Inizio - Attualità
Presentazione
Approfondimenti
Notizie archiviate
Notiziari 2001-2011
Selezione in PDF
Articoli vari
Testimonianze
Riflessioni
Testi audio
Libri
Questionario
Scrivici
Notizie 1-15 luglio 2023


Israele: il ministro Cohen in Vaticano, ma nel Paese dilaga la protesta

Il ministro degli Esteri israeliano in visita in Vaticano. Prima visita dal 2011. In Israele, intanto, dilaga la protesta contro la riforma della giustizia. L'Ue emette una risoluzione sul principio "due popoli in due Stati".

FOTO
Era dal 2011 che un ministro degli Esteri di Israele non faceva visita in Vaticano. Giunto direttamente da Tel Aviv Eli Cohen ha incontrato, giovedì scorso, mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali del Vaticano. «Siamo impegnati a proteggere la sicurezza e l'onore dei cristiani in Israele, e continueremo a mostrare tolleranza zero per gli atti di violenza basati sull'odio» - ha detto Cohen - nel corso del colloquio con l'arcivescovo Gallagher. Anche il presidente Isaac Herzog ha recentemente condannato gli atti di intolleranza, sempre più frequenti in Israele, contro i cristiani.
  Prima di recarsi in Vaticano Eli Cohen ha avuto un colloquio con Antonio Tajani, ministro degli Esteri del governo Meloni. Il vicepremier ha espresso la solidarietà del popolo italiano per gli attacchi terroristici delle ultime settimane. «Questa nuova ondata di violenza è un’ulteriore prova dell’insostenibilità dello status quo e dell’assoluta necessità di rilanciare il processo di pace per evitare l’ennesima spirale distruttiva - ha detto il ministro Tajani – e riteniamo che tale processo di normalizzazione debba procedere in parallelo, sfruttando le possibili sinergie». Sempre giovedì, si è appresa la notizia che il primo ministro Giorgia Meloni, il prossimo mese di ottobre, sarà a Gerusalemme. Lo ha annunciato il ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini durante un incontro con il ministro israeliano per l'Innovazione, la Scienza e la Tecnologia Ofir Akunis.
  Intanto in Israele, proseguono le proteste contro la riforma della giustizia. Centinaia di persone si sono date appuntamento, lo scorso giovedì sera, davanti alle abitazioni del primo ministro Benjamin Netanyahu a Cesarea e a Gerusalemme, mentre un altro gruppo si è radunato davanti all'ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme. Anche l'Ordine degli avvocati minaccia una serrata e i piloti riservisti si rifiutano di presentarsi in caserma per gli addestramenti e rivolgono un invito al governo di bloccare l'iter parlamentare per modificare l'amministrazione giudiziaria.
  Nel frattempo, una petizione è stata inviata all'Alta Corte firmata dal gruppo di protesta Fortress of Democracy, guidato dall'ex capo di stato maggiore dell'IDF, le Forze di Difesa israeliane, Dan Halutz. Nel documento, si sottolinea che Netanyahu avrebbe violato l'accordo sul conflitto di interessi che aveva firmato durante il suo processo per corruzione e attualmente in corso. Il giudice Ruth Ronnen ha stabilito che la petizione sarà esaminata da un collegio di giudici, nel prossimo futuro, non stabilendo, però, il giorno dell'udienza. In una dichiarazione congiunta, i capi dei partiti della coalizione governativa attaccano la decisione dell'Alta Corte di esaminare una petizione che chiede la rimozione dall'incarico del primo ministro Benjamin Netanyahu. «Siamo rimasti scioccati dalla decisione dell'Alta Corte di accogliere la petizione - dicono i capi dei partiti di maggioranza - in particolare dopo che la Knesset ha approvato una legislazione che impedisce la rimozione di un primo ministro eletto democraticamente».
  Ma l’iter per la revisione della giustizia prosegue spedito. Uno degli ultimi atti approvati è stata l'elezione di un parlamentare dell'estrema destra, come componente della Commissione per la nomina dei giudici. Yitzhak Kroizer, parlamentare del partito Otzma Yehudit (Potere ebraico), ha ottenuto, nel corso della votazione a porte chiuse, 86 voti su 120.
  Intanto, il Parlamento Europeo durante l'ultima Plenaria ha ribadito «il sostegno dell'UE alla soluzione fondata sulla coesistenza di due Stati, quale unica soluzione al conflitto. Stato di Israele e Stato di Palestina devono convivere democraticamente fianco a fianco in condizioni di pace, sicurezza garantita, riconoscimento reciproco, sulla base dei confini del 1967, stabiliti dalla risoluzione 181 dell'ONU, con scambi equivalenti di territori definiti di comune accordo e con Gerusalemme quale capitale di entrambi gli Stati, sulla base dei parametri previsti nelle conclusioni del Consiglio Europeo del luglio 2014. Va appoggiato inoltre, in linea di principio, il riconoscimento dello Stato palestinese conformemente a tali parametri, nel pieno rispetto del diritto internazionale. L'UE ribadisce il suo impegno a favore della parità dei diritti di israeliani e i palestinesi».
  Nel documento si esprime inoltre «preoccupazione per l’incremento della violenza che caratterizza il conflitto israelo-palestinese dal 2022 e per il rischio di un'ulteriore escalation». Si chiede «la cessazione immediata di tutti gli atti di violenza tra israeliani e palestinesi, al fine di invertire questa spirale e intraprendere sforzi significativi al fine di riavviare i negoziati di pace; la violenza, il terrorismo e l'istigazione sono fondamentalmente incompatibili con una risoluzione pacifica del conflitto». 

(La Nuova Bussola Quotidiana, 15 luglio 2023)

........................................................


Mentre la tensione con Hezbollah cresce, Israele deve affrontare la crisi con la Svezia

di Letizia De Rosa

Le tensioni tra Israele e il gruppo militante Hezbollah stanno crescendo nei pressi del villaggio di Ghajar, situato lungo la frontiera tra Israele e Libano. Una situazione che preoccupa molto le autorità della regione ma anche quelle internazionali data la pericolosità della situazione.

L’astio già presente e radicato, è stato alimentato dalla costruzione di una recinzione da parte di Israele intorno alla parte settentrionale di Ghajar, che si trova nel territorio libanese. Il gruppo Hezbollah ha emesso avvertimenti ripetuti contro l’annessione della città da parte di Israele, definendola una mossa illegale e una violazione della sovranità del Libano.
  Quest’ultimo sviluppo ha portato ad un’escalation delle tensioni già presenti nell’area, dove Israele e Hezbollah si sono scontrati in passato. La rabbia è stata accentuata anche dal recente conflitto tra Israele e le milizie islamiche stanziate nella Striscia di Gaza.

• TENSIONE TRA ISRAELE E HEZBOLLAH AL CONFINE
  Il villaggio di Ghajar è diviso tra Israele e Libano dal 2000, quando Israele si è ritirata dal sud del Libano. La comunità di Ghajar è di etnia alawita, che è la stessa religione del presidente siriano Bashar al-Assad.
  L’area è stata oggetto di frequenti scontri tra Israele e Hezbollah, con il gruppo militante che ha lanciato attacchi contro le forze israeliane dalla zona. L’annessione di Ghajar da parte di Israele potrebbe portare ad un aumento della violenza nella regione, con conseguenze potenzialmente destabilizzanti per l’intero Medio Oriente.
  Le crescenti tensioni intorno al villaggio di Ghajar si aggiungono al già alto livello di nervosismo lungo il confine tra Israele e Libano.
  Nel 2006, Israele e Hezbollah con il sostegno dell’Iran hanno combattuto una guerra distruttiva di 34 giorni nella regione. Da allora le due parti hanno evitato una battaglia aperta, nonostante le frequenti fiammate di tensione. Entrambe le parti hanno costantemente affermato che un nuovo conflitto potrebbe scoppiare in qualsiasi momento.
  L’area attorno al confine tra Israele e Libano è stata oggetto di tensioni e conflitti per decenni. Hezbollah, considerato da Israele e dagli Stati Uniti un’organizzazione terroristica, ha una forte presenza nella regione e ha condotto numerosi attacchi contro le forze israeliane in passato.
  La situazione è stata ulteriormente fomentata dalla guerra civile in corso in Siria, che ha portato a un coinvolgimento sempre maggiore dell’Iran nella regione e ha aumentato le preoccupazioni per la sicurezza di Israele.
  La situazione intorno a Ghajar rappresenta un ulteriore motivo di preoccupazione per la stabilità della regione. La comunità internazionale ha espresso preoccupazione per l’escalation delle tensioni e ha chiesto a entrambe le parti di evitare qualsiasi azione che potrebbe portare a un conflitto aperto.
  La disputa sul villaggio di Ghajar, situato al confine tra Libano e Israele, sta diventando un ulteriore motivo di preoccupazione in mezzo a disordini più ampi nella regione.
  La Cisgiordania ha visto un aumento della violenza in questo mese, con una massiccia offensiva di due giorni da parte di Israele che ha preso di mira i gruppi terroristici palestinesi. Nel frattempo in Israele le mosse del governo di estrema destra per rivedere il sistema giudiziario hanno scatenato grandi proteste antigovernative.
  Il pastore libanese Ali Yassin Diab, che pascola le sue pecore e capre vicino alla recinzione di Ghajar ha dichiarato al Times of Israel che: : “Questa è terra libanese, non israeliana”. La divisione del villaggio tra Israele e Libano è un insieme insolito di decenni di conflitto tra Israele e i suoi vicini.
  Nel 2006 durante la guerra tra Israele e Hezbollah, le truppe israeliane si sono spostate nella parte settentrionale di Ghajar e l’hanno occupata. Successivamente è stata installata la recinzione intorno alla parte settentrionale del villaggio, impedendo alle persone di entrare dal Libano.
  Dopo la conclusione dei combattimenti le autorità israeliane hanno concordato il ritiro da Ghajar, la volontà era quella di  raggiungere un accordo con il quale veniva impedito a Hezbollah di occupare il villaggio. Il paese ospita circa 3.000 residenti e la maggioranza proviene da Israele, ovviamente sono presenti libanesi ma emerge che molti si identificano come siriani. Il villaggio è l’unico insediamento a maggioranza alawita in Israele.
  Il villaggio è stato diviso in due parti a seguito del ritiro israeliano nel 2000 come demarcazione della linea blu, con la zona a nord sotto il dominio libanese. Nel 2006 però Israele ha ripreso il controllo del villaggio, scatenando astio e scontri.
  Il villaggio di Ghajar è rimasto una zona militare chiusa per oltre due decenni, con la necessità di un permesso speciale per i non residenti che intendono entrare o uscire. A settembre le restrizioni all’accesso sono state revocate con la costruzione di una barriera a nord del villaggio per bloccare l’ingresso dal Libano.
  In passato l’accesso a Ghajar era stato limitato a causa della sua posizione strategica sul confine tra Israele e Libano, che lo ha reso vulnerabile a potenziali attacchi terroristici. La costruzione della barriera di sicurezza ha permesso però alle autorità israeliane di revocare le restrizioni, consentendo una maggiore libertà di movimento per i residenti e i visitatori del villaggio.
  Recentemente, Hezbollah ha allestito due tende nelle vicinanze del villaggio di Ghajar, in risposta alla costruzione di una recinzione di sicurezza da parte di Israele. Una delle tende è stata collocata nell’area di Shebaa Farms, che sia Israele che Libano rivendicano come proprio territorio. La situazione ha portato ad una denuncia di Israele alle Nazioni Unite, che sostiene che le tende si trovano a diverse decine di metri all’interno del territorio israeliano, mentre Hezbollah afferma che le tende sono in territorio libanese.
  Il comandante dell’UNIFIL ha inoltrato una richiesta israeliana al primo ministro provvisorio libanese e al presidente del parlamento di rimuovere le tende. Il Libano ha chiesto a Israele in risposta di ritirare le truppe che si trovavano nel territorio libanese di Ghajar.
  Il leader di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, ha sostenuto che Ghajar era stata isolata da Israele prima che Hezbollah montasse le sue tende. Nasrallah ha anche dichiarato che la terra di Ghajar non sarebbe lasciata ad Israele, né Shebaa Farms e Kfar Chouba, un’altra area di confine rivendicata da entrambi i Paesi.
  La situazione in Ghajar continua ad essere fonte di tensione tra Israele e Libano, mentre la comunità internazionale continua a cercare una soluzione pacifica e duratura alla questione del confine tra i due paesi.
  Oltre alle tensioni emerse al confine con il Libano, sono sopraggiunte problematiche diplomatiche tra Israele e Svezia dopo che è stata bruciata la bibbia ebraica.

• TENSIONE DIPLOMATICA TRA AUTORITÀ ISRAELIANE E SVEDESI
  Funzionari israeliani hanno espresso la loro indignazione venerdì dopo che la polizia locale di Stoccolma ha dato il via libera alla richiesta di consentire il rogo di una Bibbia fuori dall’ambasciata israeliana a Stoccolma il 15 luglio.
  La polizia aveva ricevuto una domanda da un individuo sulla trentina per bruciare una Bibbia ebraica e una cristiana come “un raduno simbolico per il bene della libertà di parola“. Non è stato chiaro se la persona intendesse bruciare una copia della Bibbia o un rotolo della Torah.
  La decisione della polizia svedese è stata vista come offensiva da funzionari israeliani, che l’hanno definita un “crimine d’odio“. La richiesta di bruciare una Bibbia arriva poche settimane dopo che sono avvenuti roghi del Corano nella stessa città. La decisione della polizia ha sollevato preoccupazioni sulla libertà di espressione e sulla necessità di evitare l’incitamento all’odio religioso.
  La decisione della polizia svedese di concedere il permesso di bruciare una Bibbia fuori dall’ambasciata israeliana a Stoccolma ha suscitato indignazione diffusa in Israele e nei gruppi ebraici.
  Il presidente Isaac Herzog ha definito l’atto come “puro odio” e ha condannato inequivocabilmente il permesso concesso in Svezia di bruciare libri sacri.
  Herzog ha sottolineato che:  “consentire la deturpazione di testi sacri non è un esercizio di libertà di espressione, ma è palese istigazione e atto di puro odio.” Ha chiesto all’intera comunità globale di unirsi nella condanna contro un azione che ha definito ripugnante.
  La situazione continua a essere fonte di tensione e preoccupazione per le autorità israeliane e per i gruppi ebraici, che chiedono alle autorità svedesi di agire per impedire l’evento. La vicenda mette in luce l’importanza di promuovere il rispetto e la tolleranza tra le diverse comunità religiose e culturali, e di evitare l’incitamento all’odio e alla violenza.
  Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha condannato la decisione della polizia svedese di concedere il permesso di bruciare una Bibbia fuori dall’ambasciata israeliana a Stoccolma come “una vergognosa decisione di danneggiare il sancta sanctorum del popolo ebraico“. Anche il ministro degli Esteri Eli Cohen ha espresso la sua indignazione e ha definito la decisione “un crimine d’odio e una provocazione che ha causato gravi danni al popolo ebraico e alla tradizione ebraica“.
  L’ambasciatore israeliano in Svezia, Ziv Nevo Kulman ha espresso la sua ferma condanna per l’evento, definendolo “un atto di odio e mancanza di rispetto che non ha nulla a che fare con la libertà di espressione“. La situazione continua a essere fonte di preoccupazione per le autorità israeliane e per i gruppi ebraici, che chiedono alle autorità svedesi di agire per impedire l’evento.
  Il ministro degli Esteri svedese Tobias Billström ha risposto alle richieste di Eli Cohen, affermando che il governo svedese non è autorizzato a violare il diritto costituzionale alla libertà di parola dei suoi cittadini, ma ha sottolineato gli sforzi del suo paese nella lotta all’antisemitismo.
  Nel frattempo, il deputato di United Torah Judaism Moshe Gafni ha chiamato il ministro degli Esteri Eli Cohen per sollecitare ulteriori azioni per cercare di fermare la tensione.
  La vicenda mette in evidenza la necessità di promuovere il rispetto e la tolleranza tra le diverse comunità religiose e culturali, e di evitare l’incitamento all’odio e alla violenza. In questo contesto, le autorità israeliane e svedesi avrebbero la responsabilità e l’ obbligo di lavorare insieme per prevenire atti di intolleranza e discriminazione.

(Nanopress, 15 luglio 2023)

........................................................


Israele e il doppio standard dell'”uso sproporzionato della forza”

di David Elber

Israele, immancabilmente, è accusato da numerosi rappresentanti ONU di “uso sproporzionato” della forza quando risponde con azioni militari ai continui e ripetuti attacchi terroristici da parte delle organizzazioni terroristiche palestinesi e da membri della stessa Autorità Palestinese.
  Un esempio recente si è avuto durante l’ultima operazione dell’esercito nell’area di Jenin ai primi di luglio. In questo caso lo stesso Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres, ha accusato Israele di «un “ovvio” eccessivo uso della forza». In pratica, per il Segretario Generale dell’ONU, Israele quando decide di operare militarmente in un “territorio ostile” come quello di Jenin o di Gaza violerebbe il diritto internazionale a prescindere, anche se nei fatti nessun civile è stato ucciso nei combattimenti (caso unico nella storia dei conflitti armati in territorio urbano densamente popolato). Prima di entrare nel merito dell’infondatezza di questa accusa abituale priva di ogni fondamento (nel diritto internazionale non esiste il principio di “proporzionalità” dell’uso della forza militare) oltre che di buon senso, è opportuno contestualizzare questo ultimo conflitto – uguale ai numerosissimi che si sono succeduti nel corso degli ultimi 15 anni – che contrappone lo Stato di Israele a bande di terroristi più o meno legittimate da gran parte della comunità internazionale (altro caso unico al mondo).
  Una prima osservazione da fare è che si è trattato dell’ennesimo episodio di guerra asimmetrica che contrappone uno Stato (Israele) ad organizzazioni terroristiche (Jihad Islamica e Hamas) che non tengono minimamente conto delle regole del diritto internazionale in materia di diritto umanitario. Ciò pone subito un importante interrogativo: perché l’ONU e gran parte della comunità internazionale finanzia direttamente (tramite l’UNRWA per esempio) o indirettamente delle organizzazioni terroristiche per poi accusare Israele quando si difende dalle stesse? Questi lauti finanziamenti contribuiscono all’acquisto di armi, equipaggiamento e indottrinamento all’odio antisemita per mezzo delle stesse scuole costruite e condotte da membri dell’ONU. Un altro aspetto di questa guerra asimmetrica è costituito dal fatto che Stati membri dell’ONU (come l’Iran) forniscono cospicue quantità di armi o soldi ai terroristi nella totale indifferenza di ONU, UE e USA. Altri Stati come l’Egitto e la Giordania permettono il loro transito verso Gaza o la Samaria e Giudea, nella medesima indifferenza internazionale. Questi Stati non sono mai stati sanzionati per l’appoggio logistico (anche se non ufficiale) fornito anche se formalmente sono in pace con Israele. A ciò va aggiunto che le organizzazioni terroristiche palestinesi, fiancheggiate dall’Autorità Palestinese, hanno centri operativi, depositi di armi e esplosivi, esclusivamente tra la popolazione civile che viene – suo malgrado – conseguentemente esposta alle azioni militari di Israele, anzi, viene utilizzata scientemente come scudo umano. Di questo aspetto non vi è mai traccia nei “rapporti” dei vari rappresentanti ONU che di volta in volta accusano Israele di “uso sproporzionato della forza”. Veniamo ora al significato di questo termine.
  Le norme internazionali sull’utilizzo della forza militare e le regole di ingaggio di un esercito sono disciplinate, principalmente, dalla Convenzione dell’Aia del 1907 e dalle Convenzioni di Ginevra. Esse non dicono quale sia “l’uso proporzionato della forza” (tanto è vero che il principio di “proporzionalità” non compare in nessun trattato internazionale), ma indicano in via generale quale sia l’uso della forza militare idoneo per la conquista di un obiettivo militare. Oppure, in merito alla popolazione civile, indicano – principalmente nel I protocollo alla IV Convenzione di Ginevra del 1977 – che è severamente vietato attaccare in “maniera indiscriminata” la popolazione civile. Va sottolineato che questo principio è definito all’Art. 51 (5) del suddetto protocollo. Per attacco indiscriminato si intende un attacco militare non su un obiettivo militare specifico ma su un’intera area urbana indipendentemente dal fatto che in essa ci siano chiare zone prive di obiettivi militari, cosa che Israele non ha mai fatto in nessuna delle sue operazioni militari. Allora perché Guterres ha dichiarato che Israele utilizza uno “sproporzionato” uso della forza, se tale principio non esiste nel diritto? Per meri scopi accusatori nei confronti dello Stato ebraico, che, in questo modo viene imputato di qualche violazione anche se di norme inesistenti. Israele, diviene così, immediatamente, colpevole a prescindere. Va sottolineato che l’accusa di “uso sproporzionato” della forza non è mai stata rivolta a nessun altro Stato al di fuori di Israele (neanche alla Russia per l’aggressione all’Ucraina).
  Una cosa, invece, è certa nella Convenzione dell’Aia o nelle Convenzioni di Ginevra: è fatto divieto assoluto di utilizzo di abitazioni civili, luoghi di culto o ospedali come luoghi di stoccaggio per armi e munizioni e tanto meno il loro utilizzo come basi operative per azioni armate. Cosa, ad esempio, mai evidenziata nei “rapporti” ONU. Come si può ben comprendere, Israele è costretto a operazioni militari dai terroristi palestinesi, che non rispettano nulla del diritto internazionale, in teatri urbani dove è praticamente impossibile intervenire senza causare vittime civili (cosa che è però riuscita a fare nell’ultima operazione militare).
  Cosa dice il diritto internazionale in merito alle vittime civili nei conflitti militari? Dice che è severamente vietato causare vittime civili solo quando i civili non costituiscono un chiaro obiettivo militare. Quando sono invece un obiettivo militare? Quando sono direttamente coinvolti negli obiettivi militari, come nel caso dei terroristi che li usano come scudi umani per proteggersi o proteggere i comandi o i depositi di armi. In questo caso la sola responsabilità di violazione del diritto internazionale ricade sulla parte – i terroristi palestinesi – che li espone ai pericoli del conflitto militare. Il compito dell’esercito israeliano è solo quello di non colpire deliberatamente abitazioni o strutture che non centrano nulla con i centri militari dei terroristi.
  Facciamo un esempio. Guterres e altri (numerosi) funzionari dell’ONU hanno accusato Israele di “uso sproporzionato” della forza militare perché hanno utilizzato elicotteri e droni a copertura dei soldati sul terreno. Questa è una colossale menzogna, perché un esercito può utilizzare i mezzi che ritiene opportuni per portare avanti un’azione militare (se non espressamente vietati nelle convenzioni come ad esempio i gas o le armi batteriologiche). Quindi, la discriminante per stabilire se c’è stato un “uso indiscriminato” di forza militare (e non un “uso sproporzionato”) non è dato dai mezzi militari che vengono utilizzati ma dal modo in cui tali mezzi vengono utilizzati. Se sono utilizzati unicamente per colpire degli obiettivi militari – anche in centri urbani – sono legittimi, se sono utilizzati per bombardare a casaccio per colpire edifici che nulla hanno a che fare con gli obiettivi militari allora si è in presenza di un “uso indiscriminato” della forza militare. Se la presenza degli obiettivi militari è tra la popolazione civile la violazione del diritto (e dell’etica) ricade unicamente su chi li ha installati lì non su chi li colpisce.
  Quando l’ONU decise l’operazione militare Restore Hope in Somalia nel 1992, la maggior parte dei combattimenti avvenne in centri urbani. Le truppe ONU utilizzarono anche mezzi pesanti e elicotteri da combattimento nei suddetti centri a protezione delle proprie truppe, che causarono centinaia di morti tra i civili ma nessuno – ad iniziare dall’ONU – disse che ci fu un “uso eccessivo” o “indiscriminato” della forza (in una sola operazione militare ci furono oltre mille morti civili). Quando la NATO bombardò i centri abitati da civili in Serbia con una massiccia campagna aerea nessuno disse che ci fu un “utilizzo sproporzionato” della forza, anzi, un procuratore del Tribunale Internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia, stabilì che i bombardamenti effettuati a protezione delle truppe fu pienamente legale (ci furono oltre 500 civili uccisi dai bombardamenti). Lo stesso si può dire delle invasioni di Iraq e Afghanistan. In pratica, questa “non regola” dovrebbe valere unicamente per Israele. Si può aggiungere che Guterres, al pari di diversi ministri europei, utilizzando la falsa accusa di “uso eccessivo” della forza pone Israele nell’impossibilità oggettiva di difendersi da questa accusa inesistente perché essa non esiste nel diritto, assumendo di fatto una valenza di uno stigma morale. Diverso sarebbe stato difendersi dall’accusa di “uso indiscriminato” della forza, cosa normata dal diritto e quindi verificabile e che avrebbe smascherato la malafede dell’accusatore di turno.
  A quanto detto fino ad ora, si può anche aggiungere che molti rappresentanti dell’ONU, al pari di quelli di vari governi, ritengono che essendo Hamas o la Jihad Islamica organizzazioni terroristiche non “devono” sottostare alle regole del diritto internazionale mentre Israele sì (cosa sostenuta anche dalla Corte di Giustizia Internazionale con parere consultivo del 2004 a proposito della barriera di sicurezza). Questo pone uno Stato legittimo (Israele) nell’impossibilità pratica di difendersi, come stabilito dalle leggi internazionali, perché qualsiasi azione da esso intrapreso potrà essere messa, sempre, in discussione, visto che la controparte non rispetta nessun principio umanitario nell’indifferenza generale. È quasi superfluo notare che questo atteggiamento è riservato unicamente ad Israele.
  Un’ ultima annotazione va fatta in merito al termine “civile”. Quando, un individuo è considerato tale per il diritto internazionale? In senso stretto quando non porta una divisa e non faccia parte di un esercito “riconosciuto” come tale o di una milizia disciplinata dall’Art. 1 della IV Convenzione dell’Aia. Quindi un terrorista armato è un civile o è un militare anche se non ha una divisa ma esegue “tecniche” di tipo militare? Se individui non appartenenti ad eserciti o milizie di tipo militare aiutano volontariamente dei terroristi o delle truppe regolari, sono un legittimo obiettivo militare? Questi quesiti non sono semplici da definire con chiarezza perché il diritto internazionale, con le leggi di guerra (oggi diventate diritto umanitario), contempla solo i casi di guerra tra Stati e con eserciti “regolari”. Le regole per i conflitti asimmetrici (Stati contro organizzazioni terroristiche paramilitari) non sono state disciplinate. Ufficialmente, per il diritto internazionale, organizzazioni terroristiche come Hamas o Hezbollah anche se controllano territori e li gestiscono al pari di Stati riconosciuti non rientrano completamente nella categoria degli eserciti.
  È chiaro che per questi e altri casi (talebani, Al-shabaab ecc.) è necessaria una implementazione delle regole del diritto internazionale in quanto, essi, posseggono tutti i requisiti statuali ma non rientrano ufficialmente nell’alveo delle sue regole. Questo è un vuoto che deve essere colmato perché sono una presenza con la quale bisogna fare i conti ogni giorno di più. Però una cosa è chiara: la poca chiarezza delle norme diventa uno strumento adatto ad attaccare unicamente Israele e mai i suoi nemici.

(L'informale, 14 luglio 2023)

........................................................


Per una collaborazione tra il nuovo museo della Shoah di Roma e il Meis di Ferrara

di Davide Nanni

È stato approvato dal Senato con 157 voti a favore, nessun contrario e nessun astenuto, il disegno di legge che istituisce il Museo della Shoah di Roma, città che ha pagato un prezzo altissimo durante l’occupazione nazi-fascista e visto deportare più di mille ebrei romani ad Auschwitz.
  I 18 carri bestiame della tradotta partita dopo il feroce rastrellamento del 16 ottobre 1943 sostarono anche alla stazione di Ferrara con il loro carico di dolore e vite spezzate, come ricorda una lapide posta al binario 1 nel 2005 su iniziativa dell’avv. Paolo Ravenna. A guerra finita ne torneranno a casa solo 16, nessuna donna e nessuno dei 207 bambini presenti sul convoglio.
  In Italia, è bene ricordarlo, gli ebrei deportati con l’attiva collaborazione delle autorità fasciste furono 7495, tra cui oltre un centinaio di cittadini ferraresi. Il Museo della Shoah di Roma, dunque, si unirà finalmente al circuito dei musei ebraici esistenti e al Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, istituito nel 2003 con sede a Ferrara, come ulteriore e importante presidio di memoria storica in un’epoca sempre più tristemente segnata da rigurgiti di odio razziale e antisemita. Non a caso la votazione della legge è stata unanime e seguita dal lungo applauso di tutti i senatori presenti in Aula.
  Il nuovo Museo romano potrà contare su importanti contributi statali e sarà gestito dall’omonima Fondazione: il nostro auspicio è che si rafforzi la collaborazione già in atto, continuativa e importante con il MEIS per promuovere eventi e progetti integrati di grande rilievo, che facciano di Ferrara un laboratorio permanente di studi ebraici nonché il punto di riferimento per un turismo qualificato dal respiro internazionale.
  Ricordiamo che la Regione Emilia-Romagna e tutte le Amministrazioni comunali che si sono susseguite dal 2003 ad oggi hanno fortemente sostenuto il MEIS e le sue attività. Inoltre, grazie ai fondi del PNRR, sarà finalmente possibile procedere alla completa digitalizzazione del patrimonio culturale presente nel complesso delle Sinagoghe cittadine e presso il cimitero della Comunità ebraica ferrarese. Azioni che confermano la volontà politica trasversale di valorizzare quel patrimonio materiale e immateriale che definisce profondamente l’identità storica di Ferrara, che è stata per secoli una delle città ebraiche più importanti d’Europa e continua ad esserlo.
  Il Partito Democratico si impegnerà sempre, in tutte le sedi istituzionali, per difendere e valorizzare questo patrimonio che potrà essere conosciuto sempre di più nel mondo solo se saranno coltivate nel tempo progettualità virtuose tra le Istituzioni locali, il MEIS e il nuovo Museo della Shoah di Roma.

(estense.com, 15 luglio 2023)

........................................................


La polizia svedese approva il rogo di una Torah davanti all'ambasciata israeliana

La condanna dallo stato ebraico: “un atto di odio ripugnante"

di Luca Spizzichino

La polizia svedese ha approvato la richiesta di organizzare un raduno pubblico per bruciare un rotolo della Torah davanti all'ambasciata israeliana. La richiesta, secondo i media svedesi, è arrivata da un uomo di 30 anni. Il rogo avverrebbe domani, sabato, davanti all'ambasciata a Stoccolma.
  La decisione da parte degli organi di sicurezza svedesi arriva un mese dopo il rogo del Corano fuori dalla moschea di Stoccolma, che ha portato, tra l'altro, a grandi proteste e all'assalto all'ambasciata svedese nella capitale dell'Iraq, Baghdad.
  L'ambasciatore israeliano in Svezia Ziv Nevo Kulman si è detto scioccato e inorridito da ulteriori richieste di roghi di libri sacri. "Questo è chiaramente un atto di odio che deve essere fermato", ha scritto su Twitter all'inizio di luglio.
  Anche il presidente israeliano Isaac Herzog ha rilasciato una dichiarazione in cui condanna la decisione presa dalla polizia svedese. “Condanno inequivocabilmente il permesso concesso in Svezia di bruciare libri sacri” ha affermato. “Consentire la deturpazione di testi sacri non è un esercizio di libertà di espressione, è palese istigazione e atto di puro odio. Il mondo intero deve unirsi nel condannare chiaramente questo atto ripugnante”.
  Il Rabbino capo Ashkenazita d’ Israele David Lau ha scritto una lettera aperta al primo ministro svedese Ulf Kristersson. "Sono rimasto inorridito nel sentire le intenzioni di un certo numero di civili residenti in Svezia, che intendono protestare di fronte all'ambasciata israeliana a Stoccolma, [in una] protesta che includerà il rogo di un Torah", si legge nella lettera. "La questione più grave è, secondo la stessa notizia, che la polizia svedese ha approvato una cosa così grave e orribile, ovviamente con il pretesto della 'libertà di espressione'. Alcuni mesi fa, i manifestanti in Svezia hanno bruciato un Corano davanti all'edificio dell'ambasciata turca. Questa di per sé è una cosa orribile e obbliga tutti a protestare con tutte le loro forze e a condannare una cosa del genere. Ma questo torto non giustifica un altro sbagliato; un atto spregevole non permette un altro atto spregevole” continua.
  "Vi invito a insistere con tutte le vostre forze affinché una cosa del genere non accada. La libertà di espressione non permette di fare tutto, e qualsiasi danno a ciò che è sacro per Israele non è espressione di libertà, ma di antisemitismo. Sono convinto che tutti sulla faccia di questo pianeta capiscano quanto siano gravi questi atti e li condannino", ha concluso rav Lau.
  Anche il Rabbino capo sefardita Rabbi Yitzhak Yosef ha inviato una lettera, in questo caso al re svedese Carl Gustaf XVI, esortandolo a far cambiare idea alle autorità. “Come persone di fede, crediamo fermamente che due torti non fanno una ragione. - si legge nella lettera - È imperativo sostenere i principi del rispetto e della dignità reciproci, anche di fronte a disaccordi o tensioni tra le comunità”.
  “Il popolo ebraico sta attualmente osservando un periodo di tre settimane segnato dalla tristezza, che porta al solenne giorno del 9 di Av, il giorno più triste del calendario ebraico. - prosegue - Questo giorno serve a ricordare l'incendio dei libri sacri nel tredicesimo secolo in Europa, che ha stabilito un tragico precedente per ulteriori atti atroci nel corso della storia”.
  “La libertà di espressione non dovrebbe mai servire da giustificazione per perpetrare atti di crudeltà o incitare all'odio. - si legge ancora - Vostra Altezza, faccio appello al vostro carattere nobile e alla vostra dedizione nel promuovere la pace e l'armonia tra tutti i popoli. Impedendo che questo evento si verifichi, mandereste un potente messaggio al mondo: la Svezia si oppone fermamente alla intolleranza religiosa e a tali atti, che non hanno posto in una società civile” conclude Rabbi Yitzhak Yosef.

(Shalom, 14 luglio 2023)

........................................................


Agritech, acqua e droni: così il futuro della ricerca italiana passa da Israele

All’indomani della visita a Tel Aviv del ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini, l’orizzonte appare chiaro: per il futuro della scienza lo Stato ebraico è un partner fondamentale.

di Rossella Tercatin

GERUSALEMME - Agri-tech e desalinizzazione, intelligenza artificiale e tecnologie quantistiche. All’indomani del viaggio in Israele del ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini, l’orizzonte appare chiaro: per il futuro della scienza italiana lo Stato ebraico si profila come un partner fondamentale.
  Per la formazione dei ricercatori della penisola in aree chiave come tecniche di coltivazione, irrigazione e monitoraggio dei campi – fondamentali per ripensare il settore nel XXI secolo. Per il know-how in termine di gestione delle risorse idriche, area in cui Israele, nazione semidesertica che è arrivata a riciclare il 90% delle sue acque reflue, oltre a contare su impianti di desalinizzazione tra i più avanzati al mondo.
  Ma anche per offrire alle università israeliane la possibilità di inviare a sua volta i loro esperti per essere formati in campi in cui i centri italiani rappresentano eccellenze mondiali, come quello delle onde gravitazionali e del super calcolo.
Italia e Israele sono storicamente legati da valori e priorità comuni, ma anche da solidi rapporti di collaborazione,” commenta Bernini. “In vista del vertice italo-israeliano previsto per il prossimo ottobre dobbiamo far conoscere il più possibile i nostri progetti, i nostri Centri di ricerca. Per dare una prospettiva di lungo periodo alla ricerca italiana servono sinergie forti. E quella con Israele è certamente una delle più virtuose.”
  L’internazionalizzazione dei Centri di ricerca – nell’ambito di High-Performance Computing, Big Data e Quantum Computing; Agri-Tech; Mobilità Sostenibile; Biodiversità; Terapia Genica e Farmaci basati su tecnologie RNA - è una delle priorità che ha portato il ministro in Israele. Per finanziarli sono già stati stanziati 4,5 miliardi di euro nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), che ne garantiscono la copertura finanziaria fino al 2026.
  Dopo di che sarà fondamentale la capacità degli istituti di camminare con le proprie gambe e in questo senso le collaborazioni internazionali possono rivelarsi fondamentali per partecipare con successo a bandi di ricerca a livello mondiale.
  “Puntiamo ad avere un legame sempre più forte nel settore dell'intelligenza artificiale, delle tecnologie quantistiche, dell'agri-tech e della gestione delle acque in un’ottica di sostenibilità e di gestione delle risorse,” ha sottolineato Bernini.
  “Sono gli ambiti più critici e seguiti sia dall’Italia che da Israele. Il domani della ricerca è soprattutto qui.” Durante il suo soggiorno in Israele il ministro ha visitato i suoi principali atenei impegnati in queste discipline, il Weizmann Institute of Science di Rehovot, la Tel Aviv University e la Ben Gurion University of the Negev, incontrando accademici e scienziati, compresi molti italiani, per ascoltare esperienze e progetti e favorire eventuali contatti con controparti italiane, magari con la creazione di corridoi preferenziali per lo scambio dei ricercatori.
  In Israele Bernini ha anche presenziato alla firma di un accordo tra l’azienda italiana H2C che vanta un’esperienza decennale nel campo delle infrastrutture energetiche e l’israeliana Gadfin, gruppo specializzato nello sviluppo di droni alimentati ad idrogeno.
  Il terreno per la visita era già stato preparato durante un incontro di Bernini a Roma con il Ministro della Scienza Ofir Akunis a maggio. I ministri si sono incontrati nuovamente a Tel Aviv. L’obiettivo è quello di arrivare alla chiusura di una cornice di collaborazione concreta per il vertice intergovernativo.
“Vogliamo intensificare e implementare l'Accordo di Cooperazione Industriale, Scientifica e Tecnologica tra Italia e Israele,” ha spiegato Bernini. “E soprattutto incentivare lo scambio di ricercatori e la creazione di progetti di ricerca comuni. È nella condivisione delle conoscenze la chiave del progresso.”

(la Repubblica, 14 luglio 2023)

........................................................


Mondo ebraico sotto shock, in Svezia vogliono bruciare anche la Torah. Israele protesta

Dopo il Corano, programmata per venerdì (con l'approvazione della polizia locale) una manifestazione in cui si prevede di bruciare un libro sacro

di Franca Giansoldati

Ad una settimana dall'agghiacciante rogo del Corano, in Svezia, a Stoccolma, è stata di nuovo programmata per venerdì (con l'approvazione della polizia locale) una manifestazione in cui si prevede di bruciare un libro sacro. Stavolta si tratta di una Torah che si prevede venga data alle fiamme proprio fuori dalla ambasciata israeliana.
  Il Congresso Ebraico Mondiale è sotto shock mentre lo Stato di Israele dopo avere condannato questo progetto «pieno di odio» ha protestato formalmente con le autorità svedesi.
  «Questo atto provocatorio e odioso non ha posto nella società civile e ci uniamo al Consiglio ufficiale delle comunità ebraiche svedesi nel condannarlo» ha commentato affranto il presidente Congresso Ebraico Mondiale, Ronald S. Lauder. «Il rogo dei nostri testi sacri ostracizza e ferisce la comunità ebraica svedese e tutti coloro che apprezzano il pluralismo e il multiculturalismo. I libri vanno letti e apprezzati, non bruciati». Dopo i recenti roghi del Corano in Svezia, il Congresso ebraico mondiale si è schierato con fermezza a fianco della comunità musulmana, affermando che gli incidenti emarginano le minoranze religiose e seminano solo divisioni.
  Papa, tensione con gli ebrei per l'interpretazione di San Paolo. «Alimenta germi antisemiti»
  L'ambasciatore israeliano in Svezia Ziv Nevo Kulman si è detto «scioccato ed atterrito alla prospettiva che siano bruciati altri libri in Svezia, siano il Corano, la Torah o altri testi sacri». «Questo è chiaramente un atto di odio che deve essere fermato».
  Il sito svedese Svt Nyheter che per primo ha riportato la notizia ha reso noto che «alla polizia erano state presentate tre nuove domande per bruciare scritture religiose». Una di queste - ha spiegato il sito «riguarda un Corano da bruciare fuori una Moschea Stoccolma», la seconda «è stata presentata da un uomo che vuole bruciare la Torah e la Bibbia davanti all'ambasciata israeliana», a quanto pare il prossimo 15 luglio. «La terza - ha proseguito il sito - domanda riguarda il rogo di 'testi religiosì nel centro di Helsingborg» una cittadina a sud della Svezia.

(Il Gazzettino, 14 luglio 2023)

........................................................


