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Notizie 1-15 novembre 2016


La frontiera dell'Europa si chiama Israele. Giovedì a Roma, grande evento del Foglio

A un anno dalla strage del Bataclan, un incontro con lo scrittore Sansal, l'ex ministro degli esteri israeliano Livni, il blogger palestinese Al-Husseini, lo storico Morris, monsignor Luigi Negri, l'Imam Chalghoumi, l'archeologo Barkay, gli autori Ye'or e Bawer, l'antropologa Ismail e un contributo del presidente emerito Napolitano.

di Claudio Cerasa

 
Era il 13 novembre 2015. Il concerto degli Eagles of Death Metal era appena cominciato. E pochi istanti dopo aver intonato la canzone "Kiss the Devil" un gruppo armato legato allo Stato Islamico entrò all'interno del Bataclan, famoso locale parigino molto frequentato nel fine settimana, e trucidò 93 persone. La cronaca di quei giorni la ricordiamo tutti. Tutti ricordiamo dove eravamo quella notte. Tutti, almeno per un secondo, ricordiamo che quel giorno abbiamo pensato che, come sempre, ma quella volta più delle altre volte, potevamo esserci noi lì, potevano esserci i nostri figli, potevano esserci i nostri amici. Tutti ricordiamo quel giorno.
  Ma come spesso capita, quando il tempo passa, le emozioni non si perdono ma le riflessioni sì. E per questo, a un anno dal Bataclan, il Foglio ha scelto di organizzare una giornata importante per mettere a fuoco quella che ci sembra sia la lezione più grande che ci arriva dalla striscia di fuoco e di sangue che nell'ultimo anno ha accompagnato le nostre vite: l'Europa non può più permettersi di considerare la minaccia del terrorismo islamista come se fosse qualcosa che vive nella categoria di ciò che è straordinario ma deve mettersi in testa che la minaccia del islamismo radicale è una minaccia potenzialmente quotidiana che non deve cambiare le nostre vite ma che deve certamente cambiare il nostro modo di ragionare attorno al grande tema del nostro secolo. Ovvero sia: come si può vivere in modo ordinario anche in un contesto in cui la minaccia del terrorismo non è più qualcosa di straordinario? Per farlo esiste un solo modo: allargare metaforicamente i confini dell'Europa e trasformare un paese che da anni vive ogni giorno con la minaccia dell'islamismo estremista alle porte, ovvero Israele, in un modello di vita, sia dal punto di vista strettamente culturale sia dal punto di vista della sicurezza nazionale.
  Non c'è vera lotta all'islamismo radicale senza la consapevolezza concreta che la vera frontiera dell'Europa oggi deve essere considerata Israele e per questo giovedì 16 novembre, a Roma, a partire dalle ore 17 al Tempio di Adriano, a Piazza di Pietra, il Foglio ha scelto di organizzare un dibattito al quale crediamo molto partendo proprio da questo tema, e con alcuni ospiti importanti e trasversali, che verranno stimolati dal nostro Giulio Meotti. Ci saranno lo scrittore Boualem Sansal, algerino, musulmano, autore di un libro scandalo ("2084, la fine del mondo") con il quale ha denunciato il pericoloso virus della sottomissione dell'occidente all'islamismo radicale. Ci sarà l'ex ministro degli esteri israeliano Tzipi Livni. Ci sarà il blogger palestinese Waleed Al-Husseini, giovane palestinese più volte arrestato e torturato dalle autorità palestinesi per le sue critiche al fondamentalismo islamico, che in Francia ha creato un centro di aggregazione per denunciare gli orrori della sottomissione all'islam radicale, il "Conseil des ex-musulmans de France". Ci sarà il grande storico Benny Morris, l'Arcivescovo di Ferrara monsignor Luigi Negri, l'Imam francese Hassen Chalghoumi, l'archeologo Gabriel Barkay, gli autori Bat Ye'or e Bruce Bawer, l'antropologa Maryan Ismail e ci sarà anche un contributo del presidente emerito della repubblica italiana Giorgio Napolitano.
  Benjamin Netanyahu, in un famoso messaggio profetico consegnato a un emittente francese due anni fa, ricordò che la guerra di Israele contro il terrorismo islamico non è solo la guerra di Israele ma è anche la guerra della Francia ed è la guerra di tutta l'Europa. "Se riescono qui, e se si continua a criticare Israele invece che i terroristi, e se non si è solidali contro questa peste chiamata fondamentalismo islamico, il terrorismo arriverà anche in Europa". Aveva ragione. E un anno dopo il Bataclan, non c'è modo migliore per spiegare il mondo in cui viviamo ricordando una questione semplice e più che mai attuale: oggi Israele siamo noi.

(Il Foglio, 15 novembre 2016)


Gaffe del SI sulle buste: Gerusalemme è in Palestina

Una delle lettere inviate dall'Italia ai potenziali elettori in Israele, con la scritta "Jerusalem, Palestina"
ROMA - Gaffe del Comitato per il Si: le lettere agli italiani residenti in Israele riportano l'indirizzo "Gerusalemme, Palestina". Le missive, che contengono una foto di Matteo Renzi insieme al presidente americano Barack Obama, hanno subito suscitato proteste da parte dei destinatari. Il portale dell'ebraismo italiano Moked, che ha segnalato l'"incidente", ironizza scrivendo che la lettera, «ha un sapore antico, decisamente vintage, nella più benevola delle ipotesi». Il comitato per il ìi si difende spiegando che per spedire le lettere sono stati usati gli indirizzari dell'Aire, l'Anagrafe degli italiani all'estero: da lì origina l'errore. Comunque, assicurano dal comitato, saranno inviate altre lettere "corrette". Anche perché senza nuove missive gli italiani in Israele minacciano di non votare. Jacopo Mascetti, libero docente di letteratura all'Università di Bar Ilan, ha scritto al premier Renzi, accusandolo di essere «responsabile del fatto in quanto firmatario della lettera».

(la Repubblica, 15 novembre 2016)

*

Il Sì fa un'altra gaffe: Gerusalemme è in Palestina

Lettera indirizzata agli italiani in israele. la comunità ebraica s'infuria.

ROMA - Come far imbestialire un'intera comunità di italiani all'estero che invece avresti voluto avere al tuo fianco nell'ultimo miglio fino alla vittoria del «sì». Capita, certo, di sbagliare strategia, ma quella messa in atto dal «comitato del sì» con la comunità ebraica italiana supera i peggiori pronostici. «Colpa» dell'Aire, l'anagrafe degli italiani residenti all'estero, secondo cui Gerusalemme si troverebbe in Palestina, fatto che ha convinto il comitato ad inviare le lettere agli italiani in Israele con indirizzo «Gerusalemme, Palestina».
   Dopo il refuso nell'indirizzo del Comitato referendario 'Basta un sì', trasformato in 'bastausi.it', in una lettera inviata agli italiani all'estero, arriva un'altra gaffe, questa volta finita sui giornali locali. «Gerusalemme - si leggeva ieri su un post su Moked, il portale dell'ebraismo italiano - dove sta? Secondo l'indirizzario dell' Aire, si trova ancora nella Palestina del «Mandato britannico». Una curiosa questione emersa in seguito ad alcune segnalazioni di esponenti della comunità degli Italkim, i cittadini italiani che abitano in Israele, destinatari di una missiva che ha un sapore antico. Comunque fuori dalla storia e da ogni forma di buon senso, visto che «sono passati 68 anni e mezzo dalla fondazione di uno Stato ebraico». Questo «errore di catalogazione nel database», ha scritto ancora Moked ha avuto «come sgradevole conseguenza che chi tra gli Italkim vive a Gerusalemme abbia ricevuto del materiale sul prossimo referendum inviato al corretto indirizzo di casa, ma con una fuorviante indicazione geografica sullo Stato di residenza: Palestine, invece di Israele».
   «Sono rimasto basito», ha commentato Jacopo Mascetti, libero docente di letteratura all'Università di Bar Ilan, da 20 anni in Israele. In Italia la Lega ha cavalcato la gaffe. «Con questo madornale errore - sostengono Calderoli e Grimoldi - Renzi si è giocato i pochi voti che magari avrebbe potuto raggranellare a Gerusalemme. E questi esperti di geografia sono quelli che avrebbero riscritto la Costituzione?».

(Nazione-Carlino-Giorno, 15 novembre 2016)


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A proposito di Gerusalemme e Palestina

Riceviamo per conoscenza e diffusione.

COMUNICATO STAMPA
L'associazione Italia-Israele di Firenze ha inviato al Segretario regionale del PD e ai dirigenti del PD che sono anche soci dell'Associazione Italia-Israele di Firenze la seguente lettera perché intervengano sul caso in oggetto.
Valentino Baldacci
Presidente dell'Associazione Italia-Israele di Firenze

Cari Amici,
sarete certamente informati del fatto che ai cittadini in possesso della doppia cittadinanza italiana e israeliana o comunque residenti a Gerusalemme è stata inviata dal Comitato del Sì una lettera, a firma Matteo Renzi, che portava l'indirizzo "Gerusalemme (Palestina)". Questo fatto ha provocato una dura reazione di molti amici residenti a Gerusalemme che - come hanno dichiarato su Facebook o con messaggi personali - considerano questa espressione offensiva e provocatoria, che va oltre il già inaccettabile uso da parte delle autorità italiane di inviare la corrispondenza ufficiale con l'indirizzo "Gerusalemme (ZZZ)". Il fatto che l'invio sia avvenuto non da parte di organi dello Stato ma da parte del Comitato del Sì (sulle buste appare anche il riferimento al PD) non diminuisce la gravità del fatto. Attribuire Gerusalemme (tutta Gerusalemme?) a un inesistente "Stato di Palestina" (mai riconosciuto dall'Italia, che, caso mai, ha rapporti con l'Autorità Nazionale Palestinese, cosa ben diversa sul piano del diritto internazionale) è veramente una provocazione; e se il fatto fosse avvenuto riprendendo l'indirizzario fornito dall'AIRE, sarebbe ancora più grave.
Non si può non condividere l'indignazione dei nostri concittadini residenti a Gerusalemme, anche perché va affermato con la massima chiarezza che - indipendentemente dall'esito di eventuali trattative tra lo Stato d'Israele e l'OLP per il raggiungimento di un accordo e la conseguente definizione dei confini - la parte occidentale di Gerusalemme - la più vasta e dove hanno sede la Knesset e tutti gli organi dello Stato - è sotto l'incontestabile sovranità dello Stato d'Israele fin dalla sua fondazione il 14 maggio 1948.
Mi rivolgo al Segretario regionale del PD e agli amici che hanno ruoli direttivi nel PD stesso e che sono anche soci della nostra associazione o addirittura fanno parte del Consiglio Direttivo, perché intervengano con energia in modo che episodi del genere non si ripetano. Lo stesso Comitato del Sì si è dissociato dall'episodio ma non è sufficiente una dissociazione per rimediare al danno che è stato fatto: Non solo molti concittadini gerolosimitani hanno dichiarato che avrebbero votato Sì e che adesso si asterranno, ma l'episodio è anche oggetto di facile speculazione da parte delle forze politiche sostenitrici del No. Come già è avvenuto per l'episodio del voto italiano all'Unesco, occorre che lo stesso Presidente del Consiglio, firmatario della lettera come Segretario del PD, intervenga con chiarezza sul'episodio. Vi chiedo di agire - sulla base dei ruoli che avete nel PD - in modo che questo intervento ci sia e nei tempi più brevi.
Con un cordiale saluto,
Valentino Baldacci
Presidente dell'Associazione Italia-Israele di Firenze

(Notizie su Israele, 15 novembre 2016)


Gli ebrei gradiscani e i prodotti coloniali per Gran Premio Noè

di Marina Stojanovic

 
Proseguono gli appuntamenti della stagione autunnale del Gran Premio Noè a Gradisca d'Isonzo con "Gli ebrei gradiscani e i prodotti coloniali". Giovedì 17 novembre 2016 si parlerà della storia della comunità ebraica che commerciava in sale, zucchero, tè, cacao e altri prodotti coloniali, legandola al vino, al cibo e a prodotti della tradizione israelitica.
In programma, alle 18.00, una visita al settore del museo Civico e alle collezioni dedicate agli ebrei gradiscani (Morpurgo, Luzzatto, Prister).
Successivamente in Enoteca, il cui edificio per alcuni secoli è stato proprietà di famiglie ebraiche locali, interverrà la docente di storia delle religioni dell'Università di Udine, Maddalena Del Bianco, che, insieme a Stefano Cosma, racconterà le vicende della Comunità ebraica di Gradisca, soffermandosi sugli aspetti più interessanti e legati a recenti scoperte storiche.
Si terrà poi, a ingresso libero, una degustazione di Friulano del Castello di Buttrio, che nell'800 fu dei Morpurgo e oggi di Alessandra Felluga; di Refosco della Tenuta Villanova della famiglia Grossi Bennati nonchè del Franconia della Roncada dei Cattaruzzi Mattioni, all'epoca proprietà dei fratelli Levi. Il tutto abbinato a prodotti tipici: salame e speck d'oca dell'azienda Jolanda de Colò, che produce anche con licenza kasher.
Si proseguirà con un'anteprima del Chocofest con l'assaggio del cioccolatino Porta d'Oriente, realizzato con infuso di tè verde, zenzero e sale.
Un percorso che rientra nel programma di "Vino e arte", ma che vuole valorizzare la storia dei molti ebrei isontini: i fratelli Levi, grandi produttori di vino nell'800, il medico Aronne Luzzatto, i diritti di produrre acquavite concessi nel '700 ai Morpurgo (Hofjuden) e i privilegi che la comunità ha avuto durante il principato degli Eggenberg.
La serata sarà arricchita dal concerto di "Suoni in bottiglia", alle 20:30, con la musica degli "Etnoploc" con Aleksander Ipavec (accordion) e Piero Purini (sax), che spaziano in tutti gli angoli della musica etnica e jazz, compresa quella klezmer, tradizionale degli ebrei aschenaziti dell'Est Europa.
Sarà inoltre possibile, in questo fine settimana (tranne il sabato) prenotare una visita guidata al ghetto e alla Sinagoga di Gorizia, in collaborazione con l'associazione Amici di Israele.

(Quanto Basta, 15 novembre 2016)


Israele fece bene a tenersi fuori dall'ennesimo organismo-farsa internazionale

La Corte Penale dell'Aja non arresterà il macellaio sudanese al-Bashir, ma si può sempre contare su di essa per dare addosso a Israele.

Furono molte le anime pie che appesero le loro speranze alla Corte Penale Internazionale dell'Aja, quando questa venne fondata nel 2002. Ci furono anche dei sognatori che sostennero che finalmente era nata la sede giusta per giudicare i crimini contro l'umanità e i criminali di guerra, i quali non avrebbero più potuto rintanarsi nei loro paesi per sfuggire al lungo braccio della legge. Israele e Stati Uniti capirono subito che la nuova tribuna sarebbe stata utilizzata da tutta una serie di regimi oscurantisti, finendo col diventare un'arma nelle mani dei peggiori criminali, e se ne tennero fuori. Per questo furono pesantemente criticati. Ed ora, eccoci qui: sono passati solo pochi anni, ed è già chiaro che israeliani e americani avevano ragione....

(israele.net, 15 novembre 2016)


Spectrodrone, il drone israeliano che annusa gli esplosivi

di Luca Masali

Il segreto è nel payload, uno spettrometro laser capace di riconoscere gli esplosivi a diversi metri di distanza, mentre fino ad oggi bisognava portarlo a pochi millimetri dal materiale da esaminare, con evidenti rischi per gli operatori. E quindi, visto che il laser di LDS, azienda israeliana ben nota nel campo della difesa, sente il pericolo da lontano perché non montarlo su un drone? Detto fatto, in collaborazione con Airbotics nasce il drone artificiere Spectrodrone. Il laser usa diverse lunghezze d'onda, ma la principale è l'ultravioletto, In questo modo anche esplosivo nascosto in un veicolo o un edificio può essere facilmente rilevato, e le immagini vengono inviate agli operatori al sicuro in un centro di controllo.
Il laser, spiegano gli israeliani che stanno mostrando la macchina all'HLS & Cyber Expo di Tel Aviv, è in grado non solo di scoprire esplosivo militare ma anche gli esplosivi artigianali usati dai terroristi, oltre a molti tipi di droghe diverse e sostanze pericolose sotto forma di solidi, liquidi e gas. Il sensore funziona a "diversi metri" di distanza, ma non viene specificato quanto, e il drone, un multicottero Optimus di Airbotics, ha un raggio d'azione di 3 chilometri.

(DronEnzine.it, 15 novembre 2016)


Speciale difesa: cooperazione internazionale con l'Esercito israeliano

ROMA - Si sono svolti a Roma nei giorni scorsi i colloqui bilaterali tra Esercito italiano e israeliano. Lo riferisce il sito web dell'Esercito. Nel corso dell'incontro, organizzato e condotto dal III Reparto pianificazione generale dello Stato maggiore dell'Esercito, è stato effettuato un resoconto dei traguardi addestrativi congiunti finora conseguiti e sono stati definiti gli obiettivi di comune interesse per il biennio 2017-2018, siglati in apposito Piano di cooperazione. Tra questi risultano di particolare interesse lo sviluppo di attività in ambiente anfibio e la definizione di esercitazioni ed attività addestrative congiunte. Il meeting ha previsto, inoltre, l'effettuazione di visite presso Enti specialistici dell'Esercito, tra i quali il Centro di Eccellenza C-Ied presso il Comando del genio (Roma) e il Centro addestrativo aviazione dell'Esercito (Aves) in Viterbo. I colloqui bilaterali sono lo strumento privilegiato con cui la Forza armata intrattiene rapporti di collaborazione continuativi con gli Eserciti dei paesi esteri.

(Agenzia Nova, 14 novembre 2016)


Prima esercitazione di Israele con la Nato dopo sei anni

Israele è stata autorizzata grazie all'accordo di riconciliazione firmato quattro mesi fa con la Turchia. Alle manovre in Montenegro hanno preso parte 680 militari provenienti da 32 nazioni.

di Franco Iacch

Per la prima volta dal 2010, Israele ha partecipato ad una esercitazione della NATO che si è svolta nel Montenegro per valutare la prontezza e la capacità dell'Alleanza nell'affrontare le calamità naturali.
   Lo scorso maggio, i 28 ministri degli esteri della NATO hanno firmato un protocollo di ammissione del Montenegro nell'Alleanza in qualità di osservatore. Una volta che il processo di ratifica sarà completato, il Montenegro diventerà il 29o membro della NATO. Le forze armate in servizio attivo del Montenegro, piccola nazione di 13.000 chilometri quadrati, ammontano a duemila unità. La sua popolazione si attesta sui 650 mila abitanti. Alle manovre hanno preso parte 680 militari provenienti da 32 nazioni: simulata una grave inondazione che ha colpito il paese. Le squadre israeliane sono state impegnate in una missione di salvataggio sottomarino nelle gelide acque del fiume Zeta.
   A distanza di sei anni, Israele è stata autorizzata a prendere parte come membro attivo ad un'esercitazione della Nato. Ciò è stato reso possibile grazie all'accordo di riconciliazione firmato quattro mesi fa con la Turchia. Dal maggio del 2010, a seguito dell'incidente della Freedom Flotilla dove morirono dieci cittadini turchi ad opera di un commando israeliano, la Turchia impose il veto a qualsiasi partecipazione di Israele nella manovre della Nato. Tali restrizioni sono state sollevate quattro mesi fa.
   Sono sette i paesi non membri della Nato definiti partner dall'Alleanza: Israele, Algeria, Egitto, Giordania, Mauritania, Marocco e Tunisia. Oltre a questo rapporto multilaterale, Israele beneficia di relazioni bilaterali con la Nato. Recentemente, l'ambasciatore presso l'Unione Europea, Ronnie Leshno-Yaar, è stato assegnato alla Nato come rappresentante militare.
   Israele mantiene una presenza fissa nel centro di intelligence a Northwood, nel Regno Unito, per monitorare il terrorismo e prevenire il contrabbando di armi nel Mediterraneo e nel Mar Rosso. Il Ministero degli Esteri israeliano, infine, è in trattative con l'Alleanza per estendere la cooperazione militare.
   
(il Giornale, 14 novembre 2016)


Antisemitismo e il suicidio dell'Occidente

Platea al completo per l'incontro di Liberal Belluno con il prof. Volli e Borgonovo

"Il 21 ottobre del 2015 la presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini ha invitato a Montecitorio per una lectio magistralis dal titolo "Islam religione di pace" il grande imam egiziano di Al Azhar, Mohamed Ahmed al Tayyeb. Ebbene, il religioso, teologo e filosofo islamico, ritenuto moderato dalla terza carica dello Stato italiano, ha avuto modo di illustrare il pensiero dell'Islam moderato, secondo il quale la donna si può picchiare se moderatamente. Così come sono permesse al 100% dalla legge islamica le operazioni di martirio in cui i palestinesi si fanno esplodere. Oltre ad aver invocato più volte la distruzione di Israele".
   Lo ha detto questa sera [12 novembre] al Centro congressi Giovanni 23mo di Belluno Francesco Borgonovo, caporedattore del nuovo quotidiano La Verità e autore del libro "L'impero dell'islam" dinanzi a un folto pubblico per i Grandi incontri di Liberal Belluno. Insieme a lui sul palco il professor Ugo Volli, docente di semiotica all'Università di Torino e autore del volume "Israele, diario di un assedio", la presidente dell'Associazione Liberal Belluno Rosalba Schenal e il moderatore Andrea Basile.
   "Quando si è pregato in un luogo - ha aggiunto il professor Volli - quel luogo diventa dell'Islam. Chi vi abita ha tre possibilità: morire, convertirsi, o accettare una condizione di inferiorità e quindi pagare tasse più elevate e sopportare le prepotenze. Per questo Israele viene ritenuta un affronto".
   "Inoltre - ha proseguito Volli - gli islamici per natura si ritengono superiori agli altri, come l'uomo nella loro religione è superiore alla donna, per questo motivo gli israeliani per loro non hanno diritto di esistere. I palestinesi, infatti, non hanno protestato per l'occupazione siriana o egiziana, ma solo per quella degli israeliani. Questo diritto ora, nella logica islamica, si sta trasferendo in Europa, dove si prega nelle moschee e di conseguenza il territorio è già loro. Tutto questo fa parte del suicidio dell'Europa".
   "Con il politicamente corretto - ha spiegato Borgonovo - alcuni termini che potevano incutere timore, come straniero, extracomunitario, clandestino, sono spariti dal linguaggio televisivo e nei giornali. Ora si parla di migranti, anche se sono stanziali. E solo il 6% di loro ha diritto allo status giuridico di profugo ossia di colui che fugge da zone di guerra, da persecuzioni o carestie. Chi si oppone a questa immigrazione sregolata oggi viene accusato di razzismo. Gli islamici considerano oramai l'Europa casa loro. Vogliono imporre la loro religione ovunque. E la guerra in Europa è considerata una guerra di resistenza. Quello che sta accadendo è una sottomissione graduale. A Londra ci sono quartieri islamici con le loro leggi e i loro tribunali. Siamo all'apartheid dei bianchi. E anche in qualche via di Milano e Roma è così, ma facciamo finta di non vederlo".
   "Ma c'è qualche segnale di autodifesa dei popoli - ha osservato il professor Volli- Negli Stati Uniti il voto è andato a quel geniale outsider di Trump, non già nella direzione voluta da analisti e giornali. Il vero perdente in questo caso è stato Obama, non la Clinton".
   "Oggi siamo di fronte al capitalismo economico, che abbatte i salari, impoverisce la democrazia perché la ritiene un ostacolo - ha detto Borgonovo - e la religione ideale per questo sistema è l'islam, che significa sottomissione. Sottomettersi a pochi che sono al comando. Singapore, Cina, India, paesi dalla totale libertà economica e zero libertà civile. Colossi economici come Facebook, Google che hanno perduto qualsiasi identità nazionale".

(Bellunopress - Dolomiti, 14 novembre 2016)


Israele acquista a Bari

I pugliesi di Roboze si assicurano una commessa dell'azienda Elbit Systems Altre applicazioni per la nuova stampante 3D One+400.

 
Alessio Lorusso, fondatore dell'azienda barese e, a lato, una stampante in 3D
Elbit Systems
BARI - Dal laboratorio e l'officina di via Capruzzi agli stabilimenti di una delle più grandi società del campo della sicurezza in Israele. E la nuova conquista sul mercato innovativo delle stampanti industriali per tecnopolimeri 3D di Roboze, azienda barese, ideata e fondata dal giovane Alessio Lorusso, amministratore dell'impresa tutta made in Puglia, che sta facendo passi da gigante nel settore. Merito soprattutto dell'ultimo modello progettato. Si tratta della stampante 3D Roboze One+400, in grado di conquistare commesse oltre i confini nazionali. Come quella della israeliana Elbit Systems, società che sviluppa e fornisce sistemi di bordo, terrestri e navali, oltre a prodotti per applicazioni utilizzati dalla difesa e dell'aviazione commerciale, ad aerei, anche con controllo remoto, elicotteri e navi. A ciò aggiunge strumentazioni dedite alla sicurezza per aviazione commerciale e aerostrutture. L'azienda progetta e produce materiali per componenti aeronautici e aerospaziali nella città settentrionale di Karmiel. Più precisamente nella sede in cui trova posto la divisione Cyclone, dove è nata la maggior parte dei prodotti che hanno conquistato commesse del settore dell'aviazione, con colossi come Boeing, McDonnell e Bell Helicopter. Roboze, con la sua stampante, contribuirà alla realizzazione di materiali avanzati, in parti durevoli, utili all'innovazione tecnologica dell'azienda, a partire dalla sostituzione di parti metalliche di componenti aeronautici e aerospaziali.
  «L'utilizzo di materiali industriali di alta qualità - spiega l'azienda barese - come il Peek, il Pei e il Carbona Pa, consentirà a Cyclone di usare le parti stampate in 3D per test in condizioni ambientali estreme per applicazioni finali avanzate». «La consegna del nostro prodotto di punta per una società leader della sicurezza nazionale israeliana - spiega Gil Lavi, dirigente di Roboze il giorno della firma del contratto per la grande commessa - rende questo momento molto emozionante per noi. La linea tecnologica di EIbit copre una vasta gamma di soluzioni avanzate che sono tradizionalmente innovative per loro natura. La nostra Roboze One+400, contribuirà a ridurre costi e ad accelerare le fasi di sviluppo e di produzione dell'azienda israeliana». Il marchio Roboze è stato lanciato nel marzo 2015, dopo un lavoro di progettazione e messa a punto dei materiali, durato oltre due anni, della Mekatronica srl, società fondata nel 2013 da Lorusso, all'epoca 23enne. Da quel momento la crescita dell'azienda è stata progressiva e oggi conta una quindicina tra dipendenti e collaboratori, con rapporti commerciali in tutto il mondo. Il prodotto Roboze, infatti, è riuscito a collocarsi in una fascia inesplorata del mercato del settore, garantendo prestazioni di altissimo livello delle proprie macchine industriali, ma a costi contenuti. A settembre è stata premiata con lxi dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, come una delle 21 eccellenze italiane dell'innovazione e la ricerca. «Come azienda innovativa e visionaria - racconta Lorusso -, poniamo sempre molta attenzione alle esigenze attuali del mercato, ma soprattutto ci concentriamo su quelle future. Il nostro obiettivo per la stampa 3D industriale è posizionare la nostra tecnologia come soluzione per la produzione additiva di plastiche avanzate. Non vediamo l'ora di vedere fino a che punto i nostri clienti potranno allungare le proprie capacità grazie alla nostra tecnologia di stampa 3D». Propositi che nel frattempo hanno garantito un altro risultato, con la fornitura di Roboze One+400 per Mag (Mecaer aviation Group), protagonista internazionale nella customizzazione d'interni di elicotteri di primissima fascia.

