furono sconfitti: “E gli israeliti sconfissero lui, i suoi figli e tutto il suo popolo, sino a che non gli rimase più anima viva; e conquistarono il suo paese (ibid., 35).
              R. Naftali Tzvi Yehuda Berlin (Belarus, 1816-1893, Varsavia) nel suo commento Ha’amèk Davàr fa notare che quando Moshè chiese a Edòm il permesso di passaggio attraverso il suo territorio, lo fece dicendo: “Lasciaci per favore passare per il tuo paese, noi non passeremo né per campi né per vigne e non berremo l’acqua dei pozzi; seguiremo la strada pubblica senza deviare né a destra né a sinistra finché abbiamo oltrepassato i tuoi confini” (ibid., 20:17). Nella richiesta a Sichòn non fu chiesto per favore. Fecero sapere a Sichòn che dovevano passare per il suo territorio e se avesse concesso il permesso non sarebbe stato necessario combattere. Moshè non aveva alcun desiderio di conquistare la Transgiordania, un territorio al di fuori della Terra d’Israele. Così avrebbe fatto re David circa quattrocento anni dopo: aveva conquistato la Siria prima di completare la conquista della terra d’Israele e per questo era stato criticato. 
              R. Berlin commenta che quando Moshè prima della sua morte riassunse gli eventi passati ai figli d’Israele, aggiungendo le sue ammonizioni, disse loro: “Fu allora che c’impossessammo di questo paese; io detti ai Rubeniti e ai Gaditi il territorio che si parte da ‘Aro’er, presso la valle dell’Arnòn, e la metà della contrada montuosa di Gil’ad con le sue città” (Devarìm, 3:12). Si trattava questa di un’ammonizione velata. Se le tribù di Reuvèn e di Gad non avessero preso possesso dei rispettivi territori in Transgiordania, non sarebbero stati esiliati per primi dal re d’Assiria. Moshè aveva già ammonito le due tribù dicendo che se non avessero combattuto con i loro fratelli per la conquista della Terra d’Israele avrebbero peccato (Bemidbàr, 32:23). E l’esilio per mano dell’Assiria arrivò proprio per non aver abitato in Eretz Israel al di qua del Giordano dove la kedushà del paese li avrebbe protetti. 
              Tutto questo fu causato dal peccato degli esploratori. Se  trentotto anni prima fossero andati direttamente in Eretz Israel da Kadèsh Barnea’ , il Re di Edòm non avrebbe negato loro il permesso di passaggio, grazie al fatto che i generali di Edòm avevano il terrore degli israeliti, avendo sentito la notizia del passaggio del Mar Rosso e della distruzione dell’esercito egiziano. Così avrebbero conquistato la Terra d’Israele e l’avrebbero divisa tra le dodici tribù. Anche l’esilio e altre disgrazie sarebbero stati evitati.    
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Parashà della settimana: Chukat (Decreto)

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Parashà di Balàk Israele e l’umanità

Dopo aver sconfitto Sichòn e ‘Og, i due re della Transgiordania, gli israeliti erano pronti a fare  preparativi per attraversare il fiume Giordano e andare alla conquista della Terra Promessa. Le cose però non andarono come programmato a causa dell’intervento dei moabiti.  La parashà racconta quello che fece Balàk, re di Moàv: “Balàk, figlio di Tzippòr, vide quello che Israele aveva fatto agli Emorei. E Moàv ebbe grande paura di questo popolo, che era così numeroso; Moàv fu preso da spavento di fronte agli Israeliti. Quindi Moàv disse agli anziani di Midiàn: «Ora questa moltitudine divorerà quanto è intorno a noi, come il bue divora l'erba dei campi»“(Bemidbàr, 22:2-4).
              Rashì (Troyes, 1040-1105) commenta che Balàk disse: “Questi due re, sui quali facevamo affidamento, non sono stati in grado di resistere di fronte agli israeliti. A maggior ragione cosa potremmo fare noi?”. 
              R. Joseph Pacifici (Firenze, 1928-2021, Modiin Illit) in Hearòt ve-He’aròt (p. 176) commenta che Balàk fu impressionato dal fatto che le battaglie degli israeliti erano state vinte in modo sovrannaturale. Questo fu il motivo per cui decise di chiamare Bil’am per maledirli. In verità è probabile che Balàk non avesse motivo di temere il popolo d’Israele. Infatti nella Torà è scritto: “E l’Eterno mi disse: ‘Non attaccare Moàv e non gli muover guerra, poiché io non ti darò nulla da possedere nel suo paese, giacché ho dato ‘Ar ai figliuoli di Lot, [Moàv discendeva da Lot] come loro proprietà” (Devarìm, 2:9). L’Eterno aveva quindi proibito al popolo d’Israele di fare guerra a Moàv. Ed è difficile pensare che Balàk non ne fosse al corrente. Il motivo per cui Balak decise di agire contro Israele è che non poteva tollerare il successo d’Israele e lo  disturbava il fatto che vi fosse un nazione più potente della sua. 
              Questo è anche il motivo per cui il patriarca Ya’akòv disse ai figli di non farsi notare e di evitare di generare invidia presso i vicini (Bereshìt, 42:1). Questo consiglio fu seguito per centinaia di anni in vari paesi dove le autorità comunitarie emisero  leggi suntuarie. Si trattava di dispositivi legislativi con lo scopo di limitare il consumo legato all'ostentazione del lusso. Quando il patriarca Ya’akòv disse ai figli di non farsi notare, voleva dire che in un periodo di carestia, quando tutti andavano a cercare derrate in Egitto, non era opportuno farsi vedere come se tutto fosse a posto. Era pertanto opportuno che anche essi andassero  in Egitto dove vi era grano in vendita, anche se per il momento avevano cibo in sufficienza.       
              Rashì fa notare la stranezza del fatto che in questo frangente Moàv si rivolse agli anziani di Midiàn. Egli commenta che Moàv e Midiàn si odiavano da sempre. Questo è testimoniato dal fatto che nella Torà è scritto che Midiàn venne a fare guerra contro Moàv (Bereshìt, 36:35). Edòm venne in difesa di Moàv e Midiàn venne sconfitto. Midiàn e Moàv fecero la pace ai tempi di Bil’am per allearsi contro Israele. Moàv pensò di rivolgersi a Midiàn perché vide le miracolose vittorie di Israele. E sapendo che Moshè, il leader degli israeliti, dopo essere fuggito dall’Egitto, aveva passato molti anni a Midiàn, decise di chiedere a Midiàn informazioni su Moshè. Midiàn rispose che la forza di Moshè era nella sua parola. Ricevuta questa informazione Moàv decise che era opportuno cercare di sconfiggere Moshè e il suo popolo con la parola. Cosi ingaggiò Bil’am per maledirli. 
              R. Pacifici, citando Rashì, osserva da qui si impara che la nostra forza consiste nella parola, come è scritto: “La voce è la voce di Ya’akòv, e le mani sono le maini di Esau” (Bereshìt, 27:22).  Da questo versetto i maestri nel trattato Gittìn (57b) insegnano che nessuna preghiera è efficace nel mondo a meno che qualche membro della discendenza di Ya’akòv non abbia una parte in essa. 
              R. Pacifici aggiunge che tra le nazioni del mondo vi sono sempre discordie. Tuttavia quando si tratta di odiare Israele dimenticano le discordie e diventano alleati.
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Parashà della settimana: Balak

(Shalom, 30 giugno 2023)

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Netanyahu fa retromarcia sulla riforma della giustizia

Al Wall Street Journal il primo ministro dichiara di voler rivedere la parte più controversa del documento che aveva scatenato le proteste di piazza.

di Rossella Tercatin

GERUSALEMME – Retromarcia del primo ministro Benjamin Netanyahu su uno dei capisaldi della sua controversa riforma della giustizia: la clausola che consentirebbe alla Knesset di approvare le leggi bocciate dalla Corte Suprema non è più parte del progetto. Ad annunciarlo lo stesso Netanyahu in un’intervista al Wall Street Journal. “È fuori”, ha dichiarato il premier. “Io presto attenzione a ciò che pensa l’opinione pubblica”.
  Sin dai primissimi giorni dell’entrata in carica del nuovo governo alla fine di dicembre, la riforma della giustizia è stata presentata come la priorità dell’esecutivo, una priorità condivisa da tutte le forze di coalizione, il Likud di Netanyahu, i partiti ultra-ortodossi Shas e United Torah Judaism, e le forze dell’estrema destra religiosa-nazionalista Partito Sionista Religioso, Potere Ebraico e Noam.
  Al cuore del progetto, l’obiettivo di limitare i poteri della Corte Suprema, attraverso la modifica della composizione della commissione incaricata di selezionare i giudici di ogni livello per conferire la maggioranza dei suoi membri alle forze di governo e appunto, il sostanziale svuotamento della possibilità del tribunale di bocciare le leggi perché ritenute in contrasto le Leggi fondamentali che in Israele fungono da costituzione informale.
  E tuttavia, man mano che la maggioranza procedeva spedita con l’iter legislativo della riforma, il Paese si è ritrovato percorso da proteste senza precedenti, che hanno portato in piazza ogni settimana decine e talvolta centinaia di migliaia di persone, contro un piano che è stato descritto da molti esperti, a partire dalla presidente della Corte Suprema Esther Hayut e dai leader dell’opposizione, come una minaccia alla democrazia. A prendere posizione contro la riforma sono stati anche due settori che normalmente in Israele si tengono fuori dal dibattito politico, le industrie high-tech, motore dell’economia del Paese, e l’esercito, istituzione simbolo e tra le più rispettare in Israele.
  Lo scorso marzo, proprio la richiesta del ministro della Difesa Yoav Gallant di fermare il cammino della riforma a favore di un compromesso – alla luce del diffuso malcontento tra veterani e ufficiali, specialmente nelle unità di élite – ne aveva causato il brusco licenziamento da parte di Netanyahu. Nelle 24 ore successive centinaia di israeliani erano scesi in piazza per protestare, e le principali aziende e sindacati avevano proclamato uno sciopero generale, serrando i servizi fondamentali del Paese.
  Da quel momento il premier ha cambiato approccio, aprendo ai negoziati con l’opposizione e procedendo con più cautela, con una tendenza a posticipare le decisioni sulla materia.
  Tra le altre cose nel corso dei mesi, è stata presa in considerazione l’ipotesi di richiedere non più una maggioranza semplice dei 120 parlamentari della Knesset ma una maggioranza qualificata al fine di approvare una legge bocciata dalla Corte Suprema. Nell’intervista al Wall Street Journal, Netanyahu ha spiegato che anche quest’idea è stata scartata.
  “Subito dopo che la proposta originale è stata avanzata, ho detto che l'idea di una clausola con cui la Knesset potesse annullare le decisioni della Corte Suprema con una maggioranza semplice andava buttata via”, ha detto il premier, che incalzato dall’intervistatore sulla possibilità che la proposta tornasse con una super-maggioranza ha risposto di no.
  Allo stesso tempo, Netanyahu ha criticato l’atteggiamento dell’opposizione, accusandola di non essere disponibile al minimo compromesso. “Sicuramente abbiamo cercato un ampio consenso, possibilmente con un accordo formale con l'opposizione”, ha detto al Wall Street Journal. “Ma quello che abbiamo scoperto dopo aver congelato la riforma per un mese e due mesi e tre mesi è che l'opposizione è sotto tali pressioni politiche che non poteva accettare il minimo compromesso, incluse proposte che i suoi stessi leader avevano sostenuto prima di andare all'opposizione”.
  Se un accordo non verrà raggiunto, Netanyahu ha spiegato che sarà lo stesso governo a presentare un nuovo progetto, senza entrare in troppi dettagli. “È chiaro che il modo di selezionare i giudici non seguirà la struttura attuale, ma neppure la proposta originale della riforma”, le parole del primo ministro.

(la Repubblica, 29 giugno 2023)

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Un Presidente per cambiare

Victor Fadlun è il nuovo presidente della Comunità ebraica di Roma, eletto da Dor va Dor e Ha Bait. Dopo avere accettato con riserva, ha davanti il primo ostacolo della sua presidenza: formare la Giunta superando i veti di Per Israele.

Se è vero che per ogni ebreo la Torà è, o dovrebbe essere, un testo di continuo insegnamento, allora forse ieri sera sono stati molti a riflettere sulla parashà letta lo scorso shabbat, in cui lo scontro fra Korach e Mosè descrive bene cosa separa la cattiva politica da quella buona.
  L’elezione per il nuovo presidente della Comunità ebraica di Roma non ha tradito le attese, anche se forse è ancora presto per dire se ha confermato le speranze che la maggior parte degli elettori hanno espresso nel voto dello scorso 18 giugno.
  Victor Fadlun è il nuovo presidente della Comunità. È un presidente che entrerà nella storia di una delle più antiche comunità della diaspora, non solo per la sua biografia personale – quella di un ebreo di origini libiche, la cui famiglia è arrivata in Italia fuggendo dal suo paese e che dal nulla, come molti altri insieme a lui, ha costruito una nuova vita in Europa – ma anche per la comunità, che dopo circa vent’anni ha consegnato la responsabilità della sua gestione a una nuova classe dirigente.
  È stato un voto che ha messo bene in luce le dinamiche che già erano emerse nella campagna elettorale e che ora chiedono di essere riconosciute e governate, rompendo l’immobilismo e l’autoreferenzialità di chi negli ultimi anni ha pensato di poter gestire la Comunità ebraica di Roma in modo spesso unidirezionale e autocentrato. Spetta dunque a Fadlun il compito di guidare la Comunità nei prossimi quattro anni. Non sarà, a detta di tutti gli intervenuti ieri – l’unico punto su cui le liste si sono mostrate d’accordo – un’impresa facile, perché i problemi messi sotto il tappeto negli ultimi anni ormai non possono più essere ignorati o peggio nascosti. Questo forse spiega anche la drammaticità politica di quel che è accaduto ieri sera al momento della dichiarazione di voto.
   Per Israele, che doveva scegliere fra una collaborazione sincera e trasparente o la strada del tirare il più possibile la corda per saggiare la resistenza del nuovo presidente, ha scelto di percorrere quest’ultima strada fino in fondo. Nonostante l’apertura di Dor va Dor a una gestione il più possibile collegiale – con un discorso pacato e aperto al confronto, l’esatto contrario delle parole che avevamo ascoltato all’insediamento del consiglio 4 anni fa –, e il sostegno franco offerto da Daniele Regard per Ha Bait al fine di realizzare un programma che veda al primo posto l’attenzione per i giovani, il welfare, la scuola, Per Israele si è mostrata recalcitrante oltre ogni limite, dichiarandosi ostile ad accettare la sconfitta del 18 giugno e rivendicando addirittura una parità di assessori (certa politica alla fine si traduce sempre in posti da occupare), nonostante fosse passata da 14 seggi a 10, e Dor Va Dor invece da 4 a 10, e un maggior numero di preferenze.
  Si trattava oggettivamente di una proposta irricevibile. Il voto di soli 10 giorni fa è un segno troppo chiaro per consentire ancora di giocare una partita di poker, puntando a prendere il banco senza avere carte buone in mano. Il risultato è stato così che si è andati alla conta, con Per Israele che ha addirittura pensato di sfidare Dor va Dor e Ha Bait per la presidenza.
  In effetti, i presenti non hanno potuto fare a meno di interrogarsi sul perché di una scelta politicamente suicida. Perché anche se si era rifiutata l’offerta equilibrata di Victor Fadlun – formare una giunta con 3 assessori Dor Va Dor (oltre al presidente), 3 Per Israele, 2 Ha Bait – se Per Israele avesse davvero voluto mostrarsi volenterosa nella ricerca di un accordo, avrebbe potuto scegliere di votare scheda bianca, o perlomeno un candidato di bandiera. Al contrario, ha scelto di opporre al vincitore delle elezioni la propria candidata presidente, Antonella Di Castro, la quale incomprensibilmente ha accettato che la sua lista la sacrificasse in una conta che l’ha vista sonoramente sconfitta 16 a 9.
  A quel punto soltanto lo sforzo del presidente Fadlun di tentare ancora di raggiungere un accordo per una coalizione la più ampia possibile ha impedito di formare direttamente la Giunta. Poco importa, ai fini dell’analisi del voto. Quel che è chiaro, infatti, è che da ieri sera la Comunità ebraica di Roma ha un nuovo presidente e una nuova maggioranza, formata da Dor va Dor e Ha Bait. Una maggioranza del tutto autosufficiente e che, se lo vorrà, sarà in grado di affrontare con onestà, impegno, trasparenza e amore per la Comunità tutti gli impegni che si troverà davanti. Per imboccare questa strada manca però ancora un ultimo tassello.
  Fadlun, infatti, si è riservato di accettare la sua nomina a presidente a un’ulteriore tentativo di accordo con Per Israele. Si tratta di una scelta nobile, un sincero impegno per avviare la consiliatura sulla base della maggiore collegialità possibile. Tuttavia, se anche noi volessimo partecipare alla gara di fornire consigli non richiesti a chi ha assunto la responsabilità di governare la Comunità, allora suggeriremmo di seguire non una, ma due stelle polari.
  La prima è quella di farsi guidare esclusivamente dall’interesse per la Comunità ebraica di Roma e i suoi iscritti, che attraverso il voto hanno espresso il desiderio di cambiare pagina dopo ha una lunga gestione fatta di luci e di ombre. La seconda stella polare è quella di avere coraggio, dote che certo non manca nella biografia del neopresidente. Avere coraggio significa, oggi, non farsi ingabbiare in trattative estenuanti al limite del ricatto politico, e offrire ancora una volta la possibilità di un accordo equo e giusto, dopo il quale però questa Comunità ha diritto di veder nascere una nuova giunta che affronti con impegno e determinazione il cammino che ha davanti.
  Da sempre, fra Mosè e Korach, gli ebrei non hanno dubbio da che parte stare.

(Riflessi Menorah, 29 giugno 2023)

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Israele, lite nel governo. “Perdiamo legittimità internazionale”

Il ministro della Difesa Yoav Gallant e il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir si scontrano sulla violenza dei coloni durante un incontro a porte chiuse; Gallant: "Non possiamo comportarci come i nostri nemici. Non si può dire che gli arabi lo fanno, quindi è permesso anche a noi".

di Itamar Eichner

Martedì sera, durante una riunione di funzionari di sicurezza di alto livello, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha sottolineato: “Stiamo perdendo legittimità nella comunità internazionale e non possiamo permetterlo. Dobbiamo fare qualcosa per evitarlo“.
  I suoi commenti sono giunti durante una riunione dell’ultimo minuto convocata da Netanyahu, dal Ministro della Difesa Yoav Gallant e dal Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, alla quale hanno partecipato il capo dello Shin Bet Ronen Bar e altri funzionari della sicurezza, per discutere il tema delle rivolte dei coloni in Cisgiordania.
  Ben-Gvir ha protestato contro la crescente preoccupazione per le rivolte ebraiche, definite dall’establishment della sicurezza come terrorismo nazionalista. Ha detto che “il momento clou sono i colloqui di scuse di oggi con l’Autorità Palestinese”, riferendosi alle telefonate del Presidente Isaac Herzog al Presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas e di Gallant al Ministro degli Affari Civili dell’Autorità Palestinese Hussein al-Sheikh. “Un terrorista condannato che ha trascorso 10 anni in prigione, e noi chiamiamo per scusarci con lui e accarezzarlo? Dobbiamo forse scusarci con coloro che pagano gli stipendi ai terroristi?” ha detto Ben-Gvir.
  Gallant, che ha parlato con Sheikh dopo i disordini e si è scusato, ha risposto con rabbia a Ben-Gvir: “Non possiamo comportarci come i nostri nemici. Non si può dire gli arabi lo fanno, quindi anche noi lo facciamo“.
  Durante la discussione, i rappresentanti dell’establishment della difesa hanno attaccato duramente le parole del ministro degli Insediamenti Orit Strock, che ha paragonato i capi dell’establishment della difesa al Gruppo Wagner in Russia, che è arrivato vicino a organizzare un colpo di stato in Russia. Hanno detto che, anche se Strock si è scusata, le sue parole hanno causato grandi danni e hanno portato i comandanti e i soldati di alto livello dell’IDF a subire violente molestie da parte degli ebrei israeliani.
  “Le dichiarazioni contro i soldati dell’IDF sono molto più gravi della condanna delle dichiarazioni, che non sono sufficienti“, ha sottolineato il Capo di Stato Maggiore dell’IDF Herzi Halevi.
  Gallant ha citato le parole del capo dello Shin Bet in una conversazione a porte chiuse, in cui ha detto: “Questo è un attacco non a chi è ebreo, ma a ciò che è ebreo“. Gallant ha anche suggerito che il governo condanni, in una dichiarazione ufficiale firmata da tutti i ministri, la violenza o la delegittimazione di soldati e ufficiali dell’IDF.
  “C’è un rischio diretto per i coloni di fronte agli attacchi di vendetta palestinesi che ci costringono a distogliere le forze da altri teatri. C’è il timore reale che i palestinesi vengano danneggiati dai rivoltosi (ebrei) che entrano nei villaggi, come è già successo in passato. Abbiamo paura del linciaggio degli ebrei“, ha detto Bar.
  Durante la discussione di martedì sera, tutti i capi dell’establishment della sicurezza hanno affermato che occorre fare tutto il possibile per prevenire gli attacchi e la delegittimazione delle attività dell’IDF in Cisgiordania e per condannare la violenza degli estremisti contro i palestinesi. Hanno detto a Ben-Gvir che ogni dichiarazione come quella di Stock è grave. “Le condanne non hanno lo stesso effetto delle dichiarazioni stesse“, hanno detto, aggiungendo che “le azioni a cui stiamo assistendo negli ultimi giorni sono state fatte a causa della vendetta dei ministri, e le condanne e le scuse non hanno alcun effetto“.
  Ben-Gvir, da parte sua, ha detto: “Sapete perfettamente che mi oppongo al comportamento visto nei confronti del generale di brigata, e abbiamo visto che tutta la destra si oppone, ma non raccontiamoci storie. Per un’intera settimana ho chiesto di convocare una discussione in Consiglio dei Ministri su quattro persone uccise e non c’è stata risposta fino a quando non hanno urlato contro il generale di brigata, cosa sbagliata ovviamente, e nel giro di un giorno siamo qui in una discussione urgente”. 
  “Da una settimana sento parlare dai capi dell’establishment della sicurezza della ‘grave violenza dei coloni’ e del fatto che non dobbiamo arrenderci e piegarci di fronte a loro, ma io chiedo – dove è scomparsa questa determinazione quando si tratta di alcuni dei drusi, quando sparano e attaccano improvvisamente, è lecito arrendersi?“, ha detto Ben-Gvir, riferendosi alle proteste della comunità drusa nel nord contro la costruzione di una turbina eolica nel Golan. 
  “E dov’è scomparsa la stessa determinazione di fronte agli anarchici che stamattina hanno dato fuoco a dei pneumatici davanti al Ministero della Giustizia? Perché stanno aspettando? Che gli brucino la casa? Perché non c’è una discussione urgente su questo tema con il capo dello Shin Bet e il Commissario? E perché lo Shin Bet indaga sui giovani della collina che sono stati coinvolti in crimini di proprietà ed emette arresti amministrativi contro di loro, ma nei crimini e negli omicidi nella società araba lo Shin Bet si rifiuta di indagare e di effettuare arresti amministrativi?” ha detto ancora Ben Gvir.
  “Sento continuamente parlare di Turmus Aya e Ateret, e naturalmente mi oppongo alle azioni che sono state fatte lì, ma cerchiamo di essere creativi“, ha aggiunto. “Quelli che vengono uccisi qui sono i coloni e il terrorismo che deve essere sradicato è a Jenin, non ad Ateret“.
  Dopo l’attacco mortale a Eli, centinaia di coloni della Cisgiordania hanno inscenato violenti disordini, incendiando case, auto e campi e lanciando pietre contro i palestinesi. Lunedì, i rivoltosi hanno bruciato le colture agricole in un’area di sei dunam nel villaggio di Turmus Aya, in Cisgiordania. Sabato, decine di coloni hanno affrontato i palestinesi vicino al villaggio di Umm Safa, a nord di Ramallah, e hanno lanciato pietre. Pochi minuti dopo, decine di coloni sono entrati nel villaggio, hanno bruciato almeno due case e incendiato due veicoli e un camion appartenenti ai palestinesi.
  Martedì mattina, nel suo colloquio con Sheikh, Gallant ha detto che, a proposito dei violenti disordini nei villaggi palestinesi, l’establishment della sicurezza “prende seriamente in considerazione la violenza usata da elementi estremisti contro i cittadini palestinesi”. Ha sottolineato durante la conversazione che “lo Stato di Israele lavorerà per portare i colpevoli davanti alla giustizia”.
  Herzog, nel suo colloquio con Abbas, ha sottolineato l’importanza di una lotta decisa e vigorosa contro il terrorismo, l’incitamento e l’odio, e ha evidenziato il terribile costo e il dolore che il terrorismo provoca nelle famiglie colpite e nell’intera società israeliana.

(Rights Reporter, 29 giugno 2023)

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Israele ha rifiutato di trasferire il sistema iron Dome in Ucraina

Israele non permetterà agli Stati Uniti di trasferire il sistema di difesa missilistica Iron Dome a Kiev perché teme possesso dell’Iran, ha detto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. “Se questo sistema cade nelle mani dell’Iran, milioni di israeliani rimarranno indifesi e in pericolo”, ha detto Neta Journal. Allo stesso tempo, ha respinto ancora una volta gli appelli dell’Occidente a unirsi alla fornitura di armi all'Ucraina.
  “Abbiamo preoccupazioni che non credo abbia nessuno degli alleati occidentali dell’Ucraina”, ha detto il primo ministro israeliano.
  Netanyahu ha affermato la scorsa settimana che l’Iran è riuscito a impossessarsi di armi anticarro che i paesi occidentali avevano precedentemente fornito a Kiev. Ha anche osservato che Israele non può sostenere l’Ucraina a causa degli stretti legami con la Russia.
  “Abbiamo uno stretto confine militare con la Russia. I nostri piloti volano al fianco dei piloti russi nei cieli della Siria. E penso che sia importante mantenere la nostra libertà di azione contro i tentativi dell’Iran di stabilirsi militarmente sul nostro confine settentrionale”, ha spiegato.
  Allo stesso tempo, come ha scritto Haaretz con riferimento a fonti informate, Israele sta negoziando segretamente la vendita di carri armati Merkava Mark III a Cipro, che sarà in grado di trasferire i carri armati T-80 di fabbricazione sovietica in Ucraina dopo il loro acquisto.
  Tuttavia, le autorità cipriote negano ufficialmente che nel caso in cui vengano ricevuti carri armati israeliani, i T-80 sovietici vengano consegnati a Kiev. Il presidente del Paese, Nikos Christodoulidis, ha dichiarato di non voler fare nulla che possa indebolire l'esercito cipriota di fronte alla minaccia turca.
  L’Iron Dome è un sistema di difesa missilistica sviluppato dalla società israeliana Rafael. È in servizio con l’esercito israeliano dal 2011. Il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky, sullo sfondo di massicci attacchi missilistici contro la Russia, ha chiesto alle autorità israeliane di cambiare posizione sulla fornitura di sistemi di difesa aerea a Kiev.
  Netanyahu è diventato primo ministro israeliano per la terza volta alla fine di dicembre. A gennaio, Tel Aviv ha respinto una richiesta degli Stati Uniti di trasferire i vecchi missili antiaerei Hawk a Kiev, sottolineando che non avrebbe abbandonato la sua politica precedentemente annunciata nei confronti del conflitto militare in Ucraina.

(Stella d'Italia News 29 giugno 2023)
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L'appoggio alla viscida politica imperiale degli Stati Uniti fa più male che bene a Israele. M.C.

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Anche Israele ha il suo Pantheon. A crearlo è stata Madre Natura

Un meraviglioso Pantheon naturale, completamente scavato nella roccia: nel Parco Nazionale di Beit Guvrin-Maresha ci sono delle grotte incantevoli.

Sappiamo benissimo che gli esseri umani hanno creato, nel corso della loro storia, moltissime suggestive strutture d’incredibile bellezza. Ancora oggi rimaniamo incantati dalle misteriose piramidi, dalla magnificenza del Taj Mahal e dall’imponenza della Muraglia Cinese. Ma se vi dicessimo che i monumenti più belli sono, invece, quelli a opera di Madre Natura? Se non ci credete, pensate al Parco Nazionale di Beit Guvrin-Maresha, dove è possibile rimanere a bocca aperta di fronte a un Pantheon totalmente naturale.
  Non è un caso che questo sito, che si trova in Israele,  sia stato riconosciuto dall’UNESCO come Patrimonio dell’Umanità: comprende, infatti, una fitta di rete di grotte, per lo più a forma di campana, che sembrano anche essere tutte collegate tra loro per mezzo di svariati cunicoli sotterranei.

• La storia di Beit Guvrin

Per capire meglio la storia di questo luogo incantevole, bisogna fare un piccolo passo indietro. Beit Guvrin, come abbiamo detto, si trova in Israele, precisamente a 13 chilometri da Kiryat Gat. Il parco nazionale è di immensa importanza perché comprende anche i resti di due città antiche, ossia Maresha e Bayt Jibrin, la prima risalente al X secolo a.C. e la seconda all’epoca romana. Le due città non sono strettamente legate alle grotte, ma la loro presenza ha portato sul luogo diversi archeologi che le hanno scoperte.
  Si è così potuto scoprire che le grotte, che si trovano precisamente nella parte est del parco, si sono formate per una naturale erosione sin dagli inizi della preistoria. Proprio alla preistoria, per altro, risalgono le prime tracce di abitazioni e insediamenti. Con la nascita delle città, le grotte sono state usate come siti funerari. Ciò è evidente da alcuni dipinti presenti all’ingresso di una delle grotte più grandi, proprio quella che è stata paragonata al nostro Pantheon Romano: Cerbero, che custodisce l’ingresso agli inferi, e una fenice, che simboleggia la rinascita.

• Il Pantheon naturale e le altre grotte

In generale, l’enorme grotta paragonata al Pantheon e molte altre grotte che si trovano all’interno del parco sono opera di Madre Natura. Alcune, però, sono state a lungo utilizzate come vere e proprie abitazioni rupestri e al loro interno è possibile notare l’impronta umana, con scavi più o meno abbozzati che servivano a rendere più comodi gli ambienti. Molto più interessanti e chiaramente antropici sono invece i cunicoli, che sono stati realizzati per collegare le grotte e non solo.
  Sono state realizzate delle scale (molto primitive, ovviamente) che scendono in profondità e che conducono a delle specie di magazzini e dei pozzi dove, probabilmente, venivano conservati cibi e dove si estraeva l’acqua. Nei secoli a venire, altre grotte sono state modificate dagli esseri umani. Come mai? Perché molti blocchi di pietra venivano estratti per lavori di costruzione. Le grotte sono infatti costituite da pietre calcaree, per altro morbide e di colore beige, che erano perfette per edificare.

• Visitare Beit Guvrin

Oggi, tutte le grotte sono accessibili e anche le città antiche sono facilmente visitabili. Ammirare sia le caverne che i resti degli insediamenti umani è davvero un’esperienza unica e caldamente raccomandata. Com’è intuibile dal nostro racconto, in particolare le grotte hanno un fascino incantevole: sono pacifiche, silenziose e, in qualche modo, anche fortemente spirituali.
  Per accedervi basta seguire tutte le indicazioni presenti all’ingresso del Parco Nazionale e, nei mesi estivi, è anche possibile usufruire di alcune navette che accorciano i tempi di percorrenza del parco. Non serve nemmeno prenotare: basta semplicemente andare sul posto per accedere alla vasta aerea, che non è mai particolarmente affollata.

(SiViaggia, 29 giugno 2023)

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Gal Gadot riceverà la stella sulla Walk of Fame

di Jacqueline Sermoneta

Gal Gadot
Splenderà una nuova stella sulla celebre Walk of Fame di Hollywood. Sarà quella di Gal Gadot, la prima attrice israeliana a ricevere l’ambito riconoscimento sul viale delle star a Los Angeles.
  “È incredibile. Sono così grata, riconoscente e onorata. – ha detto Gadot in un video pubblicato su Instagram - Ringrazio molto la Camera di Commercio di Hollywood per avermi scelta. Sono entusiasta di far parte della Walk of Fame ‘Class 2024’. Questo premio mi stimolerà ancora di più a fare ciò che amo così tanto”. L’attrice nel video ha spiegato, inoltre, di aver appreso la notizia da suo marito Jaron Varsano. Lo riporta il JNS.
  Il nome della 38enne attrice israeliana, nota sulla scena internazionale per il ruolo di Wonder Woman, è stato annunciato insieme a quello di altre 30 celebrità del mondo dell’intrattenimento, che riceveranno la stella sulla Walk of Fame il prossimo anno, fra le quali Chris Pine, co-protagonista di Gadot in “Wonder Woman”, Chadwick Boseman, Michelle Yeoh, Def Leppard, Gwen Stefani, Andre Young “Dr Dree”, Otis Redding, Ken Jeong, Christina Ricci, Brandy Norwood, Maggie Gyllenhaal e Kerry Washington.
  Il mese scorso, in occasione delle celebrazioni del 75esimo anniversario della fondazione dello Stato d’Israele, Gal Gadot ha ricevuto anche un premio dall’Israeli-American Council e dal Consolato israeliano di Los Angeles. “Israele è il mio cuore e la mia casa - ha affermato l’attrice in quell’evento - Siamo tutti profondamente orgogliosi della nostra patria ebraica. Questa celebrazione è una testimonianza della nostra unità, della nostra forza”.
  Ad agosto su Netflix arriverà lo spy thriller “Heart of Stone” con Gadot come protagonista e poi a marzo 2024 uscirà nelle sale il remake in chiave live action di “Biancaneve”, in cui l’attrice interpreterà il ruolo della regina cattiva Grimilde.

(Shalom, 29 giugno 2023)

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“Arabi d’Israele e violenza, un’emergenza nazionale”

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Il problema del terrorismo palestinese è all’ordine del giorno per Israele, ma non è l’unica violenza che preoccupa le autorità. Da tempo infatti quella interna alla minoranza araba viene definita come una vera e propria emergenza sociale. Da inizio anno sono 109 le persone uccise in questo settore che rappresenta il venti per cento della popolazione totale. “Questo fenomeno deve essere sradicato. È pericoloso e terribile. È contrario a ogni diritto umano di vivere in pace. Noi siamo qui per voi. Abbiamo affrontato questa guerra dall’inizio del nostro mandato. Questa è davvero una sfida enorme per Israele”, le parole del presidente del paese Isaac Herzog in un recente incontro con alcune donne arabe che hanno perso, a causa di violenza e criminalità, i propri cari in questi anni. “Non penso che si tratti di ebrei e arabi. È una questione nazionale israeliana su larga scala. – la valutazione di Herzog nel corso dell’incontro organizzato assieme alla moglie Michal – Basta ascoltarvi per capire quanto sia terribile. È necessario che chiunque abbia anche solo sfiorato l’idea di imbracciare un fucile ci pensi due volte, per non parlare di ciò che si deve fare a livello di istruzione, occupazione e welfare”.
  Funzionari e analisti attribuiscono gran parte della colpa della violenza all’assenza di attenzione da parte dello Stato, e in particolare all’attuale governo israeliano, accusato di non essere in grado o di non voler agire.
  Kifah Agbariyeh, residente a Umm al-Fahm, ha raccontato nell’incontro con Herzog che sette dei suoi parenti sono stati uccisi. “L’ultimo meno di un mese fa”. A uccidere “una delle organizzazioni criminali conosciute a Umm al-Fahm. La mia famiglia ha 28 orfani. Se siamo in un Paese democratico non sono forse una cittadina? Non è mio diritto essere al sicuro? Non sono protetta, signor Presidente”, le parole di Agbariyeh.
  Dal punto di vista governativo, dalla comunità araba molte dita sono puntate contro il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, accusato di disinteressarsi del problema. In queste settimane intanto il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha approvato la creazione di un comitato ministeriale, da lui presieduto, per contrastare violenza e criminalità nella società araba.

(moked, 28 giugno 2023)

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Una ONG israeliana trasporta i pazienti palestinesi negli ospedali in Israele

Nel 2022, sono stati rilasciati più di 110.000 permessi di attraversamento in Israele per cure mediche ai palestinesi della Cisgiordania e più di 17.000 permessi ai residenti di Gaza.

All'alba, sul valico di Rehan tra la Cisgiordania settentrionale e Israele, una lunga fila di lavoratori palestinesi viene fuori da un corridoio poco illuminato.
Mamoune Abou al-Roub esce dalla fila dei titolari di permessi medici e si dirige verso l'auto di Yael Noy, con il figlio Adam di 6 anni che sonnecchia tra le sue braccia. La destinazione: un ospedale vicino a Tel Aviv dove il bambino è in cura per un cancro agli occhi.
Yaël Noy fa parte di un gruppo di volontari israeliani dell'associazione Road to Recovery che ogni giorno accompagnano decine di palestinesi, per lo più bambini, dai punti di passaggio in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza agli ospedali israeliani per ricevere le cure non disponibili nei Territori palestinesi.
Questi trattamenti sono pagati dalle autorità palestinesi, cosa che non avviene per il trasporto da e verso gli ospedali. Il costo è proibitivo per molte famiglie.
L'associazione è stata creata per rispondere alle richieste di aiuto dei palestinesi appartenenti a un gruppo di famiglie palestinesi e israeliane colpite dal conflitto.
Secondo l'associazione, oggi essa conta circa mille membri attivi che aiutano quasi 3.000 pazienti ogni anno.