Il Sindaco di Trieste ha ricevuto delegazione israeliana del comune di Modi'In in visita Istituzionale nella nostra Regione

FOTO
TRIESTE - Questa mattina (14 luglio) il sindaco Roberto Dipiazza, il vicesindaco Serena Tonel, l'assessore alle politiche finanziarie Everest Bertoli e il direttore del dipartimento innovazione e servizi cittadino Lorenzo Bandelli, hanno incontrato una delegazione israeliana composta da rappresentanti politici e amministrativi del comune di Modi’in Maccabim Re' ut, città israeliana situata nel centro di Israele, a circa 35 chilometri a sud-est di Tel Aviv e 30 chilometri a ovest di Gerusalemme. in visita istituzionale in Friuli Venezia Giulia dal 12 al 16 luglio, per la promozione e l’avvio del progetto “Start Learning Cities Up”, promosso dalla Regione Fvg in collaborazione con ISIG, e di cui il Comune di Trieste è partner.
  La delegazione israeliana era composta dal sindaco Haim Bibas con la moglie Yafit Bibas, da Orna Mager (Direttrice del Centro Multidisciplinare cittadino) e da Rivi Cohen (componente del gruppo relativo al progetto "Start Learning Cities Up") ed erano accompagnati dall’assessore regionale al lavoro, formazione, istruzione, ricerca, università e famiglia Alessia Rosolen.
  Nel corso del cordiale incontro il sindaco Roberto Dipiazza ha evidenziato le principali caratteristiche geo-politiche ed economiche della città e del territorio di Trieste, in particolare riguardo alle strutture portuali, agli importanti traffici petroliferi, alla rilevante crescita del turismo e il progetto di rigenerazione urbana “Porto Vivo”.
  Il vicesindaco Serena Tonel ha illustrato, insieme al direttore del dipartimento innovazione e servizi cittadino Lorenzo Bandelli l'Urban Center di Trieste, l'hub dell'innovazione nel centro città, dove attualmente sono insediate 22 startup innovative afferenti ai settori BioHighTech e Digital HighTech,
  Il sindaco Haim Bibas, grazie ad un supporto video ha illustrato la sua città e lo sviluppo futuro del territorio; tra i temi dell’incontro bilaterale, le attività del progetto “Start Learning Cities Up” in cui è coinvolto il Comune di Trieste.
  Il sindaco Roberto Dipiazza alla fine dell'incontro ha consegnato ai componenti della delegazione un libro sulla città.

(Trieste Caffè, 14 luglio 2023)

………………………………………………..


Tensione Israele-Hezbollah: uno studio israeliano prevede un attacco a breve

Funzionari locali del nord di Israele si sono lamentati con il governo perché non è stata data una risposta efficace alle provocazioni di Hezbollah. E intanto Nasrallah fa propaganda.

Uno studio pubblicato giovedì dall’Alma Research and Education Center, un’organizzazione senza scopo di lucro che si dedica alla ricerca delle sfide per la sicurezza ai confini settentrionali di Israele, ha affermato che c’è un preciso tentativo da parte del gruppo terroristico Hezbollah, con sede in Libano, di aumentare l’attrito e portare a un confronto regionale a partire dal confine con Israele. “Hezbollah lancerà un’offensiva diretta contro le truppe dell’IDF vicino al confine”, si legge nel rapporto.
  Il centro, che ha sede in Galilea, afferma che l’aumento della tensione è iniziato lo scorso giugno, quando i membri di Hezbollah hanno montato delle tende all’interno del territorio controllato da Israele, anche se alcuni fanno riferimento al lancio di razzi dal Libano, lo scorso aprile. Si è trattato del più intenso lancio di razzi attraverso il confine dalla fine della Seconda guerra del Libano del 2006. Sono 13 le località che il gruppo sostenuto dall’Iran sostiene essere territorio libanese occupato da Israele.
  Mercoledì, l’IDF ha usato misure non letali per allontanare agenti di Hezbollah che hanno incendiato arbusti vicino al confine e fatto esplodere mine. Sempre mercoledì, alcune persone sul lato libanese del confine hanno acceso fuochi d’artificio e sono state respinte dalle truppe dell’IDF e dalle forze dell’UNIFIL e dell’esercito libanese. Alcuni sono riusciti a distruggere le telecamere di sicurezza poste vicino al valico di frontiera di Fatmah, fuori dalla città settentrionale di Metula.
  Hezbollah ha cercato di interrompere gli sforzi dell’IDF per rafforzare le sue difese lungo il confine e ha attaccato le attrezzature pesanti utilizzate dalle forze israeliane. Le provocazioni degli operatori di Hezbollah sono state filmate e pubblicate sui social media e sono state considerate parte degli sforzi per preparare un confronto militare con Israele. Un portavoce militare ha dichiarato che i residenti del nord non hanno corso alcun pericolo a causa di questi atti di provocazione.
  I funzionari locali hanno criticato il governo per non aver risposto in modo più definitivo e i residenti locali hanno riferito che i comandanti dell’IDF hanno detto loro che avevano le mani legate per ordini di Gerusalemme. Il sindaco di Metula, David Azulai, ha detto che i suoi residenti sono stati abbandonati dal governo e che la deterrenza di Israele lungo il confine settentrionale è stata erosa.
  Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha dichiarato nella tarda serata di mercoledì che le tende piantate dai suoi agenti si trovavano in territorio libanese e che se Israele avesse avuto un esercito in grado di vincere, avrebbe agito con la forza. “Israele sa che qualsiasi azione non sarà accettata e il nostro popolo sa cosa deve fare se Israele cerca di rimuovere le tende”, ha dichiarato.
  Il Magg. Gen. Aharon Haliva ha dichiarato che l’esercito sta osservando le intenzioni di Nasrallah. “Faremo tutto ciò che è necessario per mantenere la calma lungo il confine”, ma ha messo in guardia Nasrallah dal valutare male le opzioni dell’IDF.

(Rights Reporter, 14 luglio 2023)

........................................................


Una svizzera fornisce aiuto in Israele

Zaini ricavati da vecchie vele: la svizzera Tabea Oppliger offre alle donne una via d'uscita dalla prostituzione forzata e la possibilità di reintegrarsi nel mondo del lavoro.

di Noëmi Gradwohl

Tabea Oppliger ha fondato KitePride insieme al marito nel 2018.
È stato un incontro carico di conseguenze: Tabea Oppliger stava passeggiando con la figlia di sei settimane nel quartiere a luci rosse di Zurigo, quando una donna le si è avvicinata. "Era chiaro che si trattava di una prostituta", racconta oggi. La sconosciuta ha chiesto: "Posso dare un bacio a sua figlia?".
  Oppliger ha acconsentito. "Quel bacio con il rossetto sulla fronte di mia figlia ha segnato anche il mio cuore". E l'ha spinta a passare all'azione.
  La donna oggi 45enne, massaggiatrice sportiva di formazione, si è offerta di massaggiare le prostitute. Si è resa conto di quanto il loro mestiere fosse stancante fisicamente e psicologicamente.

• Lavoro invece di compassione
  Durante quegli incontri, Oppliger sentiva ripetere sempre la stessa frase: "Non ho bisogno di compassione, ma di un lavoro". Tuttavia, solo chi ha concrete prospettive riesce a lasciare il mondo della prostituzione forzata. Per Oppliger era quindi chiaro che bisognava fare qualcosa per favorire il reinserimento di queste donne nel mercato del lavoro.
  Questo accadeva dieci anni fa. Oggi, Oppliger gestisce in Israele, insieme al marito Matthias, l'impresa sociale "KitePride", che è anche un progetto di upcycling (o riutilizzo creativo).
  Lo stabilimento di produzione si trova in un edificio industriale a sud di Tel Aviv. Su due piani, le collaboratrici cuciono borse, zaini e accessori a partire da vecchie vele e paracaduti.
  "Grazie", recitano le etichette sulle borse, "avete offerto un lavoro di riabilitazione alla persona che ha cucito questa borsa".
  KitePride impiega persone che sono riuscite a uscire dalla prostituzione. "Al momento, per noi lavorano 13 persone con questo trascorso", dice Tabea Oppliger.

• Alto tasso di successo
La maggior parte delle dipendenti proviene dall'Europa orientale, soprattutto da Ucraina e Russia. Oppliger ha fondato KitePride insieme al marito nel 2018. "Da allora, più di 35 persone sono state formate grazie a noi".
  All'inizio, due o tre persone sono tornate a prostituirsi. Ma tutte le altre sono rimaste, dice. "Abbiamo una percentuale di successo del 100%".

• Le donazioni sono necessarie

Tabea Oppliger stende una vecchia vela, che verrà poi trasformata in borse
L'azienda dipende in larga misura dalle donazioni di fondazioni ebraiche e soprattutto religiose. "Le entrate di KitePride coprono a malapena i costi di produzione", dice Oppliger.
  La cittadina svizzera si è presto resa conto che le opportunità offerte da KitePride non sono sufficienti. "Sono tante le ex vittime della tratta di esseri umani che hanno bisogno di un lavoro", afferma.
  Per aiutare un numero maggiore di ex vittime della prostituzione forzata, Oppliger ha lanciato quindi un progetto sociale. Durante i corsi, le partecipanti imparano ad affrontare le questioni quotidiane come pagare le bollette, candidarsi per un lavoro o conoscere propri diritti. L'obiettivo è di fare loro ritrovare un posto nella società. Per questo progetto, Oppliger riceve fondi anche dal Governo israeliano.

• Salvataggio prima che sia troppo tardi
  Tommy è una delle donne che hanno partecipato a questo secondo progetto. La 29enne israeliana ora lavora come cuoca, tra l'altro anche per la mensa di KitePride.
  "Avevo provato diverse volte a uscirne", racconta Tommy. Ma non ci è mai riuscita a causa di problemi finanziari. Solo grazie al sostegno di Tabea Oppliger si è sentita pronta a voltare pagina.
  Il fatto che l'espatriata svizzera si dia da fare per aiutare persone come Tommy è dovuto anche alla sua fede. Come suo marito, è cresciuta in una famiglia evangelica in Papua Nuova Guinea. I suoi genitori erano missionari.
  L'influenza della Chiesa libera è centrale per Oppliger e la fede è "un'ancora". "Sono cresciuta con l'idea che si vive l'amore per il prossimo per convinzione", dice.
  La donna non vuole, tuttavia, convertire nessuno. "In Israele il proselitismo è peraltro vietato, quindi, se lo facessi, dovrei lasciare il Paese".

• Il paradiso delle start-up in Israele

Oppliger ha fondato la sua impresa sociale in Israele e non nella sua patria perché "la Svizzera non è un luogo dove l'innovazione è ben accetta". "Credo che oggi starei ancora aspettando tutti i certificati necessari per essere presa sul serio", dice.
  La scelta di Israele è stata casuale. "Ma qui c'è una cultura delle start-up e un terreno fertile per le idee pionieristiche", afferma.
  Ma anche in Israele non tutto fila liscio, come Oppliger ha potuto constatare nel corso degli anni. "La burocrazia è eccessiva". Anche se ora parla correntemente l'ebraico, capire il sistema è difficile.
  Nel frattempo, il visto della famiglia è scaduto. Gli Oppliger hanno richiesto un permesso di soggiorno, ma stanno da mesi aspettando una decisione. Per cautelarsi, hanno assunto un manager per l'azienda, un israeliano, che se necessario potrà continuare a gestire il progetto in loco.
  Se la decisione del Ministero degli Interni sarà negativa, Tabea Oppliger farà invece la pendolare tra la Svizzera e Israele.

(SWI, 14 luglio 2023 - trad. Luigi Jorio)

........................................................


Parashà di Mass’è: l’influenza dell’ambiente sull’uomo

di Donato Grosser

Questo è il titolo di una derashà di rav Yosef Shalom Elyashiv su questa parashà. Nella parashà è raccontato che Moshè ricevette la mitzvà di designare sei città come luoghi  di rifugio per coloro che avevano commesso un omicidio non intenzionale (shoghèg). Queste città erano destinate ad essere abitate dai Leviti, la cui tribù non aveva ricevuto nessun territorio in Eretz Israel.  
            Colui che commetteva un omicidio doloso era passibile della pena di morte. Questo però solo a condizione che fosse stato avvertito da due testimoni che il delitto che stava per compiere lo rendeva passibile della pena di morte e costui ignorasse l’avvertimento. In pratica la pena di morte per omicidio era quasi impossibile.  
            Era però più frequente che venissero puniti coloro che avevano causato la morte di persone senza intenzione di farlo. Un esempio dato nella mishnà (Makkòt, 2:1) è quello di una persona che cala una botte e, per mancanza di attenzione, la botte cade e causa la morte di una persona. L’omicida, per proteggersi dai parenti della vittima, poteva trovare rifugio in una delle sei città  dei leviti. Si trattava di un domicilio coatto che si poteva lasciare per tornare a casa solo con la morte del Kohen Gadol. La fine del domicilio coatto avveniva non solo per la morte del Kohen Gadol in carica, ma anche di altri kohanim che avevano sostituito il Kohen Gadol pro-tempore quando il Kohen Gadol non era stato in grado di fare il servizio (Mishnà Makkòt, 2:6).
            R. ‘Ovadià Sforno (Cesena, 1475-1550, Bologna) commenta che dal momento che vi erano diversi livelli di delitti commessi senza intenzione, il periodo di domicilio coatto variava da persona a persona. Questo è il giudizio del Creatore che faceva sì che ognuno di questi rifugiati ricevesse la pena che si meritava. 
            Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) nel Mishnè Torà (Hilkhòt Shemità ve-Yovèl, 13:12) descrive la vita dei Leviti nelle loro città: “E perché Levi non ricevette un territorio in Eretz Israel, né il diritto alle spoglie di guerra con i suoi fratelli? Perché fu destinato al servizio divino e a insegnare le Sue rette vie e le Sue giuste leggi al pubblico”. Nel deserto i leviti rappresentavano poco meno del quattro percento del popolo. E anche quando si stabilirono in Eretz Israel la loro percentuale non fu certo superiore a un tredicesimo del popolo.  Non avevano terreni e venivano mantenuti con la decima del raccolto di tutte le altre tribù. In cambio di questo si dedicavano allo studio della Torà e all’insegnamento al popolo. Le città di rifugio offrivano quindi un ambiente spirituale.  
            R. Yosef Shalom Elyashiv (Lituania, 1910- 2012, Gerusalemme) In Divrè Aggadà (pp. 323-4)  osserva che questo tipo di omicidio poteva capitare perché chi l’aveva commesso non aveva sufficiente “Ahavàt Israel”, amore per il prossimo. La città di rifugio non doveva servire solo come protezione dalla famiglia della vittima, ma soprattutto a far fare teshuvà a coloro che avevano causato involontariamente la morte di altri.  A tale scopo le città dei leviti offrivano l’ambiente adatto.

(Shalom, 14 luglio 2023)
____________________

Parashà della settimana: Massè (Viaggi)

........................................................


Il movimento di protesta non supera il "test di ragionevolezza” di Netanyahu

Se il Paese era così inorridito dalla riforma giudiziaria solo due mesi fa, perché le proteste attuali sono drasticamente più ridotte?

di Alex Traiman

GERUSALEMME - Lunedì sera, nell'ambito della riforma giudiziaria, la coalizione al governo di Israele ha approvato in prima lettura un disegno di legge che limiterebbe il potere della Corte Suprema di annullare le leggi o le azioni esecutive sulla base di un non meglio specificato criterio di "ragionevolezza".
  Come previsto, il movimento anti-riforma ha indetto una "giornata di sommosse" in tutto il Paese per protestare contro l'approvazione della legge. I manifestanti hanno bloccato le principali autostrade e il terminal internazionale dell'aeroporto Ben Gurion.
  L'approvazione della legge e le conseguenti proteste sono la parte più recente di una contesa che dura da mesi sulla composizione e sui poteri della Corte Suprema di Israele, la più forte istituzione di governo del Paese.

• PARTECIPAZIONE IN CALO
  E’ da notare in modo particolare che le recenti proteste contro la riforma sono state come dimensione una piccola frazione delle proteste precedenti. I media di sinistra - la maggior parte dei media israeliani - che prima vantavano stime massimaliste sulle dimensioni delle precedenti proteste, che contavano decine o centinaia di migliaia di persone, ora si limitano ad affermare che "masse" di manifestanti sono scese in piazza. Durante le proteste della scorsa settimana, quando alcune centinaia di persone hanno bloccato l'autostrada da Ayalon a Tel Aviv con un falò, i media hanno affermato che le proteste avevano prodotto scene simili a quelle di marzo. Invece di riprese aeree grandangolari, i media adesso utilizzano sempre più spesso primi piani dei manifestanti.
  Se il Paese era così inorridito dalla riforma giudiziaria solo due mesi fa, perché le proteste attuali sono molto più contenute?
  Le ragioni principali sono due: in primo luogo, la bozza di riforma presentata dal governo questa settimana sembra molto diversa da quella di qualche mese fa; in secondo luogo, le proteste attuali non sono affatto spontanee e la vera natura dei sostenitori del movimento di protesta e dei suoi organizzatori è venuta alla luce.

• UN’UNICA RIFORMA
  Il disegno di legge sulla ragionevolezza è solo una componente di un pacchetto di riforme giudiziarie molto più ampio proposto dal governo all'inizio di quest'anno.
   Il pacchetto complessivo di riforme proposto dalla coalizione del Primo Ministro Benjamin Netanyahu qualche mese fa comprendeva diversi elementi, tra cui: Modifiche al Comitato di selezione giudiziaria; limitazione dell'ambito dei casi fin dall’inizio “giustiziabili"; applicazione del principio di legittimazione ad agire per i querelanti; limitazione dei poteri legali del procuratore generale e dei consiglieri ministeriali; e una clausola controversa che consente alla Knesset di annullare le decisioni della Corte Suprema a maggioranza semplice.
  Sebbene molti israeliani ritenessero necessario un certo grado di riforma giudiziaria, il concetto di annullamento delle decisioni da parte della Knesset era una pastiglia avvelenata. Inoltre, il governo ha fatto un pessimo lavoro nello spiegare a un pubblico confuso le singole riforme che voleva attuare. Ne sono seguite proteste di massa, culminate in uno sciopero generale dei sindacati che ha temporaneamente bloccato il traffico aereo all'aeroporto Ben Gurion e altre infrastrutture chiave come banche e ospedali.
  Netanyahu non ha avuto altra scelta che eliminare il pacchetto di riforme dall'agenda legislativa.

• TRATTATIVE INSINCERE
  Su istigazione del presidente Isaac Herzog, Netanyahu ha accettato di negoziare con l'opposizione per raggiungere un ampio consenso su un pacchetto di riforme più moderato. Da allora, ha ripetutamente chiesto un compromesso e, insieme ad altri sostenitori della riforma giudiziaria, ha apertamente dichiarato che la controversa clausola di scavalcamento dovrebbe essere completamente rimossa dall'agenda.
  Secondo i media, la coalizione era disposta ad abbandonare molte delle riforme proposte a favore di un compromesso e i leader dell'opposizione erano disposti a riconoscere alcune riforme.
  Il concetto di riforma giudiziaria non è estraneo all'opposizione. Molti leader dell'opposizione, tra cui Yair Lapid, Benny Gantz, Gideon Sa'ar e Avigdor Liberman, si sono già espressi a favore di una riduzione dei poteri eccessivi del tribunale. Herzog riteneva che si potesse raggiungere un compromesso in cui la coalizione avrebbe raggiunto un certo grado di riforma giudiziaria mentre l'opposizione avrebbe potuto impedire alcuni degli aspetti più controversi.
  Tuttavia, è ormai chiaro che i leader dell'opposizione non sono interessati ad alcuna forma di consenso o compromesso. L'opposizione è decisa a rovesciare il governo stabile di destra di Netanyahu e ha poco interesse a concedere a Netanyahu anche una piccola vittoria politica. Né l'opposizione è più interessata a indebolire un tribunale che ha il potere di rovesciare le politiche con cui non è d'accordo.
  Pertanto, l'opposizione ha interrotto i negoziati proprio il giorno in cui il proprio candidato è stato eletto nel Comitato di selezione giudiziaria. Per quasi un mese, Netanyahu ha chiesto la ripresa dei negoziati. In assenza di negoziati, Netanyahu ha deciso di procedere con un unico elemento: limitare la capacità del tribunale di decidere sulla "ragionevolezza".
  Questa componente è stata scelta proprio perché la sua adozione sembra ragionevole alla maggioranza degli israeliani. Così, la stragrande maggioranza degli israeliani che hanno protestato a marzo è rimasta a casa da allora.

• LA CAMPAGNA ELETTORALE PIÙ COSTOSA DELLA STORIA DI ISRAELE
  Ma mentre la maggioranza dei manifestanti resta a casa, i più accaniti scendono in piazza settimana dopo settimana in quella che è già stata la campagna politica più costosa della storia di Israele. Ogni settimana i manifestanti si presentano con bandiere israeliane, grandi cartelli stampati, magliette e costumi. I nomi dei movimenti di protesta e i messaggi cambiano di settimana in settimana.
  Le proteste attuali sono chiaramente una continuazione delle stesse proteste anti-Netanyahu organizzate in cinque cicli elettorali consecutivi negli ultimi quattro anni. I leader delle proteste ripetono costantemente l'affermazione che Netanyahu sta conducendo il Paese verso una guerra civile - niente di più sbagliato - mentre invitano furiosamente alla disobbedienza civile di massa e cercano di adescare la polizia per disperdere con la forza le manifestazioni illegali. Invece di proteggere la nazione, la polizia israeliana, sovraccarica di lavoro, è costretta a gestire le proteste settimana dopo settimana.
  Nel frattempo, le proteste sono diventate più di un fastidio pubblico. Gli israeliani di ogni orientamento politico si sono stancati delle ripetute chiusure delle strade sulle principali autostrade e nelle città già affollate. Gli israeliani che amano viaggiare all'estero e i turisti che vogliono visitare lo Stato ebraico si oppongono con veemenza ai ripetuti assalti all'aeroporto Ben-Gurion da parte dei manifestanti.
  I manifestanti ora molestano ripetutamente ministri del governo e altri politici di destra, protestano fuori dalle loro case, intimidiscono coniugi e figli e disturbano quartieri residenziali altrimenti tranquilli.
  Ancora più gravi sono le minacce organizzate da riservisti di sinistra, piloti dell'aeronautica e soldati della sicurezza informatica che dichiarano di rifiutarsi di prestare servizio se le riforme giudiziarie andranno avanti. Finora i soldati di destra e di sinistra hanno sempre eseguito gli ordini, indipendentemente dal fatto che fossero d'accordo o meno. Politicizzare l'esercito - soprattutto quando non si tratta nemmeno di un'obiezione agli ordini che i soldati ricevono - è una linea rossa che quasi nessun israeliano è disposto a tollerare, soprattutto mentre la situazione della sicurezza nel Paese e nelle sue vicinanze continua a deteriorarsi.

• PRESSIONE ESTERNA
  Rendendosi conto che sta perdendo il dibattito interno e la presa su un elettorato prevalentemente di destra, l'opposizione sta cercando ogni possibile mezzo esterno per fare pressione sul governo Netanyahu. Questa settimana, il ministro della Diaspora Amichai Chikli ha accusato pubblicamente gli organizzatori delle proteste - gli ex primi ministri in disgrazia Ehud Barak e Yair Lapid - di collaborare con la Casa Bianca per denigrare i partner di coalizione di Netanyahu e fare pressione sul governo affinché rimuova la riforma giudiziaria dall'agenda.
  L'opposizione ha lavorato in modo analogo per far sì che i leader ebrei della diaspora criticassero il governo israeliano, facendo persino arrivare degli israeliani per protestare contro i ministri del governo durante la recente parata dell'Israel Day a New York. L'opposizione ha invitato gli uomini d'affari a ritirare i loro investimenti da Israele, mentre la comunità pro-Israele ha cercato di contrastare le iniziative BDS da parte degli attori anti-israeliani.

• CHE SUCCEDERÀ IN SEGUITO?
  Dopo la prima lettura del disegno di legge sulla ragionevolezza, sono ora in programma due letture finali. La palla è ora nel campo dell'opposizione che deve decidere se è pronta o no a rinnovare i negoziati e se sarà seria. Se la legge venisse approvata, ci si chiede se la Corte annullerebbe la legge, scatenando una crisi costituzionale in un Paese senza Costituzione.
  E la Corte annullerebbe la legge sulla "ragionevolezza" sulla base del principio stesso di ragionevolezza?
  Nel frattempo, i manifestanti continuano a mettere in guardia da quella che chiamano la "tirannia della maggioranza", ovvero un elettorato che ha chiaramente votato per le politiche che il governo sta cercando di promuovere. Per anni, Israele ha sofferto sotto la tirannia di una minoranza che ha dimostrato di essere disposta a fare qualsiasi cosa per rimuovere Netanyahu e i suoi fedeli alleati di destra dall'incarico - attualmente con il pretesto di opporsi alla riforma giudiziaria.

(israel heute, 13 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


Israele punta su tecnologie che guardano al futuro

di Jacqueline Sermoneta

Consegne a domicilio robotizzate, bio-convergenza e sicurezza scolastica. Tre settori sui quali l’Autorità israeliana per l’innovazione (IIA) ha deciso di puntare con un’iniziativa che prevede un investimento di 40 milioni di NIS (11 milioni di dollari). Lo scopo del programma è quello di trovare startup in grado di sviluppare soluzioni tecnologiche innovative ad hoc e di creare il necessario quadro normativo.
  “Ci stiamo concentrando su aree che hanno un enorme potenziale di crescita, nelle quali le aziende israeliane hanno un relativo vantaggio come anche la possibilità di sviluppare prodotti innovativi che cambieranno il mondo”, ha spiegato Dror Bin, Ceo dell’IIA sul Times of Israel. Ciò implicherà anche la creazione di una “sandbox normativa”, uno spazio di sperimentazione dedicato alle soluzioni tecnologiche, in cui le aziende potranno testare la fattibilità del prodotto e creare un modello commerciale.
  Arrivare a una gestione robotizzata del ‘last mile’ delivery – la consegna ‘dell’ultimo miglio’, lo step finale del processo di consegna di un oggetto - è uno degli obiettivi. "Questa fase rappresenta oltre il 50% dei costi logistici totali. - ha affermato Sagi Dagan, vicepresidente della Divisione strategica dell'IIA - È diventata sempre più complessa e costosa dal 2020, trainata dall'impennata delle vendite di e-commerce e dei servizi di consegna a domicilio". L’utilizzo di robot autonomi permetterà di ottimizzare i tempi di trasporto, velocizzare il servizio, riuscendo a effettuare consegne senza i problemi di traffico, di parcheggio e limitando l’inquinamento.
  La seconda area su cui si investirà è la bio-convergenza - un'industria in crescita con una dimensione di mercato di 120 miliardi di dollari nel 2022 - che unisce la biologia e la medicina con l’ingegneria, la nanotecnologia e l’intelligenza artificiale per lo sviluppo di soluzioni innovative nel campo delle scienze della vita (come organi e tessuti stampati in 3D). Una sfida complessa non solo a livello tecnologico ma anche normativo.
  Il terzo obiettivo è quello di garantire la sicurezza nelle istituzioni educative. "La sicurezza delle scuole presenta delle difficoltà, legate principalmente all’utilizzo dell’intelligenza artificiale per creare un sistema adatto a un ambiente dove il livello di privacy è molto elevato" ha spiegato Dagan. Entro il 2030 si stima che questo campo avrà una crescita media annua del 19%.

(Shalom, 13 luglio 2023)

........................................................


Jerusalem International Film Festival 2023

FOTO
A Gerusalemme si alza il sipario sulla 40esima edizione del Jerusalem International Film Festival, inaugurato per la prima volta nel maggio del 1984. L’appuntamento cinematografico e culturale torna in cittàdal 13 al 23 luglio per presentare al pubblico le migliori tendenze in voga nel mondo del cinema.
  Il Jerusalem International Film Festival è diventato un importante palcoscenico che punta i riflettori sul meglio del cinema contemporaneo e allo stesso tempo un evento da non perdere per locali e turisti per assistere a centinaia di proiezioni, che hanno luogo nelle sale della Cinemateque e in altri spazi della città.
  Inoltre, durante le giornate del festival vengono organizzate monografiche dei leggendari maestri del cinema, incontri con i professionisti dell’industria cinematografica, workshop e concerti di musica dal vivo.
  Il programma del Festival sarà composto da innovative opere di avanguardia che riflettono su tematiche importanti e attuali come libertà, diritti umani, la storia e la tradizione del cinema. 
  Il film del premio Oscar Guy Nattiv, con Helen Mirren nel ruolo di protagonista, sarà la pellicola d’apertura.Golda, infatti, sarà proiettato durante l’evento inaugurale di apertura della kermesse che, come da tradizione, si terrà alla Sultan’s Pool il 13 luglio, alla presenza di 6.000 spettatori.
  Il film, presentato in anteprima mondiale al festival di Berlino di quest’anno, ci riporta indietro di 50 anni, alla guerra dello Yom Kippur del 1973, e segue alcuni giorni della vita del Primo Ministro israeliano Golda Meir – il quarto dalla fondazione dello Stato e la prima e unica donna ad aver ricoperto questa carica in Israele.
  Durante il festival, un’attenzione particolare sarà poi dedicata alle pellicole israeliane – lungometraggi in prima visione, documentari e cortometraggi – grazie a importarti riconoscimenti come l’Haggiag Family Awards, in grado di conferire autorevolezza e mettere in luce gli artisti e le pellicole più talentuose. 
  Il Jerusalem Film Festival si chiuderà poi con la proiezione del film Anatomy of a Fall, thriller francese diretto da Justine Triet che, presentato in anteprima mondiale al 76° Festival di Cannes, è stato molto apprezzato e ha vinto la Palma d’Oro 2023. Il film, interpretato da Sandra Hüller nel ruolo di una scrittrice che cerca di dimostrare la propria innocenza per la morte del marito, è un thriller procedurale di stampo hitchcockiano che crea un’eroina complessa e affascinante, mettendo in discussione le comuni convinzioni sulle relazioni e sulla verità.
  Roni Mahadav-Levin, direttore del Jerusalem Film Festival, ed Elad Samorzik, direttore artistico, commentano così il film di apertura Golda: 
  “Siamo lieti di aprire il festival di quest’anno con Golda di Guy Nattiv, una produzione internazionale impressionante e avvincente che offre uno sguardo sui giorni più cruciali della vita di una delle figure chiave della storia di Israele. L’interpretazione di Helen Mirren è elettrizzante e siamo certi che le migliaia di spettatori presenti alla Sultan’s Pool vivranno un’esperienza indimenticabile”.
  Nel corso degli anni, il Festival ha proiettato i debutti cinematografici di Wong Kar Wai, Tsai Ming-liang, John Sayles, Jim Jarmusch, Stephen Frears, Spike Lee, Quentin Tarantino, Nuri Bilge Ceylan e tanti altri, oggi maestri del cinema e personalità particolarmente apprezzate dal pubblico israeliano.
  La grande varietà di appuntamenti e la magica atmosfera che avvolge la città durante queste giornate ha gradualmente trasformato il Jerusalem Film Festival nel più importante raduno cinematografico di Israele. Apprezzato molto anche da registi e attori di fama mondiale, nel corso degli anni il Festival ha ospitato artisti quali Robert De Niro, Nanni Moretti, Roberto Benigni, Jane Birkin, Paul Cox, Kirk Douglas, Giuseppe Tornatore e molti altri ancora. 
  Per avere maggiori informazioni su tutti gli eventi e le esibizioni artistiche che andranno in scena durante il Jerusalem Film Festival è possibile consultare il sito web ufficiale della manifestazione.

(Viaggiare.net, 13 luglio 2023)

........................................................


Fondi Pnrr per la comunità ebraica. "Saranno digitalizzati beni e luoghi delle sinagoghe e del cimitero"

Un progetto elaborato in collaborazione con il Comune nel solco del protocollo d’intesa tra i due enti. L’obiettivo è lo studio e la catalogazione anche per entrare in circuiti di promozione internazionale.

FOTO
Qualcosa si muove all’ombra dei sette bracci. La Comunità Ebraica mette a segno un ‘colpo’ che ha qualcosa di unico: è riuscita ad aggiudicarsi, candidando un progetto elaborato in collaborazione con il Comune – nel solco del protocollo d’intesa tra i due enti – un finanziamento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). L’investimento sarà finalizzato alla digitalizzazione del patrimonio culturale del palazzo delle Sinagoghe, del Museo della Comunità ebraica e del Cimitero ebraico di Ferrara. L’importo in se – parliamo di 75 mila euro – non è particolarmente cospicuo.
  Rilevante è invece il fatto che sia stata la Comunità ebraica a partecipare a questo bando, intercettando le risorse europee. La gara era stata bandita dal Ministero della Cultura nell’ambito della ‘Transizione digitale organismi culturali e creativi’. I luoghi. La progettualità, resa possibile anche all’apporto professionale messo in campo da Intellera Consulting, prevede la realizzazione di sistemi digitalizzati dedicati riguardanti il Palazzo delle Sinagoghe di via Mazzini e il Cimitero Ebraico di Via delle Vigne, luoghi simbolo della vicenda ebraica a Ferrara. L’attività prevista per entrambi i complessi monumentali è la schedatura digitale di materiali, luoghi e architetture. Per il palazzo delle Sinagoghe e il Museo, l’obiettivo è quello di entrare nel circuito documentale di archiviazione così come l’ambito digitale consente, proponendo potenziali scambi e interazioni con tutte le realtà ebraiche sparse nel mondo: una vera e propria "biblioteca" che raccoglie tutti gli elementi per impostare una visita virtuale del Museo e delle Sinagoghe. Parimenti, per il Cimitero ebraico di via delle Vigne, con cui è stata già avviata una collaborazione con la Tel Aviv University per l’analisi tipo-morfologica delle lapidi e delle sepolture, ci si propone di creare un archivio documentale digitale dei materiali di studio da mettere a disposizione di esperti e centri internazionali di studio della diaspora ebraica. Il piano che ha ottenuto i fondi del Pnrr viaggia su un binario autonomo rispetto a quello che il Comune ha candidato ai fondi ‘Interreg Europe’. Quest’ultimo, lo ricordiamo, è finalizzato a sviluppare un piano d’azione per la promozione delle aree dei ghetti ebraici delle città europee, sviluppando nuove strategie o integrando quelle già esistenti per la valorizzazione del potenziale turistico dei quartieri.
  Peraltro in stretta correlazione con altri importanti centri europei. Inoltre proprio a Ferrara sarà impostata una "azione pilota" con il supporto tecnologico del Jewish Heritage Network e del Brama Grodska Teatr di Lubin che vedrà lo sviluppo di "tour virtuali del patrimonio culturale ebraico della città, realizzati per mezzo della realtà aumentata e immersiva". La particolarità è che i tour "avranno come protagonista il patrimonio culturale invisibile custodito nel ghetto, e restituiranno luoghi, oggetti, memorie, archivi e narrazioni, fino ad oggi, inaccessibili". E’ evidente che, tra i due progetti, ci sia più di una connessione.

(Il Resto del Carlino, 13 luglio 2023)

........................................................


Un palestinese rivela quello che imparano gli arabi nelle scuole di Gerusalemme

Le scuole palestinesi, per lo più finanziate dalla comunità internazionale, sono il motore che mantiene vivo il conflitto israelo-palestinese. Una testimonianza alla Knesset espone le palesi violazioni di politici ed educatori palestinesi. Il mondo sta ascoltando?

di Ryan Jones

FOTO
GERUSALEMME - Un giovane palestinese di Gerusalemme Est è apparso domenica davanti alla Commissione per l'Istruzione della Knesset per denunciare l'incitamento al terrorismo anti-israeliano insegnato nelle scuole della capitale israeliana.
  Il giovane, chiamato solo "E" e con il volto coperto per la sua sicurezza, è stato portato alla Knesset dall'attivista cristiano arabo israeliano Yoseph Haddad.
  Haddad ha iniziato criticando il membro anti-Israele della Knesset Ahmad Tibi, che ha lasciato la riunione della commissione prima che E potesse dire la sua.
  "È un peccato che il deputato Ahmad Tibi se ne sia andato prima di avere l'opportunità di ascoltare una voce davvero coraggiosa da Gerusalemme Est, ma sapevo che l'avrebbe fatto, sapevo che non avrebbe accettato", ha detto Haddad.
  E ha raccontato di essere stato "educato in una scuola che insegnava il curriculum palestinese dalla prima elementare al diploma. Fin dall'inizio mi è stato insegnato che non esiste uno Stato di Israele. Ho imparato che siamo palestinesi e che viviamo sotto occupazione. Non ci è stato insegnato l'ebraico perché ci è stato detto che l'occupazione era solo temporanea. Quindi ci è stato detto che non dobbiamo imparare l'ebraico, che non dobbiamo interagire con loro [gli ebrei], ma che dobbiamo odiarli".
  Ha poi spiegato perché così tanti bambini arabi palestinesi sono coinvolti nella violenza e nel terrorismo: "Ci hanno insegnato fin dalla prima elementare a odiare gli ebrei, e poi all'età di 10 anni che non è sbagliato uccidere un ebreo, che avremo 72 vergini e andremo in paradiso. Questo è ciò che ci è stato insegnato nella scuola palestinese".
  Ha osservato che "alcuni degli insegnanti erano terroristi che avevano scontato la pena in prigione. E ora molte delle persone con cui sono cresciuto a scuola sono in prigione per le stesse ragioni".
  Nelson Mandela una volta disse: "L'istruzione è l'arma più potente che si possa usare per cambiare il mondo".
  Parlava nel contesto dell'educazione alla pace e alla coesistenza, a cui la leadership palestinese si è impegnata nei cosiddetti "accordi di Oslo".
  Ma l'osservazione di Mandela suggerisce anche che l'educazione può essere usata per alimentare e distruggere il conflitto, e questa, come ha dimostrato E, è la strada scelta dai palestinesi.

La questione ora è se il mondo sta ascoltando o no

I mediatori di pace occidentali, come l'amministrazione Biden, esprimono regolarmente quanto siano "profondamente turbati" [ved. video] dall'insediamento ebraico nel cuore della Bibbia, dipingendolo come il principale ostacolo alla pace. Ma che dire dell'odioso indottrinamento dei bambini che perpetua il conflitto? Non è forse preoccupante almeno quanto un po' di case ebraiche?

(israel heute, 12 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


Italia-Israele, la visita di Eli Cohen e il futuro dell’ambasciata a Roma

FOTO
Il filo diretto tra Roma e Gerusalemme continua a rafforzarsi. Con novità importanti sia sul fronte della cooperazione tra i due Stati sia su quello delle nomine delle rappresentanze diplomatiche.
  Sul primo punto, la ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini, in missione in questi giorni in Israele, ha parlato di “nuove sinergie che saranno avviate nel prossimo futuro” e soprattutto ha dato un orizzonte temporale all’atteso vertice intergovernativo tra i due paesi. Un incontro preannunciato a marzo dal Premier Benjamin Netanyahu nella sua visita a Roma e che dovrebbe tenersi il prossimo ottobre, secondo quanto comunicato dal ministero dell’Università e della Ricerca. Un passaggio importante per consolidare le intese pregresse e per avviare nuove cooperazioni, considerando che l’ultimo appuntamento di questa portata era stato organizzato nel 2012 alla Farnesina. Intanto i vertici delle due diplomazie torneranno a parlarsi di persona a breve: il ministro degli Esteri Eli Cohen, attualmente in Serbia, è infatti atteso a Roma per una due giorni di incontri con i rappresentanti del governo italiano e della Santa Sede. Tanti i punti in agenda e, in prospettiva, anche la scelta del successore dell’attuale ambasciatore d’Israele Alon Bar. Cohen ha già presentato la sua proposta. Per l’incarico vorrebbe Benny Kasriel, dal 1992 sindaco di Ma’ale Adumin, insediamento a Est di Gerusalemme. Lo aveva annunciato in primavera e lo ha confermato in una recente intervista con il sito d’informazione Makor Rishon. Ma per il via libera definitivo serve ancora l’approvazione governativa.
  Kasriel, figlio di genitori immigrati dall’Iran, è un politico del Likud di lunga data. Laureatosi in Studi internazionale all’Università Ebraica, ha conseguito un master in studi sul Medio Oriente contemporaneo all’Università di Tel Aviv. Dopo aver lavorato nel ministero dell’Edilizia e aver ottenuto incarichi di vertice in importanti imprese di costruzione israeliane, è diventato sindaco di Ma’ale Adumim nei primi anni Novanta. Un periodo in cui Benjamin Netanyahu iniziava la sua ascesa politica. Kasriel, come riportato in un colloquio con il sito Al-Monitor, è stato tra i primi a puntare proprio su Netanyahu, sostenendone la candidatura alla guida del Likud. Un ruolo ottenuto nel 1993 a cui seguì, tre anni dopo, la vittoria elettorale e la conquista per la prima volta della premiership israeliana.
  In questi anni Kasriel, mantenendo il suo sostegno a Netanyahu, non ha però lesinato critiche al leader del Likud. Nel 2020, intervistato dal conservatore Israel Hayom in merito all’elezione di Joe Biden alla Casa Bianca e del futuro degli insediamenti in Cisgiordania, aveva espresso alcune preoccupazioni riguardo alla presidenza democratica. Ma soprattutto si era rivolto al Premier Netanyahu. “A volte mi sembra che stia giocando con noi. Non è plausibile che io stia aspettando da più di un anno l’approvazione del Primo Ministro per aggiungere un piano a 16 case esistenti qui a Ma’ale Adumim – le sue parole -. Non un insediamento lontano, anche se anche loro hanno dei diritti. Non ha senso che io abbia bisogno dell’approvazione dell’Ufficio del Primo Ministro per un piano di costruzione di un’industria, o di una scuola, o per aggiungere stanze, o per costruire balconi”. In quell’occasione Kasriel si era detto deluso dalle politiche del Premier. “Sono cose che non hanno nulla a che fare con gli americani o i palestinesi. Mi aspettavo di più da Netanyahu. Anche i 700 nuovi appartamenti che stiamo costruendo ora, dopo un decennio di blocco delle costruzioni, li stiamo costruendo in condizioni di prossimità all’interno della città”. Al di là di queste posizioni, il sostegno e le attestazioni di stima nei confronti del leader del Likud non sono mancate. Anche nel corso di un recente incontro con il Premier (nell’immagine).
  Rispetto alla situazione degli insediamenti in Cisgiordania, Kasriel ad Al-Monitor aveva esplicitato la sua posizione: “Chiunque conceda la Valle del Giordano non sopravviverà nel Likud. La mia linea rossa è la Giudea e la Samaria, non sono disposto a concedere nemmeno un centimetro”.
  Nel corso del suo trentennale mandato di sindaco non sono poi mancate le polemiche. Una delle quali ha coinvolto il mondo haredi (ultraortodosso). Tra il 2017 e il 2019 diverse manifestazioni sono state infatti organizzate da movimenti di questo settore della società davanti al municipio di Ma’ale Adumim. L’accusa rivolta a Kasriel è stata quella di non voler istituire in città scuole per i bambini haredi, che così dovevano recarsi a Gerusalemme. Alcuni media locali attribuirono al primo cittadino la frase: “La nostra città non diventerà Beit Shemesh”. Quest’ultima è composta da una larga maggioranza haredi (secondo stime del 2020 il 95 per cento dei bambini sotto i 3 anni a Beit Shemesh è ultraortodosso).
  Dal settore religioso sono poi arrivate di recente altre critiche a Kasriel. Il sito KikarHaShabat a inizio anno non ha gradito la posizione del sindaco sulle aperture delle iniziative commerciali di Shabbat. Un tema delicato in Israele. “Chi vuole aprire la propria attività durante lo Shabbat, lo faccia per favore”, aveva detto Kasriel in un’intervista con una radio locale. Secondo il sito, voce di una parte del mondo haredi israeliano, il regolamento comunale vieterebbe questa possibilità. Oltre le polemiche, Kasriel in questi anni ha comunque goduto di un sostegno trasversale e ha formato giunte in passato anche con membri del partito centrista Kachol Lavan. Rispetto alla sua possibile nomina ad ambasciatore, aveva detto di essere lusingato per la scelta del ministro Cohen.