(La Gazzetta del Mezzogiorno, 14 novembre 2016)


L'Unesco e Israele

Lettera a Il Resto del Carlino

L'Unesco mi ha proprio nauseato. Non sono ebreo, ma per me chi odia Israele è un nazista. Se l'Unesco non ritira le sue boiate sui luoghi sacri a ebrei e cristiani, metta una svastica sui suoi vessilli.
Mauro La Badia, Bologna

(Il Resto del Carlino, 14 novembre 2016)


Israele, riparte in tv la campagna City Break

Avital Kotzer Adari
Riparte la campagna del ministero del turismo israeliano per promuovere Tel Aviv e Gerusalemme in Italia: se Gerusalemme rappresenta la tradizione e la storia millenaria, Tel Aviv vuole identificarsi con la modernità e il divertimento, ma anche con la tecnologia e il design, la ricerca e la voglia di vivere 24 ore al giorno. La campagna sottolinea come Israele sia una destinazione perfetta per coniugare tradizione e innovazione, così da consentire in un unico city break la scoperta di due città vicine, raggiungibili con oltre 60 voli diretti alla settimana dall'Italia in meno di quattro ore. «Dopo la prima ondata di comunicazione che ha visto l'utilizzo soprattutto di carta stampata ed online, parte ora una fase della campagna che si concentra sul mezzo televisivo» ha dichiarato Avital Kotzer Adari, direttore dell'ufficio nazionale israeliano del turismo in Italia. «Dalla tv in chiaro ai canali satellitari, fino alla fine di novembre, Israele sarà presente su tutti i circuiti più importanti e sui siti online collegati: da Mediaset a La7, da Rai a Sky». Questa è la campagna più impegnativa che il ministero del turismo di Israele ha realizzato in Italia negli ultimi otto anni ed anche i mezzi più tradizionali come carta stampata e i social saranno utilizzati. Alla campagna è collegato il lavoro con i tour operator che, in collaborazione con l'ente, proporranno offerte speciali per questo periodo che apre le porte alle festività natalizie per continuare poi nel 2017.

(Travel Quotidiano, 14 novembre 2016)


Netanyahu ai ministri di Israele: non commentate la vittoria di Trump

di Maurizio Balistreri

Benjamin Netanyahu ha chiesto ai ministri israeliani di astenersi dal rilasciare commenti sulla presidenza di Donald Trump, dopo che alcuni politici di destra hanno dichiarato che l'elezione del magnate americano metterà One alla soluzione dei due stati con i palestinesi. Il premier israeliano è stato molto prudente nei commenti sulla sorprendente vittoria nel voto dell'8 novembre del candidato repubblicano, al quale ha inviato le congratulazioni e promesso di lavorare insieme. Ma altri politici di destra hanno strumentalizzato il trionfo di Trump per promuovere la propria causa, con alcuni che hanno caldeggiato l'accantonamento dell'idea della soluzione dei due stati con i palestinesi, la base di anni di negoziati. Il ministro dell'Istruzione, Naftali Bennett, che guida il partito religioso nazionalista Casa Ebraica, ha affermato la scorsa settimana che "l'era di uno stato palestinese è terminata".
  Netanyahu, all'inizio di una riunione di gabinetto, ha spiegato: "Il presidente eletto Trump ed io abbiamo deciso di incontrarci subito per discutere tutte le questioni importanti sull'agenda tra Stati Uniti e Israele. Ho chiesto che tutti i ministri, i vice ministri e i parlamentari consentano all'amministrazione entrante di formulare - insieme con noi - la sua politica nei confronti di Israele e della regione, attraverso canali accettati e tranquilli e non tramite interviste e dichiarazioni", ha aggiunto. La vittoria elettorale di Trump è considerata il probabile preludio a una politica statunitense più favorevole nei confronti di Israele, anche se molti analisti hanno avvertito che l'orientamento del futuro inquilino della Casa Bianca resta poco chiaro e lui stesso si è dimostrato imprevedibile. Netanyahu è stato tra i primi leader con i quali Trump ha parlato dopo la sua affermazione elettorale.
  Allo stesso tempo Israele teme che il presidente Barack Obama possa cercare una risoluzione Onu sul conhitto con i palestinesi a cui lo stato ebraico si oppone, prima della scadenza del suo mandato prevista il 20 gennaio. L'amministrazione Obama ha intensiOcato le critiche sull'ediOcazione degli insediamenti ebraici nella Cisgiordania occupata. "Negli anni recente abbiamo saggiamente e responsabilmente gestito le nostre relazioni con gli Stati Uniti - il più grande e importante tra i nostri alleati - e continueremo a farlo nei prossimi mesi e anni", ha detto Netanyahu. Gli Stati Uniti ogni anno garantiscono a Israele oltre tre miliardi di dollari in aiuti alla difesa.

(Il Fogliettone, 13 novembre 2016)


Quei cacciatori di buffet alla Knesset

Si chiama "Pinuknesset" (cibo alla Knesset) ed è un gruppo Whats App creato da Shai Doron, ex corrispondente parlamentare per il sito Nana10 News, con l'obiettivo di assaggiare cibo gratuitamente alla Knesset, il parlamento israeliano. Doron ha creato il gruppo per condividere con alcune delle persone vi lavorano tutti gli eventi in cui, all'interno del grande complesso parlamentare di Gerusalemme, viene offerto un buffet gratuito. Durante i suoi primi mesi di attività, il gruppo è diventato subito molto attivo - racconta il sito d'informazione online ynet - e l'idea è stata anche adottata dal Reichstag tedesco. Queste le regole per "lo scrocco" scritte da Doron agli altri 75 membri di Pinuknesset: "Se si individua la possibilità di uno spuntino, si aggiorna il gruppo, includendo la posizione dell'evento, il tipo di cibo servito e se c'è o ci sono guardie lì per proteggerlo. Se possibile, includete anche una foto. Buon appetito a tutti noi". "Ci sono così tanti eventi organizzati alla Knesset - ha spiegato Doron - Dalle riunioni ai convegni, alle cerimonie, e non si servono solo burekas (finger food diffuso in Medio Oriente): quando arriva in visita l'ambasciatore francese, si apre lo champagne; quando c'è una delegazione drusa si possono assaggiare eccellenti baklava (dolce fatto di pasta di filo)". Doron in ogni caso sottolinea che il gruppo è nato più per divertimento che per altro: "È un modo per passare il tempo e ridere, non siamo mossi dalla fame".

(moked, 13 novembre 2016)


Autorità egiziane: da domani il valico di Rafah aperto per quattro giorni

IL CAIRO - A partire da domani, 14 novembre, il valico di Rafah sarà aperto per i prossimi quattro giorni. Lo ha stabilito il presidente egiziano Abdel Fatah al Sisi, come riferisce l'agenzia stampa governativa "Mena". L'ultima apertura del valico risale a circa un mese fa. Il transito attraverso il valico consentirà alla popolazione residente nella Striscia di Gaza di reperire beni di varia natura ed avere accesso alle cure mediche. Nel corso degli ultimi tre anni il valico di Rafah è rimasto chiuso per la gran parte del tempo per ragioni di sicurezza. Il governo del presidente al Sisi, infatti, accusa il movimento palestinese di Hamas di sostenere i presunti terroristi che compiono attacchi proprio nel Sinai. La popolazione della Striscia di Gaza ha raggiunto ad ottobre i due milioni di abitanti, secondo quanto riportato da fonti del ministero dell'Interno dell'Autorità nazionale palestinese.

(Agenzia Nova, 13 novembre 2016)


Netanyahu vuole una legge contro il rumore dei muezzin dalle moschee

L'obiettivo è impedire che vengano usati altoparlanti per il richiamo alla preghiera, obbligando i muezzin a ricorrere solo alla potenza dei propri polmoni

Un nuovo elemento di tensione tra israeliani e palestinesi si sta per manifestare in tutto il suo fragore. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha dato il sostegno del governo alla proposta di legge che limita il volume delle chiamate pubbliche alla preghiera. In teoria il provvedimento riguarda tutte le fedi ma tranne il caso delle campane per le chiese cristiane, delle varie confessioni, il caso riguarda esclusivamente le moschee dei musulmani ed i versi pronunciati - 5 volte al giorno - dai muezzin in cima ai minareti, ricorrendo al momento a potenti amplificatori. Un provvedimento considerato da molti una minaccia alla liberta' di religione e inutilmente fonte di ulteriori divisioni. Il testo, prima di diventare legge, dovra' essere esaminato tre volte dalla Knesset, il Parlamento israeliano. L'obiettivo e' impedire che vengano usati altoparlanti per il richiamo alla preghiera, obbligando i muezzin a ricorrere solo alla potenza dei propri polmoni "Non posso contare le volte, perche' sono semplicemente troppe, che i cittadini da ogni parte di Israele e di ogni religione si sono lamentati del rumore proveniente dalle diverse case di preghiera" ha spiegato il premier.

(Corriere Quotidiano, 13 novembre 2016)


Netanyahu: attendere l'insediamento della nuova amministrazione Usa prima di parlare

GERUSALEMME - Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha invitato i ministri ed i membri della Knesset ad attendere che la nuova amministrazione Usa si insedii prima di formulare qualsiasi ipotesi sulla soluzione del conflitto israelo-palestinese. L'indicazione è giunta oggi nel corso della seduta parlamentare, durante la quale il premier ha avuto uno scontro con il ministro dell'Educazione Nafatli Bennett in merito alla politica degli insediamenti alla luce dell'elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Netanyahu ha ricordato ai parlamentari che il presidente eletto Usa ed il suo entourage hanno espresso la loro "profonda amicizia" verso lo Stato ebraico. Per questa ragione, i politici israeliani dovrebbero astenersi dal fare speculazione sul futuro della politica Usa in Medio Oriente e lasciarla ai canali della diplomazia, dopo che la nuova amministrazione si sarà insediata, ha affermato il premier. "Chiedo a tutti i ministri e parlamentari di aspettare fino a quando si sarà insediato il nuovo governo e formulare con esso politiche attraverso i canali ufficiali, non attraverso le interviste ai quotidiani", ha dichiarato Netanyahu. Negli ultimi anni "abbiamo gestito le relazioni con gli Usa in modo saggio e responsabile, e continueremo a farlo nei prossimi anni", ha concluso il primo ministro.

(Agenzia Nova, 13 novembre 2016)


Roma - Gusto Kosher, arte e cibo. Una domenica al Ghetto

Matok e maror, il dolce e il salato: le antiche tradizioni ebraiche

di Natalia Distefano

            Chef Tomer Niv promuove lo Slow Fish                     Ornella De Felice, alle prese con la kasherut ebraica
«Matok», ossia dolce, come la terra che regala latte e miele. E il suo contraltare «Maror», amaro, come la schiavitù dell'Egitto. Con questa immagine di mescolanza tra storia e sapori, la sedicesima edizione di «Gusto Kosher» racconta l'identità della tradizione gastronomica ebraica in una giornata itinerante nell'antico quartiere del Ghetto tra conferenze, degustazioni e mostre, prodotta da Lebonton Catering e intitolata «Matok e Maror. Assaporiamo i contrasti».
   Nelle viuzze alle spalle della Sinagoga, tra Portico d'Ottavia e via Arenula, con quartier generale al Palazzo della Cultura, dalle ore 11 prende vita una domenica alla scoperta di intrecci culturali, religiosi e gastronomici che, per la prima volta in sedici edizioni, coinvolge non solo le sedi istituzionali della Comunità Ebraica di Roma, ma anche gallerie d'arte della zona, librerie e cucine dell'intera area nel centro storico. Aperti fino alle 16 gli spazi del circuito Artughet, che ospitano una delle novità del 2016, gli «Itinerari Sensoriali di Storia, Arte e Gusto», in collaborazione con Kiryat Sefer e il Dipartimento beni e attività culturali della Comunità Ebraica. Per questa occasione ogni galleria associa le opere esposte a un sapore: dolce alla Galleria Pio Monti con la sambuca e i biscotti vaniglia e cioccolato; speziato alla Edieuropa con i fiocchi d'avena al miele, uvetta e sesamo; sapore amaro invece nello spazio Anna Marra Contemporanea; agrodolce alla Valentina Bonomo Artecontemporanea, e infine aromatico alla Honos Art con assaggi a base di cannella, zenzero, noce moscata e chiodi di garofano.
   Protagonisti gli chef. A Dario Bascetta Greco e Giovanni Terracina spetta il compito di interpretare i menu classici delle festività ebraiche in chiave street food e contemporanea, mentre l'italiana Ornella De Felice si cimenta per la prima volta con le regole della kasherut ebraica. Uno spazio speciale è dedicato all'anima green di Tel Aviv, capitale mondiale del veganesimo con la più alta percentuale di vegani al mondo, il cinque per cento della popolazione, in compagnia dello chef Harel Zakaim che presenta i sapori tipici delle sue radici persiane in chiave vegana. Infine, direttamente da Israele. Tomer Niv, lo chef creativo che dal suo ristorante gourmet sulle colline di Gerusalemme promuove la filosofia Slow Fish (di cui parla nel cooking show atteso alle 17,30),
In programma anche visite guidate, da piazza Cenci a via del Tempio, Sant'Angelo in Pescheria, via dei Delfini e piazza Mattei, associando sempre i luoghi a un sapore dolce o amaro, E due tavole rotonde che riuniscono esperti enogastronomici e rappresentanti istituzionali come il Rabbino Capo Riccardo Di Segni, Ruth Dureghello presidente della Comunità Ebraica di Roma e l'ambasciatore d'Israele in Italia Ofer Sachs. Tutto per cercare a tavola lo specchio di un popolo sospeso tra patria e esilio, lontananza e ritorno,

(Corriere della Sera - Roma, 13 novembre 2016)


Usa la Bibbia contro gli omosessuali: condannata attivista cristiana

Sentenza in Francia: dovrà versare 5mila euro per «provocazione all'odio»

E alla fine la condanna è stata confermata: Christine Boutin, ex presidente del Partito Cristiano Democratico francese, dovà pagare cinquemila euro per «provocazione pubblica all'odio e alla violenza». Tutto questo per aver spiegato, in un'intervista apparsa nell'aprile del 2014, il suo punto di vista sull'omosessualità - giudizio di condanna - citando la Bibbia.
   Nel 2015 Boutin, candidata alle presidenziali, era stata condannata in primo grado; qualche giorno fa la Corte d'Appello ha emesso un verdetto che la obbliga a versare duemila euro di danni e interessi alle associazioni "Mousse" e "Le Refuge" che si erano costituiti parte civile. Con la motivazione citata. La vicenda in Francia ha suscitato un acceso dibattitto, ed è stata ripresa anche da numerosi siti italiani, come Stilum Curiae del vaticanista Marco Tosatti.
   Christine Boutin, nell'intervista citata, aveva detto precisamente: «Non ho mai condannato un omosessuale. L'omosessualità è un'abominazione. Ma non la persona. Il peccato non è mai accettabile, ma il peccatore e sempre perdonato. Ho amici omosessuali. Sono peccatori. Sono nel peccato anch'io, ma non mi vedrete mai fare l'apologia di un peccato. Bisogna prendere la Bibbia». E le parole della Bibbia a cui aveva fatto riferimento la Boutin si trova nel Libro del Levitico, dove si legge: «Non ti coricherai con un uomo come si fa con una donna: è cosa abominevole. Non rendetevi impuri con nessuna di tali pratiche, poiché con tutte queste cose si sono rese impure le nazioni che io sto per scacciare davanti a voi». La difesa della deputata francese, che si è «appellata» alla Bibbia, non è bastata. Anzi, forse ha aggravato la sua posizione.

(Libero, 13 novembre 2016)+


A Palermo rivive l'ebraismo

 
Uno shabbaton che apre una finestra su di una realtà ebraica che sta rifiorendo e che ha molto da raccontare: quella di Palermo. In questo fine settimana infatti il vivace gruppo ebraico palermitano è stato al centro di diversi incontri nel capoluogo siciliano, a cui hanno partecipato, tra gli altri, il vicepresidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Giulio Disegni, il direttore dell'area Cultura e Formazione dell'UCEI rav Roberto Della Rocca, rav Pierpaolo Pinhas Punturello e Gadi Piperno, responsabile per l'Unione del Progetto Meridione.
   Tra gli eventi dello Shabbaton, una serata densa di storie personali e di emozioni che ha caratterizzato l'intero appuntamento. Tre donne di diverse provenienze - ma tutte accomunate dall'aver trascorso una parte della loro vita nel capoluogo siciliano - Fausta Carli Finzi, Maria Antonietta Ancona ed Evelyn Aouate, hanno raccontato le loro storie, che coincidono in qualche modo con la storia della rinascita di un nucleo ebraico a Palermo dopo gli anni della Seconda guerra mondiale.
   Fausta Carli Finzi arriva a Palermo con i genitori e il fratello nel 1948 e quello che subito la colpisce, e poi la coinvolge, è vedere la madre cercare di scoprire chi sono e quanti sono gli ebrei in una città dove non esiste una Comunità e così si hanno i primi incontri assolutamente casuali, anche semplicemente con ebrei che si trovano in città per lavoro o per turismo (come musicisti che vengono a suonare al Teatro Massimo o al Politeama, o professori con incarichi universitari), che vengono invitati e "catturati" nel salotto della mamma di Fausta, Fiorenza Della Pergola.
   Sono questi contatti, che iniziano a porre le basi di un primo nucleo ebraico anche se non strutturato a Palermo.
   E poi l'incontro casuale con il padre di Maria Antonietta Ancona, nata a Roma, ma di famiglia ebraica padovana, che viene a Palermo dopo la guerra. I racconti del padre, ma anche i molti silenzi, danno la forza e la motivazione alla figlia per andare alla ricerca delle radici ebraiche paterne e per iniziare un percorso che si concluderà nel 1989 con la sua conversione all'ebraismo.
   Da allora, per la signora Ancona sarà un non-fermarsi incessante per capire a conoscere e soprattutto cercare di condividere con altri le proprie radici.
   Infine, a raccontare la storia forse più emblematica di ebrea errante, è Evelyn Aouate (nell'immagine), nata in Algeria e costretta a lasciare il paese d'origine con padre, madre e due fratellini piccoli e a
 
rifugiarsi alla volta di Parigi dove la famiglia va a vivere: il suo ebraismo si svilupperà nelle tradizioni e nella conservazione di una ritualità sentita e vissuta. Poi i casi della vita la portano a Palermo e qui avviene quasi una sorta di "miracolo": dopo lunghi anni di vita siciliana in cui Evelyn credeva di essere l'unica ebrea di Palermo, ad eccezione di un'altra signora che incontra casualmente perché sua cliente, viene a conoscerne altri e parallelamente cresce il suo interesse per approfondire la storia della presenza ebraica in Sicilia.
   Nel 2013 riceve una proposta di un convegno sull'Ebraismo da organizzare a Palermo: la richiesta arrivava da rav Punturello.
   La presenza del rav in un dibattito pubblico alla Libreria Broadway segna l'inizio di una vera e propria svolta per il nucleo ebraismo palermitano: da quel momento, la signora Aouate si fa promotrice con altri di diversi eventi e incontri e dell'organizzazione delle feste ebraiche. Cene, feste e funzioni hanno luogo a casa Aouate, che diventa, insieme alla professoressa Luciana Pepi, docente all'Università di Palermo, il motore e il riferimento del gruppo ebraico palermitano. Gli eventi pubblici invece sono ospitati in palazzi che il Comune di Palermo volentieri concede alla realtà ebraica locale che fa capo alla Comunità ebraica di Napoli e che fonda anche l'ISSE (Istituto Siciliano di Studi Ebraici).
   Tre storie straordinarie di confine, che danno la misura di quale sia stata la vita degli ebrei a Palermo negli ultimi decenni.
   Nel frattempo vi sono stati alcuni ghiurim (conversioni) e sono continuate lezioni di ebraismo e l'organizzazione di eventi, a cura della Comunità di Napoli e di Shavei Israel.
   Ora gli ebrei palermitani desiderano una sede dove trovarsi e meglio organizzarsi come gruppo e una sinagoga per le funzioni. Temi importanti, messi sul tavolo nel confronto tenutosi ieri coordinato dal vicepresidente Disegni, e a cui hanno partecipato rav Roberto Della Rocca, rav Pierpaolo Pinhas Punturello e Gadi Piperno.
   Nell'immagine, la targa apposta posta all'Università di Palermo in memoria di Emilio Segre, Camillo Artom, Maurizio Ascoli, Mario Fubini e Alberto Dina, i cinque professori ebrei espulsi nel 1938 dall'accademia siciliana in seguito all'entrata in vigore delle infami leggi razziste.

(moked, 13 novembre 2016)


Occidentali benevoli verso la sharia

Una studiosa olandese è entrata nelle corti islamiche di Londra. Il suo racconto sull'Algemeen Dagblad

La politologa Machteld Zee si è specializzata all'Università di Leiden con una tesi di dottorato sulle corti della sharia in Gran Bretagna. E' uno dei pochi cittadini stranieri ad aver avuto accesso a questi organismi che gestiscono, fra le altre cose, il 95 per cento dei divorzi fra musulmani nel Regno Unito. La sua ricerca è finita sul tavolo del premier Theresa May, che ha lanciato una inchiesta su questo sistema giuridico parallelo a Londra, Birmingham, Bradford, Manchester, Nuneaton e che agisce legalmente al fianco della common law. Il British Arbitration Act e l'Alternative Dispute Resolution classificano, infatti, le corti islamiche come tribunali arbitrali. "Confrontate l'Olanda negli anni Ottanta e oggi", ha detto Zee. "E vedrete l'influenza dell'islam in tutto il mondo, l'Arabia Saudita ha sommerso il mondo con migliaia di imam, libri di testo, moschee e un sacco di soldi".
   Gli islamisti vogliono convincere i loro compagni di fede ad abbracciare la sharia, la legge islamica. Ma questi fondamentalisti sarebbero stati aiutati da "utili infedeli", gli intellettuali non musulmani, i politici e gli opinion maker che non vogliono offendere i musulmani. "Molti musulmani trovano questa posizione idiota, ma altri la usano per criticare chi è 'islamofobo' o 'razzista'. Gli autori che ho intervistato per la mia inchiesta sono generalmente benevoli verso i tribunali della sharia. Ma indovini un po'? Nessuno di loro ha mai partecipato a una sessione di questo tribunale. Non sanno cosa sta succedendo lì". Oggi sono oltre cento le corti della sharia in Inghilterra. Ho scoperto un sistema giuridico completo, molto più sistematico di quanto mi aspettassi e in contrasto con le nostre leggi laiche. Le donne devono richiedere a un tribunale della sharia di sciogliere il matrimonio, per esempio, perché il loro marito le maltratta. E' una società parallela. Le donne sono 'invitate' da questi tribunali ad accettare la poligamia e a non denunciare i casi di violenza domestica. I padri che abusano ricevono la custodia dei loro figli".
   Zee attacca quegli "intellettuali occidentali che scoraggiano l'isolamento dei fondamentalisti nelle comunità musulmane e che le islamizzano. Perché una scuola all'Aia preventivamente decide di rinunciare alle decorazioni di Natale? Non dobbiamo. Lo stiamo facendo a noi stessi. Dobbiamo essere molto più resistenti e chiamare con il suo nome l'islamizzazione".