• Il linguaggio del cuore

Adam Abu al-Rob, un palestinese di sei anni recentemente colpito da un tumore agli occhi, viene preso in braccio da suo padre Mamoun mentre incontra la volontaria israeliana Yael Noy al checkpoint di Rehan, tra Israele e Cisgiordania, che lo porterà all'ospedale Sheba Tel Hashomer, vicino a Tel Aviv.
È meravigliosa, Yaël (...) È sempre felice, mi riempie il cuore", dice Abou al-Roub, 40 anni, in un ebraico stentato che ha imparato nei cantieri dove lavora in Israele.
Sul sedile posteriore dell'auto, il piccolo Adam si è addormentato, accoccolato contro il padre. Nello specchietto retrovisore, l'autista sorride al suo passeggero e scambia qualche parola con lui.
"La madre di Adam, Sabah, di solito lo accompagna. Lei non parla ebraico e io non parlo arabo. Quindi parliamo con il cuore", spiega.
"Questi viaggi sono un'opportunità per tutti i volontari di incontrare i palestinesi", aggiunge la signora Noy, che è diventata recentemente direttrice di Road to Recovery.
"Non li conosciamo, non li incontriamo mai. C'è un intero popolo che vive accanto a noi, sono i nostri vicini".
Nel 2022, sono stati rilasciati più di 110.000 permessi per entrare in Israele per cure mediche ai palestinesi della Cisgiordania, dove vivono quasi tre milioni di palestinesi, e più di 17.000 permessi ai residenti di Gaza, un territorio di oltre due milioni di persone controllato dal movimento terroristico islamico Hamas e soggetto a un blocco israelo-egiziano, secondo il Cogat, l'ente del Ministero della Difesa israeliano che supervisiona le attività civili nei Territori palestinesi.
Tuttavia, molti pazienti palestinesi non possono farsi curare in Israele, sia perché le autorità israeliane rifiutano di rilasciare loro un permesso di transito, sia perché le autorità palestinesi rifiutano di pagare le cure, spesso costose.
L'auto sfreccia sull'autostrada che costeggia il muro che separa Israele dalla Cisgiordania. Non potrei vivere qui se non facessi qualcosa per la dura e complicata realtà creata dall'occupazione", dice la signora Noy.
"È il minimo per rimanere un essere umano rispettabile".
Ma non tutti i volontari sono contrari alla presenza israeliana in Cisgiordania, sottolinea la signora, precisando che tra loro ci sono "coloni, religiosi e persone di destra".
Come Noam Ben Zvi, 72 anni, ufficiale dell'esercito israeliano in pensione, che ritiene che "anche se lasciamo la Cisgiordania, la guerra con gli arabi continuerà".
Ma questo non gli ha impedito di trasportare regolarmente un'adolescente da Jenin (nel nord della Cisgiordania) all'ospedale di Gerusalemme dove viene curata, aspettandola per diverse ore prima di riportarla al punto di passaggio, a quasi 150 chilometri di distanza.
"Amo Marie e suo padre. Non voglio che debbano restare per ore all'ospedale ad aspettare che un altro volontario li accompagni a casa", spiega.
Il trasporto dei pazienti è coordinato dalla parte palestinese da Naëm Abou Youssef, che funge anche da traduttore per i volontari israeliani.
"Quando ho scoperto quello che (l'associazione) stava facendo, non potevo credere che gli ebrei potessero fare cose del genere", dice il 50enne, che vive in un villaggio vicino a Qalqiliya, nel nord della Cisgiordania, in una zona dove gli scontri con i soldati israeliani sono frequenti.
Due dei suoi figli sono stati arrestati dall'esercito israeliano e trattenuti per diversi mesi senza alcuna accusa.
"La gente qui spesso conosce Israele solo per i soldati che fanno irruzione nelle loro case di notte, per l'occupazione, la paura, l'odio e la vendetta".
Alle 7 del mattino, la signora Noy lascia i suoi due passeggeri davanti al reparto pediatrico dello Sheba Medical Centre. Il signor Abu al-Roub si gira e le fa un ultimo saluto.
"La fine del conflitto può venire solo da un accordo politico", dice Yuval Roth, fondatore dell'associazione, "ma in questa realtà, ogni viaggio come questo è una piccola pace per un'ora".

(The Times of Israël, 28 giugno 2023 - - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Israele: sequestrati milioni di dollari in criptovalute destinati al movimento Hezbollah e alla Forza Quds

Il ministro della Difesa di Israele, Gallant, ha spiegato che “qualche giorno fa si è conclusa una vasta operazione senza precedenti, volta a svelare l’asse del finanziamento del terrorismo attraverso monete digitali”.

Le autorità dello Stato di Israele hanno sequestrato milioni di dollari in criptovalute appartenenti al movimento sciita libanese Hezbollah e alla Forza Quds, reparto del Corpo dei guardiani della Rivoluzione iraniana (Irgc), nel quadro di un’operazione di contrasto al riciclaggio di denaro. Lo ha annunciato, ieri, il ministro della Difesa di Israele, Yoav Gallant, secondo quanto riferisce il quotidiano israeliano “Jerusalem Post”. Gallant ha spiegato che “qualche giorno fa si è conclusa una vasta operazione senza precedenti, volta a svelare l’asse del finanziamento del terrorismo attraverso monete digitali”. “Per la prima volta è stata smantellata un’infrastruttura economica di tale portata di Hezbollah e della Forza Quds, che aveva l’obiettivo di trasferire milioni di dollari a terroristi”, ha aggiunto Gallant. “In quanto ministro della Difesa, ho emesso un decreto che autorizza l’accesso a questi fondi, la loro confisca e il loro trasferimento nelle casse dello Stato di Israele”, ha concluso.

(Nova News, 28 giugno 2023)

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Israele: preoccupa il futuro del settore hi-tech. Lo dice l’Israel Innovation Authority

di Giovanni Panzeri

 
 
 
I dati riportati nel report annuale dell’Israel Innovation Authority , il ramo del governo israeliano incaricato di dirigere lo sviluppo della ricerca e dell’industria tecnologica, descrivono il deciso calo dei finanziamenti dell’industria high tech, oltre il 70% in meno rispetto al 2022.-
  Una crisi prolungata potrebbe rendere necessario l’intervento del governo nel salvare un settore particolarmente sensibile alla psicologia dei mercati, essendo finanziato quasi interamente da privati.-
  Un settore, del resto, particolarmente importante per Israele visto che, nel corso dell’ultima decade, è diventato la punta di diamante della sua economia, costituendo il 18% del prodotto interno lordo e impiegando, direttamente o indirettamente, il 14% della forza lavoro salariata.-
  Il trend di declino è iniziato nella seconda parte del 2022, nel contesto di una generale recessione dei mercati globali causata dalla guerra in Ucraina e dal conseguente aumento dell’inflazione.-
  Tuttavia, mentre diversi mercati danno segni di ripresa, i primi dati del 2023 sembrano indicare un prolungamento della crisi dell’industria israeliana, forse causato dalla seria fase di tensioni interne e dalle preoccupazioni suscitate nel settore dal tentativo di riforma giudiziaria.-
  “Le tensioni globali degli ultimi 18 mesi, tra cui la guerra in Europa e le tensioni tra Cina e Stati Uniti, hanno causato cambiamenti radicali che hanno portato a un calo netto dei finanziatori disposti a fare investimenti ad alto rischio” spiega al Times of Israel Dror Bin, CEO dell’Israel Innovation Authority “e la situazione politica d’Israele non fa altro che aumentare le incertezze di imprenditori e investitori. Speriamo che questo periodo di instabilità politica passi presto, perché la situazione non è buona.”-
  Il report descrive inoltre il licenziamento di migliaia di dipendenti del settore, quasi 6000 dall’inizio dell’anno, e la netta diminuzione di posti di lavoro disponibili sottolineando come tutto ciò porterebbe a “un calo delle imposte sul reddito e ad una minore disponibilità da parte delle imprese high tech di spendere per servizi aggiuntivi. Il che porterà a sua volta ad un ulteriore calo di posti di lavoro disponibili e a tagli al personale delle aziende”.
  Il report tratta poi di altre problematiche, sottolineando lo scarso impiego di personale femminile nel settore, solo un terzo, il lento progresso nel tentativo di coinvolgere le comunità Arabe e Ultra Ortodosse, e il grosso divario tra il salario dei dipendenti dell’industria high tech e quello di chi lavora in altri settori.-
  Evidenzia infine le opportunità  rappresentate rispettivamente dall’introduzione della Generative AI e dallo sviluppo di tecnologie dedicate a cercare di limitare gli effetti della crisi climatica.-
  L’Israel Innovation Authority conclude il report raccomandando al governo la necessità di trovare nuovi mercati in cui esportare le conoscenze israeliane nel settore, di cercare di espandere l’industria high tech anche al di fuori dei principali centri urbani del paese coinvolgendo i gruppi meno rappresentati e, infine di avere un ruolo più attivo nell’incentivare gli imprenditori a creare start up.-
  “Il mondo per come lo conosciamo sta per essere radicalmente trasformato in tre grandi settori: la Generative AI, l’informatica e la comunicazione quantistica e l’innovazione nel campo della tecnologia climatica” spiega la presidente dell’Israel Innovation Authority, Ami Appelbaum, “ non possiamo permetterci di rimanere indietro, in nessuna di queste aree: è un periodo di profonda crisi politica e sociale ma, se agiremo con saggezza, anche di grandi opportunità”.

(Bet Magazine Mosaico, 28 giugno 2023)

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Israele e Marocco uniti per l'emergenza climatica

di Michelle Zarfati

Israele e Marocco uniti per un unico obiettivo: l’emergenza climatica. I due stati hanno pianificato infatti la firma di un memorandum d'intesa nei settori della protezione ambientale e del cambiamento climatico a seguito di una visita del ministro della protezione ambientale Idit Silman questo fine settimana a Rabat. Silman ha incontrato la sua controparte marocchina, il ministro della transizione energetica e dello sviluppo sostenibile Leila Benali per discutere le sfide ambientali condivise.
  L'accordo includerà un quadro per la cooperazione tra istituti di ricerca, imprenditori ed enti pubblici e privati nel campo dell'ambiente di entrambe le parti, ha condiviso il ministero della protezione ambientale in una nota. "Il rafforzamento delle relazioni tra i governi nel settore della protezione ambientale aggiungerà un altro livello della profonda connessione tra il popolo marocchino e quello israeliano", ha detto Silman, i cui genitori sono emigrati dal Marocco in Israele.
  "Marocco e Israele hanno sfide simili nel campo della gestione dei rifiuti, delle energie rinnovabili, della conservazione dell'ambiente marino e costiero e altro ancora, credo fermamente che creare un linguaggio professionale comune per quanto riguarda le questioni climatiche e della sostenibilità sia un obiettivo importante". La visita di Silman è la prima visita ufficiale di un ministro della protezione ambientale dalla firma degli accordi di Abramo. Tra gli argomenti discussi vi sono stati il cambiamento climatico, la conservazione della biodiversità e degli ecosistemi marini, la gestione dell'acqua e le questioni di desalinizzazione, la qualità dell'aria e la tecnologia e l'innovazione ambientale. Alla riunione erano presenti anche i direttori generali dei rispettivi ministeri e l'ambasciatore israeliano in Marocco. Silman ha concluso il meeting invitando Benali a visitare Israele quanto prima.

(Shalom, 28 giugno 2023)

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Commento alla Dichiarazione d’intenti per la lotta contro l’antisemitismo nel calcio

di Emanuele Calò

La dichiarazione  d’intenti di ieri per la lotta contro l’antisemitismo nel calcio assume una particolare valenza perché si discosta nettamente da una prassi ultra trentennale (posso rammentarlo perché ne scrissi sul Corriere dello Sport) fatta di strette di mano e pacche sulle spalle, seguite dal nulla. Un nulla sonoro quasi quanto i cori antisemiti, dove la parola ebreo diventa un insulto. Questa non è una novità: ogni volta che si scrive “di origine ebraica” riferendosi a un ebreo, lo si fa perché la parola “ebreo” è ritenuta offensiva.  Se per gente colta e preparata la parola “ebreo” è offensiva, perché meravigliarsi che la si usi nello sport per screditare l’avversario? Colpisce che siano dei cristiani a farlo, a meno che abbiano rimosso l’ebraismo di Gesù.
  Questa, però, è la volta buona, perché questa dichiarazione, anzitutto, è fatta da istanze non ebraiche, e questo vuol dire che l’antisemitismo talvolta non è sentito come un problema degli ebrei ma di chi non è ebreo. Mi rendo conto che è un ragionamento complesso (in Italia l’ha fatto Elena Loewenthal) ma questo va a merito di Giuseppe Pecoraro, subentrato a Milena Santerini come Coordinatore per la lotta all’antisemitismo.
  Nella dichiarazione d’intenti troviamo delle istruzioni precise, così come precisi sono i richiami normativi, con una precisazione che faremo appresso. In effetti, si prevede (ancorché col rinvio a un disciplinare) l’interruzione delle partite quando ‘partono’ i cori offensivi. Sennonché, l’art. 62 delle Norme Organizzative Interne F.I.G.C. già lo prevede:

  1. Prima dell’inizio della gara, il responsabile dell’ordine pubblico dello stadio, designato dal Ministero, anche su segnalazione dei Collaboratori della Procura federale, o, in loro assenza, del Delegato di Lega,ove rilevi uno o più striscioni esposti dai tifosi, cori, grida ed ogni altra manifestazione discriminatoria di cui al comma 3) costituenti fatto grave, ordina all’arbitro, anche per il tramite del quarto ufficiale di gara o dell’assistente dell’arbitro, di non iniziare la gara. In caso di assenza delle predette figure, il provvedimento viene assunto dall’arbitro.
  2. Il pubblico dovrà essere informato con l’impianto di amplificazione sonora od altro mezzo adeguato, sui motivi del mancato inizio e verrà immediatamente invitato a rimuovere lo striscione e/o a interrompere cori, grida ed ogni altra manifestazione discriminatoria di cui al comma 3) che hanno causato il provvedimento. L’arbitro darà inizio alla gara solo su ordine del responsabile dell’ordine pubblico dello stadio, designato dal Ministero dell’Interno o, in sua assenza, il provvedimento viene assunto dall’arbitro.
  3. Nel corso della gara, ove intervengano per la prima volta i fatti di cui al comma 6), l’arbitro, anche su segnalazione del responsabile dell’ordine pubblico dello stadio, designato dal Ministero dell’Interno o dei Collaboratori della Procura federale e, in assenza di quest’ultimi, del Delegato di Lega, dispone la interruzione temporanea della gara.
  4. L’arbitro comunica la interruzione temporanea della gara ai calciatori, i quali dovranno rimanere al centro del campo insieme agli ufficiali di gara. Il pubblico dovrà contemporaneamente essere informato con l’impianto di amplificazione sonora od altro mezzo adeguato, sui motivi che hanno determinato il provvedimento e verrà immediatamente invitato a rimuovere lo striscione e/o a interrompere cori, grida ed ogni altra manifestazione discriminatoria di cui al comma 3).
  5. Nel caso di prolungamento della interruzione temporanea, in considerazione delle condizioni climatiche ed ambientali, l’arbitro potrà insindacabilmente ordinare alle squadre di rientrare negli spogliatoi. La ripresa della gara potrà essere disposta esclusivamente dal responsabile dell’ordine pubblico di cui al comma 6) o, in sua assenza, dall’arbitro.
  6. Qualora il gioco riprenda dopo la interruzione temporanea di cui al comma 8 e si verifichino altri fatti previsti dal comma 6), il responsabile dell’ordine pubblico dello stadio, designato dal Ministero dell’Interno, anche su segnalazione dei Collaboratori della Procura federale e, in assenza di quest’ultimi, del Delegato di Lega, può ordinare all’arbitro, anche per il tramite del quarto ufficiale di gara o dell’assistente dell’arbitro, di sospendere la gara. In caso di assenza delle predette figure, il provvedimento viene assunto dall’arbitro.
  7. L’arbitro comunica la sospensione della gara ai calciatori, i quali dovranno rimanere al centro del campo insieme agli ufficiali di gara. Il pubblico dovrà contemporaneamente essere informato con l’impianto di amplificazione sonora od altro mezzo adeguato, sui motivi che hanno determinato il provvedimento e verrà immediatamente invitato a rimuovere lo striscione e/o a interrompere cori, grida ed ogni altra manifestazione discriminatoria di cui al comma 3).
  8. Nel caso di prolungamento della sospensione disposta dal responsabile dell’ordine pubblico dello stadio di cui al comma 6), in considerazione delle condizioni climatiche ed ambientali, l’arbitro potrà insindacabilmente ordinare alle squadre di rientrare negli spogliatoi. La ripresa della  gara potrà essere disposta esclusivamente dal responsabile dell’ordine pubblico di cui al comma 6) o, in sua assenza, dall’arbitro.
  9. Il non inizio, l’interruzione temporanea e la sospensione della gara non potranno prolungarsi oltre i 45 minuti, trascorsi i quali l’arbitro dichiarerà chiusa la gara, riferendo nel proprio rapporto i fatti verificatisi, e gli Organi di Giustizia Sportiva adotteranno le sanzioni previste dall’art. 10 del Codice di Giustizia Sportiva, ferma restando l’applicazione delle altre sanzioni previste dal codice di giustizia sportiva per tali fatti.

Cosa avrebbero potuto fare gli autori della Dichiarazione d’intenti? Chiedere che fossero attuate le norme sopra richiamate avrebbe potuto rinviare alle trattazioni sul principio di effettività della norma, con una dotta citazione di Hans Kelsen? Asserire che le previsioni normative sono state ignorate chiedendo le dimissioni dei responsabili? Io scrivo comodamente e non mi pongo i problemi pratici, il Prefetto Pecoraro sì, e per me non solo ha ragione, ma merita pure un plauso incondizionato. Tuttavia, quando udirò i cori antisemiti, rischio che lo steward, con sfoggio di cultura grazie ai phd ricevuti presso l’Ivy League, mi dica di attendere il disciplinare? Allora, diciamo:

  1. che il disciplinare  va fatto subito, magari, per sopperire a qualche buco/voragine, richiamandosi (come espediente per uscirne) al citato art. 62 e quindi affinandolo;
  2. che il rinvio va fatto all’intera definizione IHRA di antisemitismo, laddove il termine “intera” dovrebbe essere fatto tenendo a mente i soliti furbi, che potrebbero sorvolare sugli esempi, ovvero, il Vittorio Gassmann de “I soliti ignoti“, dove recita una cronaca giornalistica per far finta di essere stato allo stadio. Intera vuol dire: con gli esempi, altrimenti avremmo sostituito “un trou avec un autre“, e non mi dite che il francese non nobilita.
(Osservatorio di Enzo Sereni, 28 giugno 2023)

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Israele: riforma giudiziaria, la protesta si inasprisce

Dimostranti bloccano ministro Giustizia Levin a casa per 3 ore

TEL AVIV - Si inasprisce in Israele la protesta contro la riforma giudiziaria elaborata dal governo Netanyahu dopo che domenica alla Knesset sono riprese le consultazioni per il varo in tempi serrati di una sua prima parte.
  Stamane gruppi di dimostranti si sono raccolti a Modiin (ed est di Tel Aviv) vicino al condominio dove risiede il vicepremier e ministro della Giustizia Yariv Levin e hanno bloccato l'ingresso.
  Secondo i media hanno anche dato fuoco a pneumatici. Levin ha poi scritto su Facebook di essere rimasto bloccato in casa per circa 3 ore e ha accusato la polizia di essere intervenuta con grande ritardo. La radio pubblica Kan ha riferito di testimonianze secondo le quali gli agenti avrebbero fatto ricorso a gas lacrimogeni per disperdere i dimostranti, sette dei quali sono stati fermati.
  Altri incidenti sono avvenuti la scorsa notte vicino ad un commissariato di polizia a Petach Tikwa (presso Tel Aviv) dopo il fermo di uno degli organizzatori delle proteste. Si è organizzata una protesta che è stata disturbata da sostenitori della riforma. Uno di questi ha urtato con la sua automobile una dimostrante che si trovava su una sedie a rotelle. Un altro ha estratto minacciosamente una pistola. La polizia ha avviato accertamenti.

(ANSAmed, 27 giugno 2023)

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Fare del male a persone innocenti "non è il nostro linguaggio", dice un importante rabbino religioso-sionista

Il rabbino Yaakov Medan, anziano educatore dell'insediamento di Alon Shvut, condanna la recente violenza degli estremisti ebrei, che secondo lui è stata provocata dall'ondata di attentati terroristici.

di Jeremy Sharon

Rabbi Yaakov Medan
Il rabbino Yaakov Medan, figura di spicco della comunità religioso-sionista, ha condannato i recenti disordini e attacchi contro villaggi palestinesi da parte di estremisti ebrei, definendo tale comportamento "illegittimo". Medan, decano della prestigiosa Har Etzion Yeshiva nell'insediamento di Alon Shvut, in Cisgiordania, ha affermato che tali attacchi "non rientrano nella nostra lingua o nei nostri valori" e ha condannato in particolare la distruzione di libri, che sembra siano copie del Corano, avvenuta nel villaggio palestinese di Urif alcuni giorni fa. Il rabbino ha aggiunto che i disordini ebraici distolgono anche l'attenzione e le risorse dei servizi di sicurezza dall'affrontare il terrorismo palestinese e dovrebbero quindi cessare immediatamente.
  Nell'ultima settimana, estremisti ebrei hanno attaccato diversi villaggi palestinesi nel nord della Cisgiordania, incendiando case, veicoli e campi agricoli e, in alcuni casi, sparando ai residenti con fucili d'assalto, anche a Turmus Ayya, Urif e Umm Safa.
  Questi incidenti hanno seguito l'attacco terroristico fuori dall'insediamento di Eli, in cui quattro israeliani sono stati uccisi quando due uomini armati palestinesi hanno aperto il fuoco su persone che stavano mangiando in un ristorante vicino a una stazione di servizio.
  I disordini sono stati condannati dai politici, compresi alcuni della coalizione di destra, ma non c'è stata una chiara condanna da parte dei leader degli insediamenti o delle figure religiose.
  La Yeshiva di Har Etzion è stata considerata un'istituzione relativamente moderata, dal punto di vista politico e religioso, grazie alle prospettive dei suoi fondatori, anche se lo stesso Medan ha forti opinioni di destra, si è opposto agli accordi di Oslo e ha appoggiato partiti di destra.
  "Dobbiamo fare tutto, ma proprio tutto, per fermare questi disordini", ha dichiarato Medan al Times of Israel.
  "Non facciamo del male a chi ha la presunzione di innocenza. Attacchiamo solo gli assassini e coloro che li aiutano, e questo viene fatto dallo Stato di Israele e dalle forze di sicurezza, e non da ogni persona in modo privato", ha detto. "Entrare nei villaggi arabi, bruciare le case, le auto, i campi deve essere totalmente denunciato, perché non fa parte del nostro linguaggio danneggiare la proprietà di persone che hanno la presunzione di innocenza".
  Medan ha notato che Michal Shir, deputato di Yesh Atid, ha minacciato domenica in un'udienza del comitato della Knesset che gli oppositori al programma di revisione giudiziaria del governo avrebbero "incendiato le strade" se fossero state approvate leggi che danneggiano la democrazia israeliana.
  "Il linguaggio di Michal Shir e dei suoi sostenitori da un lato, e di coloro che appiccano incendi nei villaggi arabi dall'altro, non è il linguaggio delle persone della Torah, di coloro che amano Dio e di coloro che amano la terra", ha dichiarato. Il rabbino ha anche affrontato l'incidente di mercoledì, in cui un rivoltoso mascherato a Urif è stato visto strappare pagine di quello che si diceva essere un Corano e spargerle per la strada.
  "Dobbiamo denunciare totalmente coloro che denigrano e bruciano i libri sacri, come abbiamo visto fare da chi ha distrutto un Corano", ha detto Medan.
  Ma ha anche detto che fermare le rivolte ebraiche è importante per non ostacolare il lavoro dell'esercito e dei servizi di sicurezza.
  "Dobbiamo fare tutto il possibile per sostenere i servizi di sicurezza ed essere al loro fianco nel loro sforzo di sradicare i terroristi e i loro sostenitori, e questa è la nostra unica missione in questo momento: sostenerli e non fare cose che li ostacolino", ha detto il rabbino, sottolineando che l'IDF e gli altri servizi di sicurezza sono costretti a dedicare risorse significative per contrastare la minaccia della violenza estremista ebraica.
  Alla domanda sul perché questi incidenti si siano intensificati e siano aumentati di gravità negli ultimi mesi, Medan ha detto di ritenere che queste azioni derivano dal fatto che alcuni abitanti degli insediamenti sono rimasti scioccati dai recenti attacchi terroristici e da quello che hanno detto essere il loro disappunto per il modo in cui le forze di sicurezza sono "rimaste indietro" rispetto alla situazione della sicurezza sul campo.
  "Non si possono scindere questi eventi dal disagio di cui soffre la gente, dovuto al fatto che negli ultimi sei mesi 28 persone sono state uccise in attacchi terroristici e molte altre ferite, alcune delle quali in modo irreversibile", ha affermato.
  "È anche impossibile separarlo dal fatto che i manifestanti di sinistra bloccano le strade e fanno disordini a loro piacimento con la copertura della polizia e nessuno osa fare loro nulla", ha detto riferendosi alle proteste contro il programma di revisione giudiziaria del governo. "Ma questo modo di fare è illegittimo e dobbiamo fermarlo a tutti i costi".

(The Times of Israel, 27 giugno 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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“Due paesi con cui Israele non ha legami dovrebbero partecipare al forum del Negev” (Eli Cohen)

Eli Cohen
Rinviata la seconda edizione del “Negev Forum”, che si sarebbe dovuto svolgere in Marocco a metà luglio. Il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen ha affermato che due paesi che non hanno rapporti diplomatici con Gerusalemme parteciperanno al Forum del Negev del mese prossimo, che il Marocco, paese ospitante, ha rinviato a causa dell’espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania e della violenza anti-palestinese da parte degli estremisti.
  Il signor Cohen si aspetta che entrambi i paesi – di cui non fa il nome – siano presenti quando il forum si terrà finalmente, potenzialmente a settembre. “Sono felice di poter dire che siamo in contatto con un certo numero di paesi con i quali non abbiamo ancora legami, al fine di estendere gli accordi di Abramo”, ha detto alla commissione per gli affari esteri e difesa della Knesset, riferendosi a Stati Uniti- accordi di normalizzazione sostenuti.
  Questo forum è stato creato nel 2022 per promuovere la cooperazione multilaterale in settori quali salute, economia, cambiamento climatico, acqua e sicurezza.
  Il ministro degli Esteri marocchino Nasser Bourita ha comunque auspicato che il Forum del Negev “possa svolgersi all’inizio dell’anno scolastico qui in Marocco” in un contesto più “favorevole”, senza precisare una data.

(dayFRitalian, 27 giugno 2023)

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Viaggiare in USA senza visto

Sessantacinque senatori incitano Blinken ad estendere l’esenzione a Israele

di David Fiorentini

“Scriviamo per esprimere il nostro sostegno agli sforzi per includere Israele nel Programma di Esenzione dal Visto (VWP) e per incoraggiare sia il Dipartimento di Stato che il Dipartimento della Sicurezza Interna a dare priorità al completamento dell’adesione di Israele entro quest’anno.” Così esordisce la lettera firmata da 65 senatori statunitensi, annunciando la loro risoluzione di rafforzare i legami tra Israele e gli Stati Uniti.
  “Circa 450000 israeliani viaggiano annualmente verso gli USA, e tale numero aumenta ogni anno. Con 93 voli diretti settimanali da Israele agli aeroporti americani, c’è già una significativa domanda di viaggi. Pertanto, la partecipazione di Israele al VWP aumenterebbe notevolmente le potenzialità sia per il turismo che per i viaggi d’affari.” continua il comunicato bipartisan.
  Questo ampliamento consentirebbe ai cittadini israeliani di essere esenti dall’obbligo di richiedere un visto di viaggio per visite fino a 90 giorni.
  “Israele è un alleato chiave degli Stati Uniti e un partner commerciale. L’esonero del requisito di visto per gli israeliani che visitano l’America riflette questi solidi legami e approfondirà le relazioni bilaterali, a beneficio reciproco di entrambi i paesi”, ha dichiarato l’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC), applaudendo l’iniziativa di Capitol Hill.
  Entrando nel merito della questione, negli ultimi anni Israele ha compiuto due passi significativi per poter accedere al tanto ambito Programma di Esenzione dal Visto (VWP). In primis, si è ridotto sensibilmente il tasso di rifiuto dei visti, ossia la percentuale di viaggiatori verso gli USA cui viene negato l’ingresso a causa di timori di abuso del visto, come il prolungamento illecito del soggiorno o la ricerca di occupazione illegale, il quale è sceso al di sotto della soglia del 3%. In secondo luogo, il governo israeliano ha introdotto nuove misure volte ad agevolare la condivisione di intelligence con gli altri paesi membri del programma.
  Tuttavia, la questione della reciprocità rappresenta ancora un ostacolo significativo. Affinché Israele possa beneficiare dell’esenzione dal visto, questa deve applicarsi a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro origine etnica o religiosa. Al momento, Israele richiede permessi speciali per gli americani che detengono documenti di identità palestinesi, creando una disparità che solleva preoccupazioni. Di conseguenza, diversi esponenti del Partito Democratico si sono uniti a gruppi arabo-americani nel richiedere che l’ingresso di Israele nel programma sia vincolato all’eliminazione delle restrizioni imposte ai cittadini americani di origine palestinese.
  Questa condizione rappresenta un punto cruciale visto che allo stesso tempo deve tenere conto delle particolari condizioni geopolitiche regionali che rendono inevitabili certe normative per garantire la sicurezza nazionale.

(Bet Magazine Mosaico, 27 giugno 2023)

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Altre migliaia di fucili d’assalto Micro Tavor per le Forze Armate Israeliane

IWI Micro Tavor
Il Ministero della Difesa di Israele ha comunicato di aver in corso l’acquisto di migliaia di fucili d’assalto Micro Tavor per l’IDF.
  Infatti, l’ufficio responsabile dell’approvvigionamento del Ministero della Difesa d’Israele acquisterà 2.800 fucili Micro Tavor prodotti dalla società israeliana Israel Weapons Works (IWI) dal gruppo SK, per circa 10,5 milioni di NIS.
  Le nuove armi saranno fornite in via prioritaria alle Brigate di Fanteria, Nahal, Golani e Givati.
  Il micro fucile Tabor, al servizio della formazione di combattimento regolare e di riserva dell’IDF dal 2006, è un fucile d’assalto sulla piattaforma bullpup (in cui la cartuccia si trova dietro il meccanismo di scatto); trattasi di un’arma ergonomica e corta in grado di fornire una grande precisione e consente al soldato di mantenere un alto livello di fuoco e di precisione di tiro in un’area urbana senza rivelarsi.
  Nei prossimi mesi IWI allestirà i fucili oggetto di questo ordine nel nuovo stabilimento in fase di completamento a Kiryat Gat.
  Il Micro Tavor (IWI X95) è la versione 5,56×45 mm del Tavor camerato in 7,62×51 mm; oltre il 5,56×45 mm l’arma è disponibile in 5,45×39 mm e 9×19 mm.
  L’arma può essere dotata di vari tipi di mirini per operazioni diurne e notturne, puntatori laser, torce e lanciagranate da 40×46 mm.
  Il Micro Tavor in 5,56×45 mm è disponibile con canna da 16,5″ (419 mm) o da 15″ (330 mm), raggiunge una lunghezza totale di 670 mm con la canna da 16,5″, ha un peso di 3,3-3,4 kg (solo l’arma) ed è in grado di sostenere un rateo di fuoco di 750-950 colpi al minuto.

(Ares Osservatorio Difesa, 27 giugno 2023)

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"Hava Nagila" ritorna in voga come inno ebraico

di Michelle Zarfati

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Dalle località di villeggiatura ebraiche ai vivaci locali notturni: l'indimenticabile interpretazione di "Hava Nagila" di Harry Belafonte continua ad affascinare il pubblico di tutto il mondo e innesca una rinascita culturale in un'era di crescente antisemitismo. Nell'autobiografia pubblicata da Harry Belafonte nel 2011, il musicista americano ha rivelato che suo nonno paterno era un ebreo olandese, e forse proprio questo ha intensificato il suo legame con l'ebraismo. Belafonte si è infatti esibito in pezzi scritti da ebrei, spesso eseguiti in luoghi di villeggiatura ebraici come nelle Catskill. Sembra infatti che grazie a lui "Hava Naghila" sia divenuto un punto fermo nella playlist di ogni DJ.
  La canzone di Belafonte ha trovato la sua strada nel mainstream americano dopo che gli influencer l'hanno ascoltata e utilizzata in luoghi di vacanza e feste. "Diamo ai nostri DJ un elenco di canzoni che vorremmo inserire nel loro set, e questa è una delle più gettonate", ha detto Kylie Monagan, una delle proprietarie di Calissa, un ristorante greco a Water Mill, NY, che ospita grandi DJ e artisti come Samantha Ronson e Wyclef Jean.
  "Abbiamo fatto delle ricerche viaggiando nel Mediterraneo, e abbiamo notato che moltissimi club e ristoranti suonavano questa canzone, l'abbiamo amata", ha detto in un'intervista al New York Times. La canzone è stata scritta nel 1918 da Abraham Zvi Idelsohn, un compositore che credeva che il popolo ebraico avesse bisogno di nuova musica in un momento in cui il sionismo e la spinta per una patria ebraica stavano guadagnando forza. La canzone è ispirata alle preghiere ebraiche ed è stata combinata con le melodie chassidiche.

(Shalom, 27 giugno 2023)

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L’antisemitismo e l’approccio (scarso) dei media italiani. Parla Noemi Di Segni

L’antisemitismo e l’approccio (scarso) dei media italiani. Parla Di Segni di Antisemitismo, anti-giudaismo e ostilità diffusa verso Israele. Il quadro dell’informazione italiana tratteggiato dalla presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha tinte piuttosto fosche. In generale, nella parte strutturata del giornalismo italiano emerge un orientamento ideologico.

di Federico Di Bisceglie

L’informazione nei media italiani resta intrisa di antisemitismo, declinato nelle diverse formule. Per non parlare delle imprecisioni e delle (colpevoli) omissioni di chi approccia in modo ideologico e a senso unico il conflitto israelo-palestinese. Il tutto condito da una serie di imprecisioni, anche terminologiche oltre che concettuali, da far rabbrividire. Tutto questo porta a dire che ci sia ancora “tantissimo lavoro da fare” per riuscire a ottenere un’informazione che affronti le questioni legate in particolare a Israele, ma più in generale all’antisemitismo e all’antigiudaismo.
  Questo è il quadro – ben poco lusinghiero – tratteggiato da Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in una conversazione con Formiche.net a seguito dell’evento “85 anni dalle leggi razziali: lotta all’antisemitismo nei media italiani. Seminario per giornalisti”, organizzato dall’Ambasciata d’Israele in Italia nei giorni scorsi.

- Presidente Di Segni, che cosa rende l’informazione italiana così lacunosa e talvolta dannosa nell’affrontare i problemi legati all’antisemitismo e a Israele?
  Ci sono due piani. Il primo è quello legato alla chiarezza terminologica, che spesso manca nell’affrontare certe questioni. Prima di tutto occorrerebbe far luce su cosa in effetti significhi antisemitismo e anti-giudaismo. Dunque innanzitutto penso che il primo problema sia la scarsa capacità di classificare e riconoscere questi fenomeni. Il secondo piano di discussione è quello legato a Israele.

- Ecco, ciò che accade in Israele è spesso viziato da un orientamento ideologico ostile allo Stato Ebraico, in particolare nella narrazione del conflitto israelo-palestinese. 
  Sì e su questo mi preme sottolineare un concetto: chi mette in discussione la legittimità dell’esistenza dello Stato d’Israele è un antisemita. Non esiste una distinzione tra chi è anti-israeliano e antisemita. Israele rappresenta la nostra terra, la nostra storia, la nostra tradizione. Israele è l’ebraismo e viceversa.

- Come valuta l’atteggiamento dei giornalisti italiani su queste tematiche?
  Molti giornalisti scelgono di raccontare in maniera distorta ciò che accade in Israele, deformando la realtà. Oppure, c’è chi decide di omettere certi particolari o certe circostanze che invece sarebbero fondamentali per inquadrare i fenomeni nella loro complessità. C’è, insomma, un approccio selettivo al tema israeliano, figlio di una relativizzazione assoluta e abbastanza trasversale. Chi è ostile a Israele lo può sbandierare ai quattro venti, mentre chi ne prende le parti deve sempre avere qualche forma di scrupolo. Per non parlare dell’informazione disintermediata: Internet e i social in questo senso sono diventati i megafoni delle peggio nefandezze, in particolare contro Israele.

- Riscontra una matrice politica nell’approccio relativistico nei confronti di Israele?
  Ritengo sia un modus operandi fuorviante e profondamente sbagliato, abbastanza diffuso purtroppo. Nella parte giornalistica italiana strutturata, riscontro un totale appiattimento in favore della causa palestinese, senza che però tutto ciò che accade – molto complesso – venga sviscerato in maniera oggettiva. Tanto per intenderci: non basta copiare ciò che scrive Haaretz per comprendere la complessità di ciò che accade in Eretz Israel.

- Come è percepita l’informazione italiana in Israele?
  Molto negativamente. C’è la giusta convinzione che, per lo più, le informazioni non tratteggino la realtà per come è ma che sia un’informazione sostanzialmente distorta. Ed è per questo che, come Ucei, abbiamo organizzato un corso di formazione per giornalisti proprio per tentare di invertire questa rotta.

(Formiche.net, 26 giugno 2023)

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Benjamin Netanyahu: "Abbiamo bisogno dell'Autorità palestinese"

"Lavora bene dove può, il che è vantaggioso per noi. Non è quindi nel nostro interesse che crolli".