(moked, 12 luglio 2023)

........................................................


La giustizia spacca Israele. C'è il primo sì alla riforma. E in piazza è "resistenza"

di Chiara Clausi

Anche ieri in decine di migliaia hanno manifestato in Israele contro la riforma giudiziaria del governo di Benjamin Netanyahu. Decine di fermi, strade bloccate, cariche della polizia, scontri, 8 feriti e 73 persone arrestate. Tutte le principali città sono state coinvolte: Tel Aviv, Haifa e Gerusalemme. La Kaplan Street di Tel Aviv è diventata rapidamente il fulcro. Qui la polizia ha dispiegato cannoni ad acqua nel tentativo di disperdere la folla. Gli organizzatori lo hanno chiamato «giorno della resistenza» e hanno invitato i cittadini «a salvaguardare la democrazia israeliana». I manifestanti alzavano striscioni con su scritto: «Vietato l'ingresso a una dittatura» o «Insieme saremo vittoriosi» e sventolavano la bandiera nazionale bianca e azzurra. A Tel Aviv, un video mostrava un poliziotto a cavallo che buttava a terra un manifestante, mentre più a nord, a Herzliya, i dimostranti bruciavano pneumatici nel mezzo di un incrocio prima di essere rimossi dalla polizia. Altri cantavano cori di protesta e battevano su tamburi. Nel frattempo, un gruppo di veterani di guerra si radunavano all'interno di un terminal dell'aeroporto internazionale Ben Gurion, vestiti come personaggi incappucciati di rosso del romanzo distopico e della serie tivù «The Handmaid's Tale» («Il racconto dell'ancella») e salutavano chi entrava nel Paese. In migliaia poi si sono riuniti al Terminal 3, l'hub principale, e alcuni si sono lamentati di essere stati accerchiati dalla polizia.
  Il caos è scoppiato lunedì notte quando la Knesset, il Parlamento dello Stato ebraico, ha approvato, con 64 voti contro 56, in prima lettura (su 3), la modifica della «clausola di ragionevolezza» che limita le capacità della Corte Suprema di intervenire. La misura mira a cancellare appunto la possibilità per la magistratura di pronunciarsi sulla «ragionevolezza» delle decisioni del governo. In un video postato su Facebook, Netanyahu ha cercato di rassicurare i cittadini: la legge «non è la fine della democrazia, ma rafforzerà la democrazia». Per gli organizzatori delle proteste invece ora «solo il popolo può salvare Israele».
  Le riforme hanno polarizzato il Paese e scatenato manifestazioni di massa da più di sei mesi. Il disegno di legge fa parte di un pacchetto di riforme che vuole ridimensionare il potere della magistratura. Ma secondo l'esecutivo in carica i tribunali esercitano troppe interferenze nella politica. Chi critica la riforma afferma invece che i piani del governo rappresentano una grave minaccia per il sistema democratico del Paese. Intanto sono state scene drammatiche quelle viste all'interno del palazzo del parlamento a Gerusalemme, poco prima che i parlamentari votassero il disegno di legge. I manifestanti hanno cercato di incollarsi al pavimento all'ingresso della camera prima di essere trascinati via dalle guardie.
  Ma il caos non si è arrestato. Sono state indette manifestazioni anche davanti alla residenza del presidente Isaac Herzog a Gerusalemme, al ministero della Difesa israeliano a Tel Aviv e al consolato americano. Ma c'è di più. Ora centinaia di riservisti - la spina dorsale dell'esercito israeliano - hanno minacciato di smettere di presentarsi in servizio per protestare contro la riforma. Ieri anche quelli dell'agenzia di sicurezza interna israeliana Shin Bet e il servizio di intelligence del Mossad hanno detto che ne avrebbero seguito l'esempio. Il capo di stato maggiore dell'esercito però ha intimato che i riservisti non hanno il diritto di rifiutarsi di presentarsi, e l'esercito ha fatto sapere che agirà contro chiunque li segua.

(il Giornale, 12 luglio 2023)


*


Giorno di Resistenza, Israele in strada contro la riforma della giustizia

Arresti e tafferugli con la polizia durante le nuove proteste per l'approvazione in prima lettura della legge che limiterà la clausola di ragionevolezza a favore dei giudici sulle decisioni del governo.

di Michele Giorgio

GERUSALEMME - Oltre settanta arresti, tafferugli con la polizia, blocchi stradali a Tel Aviv come ad Haifa e una manifestazione con diecimila persone agli ingressi dell’aeroporto internazionale «Ben Gurion». È solo un bilancio parziale del «Giorno di Resistenza» che ha toccato ogni angolo del paese contro la riforma giudiziaria intrapresa dal governo Netanyahu. In serata erano previsti altri raduni con decine di migliaia di manifestanti a via Kaplan a Tel Aviv. «Di fronte a una coalizione dittatoriale, solo il popolo può salvare Israele» esortano gli organizzatori delle proteste. Eppure, anche questa ennesima dimostrazione di forza del movimento contro la riforma giudiziaria avviata a inizio anno dal governo non sfiora il premier Netanyahu e la maggioranza formata da partiti di estrema destra religiosa.
  Le oltre cento manifestazioni tenute ieri hanno fatto seguito all’approvazione alla Knesset in prima lettura (su tre) – 64 voti a favore e 56 contro – della limitazione della cosiddetta «Clausola di ragionevolezza». Dovesse essere approvata in via definitiva, come è probabile, la nuova legge eroderà le prerogative del potere giudiziario rispetto all’esecutivo. Sino ad oggi la Corte suprema è stata in grado di intervenire su provvedimenti del governo o di singoli ministri. Potere che i due teorici della riforma, il ministro della giustizia Yariv Levin e il capo della commissione costituzionale Simha Rothman, intendono ridurre al minimo, con l’appoggio del premier Netanyahu che continua a recitare un ruolo ambiguo. Da un lato lascia trapelare una sua presunta intenzione di attuare una riforma giudiziaria più contenuta rispetto al progetto iniziale, come ha detto giorni fa al Wall Street Journal. Dall’altro non compie passi significativi in quella direzione, il negoziato con l’opposizione è quasi fermo al palo. Il premier si limita a rassicurare l’opinione pubblica. In un video postato sui social, ha affermato che la nuova legge sulla «Clausola della ragionevolezza» non rappresenterà «la fine della democrazia, piuttosto rafforzerà la democrazia». I diritti dei tribunali e dei cittadini israeliani, ha garantito, «non saranno in alcun modo violati…La Corte suprema continuerà a monitorare la legalità delle decisioni e delle nomine del governo». Le cose non stanno così, spiegano gli oppositori della riforma, a cominciare dagli ex primi ministri Yair Lapid ed Ehud Barak.
  La riforma giudiziaria, intanto, pesa sempre di più sulle prestazioni dell’economia israeliana, a cominciare dall’hi-tech, settore al centro ieri dei colloqui a Tel Aviv tra la ministra dell’università Anna Maria Bernini e il suo omologo israeliano della scienza e della tecnologia Ofir Akunis. L’hi-tech fornisce circa un quarto delle entrate fiscali israeliane e rappresenta circa la metà delle esportazioni: gli investimenti nel settore sono diminuiti più drasticamente che in altri paesi, secondo i calcoli dell’Autorità per l’innovazione nella prima metà dell’anno. Israele inoltre non sta partecipando alla ripresa globale dell’alta tecnologia frutto dell’entusiasmo per le nuove opportunità create dal boom dell’intelligenza artificiale. Senza dimenticare l’indebolimento dello shekel nei confronti del dollaro e dell’euro. Secondo i calcoli della Banca d’Israele, il calo della valuta dell’1% comporta un aumento di 0,1-0,2 punti percentuali dell’inflazione in un paese dove il costo della vita è già tra i più alti nel mondo occidentale. Queste e altre insidie per l’economia israeliana significheranno in futuro una perdita media di oltre 50.000 shekel, quasi 13 mila euro per ogni famiglia.

(il manifesto, 12 luglio 2023)


*


Cosa c’è nel nuovo decreto legge definito “di ragionevolezza”?

Un breve riassunto per ricordare in modo semplice a chi non conosce la situazione, perché si manifesta in Israele

di Sarah G. Frankl

Il governo nazionalista religioso di Netanyahu ha lanciato il suo piano di revisione giudiziaria a gennaio, subito dopo aver prestato giuramento. Ma con il crescente allarme tra gli alleati occidentali di Israele, l’aumento dei disordini e il calo della valuta dello shekel, alla fine di marzo Netanyahu ha sospeso la proposta di legge per consentire colloqui con i partiti di opposizione.
  Questi sono falliti tre mesi dopo e Netanyahu ha rilanciato la sua riforma, eliminando alcune delle modifiche originariamente proposte, come una clausola che avrebbe consentito al parlamento di annullare una sentenza del tribunale, mentre procedeva con altre.
  Si tratta di un emendamento che limiterebbe la capacità della Corte Suprema di annullare le decisioni prese dal governo, dai ministri e dai funzionari eletti, privando i giudici del potere di ritenere tali decisioni “irragionevoli”. I fautori affermano che ciò consentirebbe una governance più efficace pur lasciando alla corte altri standard di controllo giurisdizionale, come la proporzionalità. I critici affermano che senza controlli ed equilibri basati sulla costituzione (che ricordiamo, in Israele non esiste), ciò aprirebbe la porta alla corruzione e agli abusi di potere.

• Qual è il problema del governo con la giustizia?
  Molti nella coalizione di governo vedono la Corte come di sinistra, elitaria e troppo interventista nella sfera politica, spesso anteponendo i diritti delle minoranze agli interessi nazionali e assumendo un’autorità che dovrebbe essere solo nelle mani di funzionari eletti.

• Perché tanti israeliani protestano?
  Credono che la democrazia sia in pericolo. Molti temono che anche se il Premier sostiene la sua innocenza in un processo per corruzione, Netanyahu e il suo governo di estrema destra limiteranno l’indipendenza giudiziaria, con gravi ricadute diplomatiche ed economiche. I sondaggi hanno dimostrato che la revisione è impopolare presso la maggior parte degli israeliani, che sono principalmente preoccupati per l’aumento del costo della vita e per i problemi di sicurezza.

• Perché i cambiamenti proposti suscitano così tanta preoccupazione?
  I “controlli e contrappesi” democratici di Israele sono relativamente fragili. Non ha costituzione, ma solo “leggi fondamentali” intese a salvaguardare i suoi fondamenti democratici. Nella Knesset a camera unica il governo detiene una maggioranza di 64-56 seggi. L’ufficio del presidente è in gran parte cerimoniale, quindi la Corte Suprema è vista come un baluardo della democrazia che protegge i diritti civili e lo stato di diritto. Gli Stati Uniti hanno esortato Netanyahu a cercare un ampio accordo sulle riforme giudiziarie e a mantenere la magistratura indipendente.

• Sono previsti altri interventi?
  È poco chiaro. Netanyahu ha indicato di volere modifiche al modo in cui vengono scelti i giudici, ma non necessariamente quelle già predisposte in un altro disegno di legge che attende una lettura finale della Knesset. Sono state avanzate proposte, comprese modifiche alle posizioni dei consulenti legali. I legislatori dell’opposizione affermano che la sua coalizione sta cercando di effettuare una revisione frammentaria che ridurrà gradualmente l’indipendenza dei tribunali, una legge alla volta. La coalizione afferma che sta perseguendo le riforme della giustizia in modo responsabile.

(Rights Reporter, 12 luglio 2023)

........................................................


Asse Italia-Israele contro le fitopatie nel Mediterraneo

Nei giorni scorsi un workshop internazionale bilaterale organizzato dalla Tel Aviv University con la collaborazione di UniCt. Le produzioni possono essere salvate grazie al miglioramento genetico.

di Chiara Borzi

TEL AVIV – La presenza di fitopatie (malattia delle piante) nel Mediterraneo, a minaccia delle produzioni di qualità che mettono al centro degli scambi economici anche la Sicilia, richiede un’azione di sorveglianza continua e rilancia il ruolo delle collaborazioni accademiche che studiano il fenomeno. Il workshop bilaterale italo-israeliano organizzato alla Tel Aviv University “Cibo sano da piante in salute: la gestione delle malattie delle colture mediterranee in un ambiente che cambia”, in collaborazione con il Di3A (Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente) dell’Università di Catania, ha ribadito l’importanza delle partnership internazionali.
  “I workshop con Paesi affini per geografia e produzione – ha dichiarato a margine dell’evento la professoressa Alessandra Gentile, promotrice del workshop, docente ordinaria di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree dell’Ateneo catanese – sono fondamentali. La partnership scientifica con le istituzioni di ricerca israeliane è iniziata oltre quarant’anni fa ed è ancora attiva. A eccezione della parziale condizione desertica dello stato d’Israele, le colture presenti nei due Paesi che hanno organizzato il workshop sono simili e per questo condividiamo il sapere che nasce dall’aver studiato e affrontato le varie fitopatie e i sistemi colturali comuni”.
  “L’Italia – ha aggiunto – che è stata devastata dalla Xylella in olivo, ha permesso a Israele di beneficiare della propria esperienza nella battaglia alla Xylella, che Israele sta combattendo sul mandorlo. Lo scambio anche di germoplasma, di varietà coltivate nei due Paesi può contribuire a valutare il comportamento nei due ambienti nei confronti delle malattie. Il workshop italo-israeliano è stato voluto fortemente dall’ambasciata italiana in Israele, ma anche dalla Camera di Commercio Italia-Israele, nonché dall’Università di Tel Aviv nella figura del professore Guido Sessa, scienziato di grande riferimento per le tematiche affrontate nel corso dell’incontro”.
  Le produzioni, comprese quelle di qualità, possono essere salvate dalle fitopatie grazie allo studio di tecniche di miglioramento genetico. Questo tema è stato centrale nel workshop di Tel Aviv: “Abbiamo affrontato – ha evidenziato la docente catanese – il tema del miglioramento genetico delle principali colture agrumicole come limone, arance, pomodori e anche frumento. Grazie al supporto degli studi di biologia molecolare e delle Tea (Tecniche di evoluzione assistita) siamo in grado di intervenire per generare specie resistenti alle principali malattie delle piante, che stanno causando perdite dei raccolti – ha evidenziato la docente catanese. La qualità della produzione italiana e della produzione siciliana è altissima e questi studi scientifici contribuiscono sia al mantenimento di standard elevati che ad agire per il raggiungimento dell’obiettivo europeo di riduzione dell’uso dei fitofarmaci in agricoltura. Siamo in una fase particolarmente avanzata di conoscenza e il Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente dell’Università di Catania è protagonista attraverso la partecipazione a diversi progetti europei e nazionali dedicati alle colture mediterranee”.
  L’approdo a nuove conoscenze che permettono di garantire la produzione delle colture di eccellenza nel Mediterraneo, come limoni o arance, è fondamentale considerata l’emergenza ancora in corso in specie come il limone. Le malattie delle piante rappresentano infatti una sfida importante per l’agricoltura e la produzione alimentare a livello globale e in particolare nell’area mediterranea, rappresentando ogni anno circa il 10% della perdita di raccolto.

Ma qual è lo stato dell’arte in Sicilia?
  “Porto un esempio calzante – ha spiegato la professoressa Gentile – che ha assunto una certa importanza negli ultimi anni: l’Italia è il decimo produttore di limoni a livello mondiale e il 90 per cento della produzione italiana è concentrata in Sicilia. Nell’ultimo trentennio la produzione siciliana si è ridotta del trentacinque per cento. La perdita di produzione e l’abbandono dei limoneti sono fenomeni continui e crescenti. Le superfici vengono abbandonate anche a causa della recrudescenza del Malsecco, una grave malattia fungina, che in alcuni ambienti, come nella riviera dei limoni (tratto da Catania a Messina), porta all’ abbandono dei territori o alla riconversione della coltura, sostituendo il limone con altre specie subtropicali, quali l’avocado. C’è da registrare un grande impegno delle istituzioni scientifiche siciliane per cercare di mantenere i livelli di produzione del limone accettabili e cercare di contrastare la diffusione del Malsecco”.
  “Un discorso diverso – ha sottolineato – è da fare per le arance. I produttori sono riusciti a superare le problematiche connesse alla presenza del virus della Tristeza, grazie alla sostituzione del portinnesto, ma vivono una grande preoccupazione a causa della presenza, in altri paesi agrumicoli, di una malattia nota con il nome Greening. Quest’ultima, non è ancora presente in Europa, ma ha causato perdite ingenti di produzione negli Stati Uniti, in Cina, in Brasile. Alcuni vettori, insetti, responsabili della trasmissione dell’agente patogeno, sono stati trovati in Spagna e Israele. Sia il cambiamento climatico, che porta le specie a spostarsi, che lo stesso trasporto globale delle merci, sono fattori che naturalmente agevolano la diffusione degli insetti vettori”.
  “L’Università di Catania – ha concluso Gentile – è molto impegnata su questo fronte con precisi progetti europei e lavora da tempo in stretta collaborazione con il Crea”.

(QdS, 12 luglio 2023)

........................................................


La BBC si scusa per aver affermato che l’IDF “è felice di uccidere bambini”

di David Fiorentini

La BBC si è scusata dopo che la conduttrice Anjana Gadgil ha affermato in un’intervista con l’ex primo ministro Naftali Bennett che “le forze israeliane sono felici di uccidere bambini” durante la recente operazione militare a Jenin.
  Un portavoce di BBC News ha riconosciuto che il linguaggio utilizzato da Gadgil “non era formulato adeguatamente ed era inappropriato”.
  Durante l’intervista su BBC World News, Gadgil aveva cercato di contestare l’affermazione dell’ex premier secondo cui le morti palestinesi conseguenti all’azione militare riguardavano “giovani terroristi”.
  “È davvero quello che l’esercito si era prefissato di fare? Uccidere persone tra i 16 e i 18 anni?” aveva interrogato la conduttrice. “Al contrario”, ha risposto Bennett. “In realtà, tutte le 11 persone morte erano militanti. Se ci sono giovani terroristi che decidono di impugnare le armi, è loro responsabilità”.
  Bennett ha poi sottolineato che negli ultimi anni più di 50 cittadini israeliani sono stati uccisi da terroristi provenienti dal campo di Jenin, definendo la città un “epicentro del terrorismo”. A quel punto, Gadgil ha replicato a Bennett: “Terroristi, ma bambini. Le forze israeliane sono felici di uccidere bambini.”
  Il Board of Deputies of British Jews ha immediatamente commentato lo scambio, condannandolo fermamente: “Siamo sconvolti dai commenti fatti da una conduttrice della BBC durante un’intervista con l’ex primo ministro israeliano Naftali Bennett. Questo rappresenta chiaramente una violazione delle linee guida della Corporation e contatteremo il Direttore Generale per protestare con il massimo vigore”.
  In una dichiarazione, un portavoce della BBC ha affermato: “BBC News ha ricevuto commenti e reclami riguardanti un’intervista a Naftali Bennett trasmessa sul canale BBC News riguardante i recenti eventi in Cisgiordania e in Israele. I reclami sollevati riguardano domande specifiche riguardanti la morte di giovani nel campo profughi di Jenin. Su tutte le piattaforme della BBC, inclusa la nostra rete di notizie, questi eventi sono stati trattati in modo imparziale e deciso. Le Nazioni Unite hanno sollevato la questione dell’impatto dell’operazione a Jenin sui bambini e i giovani. Nonostante questo fosse un argomento legittimo da affrontare nell’intervista, ci scusiamo per il fatto che il linguaggio utilizzato in questa serie di domande non sia stato formulato adeguatamente ed era inappropriato.”
  Troppo poco e troppo tardi per Bennett, che dopo il programma ha rilasciato un’intervista al Jewish Chronicle: “Il pubblico affida ai media il compito di fornire un giornalismo equo, obiettivo e imparziale. Se non riescono a svolgere questo compito cruciale, devono essere pronti a fronteggiare le conseguenze di essere chiamati e tenuti responsabili. Suggerire che Israele sia ‘felice di uccidere bambini’ non ha alcun fondamento nella realtà e diffondere questa idea a milioni di persone mette in discussione l’imparzialità della BBC. È compito dei media internazionali riportare responsabilmente i fatti riguardanti il Medio Oriente, poiché altrimenti diventano parte del problema.”

(Bet Magazine Mosaico, 12 luglio 2023)

........................................................


Volontari puliscono e restaurano i cimiteri ebraici europei

di Michelle Zarfati

FOTO
Questa settimana una delegazione ebraica di volontari provenienti da tutto il mondo si è recata in Polonia e in Serbia per preservare il patrimonio ebraico europeo. I partecipanti si sono concentrati sul ripristino dei cimiteri ebraici, un progetto portato avanti da WeKibbutz e dall'Organizzazione Shalom Corps.
  In Polonia il gruppo ha incontrato l'atleta dei Giochi Olimpici Dariusz Popiela, che ha dedicato la sua vita a ripristinare e preservare la memoria degli ebrei in Polonia dopo la Shoah. Il lavoro di pulizia e restauro dei cimiteri ha incluso attività di pittura, giardinaggio e allestimento di percorsi specifici per permettere al pubblico di visitare il cimitero.
  I volontari hanno visitato il cimitero di Pancevo in Serbia, luogo simbolo della comunità ebraica locale profanato molte volte nel corso della sua storia. Al suo interno è custodita la tomba della prima vittima ebrea dei nazisti nei Balcani, Alexander Hacker.
  La delegazione ha anche incontrato gli ebrei presenti oggi nelle città e ha visitato le piccole comunità ebraiche ancora esistenti sul territorio. Il gruppo ha partecipato a numerose attività culturali ed educative con i giovani ebrei locali. In Serbia, la delegazione ha preso anche parte ai Maccabiah Games, l'annuale evento sportivo ebraico dei Balcani, dove alcuni membri del gruppo hanno gareggiato nella corsa, nel calcio, nel basket e negli scacchi.
  "Come terza generazione di sopravvissuti alla Shoah, preservare l'identità ebraica e agire per conto del popolo ebraico sarà sempre importante per me. - ha detto Lahav Efrat, 38 anni, residente nel kibbutz HaOgen - Sono felice di aver avuto l'opportunità di fermarmi un attimo e di donare me stesso agli altri. Pensare che ho vissuto questo viaggio con mia madre non fa che rafforzare la mia identità ebraica. Siamo qui per ricordare e preservare il nostro passato e il nostro futuro".
  “Il passato ebraico in Europa non smette mai di sorprendere. - ha detto Shiri Madar, CEO di WeKibbutz - Dopo aver fondato Netaim, comprendendo che ci sono molte comunità ebraiche che hanno bisogno di aiuto, abbiamo scoperto questa piccola comunità nei Balcani che chiedeva a gran voce una connessione ebraica e culturale con Israele e oggi siamo qui”.

(Shalom, 12 luglio 2023)

........................................................


Israele. I manifestanti annunciano ‘’proteste senza precedenti’’

di Luca Spizzichino

Gli organizzatori delle manifestazioni contro la riforma giudiziaria hanno dichiarato che oggi ci sarà una "protesta senza precedenti" in tutto lo Stato Ebraico. Il motivo, spiegano, è il disegno di legge sullo standard di ragionevolezza, che è stato approvato ieri dalla Knesset. Ieri sera dei manifestanti contrari alla riforma hanno tentato di irrompere nell'edificio mentre il parlamento israeliano era in sessione.
  La giornata di protesta inizia al mattino presso il tribunale distrettuale di Haifa e in altre località del paese. Le manifestazioni in aeroporto si svolgeranno al Terminal 3 a partire dalle 16:00. Alle 18:30, i manifestanti si raduneranno davanti alla residenza del presidente a Gerusalemme e alla filiale dell'ambasciata degli Stati Uniti a Tel Aviv. I manifestanti si raduneranno poi alle 20.30 allo svincolo di Kaplan e in altri importanti centri di traffico.
  Josh Drill, portavoce del movimento di protesta nazionale, e Nadav Salzberger, leader del movimento di protesta studentesco, hanno spiegato ieri al Jerusalem Post il motivo delle proteste. “Non vogliamo che tutte le autostrade vengano bloccate. Non vogliamo che l'aeroporto internazionale Ben-Gurion venga bloccato. Vogliamo che le persone continuino a lavorare", ha affermato Drill. Nadav Salzberger, leader del Movimento di protesta studentesco, ha affermato che le manifestazioni saranno completamente differenti rispetto a quelle passate. “Quello a cui miriamo è fermare davvero il Paese. Bloccare le strade per andare all'aeroporto e bloccarlo per marciare sulle strade di diverse città in tutto Israele", ha detto.
  Sebbene gli organizzatori delle proteste abbiano assicurato che non influenzeranno il traffico da e per l’aeroporto, la scorsa settimana i manifestanti hanno invaso Ben Gurion, provocando scontri con la polizia e causando notevoli disagi ai viaggiatori, che hanno visto i loro voli posticipati, se non persino cancellati.

(Shalom, 11 luglio 2023)

........................................................


La strategia del fondo israeliano Ariel in Italia: "Food, moda e Spazio, abbiamo investito in molte startup"

Il family office israeliano-statunitense Arieli Capital mira a espandere la sua presenza in Italia, investendo in startup nei settori foodtech, agritech e spaziale. Pianifica un'iniziativa legata al fashion tech a Milano e una piattaforma spaziale con l'Esa.

di Giulia Cimpanelli

Arieli Capital, il fondo di family office israeliano-statunitense specializzato negli investimenti in startup ad alto potenziale, sta guardando da tempo all'Italia come un importante terreno di sviluppo per la sua visione di innovazione: “Abbiamo già investito in diverse startup italiane e, in collaborazione con l'Agenzia Ice, abbiamo lanciato alcuni programmi di accelerazione per startup italiane, coinvolgendo più di venti aziende e generando un valore economico di oltre 10 milioni di euro – racconta Or Haviv, partner di Arieli Capital - . Ora vogliamo rafforzare la nostra presenza qui e abbiamo intenzione di aprire un’iniziativa legata al fashion tech a Milano entro la prima metà del 2024”. Haviv ha annunciato che entro il 2024 aprirà anche una sede a Milano dedicata a questa promettente area di intersezione tra moda e tecnologia.
  Durante l’evento Food Retail & Tech: insights for the future organizzato dal think tank Appetite for Disruption, che ha riunito leader del settore, innovatori e investitori del food retail, Arieli Capital ha lanciato una vera e propria chiamata per soluzioni innovative nel campo del food tech e dell'agritech. Or Haviv, partner di Arieli, ha evidenziato l'importanza dell'Italia come bacino di talenti e innovazione. Ha sottolineato il fatto che il settore alimentare è una componente cardine dell'economia italiana.

• Gli investimenti del fondo in startup italiane: "Le incoraggiamo a superare la paura del fallimento"
  Arieli Capital ha una vasta esperienza negli investimenti in startup italiane e ha evidenziato alcuni dei successi passati. "Abbiamo investito in diverse startup italiane, soprattutto nel settore healthcare, ma abbiamo anche guardato ad altri settori come il travel e l'agricoltura – ha dichiarato -. Siamo interessati a crescere insieme alle aziende in cui investiamo e a lavorare su future fasi di finanziamento per creare valore aggiunto".
  Ma cosa manca nel sistema dell’impresa innovativa italiana per competere con gli altri grandi sistemi dell’innovazione del mondo? “Un aspetto interessante della strategia di Arieli è l'approccio che prendiamo nell'incoraggiare le startup a superare la paura del fallimento – ha detto -. In Israele, se non sei fallito almeno due volte prima dei 30 anni, non sei considerato abbastanza ambizioso. È fondamentale che gli imprenditori italiani abbraccino il rischio e adottino una mentalità più orientata alla crescita."
  Arieli Capital è noto per la sua mentalità di investitore a lungo termine e per il suo interesse non solo nel fornire capitali, ma anche nel fornire valore aggiunto alle startup in cui investe. Haviv ha affermato che il fondo cerca di creare partnership solide e durature con le imprese, lavorando a stretto contatto con loro.

• Il foodtech in Israele: "Affrontare il cambiamento climatico e assicurare il cibo del futuro"
  Singolare è che a interessarsi al foodtech italiano sia un fondo nato tra Usa e Israele e partecipato in gran parte da israeliani. In Israele, infatti, foodtech e agritech sono particolarmente avanzati. Il deserto di Negev, situato nel sud di Israele, è noto per la sua aridità e avversità ambientale. Tuttavia, proprio in questo ambiente ostile, si trova un luogo di grande innovazione e ricerca nel campo della Foodtech: il Regional Ramat Negev Research and Development Center.
  “Il Regional Ramat Negev – commenta Haviv - è un centro di ricerca attivo dagli anni ‘70 che ha saputo sfruttare le sfide climatiche del deserto per sviluppare soluzioni innovative nel settore alimentare e agricolo. L'obiettivo principale di questo centro è quello di trovare modi per affrontare il cambiamento climatico e garantire la sicurezza alimentare in un futuro sostenibile”.
  Il centro si è specializzato in agricoltura di precisione e utilizza tecnologie avanzate come l'intelligenza artificiale, l'Internet delle cose (IoT) e il machine learning per ottimizzare la produzione agricola. In Israele, insomma, riescono a coltivare fragole e pomodori nel deserto. Ma non è finita. Nel paese ci sono scale up che stampano carne sintetica e che sono già in grado di scalare il meccanismo: “In un minuto si possono produrre tonnellate di carne – spiega – le implicazioni sono enormi, – aggiunge il partner di Arieli Capital -. Il Regional Ramat Negev è un esempio tangibile di come la Foodtech possa svolgere un ruolo cruciale nella creazione di un futuro più sostenibile per l'umanità. Le soluzioni innovative sviluppate in questo centro di ricerca possono essere applicate non solo nel deserto di Negev ma anche in altre regioni del mondo, contribuendo a combattere l'insicurezza alimentare e a proteggere l'ambiente”. A contribuire fortemente allo sviluppo dell’innovazione israeliana è il settore pubblico. Basti pensare che Il 70% del budget del ministero dell'Agricoltura (sostenitore di Agrisrael 4.0 insieme a quello dell'Economia, degli Affari esteri e all'Israel Export Institute) è destinato all'innovazione.

• Il ruolo della propensione al rischio. Gli investimenti nel settore spaziale
  In Italia c'è ancora una certa avversione al rischio tra gli investitori. Ciò può essere attribuito in parte alla cultura imprenditoriale italiana, che spesso privilegia la stabilità e la cautela rispetto al rischio imprenditoriale. Nonostante ciò, il settore food è un pilastro fondamentale dell'economia italiana e sta attirando l'attenzione di imprenditori e investitori che vedono un grande potenziale di crescita e innovazione in questo settore.
  “Oltre alla mancata propensione al rischio – aggiunge Haviv -. Sarebbero importanti maggiori sforzi istituzionali”. In Italia, la mancanza di finanziamenti è spesso un ostacolo per le startup. Arieli Family Office, invece, ha sottolineato come lavorino con piccoli ecosistemi in tutto il mondo, come la Slovenia, le Filippine e altri, e come sia importante comprendere le diverse culture e sfide di ogni ecosistema. In Israele, ad esempio, il governo ha creato piattaforme per ridurre il rischio degli investitori e ha istituito incubatori che attraggono capitali internazionali.
  Nell’ambito dei settori in cui il family office investe – tutti correlati al benessere umano e alla sostenibilità – c’è quello spaziale, che Arieli Capital ha iniziato a scandagliare anche in Italia: “Crediamo che la nuova frontiera dell’umanità sia lo spazio – conclude il partner -. Abbiamo già investito nel settore in Europa e, entro il prossimo anno, svilupperemo una piattaforma per startup early stage con l’Esa. C’è un collo di bottiglia nella validazione di tecnologie spaziali: per questa ragione stiamo costruendo con l’Agenzia spaziale europea una validation platform per sostenere le startup in early stage. La lanceremo entro l’inizio del prossimo anno”.

(La Stampa, 11 luglio 2023)

........................................................


' Finalmente sarà inaugurata la prima tramvia di Tel Aviv

di David Fiorentini

FOTO
Dopo vari ritardi, la metropolitana leggera di Tel Aviv finalmente inizierà a funzionare questo mese, come annunciato dal Ministero dei Trasporti. In un comunicato è stato confermato che tutte le necessarie misure di sicurezza sono state finalmente completate, e la Linea Rossa sarà inaugurata a breve.
  Ideata per essere inaugurata nell’ottobre 2021, la tanto attesa tramvia coprirà il tragitto da Petah Tikva a Bat Yam, attraverso Tel Aviv, Bnei Brak e Ramat Gan, con metà del percorso che si svilupperà sottoterra in una rete di tunnel.
  Il costo totale per la costruzione della Linea Rossa è giunto a circa 18,7 miliardi di NIS (4,7 miliardi di euro), in particolare a fronte dei numerosi problemi legati al sistema di segnalazione e al freno di emergenza, che hanno causato una grande frustrazione tra i cittadini.
  “Sono felice che presto si realizzerà il primo passo per risolvere il problema del traffico nell’area metropolitana di Tel Aviv”, ha dichiarato il ministro dei Trasporti Miri Regev dalla Georgia, dove si trovava in visita ufficiale. “Se non ci saranno problemi particolari, presto i cittadini di Israele potranno godere della linea”.
  La prima tramvia di Gerusalemme, invece, anche questa chiamata Linea Rossa, è stata già inaugurata nel lontano 2011 dopo una serie di simili ritardi ed è diventata da allora una caratteristica peculiare della capitale, utilizzata da residenti ebrei, musulmani e cristiani, oltre che da migliaia di turisti.
  Sia a Tel Aviv che a Gerusalemme sono state programmate nuove linee per espandere ulteriormente la rete di trasporti pubblici.

(Bet Magazine Mosaico, 10 luglio 2023)

........................................................


Azerbaigian: sventato attentato ad ambasciata israeliana

I Guardiani della rivoluzione islamica sempre pronti a pagare qualche "esterno”

BAKU – Un cittadino afghano di nome Pavzan Musa Khan è stato arrestato dai servizi di sicurezza dell’Azerbaigian perché sospettato di pianificare un attacco terroristico contro un’ambasciata straniera, che si ritiene essere la missione israeliana.
  Il Servizio di sicurezza dello Stato dell’Azerbaigian ha rilasciato una dichiarazione in cui si afferma che Khan avrebbe cospirato con altre persone per compiere atti di terrorismo nel territorio dell’Azerbaigian.
  Questi atti avrebbero comportato l’uso di cariche esplosive e di armi, con l’intenzione di causare danni a persone e ingenti danni alle proprietà.
  L’obiettivo finale era destabilizzare il Paese, seminare il panico tra la popolazione e influenzare i processi decisionali delle autorità statali e delle organizzazioni internazionali.
  Le indagini sul caso hanno rivelato che Khan ha osservato meticolosamente l’area in cui si trovano le missioni diplomatiche e avrebbe preso contatto con persone potenzialmente coinvolte nell’attacco. Inoltre, ha cercato assistenza per procurarsi armi ed esplosivi per il previsto atto terroristico.
  Il 23enne di nazionalità afghana è stato arrestato sul posto e le autorità stanno attualmente intraprendendo complesse e complete misure operative e legali per identificare e arrestare qualsiasi altro individuo che possa essere stato coinvolto nella pianificazione dell’atto terroristico.
  Sebbene il rapporto non specifichi esplicitamente quale ambasciata fosse l’obiettivo previsto, le fotografie diffuse dal servizio di sicurezza suggeriscono che Musa Khan abbia sorvegliato il complesso alberghiero Hyatt Regency di Baku, dove si trova l’ambasciata israeliana, sollevando il sospetto che l’ambasciata israeliana possa essere stata il bersaglio previsto.
  Il presidente israeliano Issac Herzog ha visitato Baku lo scorso maggio sotto stretta sorveglianza, nel timore che il vicino Iran potesse tentare di disturbare la visita. La visita nel Paese musulmano sciita, che mantiene legami strategici con lo Stato di Israele, è avvenuta dopo l’inaugurazione della sua ambasciata nel Paese.

(Rights Reporter, 11 luglio 2023)

………………………………………………..


In Israele ciclo di prove positive per il sistema David’s Sling

FOTO
Circa due mesi dopo il successo dell’avvio operativo dell’Operazione Scudo e Freccia, l’Aeronautica Militare, la Direzione del Ministero della Difesa e la compagnia Rafael hanno completato con successo una serie rivoluzionaria di addestramento ed esperimenti nel sud di Israele, che includevano intercettazioni riuscite del sistema David’Sling in una serie di scenari complessi e impegnativi, di fronte a minacce avanzate, che ampliano le capacità del sistema e le migliorano in modo significativo in modo significativo gli strati di difesa aerea dello Stato di Israele.
  La Direzione del Ministero della Difesa, l’Aeronautica Militare e la compagnia Rafael hanno portato a termine con successo una rivoluzionaria Alla serie di esercitazioni effettuate con l’avanzato sistema di difesa ‘David’s Sling’, progettato per intercettare minacce avanzate, inclusi missili balistici, missili da crociera, aerei e droni, hanno partecipato anche Israel Aerospace Industires (IAI) ed Elbit Systems. Nel corso delle esercitazioni, le capacità esistenti del sistema David’s Sling sono state testate in una serie di scenari impegnativi, che dimostrano le capacità del sistema d’arma durante un conflitto. Il successo del modello è un’altra importante pietra miliare nell’accettazione operativa del sistema nell’Aeronautica Militare, contro la varietà di minacce nelle varie arene di combattimento dell’IDF.
  All’attività hanno partecipato alti rappresentanti della MDA americana Missile Defense Agency, partner insieme al Wall Directorate delle Forze di Difesa Israeliane nello sviluppo e nella produzione del sistema David Sling.
  Il sistema David Sling è uno strato centrale di difesa nel sistema di difesa aerea nazionale, che comprende anche i sistemi Arrow, Iron Dome e Naval Iron Dome, il cui sviluppo è guidato dal Ministero della Difesa attraverso la Direzione del Muro della Difesa Ministero.
  L’azienda Rafael è il principale sviluppatore del sistema di difesa David’s Sling. IAI sviluppa, attraverso la divisione Elta, il radar MMR, Elbit Systems sviluppa il sistema di comando e controllo del sistema David’s Sling mentre è di pertinenza di Rafael il missile intercettore.

(Ares-Osservatorio Difesa, 10 luglio 2023)

………………………………………………..