(Il Foglio, 13 novembre 2016)


InterCampus a Gerusalemme e con l'UNIFIL, aria di convivenza in nome dello sport

 
 
GERUSALEMME/AL MANSOURI - Aria di convivenza in nome dello sport tra Gerusalemme e sud del Libano: InterCampus ha concluso due visite all'insegna dell'integrazione e dell'armonia tra bambini cresciuti sotto la spada di damocle della violenza e dei conflitti armati. Il campetto di Beit Zafafa, nel quartiere palestinese di Gerusalemme, proprio al confine tra Gerusalemme Est e Ovest, e' il solo postoche per tre ore a settimana si tinge di nerazzurro e dà la possibilità a un visitatore un po' spaesato di vedere tutte le religioni in un unico luogo. Arturo Cohen, allenatore Inter Campus di bambini palestinesi ed ebrei, su quel campetto insegna il gioco del calcio e assiste alla meraviglia di un'amicizia che pare vivere solo qui.
  L'anno scorso, quando sembrava che la terza intifada fosse alle porte, le attività' si fermarono per qualche settimana. In momenti come quelli, di attentati e retate, di blocchi di interi quartieri e di coltellate a freddo alla fermata dell'autobus, capii che ciò che stavamo facendo aveva un potenziale enorme, spiega Cohen sul blog di InterCampus: "Stavamo creando una comunità di persone, bambini e genitori, che stavano imparando, grazie al gioco del calcio, a stare insieme, a conoscersi, sorridersi e rispettarsi, in una città dove il primo insegnamento è 'stai con quelli come te'".
  La storia di questo inizio anno è quella di tre nuovi ragazzi palestinesi, arrivati tramite amici di amici, che non sono originari del quartiere Beit Zafafa, molto chiuso in sé. I tre ragazzi, inizialmente, mostravano tutta la tenerezza di tre bambini che non si sentivano accettati né a destra né a sinistra. Non erano di Beit Zafafa, non erano ovviamente ebrei. È stata una bellissima prova, anche per i bambini palestinesi, osservare il diverso nella propria società, e capire che i "veterani'' erano loro insieme agli ebrei, e che quindi era compito condiviso iniziare l'inserimento di questi nuovi bambini. "È un motivo di grande orgoglio per me, e per tutto Inter Campus Gerusalemme, sapere di essere gli unici a creare una comunità di bambini e genitori che rappresenta l'unico ponte, un ponte nerazzurro, tra i due lati del muro," spiega Cohen.
  Anche ad Al Mansouri nel sud del Libano si respira aria di convivenza. "Qui a scuola ci sono bambini libanesi (sunniti e sciiti), siriani, palestinesi e curdi. Non credete a chi dipinge il Libano come un paese ancora attraversato da divisioni, io sono sciita e i miei migliori amici sono sunniti e cristiani; noi giovani abbiamo cambiato pagina e ora stiamo scrivendo un futuro di pace e unità", afferma Hussein, l'allenatore che segue i bimbi di Inter Campus. L'iniziativa e' stata gradita in paese: "Ogni contributo, ogni iniziativa finalizzata all'educazione di questi bambini è più che gradita. Ormai i bimbi vedono nella maglia nerazzurra la loro definizione di libertà", dice il Abu Hussein, il preside della scuola. In Libano InterCapur e' stato ospite del contingente italiano di UNIFIL presso la base ONU di Shama guidata dal Generale di Brigata Ugo Cillo: la la stabile collaborazione con il Multinational CIMIC Group garantisce continuità al progetto.

(OnuItalia, 13 novembre 2016)


Qualificazioni Mondiali: Israele si impone in trasferta contro l'Albania per 3-0

di Lorenzo Carini

Crolla l'Albania davanti al pubblico amico dell'Elbasan Arena di Elbasan: Israele si impone con un 3-0.

Niente da fare per l'Albania di Gianni De Biasi e del vice Paolo Tramezzani, che si è arresa per 0-3 contro Israele. La partita cambia già dopo appena 17’, quando l'arbitro, il tedesco Aytekin, mostra il cartellino rosso a Berat Djimsiti, difensore 23enne che milita nel campionato di Serie B, ad Avellino.
Calcio di rigore per Israele: Eran Zahavi, da quest'anno al Guangzhou R&F, realizza il gol del vantaggio.
Peggiora la situazione al 55’: espulso anche il portiere dell'Atalanta Etrit Berisha ed ennesimo tiro dal dischetto per gli israeliani. L'estremo difensore albanese diventa ora Hoxha, che subentra a Llullaku.
Dagli undici metri si presenta, ancora, Zahavi: nulla da fare per il bomber israeliano, che sbaglia il penalty.
Israele trova il doppio vantaggio al 66’, con Einbjnder; chiude i conti, infine, Eliran Atar.
In classifica, Israele supera l'Albania e si porta al terzo posto, alle spalle dell'Italia, che a Vaduz ha sconfitto per 4-0 il Lichtenstein (doppietta Belotti, gol di Immobile e Candreva), e della Spagna, vincitrice sulla Macedonia con il medesimo risultato (autogol Velkoski, gol di Vitolo, Monreal e Aduriz).

CLASSIFICA GRUPPO G:
Spagna, Italia 10
Israele 9
Albania 6
Macedonia, Lichtenstein 0

(News, 12 novembre 2016)


Leader israeliano: cautela sulla politica di Trump in Medio Oriente

GERUSALEMME - Il leader del partito israeliano di centro Yesh Atid, il giornalista Yair Lapid, ha invitato i politici a non fare "ipotesi avventate" sul processo di pace mediorientale in seguito all'elezione del presidente statunitense Donald Trump. "Dobbiamo aspettare, so che per molti politici è difficile", ha affermato Lapid ad un evento teatrale, come riferisce il quotidiano israeliano "Times of Israel". Lapid ha invitato ad essere cauti e pazienti: "Questa amministrazione è stata eletta soltanto tre giorni fa e si insedierà soltanto il 20 gennaio prossimo". Lapid ha aggiunto, inoltre, che la nuova amministrazione "non ha ancora stabilito un orientamento politico chiaro". Le dichiarazioni del leader del partito di centro che ha 11 seggi nella Knesset commentano quelle rilasciate nei giorni scorsi da alcuni ministri e ad altri esponenti del mondo politico del paese mediorientale. In particolare, all'indomani dell'elezione di Trump, il ministro dell'Educazione Naftali Bennett ha affermato che la vittoria del candidato repubblicano rappresenta "un'opportunità" per abbandonare la soluzione della creazione di due Stati per porre fine al conflitto israelo-palestinese. "La vittoria di Trump è un'opportunità per Israele per ritrattare immediatamente l'idea di uno Stato palestinese nel centro del paese, che nuocerebbe alla nostra sicurezza (…)", ha detto Bennett in un comunicato. "Questa è la posizione del presidente eletto, come scritto sul suo sito, e che dovrebbe essere la nostra politica, pura e semplice", ha aggiunto il ministro dell'Educazione. "L'era di uno Stato palestinese è finita", ha precisato Bennett, ricordando che "la speciale relazione tra gli Stati Uniti e Israele continuerà e diventerà più forte".

(Agenzia Nova, 12 novembre 2016)


Donald Trump alla Casa Bianca, le reazioni del mondo arabo

Le sue prese di posizione sull'immigrazione di musulmani negli Usa ha offeso molti Paesi islamici ma il brusco risveglio alla realtà politica racconta un riassestamento in atto.

di Rolla Scolari

I rais del mondo arabo hanno reagito meglio di quanto ci si aspettasse all'elezione del tycoon Donald Trump alla Casa Bianca. E benché le sue controverse prese di posizione sulla necessità di bloccare l'immigrazione di musulmani negli Stati Uniti abbiano offeso l'opinione pubblica di molti Paesi islamici del Medio Oriente e Nord Africa, il brusco risveglio alla realtà politica racconta un riassestamento in atto.

 Egitto, il faraone Abdelfattah al-Sisi
  Il leader egiziano AbdelFattah al-Sisi è stato il primo leader a telefonare al presidente eletto Donald Trump. Al magnate americano, al-Sisi ha detto che spera che la relazione possa dare nuovo respiro ai rapporti tra il Cairo e Washington. Hillary Clinton, segretario di Stato durante le rivolte arabe del 2011, ha mostrato la sua disapprovazione alle repressioni degli ultimi anni portate a termine contro le opposizioni dal regime del Cairo, che ha definito una «dittatura armata». Sia lei sia il suo rivale, a lato dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite di settembre, hanno incontrato il generale Sisi, «un tipo fantastico», con cui ci sarebbe una certa «chimica», ha detto allora Trump. La celerità con cui al-Sisi ha preso il telefono mercoledì sottolinea l'interesse egiziano a salvaguardare quegli aiuti militari - 1,3 miliardi di dollari l'anno - che l'America continua a dare all'Egitto e che, punto in comune tra diverse Amministrazioni, hanno come obiettivo il mantenimento della stabilità in quella regione, e sempre di più la lotta contro il terrorismo islamico.

 Libia, la rivalità tra sarraj e haftar
  Anche se la caratteristica della politica estera di una presidenza Trump potrebbe essere l'imprevedibilità, come ha spiegato Thanassis Cambanis, esperto della Century Foundation, i segnali pro-Russia che Trump ha fatto emergere durante la sua campagna elettorale fanno prevedere cambiamenti di posizione nei confronti di alcuni leader sostenuti invece dall'Amministrazione Obama. È il caso per esempio della Libia, dove non mancherebbero preoccupazioni all'interno di quel Consiglio presidenziale del premier Fayez al-Sarraj a Tripoli, che si oppone politicamente e geograficamente all'Est del Paese e al generale Khalifa Haftar, sostenuto sia dalla Russia sia dall'Egitto.

 I principi sauditi incerti
  «Lavoriamo assieme per la pace», avrebbe detto a Donald Trump il re saudita Salman nella sua telefonata di congratulazioni. «Non vediamo l'ora di rafforzare le relazioni tra regno saudita e Stati Uniti», ha dichiarato il ministro degli Esteri Adel al-Jubeir. L'Arabia Saudita è un alleato storico degli Stati Uniti, anche se dopo la presidenza di George W. Bush, le relazioni sotto il presidente Barack Obama si sono raffreddate. Hillary Clinton avrebbe garantito un mantenimento di antichi equilibri. Come ricorda Cinzia Bianco, analista di Gulf State Analytics e della NATO Defense College Foundation, personalità centrali nella politica del regno come i principi ereditari Mohammed bin Nayef e Mohammed bin Salman sono ancora legati a quell'establishment tradizionale della politica estera americana di cui l'ex segretario di Stato sconfitto faceva parte. L'opposizione di Trump a quell'accordo nucleare che ha riportato il rivale iraniano fuori da anni di isolazionismo interessa però Riad.

 Iran, riformisti e conservatori
  «Il peggior accordo mai siglato»: così Donald Trump ha definito in passato l'intesa internazionale firmata con Teheran sul suo programma nucleare nel 2015. A marzo, parlando all'Aipac, l'American Israel Public Affair Committee, il candidato repubblicano aveva detto che avrebbe «smantellato» l'accordo. L'ipotesi spaventa quei leader "riformisti" iraniani, come il presidente Hassan Rouhani e il ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif, a pochi mesi dalle elezioni presidenziali. I conservatori iraniani sono rimasti freddi fin dall'inizio sulla firma dell'accordo, che ha portato alla fine dell'era delle sanzioni e di un sistema economico che favoriva i vertici di istituzioni come le Guardie rivoluzionarie. La Guida Suprema, ayatollah Ali Khamenei, che non aveva mai parlato in favore di un leader degli Stati Uniti, ha avuto parole quasi positive poche settimane fa parlando della sincerità di Trump nel criticare «le depravazioni» americane.

 Turchia, il sultano Erdogan
  Recep Tayyip Erdo?an deve essere stato soddisfatto nel leggere, a luglio 2016, un'intervista al candidato repubblicano, dopo il fallito golpe in Turchia. Donald Trump, infatti, a differenza della maggior parte dei leader e dei politici di mezzo mondo, ha rifiutato sotto pressione del giornalista di condannare le "purghe" e gli arresti portati a termine dal governo di Ankara in seguito ai fatti del 15 luglio. Se questa può essere una questione che avvicina i due, altri dossier potrebbero causare tensioni. Nella stessa intervista Trump ha dichiarato: «Sono un grande fan delle forze curde», una frase che difficilmente porta i due politici su un terreno comune. Dopo la telefonata ufficiale di congratulazioni fatta da Erdogan a Trump nelle scorse ore, il premier turco Binali Yildirim ha subito lanciato una sfida al presidente eletto: «Ci congratuliamo con Trump e invito apertamente il nuovo presidente all'estradizione urgente di Fethullah Gülen», ritenuto da Ankara dietro al tentato golpe di luglio.

 Israele, Netanyahu e il viaggio nell'ignoto
  Una telefonata, un tweet e un video: così ha reagito il premier israeliano Benjamin Netanyahu nelle prime ore dopo l'elezione di Donald Trump. «È un amico sincero dello stato di Israele - ha detto - Agiremo insieme per portare avanti la sicurezza, la stabilità e la pace nella nostra regione». Benché Netanyahu e Trump abbiano un finanziatore in comune - il miliardario Sheldon Adelson - e benché il tycoon americano durante la sua campagna abbai fatto dichiarazioni di peso nei confronti di Israele - trasferimento dell'ambasciata americana a Gerusalemme, sostegno alla politica di ampliamento degli insediamenti - non è corretto pensare che i politici israeliani siano completamente tranquilli. «Un viaggio nell'ignoto», ha titolato il quotidiano liberal Haaretz dell'elezioni di Donald Trump. La mancanza di una storia politica del presidente eletto pesa sulla politica regionale. Hillary Clinton avrebbe garantito a Netanyahu una politica estera nel solco del suo predecessore, e quindi più facile da anticipare.

 Abu Mazen e il déjà vu palestinese
  Il presidente palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) si è congratulato con il vincitore del voto americano, e ha auspicato che possa continuare a lavorare per la creazione di due Stati, uno israeliano, uno palestinese. Ahmad Majdalani, consigliere del rais, ha detto che l'Autorità nazionale non crede che ci saranno cambi sostanziali nella politica estera americana per quanto riguarda la risoluzione del conflitto. Secondo Diana Buttu, avvocato, ex portavoce e consigliere legale di Abu Mazen, il dramma è che probabilmente l'avvicendamento non porterà a sostanziali trasformazioni, e che «la leadership palestinese aspetta ogni volta l'arrivo di un nuovo inquilino della Casa Bianca senza in realtà nel frattempo fare nulla per modificare la realtà sul terreno».
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(La Stampa, 12 novembre 2016)


Come Trump potrà aiutare Israele. Parlano gli analisti Inhar e Halevi

"Trump può aprire grandi opportunità per Israele". Parlano Efraim Inbar e Yossi Klein Halevi

di Giulio Meotti

 
          Efraim Inbar                                                                  Yossi Klein Halevi
ROMA - Benjamin Netanyahu ha avuto momenti di grande tensione con il presidente uscente Barack Obama, e Hillary Clinton ne sarebbe stata la continuazione". Così al Foglio Efraim Inbar, direttore del Besa Center e consigliere molto ascoltato dal premier israeliano, riassume il sentimento oggi prevalente nell'inner circle di Netanyahu.
  Dice Efraim Inbar: "L'elezione di Donald Trump è una buona notizia per Gerusalemme, ma staremo a vedere. L'Amministrazione Trump non è ancora prevedibile, ma sembra che i nostri alleati saranno più forti nel difendere il mondo libero. La posizione iniziale di Trump è molto diversa da Obama su Gerusalemme, l'Iran e le colonie. In Israele non chiediamo soldati americani, ma di capire la nostra posizione, mentre Obama ha proiettato debolezza in tutta la regione. Egiziani, israeliani, sauditi, per ora sono tutti sollevati da Trump". Ci sono molte cose che accomunano Bibi e Donald. La prima non sono i tre matrimoni, la faccia di bronzo o la psicoanalizzazione subita dai media. Sono i soldi. Sheldon Adelson, magnate di Las Vegas e tredicesimo uomo più ricco d'America, due settimane fa ha donato venticinque milioni di dollari alla campagna di Trump. Adelson è anche il principale finanziatore di Netanyahu. Non solo. Adelson è il proprietario dell'unico giornale che aveva endorsato Trump, il Las Vegas Review-Journal, ma anche di Israel Hayom, il primo quotidiano israeliano e vicinissimo a Netanyahu. Non solo. Come Trump, Netanyahu ha costruito il suo carisma politico contro l'establishment: i giornali, le tv, gli ambasciatori, i generali in pensione, gli scrittori. Se Netanyahu trova il suo bacino di voti nelle città periferiche di Israele e a Gerusalemme, Trump nella Rust Belt, mentre ai Democratici di Hillary Clinton sono andate tutte le città, così come il Labour israeliano è fortissimo a Tel Aviv. Ci sono già alcuni dossier su cui i due convergono. Come ha ricordato ieri al Washington Post David Makovsky del Washington Institute for Near East Policy, "per la prima volta Netanyahu avrà a che fare con un presidente repubblicano". Trump ieri ha invitato Bibi alla Casa Bianca, definendo (proprio su Israel Hayom) Israele "un raggio di speranza". "Trump è un vero amico d'Israele", ha dichiarato Netanyahu. All'Aipac, la più grande organizzazione americana a sostegno d'Israele, Trump ha promesso di spostare l'ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendola come capitale (promessa difficile però da mantenere). "Trump continuerà a rinforzare la nostra città", ha detto ieri il sindaco di Gerusalemme Nir Barkat. A maggio, Trump ha detto che gli insediamenti ebraici non sono il cuore del conflitto e anzi di essere a favore della loro costruzione, visto che i palestinesi "continuano a sparare missili contro lo stato ebraico". Si capisce perché in queste ore il ministro israeliano dell'Educazione, Naftali Bennett, leader della destra alleata di Netanyahu, ha definito l'elezione di Trump "la fine dell'èra dello stato palestinese". Trump e Netanyahu sono accomunati dalla retorica contro l'Onu, che Trump ha definito "nemica della democrazia, della libertà, degli Stati Uniti e di Israele". Comune è l'avversione al deal nucleare con l'Iran. La preoccupazione maggiore a Gerusalemme su Trump riguarda gli aiuti militari: non ha fatto mistero di essere contrario. I due consiglieri di Trump su Israele sono Jason Greenblatt e David Friedman, avvocati, ebrei ortodossi che furono amici di Ronald Reagan e falchi favorevoli alle colonie. Poi c'è Walid Phares, cristiano maronita pro Israele. E tutti e tre i contendenti per diventare segretario di stato con Trump - John Bolton, Newt Gingrich e Bob Corker - hanno una posizione oltranzista pro Israele.
  Ma in che modo, al di là della retorica, Trump può fare la differenza per Israele? Lo chiediamo a Yossi Klein Halevi, intellettuale israelo-americano di estrazione liberal, critico di Trump e collaboratore di testate fra cui il New York Times: "Le due aree più rilevanti per Israele oggi sono l'accordo sull'Iran e le relazioni con il mondo arabo", dice Yossi Klein Halevi al Foglio. "Nessuno si aspetta che Trump stralci l'accordo con l'Iran, ma che metta pressione all'Iran nel rispettarlo, insistendo per evitare che destabilizzi la regione. Trump significa più sanzioni sull'Iran e la fine della fantasia obamiana per cui il regime iraniano è un partner, anziché una minaccia per la regione. Trump porterà a questa rivoluzione concettuale sull'Iran". Poi c'è il fronte palestinese: "Per la prima volta c'è una vera opportunità per Israele di trovare il suo posto nel mondo arabo, perché abbiamo un nemico comune, l'Iran, che porta Israele e sauditi sullo stesso fronte. I media sauditi, che erano i più antisemiti al mondo, stanno preparando il popolo al cambiamento nelle relazioni con Israele. Obama pensava che Israele dovesse fare la pace con i palestinesi per fare la pace con il mondo arabo. Idea non solo fuori moda, ma pericolosa. Per fare la pace con i palestinesi Israele deve prima trovare un accordo con il mondo arabo. Se Trump comprende questo, la sua Amministrazione può davvero essere un cambiamento per Israele, portando i palestinesi a essere partner per la pace. Con Trump saranno i palestinesi, non Israele, a essere sotto pressione. Trump è un rude pragmatico e il presidente americano meno ideologico della storia. E ciò aiuterà Israele".

(Il Foglio, 12 novembre 2016)


Calcio - Albania- Israele, vigila anche l'antiterrorismo

Rigide misure di sicurezza per Albania-Israele (ore 20.45 Sky calcio 2). Circa 2 mila gli agenti impegnati a Elbasan, tra cui anche le unità dell'antiterrorismo. La partita avrebbe dovuto svolgersi a Scutari, nel Nord del Paese, ma la Federcalcio albanese tre giorni fa ha cambiato città e stadio, dopo che lo scorso fine settimana, proprio vicino a Scutari è stato arrestato un gruppo di 4 albanesi, sospettati di legami con lo Stato Islamico.

(Corriere della Sera, 12 novembre 2016)


Leonard Cohen: un ebreo affascinato da Cristo

Scompare a 82 anni, il cantautore e poeta canadese, testimone inquieto e amaro delle contraddizioni di una generazione. Ha cantato le gesta dei protagonisti delle Sacre Scritture in tutta la loro umanità e fragilità.

di Luca Marcolivio

Leonard Cohen
Era uno dei personaggi più schivi nel mondo della musica contemporanea e la sua scomparsa è stata un riflesso della sua vita. Nella discrezione e in punta di piedi, Leonard Cohen ci ha lasciati lunedì scorso, a Los Angeles, all'età di 82 anni ma la notizia è stata diffusa soltanto oggi, dalla sua etichetta discografica, la Sony Music, che non ha rivelato nulla riguardo alle cause della morte del grande poeta e cantautore canadese.
Un artista, la cui vastissima produzione letteraria e musicale, a dispetto del tocco lieve e sussurrato delle sue canzoni e dell'innata riservatezza del personaggio, ha suscitato parecchio 'rumore' per un cinquantennio. Non avevano bisogno di mastodontiche e roboanti promozioni i suoi dischi, raramente sono stati dei best seller, eppure hanno segnato circa tre generazioni, perché davvero parlavano da soli.
Nato a Montreal, il 21 settembre 1934 da famiglia ebrea, Cohen ha esordito nel mondo della letteratura, prima ancora che nella canzone: alla prima raccolta poetica Flowers for Hitler (1961), seguirono due romanzi, The Favourite Game (1963) e Beautiful Losers (1966), poi finalmente l'esordio discografico con Songs of Leonard Cohen (1967).
Cohen è stato testimone ed interprete, apparentemente cinico e distaccato, dei sogni e delle disillusioni della sua generazione. Troppo anziano per far parte della generazione del flower power e della contestazione studentesca, Cohen ne è stato tuttavia culturalmente coevo e ha espresso nelle sue liriche uno sguardo lungimirante, ai limiti del profetico, centellinando ogni singolo aspetto della vita privata e pubblica della sua epoca, e trasformandolo in vibranti emozioni musicali.
Non c'è ambito dell'umano che non sia stato scandagliato dalle sue liriche struggenti e taglienti, dalle sue nenie malinconiche ed intelligenti, capaci di rilassare il cuore e svegliare la mente: l'amore e il sesso (Hey That's No Way To Say Goodbye, Chelsea Hotel, Take This Longing, Dance Me To The End of Love), la guerra (The Partisan, Stories of the Street, There is a War), la libertà (Bird on a Wire), il viaggio (Suzanne, Song of Isaac), la solitudine (Teachers) la morte e il suicidio (One of Us Could be Wrong, Nancy, Who By Fire), la politica e i segni dei tempi (Democracy, The Future).
Della cultura ebraica che lo aveva permeato, Cohen aveva ereditato l'attitudine a porsi e a porre domande. "Chi dal fuoco / chi dall'acqua / chi di notte […] chi in un lento declino […] chi in una valanga […] chi per la sua avidità / chi per la sua fame […] potrei dire che sta chiamando?" (Who By Fire). La morte, la vita e il fine ultimo dell'esistenza erano sempre al centro di tutti i suoi testi, anche di quelli relativamente più leggeri.
Ossessionato dalla dialettica tra l'amore e la libertà, tra la solitudine e il protagonismo, tra il sacro e il profano, tra la passione e il sentimento, Cohen percepisce la presenza dell'assoluto come costantemente incombente, elevando e nobilitando ogni elemento della quotidianità: "Tra le noccioline e la gabbia […] tra il chiaro di luna e il viottolo / tra il treno e il tunnel / tra la vittima e la sua macchia / ancora una volta / ancora una volta / l'amore ti chiama per nome" (Love Calls You By Your Name).
La sua spiritualità lo portò ad esplorare tutte le tradizioni religiose, dal buddismo, cui fu attratto nella seconda parte della sua vita, al cristianesimo, di cui condivide la profonda simpatia per gli ultimi e gli sconfitti.
Grande è il fascino esercitato sull'ebreo Cohen da Gesù Cristo, del quale però non riesce a vedere nient'altro che un uomo: "E Gesù fu un marinaio / quando camminò sull'acqua / e trascorse molto tempo a osservare / dalla sua triste torre di legno / e quando seppe con certezza / che solo chi annegava poteva vederlo / disse: 'tutti gli uomini saranno marinai / finché il mare li libererà'. / Ma lui stesso fu spezzato / ben prima che il cielo si aprì / dimenticato, quasi umano / ed è piombato nella tua saggezza come una pietra". Eppure, riconosce il cantautore, "tu vuoi viaggiare con lui / vuoi viaggiare con lui ciecamente / e pensi che ti fiderai di lui ciecamente" (Suzanne).
In un altro brano, Cohen immagina di incontrare Cristo sulla via del Calvario e di domandargli: "Non odi la l'umanità per quello che ti ha fatto?". E Gesù gli risponde: "Parla d'amore, non d'odio / questo devi fare / si fa tardi / ho poco tempo e sono solo di passaggio" (Passing Through).
Ma Cohen lo ricorderemo anche per come ha saputo magistralmente raccontare l'umanità e la fragilità delle grandi figure del Nuovo Testamento: in Song of Isaac racconta il mancato sacrificio del figlio di Abramo come la metafora di una generazione matura che immola sugli altari quella più giovane, come avveniva alla fine degli anni '60 con la guerra in Vietnam.
In Hallelujah, il capolavoro più noto di Cohen, la perdita della grazia di Re Davide, il suo degrado dalla bellezza divina a quella umana e muliebre, è visto come l'intonazione del medesimo salmo dalla stessa cetra ma in una tonalità più malinconica, con tutto il senso dell'amara caducità delle passioni terrene.
I personaggi che emergono tra le liriche criptiche e profonde - eppure irresistibili - di Cohen sopravvivranno alla scomparsa del loro autore e vivono tra noi, come lo specchio dolceamaro di qualsiasi esistenza.