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato che il suo governo è pronto per il "dopo Mahmud Abbas", il presidente dell'Autorità Palestinese, che sarebbe malato e molto debole. Ha inoltre sottolineato l'importanza di moderare l'aspirazione dei palestinesi ad avere uno Stato indipendente. Netanyahu ha rilasciato queste dichiarazioni durante una riunione a porte chiuse del Comitato per gli Affari Esteri e la Difesa, secondo quanto riportato dall'emittente pubblica Kan.
  "Siamo pronti per il dopo Abu Mazen (il nome di guerra di Mahmoud Abbas). Abbiamo bisogno dell'Autorità palestinese, non possiamo permettere che collassi", ha dichiarato Benjamin Netanyahu ai membri della commissione sulle relazioni di Israele con l'Autorità palestinese.
  "Siamo pronti ad aiutare finanziariamente l'Autorità Palestinese perché abbiamo interesse che continui a funzionare. Lavora efficacemente dove può, il che è vantaggioso per noi. Quindi non è nel nostro interesse che crolli", ha aggiunto il Primo Ministro israeliano.
  Riguardo all'ambizione dei palestinesi di avere uno Stato indipendente, Benjamin Netanyahu ha dichiarato inequivocabilmente: "La loro ambizione di avere uno Stato deve essere repressa".

(i24News, 26 giugno 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Israele convoca l'ambasciatore ucraino per aver condannato il suo atteggiamento nei confronti della Russia

Il ministero degli Esteri israeliano convocherà l'ambasciatore ucraino Yevgeny Kornichuk per esprimere la sua protesta per i commenti da lui espressi in merito alla posizione del Paese ebraico sul conflitto in Ucraina e sui suoi rapporti con la Russia, ha annunciato, ieri, il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen, citato dalla stampa locale.
  Denunciando le dichiarazioni di Kiev, Cohen ha sottolineato che "nonostante la complessità con la Russia, Israele è stato con l'Ucraina dall'inizio della guerra fino ad oggi", sostenendo "pubblicamente" la sua integrità territoriale e la sua sovranità.
  In tal senso, ha sottolineato  che il suo Paese ha inviato aiuti umanitari all'Ucraina "senza precedenti", precisando che il suo valore quest'anno supererà gli 80 milioni di shekel (22 milioni di dollari) dello scorso anno. Ha anche ricordato che un sistema di allerta aerea israeliano è in fase di verifica a Kiev. 
  L'ambasciata ucraina in Israele ha accusato, ieri, il governo del Paese ebraico sul suo account Twitter di aver optato per una "stretta cooperazione" con la Russia, invece di sostenere Kiev fornendole attrezzature militari.
  "Ciò è dimostrato da una serie piuttosto controversa di eventi che hanno avuto luogo nella prima metà del 2023, in coincidenza con la quasi assenza di assistenza umanitaria israeliana all'Ucraina", si legge nella dichiarazione. Tra questi avvenimenti, l'Ambasciata sottolinea “la fallimentare  visita ” del ministro Cohen a Kiev a febbraio, nonché “una serie di interviste” ai media del premier israeliano Benjamin Netanyahu.
  Netanyahu  aveva dichiarato  ai giornalisti questa settimana che alcune delle armi fornite all'Ucraina dall'Occidente  stanno arrivando ai confini del suo paese. Oltre a sottolineare che ci sono preoccupazioni che se Tel Aviv consegnasse sistemi di difesa a Kiev, potrebbero "cadere nelle mani dell'Iran" e successivamente essere usati contro Israele.

• Kiev: "inerzia" e "demagogia verbale" 
  Secondo la legazione ucraina, "tutte le dichiarazioni rilevanti" fatte da Netanyahu erano volte a " giustificare la completa inerzia" di Tel Aviv nel fornire armi a Kiev. "Inizialmente, gli argomenti si sono concentrati sulle relazioni speciali di Israele con la Russia in Siria", ma ultimamente "sono state introdotte ipotesi completamente fittizie e speculative ", ha affermato.
  L'Ambasciata rimprovera al governo israeliano di aver "condotto con successo due tornate di trattative politiche ad alto livello" con la Russia negli ultimi mesi. Si rammarica inoltre di non aver aderito alle sanzioni antirusse imposte dai Paesi "democratici" dell’Occidente, e di aver anzi incrementato gli scambi bilaterali con Mosca.
  Tutti questi fattori mostrano che la "neutralità" di Israele non è altro che "demagogia verbale” per nascondere la "chiara posizione filo-russa" che ha assunto, ha proseguito. Tuttavia, ha esortato il governo israeliano a mettersi dalla "parte giusta della storia" e fornire armi all'Ucraina.

(l'AntiDiplomatico, 26 giugno 2023)

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"Un posto sotto questo cielo" (Longanesi) di Daniele Scalise

di Michelle Zarfati

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Siamo a Bologna, è il 23 giugno 1858 e due guardie pontificie si presentano alla porta della famiglia Mortara. Hanno un mandato della Santa Inquisizione: Momolo e Marianna Mortara dovranno consegnare loro il piccolo Edgardo. Le guardie affermano che anni prima il bambino è stato battezzato dalla domestica, pertanto non è ritenuto ebreo e hanno l’ordine di portarlo via. Così la vita della famiglia Mortara viene completamente spezzata. I genitori non accettano questa situazione inizialmente, chiedono spiegazioni e aiuto. Ma purtroppo non c'è nulla da fare, sono costretti a lasciare andare loro figlio, un bambino di soli sette anni.
  Questa vicenda, che si inserisce nel doloroso capitolo delle conversioni forzate a cui gli ebrei sono stati costretti per secoli, finisce per destare scalpore in un’opinione pubblica che si stava evolvendo verso la società liberale; tuttavia, anche questo nuovo contesto non smuove il papa Pio IX, che resta irremovibile: il piccolo Edgardo appartiene alla Chiesa. Queste sono le vicende, realmente accadute, che ci racconta Daniele Scalise nel suo romanzo "Un posto sotto questo cielo", una narrazione vibrante e toccante di una complessa pagina di Storia.

(Shalom, 26 giugno 2023)
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Il caso Mortara

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Israele dichiara di aver sventato un attacco iraniano contro gli israeliani a Cipro

Il governo israeliano ha confermato domenica che è stato sventato un complotto iraniano per compiere un attacco contro gli israeliani a Cipro.
  L'ufficio del Primo Ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha rilasciato una dichiarazione in cui ha espresso soddisfazione per il fatto che "l'attacco pianificato contro obiettivi israeliani" è stato impedito, aggiungendo che lo Stato ebraico "utilizza un'ampia varietà di metodi in tutto il mondo per proteggere gli ebrei e gli israeliani e continuerà ad agire per minare il terrorismo iraniano ovunque esso emerga".
  Secondo i media ciprioti, un attacco del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche iraniane (IRGC) contro israeliani ed ebrei a Cipro è stato sventato grazie al coordinamento tra le agenzie di sicurezza cipriote, statunitensi e israeliane.

(French.CHINA.ORG.CN, 26 giugno 2023)

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Se Israele scomparisse

La fine dello Stato ebraico sarebbe la fine di tutti i problemi, pensano i suoi detrattori. E gli estremisti di Fatah preferiscono il fucile al ramoscello d’ulivo

La morte risolve tutti i problemi – si narra che abbia detto Stalin – Niente uomini, niente problemi’. Oggi un numero significativo di persone influenti sta applicando questa logica al conflitto israelo-palestinese. La formulazione è tanto semplice, quanto efficace e criminale: “Niente Israele, niente più problemi”. Così si apre l’articolo di Clifford May su Israel Hayom.
  “I governanti iraniani proclamano apertamente le loro intenzioni genocide. ‘Non arretreremo di fronte all’annientamento di Israele, nemmeno di un millimetro’, ha promesso il generale Abolfazl Shekarchi, portavoce delle forze armate del regime. Hezbollah e Jihad Islamica Palestinese, i tirapiedi di Teheran, hanno lo stesso obiettivo, così come Hamas, l’organizzazione terroristica che controlla la striscia Gaza (anch’essa generosamente sostenuta dal regime islamista). Abu Mazen, il presidente dell’Autorità Palestinese che governa in Cisgiordania, è più guardingo. Non invoca direttamente l’uccisione degli ebrei israeliani, ma elargisce ricompense economiche ai terroristi palestinesi che uccidono ebrei israeliani, e vitalizi alle loro famiglie.
  “Fatima Mousa Mohammed, la dottoranda chiamata il mese scorso a tenere il discorso ufficiale alla cerimonia delle lauree in Giurisprudenza della City University di New York, ha coperto Israele di calunnie per poi esortare alla ‘lotta contro il capitalismo, il razzismo, l’imperialismo e il sionismo in tutto il mondo’. Sui social network aveva auspicato che ‘ogni sionista bruci nella fossa più rovente dell’inferno’. Tanto per essere chiari: prima della costituzione di Israele nel 1948, sionista era chi sosteneva il diritto all’autodeterminazione degli ebrei in una parte della loro patria storica. Dopo il 1948, sionista è chi difende il diritto di Israele a continuare a esistere. L’antisionismo è ormai diffuso nei campus americani. La signora Mohammed lo esprime in modo rozzo. Altri usano un linguaggio più erudito. Ad esempio, quattro affermati professori – Michael Barnett, Nathan Brown, Marc Lynch e Shibley Telhami – hanno pubblicato un saggio sul numero di maggio/giugno di Foreign Affairs, la prestigiosa rivista del Council on Foreign Relations. La tesi del saggio è stata ben sintetizzata da Elliott Abrams, senior fellow di Studi mediorientali presso il Council on Foreign Relations di Washington, con queste parole: ‘Mentre Israele compie 75 anni, Foreign Affairs pubblica un appello per eliminarlo’. Per raggiungere questo obiettivo, i quattro professori vorrebbero che gli Stati Uniti esercitassero forti pressioni su Israele affinché concedesse la cittadinanza a tutti gli arabi palestinesi di Gaza e Cisgiordania. In questo modo gli ebrei diventerebbero una minoranza all’interno di Israele, costretti verosimilmente a vivere sotto il dominio di Hamas o dell’Autorità Palestinese. Cosa ne sarebbe di loro a quel punto? La questione non sembra minimamente interessare gli autori del saggio.
  “Circa il 20 per cento dei cittadini israeliani sono arabi. Un recente sondaggio dell’Israel Democracy Institute ha rilevato che il 77 per cento di loro ‘si sente parte di Israele e ne condivide i problemi’. Quella percentuale è andata aumentando negli ultimi anni. Israele ha realizzato la piena eguaglianza per tutte le sue minoranze? No. Ma quale paese l’ha mai realizzata? Gli arabi israeliani godono di più diritti e libertà delle minoranze non arabe e non musulmane (e anche delle maggioranze arabe e musulmane) di ognuno degli oltre 20 stati che si definiscono arabi e degli oltre 50 che si definiscono musulmani. Gli arabi israeliani sono medici, infermieri, avvocati, giudici, agenti di polizia, imprenditori, politici. Alcuni prestano servizio volontario nell’esercito israeliano. Questi dati di fatto dovrebbero bastare per chiarire come mai l’accusa a Israele di essere uno ‘stato di apartheid’ è semplicemente ridicola. Ma bisogna tenere conto di un commento fatto da Mohammed El-Kurd, corrispondente della rivista The Nation nonché una delle 100 persone più influenti al mondo secondo la rivista Time. Durante l’ultima Settimana degli scrittori di Adelaide, ha ammesso che lui definisce Israele ‘apartheid’ non perché ritenga che il termine sia esatto, ma perché gli serve per imprimere ‘uno slittamento culturale nel modo in cui le persone approcciano e parlano della Palestina … Finché è in atto un discorso in cui il cattivo è chiaramente raffigurato, penso che vada bene’.
  “Forse per questo stesso motivo, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite e il Consiglio Onu per i diritti umani condannano Israele più di tutti gli altri paesi messi insieme, mentre i regimi che minacciano gli israeliani di genocidio non vengono né denunciati né sanzionati. Al contrario, la settimana scorsa i membri dell’Onu hanno eletto per acclamazione la Repubblica Islamica d’Iran come vicepresidente della 78esima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, nonché a una posizione di leadership nella Commissione dell’Assemblea generale per il disarmo e la sicurezza internazionale. Gran bella vittoria per un regime che persegue un programma illegale di armi nucleari, esporta terrorismo, semina devastazione nei suoi vicini mediorientali e opprime ferocemente la sua stessa popolazione.
  “Sorgono spontanee alcune domande. Perché gli autoproclamati campioni della ‘causa palestinese’ non fanno alcuna pressione su Hamas e Autorità Palestinese affinché garantiscano più diritti e libertà ai palestinesi di Gaza e Cisgiordania? Perché ignorano il fatto che, se cessassero gli attacchi missilistici e gli attentati terroristi da Gaza e Cisgiordania, cesserebbero anche i contrattacchi da Israele? Perché non criticano mai i capi palestinesi per aver rifiutato le proposte di soluzione a due stati del 1937, 1947, 2000, 2001 e 2008, né ricordano che i capi palestinesi continuano a rifiutare anche solo l’ipotesi che uno stato palestinese (che ovviamente si definirebbe arabo e musulmano) possa coesistere accanto a uno stato che si definisce ebraico, anziché sostituire e cancellare lo stato ebraico? ‘Non vogliamo il ramoscello d’ulivo – ha dichiarato di recente un portavoce dell’ala militare di Fatah, la fazione più importante all’interno dell’Autorità Palestinese – Vogliamo il fucile per combattere il nemico di Allah e nostro nemico’. Pensate che costui poserebbe il fucile se gli israeliani si ritirassero dalla Cisgiordania (presa alla Giordania dopo che la Giordania aveva attaccato Israele nel 1967)? La maggior parte degli israeliani non lo pensa, giacché nel 2005 si sono ritirati dalla striscia di Gaza (presa all’Egitto in quella stessa guerra difensiva) nella speranza di favorire un processo di pace, e conoscono fin troppo bene i risultati disastrosi di quell’esperimento.
  “Nel XX secolo coloro che cercavano di eliminare gli ebrei si definivano antisemiti. Nel XXI secolo coloro che cercano di eliminare lo stato ebraico si definiscono ‘paladini della giustizia sociale’, ricercatori e operatori di pace. Ma sono definizioni che non possono più essere prese sul serio”.

Il Foglio, 26 giugno 2023)

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Israele vola verso il record: ora l'obiettivo è di 25 milioni di arrivi

Prima parte dell’anno all’insegna dello sprint per il turismo in Israele. Il Paese, che vede sempre il mercato italiano nella top five degli arrivi, nei primi 5 mesi dell’anno ha fatto registrare un incremento del 4 per cento sul record assoluto e per la fine dell’anno ora si punta a superare i 25 milioni di visitatori.
  Attualmente, si legge su Travelmole, Israele ha già raggiunto quota 9,2 milioni e per giugno si prevede di aggiungere altri 2,2 milioni, per poi arrivare al picco di luglio e settembre.
  La netta crescita è stata favorita dall’aumento dei voli, con l’apertura, per la prima volta, a Marocco, Emirati Arabi e Bahrain. Inoltre sono arrivati nuovi collegamenti su Turchia, Tokyo, Dublino, Nigeria e Cape Town.

(TTGItalia, 26 giugno 2023)

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Spirale di violenza in Cisgiordania

Attacchi terroristici, raid militari e scontri tra coloni e residenti

di Anna Balestrieri

Quattro israeliani sono stati uccisi e altri quattro sono rimasti feriti nell’attacco di martedì 20 giugno ad Eli, Cisgiordania. I terroristi, identificati come Mohand Shahada e Khaled Sabah, sono entrati in un ristorante di una stazione di servizio e hanno ucciso quattro persone. Uno dei tiratori, Shahada, è stato colpito e ucciso da un civile armato, mentre Sabah è fuggito, ma è stato successivamente localizzato e ucciso dalle forze di sicurezza israeliane.
  Questa sparatoria segue una serie di violenti incidenti in Cisgiordania negli ultimi giorni, tra cui un raid dell’esercito israeliano a Jenin in cui sei palestinesi sono stati uccisi e sette soldati dell’IDF sono rimasti feriti.
  La situazione rimane tesa e si stanno prendendo misure di sicurezza, compreso il rafforzamento delle truppe nell’area. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato che tutte le opzioni sono sul tavolo e Israele continuerà a combattere il terrorismo. L’attacco ha incancrenito la tensione già alle stelle nell’area da qualche mese. Il ministro della Difesa Yoav Gallant terrà una valutazione sullo stato della sicurezza e il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir ha chiesto un’ampia operazione militare e la ripresa degli omicidi mirati in Cisgiordania. Ci sono state anche richieste per l’imposizione della pena di morte a coloro che sono stati condannati per terrorismo contro cittadini israeliani.
  La sparatoria di martedì fa seguito a una serie di violenze in Cisgiordania nelle settimane precedenti.
  Il 13 giugno i militari israeliani alla ricerca del militante palestinese Issam al-Salaj hanno fatto irruzione nel campo profughi di Balata, circondando un condominio di cemento. I militanti palestinesi hanno aperto il fuoco e lanciato ordigni esplosivi e pietre contro le truppe. Un diciannovenne, Fares Hashash, è stato ucciso. L’esercito israeliano ha ferito, secondo la Mezzaluna Rossa palestinese, altri otto palestinesi, uno dei quali in gravi condizioni. Le forze di sicurezza israeliane si sono ritirate dal campo due ore dopo senza effettuare alcun arresto. Celebrazioni spontanee sono scoppiate nel quartiere colpito mentre i militari israeliani battevano in ritirata. Il presunto obiettivo del raid è stato inneggiato e portato in trionfo da una folla di uomini armati che inneggiavano “Allah haAkbar”!
  Nello stesso giorno della sparatoria ad Eli, un ventenne palestinese è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco in scontri con l’esercito israeliano nella città di Husan, vicino a Betlemme.
  Lunedì 20 giugno le forze di difesa israeliane hanno condotto un raid nella città di Jenin, nel nord della Cisgiordania, dove sei palestinesi sono stati uccisi e sette soldati dell’IDF sono rimasti feriti.
  Secondo l’esercito israeliano, le truppe erano entrate a Jenin per arrestare due sospetti, tra cui il figlio di un alto funzionario di Hamas in Cisgiordania, Jamal Abu al-Hija, al momento detenuto in Israele. Dopo che i sospetti sono stati arrestati, una bomba sul ciglio della strada ha preso di mira veicoli militari israeliani, mettendone fuori uso uno e spingendo gli elicotteri dell’esercito ad aprire il fuoco per evacuare le forze israeliane. L’operazione ha evocato negli abitanti di Jenin i ricordi delle incursioni delle forze di difesa israeliane (IDF) durante la seconda intifada. Haaretz ha confermato che il dispiegamento di elicotteri da combattimento di lunedì in Cisgiordania non si era verificato dalla seconda intifada nei primi anni 2000.
  Il raid ha avuto luogo nel quartiere di Algabriyat, dove le truppe israeliane hanno preso il controllo dell’area e hanno appostato cecchini negli edifici. Due palestinesi sono stati arrestati, tra cui un ex prigioniero speciale e il figlio di un leader di Hamas. Anche i giornalisti che coprivano il raid sono stati presi di mira con colpi di arma da fuoco.
  Giovedì 22 giugno un filmato ha immortalato coloni israeliani mascherati vandalizzare una moschea nel villaggio di Urif in Cisgiordania, paese natale dei due terroristi responsabili dell’attacco a fuoco nell’insediamento di Eli. Uno dei coloni, con un cane al guinzaglio, viene ripreso mentre fa a pezzi il Corano strappandone le pagine nelle immediate vicinanze della moschea. I coloni, entrati nel villaggio dall’insediamento di Yitzhar, avrebbero anche appiccato il fuoco a una scuola e tentato di appiccare il fuoco a delle case e ad una moschea.
  Il sindaco di Urif ha affermato che hanno anche sabotato ed interrotto la corrente nel villaggio, causando disagi ai residenti. Ha criticato la revoca dei permessi di ingresso a chi ha lo stesso cognome dei terroristi, considerandola una punizione collettiva, in particolare in un villaggio in cui esistono solo tre grandi famiglie e l’omonimia è la prassi. Un simile incidente ha visto coloni appiccare il fuoco a case e veicoli nel villaggio palestinese di Turmus Aya.
  Nell’evidente contraddizione tra gli sforzi per eliminare il terrorismo e l’espansione degli insediamenti in Cisgiordania, spicca la dichiarazione del deputato Simcha Rothman, che ha paragonato le rappresaglie squadriste dei coloni su cittadini innocenti ed inermi alle azioni dei manifestanti anti-riforma, equiparandone la legittimità in forma di protesta.
  In seguito agli incidenti di Urif e Turmus Ayya, sono scoppiati scontri tra forze di sicurezza e palestinesi e una persona sarebbe stata uccisa a colpi di arma da fuoco. L’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele Tom Nides ha condannato la recente violenza dei coloni e ha affermato che gli Stati Uniti non rimarranno a guardare, esortando Israele e le sue agenzie di sicurezza a prendere le misure necessarie per prevenire tali violenze.
  Anche il ministero degli Esteri turco e il ministro egiziano per la religione hanno condannato la furia dei coloni, in particolare l’attacco al Corano, chiedendo che gli autori siano assicurati alla giustizia.
  Hamas ha elogiato le azioni di Shahada ma non ha rivendicato la responsabilità dell’attacco. Hanno fatto riferimento alla sparatoria come una risposta a quelli che percepiscono come crimini israeliani, compresi i recenti eventi al campo profughi di Jenin e alla moschea di Al-Aqsa.
  È di sabato 24 giugno, la notizia di una retata di dozzine di coloni, con identiche modalità operative, nel villaggio palestinese di Umm Safa, vicino a Ramallah. Secondo i testimoni, l’esercito israeliano avrebbe protetto gli assalitori senza contrastare la loro furia distruttrice. Il portavoce dell’IDF, al contrario, ha condannato esplicitamente le azioni dei coloni come “crimini nazionalisti”, affermando di aver arrestato uno dei partecipanti.

(Bet Magazine Mosaico, 25 giugno 2023)

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L'interesse di Cristo

Dalla Sacra Scrittura

FILIPPESI, cap. 1

  1. Soltanto, comportatevi in modo degno del vangelo di Cristo, affinché, sia che io venga a vedervi sia che io resti lontano, senta dire di voi che state fermi in uno stesso spirito, combattendo insieme con un medesimo animo per la fede del vangelo, 
  2. per nulla spaventati dagli avversari. Questo per loro è una prova evidente di perdizione; ma per voi di salvezza; e ciò da parte di Dio. 
  3. Perché vi è stata concessa la grazia, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in lui, ma anche di soffrire per lui, 
  4. sostenendo voi pure la stessa lotta che mi avete veduto sostenere e nella quale ora sentite dire che io mi trovo.

FILIPPESI, cap. 2

  1. Se dunque v'è qualche incoraggiamento in Cristo, se vi è qualche conforto d'amore, se vi è qualche comunione di Spirito, se vi è qualche tenerezza di affetto e qualche compassione, 
  2. rendete perfetta la mia gioia, avendo un medesimo pensare, un medesimo amore, essendo di un animo solo e di un unico sentimento
  3. Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a se stesso, 
  4. cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri. 
  5. Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, 
  6. il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, 
  7. ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; 
  8. trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. 
  9. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, 
  10. affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, 
  11. e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre.
  12. Così, miei cari, voi che foste sempre ubbidienti, non solo come quando ero presente, ma molto più adesso che sono assente, adoperatevi al compimento della vostra salvezza con timore e tremore; 
  13. infatti è Dio che produce in voi il volere e l'agire, secondo il suo disegno benevolo. 
  14. Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute
  15. perché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale risplendete come astri nel mondo, 
  16. tenendo alta la parola di vita, in modo che nel giorno di Cristo io possa vantarmi di non aver corso invano, né invano faticato. 
  17. Ma se anche vengo offerto in libazione sul sacrificio e sul servizio della vostra fede, ne gioisco e me ne rallegro con tutti voi; 
  18. e nello stesso modo gioitene anche voi e rallegratevene con me.

PREDICAZIONE

Marcello Cicchese
novembre 2006




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"Netanyahu, ai confini trovate armi anti tank occidentali"

Netanyahu: «Ai confini di Israele trovate armi anticarro occidentali»

TEL AVIV - Armi anti tank di fabbricazione occidentale sono state trovate ai "confini di Israele". Lo ha rivelato il premier Benyamin Netanyahu in una intervista al Jerusalem Post nella quale ha motivato le ragioni della politica di Israele nei confronti degli aiuti militari a Kiev. "Temiamo - spiegato - che qualsiasi sistema dato all'Ucraina sia usato contro di noi perché potrebbe cadere nelle mani dell'Iran. E a proposito, questa non è una possibilità teorica. In realtà è successo con le armi anticarro occidentali che ora troviamo ai nostri confini. Quindi dobbiamo stare molto attenti".
  Secondo Netanyahu, Israele "si trova in una situazione particolare, diversa da, per esempio, Polonia, Germania, Francia o qualsiasi altro paese occidentale che sta aiutando l'Ucraina". "Prima di tutto - ha spiegato - abbiamo uno stretto confine militare con la Russia. I nostri piloti stanno volando proprio accanto ai piloti russi nei cieli della Siria. E penso che sia importante mantenere la nostra libertà di azione contro i tentativi dell'Iran di posizionarsi militarmente sul nostro confine settentrionale". Il premier israeliano - dopo aver detto di voler che il conflitto finisca e con esso "l'orribile perdita di vite umane" - ha poi sottolineato che Israele si può trovare "nella posizione di aiutare a porre fine a questo conflitto". "Non sono sicuro che accadrà. Potrebbe essere del tutto ipotetico, ma - ha concluso - potrebbe accadere".

(ANSAmed, 24 giugno 2023)


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Netanyahu: le armi occidentali fornite all’Ucraina sono già “ai confini di Israele”

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha riconosciuto che alcune armi fornite dall’Occidente all’Ucraina sono state trovate lungo le linee di confine del suo paese.
  In un’intervista pubblicata il 22 giugno dal The Jerusalem Post , il leader israeliano ha spiegato alcuni dei motivi per cui Tel Aviv ha rifiutato di sostenere militarmente il governo di Volodimir Zelenski.
  Uno di questi motivi, ha detto, è il timore che le armi occidentali mettano a rischio la sicurezza nazionale di Israele.
  “Siamo preoccupati che qualsiasi sistema che consegniamo all’Ucraina possa essere usato contro di noi, in quanto potrebbe cadere nelle mani dell’Iran ed essere usato contro di noi. E comunque, non è una possibilità teorica. In realtà è successo con i sistemi anti-carro occidentali, armi che ora troviamo nei nostri confini. Quindi dobbiamo stare molto attenti a questo riguardo”, ha detto Netanyahu.
  Secondo il primo ministro, Israele non cambierà la sua posizione neutrale riguardo all’operazione militare di Mosca in Ucraina.
  “Israele si trova in una situazione particolare, diversa dalla Polonia, dalla Germania, dalla Francia o da qualsiasi altro paese occidentale che sta aiutando l’Ucraina. Prima di tutto, abbiamo uno stretto confine militare con la Russia. I nostri piloti stanno volando proprio accanto ai piloti russi nei cieli sopra la Siria. E penso che sia importante mantenere la nostra libertà di azione di fronte ai tentativi dell’Iran di posizionarsi militarmente sul nostro confine settentrionale”, ha affermato.Il giornalista Seymour Hersh afferma che l’Occidente sa che le armi spedite a Kiev finiscono sul mercato nero
  Tuttavia, Netanyahu non ha escluso la possibilità che, a un certo punto, il suo Paese trovi un modo per “aiutare a porre fine a questo conflitto”.
  “Non sono sicuro che accadrà. Potrebbe essere del tutto ipotetico, ma potrebbe accadere”, ha detto.
  “Bisogna essere molto prudenti negli affari internazionali. C’è simpatia, c’è aiuto per la protezione civile. Ma penso che dobbiamo tracciare il limite con attenzione e la gente lo capisce. Devo dire che la maggior parte dei capi di governo dei paesi occidentali, quando glielo spiego, sostanzialmente annuiscono e sono d’accordo”, ha aggiunto.
  Il 16 giugno, l’agenzia di stampa Walla ha riferito che Kiev ha richiesto forniture di sistemi di difesa aerea e antimissile , come l’Iron Dome, da Israele . Tuttavia, queste richieste sono state respinte dalle autorità israeliane a causa dei timori di Tel Aviv che le sue tecnologie segrete potessero cadere nelle mani dell’Iran.

(Controinformazione, 23 giugno 2023)

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Israele: centinaia di drusi protestano contro il governo

"Con il sangue e il fuoco, abbiamo riscattato le alture del Golan", hanno scandito i partecipanti

Centinaia di membri della comunità drusa si sono riuniti questo venerdì sera nel villaggio di Yassif per manifestare contro la politica del governo, dopo che il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir ha ordinato la ripresa dei lavori di infrastruttura per la costruzione di turbine nelle piantagioni agricole vicino agli insediamenti della regione. "Abbiamo riacquistato le alture del Golan con il sangue e il fuoco", hanno cantato i partecipanti in segno di protesta.
  Yasser Ghadban, capo del consiglio di Kisra-Sumei, ha criticato il capo del governo Benjamin Netanyahu nel suo discorso. "Sta mandando Ben Gvir a dichiarare guerra alla comunità drusa, siamo pronti alla guerra", ha detto. "Le decisioni del governo sono razziste e la politica del ministro Ben Gvir è un fallimento", hanno aggiunto i manifestanti. "Non accettiamo istruzioni da nessuno, nemmeno da Ben Gvir. Qualsiasi tentativo di minare il legame dei drusi con il sito riceverà una risposta immediata dalla comunità", ha dichiarato il leader spirituale della comunità drusa, lo sceicco Mwapak Tarif.
  Se non otterremo una risposta alle nostre richieste, la comunità drusa si troverà in una posizione mai raggiunta prima". Tutto questo sotto il dettato della legge che ci permette di manifestare, ovviamente lontano dalla violenza che la nostra religione condanna, ma ogni attacco a uno dei nostri nel Golan è un attacco all'onore della comunità drusa", ha detto.
  Martedì scorso, le forze di polizia sono arrivate per mettere in sicurezza la costruzione di turbine eoliche nel nord delle Alture del Golan. Il loro arrivo ha scatenato una rivolta e scontri durati per ore tra la polizia e gli abitanti drusi, che sostenevano che le turbine eoliche venivano costruite su terreni agricoli. Le violenze diffuse, tra cui munizioni vere, lanci di pietre e bombe molotov, hanno portato a un incontro congiunto tra il Primo Ministro Netanyahu e lo sceicco Tarif.
  L'azienda responsabile dei lavori è stata incaricata di congelarli, ma il ministro Ben Gvir ha disapprovato la decisione e ha ordinato di riprendere i lavori fino alla Festa del Sacrificio. L'azienda Energix ha minacciato di intraprendere un'azione legale contro lo Stato "se il progetto non andrà avanti". Durante una discussione interna, il capo della polizia Shabtai si è detto favorevole a fermare i lavori fino a dopo la Festa del Sacrificio della prossima settimana. Il ministro Ben Gvir, invece, si è opposto e ha affermato che si tratta di "una ricompensa per i lanciatori di pietre e i rivoltosi". "Contrariamente a notizie errate, la polizia israeliana non ha ordinato l'arresto dei lavori di costruzione delle turbine eoliche sulle Alture del Golan, una decisione che può essere presa solo a livello politico", ha dichiarato la polizia.

(i24, 23 giugno 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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“Un governo Cer che esprima la volontà degli elettori”

Intervista ad Antonella Di Castro, candidata presidente di Per Israele

di Ariela Piattelli

Antonella Di Castro
Un governo della Comunità Ebraica di Roma che rispecchi quanto espresso dagli elettori, anche in termini di proporzioni. Così Antonella Di Castro, candidata presidente di Per Israele, che con uno scarto di 51 voti rispetto alla lista Dor va Dor è la seconda lista più votata alle elezioni del 18 giugno, vede la composizione della nuova leadership della Cer.

- Antonella Di Castro, la lista Per Israele avrà nel nuovo Consiglio Cer 10 seggi, come Dor va Dor, mentre Ha Bait ne avrà 7. Come interpreta il risultato elettorale?
  È un risultato molto chiaro. La lista Per Israele ha raggiunto il 36%, dunque 10 seggi, lo stesso numero della lista Dor va Dor. Abbiamo avuto un ampio consenso determinato dalla spinta di rinnovamento proposto agli elettori, espresso sia nei contenuti sia dalle formazione dei candidati (nuove professionalità, giovani e donne) scelte tutte premiate dal voto  con la relativa elezione. Per Israele è la lista che nel nuovo consiglio porterà 5 donne e 3 giovani under 35 a contribuire al futuro della nostra comunità, questo lo consideriamo un risultato eccellente per tutti noi. Una grande fiducia alla nostra lista è stata espressa anche alla consulta, organo fondamentale per la gestione Cer, che di fatto vede Per Israele la lista più votata.

- Victor Fadlun, il candidato presidente della lista Dor Va Dor, che ha ottenuto il maggior numero di voti, auspica ad un governo di larghe intese. Lei è d’accordo con questa visione?
  È doveroso riconoscere a tutti i candidati eletti il diritto di avere un ruolo nel nuovo governo, rispecchiando l’espressione del voto. Ognuno con la sua visione, nel rispetto dei principi di ciascuna lista. Cercheremo condivisione senza abdicare ai valori che appartengono alla nostra comunità perché crediamo che siano proprio questi ad aver garantito la continuità della presenza ebraica a Roma. Dunque consenso a larghe intese con rappresentatività su base proporzionale.

- Come state affrontando la fase della formazione del nuovo governo Cer?
  Il criterio si basa sulla volontà di formare un governo capace di far crescere la Comunità in ogni ambito, non solo di “portarla avanti”. Credo  che il rispetto dei valori sia fondamentale per questa crescita, assieme alla scelta delle competenze che possano affrontare le sfide di oggi. D’altra parte questo ci chiede una buona parte degli elettori, che ha scelto di votare Per Israele: continuità in termini di valori e anche innovazione. Quindi questa è la direzione in cui ci muoviamo, senza dimenticare il ruolo fondamentale del Rabbino Capo e avendo chiaro che la nostra comunità è prima di tutto un ente morale.

- Per Israele, Dor va Dor e Ha Bait hanno visioni differenti su molti temi. State cercando punti d’incontro?
  Vogliamo garantire che il prossimo governo rispecchi l’espressione del voto degli elettori, è importante farlo nelle giuste proporzioni. Certamente la costruzione del nuovo governo deve partire dalla ricerca di un terreno comune su cui lavorare. In ogni caso non possiamo dimenticare che se le competenze sono importanti, queste non rappresentano l’unica visione, ci sono le idee e i principi condivisi con i nostri elettori.

(Shalom, 23 giugno 2023)

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Alpine arriva in Israele

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ROMA - Alpine ha aperto il suo primo showroom in Israele, presso il Freesbe Center a Rishon LetZion nei pressi di Tel Aviv. " Siamo orgogliosi di presentare finalmente Alpine, la mitica Marca sportiva francese, ai clienti israeliani. Sono certo che gli appassionati di auto sportive apprezzeranno questa linea di prodotti originale, ricca di storia e dal comportamento unico su strada come su pista" ha spiegato Roy Schory, Direttore Generale delle Marche Renault e Dacia presso Freesbe.
  Alpine è senza dubbio l'incarnazione delle auto alla francese, fondata su tante vittorie nel mondo delle gare. E' una marca con una forte eredità e un track record incredibile. E' anche uno stabilimento di esperti altamente qualificati che producono l'A110 a Dieppe, in Francia. Alpine è il fiore all'occhiello del Gruppo Renault nel motorsport, che consente di tradurre il know-how e l'eccellenza della Formula 1, dell'Endurance e degli ex team di Renault Sport in modelli adatti non solo per la pista, ma anche per la strada.
  "Siamo contenti di aprire, per la prima volta in Israele, il nostro 144° punto vendita Alpine nel mondo e di proporre al suo interno tutta la gamma A110. E', oltretutto, un Paese promettente per sostenere l'ingresso di Alpine nel settore dei veicoli elettrici e i suoi obiettivi ambiziosi di crescita ed espansione internazionale" ha spiegato Emmanuel Al Nawakil. Direttore Vendite, Reti e Lanci di Alpine.
  Dal 2021 e con il piano strategico Renaulution, Alpine si è affermata come una Marca dedicata alle auto sportive innovative, autentiche ed esclusive. La Marca entra nell'era dei veicoli elettrici con l'arrivo del suo dream garage composto da 3 auto: la city car sportiva A290, il Crossover GT di segmento C e la rivisitazione della mitica A110. Alpine ha, inoltre, ribadito i suoi obiettivi ambiziosi di espansione sui mercati internazionali in nuovi territori facendo leva su una gamma di prodotti ampliata.

(Italpress, 23 giugno 2023)

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Operazione israeliana a Nablus: arrestati quattro palestinesi

Negli scontri due palestinesi sono rimasti feriti e decine hanno accusato sintomi da soffocamento

All’alba di questa mattina, le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno effettuato un’incursione nei quartieri orientali di Nablus, in Cisgiordania, dove hanno arrestato quattro cittadini palestinesi. Lo hanno riferito “fonti della sicurezza” dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) all’agenzia di stampa “Wafa”.
  Due palestinesi sono rimasti feriti e decine hanno accusato sintomi da soffocamento, negli scontri esplosi tra le Idf e gruppi di giovani palestinesi che hanno tentato di impedire loro l’accesso alla città. Ieri sera, invece, un palestinese era stato ferito negli scontri con i militari israeliani, in prossimità dell’accesso principale alla città di Deir Dibwan, a est di Ramallah, che poco prima era stata oggetto di un tentativo di attacco da parte di “coloni”.
  Secondo quanto riferito dal corrispondente di “Wafa”, gruppi di giovani palestinesi hanno impedito loro di entrare in città. Nella stessa serata di ieri, secondo l’agenzia di stampa “Maan”, un palestinese è stato ferito alla testa da proiettili di gomma, mentre altri tre sono stati colpiti da pietre, durante gli scontri con un gruppo di “coloni israeliani”, nel villaggio di Jalloud, a sud di Nablus. Poco prima, infatti, “decine di coloni, sotto la protezione delle Idf, avevano assaltato le abitazioni alla periferia del villaggio”. Episodi simili, inoltre, sono avvenuti in altri villaggi della Cisgiordania, dove, secondo “Wafa”, gli attacchi sono compiuti da “estremisti israeliani”.
  Come riferito dal quotidiano israeliano “The Times of Israel”, il portavoce delle Idf, Daniel Hagari, ha dichiarato ieri che i militari israeliani “non sono riusciti a impedire” simili attacchi, definiti “molto gravi”. Hagari, dunque, ha criticato tali episodi che “creano terrore e tensioni e trascinano la popolazione nella paura e la spingono verso l’estremismo, impedendo alle Idf di combattere il terrorismo con le loro operazioni ordinarie”.