Metaverso e metà Decalogo

di Rav Riccardo Di Segni

Il momento in cui l’uomo imparò a usare il fuoco rappresenta una delle svolte decisive nella storia dell’umanità. Il mito greco di Prometeo interpreta la vicenda come un furto agli dei che per questo dettero una terribile punizione al colpevole. Al contrario, nella haggadà, la narrazione rabbinica, il controllo del fuoco è un dono fatto da Hashem ad Adamo quando fu colto dal terrore rimanendo al buio alla fine dello shabbat della creazione. Questo rapporto positivo lo sottolineiamo ritualmente ogni settimana nella cerimonia della havdalà quando recitiamo una specifica benedizione davanti a una fiamma accesa che ci illumina. Quello del fuoco è un esempio notevole di come la cultura ebraica si rapporti positivamente con i prodotti tecnologici. Il fuoco come ogni altra invenzione o scoperta può essere terribilmente pericoloso e distruttivo ma anche assolutamente utile. È un equilibrio difficile che bisogna gestire ma che non deve significare il rifiuto a priori e totale.
  Queste considerazioni valgono come una premessa essenziale nel momento in cui, a distanza di tempo sempre più avvicinata, dobbiamo confrontarci con l’impatto di nuove tecnologie che cambiano completamente il nostro modo di vivere. Dopo le recenti rivoluzioni digitali, internet e l’arrivo dei telefonini è ora la volta dell’intelligenza artificiale e di una sua espansione particolare, il metaverso. Nessuno si sogni di poter fermare l’evoluzione della tecnologia, a meno che questa non sia completamente distruttiva e autodistruttiva. Altrimenti la novità entrerà nelle nostre vite e dovremo non solo abituarci ma molto presto non ne potremo fare a meno. Tale è la rapidità di immissione nelle vite e nei mercati di questi avanzamenti, che tutte le persone che dovrebbero controllarne lo sviluppo (politici, eticisti, giuristi, addetti alla sicurezza generale e sanitaria, e gli stessi tecnici creatori) saranno molto più lenti a capire di che si tratta per poter imporre delle regole e dei limiti, arriveranno tardi. Questo perché gli investimenti e gli interessi economici sono tali da coinvolgere molte più persone e molto più intensamente di quanto lo siano numericamente e nella loro forza quelli che dovrebbero essere i controllori.
  Se ci spostiamo sul campo più specifico dell’etica ebraica potremmo però già da ora individuare le criticità che dovrebbero mettere in allarme il pubblico e non solo quello ebraico. L’etica ebraica non è limitata agli ebrei, ma ha dei valori da proporre (mai imporre) a tutti.
  Proprio in termini più universali ho pensato che una guida ad alcuni concetti essenziali potrebbe derivare da alcuni dei 10 comandamenti, secondo il canone ebraico e il modo rabbinico di interpretarli.
Secondo comandamento: non farti alcuna immagine. Non solo è proibito inchinarsi agli idoli ma anche farsi delle immagini, anche se non si adorano. È noto come l’interpretazione di queste regole sia molto diversa nei vari mondi religiosi. La tradizione ebraica intende questo comando come una via di mezzo tra l’aniconismo assoluto dell’Islam e il permesso totale del Cattolicesimo. Per quanto riguarda le immagini, per i rabbini, il divieto principale è per quelle umane complete tridimensionali. Trasportando questi concetti al metaverso si aprono prospettive interessanti. Il  metaverso crea una realtà virtuale tridimensionale, riproduzioni di qualcosa che c’è o immagini di qualcosa che non c’è. Sono virtuali ma appaiono reali, le possiamo vedere e sentire e persino toccare. In che modo il comandamento biblico, nello spirito e nella pratica può essere riferito a situazioni come queste del tutto nuove? Forse in una stretta prospettiva giuridica si potrà dire che la realtà virtuale è esclusa dal divieto, ma la sfida concettuale rimane: perché è proibito farsi delle immagini?
Quarto comandamento: il Sabato. L’osservanza pratica della regola impone l’astensione da ogni atto con il quale si modifica l’ambiente e si dimostra la nostra capacità di dominarlo. Ad esempio è proibito ogni lavoro di produzione alimentare, dall’aratura dei campi all’impasto della farina fino alla cottura del pane; i lavori stessi e quelli che a loro somigliano. Questo significa tra l’altro che è proibito usare, attivandolo durante il Sabato, qualsiasi sistema tecnologico, da una penna per scrivere a una lampadina da accendere o spegnere, dal computer al telefonino. Non è un caso, richiamando le prime righe di questa nota, che la Torà proibisca esplicitamente di accendere il fuoco di Sabato (Esodo 35:3). Il messaggio essenziale è che noi abbiamo il permesso e anche il dovere di intervenire sulla realtà. Ma non è un permesso illimitato. Vale per sei giorni, il settimo ci fermiamo. Gli strumenti tecnologici sono nostre creature, al nostro servizio. Non dobbiamo diventare schiavi delle nostre creazioni. Almeno per un giorno a settimana dobbiamo recuperare la nostra natura spirituale. Non potremo quindi accedere agli strumenti del  metaverso nel giorno di sabato e questo sarà già un messaggio di liberazione.
Ottavo  comandamento: non rubare. Per i rabbini non significa solo rubare dei beni, ma in primo luogo le persone, rapirle. Che c’entra questo con il metaverso? Tra le sue potenzialità c’è il controllo totale delle persone che lo usano. Oggi se facciamo una ricerca su internet su un posto turistico veniamo bombardati per giorni da pubblicità riferite al quel sito. Con il metaverso sarà tutto più totalizzante, ogni nostra reazione, dal battito cardiaco al battere le ciglia sarà monitorizzata, analizzata e classificata. Non ci saranno più segreti sui nostri pensieri e le nostre emozioni. Saremo rubati, rapiti, a scopo commerciale prima, e poi politico.
Settimo comandamento: non commettere adulterio. Tecnicamente la norma proibisce l’adulterio ma più generalmente si tratta di un comando a seguire un comportamento sessuale corretto. Anche qua, che c’entra il metaverso? Uno dei suoi lati più oscuri e problematici è la possibilità che offre, mediante gli accessori “indossabili” che servono ora a usarlo (visori, guanti, camicie ecc.), di provare sensazioni fisiche visive e tattili. Immaginate l’impatto sessuale. Non è più il film pornografico o la bambola di gomma. È l’immersione in un sesso virtuale che potrebbe essere ancora più appagante di quello reale, e molto più comodo, dato che il rapporto con un altro ha sempre un costo sociale. Solo che in questo modo, aldilà di qualsiasi considerazione morale sulle scelte sessuali, si toglierà al sesso la sua funzione fondamentale di confronto e comunicazione interumana, a favore di un isolamento deresponsabilizzato.
Sesto comandamento: non uccidere. Il metaverso può creare, peggio di una droga, dipendenza, asocialità, perdita di controllo morale, perdita di distinzione tra reale e virtuale, istigazione alla violenza singola e di gruppo. Soprattutto per i più indifesi e coloro che hanno poche esperienze di vita, come possono essere bambini e adolescenti. I social, oggi, per alimentarsi di pubblicità, hanno bisogno di coinvolgere sempre più persone, e uno dei modi per farlo è alimentare dibattiti divisivi e provocatori. Siamo testimoni nel nostro piccolo comunitario come sia facile abboccare a questo amo e quanta violenza gratuita e incontrollata si scateni. Ma questo ora è solo l’inizio. Dopo sarà semplicemente moltiplicato.
Ce n’è abbastanza per creare un minimo di allarme e indurre alla vigilanza. Pensateci bene, il prossimo anno, prima di regalarvi un visore o di farlo come regalo di bar-bat mitzwà.

(Shalom, 7 luglio 2023)

........................................................


Una squadra israeliana gareggerà alla FIFA-e World Cup in Arabia Saudita

di Luca Spizzichino

FOTO
Una squadra di giocatori israeliani è atterrata venerdì scorso in Arabia Saudita per prendere parte alla Coppa del Mondo del videogioco FIFA, che si terrà dal 16 al 19 luglio a Riyadh.
  La FIFAe World Cup si tiene ogni anno e vede i partecipanti affrontarsi nell'ultima versione del videogioco di calcio. Quest'anno è la prima volta che l'Arabia Saudita ospita l'evento. Tre membri della squadra, il loro allenatore e il vicedirettore sono entrati nel paese attraverso gli Emirati Arabi Uniti con i loro passaporti israeliani per l'evento, secondo quanto riferito dall’emittente israeliana Kan.
  Zvika Kosman, manager della squadra, ha detto a Kan di aver lavorato con la FIFA per assicurarsi che i sauditi permettessero alla squadra di entrare nel Paese. Le autorità saudite hanno scritto una lettera sottolineando che tutti i partecipanti sarebbero stati ammessi nel Paese, senza specificare gli israeliani.
  "Il processo è stato semplice e veloce, tutti qui sono gentili", ha detto Roi Feldman, uno dei giocatori israeliani, ai giornalisti del canale israeliano durante il fine settimana. I giocatori avranno una bandiera israeliana sulla maglia.
  La squadra, per motivi di sicurezza, non mostrerà apertamente la propria identità israeliana al di fuori del torneo. "Saremo in hotel e nel luogo in cui giocheremo, ma non andremo in giro", ha detto a Kan Yuval Blei, un altro giocatore. Secondo il Jerusalem Post, prima di ogni partita suonerà l’Hatikvah, l’inno dello Stato d’Israele, e la bandiera israeliana verrà esposta alla cerimonia di apertura di domenica prossima. La sicurezza della delegazione israeliana sarà assicurata dalle autorità locali e da una società privata.

(Shalom, 10 luglio 2023)

........................................................


La scelta di Netanyahu: collaborare con Abu Mazen o affossarlo definitivamente

di Alfredo De Girolamo

Dopo gli eventi di Jenin, il dilemma stringente del premier israeliano Benjamin Netanyahu è decidere se collaborare con Abu Mazen o affossare definitivamente la controparte palestinese. Scrive il giornalista Herb Keinon: "A livello strategico, Israele deve definire le sue intenzioni. Se il portavoce dell'IDF ha chiarito che il bersaglio dell'operazione "Casa e Giardino" era quello di colpire l'infrastruttura terroristica senza occupare e rimanere a Jenin, un simile obiettivo diplomatico non è stato articolato".
  La prima opzione in gioco può essere attuata solo garantendo la piena funzionalità dell'Autorità nazionale palestinese (ANP). Per farlo il leader del Likud ha però bisogno di avere alle spalle un governo di larghe intese che dia concessioni concrete ai palestinesi e non, un esecutivo in mano a frange di estremisti nazionalisti come l'attuale maggioranza della Knesset. Se invece l'obiettivo strategico di Netanyahu è rendere inconsistente il ruolo della cricca degli eredi di Arafat allora, deve prepararsi materialmente a colmare il vuoto di potere che si creerà il giorno dopo il collasso del regime. Nel qual caso la battaglia di Jenin, costata all'esercito di Tzahal un ingente spiegamento di forze in campo, è un'avvisaglia di quanto potrebbe accadere a breve su larga scala, in tutta la Cisgiordania. Dove oramai il palazzo presidenziale della Muqata non è in grado di mantenere il controllo della sicurezza nelle città periferiche del nord: debolissimo di fronte alla presenza di gruppi terroristici generazionali, vittima della violenza vandalica dei coloni e soverchiato dai continui raid dell'IDF nei campi profughi.
  Così Kobi Michael e Ori Wertman sul The Jerusalem Post: "Oggi sembra che l'Autorità Palestinese, sotto la guida di Mahmoud Abbas, si trovi nella sua situazione peggiore dai tempi della Seconda Intifada e ha imboccato un percorso che potrebbe portare al suo dissolvimento". Il declino di Abu Mazen è principalmente il frutto di dinamiche interne: poca democrazia, lotta tra le fazioni per il potere, corruzione dilagante e l'occupazione. Disaffezione e malcontento diffuso sono certificati dai rilevamenti raccolti dal Palestinian Center for Policy and Survey Research (PCPSR). La fiducia dell'opinione pubblica nell'ANP è ai minimi storici ed anche la popolarità del rais, a chiederne le dimissioni sono 8 palestinesi su 10. Il 67% è comunque certo che non saranno indette elezioni generali, per il momento. Ma se accadesse il più accreditato al successo resta Marwan Barghouti, che intanto sta scontando l’ergastolo in un carcere israeliano. La percezione di vivere in un sistema corrotto sfiora il 90% dei palestinesi. Mentre, il 74% ritiene che la soluzione a due stati sia un processo irrealizzabile, a causa dell'espansione degli insediamenti. Inoltre, c'è la convinzione che sia prossimo lo scoppio di una terza Intifada. Il 71% si dice favorevole alla formazione dei nuovi gruppi armati, e persino che la polizia di Ramallah non ha alcun diritto di arrestarli (86%).
  Sul fronte israeliano, il sondaggio di Israeli Voice Index mostra che la tendenza prevalente tra il pubblico è di diffidenza nei confronti del governo di Netanyahu, e la gente è poco ottimista sul futuro. Non convincono lotta a crimine e terrorismo. Particolarmente criticata dagli intervistati la mancata gestione del caro vita e in generale le politiche economiche dell'esecutivo più a destra della storia di questo paese. Per quanto riguarda il giudizio sull'operato del primo ministro in carica Netanyahu, resta positivo solo tra i suoi elettori. Che tuttavia non gli perdonano la riforma della giustizia. Per Alon Pinkas storica firma di Haaretz: "Benjamin Netanyahu e il suo governo estremista spingono a pieno ritmo un'agenda legislativa gravemente antidemocratica, ma il primo ministro israeliano ha fatalmente sottovalutato il movimento di protesta". È evidente come la classe politica al governo, palestinese o israeliana, sia sempre più lontana dalla realtà.

(L'HuffPost, 10 luglio 2023)

........................................................


Biden smorza gli entusiasmi su un accordo Israele-Arabia Saudita

di Emanuele Rossi

Israele e Arabia Saudita sono molto lontani da un accordo di normalizzazione che preveda un trattato di difesa e un programma nucleare civile da parte degli Stati Uniti, ha dichiarato il presidente americano, Joe Biden, in un’intervista alla Cnn trasmessa domenica. Le parole di Biden segnano un momento all’interno del tema “Gerusalemme-Riad”.

• NARRAZIONI E INTERESSI
  Da mesi si parla con insistenza di una possibile normalizzazione israelo-saudita: si sa che le due parti sono disposte a questa mossa storica e che Washington ne sarebbe ben contenta (perché sarebbe un passaggio che completerebbe gli Accordi di Abramo e aiuterebbe a mantenere ordinato il Medio Oriente, consentendo così agli americani di continuare con la strategia di ritirata dalla regione).
  E però, si evidenziano anche alcune vulnerabilità. Su tutte, la non disponibilità saudita a procedere con un così grande investimento di carattere geostrategico ed ideologico insieme a un governo come quello attuale di Benjamin Netanyahu, caratterizzato attualmente da posizioni estremiste nei confronti del dossier palestinese. Il regno saudita è protettore dei luoghi sacri dell’Islam — con tutto il portato socio-culturale e politico-strategico che questo comporta — e non vuole esporsi mentre le istanze palestinesi vengono costantemente contratte dagli israeliani. Per quanto pragmatica possa essere la visione del factotum ed erede al trono Mohammed bin Salman, esistono limiti (per altro difficili da oltrepassare finché il sovrano Re Salman resterà in vita).
  La scorsa settimana la furia dell’opinione pubblica è cresciuta nel mondo arabo dopo una delle più grandi operazioni militari di Israele nella Cisgiordania occupata degli ultimi anni, un raid nel campo profughi di Jenin, una roccaforte dei militanti palestinesi.  Martedì scorso, l’Arabia Saudita si è unita ad altre nazioni della Lega Araba nel condannare il raid, che ha ucciso 12 palestinesi. Anche prima delle ultime violenze, Riad ha affermato che la normalizzazione non è possibile fino a quando non saranno affrontati gli obiettivi di statualità palestinese (la cosiddetta “soluzione a due stati” che da anni ricorre senza risultati come forma risolutiva della diatriba).
  Il governo religioso-nazionalista israeliano ha riconosciuto una battuta d’arresto negli sforzi di normalizzazione in seguito alle censure saudite sulle sue politiche nei confronti dei palestinesi. Il ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen, ha dimostrato consapevolezza del quadro esprimendo una nota di speranza domenica sulla rara partecipazione di una delegazione israeliana a un torneo di videogiochi di calcio ospitato da Riad durante il fine settimana. Tuttavia gli organizzatori sauditi hanno fatto sapere che la presenza degli israeliani non è legata a processi di diplomatici, ma semplicemente perché è stato concesso a tutti coloro che volevano iscriversi di partecipare.

• COSA C’È SUL PIATTO?
  I funzionari statunitensi stanno negoziando nel tentativo di raggiungere un accordo di normalizzazione. i due Paesi sono disponibili, come detto, ma servirà tempo. Sono d’altronde fonti e analisti di vario tipo a suggerire da un po’ che ancora ci siano distanze. “Siamo molto lontani. Abbiamo molto di cui parlare”, ha detto Biden in un’intervista a “Fareed Zakaria’s GPS” confermando il contesto attorno a quello che potrebbe essere un passaggio storico per la regione mediorientale.
  Tra le varie cose, oltre a posizioni di carattere più politico, ci sono anche i tempi più pratici da definire. Riad vuole il nucleare (intanto civile) e sta chiedendo assistenza tecnica agli Stati Uniti  — oltre che a Russia e Cina. Vorrebbe mettere un impianto sul tavolo delle trattative incrociate, ma non sarà facile. Il mese scorso, il ministro dell’Energia israeliano, Israel Katz del Likud,  ha per esempio espresso la sua opposizione all’idea che l’Arabia Saudita sviluppi un programma nucleare civile nell’ambito di un’eventuale mediazione statunitense per la creazione di relazioni tra i due Paesi.
  C’è diffidenza perché a Gerusalemme si teme di perdere la prerogativa di essere unica potenza atomica della regione (sebbene il nucleare israeliano sia coperto da ambiguità strategica). Biden, parlando con Zakharia, ha sottolineato la decisione dell’Arabia Saudita, alla vigilia della sua visita nel regno la scorsa estate, di concedere il passaggio nel proprio spazio aereo a tutti i vettori, aprendo la strada a un maggior numero di sorvoli da e per Israele. Ha anche sottolineato gli sforzi per un cessate il fuoco permanente nello Yemen, un conflitto che ha ucciso decine di migliaia di persone e che è stato ampiamente visto come una guerra per procura tra Arabia Saudita e Iran.
  “Stiamo facendo progressi nella regione. E dipende dalla condotta e da ciò che ci viene chiesto per il riconoscimento di Israele” ha detto Biden nell’intervista. Ancora: “Francamente, non credo che abbiano molti problemi con Israele. Ma se [mi chiedete se] noi forniremo o meno un mezzo che permetta [ai sauditi] di avere un’energia nucleare civile e/o di essere un garante della loro sicurezza, questo penso che sia un po’ lontano”. Israele ha dichiarato di aspettarsi di essere consultato da Washington su un accordo tra Stati Uniti e Arabia Saudita che riguardi la sua sicurezza nazionale.
  Citando precedenti come l’Iraq e la Libia, gli israeliani temono da tempo che vicini potenzialmente ostili possano utilizzare l’energia nucleare civile e altri progetti sviluppati nell’ambito del Trattato di Non Proliferazione del 1970 come copertura per la produzione clandestina di bombe. Da una parte il dossier palestinese, dall’altra la questione nucleare saudita, frenano quello che per diverse volte è stato dato come un accordo già fatto. Biden conferma gli scetticismi.

(Formiche.net, 10 luglio 2023)

........................................................


Manifestazioni in Israele contro la riforma giudiziaria. Cosa sta succedendo?

Mentre il Ministro Amsalem (Likud) chiede l'arresto dei leader della protesta, migliaia di riservisti si ritrovano sotto casa del Ministro della Difesa per chiedere di nuovo un suo intervento

Il ministro della Cooperazione regionale David Amsalem ha chiesto sabato l’arresto dei leader della protesta contro la riforma giudiziaria, l’interrogatorio dell’ex primo ministro Ehud Barak e la destituzione del procuratore generale Gali Baharav-Miara.
  Amsalem, un avvocato del Likud che ricopre anche una carica presso ministero della Giustizia e come incaricato del collegamento tra il governo e la Knesset, ha denunciato durante un’intervista a Channel 12 che i leader delle proteste hanno causato “disordini di massa” nel Paese negli ultimi sei mesi, mentre il capo della polizia del distretto di Tel Aviv, Amichai Eshed, si è rifiutato di affrontare la questione.
  L’annuncio delle dimissioni di Eshed questa settimana, in cui si affermava che sarebbe stato trasferito dal ruolo a causa dell’avversione dei politici per il suo approccio morbido nei confronti dei manifestanti, ha portato a una serie di proteste di massa spontanee e al blocco dell’autostrada Ayalon a Tel Aviv per diverse ore.
  “Non c’è intelligence, non ci sono arresti nelle notti [delle proteste], non ci sono indagini su [l’ex capo della Corte Suprema] Aharon Barak o Ehud Barak. State male? Protestate, proprio come hanno fatto le persone fin dalla creazione dello Stato. Ma perché fare disordini? È illegalità“, ha detto, aggiungendo: “Ehud Barak, a mio parere, avrebbe dovuto essere nella stanza degli interrogatori già da qualche tempo”.
  “Non c’è persona nel Paese che non lo pensi, compreso lui stesso. Ma sa che nessuno lo farà perché è al di sopra della legge“, ha affermato Amsalem.
  Giovedì Barak, che ha esortato alla “disobbedienza civile non violenta” per cercare di bloccare la revisione giudiziaria proposta dalla coalizione, ha dichiarato in un’intervista televisiva che i piloti e alcuni altri soldati d’élite dovrebbero rifiutarsi di continuare a prestare servizio nell’IDF se una proposta di legge attualmente avanzata dalla coalizione diventasse legge.
  Il disegno di legge, che sarà presentato lunedì in prima lettura, impedirebbe alla magistratura di utilizzare la dottrina della “ragionevolezza” per rivedere le decisioni prese dal gabinetto, dai ministri del governo e da altri funzionari eletti non specificati.
  Secondo un rapporto del mese scorso, è stata istituita una task force speciale per indagare se Barak e altri leader delle proteste possano essere accusati di incitamento per i commenti che incitano alle proteste antigovernative.
  “Non c’è pace nel disordine. Qui c’è anarchia. C’è una sfida allo stato di diritto qui, quindi i manifestanti devono essere dispersi“, ha detto Amsalem, chiedendo una mano più dura contro i dimostranti.
  Il ministro si è anche scagliato contro Baharav-Miara, affermando che avrebbe dovuto lasciare l’incarico non appena il primo ministro Benjamin Netanyahu avesse istituito un nuovo governo il 29 dicembre.
  “Non è degna di questa posizione e non lo è mai stata, ha detto Amsalem. “Penso che se avesse avuto un po’ di rispetto per se stessa, avrebbe restituito le chiavi e sarebbe andata a casa“.
  Il procuratore generale si è scontrato con i ministri su diverse questioni. Recentemente, Netanyahu, il ministro della Giustizia Yariv Levin e il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir hanno rimproverato Baharav-Miara e altri alti funzionari delle forze dell’ordine per la loro gestione delle proteste in corso contro la riforma giudiziaria.
  Amsalem ha giustificato una proposta per limitare i poteri dei consulenti legali del governo, sostenendo che dalla creazione dello Stato, al partito di destra Likud non è stato permesso di governare quando è stato eletto.
  “Il Likud non può nominare funzionari [del ministero] e non può prendere decisioni. Ho cercato di nominare un direttore generale per tre mesi e mezzo, ma [il vice procuratore generale] Gil Limon non me lo ha permesso“, ha detto, riferendosi alle difficoltà incontrate da Amsalem nel nominare Moshe Swissa al ruolo di vertice del ministero della Cooperazione regionale, a causa di precedenti infrazioni disciplinari.
  “Non ci sono funzionari che hanno opinioni di destra. Non ci sono Likudniks. Più della metà del Paese è composta da likuddisti“, ha accusato, promuovendo un’argomentazione comune dei membri del governo secondo cui i burocrati del Paese non sono rappresentativi dell’opinione pubblica di destra. Ma mente sapendo di mentire perché non è vero che metà del Paese ha votato per il Likud. Il partito ha ottenuto il 23% dei voti alle ultime elezioni.
  Amsalem è stato un convinto sostenitore della drastica revisione del sistema giudiziario prevista dal governo. Ad aprile ha chiesto l’incriminazione della presidente della Corte Suprema Esther Hayut per la sua opposizione al controverso piano, sollecitando anche indagini contro i leader del movimento di protesta.

• MANIFESTAZIONE DAVANTI ALL'ABITAZIONE DEL MINISTRO DELLA DIFESA
  Diverse migliaia di manifestanti si sono riuniti sabato sera davanti alla casa del Ministro della Difesa Yoav Gallant per una manifestazione notturna organizzata dai riservisti dell’esercito contro la riforma giudiziaria.
  La manifestazione, svoltasi dalle 22.00 alle 3.00 nella città settentrionale di Amikam, è sembrata la prima di questo tipo da parte degli attivisti contrari alla riforma, che hanno recentemente intensificato i loro sforzi mentre il governo si appresta ad avanzare nei prossimi giorni la prima parte di un pacchetto legislativo volto a limitare radicalmente il sistema giudiziario del Paese.
  Il gruppo di protesta contro la revisione, “Brothers in Arms”, ha dichiarato in un comunicato che “capi di stato maggiore e generali dell’IDF di tutti i tempi, comandanti del Mossad, comandanti dello Shin Bet e della polizia” hanno partecipato alla manifestazione notturna.
  “Insieme riporremo le nostre speranze nel ministro della Difesa, che ha già dimostrato che, sulla sua coscienza, non permetterà che venga danneggiata la sicurezza di Israele e che la nazione venga fatta a pezzi“, ha aggiunto il gruppo di protesta.
  A fine marzo, Gallant aveva chiesto di sospendere la revisione giudiziaria, citando un “pericolo tangibile” per la sicurezza dello Stato, mentre centinaia di riservisti militari minacciavano di non presentarsi più in servizio per protestare contro la controversa legislazione.
  Gallant è stato il primo membro del governo a chiedere pubblicamente di fermare la revisione, e il primo ministro Benjamin Netanyahu ha risposto annunciando la sua decisione di licenziarlo il giorno successivo. Questa mossa ha provocato proteste spontanee di un’intensità e di una portata mai viste durante i primi tre mesi di manifestazioni, che apparentemente hanno portato alla decisione del premier di ascoltare l’appello di Gallant il giorno successivo e di tenere colloqui con l’opposizione per raggiungere un compromesso sulla riforma giudiziaria.
  Ma i negoziati si sono interrotti il mese scorso, portando la coalizione ad annunciare che avrebbe iniziato ad avanzare unilateralmente parti della revisione. Lunedì la coalizione dovrebbe far passare in prima lettura alla Knesset un disegno di legge che elimina la possibilità per i tribunali di pronunciarsi sulla “ragionevolezza” delle decisioni governative.
  Durante la protesta notturna davanti all’abitazione di Gallant, gli oratori hanno invitato il ministro della Difesa ad opporsi ancora una volta ai piani dei suoi colleghi legislatori della coalizione, come aveva fatto tre mesi fa.
  “La spaccatura della società è più profonda che mai e il colpo di stato [del governo] distruggerà l’esercito del popolo“, ha dichiarato l’ex capo dello Shin Bet Ami Ayalon.
  “Le ho scritto in passato perché speravo che lei fosse lo stesso coraggioso comandante che ho nominato al comando dell’unità di ricognizione navale Shayetet“, ha continuato Ayalon. “Lei deve il suo ministero a noi e alle centinaia di migliaia di persone che sono scese in piazza. In passato ha scelto la lealtà alla sicurezza di Israele piuttosto che la lealtà a Netanyahu e ci aspettiamo che lo faccia di nuovo“.
  L’ex capo di stato maggiore dell’IDF e ministro della Difesa del Likud, Moshe Ya’alon, ha dichiarato nel suo discorso di vergognarsi di Gallant e di altri membri del suo ex partito. “Conosco anche Nir Barkat e Avi Dichter che erano miei subordinati nell’esercito. Come fate a non vergognarvi di lasciare che Benjamin Netanyahu ci porti alla distruzione?“, ha chiesto.
  Rivolgendosi a Gallant, il Magg. Gen. (Ris.) dell’IDF Noam Tibon ha detto che il ministro della Difesa era ben consapevole dei danni che la revisione stava causando. È per questo che il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden non è disposto a incontrare Netanyahu.
  “Sapete che per prepararsi alla sfida iraniana, l’IDF deve essere al meglio, e che i piloti e i riservisti non voleranno o combatteranno per una dittatura“, ha avvertito.
  Alla manifestazione è intervenuto anche l’ex generale dell’IDF Amal Assad, attivista sociale di spicco della comunità drusa.
  “Yoav, sono venuto qui per ricordarti che io e te siamo fratelli“, ha esordito. “Quando sei venuto a sostituirmi come generale di brigata per la regione di Jenin, ti ho detto che fino ad allora pensavo che non ci fossero più persone coraggiose come me, ma tu hai distrutto la mia percezione“.
  “Oggi sono qui, insieme ai Fratelli in armi, per chiedervi ancora una volta di ascoltare la vostra coscienza. Prendete una decisione coraggiosa e fermate la follia“, ha detto Assad.
  Un cartello srotolato durante la protesta recitava: “Il processo legislativo dovrebbe essere fermato”, citando una frase del discorso di Gallant del 25 marzo.

(Rights Reporter, 10 luglio 2023)

........................................................


Gli Ebrei in Calabria, incontro al Parco Archeologico Archeoderi

La Calabria tutta è fiera del proprio passato e ama ricordare e celebrare le civiltà e i popoli che ne hanno scolpito il volto, dalla lontana Preistoria al Periodo greco-ellenistico, all’Età romana, al Popolo del Libro (Am HaSefer) che ha fatto dell’insegnamento della Torah lo strumento della sua identità e una fonte inesauribile di saggezza per tutte le Genti. L’Associazione Bova Life, grazie alla ormai consolidata collaborazione scientifica con il professore Louis Godart, archeologo e filologo di fama mondiale, membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei e già consigliere per la Conservazione del Patrimonio Artistico alla Presidenza della Repubblica Italiana, organizza il 12 luglio un incontro centrato sulla presenza degli Ebrei in Calabria.
  Faranno gli onori di casa la dottoressa Elena Trunfio, direttrice del Museo e Parco Archeologico Archeoderi, l’onorevole Saverio Zavettieri, sindaco di Bova Marina, e il dottor Luca Micheletta, segretario generale di Bova Life. Modererà l’incontro il dottor Giorgio Neri, giornalista dell’Ansa.
  Oltre alla relazione di Godart, dal titolo “Il Libro e il Popolo che scommette sulle radici dell’anima”, interverrà il professore Pasquale Casile, storico, ricercatore grecista e vice presidente dell’Associazione Culturale Magna Grecia Pieve Emanuele, con una relazione su “La sinagoga di Bova Marina, il tempio del giudaismo italogreco. Tracce millenarie di ebraismo nel greco bovese. Indagine linguistica".
  Il Convegno si terrà mercoledì 12 luglio, alle ore 17,30, al Parco Archeologico Archeoderi di Bova Marina, e avrà come ospite principale il dottor Guido Coen, Consigliere delle comunità ebraiche italiane. Registrazioni per partecipare a questo link.

(Reggio Today, 10 luglio 2023)

........................................................


Il programma degli ambientalisti: Il suicidio dell'Europa

Beyond Growth è il raduno ideologico annuale degli ambientalisti europei. Cosa viene in mente alla maggior parte della gente quando esamina il report della conferenza Beyond Growth? Il Parlamento Europeo. La correlazione tra le proposte radicali della Beyond Growth e il Parlamento Europeo si presenta come assolutamente naturale: se il Parlamento Europeo vuole un ambientalismo radicale, come potrebbe opporsi a ciò un piccolo elettore locale? Nella foto: il Parlamento Europeo a Bruxelles

di Drieu Godefridi*

FOTO
Dobbiamo riconoscere che gli ambientalisti europei, e l'estrema Sinistra in generale, hanno un'invidiabile capacità di comunicazione. Mentre i movimenti conservatori sono ancora troppo spesso rappresentati da quelle che sembrano caricature politiche disumanizzate, gli ambientalisti europei, a parte un'isterica Greta Thunberg, si sono dati volti freschi e simpatici di portavoce che parlano dei peggiori orrori in modo accattivante, pacato ed eloquente.
  Prendiamo, ad esempio, la conferenza Beyond Growth 2023 da poco conclusasi a Bruxelles, in Belgio. Beyond Growth è il raduno ideologico annuale degli ambientalisti europei e delle loro innumerevoli staffette nel mondo delle organizzazioni teoricamente "non governative" (ONG), finanziate dal governo.
  Beyond Growth non si riunisce nei salotti di un albergo prestigioso o di qualche dimora di campagna, ma lo fa direttamente negli edifici del Parlamento Europeo. Questo non accade per caso: quando la stampa punta accuratamente l'attenzione sulla conferenza Beyond Growth, diffonde le immagini di persone che parlano e che stanno sedute nei confortevoli banchi dell'emiciclo del Parlamento Europeo. Cosa viene in mente alla maggior parte della gente quando esamina il report della conferenza Beyond Growth? Il Parlamento Europeo. La correlazione tra le proposte radicali della Beyond Growth e il Parlamento Europeo si presenta come assolutamente naturale: se il Parlamento Europeo vuole un ambientalismo radicale, come potrebbe opporsi a ciò un piccolo elettore locale?
  La protagonista dell'ultima conferenza è stata l'attivista belga fiamminga Anuna De Wever, una dei giovani leader ambientalisti.
  Dovete leggere e ascoltare quello che dicono questi attivisti. La maggior parte di loro annuncia cosa farà, se raggiungesse il potere. Qui di seguito le "proposte" dell'affascinante e sorridente De Wever:

  1. "Dobbiamo ridistribuire la ricchezza", esordisce la De Wever. A chi e come? Nessun dettaglio. Questo è da un secolo il tema ricorrente di ogni stravagante discorso europeo che si rispetti. Sarebbe fuori luogo suggerire di avviare la ridistribuzione della ricchezza con gli stipendi e il patrimonio degli eurodeputati Verdi?
  2. "Cancellare il debito climatico": nella mente degli attivisti ambientalisti, i Paesi del "Nord globale", che hanno subito un notevole sviluppo, hanno un obbligo ecologico nei confronti del "Sud globale". Anche se il capitalismo occidentale ha salvato il maggior numero di persone dalla povertà nella storia del mondo, l'Occidente ha anche creato verosimilmente le maggiori emissioni di gas serra. Inoltre, l'Europa e gli Stati Uniti continuano a "sfruttare" e "colonizzare" molte regioni del "Sud globale" attraverso le loro multinazionali, esaurendo sistematicamente le risorse naturali. Va quindi cancellato il "debito" nei confronti del "Sud", anche se questo "debito" potrebbe non avere nulla a che fare con il clima.
  3. Introduciamo subito, anche domani, un "reddito universale di base". Si può immaginare l'entusiasmo di Cina, Russia, Giappone, Stati Uniti e Cuba all'idea di introdurre un reddito universale comune, che ovviamente è probabilmente concepibile solo attraverso l'istituzione di un governo mondiale "universale": una mera formalità.
  4. L'Occidente deve crollare. In effetti, l'Occidente è malvagio. La prova sta nel fatto che è "ricco". Pertanto, l'Occidente deve essere punito, facendogli subire un crollo, una "decrescita", mentre altri Paesi non occidentali continueranno ovviamente a crescere.
  5. I servizi pubblici universali devono essere incrementati (raddoppiati? Triplicati?) Come si provvederà a finanziare tutto questo, in un contesto di declino? Questi dettagli non sono specificati.

"Tutto questo", continua la De Wever, ricevendo un grande applauso, "sarà ovviamente possibile solo se distruggiamo (...) la supremazia bianca".
  La supremazia bianca? Cosa c'entra la supremazia bianca con l'economia, ci si potrebbe chiedere? Parrebbe che nella mente di molti ambientalisti crescita economica e supremazia bianca siano effettivamente sinonimi. Dopotutto, il ragionamento sembra filare, fu l'Occidente che nel 1776 con Adam Smith "inventò" la crescita economica, e l'Occidente all'epoca era in gran parte bianco, quindi, distruggendo la supremazia bianca distruggiamo l'idea stessa di crescita economica.
  Gli ambientalisti sembrano nutrire una sorta di pensiero magico, vedendo due realtà dello stesso insieme: "bianchezza" e capitalismo, per poi postulare un nesso causale tra di loro.
  Se, come affermava Adam Smith, la crescita economica per tutti è la chiave per uscire dalla povertà, con l'obiettivo di rendere i poveri più ricchi e non i ricchi più poveri, allora, distruggere la crescita non sembra essere un modello economico in grado di essere molto di aiuto. Peggio ancora, ora ci si trova di fronte a quelle scelte fastidiose come, ad esempio, incoraggiare la crescita consentendo alle persone che abitano nei Paesi poveri di utilizzare combustibili fossili (carbone, petrolio e gas naturale) o trascinare queste persone ancora di più nella povertà, negando loro i combustibili fossili.
  Questo strano gulasch di residui marxisti, imperialismo, decolonizzazione e Teoria critica della razza mal digerita, crea un programma che difficilmente unirà la maggioranza degli europei. Al programma è anche stato dato un nome: Imminente Suicidio Europeo. Se l'Europa si impegna nella "decrescita" economica, come vogliono i Verdi, questa "decrescita" implica la distruzione di interi settori delle economie europee e occidentali. "Decrescita" e distruzione economica sono sinonimi perfetti. "Decrescita" significa limitare le attività economiche o tassarle in modo talmente penalizzante da farle cessare di esistere.
  Questi sostenitori dell'ambiente rappresentano il 10 per cento dei seggi nell'Europarlamento e sembrano in procinto di essere sradicati in molti Paesi membri dell'UE. Poco importa, perché l'Unione Europea non democratica, non eletta, non trasparente e non responsabile offre loro una risorsa: nelle istituzioni dell'UE, gli ambientalisti sono ovunque. Ad esempio, la "Green 10", è una coalizione delle dieci più grandi organizzazioni e reti ambientaliste attive a livello europeo. Esse operano per garantire che l'UE dia priorità al clima, all'ambiente locale, alla biodiversità e alla salute umana all'interno e all'esterno dei suoi confini. Per diffondere le loro idee, queste ONG non elette sono generosamente finanziate dalle stesse istituzioni dell'Unione Europea.
  Il problema fondamentale di Beyond Growth è che la "decrescita", ciò che accadrà dopo, non è mai definita. Se i marxisti, e prima di loro i socialisti, tra cui i nazionalsocialisti tedeschi, hanno sempre cercato di definire una teoria economica, progetti concreti e la distruzione di ciò che esiste, gli ambientalisti non si sono mai presi la briga di farlo. Oppure spingere l'Europa nella morsa della dipendenza energetica russa è l'obiettivo principale degli ambientalisti?
  È comprensibile questa riluttanza a parlare del "mondo come sarà dopo". Nel contesto di un'Europa indebitata fino al collo e che già tassa i cittadini solo per pagare gli interessi sul debito, ridurre la produzione economica significa affrontare la questione di chi sarà lasciato a morire per primo. L'assistenza sanitaria, ad esempio, è già stata razionata e sembra incentrarsi sempre più sulla riduzione dei costi piuttosto che sull'erogazione di servizi, come pure su un eccesso di burocrazia amministrativa anziché essere finalizzata a investire nell'assunzione di un maggior numero di medici, in cure migliori e in trattamenti terapeutici più tempestivi dei pazienti.
  Cosa accadrebbe se ci fosse la "decrescita"? Come, ad esempio, possiamo immaginare una diminuzione obbligatoria dell'attività economica senza sottoporre alcuna innovazione tecnologica al controllo di una "agenzia amministrativa"? L'UE sognata dagli ambientalisti inizia a somigliare a una versione di Atlas Shrugged (La rivolta di Atlante, N.d.T.): un Paese distopico in cui le imprese private patiscono, sotto leggi, normative e burocrazie sempre più ostiche. Forse i Verdi dovrebbero riflettere sul messaggio del libro: nonostante i tentativi dello Stato di schiavizzare le menti con la forza, le persone emergono vittoriose nel loro impegno a favore della libertà. La mente umana è la forza che muove il mondo, non la coercizione.
---
* Drieu Godefridi è giurista (Université Saint-Louis de Louvain), filosofo (Università Saint-Louis de Louvain) e dottore in teoria del diritto (Paris IV-Sorbonne). È autore di The Green Reich.

(Gatestone Institute, 9 luglio 2023 - trad. di Angelita La Spada)

........................................................