(Zenit, 11 novembre 2016)



L'antisemitismo in Italia

L'antisemitismo in Italia non si esprime prevalentemente attraverso violenze fisiche come invece accade in altri paesi (vedi la Francia dove i cimiteri ebraici vengono periodicamente e sistematicamente devastati, dove saltano in aria sinagoghe, dove ragazzi ebrei vengono malmenati da scrupolosi compagni di scuola, dove i luoghi ad alta concentrazione ebraica sono costretti a vivere sotto stretta sorveglianza per evitare sgradevoli sorprese). Il nostro antisemitismo si respira, si odora, viaggia attraverso linguaggi spesso non espliciti, in cui ci si imbatte con sconcertante casualità, sgorga inaspettatamente da una magari innocente conversazione. È un sentire poco strutturato, sovente irriflessivo, ma che pure esiste e che, a studiarlo bene, vanta una sua stupefacente saldezza. Raramente, dunque, si trasforma in aggressioni a persone o cose. Raramente assume le fattezze agghiaccianti dello scontro fisico. Ma quando questo succede ha le caratteristiche di un incubo. Quel che è peggio è che, dopo le condanne rituali sociali, dopo che i giornali si sono dichiarati sconcertati, dopo che gli esperti si sono espressi motivando e arzigogolando, dopo che i capi religiosi si sono detti contriti e, ovviamente, disapprovanti, tutto torna come prima. Pronto a ripetersi.
(da "I soliti ebrei" di Daniele Scalise)

 


A Sabbioneta "Leone de' Sommi e il teatro della modernità"

Sabato 12 alle 21 nel Teatro all'Antica di Sabbioneta, l'Associazione di cultura ebraica "Man Tovà", il gruppo teatrale "Il Palcaccio", la scuola di danza "Step by step professional dance center" presentano la conferenza - spettacolo Leone de' Sommi e il teatro della modernità.
Durante la serata sarà presentato l'omonimo libro dedicato a Leone de Sommi ed edito nel 2015 da Gilgamesh; ne parleranno l'autore Giorgio Pavesi, cultore di storia ebraica e il presidente dell'associazione Man Tovà Stefano Patuzzi con particolare riferimento ai vari aspetti della cultura ebraica del Cinquecento.
«A Mantova, in pieno Rinascimento, la qualità degli spettacoli organizzati dagli ebrei raggiunse un livello tale da suscitare l'interesse dei Gonzaga che a loro affidarono il compito di provvedere alla gestione degli allestimenti per le feste di carnevale e di rappresentanza - evidenziano gli organizzatori - In particolare Leone de' Sommi, (1525-1590) corago, ossia regista, della comunità ebraica ebbe il compito di creare, organizzare, coordinare e approntare tutti i soggetti che concorrevano alle messinscene. Il palcoscenico, che fin dal Medioevo era il luogo dove l'ebreo era confinato al ruolo di figura derisoria, rozza ed esecrabile, con de' Sommi diventa la sede della mediazione fra ambito giudaico e cristiano: ciò in quanto l'ebreo è portavoce di una sapienza millenaria da valorizzare attraverso la divulgazione e l'interazione con la società in cui opera».
Durante la serata saranno proposte, in lingua italiana, alcune scene dall'opera teatrale Una piacevole commedia matrimoniale (nell'originale Tzachùt bedichùta de-qiddushìn) a cura della Compagnia teatrale "Il Palcaccio" di San Giorgio di Mantova con la regia di Gabriele Bussolotti.
In questa commedia il De Sommi «prese spunto dalla tradizione, anche linguistica, biblica e talmudica, per scrivere la prima commedia in ebraico con l'intento di esaltare la duttilità letteraria e la bellezza poetica della lingua sacra».
Gli intermezzi coreografici saranno a cura della scuola di danza "Step by step professional dance center" di San Benedetto Po con coreografie di Vanna Mantovani.
L'evento, lo ricordiamo, è realizzato in collaborazione con il Comune di Sabbioneta e l'ingresso alla conferenza-spettacolo al teatro all'Antica è libero ed aperto a tutti.

(Gazzetta di Mantova, 11 novembre 2016)


«Israele, un vino d'eccellenza»

 
La classifica delle eccellenze stilata dalla redazione è attesa febbrilmente dalle principali cantine internazionali. Ogni anno, esserci o non esserci può condizionare interi processi decisionali e strategie di marketing a media e lunga scadenza.
Per questo la scelta della prestigiosa rivista americana Wine Spectator di dedicare in ottobre la propria copertina ai vini di Israele (il numero è stato stampato alla vigilia di Sukkot) è stata accolta con entusiasmo da chi, dal Golan al Negev, di questo vive e nel settore sta investendo molte risorse per affinare i processi produttivi e allinearli a paesi storicamente al vertice del settore. "Surprising Quality From an Emerging Regi.on" titola WS, dando conto del fermento e delle incoraggianti prospettive che sembrano interessare gli addetti ai lavori nello Stato ebraico. L'approfondimento si apre con una testimonianza di Kim Marcus, direttore editoriale della rivista, che si cimenta in un intenso wine-tasting: un'esperienza piacevole oltre ogni più rosea aspettativa (ventitré i vini definiti "eccezionali"). Il segno, sottolinea, di una "vera e propria trasformazione di Israele" in questo senso. Da paese di modeste prospettive enologiche a vera e propria potenza.
In Israele, scrive Wine Spectator, ci sarebbero oggi tutti gli elementi al posto giusto per conquistare importanti fette di mercato: cantine, ristoranti e alloggi di qualità in tutta la regione. Ma anche energie fresche e voglia di emergere: elementi imprescindibili per affermarsi nell'arena globale.
Spiega Marcus: "Molte persone potrebbero sorprendersi per il fatto che Israele stia diventando un produttore sempre più rinomato nel mondo. Ma è oggi una realtà incontestabile. La qualità è in crescita tanto che numerose etichette sono oggi riconosciute per il loro pregio fuori dal mondo ebraico, tradizionale bacino d'utenza del vino israeliano. È fondamentale che questa barriera sia stata finalmente infranta. Israele ha soltanto da trarne un
vantaggio".

(Pagine Ebraiche, novembre 2016)


Cosa è successo nel mondo dopo che Donald Trump è diventato presidente degli Usa

Trump assumerà ufficialmente l'incarico a gennaio 2017. Ma dal momento della sua elezione pochi giorni fa, qualcosa sta già iniziando a cambiare.

di Anna Ditta

Un manifestante durante una protesta davanti al municipio dopo l'elezione del repubblicano Donmp come presidente degli Usa. Credit: Patrick T. Fallon
Donald Trump è stato eletto nuovo presidente degli Stati Uniti pochi giorni fa, dopo aver conquistato la maggioranza dei collegi elettorali, i cosidetti Grandi Elettori, pur non aggiudicandosi la maggior parte del voto popolare.
La sua elezione formale si terrà il 19 dicembre, giorno in cui i Grandi Elettori statunitensi scelti dai cittadini, voteranno a loro volta. L'investitura ufficiale alla Casa Bianca avverrà invece a gennaio 2017.
Tuttavia, dal momento della vittoria di Trump lo scorso 8 novembre, si sono già verificati alcuni avvenimenti negli Stati Uniti e nel mondo, che forniscono le prime, e senza dubbio parziali, indicazioni di cosa potersi aspettare durante il prossimo mandato presidenziale. Ecco di cosa si tratta:

 Stati Uniti
  In molte città degli Usa migliaia di persone hanno protestato per la seconda notte consecutiva contro l'elezione del magnate americano, sostenendo di essere preoccupate per il rispetto dei diritti civili nei confronti delle minoranze. Questo è avvenuto nonostante il discorso di apertura pronunciato da Trump subito dopo la vittoria e l'incontro in toni cordiali con il presidente uscente Barack Obama alla Casa Bianca il 10 novembre.
Il giudice che si sta occupando della causa civile per frode nei confronti del presidente eletto Donald Trump e della sua Trump University ha detto l'11 novembre che sarebbe opportuno per entrambe le parti giungere al patteggiamento "considerando tutti gli interessi coinvolti".
Un ex leader del Ku Klux Klan (Kkk), David Duke, ha festeggiato l'elezione di Trump scrivendo su Twitter: "Questa è una delle notti più emozionanti della mia vita. Non vi sbagliate, il nostro popolo ha avuto un ruolo importante nell'elezione di Trump". Prima delle elezioni, la campagna di Trump ha rifiutato il supporto di un giornale del Kkk.

 Israele
  Il ministro dell'Istruzione israeliano Naftali Bennett, leader del partito di destra che appoggia la costruzione di insediamenti israeliani e si oppone allo stato palestinese, ha detto che "la vittoria di Trump è un'opportunità per Israele di ritrattare immediatamente l'idea di uno stato palestinese nel centro del paese". "L'era dello Stato palestinese è finita", ha aggiunto Bennett.
Durante la campagna elettorale, sia Clinton che Trump hanno dichiarato che - se eletti - avrebbero continuato sulla stessa linea dell'attuale politica degli Stati Uniti in merito al conflitto israelo-palestinese, che è quella di una soluzione a due stati. Tuttavia, Trump si è guadagnato il supporto di Israele con la promessa di spostare l'ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendo l'antica città come capitale di Israele.

(The Post Internazionale, 11 novembre 2016)


Cesare Lombroso sionista riluttante

Nel 1898 Theodor Herzl tentò di conquistare lo scienziato alla causa del nazionalismo ebraico: lo rivela un carteggio.

di Emanuele D'Antonio

 
Nell'estate del 1898 Theodor Herzl, il fondatore del sionismo politico, tentò di conquistare Cesare Lombroso alla causa del nazionalismo ebraico. L'episodio, documentato da alcuni carteggi inediti conservati presso il Museo Lombroso di Torino e i Central Zionist Archives di Gerusalemme, riporta alla luce una pagina poco nota di storia dell'ebraismo nella turbolenta fin-de-siècle europea. Il sionismo si era costituito in soggetto politico al Congresso di Basilea del 1897, nel nome dell'autodifesa dall'antisemitismo e della preservazione dell'identità ebraica dalla «assimilazione».
  Il nuovo movimento spaccò l'ebraismo europeo, suscitando entusiasmi ma anche ostilità. L'ideologia dell'emancipazione, egemonica nelle Comunità, ne criticava il carattere «antimoderno», pericoloso per le conquiste seguite all'affrancamento dal ghetto. È dunque in un contesto di forte conflittualità interna che, alla vigilia del secondo Congresso di Basilea, si inscrive l'abboccamento di Herzl a Lombroso. Il veronese, docente di Psichiatria a Torino e padre dell'antropologia criminale, non era solo una celebrità internazionale della scienza e della cultura ma anche uno dei più noti intellettuali ebrei dell'epoca. La sua adesione avrebbe prodotto gran clamore, offrendo nuova legittimazione al movimento sionista.

 Ebreo «assimilazionista»
  Che il compito fosse malagevole, Herzl doveva ben saperlo. Lombroso aveva già detto la sua alla vigilia dello scoppio dell'affaire Dreyfus, nella monografia su L'antisemitismo e le scienze moderne (1894). Lo scienziato aveva allestito un'autorevole difesa dell'emancipazione respingendo, in nome del sapere socio-antropologico, la sfida dei movimenti antisemiti di massa. L'antisemitismo gli appariva uno strumento di propaganda nazionalista, che mobilitava atavici odi etno-religiosi. L'ideale della nazione ariana era fuorviante e regressivo: il métissage aborrito dagli antisemiti era da secoli realtà e fonte di sviluppo delle società europee. Gli ebrei erano una popolazione «più aria che semita», protesa all'integrazione nel corpo nazionale e, dove emancipati, alfieri del progresso comune.
  Il discorso lombrosiano si faceva ferocemente critico, trattando di alcuni usi ebraici, a suo dire, residuali e anacronistici. Lombroso, ribadita la bontà dell'emancipazione, dava voce alla sua identità di ebreo «assimilazionista»: l'umanità era chiamata a superare le appartenenze tradizionali, raccogliendosi in una nuova solidarietà universale. Il sionismo, in questo quadro, non poteva trovare alcuno spazio. Il viennese Nathan Birnbaum, importante figura della fase pre-herzliana, lo aveva interpellato al riguardo. Lombroso gli riservò una cocente delusione: il suo progetto era un'utopia antistorica e irrealizzabile. La Palestina era «un deserto» poco attraente per gli ebrei d'Europa, legati da vivissimo amore alle loro patrie. I «pochi fanatici» disponibili a migrarvi, russi e romeni incolti, non erano in grado di portare avanti ambiziosi progetti di colonizzazione agraria. Il precedente era ben poco incoraggiante.

 «Troppo vecchio ... »
  Nel luglio 1898 Herzl gli inviò fiducioso una propria brochure. Lo scienziato, benché non ne fosse molto impressionato, formulò un giudizio positivo grazie alla mediazione della rete familiare e amicale: il tessuto connettivo lo crearono la figlia Gina e il Kulturkritiker Max Nordau, intimo di Lombroso e braccio destro di Herzl. La Welt, organo ufficiale del sionismo, annunciò la sua «conversione», sollecitata dai «figli» e giunta dopo «un lungo dibattito» familiare.
  A questo punto Herzl alzò il livello delle richieste, invitandolo nel novero dei suoi opinionisti: «Io credo che [Lombroso]», scriveva alla figlia Gina il 13 luglio, «potrebbe riscontrare più il genio che la follia della razza ebraica in questo movimento [che] abbraccia i figli e le figlie! - della nostra nazione». Il 29 luglio, la Welt pubblicò in prima pagina il lombrosiano Der Zionismus in Italien und anderswo. Lo scienziato, fatta ammenda del precedente giudizio, legittimava il sionismo quale risorsa per risollevare dall'oppressione le masse ebraiche dell'Europa orientale. La sua testimonianza alimentò la speranza della leadership sionista di riuscire a coinvolgerlo nell'attività del movimento. Alla metà di agosto Lombroso fu acclamato delegato del circolo di Braila, in Romania, all'imminente Congresso di Basilea. Il mandato gli fu comunicato separatamente da Herzl e Nordau. «La nostra causa, che voi stesso giudicate grande», gli scriveva il leader sionista il 19 agosto, «trarrebbe il massimo vantaggio dalla vostra presenza e dall'autorità del vostro nome».
  Lombroso non era convinto, né riusciva a concepire il sionismo diversamente da una pratica filantropica. Nordau, ben consapevole, lo invitò a ponderare l'accettazione: «Vi si attaccherà certo in Italia, e voi non avrete altra ricompensa della soddisfazione di coscienza». Il dovere di un buon ebreo, anche alieno a «una parte attiva», era quello di rivendicarsi tale: «Voi apportate una grande forza morale al sionismo, dichiarandovi simpatico ai suoi obiettivi». Poco dopo Lombroso comunicò a Herzl il rifiuto del mandato: «Troppo vecchio di mente e corpo, non però [...] di spirito, la prego di dire ai suoi amici che se io fossi più giovane [...] sarei uno dei più ardenti partigiani del sionismo». Il messaggio, letto all'assise congressuale, avrebbe scatenato un'ovazione fra i delegati.

(La Stampa, 11 novembre 2016)


Roma - Il Ghetto fa festa con ''Gusto Kosher''

Domenica l'antico quartiere offre un cooking show tra arte e street food

di Marco Lombardi

Tel Aviv è la città con la più alta concentrazione di vegani al mondo, pari al 5 % della popolazione: questo sarà uno dei temi affrontati domenica 13 novembre alla XVI edizione di Gusto Kosher grazie alla presenza di Harel Zakaim, lo chef del primo ristorante vegano d'Israele. In effetti il titolo dell'edizione 2016 di Gusto Kosher, che si svolge come sempre nell'antico quartiere ebraico di Roma, è "Mator e maror: assaporiamo i contrasti". «Le festività ebraiche si celebrano con piatti i cui sapori ne sottolineano le caratteristiche: zuccherosi a Rosh HaShanà, il Capodanno Ebraico, perché sottendono l'augurio di un anno dolce, mentre sono pieni di erbe amare in occasione della Pasqua ebraica in ricordo delle sofferenze della schiavitù in Egitto», spiega Giovanni Terracina, fondatore di Lebonton Catering, la società che insieme a Daniele Terracina e Dario Bascetta preparerà i piatti del festival.
I sapori, sulla falsa riga di un evento di Cinegustologia avvenuto due anni fa al Pitigliani in cui si erano raccontati i più importanti film sull'ebraismo associandoli a dei piatti ebraici, «diventano l'occasione per raccontare la storia di un popolo in bilico tra patria ed esilio, lontananza e ritorno, individuo e collettività», prosegue Terracina. La manifestazione consterà di altri ospiti fra cui il celebre chef Tomer Niv che, dopo aver studiato con Heston Blumenthal alla South Bank University Culinary Arts di Londra, è tornato a Gerusalemme per dirigere un ristorante gourmet, e poi gli artisti Stefano Forgiane e Giuseppe Rossi, alias Ttozoi, il duo artistico che dipinge servendosi di muffe fatte proliferare sopra unajuta intelaiata su pannelli speciali preparati con acqua e farina, muffe che vengono poi colorizzate con pigmenti naturali.

(Il Messaggero, 11 novembre 2016)


Il Medio Oriente secondo Donald: vicino a Israele, ma faccia da solo

Israele: la destra plaude, Haaretz teme disinteresse

Obama? Una delusione. Per una fetta di Israele, e di ebrei americani, il presidente di colore non era l'uomo giusto. All'elezione di Donald Trump, molti iscritti all'Aipac (The American Israel Public Affairs Committee) avranno stappato lo champagne. L'Aipac viene considerata la più potente lobby ebraica degli Stati Uniti e il 22 marzo ha ospitato il magnate durante una tappa della campagna elettorale. La figlia del tycoon, Ivanka, è sposata con l'immobiliarista Jared Kushner e per lui si è convertita all'ebraismo ortodosso nel 2009. "Io sono uno che sa fare accordi, e lasciatemi dire una cosa - disse Trump - questo accordo (riferendosi a quello siglato fra Usa e Iran sul nucleare) è catastrofico per l' America, per Israele e per l'intero Medio Oriente". Stoccata a Obama. Applausi in sala. Infine: "Quando sarò presidente i giorni in cui Israele è trattato come un cittadino di seconda classe finiranno". Ora sarà tutto da vedere se le promesse troveranno applicazione. Uno dei più stretti consiglieri di Trump, Jason Greenblatt alla Radio militare israeliana ha ribadito che il presidente "non vede negli insediamenti un ostacolo alla pace" ed ha confermato che l'ambasciata Usa sarà trasferita a Gerusalemme. Il quotidiano Haaretz però cita un documento sviluppato dal ministero degli Esteri israeliano: "Da un lato Trump ha espresso sostegno agli insediamenti e allo spostamento dell'ambasciata Usa a Gerusalemme, ma dall'altro ha sostenuto di voler restare neutrale e che le due parti (Israele e Autorità nazionale palestinese) devono da sole raggiungere un accordo". Insomma, l'interesse minimo per il Medio Oriente da parte del neo presidente potrebbe essere un boomerang per Tel Aviv.

(il Fatto Quotidiano, 11 novembre 2016)


Il teatro nazionale israeliano si è esibito in un insediamento a Kiryat Arba

GERUSALEMME - La compagnia teatrale israeliana Habima si è esibita ieri sera per la prima volta in un insediamento a Kiryat Arba, che si trova nei pressi di Hebron, e ha portato in scena "Una storia comune" del premio Nobel per la Letteratura israeliano Samuel Joseph Agnon. L'annuncio dello spettacolo era stato annunciato giorni fa dalla ministra della Cultura Miri Regev, membro del Likud del Primo ministro Benjamin Netanyahu. "Ecco come un teatro nazionale deve comportarsi", aveva twittato. Da quando è diventata ministro, l'anno scorso, Regev combatte le opere che criticano lo Stato ebraico e le sue politiche.
La direttrice di Habima, Odelia Friedman, da parte sua ha dichiarato alla radio che gli israeliani degli insediamenti hanno il diritto di accedere alla cultura sovvenzionata dal governo come tutti gli altri cittadini israeliani.

(Fonte: askanews, 11 novembre 2016)


La fabbrica di Schindler diventerà un memoriale della Shoah

Nella Repubblica Ceca un museo ricorderà l'impresa dell'industriale che salvò 1200 ebrei. Ma non mancano ostacoli e critiche.

di Federica Tourn

La fabbrica dismessa di Oskar Schindler
La fabbrica dismessa che l'industriale tedesco Oskar Schindler utilizzò per far lavorare 1200 ebrei durante la seconda guerra mondiale, salvandoli così dalle camere a gas, diventerà un memoriale della Shoah.
Siamo a Brněnec (un tempo Brünnlitz), nella Repubblica Ceca, vicino a Svitavy (ex Zwittau), 40 miglia a nord-est di Praga e città natia dello stesso Schindler, dove nel diciannovesimo secolo venne costruito un laboratorio, con annesso mulino e deposito di prodotti chimici; ed è proprio qui che l'industriale nazista trasferì gli operai ebrei delle sue fabbriche di Cracovia alla fine del 1944, con la scusa che erano specialisti di munizioni, indispensabili per la fabbricazione di proiettili per l'esercito del Führer.
La storia degli "ebrei di Schindler" è nota, grazie al bestseller di Tom Keneally Schindler's Ark, raccontata anche dal film Schindler's list di Steven Spielberg, uscito nelle sale nel 1993 e diventato presto un successo in tutto il mondo. Ora l'obiettivo è ripristinare l'edificio al suo stato originale, compresa la torre di guardia, creando un memoriale e una mostra che illustri la vita dello stesso Schindler: l'apertura è prevista per il 2019.
E tuttavia non è stato facile entrare in possesso della ex fabbrica, che fino alla chiusura nel 2009 produceva tessili Ikea e seggiolini auto per Škoda, e che solo di recente, dopo una lunga battaglia legale, è finalmente passata nelle mani della neocostituita "Shoah e Oskar Schindler Memorial Endowment Memorial Foundation".
Le difficoltà non sono legate soltanto ai costi da affrontare per rimettere in piedi la fabbrica ma riguardano anche i sentimenti contrastanti di molti cittadini cechi nei confronti dell'industriale tedesco e della sua vita prima del '44: Schindler infatti era un cecoslovacco dalla regione dei Sudeti, quindi prevalentemente di lingua tedesca, e faceva la spia per l'Abwehr, il servizio di intelligence straniero nazista, prima che il territorio fosse annesso da Hitler in base all'accordo di Monaco del 1938; inoltre Schindler aderì al partito nazista e in pochi erano a conoscenza del suo gesto prima che venisse raccontato dal film di Spielberg. Così, mentre a Gerusalemme Schindler è onorato insieme alla moglie Emilie fra i "giusti fra le nazioni", nella Repubblica Ceca è ricordato come un truffatore, famoso più che altro per il gioco d'azzardo e la passione per l'alcol e per le donne. L'antipatia per l'industriale tocca persino piccole meschinità come il rifiuto, da parte dell'attuale proprietario della casa in cui Schindler era nato nel 1908, di mettere una targa ricordo sul muro. Ma c'è chi fa di peggio, visto che il piccolo monumento a Schindler, installato nel parco di fronte alla casa, è stato vandalizzato con una svastica il giorno dopo l'inaugurazione, nel '94. C'è addirittura chi dubita della veridicità dell'impresa di Schindler, uno scetticismo che lo storico Radoslav Fikejz, interpellato dal The Guardian, attribuisce ai lunghi anni sotto il comunismo e all'espulsione dal paese di più tre milioni di cittadini di lingua tedesca dopo la guerra.
Non c'è che dire, nemo propheta in patria.

(Riforma.it, 10 novembre 2016)


L'arroganza del giudizio

di Daniel Funaro

Se vince Barak Obama la democrazia è una cosa straordinaria, gli elettori hanno raggiunto una maturità nel voto che gli permette di votare il candidato migliore e gli Stati Uniti sono la rappresentazione delle magnifiche sorti e progressive della politica americana. Se vince Trump è un danno irreparabile, gli elettori hanno votato con la pancia non comprendendo i temi della campagna elettorale e il mondo è destinato inevitabilmente al fallimento.
Questo è un piccolo riassunto del pensiero tipo di dopo l'elezione dell'imprenditore americano alla Casa Bianca. Dimenticando che Trump è stato votato dopo otto anni di Obama e che indicare le ragioni del voto come un voto di pancia, di rabbia e frustrazione per ragioni sociali è un giudizio saccente, arrogante e anche un po' razzista. Il punto è che non siamo tutti politologi, sondaggisti e in grado di comprendere il mondo in ogni sfumatura. Forse non lo sono neanche queste categorie che infatti non ci hanno azzeccato nelle previsioni e ci hanno detto che sarebbe andata in un altro modo. Di sicuro c'è che declassare le ragioni degli americani in questa maniera è offensivo verso il sistema democratico. A noi che piace commentare e discutere, dovrebbe piacere di più la curiosità di capirne i motivi piuttosto che l'arroganza di stabilirne le ragioni a seconda delle nostre idee politiche.

(moked, 10 novembre 2016)


Trump non considera gli insediamenti un ostacolo alla pace

Lo afferma un alto consigliere del neoeletto presidente Usa, ricordando come lo sgombero degli insediamenti da Gaza non abbia certo portato la pace.

Il neo eletto presidente Usa Donald Trump non considera gli insediamenti ebraici in Cisgiordania come un ostacolo alla pace con i palestinesi e manterrà la promessa fatta in campagna elettorale di spostare l'ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme. Lo ha detto giovedì a radio Galei Tzahal Jason Greenblatt, alto consigliere di Trump per le questioni relative a Israele.
Finora le varie amministrazioni americane hanno sempre sostenuto che gli insediamenti israeliani in Cisgiordania sono illegittimi e che la loro presenza costituisce uno dei principali ostacoli sul percorso per arrivare a un accordo di pace. Trump invece, ha detto Greenblatt, ritiene che israeliani e palestinesi debbano risolvere fra loro le divergenze che li dividono, senza che il mondo imponga un piano di pace....