(Nova News, 23 giugno 2023)

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Nelle carte desecretata la verità su Ustica: «Fu una bomba nel bagno»

Da circa sei mesi i documenti sul disastro sono consultabili. Chi li ha letti, come Giovanardi, è sicuro: tutto porta alla pista della vendetta palestinese.

di Francesco Borgonovo

QUANDO E DOVE

Il disastro è avvenuto alle 20.59 del 27 giugno 1980 nel Mar Tirreno meridionale, tra le isole italiane di Ponza e Ustica.
LE VITTIME

Morirono 77 passeggeri e 4 membri dell'equipaggio, per un totale di 81 persone.

LE IPOTESI

In molti hanno sostenuto che il Dc9 si sia trovato sulla linea di fuoco durante un combattimento aereo.

I FATTI

I periti chiariscono: è stata una bomba piazzata nella toilette del velivolo


«Come mai tutti hanno fatto film, libri e serie tv su Ustica e fino a sei mesi fa nessuno ha mai visto una carta relativa al caso?» Carlo Giovanardi è ancora più determinato del solito. Fra pochi giorni, il 27 giugno, ricorre l'anniversario della strage di Ustica a cui l'inossidabile democristiano modenese dedica da tempo molte fatiche. Ma quest'anno c'è una novità: per la prima volta alle commemorazioni parteciperà ufficialmente l'Associazione per le verità sul disastro aereo di Ustica presieduta da Giuliana Cavazza (figlia di una vittima) e Flavia Bartolucci. Il loro gruppo è stato riconosciuto dal governo Draghi, che a quanto pare ha fatto anche qualcosa di buono, anzi di molto buono. Perché, sei mesi fa circa, ha tolto finalmente ogni forma di segreto sui documenti relativi a uno dei più grandi misteri italiani.
   O, meglio, su un caso che - sostiene Giovanardi - non è più così tanto misterioso. «Dal punto di vista tecnico», dice, «non c'è alcun dubbio. Quanto accaduto è indiscutibile: una bomba è esplosa nella toilette di bordo dell'aereo, ci sono 1.400 pagine di perizia che lo dimostrano. Il problema, semmai, è sapere chi ha messo la bomba. Quindi chi ha fatto libri, sceneggiati eccetera li ha fatti senza sapere nulla. I giornalisti italiani per 40 anni hanno parlato di qualcosa che era segreto e di cui dunque non potevano sapere niente. La verità è che 11 fra i maggiori periti del mondo hanno stabilito - con una certezza del 100% - che l'aereo è stato abbattuto da un'esplosione nella toilette».
   Queste dichiarazioni Giovanardi le ha ripetute nei giorni scorsi in qualche intervista, suscitando le ire dell'Associazione parenti delle vittime della strage di Ustica guidata da Daria Bonfietti, che da sempre sostiene posizioni molto diverse. «Bisognerà pur dire una volta per tutte a Giovanardi e ai sostenitori della bomba come causa dell'abbattimento del Dc9 Itavia nei cieli di Ustica che è la magistratura il riferimento per le sue tesi e per le prove. E’ la magistratura che deve essere convinta, che deve accettare le ricostruzioni», ha detto la Bonfietti un paio di giorni fa. A darle man forte ci ha pensato il deputato Pd Andrea De Maria, secondo cui quelle di Giovanardi sarebbero «tesi infondate». Per Daniele Osnato, avvocato che rappresenta un gruppo di familiari delle vittime della strage, Giovanardi racconterebbe «fandonie». L'ex esponente dell'Ude, tuttavia, prosegue granitico. «Fino a otto anni fa, su quei documenti relativi a Ustica era posto il segreto di Stato, dunque non li potevano vedere nemmeno i magistrati. Poi, tolto il segreto, sono stati classificati segreti e segretissimi, quindi vi poteva accedere solo chi, come me, ha fatto parte della commissione d'inchiesta sul caso Moro. In quanto parlamentare, io quelle carte ho potuto vederle e prendere nota. Tre anni fa venni chiamato a Roma dal governo Conte. Mi hanno fatto incontrare il capo dei servizi e il capo di gabinetto di Conte, che minacciò di avviare un procedimento penale nei miei confronti se avessi resi noto il contenuto delle carte. Poi scrissero alla signora Cavazza che per questioni di interesse nazionale nemmeno i parenti delle vittime potevano rendere pubblici i documenti».
Il relitto del Dc9 Itavia affondato nel Tirreno il 27 giugno 1980'

Proprio ieri Giuliana Cavazza e Flavia Bartolucci sono tornate sull'argomento, rispondendo alle accuse di Daria Bonfietti e degli esponenti Pd. «Dovremmo condividere l'obbiettivo della verità per Ustica e non esiste un monopolio del dolore», hanno scritto. «Vogliamo rassicurare la presidente Bonfietti di aver segnalato l'importanza delle carte ai magistrati inquirenti, con in quali siamo naturalmente in contatto, nella speranza di aiutarli a individuare i responsabili materiali e i mandanti della strage». Ebbene, anche secondo Cavazza e Bartolucci le carte recentemente desecretate sono fondamentali per comprendere che cosa sia davvero successo a Ustica.
   «Dal punto di vista tecnico», precisa Giovanardi, «questi documenti non dicono nulla che già non si sapesse, perché la commissione di indagine nel processo penale aveva già appurato la verità. La Bonfietti e Osnato continuano a parlare dell'ordinanza del giudice Priore con cui si è dato il via, a suo tempo, al procedimento penale». Solo che - come rimarcano Cavazza e Bartolucci «l'ordinanza di rinvio a giudizio del giudice istruttore delle carte Priore è stata smentita in ogni grado di giudizio, fino alla Cassazione. Non è pertanto possibile pretendere di adottarla per minimizzare l'importanza delle carte recentemente desecretate». Giovanardi, dal canto suo, rincara la dose: «Quell'ordinanza di Priore ha lo stesso valore dell'atto con cui fu rinviato a giudizio Enzo Tortora: nessuno. Nella sentenza penale su Ustica l'ipotesi che l'aereo sia stato abbattuto dopo una battaglia aerea è presentata come roba di fantascienza. Bonfieschi e gli altri continuano a richiamare non la sentenza definitiva che ha assolto i generali italiani, ma l'atto di inizio del processo. Quanto al processo civile, non si è mai interessato delle cause dell'abbattimento. Anche in virtù di alcuni errori commessi durante il procedimento, ha preso per buona una tesi ma senza svolgere alcun approfondimento».
   Ma che cosa c'è nelle carte desecretate di così importante? Beh, tra le altre cose c'è il carteggio tra il governo italiano dell'epoca e la nostra ambasciata a Beirut. In particolare ci sono le comunicazioni del capo centro del Sismi, il colonnello Giovannone, che tirano in ballo il noto caso dei missili di Ortona. Nella notte tra il 7 e l’8 novembre 1979 nella città abruzzese furono fermati alcuni militanti di Autonomia operaia che trasportavano due missili terra-aria spalleggiabili. A seguito di quella vicenda fini in carcere anche Abu Anzeh Saleh, cittadino giordano e referente italiano del Fronte popolare di liberazione della Palestina. Ebbene, stando alle comunicazioni del colonnello Giovannone, i palestinesi avevano più volte minacciato ritorsioni nel caso in cui Saleh non fosse stato liberato. Dal loro punto di vista erano nel giusto. In seguito a quello che fu denominato «lodo Moro», l'Italia aveva concesso ai palestinesi libertà di movimento sul territorio nazionale, in cambio di protezione dagli attentati.
   «Volevano che Saleh fosse liberato, altrimenti ci avrebbero colpito», ricostruisce Giovanardi, spiegando che nel dossier Ustica le segnalazioni in questo senso sono numerose. Giovannone inviò dispacci sempre più allarmati. «Il 12 maggio 1980», dice Giovanardi, «si fa presente che il 18 sarebbe scaduto l'ultimatum per la risposta da parte delle autorità italiane alla richiesta del Fronte di scarcerare Saleh. In caso di risposta negativa la maggioranza della dirigenza e la base del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina dichiarava che avrebbero ripreso, dopo sette anni, la propria libertà d'azione nei confronti dell'Italia e dei suoi interessi, con operazioni che avrebbero potuto anche colpire innocenti». Questo, in buona sostanza, sarebbe il segreto di Ustica. L'Italia, rifiutando di liberare Saleh, avrebbe contravvenuto agli accordi presi con i palestinesi - il cosiddetto lodo Moro» - suscitando una risposta violenta: l'attentato al Dc9. Questa ricostruzione toglie di mezzo le ipotesi sugli interventi americani e francesi, e soprattutto leverebbe responsabilità ai militari italiani che nel corso degli anni sono stati coinvolti nella vicenda. Qualcuno potrebbe dire: ma se era tutto scritto lì, perché mantenere il segreto per anni? La risposta potrebbe essere fin troppo semplice: ammettere l'esistenza di accordi con i palestinesi significherebbe ammettere di aver concesso a gruppi combattenti di agire liberamente per attaccare Israele, che è nostro alleato (almeno in teoria). Meglio creare l'ennesimo mistero che rivelare verità non troppo onorevoli.

(La Verità, 23 giugno 2023)

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Fotografia delle manifestazioni contro la riforma giudiziaria in Israele vince il primo premio al Drone Photo Aawards

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Il fotografo israeliano Or Adar ha vinto il premio Photographer of the Year nella competizione internazionale Drone Photo Awards per la sua immagine aerea chiamata Must Resist, che cattura migliaia di manifestanti per le strade di Tel Aviv contro la riforma giudiziaria voluta dal governo Nethanyahu. Lo riporta il sito di Haaretz.
  I Drone Awards sono un concorso internazionale di fotografia aerea e video che si tiene ogni anno con il preciso scopo di mettere in mostra il lavoro fotografico separato dalla fotografia tradizionale. È un progetto di Siena Awards dedicato a un genere fotografico diverso rispetto alla fotografia tradizionale. Il premio fotografico è aperto ai video ed alle immagini aeree riprese da droni, velivoli ad ala fissa, elicotteri, veicoli aerei senza pilota, mongolfiere, dirigibili, aquiloni e paracadute.
  Per vincere il titolo, l’immagine di Adar ha ricevuto il punteggio più alto da una giuria, tra le candidature a nove diverse categorie. La fotografia di Adar, insieme ai vincitori della categoria, sarà esposta a Siena per tutto il mese di novembre.
  La fotografia cattura solo una delle 24 settimane di proteste contro il piano del governo israeliano di revisione del sistema giudiziario del paese, che propone di trasferire maggiori poteri al governo e allontanare la Corte Suprema sia nelle decisioni legislative che nelle nomine giudiziarie.

(Bet Magazine Mosaico, 23 giugno 2023)

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Israele all’attacco per il Tour, ma non c’e’ posto per Froome

di Francesca Monzone

D’accordo, i problemi fisici e una prestazione che non è mai tornata su livelli accettabili, ma l’esclusione di un quattro volte vincitore dalla formazione del Tour de France fa sempre scalpore: Là Israele – Premier Tech Chris Froom per la Grande Boucle 2023. L’anno scorso il britannico era stato costretto al ritiro alla 18a tappa causa covid e l’anno precedente, al rientro dopo il terribile incidente del 2019, aveva chiuso al 133° posto.
  La formazione israeliana ha infatti deciso di schierarsi al via del Tour de France con una squadra poliedrica che andrà ancora una volta alla ricerca delle vittorie di tappa.
  «Ci presenteremo con una squadra pronta a correre in maniera aggressiva e con l’obiettivo principale di puntare alla vittoria di tappa – ha detto il direttore sportivo Rik Verbrugghe -: sappiamo tutti quanto sia difficile vincere una tappa al Tour, ma credo che ognuno dei nostri otto corridori ha quello che serve per raggiungere l’impresa. Mi piacerebbe vedere la squadra correre con lo stesso atteggiamento ed entusiasmo che abbiamo avuto all’ultimo Giro d’Italia. Se ci riusciremo, penso che faremo una grande gara».
   Michael Woods e Dylan Teuns saranno i protagonisti delle tappe di montagna, mentre i vincitori di tappa dell’anno scorso . Simon Clarke e Hugo Houle avranno il compito di fare la differenza nelle tappe percorse insieme. Corbin Forte farà il suo debutto al Tour e potrà contare sul supporto di Guillaume Bovino per arrivi rapidi.
  Dopo la sua vittoria a La Route d’Occitanie la scorsa settimana, lo stesso Michael Woods è ansioso di correre e si dice fiducioso di poter fare bene subito alla Grand Depart nei Paesi Baschi.
  La formazione completa di Israel Premier Tech è composta da: Guillaume Boivin (CAN), Simon Clarke (AUS), Hugo Houle (CAN), Krists Neilands (LAT), Nick Schultz (AUS), Corbin Strong (NZL), Dylan Teuns (BEL) , Michael Woods (CAN).

(ITALY 24, 23 giugno 2023)

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Israele non ha bisogno di operazioni di vasta portata in Cisgiordania, ma di una migliore intelligence

di Yossi Yehoshua

L’orribile attacco terroristico avvenuto martedì nell’insediamento di Eli non dovrebbe sorprendere il Primo Ministro Benjamin Netanyahu o il Ministro della Difesa Yoav Gallant.
  È passato un po’ di tempo da quando l’IDF ha presentato la sua valutazione secondo cui due aree sono particolarmente volatili in Israele nel 2023: il fronte settentrionale a causa dell’Iran e di Hezbollah, e la Cisgiordania a causa del terrorismo palestinese.
  Mentre la questione iraniana è stata ampiamente affrontata, l’attacco di martedì richiede un focus sulla Cisgiordania per far luce sulle complessità dell’area. L’attacco di Eli è stato il più grave dall’inizio dell’anno nelle aree della Cisgiordania.
  Da gennaio 2023, il numero di vittime di attacchi terroristici è di 28 israeliani, rispetto ai 20 dello stesso periodo dell’anno scorso. Anche il numero di allarmi terroristici è più alto rispetto all’anno scorso, anche se non così alto come durante la seconda Intifada.
  Tuttavia, è chiaro che i terroristi della regione operano con maggiore sicurezza e notevole audacia.
  Ciò è stato evidente nell’operazione contro le forze dell’IDF a Jenin (in cui sono stati uccisi sei militanti palestinesi) e nella risposta di Hamas all’attacco a Eli, che è stato pre-pianificato e organizzato, portato a termine spontaneamente da pochi individui, come il gruppo terroristico palestinese Lion’s Den.
  Questi sviluppi impongono a Israele di rivedere la sua politica, in particolare nei confronti di Hamas a Gaza. Yahya Sinwar e Mohammed Deif alimentano il terrore in Cisgiordania mentre a Gaza godono della calma e di una serie di concessioni israeliane senza precedenti.
  È nell’interesse di Israele migliorare la situazione economica della Striscia di Gaza, assumere più lavoratori e creare un meccanismo di pressione interna per dissuadere Hamas dall’iniziare un altro ciclo di combattimenti.
  Nel frattempo, però, l’organizzazione terroristica si preoccupa di incoraggiare gli attacchi nei territori palestinesi, godendo della pace, e si aspetta un’azione israeliana che indebolisca l’Autorità palestinese.
  Questa valutazione è stata presentata ad alti funzionari israeliani, ma anche l’esercito, lo Shin Bet e le forze di sicurezza sono responsabili delle operazioni a Gaza.
  La seconda questione che si pone, soprattutto nei media e tra alcuni ministri di destra, è quella di una vasta operazione nel nord della Cisgiordania. Va detto che anche il Comando centrale dell’IDF ritiene che tale operazione debba essere limitata e di breve durata in un’area specifica e definita.
  Se la gente conta su un’altra operazione sul tipo di Defensive Shield, dovrebbe dimenticarsene. Allo stesso modo, l’IDF e lo Shin Bet sono convinti che i terroristi si trovino nei campi profughi di Nablus e Jenin, mentre altri tre milioni di palestinesi non sono interessati alla guerra ma a migliorare la loro situazione sociale ed economica.
  Per questi motivi, in questa fase, i funzionari della sicurezza sono d’accordo con Netanyahu e Gallant, che non sono interessati a un’operazione. A ciò si aggiungono le pressioni americane per evitare un’escalation simile, dato che anche la lotta contro l’accordo nucleare iraniano sta prendendo piede.
  Pertanto, lo sforzo principale è attualmente concentrato sul tentativo di trovare una soluzione intermedia che permetta al governo di raffreddare la situazione di instabilità. Tale soluzione potrebbe però non essere sufficiente, vista la volatilità e l’aggressività degli attivisti della destra politica.
  Dopo l’uccisione mirata, mercoledì, di un commando di terroristi che aveva sferrato un attacco al valico di frontiera di Jalame ed era responsabile di altri attentati, cosa possiamo aspettarci d’ora in poi? Non ci sarà un’operazione. Le forze saranno rafforzate e ci saranno più arresti. Perché ciò avvenga, è necessaria una migliore intelligence, a partire da oggi, che avrebbe potuto prevenire l’attacco e l’esplosione che ha coinvolto le forze dell’IDF a Jenin.
  Infine, tutto torna a ciò che i militari continuano a ripetere: la leadership politica non può chiudere gli occhi di fronte alla disintegrazione dell’Autorità Palestinese, che è più debole che mai. La cattiva notizia è che la fine del regno di Mansour Abbas si sta avvicinando e Israele deve prepararsi.

(Rights Reporter, 22 giugno 2023)

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Parashà di Kòrach: la prova del ketòret

di Donato Grosser

Nel trattato Sanhedrin (110a) è raccontato che Yosef nascose tre tesori in Egitto: uno fu scoperto da Kòrach, che diventò immensamente ricco; il secondo fu scoperto dall’imperatore Antonino e il terzo è ancora lì e verrà scoperto nel futuro. 
            R. Mordekhai Hakohen (Safed, 1523-1598, Aleppo) in Siftè Kohèn esamina come avvenne che Kòrach scoprì questo tesoro. A tale scopo egli cita il versetto dove  il Santo Benedetto disse a Moshè: “Comunica al popolo che ogni uomo chieda al proprio compagno e ogni donna alla propria compagna  oggetti d’argento e oggetti d’oro” (Shemòt, 11:2). Questo ordine si riferiva solo alle tribù d’Israele che erano state asservite in Egitto; quello che avrebbero ricevuto sarebbe stato un pagamento per il lavoro di tanti anni.  I leviti erano esclusi da questa ricompensa perché la loro tribù non era stata soggetta alla schiavitù. Nell’inaugurazione del Mishkàn i leviti non offrirono vassoi e altri oggetti d’argento come le altre tribù perché erano poveri. Oltre a non avere chiesto nulla agli egiziani prima dell’uscita dall’Egitto, i leviti non approfittarono neppure del bottino trovato al Mar Rosso quando l’esercito egiziano affondò nel mare lasciando galleggiare a riva una quantità di oggetti di valore.
            Kòrach, anche lui della tribù di Levi, dopo aver visto cosa avevano preso gli israeliti delle altre tribù, divenne invidioso e fece di tutto per arricchirsi. Fu così che il Santo Benedetto gli fece scoprire il tesoro di Yosef perché come insegnarono i maestri, “nella strada che una persona vuole percorrere lo fanno andare” (T.B., Makkòt, 10a).   
            Fu così che Kòrach, con la sua reputazione di uomo ricco fu capace di convincere un gran numero di notabili delle tribù a seguirlo nella ribellione contro Moshè ed Aharon.  La ribellione di Kòrach era basata sulla sua idea che nel popolo d’Israele sono tutti uguali: “Si adunarono contro Moshè e contro Aharon e dissero loro: Basta! tutta la comunità sono tutti kedoshìm, e l’Eterno è in mezzo a loro; perché vi elevate sopra la congrega dell’Eterno?’ (Bemidbàr, 16:3). Secondo i rivoltosi tutti avevano diritto ad aspirare ad essere Kohen Gadol.
            R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993) in Mesoras Harav (p. 130) commenta che nessuno poteva negare la prima asserzione di Kòrach che tutta la comunità fosse composta da kedoshìm. Errò però quando disse che tutti erano uguali e quindi la leadership di  Moshè e di Aharon non aveva giustificazioni. R. Soloveitchik aggiunge che in Israele non vi è solo la kedushà che deriva dall’essere parte del popolo. Vi è anche una kedushà individuale. A tale scopo cita un’affermazione dei maestri nel trattato Berakhòt(58a) che dicono: “Come gli individui sono fisicamente differenti, così le loro idee sono differenti”. E così pure, aggiunge r. Soloveitchik, ognuno di essi ha un diverso livello di kedushà.  Non tutti sono uguali. [I kohanìmhanno più kedushà dei leviti e i leviti, più degli israeliti].
            La risposta di Moshè fu la seguente: “Fate questo: prendete degli incensieri, tu, Kòrach, e tutta la gente che è con te;  e domani mettetevi del fuoco, e ponetevi su del ketòret (profumo) dinanzi all’Eterno; e colui che l’Eterno avrà scelto sarà kadòsh. Basta, figliuoli di Levi!’ (Bemidbar, 16: 6-7).
            Qual era lo scopo di usare il ketòret per fare capire che non tutti erano uguali? Lo spiega  r. Daniel Terni (Ancona, 1740-1814, Firenze)  nella sua opera Shem ‘Olàm. Il  ketòret era composto da undici spezie. Vi era anche la chelbenà (galbanum) il cui odore era spiacevole. Da qui i maestri insegnarono che come il galbano, anche se spiacevole, fa parte del ketòret, nelle nostre tefillòt e nei digiuni pubblici bisogna aggregare anche i peccatori. Kòrach sosteneva invece che tutti i membri della comunità erano kedoshìm.  Moshè sapeva che si viene puniti se si fa il ketòret senza tutte le spezie. Per questo disse loro di offrire il ketòret. Se avessero messo il galbano avrebbero ammesso che non tutti sono kedoshìm e che vi sono diversi livelli di kedushà in Israele e che quindi Aharon meritava di essere Kohen Gadol. Se non avessero messo il galbano nel ketòret,insistendo che tutti sono ugualmente kedoshìm, avrebbero commesso un peccato e sarebbero morti. E così fu: “Un fuoco uscì dall’Eterno e divorò i duecentocinquanta uomini che avevano offerto il ketòret”(ibid., 16:35). 

(Bet Magazine Mosaico, 23 giugno 2023)
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Parashà della settimana: Corach (Core)

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Jenin, roccaforte del terrore iraniano vicino ad Afula

Ispirata da Hezbollah in Libano e a Gaza, si sta formando una roccaforte del terrore nel nord della Samaria.

di Aviel Schneider

GERUSALEMME - Quello che è accaduto l'altro ieri nella città palestinese di Jenin non è solo un altro sanguinoso conflitto tra le forze armate israeliane e i terroristi palestinesi. Il campo profughi di Jenin è diventato un avamposto dell'asse iraniano dietro la linea nemica, cioè dentro Israele. Come tale, Israele deve combattere questa base del terrore nel cuore del Paese. E si trova a soli dieci chilometri a sud di Afula, sul Monte Tabor.
  "Tutte le opzioni sono aperte", ha dichiarato ieri il capo del governo israeliano Benjamin Netanyahu dopo il sanguinoso attacco terroristico vicino all'insediamento ebraico di Eli in Samaria. Non ha detto cosa intendesse esattamente, ma tutti sanno che le forze di sicurezza israeliane nel nord della Samaria dovranno intervenire con nuove tattiche.
  È in programma una grande operazione a Jenin e Nablus. 28 israeliani sono stati uccisi da terroristi palestinesi in un centinaio di attacchi terroristici dall'inizio dell'anno. 300 attentati pianificati sono stati sventati, secondo fonti di sicurezza israeliane, e il servizio di sicurezza israeliano, lo Shin Bet, avverte di 180 possibili attacchi terroristici. Anche se l'esercito israeliano lancia un'operazione contro le basi terroristiche iraniane a Jenin, il numero di singoli attacchi terroristici e di incursioni come quella di ieri nel cuore biblico della Giudea e della Samaria aumenterà. Per certi versi, l'Autorità palestinese di Ramallah potrebbe calmare gli animi da parte palestinese, ma la coalizione nazional-religiosa di Israele a Gerusalemme non collabora con Ramallah.
  La realtà della Samaria settentrionale sta cambiando sotto i nostri occhi. Se in passato l'ingresso delle forze di sicurezza israeliane a Jenin veniva accolto con poco fuoco e resistenza, oggi le forze israeliane devono affrontare grandi ordigni esplosivi improvvisati e altre imboscate. La resistenza palestinese e le sue capacità tattiche contro i soldati israeliani a Jenin sono aumentate drasticamente. Diversi mesi fa abbiamo avvertito sul nostro canale Telegram che le tattiche di Israele devono adattarsi alla scena di TikTok. Ogni giorno siamo inondati di video e filmati TikTok di come e dove i soldati israeliani si muovono nei villaggi o nelle città palestinesi, con le jeep o a piedi.

(israel heute, 22 giugno 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Estate da record per l’aeroporto Ben Gurion

Oltre 5,5 milioni di passeggeri transiteranno nell’aeroporto Ben Gurion nei mesi di luglio e agosto. È quanto emerge dai dati diffusi dal ministero israeliano dei Trasporti. A luglio sono attesi 2,7 milioni di passeggeri su voli internazionali, con un incremento del 4% rispetto al 2019, mentre nel mese di agosto il numero previsto è di 2,8 milioni.
  L’Autorità Aeroportuale Israeliana ha in programma un incremento del personale e il potenziamento di tutte le procedure: dai controlli di sicurezza all’imbarco sull’aereo, all’inserimento di addetti dedicati allo smistamento bagagli e alla gestione di eventuali malfunzionamenti. Lo riporta il JNS.
  Nelle sale d’attesa sarà attivata anche una “sorveglianza per le famiglie”. I funzionari aeroportuali agevoleranno i controlli di sicurezza: le famiglie con bambini avranno la possibilità di mandare una sola persona ai banchi check-in, mentre gli altri familiari potranno attendere in una sala del terminal.
  I passeggeri con solo bagaglio a mano, che si sono pre-registrati al volo (check-in online) con compagnie che lo consentono, avranno un percorso rapido.
  Per ridurre le code ai banchi check-in e per la spedizione del bagaglio sono state installate postazioni self-service innovative, che consentono al passeggero di etichettare autonomamente il proprio bagaglio da stiva e spedirlo rapidamente in aereo senza alcuna attesa.

(Shalom, 22 giugno 2023)

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Ritorno a Selvino: cronaca di una tre giorni all’insegna della memoria v

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L’11 maggio a Los Angeles, il Simon Wiesenthal Center, organizzazione ebraica internazionale per i diritti umani, ha conferito una Medaglia al Valore alla storia dei “Bambini di Selvino”, i più di 800 giovani ebrei, orfani, scampati alla Shoah, che ritornarono alla vita nella ex colonia fascista di Sciesopoli, edificio costruito negli anni ’30 proprio a Selvino.
  A ricevere la medaglia Yoav Amitai, Ilana e Ben Sarner, nipoti di Moshe Zeiri, il soldato della Brigata Ebraica che divenne direttore a Sciesopoli; Ben Sarner ha dichiarato che il premio “…riconosce il grande lavoro di suo nonno che, nei tre anni successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale, salvò, riabilitò e restituì l’umanità a oltre 800 bambini, orfani che avevano visto le loro famiglie decimate durante le atrocità della Shoah…”
  Pochi giorni prima la madre di Ben, Nitza Sarner Zeiri, era a Selvino insieme ad altri 4 “Bambini” per ricordare i 75 anni dalla partenza degli ultimi orfani e dei loro istruttori da Sciesopoli Ebraica.
  Infatti dal 5 al 9 maggio si sono susseguiti nel paese in provincia di Bergamo (ma non solo lì), per i circa 70 ospiti provenienti da Israele, U.S.A, Canada e nazioni europee, incontri, eventi, conferenze, concerti, proiezioni per celebrare appunto questo anniversario.
  Dopo la prima visita a Sciesopoli (però dall’esterno, a cancello chiuso) e la Kabbalat Shabbat di venerdì, c’è stata sabato la visita alla Città Alta di Bergamo durante la quale è avvenuto l’emozionante incontro con il dottor Fabio Pezzoli, Direttore sanitario dell’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo, che ha voluto ringraziare l’associazione “Children of Selvino” per la donazione, fatta durante il periodo dell’emergenza Covid, di più di 8 mila euro all’ospedale, testimonianza del forte ed indissolubile legame con questa parte della Lombardia.
  Domenica 7 è stata la giornata più importante di questo incontro; ad inizio mattina era prevista la visita al Mu.Me.SE. il Museo Memoriale di Sciesopoli Ebraica, inaugurato, all’interno dell’edificio del Comune, nell’autunno 2019 e che pochissimi degli ospiti avevano già avuto modo di vedere; ma nella piazza c’è stata prima una sorpresa: i bambini delle scuole di Selvino hanno atteso Nitza Zeiri e gli altri 4 “Bambini” (Moshe Aran, Israel Droblas, Zvi Pelts Dotan e Michael Weisbach) per regalare le loro canzoni ed alcuni piccoli doni; è stato un momento molto commovente, sorrisi e lacrime si sono alternati sui volti di molte persone.
  La visita al museo, introdotta dall’architetto Andrea Costa che l’ha progettato inseme alla collega Giovanna Latis, sembrava non terminare mai; tutti hanno voluto vedere le foto e leggere le didascalie e soprattutto i nomi incisi nelle sei steli di legno presenti al centro della sala del museo, sono i nomi di più di 600 tra bambini ed istruttori presenti a Sciesopoli in quegli anni.
  Subito dopo, nella Sala Consiliare, il sindaco Diego Bertocchi e la consigliera comunale delegata a Sciesopoli Virginia Magoni, hanno consegnato ai 5 “Bambini” presenti la cittadinanza onoraria di Selvino che era stata deliberata nel gennaio 2021, mentre un’ultima pergamena incorniciata è stata consegnata a Miriam Bisk, presidente dell’associazione Children of Selvino. Quindi è stata donata al museo la bandiera del movimento giovanile di Gordonia che sventolava sul pennone di Sciesopoli. Un altro prezioso e significativo dono fatto al Museo: la traduzione in italiano delle lettere scritte da Moshe Zeiri alla moglie Yehudit dal 1943 al 1946, un’anteprima assoluta di un volume ancora inedito; un’opera realizzata dall’associazione con la collaborazione dell’archivista Bernardino Pasinelli e la traduzione di Chiara Camarda.
  La giornata non poteva avere un epilogo migliore, nel pomeriggio, con il ritorno a Sciesopoli: ancora una volta si sono aperti i cancelli della colonia e ad attendere gli ospiti musica e danze con il Corpo Bandistico Musicale La Montanara di Selvino ed i ragazzi dell’Hashomer Hatzair di Milano.
  Lunedì c’è stata invece l’interessante visita al Museo della Stampa di Soncino, dove venne stampata nel 1488 la prima Bibbia Ebraica completa; qui, con l’aiuto del direttore del museo Beppe Cavalli e dell’artista israeliana Yael Sonino Levi, sono state realizzate, grazie ad una lastra d’incisione appositamente preparata, alcune stampe raffiguranti la facciata di Sciesopoli.
  Martedì sera era prevista la partenza della maggioranza degli ospiti per Israele ma prima di raggiungere Malpensa c’è stato il tempo per 2 momenti intensi ed emozionanti: al mattino la posa, nel Parco del Castello di Selvino (a poche centinaia di metri da Sciesopoli) di sei alberi, sei carpini, per ricordare la visita dei 5 “Bambini” ed Anna Sternfeld Pavia, membro della Comunità Ebraica di Milano, grande amica di tutti i “Bambini di Selvino”, recentemente scomparsa; nel pomeriggio la visita al Memoriale della Shoah di Milano.
  Da ricordare infine, durante questi giorni, i momenti musicali regalati dalla appassionante voce di Delilah Gutman e dai suoi musicisti; la stimolante conferenza di Federica Di Padova sui campi profughi italiani per Jewish Displaced Persons; i racconti avvincenti di Orli Bach, la nipote di Yehuda Arazi, responsabile dell’Aliyah Bet in Italia dal 1945 al 1948; ed infine la commovente proiezione della rappresentazione teatrale “Una stella dall’Italia verso Israele” (alla presenza della regista Patrizia Sacchelli) che racconta la storia di Eugenia Cohen che a Pandino fu salvata dalla deportazione e che poi divenne una istruttrice a Sciesopoli, dove si sposò con il soldato della Brigata Ebraica Reuven Donat.
  Per concludere non resta da dire che la Medaglia al Valore conferita dal Simon Wiesenthal Center al paese di Selvino, ora si trova al Museo Memoriale di Sciesopoli Ebraica.

(Bet Magazine Mosaico, 22 giugno 2023)

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Israele a sostegno della candidatura saudita per Expo 2030

L’Arabia Saudita punta ad organizzare Expo 2030 (DR)

Israele avrebbe mostrato sostegno alla candidatura dell’Arabia Saudita a ospitare Expo 2030, nell’ambito dei colloqui volti a convincere il Regno ad accettare la normalizzazione dei legami con Tel Aviv, si apprende da Monitoraggio del Medio Oriente.
  In occasione della visita in Francia del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, è stato organizzato un ricevimento nella capitale, Parigi, per lanciare la candidatura saudita a questa mostra internazionale che si svolge ogni cinque anni. La prossima edizione è prevista per Osaka, in Giappone, nel 2025, e la città ospitante dell’Expo 2030 sarà annunciata a novembre.
  Secondo il canale televisivo israeliano Kan, il giorno prima di questo ricevimento, organizzato dalla Commissione reale per la città di Riyadh, sarebbe stato invitato all’evento un delegato israeliano, la cui identità non è stata rivelata. Anche se ancora da confermare ufficialmente, l’invito ha acceso la speculazione che Israele possa sostenere l’offerta dell’Arabia Saudita per Expo 2030 in cambio di un accordo di normalizzazione tra Riyadh e Tel Aviv.
  Negli ultimi mesi Stati Uniti e Israele hanno intensificato gli sforzi per convincere l’Arabia Saudita a normalizzare i rapporti con lo Stato ebraico, sull’esempio di altri Paesi arabi come Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan e Marocco, che lo hanno fatto per ultimi quattro anni.
  Tuttavia, finora Riyadh ha resistito a questi sforzi, insistendo sulla necessità di istituire uno stato palestinese indipendente prima di prendere in considerazione qualsiasi normalizzazione con Israele.
  Nonostante i numerosi tentativi di influenzare la posizione del Regno con diverse offerte, nonché le presunte condizioni poste dal governo saudita ai governi israeliano e statunitense, quest’ultimo sembra mantenere una posizione ferma. Il ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan, ha ribadito questo mese che la normalizzazione porta solo ” benefici limitati in assenza di uno stato palestinese.
  Va ricordato che il principe ereditario Mohammed bin Salman ha annunciato la candidatura dell’Arabia Saudita per ospitare Expo 2030 nell’ottobre 2022. Il Regno ha poi presentato la sua candidatura ufficiale a dicembre al Bureau International des Expositions (BIE), l’organizzazione responsabile della mostra. Cinque paesi, tra cui Arabia Saudita, Italia, Corea del Sud, Russia e Ucraina, sono in lizza per ospitare l’evento.

(dayFRitalian, 22 giugno 2023)

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Strage di Ustica, Giovanardi chiama in causa il Lodo Moro. “L’aereo esplose per una bomba a bordo"

Si consiglia di ascoltare con grande attenzione le parole dell’ex senatore Carlo Giovanardi in questo video. Sono di enorme importanzaa e gravità per tutti gli italiani, e modo in particolare per gli ebrei e per tutti coloro che amano Israele. NsI

A distanza di quarant'anni dalla strage aerea di Ustica che portò alla morte di 81 persone, l'ex senatore Carlo Giovanardi interrogato da Francesco Borgonovo ribadisce la sua posizione favorevole nei confronti dell'ipotesi di attentato legato alla caduta del DC9 nelle acque del Mar Tirreno. Giovanardi motiva così la sua posizione nei confronti della tragedia: "Essendo parte della commissione di inchiesta per il caso Moro ho avuto la possibilità di consultare i documenti e le perizie riguardanti la strage di Ustica che per quarant'anni, fino a sei mesi fa, sono stati coperti da segreto di Stato e di conseguenza non accessibili. Come si evince dalle carte, undici tra i più grandi periti al mondo del settore dichiararono che l'incidente fu causato dall'esplosione di una toilette di bordo. Verrebbe spontaneo, dunque, chiedersi chi installò la toilette."

(Radio Radio, 21 giugno 2023)

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Medio Oriente, uccisi 4 israeliani, Hamas festeggia. In Cisgiordania rischio escalation

L’attentato dopo la battaglia di Jenin. Netanyahu non esclude un’azione su larga scala

di Rossella Tercatin

GERUSALEMME — Quattro israeliani morti, incluso un liceale, altrettanti feriti. È il bilancio dell’ultimo attentato palestinese contro un ristorante israeliano in Cisgiordania presso l’insediamento di Eli.
  Con il rischio concreto – solo un giorno dopo i gravi scontri tra esercito di Gerusalemme e miliziani a Jenin – che la situazione degeneri ulteriormente, in un momento in cui anche la tensione politica rimane alta, con l’annuncio da parte di Israele della costruzione di 4mila nuove abitazioni negli insediamenti che ha suscitato la condanna internazionale, e in particolare quella americana.
  È pomeriggio quando i due terroristi, in seguito identificati come Muhannad Faleh e Khaled Sabah, affiliati di Hamas - raggiungono l’area dell’attentato e cominciano a sparare con fucili d’assalto contro i clienti di Hummus Eliyahu, filiale di una popolare catena di fast food.
  I due poi si concentrano sugli automobilisti alla pompa di benzina adiacente. Poco dopo, un civile armato riesce a uccidere Faleh, mentre Sabah si dà alla fuga e i militari israeliani scatenano una massiccia caccia all’uomo, che si conclude un paio d’ore dopo con l’eliminazione dell’attentatore nella cittadina palestinese di Tubas.
  Tre delle quattro vittime israeliane sono state identificate come Elisha Anteman, 17 anni, Harel Masood, 21 anni e Ofer Fayerman, 64 anni.