Una grande gioia

Dalla Sacra Scrittura

ATTI 2

  1. Quelli dunque i quali accettarono la sua parola furono battezzati; e in quel giorno furono aggiunte a loro circa tremila persone.
  2. Ed erano perseveranti nell'attendere all'insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere.
  3. E ogni anima era presa da timore; e molti prodigi e segni eran fatti dagli apostoli.
  4. E tutti quelli che credevano erano insieme, ed avevano ogni cosa in comune;
  5. e vendevano le possessioni ed i beni, e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno.
  6. E tutti i giorni, essendo di pari consentimento assidui al tempio, e rompendo il pane nelle case, prendevano il loro cibo assieme con gioia e semplicità di cuore,
  7. lodando Iddio, e avendo il favore di tutto il popolo. E il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che erano sulla via della salvezza.

ATTI 4

  1. E la moltitudine di coloro che avevano creduto, era d'un sol cuore e d'un'anima sola; né v'era chi dicesse sua alcuna delle cose che possedeva, ma tutto era comune tra loro.
  2. E gli apostoli con gran potenza rendevano testimonianza della risurrezione del Signor Gesù; e gran grazia era sopra tutti loro.
  3. Poiché non v'era alcun bisognoso fra loro; perché tutti coloro che possedevano poderi o case li vendevano, portavano il prezzo delle cose vendute,
  4. e lo mettevano ai piedi degli apostoli; poi, era distribuito a ciascuno, secondo il bisogno.

LUCA 2

  1. Or in quella medesima contrada vi erano dei pastori che stavano nei campi e facevano di notte la guardia al loro gregge.
  2. E un angelo del Signore si presentò ad essi e la gloria del Signore risplendé intorno a loro, e temettero di gran timore.
  3. E l'angelo disse loro: Non temete, perché ecco, vi reco il buon annuncio di una grande gioia che tutto il popolo avrà:
  4. Oggi, nella città di Davide, v'è nato un salvatore, che è Cristo, il Signore.

MATTEO 2

  1. Or essendo Gesù nato in Betlemme di Giudea, ai dì del re Erode, ecco dei magi d'Oriente arrivarono in Gerusalemme, dicendo:
  2. Dov'è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo veduto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo.
  3. Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.
  4. E radunati tutti i capi sacerdoti, s'informò da loro dove il Cristo doveva nascere.
  5. Ed essi gli dissero: In Betlemme di Giudea; poiché così è scritto per mezzo del profeta:
  6. E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei punto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un Principe, che pascerà il mio popolo Israele.
  7. Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s'informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparita;
  8. e mandandoli a Betlemme, disse loro: Andate e domandate diligentemente del fanciullino; e quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo.
  9. Essi dunque, udito il re, partirono; ed ecco la stella che avevano veduta in Oriente, andava dinanzi a loro, finché, giunta al luogo dov'era il fanciullino, vi si fermò sopra.
  10. Ed essi, veduta la stella, si rallegrarono di grandissima gioia.
  11. Ed entrati nella casa, videro il fanciullino con Maria sua madre; e prostratisi, lo adorarono; ed aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra.
  12. Poi, essendo stati divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, per altra via tornarono al loro paese.

ATTI 8

  1. Coloro dunque che erano stati dispersi se ne andarono di luogo in luogo, annunziando la Parola. E Filippo, disceso nella città di Samaria, vi predicò il Cristo.
  2. E le folle di pari consentimento prestavano attenzione alle cose dette da Filippo, udendo e vedendo i miracoli che egli faceva.
  3. Poiché gli spiriti immondi uscivano da molti che li avevano, gridando con gran voce; e molti paralitici e molti zoppi erano guariti.
  4. E vi fu grande gioia in quella città.

ATTI 13

  1. Ma Paolo e Barnaba dissero loro francamente: Era necessario che a voi per i primi si annunziasse la parola di Dio; ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco, noi ci volgiamo ai Gentili.
  2. Perché così ci ha ordinato il Signore, dicendo: Io ti ho posto per esser luce dei Gentili, affinché tu sia strumento di salvezza fino alle estremità della terra.
  3. E i Gentili, udendo queste cose, si rallegravano e glorificavano la parola di Dio; e tutti quelli che erano ordinati a vita eterna, credettero.
  4. E la parola del Signore si spandeva per tutto il paese.
  5. Ma i Giudei istigarono le donne pie e ragguardevoli e i principali uomini della città, e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba, e li scacciarono dai loro confini.
  6. Ma essi, scossa la polvere dei loro piedi contro loro, se ne vennero ad Iconio.
  7. E i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.

ROMANI 15

  1. Or l'Iddio della pazienza e della consolazione vi dia d'avere fra voi un medesimo sentimento secondo Cristo Gesù,
  2. affinché di un solo animo e di una stessa bocca glorifichiate Iddio, il Padre del nostro Signor Gesù Cristo.
  3. Perciò accoglietevi gli uni gli altri, siccome anche Cristo ha accolto noi per la gloria di Dio;
  4. poiché io dico che Cristo è stato fatto ministro dei circoncisi, a dimostrazione della veracità di Dio, per confermare le promesse fatte ai padri;
  5. mentre i Gentili hanno da glorificare Dio per la sua misericordia, secondo che è scritto: Per questo ti celebrerò fra i Gentili e salmeggerò al tuo nome.
  6. Ed è detto ancora: Rallegratevi, o Gentili, col suo popolo.
  7. E altrove: Gentili, lodate tutti il Signore, e tutti i popoli lo celebrino.
  8. E di nuovo Isaia dice: Vi sarà la radice di Iesse, e Colui che sorgerà a governare i Gentili; in lui spereranno i Gentili.
  9. Or l'Iddio della speranza vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nel vostro credere, onde abbondiate nella speranza, mediante la potenza dello Spirito Santo.

    PREDICAZIONE

    Marcello Cicchese
    maggio 2016



........................................................


Israele considera il sostegno economico dell’Autorità Palestinese per prevenirne il collasso

Le autorità israeliane temono la caduta dell’Autorità Palestinese, che potrebbe creare un vuoto di potere in Cisgiordania

Il governo israeliano prenderà in considerazione domenica misure per sostenere l’Autorità palestinese (AP) e prevenirne il possibile collasso, secondo Canale 13. Tra le iniziative, la creazione di una zona industriale a Tarqumiyah, cittadina palestinese a nord-ovest di Hebron, e lo sfruttamento del giacimento di gas “Marine” al largo di Gaza.
  Nell’incontro di domenica verrà evidenziata una serie di vantaggi economici più limitati, come lo scaglionamento dei pagamenti del debito, l’estensione dell’orario di apertura del valico di Allenby e il rilascio di passaporti biometrici.
  Gli alti funzionari dell’AP potrebbero anche vedere ripristinati i loro privilegi VIP, revocati a gennaio in seguito al loro sostegno a una risoluzione anti-israeliana alle Nazioni Unite. Questi colloqui arrivano sulla scia delle raccomandazioni della difesa a Benjamin Netanyahu, il primo ministro, di rafforzare l’AP per evitare un deterioramento della situazione in Cisgiordania.
  Le autorità israeliane temono la caduta dell’Autorità Palestinese, che rischierebbe di creare un vuoto di potere in Cisgiordania, aprendo la porta a gruppi terroristici, una situazione simile a quella di Gaza dove Hamas prese il potere con la forza nel 2007.
  Il mese scorso, il canale Can 11 ha rivelato che l’Autorità palestinese sta valutando la possibilità di dichiararsi finanziariamente fallita a causa della difficile situazione finanziaria che sta affrontando. Questa iniziativa comporterebbe la chiusura dei suoi uffici e la perdita di stabilità nei territori sotto il suo controllo.
  Questa crisi finanziaria si spiega principalmente con le detrazioni mensili effettuate da Israele sulle tasse riscosse per l’Autorità Palestinese, dovute ai pagamenti alle famiglie dei terroristi, nonché con la costante riduzione degli aiuti internazionali. Inoltre, l’AP ha gradualmente perso il controllo della Cisgiordania settentrionale, consentendo ai gruppi terroristici di guadagnare terreno, portando Israele a svolgere operazioni regolari a seguito di attacchi terroristici mortali nella regione.

(dayFRitalian, 8 luglio 2023)
____________________

Come lucidamente spiega Caroline Glick in un suo articolo pubblicato ieri, secondo un’indagine demoscopica, il 50% dei palestinesi ritengono che sia loro interesse smantellare l’Autorità Palestinese, il 63% ritiene che Abbas dovrebbe dimettersi, e il 71% supporta le azioni terroristiche che si svolgono in Samaria.
La situazione attuale sembra indicare che due terzi degli attentati siano stati effettuati dalle forze di sicurezza di Fatah armate ed istruite dagli USA. Inoltre i comandanti militari IDF della Samaria, anche per via dei loro frequenti incontri coi generali americani, sono allineati sulle posizioni dell’Amministrazione Americana più che su quelle del governo Netanyahu e non vedono in Abbas un nemico di Israele. Emanuel Segre Amar

........................................................


Corsa della Pace Mediorientale

Un nuovo appuntamento nel calendario UCI fra Israele, Bahrain e Emirati Arabi a partire dal 2024

di Francesco Mitola

FOTO
Il calendario internazionale UCI delle gare su strada tende ad allungarsi sempre di più, tanto che la stagione 2024 potrebbe arricchirsi di un nuovo appuntamento. Si sta infatti lavorando alla creazione di una nuova competizione, che prenderebbe posto nella seconda metà del mese di ottobre e che avrebbe come fondamento la collaborazione fra diverse realtà della zona del Medio Oriente. Con la spinta di alcune squadre professionistiche, infatti, nel 2024 dovrebbe disputarsi la prima edizione di quella che al momento viene chiamata Corsa della Pace Mediorientale, che non ha alcun legame con la Corsa della Pace che si svolge da anni nella Mitteleuropa e che è dedicata ai più giovani
  L’idea, secondo quel che riporta CyclingNews, è quella di allestire un appuntamento agonistico che si svolga sulle strade di Israele, Bahrain ed Emirati Arabi, che sono peraltro le “case” rispettivamente di Israel-Premier Tech, Bahrain Victorious e UAE Team Emirates. Sulla “formula” della competizione non ci sono ancora particolari dettagli, ma quel che si dice è che la Corsa della Pace Mediorientale dovrebbe servire anche da “trampolino” per la cerimonia di consegna dei premi UCI di fine stagione. I giorni di corsa sarebbero tre, con una giornata di riposo-trasferimento. Le squadre invitate all’evento sarebbero 20, composte da 5 corridori cadauna.
  Uno dei promotori del nuovo progetto sarebbe Sylvan Adams, patron della formazione Professional Israel-Premier Tech. Da quel che filtra, il progetto dovrebbe poi ulteriormente allargarsi nel 2025, quando verrebbe coinvolta anche l’Arabia Saudita. Da lì arriva peraltro il marchio Neom, che dovrebbe legarsi a quella che ora è la Jumbo-Visma. 

(CyclingPro.Net, 8 luglio 2023)

........................................................


La moda israeliana arriva a Milano grazie al Milano Fashion Tour

FOTO
La delegazione di 6 truccatori israeliani del Milano Fashion Tour è arrivata a Milano per acquisire esperienza internazionale, apprendendo nuovi suggerimenti e tendenze della moda dei principali truccatori italiani. Le delegazioni del Milano Fashion Tour includono truccatori israeliani di diversa estrazione-religiosi, laici, arabi ed ebrei-che arrivano a Milano per creare il loro portfolio con modelle professioniste e fotografi di fama internazionale.
  La prima delegazione è arrivata nel 2019, un anno prima che scoppiasse la pandemia da Covid 19. L’ultima delegazione da Israele è stata in Italia dal 13 al 18 novembre 2022; durante queste giornata ha organizzato una sfilata di moda a Palazzo Turati con Nina Moric.
  Ma è soprattutto a Shon Balaish, personaggio famoso in Israele, che appare spesso nei notiziari e sulle copertine delle principali riviste., che si deve la creazione di questo progetto, che ha portato in Italia e a Milano, la moda israeliana; Shon, laurea in giurisprudenza e agente immobiliare certificato, cresciuto in modo ultra religioso, con studi in una Yeshiva ortodossa, è diventato contro ogni previsione, un modello internazionale di successo senza compromettere i suoi valori.
  Durante le sue numerose attività Shon continua a perseguire la sua più grande passione, aiutare e guidare gli altri a realizzare i loro sogni. Oggi Shon Balaish e Sigal Man possiedono una delle principali società di produzione in Israele e sono noti per la creazione di eventi di lusso con enfasi sull’alto stile, ogni evento una creazione unica.
  Hanno prodotto centinaia di eventi, ma Shon è noto anche come volontario e donatore di una varietà di enti di beneficenza che aiutano i bambini malati e le loro famiglie e da diversi anni ha creato un marchio moda che porta il suo nome.
  Il 23 marzo sono state scelte tutte le modelle per la sfilata opzionandole dalle migliori agenzie di Milano che hanno sotto contratto anche le top model. “I membri della nostra delegazione lavorano sui loro portfolio con modelli di spicco assunti dalle agenzie di Milano, che vengono fotografati dai migliori fotografi italiani, come Umberto Buglione per L’Officiel e il fotografo di moda Maurizio Montani”-dicono i responsabili-“le fotografie di questi protfolio vengono presentati a una sfilata di moda che organizziamo per i nostri truccatori. La nostra azienda organizza tutti gli accordi per questo progetto, inclusi voli, trasferimenti, hotel, corsi di perfezionamento presso un rinomato studio di Milano e casting di modelli. Non pretendiamo di rappresentare in alcun modo la settimana della moda italiana, è un concetto completamente diverso, che mette in risalto solo il trucco e in particolare il lavoro svolto dalla nostra delegazione israeliana”.
  Il prossimo progetto del Milano Fashion Tour prevederà l’arrivo a Milano il 2 luglio, con master class presso multiset studio con il make up artist italiani Raffaele Schioppo, nuove tendenze nel fashion make up, inclusa una dimostrazione del suo lavoro su una modella.
  Ad ogni truccatore israeliano verrà assegnato un modello per sperimentare cio’ che ha appreso e i modelli verranno fotografati dal fotografo di moda Umberto Buglione per i loro portfolio
  Non mancherà lo shopping a Milano, il 4 luglio, poi, un bus privato porterà la delegazione insieme alle modelle da Milano allo studio di Maurizio Montani a verso la nuova. Lì verrà girata una campagna di make up per un look da red carpet e uno da moda estiva.
  Il 5 luglio seguirà una master class mattutina con il truccatore Federico Terni, poi, pratica e servizio fotografico.
  Successivamente i truccatori israeliani si prepareranno alla sfilata a Palazzo Visconti organizzata appositamente per la delegazione, per presentare le loro competenze sulle modelle scelte per la sfilata. “Per questa quinta delegazione avremo bisogno di oltre 100 modelli diversi per tutto il progetto, poiché abbiamo deciso di utilizzare modelli diversi ogni giorno per offrire un’esperienza diversa ai nostri truccatori”-aggiungono i responsabili del Milano Fashion Tour-“come accennato in precedenza, questo progetto non è in alcun modo legato alla settimana della moda né intende provocare una falsa rappresentazione del nostro concetto”.

(politicamentecorretto, 8 luglio 2023)

........................................................


Alta Tensione in Medio Oriente: Israele Attacca Nablus dopo l’offensiva a  Jenin

di Marco Paganelli

Dopo la battaglia avviata da Benjamin Netanyahu a Jenin presentata all’opinione pubblica come il più grande evento militare nell’area dell’ultimo ventennio, la risposta di Hamas mediante il recente attentato a Tel Aviv, la rappresaglia tramite i lanci di razzi da Gaza  a cui sono seguiti i raid compiuti dai jet con la Stella di David, non si ferma la violenza in Medio oriente. Israele ha lanciato un’operazione anti terrorismo a Nablus. Due palestinesi sono rimasti feriti e altrettanti uccisi,dagli organi di sicurezza dello Stato ebraico, durante il tentativo di arrestare alcuni uomini accusati di aver esploso colpi di armi da fuoco contro un’auto della polizia. L’azione, volta a stanare i responsabili, ha generato una sparatoria in cui sono rimaste ferite due persone e altrettante hanno perso la vita. Queste ultime erano sospettate di aver compiuto azioni ostili nei confronti di una piccola comunità di samaritani vicino all’insediamento ebraico di Har Bracha in Cisgiordania.

• Tensione anche in Libano
  La situazione rimane tesa però anche in Libano. Un paio di razzi sarebbero stati lanciati, senza alcuna rivendicazione, dal Paese dei cedri verso l’alleato americano di sempre. Gli organi di informazione in loco hanno puntualizzato che i vettori non avrebbero raggiunto gli obiettivi previsti, cadendo così in aree agricole e disabitate. L’unica certezza è che il nemico sionista ha scatenato, a stretto giro, la rappresaglia indirizzando l’artiglieria verso il sito della presunta provenienza del vettore.

• La dichiarazione del ministro della Difesa israeliano
  Agiremo ”contro qualsiasi violazione della sovranità e sfida alla nostra presenza”, ha assicurato il ministro della Difesa israeliano. La reazione di Hezbollah non si è lasciata attendere. Il partito  vicino all’Iran ha denunciato infatti “l’occupazione” di una porzione di territorio conteso lungo la cosiddetta Linea Blu che separa la nazione filo sciita da quella tutelata da Washington. L’invito a combattere contro quest’ultima è stato rivolto dalla milizia appoggiata dai Pasdaran.

• I rischi derivanti da uno scontro in Medio Oriente
  Un eventuale scontro nella zona incendierebbe l’intera regione con potenziali conseguenze catastrofiche a livello economico. Una possibile guerra contro la Repubblica Islamica provocherebbe sicuramente un balzo dei prezzi del petrolio con potenziali conseguenze negative sull’inflazione a livello globale. Teheran ha anche grande rilevanza in termini geopolitici, dal momento che gode della protezione di Paesi come la Siria, ma soprattutto di Russia e Cina. Mosca e Pechino non esiterebbero a utilizzare qualsiasi opzione per tutelare gli interessi del proprio alleato e scontrarsi con gli Stati Uniti, ovvero il loro principale rivale nell’arena globale.

(byoblu, 7 luglio 2023)

........................................................


Israele: parte il progetto per un cavo elettrico sottomarino che potrà collegarsi con le reti elettriche in Europa e nel Golfo

di Luca Spizzichino

FOTO
Israele sta sviluppando un cavo elettrico sottomarino al fine di rispondere alla crescente domanda energetica nel centro e nord del Paese, nonché connettere la rete elettrica nazionale a quella europea e dei Paesi nella regione del Golfo.
  Martedì scorso il Consiglio nazionale per la pianificazione e l'edilizia ha deciso di iniziare con l’impostazione e la costruzione del cavo elettrico sottomarino di 150 chilometri (93 miglia) che correrà lungo la costa mediterranea di Israele, da Ashkelon a sud fino a Haifa a nord. Il cavo elettrico sottomarino trasmetterà l'elettricità generata principalmente dai campi di energia solare nel sud dello Stato ebraico alle aree di domanda nelle città del centro e del nord.
  Secondo il progetto, ci sarà anche la possibilità di collegare la rete elettrica israeliana alle reti elettriche in Europa, attraverso Cipro e la Grecia, così come l'opzione di collegamento ai paesi del Golfo attraverso la Giordania e l'Egitto: così ha affermato il ministero dell’Energia e delle Infrastrutture israeliano. Il collegamento del cavo sottomarino a Paesi come l'Egitto aprirebbe la possibilità di avere un backup per la rete locale in caso di carenza di energia, e consentirebbe l'esportazione di elettricità verde prodotta in Israele.
  Il progetto fa parte di una visione più ampia del ministro dell'Energia e delle Infrastrutture Israel Katz di trasformare Israele in una potenza energetica e un ponte energetico che colleghi Oriente e Occidente.
  “Accolgo con favore il primo passo verso la realizzazione di un cavo elettrico sottomarino lungo la costa israeliana – un rivoluzionario progetto transfrontaliero che farà avanzare la rete elettrica israeliana e aiuterà Israele a diventare una potenza energetica”, ha affermato il ministro Katz in una nota. “Il cavo è una parte significativa del Piano nazionale per l'energia e le infrastrutture che presenterò nelle prossime settimane, per migliorare l'affidabilità del sistema elettrico, accelerare la diffusione delle energie rinnovabili e collegare la rete elettrica di Israele a Europa, Egitto, Giordania e Stati del Golfo, un passo che contribuirà alla stabilità regionale” ha aggiunto.
  Le recenti ondate di caldo che hanno portato a interruzioni di corrente nel Paese, mentre la rete elettrica fatica a soddisfare la domanda soffocante. Quindi la sicurezza e l'indipendenza energetica sono diventati un tema di primaria importanza per il governo.
  Il piano per il cavo elettrico sottomarino arriva dopo la visita in Francia del ministro Katz a giugno, dove ha visitato l'interconnessione elettrica sottomarina IFA-2 che corre sotto la Manica tra la Francia e il Regno Unito. Sempre il mese scorso il gruppo energetico statale EAPC (Europe Asia Pipeline Co.) ha annunciato di aver raggiunto un accordo con il governo israeliano per costruire un cavo in fibra ottica di 254 chilometri (158 miglia) tra il Mediterraneo e il Mar Rosso come parte di un progetto nazionale per trasformare Israele in un hub di comunicazione e corridoio per la trasmissione di dati in Medio Oriente, collegando l'Europa agli stati del Golfo e all'Asia.

(Shalom, 7 luglio 2023)

........................................................


“Tsurkov, rapita perché israeliana. Riteniamo l’Iraq responsabile”

FOTO
Elizabeth Tsurkov, ricercatrice esperta di Medio Oriente con cittadinanza israeliana e russa, si trovava a Bagdad per fare ricerca nel suo campo. Dottoranda all’Università di Princeton, il 19 marzo scorso aveva fatto sapere alla rivista con cui collaborava – il New Lines Magazine – di voler rientrare negli Stati Uniti. “Ci ha detto che ne aveva abbastanza di fare ricerca sul campo in Medio Oriente e che voleva tornare all’Università di Princeton per scrivere la sua tesi di dottorato. ‘Niente più lavoro sul campo’, aveva detto. – raccontano i colleghi del New Lines Magazine – Eravamo sollevati. Non volevamo che rimanesse in un Iraq sempre più dominato dalle milizie filo-iraniane. Poco più di una settimana dopo abbiamo appreso dalle nostre fonti che una milizia filo-iraniana l’aveva rapita a Baghdad, dove stava facendo ricerca. Da allora non abbiamo più avuto sue notizie”. Da mesi Tsurkov, 36 anni, è infatti nelle mani del gruppo Kataib Hezbollah, una milizia irachena legata all’Iran. Lo ha confermato nelle scorse ore al New York Times l’ufficio del Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. “Elizabeth Tsurkov è ancora viva e riteniamo l’Iraq responsabile della sua sicurezza e del suo benessere”, la posizione del governo di Gerusalemme.
  “È un’accademica che ha visitato l’Iraq con il suo passaporto russo, di sua iniziativa, per lavorare al suo dottorato e alla sua ricerca accademica per conto dell’Università di Princeton negli Stati Uniti”. Tsurkov è entrata nel paese usando il passaporto russo, considerando che Israele e Iraq non hanno relazioni diplomatiche e che il secondo considera il primo un paese ostile. Una fonte di Haaretz ha affermato che chi ha rapito la ricercatrice probabilmente sapeva che fosse una cittadina israeliana.
  E, aggiunge Yedioth Ahronoth, i funzionari israeliani ritengono che il caso non sarà risolto nel prossimo futuro. “Non ci si aspetta un rilascio immediato, ed è improbabile che Israele si impegni in negoziati diretti o in pagamenti per il rilascio di Tsurkov, come ha fatto in precedenti casi di rapimenti israeliani”.
  L’organizzazione che l’ha rapita, Kataib Hezbollah, non è direttamente affiliata al famigerato movimento terroristico libanese, ma è strettamente collegato alle Guardie rivoluzionarie iraniane. Gli Stati Uniti l’hanno ufficialmente designata come organizzazione terroristica e la ritiene responsabile del lancio di razzi contro una sua base in Iraq nel 2019. Un attacco, sottolinea il New York Times, che ha contribuito l’allora amministrazione americana a decidere per l’eliminazione di Qassim Suleimani, il capo della Forza Quds iraniana, braccio internazionale delle Guardie rivoluzionarie.
  Sempre secondo il quotidiano americano, proprio i legami tra Kataib Hezbollah e il regime di Teheran fanno temere per un possibile trasferimento di Tsurkov in Iran. “Se il suo rapimento dovesse risultare più direttamente collegato all’Iran, si tratterebbe di una grave escalation in una lunga guerra ombra tra Israele, la stessa Iran e i suoi alleati in tutto il Medio Oriente”, scrive il New York Times. Le fonti di Yedioth Ahronoth e Haaretz sembrano escludere questo trasferimento. Inoltre fanno sapere che le condizioni della ricercatrice sono “buone, nonostante sia tenuta prigioniera”.
  Tsurkov è nata nel 1986 a San Pietroburgo. È figlia di due dissidenti politici che furono imprigionati dalle autorità sovietiche per aver lavorato al fianco di Natan Sharansky, il celebre dissidente che lottò per il diritto degli ebrei dell’Urss di emigrare in Israele. I Tsurkov fecero l’aliyah nel 1990 ed Elizabeth, dopo il servizio militare, dal 2006 al 2008 ha lavorato come assistente proprio di Sharansky. “La conosco da molti anni. È chiaro che non è una spia dell’America, della Russia o di Israele, ed è impegnata soprattutto nella ricerca accademica”, le parole di Sharansky sulla vicenda del rapimento. Nel suo percorso di studi in scienze politiche Tsurkov si è focalizzata sul Medio Oriente. Dalla Siria all’Iraq, che ha visitato dieci volte in passato.

(moked, 6 luglio 2023)

........................................................


Razzi di Hezbollah sul confine. E Israele colpisce due villaggi

Tensioni crescenti sul Golan conteso. Dopo il blitz militare a Jenin, la provocazione delle milizie sciite

di Chiara Clausi

Ieri la situazione alla frontiera tra Israele e Libano è diventata incandescente e si è rischiato che il conflitto degenerasse. Al mattino due razzi sono stati lanciati verso lo Stato ebraico. Uno si è schiantato in territorio libanese e l'altro vicino al villaggio conteso di Ghajar, che si trova a cavallo del confine tra il Libano e le alture del Golan annesse da Israele. Tsahal ha risposto con attacchi di artiglieria. Per il momento non ci sono state rivendicazioni. In precedenza si era riferito di un solo razzo esploso dal sud del Libano verso Israele, nel settore orientale della Linea Blu di demarcazione. Lo scontro a fuoco arriva il giorno dopo che l'esercito israeliano ha completato un'importante operazione nel campo profughi di Jenin nel nord della Cisgiordania che ha causato la morte di 12 palestinesi oltre a quella di un soldato israeliano. Non è la prima volta che i militanti palestinesi in Libano intervengono contro lo Stato ebraico. Ad aprile, Tsahal ha effettuato attacchi aerei su obiettivi che si diceva appartenessero ad Hamas nel sud del Libano, dopo che più di 30 razzi erano stati lanciati da lì verso il territorio israeliano. È stata la più grande azione di questo tipo dalla guerra del 2006.
  Ieri in reazione più di 15 proiettili israeliani hanno colpito la periferia dei villaggi libanesi di Kfar Shouba e Halta. La forza di pace delle Nazioni Unite in Libano, Unifil, ha esortato tutte le parti a «esercitare moderazione ed evitare qualsiasi azione che possa causare un'ulteriore escalation». L'incidente è avvenuto nel mezzo di tensioni crescenti al confine, dopo che Hezbollah ha allestito due tende all'interno del territorio israeliano il mese scorso. L'area del Monte Dov dove sono state montate, nota anche come le fattorie di Shebaa, fu conquistata da Israele e strappata alla Siria durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967 e successivamente annessa di fatto insieme alle alture del Golan. Il governo del Paese dei cedri afferma che l'area appartiene al Libano. Intanto Hezbollah ha evacuato una delle due tende domenica, ma non c'è stata alcuna conferma da parte dell'organizzazione. Ciò è avvenuto anche a causa della crescente pressione internazionale. Hezbollah non ha commentato il lancio di razzi. Ma ha rilasciato una dichiarazione in cui condanna le «gravi misure» recentemente prese dalle forze israeliane a Ghajar, tra cui «l'erezione di un filo spinato e la costruzione di un muro di cemento che circonda l'intero villaggio».
  Israele e Hezbollah hanno combattuto una guerra durata un mese nel 2006 e la tensione è sempre alta. La scorsa settimana, il gruppo militante sciita ha affermato di aver abbattuto un drone israeliano che sorvolava un villaggio nel sud del Libano. L'organizzazione alleata dell'Iran è stata a lungo il più potente avversario di Israele ai confini, con un arsenale stimato di quasi 150 mila razzi e missili che possono raggiungere qualsiasi parte dello Stato ebraico.

(il Giornale, 7 luglio 2023)

........................................................


Cisgiordania, l'esercito israeliano uccide due terroristi palestinesi

Due terroristi palestinesi armati sono stati uccisi e altri tre sono stati arrestati in scontri con le forze israeliane a Nablus venerdì, secondo quanto riportato da testimoni sul posto.
  Secondo la Radio dell’Esercito, i due palestinesi uccisi sarebbero stati responsabili di un attacco con armi da fuoco avvenuto all’inizio della settimana contro una piccola comunità samaritana in Cisgiordania, vicino all’insediamento ebraico di Har Bracha. Nell’attentato non sono stati riportati feriti.
  Gli scontri arrivano un giorno dopo che il sergente maggiore Shilo Yosef Amir, 22 anni, è stato ucciso da un uomo armato palestinese vicino all’insediamento di Kedumim. Hamas ha rivendicato la responsabilità dell’attacco.
  Le Brigate Izz ad-Din al-Qassam hanno dichiarato che l’uccisione di Amir è stata una risposta all’operazione israeliana a Jenin e alle recenti violenze dei coloni contro i palestinesi in Cisgiordania.
  Durante l’operazione dell’IDF a Jenin, 12 uomini armati palestinesi sono stati uccisi insieme a un soldato israeliano, il sergente di prima classe David Yehuda Yitzhak dell’unità di commando Egoz.
  Nell’ultimo anno, uomini armati palestinesi hanno ripetutamente preso di mira le postazioni militari, le truppe che operano lungo la barriera di sicurezza della Cisgiordania, gli insediamenti israeliani e i civili lungo le strade.
  La tensione tra israeliani e palestinesi è sempre stata alta in tutta la Cisgiordania nell’ultimo anno e mezzo, con l’esercito che ha effettuato incursioni quasi ogni giorno e con una serie di attacchi terroristici palestinesi, anche mortali.
  Dall’inizio di quest’anno, gli attacchi palestinesi in Israele e in Cisgiordania hanno ucciso 25 persone, compresa la sparatoria di giovedì.

(Rights Reporter, 7 luglio 2023)

........................................................



  
   L'ambasciatore d'Israele a Napoli: «Patto Napoli-Israele»

«Napoli è una città speciale, si vede subito che ha una marcia in più»

di Giuseppe Crimaldi

FOTO
«Napoli è una città speciale, si vede subito che ha una marcia in più, e la Campania è una regione meravigliosa e ricca di risorse e di opportunità produttive». L'ambasciatore d'Israele in Italia, Alon Bar, ha appena concluso la visita di due giorni nel capoluogo campano e si dice soddisfatto: in quarantott'ore ha avuto un giro vorticoso di incontri con rappresentanti delle istituzioni, del mondo imprenditoriale, accademico e culturale, con i rappresentanti dell'associazionismo.

- Ambasciatore, tracciamo un bilancio degli incontri avuti a Napoli.
  «Sono veramente soddisfatto. Dagli incontri che si sono succeduti sono emersi spunti di reciproco interesse ad un interscambio che rafforza l'amicizia tra le nostre due nazioni. Israele è molto interessata a sviluppare la rete di collaborazione sui piani industriali, commerciali, accademici e di ricerca, per non parlare delle possibilità di ampia collaborazione nel settore della cultura».

- Partiamo dall'incontro con il presidente della Regione, Vincenzo De Luca.
  «Un incontro sicuramente costruttivo. Con il governatore abbiamo discusso di diversi argomenti, ma soprattutto di nuove tecnologie da dedicare al settore dell'agricoltura, che è molto forte nella vostra regione, di risorse idriche e di aerospaziale. Tutte opportunità che contiamo di sfruttare. Ho ricordato che già lo scorso anno il governo israeliano volle puntare sulla città di Napoli per organizzare presso il polo universitario di San Giovanni a Teduccio un convegno di alto profilo, insieme con Confagricoltura e l'Università Federico II, interamente dedicato all'agritech. Fu un vero successo, perché - oltre alla partecipazione di molti ministri - da quelle giornate di incontri si sono sviluppate relazioni tra aziende e start up israeliane e imprese italiane, con un reciproco beneficio».

- E per il prossimo futuro cosa dobbiamo aspettarci?
  «Abbiamo prospettato al presidente De Luca la possibilità di organizzare per il prossimo anno un altro grande meeting in collaborazione con la Regione Campania dedicato all'acqua e alle tecnologie di altissima innovazione che sfruttano i nano-satelliti per ridurre lo spreco delle risorse idriche: De Luca ha dato la sua disponibilità a chiudere in tempi rapidi questo accordo, spiegandoci che la Campania continua purtroppo ad avere un grave handicap in termini di perdita di acqua».

- Ci parli degli altri incontri avuti a Napoli.
  «Con il sindaco Manfredi abbiamo avuto un lungo e cordiale colloquio. Manfredi, quando era presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane, ha sempre avuto ottimi rapporti con Israele. Ho incontrato anche i rettori Lorito, della Federico II, e Tottoli dell'Orientale: anche sul piano accademico la tradizione dei rapporti con le vostre università è robusta e duratura, ma noi vogliamo svilupparla ulteriormente».

- Un vero tour de force, il suo. Ha avuto altri contatti?
  «Con il presidente dell'Autorità Portuale, Andrea Annunziata, si è discusso di cybersicurezza. Il presidente è molto attento a queste tematiche e abbiamo spazio per accordi di cooperazione. Poi ho conosciuto i vertici del Museo Madre, un incontro stimolante e foriero di collaborazioni che coinvolgeranno in esposizioni anche qui a Napoli di artisti israeliani. Tra l'altro ho potuto constatare che il Madre è un museo bellissimo! E, a proposito di cultura, non poteva mancare una tappa al vostro giornale, testata storica del Sud. L'incontro con il direttore Francesco de Core è stata un'altra ottima occasione di confronto sui temi dell'attualità nazionale e internazionale». 

(Il Mattino, 7 luglio 2023)

........................................................


Parashà di Pinechàs: la preghiera per le cose belle della vita

di Donato Grosser

L’ultima parte di questa parashà tratta l’argomento dei korbanòt, le offerte, che si dovevano portare al Bet Ha-Mikdàsh. Questa sezione inizia con il korbàn tamìd, l’offerta quotidiana da portare alla mattina e al pomeriggio, e prosegue elencando i korbanòt da portare nei sabati e nei yamìm tovìm, nei giorni festivi.   
            Nella Torà è scritto in cosa consisteva l’offerta quotidiana: “Preparerai un agnello al mattino e il secondo agnello il pomeriggio. Ci sarà anche un decimo di efà di fior di farina, come minchà (offerta farinacea), intrisa in un quarto di hin di olio vergine.[...]. La libazione per ogni agnello, quale libazione di vino all’Eterno, sarà di  un quarto di hin. Il secondo agnello lo preparerai  al pomeriggio, con una minchà uguale a quella del mattino e così pure per la sua libazione ...” (Bemidbàr, 28: 4-8). 
            R. Joseeph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (p. 224), scrive che i Maestri istituirono le tefillòt di Shachrìt e di Minchà, una la mattina, l’altra al pomeriggio, in corrispondenza al korbàn tamìd. Il termine minchà per la tefillà del pomeriggio appare per la prima volta nei Tehillìm (Salmi, 141:2). Re Davide nella sua tefillà disse: “La mia tefillà stia nel tuo cospetto come il ketòret (profumo), l’elevazione delle mie mani come minchàt ‘arev, (l’offerta della sera)”. 
            In modo simile quando il navì (profeta) Elia, presentò un korbàn sul Monte Carmelo, durante la disputa con i sacerdoti del Ba’al, fece in modo che l’offerta avesse luogo nell’ora dell’offerta del korbàn tamìd del pomeriggio (I Re, 18:36). 
            Il Nachmanide (Girona, 1194-1270, Acco), citato da r. Soloveitchik, si domanda per quale motivo la tefillà del pomeriggio è denominata minchà. Infatti il termine minchà si riferisce all’offerta farinacea che accompagnava il korbàn tamìd
            R. Soloveitchik spiega che il tema principale della tefillà di shachrìt è il debito che l’uomo ha nei confronti del Creatore per la sua esistenza; per il semplice fatto che di mattina ci svegliamo e riprendiamo le nostri funzioni mentali e fisiche. Questo tipo di ringraziamento viene espresso con le parole: “Mio Dio, l’anima che mi hai dato è pura...”. 
            Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) nel Mishnè Torà (Hilkhòt Tefillà, 6:4) scrive che dopo l’alba è proibito mangiare o fare alcun lavoro prima di aver recitato la tefillà di shachrìtR. Israel Belsky (New York, 1938-2016) commentò che non bisogna fare alcun lavoro prima di avere recitato le berakhòt del mattino che, come disse r. Ya’akov Kamenetzky (Lituania, 1891, 1886, Baltimora) comprendono già parte della tefillà. 
            R. Soloveitchik aggiunge, che in contrasto alla tefillà della mattina, nella tefillà di minchà, del pomeriggio, chiediamo che tutto quello che è bello nella nostra vita possa continuare. Non preghiamo semplicemente per le nostre prime necessità, ma per le cose belle della vita, rappresentate dalla libagione di vino che accompagna l’offerta farinacea (minchà). La tefillà del pomeriggio prende quindi il suo nome da questa offerta. Quando si va a lavorare, non lo si fa solo per le necessità di base ma si vuole anche migliorare il proprio standard di vita. Per questo i maestri (T.B., Berakhòt, 6b) insegnano che bisogna stare attenti riguardo alla tefillà di minchà perché la tefillà del navì Elia venne esaudita proprio nel pomeriggio.  Ringraziare il Creatore per le belle cose della vita è altrettanto importante quanto riconoscere che è il Creatore che ci dà il minimo necessario per vivere.

(Shalom, 7 luglio 2023)
____________________

Parashà della settimana: Pinehas (Fineas)

........................................................


Monaco: ritrovati resti di una sinagoga distrutta dai nazisti

di Nathan Greppi

A Monaco di Baviera sono stati recentemente ritrovati i resti di una sinagoga distrutta su ordine di Hitler nel giugno 1938. Degli operai edili hanno ritrovato i resti durante dei lavori sul fondo del vicino fiume Isar, rinvenendo le colonne portanti della sinagoga e una lastra di pietra con incisi i Dieci Comandamenti.
  Secondo la BBC, la comunità ebraica locale ha espresso una certa soddisfazione nel sapere del ritrovamento. Prima della Seconda Guerra Mondiale, era uno dei luoghi più importanti per l’ebraismo bavarese. Dopo la guerra, molte rovine del tempio, così come di altri edifici semidistrutti dai bombardamenti, furono riutilizzate per un totale di 150 tonnellate di detriti per costruire una diga sul fiume, e sul sito dove un tempo sorgeva la sinagoga vennero poi edificati dei grandi magazzini.
  Charlotte Knobloch, nata a Monaco e già presidente del Consiglio Centrale degli Ebrei di Germania (equivalente tedesco dell’UCEI italiana), ha espresso la propria felicità per il ritrovamento, in quanto da bambina pregava anche lei nella stessa sinagoga. “Queste pietre fanno parte della storia ebraica di Monaco”, ha detto al quotidiano locale Münchner Merkur. “Non immaginavo che questi resti fossero sopravvissuti, tantomeno che li avremmo rivisti”.
  Le autorità locali hanno detto che i resti della sinagoga verranno presto restituiti alla comunità ebraica.
  Stando ai dati del demografo Sergio Della Pergola e del World Jewish Congress, le ultime statistiche indicano che in Germania attualmente vivono circa 100.000 ebrei, dei quali circa 9.000 a Monaco di Baviera, facendone la seconda più grande comunità ebraica tedesca dopo Berlino.

(Bet Magazine Mosaico, 6 luglio 2023)

........................................................


Vaccini Covid, "74% dei decessi dovuti alle reazioni avverse, esaminate 325 autopsie": lo studio su Lancet rimosso in meno di 24h dalla pubblicazione

Lo studio che faceva luce sull'enorme mole di decessi dopo la messa in commercio del vaccino anti-Covid è scomparso dal sito della prestigiosa rivista medica in men che non si dica.