(israele.net, 10 novembre 2016)


Svolta nei rapporti con Israele e Iran

L'autore di questo articolo, nato a Tel Aviv nel 1952, è uno studioso e docente di letteratura araba all'università di Bar-Ilan. Specializzato sui gruppi islamici del Medio Oriente, per 25 anni è stato nell'intelligence militare delle Forze di difesa israeliane.

di Mordechai Kedar

 
Mordechai Kedar
Il fattore principale che rende trascinante Trump non sono le informazioni o i dati, bensì le sue emozioni. È un tratto caratteristico degli imprenditori di successo, che pensano di sapere tutto e che nessuno sa tutto meglio di loro. Questi personaggi si dicono: «Sono un miliardario, mentre il mio consigliere riceve uno stipendio. Se fosse più intelligente di me sarebbe lui il miliardario e io vivrei del mio stipendio». Molto probabilmente Trump pensa, e prende decisioni come un imprenditore e a guidarlo saranno interrogativi come «cosa è meglio per l'America, cosa la rende più forte, cosa promuove i suoi interessi, cosa rafforza l'economia, cosa crea più posti di lavoro, chi sono i nostri alleati e chi sono i nostri nemici».
Se questi sono gli interrogativi dietro alla politica di Trump in Medio Oriente, avrà le seguenti caratteristiche.

 Primo
  La sua politica si baserà sull'assegnazione delle etichette di «amico e alleato» o «nemico». Facendo così tornerà alla terminologia di George W. Bush, che parlava dei «nostri amici e alleati». Obama era stato cauto a evitare questa espressione, che implicava che tutti gli altri erano «nostri nemici». Credo che Trump definirà Israele in termini adulatori come «il nostro migliore alleato», e forse manterrà la sua promessa di spostare l'ambasciata Usa a Gerusalemme. L'affinità mentale e ideologica tra Trump e Netanyahu produrrà un clima positivo che porterà i due a scambiarsi idee e cooperare. In questo modo Trump rimedierà alla situazione che ha gettato un'ombra sulle relazioni tra Israele e Usa negli ultimi otto anni di permanenza di Obama alla Casa Bianca. Trump però potrebbe perdere la pazienza e dire a Netanyahu qualcosa come: «Mio caro amico, dopo 50 anni di occupazione, potresti gentilmente sederti a un tavolo con i tuoi vicini arabi e raggiungere un accordo. Hai sei mesi per farlo. Se non ci riesci, allo scadere di questi sei mesi sarò io a risolvere il problema, con i miei mezzi, e faresti meglio a non costringermi a farlo». Trump potrebbe perfino giustificare questo diktat con la sua decisione di spostare l'ambasciata americana a Gerusalemme. Questo approccio molto business - riconoscere Gerusalemme in cambio dell'abbandono della Giudea e della Samaria - sarebbe un problema molto serio per Israele, soprattutto alla luce del fatto che Congresso e Senato sono ora in mano ai repubblicani e sarà difficile che inviteranno Netanyahu a pronunciare un discorso contro la politica del presidente, come successe con Obama.

 Secondo
  Trump probabilmente tratterà molto bene il presidente egiziano al-Sisi, perché lui combatte i terroristi islamici, l'elemento che fa più paura a Trump. La sua posizione verso l'Arabia Saudita sarà probabilmente molto fredda, a causa del ruolo dei sauditi negli attacchi dell'11 settembre, del denaro investito dai sauditi nella diffusione dell'islam wahhabita negli Usa e nel resto del mondo e del loro sostegno ai terroristi, soprattutto in Siria.

 Terzo
  Possiamo aspettarci che Trump raggiunga una chiara intesa sul Medio Oriente con Putin, sia perché Putin, secondo Trump, sta facendo la cosa giusta a eliminare il terrorismo islamico che minaccia l'integrità e l'esistenza stessa della Siria, e anche perché Putin ha già preso in mano le vicende mediorientali che Trump vede come un guaio in cui nessuna persona normale vorrebbe infilarsi. Credo che Trump auguri a Putin di avere successo nell'eliminare il terrorismo in Siria, senza alcun coinvolgimento americano. Se Putin chiederà un aiuto degli Usa nella guerra contro l'Isis, Trump sarà felice di cooperare.
Quarto. Trump ha detto diverse volte che l'accordo sul nucleare con l'Iran è una pessima intesa, e che farà il possibile per cancellarla. Se fossi un ayatollah comincerei a preoccuparmi per quella che sarà la politica di Trump nei confronti dell'Iran.

(La Stampa, 10 novembre 2016 - trad. Anna Zafesova)


La prima grande sconfitta del politicamente corretto

La vittoria di Trump mette fine al dominio dell'elite democratica e al senso di colpa per i mali del mondo.

di Fiamma Nirenstein

«La mente ( che si ritiene) cronicamente colpevole diventa legata alla sua colpa perché è il distintivo della sua innata superiorità» dice sull'America Thinker la psicanalista Deborah Tyler esaminando le dinamiche della politica di Obama e di Hillary Clinton. Gli è stato fatale: riconoscere le proprie colpe e quindi i propri limiti è una molla di superamento dei problemi procurati a se stessi e agli altri. Trump, un tipo alquanto dedito all'autoammìrazione e all'esaltazione del proprio operato, ci fa stare un po' in pensiero quando segna a dito ispanici, immigrati, terroristi islamici ... Eppure proprio questa è stata una delle molle basilari delle sue elezioni: togliersi dalla faccia lo schiaffo della colpa disegnata dalla presidenza Obama come base della politica americana, e della sua etica interna e esterna. Colpevoli, responsabili, figli e padri della colpa: gli americani non hanno avuto più voglia di sentirsi tali.
   Tutti quanti siamo ormai abituati a fustigarci per questo: la guerra? L'abbiamo scelta noi. Immigrati? Sono la conseguenza di una politica imperialista. Terrorismo islamico? Frutto della discriminazione ideologica e sociale islamofobica cui abbiamo destinato i mussulmani; difficoltà di integrazione fra bianchi ed etnie diverse? Conseguenza del nostro razzismo che diventa discriminazione, violenza, prepotenza dei poliziotti; sessismo e omofobia? Vizi della società capitalistica; inquinamento, clima, cibi adulterati? Risultato di feroci politiche di sfruttamento. Qualsiasi cosa sarà Donald Trump, oltre alle molte motivazioni sociali e culturali che hanno decretato la fine più che del dominio dell'elite democratica di quella legata al Chicago Style di Obama, bisogna considerare l'esplosione di rabbia che la gente ha voluto esprimere sentendosi ripetere tutti i dogmi di un polìticalIy correct che li crocifigge allo schiavismo storico, che li costringe a considerarsi colpevoli dei mali del mondo, un pericolo pubblico, un invasore coloniale invece di quell'ottimo amico americano che corre in aiuto dai tempi in cui ha sconfitto il nazismo a prezzo di tante vite. E che diamine! Può mai essere l'ideologo capo Oliver Stone, che ha riscritto la storia d'America sostenendo che Hiroshima e Nagasaki sono state bombardate solo per far dispetto agli Usa, che Truman era psicopatico per il suo «gender issues», che Kennedy è stato ucciso dai repubblicani perché non voleva fare la guerra con l'Urss ... Via via si arriva fino all'attacco dell'11 settembre come autoinflitto dall'America a se stessa.
   Obama, e Clinton sono agli occhi di chi ha votato Trump, l'immagine di un americano penitente che non ha ragione di essere. Il presidente Obama non ha saputo spiegare alla mamma di un ragazzo ucciso dal terrorismo islamico perché si è rifiutato di usare questa espressione; nei suoi viaggi in Arabia saudita, in Germania, in Giappone sostenendo la priorità del dialogo ha cancellato le loro responsabilità e sottolinenando sempre le proprie. E a casa ha giocato basso sugli incidenti razziali in cui, alla fine, sono stati uccisi cinque poliziotti di Dallas e ha, anzi, spiegato che essi «erano stati uccisi durante una protesta pacifica in risposta all'uccisione di Alon Sterling a Baton Rouge» e che «la condotta della polizia era l'oggetto della manifestazione».
   Di nuovo un'autoaccusa rispetto a una questione etnica durissima, in cui anche i neri sono implicati nei disordini e nelle uccisioni. Ma la colpa è sempre maggiore della volontà di risolvere il problema, maggiore del problema stesso, come dire che il terrorismo è «random» casuale e psicopatologico. Troppo senso di colpa, esagerare non serve. E la Clinton, oltretutto, ha dimostrato che se ne può avere tanto sulle questioni sociali, e far parte di un'elite disinvolta e ricchissima.

(La Stampa, 10 novembre 2016)


"Hitler a Manhattan"

Le testate liberal finiscono fuori giri e dopo aver paragonato Trump al nazismo ora si leccano le ferite.

di Giulio Meotti

ROMA - Dal suo bordo piscina a Beverly Hills, Cher ha twittato, precedendo Eva Longoria: "Come Trump, Hitler ha causato caos e paura". Si è scaldato Spike Lee: "E' come i nazisti e Mussolini". Sir David Attenborough ha proposto una soluzione all'Hitler biondo: "Potremmo sparargli". E allo show di Charlie Rose, il comico Louis C.K. ha sbottato: "E' stato divertente per un po', ma quel tizio è Hitler". Sarebbe divertente, se il paragone Trump-Hitler non avesse infettato, portandoli alla pazzia, tutti i grandi media liberal. "Come Stalin e Hitler", ha detto alla Cnn Dana Bash parlando del neo presidente americano. Su Msnbc Joe Scarborough: "La Germania non sembrava così nel 1933?". Il New York Times ha pubblicato articoli come quello di Peter Baker: "L'ascesa di Trump è parte del fascismo globale". E sulla pagina letteraria del Times Michiko Kakutani ha recensito il libro "Hitler: Ascent, 1889-1939" senza neppure velare troppo le allusioni a Trump. Il Washington Post ha pubblicato almeno dodici articoli sul nazismo di Trump: Danielle Allen ("ho trascorso la vita a domandarmi come ha fatto Hitler a prendere il potere in Germania e, guardando l'ascesa di Trump, ora capisco"), Robert Kagan ("il fascismo arriva in America"), Peter Ross Range ("la teoria politica che Trump condivide con Hitler") e Richard Cohen ("il disprezzo hitleriano della verità di Trump"). Si è aggregata al coro una storica dell'Olocausto come Deborah Lipdstadt: "Alcune persone non erano d'accordo con l'antisemitismo di Hitler, ma lo hanno accettato perché avrebbe reso la Germania di nuovo grande". La Nbc ha pubblicato un articolo dal titolo: "Il piano di Trump per i musulmani è simile a quello della Germania nazista" (i nazisti dell'Illinois hanno già allestito i lager). Al New Yorker, l'ottimo Adam Gopnik ha scritto: "Ovviamente Trump non è Hitler. Ma neanche Hitler era Hitler, fino a che non lo è diventato". Sulla New York Review of Books, il grande storico della Shoah, Timothy Snyder, ha scritto: "Finora Trump può solo verbalmente abusare dei suoi avversari ai raduni, mentre gli oppositori di Putin sono assassinati". Finora ... Anche il venture capitalist della Silicon Valley, Sam Altman, ha paragonato Trump a Hitler. Come la ceo di Hewlett Packard, Meg Whitman. La reductio ad hitlerum è proseguita sui giornali dei campus. Come il Collegian, organo degli studenti della California State University, che ha messo Trump in copertina e "Sieg Heil". O come "vivere la Germania nazista nell'America di Trump". A Newsweek sono andati a intervistare la sorellastra di Anne Frank, Eva Schloss: "Trump è come Hitler". Anche in Inghilterra è arrivata l'infezione. Sul Guardian, Emma Brockes ha scritto: "Bugiardo, pazzo, egomaniaco, demagogo, è quello che dissero del leader nazista prima della sua elezione. Ricorda qualcuno?" Il Telegraph ha fatto un quiz: "Chi lo ha detto, Trump o Hitler?". Scrittori come Stephen King, Junot Diaz e Dave Eggers hanno fatto appello al popolo: "La storia delle dittature è storia di manipolazioni e divisioni, demagogia e menzogne". Molti di quelli che hanno gridato "Hitler" avevano promesso che sarebbero partiti in caso di vittoria trumpiana. Come Whoopi Goldberg ("forse è il momento di andarsene"), Samuel L. Jackson ("se quel figlio di puttana diventa presidente porterò il mio culo nero in Sudafrica") e Lena Dunham ("conosco un bel posto a Vancouver e posso lavorare da lì"). Si affrettino però, perché le Schutzstaffel trumpiane saranno presto sguinzagliate nel quadrilatero che conta, l'Upper West Side.

(Il Foglio, 10 novembre 2016)


Quella frattura che attraversa le società occidentali. Israele compreso

I pessimi toni dello scontro Clinton-Trump non devono mettere in ombra le serissime, irrisolte questioni di fondo: identità, solidarietà, ethos condiviso.

Non s'era mai visto nulla di simile: una campagna elettorale incentrata su temi quali le molestie sessuali, la corruzione, il razzismo e i segnali di antisemitismo. Israele, detto per inciso, non è comparso fra i temi-chiave, nemmeno di passaggio. Meglio così, date le circostanze. Perché in quella campagna non c'era posto per una vera discussione.
Quello che sta accadendo negli Stati Uniti è un sintomo di ciò che accade in Occidente. E' stata una campagna elettorale che ha messo in risalto la profonda frattura in atto nelle democrazie occidentali. Presto assisteremo a uno spettacolo analogo in Francia. In Gran Bretagna è già avvenuto con il referendum sulla Brexit, culminato in un parricidio politico. In altri paesi europei i sondaggi prevedono un crollo dei vecchi partiti e l'ascesa di formazioni populiste ed estremiste. La battaglia in corso è tra un establishment vecchio, corrotto e marcio e una politica populista e demagogica. In altre parole: Clinton vs. Trump....

(israele.net, 10 novembre 2016)



Parashà della settimana: Lech Lechà (Va')

Genesi 12:1-17:27

 - Le parashoth della Torah che trattano di Adamo, Noè ed Abramo mettono in evidenza il parallelismo che esiste tra questi personaggi biblici. Adamo e Noè ebbero entrambi tre figli da cui ha origine l'intera umanità. Con Abramo, Isacco e Giacobbe inizia la storia del popolo ebraico. Cosa hanno in comune questi personaggi? La benedizione ricevuta da D-o di crescere per riempire la terra.
Nella realizzazione del disegno Divino vengono seguite strade diverse. Noè era un uomo integro e cercava D-o con la ragione. Abramo aveva compreso i limiti della ragione umana per cui incontrò D-o con la fede. La "prova" della fornace ardente, decretata per lui da Nimrod, tiranno di Babilonia, ne è una testimonianza verace.
Il Signore disse ad Abramo: "Lascia il tuo paese, la tua città e la casa di tuo padre e vai per te (lech lechà) verso la terra che I-o ti indicherò. Farò di te una grande Nazione" (Gen. 12.1). Abramo ha l'ordine di andare verso la terra cioè di cercare D-o nella storia dell'uomo e non in cielo tra gli angeli.
Abramo, forte nella sua fede ascolta la Parola di D-o e stabilisce una Alleanza in cui accetta di aderire al disegno Divino, che vuole fare di lui un grande popolo. Pertanto si incammina verso la terra di Canaan con Sara sua moglie, che è sterile, senza una discendenza. Nonostante un tale impedimento ad avere una prole, Abramo non rinuncia al progetto di collaborare con D-o e scende in Egitto costretto dalla carestia. "C'era carestia nel paese di Canaan, una carestia tanto grande che Abramo si recò in Egitto" (Gen. 12.10).
Abramo si rende conto dei costumi lussuriosi degli egiziani e ordina a sua moglie Sara donna di straordinaria bellezza di dire che è sua sorella. Difatti Sara viene subito notata dagli uomini del Faraone e condotta nel suo harem.
Bisogna ora chiedersi: "Come può un disegno Divino riuscire in queste condizioni?" Ecco allora l'intervento del Signore, che invia terribili piaghe nella casa del Faraone, per cui questi è costretto a liberare Sara, facendo dono ad Abramo di grandi ricchezze.
Ritornato nella terra di Cannan le prove continuano. Iniziano i litigi con suo nipote Loth mentre la promessa della discendenza è ancora lontana. Loth, essendo l'unico erede di Abramo, si riteneva proprietario della terra promessa e senza tener conto della realtà era disposto a tutto. Ma Abramo gli disse: "Non ci siano questioni tra me e te, fra i tuoi pastori e i miei. Hai dinanzi tutto il paese, separati da me" (Gen. 13.8).
Il Signore vuole trasmettere ad Abramo un grande insegnamento: il progetto di D-o non può essere vissuto come un progetto umano. Le prove sono una preparazione per la Sua riuscita e in quest'ottica la dolorosa separazione da suo nipote Loth ne è una conseguenza necessaria.

La storia di Hagar
Chi era Hagar? Una "domestica" (schifra) egiziana al servizio nella casa di Abramo. Sara propose ad Hagar di unirsi con Abramo per procreare un figlio dicendo "forse anch'io resterò incinta" aggiungendo "Il Signore ha fermato la mia fertilità" (Gen. 16.2).
Sara comprende allora che la sua sterilità non è "naturale" ma è una prova per la sua purificazione, necessaria per far avanzare il progetto Divino. Hagar restò incinta ed orgogliosa per la sua gravidanza iniziò a trattare Sara con disprezzo. La cosa non piacque a Sara che costrinse Hagar a fuggire dalla casa di Abramo. Nel deserto incontrò un angelo del Signore che le ordinò di tornare e sottomettersi a Sara. Hagar partorì ad Abramo un figlio a cui egli pose nome Ismaele, che "Sarà un uomo selvaggio (onagro) e la sua mano sarà contro tutti" (Gen.16.12).

La mitzvà (comandamento) della circoncisione
"Circonciderete la carne del vostro prepuzio. Questo sarà il segno del patto tra Me e voi" (Gen.17.11).
La circoncisione (brith milà) è una legge fondamentale del giudaismo, che ancora oggi viene osservata di generazione in generazione, in modo da prolungare la benedizione di D-o accordata ad Abramo, padre del popolo ebraico.
E' in seguito alla storia di Hagar che Abramo ricevette l'ordine dal Signore di praticare la circoncisione, intesa come una perfezione morale stabile.
"I-o sono El Shaddaj cammina davanti a Me e sii perfetto" (Gen.17.1). Ecco la differenza profonda tra Noè ed Abramo. Il primo cammina con D-o cioè appoggiato alla Sua volontà, mentre Abramo cammina solo davanti a D-o perché in possesso di tutte le qualità umane necessarie per essere ebreo.
Per questa grandezza spirituale che Abramo possedeva, D-o gli disse: "Tu sarai padre di una moltitudine di gente. Non ti chiamerai più Avram, il tuo nome sarà Avraham" (Gen 17.4). F.C.

*

 - "Noè fu uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei. Noè camminò con Dio" (Gen. 6:9).
Per la prima volta nella Bibbia compare qui l'aggettivo "giusto". Che vuol dire? Nessuno può rispondere, se non Dio stesso, perché a dire questo è stato Lui, non un altro.
"Egli (Abramo) credette all'Eterno, che gli contò questo come giustizia" (Gen. 15:6).
Per la prima volta nella Bibbia compare qui il sostantivo "giustizia". Che vuol dire? Stessa risposta di prima: nessuno può rispondere, se non Dio stesso, perché è Lui che dice queste parole e, come fanno tutti i giudici in tribunale, pronuncia la sentenza in base alla nozione di giustizia stabilita dall'autorità superiore, e non in base all'opinione personale di chi deve essere giudicato.
Qui però si dice qualcosa di più sul criterio di giustizia usato dal Giudice: per la prima volta nella Bibbia compare il verbo "credere". Abramo "credette all'Eterno, che gli contò questo come giustizia". E poiché è Dio la fonte del diritto, nessuno può sollevare obiezioni contrapponendo una sua propria idea di giustizia.
Il peccato di Adamo è consistito nel non aver creduto, per superbia, a quello che Dio aveva minacciato e promesso; adesso allora il Signore decide di "giustificare", cioè considerare giusto, colui che umilmente crede a quello che Egli annuncia e promette.

Giustificato per fede
Nel mondo ebraico la dottrina della "giustificazione per fede" è vista come una caratteristica della "religione cristiana" che la allontana radicalmente dal modo di credere e di vivere dell'ebraismo.
Il primo a presentare questa dottrina è stato però un ebreo doc: Paolo di Tarso. Nel capitolo 4 della sua lettera ai Romani, Paolo inizia dicendo: "Che diremo dunque che il nostro antenato Abraamo abbia ottenuto secondo la carne?" (v.1). Parla di "nostro antenato", dunque si rivolge innanzi tutto ad altri ebrei come lui. E continua:
"Poiché se Abraamo fosse stato giustificato per le opere, egli avrebbe di che vantarsi; ma non davanti a Dio; infatti, che dice la Scrittura? «Abraamo credette a Dio e ciò gli fu messo in conto di giustizia». Ora a chi opera, il salario non è messo in conto di grazia, ma di debito; mentre a chi non opera ma crede in colui che giustifica l'empio, la sua fede è messa in conto di giustizia" (vv.2-5).
Si può non essere d'accordo con questa spiegazione della Scrittura, come accade spesso tra ebrei, ma non si può negare che l'apostolo Paolo qui non sta inventando una nuova dottrina per una nuova religione, ma presenta quello che secondo lui è il significato vero e profondo di quel testo della Torah. Continua infatti la sua argomentazione citando il Salmo 32:
"Così pure Davide proclama la beatitudine dell'uomo al quale Dio mette in conto la giustizia senza opere, dicendo: «Beati coloro le cui iniquità sono perdonate e i cui peccati sono coperti. Beato l'uomo al quale il Signore non addebita il peccato»" (vv.5-7).
Il Re Davide aveva commesso gravissimi peccati, come adulterio ed omicidio, e secondo la Torah doveva essere messo a morte. Paolo, come rigoroso ebreo osservante, lo sapeva benissimo, e tuttavia, con un modo di argomentare di stile ebraico, sostiene che la giustizia messa in conto ad Abramo ha come conseguenza che con una fede simile alla sua il debito dell'uomo peccatore con Dio è saldato. Beati dunque coloro "le cui iniquità sono perdonate e i cui peccati sono coperti", proprio come è accaduto al Re Davide.

Soltanto per i circoncisi?
Qui Paolo fa una domanda interessante: "Questa beatitudine è soltanto per i circoncisi o anche per gl'incirconcisi?" (v.9). Bella domanda! "Infatti - continua Paolo - noi diciamo che la fede fu messa in conto ad Abraamo come giustizia" (v.9). Ma Abramo è un circonciso - dirà forse qualcuno - quindi questa promessa di giustizia per fede riguarda soltanto gli ebrei.
Abituato com'era al pilpul ebraico (il rabbinico stile di studio per dibattito dei testi sacri), Paolo previene il suo ipotetico interlocutore con una domanda: "In che modo dunque gli fu messa in conto? Quand'era circonciso, o quand'era incirconciso?" (v.10). E immediatamente si dà la risposta:
"Non quando era circonciso, ma quando era incirconciso; poi ricevette il segno della circoncisione, quale sigillo della giustizia ottenuta per la fede che aveva quando era incirconciso, affinché fosse padre di tutti gl'incirconcisi che credono, in modo che anche a loro fosse messa in conto la giustizia;e fosse padre anche dei circoncisi, di quelli che non solo sono circoncisi ma seguono anche le orme della fede del nostro padre Abraamo quand'era ancora incirconciso" (vv.10-12).
Potrà sorprendere, ma le più grandi promesse di benedizione, tra cui quella fondamentale della giustizia ottenuta attraverso la fede, sono state fatte ad Abramo prima di essere circonciso. Anche la prima chiamata, il Lech Lechah che si ricorda in questi giorni, è stata rivolta a un gentile, non ad un ebreo, per il semplice fatto che allora gli ebrei non c'erano ancora. Soltanto in seguito, in risposta alla fede di Abramo, Dio si è formato attraverso di lui un popolo storico che avesse la circoncisione come segno della fede del capostipite.
Ciò non toglie che il popolo ebraico abbia ricevuto anche delle specifiche, esclusive promesse che riguardano soltanto lui, ma si può dire che esse cominciano a delinearsi soltanto dopo che Dio ha ordinato ad Abramo la circoncisione, con la nascita di Isacco e poi di Giacobbe.
La giustizia donata da Dio sulla base della fede nella Sua Parola comincia con Abramo, e dopo di lui riguarda tutti coloro che hanno una fede simile alla sua. Senza distinzione tra ebrei e non ebrei. M.C.

  (Notizie su Israele, 10 novembre 2016)


10 novembre - Hitler e Lutero

Nell'ottobre del 1933 la Germania uscì dalla Società delle Nazioni. Hitler volle ratificare questa decisione con un plebiscito e il 24 ottobre tenne un grande discorso al Palazzo dello Sport di Berlino per invitare la popolazione ad appoggiare questa grave decisione. Qualche giorno dopo su giornale evangelico tedesco uscì il commento entusiastico di un appassionato sostenitore di Hitler, in cui tra l'altro si diceva:
    «Il discorso di Hitler è stato per me un discorso di Lutero, anche se il nome di questo grande non è stato nominato e neppure poteva esserlo in questa occasione. Non ci posso fare niente: se ascolto Hitler o leggo qualcosa di lui, senza volerlo si presenta davanti a me Lutero, e se leggo qualcosa di Lutero, automaticamente devo pensare a Hitler. Sono così diversi, questi due grandi tedeschi, così diversi nel loro essere, nei loro compiti, e tuttavia così uguali, così simili. Tutto ciò che è veramente grande è sempre simile a se stesso, anche se a una superficiale osservazione può apparire molto diverso. Lo stesso ardore dell'anima. In entrambi brucia come un fuoco che non si può spegnere, che li consuma e che tuttavia li rende così forti e così felici anche in mezzo a pene e dolori.»
Nell'anniversario della nascita di Lutero riproponiamo, con umiliazione in quanto evangelici, un articolo comparso in Notizie su Israele esattamente sette anni fa: «Hitler e Lutero, un accostamento sgradevole".