(la Repubblica, 21 giugno 2023)


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Quattro coloni uccisi in Cisgiordania. Israele manda gli elicotteri a Jenin

di Giulio Meotti

ROMA -“Ci sarà fauda” (caos in arabo), aveva annunciato a gennaio Mohammad Sabbagh, uno dei capi del campo profughi di Jenin che durante la Prima Intifada dal 1987 al 1993 ha pugnalato a morte un soldato israeliano e scontato 23 anni in una prigione israeliana. “Questo è l’inizio”. Terroristi palestinesi ieri hanno aperto il fuoco contro una stazione di servizio in Cisgiordania, uccidendo quattro israeliani e ferendone altri quattro, vicino all’insediamento ebraico di Eli. Altissima la tensione tra Israele e i palestinesi, con i militari di Tsahal che effettuano quasi ogni giorno incursioni in Cisgiordania, in mezzo a una serie di letali attacchi terroristici palestinesi. Lunedì sei palestinesi sono stati uccisi e cento feriti in scontri a fuoco a Jenin. Otto soldati israeliani hanno riportato ferite negli scontri dopo che è esplosa una bomba sul ciglio della strada. Dall’inizio dell’anno, gli attacchi palestinesi in Israele e in Cisgiordania hanno ucciso 24 israeliani. Un elicottero israeliano Apache ha colpito Jenin. E’ la prima volta dal culmine della Seconda Intifada palestinese, vent’anni fa, che l’esercito israeliano ha utilizzato elicotteri d’attacco nella città palestinese da cui, secondo le autorità israeliane, provengono almeno 23 dei 60 attentatori che hanno attaccato Israele. A gennaio, un raid israeliano a Jenin era finito con dieci palestinesi uccisi. Hussein al Sheikh, ministro degli Affari civili dell’Autorità palestinese, ieri ha chiesto alla leadership palestinese di prendere “decisioni senza precedenti” (senza elaborare). Il Jihad islamico ha rivendicato due dei morti di Jenin come suoi membri. Il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha risposto: “Useremo tutti gli strumenti a nostra disposizione e colpiremo i terroristi ovunque si trovino”. Unità di paracadutisti d’élite sono entrati a Burkin nel nord della Samaria e nel campo profughi di Jenin per arrestare membri di Hamas e del Jihad islamico. Negli scontri a Jenin sono state usate armi costruite dai palestinesi, comprese bombe e razzi che secondo l’esercito israeliano sono stati creati secondo le istruzioni specifiche di Hamas.
  “L’operazione di Jenin sarà considerata una pietra miliare per l’esercito non solo per il tempo impiegato (è stata l’operazione offensiva più lunga intrapresa dalla Seconda intifada), ma anche per l’introduzione di potenti Ied di 40 chili che trasformano l’area in qualcosa che ricorda il sud del Libano degli anni Novanta”, ha scritto Yossi Yehoshua, corrispondente militare per il quotidiano israeliano Yediot Ahronot. Mustafa Ibrahim, analista politico palestinese affiliato del Jihad islamico, ha elogiato i terroristi di Jenin. Il fatto che l’esercito israeliano abbia dovuto usare gli elicotteri per soccorrere i suoi soldati e i suoi veicoli “ha messo in imbarazzo” l’establishment della sicurezza israeliano. Sicuramente, scrive Khaled Abu Toameh sul Jerusalem Post, sono “immagini che danno l’impressione che l’operazione antiterrorismo israeliana, iniziata diversi mesi fa, non sia riuscita a sradicare i gruppi armati. Danno anche l’impressione che alcune parti della Cisgiordania, in particolare Jenin, stiano iniziando ad assomigliare alla Striscia di Gaza e al Libano”. E poi c’è l’Iran, primo finanziatore di Hamas e del Jihad islamico e che secondo gli esperti di sicurezza israeliani vuole “incendiare la Cisgiordania” (le Guardie rivoluzionarie iraniane forniscono tra i cento e i centocinquanta milioni di dollari al Jihad palestinese). Ieri il ministro Gallant ha detto che in tutti i 75 anni di vita di Israele la sua popolazione civile potrebbe affrontare le sfide più disastrose di sempre da una potenziale guerra con l’Iran. Si stima che Hezbollah abbia accumulato tra i 130 mila e i 150 mila razzi, la cui gittata più significativa può raggiungere qualsiasi parte di Israele. Senza contare la minaccia da Gaza.

Il Foglio, 21 giugno 2023)

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Ventisette paesi (fra cui l’Italia) condannano la Commissione Onu d’Inchiesta su Israele

I membri del COI su Israele: Chris Sidoti, Navi Pillay e Miloon Kothari
Martedì 20 giugno gli Stati Uniti e altri 26 paesi hanno condannato la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite (COI) su Israele per la sua portata illimitata, la sua durata illimitata e i suoi pregiudizi contro Israele. Fra gli altri paesi che hanno partecipato alla dichiarazione congiunta l’Italia, il Regno Unito, l’Ungheria, il Kenya, la Bulgaria, la Polonia e Israele. Lo riporta il sito Algemeiner. 
  Intervenendo a una riunione del Consiglio dei diritti umani a Ginevra, l’ambasciatore statunitense Michèle Taylor ha rilasciato una dichiarazione congiunta contraria al COI, creato in risposta a una serie di conflitti tra Israele e palestinesi nel maggio 2021.
  “La risoluzione S-30/1 ha stabilito un COI di mandato a tempo indeterminato senza clausola di caducità, data di scadenza o chiare limitazioni connesse all’escalation nel maggio 2021″, ha affermato Taylor. “Riteniamo che la natura di questo COI sia un’ulteriore dimostrazione dell’attenzione sproporzionata e di lunga data prestata a Israele nel Consiglio, e dobbiamo fermarla”.
  Il COI, che è l’indagine di più alto livello che può essere ordinata dal Consiglio per i diritti umani, è stato istituito nel maggio 2021 a seguito di un’ondata di violenza mortale tra israeliani e palestinesi all’inizio del mese per indagare su “tutte le presunte violazioni del diritto internazionale umanitario e tutte le presunte violazioni e abusi del diritto internazionale sui diritti umani” in Israele, Cisgiordania e Striscia di Gaza. È incaricato di esaminare “tutte le cause alla radice delle tensioni ricorrenti, dell’instabilità e del protrarsi del conflitto, comprese la discriminazione sistematica e la repressione basate sull’identità nazionale, etnica, razziale o religiosa”.
  Il primo COI a tempo indeterminato è presieduto dall’ex capo dei diritti delle Nazioni Unite Navi Pillay del Sud Africa, con Miloon Kothari dell’India e Chris Sidoti dell’Australia come gli altri due che conducono l’indagine.

(Bet Magazine Mosaico, 21 giugno 2023)

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“Larghe intese per la crescita della comunità”

Intervista a Victor Fadlun

 di Ariela Piattelli

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Potrebbe configurarsi un governo di larghe intese, quello che immagina Victor Fadlun per i prossimi 4 anni di consiliatura della Comunità Ebraica di Roma. Fadlun, candidato presidente per Dor Vador, la lista che ha ottenuto il maggior numero di voti della Comunità ebraica della Capitale, punta ad una formazione di una nuova leadership che coinvolga le diverse anime degli Ebrei di Roma.

- Victor Fadlun, avete vinto le elezioni della Comunità Ebraica di Roma, con 51 voti in più. Di fatto adesso entrano in Consiglio 10 candidati eletti di Dor Vador, 10 di Per Israele e 7 di Ha Bait. Come considera questo dato?
  Noi non rappresentiamo una realtà “storica” come le altre liste. È la seconda volta che Dor Vador si presenta alle elezioni, quindi siamo una realtà in crescita. Nell’ultimo governo avevamo 4 consiglieri, in questo ne avremo più del doppio. Il voto espresso dagli elettori indica la volontà diffusa nella nostra comunità di cambiare passo, mettendo in gioco professionalità e competenze. C’è una palese apertura al cambiamento verso nuove istanze di professionalità nella gestione della Cer. Credo che gli elettori abbiano premiato la nostra capacità di ascolto, in cui anche tra posizioni distanti si arriva ad un rispettoso dissenso e non ad uno scontro. Vogliamo rispettare e ascoltare tutti.

- Adesso affrontate la sfida di formare il governo della Comunità. Come pensate di procedere?
  Bisogna procedere parlando con tutti in modo rispettoso ed inclusivo, tenendo conto della storia e della tradizione della Cer e mettendo a disposizione le migliori competenze. Ma il dato di scarsa affluenza è causato da molte ragioni, forse più dal fatto che le persone vogliono sentirsi partecipi alla nostra comunità, essere incluse. In questo senso andiamo avanti, sempre avendo chiari i nostri principi.

 - A quali principi fa riferimento?
  Ghemilut hasadim e aiuto degli ebrei in difficoltà, anzitutto. E poi siamo una comunità ortodossa e proprio per questo dobbiamo abbracciare tutte le persone che ne fanno parte. A volte scopriamo che le cose che ci uniscono sono più di quelle che ci dividono. Comunque per me il valore più importante rimane la crescita di questa Comunità, nel rispetto dei suoi valori. Abbiamo tutti voglia e diritto di riscoprire l’entusiasmo di farne parte attiva. Un altro valore, come abbiamo sempre ribadito, è Israele, nostro punto di riferimento assoluto e garanzia che certi episodi tragici mai torneranno. Crediamo che anche restando saldi nei nostri valori si possa avere un dialogo rispettoso con chi ha idee diverse da noi. Guardiamo all’altro con umiltà, non siamo giudici, c'è un solo Giudice per tutti noi.

- Nella delicata fase di formazione del governo, come metterete in gioco questi valori?
  Dobbiamo dare una svolta di miglioramento alla Comunità e per farlo immagino un governo con competenze e capacità, nel rispetto di ciascun ruolo e perseguendo l'unità, senza porsi con supponenza. Spesso mi sono sentito dire “Non hai capito, adesso ti spiego” invece vorrei che tra noi tutti ci rivolgessimo “Scusami, io la penserei in questo modo, ti va di ascoltarmi?”. È un approccio diverso, possiamo pensare in questa direzione.

(Shalom, 21 giugno 2023)

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Toh, crolla la fiducia nella scienza trasformata in dogma

Sondaggio Usa: nel 2022 gli «esperti» hanno perso credibilità. Alcuni, dopo i flop, fischiettano. Altri, invece, pontificano ancora.

di Alessandro Rico

Ci dovremmo meravigliare? Dovremmo dare la colpa ai complottisti? Dovremmo fare come Matteo Bassetti, il quale, in un post sulla decisione del governo belga di distruggere 6 milioni di dosi di vaccino, se l'è presa con i no vax, anziché con i contratti capestro siglati dall'Ue? Puntiamo il dito su chi crede nelle scie chimiche, oppure ci lasciamo sfiorare dal sospetto che i «competenti», negli anni della pandemia, abbiano dato il peggio di sé? E che se la gente, adesso, ne diffida, la responsabilità è anzitutto la loro?
  Nel 2022 è crollata la fiducia nella scienza. Lo certifica, negli Usa, un sondaggio di Associated press-Norc center for public affairs research, che monitora le opinioni degli americani dal 1972 e ha intervistato un campione di oltre 3.500 persone. Il risultato dell'indagine è che gli adulti che dichiarano di nutrire «molta fiducia» nella comunità scientifica sono passati dal 48% del 2018 al 39% del 2021. La politicizzazione del Covid non ha aiutato. L'ostilità verso i cervelloni ricalca l'affiliazione partitica dei cittadini statunitensi: tra i repubblicani, solo il 26% dà credito agli esperti. E con ogni probabilità, la situazione Oltreoceano è simile a quella di qualunque altra nazione occidentale, Italia compresa.
  La reazione più scontata, oltre che la più arrogante, è appunto quella alla Bassetti: il problema sono i cretini che si curano con la curcuma. Al contrario, bisognerebbe considerare l'ipotesi che la rottura tra scienziati e società dipenda dal pessimo esempio offerto dai primi in questo triennio. A cominciare dalle zuffe mediatiche tra medici; passando per la spudoratezza con la quale i tecnici hanno offerto, ad amministratori insipienti, comode foglie di fico per decisioni scellerate; arrivando all'invereconda spocchia con la quale sono riusciti ad affermare tutto e il suo contrario. Non solo: i luminari ai quali ci saremmo dovuti mettere in mano hanno sostenuto una sfilza di sciocchezze, spacciate per dogmi, senza nemmeno premurarsi di chiedere scusa, una volta che le corbellerie sono venute a galla. La lista delle scempiaggini è lunga: i vaccini che proteggevano dal contagio e non avevano effetti collaterali; il Covid incurabile; il green pass che consentiva di tenere aperte le attività. Anzi, non sarà un caso se il sondaggione americano ha registrato certi risultati nell'anno in cui sono state scoperchiate le menzogne pandemiche.
  Dinanzi alla clamorosa débàcle dello sciocco positivismo in voga tra le élite - quelle di: «Lo dice Lascienza ... » - le mosse dei diretti interessati sono di due tipi: c'è chi fischietta e chi pretende di continuare a impartire lezioni. Alla prima categoria appartiene Fabrizio Pregliasco, virostar in disarmo scongelata, con inopinato atto di misericordia, da Adnkronos, che gli ha chiesto un commento sugli esami di maturità. «La speranza», ha berciato il professore, è che, durante la pandemia, «i ragazzi abbiano compreso che la scienza va avanti per tentativi, per errori e successive approssimazioni. Forse qualcuno ha sperato che la scienza potesse dare soluzioni immediate a un problema nuovo». Ma guarda: pensa che scemo, chi s'aspettava il miracolo in provetta. A bocce ferme, apprendiamo che la conoscenza scientifica procede «per tentativi ed errori» - sono stati più gli errori dei tentativi, ma va bene così.
   Pregliasco, dunque, fa finta di niente. Abbassa la cresta. Riscopre l'umiltà. Peccato solo che, nelle fasi cruciali del periodo Covid, lui e i suoi colleghi si siano comportati come se avessero la verità in tasca. Ogni parere veniva presentato in maniera apodittica, definitiva, fino a che, senza soluzione di continuità, si passava alla verità successiva. I vaccini ci salveranno, ma forse non bastano; se non bastano, è perché ne servono di più; mascherine no, mascherine sì; ibuprofene no, ibuprofene sì. È stata la sicumera dei dottori catodici, è stata la gara a spararla più grossa pur di comparire, è stata la collezione di insulti ai sani che osavano rifiutare un farmaco, definiti «sorci», o invitati a pagarsi il ricovero in ospedale, è stato il susseguirsi di prediche e ritrattazioni a incrinare il rapporto con gli scienziati. Se davvero la scienza non ha soluzioni prèt à-porter, in base a cosa essa ha giustificato i lockdown e l'esclusione dal consesso civile dei non vaccinati? Comodo, ora, nascondersi dietro la fallibilità dell'intelletto umano.
  Peraltro, alla faccia dei tentativi, degli errori e delle approssimazioni, tuttora, il posto del dibattito fondato su argomenti solidi lo occupa la censura. L'ultimo caso riguarda l'articolo di Silvana De Mari sui rischi della tecnologia a mRna, uscito sulla Verità e bandito da Linkedin, con il solito pretesto della lotta alle bufale. E’ la banalità degli algoritmi, sì. Ma è pure lo strascico di una filosofia: lo scopo dei media non è informare, bensì indottrinare. L'oggetto del giornalismo non sono i fatti, è la propaganda al servizio dei governi. Quelli progressisti.
  E’ una linea che qualcuno non vuole mollare. Prendete Anthony Fauci, esponente di quel secondo tipo cui accennavamo sopra: lo scienziato che pontifica dopo aver accumulato fiaschi. Ricevuto in pompa magna ai Lincei, ha avuto il coraggio di difendere ancora la teoria del Covid zero (la pandemia non è finita finché ci saranno contagiati) e di tuffarsi nella moda verde, con l'invito a prenderci cura delle foreste, per evitare il salto di specie dei patogeni. Già, come se il coronavirus dipendesse dal climate change e non da un incidente nel laboratorio. Laboratorio finanziato pure grazie a Fauci, e incidente che, all'inizio, era la ridicola ossessione di Donald Trump, mentre ormai affolla rapporti di intelligence e quotidiani. Ieri, il Wall Street Journal ha confermato che almeno uno dei primi tre ricercatori infettati riceveva denaro direttamente dagli Stati Uniti.
  Insomma, se c'è una scienza che quei signori conoscono a menadito, è quella di rigirare le frittate. E noi ci dobbiamo anche fidare?

(La Verità, 21 giugno 2023)

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La Conferenza dei Rabbini europei si trasferisce da Londra in Germania

Sono ormai trascorsi 67 anni dall'istituzione della Conferenza dei Rabbini europei, alleanza di leader ebrei che si uniscono per sostenere e proteggere, attraverso l'influenza politica, le comunità ebraiche in tutta Europa.
  Aveva la sua storica sede a Londra, ma a causa della Brexit l'organizzazione ne ha dovuta cercare una nuova: ora, la ricerca è terminata ed è da poco iniziato il processo di trasferimento in Germania, a Monaco di Baviera.
  "Ci sono state molte perplessità - dice Shimon Cohen, membro londinese della Conferenza, che spiega la logica alla base della mossa - era ben chiaro che Londra non era più il posto giusto per l'influenza sulla politica europea, dobbiamo avere sede in un'area dell'Ue".
  Il mese scorso, il presidente della Baviera, Markus Soder, è stato premiato dalla Conferenza dei Rabbini europei per aver confermato l'invito iniziale a trasferirsi a Monaco.

• Motivazioni contrastanti
  La Conferenza si è formata a Londra poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, ora da una prospettiva puramente pratica è stata presa la decisione di trasferirsi in Europa: per molti non si tratta solo di un'influenza politica, ma anche di una decisione emotiva.
  "Perché? - si domanda Il rabbino capo Goldschmidt - perché la distruzione degli ebrei europei è iniziata in Europa, è lì che Hitler ha fatto il suo 'golpe', quindi è simbolico il fatto che stiamo tornando a Monaco, con il sostegno del governo, e siamo in procinto di ricostruire l'ebraismo europeo".
  La città dove Adolf Hitler iniziò la sua ascesa al potere, molto tempo fa capitale del movimento nazista, ora è sede di un fiorente ed influente movimento ebraico.

(euronews, 20 giugno 2023)

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Quattro israeliani morti e 4 feriti in un attacco in Cisgiordania. Hamas: “Risposta all’occupazione”

La sparatoria avvenuta vicino una stazione di rifornimento nell’insediamento ebraico di Eli. Pur non rivendicandone la responsabilità le fazioni di Hamas e della Jihad islamica hanno lodato l'attacco.

Almeno 4 israeliani sono stati uccisi e altri 4 feriti, di cui uno grave, in un attacco ad una stazione di servizio nell'insediamento ebraico di Eli, vicino Nablus, in Cisgiordania.
  Secondo il portavoce militare, "i terroristi hanno aperto il fuoco vicino la stazione di rifornimento ed uno di questi è stato neutralizzato sul posto. I soldati sono all'inseguimento di altri sospetti".
  "La reazione è stata rapida contro i crimini dell'occupazione nel campo profughi di Jenin e l'assalto ad Al-Aqsa", ha detto Hamas, che ha poi fatto sapere che l’uomo responsabile dell’attacco faceva parte della sua ala militare. "Questa è una risposta naturale all'escalation e ai crimini dell'occupazione contro il popolo palestinese", ha affermato la Jihad islamica subito dopo l’attacco.
  I militari israeliani hanno ordinato ai residenti della comunità di rimanere nelle loro case e di chiudere a chiave porte e finestre fino a nuovo avviso. Poco dopo la sparatoria, l'esercito ha attivato un allarme per possibili infiltrazioni terroristiche a Eli.
  La sparatoria segue una serie di violenze che sono avvenute in Cisgiordania negli ultimi due giorni. Questa mattina un 20enne palestinese è rimasto ucciso negli scontri con Israele vicino alla città di Betlemme, nel centro della Cisgiordania.
  Gli scontri, secondo quanto riporta il Times of Israel, sono avvenuti alla fine di una giornata particolarmente violenta: la mattina ha visto cinque palestinesi uccisi a colpi d'arma da fuoco e otto soldati israeliani feriti in una battaglia a Jenin la mattina, e la sera altri due soldati sono rimasti feriti in un presunto attacco con auto speronamento a ovest di Jenin, con due sospetti palestinesi colpiti e feriti.

(la Repubblica, 20 giugno 2023)

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Cisgiordania, la dichiarazione di guerra del padrino di Jenin: "Servono attacchi suicidi"

Parla Jamal Zubeidi, il leader che controlla la città: "Lottiamo per l'indipendenza, Hamas pensa al potere”.

di Francesca Borri

JENIN - L'icona di Jenin è Abdallah Abu Tin. La lapide in sua memoria è all'entrata dell'ospedale in cui ha servito tutta la vita. È morto a ottobre: mentre combatteva con le Brigate al-Aqsa. Tipo Batman. Medico di giorno, giustiziere di notte. A Jenin combattono tutti. Anche quelli che hanno tutto. E hanno tutto da perdere. Per Israele, Jenin è il pericolo numero uno. Perché è a venti minuti dalla Linea Verde. Dal confine. E quindi è perfetta per infiltrarsi: e andare a sparare a Tel Aviv. Ma soprattutto perché con i palestinesi divisi tra Fatah e Hamas, e sempre più gli uni contro gli altri, Jenin invece è il feudo degli Zubeidi, una famiglia che più che una famiglia è una dinastia. E che è unita. "Fatah, Hamas, Pflp, Jihad. Qui ognuno ha le sue idee. Ma alla fine, l'obiettivo è uno ed è lo stesso per tutti: vincere".
  Parola di Jamal Zubeidi, il capostipite. O come dicono a Jenin, don Jamal: come don Vito Corleone. Come il Padrino. Ha iniziato al fianco di Yasser Arafat, è del 1956. Ha iniziato all'inizio. Con l'Olp. Quando i palestinesi cominciarono ad attaccare dai Paesi vicini. "E sono stati gli anni migliori. Gli anni in cui abbiamo capito che il nostro destino dipende dalle nostre forze, che la libertà va conquistata: che non arriva dagli altri. Che si tratti dei Paesi arabi, come allora, o come ora, di Fatah o Hamas. O di Hezbollah. O dell'Iran", dice. Non abbiamo che noi stessi, dice. Noi stessi e la volontà di Dio.
  Jenin è sotto il suo controllo. Ed è per questo che è ancora vivo: per Israele, e per l'Autorità Palestinese, che insieme a Israele è responsabile della sicurezza, è l'uomo con cui mediare. Quando a dicembre è morto suo figlio Naim, ha cercato la tregua. Come don Vito con Sonny. Ma non ha più senso discutere, dice. "Il governatore mi ha appena chiesto per l'ennesima volta di fermare tutto. Ma in cambio di cosa? Se consegni le armi, hai un posto in polizia. O in Israele. E che significa? L'occupazione non è un problema individuale. E né è una questione economica: è una questione politica. Voglio una strategia sugli insediamenti. Su Gaza. Su Gerusalemme. Non so altrove, ma a Jenin non si combatte per l'auto nuova: si combatte per l'indipendenza", dice. "Per una vita nuova". E qual è la strategia più efficace?, chiedo. Non ha dubbi. "Gli attentati suicidi".
  Sono l'unica cosa che influenza Israele, dice. L'unica che Israele teme. "Ma Hamas è contraria. Perché durante la Seconda Intifada, Israele reagì assassinando i suoi leader uno a uno. E per ora, la sua priorità è il post-Abbas: è vincere le elezioni. Per questo non ha risposto all'ultima operazione su Gaza. O alle ultime incursioni nella moschea di al-Aqsa. Perché la sua priorità è il potere. Ormai sono tutti uguali. Ma sono stato chiaro: non mi importa. A Jenin sto io. E decido io".
  Non ha cambiato opinione neppure ora che i raid di Israele si sono intensificati. Ai muri di casa Zubeidi le foto dei morti, o come si dice qui, dei martiri, sono sempre di più. Più che una casa, sembra la cappella di un cimitero. Il primo a sinistra è Zakariya: che dopo un master in Diritto internazionale a Ramallah, è rientrato a Jenin per avviare questa Terza Intifada dopo avere guidato la Seconda sulle orme del fratello Taha, ucciso dopo avere guidato la Prima sulle orme dello zio Ziad, fondatore delle Brigate al-Aqsa, e architetto del ritorno alla resistenza armata dopo gli Accordi di Oslo. Zakariya è in carcere, adesso. Ed è stato sostituito da suo fratello Daoud. Che invece è stato ucciso, ed è stato a sua volta sostituito da un altro fratello. Jibril. Che ora è in carcere. E ha passato il testimone a un altro fratello ancora. Abed.
  Ma al centro, la foto d'onore è quella di Nidal. Aveva vent'anni. Cosa ricorda di quella sera?, domando a sua madre, Nassra. Sorella di Jamal. "Ho brindato". Andò a farsi esplodere a Binyamina. Vestito con il vestito elegante della domenica. Morirono sei israeliani. Dice: "Ho brindato sei volte". Il governatore Ibrahim Ramadan è categorico: non rischierà i suoi uomini. Non si opporrà a Israele. "Ero qui durante la Seconda Intifada. Quando Jenin è finita in macerie. E a costo di essere bollato come un traditore, sarò irremovibile. Perché se anche avessimo gli Rpg, invece degli M16, e fossimo capaci di fermare i carrarmati, gli israeliani verrebbero con gli F35. E se avessimo gli F35, verrebbero con il nucleare", dice. Con gli israeliani, dice, chi sceglie le armi sceglie la morte. "Che poi è esattamente quello che vogliono: eliminarci".
  Ma a Ahmad al-Qassam non interessa. Il suo nome è una leggenda, qui. E non solo perché è un veterano del Libano, di Beirut, dell'attentato del 1983 all'ambasciata degli Stati Uniti, che è ancora oggi quello in cui la Cia ha avuto più morti: è il nipote di Izzedin al-Qassam. Il primo dei guerriglieri. Ucciso a Jenin nel 1935 mentre combatteva contro l'Impero Britannico. Dopo tutta una vita a combattere il colonialismo su ogni fronte possibile. Per questo i razzi di Hamas si chiamano Qassam. "Israele è più forte, certo. Non c'è confronto", dice. "Ma tutto è transitorio. Sono il nipote di uno che ha sfidato gli inglesi con una baionetta quando gli inglesi erano padroni di mezzo mondo. E ora, invece, cosa sono? Non sono più niente", dice. "E anche Israele sparirà: è questa la lezione di Jenin. Fai la tua parte. Senza paura. Fai la tua parte, perché hai dalla tua parte la storia". È un sostenitore dello Stato unico. Con pari diritti?, dico. "Senza ebrei".
  A tradurre è Younis, che è stato a lungo funzionario di una agenzia internazionale. Immagino sia amaro per te, dico. Dopo tutto l'impegno per i bambini di Jenin. Perché avessero un futuro diverso. E ora tutti che vogliono diventare martiri, dico. Mi dice: "Sono straordinari".

(la Repubblica, 20 giugno 2023)

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La Comunità Ebraica di Vercelli ospita il Coro Col Hakolot

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Prosegue il progetto Ogni giorno è Memoria della Comunità Ebraica Vercellese con un appuntamento musicale a cura del Coro Col Hakolot. Domenica 25 giugno, alle 16.30, in Sinagoga, si terrà il concerto Il cammino della speranza, con un repertorio di composizioni ebraiche fortemente evocativo e indissolubilmente legato alla tradizione ebraica.
  Il Coro Col Hakolot, che in ebraico significa Tutte le Voci, è già stato ospite della Comunità Ebraica di Vercelli in passato. Il repertorio del coro include brani di musica popolare ebraica polifonica che vengono eseguiti in lingua ebraica, yiddish e ladina. A questi si sono aggiunti canti di autori italiani, legati comunque alla tradizione ebraica.
  Il coro si esibisce spesso in manifestazioni musicali sia all’interno che al di fuori delle Comunità Ebraiche, come in occasione della Giornata della cultura ebraica o la Giornata della memoria e di concerti per la pace allo scopo di promuovere il dialogo interculturale e religioso, richiamando l’attenzione di un vasto pubblico.
  A Vercelli l’esibizione si legherà non solo alla Festa della Musica del 21 giugno, ma anche al progetto Ogni giorno è Memoria volto a ripristinare la memoria del deportati vercellesi. Questa importante azione di valorizzazione del passato comune è sostenuta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Vercelli e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Torino.
  L’ingresso al concerto che si terrà domenica 25 giugno all’interno della Sinagoga di Vercelli (via Foa 56-58) è libero e gratuito. 

(TG Vercelli.it, 20 giugno 2023)

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Presentato al Museo Ebraico di Roma il catalogo “Case di vita. Sinagoghe e cimiteri in Italia"

In collaborazione con il Meis

di Michelle Zarfati

Il Museo Ebraico di Roma ieri ha ospitato la presentazione del catalogo della mostra “Case di vita. Sinagoghe e cimiteri in Italia", allestita dal Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah-MEIS di Ferrara. L’esposizione a cura di Andrea Morpurgo e Amedeo Spagnoletto, è un approfondimento originale che porta alla riflessione sull’aspetto architettonico, ma anche sociale delle sinagoghe e dei cimiteri ebraici.
  Un viaggio lungo duemila anni riconduce, passo dopo passo, verso la storia delle sinagoghe e dei cimiteri ebraici italiani. Partendo dalle prime tracce archeologiche, l'esposizione si sposta restituendo ai visitatori i grandi progetti architettonici di oggi. Al centro del percorso espositivo, con un ruolo centrale, tutte le vicende dell’ebraismo italiano vissute attraverso i luoghi simbolo dell'ebraismo italiano: sinagoghe e cimiteri. Luoghi densi di storia e impregnati di cultura, in cui si intrecciano le storie e gli usi e costumi degli ebrei italiani. La mostra porta alla luce documenti provenienti dagli archivi statali e dalle comunità ebraiche, oggetti che si tramandano di famiglia in famiglia e importanti prestiti.
  Un ruolo speciale è dedicato al patrimonio ereditario della Comunità Ebraica di Roma e la sua storia bimillenaria. La sinagoga di Ostia antica, le catacombe un vero unicum nel patrimonio archeologico ebraico-italiano, tenendo però anche in considerazione le opere artistiche più moderne.
  La conversazione è stata introdotta dal Direttore del Museo Ebraico di Roma Olga Melasecchi e da Davide Spagnoletto, Architetto e storico dell'arte. Sono intervenuti durante il talk i curatori della mostra Andrea Morpurgo, Architetto, Amedeo Spagnoletto, Direttore del MEIS, e il pubblico presente in sala.
  Durante l'evento sono stati raccontati gli oggetti esposti all’interno della mostra, i temi e gli interessanti contribuiti dei curatori e da numerosi storici dell’architettura e dell’architettura ebraica.

(Shalom, 20 giugno 2023)

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«Quanti silenzi su obbligo vaccinale e danni»

La scrittrice, premiata alla festa di «Tempi» per il suo libro sulla pandemia: «Conosco tre persone vittime di effetti avversi pesanti ma invece di studiarne le cause si cerca di fingere che tutto sia andato nel migliore dei modi. L'Italia ha vissuto una guerra civile»

di Maurizio Caverzan

«Una scrittrice polimorfa, in grado di esprimersi n varie forme letterarie». Così monsignor Massimo Camisasca, vescovo emerito di Reggio Emilia-Guastalla, e suo amico di lunga data, ha definito qualche giorno fa Susanna Tamaro. Si era a Caorle, alla festa organizzata da Tempi per riflettere sul tema «Chiamare le cose con il loro nome», e l'autrice di Va' dove di porta il cuore e di un'altra quarantina di libri, tra romanzi, saggi e favole per bambini, era stata invitata per ritirare il premio intitolato a Luigi Amicone, fondatore e storico direttore della rivista. Un premio assegnato dalla giuria presieduta da Giuliano Ferrara all'ultimo libro, Tornare umani, edito da Solferino, riflessione critica ad ampio raggio sugli anni vissuti nello scacco della pandemia da Covid-19. Ma anche un premio a tutta l'opera della scrittrice triestina che vive in Umbria, cuore geografico d'Italia, «dove anch'io ho una casa», ha raccontato monsignor Camisasca, «e così ci siamo frequentati nella terra di Francesco e di Benedetto, dove si è snodata tre quarti della storia del cristianesimo mondiale». E dove Tamaro ha scelto di stare «per dedicarsi a pensare anche per chi non vuole o non può farlo, assorbito dalle incombenze quotidiane o sommerso dal rumore che avvolge a tutti i livelli la società contemporanea». E’ lì, nella collina vicino Orvieto, che è maturata nella scrittrice quella che potremmo chiamare dimensione sapienziale, uno sguardo lucido e profondo sulle vicende del nostro tempo. Uno sguardo anche sanamente distaccato, in forza del quale le capita di assumere posizioni di denuncia, come in questa intervista.

- Susanna Tamaro, come ha accolto il premio a Tornare umani, un libro forse un po' divisivo?
  «Con grande gioia perché mi è costato molta fatica per la delicatezza dell'argomento».

- Che accoglienza ha avuto al momento della pubblicazione?
  « Un'accoglienza ottima da parte dei lettori dai quali continua a essere apprezzato perché è un libro esente da qualsiasi forma di fanatismo. E che si pone domande importanti su quello che abbiamo vissuto in questi anni».

- Invece i grandi giornali e i media in generale come l'hanno trattato?
  «Non ha avuto un'accoglienza particolarmente benevola, forse perché non è un grande romanzo o per l'argomento trattato che allora era abbastanza esplosivo: la gestione della pandemia».

- Eppure è stato pubblicato da Solferino, marchio di proprietà di Urbano Cairo, editore anche del Corriere della Sera.
  «E questo è un bel segno perché vuol dire che c'è un editore che crede in un autore e investe su di lui».

- Perché secondo lei è un libro importante?
  «Perché abbiamo passato due anni di follia totale, soggiogati da due fanatismi contrapposti. Ma le persone normali, che non parteggiavano per nessuna delle due parti, a un certo punto hanno cominciato a farsi delle domande e a cercare delle risposte. Che, però, dalla narrazione ufficiale non arrivavano e non sono arrivate».

- In particolare?
  «Tutte la questioni relative all'obbligo vaccinale e ai danni del vaccino. Una cosa impensabile in un Paese democratico. E poi la sproporzione dell'allarme mediatico. Si è creato terrore in modo irresponsabile per due o tre anni».

- Però la gente moriva.
  «Innanzitutto, va detto che per malattia si muore. E si muore anche se non si è curati o si è curati male. È chiaro che una malattia virale importante come il Covid non si può lasciarla agire nel corpo, stando a vedere che cosa succede. La vigile attesa è una tecnica che viene usata soprattutto per monitorare forme tumorali in persone anziane, per capire il rischio o il beneficio di un'eventuale operazione. Come si può applicare questo principio a una malattia che è virulenta? E chiaro che se si lascia un virus agire, poi quando si interviene è molto più difficile debellarlo».

- Questo libro ha anticipato alcuni dei dibattiti seguiti nei mesi successivi?
  «In qualche modo quando leggevo le cronache delle indagini di Bergamo ci ritrovavo le stesse cose che avevo scritto semplicemente osservando la realtà».

- Secondo lei si stenta a parlare in modo trasparente di ciò che è accaduto nella fase acuta della pandemia?
  «In Italia abbiamo vissuto una guerra civile che, invece di aprire un dialogo, avviando un tentativo di guarire la memoria dalle ferite ancora aperte, ci si invita a fingere che tutto sia andato nel migliore dei modi».

- Una forma di censura dolce?
  «C'è una volontà di non affrontare l'argomento. Negli altri Paesi europei non è così. La situazione è diversa».

- Lei ha evidenze concrete che richiederebbero una maggiore disponibilità ad affrontare questi temi? Situazioni, casi e vicende problematiche?
  «Certo. Dato che vivo in un paese vedo la realtà concreta e non quella raccontata dai numeri dei telegiornali. Allora posso dire che
  vivo con otto persone che conosco da decine di anni. Bene, tre di loro sono state vittime di eventi avversi molto importanti. Non solo, questi eventi non sono stati segnalati anche per la scarsa sensibilità mostrata di fronte alle persone colpite. Persone la cui vita è drammaticamente cambiata».

- Secondo lei, con la motivazione della pandemia e da allora in poi, si tende a espandere il controllo sulla vita quotidiana dei cittadini.
  «Assolutamente sì. Un fatto che mi irrita profondamente è la legge sulla privacy. I bambini non possono più fare le foto di fine anno scolastico per la privacy, ma questo sistema di controllo conosce anche il colore delle calze che indossiamo la mattina».

- Le vittime di questi eventi avversi sono invisibili per la comunicazione mainstream?
  «Non solo. Siccome questi danni da vaccino sono situazioni nuove, il sistema sanitario non è n possesso
  degli strumenti per capire di che cosa si tratta. In Germania, per esempio, già da diversi mesi sono state create équipe mediche che lavorano per capire come curare questi effetti avversi. Pericarditi, miocarditi, infarti fulminanti, paralisi e anche danni cerebrali, compresi certi casi di demenza improvvisa esplosi dopo quattro dosi vaccinali. Situazioni con cui sono personalmente venuta a contatto e che hanno colpito anche persone con cui vivo».