Uno studio importantissimo pubblicato su Lancet che aveva il ruolo di far luce sull'enorme numero di decessi scaturiti dopo la messa in commercio del vaccino Covid è durato 24 ore. Lo studio, una pre-stampa che era in attesa di revisione tra pari, è stato scritto dal famoso cardiologo Dr. Peter McCullough, dall'epidemiologo di Yale Dr. Harvey Risch e dai loro colleghi della Wellness Company ed è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista medica. Ma ha avuto vita breve.
  325 autopsie esaminate, buona parte dei quali con una media dell'età tra i 70 anni e vaccinati con Pfizer. Il 74% di questi morti per reazioni avverse da vaccino Covid. Era quello che gli studiosi cercavano di spiegare in maniera dettagliata cercando di fare luce su una vicenda che per tanto tempo è rimasta nascosta.
  Tuttavia, meno di 24 ore dopo, lo studio è stato rimosso ed è apparsa una nota che affermava: "Questo preprint è stato rimosso  perché le conclusioni dello studio non sono supportate dalla metodologia dello studio". Sebbene lo studio non abbia subito alcuna parte del processo di revisione tra pari, la nota implica che non rispettava i "criteri di selezione".
  Senza ulteriori dettagli da parte dello staff di Lancet che ha rimosso il documento, è difficile sapere quale sostanza abbia realmente l'affermazione secondo cui le conclusioni non sono supportate dalla metodologia. Molti autori che hanno scritto questo lavoro sono laureati ed affermati presso le migliori università del mondo quindi è difficile immaginare che la metodologia della loro revisione fosse davvero così scadente da giustificare la rimozione allo screening iniziale piuttosto che essere soggetta a una valutazione critica completa.
  Il web si è chiaramente già schierato dopo la notizia della rimozione, parlando a tutti gli effetti di "censura".

(IL GIORNALE D'ITALIA, 6 luglio 2023)

........................................................


In risposta a razzo, Israele colpisce in Libano

Portavoce militare: 'In zona dove è avvenuto il lancio' 

In risposta al lancio di un razzo dal Libano, Israele sta colpendo ora la zona da cui è partito il colpo che si trova in territorio libanese.
Lo ha fatto sapere il portavoce militare che ha confermato il lancio del razzo dal Libano "esploso nelle adiacenze del confine in territorio israeliano"
L’esplosione è avvenuta nei pressi della cittadina di Ghajar nel nord del Paese.

(ANSA, 6 luglio 2023)

………………………………………………..


L’IDF ritira le truppe da Jenin, un bilancio dell’operazione di antiterrorismo

di David Fiorentini

A 44 ore dall’inizio della più vasta operazione di antiterrorismo in Cisgiordania degli ultimi 20 anni, le forze di difesa israeliane si ritirano dalla città di Jenin. Situata nel nord del West Bank, con una popolazione di circa 50 mila persone di cui 10 mila residenti nell’adiacente campo profughi, secondo gli Accordi di Oslo ricade nella giurisdizione della cosiddetta Area A, per cui sotto controllo militare e civile dell’Autorità Nazionale Palestinese.
  Tuttavia, fin dai tempi della Seconda Intifada (2000-2005), l’ondata di terrore palestinese che causò la morte di oltre mille civili israeliani, Jenin fu identificata come il caposaldo logistico di numerose cellule. Da allora, l’IDF ha stretto delle pragmatiche cooperazioni con le forze dell’ordine dell’ANP mirate a contenere e sradicare i movimenti fondamentalisti islamici presenti sul territorio gestito dall’Autorità Palestinese.
  Nonostante gli intensi sforzi di intelligence, oggi a Jenin sono operativi almeno tre gruppi terroristici, Hamas, la Jihad Islamica Palestinese (PIJ), e le più recenti Brigate Jenin. Riempiendo il vuoto di potere lasciato dalla vetusta classe dirigente palestinese e sfruttando le infrastrutture locali, i vari movimenti hanno riscosso sempre più supporto tra la popolazione cittadina, guadagnando seguaci e reclutando adepti.

• Mesi e mesi di terrore insostenibile
   Come detto, la località di Jenin appare spesso tra le carte dell’IDF e dello Shin Bet, il servizio di intelligence interno di Israele, per cui è risaputo che la città sia un centro nevralgico di attività sospette.
  Nondimeno, negli ultimi mesi ha fatto le prime pagine dei giornali a seguito della lunga serie di attentati che hanno colpito la quotidianità israeliana, sia in aree di confine sia nel pieno centro di Tel Aviv, togliendo la vita a 24 israeliani e generando forti tensioni. Solo nello scorso anno, quasi 50 attentati con arma da fuoco sono stati eseguiti da residenti di Jenin, e almeno 19 terroristi si sono nascosti nella cittadina palestinese per evitare la cattura e l’arresto.
  Una serie impressionante, che ha spinto l’IDF a incrementare le manovre fino ad avviare la più estesa risposta degli ultimi anni.

• L’operazione “Bait VaGan” (Casa e Giardino)
  Lanciata nella notte tra il 2 e il 3 luglio, l’operazione “Bait VeGan”, che richiama il nome biblico di Jenin, Ein Ganim, ha coinvolto oltre mille militari israeliani con l’obiettivo di smantellare quanto più possibile della rete terroristica cisgiordana.
  Durante le 44 ore in cui l’esercito israeliano è stato attivo nella città palestinese, sono stati interrogati oltre 300 sospettati, di cui 30 sono stati prelevati per ulteriori sospetti e circa 300 ordigni sono stati fatti brillare. Per di più, sono stati scovati 8 magazzini di armamenti, 6 laboratori per la produzione di esplosivi e 3 “sale da guerra” da cui comandanti palestinesi osservavano le forze israeliane.
  Ufficiali dell’esercito ritengono che la maggior parte dei brigatisti sia riuscita a fuggire dalle proprie abitazioni. Tuttavia, ciò ha ridotto gli scontri a fuoco, facilitando la celerità delle divisioni israeliane.
  Nel corso delle operazioni sono stati impiegati elicotteri, droni e i bulldozer corazzati D9, funzionali a contrastare eventuali mine posizionate ai bordi delle strade. Alcune, infatti, sono state scoperte nei pressi di ospedali e moschee, in zone densamente abitate, mettendo a repentaglio la sicurezza anche dei civili.
  In quasi due giorni di scontri incessanti, secondo le fonti sanitarie palestinesi sono state uccise 12 persone, ferite oltre 100 e circa 4000 persone sono state costrette a evacuare le proprie abitazioni. Il portavoce dell’IDF Contrammiraglio Daniel Hagari ha invece affermato che le vittime sono state 18, tutte coinvolte in attività che ponevano una minaccia alla sicurezza nazionale, ma che a causa dell’alta densità abitativa vari civili sono rimasti feriti nel fuoco incrociato. Hagari ha inoltre negato le accuse di aver forzato la popolazione locale ad abbandonare Jenin.
  Dal lato israeliano, ha perso la vita un militare, il ventitreenne Sergente David Yehuda Yitzhak dell’unità Egoz, proprio al principio della manovre di messa in sicurezza funzionali all’evacuazione della città.
  Nel complesso Bait VeGan ha dato dimostrazione della risolutezza israeliana nel contrasto alla violenza palestinese, ma alti officiali israeliani hanno già affermato che ulteriori attività seguiranno nelle prossime settimane per completare il lavoro intrapreso in questi giorni, auspicando di smembrare il sistema alla base della recente ondata di attacchi palestinesi.

• Le reazioni all’operazione in Israele
  Come spesso accade, in tempi difficili la politica mette da parte le divergenze e mira al bene comune. Il leader dell’opposizione Yair Lapid ha espresso il pieno appoggio alla missione e al diritto di Israele di difendersi, così come l’ex ministro della Difesa Benny Gantz.
  D’altro canto, in alcune aree dello Stato si sono verificati degli scontri con la polizia in protesta alla campagna israeliana, in particolare a Haifa dove sono stati arrestati 7 manifestanti o a Tel Aviv dove due membri arabi-israeliani della Knesset, Ayman Odeh e Ofer Cassif del partito arabo Hadash-Ta’al, hanno denunciato pubblicamente “l’occupazione criminale” israeliana.

• L’attentato a Tel Aviv
  Il 4 luglio a Tel Aviv un’auto lanciata sulle persone che aspettavano l’autobus alla fermata ha causato 8 feriti. Hamas ha lodato l’attacco terroristico a Tel Aviv, descrivendolo come “una eroica vendetta per Jenin”.  Il capo della polizia Yaacov Shabtai racconta ai giornalisti la dinamica dell’attacco: l’attentatore è arrivato a bordo di un furgone ed ha centrato una fermata di un autobus. Subito dopo ha cominciato ad accoltellare i passanti. L’aggressore è stato fermato dall’intervento di un civile israeliano armato, che gli ha sparato uccidendolo sul colpo.

(Bet Magazine Mosaico, 6 luglio 2023)

........................................................


Intollerabile antisemitismo della BBC che alimenta odio verso Israele

“Le forze israeliane sono felici di uccidere i bambini”, ha detto un conduttore della BBC a Naftali Bennett in un’intervista in cui l’ex primo ministro ha difeso l’operazione israeliana a Jenin.
  L’intervista è stata condotta dalla conduttrice Anjana Gadgil ed è stata pubblicata mercoledì sul canale YouTube di Bennett.
  I militari israeliani la chiamano “operazione militare”, ma ora sappiamo che sono stati uccisi dei giovani, quattro dei quali sotto i 18 anni. È davvero questo l’obiettivo dei militari? Uccidere persone tra i 16 e i 18 anni?”.
  “Al contrario”, ha risposto Bennett. “In realtà, tutte le 11 persone morte lì sono militanti. Il fatto che ci siano giovani terroristi che decidono di impugnare le armi è una loro responsabilità”.
  L’ex leader ha poi spiegato che molti degli attacchi terroristici dell’ultimo anno, che hanno causato decine di morti tra i civili israeliani, sono stati perpetrati da persone provenienti da Jenin e addestrate a Jenin: “Jenin è diventata un epicentro del terrore”, ha detto. “Tutti i palestinesi uccisi erano terroristi in questo caso”.
  Questa affermazione della BBC priva di fondamento non solo distorce la realtà sul campo, ma equivale anche a un pericoloso incitamento e a una gravissima diffamazione, alimentando la già crescente ondata di antisemitismo in tutto il mondo.
  L’International Legal Forum, una rete globale di avvocati che combattono l’antisemitismo e il terrore, ha espresso totale sgomento e shock per il comportamento di Gadgil. In una lettera aperta indirizzata al direttore generale della BBC, Tim Davie, alla professoressa Dame Elan Closs Stephens, presidente in carica del Consiglio di amministrazione della BBC, e a Deborah Turness, amministratore delegato di BBC News and Current Affairs, ILF ha sottolineato la natura falsa e fuorviante della dichiarazione di Gadgil.
  Hanno sottolineato che le forze israeliane prendono rigorosamente di mira elementi terroristici, combattenti e infrastrutture militari a Jenin, un focolaio di terrore negli ultimi anni.
  L’ILF ha sottolineato che alcuni combattenti palestinesi, tra cui individui di soli 17 anni, sono stati cinicamente reclutati da gruppi terroristici, il che costituisce una grave violazione del diritto internazionale.
  L’ILF ha esortato la BBC a rispettare la sua missione di fornire notizie e informazioni imparziali e ha chiesto all’emittente scuse pubbliche immediate e inequivocabili. L’ILF ha inoltre chiesto che vengano presi provvedimenti adeguati nei confronti di Gadgil per la sua inaccettabile condotta.
  La BBC ha risposto alla lettera dell’EJA con una dichiarazione in cui si scusava per il modo in cui erano state poste le domande: “Abbiamo ricevuto commenti e lamentele in merito a un’intervista con l’ex primo ministro israeliano Naftali Bennett sui recenti eventi in Cisgiordania e Israele”, si legge nel comunicato.
  “Sebbene questo fosse un argomento legittimo da esaminare nel corso dell’intervista, ci scusiamo per il fatto che il linguaggio usato in questa linea di domande non era formulato bene ed era inappropriato”.

• La storia della BBC tra pregiudizi anti-israeliani, diffamazione antisemita e antisemitismo
  Questo incidente arriva sulla scia di un’indagine trasversale avviata dal Parlamento britannico lo scorso dicembre sui pregiudizi della BBC nei confronti di Israele. Con le preoccupazioni sollevate circa i pregiudizi sistemici e istituzionali nei confronti di Israele, casi come la falsa affermazione di Gadgil sottolineano ulteriormente la necessità di un’azione correttiva urgente.
  Anche il rabbino Menachem Margolin, presidente dell’Associazione Ebraica Europea (EJA), ha espresso la sua costernazione in una lettera indirizzata al direttore generale della BBC. Ha criticato l’affermazione di Gadgil come una palese falsità, carica di emotività e che ricorda in modo inquietante la storica diffamazione del sangue che ha afflitto le comunità ebraiche per secoli.
   Margolin ha sottolineato che le forze armate israeliane adottano misure straordinarie per evitare vittime tra i civili e che tali accuse infondate minano la correttezza giornalistica e il codice di condotta della BBC.
  Sia l’ILF che l’EJA hanno invitato la BBC a ritrattare la falsa dichiarazione e a rimproverare prontamente Gadgil.

(Rights Reporter, 6 luglio 2023)

........................................................


Pranzo "fai da te" ad Amalfi, turisti cucinano col fornellino tra i vicoli

Indignati, i cittadini hanno segnalato alla polizia municipale, ma i due sono andati via prima dell’intervento degli agenti.

di Gianpiero Di Filippo

FOTO
Due turisti sono stati avvistati mentre cucinavano con un fornellino in strada, ad Amalfi.
La scena, immortalata dagli smartphone intorno alle 14,30, nella Salita San Nicola dei Greci, ha scatenato l'indignazione dei cittadini, che, sconcertati, hanno segnalato alla polizia municipale. Ma i due sono andati via prima dell'intervento degli agenti.
Amalfi è una città nota per la sua cucina locale, che si basa su ingredienti freschi e genuini provenienti dal mare e dalle colline circostanti. Cucinare in strada con un fornellino portatile, oltre che essere un comportamento inappropriato, può essere vista come un affronto a questa tradizione culinaria e a tutto ciò che rappresenta.
Ci sta non voler spendere troppo per mangiare, ma non è necessario recarsi al ristorante: nei vicoli si trovano tante attività di ristoro che offrono street food a prezzi abbordabili.

(il Vescovado, 5 luglio 2023)


*


Amalfi, i turisti che cucinavano tra i vicoli erano ebrei: non avevano trovato cibo "kosher"

Un lettore ha riconosciuto la coppia, opportunamente oscurata in volto nel nostro articolo, dall’abbigliamento. Ci ha raccontato che qualche ora prima i due avevano chiesto informazioni proprio a lui, su dove poter acquistare un fornellino e del cibo kosher.

FOTO
Dopo l'articolo in cui mostravamo la scena insolita di due turisti intenti a cucinare tra i vicoli di Amalfi con tanto di fornellino, arrivano i retroscena.
  Un lettore ha riconosciuto la coppia, opportunamente oscurata in volto nel nostro articolo, dall'abbigliamento. Ci ha raccontato che qualche ora prima i due avevano chiesto informazioni proprio a lui, su dove poter acquistare un fornellino e del cibo kosher.
  I due, infatti, di stanza presso un b&b di Sorrento, erano ebrei e, secondo le regole religiose che dominano la nutrizione del popolo ebraico osservante, potevano consumare soltanto cibo "kosher", ossia ‘idoneo'.
  Secondo la "Kasherut" (l'idoneità di un cibo a essere consumato dal popolo ebraico secondo le regole alimentari stabilite nella Torah), gli ebrei osservanti possono mangiare:

  • gli animali ruminanti che hanno lo zoccolo spaccato in due parti. La mucca, il vitello, la pecora, la capra sono ammessi; il coniglio, il maiale, il cammello o il cavallo sono vietati, cose come i rettili e gli insetti;
  • i volatili da cortile, come le galline. Sono invece vietati i rapaci;
  • i pesci che hanno sia pinne che squame; sono vietati l'anguilla, i frutti di mare, il caviale, i pesci gatto, la coda di rospo e altri ancora.

Inoltre, carne e latticini non possono essere consumati nello stesso pasto, né cucinati o lavorati insieme; per questo motivo, le famiglie possiedono in genere set di pentole e servizi di piatti diversi per i due tipi di alimenti. Carne e pesce possono essere consumati nello stesso pasto, ma prima di passare dall'uno all'altro bisogna sciacquarsi la bocca con un po' di vino. La Torah vieta il consumo di sangue, per cui anche la macellazione segue un rituale ebraico. E, ancora, non si utilizzano tagli di carne che sono attraversati dal nervo sciatico. Anche latte e formaggi devono essere sempre controllati da un rabbino. Quanto alla frutta, non è possibile mangiare un frutto prodotto da un albero nei suoi primi tre anni di vita. Per quanto riguarda pane e lievitati, essi non possono essere consumati durante la Pasqua Ebraica. Infine, per cucinare cibo kosher non si possono usare utensili utilizzati per preparare cibo non kosher.
  I requisiti per ottenere il marchio Kosher sono numerosi e i controlli rigorosi. Il negozio più vicino alle nostre zone che rivende prodotti "idonei" si trova a Roma e spedisce fino ad Amalfi, all'occorrenza.
  L'hotel più vicino fornito di un ristorante kosher è il Capri Tiberio Palace, mentre in Costiera Amalfitana gli alberghi di lusso sono organizzati per gestire quest'esigenza, previa comunicazione da parte degli ospiti.

(il Vescovado, 6 luglio 2023)

........................................................


Esaurita la controffensiva. La lotta continua

L’Ucraina ha annunciato un cambiamento radicale della sua strategia. Lo ha annunciato ieri Il segretario del Consiglio per la sicurezza e la difesa nazionale Oleksiy Danilov, il quale ha detto che da ieri la priorità delle forze ucraine non è più la riconquista del territorio perduto, quanto degradare le forze russe, sia in termini di uomini che di mezzi. Una “guerra di distruzione equivale a una guerra per conquistare chilometri”, ha detto Danilov.
  Lo riporta, tra gli altri, anche l’Institute of Study of War, che, a commento di questa svolta, riferisce le parole del presidente del comitato militare della NATO, l’ammiraglio Rob Bauer, secondo il quale le forze ucraine “non dovrebbero subire critiche o pressioni per la lentezza delle operazioni”.

• La controffensiva sfinita
  Lo stesso Bauer ha anche escluso che i sospirati F-16 possano arrivare a Kiev nel corso della controffensiva, che quindi dovrà continuare senza copertura aerea (anche se i velivoli promessi non sarebbero comunque sufficienti per assolvere tale compito).
  L’annuncio di Danilov, apparentemente anodino, è clamoroso. Di fatto, ha detto che la controffensiva è fallita. Tutti i proclami sulla riconquista dei territori perduti fatti da ucraini e alleati in un anno e mezzo di guerra si sono rivelati per quel che erano: vuota sicumera.
  D’altronde, i russi non cedono e gli ucraini non sfondano come invece avevano assicurato quasi tutti i politici, gli analisti, i cronisti d’Occidente. E per non dover ammettere la sconfitta, Kiev ha annunciato un cambio di programma: ora si tratta solo di uccidere i russi – in obbedienza ai diktat neocon dichiarati esplicitamente dal senatore Lindsey Graham – e di distruggere più armamenti possibile del nemico.
  Il punto è che tale strategia non tiene conto che a morire come mosche sono gli ucraini, come sempre accade nel corso di un attacco, e di un attacco peraltro nel quale i difensori hanno più armi, possono colpire più lontano e soprattutto hanno il controllo completo dei cieli.

• The Show Must Go On
  Una scelta suicida quella di continuare la guerra. Ma a decidere non sono gli ucraini, quanto la loro leadership e soprattutto gli sponsor internazionali, i quali non vogliono mollare la presa e rinunciare alla loro guerra infinita fino all’ultimo ucraino.
  The Show Must Go On è forse la più bella canzone dei Queen, scritta per raccontare l’ultimo tratto di vita di Freddy Mercury. Ci sembra una degna colonna sonora di quanto si sta consumando a Kiev e dintorni.
  A meno di incidenti di percorso – vedi alla voce Zaporizhzhia – si andrà avanti così fino al vertice di Vilnius dell’11 luglio, nel quale si deciderà il da farsi. Le pressioni per continuare l’ingaggio contro la Russia non recedono, ma la disfatta dei falchi che urgono in tal senso è talmente palese che si potrebbero aprire spazi per le trattative.
  Da ultimo, si può notare che gli analisti, i cronisti, i politici di cui sopra, che hanno sbagliato tutto, con errori la cui portata è di tragica evidenza, continuano imperterriti a pontificare e a dettare la linea. Tale il meccanismo perverso delle guerre infinite, tale la tragedia in cui versa l’Occidente.

(piccole note, 5 luglio 2023)
____________________

Notevole: "la priorità delle forze ucraine non è più la riconquista del territorio perduto, quanto degradare le forze russe". Non si tratta dunque di difendere la sacralità della terra patria, la democrazia, la libertà, e tanto meno la vita dei cittadini ucraini, ma di "degradare le forze russe". Che è appunto quello che voleva fin dall'inizio la Nato a trazione anglo americana. M.C.

........................................................


Raid israeliano su Gaza in risposta ad attacchi terroristici. Fine dell'operazione di Jenin

di Sarah G. Frankl

Nella notte appena passata aerei da guerra israeliani hanno colpito a Gaza un’officina sotterranea di armi utilizzata dall’unità chimica del gruppo terroristico di Hamas e un sito per la lavorazione di componenti di razzi. Lo ha reso noto l’esercito israeliano con un comunicato emesso intorno alle 05,30.
  L’attacco israeliano a Gaza è arrivato dopo che nella notte scorsa dalla Striscia erano stati lanciati diversi razzi contro obiettivi civili nel sud di Israele.
  Il sistema di difesa aerea Iron Dome è riuscito ad abbattere cinque razzi lanciati verso la città di Sderot e le aree vicine.
  I media palestinesi hanno riferito che gli aerei israeliani hanno colpito siti ad al-Baydar, a ovest di Gaza City, e Beit Lahiyeh, nella Striscia settentrionale. Diverse case ad al-Baydar sono state danneggiate, secondo i rapporti palestinesi.
  L’IDF era già stato in allerta per il potenziale lancio di razzi da Gaza in risposta alla operazione di Jenin, con le autorità che lunedì hanno annullato un grande concerto nella città meridionale di Sderot, sebbene non siano state emesse altre precauzioni.

• Fine dell'operazione di Jenin
  Nel frattempo le truppe israeliani si sono ritirate da Jenin e durante le operazioni di ritiro un militare israeliano è stato ucciso durante un attacco terroristico palestinese.
  Il bilancio della operazione di Jenin è di almeno 18 terroristi palestinesi uccisi, un numero imprecisato di feriti e di arresti con la Jihad Islamica palestinese, finanziata ed armata dall’Iran, che ha visto compromessa la sua presenza in Giudea e Samaria (Cisgiordania).
  Nella operazione di Jenin, la più grande degli ultimi anni in Giudea e Samaria, sono stati impiegati oltre mille soldati, aerei, elicotteri e mezzi blindati.
  Ieri un terrorista di Hamas ha lanciato la sua auto contro un’affollata fermata dell’autobus di Tel Aviv e subito dopo ha iniziato ad accoltellare persone, ferendone otto, tra cui una donna incinta che avrebbe perso il suo bambino. L’aggressore è stato ucciso da un passante armato.
  Hamas ha rivendicato l’atto terroristico e ha detto che l’attacco è stato una vendetta per l’offensiva israeliana a Jenin.

(Rights Reporter, 5 luglio 2023)

........................................................


Attentato a Tel Aviv: sette feriti, di cui quattro gravi

di Luca Spizzichino

Sette persone sono rimaste ferite, quattro delle quali gravemente, in un attacco terroristico avvenuto martedì pomeriggio nel nord di Tel Aviv.
  Abed al-Wahab Khalaila, membro del gruppo terroristico di Hamas, si è schiantato con il suo camioncino contro i pedoni a una fermata dell'autobus a Pinchas Rosen Street; successivamente è sceso e ha accoltellato i passanti e le persone che erano sedute fuori in un bar vicino. Il terrorista, che secondo lo Shin Bet non aveva un permesso per entrare in Israele, è stato ucciso poco dopo da un civile armato.
  Hamas, che ha esultato per la “prima risposta” all’operazione antiterrorismo che vede Israele impegnata a Jenin, non ha tuttavia rivendicato la responsabilità dell'attacco.
  Le quattro vittime ferite gravemente sono state trasportate agli ospedali Ichilov e Beilinson. Una donna incinta, le cui condizioni sono state definite dall'ospedale molto gravi, ha subito un intervento chirurgico mentre i medici lavoravano per stabilizzare le sue condizioni. Mentre un uomo di 30 anni, che è stato pugnalato allo stomaco, provocando gravi ferite, è stato portato d'urgenza all'ospedale di Beilinson.
  L’attentato è stato ripreso integralmente dalle telecamere di sicurezza, che hanno chiarito la dinamica. Il terrorista si è dapprima schiantato contro i pedoni a una fermata dell'autobus e successivamente ha iniziato ad accoltellare i passanti e le persone che erano sedute fuori in un bar nelle vicinanze. In un altro videoclip, circolato sui social media, si vede invece l'uomo armato, con un casco da motociclista, che ha sparato più volte all'aggressore con una pistola e gli ha strappato il coltello dalla mano.
  “Ho parcheggiato la mia moto alla fermata dell'autobus. Mentre stavo per partire, ho sentito un forte rumore. Ho pensato che fosse un incidente stradale” ha detto alla polizia il signore che ha neutralizzato l’attentatore. “Il terrorista mi ha inseguito. - ha aggiunto - Gli ho sparato ed è caduto. Mi tremavano le gambe. Stavo pregando che il proiettile fosse partito, perché se non lo avesse fatto sarei morto".
  Il presidente israeliano Isaac Herzog ha commentato l'attacco terroristico a Tel Aviv, durante il suo discorso di martedì sera in occasione del 70° anniversario del consiglio regionale di Hatzor HaGlilit. "Il grave attacco poche ore fa a Tel Aviv è un'ulteriore prova della necessità dell'attuale operazione dell'IDF a Jenin per sradicare il terrorismo", ha detto Herzog. “Il terrore non vincerà mai”.
  “A nome dell'intera nazione, prego per la pronta e completa guarigione dei feriti, e invio la mia forza e il mio sostegno ai nostri soldati, ai loro comandanti e a tutti i servizi di sicurezza e di intelligence nelle loro azioni decisive contro i nostri nemici ovunque essi si trovino” ha concluso.
  "Chiunque pensi che un simile attacco ci dissuaderà dal continuare la nostra lotta al terrorismo si sbaglia. - ha dichiarato il premier Benjamin Netanyahu nel pomeriggio - Semplicemente non conosce lo spirito dello Stato di Israele, non conosce il nostro governo, i nostri cittadini e i nostri soldati".
  “Continueremo finché sarà necessario a sradicare il terrorismo, non permetteremo a Jenin di tornare ad essere una roccaforte per il terrorismo" ha aggiunto spiegando come l’operazione a Jenin non sarà un evento unico.

(Shalom, 5 luglio 2023)

........................................................


È una nuova escalation contro i civili. E Israele agisce solo per "autodifesa"

Nel Paese 200 attentati da inizio anno. Ecco perché anche la sinistra approva l'azione anti-terrorismo dell'esercito a Jenin.

di Fiamma Nirenstein 

Israele è di nuovo oggetto di un severo scrutinio mediatico. Jenin è l'epitome di quello che viene considerato uno degli episodi di scontro violento fra due parti: Israele e i palestinesi. Come in uno stadio di dimensioni mondiali, ci sono due grandi tifoserie, ma nel campo dei media quella che tiene per i palestinesi è certamente la maggiore. La ragione si capisce: le forze israeliane sono meglio armate e, quando agiscono, i morti palestinesi sono in numero maggiore. Inoltre, poiché il governo di Bibi Netanyahu, un leader moderato oggi alla testa di una coalizione in cui siedono due ministri di estrema destra, non ha fiducia in un accordo con i palestinesi, questo viene vissuto come un rifiuto israeliano della questione. Ma non si ricorda che Netanyahu, che non ha mai delegittimato l'idea di due stati, da lui anzi sostenuta, ha tentato a lungo di formare la sua coalizione con Benny Gantz, ex ministro della difesa: il rifiuto è stato netto e questo lo ha spinto a formare una coalizione in cui i rapporti non sono facili.
  Ciò, tuttavia, non c'entra con la lotta al terrorismo: qui, anche la sinistra è allineata con l'operazione contro i terroristi di Jenin, a partire da Yair Lapid. Per tutti è pura autodifesa, una scelta non politica, ma pratica e indispensabile. Anche in Israele, come in ogni democrazia, in primis devi salvare la vita dei tuoi cittadini. Dall'inizio dell'anno, la crescita esponenziale degli attacchi terroristici contro i civili israeliani, 28 morti che rapportati ai numeri italiani corrispondono a 168 persone circa, ha fatto sì che ogni volta si cercasse di fermare la frana, senza risultati. Duecento attentati, di cui 50 a fuoco in sei mesi, tutti dalla Cisgiordania, con centro a Jenin, e non da Gaza, hanno imposto l'operazione.
  Fra i palestinesi è cambiato il ritmo e il sistema: un'escalation di armamenti, di sprint ideologico, di gruppi vecchi e nuovi ha invaso il terreno coprendolo di vittime da Tel Aviv alla Cisgiordania. E Israele ha agito contro il terrore con l'esercito. Ma non è uno scontro fra due forze contrapposte: si capisce dal video dell'attacco a Tel Aviv, i ragazzi seduti tranquilli in un bar del centro investiti da una macchina e pugnalati; o nelle settimane scorse, due fratellini che aspettano l'autobus falciati, come una madre con le due figlie in auto.
  L'idea strategica del terrorismo attuale, supportato come non mai dall'Iran e spostato da Gaza alla Cisgiordania, è che la sorpresa da ogni parte prosciugherà la vita d'Israele nella paura e nel dolore. Il consenso è grande: il 71% dei palestinesi supporta i gruppi terroristici, il 70% è contro l'idea di due stati, il 52 contro il 21 preferisce la resistenza armata ai negoziati. L'esercito israeliano dunque non aveva altra scelta che entrare a Jenin, epicentro del nuovo terrore, da cui, novità strategica, sono partiti anche missili, ad arrestare terroristi asserragliati in una fortezza. L'esercito sa che i soldati possono compiere errori e uccidere civili, quindi ha programmato a fondo: non è un caso che fino a ieri abbia ucciso 9 persone tutte armate.
  La strategia dei gruppi di Jenin, Jihad Islamica, Hamas, gruppetti autonomi, è divenuta molto più internazionale, l'Iran incita e arma da quando Qasem Suleimani e poi l'ayatollah Khamenai decisero che i palestinesi entrassero nel fronte formato da Libano e Siria. L'esercito si è preparato a fondo per quella fortezza densa di armi, cunicoli, sotterranei, esplosivi per ogni dove. Entrando, ha distrutto, rovinato, fatto saltare per aria mura che celavano depositi di esplosivo. Difficile la domanda su cosa accadrà domani: forse, se Abu Mazen si deciderà a cedere lo scettro e la politica, il cui fulcro sono gli stipendi ai terroristi e l'incitamento, qualche porta si potrebbe riaprire. Ma il raìs sembra preferire la strada legata agli stereotipi che hanno sempre scelto il «no» come risposta.

(il Giornale, 5 luglio 2023)

........................................................


Netanyahu vola in Cina: un asse che non piace a Washington

Sarà il suo sesto viaggio internazionale, da quando, nel dicembre del 2022, è ritornato alla guida del governo israeliano. Benjamin Netanyahu volerà in Cina durante questo mese di luglio. La visita avviene poche settimane dopo quella del leader palestinese Abu Mazen, che è stato accolto con tutti gli onori in un incontro con il presidente cinese Xi Jinping e con il primo ministro Li Qiang.
  L'annuncio che Netanyahu abbia accettato l'invito del presidente Xi non è stato accolto in modo favorevole né alla Casa Bianca, né tanto meno tra i cittadini israeliani. Ma anche gli analisti politici, giornalisti e soprattutto i vertici militari, non vedono di buon occhio questo viaggio in Cina, in un momento di tensione in tutta l'area mediorientale. Va detto infatti che un recente rapporto del Pew Research Center rivela che tra gli israeliani l'87% ha un'opinione favorevole degli Stati Uniti, mentre solo il 12% un parere negativo. «L'attuale visione di Israele degli Stati Uniti è la più positiva dal 2000», ha twittato Israel Nitzan, console generale ad interim del Consolato generale di Israele a New York, a proposito del sondaggio
  Non è la prima volta, però, che Netanyahu incontra Xi Jinping. L'ultimo incontro ufficiale tra i due risale al 2017. Con questo invito, però, il presidente della Repubblica Popolare Cinese scende massicciamente in campo nell'area mediorientale e si propone come mediatore di storici conflitti, tra cui quello arabo-israeliano, approfittando dei buoni rapporti che Pechino intrattiene con l'Autorità palestinese. Ma anche per trarre vantaggio dalle attuali relazioni intricate tra Tel Aviv e gli Usa, con l’obiettivo di instaurare nuove opportunità diplomatiche con Israele. È evidente, infatti, che il presidente Xi, ricevendo prima Abu Mazen e poi Benjamin Netanyahu, voglia dimostrare di poter contribuire più degli Stati Uniti d'America alla stabilizzazione della regione. Tentativo, questo, molto difficile visto l'appoggio incondizionato della Cina alle rivendicazioni dei palestinesi. 
  Alcuni anni fa il grande Paese asiatico aveva tentato una mediazione tra israeliani e palestinesi. Già nel lontano 2002 Pechino aveva provato di instaurare un dialogo tra le parti, e nel 2017 aveva anche ospitato un incontro nel quale si proponeva la "soluzione dei due Stati"; proposta, questa, che è stata riformulata nel corso della recente visita di Abu Mazen e che potrà essere ripresentata in occasione di una conferenza di pace "su larga scala, più autorevole e influente".  Che la "soluzione dei due Stati" sia per Xi Jinping l’unica percorribile lo dimostra il fatto, che lo scorso mese di maggio, il governo cinese con una nota aveva invitato Israele a non proseguire nell’occupazione di altro territorio palestinese, riferendosi in particolare ai nuovi insediamenti illegali ai quali Netanyahu aveva dato il via libera.
  Xi ha offerto ad Abu Mazen il pieno sostegno della Repubblica Popolare Cinese sia in materia di difesa, che di sviluppo economico. Proposta, questa, che rientrerebbe nel progetto della costruzione di un nuovo ordine internazionale, in contrapposizione a quello guidato dagli Stati Uniti d'America. La Cina sta approfittando, per diventare punto di riferimento, anche della normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Iran e Arabia Saudita; l’accordo infatti è stato siglato davanti al capo della diplomazia cinese, Wang Yi, nelle stesse ore in cui Xi Jinping veniva confermato presidente della Repubblica Popolare per la terza volta. Con queste iniziative diplomatiche Pechino vuole inserirsi negli spazi geopolitici lasciati liberi dagli Stati Uniti, mostrandosi così intenzionato a contribuire alla stabilità del Medio Oriente e guadagnare la fiducia degli altri paesi mediorientali.
  Ovviamente gli Usa non apprezzano questo attivismo della Cina e sono molto critici in merito alla politica, sia interna che estera, del primo ministro Netanyahu. Al punto che sono trascorsi ormai sei mesi da quando è stato rieletto premier, ma non ha ancora ricevuto alcun invito ufficiale dalla Casa Bianca. Anzi, lo scorso mese di marzo, fonti americane hanno fatto trapelare che Netanyahu non sarebbe stato invitato negli Usa a breve termine. A più riprese, sia il portavoce della Casa Bianca, che Antony Blinken, segretario di Stato dell'Amministrazione di Joe Biden, hanno invitato Netanyahu a bloccare la costruzione di nuovi alloggi in territorio palestinese. Decisione, tra l’altro, presa in un momento di forte tensione tra israeliani e palestinesi.
  L'amministrazione Biden è molto preoccupata per l'intensificarsi delle violenze nei territori occupati, mentre, in Israele, proseguono le manifestazioni di piazza per bloccare l'approvazione della riforma della giustizia, fortemente voluta dalla compagine governativa. Gli Stati Uniti e le Nazioni Unite hanno definito il piano un atto illegale e un ostacolo per il raggiungimento della pace. Anche il Regno Unito, il Canada e l'Australia hanno invitato Israele a revocare la decisione di approvare la costruzione di 5.700 unità abitative aggiuntive per i coloni ebrei in Cisgiordania, e si sono detti «gravemente preoccupati». È quanto emerso in una dichiarazione congiunta rilasciata dai ministeri degli Esteri dei tre Paesi, condannando la «continua espansione degli insediamenti» che è stata descritta come «un ostacolo alla pace e agli sforzi per raggiungere una soluzione negoziata a due Stati». Ad oggi, più di 700.000 coloni israeliani vivono nei territori occupati della Cisgiordania e a Gerusalemme Est.
  Proseguono nel frattempo le proteste dei cittadini ebrei contro la riforma della giustizia voluta dal governo Netanyahu e in discussione alla Knesset. Almeno 130 mila persone si sono radunate lo scorso sabato sera a Kaplan Street, a Tel Aviv, mentre gli organizzatori delle manifestazioni hanno parlato di circa 286 mila partecipanti in tutto il Paese. Alcuni manifestanti hanno bloccato l’autostrada Ayalon in direzione sud e la polizia ha arrestato due persone per disturbo dell’ordine pubblico.

(Nuova Bussola Quotidiana, 5 luglio 2023)

........................................................


Un tank per raccontare l’epopea dei pionieri

Capolavori: Il carro armato di Assaf Inbari. Un caso letterario. Un romanzo già entrato nel mito. Che narra lo scontro con le truppe siriane a Degania visto da cinque eroi

di Roberta Ascarelli

Era il 20 maggio 1948. Sei giorni prima David Ben-Gurion aveva proclamato a Tel Aviv la nascita dello Stato d’Israele ed era scoppiata una guerra impari e pericolosa. Ma a Nord, nella valle di Kinneret, i carri armati siriani che avanzavano indisturbati vengono fermati alle porte di Degania, un piccolo insediamento agricolo ricco di storia e di ideologia, da alcuni soldati e da un centinaio di coloni equipaggiati con qualche molotov, poche granate e la volontà di resistere ad ogni costo.
  Un carro armato viene colpito, i nemici sorpresi e intimoriti si ritirano precipitosamente lasciando alle loro spalle una scocca carbonizzata e una fitta tessitura di narrazioni.
  Leggende, ricordi, personaggi e documenti di quest’evento creano la struttura dell’ultimo romanzo di Assaf Inbari Ha tank del 2018, vincitore nel 2020 del premio Agnon per “aver combinato il successo letterario con una prospettiva chiara sui valori centrali dell’ethos sionista e sui temi della società israeliana”, e ora pubblicato da Giuntina per la ottima traduzione di Alessandra Shomroni (Il carro armato, 274 pp., 20 euro).
  Lo spirito del racconto è lo stesso che domina la avvincente saga del suo primo romanzo, Verso casa (Giuntina, 2020) che si svolge sullo sfondo di un altro kibbutz, quello di Beth Afikim: “circondato da una recinzione di filo spinato […] furono scavati dei fossati di comunicazione; si fecero scorte di cibo e benzina e un ponte di botti fu costruito sul Giordano come via di fuga. ‘Se avremo uno stato, quanto tempo gli dai?’ – chiese Clara Galili a Zvi Brenner. ‘Se ci sarà. Che duri due settimane – ma almeno ci sarà’”.
  Simile anche la struttura del testo che si muove ambiziosa sul confine tra individualità e coralità, sacrificando a volte alla visione di insieme le sfaccettature dei personaggi principali ma anche della piccola folla di figure ‘minori’, descritte spesso con una distanza appena mitigata dalla cifra di una affettuosa ironia.
  La struttura è però più ambiziosa e meno ‘collettiva’ di Verso casa anche se non viene meno la fitta tessitura delle voci e la infinita carrellata di personaggi legati, in questo caso, a quel relitto di carro armato e al kibbutz che lo contiene: un oggetto fortemente simbolico per una letteratura che deve, secondo l’autore, plasmare nuovi miti e generare nuovi racconti. “Ma la narrazione stessa, – scriveva Inbari in un saggio teorico sulla letteratura israeliana nel 2010 – l’insieme storico in cui queste scene sono intarsiate, non è ‘verità storica’, così come non è falsità. È letteratura e il suo scopo, come quello di ogni opera d’arte, non è informativo ma spirituale, legato ai valori, all’estetica e alle emozioni”.
  Tra realtà e finzione, romanzo storico e progetto identitario Inbari descrive le fragili esistenze dei cinque uomini che ritengono di aver avuto un ruolo decisivo in quello scontro – Baruch Bar Lev, Shlomo Anschel, David Zarchia, Shalom Hochbaum e Itzhak Eshet -. Sono persone comuni, deluse dal declino degli antichi ideali e dalla loro opaca quotidianità che trovano un senso e una cittadinanza nel ricordo di quell’imprevista prodezza. Ognuno conserva ricordi diversi dello stesso evento storico; ognuno è convinto di essere colui che ha fermato il carro armato, cambiando così il corso della guerra.
  Alla vicenda della loro vita, ben delimitata in singoli capitoli a sottolineare diversità e distanza, ma anche a sperimentare il legame tra i frammenti e una auspicata visione di insieme, fa da contrappunto la recente storia di Israele che tutti unisce, e il ripetersi degli interrogativi sul significato e sulle prospettive di quella storia: “Se sì, chi è l’eroe? – scrive Inbari – È la persona che ha fermato il carro armato, chiunque essa sia, o forse c’è più di un eroe, o più di un modo di intendere l’eroismo?”.
  Nei resoconti ufficiali (e alcuni malignano, per motivi politici), l’eroe di Degania è solo Shalom Hochbaum un colono sopravvissuto alla Shoah che era giunto al kibbutz Degania per iniziare una nuova vita con un nome ebraicizzato, un lavoro umilissimo e poche speranze. Ma quando il kibbutz decide di impossessarsi di quella vittoria cancellando gli “estranei”, Shalom è invitato a ripetere più e più volte ai tanti visitatori la sua narrazione: con coraggio, aveva lanciato una molotov che era rotolata sotto il carro armato e lo aveva distrutto, mentre i nemici, terrorizzati da questa inattesa resistenza, si erano dati alla fuga.
  Fino alla sua morte, avvenuta nel 1976, Hochbaum ripete la sua versione. Ma anche gli altri protagonisti del romanzo (e dello scontro) pensano che, nella battaglia di quel giorno fatale, siano stati loro a distruggere il carro armato.
  David Zarchia, militare prossimo alla pensione, racconta le sue gesta nella Guerra di indipendenza solo al figlio Shabi, un giovane gracile, insicuro e facilmente impressionabile, per dargli un po’ di coraggio. Ytzhak Eshet “era rimasto fermo al momento del passato […] quando aveva fermato il carro armato siriano a Degania Alef”, e, nella sua oscura vita di impiegato, il colpo sferrato con un Piat contro il mezzo dei siriani rappresenta una potente consolazione. Anche Shlomo Anshel, meticoloso autista di autobus e aspirante cecchino, era convinto di aver centrato il bersaglio con la sua arma anticarro. Infine Baruch Bar Lev il più interessante tra gli aspiranti eroi, soldato, attaché in Uganda, uno dei protagonisti della vicenda di Entebbe, racconta in due modi diversi la sua storia: la narra – afferma – sia come ‘epopea israeliana’ con un protagonista “che già a dieci anni cavalcava armato per difendere una fattoria isolata” ma anche come un’‘epopea ebraica’, quella di “un astuto lituano che aveva teso un tranello a un siriano” spalancando ai carri armati le porte del kibbutz e preparando così l’ imboscata. In mancanza di una tribuna e di un pubblico, le loro versioni rimangono a lungo sconosciute. Ma, improvvisamente, tra interviste, convegni, inchieste giornalistiche che indagano non tanto la storia del carro armato, quanto le storie che il carro armato ha lasciato dietro di sé, la verità si fa lentamente strada coinvolgendo ancora altri personaggi e delineando così una vicenda collettiva con molti partecipanti e un comune successo.
  Anche su questa tardiva ricerca che getta nuova luce sui fatti del 20 maggio a Degania, Inbari si sofferma nel romanzo con il piacere del giallista e con una dolente immedesimazione nelle fragili esistenze di uomini che hanno trovato un senso e una cittadinanza in quel successo imprevisto e, per lunghi anni, segreto.
  Quello che rimane è un riuscito esperimento narrativo e, soprattutto, un inno alla speranza: “Questo Stato non è sorto dai miracoli, -scrive – ed è importante per noi incidere nei nostri cuori che non è con un miracolo che ne assicureremo l’esistenza negli anni a venire. […] La nostra generazione di pionieri si è ribellata contro il tradizionale fatalismo ebraico, è tornata alla storia e ha mutato la sua direzione”.