(Notizie su Israele, 10 novembre 2016)


Aperitivo in Concerto", da Israele Avi Lebovich & The Orchestra

Al Teatro Manzoni di Milano domenica 13 novembre alle 11 il secondo appuntamento della nuova stagione.

Avi Lebovich & The Orchestra
Sul palco del Manzoni arriva una spettacolare big band per una unica data italiana. Nel secondo appuntamento di Aperitivo in Concerto domenica 13 novembre è la volta di Avi Lebovich, trombonista israeliano e leader del gruppo e della sua Orchestra. Ospite d'eccezione della band composta da 11 musicisti di rilievo sulla scena internazionale e guidata da Lebovich un connazionale pianista d'eccezione, l'acclamato compositore Omer Klein.
Dal Medio Oriente fra passioni, tradizioni, modernità l'orchestra di Avi Lebovich rappresenta una delle realtà più significative di una scena culturale e musicale assai peculiare come quella israeliana. Israele, nonostante si trovi a far parte di un'area geografica al centro di dinamiche drammatiche, è da anni una vera e propria fucina di talenti anche in campo artistico e creativo. La scena musicale israeliana brulica di musicisti di varia e diversa estrazione, che anche nel campo della musica improvvisata apportano un contributo di vasta rilevanza, spesso trasportato e trapiantato nell'ambito concertistico newyorkese.
L'orchestra nasce nel 2003 e ha da allora fatto da vera e propria palestra per un'intera generazione di improvvisatori israeliani e arabo-israeliani interessati all'aggiornamento del linguaggio improvvisativo e al suo collegamento con le tradizioni musicali mediorientali. Se con il SF Jazz Collective l'improvvisazione, filo conduttore dell'intera rassegna, è passata attraverso la brillante rilettura di uno dei più grandi innovatori del jazz come Miles Davis, con Avi Lebovich & The Orchestra si esplicherà nella rilettura del linguaggio mainstream delle tradizionali big band degli ultimi trent'anni, senza intenti enciclopedici ma con un fortissimo senso della contemporaneità e della inclusività culturale.

(TGCOM24, 10 novembre 2016)


Fiducia della Knesset sul mantenimento di relazioni forti Usa-Israele

GERUSALEMME - Il parlamento israeliano, la Knesset, si congratula con il neo eletto presidente statunitense Donald Trump per la sua elezione ed è fiducioso che la lunga amicizia tra Israele e Usa rimanga forte durante il suo mandato. Lo ha detto oggi Yuli Edelstein (partito Likud), presidente della Knesset parlando davanti alla plenaria parlamentare. "Distinti membri della Knesset, permettetemi di congratularmi a nome mio e della Knesset con il presidente eletto degli Stati Uniti d'America Donald Trump e con il vice presidente eletto Mike Pence", ha dichiarato Edelstein. Il presidente della Knesset si è detto fiducioso che l'amicizia e l'alleanza di lunga data tra Usa ed Israele resti solida durante il mandato dell'amministrazione Trump. Edelstein ha rivolto il messaggio di congratulazioni a Trump in inglese rivolgendosi ai parlamentari in inglese, un avvenimento inusuale evidenziato dalla stampa israeliana. Al termine del suo intervento, Edelstein ha augurato "buona fortuna" a Trump.

(Agenzia Nova, 9 novembre 2016)


Russia ed Israele sono unite contro la falsificazione della storia

"La Russia ed Israele sono unite dalla ferma condanna dell'antisemitismo e di altre manifestazioni di xenofobia e odio etnico. Si oppongono alla falsificazione della storia, alla revisione dei risultati della Seconda Guerra Mondiale, ai tentativi di glorificare i collaborazionisti del nazifascismo e di sminuire il contributo decisivo dell'Unione Sovietica per la vittoria sulla Germania nazista e la negazione dell'Olocausto", — ha riferito Prikhodko. Il capo del governo russo si recherà in Israele, dove avrà colloqui con il premier ed il presidente dello Stato ebraico. E' prevista la firma di diversi documenti di cooperazione bilaterale. Allo stesso tempo la comunità ebraica russa spera che la cooperazione tra Mosca ed Israele su questioni come la lotta al terrorismo e i tentativi di riabilitare il nazismo diventi proficua, aveva detto in precedenza a RIA Novosti il capo delle Comunità Ebraiche della Russia, il rabbino Alexander Boroda.

(Sputnik Italia, 9 novembre 2016)


Netanyahu si congratula con Trump "vero amico" Israele

"Non vedo l'ora di lavorare con lui", ha aggiunto il premier

GERUSALEMME - Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si è congratulato con Donald Trump per la sua vittoria alle presidenziali Usa definendolo "un vero amico dello stato di Israele".
"Il presidente eletto Trump è un vero amico dello stato di Israele e non vedo l'ora di lavorare con lui per far crescere la sicurezza, la stabilità e la pace nella nostra regione", ha dichiarato in una nota.
"Il legame inossidabile tra gli Stati Uniti e Israele affonda le radici in valori condivisi, rafforzati da interessi condivisi e guidati da un destino condiviso. Sono fiducioso che io e il presidente eletto Trump continueremo a rafforzare l'alleanza unica tra i nostri due Paesi e la porteremo a livelli ancora più alti".

(askanews, 9 novembre 2016)


Donald Trump, Israele esulta per il voto: "E' finita l'era dello Stato palestinese"

L'esultanza di Naftali Bennett, ministro dell'Educazione e leader del partito di destra religiosa 'Focolare ebraico'. Netanyahu: "È un nostro amico sincero". Di segno opposto il commento del laburista Isaac Herzog: "È la prosecuzione di uno Tsunami sociale, economico e di governo visto in molti paesi e che porterà cambiamenti".

 
Isaac Herzog e Naftali Bennett
Israele accoglie con soddisfazione l'elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Dopo le tensioni degli ultimi mesi con Washington e soprattutto con Barack Obama, Benyamin Netanyahu ha espresso soddisfazione per il risultato del voto. Trump "è un amico sincero dello stato di Israele. Agiremo insieme per portare avanti la sicurezza, la stabilità e la pace nella nostra regione", ha detto il premier israeliano. "Il forte legame tra Usa e Israele si basa su valori, interessi e destino comuni. Sono sicuro che Trump ed io - ha concluso - continueremo a rafforzare l'alleanza speciale tra i due Paesi e la eleveremo a nuove vette". Cime che non erano state toccate con la precedente amministrazione: il capo del governo israeliano si era scontrato diverse volte con l'ex presidente Usa. L'ultimo motivo di tensione era stato il discorso che Netanyahu aveva tenuto al congresso Usa senza che Obama fosse presente.
   "E' finita l'era dello Stato palestinese", ha commentato Naftali Bennett, ministro dell'Educazione e leader del partito di destra religiosa 'Focolare ebraico', movimento dei coloni. "La sua vittoria - ha aggiunto - è una formidabile occasione di Israele per annunciare l'immediata revoca del concetto di uno Stato palestinese nel cuore della nostra terra, che va direttamente contro la nostra sicurezza contro la giustezza della nostra causa". "Questa - ha proseguito Bennett- è la concezione del presidente eletto così come compare nel suo programma politico e di sicuro deve essere la sua politica".
   Anche il sindaco di Gerusalemme Nir Barkat ha salutato l'elezione a presidente del magnate americano, augurando che il neo-presidente Usa "trasferisca l'ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme", come promesso in campagna elettorale.
   Ma da Israele si alzano anche altre voci. "È la prosecuzione di uno Tsunami sociale, economico e di governo visto in molti paesi e che porterà cambiamenti anche in Israele". Ha detto il leader dell'opposizione israeliana, il laburista Isaac Herzog per il quale "le elezioni Usa sono il seguito di una tendenza mondiale di disgusto delle vecchie élite di governo ed esprimono la volontà di un cambiamento netto e chiaro".

(il Fatto Quotidiano, 9 novembre 2016)


L'Autorità Palestinese invita Trump a lavorare per la creazione dello Stato palestinese

RAMALLAH - La presidenza palestinese ha chiesto al nuovo presidente statunitense, Donald Trump, di lavorare per la creazione di uno Stato palestinese indipendente e coesistente con quello di Israele. L'ufficio dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) ha messo in guardia, inoltre, contro i rischi che potrebbero derivare se Washington si mostrerà negligente nei riguardi della questione palestinese. "Siamo pronti a lavorare con il presidente eletto sulla base di una soluzione a due Stati con l'obiettivo di formare uno Stato palestinese (nel rispetto) dei confini del 1967", ha dichiarato Nabil Abu Rudeina, portavoce dell'Anp. "L'instabilità continuerà nella regione e nel mondo se non si risolve la questione palestinese", ha aggiunto il portavoce palestinese.

(Agenzia Nova, 9 novembre 2016)


“Lavorare per la creazione di uno Stato palestinese”: ma non era già nato, lo Stato palestinese? Lavorare in eterno per la creazione di uno “Stato palestinese indipendente”, sapendo che non nascerà mai perché sparirebbe per mano islamica subito dopo essere stato creato, ha come unico obiettivo quello di impedire allo Stato d’Israele di acquistare stabilità, in attesa che arrivi il momento per farlo sparire definitivamente. M.C.


Il fallimento pacifista

Un supercampione ma solo nell'ego: record di fallimenti su tutti gli scacchieri.

di Fiamma Nirenstein

 
L'erede di Obama in politica estera è da compiangere semplicemente perché non è Obama in persona. Il presidente che lascia la Casa Bianca è stato un formidabile protagonista, un ego ciclopico, un ciclone di energia innovativa che ha dato a tutto il suggello delle sue convinzioni, della sua retorica e della sua arroganza. Tutto quello che ha fatto nel mondo porta il segno di convinzioni progressiste e politiche così tipiche (è rimasta famosa la sua frase programmatica, letteralmente: «Non fare stupide stronzate», cioè politiche internazionali americane reattive, automatiche, sorpassate) che il suo retaggio resta lo show di un uomo solo, ingestibile, pasticciato, e nello stesso tempo tipico di un quarantenne ultra liberal: relativista, internazionalista, non violento, ecologico, multinazionale, sdegnoso della democrazia capitalista. Nella famosa intervista a Jeoffrey Goldberg sull'Atlantic, che, estatico, per pagine e pagine ci spiega la «Dottrina Obama», il misto di determinazione ideologica e di pragmatismo lascia senza fiato.
   Obama ha compiuto svolte storiche, molte delle quali incompiute, e anche grandi errori che purtroppo riguardano soprattutto il nostro emisfero.
   Le sue scelte sono storiche: l'idea basilare è quella di un'America non belligerante a tutti i costi. Obama vi ha proiettato la sua propria etnicità e religione, capace di conciliare tutto con sincretismo genetico. Con la Russia ha tentato un «new start» contando su Medvedev, e si è ritrovato Putin. Con Cuba ha riaperto e ha ammesso al sacro soglio Chavez e Ortega. Ha dato enorme importanza al «Pivot to Asia» per conquistare un'alleanza commerciale nel Sud-Est asiatico che resta da confermare mentre la Cina non ha smesso di fare il bullo, e la Nord Corea impazza con gli esperimenti atomici. Ha portato a casa l' accordo di Parigi sul clima nel 2015. E poi viene il mondo islamico: Obama si è bamboleggiato con l'idea di sedurlo, dopo gli errori sulla Primavera Araba l'Iraq e la Siria sono cadute preda dell'integralismo islamico dell'Isis che Obama non si mai deciso a combattere seriamente. Obama ha anche rinunciato a fermare come promesso la smania assassina di Assad dando spazio all'asse Putin-Iran-Hezbollah-Assad che ha configurato l'espansione di un nuovo imperialismo sciita sorretto dalla Russia, con conseguente impazzimento, fuga, inasprimento della parte sunnita. Ha lasciato che la Turchia arrivasse ali' estremo delle sue pulsioni ottomane. La Russia intanto si faceva sempre più sotto al naso degli Usa sgomitando per il suo spazio territoriale. L'Iran è stato gratificato da uno scivoloso trattato antinucleare che doveva diventare il maggior retaggio concreto di Obama, e parallelamente, poiché Israele si mostrava come diretto oppositore di quella scelta, Obama ha scelto di tenere a bada il suo vecchio alleato con un continuo tormento sulla questione degli insediamenti. Intanto Obama ha scelto di non parlare mai di Islam estremo mentre il suo Paese è torturato da continui attacchi terroristi: non saranno, come dice, «un pericolo esistenziale», ma potrebbero aggravarsi molto. Il successore del «Giovane Presidente» adesso deve dare tante, troppe risposte. Incluso il dilemma morale maggiore: con Iran, Cina, Paesi Arabi, Cuba Obama mostra di aver ignorato la questione della democrazia e dei diritti umani. Dunque, il mondo deve per sempre rinunciare al suo campione?

(il Giornale, 9 novembre 2016)


Le Pietre d'Inciampo a Bolzano nel ricordo delle vittime del nazi-fascimo

 
Si ripuliscono le Pietre d'Inciampo - Manutenzione e pulizia nel triste ricordo della Notte dei cristalli del Reich (9-10 novembre 1938)
La cosiddetta "Notte dei cristalli del Reich" ovvero la notte fra il 9 e il 10 novembre 1938 vide in Germania un'escalation della violenza antiebraica che culminò nella distruzione di sinagoghe e di luoghi di culto, nell'arresto di migliaia di inermi cittadini, nella loro deportazione in campi di concentramento e nella brutale uccisione di migliaia di loro. I violenti "pogrom" tre anni più tardi sfociarono nell'Olocausto.
Anche nella Città di Bolzano, nel gennaio 2015 - settantesimo della liberazione del campo di Auschwitz-Birkenau - sono state posate, su iniziativa dell'Archivio Storico cittadino, quindici pietre d'inciampo o Stolpersteine. Opera dell'artista tedesco Gunter Demnig, ricordano davanti all'ultimo domicilio o luogo di lavoro liberamente eletto, i nomi dell vittime dell'Olocausto nella nostra città. Discriminati dalle infami "leggi razziali" del fascismo e conseguentemente schedati, i concittadini furono arrestati, deportati e uccisi pochi giorni dopo l'occupazione della provincia di Bolzano da parte della Wehrmacht.
L'Assessore alla Cultura di Bolzano Sandro Repetto, ha voluto per quest'anno, proprio nella ricorrenza di quei tragici eventi, una manutenzione straordinaria di questa memoria diffusa, posizionata nelle vie della città. Hannes Obermair, direttore dell'Archivio Storico, e il suo collaboratore Gottlieb Wiedenhofer hanno pertanto curato la ripulitura delle singole pietre che di nuovo luccicano e trasmettono il loro umile e importante messaggio a chiunque si prenda il tempo di studiarne i contenuti.
Questi i nomi delle vittime della barbarie nazifascista, attualmente ricordate tramite le pietre d'inciampo:
    Aldo Castelletti (1891-1943), Renzo Carpi (1887-1943), Lucia Carpi-Rimini (1900-1943), Alberto Carpi (1926-1943), Germana Carpi (1927-1943), Olimpia Carpi (1940-1943), Charlotte Landau-Neuwohner (1885-1944), Felicitas Landau (1913-1944), Adalgisa Ascoli (1887-1943), Adolf Schwarz (1871-1944), Josef Weinstein (1876-1944), Wilhelm Alexander Loew-Cadonna (1873-1944), Auguste Freund (1882-1944), Ada Tedesco (1881-1945), Bernhard Czopp (1879-1944).
La più giovane delle innocenti vittime era Olimpia Carpi. Ella aveva appena tre anni quando fu deportata nel campo di sterminio nazista di Auschwitz-Birkenau. Era nata a Bolzano il 27 marzo 1940. I suoi genitori, Lucia Rimini e Renzo Carpi, si erano sposati a Mantova ed erano vissuti a lungo a Innsbruck, dove erano nati tutti e due i suoi fratelli maggiori, Alberto e Germana. Nel 1933 la famiglia si era trasferita a Bolzano, dove Renzo aveva continuato ad essere attivo nel settore del commercio. Olimpia fu catturata assieme alla madre Lucia e alla sorella Germana di sedici anni nella casa in cui vivevano, la notte tra il 15 ed il 16 settembre 1943. Renzo Carpi e il diciassettenne Alberto erano stati arrestati ed incarcerati alcuni giorni prima, precisamente il 9 settembre 1943. Tutta la famiglia Carpi fu deportata e rinchiusa al campo di "rieducazione al lavoro" di Reichenau vicino a Innsbruck e successivamente al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, da cui nessuno di loro fece ritorno.

(Agora Magazine, 9 novembre 2016)


Marocco e bandiera israeliana

RABAT - Il ministro degli Esteri marocchino Salahuddin Mezouar, ha difeso la scelta del Marocco di invitare un rappresentante israeliano a partecipare alla conferenza internazionale sui cambiamenti climatici Cop22. Affrontando così le polemiche dei giorni scorsi, relative alla presenza della bandiera israeliana tra quelle che sventolano in questi giorni a Marrakech, il capo della diplomazia di Rabat, che presiede la conferenza, ha spiegato ai media locali che "il Marocco ospita il vertice sul suo territorio ma sotto l'egida dell'Onu che si è impegnata affinché partecipassero tutte le parti in modo da trovare una soluzione ai problemi ambientali, come i pericoli relativi ai cambiamenti climatici che non minacciana solo una regione ma il futuro di tutti". Mezouar ha ribadito che "il Marocco è tra i più strenui difensori della questione palestinese e condanna tutti i crimini commessi contro i palestinesi mentre re Mohammed VI presiede il Comitato per Gerusalemme".

(Agenzia Nova, 9 novembre 2016)


Al via «Nuove Atmosfere», nel segno di Toscanini

Un concerto a Parma propone lo storico programma diretto dal Maestro nel '36 a Tel Aviv

 
Il maestro Yoel Levi
PARMA - Sarà il maestro Yoel Levi ad aprire, giovedì alle ore 20.30 all'Auditorium Paganini, l'undicesima edizione di Nuove Atmosfere, la rassegna sinfonica della Filarmonica Arturo Toscanini all'Auditorium Paganini che comprenderà quest'anno ben 28 concerti.
   Il concerto presenterà lo storico programma del 26 dicembre 1936 diretto da Arturo Toscanini a Tel Aviv quale momento inaugurale di quella che è oggi l'Orchestra Filarmonica di Israele. Si tratta dell'occasione di aprire la stagione non solo con un programma che comprende quattro famosi brani di altrettanti celeberrimi compositori dell'Ottocento ma anche di proporre un'anteprima e un omaggio diretto alla passione civile ed alla grandezza dell'animo di Arturo Toscanini in vista delle Celebrazioni per il 150 esimo anniversario della sua nascita che prenderanno il via con l'inizio del 2017.
   Fu su invito di Bronislaw Huberman che Toscanini, sostenendo lui stesso le spese di viaggio dagli Stati Uniti e in modo totalmente gratuito, si recò in Palestina per dirigere l'orchestra, composta esclusivamente dai musicisti ebrei fuggiti dalle persecuzioni naziste, che si chiamava allora Orchestra di Palestina e che divenne l'Israel Philharmonic Orchestra dopo l'indipendenza dello stato ebraico. Con il suo generoso gesto, che lo rende tuttora in Israele una figura leggendaria, Toscanini rese ancora più netta la sua dura opposizione ai regimi nazifascisti e il suo amore per la libertà.
   Il programma si aprirà con l'ouverture dell'opera «Oberon», l'ultima composta da Carl M. von Weber, scandita dal celebre, iniziale suono di tre corni in lontananza. Weber sarebbe morto, appena quarantenne, poco dopo averne diretto la prima esecuzione a Londra nel 1826. A seguire il capolavoro sinfonico di Franz Schubert, la Sinfonia n. 8 in si minore «Incompiuta». Nella seconda parte, lo Scherzo ed il Notturno dal «Sogno di una notte di mezz'estate» op.61 di Felix Mendelssohn-Bartholdy, le cui origini ebraiche avevano vietato la sua musica nella Germania nazista, e terminerà con la Seconda Sinfonia op.73 di Johannes Brahms, altra celeberrima pagina sinfonica del grande repertorio ottocentesco.
   Yoel Levi collabora da molti anni con la Filarmonica Arturo Toscanini ed è una presenza amata e abituale sul palcoscenico dell'Auditorium di Parma. Conosciuto in ambito internazionale per aver diretto le più. rinomate orchestre del mondo, è ora direttore ospite principale della Israel Philharmonic Orchestra e direttore principale e musicale dell'Orchestra KBS di Seul.

(Gazzetta di Parma, 8 novembre 2016)


Aperto il Technology Center di Tel Aviv

 
Technology Center della Daimler - Tel Aviv
L'area attorno a Tel Aviv si conferma come uno dei luoghi più attrattivi per le imprese che intendono sviluppare nuove tecnologie, anche in campo automotive. L'ennesima riprova è l'apertura del Technology Center della Daimler, una struttura nata per rafforzare la divisione di ricerca e sviluppo del gruppo tedesco: un altro tassello della cosiddetta "Silicon Wadi", diventata una vera mecca hi-tech per i colossi internazionali e diversi costruttori globali.

 Futuro automotive
  L'ufficio israeliano del Gruppo tedesco, guidato dalla veterana Adi Ofek (da 16 anni in azienda), si occuperà di sviluppare l'auto connessa, le piattaforme di interfaccia vettura-guidatore, i nuovi servizi di mobilità e in generale tutti gli ambiti che riguardano il digitale e le quattro ruote. Il centro di Tel Aviv farà inoltre parte di un ampio network di partnership e relazioni con università, aziende e sviluppatori locali. Attualmente, la divisione R&D della Daimler è composta da 24 strutture in 12 Paesi: tra queste ricordiamo Sunnyvale (in California), Bangalore (India) e Pechino. In tutto, i dipendenti sono 16 mila.

 Fermento sul Mediterraneo
  Israele e la Silicon Wadi brulicano di startup e di strutture hi-tech: ogni anno vengono fondate 1.400 società, mentre le multinazionali straniere presenti con uffici o centri di ricerca sono circa 350. Alcuni nomi? Google, Apple, Cisco Systems, Ibm, Intel, Microsoft, Oracle, Facebook, mentre sul fronte automotive ci sono GM (con l'Advanced Technical Center), Ford, Hyundai, Toyota, Volkswagen, Navistar e Bosch. Ulteriori informazioni e approfondimenti sono contenuti nel nostro reportage dalla regione, pubblicato sul numero di luglio di Quattroruote. D.C.

(Quattroruote, 8 novembre 2016)


Pitigliani Kolno'a Festival

Ebraismo e Israele nel Cinema. Undicesima edizione.

ROMA - Torna dal 19 al 24 novembre 2016 - a ingresso gratuito fino a esaurimento posti - alla Casa del Cinema di Roma e al Centro Ebraico Italiano Il Pitigliani (Via Arco de' Tolomei, 1) il Pitigliani Kolno'a Festival, Ebraismo e Israele nel cinema. L'inaugurazione, il 19 sera, si terrà per la prima volta al Maxxi - Museo nazionale delle arti del XXI secolo (via Guido Reni, 4).
   Il festival, giunto alla sua undicesima edizione, prodotto dal Centro Ebraico Italiano Il Pitigliani e dedicato alla cinematografia israeliana e di argomento ebraico, è diretto anche quest'anno da Ariela Piattelli e Dan Muggia.
   Invariate le sezioni del festival, dal Panorama sul nuovo cinema israeliano, ai Percorsi ebraici, cui si aggiunge una sezione speciale dedicata alla grande Ronit Elkabetz. Numerosi ilungometraggi e i documentari presentati. Tra questi, Il Ghetto di Venezia - 500 anni di vita, diEmanuela Giordano, che ripercorre, anche grazie a inserti di ricostruzione storica realizzati in animazione, le vicende del ghetto più antico d'Europa, ricorrendo inoltre ai ricordi e alle testimonianze di "testimoni eccellenti", tra cui Amos Luzzatto e Riccardo Calimani. Si andrà alla scoperta della vita quotidiana e della tradizione, così come delle sinagoghe nascoste e dell'antico cimitero ebraico. Quindi, Mr. GAGA anima e corpo di un genio della danza, di Tomer Heymann, la storia di Ohad Naharin, nato e cresciuto in un kibbutz, uno dei coreografi più importanti e innovativi al mondo, conosciuto a livello internazionale per aver creato il linguaggio di movimento corporeo chiamato "Gaga".
   Altro titolo del festival, Presenting Princess Shaw, di Ido Haar, la storia di Samantha Montgomery, cantautrice americana dal passato difficile, dotata di una splendida voce e di un enorme talento compositivo, che su un canale YouTube, con il nome di Princess Shaw, posta confessioni personali e performance musicali. Il regista Ido Haar sa che, dall'altra parte del mondo, il bizzarro Kutiman, musicista israeliano e "mashup artist" di successo, vuole utilizzare la voce di Princess Shaw in uno dei suoi video virali per il progetto Thru You.

(Roma Daily News, 8 novembre 2016)


Si stanno tenendo a Berlino le "Giornate della cultura ebraica"

È iniziata il 5 novembre la settimana organizzata dalla comunità ebraica di Berlino, evento che va sotto il nome di "Giornate della cultura ebraica". Scopo dell'iniziativa, che si concluderà ufficialmente domenica 13 novembre, è far conoscere a turisti e residenti la ricchezza e la varietà della cultura ebraica.
Nata nel 1987 come parte delle celebrazioni del 750 anniversario della fondazione di Berlino, questa importante rassegna offrirà in questi giorni una vasta gamma di mostre, discussioni, reading, performance, concerti, un festival cinematografico e celebrazioni religiose. Non è stato inoltre dimenticato l'umorismo, che gran parte ha avuto nella storia di un popolo che ha sempre saputo ridere di se stesso e che riveste un ruolo importante in alcuni degli eventi in programma.
Questo appuntamento culturale importantissimo non solo per la capitale tedesca, ma anche per la Germania nel suo complesso, verrà arricchito dall'apporto di affermati artisti e performer provenienti da tutto il mondo. Il tema di quest'anno è "Shalom Berlin", dove la parola Shalom significa "pace" e vuole celebrare quella vicinanza tra le persone che non dovrebbe mai mancare, in un'interazione umana significativa. Una speciale menzione va rivolta al reading musicale "Klezmer trifft Derwisch trifft Meister Eckhart", con la partecipazione di Nina Hoger & Ensemble Noisten, Talip Elmasulu e Murat Cakmaz. Il fine del reading è portare sul palco le tre principali religioni monoteistiche del mondo, ebraismo, cristianesimo e islam, affinché possano celebrare insieme il valore della pacifica convivenza tra i popoli.