- Delle conseguenze negative della vaccinazione massiccia si parlava poco anche prima della morte di Silvio Berlusconi che ha monopolizzato i media negli ultimi giorni.
  «Adesso lo si fa ancora meno».

- Ha pensato di scrivere sull'argomento? C'è qualcosa che l'ha disturbata e qualcos'altro che invece le è piaciuto nei giorni scorsi?
  «No. Dall'esplosione dell'epidemia ho smesso di leggere i giornali e anche di guardare la televisione».

- Una scelta molto radicale.
  «Quando è troppo è troppo. Dalla guerra in Ucraina ho chiuso tutto. Il male è male, la morte è morte. È tutto una follia».

- Il suo rapporto con i giornali e i giornalisti è divenuto più diffidente dopo l'intervista che ha concesso in occasione del Salone del Libro di Torino a proposito della letteratura nelle scuole?
  « Già da 30 anni diffido dei mass media. Tutta la vita sono stata vittima di giornalisti che si approfittano della mia ingenuità e del mio parlare libero. Mi hanno fatto dire tutto e il contrario di tutto secondo ciò che faceva comodo a loro. Anche in quell'occasione c'è stata una manipolazione del titolo del giornale. La parola odio non l'ho mai usata. Posso aver detto che la scuola fa odiare la letteratura ai ragazzi. Ma è la verità e dobbiamo capire perché».

- Basta poco per cadere in qualche trappola?
  «Purtroppo il punto d'arrivo finale di questa situazione è che le persone più sensibili sceglieranno il silenzio».

- Se fosse una professoressa di lettere delle scuole superiori come, in poche parole, proverebbe ad attrarre gli studenti alla lettura?
  «Facendo capire che la letteratura è qualcosa che riguarda profondamente il cuore dell'uomo e la sua capacità di comprendersi e comprendere».

- A proposito di persone sensibili che scelgono il silenzio, conosceva i romanzi di Cormac McCarthy?
  « Ho letto La strada e visto i film tratti dalle sue opere».

- Sta lavorando a qualcosa, un nuovo saggio o romanzo?
  « Dopo la fatica di Tornare umani, sto finendo di lavorare a un romanzo che uscirà in autunno».

- Nessuna anticipazione?
  «Non voglio spoilerare niente. Sarà una grande sorpresa».

(La Verità, 20 giugno 2023)

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Ben 35 atleti israeliani lottano per l’oro agli Special Olympics World Games 2023

di Pietro Baragiola

Sono ufficialmente iniziati gli Special Olympics World Games, l’evento mondiale durante il quale migliaia di atleti con disabilità mentali si sfideranno dal 17 al 25 giugno in 24 tipologie di sport diversi per promuovere l’inclusività.
  Quest’anno ben 35 atleti israeliani sono stati ammessi per rappresentare lo stato ebraico e dovranno competere contro gli altri 7000 sfidanti provenienti da circa 170 paesi per portare a casa la tanto ambita medaglia d’oro.
  “Siamo oltremodo contenti e motivati!” afferma Sharon Levy-Blanga, CEO della sede israeliana di Special Olympics che, dopo 30 anni di attività, è stata ufficialmente riconosciuta dal Ministero israeliano della Cultura e degli Sport come un’ufficiale federazione sportiva.
  “È la prima volta nelle vite dei nostri campioni che vengono riconosciuti per quello che sono: come atleti e non solo come persone disabili” spiega Levy-Blanga, orgogliosa.

- LA NASCITA DEGLI SPECIAL OLYMPICS WORLD GAMES
  Gli Special Olympics World Games hanno raggiunto oggi la loro 16esima edizione e, dopo un lungo processo di selezione iniziato nel 2017, si svolgeranno per la prima volta in Germania, nella città di Berlino.
  A differenza delle Paralimpiadi dove competono atleti con disabilità fisiche e motorie, gli Special Olympics World Games ospitano sportivi con disabilità mentali anche molto severe: sindrome di Down, autismo, ritardi cognitivi e ADHD (disturbo da deficit dell’attenzione).
   Nel 1960 le persone affette da questo tipo di disabilità vivevano nell’ombra della società, nascoste in case ed istituzioni, senza la possibilità di andare a scuola, lavorare e vivere una vita normale. Nessuno poteva immaginare che potessero acquisire talenti sportivi o beneficiare da esercizio e allenamento costante.
   Tutto cambiò nel 1968 quando, grazie alla visione rivoluzionaria di Eunice Kennedy Shriver (sorella dell’ex-presidente americano), 1000 atleti provenienti dagli Stati Uniti e dal Canada entrarono nello stadio Soldier Field di Chicago dando il via ai primi Special Olympics World Games. L’obiettivo chiave era di mettere in luce non le disabilità degli sportivi in gara bensì le loro abilità fuori dal comune e il loro valore nella società.
  Questo evento fu un punto di svolta che portò alla nascita dell’iniziativa Special Olympics, volta a promuovere le capacità delle persone affette da disabilità mentali attraverso percorsi di formazione svolti nelle sue sedi in tutti i paesi del mondo.
  Oggi Special Olympics è la più grande organizzazione sportiva mondiale rivolta a persone affette da disabilità mentali, includendo oltre 5 milioni di atleti da 174 paesi, e riconosciuta ufficialmente dal Comitato Olimpico Internazionale (IOC).

- GLI ATLETI ISRAELIANI
  Durante la scorsa edizione degli Special Olympics World Games, tenuta nel 2019 ad Abu Dhabi, Israele ha vinto ben 19 medaglie, di cui 4 ori, e Levy-Blanga è convinta che la nuova delegazione otterrà risultati ancora più importanti.
  Tra i 35 sportivi israeliani che quest’anno si cimenteranno in 7 discipline distinte (atletica, judo, nuoto, ciclismo, ping pong, calcio e bowling) vi sono alcuni ex-medaglieri, come i campioni di nuoto Avital Naveh (oro nei 100 metri individuali misti e bronzo nei 100 metri dorso) e Gilad Kalishov (bronzo nei 50 metri stile libero). Molti di questi atleti arrivano a Berlino con sete di rivincita, come Judoka Levav Barkan, la campionessa israeliana di bowling, vincitrice della medaglia d’argento ad Abu Dhabi e oggi pronta a combattere per il primo posto.
  La caratteristica che però unisce i concorrenti di questo grande evento sportivo è che molti di loro, se non tutti, hanno provato sulla propria pelle le discriminazioni per la loro condizione mentale e, ciononostante, hanno trovato la forza di raggiungere risultati incredibili. Per la squadra israeliana un esempio di ciò è rappresentato dalla 34enne Pazit Rubens che, come raccontato dal fratello Hanan in un’intervista al magazine The Jerusalem Report, da bambina era stata rifiutata da un gruppo di danza perché l’istruttore temeva che la sua condizione non l’avrebbe tenuta al passo con gli altri allievi. In seguito, grazie all’incoraggiamento di un maestro di ping-pong che la invitò a cimentarsi nel nuovo sport, Pazit dimostrò un’attitudine naturale per il tennis da tavolo, arrivando a vincere la medaglia d’oro a Kiel nel 2018 e a rappresentare Israele negli Special Olympics World Games del 2023.
  I giochi di quest’anno segnano inoltre un’importante svolta storica per lo Stato d’Israele che, per la prima volta, ha fatto partecipare una squadra di calcio femminile. La sua allenatrice è l’ex-calciatrice professionista Silvi Jan che si ritiene fiera di condividere la propria esperienza con le giovani atlete per guidarle alla vittoria.

- VITTORIE UNITE
  “Non siamo più noi e loro: si tratta di lavorare insieme e vincere come una coppia unita” spiega Levy-Blanga durante un’intervista a The Times of Israel quanto, tra le varie discipline presenti nelle Special Olympics World Games, siano soprattutto i giochi unificati a promuovere l’inclusività.
  Gli sport unificati sono competizioni che mettono nella stessa squadra persone con e senza disabilità per raggiungere insieme la tanto agognata medaglia d’oro.
  Tra gli esempi più giovani, orgoglio della delegazione israeliana, troviamo la coppia composta dalla tennista Sonia Yanushuk di soli 19 anni e dal 16enne Lior Reyach, campioni indiscussi dei giochi di Budapest dello scorso anno.
  “Se eravamo abituati a pensare che eravamo noi a fornire un servizio alle persone disabili, stiamo rigirando le carte e dimostrando che sono loro, invece, a dare un servizio a noi” afferma Levy-Blanga.
  Un grande passo in avanti verso una maggiore inclusività è stato raggiunto quest’anno con la nuova legislazione emanata dal Ministro della Cultura e dello Sport di Israele, Miki Zohar, che ha riconosciuto la Special Olympics come una federazione sportiva al pari del Comitato Olimpico e Paralimpico. Questo riconoscimento si accompagna ad un sostegno economico di 500.000 NIS (nuovo shekel israeliano), pari a 140.000 dollari.
  Secondo Levy-Blanga il supporto del governo darà una spinta ulteriore verso il riconoscimento del ruolo che questi atleti hanno nella società israeliana.
  Gli Special Olympics World Games non mostrano dunque solo lo sport puro e semplice ma rappresentano la lotta per i diritti umani. Levy-Blanga sottolinea che ogni atleta con la sua partecipazione sta valorizzando i propri diritti ad essere assunto, a studiare, ad avere una vita normale e che ogni associazione sportiva sia in grado di dargli il benvenuto: “questo è il messaggio più grande che li guiderà a casa, vincitori”.

(Bet Magazine Mosaico, 19 giugno 2023)

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Israele sta testando le varietà di uva più resistenti al cambiamento climatico

di Caterina Pucci

Nel deserto del Negev, a pochi chilometri dalla Striscia di Gaza, scienziati ed enologi lavorano per capire se e come l’uva da vino può crescere in condizioni estreme. Da almeno una decina di anni, Israele testa l’uva che resiste al cambiamento climatico, per creare una viticoltura in grado di adattarsi alle condizioni più avverse e sfruttare le risorse a disposizione nel modo più efficiente possibile.
  Lo ha ribadito Aaron Fait, professore della Ben Gurion University del Negev (Israele), intervenuto al convegno “L’agricoltura nel XXI secolo tra Italia, Usa e Israele“, ospitato a Roma lo scorso 16 giugno. L’evento, organizzato dal magistrato Stefano Amore, in collaborazione con l’Accademia nazionale di Agricoltura e il Cufa dell’Arma dei Carabinieri, ha visto la partecipazione, tra gli altri, del ministro per gli Affari economici e scientifici Ambasciata di Israele, Raphael Singer e il presidente del Crea Carlo Gaudio.

• Il deserto: un laboratorio per testare gli effetti dei cambiamenti climatici sulla vite
  “Da anni portiamo avanti un grosso progetto di viticoltura nel deserto israeliano del Negev, formidabile laboratorio in cui testare sulla vite gli effetti che i cambiamenti climatici hanno o potranno avere sui vigneti di zone non desertiche dove preservare la qualità delle uve sta diventando difficile – ha spiegato Fait durante il convegno – Queste sperimentazioni permettono di ottenere modelli per anticipare quella che sarà la condizione in Europa tra 20 o 30 anni. A oggi, ad esempio, osserviamo una riduzione di rese, in particolare su alcune varietà, che ci porta a prevedere la perdita fino al 60% della produzione a fronte di un incremento di temperatura di 2° C”.

• Le uve bianche resistono all’aumento delle temperature più delle rosse
  Nel corso del progetto si stanno valutando gli effetti di temperature dei grappoli anche oltre i 45°C su una trentina di varietà diffuse in tutto il mondo, dal Cabernet al Merlot a vari Moscati, per valutare la risposta a condizioni climatiche estreme.
  “Tra le evidenze è emerso che le varietà a bacca bianca si adattano meglio all’aumento delle temperature per la loro maturazione più veloce rispetto a quelle a bacca rossa”, ha aggiunto il professore, precisando che “sarà inevitabile l’utilizzo dell’acqua riciclata per l’agricoltura, che in Israele è pari all’80%, al 40% in Spagna mentre in Italia è quasi zero. Tra l’Italia e Israele – conclude – si sta aprendo uno dei tanti ponti per la ricerca scientifica soprattutto per i cambiamenti climatici, due paesi molto simili come struttura del terreno e del clima; d’altra parte Israele ha un’esperienza di decenni nell’efficienza dell’agricoltura e nello specifico della viticoltura.

• L’uva bianca del Negev, un cultivar dal passato antichissimo
  I viticoltori del deserto israeliano del Negev coltivano varietà d’uva moderne come il Pinot Nero e lo Chardonnay, ma un nuovo studio dimostra che le sabbie della regione ospitavano un tempo cultivar molto diverse, reliquie degne di nota sia per il passato che per il futuro.
  Come riportato dal sito britannico Decanter, uno studio pubblicato nei Proceedings of the National Academy of Sciences ha confrontato le informazioni genetiche di una manciata di vinaccioli provenienti dai resti di un monastero bizantino con centinaia di cultivar moderne e di uve selvatiche e da tavola provenienti da Israele e non solo.

“L’altopiano del Negev ha una storia interessante ancora non raccontata”, ha dichiarato Guy Bar-Oz, archeologo dell’Università di Haifa, che negli ultimi sei anni ha effettuato scavi di insediamenti bizantini nel deserto. Secondo i nuovi dati genetici, uno dei vinaccioli del Negev risaliva all’ottavo secolo e probabilmente proveniva da un’uva bianca.
  Se i resti archeologici confermeranno la scoperta, potrebbe trattarsi della prima uva bianca documentata in tutto il mondo – anche se lo studio osserva che lavori precedenti hanno suggerito che il colore bianco di alcune varietà ha origini multiple.

• Il vino di Gaza e l’antenato della Malvasia
  È possibile che quest’uva possa anche rispondere a un assillante mistero storico che circonda l’identità del famoso vinum Gazetum, o vino di Gaza, di epoca bizantina. Secondo Bar-Oz, ci sono riferimenti storici che parlano di questo vino bianco dolce, il vino di Gaza. Prodotto nel Negev e spedito attraverso il porto di Gaza, raggiungeva le coste del Mediterraneo e le tavole dei sovrani in Germania, Francia e Gran Bretagna.
  Bar-Oz e il suo team hanno scoperto che un’altra uva antica era un antenato di una varietà rossa moderna chiamata Asswad Karech nel vicino Libano. Coltivata sull’isola di Creta, a più di mille chilometri di distanza, una progenie dell’Asswad Karech serviva a produrre un altro vino storico, la Malvasia, famosa nel Medioevo e prodotta ancora oggi sull’isola.
“Le uve che si coltivano nella regione del Negev oggi sono varietà europee, perché le viti originarie si sono perdute nel tempo. Ma dopo questo ritrovamento il nostro obiettivo è quello di provare a ricreare quel vino antico, e forse riusciremo a riprodurne il gusto e il sapore, e capire cosa lo rendesse così pregiato”, ha commentato il professor Guy Bar-Oz, direttore dello scavo per l’ateneo israeliano.

• Recuperare antiche varietà perdute per rispondere alla crisi climatica
  “Le varietà europee di uva che si coltivano oggi richiedono grandi quantità d’acqua, e anche in queste zone aride, in qualche modo, con la tecnologia, si riesce a provvedere, cosa che difficilmente poteva accadere 1.500 anni fa. E forse il segreto della qualità di questo vino era nelle caratteristiche di un uva che, con il giusto metodo, riusciva a dare buoni risultati anche in condizioni di aridità” prosegue Bar-Oz.
  Il segreto del Negev fa gola a molti produttori in zone come la Napa Valley, in California, dove l’accesso alle risorse idriche sta diventando una questione critica.
  “Il Negev è un’area che riceve circa 100 millimetri di pioggia in un anno buono, con forti fluttuazioni tra le stagioni”, ha detto Bar-Oz. Tuttavia, la viticoltura è stata molto fiorente in quest’area nel corso dei secoli.
  Secondo lo studio, i parenti stretti delle “uve archeologiche” dei giorni nostri potrebbero fornire una piattaforma per studi futuri sulla resistenza della vite a tali condizioni.
  Gli studi in corso nel Negev non sono preziose solo per la comprensione del nostro passato. I ricercatori sostengono che il loro lavoro possa essere rilevante anche per far fronte alle sfide climatiche di oggi, come in forma diversa sta avvenendo in Messico con la riscoperta dell’uva misión. Se le comunità del deserto sapevano come progettare notevoli sistemi di irrigazione, era altrettanto vitale per loro selezionare le giuste cultivar di vite, in quello che è un clima insolitamente estremo per la Vitis vinifera.

(I Grandi Vini, 19 giugno 2023)

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Spie italiane e del Mossad sul Lago Maggiore. Cosa è successo veramente?

di Ze’ev Abrahami

Il poliziotto locale della città di Stresa guarda nervosamente di lato, forse temendo che qualcuno ci senta. “Nessuno dice di non parlare”, chiarisce, “ma è chiaro che, dopo aver saputo chi è e dopo che la polizia ha sgomberato ogni prova dalla zona in pochi minuti, è meglio non disturbare”.
  Ma è chiaro che a due settimane dal misterioso affondamento del battello turistico Gooduria tutti si occupano di “questo”. Stresa, vicino alla sponda occidentale del Lago Maggiore, dove è affondato il battello, è il tipo di città che ha automaticamente il termine “pittoresco” legato al suo nome.
  Domenica di due settimane fa, al ristorante Il Verbano, ha cenato un gruppo che sembrava un qualsiasi gruppo di turisti. Nelle foto sembra una festa di compleanno o di laurea. Poi sono tornati in barca. Durante il viaggio, a poche centinaia di metri dalla riva, si scatenò improvvisamente una tempesta che rovesciò la barca e la fece affondare. Due italiani, un russo e un israeliano sono morti. Si scoprì poi che tutti i membri del gruppo erano ufficiali dei servizi segreti, e l’israeliano morto fu identificato come un “pensionato del Mossad” che era ancora impiegato nelle riserve.
  La tempesta mediatica si è abbattuta con la stessa rapidità della tempesta che ha affondato la nave: in un sol colpo Stresa e tutto il Lago Maggiore sono diventati una meta turistica ambita, teatro di una guerra segreta condotta dalle organizzazioni di intelligence di tutto il mondo.
  Nel frattempo, “non è finita”. Il poliziotto locale dice che l’attività clandestina continua. “Qui ci sono strade bloccate, molte cose vengono confiscate per l’identificazione forense, e ogni sera arrivano sul luogo del disastro barche con enormi torce elettriche e sommozzatori che scendono sul fondo”.

• A cosa servono i sommozzatori?
  “Gli israeliani hanno dichiarato di aver perso i loro documenti nel naufragio, ma molte persone pensano che ciò che è andato perduto siano stati faldoni e valigie di documenti. Un compleanno è l’ultima cosa che è successa su questa nave”.
  Il 28 maggio era domenica, la festa di Pentecoste, la versione cristiana di Shavuot. Un lungo fine settimana. L’estate si risvegliava dal suo lungo sonno primaverile e il Maggiore, il secondo lago più grande d’Italia, e tutti i paesi intorno ad esso, prendevano vita. La gente nuotava nel lago e nelle piscine, faceva picnic, i chioschi dei gelati offrivano la loro merce ai bambini, le birre venivano versate in enormi boccali sui tavoli all’aperto. Gli abitanti del luogo e i turisti noleggiavano ogni imbarcazione possibile per navigare sul lago. Vicino alle banchine, gru mobili si occupavano di calare con cura barche di tutte le dimensioni, ad uso dei vacanzieri. I meteorologi hanno emesso un avviso di “codice giallo” per il resto della giornata – cioè si prevede tempo burrascoso – ma cosa capiscono i meteorologi quando c’è una bella giornata per navigare?
  Nella tarda mattinata, un gruppo di 13 israeliani, uomini e donne, è arrivato in auto a noleggio dagli hotel vicino all’aeroporto di Milano al cantiere navale Piccaluga nella città di Lisanza, nella parte sud-orientale del lago. Lì si sono uniti a otto italiani. Tutti sono saliti a bordo della barca, chiamata Gooduria (un gioco di parole in italiano con la parola “piacere”). L’imbarcazione, lunga 16 metri, ha già circa 40 anni, ma di recente è stata sottoposta a una ristrutturazione che le ha permesso di imbarcare 15 passeggeri anziché 11. Ora i 21 passeggeri, e con loro lo skipper e sua moglie, iniziano il viaggio verso nord. In jeans, scarpe da ginnastica, maglietta o polo, assomigliano facilmente a decine di migliaia di altre persone. Il motivo ufficiale della crociera è una festa di compleanno per uno dei membri dell’equipaggio; a posteriori si sa che se c’è qualcosa in cui questo gruppo è un campione, è assimilarsi alla folla e trovare ragioni ufficiali per la loro vera attività.
  Dopo un’ora scarsa, si fermano e gettano l’ancora per visitare l’Isola dei Pescatori, la più piccola delle Isole Borromee nel Lago Maggiore. Si fa un giro lì, poi si va a festeggiare al ristorante Il Verbano, un ristorante di lusso dello chef Marco Sacco, che lo definisce “esclusivo e intimo, dove il tempo si ferma”.
  Non sto esagerando. Questa settimana, quando ho ripercorso il tragitto del gruppo di agenti segreti, ho raggiunto anche la piccola isola su cui si trova il ristorante. È un arcipelago bellissimo e verde, a circa 300 metri dalla spiaggia. La sua superficie è di 400×100 metri. Numero di residenti permanenti: 25. Il reddito principale proviene dalla pesca, soprattutto per i ristoranti locali dell’isola, visitati ogni anno da centinaia di migliaia di turisti.
  Il gruppo di israeliani e italiani di quella domenica non era diverso dagli altri turisti: anche loro hanno mangiato il pesce locale. Questa settimana ho cercato di parlare con i dipendenti del ristorante, dopo aver preso un appuntamento telefonico con il direttore ed essere stato invitato sul posto. Ma quando hanno saputo di cosa chiedevo, si sono tappati la bocca e hanno annunciato che non avrebbero detto una parola. Dato che i camerieri italiani non sono famosi per il loro silenzio, dall’esterno sembra che siano in apprensione o che abbiano ricevuto un avvertimento da qualcuno.
  Fuori dal ristorante, ogni 20 minuti circa, piccole imbarcazioni andavano e venivano dall’isola. Circa 40 turisti per barca, cinque euro a testa per ogni tratta. Sette o otto minuti di navigazione per arrivare qui, sette o otto minuti per tornare. Affari. Quando ho iniziato a girare l’isola, sono arrivato a un punto che domina la funivia che sale al Mottarone. Qui, con la dolorosa esattezza di due anni meno una settimana, una famiglia israeliana ha iniziato la sua giornata – finché la funivia non è crollata. I cinque membri della famiglia Biran che si trovavano nella funivia sono rimasti uccisi, insieme ad altri nove turisti. L’unico sopravvissuto è il giovane Eitan Biran.
  Due anni dopo, meno di una settimana, arriva qui anche il team italo-israeliano. La barca getta l’ancora accanto al molo, sale sulla passerella e sale sull’isola. Alla loro destra si trovano il ristorante e l’hotel che porta lo stesso nome. Poco dopo le 17.15, prima ancora che arrivino al piatto principale, il meteorologo aumenta il suo allarme sul tempo. La maggior parte delle imbarcazioni del lago torna a riva, ma non Gooduria. Salpa di nuovo alla fine del pasto, tra le 18.00 e le 19.00. Alla loro destra si vedono le magnifiche Alpi.
  Anche martedì di questa settimana, quando siamo arrivati sull’isola, il meteorologo ha dato un avviso di “codice giallo”, che significa che il tempo sta per cambiare. È proprio quello che è successo: le nuvole pesanti sono scese a visitare e baciare le cime degli alberi. La pioggia è caduta e i venti hanno soffiato. Una tempesta molto più forte è riuscita ad affondare il Gooduria, ma Marco lo spagnolo ha detto che i nostri non avrebbero avuto problemi a navigare.
  “È stato un errore dello skipper”, dice a proposito dell’incidente. “Un bravo skipper se ne sarebbe tirato fuori, e uno skipper come me non si mette mai in una situazione del genere”. Ho suggerito che avremmo potuto aspettare un po’, finché il lago e i venti non si fossero calmati; lui mi ha chiesto di non preoccuparmi, mi ha lanciato dei sacchetti per il vomito e mi ha offerto un giubbotto di salvataggio. “Se avesse insistito perché tutti ne indossassero uno durante la crociera, nessuno sarebbe morto”, dice.
  Quella domenica, alle 19:20, davanti alle spiagge di Varazze e alla città di Sesto Calende, l’avvertimento del meteorologo è diventato realtà. Fino a quel momento il cielo era azzurro e il mare piatto, ma all’improvviso il cielo è diventato grigio, le nuvole pesanti hanno riversato una pioggia terribile e i venti alla velocità di circa 70 chilometri all’ora hanno fatto infuriare le onde.
  “Quella domenica ero seduto al settimo piano, nello Sky Bar dell’Hotel La Palma”, racconta il poliziotto locale. “Era una giornata perfetta. Sole piacevole, temperatura elevata. E all’improvviso, in 30 secondi, tutto si è capovolto. Un uragano davanti ai nostri occhi. Ma non c’erano più imbarcazioni sul lago quando è successo”.
  Il Gooduria trema a destra e a sinistra. La moglie dello skipper, che non sa nuotare, inizia a urlare istericamente e a pregare in russo. Anche una donna italiana del gruppo ha un attacco di panico ed entrambe vengono portate sottocoperta. “Nel giro di 30 secondi ci ha colpito un’apocalisse”, ha detto lo skipper Claudio Carminati, “la barca è affondata e siamo finiti tutti in acqua”.
  Le due donne calate nella pancia della barca annegano immediatamente. Un altro uomo italiano affonda sul fondo del lago, senza vita. Un uomo israeliano cerca con tutte le sue forze di salvare altri due passeggeri. Ci riesce, poi muore e il suo corpo galleggia sulla superficie dell’acqua. Gli altri presenti nuotano per 150 metri fino alla riva, oppure vengono avvistati dalle poche barche rimaste nel lago e accorrono in loro aiuto. I loro uomini li raggiungono con i remi e altri aiuti di salvataggio.
  Alessandro, 30 anni, era uno dei soccorritori. Stava navigando in barca con un amico, vicino a Sesto Calende. Altri due amici stavano navigando accanto a loro in un’altra barca.
  “Stavamo già tornando a casa quando è iniziata una tempesta come non ne avevamo mai viste”, ricorda. “Abbiamo 30 anni e l’acqua fa parte della nostra vita da 25 anni. Viviamo per questo e pensavamo di aver visto tutto. Ma non abbiamo mai visto nulla di simile. Sembrava di navigare in una nuvola. Poi sono iniziate le grida e le urla che ci sono giunte dalle vicinanze. Non sembrava normale. E proprio in quel momento uno stormo di gabbiani è passato sopra di noi e abbiamo pensato che fossero loro la fonte delle urla, ma le urla non si sono fermate. Urla terribili, di persone che imploravano per la loro vita. Abbiamo raggiunto la zona ed era una scena da film catastrofico: frammenti di alberi e sedie che galleggiavano sulla superficie dell’acqua, e tra loro persone che cercavano di lottare per la propria vita. Abbiamo iniziato a gettare in acqua tutto il possibile perché cercassero di galleggiare, abbiamo iniziato a mandare loro i remi che avevamo per trascinarli verso la barca e salvarli. Li abbiamo caricati e abbiamo continuato la missione di salvataggio. L’altra barca è andata a chiedere aiuto alle forze di soccorso. E quando non c’era più nessuno da caricare”.
  Sulla spiaggia, bagnati ed esausti, i sopravvissuti sono stati interrogati dalle forze di sicurezza. Gli israeliani hanno sostenuto che tutti i loro documenti erano andati perduti nell’affondamento. Insieme agli italiani, sono stati evacuati negli ospedali di Boracay. In meno di un giorno sono stati dimessi e miracolosamente tutti i loro documenti di ricovero sono scomparsi. Così sono scomparsi anche tutti i documenti di registrazione degli israeliani nell’hotel. In meno di un giorno sono stati tutti rilasciati. Gli israeliani non si sono nemmeno preoccupati di restituire le loro auto a noleggio. Un aereo destinato alle missioni speciali li riporta a Tel Aviv.
  I media italiani annunciano che quattro persone sono morte annegate: Claudio Alonzi, 62 anni; Tiziana Barnovi, 53 anni; un israeliano di 50 anni e la russa Vanya Buzkova, moglie dello skipper della barca, Carminati. Solo un mese fa avevano fondato una società chiamata Love Lake, che offre colazioni e gite in barca sul lago.
  Questa storia, per quanto tragica, sarebbe stata sicuramente raccontata per qualche ora, per poi scomparire nel flusso delle notizie dei media italiani. Ma poi c’è un colpo di scena: si scopre che gli otto italiani e i 13 israeliani lavorano, o hanno lavorato, per i servizi segreti di sicurezza dei loro Paesi. L’israeliano era un ufficiale dell’intelligence del Mossad e il capo della missione, un uomo molto attivo nelle attività operative e che negli ultimi tempi si occupava soprattutto dei rapporti con le agenzie di intelligence straniere. La Repubblica intitola la vicenda agli “007”, il Corriere della Sera incorona l’evento con il nome di “summit del Lago Maggiore”, e gli italiani cominciano a chiedersi cosa sia successo davvero.
  “Siamo diventati un centro di spionaggio internazionale?”. Si è chiesto questa settimana Giovanni Bozzi, sindaco della città di Sesto Calende, sulle cui rive è affondata la barca. Ebbene, le persone con cui abbiamo parlato questa settimana lungo le sponde del Lago Maggiore hanno avuto una risposta inequivocabile: sì.
  Il paesaggio intorno al lago è davvero pieno di James Bond, ma non è questo il motivo per cui l’area del Maggiore è diventata improvvisamente una vivace scena di intelligence internazionale, intrighi e cospirazioni.
  Questa regione, nell’Italia settentrionale, si trova a un crocevia che è diventato critico negli ultimi anni. È molto vicina al confine meridionale della Svizzera e a quello orientale della Francia. La Svizzera è sempre stata un rifugio per banche segrete e società di paglia di ogni tipo. La Francia è una delle mete preferite dagli oligarchi russi, spesso legati ai lati oscuri dei regimi del mondo. L’Italia in generale, e il nord in particolare, è un centro globale per aziende e startup ad alta tecnologia che si occupano e producono prodotti, sistemi, software per l’industria spaziale e aeronautica, e soprattutto componenti per uso civile che possono essere utilizzati anche per scopi militari, compresi i componenti per i droni.
  Dopo l’invasione russa dell’Ucraina e l’inasprimento dei legami militari tra Iran e Russia, lo spionaggio internazionale nella regione ha ingranato la marcia più alta. Molti oligarchi si sono trasferiti sulla sponda orientale del Piemonte, a Verbania, in Italia. Altri, la cui residenza è in Francia, possono raggiungerla in poche ore. Hanno utilizzato banche in Svizzera, un Paese che non aveva ancora sentito parlare di una legge antiriciclaggio che non poteva essere piegata per superare l’embargo economico occidentale, hanno acquistato costosi immobili e costruito un hotel a sette stelle. In breve tempo, anche i russi iniziarono a mediare e a impegnarsi nella vendita di droni iraniani all’esercito russo. Allo stesso tempo, sempre più agenti iraniani venivano in Italia per fiutare l’acquisto di tecnologie e componenti per i loro progetti di armamento.
  “Qui ci sono decine di aziende italiane all’avanguardia. Siamo una parte molto significativa dell’industria e delle esportazioni italiane”, mi dice un dipendente di una di queste aziende tecnologiche italiane, nella zona industriale della vicina Lombardia. “Quindi, comprensibilmente e chiaramente, c’è molto spionaggio industriale qui, non siamo innocenti. Ma negli ultimi mesi si è intensificato a livelli che non conoscevamo. Ci sono hackeraggi, sorveglianze, dispositivi di ascolto impiantati. Prima c’era una normale distribuzione di persone che volevano reclutare per le aziende; ora tutte le aziende cercano solo combattenti nell’arena cibernetica. Non è normale”.
  Che cosa hanno fatto gli agenti israeliani e su che cosa hanno collaborato con gli agenti italiani? Ci sono molte teorie che girano sul lago. Spiare i russi è un’ipotesi. Ma un’ipotesi molto più concreta è che, alla luce degli allarmanti e costanti progressi degli iraniani nel progetto nucleare, abbiano collaborato contro i funzionari e gli agenti iraniani che si aggirano in Italia, soprattutto in questa regione, alla ricerca di tecnologie da acquistare per il loro Paese e per approfondire i legami economici tra le aziende italiane e il regime iraniano.
  “Può darsi che sia tutto vero, che siano solo andati in barca insieme e abbiano festeggiato un compleanno e che qui non ci sia nessuna storia alla James Bond, ma solo una barca con delle persone a bordo finita nel posto sbagliato al momento sbagliato”, mi dice il poliziotto locale. “Ma qui ci sono troppe coincidenze e troppe circostanze, e a me e ai miei amici sembra un’operazione, o una crociera della vittoria per un’operazione che si è conclusa con successo”.

• Di quale operazione sta parlando?
  “La spiegazione è che sono riusciti a impedire che gli iraniani mettessero le mani su armi avanzate o che impedissero loro accesso ad armi strategiche o la proliferazione di armi non convenzionali. Non posso confermare o verificare nulla di quello che dico, perché è ancora una spy story, ma è così che appare agli esperti di sicurezza qui presenti”.
  “Le ho già detto che non siamo innocenti”, dice un operaio di una delle industrie della difesa nella regione industriale della Lombardia, una delle province più ricche d’Italia. “Chiunque lavori qui, ogni manager, ogni programmatore e ogni receptionist sa esattamente su cosa sta lavorando. Non mentiamo a noi stessi. Posso dire che lavoro nella programmazione per un’azienda aerospaziale, ma è solo un bel nome per un’industria di armi. E possiamo dire che produciamo solo prodotti e tecnologie per uso civile, ma è chiaro che non è tutta la verità. Stiamo contribuendo alla produzione di questa o quella arma, alcune delle quali, alla fine, raggiungeranno anche Paesi e autorità che non sostengo né mi fido”.

• E come si convive con questa situazione?
  “Il mio governo non mi ha ancora detto che è vietato, e non mi ha detto che smetterà di fare affari con l’Iran. E ora sento che un’agenzia che appartiene al mio governo è membro di un’agenzia di un altro governo, e sta cercando di impedire qualcosa che non è vietato. Spero che gli israeliani abbiano dato all’Italia una buona ricompensa per questa assurdità. Quindi, continuo a venire in ufficio ogni giorno e a fare il mio lavoro, senza pensare troppo a ciò che significa.
  “D’altra parte, anch’io vivo qui e capisco che la gente ha paura di quello che ci sarà qui e di quello che potrebbe accadere, anche a causa dei nuovi residenti russi. E so di essere parte del problema. E personalmente, ve l’ho già detto, c’erano molte preoccupazioni riguardo allo spionaggio qui. Ora, quando la questione è esplosa con il disastro, tutto è diventato più formale, ufficiale. Non si tratta più di speculazioni. C’era un gruppo di persone del Mossad che si è unito all’intelligence locale, e sapete cosa fanno insieme. Sono spie. Non è una cosa che ti fa dormire bene la notte”.
  Le esportazioni italiane verso l’Iran sono state pari a 532 milioni di euro nel 2021, l’ultimo anno per il quale esistono dati validi. “L’Italia dei governi precedenti era un’Italia che si comprava assicurazioni di qua e di là”, mi spiega un accademico italiano che fa parte di un think tank sulla sicurezza a Roma. “Era anche al fianco di Israele nella lotta al terrorismo, e teneva d’occhio anche il commercio delle industrie italiane con il regime iraniano”.

• E ora?
  “Il cambio di governo in Italia ha cambiato completamente il quadro. Potrà condannare Israele sulla questione palestinese, ma in modo molto più debole. Allo stesso tempo, adotterà misure molto più drastiche per prevenire, o almeno non essere partner di armi nucleari e terrorismo islamico. Questo è un punto molto forte, e si tratta di una questione che riceve un’attenzione molto significativa nell’amministrazione, anche a causa della crisi dei rifugiati. Per gli italiani, questa è una situazione in cui non possono che trarre vantaggio: stanno anche cercando di fermare la bomba iraniana e, nel frattempo, stanno studiando il lavoro di spionaggio in una delle migliori scuole del mondo”.