(Bet Magazine Mosaico, 5 luglio 2023)

........................................................


Israele: riforma giudiziaria, alla Knesset un passo avanti

Un emendamento approvato in commissione, l'opposizione insorge

All'indomani di una accesa manifestazione all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv di protesta contro la riforma giudiziaria elaborata dal governo Netanyahu, oggi alla Knesset la coalizione ha compiuto un significativo passo in avanti verso la sua realizzazione. In un dibattito caratterizzato da grande nervosismo, il presidente della commissione per le questioni costituzionali Simcha Rothman (Sionismo religioso) ha ottenuto la approvazione dell'emendamento della cosiddetta 'Clausola della ragionevolezza' che limiterà le prerogative del potere giudiziario a beneficio dell'esecutivo.
  La sua formula è stata approvata con 9 voti a favore e 4 contrari dopo che Rothman aveva espulso dall'aula cinque deputati della opposizione.
  Secondo la radio pubblica Kan il vice dell'Avvocato generale di Stato, Gil Limon, ha espresso preoccupazione per le ripercussioni di questa iniziativa del governo, se fosse approvata dalla Knesset. "In uno paese democratico - ha detto Limon - tutti devono sentirsi sottoposti allo stato di diritto, anche il governo ed i ministri". Il testo elaborato da Rothman - secondo cui la Corte Suprema non potrà annullare decisioni governative anche se ritenute dai giudici "irragionevoli in maniera estrema" - dovrà essere votato adesso in prima lettura, per poi passare in una commissione per una nuova discussione e per una eventuale revisione.

(ANSAmed, 4 luglio 2023)

........................................................


Il raid israeliano a Jenin: "Esplosivi e casse di armi. È la fortezza del terrore"

Blitz in Cisgiordania: uccisi 9 palestinesi, in tremila via dal campo profughi. Hamas e Jihad: vendetta

di Fiamma Nirenstein

Ieri a Jenin le forze israeliane hanno lanciato un attacco militare di cui adesso parla tutto il mondo come di una crudele sorpresa nei confronti dei palestinesi: in quella che è stata definita la maggiore impresa antiterrorismo dal tempo della seconda intifada, 9 sono stati uccisi, 8 in scontri armati e uno in circostanze ancora non definite. «Un massacro, interverremo per fermarlo» è intervenuto il leader della Jihad islamica. E dopo l'operazione militare israeliana sono circa tremila i palestinesi che hanno lasciato il campo profughi di Jenin.
  Sono passati 22 anni da quando, a Pasqua 2002, dopo un eccidio di 20 israeliani in un ristorante, ci fu la battaglia di Jenin in cui furono uccisi 50 palestinesi e 23 soldati. Avventurandosi sul campo di battaglia, dentro la cittadina, solo l'auto di qualcuno esperto ti evitava di calpestare le trappole esplosive. Anche ieri ne sono state trovate con casse di armi, proiettili, esplosivo. Jenin ieri, e Jenin oggi. Oggi il governo e l'esercito hanno deciso che ormai era inevitabile quest'intervento. Le attività di Jenin rendevano letteralmente impossibile ai cittadini israeliani viaggiare nell'area, ai ragazzini aspettare l'autobus e andare a scuola. La cittadina è la santabarbara e il campo training dei terroristi più determinati; qui già nel 1935 fu ucciso dalle forze britanniche il capo islamico padre di Hamas, il guerriero Itz a din al Qassam, da cui il nome dei missili Qassam.
  Da qui sono usciti, ultimi della fila, i terroristi che hanno compiuto 50 attacchi a fuoco negli ultimi sei mesi, e un totale di 200 attacchi nell'inizio del 2022. Dal settembre dell'anno scorso 19 terroristi hanno cercato e trovato asilo a Jenin, dall'inizio dell'anno 28 israeliani fra cui donne, bambini, civili seduti al ristorante, sono stati uccisi. L'autodifesa di Israele, in un non gradito ma indispensabile tentativo di contenere la piaga, è costata la vita a 120 palestinesi, arresti e incursioni ne sono stati la causa.
  Nel frattempo c'è stata una grande iniezione di denaro e aiuti da parte dell'Iran: i finanziamenti alla Jihad Islamica e a gruppi che si riferiscono a Fatah sono aumentati. L'impegno per il terrorismo islamico antisraeliano era limitato a Gaza e agli hezbollah: adesso le migliaia di armi che sono state sequestrate a Jenin, le dozzine di congegni esplosivi di alta qualità e anche il lancio nei giorni scorsi di un missile non da Gaza ma dal territorio dell'Ap sono un segnale dell'allargarsi della minaccia all'West Bank. Jenin è la fortezza del terrorismo, ed è ormai ben organizzata, casa per casa, nascondiglio delle armi e dell'esplosivo: esistono meccanismi di allarme che avvertono in lontananza dell'arrivo dell'esercito, all'ingresso della cittadina congegni esplosivi bloccano i nemici. La Jihad islamica è rimasta il numero uno in città, come ai tempi della Seconda Intifada, mentre il 20% dei cittadini si identifica con Hamas, ed esistono anche gruppi autonomi come la Brigata Jenin che vengono esaltati e promossi grazie a video Tik Tok in cui sparano agli insediamenti e ai soldati. La scelta di ieri ha già causato promesse di vendetta oltre che alla reazione mondiale, molto consueta, di disapprovazione, che di fatto accetta la versione palestinese di un'intrusione violenta priva di significato; ma non è affatto così. Israele tenta di fare qualcosa di significativo contro un'ondata incontenibile di violenza.
  La scelta di agire è stata presa anche dopo una consultazione dieci giorni fa, con gli Usa. E prima di entrare nella cittadina un messaggio è stato diffuso. «Stiamo per entrare per effettuare arresti: state a casa e proteggete la vostra famiglia». Durante la notte scorsa le truppe israeliane hanno sequestrato addirittura missili e chiuso gallerie sotterranee ad uso bellico. Per ora quello che si vede è che nel campo minato della politica israeliana, questa impresa è l'unica cosa su cui tutte le parti sono d'accordo. Anche Yair Lapid, il grande antagonista di Netanyahu, mentre infuriano le manifestazioni contro la riforma giudiziaria, che hanno investito anche l'aeroporto Ben Gurion (l'unica porta di Israele verso l'estero) ha dichiarato il suo accordo con l'impresa di Jenin.

(il Giornale, 4 luglio 2023)


*


L’esercito israeliano è entrato a Jenin. Le ragioni di una difficile e importante operazione

di Ugo Volli

• L’operazione in corso
  La si attendeva da tempo, ora finalmente è cominciata: una grande operazione di polizia e forze militari per ripulire Jenin dalle infrastrutture del terrorismo è partita ieri e si prevede che duri per ancora un giorno o due. Davanti ai militari delle forze scelte sono entrati in città dei bulldozer per togliere dal percorso le bombe nascoste con cui i terroristi avevano provocato danni abbastanza gravi ai blindati di un’operazione più limitata di qualche giorno fa. Dall’alto l’operazione è assistita da elicotteri. L’obiettivo è eliminare depositi di armi, fabbriche di bombe, posti di coordinamento. di informazione e di arroccamento dei terroristi, di cui già diversi sono stati distrutti; ma anche neutralizzare le loro forze, che a Jenin contano parecchie centinaia di terroristi inquadrati, e soprattutto i loro capi. Si tratta di un’operazione difficile e rischiosa, che dev’essere condotta in una città di circa 40 mila abitanti dalle strade strette e tortuose, sostanzialmente priva di controllo statale. Vi sono in città numerosi poliziotti dell’Autorità Palestinese che però non rispondono se non ai capi terroristi. La popolazione sembra sostanzialmente consenziente e solidale con la lotta armata contro Israele e i terroristi si annidano nella case civili, nelle moschee e nelle scuole; ma le truppe israeliane sono impegnate ad attenersi alle leggi internazionali e fanno tutto il possibile per colpire solo i terroristi inquadrati ed armati, senza coinvolgere i civili.

• Come si è arrivati a questo punto
  Il terrorismo palestinese è in crescita continua da alcuni anni. All’inizio, tre anni fa, sembrava che ci fosse una “intifada dei coltelli”, intrapresa da “lupi solitari” con “mezzi artigianali” come le pietre, i coltelli da cucina o magari le automobili usate per investire apposta gli israeliani; poi gradualmente si è realizzato che queste operazioni non erano spontanee, ma frutto di incitamento. Dai coltelli si è passati alle bombe molotov, poi all’uso sempre più frequente delle armi da fuoco. Negli ultimi mesi, anche grazie all’effetto dell’indebolimento di Israele dovuto alle manifestazioni antigovernative e all’incitamento a rifiutare il servizio militare di riserva, sono emersi veri e propri reparti militari terroristi, bene armati anche con mitra rubati nelle basi militari israeliane e con bombe costruite su istruzioni provenienti in definitiva dall’Iran. Molti dei loro membri sono stati addestrati come “poliziotti” dall’Autorità Palestinese e magari dai suoi istruttori americani. Di recente proprio da Jenin sono stati addirittura lanciati dei razzi diretti a Gerusalemme. Questi sono caduti nei territori amministrati dall’Autorità Palestinese, ma è apparso chiarissimo il tentativo di riprodurre la dinamica delle basi terroriste che è stata sviluppata nella striscia di Gaza da Hamas, dopo il ritiro deciso da Sharon nel 2005. Non era possibile per Israele lasciar crescere un secondo bubbone terrorista e dunque si è deciso che non bastava più la tattica delle piccole operazioni di arresto notturno dei terroristi, eseguita nei mesi scorsi con grande dedizione e coraggio dalle forze speciali israeliane e che era necessaria un’operazione più vasta e radicale. Si tratta comunque di un’operazione intermedia.

• Perché Jenin
  Le basi operative della nuova ondata terroristica sono prevalentemente collocate in Samaria, per esempio a Huwara e Nablus, ma certamente l’epicentro è a Jenin, una città all’estremo nord del territorio dell’Autorità Palestinese, a una quindicina di chilometri da Afula e Beut Shean. Già durante il mandato britannico la cittadina era una roccaforte dell’estremismo; durante la guerra di Indipendenza essa ospitò i militari iracheni; poi vi fu costruito un campo profughi (che in realtà oggi è un normale quartiere di case in muratura che ospita un terzo della popolazione). Di qui partirono numerosi attacchi durante il periodo di disordini noto come “seconda intifada”: almeno 28 attentatori suicidi partirono da quel campo negli anni fra il 2000 e il 2002, con 31 attacchi che fecero più di 120 vittime. Israele fu costretto a riconquistarlo nell’aprile 2002 con una difficile campagna casa per casa, in cui furono uccisi 23 soldati israeliani e 52 terroristi. La battaglia, che durò parecchi giorni, fu anche il pretesto di una campagna internazionale di diffamazione e disinformazione, che cercò di far passere l’idea che si trattasse di una strage che aveva distrutto la città. Ora la situazione sembra in parte ripetersi ed è già cominciata una campagna di odio contro Israele.

• Ciò che è in gioco
  Come ha dichiarato il portavoce dello stato maggiore, Israele non ha assolutamente in progetto di riconquistare Jenin o di distruggere il campo da cui partono i terroristi. Israele non è interessato a governare i palestinesi, è ben contento della loro autonomia, al solo patto che essa non sia lo scudo del terrorismo. Se gli arabi che sono cittadini dell’Autorità Palestinese, e in particolare quelli di Jenin, Huwara, Nablus facessero quello che fa la popolazione di tutto il mondo, cioè lavorassero, producessero, pensassero al futuro loro e delle loro famiglie, non vi sarebbe alcun conflitto. Il problema è che ormai una quota consistente della popolazione palestinese di sesso maschile ed età giovanile si dedica non alla vita normale ma all’addestramento militare e all’attività terroristica, grazie all’incitamento continuo dei media e della scuola dell’Autorità Palestinese e ai finanziamenti e agli armamenti iraniani, spesso canalizzati da Hamas. Lo Stato di Israele vuole solo che la violenza cessi e ha il compito istituzionale di difendere i propri cittadini. Vuol farlo, per ovvie ragioni giuridiche, diplomatiche, militari ed economiche, col minimo dispendio di violenza e di vite umane. Questa è la linea seguita anche in questa operazione. Essa sarà una vittoria non in dipendenza del numero di terroristi uccisi e catturati, ma della calma che sarà raggiunta. Naturalmente l’interesse di Hamas, della Jihad islamica, di Fatah (e sullo sfondo dell’Iran) è l’opposto: la guerra, l’agitazione, l’insicurezza di Israele. Per questo dobbiamo aspettarci nuovi interventi terroristici, razzi da Gaza e dal nord di Israele, martellamento propagandistico. Ma la lucidità e la forza dell’esercito e del governo di Israele guidato da un esperto come Netanyahu sapranno prevalere su questi tentativi di rilancio.

(Shalom, 4 luglio 2023)


*


Per Iran ed Hezbollah l’operazione israeliana di Jenin è una fortuna

di Seth J. Frantzman 

L’Iran ha cercato di potenziare la Jihad islamica palestinese in Cisgiordania per creare maggiori tensioni con Israele avvicinandosi a Gerusalemme e nel contempo trarne benefici nella regione attraverso le iniziative diplomatiche in vari Paesi.
  Nell’ultimo anno, ha cercato sempre più di fornire armi alle organizzazioni terroristiche in Cisgiordania e spera che il gruppo della Jihad Islamica Palestinese (PIJ) possa ritagliarsi una zona di controllo che minacci Israele.
  Le attività dei gruppi sostenuti dall’Iran, come PIJ e Hamas, sono vantaggiose per l’Iran perché danno a Teheran un modo per aumentare la sua “unità” di fronti contro Israele.
  Ciò significa che può aggiungere Jenin ad altre aree, come Gaza, il Libano meridionale e la zona di confine del Golan, dove l’Iran svolge attività e sostiene minacce.
  Nella visione a lungo termine, Teheran potrebbe credere di poter creare a Jenin condizioni simili a quelle che ha creato nel Libano meridionale e poi a Gaza negli anni ’90 e nei primi anni 2000. Per ora Teheran e Hezbollah sembrano monitorare la situazione.
  L’unificazione dei fronti, un concetto che l’Iran ha menzionato negli ultimi mesi, è un modo in cui l’Iran trae vantaggio. Ciò significa riunire le minacce di Hamas, Hezbollah, PIJ e altri in vari luoghi. Tuttavia, se i suoi tentacoli in Cisgiordania vengono ridotti, potrebbe perdere uno di questi fronti. In ogni caso, l’Iran probabilmente calcola che il beneficio valga il rischio.
  Ad esempio, l’obiettivo è quello di insediarsi tra i civili e aumentare il rischio per le operazioni israeliane. Ciò significa anche che l’Iran può far leva su questo per scopi diplomatici. L’Iran gestisce una rete diplomatica nel Golfo e spera che queste tensioni possano danneggiare i legami di Israele con il Golfo. L’Iran lo dice apertamente, e articoli recenti suggeriscono che spera di poter unire i Paesi musulmani contro Israele.

• L’Iran cerca di utilizzare nuove tattiche
  Dopo aver visto per anni droni e missili abbattuti dalle difese israeliane, l’Iran ha cercato di far utilizzare alle sue forze per procura, come la PIJ, ordigni esplosivi. La prefigurazione di ciò si è avuta a marzo con un incidente nei pressi dello svincolo di Megiddo.
  Nei propri media, l’Iran è stato un po’ circospetto sull’operazione di Jenin. L’Iran non si sta ancora vantando. Sta monitorando l’operazione israeliana e questo potrebbe far pensare che sia stato colto di sorpresa. I proxy iraniani della Jihad islamica vogliono chiaramente affermare di non essere stati colti di sorpresa e i media iraniani pro-regime come Tasnim li supportano in questo.
  L’Iran ha anche visto come la Jihad islamica sia generalmente isolata. Israele ha lanciato Shield and Arrow a maggio contro la PIJ a Gaza senza che però Hamas intervenisse. L’Iran ha spesso cercato di dettare il ritmo delle minacce a Israele senza per ora riuscirci.
  Tuttavia si può pensare anche che l’Iran intenda muoversi lentamente, come fa di solito nella regione. Ciò significa una combinazione della strategia iraniana a forma di piovra in tutta la regione, con una sorta di tentativo di circondare Israele con le sue minacce.
  L’Iran combina tutto ciò con i suoi successi diplomatici nelle relazioni con l’Arabia Saudita, con l’avvicinamento all’Egitto e al Golfo, nonché con i suoi legami strategici con la Russia e con la Cina. L’Iran si vanta apertamente di questi legami. Ecco perché deve soppesare i suoi legami diplomatici con la sua risposta a quanto sta accadendo a Jenin.
  Nel frattempo Hezbollah, libero da vincoli diplomatici, ha minacciato Israele sulla scia dell’operazione di Jenin, affermando nel notiziario iraniano Tasnim News che Israele “si pentirà” dell’operazione. L’Iran vuole sottolineare, attraverso i suoi media e altri media filo-iraniani come Al-Mayadeen, che Israele è stato condannato nella regione e che Jenin continuerà a “resistere” e a essere un “grattacapo” per Israele. Mentre i media filo-iraniani possono sottolineare le possibilità che questa operazione possa “infiammare” Gaza, l’altro contesto è che l’Iran sta monitorando.
  L’Iran ha la motivazione di creare una crisi in Cisgiordania. Cerca di portare armi e denaro per sostenere la Jihad islamica. La Guida Suprema dell’Iran ha recentemente ospitato a Teheran i leader della Jihad islamica. Il contesto, quindi, è che l’Iran conosce molto bene la situazione attuale. Cerca di far percolare lentamente la Jihad islamica per creare tensioni.
  Allo stesso tempo, vede dei vantaggi nella regione, utilizzando un gruppo per procura relativamente piccolo per creare cicli praticamente mensili di conflitto di basso livello con Israele. Poi misura questo conflitto per vedere se è vantaggioso. Il regime iraniano sostiene di trarne beneficio. Vorrebbe spostare l’attenzione di Israele più vicino alla Cisgiordania, e quindi lontano dalla regione in generale.
  In sostanza, l’Iran vorrebbe riportare indietro le lancette dell’orologio all’anno 2000, all’incirca all’epoca della Seconda Intifada, quando Israele aveva lasciato il Libano e l’Iran stava per mettere Hezbollah sotto steroidi. L’Iran ne ha approfittato per portare alla guerra del 2006 e il ritiro di Israele da Gaza ha portato al conflitto del 2008-2009 a Gaza. L’Iran ha poi cercato di mettere sotto steroidi anche Hamas con tecnologia missilistica e altro supporto.
  Ora l’Iran potrebbe pensare di avere una ricetta simile per la Cisgiordania. 

(Rights Reporter, 4 luglio 2023)

........................................................


Al via i JCC Maccabi Games a Haifa, il più grande evento sportivo giovanile ebraico al mondo

di David Fiorentini

FOTO
Più di mille atleti adolescenti ebrei da tutto il globo si riuniranno a Haifa per partecipare ai JCC Maccabi Games, il più grande evento sportivo giovanile ebraico al mondo. Un evento mirato a rafforzare il legame con le rispettive comunità e con Israele attraverso lo sport.
  La competizione annuale, mirata a rafforzare il legame tra la diaspora e Israele tramite lo sport, torna nello Stato ebraico per la prima volta in oltre un decennio e solo per la seconda volta nella sua storia quarantennale, in occasione del 75º anniversario di Israele.
  Solitamente, i giochi si svolgono in Nord America e coinvolgono principalmente delegazioni da USA, Canada e Messico, oltre a un piccolo numero di delegazioni dal resto del mondo.
  Quest’anno, invece, saranno 74 le delegazioni partecipanti, che rappresenteranno 10 paesi. Tra questi, un gruppo di ragazzi dall’Ucraina e, per la prima volta, sull’onda degli Accordi di Abramo, anche dal Marocco.
  “I JCC Maccabi Games ci uniscono attraverso la competizione, la forza di volontà e un profondo incontro con il più ampio mondo ebraico”, afferma Doron Krakow, presidente e CEO della JCC Association. “Tornare in Israele come parte della celebrazione del 75º anniversario del paese e del perpetuo compimento del sogno del movimento sionista moderno è motivo di enorme orgoglio per tutti noi.”
  Parole di grande soddisfazione, a cui fanno eco quelle del CEO di Maccabi Israele, Naor Galili, che sottolinea il grande momento per lo sport ebraico: “Maccabi Israele è orgoglioso di essere partner nelle attività internazionali della Maccabi World Union e della JCC Association. Oltre ai JCC Maccabi Games qui in Israele, che includeranno circa 300 atleti israeliani, circa 200 atleti israeliani rappresenteranno il nostro paese ai Giochi Panamericani Maccabi a Buenos Aires, in Argentina, mentre 40 atleti gareggeranno per Israele ai JCC Maccabi Games a Fort Lauderdale, in Florida, più avanti questa estate. Maccabi Israele è onorato di far parte della famiglia Maccabi globale e continueremo a partecipare a tutti gli eventi Maccabi, per il bene dell’ebraismo e per la celebrazione dello Stato di Israele nel mondo.”
  Infine, durante la Cerimonia di Apertura, come da consuetudine fin dalle prime edizioni del torneo più di quarant’anni fa, saranno onorate e ricordate le vittime del massacro di Monaco ‘72 in un commovente tributo.

(Bet Magazine Mosaico, 4 luglio 2023)

........................................................


Apre in Canada il Museo dell’Olocausto di Toronto per combattere l’antisemitismo

di Niccolò Lucarelli

Il Toronto Holocaust Museum
Inaugurato lo scorso 9 giugno 2023, il Toronto Holocaust Museum nasce per volontà della Azrieli Foudnation, che ha stanziato 12 milioni di dollari. Da parte sua, il governo canadese ha donato 2.522.558 dollari allo United Jewish Appeal of Greater Toronto per finanziare il Museo dell’Olocausto di Toronto. “Il nostro governo sta dalla parte delle comunità ebraiche in Canada e in tutto il mondo”, ha dichiarato Pablo Rodriguez, ministro del patrimonio canadese. “Ci impegniamo a sostenere i valori della diversità e dell’inclusione, nonché a combattere l’antisemitismo e la discriminazione in tutte le sue forme. Siamo orgogliosi di sostenere l’Appello Ebraico Unito del nuovo museo della Grande Toronto, che promuoverà l’educazione all’Olocausto, combatterà l’antisemitismo e contribuirà a costruire un Canada più inclusivo”.

• IL TORONTO HOLOCAUST MUSEUM
   I metodi di educazione sulla tragedia dell’Olocausto stanno cambiando e stiamo intraprendendo azioni coraggiose per affrontare le sfide del XXI Secolo, utilizzando gli strumenti che la tecnologia più avanzata ci mette a disposizione, e siamo orgogliosi di essere i principali donatori per il Toronto Holocaust Museum, offrendo ai canadesi un nuovo programma visionario”, ha dichiarato Naomi Azrieli, CEO della Azrieli Foundation. Il Museo è un’emanazione del Sarah and Chaim Neuberger Holocaust Education Centre, fondato 36 anni fa con la missione assicurare che le testimonianze e l’eredità morale dei sopravvissuti non vengano mai dimenticate. L’edificio di 1.000 metri quadrati presenta una tecnologia all’avanguardia e approcci innovativi all’educazione sull’Olocausto, e stimola i visitatori a guardare alla Shoah in maniera critica e a stabilire collegamenti fra questa, l’antisemitismo contemporaneo, gli eventi mondiali e il Canada di oggi. “Il museo è un ambiente tecnologicamente immersivo; quindi ci sono 11 postazioni video di testimonianze, in modo da poter ascoltare direttamente la voce dei sopravvissuti. Ci sono anche mappe geografiche interattive per spiegare al pubblico quanti ebrei in quanti Paesi hanno subito l’Olocausto”, ha spiegato Dara Solomon, direttrice del Museo.

• IL RITORNO DELL’ANTISEMITISMO IN CANADA
  Purtroppo molti canadesi hanno una conoscenza molto limitata della tragedia dell’Olocausto. La Azrieli Foundation, un’organizzazione senza scopo di lucro che lavora alla sensibilizzazione in materia, in collaborazione con la Conference on Jewish Material Claims Against Germany, ha commissionato nel 2018 uno studio a livello nazionale, da cui è emerso che il 22% delle persone fra i 18 e i 34 anni non avevano sentito parlare del genocidio e più della metà degli intervistati non conosceva l’entità di quanto accaduto o quanti ebrei furono uccisi. E ancora, la deputazione canadese della loggia internazionale ebraica B’nai Brith ha documentato nel 2022 un aumento del 733% degli atti di violenza contro cittadini canadesi di religione ebraica, con una media di otto casi segnalati ogni giorno. A questi atti incivili si aggiungono i commenti razzisti che appaiono sul web, compresi quelli esternati dal rapper Kanye West; parole che spingono i leader della comunità ebraica canadese a chiedere un miglioramento nell’educazione contro l’odio e la discriminazione nei confronti degli ebrei. Alla luce di questa sconfortante situazione, il museo è quindi uno strumento molto prezioso per combattere il ritorno dell’antisemitismo.

(Artribune, 4 luglio 2023)

........................................................


Israele. Ricercatori sviluppano un nuovo metodo per indurre le cellule tumorali a “suicidarsi”

I ricercatori israeliani hanno sviluppato un metodo che fa sì che le cellule tumorali producano tossine e quindi “suicidino”. E’ quanto si legge in una nota dell’Università di Tel Aviv (TAU) nel centro di Israele.
  In uno studio pubblicato sulla rivista Theranostics, i ricercatori della TAU “per la prima volta al mondo” hanno codificato una tossina prodotta dai batteri in molecole di RNA messaggero (mRNA) e hanno consegnato queste particelle direttamente alle cellule tumorali, afferma la dichiarazione.
  Di conseguenza, le cellule tumorali hanno prodotto la stessa tossina come se fossero i batteri stessi e, alla fine, la tossina autoprodotta uccide le cellule tumorali con una percentuale di successo fino al 60%.
  L’idea era di fornire molecole di mRNA sicure codificate per una tossina batterica direttamente alle cellule tumorali, a differenza dei trattamenti chemioterapici, che non sono selettivi e uccidono anche le cellule sane.
  Negli esperimenti, il team ha prima codificato le informazioni genetiche della proteina tossica prodotta dai batteri pseudomonas in molecole di mRNA.
  Queste molecole sono state quindi confezionate in nanoparticelle lipidiche e rivestite con anticorpi per garantire che le istruzioni della “ricetta” per produrre la tossina raggiungessero le cellule tumorali.
  Le particelle sono state iniettate nei tumori di topi con cancro della pelle al melanoma e, dopo un’iniezione, dal 44 al 60 percento delle cellule tumorali sono scomparse.
  I ricercatori hanno notato che il nuovo metodo può essere utilizzato con molti batteri anaerobici che secernono tossine, in particolare quelli che vivono nel terreno, e può trattare molti tipi di cancro.
  Inoltre, le cellule tumorali non possono sviluppare resistenza al metodo come spesso accade con la chemioterapia perché è sempre possibile utilizzare una tossina naturale diversa, hanno concluso.

(Agenpress, 4 luglio 2023)

........................................................


Le isole Fiji apriranno per la prima volta un’ambasciata in Israele

di David Fiorentini

FOTO
Per la prima volta nella loro storia, le isole Fiji apriranno un’ambasciata in Israele, diventando la 98ª nazione a farlo.
  La decisione del governo fijiano, che ha riscosso un ampio sostegno politico, mira a mantenere e migliorare le relazioni con Israele. Finora, come afferma il Primo Ministro Sitiveni Rabuka, Fiji ha mantenuto “relazioni amichevoli con lo Stato di Israele, attraverso la cooperazione bilaterale in materia di pace e sicurezza, nonché in settori come l’agricoltura”. Per questo motivo, sulla scia di questi ottimi presupposti, è finalmente arrivato il momento per compiere un passo così significativo.
  “Congratulazioni al governo di Fiji per l’importante decisione che rafforzerà e approfondirà le relazioni tra i due paesi”, ha esordito a JNS il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen. “Fiji ha dimostrato negli ultimi anni di essere un vero amico di Israele anche nell’arena internazionale. L’apertura dell’ambasciata di Fiji ci avvicina all’obiettivo che ci siamo posti di avere 100 ambasciate in Israele”.
  Questa notizia segue l’annuncio di Papua Nuova Guinea a febbraio della sua intenzione di aprire un’ambasciata a Gerusalemme. Il processo dovrebbe iniziare già nei prossimi mesi, a partire dall’annuncio delle nuove manovre incluse nel bilancio nazionale 2023-2024.

(Bet Magazine Mosaico, 3 luglio 2023)

........................................................


Cisgiordania, Israele conduce la più grande operazione contro il terrorismo palestinese: uccisi 7 sospetti

Jenin è uno dei fortini del terrore palestinese, per lungo tempo sfuggito al controllo delle Forze di Difesa israeliane. Con dieci attacchi aerei e oltre mille unità di terra dispiegate in tutta la città Israele ha portato a termine la più grande operazione anti-terrorismo in Palestina.

di Diego Demurtas

Le Forze di Difesa israeliane hanno portato a termine, questa notte e nelle prime ore del mattino, una maxi-operazione in cui sono stati uccisi 7 sospetti terroristi palestinesi a Jenin. L’intervento dei militari sarebbe il più grande dalla Seconda Intifada: dieci attacchi aerei e forze di terra dispiegate in tutta la città della Cisgiordania settentrionale. Il portavoce del Comando militare, Daniel Hagari, ha dichiarato di recente che le operazioni si starebbero concentrando a Jenin, ma c’è un’alta probabilità che vengano espanse alla Samaria, terra rivendicata da Israele. La regione sta subendo un’escalation di violenze da mesi, alimentate dalla morte di alcuni jiadhisti e dall’edificazione di un villaggio israeliano nel West Bank occupato.

• L’operazione
  Finora i sospetti terroristi uccisi sarebbero 7, mentre i feriti sarebbero dozzine. Un militare israeliano è stato ferito e trasportato urgentemente in ospedale. L’obiettivo delle Forze di Difesa sarebbe quello di sradicare le cellule del terrore a Jenin. Come riportato da The Jerusalem Post, Daniel Hagari aveva ipotizzato un’operazione su vasta scala e distribuita su più giorni, se non settimane. I soldati israeliani hanno trovato e confiscato un lanciarazzi e distrutto un complesso identificato come laboratorio di produzione e stoccaggio di esplosivi. L’IDF di Tel Aviv ha chiarito che le operazioni non sono rivolte contro l’Autorità Palestinese ma contro i gruppi terroristici che stanziano e operano da Jenin e dalla Cisgiordania settentrionale. Sui social sono circolate notizie circa un attacco israeliano al Freedom Theatre di Jenin. Il portavoce arabo dell’IDF, Avichay Adraee, ha smentito su Twitter la notizia pubblicando un video dove si può vedere l’edificio inquadrato dall’alto e non colpito dai militari israeliani.

• Jenin: roccaforte del terrore palestinese
  Jenin è uno dei fortini del terrore palestinese, per lungo tempo sfuggita al controllo delle Forze di Difesa israeliane. Negli ultimi mesi c’è stata una violenta escalation di scontri tra ebrei e palestinesi. Nella città troverebbero sede i gruppi di Hamas, della Jihad islamica, la Fossa dei Leoni, il Fronte popolare per la Palestina e simili. Secondo quanto dichiarato da Hagari, le operazioni dell’IDF sarebbero concentrate sull’eliminazione degli apparati terroristici che piano piano sono cresciuti a Jenin e andati fuori controllo. Sarebbero almeno 50 gli attentati partiti da gruppi con sede a Jenin. Secondo le stime delle autorità israeliane, il 25% della popolazione che risiede in città si identifica nella Jihad islamica, il 20% con Hamas. Dei 49mila residenti, 18mila stanziano nel campo profughi alla periferia della città, raggiunto da mille unità dell’IDF durante l’operazione di questa notte.

• Autorità Palestinese: “Il raid di Jenin non fermerà il terrore”
  Il portavoce dell’Autorità Palestinese, Abu Rudaineh, ha dichiarato che l’intervento israeliano non raggiungerà l’obiettivo sperato. “I gruppi non si arrenderanno e rimarranno su questa terra per affrontare l’aggressione“, sono le parole di Rudaineh riportate dai media locali. “Si tratta di un nuovo crimine contro il nostro popolo“, ha poi aggiunto il portavoce. Secondo alcune fonti di The Jerusalem Post, la Repubblica islamica dell’Iran avrebbe agenti in Cisgiordania incaricati di fornire supporto militare a diverse cellule, in particolare quelle stanziate a Jenin e Nablus.

(il Quotidiano Italiano, 3 luglio 2023)


*


Israele, perché l’operazione a Jenin risolve il problema solo temporaneamente

di Avi Issacharoff

È molto improbabile che l’offensiva antiterrorismo dell’IDF a Jenin di lunedì fornisca una risposta necessaria alla recrudescenza della violenza nel nord della Cisgiordania e probabilmente agirà solo come una soluzione temporanea.
  Per ripulire l’area dalle cellule terroristiche servirebbero settimane o mesi nel migliore dei casi, ma senza che l’Autorità Palestinese intervenga per assumersi la responsabilità, tra non molto Israele potrebbe trovarsi a lanciare un’altra operazione.
  Questo è il nocciolo del problema per le forze di sicurezza, un problema che cresce di giorno in giorno. L’Autorità palestinese è assente nell’area. Non può e non vuole essere responsabile degli eventi in essa, permettendo all’Iran e ai suoi proxy di intervenire per riempire il vuoto.
  Non si tratta più del noto standard operativo iraniano che limita il suo coinvolgimento al finanziamento dei militanti locali. L’Iran ha fornito finanziamenti ai gruppi terroristici palestinesi fin dalla fondazione della Jihad islamica palestinese e poi delle organizzazioni terroristiche di Hamas. Teheran ha saputo rifornire questi gruppi di denaro e spesso ha fornito addestramento ai loro membri, al fine di sostenere gli attacchi contro Israele.
  Ma negli ultimi mesi c’è stato un cambiamento. L’Iran ha deciso di aumentare la pressione su Israele, forse in risposta alle presunte operazioni israeliane sul suolo iraniano e agli attacchi contro obiettivi iraniani in Siria.
  Teheran ha visto che solo uno sforzo concentrato per lanciare attacchi terroristici contro gli israeliani può portare a un cambiamento, al contrario degli attacchi terroristici internazionali che si traducono solo in titoli di giornale, e ha quindi optato per un’offensiva.
  Negli ultimi mesi sono stati evidenti i segni sul terreno che indicano il coinvolgimento iraniano in attacchi terroristici volti a destabilizzare la Cisgiordania. Non c’è un unico comandante in questo sforzo, a differenza di quanto accadeva in passato quando la forza Quds del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane aveva preso il comando delle operazioni palestinesi. Ora più organizzazioni iraniane si contendono il primato, fornendo fondi, ma anche armi ed esplosivi, nonché intelligence e tecnologia.
  Per lo più vengono contrabbandati attraverso il confine tra Libano e Israele, grazie a trafficanti di droga che nascondono materiale esplosivo tra i loro prodotti. A volte vengono effettuate operazioni di contrabbando più consistenti.
  Il contrabbando è avvenuto anche attraverso il confine siriano con Israele, ma le misure di sicurezza dell’IDF sono più difficili da aggirare, poiché i civili si avvicinano raramente alla frontiera e l’esercito siriano ha finora evitato di fornire assistenza a tali sforzi, probabilmente comprendendo la potenziale risposta israeliana.
  Recentemente sono stati compiuti tentativi di contrabbando attraverso il confine giordano, principalmente dove si incontrano i confini di Israele, Giordania e Siria. Un agente iraniano che non riesce a trasportare armi attraverso il Libano può tentare la sorte in Siria e, se anche questo fallisce, può tentare anche il confine giordano.
  I funzionari di sicurezza israeliani temono che i droni possano essere utilizzati per contrabbandare armi in Cisgiordania. Questo sarebbe un metodo poco costoso, ma comporterebbe solo piccole spedizioni di armi, anche se letali, a causa delle restrizioni per il peso.
  L’ordigno esplosivo fatto esplodere vicino a Meggido lo scorso marzo è stato realizzato con la piena consapevolezza del gruppo terroristico Hezbollah, sostenuto dall’Iran, in Libano e, secondo i funzionari, è stato approvato dallo stesso leader di Hezbollah Hassan Nasrallah.
  Sebbene si tratti di un apparente sviluppo degli sforzi per attaccare gli israeliani, i funzionari hanno affermato che Nasrallah non è interessato a una guerra totale con Israele. La sua idea è piuttosto che un ordigno esplosivo sul ciglio della strada in Israele non provocherebbe un’offensiva israeliana e che, se questa venisse lanciata, sarebbe limitata a un certo numero di giorni, data la sua capacità di colpire efficacemente il fronte interno di Israele con i suoi missili. Spera inoltre che, poiché la missione è stata affidata a un terrorista palestinese, Israele non sia in grado di risalire a lui.
  Perché Nasrallah ha approvato l’operazione, tanto per cominciare? La risposta è la sua probabile capitolazione alle pressioni iraniane per unirsi agli sforzi nella lotta contro Israele.
  Anche quella che è stata considerata la recente provocazione di Hezbollah, l’installazione di tende in territorio israeliano, sembra essere un fallimento. Probabilmente non si è trattato di un’operazione pianificata a Beirut, ma piuttosto di un errore di localizzazione sul terreno che sia Israele che il Libano hanno cercato di risolvere pacificamente.
  Ora, l’arena palestinese intorno a noi è diventata il terreno di gioco preferito dell’Iran. Finché l’Autorità palestinese rimarrà assente a Jenin, Nablus e simili e finché Israele eviterà di prendere il controllo di quelle aree in modo permanente, potrebbe non esserci una soluzione a lungo termine alle sfide di sicurezza in quelle zone.