(Il Mitte - Berlino, 8 novembre 2016)


La stella di David diventa una svastica. Non a Teheran, ma in Germania

"lsraele come il nazismo". Alla Fiera dell'Arte di Colonia

di Giulio Meotti

ROMA - Non è la prima volta che un grande museo in Europa incita all'odio contro Israele e gli ebrei. Alla Antonopoulou Art Gallery di Atene, l'artista Alexandros Psychoulis ha creato un'opera d"'arte" con i giubbetti esplosivi dei kamikaze palestinesi. Al museo degli impressionisti Jeu de Paume di Parigi si è tenuta la mostra di Ahlam Shibli che glorifica gli attentatori palestinesi come "martiri".
  Al museo di Stoccolma c'è stata "Biancaneve", una vasca piena di acqua rossa su cui galleggia una barca bianca e la fotografia della kamikaze Hanadi Jaradat, che ha massacrato ventuno israeliani al ristorante Maxim di Haifa. L'ambasciatore israeliano in Svezia, Zvi Mazel, venne espulso dal museo storico della capitale per aver danneggiato l'opera di una coppia di artisti, considerandola "una mostruosità intollerabile". Adesso è un enorme pannello artistico a far parlare di sé: se lo guardi da destra vedi una svastica, se ti sposti a sinistra la croce uncinata si trasforma in una stella di David. E' solo una questione di prospettiva se si vede l'effigie nazista o la bandiera di Israele.
  Accade non in Iran, dove l'ayatollah Khamenei si fa fotografare pestando coi piedi la bandiera israeliana e all'Università di Teheran la bandiera dello stato ebraico è messa sul pavimento come zerbino in modo che la gente possa pulircisi le scarpe. Accade a Colonia, in Germania, e non è una iniziativa di un gruppo islamico o neonazista, ma di una rinomata galleria d'arte. L'opera è firmata dall'artista Juraj Kralik. "Paragonare Israele al nazismo è antisemitismo", ha detto Jonathan Hoffman, un attivista contro l'antisemitismo che ha denunciato l'installazione alla Fiera dell'arte di Colonia. Kralik ha risposto alle critiche al suo progetto dicendo: "Le 'Quattro Stagioni' (il titolo dell'opera d'arte, ndr) non aspira a commentare su un'ideologia individuale, religione o fede, ma lo scontro che ha causato sessanta milioni di vittime, sia sul campo di battaglia, nel campo di concentramento, durante la fuga da zone di guerra. Le mie emozioni erano forti durante la creazione di questo pezzo e le mie mani tremavano al pensiero di quelle sofferenze e atrocità". Anche Juan Romero Càrdenas, direttore della galleria spagnola Kir Royal, rivendica con orgoglio l'installazione, dicendo che "le 'Quattro stagioni' parla di due simboli statali, il simbolo della Germania fino al 1945 e il simbolo attuale dello stato di Israele".
  Nell'ultimo anno uno sfacciato antisemitismo si è mostrato in Germania sotto forma della critica a Israele. Prima il celebre grande magazzino di lusso berlinese conosciuto come KaDeWe, il più grande d'Europa, ha sospeso la vendita di vino israeliano (la figuraccia li aveva poi spinti a ripristinare le vendite). Poi, per la prima volta dai tempi dell'Olocausto, una organizzazione della società civile tedesca ha invocato ufficialmente il boicottaggio del popolo di Israele. Il sindacato degli insegnanti della città di Oldenburg (Bassa Sassonia, 164 mila abitanti) ha pubblicato un documento che chiede il boicottaggio completo dello stato ebraico, scatenando critiche da parte di insegnanti tedeschi e attivisti pro-Israele, così come del Centro Simon Wiesenthal. L'autore di quel documento, Christoph Glanz, ha anche suggerito di "ricollocare Israele nel Baden-Württemberg".
  La professoressa Monika Schwarz-Friesel dell'Università Tecnica di Berlino ha analizzato dieci anni di lettere di minacce inviate al Consiglio centrale degli ebrei in Germania e all'ambasciata israeliana a Berlino. Le lettere contenevano dichiarazioni antisemite classiche come "l'assassinio di bambini innocenti si adatta alla vostra tradizione" o "negli ultimi duemila anni rubate la terra e commettete un genocidio". Con gran sorpresa di Schwarz-Friesel, solo il tre per cento proveniva da nazionalisti di destra, mentre oltre il sessanta per cento proveniva da membri istruiti del mainstream, la brava gente che odia gli ebrei. E che se osserva una stella di David ci vede una svastica.

(Il Foglio, 8 novembre 2016)


Salah, l'integralista del calcio che non saluta gli israeliani

Musulmano praticante, ai tempi del Basilea non strinse la mano ai calciatori del Maccabi.

di Federico Malerba

Mohamed Salah Ghaly, un musulmano tranquillo che segna gol a ripetizione per la Roma. Alla redazione è simpatico

ROMA - Forse negli Stati Uniti il suo cognome aveva destato qualche preoccupazione, se è vero che quest'estate un ritardo nella consegna del visto gli aveva fatto perdere l'inizio della tournée americana.
   In Italia invece Mohamed Salah Ghaly, 24enne attaccante della Roma, il terrore lo semina solo sui campi di calcio. È già arrivato a 8 gol (più uno in Europa League) e insieme a Dzeko e Perotti forma il tridente che fa sognare lo scudetto ai tifosi giallorossi. Tifosi non solo romani, peraltro. Salah è il giocatore più famoso d'Egitto, quindi tutti i suoi connazionali che vivono nella capitale - più di diecimila secondo le ultime stime - si sono schierati con lui e col Faraone El Shaarawy nel derby cittadino, e le partite di calcio sono diventate preziose oasi di distensione soprattutto quando il caso Regeni ha creato grosse tensioni tra i due paesi.
   In primavera alcuni media egiziani scrissero che il giocatore era pronto a lasciare la Roma in caso di offese alla madrepatria. Un'esagerazione, ovviamente, ma in effetti il problema ci fu. Il 25 aprile la Lega Calcio voleva far entrare in campo tutte le squadre dietro uno striscione con scritto «Verità per Giulio Regeni». Vigilia di grande imbarazzo, poi la Roma si mosse per non mettere in imbarazzo il suo campione e così, alla fine, a sventolare la scritta al centro dell'Olimpico furono i raccattapalle ben prima dell'inizio del match col Napoli.
   Salah non si è mai espresso su questi temi perché è un ragazzo molto riservato, che parla poco e se ne sta a Casal Palocco con la moglie e la figlia Makka, lontano anni luce dalla mondanità capitolina. Di sicuro però è un ragazzo con dei principi molto forti: è musulmano osservante (frequenta la moschea di Acilia e ringrazia Allah dopo ogni gol), quando era alla Fiorentina scelse il numero 74 per ricordare i morti di Port Said (a febbraio 2012 i tifosi dell'Al-Masry aggredirono quelli dell'Al-Ahly, fu un massacro causato dalla rivalità politica) e quando era al Basilea rifiutò di stringere la mano ai giocatori del Maccabi Tel Aviv in occasione dei preliminari di Champions.
   Uno con un carattere del genere non è facile da prendere. Uno che quand'era al Chelsea non legò con Mourinho, e adesso fa sorridere che mentre lo Special One arranca al Manchester Utd due scarti del suo periodo «blues» (l'altro è Cuadrado) stiano trascinando Juve e Roma. Uno che se n'è andato da Firenze sbattendo la porta, liberandosi grazie a una scrittura privata, e che quando ci è tornato ha spento i fischi viola segnando dopo 6 minuti.
   A domare il talento del «Messi delle Piramidi» ci è riuscito Spalletti, mettendo i suoi scatti brucianti (quando si lancia viaggia oltre i 30 km/h) al servizio della squadra. Finora Salah è il giocatore di movimento più presente nelle sue formazioni (1053 minuti): immaginiamo la preoccupazione del povero Luciano quando pensa che a gennaio la Coppa d'Africa potrebbe levarglielo anche per cinque partite...

(il Giornale, 8 novembre 2016)


Raggi chiude il viaggio a Auschwitz. Il percorso prosegue a Roma

I 134 ragazzi protagonisti di questa esperienza, racconteranno e trasmetteranno le sensazioni provate nella loro visita

Il sindaco di Roma, Virginia Raggi
ROMA - "Abbiamo concluso solo una parte del percorso. Abbiamo parlato con docenti e ragazzi e siamo tutti d'accordo nel dare continuità a questo viaggio della Memoria ad Auschwitz. Continueremo con il racconto della memoria fatto dai ragazzi per i ragazzi in modo che essi stessi diventino testimoni dei testimoni e riescano a trasmettere agli altri, con la stessa intensità, quello che hanno vissuto". E' con queste parole che il sindaco di Roma, Virginia Raggi, ha chiuso il viaggio della Memoria ad Auschwitz e Birkenau, edizione 2016.
   I 134 ragazzi protagonisti di questa esperienza, dunque, proseguiranno il loro percorso di memoria a Roma, nelle loro scuole, dove cercheranno di raccontare e trasmettere le sensazioni provate nella loro visita "all'inferno", come sono stati definiti dal sindaco i campi di Auschwitz e Birkenau. Il loro viaggio è durato tre giorni. Accompagnati dai sopravvissuti alla Shoah, Tatiana Bucci e Sami Modiano, gli studenti hanno visitato il primo giorno il ghetto e il quartiere ebraico di Cracovia. Poi, ieri, le fabbriche della morte di Auschwitz e Birkenau ed oggi il centro storico della stessa Cracovia.
   Ogni giornata si è conclusa poi con un momento di approfondimento serale con i testimoni. Il viaggio è stato anche occasione per alcuni annunci. Il più importante è stato quello sul museo della Shoah. Prima Raggi e poi l'assessore capitolino alla Cultura, Luca Bergamo, anche lui presente in Polonia, hanno annunciato novità sul progetto. E Bergamo ha detto che "entro marzo partiranno i cantieri per il Museo" che sorgerà nei prossimi anni a villa Torlonia.

(Romait, 8 novembre 2016)


Ora i palestinesi vorrebbero sottrarre agli ebrei anche i Rotoli del Mar Morto

Prosegue la sistematica aggressione contro la storia degli ebrei in Terra d'Israele

L'Autorità Palestinese ha in programma di rivendicare la proprietà dei Rotoli del Mar Morto e di chiedere che l'Unesco ordini a Israele di cedere i reperti.
Scoperti nelle grotte di Qumran, nel deserto della Giudea orientale, tra il 1947 e il 1956, i Rotoli del Mar Morto - un tesoro di 981 diversi testi risalenti al periodo del Secondo Tempio - si ritiene siano opera dei membri di un gruppo associato alla setta ebraica degli esseni, che si ritirò da Gerusalemme nel deserto negli ultimi secoli a.e.v. I Rotoli di pergamena comprendono molti testi biblici e per la maggior parte sono scritti in ebraico, mentre alcuni sono scritti in dialetti aramaici assai diffusi a quell'epoca nella regione. Una piccola parte è scritta in greco. I manoscritti rappresentano le più antiche copie di testi della Bibbia ebraica che siano state finora rinvenute. Israele conserva i Rotoli in un luogo speciale che riproduce le condizioni di clima e luce che ne hanno garantito la conservazione per due millenni nelle grotte del deserto. Alcuni dei Rotoli, fra cui il testo completo del Libro di Isaia, sono stati resi accessibili dall'Israel Museum in formato digitale....

(israele.net, 8 novembre 2016)


Israele: oggi festa nazionale aliyà, per la prima volta nella storia del paese

GERUSALEMME - Si celebra oggi per la prima volta in Israele la festa nazionale che ricorda l'immigrazione, aliyà. La giornata dedicata all'immigrazione è stata istituita da una legge approvata dalla Knesset lo scorso giugno. La festa nazionale dell'aliyà è fissata nel settimo giorno del mese ebraico di Heshvan, giorno in cui viene letto il passo della Torah in cui si narra l'episodio in cui ad Abramo viene detto di lasciare la propria casa per andare verso la "terra promessa". Sono previste letture di testi nelle scuole sui contribuiti fatti dagli immigrati nel paese, mentre le istituzioni organizzeranno celebrazioni ufficiali. Tra queste un evento promosso dal ministero dell'Immigrazione e dell'assorbimento che terrà una manifestazione a Gerusalemme. Durante gli eventi sarà dedicata attenzione anche alle sfide della aliyà ed alle strategie da adottare per attrarre più immigrati e non far ritornare nel paese di origine le persone che si sono trasferite in Israele.

(Agenzia Nova, 8 novembre 2016)


Russia - L'intervista di Dmitry Medvedev a Channel 2 Israele

 
L'intervista di Dmitry Medvedev con Channel 2 Israele
ROMA - In vista della sua prossima visita allo Stato di Israele, il primo ministro ha rilasciato un'intervista a Yonit Levi, ospite della israeliana 2 News Channel.

Yonit Levi - Primo Ministro, la ringrazio molto per aver accettato questa intervista. Ho molte domande per voi. Secondo lei, che cosa potrebbero Russia e Israele realizzare insieme?
Dmitry Medvedev - Un grande affare. Insieme, Russia e Israele possono realizzare molte cose, e che per una serie di motivi. Mi riferisco alle origini e lo sviluppo dello Stato di Israele, il fatto che abbiamo condiviso interessi nelle relazioni internazionali, e le nostre relazioni bilaterali, in primo luogo i legami economici e umanitari. E 'per questo motivo che non vedo l'ora di visitare il vostro Paese. Spero che durante i miei incontri con il presidente israeliano e il primo ministro, saremo in grado di discutere i temi chiave all'ordine del giorno bilaterale, tenendo conto che siamo stati attivi nei nostri contatti. In realtà, il primo ministro Netanyahu ha incontrato il presidente Putin in diverse occasioni nel corso degli ultimi dodici mesi. Questa sarà la prima visita del Primo Ministro della Russia in Israele in molti anni, per non parlare che nella mia veste precedente non ho avuto la possibilità di pagare una visita amichevole in Israele per una ragione molto semplice - il vostro ministero degli Esteri ha continuato colpire e si rifiutò di organizzare eventuali visite.Naturalmente, ognuno ha il diritto di sciopero, ma questa situazione chiaramente non ha aiutato a promuovere il dialogo. Con questo in mente, credo che la prossima visita sarà benefico.

Yonit Levi - Siamo ovviamente monitorando la situazione con sanzioni occidentali oltre Crimea. Ci sono piani di adottare misure di ritorsione supplementari? Forse si potrebbe fare così con la mediazione di Israele. Come sapete, Israele ha stretti legami con l'Europa.
Dmitry Medvedev - No, non intendiamo mettere in atto tutte le misure di ritorsione supplementari. Abbiamo preso tutte le azioni necessarie. Alla fine della giornata, sanzioni sono sempre male. La Russia si è sempre opposta a imporre sanzioni a qualsiasi paese. Vi ricordo che già nel periodo sovietico gli Stati Uniti e un certo numero di altri paesi hanno imposto sanzioni contro molte volte Unione Sovietica. Ma lo ha fatto portare qualcosa? Assolutamente niente. L'Unione Sovietica ha continuato a perseguire la sua agenda.
Per questo motivo, non credo che schiaffi a vicenda con le sanzioni è la strada giusta da percorrere. Per quanto riguarda le misure di ritorsione della Russia contro l'Europa e gli Stati Uniti, che sono già in atto. In effetti, abbiamo embargo delle importazioni di prodotti alimentari e un certo numero di prodotti provenienti dagli Stati Uniti, l'Unione europea e altri paesi che li hanno aderito. La gara sanzioni non è una buona storia.

Yonit Levi - Puoi dire qualche parola circa lo sviluppo delle relazioni tra Israele e la Russia? Inoltre, quando sarà la Russia riprendere sostenuta crescita economica, e che cosa dovrebbe essere fatto per questo scopo?
Dmitry Medvedev - In primo luogo, vorrei discutere i nostri rapporti perché questo è più importante nel contesto della mia visita. Negli ultimi anni, non abbiamo espandere la nostra cooperazione economica quanto più attivamente si sarebbe potuto attendere. L'attuale fatturato del commercio tra Russia e Israele è pari a circa 2 miliardi di $. Questo non è molto. In passato, il commercio bilaterale ha superato tale importo di circa il 30 per cento, ma è diminuita, compresa la sua parte importazioni, a causa della crisi economica mondiale e la svalutazione del rublo russo. Come Primo Ministro della Russia, è il mio obiettivo di espandere il commercio, che andrà a beneficio sia delle comunità d'affari israeliani e russi.
Come potrebbe questo essere realizzato? Potremmo stimolare la cooperazione mediante l'attuazione di una serie di progetti chiave, tra cui i progetti farmaceutici e tecnologie agrarie.
Cento prodotti agricoli per circa un terzo delle esportazioni israeliane verso la Russia. Israele ha ottime tecnologie agrarie, e abbiamo molto da imparare qui.Manteniamo le relazioni speciali tra i nostri centri agrari e le università agrarie.Come la vedo io, questo aspetto è molto importante e interessante.
Un altro aspetto è collegato con tecnologia d'avanguardia, lo sviluppo di start-up e di una nuova economia. Israele ha realizzato molto in questo settore, e abbiamo anche alcuni ottimi progetti e invenzioni in questo segmento economico. Se incentivare questo segmento della nostra cooperazione, sono fiducioso che saremo in grado di raggiungere molto impressionanti risultati in cooperazione commerciale. In aggiunta, ci sono progetti ambiziosi in discussione nel settore dell'energia e del gas.
La nostra situazione attuale rimane per lo più calmo e stabile. Purtroppo, non siamo riusciti a inserire una crescita negli ultimi due anni, per vari motivi. Prima di tutto, questa situazione è stata, ovviamente, collegato con i prezzi del petrolio e del gas. L'economia sta cominciando a crescere lentamente. Ci riserviamo consistenti riserve, tra cui oro internazionale e le riserve in valuta estera. Stiamo predicendo una bassa inflazione, che è molto importante per l'economia russa.L'inflazione si prevede di colpire un livello più basso dall'inizio del moderno Stato russo. Il prossimo anno, prevediamo 4 per cento l'inflazione, che è paragonabile con gli indicatori globali.
Nel complesso, sebbene la maggior parte dei nostri indicatori macroeconomici restano nella norma, abbiamo bisogno di ristrutturare l'economia. Finora, abbiamo ancora fanno molto affidamento sulle esportazioni di petrolio e gas. Si tratta di una sfida enorme. In questo senso, la cooperazione con la comunità imprenditoriale di Israele può rinvigorire un aspetto così importante la cooperazione ad alta tecnologia. Si tratta di una strada verso il futuro, e il nostro compito è quello di aumentare la quota di nuove tecnologie, la produzione di software, le aziende IT, ecc, l'economia russa. Questa rivoluzione tecnologica è assolutamente essenziale.

Yonit Levi - Vorrei chiederti di Siria. Chiaramente, la situazione umanitaria rimane terribile. Posso chiedere onestamente, quali interessi ha la Russia hanno in quel paese? Sei favorevole Bashar al-Assad?
Dmitry Medvedev - Vorrei tornare indietro di qualche anno. A differenza di molti dei miei colleghi che lavorano negli Stati Uniti e in Europa, sono stato in Siria, e ho visto questo stato prima che iniziasse questo conflitto. Questo è stato probabilmente lo stato più tranquillo e più civile in Medio Oriente. Lo stato siriano è riuscito a più o meno bilanciare gli interessi di tutti i gruppi etnici e confessioni religiose. Sto parlando di sciiti e sunniti, gli alawiti, drusi e cristiani. Questo è molto importante per lo stato di funzionamento. Abbiamo visto quello che è successo in seguito. E 'molto deplorevole e ha destabilizzato l'intero Medio Oriente.
Il nostro approccio si spiega non solo dalla crescente minaccia di destabilizzazione in Medio Oriente, ma soprattutto dalla necessità di garantire i nostri interessi nazionali.
Probabilmente sapete che migliaia di cittadini russi e individui provenienti da altre repubbliche post-sovietiche stanno combattendo in Siria. Queste persone completamente lavaggio del cervello tornano a casa come assassini professionali e terroristi. E noi non vogliamo che di mettere in scena qualcosa di simile in Russia dopo la loro stint siriano scade. Abbiamo già sperimentato questo, anche nel contesto della guerra del Caucaso nel 1990. Prima di tutto, vogliamo loro di rimanere lì. In secondo luogo, il governo siriano ha chiesto ai leader russi per aiutarli a reintegrare legge e l'ordine. I nostri due paesi hanno firmato un trattato bilaterale su questo argomento, e il Presidente della Russia, il nostro comandante supremo in capo ha deciso di fornire assistenza militare limitata alla Siria, con la dovuta considerazione per gli interessi nazionali russi.
Per quanto riguarda Bashar al-Assad, lo conosco personalmente. Si possono avere opinioni diverse su di lui. Alcune persone come lui, altri no. Ma non è questo il problema. Il problema è che egli rappresenta l'unica autorità governo legittimo in Siria; lui è un presidente legittimo.
Se il cambio di regime è quello di prendere posto lì, deve essere legittima e realizzato attraverso la riconciliazione nazionale. Le parti in conflitto devono sedersi al tavolo dei negoziati, con l'eccezione di terroristi die-hard. Trattare con loro è inutile, e che deve essere eliminato. Un nuovo sistema politico emergere come risultato. Non sappiamo se questo sistema avrebbe alcun posto per Bashar al-Assad o qualcun altro, questo non è il nostro business, e deve essere deciso dal popolo della Siria. Ma noi non vogliamo la Siria a disintegrarsi in una serie di enclavi e settori (in linea con uno scenario libico-stile), in cui ogni settore dovrebbe essere controllato da gruppi terroristici separati. Questo sarebbe rivelarsi molto pericolosa per tutti, Israele compreso.
Ricordo che durante i miei incontri con i leader israeliani i miei colleghi mi hanno detto in modo sottile che non erano molto ben disposti verso Bashar al-Assad. Ma hanno detto che è meglio avere una persona che ha il controllo della situazione e del paese, piuttosto che affrontare un processo ingestibile di disintegrazione del paese in varie sezioni e la creazione di enclavi terroristiche guidato. Per quanto mi ricordo, questa era la posizione dei leader israeliani, e credo che questa posizione sia corretta.

Yonit Levi - Sono sicuro si sa che gli Stati Uniti hanno denunciato bombardamenti della Russia. Segretario di Stato John Kerry ha chiesto loro di indagare. Ha detto che ci sono state vittime civili. Che cosa si può dire a questo?
Dmitry Medvedev - Ogni istanza l'uso della forza militare con alcune conseguenze devono essere esaminati. Abbiamo chiesto ai nostri partner americani molte domande circa l'uso delle forze armate americane, quando sono stati colpiti ospedali, processioni e scuole funebri. In qualche modo, essi non sono preoccupati per questo.
Ogni tal caso deve essere studiato, e poi, la critica è spesso distorta. Gli Stati Uniti, che a volte i salari due o tre campagne contemporaneamente, si rifiuta di vedere i suoi problemi, cercando di dare la colpa su qualcun altro.
Kerry può dire quello che vuole, come Segretario di Stato USA. Da parte nostra, noi agiremo in accordo con i nostri interessi nazionali, facendo quello che noi consideriamo essere opportuno in una data situazione. Ma, come il Presidente Putin ha detto più di una volta, siamo aperti al dialogo con gli Stati Uniti, e stiamo mantenendo il nostro dialogo con il signor Kerry e gli altri funzionari degli Stati Uniti, non importa quanto sia difficile a volte è.

Yonit Levi - Gruppi per i diritti umani sostengono che 4.000 civili sono stati uccisi in bombardamenti russi. Come pensate di porre fine all'assedio di Aleppo, senza pesanti perdite civili?
Dmitry Medvedev - L'assedio di Aleppo è un problema per le autorità siriane, che dovrebbe prendere le decisioni necessarie, perché è il loro territorio. Siamo solo aiutarli. Gli aeromobili non sono stati utilizzati in quella zona per le ultime due settimane, come i nostri funzionari del ministero della Difesa hanno detto oggi. Per quanto riguarda la situazione generale, la soluzione può essere trovata solo al tavolo delle trattative, come ho detto. Si dovrebbe tentare di allentare le tensioni esistenti e di avviare i negoziati. Abbiamo fatto del nostro meglio a questo fine. Purtroppo, i nostri partner non hanno fatto quello che hanno promesso di fare. Siamo d'accordo con loro più volte che avrebbero separare coloro che accettano una soluzione pacifica dai terroristi e le organizzazioni che agiscono come i complici dello Stato Islamico. I nostri partner non hanno fatto questo.Sappiamo che quando queste forze si riuniscono, portano gli ordini dei terroristi.Credo che questo sia il problema più grande ad Aleppo e in altre parti della Siria in cui vengono distribuiti forze ISIS. I nostri colleghi americani avevano meglio concentrarsi su altri problemi umanitari, compreso il funzionamento a Mosul in Iraq.

Yonit Levi - Forze aerospaziali della Russia può limitare la libertà d'azione di Israele, se Hezbollah si impossessa delle armi. Ci può assicuro che Israele sarà in grado di difendersi?
Dmitry Medvedev - Cosa devo dirti di convincervi che è così? Non capisco la tua domanda.