• Ma si tratta pur sempre di mezzo miliardo di euro di entrate all’anno, non è una cifra trascurabile.
  “Credo che l’Italia imparerà a fare affari per vie traverse e per interposta persona. Ma non è un’entrata che può facilmente trascurare. È un po’ una prova di carattere, come per tutti i Paesi occidentali: Cosa si è disposti a pagare per stare dalla parte giusta delle cose”.
  All’esterno dell’impianto tecnologico, mentre parlo con l’impiegato, decine e forse centinaia di dipendenti, la maggior parte dei quali fino alla metà del quarto decennio, si riversano intorno a noi dagli uffici delle aziende. Sono usciti per fare una pausa o per pranzare. Alcuni hanno finito il turno e sono tornati a casa in auto. Sembrano proprio persone che lavorano nell’high-tech: scarpe da ginnastica, maglietta o polo e jeans, lo stesso abbigliamento indossato dai passeggeri della nave del disastro. L’italiano ha cercato di spiegarmi qualche proverbio italiano. Non ho capito bene, ma lo tradurrò approssimativamente: chi va a letto con i componenti del reattore nucleare in Iran, non deve sorprendersi se al mattino si sveglia quando una nave spia naviga davanti a casa sua.
  Tutti qui – almeno quelli che sono disposti a parlare – hanno una teoria o una spiegazione per quello che è successo a Majora. Anche per Paolo, un altro skipper del porto da cui è salpato il gruppo. “Prima di tutto, tutti sanno che il capitano che li ha presi non è un capitano che si assume per una crociera, né lo è la sua barca”, spiega. “Lo si assume perché è un uomo di logistica. Organizza le cose. Non fa domande, porta 23 persone quando ne sono ammesse solo 15. E sua moglie parlava russo, il che significa che non è possibile fare una crociera. E sua moglie parla russo, il che è un grande vantaggio per le spie”.
  “Ora, c’è anche il percorso che hanno fatto sulla via del ritorno. Avrebbero dovuto tornare indietro da dove erano venuti, e così avrebbero evitato i venti e il tempo pazzesco. Ma hanno percorso qualche chilometro in più verso Ispra. Ispra è la sede dell’Euratom – una delle più grandi aziende al mondo in materia di scorie radioattive e uno dei più grandi laboratori al mondo per la sperimentazione e la ricerca sull’uso dell’energia atomica – e lo skipper si è vantato per tutta la settimana di aver prenotato una crociera con un gruppo di scienziati dell’Euratom per lunedì, il giorno dopo il naufragio. E sono abbastanza sicuro che non avrebbero dovuto essere soli in crociera. A mio parere, le agenzie volevano un luogo completamente privato, per poter scambiare informazioni e documenti, e lui glielo ha fornito”.
  Il capitano della Gooduria è ora sospettato di aver causato la morte per negligenza e di aver navigato con troppe persone. La causa sostiene che a causa del peso aggiuntivo era più difficile per lui governare l’imbarcazione in caso di tempesta.
  Il morto israeliano è stato portato ad Ashkelon per la sepoltura, alla quale ha partecipato anche l’attuale capo del Mossad, David Barnea, che ha reso omaggio. I media italiani lo hanno identificato come Erez Shimoni, anche se molti sono convinti che si tratti di un nome falso. Tutti i sopravvissuti israeliani hanno fornito la stessa versione dei fatti al momento del disastro. “Tutto era perfetto”, ha scritto la stampa locale dopo che sono stati resi noti i dettagli del caso e l’identità delle persone sulla barca, “tranne la festa di chiusura”.
  La procura italiana sta sì indagando sul disastro, raccogliendo ogni brandello di informazione, attivando i reparti della scientifica e portando i sommozzatori sul luogo del naufragio, ma ha già chiarito che intende indagare solo sul naufragio in sé e sulle morti che ne sono derivate, e non indagherà sui rapporti tra le persone che erano sulla barca e su quello che stavano facendo.
  Questo lascia il poliziotto locale con molte domande: “Quando ho sentito l’ordine delle cose, come sono accadute e chi era coinvolto, ho iniziato a chiedermi: Chi è rimasto nel lago? Una barca, una sola? Chi viene da Milano – e ha navigato fino all’isola per festeggiare il compleanno di uno dei membri dell’equipaggio? Questo non è un posto per il compleanno di uno dei membri dello staff, questo è un posto dove si viene a festeggiare qualcosa di veramente grande. Un gruppo così numeroso, a questi prezzi, con uno staff che per tutta la vita ha imparato a vivere all’ombra della vita? Si viene in un posto come questo per festeggiare qualcosa di molto più grande di un compleanno. Molto più grande”.
  Quanto grande? Forse non lo sapremo mai. Ma probabilmente abbastanza grande da destare preoccupazione.
  “So che si tratta di una catastrofe personale e nazionale”, mi dice un membro del consiglio di amministrazione del porto turistico, “ma è anche una catastrofe per noi che lavoriamo nell’industria del turismo del Lago Maggiore. Prima c’è stata la pandemia di coronavirus che non ha avuto precedenti in tutto il mondo; poi c’è stato il disastro della funivia. Tra i suoi morti c’era anche una famiglia israeliana; e ora questo. Non è una buona cosa per il nostro turismo”.
  Non state esagerando un po’? La gente sarà impegnata per un’altra settimana e tra due settimane non ci saranno abbastanza barche per i turisti.
  “Lei pensa? Pensaci bene. C’è un notiziario mondiale che parla di spie israeliane e italiane che lavorano insieme e che hanno avuto un incidente. Quanto tempo pensi che gli iraniani e gli americani, gli inglesi e i tedeschi verranno qui per cercare di capire perché il Mossad era qui? Quanto tempo pensa che passerà prima che i russi comincino ad avvelenare la gente qui? Vi dico che questo è un duro colpo per noi”.

(Rights Reporter, 19 giugno 2023)

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«Lascio la sanità, non la riconosco più»

Il primario di Novara, pioniere delle cure precoci contro il Covid: «La scienza alla fine mi ha dato ragione, eppure il sistema mi ha isolato. La pandemia è finita non grazie ai vaccini, ma perché il virus è mutato»

di Angela Camuso

«Non è più il mio mondo ... ». Con questa frase inizia il messaggio che il professor Pietro Luigi Garavelli, primario infettivologo dell'ospedale di Novara, sta inviando in questi giorni ai suoi contatti telefonici per annunciare la sua imminente uscita di scena dalla sanità pubblica, avendo deciso di andare in pensione con sei anni di anticipo. «Ho svuotato il mio studio di Novara. Dal 31 luglio inizierò il percorso che mi porterà alla pensione ... » scrive oggi, anche se in realtà lo aveva deciso - e preannunciato - poco meno di due anni fa, all'indomani della bufera mediatica e dell'azione disciplinare che subì a causa di un suo intervento pubblico in una piazza di Alessandria, durante una manifestazione no Greenpass (ma etichettata come no vax), in occasione della quale Garavelli fece affermazioni sui vaccini anti Covid che non erano in linea con quelle che il governo stava divulgando.
  Garavelli disse, in quell'occasione, che quei vaccini che venivano propagandati dalle autorità come unica soluzione salvifica per uscire dalla pandemia in realtà non lo erano e così, lui che fu il primario più giovane d'Italia (a soli 38 anni); lui che ha pubblicato ben 300 lavori scientifici, di cui 119 indicizzati; lui che è stato insignito di prestigiosi riconoscimenti a livello internazionale; lui che ha coniato anche il nome di una malattia parassitaria (la blastocistosi): lui che è stato pure revisore della rivista The Lancet; lui che insomma ha un curriculum che per scriverlo non basterebbe questa pagina, fini alla gogna e fu punito da parte dell'ospedale di Novara con la sanzione disciplinare della «censura». Censura che il prof ha rispettato, senza pero rinnegare quanto detto. Anzi. La sua uscita di scena volontaria appare piuttosto una denuncia implicita contro la censura appunto, subita, anche se lui, sia chiaro questo non lo dice, visto che fin quando non sarà andato in pensione è ancora dipendente pubblico e dunque soggetto alle regole che gli impone l'azienda sanitaria di Novara, alla quale infatti il professore ha chiesto l'autorizzazione per questa intervista. Autorizzazione che è stata accordata.

- Professore, che significa quella frase: «Non è più il mio mondo»?
  «Non è più il mio mondo perché non è più il mondo di mio papà, medico condotto che era disponibile h24 e 365 giorni l'anno. Adesso il medico è un dipendente pubblico che è stato burocratizzato. Io credevo in tante cose ma la medicina è cambiata. Io credevo innanzitutto nell'assoluto valore della scienza; credevo nel dibattito scientifico; credevo nel sistema sanitario pubblico. Io sono cresciuto cosi, ma le ultime vicende personali mi hanno reso più agnostico, più ... triste, perché dato che col tempo la scienza mi ha dato ragione, io mi sarei aspettato che qualcuno mi desse un buffetto dicendo: "Hai avuto ragione". E invece tristemente non ho mai sentito nessuno. È rimasta l'immagine di me che arringavo la folla in una piazza di Alessandria con un megafono, senza che si sia saputo quello che in realtà avevo detto, cioè cose vere. Per questo lascio, con profonda amarezza. Per questo ho scritto "Non è più il mio mondo"».

- Ecco, professore, ma perché lei è stato diffamato? Quando lei disse certe cose, due anni fa, le disse già all'epoca in nome della scienza ...
  « Io ho sempre cercato di spiegare l'andamento della pandemia con le mie conoscenze scientifiche».

- Invece si continua, nell'opinione comune, a sostenere che le autorità abbiano preso decisioni in nome della «Scienza» e ora che molte di queste decisioni si sono mostrate errate, qualcuno sostiene che la «Scienza» abbia sbagliato.
  «Io ho seguito la mia linea. E voglio parlare solo di quello che ho fatto e cioè: insieme ad altri a livello italiano e a livello internazionale, ho sostenuto l'utilità delle cure precoci le quali, all'epoca, si facevano con l'utilizzo dei farmaci che avevamo già a disposizione e mi riferisco all'idrossiclorochina, all'ivermectina, all'azitrornicina eccetera, che non erano costruiti sul Sars-Cov-z ma funzionavano, mentre adesso ci sono dei farmaci specifici proposti dal mercato - e mi riferisco al Molnupiravir, al Paxlovid e al Remdesivir - che sono degli antivirali disegnati su Sars-Cov-z, che sono sostenuti da tutta la comunità scientifica perché essendo farmaci specifici nessuno si può tirare indietro. Tuttavia anche questi nuovi farmaci funzionano solo se impiegati precocemente. Tanto più una malattia come questa viene curata precocemente tanto più è possibile guarire e questo è un concetto generale di tutte le malattie infettive. Noi abbiamo fatto le cure domiciliari nell'ambito di un protocollo che all'epoca fu approvato dall'assessorato alla Sanità della Regione Piemonte e fu fatto uno studio che ha dimostrato che riducevano sensibilmente le ospedalizzazioni. Io ne ho parlato al Senato; l'assessore regionale alla Sanità ne ha parlato più volte alla conferenza Stato-Regioni ... Ma non voglio entrare in polemica con coloro che hanno seguito un'altra via. Io ho seguito la mia via, la mia coscienza e quello che sapevo e ora il tempo mi dà ragione. Questo sia sulle cure sia sui vaccini. lo sui vaccini ho sempre sostenuto la necessità di avere vaccini aggiornati perché il virus muta e supera i vaccini. Il virus è la lepre dove il vaccino è la tartaruga».

- Quindi non è vero che siamo usciti dalla pandemia grazie ai vaccini. ..
  «Senta ... Questo virus vuole sopravvivere, come tutti i microrganismi. I virus tendono, nella loro evoluzione darwiniana, a modificare le loro caratteristiche attenuando la loro aggressività e questa è una grande lezione di biologia. Poi, c'è la tendenza del sistema immunitario dell'uomo che si rafforza man mano che affronta nuove patologie, perché anche da paucisintomatico inizia a sviluppare una risposta immunitaria specifica e aspecifica».

- E questo si sapeva già...
  «Ovviamente».

- E a proposito degli effetti collaterali?
  «Io non li vedo perché non è questo il mio lavoro, ma su questo tema suggerisco di ascoltare quanto sostiene il professor Ciro Isidoro, professore ordinario di patologia generale, che è un grande esperto sia sull'efficacia di questi vaccini anti Covid a mRna sia sulle problematiche che possono causare. Isidoro ne ha parlato all'International Covid Summit di Bruxelles. È stata una delle relazioni più interessanti, perché lui parla con cognizione di causa. Il tema invece su cui vorrei intervenire, essendo sindacalista, è il futuro della sanità pubblica, perché c'è il problema dell'effettiva accessibilità delle cure, in generale, per tutte le patologie. Avere i farmaci a disposizione non  è la stessa cosa di poterne veramente usufruire. In una sanità dove non ci sono più investimenti in termini economici, dove non sono stati programmati gli organici medici e infermieristici, l'accessibilità delle cure sta diventando sempre più difficile. Il Covid è stato l'epifenomeno di una crisi profonda della sanità italiana. Il Covid ha accelerato e fatto vedere le magagne della sanità».

- Professore, questo suo addio alla professione di medico ci fa tornare alla mente un altro addio, tragico e probabilmente causato da motivazioni simili alle sue ... Mi riferisco al caso di Giuseppe De Donno ...
  «Io alcuni strascichi li ho ancora. Ad esempio sono diventato un po' più insonne ... non so se riesco a rendere l'idea. Io ho avuto vicino la mia famiglia».

- Mi sta dicendo che anche lei ha subito psicologicamente in maniera forte gli attacchi che le sono stati fatti?
  «Guardi, io in realtà li subisco ancora di più adesso, perché c'è la rabbia dovuta al fatto che io ho avuto ragione e nessuno delle istituzioni me lo ha riconosciuto. Avrebbero potuto dirmi: "Avevi ragione, è capitato così, capiscici ...". Invece silenzio assoluto».

- Eh ma se le istituzioni ammettessero che lei aveva ragione ciò vorrebbe dire che esse avevano torto. Vorrebbe dire ammettere che a causa della negazione dell'efficacia delle cure precoci c’è stata una colpa rispetto a tantissime morti che si potevano evitare.
  «Per questo può comprendere perché voglio tornare a casa, nel "mio mondo". Me ne sto tra le mie colline. Io ho aderito all'Unci, Unione nazionale dei cavalieri italiani, perché  è un modo per ricordare l'unica cosa bella che ho ricevuto: mi hanno nominato Cavaliere per il mio impegno contro il Covid. E poi mi sono portato avanti. Ad Alessandria ho fondato il "Lions Club Alessandria Valmadonna Valle delle Grazie", per dedicarmi al volontariato. Ad esempio abbiamo raccolto tantissimi finanziamenti prima per i terremotati della Turchia e della Siria, adesso per gli alluvionati della Romagna. Inoltre proseguirò nella mia attività sindacale presso l'Ugs di cui sono consigliere nazionale, per continuare a servire la società civile in una sanità de-finanziata e depotenziata. Questo sarà il mio obiettivo quando lascerò l'ospedale, oltre a quello ancor più importante di stare vicino alle mie figlie, che sono cresciute con un padre tanto, troppo assente. Devo proteggerle dalla deriva di questa società fatua, che mi fa paura.»

(La Verità, 19 giugno 2023)
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Il commentatore di questi articoli ha una basilare e motivata antipatia per quella pseudoscienza chiamata “psicologia”, ma ogni tanto trova interessante verificare le formulazioni con cui questa esoterica disciplina definisce situazioni di comportamento morale o sociale che la Bibbia, e in certa misura anche un sano buon senso popolare, presenta e descrive già da secoli. La nominata pseudoscienza presenterebbe allora i sintomi e le conseguenti azioni vergognose dell’immorale atteggiamento di quei colleghi del professor Gavarelli come un particolare caso di dissonanza cognitiva, quella che in linguaggio popolare si chiama coscienza sporca:
    “L’individuo cerca automaticamente di eliminare o ridurre il disagio psicologico che essa comporta (ad esempio riduzione dell'autostima); il che può portare all'attivazione di vari processi elaborativi, che permettono di compensare la dissonanza (e ripristinare l'autostima). E per risolvere (o almeno attenuare) il disagio provocato dal conflitto delle proprie azioni con le regole morali, è tipico il ricorso del soggetto alle cosiddette tecniche di neutralizzazione, espedienti di varia natura, tutti tendenti a escludere o affievolire la responsabilità morale individuale, negandone o attenuandone l'illiceità attraverso una ridefinizione del senso del proprio agire. Ad esempio, la posizione dell'accusato può essere "alleggerita" attribuendo alla vittima in tutto o in parte la responsabilità di quanto accaduto (colpevolizzazione della vittima), oppure sminuendo la portata della trasgressione attraverso una ridefinizione eufemistica del senso delle azioni compiute.”
Perfetto. Un’altra soluzione potrebbe essere l’acquisto di nuova coscienza: "Chi volesse comprà quarche coscienza, ne troverà de tutti li colori…". M.C.

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I professionisti dell’abuso odiano la famiglia

Chi cerca qualcosa già con l'idea di quel che troverà, alla fine adatterà la realtà alle sue aspettative. E’ il caso di quegli psicologi e assistenti sociali che, mossi dall'ideologia, hanno convinto molti bambini di essere stati molestati dai genitori.

di Silvana De Mari

«Chi cerca trova». La innegabile frase ha due significati. Il primo, più ovvio, è che quando hai perso qualcosa, se lo cerchi con convinzione, prima o poi lo trovi. Essendo un'esperta in caos, posso testimoniare che è quasi sempre vero. Il secondo significato è invece vero sempre: chi cerca trova e trova sempre, perché è lui che proietta quello che sta cercando. I funzionari del Kgb trovavano sempre i controrivoluzionari, i Khmer Rossi trovavano sempre i borghesi, Enrico VIII trovava sempre gli amanti delle mogli considerate infedeli: chi dispone di carnefici di qualità trova sempre quello che cerca. Si tratta quindi del Principio della profezia che si autoavvera.
  Gli accurati ricercatori del fascismo, quelli che sono assolutamente certi di vivere in un Paese insopportabilmente fascista, vedono il saluto romano persino nel gesto obbligatorio di omaggio al tricolore con il braccio teso e alzato dei militari che sfilano il 2 giugno. La caccia al fascismo è basata sul principio isterico della legge del tutto o nulla. Perché abbia valore, qualsiasi cosa deve essere integralmente perfetta. Essere una nazione antifascista non vuol dire che non ci sia nemmeno una persona che nel suo cuore rimpiange il duce e il ventennio, esattamente come, se una nazione condanna l'omicidio, non vuol dire che non ce ne sia nemmeno uno. Il fascismo, e chi lo cerca lo trova, però è fondamentale per queste persone per giustificare la propria esistenza, non essendo state capaci di trovare un'altra linea direttiva se non combattendo qualcosa che è già stato vinto da altri più di mezzo secolo fa. Se il fascismo italiano è a loro insopportabile, il nazismo ucraino invece affonda nella loro totale tolleranza, per non parlare di quello palestinese. Grande tenerezza mi ispira sempre la giornalista palestinese Rula Jebreal: qualcuno dovrebbe ricordarle, mentre si slancia nella sua eterna caccia ai fascisti italiani, che il suo popolo è stato titolare insieme ai bosniaci di una divisione SS, la 13a, la bosniaco palestinese, personalmente fondata dal Gran Mufti di Gerusalemme, e che tuttora nel popolo c'è chi continua con entusiasmo a professare il nazismo. Sia i miliziani di Hamas sia quelli di Hezbollah salutano con il braccio teso. Il leader di Hamas Fathi Hammad ha esortato a uccidere tutti gli ebrei del mondo, e un principio analogo è contenuto nello statuto dell'associazione. La signora RulaJebreal con lodevole generosità ha lasciato il suo Paese a venire a insegnare l'antifascismo a noi. Ringraziamo commossi, ma io credo che se tornasse al Paese suo, avrebbe un bel po' di lavoro da fare. 
  Sono però assistenti sociali e psicologi quelli che eccellono nell'arte del cercare e trovare. Loro cercano gli abusi. Al minimo dubbio, noi leviamo il bambino, prima di sera. Sono queste le terrificanti parole di Federica Anghinolfi, la regina dei servizi sociali di Bibbiano, nella sua audizione al Senato. E’ sufficiente che il bambino disegni Casper, il fantasmino, che qualcuno scambia per un pene, che, prima che il sole tramonti, senza la minima indagine, senza il minimo dubbio, una famiglia venga distrutta insieme all'equilibrio della psiche di un bambino. 
  Nelle prime 12 ore del lunghissimo periodo in cui le assistenti sociali impediscono al bambino di vedere il genitore per il suo bene, il bambino piange ininterrottamente, poi smette per rassegnazione passiva, si è spezzato. Per il suo bene è messo in una casa famiglia, che sono posti statali con cibo statale, mobili dell'Ikea già sfondati a calci dai precedenti utenti. Se nella casa famiglia ci sono bambini più grandi e che vengono da ambienti molto pirotecnici come campi nomadi e quartieri di spaccio, il bambino subisce abusi che vanno dal bullismo all'abuso sessuale, ma ci hanno assicurato a Bibbiano che, se esercitato da un minorenne, l'abuso sessuale non vale, non fa male, non lascia segni. 
  Chi cerca trova vale anche per gli psicologi che cercano l'abuso. Claudio Foti è un professionista del centro Hansel e Gretel di Moncalieri, specializzato nell’abuso: non suona bene, inevitabilmente non cercano la verità, ma l'abuso, della cui esistenza sono inconsciamente certi. Perché nella Bassa Modenese e a Bibbiano sono stati arruolati professionisti del Piemonte? In Emilia Romagna non hanno psicologi capaci, evidentemente, se, moltiplicando i costi, occorre farli arrivare dal Piemonte. Claudio Foti non ha la laurea in psicologia. È laureato in lettere, una laurea molto brillante, presa con 110 e lode, a un' età un po' canonica, a 27 anni. Dopo la laurea ha cominciato a lavorare nell'ambiente della psicologia. Solo negli anni Novanta è stata strutturata in Italia la pratica della psicologia, stabilendo che era necessaria la laurea in psicologia e solo quella, ed eventualmente la successiva specializzazione in psicoterapia. Per evitare però di creare disoccupati o comunque persone infelici, lo Stato che è buono ha stabilito che coloro che già esercitavano la psicologia in qualche maniera fossero nominati psicologi anche senza laurea, e questo vuol dire che la laurea in psicologia evidentemente non ha valore, se averla o non averla è la stessa cosa. 
  Claudio Foti è laureato in lettere, è un esperto in narrazioni. E diventato lo psicologo (anzi il non psicologo) più famoso in Italia per quanto riguarda l'abuso. E’ lui che ha tenuto i corsi a magistrati e assistenti sociali. Scusate, ma tra i laureati in psicologia non ce ne era nessuno più bravo o almeno altrettanto bravo? Cercare un trauma e un abuso è dannatamente pericoloso, perché chi cerca, trova. Il dialogo con chi potrebbe aver subito un abuso deve essere fatto con una correttezza e una prudenza estreme, senza mai proporre un'idea perché c'è il rischio di creare una falsa memoria. Creare una falsa memoria è facilissimo. I genitori che «dimenticano» i bambini sul sedile posteriore in realtà non li dimenticano. Hanno immaginato il momento in cui li consegneranno all'asilo quell'immagine è diventata una falsa memoria, loro si sono convinti di aver portato all'asilo il bambino che in realtà si è addormentato sul seggiolino. Immaginate come è facile per un terapeuta incauto che fa una domanda diretta come «papà ti ha fatto del male?», o qualcosa di simile. La tecnica Emdr, una buona tecnica per la desensibilizzazione del trauma, è particolarmente pericolosa. Durante l'esecuzione della tecnica il terapeuta deve restare rigidamente in silenzio. Se parla, se propone immagini, può creare una falsa memoria che il soggetto non è più in grado di riconoscere come falsa. A Reggio Emilia le false memorie sono state oggettivizzate, qualcuno (uno psicologo? Un assistente sociale?) ha modificato il disegno di un bambino, raffigurante un adulto e appunto un bambino, così da simulare il disegno di un'aggressione. 
  Foti piace tanto perché rappresenta la tendenza europea. Nella Comunità europea l'odio contro la famiglia è totale: la definizione di famiglia è semplicemente «luogo dove il bambino e protetto». In Germania esiste l'istituzione dello Jugendamt, che costituisce il terzo genitore, infinitamente più importante dei primi due. Non è un ufficio di protezione della gioventù, ma l'ufficio del controllo statale totale. Inoltre i tedeschi non hanno veramente mai abbandonato il concetto di essere la razza superiore. I genitori non tedeschi, per esempio italiani, di bambini nati in Germania hanno torto a prescindere, in quanto non tedeschi, e sono costretti a cedere i loro figli alla struttura tedesca, con l'incredibile complicità dei giudici italiani che stanno avallando questo scempio. L'imperdibile libro di Marinella Colombo Non vi lascerò soli è importantissimo perché spiega quello che sarà anche il destino dell'Italia se non combattiamo per fermare questa deriva.

(La Verità, 19 giugno 2023)
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La psicologia è una falsa scienza che non smette di fare danni in tutti i campi. Anche in campo cristiano evangelico, dove è più dannosa del metodo di interpretazione storico-critico, perché più estesa, più popolare e quindi più insidiosa. M.C.

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Panoramica sul Millennio

Riportiamo uno studio pubblicato qualche anno fa su “Chiamata di Mezzanotte”, ringraziando l’autore per il notevole lavoro che certamente ha fatto per raccogliere e ordinare sinteticamente i punti essenziali di un argomento biblico di enorme importanza e molto trascurato negli ultimi anni. Si sa bene che su questo tema in campo evangelico ci sono posizioni diverse, ma sarà bene avvertire che quella qui presentata non è la stramba pensata di un visionario dell’ultim’ora, ma riassume una posizione già presente in libri e saggi biblici fin dagli inizi del secolo scorso, e anche prima. Riportiamo qui di seguito la parte conclusiva dello studio e alleghiamo in fondo l’intero articolo in pdf.


di Paolo Tallone

Perché si parla poco del Millennio?
  Come Mosè, un vero credente in Cristo ha giustamente lo sguardo rivolto verso il cielo, perché è da lì che tornerà il suo Signore e perché è lì che passerà l'eternità.
  Ma non si può negare che generalmente del Millennio se ne parla brevemente solo quando si studia l'Apocalisse e, personalmente, non ho mai sentito uno studio specifico su questo tema. Perché?
  Penso che il fatto che durante quel periodo Israele avrà un ruolo privilegiato e che il Regno sarà indubbiamente situato nel suo stato e in questa Gerusalemme terrestre, purtroppo, incomprensibilmente, mette a disagio alcuni credenti che sono influenzati da insegnamenti sbagliati.
  Se ne parla poco a causa di una certa confusione nel comprendere le profezie e il loro ordine cronologico; perché si trascura l'aspetto storico della salvezza fissando tutta l'attenzione sull'aspetto individuale della conversione.
  Anche quando si parla di Millennio, non sempre si sottolinea che questo rappresenta il compimento del Regno Messianico promesso a Israele, descritto abbondantemente nell'Antico Testamento.
  Vi è anche il fatto che non tutti leggono Apocalisse 20 in modo letterale e cronologicamente successivo al capitolo 19, come personalmente credo sia corretto fare, che poi è la posizione premillenarista, cioè di chi crede che la seconda venuta di Cristo preceda il regno fisico del Millennio.
  Vi sono anche i postmillenaristi che credono che i mille anni rappresentino il periodo di trionfo dell'Evangelo il quale anticipa la seconda venuta di Cristo, e gli amillenaristi, che credono che il Regno milleniale di Cristo non sia qualcosa di fisico ma di spirituale nel cuore dei credenti.

Quali sono per noi i risvolti pratici riguardo al Millennio?
  Il Regno millenario è come l'anticamera dei nuovi cieli e della nuova terra; è l'adempimento delle promesse riferite al Regno sulla terra; è la conclusione prima del giudizio universale; è la dimostrazione di ciò che è possibile stabilire quando Israele e l'umanità nel suo complesso si sottometteranno alla signoria del Signore Gesù Cristo. Comprendere bene che cos'è il Millennio serve per:
  • Avere una corretta visione di ciò che ci aspetta ed essere così incoraggiati
  • Avere una corretta visione riguardo a Israele e all'amore che Dio ha per questo popolo.
Per questa ragione anche noi dobbiamo amare gli Ebrei e dobbiamo portare loro il Vangelo di Yeshua HaMashiach, affinché i chiamati tra loro si convertano e si salvino ... e quindi affrettare la Sua venuta!
  Serve per condurci in santità e pietà perché l'Eterno è Dio della storia e il Suo Cristo regnerà su questa terra con noi, anche se per un tempo, e comunque non così corto. Quale privilegio!
  • Perché viviamo in tempi difficili e altri più tremendi stanno per arrivare. Se vogliamo regnare con il Re dobbiamo vegliare sul nostro cuore, vegliare nelle nostre assemblee, consacrarci per essere dei vasi nobili al servizio del Maestro.
Fratelli e sorelle, ci deve confortare la certezza che presto regneremo con Cristo Gesù in una terra risanata con un corpo incorruttibile, glorioso, potente, spirituale, celeste, immortale. Ci dobbiamo rallegrare per l'imminente Regno millenario, per il fatto che Israele tornerà al Dio dei suoi padri, perché vedremo e serviremo Gesù Cristo, vedremo la gloria dell'Eterno nel Tempio, e perché quando il Millennio finirà, vivremo nei nuovi cieli e nuova terra al cospetto del nostro Dio per l'eternità! Marana-tha! Vieni presto Signore Gesù! Amen!

- Panoramica sul Millennio

(Chiamata di Mezzanotte, luglio/agosto 2019)


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Il ministro marocchino Abdelouafi Lafti incontra il suo omologo israeliano, Moshe Arbel

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Come ha rivelato La scrivania il ministro dell’Interno del Marocco Abdelouafi Laftit ha incontrato questo venerdì presso la sede del ministero a Rabat il suo omologo israeliano degli interni, anche lui a capo del Dipartimento della salute dello Stato ebraico, Moshe Arbel.
  Questo incontro fa parte del rafforzamento delle relazioni tra il Regno del Marocco e lo Stato di Israele, che hanno compiuto progressi significativi dalla firma nel dicembre 2020 della dichiarazione tripartita (Marocco-USA-Israele).
  Nel corso di tale incontro, Laftit ha avuto uno scambio di opinioni con il suo omologo israeliano. Questo incontro è stato anche l’occasione per affrontare questioni bilaterali di interesse comune ed esaminare modi per rafforzare la cooperazione tra i due Paesi, conclude il documento.
  Va notato che questa è la seconda visita di un ministro degli interni israeliano in Marocco. Ayelet Shaked, il predecessore di Moshe Arbel, aveva incontrato Nasser Bourita e Laftit durante una visita ufficiale nel luglio 2022, per aprire le discussioni su un accordo per inviare manodopera marocchina in Israele, a conferma delle informazioni rivelate da La scrivania.

(dayFRitalian, 17 giugno 2023)

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Israele in pressing sull’Occidente per fermare il programma nucleare dell’Iran

Netanyahu ha ribadito l'opposizione di Israele a un ritorno all'accordo nucleare originale del 2015 e ha sottolineato che il Paese sta facendo grandi sforzi per cercare di fermare l'Iran.

Nonostante il recente riavvicinamento dell’Iran all’Arabia Saudita e le voci sulla ripresa dei negoziati internazionali sul programma nucleare iraniano, resta alta tensione in Medio Oriente per la crescente tensione tra Teheran e Israele. Una fonte politica di spicco a Tel Aviv citata dal quotidiano panarabo edito a Londra “Asharq al Awsat”, di proprietà saudita, afferma che i politici e i leader militari israeliani “continueranno a esercitare pressioni sui paesi occidentali” per quanto concerne in dossier iraniano. Le parole del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, espresse durante una sessione del Comitato per gli affari esteri e la Difesa nella Knesset, lasciano ben poco spazio a dubbi: il governo israeliano non si fida che l’Iran rispetterà un eventuale accordo sulla natura pacifica del suo programma nucleare. Netanyahu avverte che Israele monitorerà attentamente l’attività nucleare dell’Iran e combatterà questa minaccia.
  Una fonte ha rivelato al sito web israeliano “Walla” che il programma nucleare iraniano è stato il tema più importante posto dagli ufficiali israeliani durante gli incontri con gli statunitensi. Le stesse fonti riferiscono che gli argomenti al centro degli incontri del presidente israeliano, Isaac Herzog, con il presidente statunitense Joe Biden il prossimo luglio e del ministro della Difesa Yoav Gallant con il capo del Pentagono, Lloyd Austin, in Belgio, verteranno su un unico tema: “Iran, Iran e Iran”. E la questione iraniana dominerà anche i colloqui tra Gallant e gli omologhi provenienti da Francia, Italia, Romania e Ungheria durante il Salone Internazionale dell’Aeronautica di Parigi.
  Secondo “Walla”, il ministro della Difesa israeliana chiederà nuovamente al collega statunitense Austin di accelerare la consegna degli aerei da rifornimento Boeing KC-46 Pegasus, acquistati da Israele lo scorso anno. Israele, infatti, ha bisogno di aerei da rifornimento per prepararsi a un possibile attacco all’Iran. Gallant ha discusso in precedenza con Netanyahu e alti funzionari della sicurezza della necessità di mantenere la superiorità militare di Israele nel Medio Oriente, in particolare nel confronto con l’Iran. Da parte sua, Netanyahu ha chiarito che la posizione di Israele sulla possibile ripresa dei negoziati dell’occidente sul programma nucleare iraniano è chiara: “Non saremo vincolati da nessun accordo con l’Iran e continueremo a difenderci”.
  Netanyahu ha ribadito l’opposizione di Israele a un ritorno all’accordo nucleare originale del 2015 e ha sottolineato che Israele sta facendo grandi sforzi per cercare di fermare l’Iran. Il “New York Times” ha recentemente riferito che gli Stati Uniti e l’Iran sono vicini alla firma di una “intesa”, secondo la quale Teheran si impegnerebbe a non arricchire l’uranio oltre il livello attuale del 60 per cento di purezza. In cambio, Washington potrebbe rilasciare parte dei fondi congelati. Da parte sua, Teheran cesserebbe anche gli attacchi contro i militari statunitensi in Siria e Iraq tramite i suoi alleati regionali, intensificando potenzialmente la cooperazione con gli ispettori nucleari internazionali e astenendosi dalla vendita di missili balistici alla Russia.
  Nel frattempo, Israele sta compiendo manovre militari sempre più evidenti. Rafael Advanced Defense Systems, una delle principali società di tecnologia della difesa israeliana, ha sviluppato un avanzato sistema d’intercettazione missilistica chiamato “Sky Sonic”, descritto come la risposta difensiva innovativa alla crescente minaccia dei missili ipersonici. Il sistema sarà ufficialmente presentato per la prima volta la prossima settimana al padiglione dell’azienda al Salone dell’Aeronautica di Parigi, una delle più grandi mostre aerospaziali del mondo. Il nuovo sistema rappresenta una risposta alla parata militare dei Guardiani rivoluzionarie iraniani (i cosiddetti Pasdaran) alla presenza del presidente Ebrahim Raisi, che ha incluso la presentazione di Fattah, il primo missile ipersonico dell’Iran.

(Nova News, 17 giugno 2023)

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Putin interviene al Forum economico internazionale di San Pietroburgo

Il presidente russo Vladimir Putin intervistato al Forum economico internazionale di San Pietroburgo ha ricordato lo sterminio degli ebrei nella Seconda guerra mondiale. “L’Olocausto  è stato lo sterminio di 6 milioni di ebrei, e un milione e mezzo sono stati sterminati in Ucraina, prima di tutto per mano dei Banderiti”, specificando che il riferimento è ai seguaci del nazionalista Stepan Bandera, alleatisi con Hitler contro l’Unione Sovietica.
  Infine Putin,  dopo aver fatto vedere una serie di video agghiaccianti sui massacri in Ucraina,  ha affermato che proprio Bandera e i suoi seguaci oggi sono “gli eroi dell’Ucraina” e coloro che “le autorità ucraine oggi proteggono”. “Abbiamo l’obbligo di combattere contro questi – ha proseguito Putin -. La Russia è stata la parte che ha sofferto di più nella lotta contro il nazismo. Non dimenticheremo mai questo. “Abbiamo tutto il diritto – ha concluso il presidente russo – di ritenere che uno dei nostri obiettivi chiave in Ucraina è la denazificazione”.

(Fatti & Avvenimenti, 17 giugno 2023)


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Mosca: "Le proposte di pace di alcuni paesi potrebbero funzionare"

Putin attacca Zelensky: "Un disonore per gli ebrei"

Le proposte di pace di alcuni Paesi sul conflitto in Ucraina contengono idee che potrebbero funzionare. A riferirlo è la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, all'agenzia di stampa Tass durante il Forum economico che si sta svolgendo a San Pietroburgo. "Certo che ci sono", ha risposto la portavoce rispondendo alla domanda sulla possibilità di idee concrete sulle proposte di pace.
  "Ribadisco che siamo grati a tutti i Paesi, tutti gli Stati e le figure pubbliche, perché molte proposte sono state presentate personalmente da personaggi pubblici internazionali - ha aggiunto -. Siamo grati a tutti quelli che stanno parlando della pace, che stanno facendo proposte e che si stanno rendendo disponibili per questo".
  Nel forum è intervenuto anche il presidente russo Vladimir Putin. "La controffensiva ucraina - dichiara - non ha alcuna chance di successo. "Le forze di Kiev in questo momento attaccano in alcune aree, hanno perso diversi carri armati, i combattimenti continuano ma non hanno alcuna possibilità", ha aggiunto come riporta Tass.
  "Ho amici ebrei che mi dicono che Zelensky non è un ebreo, ma un disonore per gli ebrei", ha detto ancora Putin. "La Russia può distruggere qualsiasi edificio nel centro di Kiev ma non lo fa per determinate ragioni", ha aggiunto, spiegando anche che alcune armi nucleari russe sono già state consegnate alla Bielorussia e il resto verranno trasferite entro la fine dell'anno.
  Durante il suo intervento il presidente russo ha chiesto di rispettare un minuto di silenzio in memoria di Silvio Berlusconi.

(Rtv, 17 giugno 2023)

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Al via il Pitigliani Kolno’a Festival – Ebraismo e Israele nel Cinema

Torna dal 19 al 22 giugno 2023 a Roma, a  ingresso gratuito fino a esaurimento posti, il  Pitigliani Kolno’a Festival – Ebraismo e Israele nel Cinema, giunto alla  sedicesima edizione, dedicato alla cinematografia israeliana e di argomento ebraico. Il festival si tiene in due location: dal 19 al 21 giugno alla  Casa del Cinema mentre la serata finale, il  22 giugno, al  Centro Ebraico Italiano Il Pitigliani.

Prodotto dal  Centro Ebraico Italiano Il Pitigliani e diretto da  Ariela Piattelli Lirit Mash, il  PKF2023 propone, come sempre, un variegato assaggio dell’ultima produzione israeliana.

Con quattro film, tutti in anteprima italiana, il PKF2023 offre uno sguardo su aspetti diversi quanto importanti della società israeliana. Dalla convivenza alla memoria degli eventi della storia contemporanea d’Israele, alle difficoltà dei giovani emarginati. Quattro film che permettono allo spettatore di conoscere i temi che il cinema israeliano oggi affronta, dei diversi linguaggi scelti dai registi, che continuano a raccontare un Paese e la sua cultura anche con la leggerezza della commedia.