(Rights Reporter, 3 luglio 2023)

........................................................


Ecco come Israele espanderà la flotta di F-35

Israele acquisterà altri aerei da combattimento F-35 dagli Stati Uniti. Gerusalemme ha già effettuato ordini per 50 jet, di cui 36 operativi. Il nuovo ordine espande la flotta del 50% e comporterà la creazione di un terzo squadrone di F-35. 

di Chiara Rossi

Gerusalemme ha dato il via libera all’acquisto di 25 caccia multiruolo F-35 dagli Stati Uniti con un accordo del valore di circa tre miliardi di dollari. Lo ha annunciato il ministero della Difesa israeliano in un comunicato, spiegando che il ministro Yoav Gallant ha approvato la raccomandazione proposta dal capo di Stato maggiore delle Forze di difesa israeliane, generale Herzi Halevi, dal direttore generale del ministero, Eyal Zamir, e dal capo dell’Aeronautica militare, Tomer Bar.
  Prodotto dalla Lockheed Martin Corp, l’F-35 è il caccia di quinta generazione Jsf che Israele ha adottato nella versione personalizzata “Adir”. Il paese è anche l’unico del Medio Oriente a farli volare. L’acquisto da 3 miliardi di dollari, che porta la flotta israeliana di jet F-35 da 50 a 75, dovrebbe essere finalizzato nei prossimi mesi, ha affermato il ministero.
  Gli ultimi tre cacciabombardieri con caratteristiche stealth F-35i “Adir” sono atterrati proprio lo scorso novembre alla base aerea di Nevatim, nel Negev. Gli aerei sono entrati a far parte dello squadrone “Golden Eagle.

(Start Magazine, 3 luglio 2023)

........................................................


La metropolitana leggera di Tel Aviv sarà inaugurata questo mese

FOTO
Dopo anni di ritardi, la prima linea della metropolitana leggera di Tel Aviv dovrebbe entrare in funzione entro la fine del mese, ha annunciato ieri il Ministero dei Trasporti.
  La linea rossa, lunga 24 km. collega la città costiera di Bat Yam, appena a sud di Tel Aviv, con Petach Tikvah, a est di Tel Aviv, ha ottenuto il via libera dopo che sono state concesse tutte le autorizzazioni di sicurezza in sospeso. Originariamente previsto per l’inizio dell’attività quasi due anni fa, il progetto da quasi 19 miliardi di NIS (5 miliardi di dollari) è stato ripetutamente ostacolato da malfunzionamenti, tra cui, in modo particolare, quello della segnaletica e della frenatura di emergenza.
  La linea comprende 33 stazioni e va da Bat Yam attraverso Jaffa, Tel Aviv, Bnei Brak e Ramat Gan fino a Petah Tikvah in entrambe le direzioni. Metà del percorso passa attraverso un tunnel sotterraneo. “Sono lieta che presto ci sarà un primo passo per risolvere la congestione di Tel Aviv, quando la linea rossa circolerà “, ha dichiarato il Ministro dei Trasporti Miri Regev in una dichiarazione scritta rilasciata dalla Repubblica di Georgia, dove si trova in visita ufficiale. “Se non ci saranno problemi particolari, presto i cittadini di Israele potranno usufruire della linea”.
  Ha aggiunto che altre due linee di metropolitana leggera sono in costruzione. L’inaugurazione della linea rossa dovrebbe includere un periodo di libera circolazione, anche se la durata del periodo è ancora in discussione. Regev è stata ripetutamente messa sotto accusa per i ritardi nell’avvio del programma di trasporto di punta della città, noto in ebraico come Dankal: la data di inizio annunciata in precedenza, poco dopo il Giorno dell’Indipendenza a fine aprile, è passata senza che la linea fosse in funzione.
  Il treno è stato sottoposto a corse di prova senza passeggeri per mesi, con le festività nazionali e musulmane di primavera che hanno aumentato i ritardi, frustrando i residenti di Tel Aviv che spesso lo guardano passare mentre erano bloccati nel traffico della città congestionata. La prima gara d’appalto per la linea ferroviaria è stata pubblicata quasi due decenni fa, mentre il Primo Ministro Golda Meir ha ventilato l’idea di una linea metropolitana per Tel Aviv mezzo secolo fa.

(Israele 360°, 3 luglio 2023)

........................................................


La nazionale israeliana U21 è nella storia: semifinalista agli europei e qualificata alle Olimpiadi di Parigi

di Luca Spizzichino

FOTO
La nazionale di calcio israeliana continua a far sognare. Dopo essersi classificata terza ai Mondiali Under 20, che si sono tenuti in Argentina, la nazionale Under 21, guidata dal commissario tecnico Guy Luzon, vuole scrivere anche lei la storia cercando di raggiungere la finale agli Europei di categoria, che si stanno giocando in Georgia e Romania.
  Per farlo dovrà battere mercoledì alle 18 la nazionale inglese, che ha battuto ai quarti di finale il Portogallo. Un risultato, quest’ultimo, che ha permesso ad Israele di qualificarsi direttamente alle Olimpiadi di Parigi nel 2024. L’ultima apparizione risale a 46 anni fa, alle Olimpiadi di Montreal del 1976.
  Israele ha raggiunto questi storici traguardi dopo aver battuto la Georgia alla lotteria dei calci di rigore, dove ad essere decisivo è stato il portiere Daniel Peretz, eletto uomo del match. Il portiere del Maccabi Tel Aviv ha neutralizzato gli attacchi georgiani nel corso dei 120 minuti regolamentari ed ha parato uno dei due rigori sbagliati dai padroni di casa.
  “È in questi momenti che bisogna mostrare fiducia, impegno e sicurezza nei propri mezzi. E noi abbiamo dimostrato di avere tutto questo, soprattutto con le nostre qualità nel primo tempo e con il carattere nel secondo tempo. – le parole a fine gara del ct Luzon – Credo che ci siamo guadagnati il diritto di essere qui e sono molto orgoglioso della mia squadra”.
  “Congratulazioni per l’incredibile vittoria!” il messaggio del presidente d’Israele Isaac Herzog, che si è complimentato per la “determinazione e la forza di volontà” dimostrata dai giovani giocatori.

(Shalom, 3 luglio 2023)


*


Talenti ebrei e gol arabi, Israele brilla: è già ai Giochi

Dopo la semifinale ai Mondiali Under 20 la nazionale sotto la Stella di David tra le migliori quattro anche all’Europeo Under 21, risultato che vale la qualificazione alle Olimpiadi del prossimo anno.

di Franco Vanni

Israele è una fabbrica di giovani talenti del pallone. Se ne sta accorgendo tutto il mondo e soprattutto l’Europa, di cui lo Stato fa parte dal punto di vista calcistico, tanto nelle competizioni per club quanto in quelle fra nazionali. In meno di un mese, ha raggiunto la semifinale del Mondiale Under 20, vincendo poi la finalina per il terzo posto contro la Corea del Sud e ora è in semifinale anche all’Europeo Under 21. Dove, dopo avere eliminato la Georgia, incontrerà l’Inghilterra. E proprio grazie alla vittoria degli inglesi con il Portogallo, la nazionale sotto la Stella di David ha la certezza di partecipare alle prossime Olimpiadi, come non succedeva dal 1976, quando a Montréal arrivò ai quarti. Stesso piazzamento ottenne nel 1968, a Città del Messico.
  A far parlare in Israele è soprattutto l’Under 20, amatissima, ma oggetto della polemica dell’estrema destra, per la presenza e il ruolo dei calciatori arabo-israeliani. Una circostanza che l’allenatore Ofir Haim sottolinea invece con orgoglio, ripetendo di volere «unire questo meraviglioso Paese». Lo ha detto anche dopo avere battuto il Brasile ai quarti. Decisivi, nella storica vittoria per 3-2 in rimonta, sono stati i gol di Anan Khalaili e Hamza Shibli, che hanno festeggiato prostrandosi nel rito islamico del Ringraziamento.
  Se il calcio giovanile in Israele è arrivato a questo punto, è soprattutto grazie agli investimenti nei vivai fatti nell’ultimo decennio dai club più ricchi: Maccabi Haifa, Hapoel Be’er Sheva e Maccabi Tel Aviv. A sentire i dirigenti, il riferimento è sempre quello: «Guardiamo alla Premier League». Vale per gli stadi di proprietà come per i moderni centri di allenamento. Ma basterà a riportare la nazionale maggiore ai fasti del 1970, quando per la prima e unica volta riuscì a qualificarsi a un Mondiale? Intervistato dalla radio pubblica tedesca "Deutsche Welle”, Iddo Nevo, ricercatore in Storia dello Sport all’Università ebraica di Gerusalemme, gela gli animi: «È bello avere squadre giovanili di successo, ma il livello del calcio israeliano resta mediocre. Se più ragazzini cominceranno a giocare, gli effetti li vedremo fra 20 anni, non ora».

(la Repubblica, 3 luglio 2023)

........................................................



Il Grande Sconosciuto

Anche nel mondo cristiano, il nostro Signore Gesù Cristo è ancora il Grande Sconosciuto.

di Wilm Malgo (1922-1992)

I discepoli spesso reagivano in modo incosciente al Signore, ai suoi fini e alle sue modalità. Una volta il Signore chiese: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo!» (Giovanni 14:9). Notiamo questa incomprensione anche tra i discepoli di Gesù oggi.
  Persino Israele non ha compreso il Signore nel periodo in cui ha camminato su questa terra.

    «Poi Gesù, giunto nei dintorni di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «Chi dice la gente che sia il Figlio dell'uomo?» Essi risposero: «Alcuni dicono Giovanni il battista; altri, Elia; altri, Geremia o uno dei profeti». Ed egli disse loro: «E voi, chi dite che io sia?» Simon Pietro rispose: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Gesù, replicando, disse: «Tu sei beato, Simone, figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli» (Matteo 16: 13-17).

Detto questo, lo stesso Pietro che qualche tempo dopo, quella notte in quel fatidico episodio del rinnegamento, alla domanda se egli appartenesse a Gesù rispose: «Non conosco quell'uomo di cui parlate» (Marco 14: 71).
  Pietro conosceva il Signore, ma intimamente non lo conosceva davvero, altrimenti non avrebbe potuto rinnegarlo.
  Anche noi possiamo rinnegarLo con il nostro atteggiamento, mostrando incomprensione verso i suoi insegnamenti. Ma poiché Gesù Cristo è il Figlio diletto di Dio, è anche la rivelazione dell'amore di Dio stesso; infatti: Dio è amore. Pertanto, la conoscenza e l'amore di Cristo Gesù sono qualcosa di più importante nella vita di un credente. Paolo ha pregato a questo proposito e noi siamo in grado di comprendere «con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità dell'amore di Cristo e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio»  (Efesini 3: 18-19).
  Pochi credenti sono immersi nella pienezza di Dio, e questo avviene perché non crescono nella conoscenza dell'amore di Cristo. Il vero progresso cristiano consiste nella crescita e nella realizzazione del Suo amore. Il processo impone l'abnegazione.
  Più rinnego me stesso approvando la persona di Gesù Cristo, più realizzo con crescente stupore chi, cosa e come Lui è.

    «Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Matteo 16:24).

Il Signore ci dice: "Se vuoi essere mio discepolo, devi cedere il diritto su te stesso". Se eseguiamo questo trasferimento di diritto, non avremo più la presunzione di riuscire da soli ad avere cura, in modo prioritario, delle nostre condizioni di vita, perché se non lo facciamo, questo bloccherà il nostro rapporto con Gesù. Lui non deve essere solo abbastanza per noi, Lui deve essere tutto!
  Chiunque lo riconosca in modo sempre più profondo sarà disponubile a rinnegare Se stesso.
  Molti credenti si chiedono: "Come posso essere fedele al Signore Gesù Cristo e allo stesso tempo vivere ancora nel mondo?”.
  Colui che conosce Gesù realmente si domanda invece: "Come posso separarmi dal mondo per servirlo ancora meglio?" E' una questione di conoscenza. Chi lo conosce brucia per Lui. Chi lo conosce è dominato da una passione e si chiede continuamente: "Come posso servire meglio il mio Salvatore?" Semplicemente segue Gesù! Nessuno si illuda di poter seguire Gesù con riserve e restrizioni. A quelli che erano entusiasti di Lui, il nostro Signore disse in modo sobrio:

    «E chi non porta la sua croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo» (Luca 14:27).

Ha detto alla gente di calcolare i costi e per fare ciò ha usato l'immagine di colui che costruisce:

    «Chi di voi, infatti, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolare la spesa per vedere se ha abbastanza per poterla finire?» (Luca 14:28).

Ha anche preso come riferimento l'immagine della guerra:

    «Oppure quale re, che vuole tirare fuori a fare la guerra contro un altro re, non siede in anticipo e di comunicare se egli è in grado di diecimila incontro che rispetto con ventimila si avvicina a lui?» (Luca 14:31).

Forse il nostro Signore Gesù vuole scoraggiarci con queste argomentazioni? No! Al contrario ci vuole incoraggiare! E' la dimostrazione che Gesù Cristo ha qualcosa da dare che è ad un livello completamente diverso da quello in cui il nostro pensiero si è impigliato. È meraviglioso andare con Lui, specialmente se consideriamo l'intero prezzo dell'eredità. Il Signore Gesù è così diverso da noi. Lui è incomparabile. Egli infrange ogni scala umana. Qualcuno ha scritto una volta come titolo di un'esposizione: "Gesù, tu sei diverso":

  • Tu sei stato a pro dell'adultera - quando tutti si sono allontanati da lei.
  • Ti sei rivolto al pubblico - quando tutti erano oltraggiati da lui.
  • Hai chiamato i bambini a te - quando tutti volevano mandarli via.
  • Hai perdonato Pietro - quando ti ha rinnegato.
  • Hai elogiato la vedova - quando è stata trascurata da tutti.
  • Hai cacciato il diavolo - quando tutti gli altri erano affascinati da lui.
  • Hai chiamato Paolo nella successione - quando tutti lo temevano come persecutore.
  • Sei fuggito dalla gloria - quando tutti volevano farti re.
  • Hai amato i poveri - quando era necessaria tutta la ricchezza.
  • Hai guarito i malati - quando sono stati abbandonati dagli altri.
  • Sei stato zitto - quando ti hanno denunciato ingiustamente, deriso e frustato.
  • Sei morto sulla croce - e tutti hanno celebrato la loro Pasqua piamente.
  • Hai preso la colpa su di te - quando tutti si sono lavate le mani e hanno proclamato la loro innocenza.
  • Sei risorto dalla morte - quando tutti pensavano già che tutto fosse finito.
  • Signore Gesù, ti ringrazio di essere il mio Signore.

La verità è una persona, la Verità è Gesù Cristo! La verità è una cosa diversa da quella che solitamente intendiamo.

    «Dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni» (Atti 14:22).

Il nostro atteggiamento nei confronti delle tribolazioni è quindi cruciale. Qui dobbiamo imparare da Gesù.
  Ricordiamo i discepoli di Emmaus (Luca 24:13-35).
  Erano pieni di tristezza e scioccati dalla terribile sorte che era capitata al loro Signore. Lui era morto (Luca 24:26). Ma poi il Signore Gesù è risorto, si è unito a questi tristi discepoli e ha detto:

    «Non doveva il Cristo soffrire tutto ciò ed entrare nella sua gloria?»

Noi non riusciamo a cogliere le connessioni della tribolazione e della gloria. Ma Gesù Sì! Lui sapeva che sarebbe stato crocifisso e che solo in questo modo avrebbe riconciliato il mondo con Dio. Sapeva della Sua terribile sofferenza. Ma guardò oltre:

    «Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l'infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio» (Ebrei 12:2).

Gesù è così diverso da noi! Si è comportato in modo così diverso nella sofferenza e nella tribolazione. Proprio quando ha sofferto di più, era il momento in cui era più vicino alla sua gloria. Chi coglie questo confessa con Paolo:

    «Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? … Ma, in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati» (Romani 8:35, 37.)

Dio ci guida attraverso il “calore” dell'afflizione, in modo che la nostra fede sia temperata, rafforzata e provata, come l'oro puro nel fuoco.

    «… tu sei stato una fortezza per il povero, una fortezza per l'indifeso nella sua angoscia, un rifugio contro la tempesta, un'ombra contro l’arsura» (Isaia 25:4).

Poiché si rivela nella tribolazione, crea un santo impulso nei nostri cuori. «Essi, nell'angoscia ti hanno cercato;» (Isaia 26:16 ). Nella fornace della tribolazione, tutta l'inerzia spirituale viene bruciata. Allora non siamo così diversi da Gesù, allora diventiamo più simili a Lui.
  Sono proprio queste cose: tribolazioni, paure, preghiere apparentemente non ascoltate, a cui poi viene data una risposta che risvegliano una gioia superiore in noi. Non sono cose contro le quali dobbiamo combattere, ma per mezzo di Lui siamo più che vincitori in tutte queste cose. Non a dispetto di loro, ma per mezzo di loro. Paolo ha formulato una verità meravigliosa quando dice: «Sono pieno di consolazione, sovrabbondo di gioia in ogni nostra tribolazione.» (2 Corinzi 7:4)
  La nostra gioia incrollabile non è fondata su qualcosa di transitorio, ma sull'amore irremovibile ed eterno di Dio. Le nostre esperienze di vita, siano esse terribili o forse monotone, non hanno il potere di attaccare l'amore di Dio in Gesù Cristo, Al contrario, fanno sì che quel meraviglioso amore si riversi in noi e allo stesso tempo pianti la sua gloria in noi; perché l'amore di Dio è l'essenza di Dio stesso.
  Vogliamo ora comprendere il mistero della nostra tribolazione e volgere i nostri occhi verso un circuito meraviglioso:

    «mediante il quale abbiamo anche avuto, per la fede, l'accesso a questa grazia nella quale stiamo fermi; e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio; non solo, ma ci gloriamo anche nelle afflizioni, sapendo che l'afflizione produce pazienza, la pazienza esperienza, e l'esperienza speranza. Or la speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato» (Romani 5:2-5).

Soprattutto nella nostra tribolazione, andiamo passo dopo passo, in mezzo alla miseria dell'esistenza, «con grande costanza nelle afflizioni, nelle necessità, nelle angustie» (2 Corinzi 6:4), anche nelle delusioni, anche quando non riusciamo a comprendere il nostro Signore.
  Alla fine, ogni credente deve condividere ciò che Gesù è diventato. Lui, Dio stesso, divenne uomo. E l'essenza di questa incarnazione è stato il suo abbandono, lo svuotamento di se stesso, la sua gloria. E questo deve essere tangibile in noi quotidianamente e realmente. Cristo deve prendere forma in noi. La cosa più importante, nel nostro lungo viaggio, per il Signore è la fedeltà, cioè la devozione fedele e perseverante nell'invisibile. Possiamo mantenere intatta la nostra vita spirituale solo guardando a Gesù. I credenti hanno come destino quello di essere grandi, ma il passaggio attraverso la tribolazione spesso ci conduce "giù", e questo significa che dobbiamo combattere. Fondamentalmente, la lotta della fede è l'affermazione della vittoria di Gesù per mezzo della sofferenza. Perciò il Signore ha detto: «Con la vostra costanza salverete le vostre vite» (Luca 21: 19).
  Possa avvenire anche nella nostra vita che Gesù Cristo sia il Grande Sconosciuto, completamente diverso da noi, ma che ci insegna a diventare come Lui. Egli ci conduce attraverso la tribolazione, attraverso la sofferenza alla gloria. Come dice l'apostolo Paolo:

    «Perché la nostra momentanea, leggera afflizione ci produce un sempre più grande, smisurato peso eterno di gloria, mentre abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono; poiché le cose che si vedono sono per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne» (2 Corinzi 4:17-18).

(Chiamata di Mezzanotte, set/ott 2018)



........................................................


Due anni fa il green pass ci stravolgeva la vita e l'idea stessa di libertà

Il 1° luglio 2021, con la scusa di fermare i contagi, agli italiani è stato imposto il vaccino. E chi ha osato dire di no è stato discriminato. Un modello di controllo che le istituzioni stanno allargando ad altri settori.

di Massimo De' Manzoni

Esattamente due anni fa, 1 luglio 2021, l'Italia scivolava quasi senza accorgersi nell'incubo del green pass. La (sorprendentemente scarsa) resistenza dei cittadini era stata già adeguatamente fiaccata da una serie di provvedimenti cervellotici quanto inauditi: lockdown, coprifuoco, zone rosse, autocertificazioni, mascherine  all'aperto, didattica a distanza, stupidi divieti di ogni genere conditi da delazioni, sospetti, anche rabbia, però scaricata verso il vicino, il compagno di sventura, anziché contro le autorità. Le quali quindi, con il terreno così ben preparato, diedero l'ulteriore giro di vite, camuffandolo però da «apertura». Con l'ormai acquisita complicità di quasi tutti gli organi di informazione, un dispositivo ideato dall'Unione europea apparentemente per facilitare i viaggi fu trasformato in uno strumento di controllo in stile cinese. In pratica veniva istituito un obbligo di vaccinazione senza neppure prendersi la responsabilità di stabilirlo, se non per particolari categorie di cittadini: personale medico, forze dell'ordine, insegnanti e, in seguito, ultracinquantenni. Tutti gli altri erano teoricamente liberi di scegliere se farsi l'iniezione oppure no. In pratica, fu subito chiaro che senza il green pass (rilasciato in seguito appunto alla puntura oppure, per un certo periodo, a tamponi un giorno sì e l'altro no) la vita quotidiana sarebbe diventata un percorso a ostacoli. E presto si scoprì anche che il governo aveva in serbo stadi successivi sempre più dittatoriali.
  «Il green pass è una misura con la quale i cittadini possono continuare a svolgere attività con la garanzia di trovarsi tra persone che non sono contagiose», mentì soavemente a reti tv unificate l'allora presidente del Consiglio, Mario Draghi. «È una misura che dà serenità, non che toglie serenità: il green pass non è un arbitrio, ma una condizione per tenere aperte le attività economiche. Invito tutti gli italiani a vaccinarsi e a farlo subito. L'appello a non vaccinarsi è un appello a morire, sostanzialmente. Non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire: non ti vaccini, ti ammali, contagi, qualcuno muore».
  Un'impressionante sequela di bugie insufflate dal leggendario Comitato tecnico scientifico (senza neppure, si scoprirà poi, l'attenuante della inconsapevolezza) che furono accettate come Vangelo dalla stampa compatta, con l'unica eccezione del giornale che tenete tra le mani. Volenti o nolenti, gli italiani corsero in massa nei centri vaccinali, a firmare una sbalorditiva liberatoria in cui si facevano carico di tutte le conseguenze di un farmaco sperimentale, che il produttore stesso dichiarava essere ignote, e a farsi iniettare il suddetto farmaco anche se nel frattempo si cominciava a capire che mancava clamorosamente il primo scopo per il quale si fanno i vaccini: impedire il contagio. Ho scritto «si cominciava a capire» ma è meglio dire «intuire», empiricamente, venendo a sapere di casi specifici, perché in realtà il sistema mediatico e le virostar da esso create continuavano imperterriti a cantare le lodi del Pfizer salvatore. Certezze e cori che non si incrinarono neppure quando si scoprì che, ooops, la seconda dose non bastava. E neppure la terza, perché anche con tre ci si poteva beccare il Covid e persino ricorrere alle «inesistenti» cure alternative pur di salvarsi la pelle (vero professor Galli?). Eppure lo spartito non cambiava. Anzi: le lodi per la medicina miracolosa si facevano sempre più sperticate e il biasimo per chi osava anche solo dubitare sempre più aspro, fino a sfociare nell'insulto e nella minaccia.
  Malgrado tutto ciò, c'erano tuttavia delle sacche di resistenza. Dei cittadini che non ne volevano sapere di fare le cavie gratis per un esperimento scientifico. Per Speranza & C., per i quali le percentuali di persone vaccinate erano diventate una specie di droga, era inaccettabile: come si permettevano questi ingrati di rovinare la loro esaltante progressione? Come era possibile che dopo la cavalcata trionfale («60%, no 70, superato l'80! ») non ci si potesse più bullare in tv annunciando nuovi record: go, 100, 110% di popolazione vaccinata? Che ne penseranno gli altri Paesi della Terra, per i quali siamo «un esempio», secondo le ispirate parole di bisConte? Intollerabile. Ma, oplà, ecco il rimedio: il super green pass! Uno strumento infernale senza il quale diventava impossibile persino lavorare nella «Repubblica fondata sul lavoro» come recita la «Costituzione più bella del mondo». Era troppo persino per una parte dei mitissimi cittadini italiani e qualcuno scendeva in piazza a protestare? Niente paura: polizia in assetto anti sommossa, manganelli e idranti e vi facciamo passare la voglia. E ringraziate che non abbiamo raccolto la proposta dell'illuminato ex sindacalista Giuliano Cazzola e non abbiamo sparato sui manifestanti alla Bava Beccaris come invocava lui. E del resto, con il clima che l'informazione del terrore aveva creato non ci sarebbe stato neppure da meravigliarsi: probabilmente la carneficina dei «no vax» sarebbe stata applaudita dal 70% della popolazione. E temo sia una stima prudente.
  Seguirono vessazioni sempre più raffinate e sempre meno giustificabili dal punto di vista scientifico - in ironico contrappunto con le continue ciance «seguiamo la scienza», «ce lo dicono gli scienziati», «le evidenze scientifiche» - soprattutto alla luce di quanto stava avvenendo ovunque (Cina esclusa a causa della folle politica zero Covid): la variante Omicron, molto contagiosa ma poco letale, si stava rivelando il vero vaccino, permettendo alla popolazione di avvicinarsi a quella immunità di gregge disastrosamente mancata con i farmaci sperimentali. Alla fine persino Pechino si convinse e da un giorno all'altro fece saltare tutte le severissime misure di prevenzione a base di tracciamenti capillari e lockdown feroci, permettendo a Omicron di circolare tra il suo miliardo e mezzo di abitanti. Le nostre virostar profetizzarono subito una spaventosa ecatombe, con decine di milioni di vittime. Ancora una volta le loro previsioni si rivelarono totalmente sbagliate. Ma ancora una volta ciò non scalfi la narrazione: l'Italia si era salvata grazie alla vaccinazione di massa e il green pass era stato uno strumento indispensabile per raggiungerla. Decine e decine di nazioni con percentuali di vaccinati bassissime (anche meno del 30%) avevano avuto in proporzione meno morti di noi? Irrilevante. Gli italiani dovevano accendere un cero a San Draghi e adorare la salvifica tessera verde come una reliquia, chi non lo faceva era un «no vax» e come tale non degno di interlocuzione. Un subumano.
  Intanto in effetti il mondo guardava all'Italia. Non per i motivi di cui blaterava Roberto Speranza nel salottino compiacente di Fabio Fazio, ma con un misto di perplessità e interessata curiosità per quello che Washington Post e New York Times definirono «un esperimento sociale senza precedenti in un Paese occidentale». Se fosse riuscito, questo sì era un esempio che si poteva seguire nell'obiettivo dei governanti di tenere sotto controllo i governati. E difatti il green pass è appena diventato eterno nell'Unione europea, primo laboratorio planetario per la privazione di libertà individuali senza abdicare allo status formale di democrazia: doveva scadere ieri e invece non solo è stato prorogato ma è stata firmata un'intesa con l'Onu per estenderlo a tutto il pianeta. A quanti e quali vaccini dovremo sottoporci in futuro per avere il passaporto verde in regola e poter quindi avere il diritto di spostarci a piacimento? Lo scopriremo presto. Così come scopriremo quante altre «materie» confluiranno nel tesserino elettronico che ci trasforma da cittadini in identità digitali. Sicuramente - è stato detto in chiaro - la questione ambientale, ma si sta discutendo anche di quella fiscale, con all'orizzonte l'euro digitale. Insomma, grazie al green pass si ribaltano i concetti: tu non sei più un uomo libero fino a quando intervengono limitazioni straordinarie, ma la tua libertà è condizionata all'adempimento di una serie di doveri che di volta in volta ti verranno imposti. Nel nome del bene comune, ovviamente. Proprio come con il Covid. Esperimento riuscito perfettamente: agli italiani chi muove le leve del potere dovrebbe fare un monumento. Alla loro arrendevolezza. Con menzione speciale per i giornalisti trombettieri e i medici che in gran parte sapevano e rimasero muti. Prosit.

(La Verità, 1 luglio 2023)

........................................................


Il governo israeliano proporrà una versione più morbida della riforma della giustizia

Lo ha annunciato Netanyahu in un'intervista al Wall Street Journal, ma un compromesso con l'opposizione sembra ancora lontano.

Giovedì, in un’intervista al Wall Street Journal, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato che proporrà una versione più morbida della controversa riforma della giustizia che qualche mese fa aveva innescato manifestazioni di protesta in tutto il paese, e commenti preoccupati di varie organizzazioni internazionali per i diritti umani. In seguito alle proteste la discussione della riforma era stata interrotta e dovrebbe riprendere nelle prossime settimane, dopo la pausa estiva del parlamento israeliano.
  Netanyahu ha annunciato che la nuova versione della riforma non conterrà più la possibilità che il parlamento possa ribaltare un voto della Corte Suprema con un voto a maggioranza semplice (che in forme simili si ritrova soltanto nei paesi autoritari). Il quotidiano israeliano Haaretz l’aveva definita «il punto più controverso della riforma».
  Parlando col Wall Street Journal Netanyahu ha anche aggiunto che saranno modificati i piani per riformare la commissione che nomina i giudici della Corte Suprema, altro punto molto contestato negli ultimi mesi. Netanyahu però non ha fornito ulteriori dettagli a riguardo.
  La riforma della giustizia sottrae alcuni poteri alla Corte suprema per affidarli al governo. Per i manifestanti e le opposizioni è un pericolo per la democrazia israeliana, perché elimina importanti contrappesi al potere del governo in carica. Oltre a indebolire la Corte suprema, la riforma darebbe maggiori garanzie alla figura del primo ministro (che non rischierebbe più di essere rimosso a causa dei procedimenti giudiziari a suo carico) e affiderebbe alcuni poteri ai tribunali rabbinici (cioè i tribunali religiosi ebraici), che potrebbero gestire certi procedimenti civili.
  Ormai da mesi Netanyahu sta cercando di negoziare con l’opposizione per capire se la riforma può essere sostenuta almeno in parte anche da membri esterni alla maggioranza di governo, per garantirle maggiore legittimità politica. Finora i tentativi sono falliti, e anche l’annuncio al Wall Street Journal non sembra essere stato accolto positivamente: né dalla maggioranza né dall’opposizione.
  Diversi membri della maggioranza – compresi alcuni parlamentari del Likud, il partito di Netanyahu – hanno detto che continueranno a sostenere la riforma nella sua versione originale, mentre i partiti di opposizione si sono detti molto scettici sulla possibilità di raggiungere un compromesso.

(il Post, 1 luglio 2023)

........................................................


Israele teme i traffici di armi dall’Ucraina e vende i carri Merkava a Cipro e Marocco

FOTO 1
FOTO 2
FOTO 3
Armi anticarro di fabbricazione occidentale sono state trovate ai “confini di Israele”. Lo ha rivelato il premier Benyamin Netanyahu in una intervista al Jerusalem Post nella quale ha motivato le ragioni della politica di Israele nei confronti degli aiuti militari a Kiev.
  “Ora troviamo ai nostri confini armi occidentali anticarro” – (nella foto sotto armi anti-tank occidentali cadute in mano alle truppe russe in Ucraina) – ha detto il 23 giugno il primo ministro israeliano. “Temiamo anche che qualsiasi sistema dato all’Ucraina possa essere usato contro di noi, perché potrebbe cadere nelle mani dell’Iran ed essere usato contro di noi: quindi dobbiamo stare molto attenti. Questa non è una possibilità teorica”
  Secondo Netanyahu, Israele “si trova in una situazione particolare, diversa da, per esempio, Polonia, Germania, Francia o qualsiasi altro paese occidentale che sta aiutando l’Ucraina.
  Prima di tutto – ha spiegato – abbiamo uno stretto confine militare con la Russia. I nostri piloti stanno volando proprio accanto ai piloti russi nei cieli della Siria. E penso che sia importante mantenere la nostra libertà di azione contro i tentativi dell’Iran di posizionarsi militarmente sul nostro confine settentrionale”.
  Il premier israeliano – dopo aver detto di voler che il conflitto finisca e con esso “l’orribile perdita di vite umane” – ha poi sottolineato che Israele si può trovare “nella posizione di aiutare a porre fine a questo conflitto”. “Non sono sicuro che accadrà. Potrebbe essere del tutto ipotetico, ma – ha concluso – potrebbe accadere”.
  Le dichiarazioni del premier israeliano sono rimbalzate a Mosca dove La comparsa di armi occidentali fornite all’Ucraina Kiev vicino ai confini di Israele è stata definita una “minaccia molto, molto urgente”, dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov.
  “Abbiamo già parlato di questa minaccia e del fatto che le armi occidentali fornite all’Ucraina vengono già vendute da vari gruppi criminali in Europa e così via”, ha aggiunto Peskov, “si tratta di un processo inevitabile”. “Più tali armi vengono fornite all’Ucraina, in un luogo in cui non è possibile garantire la sicurezza, più tutto questo, ovviamente, porta maggiori minacce per la sicurezza regionale e, in un contesto più ampio, globale”, ha sottolineato Peskov.
  Il traffico gestito da ucraini delle armi fornite dall’Occidente per combattere la Russia (che Analisi Difesa aveva evidenziato per prima come grave rischio per la sicurezza internazionale fin dall’11 marzo 2022) sembra aver contribuito anche a scongiurare le ipotesi che Israele potesse vendere a un paese europeo non meglio precisato circa 300 carri Merkava 2/3 posti in riserva da Tsahal e che avrebbero potuto, secondo indiscrezioni, finire a Kiev.
  Invece la prima esportazione di carri armati israeliani sembra riguardare Cipro e Marocco che con i Merkava rimpiazzeranno tank di diverso tipo ceduti all’Ucraina.
  Israele sarebbe infatti in trattative per vendere i Merkava 2/3 a Cipro dove sostituiranno i 41 carri armati T-80U consegnati all’esercito ucraino e al Marocco (si parla di 200 esemplari) per sostituire i carri armati T-72B acquistati a suo tempo in Bielorussia e che  nei mesi scorsi sono stati in parte ammodernati in Repubblica Ceca prima di venire inviati all’Ucraina.
  Una fornitura controversa e contestata dal Marocco che ha reso noto di non aver autorizzato la cessione all’Ucraina di 14  T-72 acquistati presso la società ceca Excalibur da Stati Uniti e Olanda mentre si trovavano in Repubblica Ceca per revisione e manutenzione. Nel gennaio scorso diverse fonti riportarono che l’intera flotta di 90/120 carri T-72 marocchini sarebbero stati ceduti a Kiev dopo la revisione.
  La notizia è stata resa nota da alcuni media che avevano evidenziato le crescenti forniture militari israeliane a Rabat  che includono missili antiaerei e munizioni circuitanti: i Merkava verrebbero ceduti con l’impegno a non rivenderli né donarli ad altre nazioni.
  Anche in seguito al riacutizzarsi della crisi con l’Algeria, il Marocco sta potenziando e ammodernando le sue forze armate: l’ultima acquisizione, in Francia, riguarda i veicoli 4×4 Sherpa equipaggiati con il sistema di difesa aerea a corto raggio Atlas RC basato sul missile MBDA Mistral 3 (nella foto sopra).
  Il capo della direzione per la cooperazione internazionale presso il ministero della Difesa israeliano, Yair Kulas, ha dichiarato ieri che Israele è in trattativa per vendere i carri armati Merkava usati a due paesi, uno dei quali europeo. Il responsabile israeliano ha spiegato che “molti paesi europei stanno cercando di rinnovare rapidamente i mezzi dopo aver donato miliardi di dollari in armi all’Ucraina. Ci sono due possibili paesi con i quali stiamo conducendo trattative avanzate per la vendita di carri armati Mervaka. Mi è proibito nominarli, ma uno di questi è nel continente europeo”, ha affermato Kulas.
  In maggio il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha visitato Cipro incontrando il suo omologo Michalis Giorgallas.

(Analisi Difesa, 1 luglio 2023)

........................................................


Ucraina, Russia, Usa e Cina: per Netanyahu la priorità è la sicurezza d’Israele

Un tema che da qualche tempo interroga Kiev e una parte della politica israeliana riguarda i timori da parte dello Stato ebraico nel fornire sistemi d’arma all’Ucraina. Inoltre, Israele deve ponderare le sue decisioni verso Mosca anche per la gestione delle operazioni militari in Siria.

di Lorenzo Vita

Sul fronte geopolitico, quella del primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, è una complessa partita a scacchi. Le ultime dichiarazioni rilasciate al quotidiano Wall Street Journal confermano i timori da parte dello Stato ebraico nel fornire sistemi d’arma all’Ucraina. Un tema che da qualche tempo interroga Kiev e una parte della politica israeliana, ma che Netanyahu ha motivato con ragioni strategiche. La prima riguarda la paura che le tecnologie usate sul campo di battaglia possano finire nelle mani dell’Iran tramite i russi. Preoccuperebbe in particolare l’eventuale trasferimento del sistema Iron Dome, la “cupola di ferro” che protegge gli israeliani dagli attacchi missilistici, e che per Netanyahu è essenziale che gli iraniani non lo ottengano né per loro né per i propri “proxies”. Pochi giorni prima, lo stesso premier aveva rilasciato un’altra intervista in cui aveva affermato che delle armi anticarro occidentali erano state ritrovate ai confini di Israele. E anche in quel caso, Netanyahu aveva sottolineato le medesime preoccupazioni sulle armi occidentali date a Kiev. Un timore che si unisce anche un altro elemento che contraddistingue la politica estera israeliana.
  Al netto di una nota partnership con la Russia (ma lo stesso vale per quanto riguarda i rapporti con l’Ucraina), Israele deve ponderare le sue decisioni verso Mosca anche per la gestione delle operazioni militari in Siria. Lo Stato ebraico da molto tempo colpisce in territorio siriano per distruggere postazioni di Hezbollah o legate ai Pasdaran iraniani. E tutto questo, data la presenza militare russa a Hmeimim e non solo, non può avvenire senza una sorta di placet del Cremlino. Le esigenze di sicurezza restano quindi una priorità dell’agenda Netanyahu anche su un tema così delicato come la guerra in Ucraina. E sono elementi che provocano anche dei malintesi, tanto con Kiev quanto con Washington. L’ambasciatore ucraino in Israele, Yevgen Korniychuk, è stato convocato per un incontro al ministero degli Esteri israeliano dopo le critiche rivolte nei confronti della politica del governo, considerata troppo tiepida con la Russia. Allo stesso tempo, va però sottolineato che nei giorni scorsi il sito israeliano Ynet aveva dato notizia dell’arrivo a Gerusalemme del vicecapo di Stato maggiore di Kiev, Yevhen Heorhiyovych Moisiuk, per discutere della fornitura di sistemi di allerta per gli attacchi. E lo stesso Netanyahu, secondo Korniychuk, avrebbe pensato a un viaggio in Ucraina per incontrare il presidente Volodymyr Zelensky.
  Sul fronte di Washington, invece, se il dossier Russia incide inevitabilmente nei rapporti, altri temi hanno in questi mesi raffreddato l’alleanza – mai messa in discussione – tra i due Paesi. Dall’entourage di Netanyahu, da tempo si sottolinea una certa perplessità riguardo il fatto che il presidente degli Stati Uniti non abbia ancora invitato il premier del Likud alla Casa Bianca dopo la rielezione. Al contrario, il presidente israeliano Isaac Herzog sarà negli Usa il 19 luglio. Una questione che molti osservatori hanno collegato con una diffidenza da parte della presidenza Usa, da tempo preoccupata della riforma della giustizia ma anche delle politiche israeliane nella regione. A questo si aggiunge il nodo iraniano.
  Le amministrazioni dem per Netanyahu rappresentano il timore che possa essere ristabilito un accordo sul nucleare iraniano che il premier, fortemente critico, crede che non debba essere riesumato. I media avevano parlato della possibilità di un “accordo” tra Washington e Teheran, anche se non reso pubblico, e che gli Usa hanno poi smentito. È chiaro però che i dubbi irrigidiscano la posizione di Israele. A conferma di questa fase difficile dei rapporti, vi sarebbe poi, secondo alcuni analisti, la decisione del premier israeliano di recarsi in Cina. La conferma del viaggio alla corte di Xi Jinping sembra essere un messaggio anche nei confronti di Biden, che da tempo guarda con sospetto le mosse di Pechino in Medio Oriente.

(il Riformista, 1 luglio 2023)

........................................................


Notizie archiviate



Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse liberamente, citando la fonte.