La PRIMA SERATA - Il festival apre il 19, alle 21.30 con Matchmaking di Erez Tadmor, un film che rappresenta, scegliendo il genere della commedia, un affresco sul mondo dei giovani ebrei ortodossi di Gerusalemme che cercano, con l’aiuto dei sensali, l’amore della vita: un film dove si incontrano e si scontrano mondi diversi in quello che è già un microcosmo e in cui anche un fidanzamento può diventare un affare di stato. Sarà presente il regista.

La SECONDA SERATA, sarà dedicata alla regista di Savoy, Zohar Wagner, che saluterà il pubblico da Israele. La docu-fiction racconta la storia di Kochava Levy, una giovane donna di origine yemenita che ha fatto da mediatrice tra i terroristi e l’IDF mentre era tenuta in ostaggio a Tel Aviv durante la notte del micidiale attacco terroristico all’Hotel Savoy del 1975. Nel corso di una notte, si trasformò in un’eroina senza paura. Il film intreccia rari materiali d’archivio che non sono mai stati diffusi e scene di fiction rievocative della notte dell’attacco.

Durante la TERZA SERATA verrà consegnato il premio alla carriera a Erez Tadmor. Seguirà la proiezione di Children of Nobody lungometraggio drammatico ispirato ad una storia vera.
Vivendo ai margini della società israeliana, alcuni ragazzi problematici devono unirsi per salvare il rifugio per giovani a rischio che li ha tenuti lontani dalla strada. Per generazioni, la direttrice Margalit (Tiki Dayan) ha fornito un rifugio amorevole alle vittime dell’abbandono e della violenza in una casa malandata alla periferia di Tel Aviv. Tocca al braccio destro Jackie (Roy Assaf) tenere la casa lontana dagli immobiliaristi corrotti, placando anche i controlli di un assistente sociale per evitare la tragedia.Con l’amore severo del “fratello maggiore” Jackie, i ragazzi devono ora essere responsabili delle proprie vite e salvare il loro rifugio da un destino terribile.

Il festival si chiuderà al  Centro Ebraico Italiano Il Pitigliani con la proiezione di Paris Boutique di Marco Carmel. Una commedia degli errori e una storia di amicizia tra due donne in un momento critico della loro vita.
Louise, un avvocato di religione ebraica, arriva da Parigi per concludere un importante affare immobiliare. Si affida a Neta, un’autista e astuta eroina di Mahane Yehuda, che intuisce subito l’opportunità economica e decide di restare al fianco di Louise ad ogni costo. Quando le due visitano la Città Vecchia, scoprono un legame segreto tra una donna ultraortodossa e un uomo di religione cristiana, che comunicano attraverso note nascoste nelle scanalature del Muro del Pianto. Nel tentativo di risolvere il mistero, Louise e Neta seguono l’enigmatica coppia attraverso gli stretti vicoli della città. 

Erez Tadmor – Premio alla carriera Pkf2023
Nato in Israele nel 1974, Erez Tadmor è sceneggiatore, regista e produttore. Si è laureato alla “Camera Obscurs Film School” di Tel -Aviv. Il suo primo cortometraggio “Moosh” ha vinto premi in più di 40 festival in tutto il mondo inclusi Houston, Palm springs e molti altri.
Tra i film che ha diretto e di cui ha curato anche la sceneggiatura ricordiamo Magic Men, A Matter of  Size, The Art of Waiting e Homeport.

Il PKF2023 è realizzato con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Roma, con il contributo della Fondazione Museo della Shoah, in collaborazione con il  MEIS – Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah e l’Ambasciata di Israele in Italia.

I film, tutti in lingua originale iniziano alle 21.30. Sono ad ingresso libero fino ad esaurimento posti. E’ consigliata la prenotazione sul sito www.pitiglianikolnoafestival.it

(ildogville.it, 17 giugno 2023)

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Parashà di Shelàkh: Esploratori e spie

di Donato Grosser

In questa parashà viene raccontato cosa avvenne prima, durante e dopo il viaggio dei dodici rappresentanti delle tribù d’Israele inviati da Moshè, su richiesta del popolo, per esplorare la terra di Canaan. Al loro ritorno, dopo quaranta giorni, essi vennero da Moshè e da Aharon e da tutta l’assemblea d’Israele: “Gli raccontarono e dissero: Siamo arrivati nel paese  dove ci avevi mandato ed esso è davvero un paese stillante latte e miele come puoi vedere dai suoi frutti.  Tuttavia (efes) il popolo che abita nel paese è aggressivo, le città sono vaste  e  fortificate. Inoltre abbiano visto lì anche i discendenti dei giganti. ‘Amalèk abita nel meridione, i chittiti, i gebusiti e gli emorei abitano nella regione montana e i canaaniti abitano sulla costa e lungo il Giordano” (Bemidbàr, 13: 27-29).
   R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (p. 103) fa notare  che tutti i commentatori si domandano quale sia stato il peccato degli esploratori. Infatti Moshè era stato molto esplicito nelle sue istruzioni e aveva detto loro: “Andate a nord verso il Nèghev e continuate a nord verso la regione montagnosa; osservate il paese e il popolo che vi abita, se è forte o debole, se è poco o molto numeroso, e se il territorio nel quale abita è buono o meno, e se  le città dove risiedono sono aperte o fortificate (ibid., 17-19).  Per quale motivo le parole degli esploratori generarono un panico nel popolo che rifiutò di continuare la marcia verso la Terra Promessa? Alla fine il rapporto era conforme alle istruzioni ricevute da Moshè! 
   Il Nachmanide (Girona, 1194-1270, Acco) suggerisce che il peccato degli esploratori era stato di aver aggiunto una parola che cambiava il significato del rapporto. Essi dissero “efes” (tuttavia). Senza quella parola  la storia del popolo d’Israele sarebbe stata differente, Moshè non aveva chiesto agli esploratori di dare un’opinione sulla probabilità  di sconfiggere gli abitanti di Canaan. Moshè aveva chiesto solo una descrizione del paese. 
   Nel libro di Yehoshua’ (cap. 2)  è raccontato che Yehoshua’ prima di attraversare il Giordano, inviò due spie a vedere la città di Gerico e il territorio circostante.  
   R. Leibush Wisser, detto Malbim (Ucraina, 1809-1879) nel suo commento domanda per quale motivo Yehoshua’ inviò delle spie a Gerico senza temere che il risultato della missione sarebbe stato tragico come quello degli esploratori inviati da Moshè. Il Malbim risponde offrendo diverse motivazioni: 1. Gli esploratori di Moshè furono inviati a richiesta del popolo e, quando diedero un rapporto negativo sul paese, il popolo prestò loro fede. 2. Moshè li aveva mandati dal deserto di Paràn che era lontano dal confine della Terra di Canaan e il popolo aveva dei dubbi sulla qualità del paese e sulla possibilità di conquistarlo. Yehoshua’ invece mandò le due spie dal confine del paese, senza alcun dubbio sulla conquista, cercando solo di sapere da quale direzione fosse più facile conquistare la città.  3. Moshè aveva mandato dodici rappresentanti, uno per tribù, a esplorare; Yehoshua’ mandò due uomini per spiare. L’esploratore va per descrivere il territorio e gli abitanti; le spie vanno per cercare i punti deboli del paese. La necessità  di mandare un rappresentante per tribù fu alla base del fallimento della missione. Per spiare due esperti del mestiere sarebbero stati sufficienti. 4. Yehoshua’ mandò le due spie in segreto. Nessun altro sapeva della missione. 
   Che le due spie fossero esperte del mestiere lo conferma il fatto che entrati a Gerico andarono nel salone della “locandiera” Rachav. In un locale del genere era difficile che fossero riconosciuti come israeliti perché nessuno pensava che degli israeliti andassero in un posto simile. Inoltre il salone di Rachàv era il luogo più adatto per scoprire i segreti del paese perché  Rachàv aveva rapporti con tutti i ministri della città che le raccontavano liberamente i segreti del posto. Al loro ritorno le due spie tornarono non solo con informazioni sulla città e sul territorio circostante ma furono anche in grado di dare un rapporto sullo stato d’animo degli abitanti di Canaan: “E dissero a Yehoshua’: “L’Eterno ci ha dato in mano tutto il paese e tutti gli abitanti del paese si stanno dissolvendo davanti a noi” (Yehoshua’, 2:24).

(Shalom, 16 giugno 2023)
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Parashà della settimana: Shlach (Manda)

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Nucleare, tra Usa e Iran un negoziato segreto. Mezzo sì anche da Israele

Il patto prevede lo stop all’arricchimento dell’uranio in cambio di sanzioni più leggere

di Paolo Mastrolilli

NEW YORK -  Il dialogo diplomatico tra Usa e Iran è ripreso, sottotraccia, per negoziare un accordo informale che prevenga la crisi nucleare. Non l'intesa Jcpoa firmata da Obama, ma un cessate il fuoco politico momentaneo, che secondo il Times of Israel anche il premier dello Stato ebraico Netanyahu accetterebbe. Lo rivelano New York Times e Wall Street Journal, che ne hanno parlato con almeno tre funzionari israeliani, un iraniano e un americano.
  Da quando Trump è uscito dal Jcpoa la situazione è costantemente peggiorata. Libera dai limiti imposti dall'accordo, la Repubblica islamica ha purificato 114,1 chili di uranio al 60%, secondo i dati dell'Aiea. Questo materiale non ha alcun uso civile, ma per costruire un'atomica serve arrivare al 90%. Le stime variano sul tempo che separa ancora Teheran dall'arma nucleare, tra 6 mesi e due anni, però il capo degli Stati Maggiori Riuniti Milley ha fatto sapere di aver preparato i piani per la risposta militare, nel caso gli ayatollah salissero al 90%. Curiosità aggiuntiva, alcuni di questi piani erano tra i documenti segreti che Trump si era portato a Bedminster.
  All'inizio del mandato Biden ha cercato di resuscitare il Jcpoa, ma Teheran non ha negoziato in buona fede. Washington ora è impegnata con la guerra in Ucraina e la sfida cinese, e non vorrebbe aggiungerci un conflitto in Medio Oriente. Perciò ha ripreso il dialogo, attraverso l'inviato per l'Iran Robert Malley, che alla fine dell'anno scorso ha incontrato l'ambasciatore all'Onu Amir Saeid Iravani, e il coordinatore della Casa Bianca per il Medio Oriente Brett McGurk, andato in Oman per discutere col negoziatore nucleare Ali Bagheri Kani. Mercoledì il leader supremo Khamenei ha indirettamente confermato i contatti, dicendo che potrebbe appoggiare un accordo con gli occidentali, se l'infrastruttura atomica del Paese restasse intatta.
  In base al patto l'Iran si impegnerebbe a non arricchire l'uranio sopra il 60%, fermerebbe gli attacchi dei suoi alleati contro gli americani in Siria e Iraq, allargherebbe la collaborazione con gli ispettori dell'Aiea, e non venderebbe missili balistici alla Russia. Incerto invece sarebbe il destino dei droni consegnati a Putin. In cambio, gli Usa eviterebbero di imporre nuove sanzioni, smetterebbero di sequestrare le petroliere iraniane che esportano greggio, non chiederebbero a Onu e Aiea risoluzioni punitive. Inoltre Washington ha già autorizzato l'Iraq a pagare 2,76 miliardi di dollari di debito che aveva con l'Iran per forniture di energia, e potrebbe sbloccare altri 7 miliardi dovuti dalla Corea del Sud. I soldi andrebbero in una banca del Qatar, e potrebbero essere usati solo per rimborsare debiti di Teheran all'estero o ricevere forniture umanitarie come cibo e medicine. Non sarebbe un trattato formale, che non verrebbe mai approvato dal Congresso, e avrebbe una durata limitata nel tempo. Biden verrebbe accusato di pagare il regime che aiuta Putin a bombardare i civili in Ucraina, ma eviterebbe il rischio dell'escalation nucleare e un conflitto peggiore in Medio Oriente.
  Secondo il Times of Israel, Netanyahu ne ha parlato con alcuni parlamentari, dicendo che potrebbe accettare questo "mini accordo". L'ex inviato Usa per il Medio Oriente Dennis Ross ha commentato che servirebbe a guadagnare tempo, ma non all'infinito, perché Teheran sta già potenziando le difese delle infrastrutture nucleari.

(la Repubblica, 16 giugno 2023)


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Biden colleziona errori. Tesse in segreto l'intesa sul nucleare con l'Iran

Il "Nyt": Washington a caccia di un accordo informale. I rischi di trattare con Teheran

di Fiamma Nirenstein

Da tempo, specie dal ritiro dall'Afghanistan e dalla visita di Biden in Arabia Saudita, si poteva intuire quello che il New York Times ha presentato come una rivelazione mercoledì: l'amministrazione Biden ha negoziato con Teheran in segreto un limite del programma nucleare compensato da un poderoso rilascio di fondi all'Iran e la restituzione di alcuni prigionieri americani. Lo scopo di quello che il Nyt chiama «un cessate il fuoco politico» è impedire un'escalation nell'arricchimento dell'uranio ormai a livelli altissimi, e di contenerlo al 60%, perché non raggiunga il livello della bomba, il 90%.
  Gli Usa si sono affrettati a smentire le tre fonti, americana, israeliana e iraniana, della notizia. Biden sembra impressionato dalla abilità e dalla guasconeria con cui l'Iran sfida l'Occidente, si allea platealmente con il suo peggior nemico attuale, la Russia, gli fornisce una delle armi più di successo nel conflitto con l'Ucraina, i droni, che hanno seminato morte e distruzione. L'Iran con la salvaguardia russa continua nella sponsorizzazione della Siria di Assad (che è tornato nella Lega Araba) per mano dei suoi migliori «proxy» gli Hezbollah: è solo di ieri una delle tante incursioni aeree di Israele su svariati depositi iraniani di armi destinati ai suoi. E la distruzione di Israele e l'odio antiamericano sono sempre spudoratamente sulla copertina degli Ayatollah. L'Iran ha anche vantato l'inaugurazione di missili ipersonici, la sua capacità di raggiungere Israele e l'Occidente. Khamenei ha annunciato mercoledì che è pronto a un accordo se si mantengono intatte le strutture nucleari. E di questo si tratta: solo di promesse degli Ayatollah.
  Robert Malley l'inviato speciale per l'Iran è sembrato molto ansioso di coronare col successo gli incontri con Amir Saeid Iravani, incaricato per l'Iran, e Ali Bagheri Kani, il negoziatore ufficiale. Secondo le rivelazioni correnti, giganteschi fondi bloccati verrebbero scongelati, per esempio 7 miliardi fermi in Sud Corea dopo l'acquisto di petrolio; 2 miliardi e 76 milioni in debiti di energia fermi in Iraq sarebbero già partiti. I capitali serviranno, si può immaginare, a finanziare Hezbollah e Hamas come nel passato oltre che per il regime delle Guardie della Rivoluzione. Ma le fonti sostengono che sarebbero destinati a usi umanitari, gestiti dal Qatar e comunque riscatteranno i prigionieri americani.
  L'Iran, in ottima salute nella sua veste di alleato della Russia, per il quale la Cina ha mediato l'accordo con l'Arabia Saudita, è oggi forte, e potrebbe, forse si teme a Washington, arrivare alla bomba mentre le centrali diventano strutture inarrivabili da un attacco. Netanyahu ha già detto che, quali che siano gli accordi americani, Israele farà quello che deve per evitare la bomba iraniana. Il suo aver definito il progetto «mini deal» e non «accordo» lascia pensare a un momento di osservazione sapendo che ci vogliono 12 giorni per arrivare al 90% fatidico. Il governo di cui fidarsi è un persecutore spietato di omosessuali e donne, un fautore implacabile della pena di morte e del carcere duro.
  L'accordo con gli Usa non disegna una situazione di equilibrio, ma al contrario aumenta la tensione dell'Arabia Saudita e dei Paesi del Golfo, fa scorrere denaro nelle vene dell'alleanza antioccidentale, conduce a una corsa agli armamenti. È difficile vedere i vantaggi della scelta dell'amministrazione Biden. Difficile disegnare in Medio Oriente la pace universale. Più facile avvicinare una nuova guerra.

(il Giornale, 16 giugno 2023)
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Che anche Biden possa fare errori forse a qualcuno dà fastidio. In una Rassegna Stampa l'articolo di Fiamma Nirenstein è presentato addirittura con omissione del titolo. Sarà una dimenticanza, ma in ogni caso può avere significato perché effettivamente è fastidioso per chi ama Israele dover ammettere che "il più grande amico di Israele" tratta in segreto col più grande nemico di Israele per arrivare a firmare un accordo che sa benissimo essere contrario agli interessi e all'espressa volontà di Israele. Che razza di amico è Biden, e lo Stato che presiede, per lo Stato d'Israele? A Biden, insieme al suo governo, interessa ben poco lo Stato d'Israele quando si tratta di sostenere e difendere i suoi propri interessi, che sono quelli di mantenere a tutti i costi il suo predominio finanziario e militare sul resto del mondo. La Russia è stata vista dagli Usa come un ostacolo minaccioso al mantenimento di questo predominio e alla fine si è pensato che la scintilla Ucraina fosse il momento giusto per accelerare il crollo di questo impedimento. Si dirà che quella della Russia è stata un'aggressione, e questo è senz'altro vero, ma quello che hanno fatto gli americani in Corea, Iraq, Afganistan, che cos'era? In ogni caso, non è stato forse un "errore" esasperare lo scontro in atto cercando di coinvolgere quanti più attori possibili, tra cui in modo particolare Israele? E' convenuto a Israele rovinare le sue vantaggiose relazioni con la Russia e favorire di fatto il suo più grande nemico Iran per non contrastare il suo "più grande amico" Stati Uniti? Le mosse di Biden sono "errori" perché sono esecuzioni di un politica moralmente errata in tutti i sensi. Ha commesso e sta commettendo ancora un enorme "errore" di peso mondiale boicottando ogni tentativo di arrivare a un compromesso con la Russia.
Riporto di seguito un articolo pubblicato sul nostro sito il 7 febbraio 2023. M.C.


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Bennett: quando Usa e GB hanno fatto saltare l'accordo Mosca-Kiev

Due giorni fa l'ex premier di Israele, Naftali Bennett, ha rilasciato un'intervista ad un giornalista in cui ha dichiarato che l'Occidente ha scartato possibili soluzioni del conflitto Mosca-Kiev e ha deliberatamente scelto di far continuare la guerra dell'Ucraina contro la Russia. La cosa avrebbe dovuto essere esplosiva, avrebbe dovuto provocare reazioni accese di approvazione o rigetto, ma nulla di tutto questo è successo. Il video in cui compare l'intervista è in ebraico, ma dai siti ebraici in Italia, o da quelli che sostengono Israele e in molti casi presentano traduzioni di video interessanti, non è uscito nessuno che offrisse la traduzione e il commento di questa esplosiva intervista. Niente. Silenzio. Su ciò che disturba la comune narrazione ufficiale tutto tace. Stile covid 19. Abbiamo trovato qualcosa in un sito dal titolo significativo: "Piccole note". Sì, perché per i giornaloni queste sono noterelle di poco conto, la presenza di Zelensky a Sanremo, quella sì che è una notizia importante da analizzare e commentare nei minimi particolari . NsI

Nei primi giorni di guerra, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno “bloccato” la mediazione tra Russia e Ucraina ad opera di Naftali Bennet che stava portando frutti. A rivelarlo è stato lo stesso ex primo ministro israeliano in un’intervista su YouTube.
  Pochi ricorderanno, ma va ricordato per la Storia, che il  4 marzo 2022, agli inizi della guerra, Bennett si era recato in Russia per incontrare Vladimir Putin, visita che aveva lo scopo di trovare una soluzione al conflitto. Un viaggio sollecitato dallo stesso Putin, come rivela nell’intervista.

• LA MEDIAZIONE DI BENNET
  La mediazione aveva trovato terreno favorevole, ricorda Bennet, dal momento che le parti avevano accettato ampi compromessi. Putin aveva accettato di abbandonare l’idea di “denazificare” l’Ucraina, cioè di eliminare la leadership al governo e lo stesso Zelensky, e di disarmare l’esercito di Kiev. E aveva promesso che l’invasione si sarebbe fermata se la controparte avesse rinunciato alla richiesta di aderire alla Nato, richiesta che, come ricorda Bennet, ha innescato l’invasione.
  Bennet ricorda come Zelensky avesse accolto la mano tesa di Putin, accettando di ritirare tale richiesta. Non solo, l’ex premier israeliano spiega che aveva trovato un modo di risolvere anche il problema delle garanzie che tanto preoccupavano Kiev, che aveva timore di un accordo che non le garantisse di evitare un’invasione futura.
  Zelensky, nello specifico, voleva garanzie americane, ma Bennet gli aveva replicato: “Cerchi garanzie dall’America dopo che si è ritirata dall’Afghanistan?”. E così gli aveva proposto quello che ha definito il modello israeliano: Israele, aveva spiegato, sa che non riceverebbe alcun aiuto in caso di invasione, così ha creato un esercito in grado di dissuadere i nemici. Un’ipotesi che l’Ucraina aveva recepito.
  Certo, nel riarmo c’era il nodo dei missili a lungo raggio, continua Bennet, che la Russia evidentemente temeva. Ma sul punto, l’ex premier israeliano fa un cenno significativo, spiegando di aver detto agli ucraini “non ti servono i missili d’assalto”… insomma, bastava che nel riarmo di Kiev non fossero compresi missili a lunga gittata (per inciso, sono quelli che adesso vuole inviare la Nato).
  Per inciso, Bennet spiega che sia Zelensky che Putin erano stati entrambi “pragmatici”, aggiungendo che non c’era nulla di “messianico” nello zar russo (tale messianicità è stata declinata in vari modi dalla narrativa ufficiale; tale narrazione ha reso ancora più arduo adire alle vie diplomatiche, non essendo possibile trattare con un esaltato),
  La mediazione israeliana doveva ovviamente essere supportata dall’Occidente, così Bennet ricorda di aver fatto partecipi dei colloqui i leader in questione, alcuni incontrandoli, altri contattandoli. E ricorda come Francia e Germania si fossero mostrati “pragmatici”, mentre la linea di Boris Johnson era più “aggressiva”. Gli Usa, per parte loro, si barcamenavano tra le due posizioni.
  Ma alla fine, ricorda Bennet, in Occidente è prevalsa la linea dura. Si decise cioè di “continuare a colpire Putin e non [negoziare]”. Tale decisione, secondo Bennet, è stata “legittima”, ma è ovvio che non poteva dire diversamente, dal momento si tratta di rivelazioni già fin troppo pesanti, che gravano Stati Uniti e Gran Bretagna di tragiche responsabilità. Inutile aggiungere peso a peso.
  La parole di Bennet, fonte autorevole e non di parte, chiariscono in via definitiva che la guerra poteva finire subito, con un bilancio di un migliaio di morti, forse meno, e con l’Ucraina in possesso di una parte dei territori oggi occupati dai russi, parte dei quali, se non tutti (e altri ancora) probabilmente rimarranno sotto il controllo di Mosca a titolo definitivo. Milioni di sfollati, centinaia di migliaia di morti, un Paese totalmente devastato… tutto per “punire” Putin… per “indebolire” la Russia.
  Ricordiamo come, nonostante il fallimento della mediazione di Bennet, i negoziati tra Russia e Kiev furono comunque portati avanti, nonostante mille difficoltà, arenandosi dopo il fatale viaggio di Boris Johnson a Kiev, quando il premier britannico disse a Zelensky che l’Occidente non avrebbe supportato un’intesa con Mosca.
  Interessante anche l’accenno di Bennet sugli avvenimenti di Bucha, quando spiega che con l’emergere di quella vicenda capì che non c’era più alcuna possibilità per la pace. Anche di questo abbiamo scritto, spiegando come gli asseriti orrori di Bucha furono una messinscena creata ad arte per rendere impossibile il negoziato.

• REGIME-CHANGE ALLA DIFESA UCRAINA
  Intanto da Kiev arriva l’annuncio della destituzione del potente ministro della Difesa. Al suo posto andrà Kyrylo Budanov, che abbiamo citato su Piccolenote perché recentemente aveva rilasciato un’intervista al Wall Street Journal nella quale raccontava l’uccisione a sangue freddo di Denis Keerev da parte della SBU.
  Keerev stava partecipando ai negoziati con la Russia al momento del suo omicidio, ufficialmente presentato come non intenzionale (sarebbe stato ucciso perché ha resistito all’arresto) e fu fatto passare per una spia russa. Nell’intervista al WSJ Budanov dice invece che Keerev fu ucciso deliberatamente, aggiungendo che non era affatto una spia, anzi era un patriota. E, per confermare la sua affermazione, Budanov ha ricordato che è stato seppellito con un funerale di Stato.
  Il fatto che prima di essere nominato a un incarico tanto delicato Budanov abbia concesso un’intervista al WSJ nella quale ha apertamente criticato la Sicurezza ucraina, risulta di grande interesse.
  Di certo, c’è la necessità di rimettere mano ai meccanismi dell’esercito ucraino, che Zelensky sta mandando al macello, come dimostra in maniera plastica l’ordine di tenere a tutti i costi Bakmut nonostante sia ormai indifendibile (tanto che anche gli americani gli avevano chiesto di ritirare le truppe).
  Da notare che la notizia arriva dopo la bufera suscitata dal quotidiano svizzero Neue Zürcher Zeitung, che riferiva di una proposta di pace pervenuta a Mosca dagli Stati Uniti che ha avuto come focus la visita a Kiev del Capo della Cia William Burns. Gli Usa avrebbero offerto il 20% dell’Ucraina in cambio di un accordo. La notizia è stata smentita da tutte le parti interessate, ma ha un evidente fondo di verità, come dimostra la visita di Burns. Washington e Mosca Hanno iniziato a parlare.
  Ma è prematuro fare previsioni. In attesa di capire meglio se e come cambierà qualcosa sul piano militare, ci limitiamo a riferire un tweet di M. K. Bhadrakumar (acuto analista di Indian Punchline), che ha destato la nostra curiosità.
  “Notizie esplosive da Kiev! Sostituito il ministro della Difesa Reznikov (ex ufficiale dell’aeronautica sovietica); lo sostituisce l’astro nascente Kyrylo Budanov, a capo dell’Intelligence militare (e beniamino degli americani); ciò consente al Pentagono un ruolo pratico nella gestione della guerra. Dove finirà Zelenskyj?”
  Vuoi vedere che hanno invitato Zelensky a Sanremo pensando di ospitare una stella senza accorgersi che si tratta di una stella cadente? Nell’incertezza, forse era meglio soprassedere (soprattutto per altre e più importanti ragioni).
  D’altronde l’ambito della politica estera italiana (di certo interpellata sull’invito), come anche quella interna, da tempo registra deficit di lucidità. Forse lo hanno capito solo adesso, o forse il ragazzo è in difficoltà, perché il giorno dopo la notizia di cui sopra si è saputo che piuttosto che apparire, come usa fare a mo’ di Madonna, Zelensky invierà un messaggio, in stile Medjugorje.

(Piccole Note, 7 febbraio 2023)

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La Germania si affida ad Israele per la difesa aerea con Arrow 3

di Jean Valjean

La commissione per il bilancio del Bundestag ha sbloccato mercoledì una prima tranche di 560 milioni di euro per l’acquisto del sistema di difesa aerea Arrow-3 di fabbricazione israeliana, mentre il governo tedesco cerca di modernizzare le proprie forze armate nell’ambito di un fondo di 100 miliardi di euro approvato dal cancelliere Olaf Scholz e dal Parlamento tedesco lo scorso anno.
  La spesa della Germania per il sistema Arrow-3, progettato per intercettare missili balistici, dovrebbe raggiungere i 4 miliardi di euro. Mercoledì la commissione ha anche approvato circa 950 milioni di euro per l’acquisto di sei sistemi di difesa aerea IRIS-T-SLM di fabbricazione tedesca. La Germania deve praticamente ricostruire il proprio sistema di difesa aerea, come del resto dovrebbe fare l’Italia.
  Arrow è un sistema anti-aereo e anti-missile avanzato, sviluppato dal 2017, con capacità di raggiungere velocità ipersonica e funziona anche anti-artiglieria. L’evoluzione Arrow 4, attualmente in fase di test, sarà in grado di intercettare anche i missili ipersonici.
  “Con l’acquisto dell’IRIS-T SLM tedesco e l’acquisizione dell’Arrow israeliano, stiamo portando avanti due importanti progetti del patrimonio speciale della Bundeswehr che contribuiranno a costruire un ombrello protettivo in Germania”, ha dichiarato a POLITICO Karsten Klein, legislatore dei Liberi Democratici nella commissione.
  Il sistema Arrow-3 è sviluppato e prodotto dalle industrie aerospaziali israeliane in collaborazione con il gigante aerospaziale statunitense Boeing. Klein ha dichiarato che i sistemi di difesa aerea, combinati, avrebbero un raggio d’azione di 2.400 chilometri.
  Il sistema Arrow-3 è in uso in Israele dal 2017 come parte della rete di protezione Iron Dome. Secondo un documento visionato da POLITICO, Berlino punta a stipulare un contratto vincolante per il sistema Arrow-3 entro la fine del 2023, che potrebbe quindi essere operativo entro la fine del 2025.
  Nell’ambito dell’aumento della spesa per la difesa in Europa in seguito alla guerra della Russia contro l’Ucraina, le aziende aerospaziali temono che miliardi di euro vadano a contraenti esterni all’UE, tra cui Israele, Corea del Sud e Turchia.

(Scenari Economici, 16 giugno 2023)

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Israele, Teheran e la polveriera mediorientale. Gli scenari dell’Inss

Gli esperti di uno dei maggiori think tank israeliani, l’Institute for National Security Studies, hanno discusso a Roma della dimensione securitaria israeliana. Formiche.net ha partecipato all’evento, ecco i quattro temi principali che minacciano l’area della Terra Santa.

di Duccio Fioretti

Durante un incontro a Roma con gli esperti dell’israeliano Institute for National Security Studies (Inss), il tema centrale è stata la sfida iraniana: negli ultimi anni Teheran ha accresciuto la pressione esercitata sullo stato israeliano, rafforzando la sua presenza intorno ai confini soprattutto grazie ad un massiccio uso di proxies, gruppi paramilitari formalmente indipendenti ma sostenuti e finanziati dall’Iran.
  Si è partiti dal contestualizzare la situazione securitaria di Israele nel teatro medio-orientale. Le dinamiche geopolitiche nel mondo contemporaneo si muovono in modo molto più rapido rispetto agli anni passati, rendendo obsoleti i paradigmi finora validi. Una rapida occhiata alla situazione permette di inquadrare cosa significhi questo processo. Una parte importante della popolazione sta portando avanti proteste di piazza contro la riforma giudiziaria da oramai 24 settimane, le più lunghe mai registrate dalla nascita del Paese nel 1948. Nessuno si aspettava il verificarsi di un simile fenomeno, simbolo di vibrante democrazia. Ma le tensioni interne si sovrappongono a quelle esterne, rappresentate da minacce che Israele considera come esistenziali. E questa sovrapposizione rischia di rendere più difficile la corretta gestione di entrambe. In particolare, le tensioni tra Iran e Israele sono cresciute negli ultimi 10 anni, soprattutto a causa delle mosse del primo: mentre Tel Aviv non ha accresciuto la sua proiezione all’estero, Teheran si è spinto sempre più lontano rispetto ai suoi confini nazionali, appoggiandosi a gruppi e a milizie locali come la libanese Hezbollah, la yemenita Ansar Allah o l’irachena Organizzazione Badr.
  E oltre alla minaccia convenzionale, c’è anche quella atomica. Non è chiaro con certezza a quale stadio di sviluppo sia arrivato il programma nucleare iraniano, ma secondo alcune fonti attendibili, Teheran avrebbe le capacità per sviluppare un ordigno nucleare in 120 giorni. A quel punto non sarebbe più una questione di expertise tecnica, ma di volontà politica. Certo, l’Iran ha tutto il vantaggio di sfruttare questa sua presunta capacità per esercitare pressione politica, ma per Israele la minaccia è reale.
  Secondo gli esperti dell’Inss, ci sono quattro questioni chiave su cui Israele deve concentrarsi per garantire il mantenimento della propria sicurezza nazionale. In primis la situazione diplomatica. Limitatamente alla regione mediorientale, lo stato ebraico è al momento molto più isolato di prima: per questo motivo è necessario che continui il suo approccio di cooperazione con i propri vicini. Segue la questione palestinese: al momento, gli abitanti della Palestina non starebbero ricevendo le dovute attenzioni da parte delle loro autorità, che si interessano soltanto ad accrescere la tensione col governo israeliano. Di questo passo c’è l’eventualità che si opti per una One State Solution, che secondo l’Inss è in assoluto la soluzione peggiore.
  Il terzo punto riguarda i proxy di Teheran negli altri stati mediorientali, e specificamente la loro lealtà: quant’è grande il rischio che questi gruppi decidano di non rispettare più gli ordini dei loro sostenitori e di agire in totale autonomia, con il rischio che si verifichi un’escalation di violenza che veda coinvolte sia le Israeli Defence Forces (IDF) che i gruppi paramilitari sciiti? Infine, l’ultima questione evidenziata è quella del Libano. Beirut sta attraversando una profonda crisi economica e sociale, che rischia di far scivolare il controllo del paese nelle mani di Hezbollah e dell’Iran, a meno che l’Occidente non decida di intervenire con degli aiuti economici ad hoc.
  L’ultimo tema in ordine cronologico è stato quello della Siria, come esempio concreto dell’evoluzione delle dinamiche geopolitiche nel Vicino Oriente. Sin dallo scoppio della guerra civile, la Siria di Assad è sempre stata considerata come il pariah del sistema internazionale mediorientale; tuttavia, ultimamente Damasco si sta reintegrando sempre di più. Molti paesi non apprezzano il governo di Assad e le sue posizioni, ma esso garantisce una certa stabilità, e il suo ritorno nella politica regionale è simbolo della distensione ad oggi in corso in Medio Oriente. Seguire un approccio simile con Teheran potrebbe portare risultati simili?

(Formiche.net, 16 giugno 2023)

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La qualità di una leadership. La lezione dell’ebraismo

Intervista a rav Riccardo Shemuel Di Segni

di Daniele Toscano

Il tema della leadership ha profonde radici nell’ebraismo, con riferimenti sin dai tempi più remoti e numerosi riferimenti biblici. I valori e i principi a cui si deve fare riferimento sono costanti nel tempo e si possono adattare ai diversi contesti. Su questo tema Shalom ha intervistato Rav Riccardo Di Segni, Rabbino Capo di Roma.

- Quali strumenti ci offre l’ebraismo per affrontare le sfide che si rinnovano in ogni epoca? Quali sono i valori cardine che possono ispirare un leader secondo l’ebraismo?
  La tradizione ebraica ha affrontato questo problema fin dall’inizio della sua storia, e stiamo a circa 35 secoli fa. Volendo riassumere in poche parole essenziali, ciò che si richiede a un leader è coscienza dell’importanza del suo ruolo come prosecutore di una storia, custode e trasmettitore, responsabilità, dedizione, onestà, sensibilità, competenza, e un sano equilibrio tra il rispetto a lui dovuto come leader e il divieto che ha di montarsi la testa.

- C’è un passo o una citazione della Torà o del Talmud che possono rappresentare un punto di riferimento a questo proposito?
  Ce ne sono tanti. Ne cito solo uno, la richiesta di Moshè per individuare il suo successore: “che il Signore, Dio degli spiriti di ogni creatura, nomini una persona sopra alla comunità, che esca davanti a loro e che venga davanti a loro, che li faccia uscire e che li faccia venire, e che la comunità del Signore non sia come un gregge che non ha pastore” (Bemidbar [Numeri] 27, 17-18).

- La leadership nelle comunità ebraiche si divide tra i compiti “politici” di una dirigenza comunitaria e il ruolo spirituale del rabbinato: come devono essere interpretati i due diversi ruoli?
  Sono entrambi necessari e la divisione dei “poteri” è essenziale per una sana dialettica. Moshè ha incarnato in un’unica persona il ruolo di re, di sacerdote e di guida spirituale, ma questa fusione è durata poco. Poi c’è stato il periodo dei re, dei sacerdoti e dei profeti. Da molti secoli la polarizzazione è binaria, e spesso si sente la mancanza di una voce critica ispirata, “profetica”. Non si può negare che spesso invece della sana dialettica c’è uno scontro tra idee e programmi differenti, di tentativi di prevalenza. A volte giocano i caratteri, a volte le ideologie.

- Le peculiarità di questo attuale momento storico quali priorità pongono per una leadership ebraica rispetto ad altri periodi?
  Ogni momento della storia ebraica e ogni luogo ha i suoi problemi. Quello che è importante è capire le priorità e le urgenze ed essere sempre pronti a situazioni di emergenza. Purtroppo vedo che non c’è una coscienza forte delle priorità e dei modi di gestirla, e che si va appresso a influssi culturali esterni e estranei, che non ci aiutano.

- La Comunità di Roma si appresta ad andare al voto: a quali principi dovrebbe ispirarsi la prossima leadership comunitaria e come si deve lavorare per costruire la leadership del futuro, in un contesto di calo demografico generalizzato a cui la nostra comunità non fa eccezione?
  Il quadro elettorale, come appare dalle liste proposte, rivela un dato confortante, quello della disponibilità di volti nuovi e di giovani (anagraficamente o nello spirito) disposti a mettersi a disposizione. Questo vuol dire che si è creato almeno un bacino di volontariato se non proprio una scuola di leadership. Al di là e alla fine della campagna elettorale con le sue inevitabili polemiche –che spero siano virtuose e non distruttive - bisognerà mettere la nuova direzione comunitaria di fronte ai problemi reali, e quello demografico che lei cita è tra i più importanti, tanto grave quanto difficile da risolvere.

(Shalom, 16 giugno 2023)

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