Yonit Levi - Forze Aerospace della Russia in Siria hanno un sistema che può limitare la capacità militare di Israele, se Hezbollah si impossessa di armi di precisione.
Dmitry Medvedev - In primo luogo, la legge e l'ordine in Siria sono la responsabilità del governo siriano e le forze armate siriane, piuttosto che forze aerospaziali della Russia. In secondo luogo, credo che i rapporti tra la Siria e Israele sono una questione separata che è fuori della giurisdizione russa. E in terzo luogo, spero che nessuno avrà alcuna azione in questa situazione che potrebbe alimentare tensioni o provocare un conflitto. Credo che tutti capiscano questo, almeno, le autorità siriane dovrebbero. I nostri militari, comprese le forze aerospaziali, agiscono su questo presupposto. Questi problemi sono l'autorità del Ministero della Difesa e, in ultima analisi, il comandante supremo in capo, cioè il presidente del paese. Spero che tutto andrà bene, perché in questo senso nessun altro scenario è possibile.

Yonit Levi - Stiamo parlando di cooperazione tra Israele e la Russia e le relazioni tra i due paesi, ma allo stesso tempo, stiamo discutendo del fatto che Assad incoraggia Hezbollah e che la Russia sta inviando i sistemi S-300 all'Iran. Non è questo in conflitto con le relazioni calde tra la Russia e Israele?
Dmitry Medvedev - No, non lo è.Abbiamo rapporti con Israele caldi, buoni rapporti, e speriamo di promuoverli ulteriormente.Propriamente parlando, è per questa ragione che ho intenzione di Israele. Allo stesso tempo, abbiamo relazioni con altri paesi, compreso l'Iran, con gli altri paesi della regione.
Parlando di relazioni russo-iraniana, io vi ricorderà il modo in cui si sono sviluppate. Nel periodo in cui sanzioni contro l'Iran sono stati in effetti, ci siamo uniti loro fino a quando è stato raggiunto un accordo sul programma nucleare iraniano. Mi ricordo anche il presidente Obama dicendo durante il mio primo incontro con lui che il programma nucleare del l'Iran è stato il numero uno problema per lui. E 'un fatto che la questione è stata risolta a seguito di sforzi intrapresi dalla comunità internazionale, tra cui la Federazione Russa. Finché le sanzioni erano in effetti in quel periodo, abbiamo fornito armi [in Iran]. Come Presidente, ho imposto una moratoria sulla consegna dei sistemi antiaerei ben noti. Mi riferisco alla S-300 di. Ma dopo tutti gli stati hanno raggiunto un accordo sul programma nucleare iraniano, tutte le sanzioni che erano state imposte in precedenza sono stati aboliti, e ora stiamo agendo nel quadro delle realtà attualmente esistenti. Questo è dove ci troviamo ora.
Ma, naturalmente, non siamo interessati a fomentare le tensioni, anche se noi intendiamo promuovere un autentico rapporto con l'Iran pure. Queste relazioni sono cresciuti molto più intenso ultimamente sia nel settore economico e per le forniture di armi e attrezzature militari sono interessati.

Yonit Levi - C'è ancora un altro aspetto che sembra discutibile.Insomma Russia-supportata dall'UNESCO voto ignorando legami ebraici al Monte del Tempio e il Muro Occidentale. Come funziona questo conteggio con la vostra decisione?
Dmitry Medvedev - Mi sembra che questo tema è troppo esagerata. E 'la decima puntata, penso, di ben noti decisioni dell'UNESCO accettati in questa lettura e non c'è niente di nuovo in loro. Questo è il primo. In secondo luogo, il mio paese non ha mai negato i diritti del popolo ebraico a Gerusalemme, il Monte del Tempio e il Muro Occidentale e Israele. Tutti questi diritti sono assolutamente evidenti e sarebbe assurdo negare loro. Si tratta di un'altra questione che Gerusalemme è un posto speciale sul nostro pianeta. E 'il luogo di nascita delle tre principali religioni monoteistiche - Ebraismo, Cristianesimo e Islam. In questo senso, è necessario proteggere tutti i monumenti che esistono in Jerusalem - né più né meno.Pertanto, mi sembra che non vi è alcuna necessità di politicizzare questa decisione; certamente non è rivolto contro Israele o il popolo di Israele.

Yonit Levi - Tutti noi stanno monitorando la campagna presidenziale degli Stati Uniti, e mi sembra come un estraneo che si sta tentando di aiutare Donald Trump in qualche modo, che si sta giocando con i suoi sforzi per entrare alla Casa Bianca.
Dmitry Medvedev - Non credo sia possibile influenzare i risultati delle elezioni negli Stati Uniti, perché il risultato dipende il popolo americano. Gli Stati Uniti sono un paese grande e molto potente, un giocatore chiave, come si suol dire.Nessun paese al mondo può influenzare la corsa elettorale lì. Credo che il Presidente Putin ha detto correttamente pochi giorni fa che l'America non è una repubblica delle banane che qualcun altro può fare pressione e dire chi eleggere presidente. Questo non è così. Inoltre, si capisce molto bene che il prossimo presidente, non importa chi viene eletto, guiderà una politica nell'interesse degli Stati Uniti. Il prossimo presidente procederà dagli interessi nazionali degli Stati Uniti. Questi interessi non sempre coincidono con i nostri interessi. Essi hanno i loro interessi, e noi abbiamo la nostra. Questo è ciò che il prossimo presidente farà, e non importa se si tratta di Clinton o di Trump.
Tuttavia, siamo disposti a mantenere relazioni normali e produttive con qualsiasi presidente degli Stati Uniti, come abbiamo detto più volte. Siamo interessati a questo. Si tratta di un'altra questione che le nostre relazioni sono ora peggio che mai. Francamente parlando, quando abbiamo stabilito rapporti con l'attuale amministrazione degli Stati Uniti e il presidente in carica, Barack Obama, non potevo immaginare che avrebbero precipitare ad un livello così basso senza precedenti. C'erano buoni periodi nelle nostre relazioni, quando abbiamo affrontato e adempiuto le operazioni più comuni, come la strategica riduzioni offensive trattato, la soluzione del problema iraniano, e diverse altre questioni.Purtroppo, le nostre relazioni hanno toccato il fondo, è sceso al di sotto della leva del terreno a causa delle decisioni del Presidente Obama nel corso degli sviluppi in Ucraina. Noi non siamo da biasimare per questo; non era la nostra scelta. Siamo interessati a normalizzare le nostre relazioni, ma come ho detto, in ultima analisi, non ci importa che diventa il prossimo presidente degli Stati Uniti. Non perché la scelta non dipende da noi, ma perché chi vince la gara servirà al di sopra di tutti gli interessi nazionali, e non riesco a immaginare un presidente di agire diversamente. C'è una certa corrente principale del governo degli Stati Uniti. Non importa se i repubblicani o democratici si distinguono al timone, hanno opinioni simili sulle priorità della politica estera di base, che può cambiare, naturalmente.

Yonit Levi - Perché non Wikileaks pubblicato eventuali perdite che sono collegati con la Russia? Non l'assenza di una connessione russo sembrare strano?
Dmitry Medvedev - Io non la penso così, perché non conosco gli obiettivi delle persone che pubblicano tali informazioni. Può essere una cosa oggi e un'altra domani. Il mondo è diventato così trasparente che non è più possibile sfuggire completamente l'attenzione del pubblico. Tutti coloro che utilizzano le comunicazioni elettroniche dovrebbe sapere questo. Questo è tutto.

Yonit Levi - Lei dice che non importa a voi che viene eletto presidente degli Stati Uniti, ma il presidente Putin ha detto più volte che Trump è una personalità vivace. Pensi che avrebbe detto la stessa cosa la signora Clinton?
Dmitry Medvedev - Questo è per il Presidente di dire, mentre posso solo dire quello che so. Ho incontrato la signora Clinton. Ha visitato la Russia quando era Segretario di Stato e sono stato Presidente della Russia. Ho incontrato e parlato con lei. Non ho incontrato il signor Trump. E 'sicuramente una personalità vivace, ma la signora Clinton è un professionista qualificato. Ma, ancora una volta, non importa chi diventa il prossimo presidente degli Stati Uniti, saremo disposti a sviluppare relazioni normali e costruttivi con la nuova amministrazione degli Stati Uniti basata sul diritto internazionale, le pari relazioni russo-americane, la struttura multipolare del mondo e la responsabilità globale della Russia e degli Stati Uniti in quanto membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e più grandi potenze nucleari del mondo. In secondo luogo, tutto dipenderà da ciò che la nuova amministrazione degli Stati Uniti offre. Siamo disposti a scongelare le nostre relazioni, come il Presidente Putin ha detto più di una volta.

Yonit Levi - Sto cercando di capire come ci si sente su US affermazioni relative a presunte interferenze della Russia nelle elezioni presidenziali. Sei sorpreso, irritato o offeso? Qual è il tuo atteggiamento a questo?
Dmitry Medvedev - Ci stanno prendendo nel nostro passo. Si tratta di un'altra questione che questo è strano, perché - devo dire che questo - il sistema politico degli Stati Uniti è molto potente e gli americani sono attivamente interferito in molti processi politici in tutto il mondo. Essi ritengono che questo sia assolutamente normale e appropriato. USA ONG e il personale dell'ambasciata sono molto attivi in tutto il mondo, anche in Russia. Probabilmente pensano che gli dei possono fare ciò che il bestiame non possono, come un antico proverbio, che essi hanno il diritto di fare molte cose, a differenza di altri paesi.
E in secondo luogo, si può essere sorpresi di americani dare tanta attenzione al fattore della politica estera. Avevano meglio concentrarsi sui propri problemi interni, l'economia degli Stati Uniti, gli obblighi sociali e di assistenza sanitaria, invece di cercare nemici in Russia o in qualsiasi altro paese. Si tratta di una politica primitiva per cercare di raggiungere i propri obiettivi basandosi su teorie della cospirazione e nemici esterni, raccontando le persone che hanno bisogno per combattere questo. L'effetto di questa politica è di solito di breve durata.

Yonit Levi - Vorrei passare alla questione di Israele e Palestina.Vuoi sostituire gli Stati Uniti come mediatore in insediamento Medio Oriente e come coordinatore tra Netanyahu e Abbas? Vuoi assumere questo ruolo?
Dmitry Medvedev - Non vogliamo sostituire chiunque. Il quartetto attuale dei mediatori è un modello generalmente stabile. Penso che non è un cattivo modello.E 'un'altra cosa è che di recente non ci sono stati eventuali indicatori positivi nella colonia Medio Oriente. Cerchiamo di essere onesti su ciò che è stato realizzato negli ultimi tempi, che non è niente. E questo è abbastanza deludente. Siamo disposti a prendere più azione al fine di riprendere il processo, compresi i contatti diretti tra Mahmoud Abbas e il primo ministro Benjamin Netanyahu, in ogni luogo i leader scelgono, tra cui la Federazione Russa. Tuttavia, non stiamo cercando di sostituire gli Stati Uniti. Anche se dobbiamo ammettere che gli Stati Uniti non ha fatto molto in questo senso ultimamente. È vero. Forse i loro sforzi avrebbero dovuto essere più vigorosa.

Yonit Levi - Sei a visitare Israele al più presto. C'è una grande comunità di immigrati di lingua russa. Vuoi inviare un certo segnale ai russi in Israele con la vostra visita?
Dmitry Medvedev - Israele è infatti un paese speciale per noi. I nostri rapporti sono sempre stato speciale, fin dal riconoscimento dello stato di Israele da parte dell'Unione Sovietica. Immigrati provenienti da l'impero russo ha giocato un ruolo unico nella creazione di Israele come stato. Un anno e mezzo milione di persone sono un modo o nell'altro storicamente collegati con la Russia e l'Unione Sovietica - e si tratta di una parte significativa della società israeliana. Vorremmo mantenere rapporti molto caldo e partner, tra i nostri paesi. E la ragione non è solo che molte persone in Israele parla russo e capire la mentalità russa meglio, che ci dà l'opportunità di comunicazione più vicino - ed è particolarmente importante nel mondo moderno. E 'davvero di grande valore. Questo è quello che io conto su e spero che porterà i suoi risultati. Credo che il rapporto tra i nostri paesi possono avanzare ad un livello ancora più alto di adesso.

Yonit Levi - Grazie mille. Vi auguriamo una visita di successo e vi ringraziamo per questa intervista.

(AgenParl, 7 novembre 2016)


Avis e ospedale a scuola da super esperti israeliani per la gestione delle emergenze

BERGAMO - Promosso dalla società mondiale di chirurgia d'urgenza (Wses) si sono concluse sabato 5 novembre all'Ospedale Papa Giovanni XXIII, due giornate di corso, sotto la regia di super esperti israeliani, per la gestione di eventi straordinari come incidenti e sciagure che coinvolgono un numero considerevole di vittime.
All'evento hanno aderito rappresentanti di numerosi "Trauma center" italiani (quello del Papa Giovanni, tra i primi in Italia, è nato alla fine degli anni '80).
Strutturato in laboratori teorici e pratici di Mass casualty incident (Mci), il corso è servito a fare il punto su cosa fare quando ci si trova in situazione di emergenza, come organizzare i soccorsi, come prevedere piani territoriali di intervento e come curare le vittime.
"Le recenti tragedie ci hanno evidenziato che non siamo immuni da questi incidenti e non possiamo farci cogliere impreparati - commenta Oscar Bianchi, presidente provinciale di Avis, l'associazione partner dell'evento organizzato da Luca Ansaloni, direttore del Dipartimento di Emergenza-Urgenza del Papa Giovanni XXIII -. Avis mette a disposizione le proprie risorse per diventare punto di riferimento per le associazioni di volontariato impegnate nei soccorsi".
L'articolo Avis e ospedale a scuola da super esperti israeliani per la gestione delle emergenze sembra essere il primo su BergamoNews.

(Notizie Economiche Locali, 7 novembre 2016)


Mamme e imprenditrici, la svolta a Tel Aviv: "Siamo noi il cuore delle aziende del tech"

di Davide Lessi

«Non ho mai pensato che questa fosse una professione solo da maschi». Ora che lavora a Indegy, una delle più grandi aziende israeliane che si occupano di cyber-sicurezza, Moira Bergam sorride pensando a quando da piccola faceva la ballerina. Ha 30 anni e tiene in grembo il suo bimbo, di appena quattro mesi. Mamma emancipata e ingegnere soddisfatta, insieme. Succede a Tel Aviv, dove la storia di Moira non fa eccezione: in Israele delle persone impiegate nella tecnologia è donna più di una su tre. Il 35% contro il circa 30% della Silicon Valley. Di più: quasi una start-up su quattro nasce dall'iniziativa di un'imprenditrice.

 "Perché in Israele la tecnologia è donna"
Inbail Arieli, vice-presidente
della Start Up-Nation Central
Prova a chiedere ai tassisti: ognuno di loro avrà almeno tre-quattro idee di aziende tecnologiche che cambieranno le sorti dell'umanità». Il clima che si respira a Tel Aviv lo racconta Inbail Arieli, vice-presidente della Start Up-Nation Central, un osservatorio privilegiato sull'ecosistema tecnologico israeliano. «Secondo i dati del World Economic Forum siamo il terzo Paese al mondo per innovazione: spendiamo il 4% del Pil in ricerca e sviluppo e abbiamo sempre più capacità di attrarre capitali stranieri». Era il 2009 quando Dan Senor e Saul Singer pubblicavano Start-Up Nation , un libro che cercava di capire il miracolo economico di un Paese di poco più di 8 milioni di abitanti. Sette anni dopo, la locomotiva continua ad andare. Con una novità: a bordo salgono sempre più donne. «Ci sono due ragioni: una globale, l'altra più locale», dice Inbail. E spiega: «In tutto il mondo l'apporto delle donne nelle attività economiche sta crescendo ma da noi l'incremento è maggiore anche perché tutti, indistintamente dal sesso, facciamo il servizio militare. Io stessa sono stata ufficiale cinque anni».

 Guerriere del tech
Lital, Moria, Keren: tre donne
nella Silicon Valley israeliana  
Per sei mesi, dalle 7 di mattina alle 6 di sera non ho fatto altro che programmare. Ero in un reparto d'èlite dell'esercito israeliano». Per capire il legame tra tech e naia bisogna ascoltare la storia di Keren Gerber, ora vice-presidente del reparto ricerca sviluppo alla Cytecic, altra grossa azienda attiva nella cybersicurezza. «In tutto sono stata sei anni e sei mesi nelle forze armate, lavorando anche come sviluppatrice di programmi informatici». Oggi Keren di anni ne ha 35 anni, è mamma di due bambini e sogna di realizzare un'azienda tutta sua che si occupa di nuove tecnologie ed educazione dell'infanzia. Lital Leshem a 29 anni è co-fondatrice di una start-up: si chiama Reporty ed è una piattaforma che via app mette in relazione le autorità della pubblica sicurezza e i cittadini. «In tutto ho passato sette anni nell'esercito, con un periodo anche a Gaza», racconta. «Finita la leva obbligatoria sono rimasta nel mondo della difesa lavorando in un'azienda di intelligence. Non c'è dubbio che la carriera militare abbia segnato la persona e l'imprenditrice che sono diventata».

 La svolta delle ortodosse
  E alla virata al femminile del tech stanno partecipando anche le donne ultra-ortodosse. «Sono sempre più coinvolte nell'ecosistema tecnologico ed è una novità importante per tutto il Paese», conferma l'analista Inbail Arieli. Dal 2000 la loro partecipazione al mercato del lavoro è aumentata del 30%. Del resto un numero sempre maggiore di aziende ad alta tecnologia ha scelto di assumere le ortodosse, anche grazie alle sovvenzione statali. «Il gap con le altre donne si sta riducendo al minimo», conclude Inbail. La tecnologia, in Israele, è donna.

(La Stampa, 7 novembre 2016)


Ebrei alle urne col dilemma, ma si fidano più di Hillary

La diffidenza verso i toni di Donald mette al riparo il tradizionale consenso per i democratici. Con riserva.

di Fiamma Nirenstein

È un vero dilemma quello che attanaglia gli ebrei americani alla vigilia delle elezioni. Esso non riguarda vantaggi immediati, beni di consumo, prebende sociali: riguarda invece una concezione del mondo, e il puzzle che la compone è fatta da una parte di scelte culturali e persino morali, e dall'altra di garanzie per quello che sta a cuore a quasi tutti gli ebrei, la salvaguardia di Israele. Sin dall'inizio della campagna elettorale Hillary Clinton e Donald Trump si sono dati da fare per conquistare il voto ebraico con incontri, promesse, discorsi.
   Gli ebrei che sono il 2,2% della popolazione, sono per il 70% democratici, votarono per Obama per il 65%. Oggi i democratici sembrerebbero al 64%, ma la discussione è durissima, e Trump vanta un'avanzata dei consensi. La vetrina mostra Hillary a braccetto con Bill, che rammentava sempre come il suo pastore gli avesse semplicemente imposto di proteggere Israele; mostra anche la carta patinata di Trump con la figlia Ivanka convertita all'ebraismo accanto al marito Jared Jushner che viene definito sempre «un ascoltato consigliere» del candidato repubblicano. Ma Trump non ha sfondato, e Hillary non ha consolidato. Gli ebrei americani sono come tutti gli altri americani con un tocco di moralismo in più: il loro salotto buono newyorkese è politically molto correct, pro-immigrazione, antimperialista, intellettuale, i figli laureati nelle migliori università spesso dopo uno stage «entusiasmante» in Israele, tornano e si avviano a una carriera in cui restano patrioti filoisraeliani, ma molti restano e sono i più entusiasti patrioti israeliani. I reduci liberal ci tengono a non violare quelle norme di comportamento che si attagliano a un voto pro Clinton. Ma con dubbi: la Clinton ha alle spalle, oltre alle recenti accuse, il suo ruolo di capo di uno State Department prono alla politica estera di Obama: ha approvato l'accordo con l'Iran, incerto e lesivo della sicurezza israeliana.
   Sulla sua politica pesano i dubbi di chi è amico di Israele, perché vi domina l'impostazione ideologica di Obama, la sua cieca insistenza nel cercare un accordo con un islam ostile, le incertezze letali sull'Irak e sulla Siria, gli errori sulla Libia, la mano debole sul terrorismo internazionale, e l'insistenza un po' paranoica sui territori palestinesi e le loro costruzioni, mentre intorno in tutto il Medio Oriente si assisteva all'ecatombe e alla fuga di massa. Questo, mentre la Clinton riceveva donazioni (un milione di dollari dal Qatar!) da Paesi arabi. E tuttavia, la prova degli anni, l'ha vista sempre schierata decisamente per i finanziamenti Usa allo Stato ebraico e per mantenere il veto che impedisce all'Onu passi estremi, come quelli che si dice che invece Obama stia progettando. Trump per altro ha una serie di guai non minori: il suo linguaggio ha persino sconfinato in affermazioni antisemite come quando ha ammiccato «a voi piace fare gli affari come li faccio io». Gli ebrei americani si identificano con lo status di una minoranza che porta la bandiera dell'ethos e della legalità. Non piace il linguaggio roccioso e la minaccia alla legalità, e simpatizzano con le minoranze ispaniche o musulmane se Trump le condanna o le minaccia. I repubblicani hanno conquistato dei cuori ebraici presentandosi ai tempi di Bush come il fronte avanzato per la democrazia nel mondo. Trump è sembrato all'inizio sulla strada della conquista degli ebrei ortodossi, conservatori come tutti i gruppi religiosi, ma adesso le indagini dicono che solo il 50% voterà repubblicano, in confronto al 70% che votò per John McCain otto anni fa. Molti vedono Trump come l'antitesi dei valori ebraici, hanno paura di essere identificati con i suoi sentimenti anti universalisti, anti minoranze, anti stranieri, con le sue affermazioni sessiste e con il suo linguaggio aggressivo, con la sua figura sociale. Dall'altra parte sono piaciute molto le sue affermazioni contrarie all'accordo con l'Iran, la sua promessa di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele, lo scetticismo verso il processo di pace come responsabilità unica dello Stato d'Israele. Posizioni espresse sempre in maniera piuttosto ruvida e decisa. Ma ha fatto molto effetto che Trump non abbia respinto il sostegno di David Duke suprematista bianco razzista capo del Ku-Klux Klan. E anche che con una gaffe insopportabile abbia invitato a un suo rally il fratello di Obama, Malik, e che poi sia apparsa una sua foto con la kefiah rossa e bianca di Hamas e la scritta «Gerusalemme è nostra, stiamo arrivando». Una mossa che nasce dalla confusione che spesso sembra prendere il sopravvento, che non funziona per lo stile ebraico americano. Intanto una ricerca in Israele dice che la persino fra gli americani con passaporto israeliano la Clinton domina con il 49 contro il 32 per cento. Vince il vecchio classico Clinton style.

(il Giornale, 7 novembre 2016)


Israele e Norvegia, vento d'innovazione nei rapporti bilaterali

GERUSALEMME - Nella fredda Oslo, capitale della Norvegia nota tra gli israeliani soprattutto per aver ospitato gli anonimi accordi di pace israelo-palestinesi, si respira aria di cambiamento: parte del governo e l'industria tecnologica del paese nordico, scrive infatti la "Jerusalem Post", guardano a Israele non attraverso la tradizionale lente del conflitto israelo-palestinese, ma come potenziale partner nel settore della tecnologia. Alla settimana dell'innovazione di Oslo 2016, tenutasi nel mese di ottobre, Anya Eldan, managing director dell'Autorità d'Innovazione d'Israele - un'agenzia del ministero dell'Economia - è stato uno dei principali oratori insieme all'amministratore delegato di Innovation Norway, Anita Krohn Traaseth. La Norvegia negli anni è diventata uno dei poli di attrazione per startup e business innovativi. Secondo l'ambasciatore norvegese in Israele, Jon Hanssen-Bauer, il governo sta cercando di tenere "un orizzonte molto più ampio" quando si tratta di Israele. "Con l'attuale esecutivo stiamo cercando di costruire il commercio e le relazioni bilaterali, siamo attivi nel processo di pace, ma stiamo anche cercando di aprire i nostri orizzonti", ha dichiarato Hanssen-Bauer, durante un incontro con una delegazione di giornalisti nel suo ufficio a Ramat Aviv, nel mese di ottobre.

(Agenzia Nova, 7 novembre 2016)


Università di Tel Aviv: Ricercatori trovano alternativa a combustibile fossile

In futuro le microalghe potrebbero essere in grado di sostituire i combustibili fossili, grazie ai ricercatori dell'Università di Tel Aviv che hanno scoperto come produrre idrogeno da questo tipo di alghe microscopiche.
I risultati, pubblicati all'inizio del mese di ottobre, suggeriscono un possibile meccanismo per utilizzare queste microalghe per avviare la produzione di idrogeno, considerato uno dei più puliti carburanti del futuro.
La ricerca è stata condotta dalla School of Plant Sciences and Food Security presso la Facoltà di Scienze della Vita dell'Università di Tel Aviv, guidata dal Dott. Iftach Yacoby.
In passato, i ricercatori erano convinti che le alghe producessero idrogeno per pochi minuti solo durante l'alba. Con un tale breve lasso di tempo era impossibile pensare di produrre una quantità sufficiente di idrogeno. Ma utilizzando una tecnologia altamente sensibile, i ricercatori dell'Università di Tel Aviv sono riusciti a scoprire che le microalghe producono idrogeno per tutto il giorno.
I test di laboratorio hanno rivelato che le alghe producono idrogeno grazie all'idrogenasi, un enzima che si "rompe" in presenza di ossigeno. Secondo questo principio, se l'ossigeno viene rimosso, l'idrogenasi non si "rompe" e le alghe continuano a produrre idrogeno. Una volta che i ricercatori hanno capito come eliminare l'ossigeno, sono stati in grado di raggiungere il loro obiettivo.
Sulla base di questa scoperta, Yacoby e il suo team sfrutta l'ingegneria genetica per aumentare la produzione di idrogeno dalle alghe del 400 per cento.
Secondo i ricercatori israeliani, la scoperta rivela che l'idrogeno potrebbe un giorno diventare un modo affidabile per soddisfare i bisogni energetici del mondo.
Yacoby e la sua squadra hanno ora come obiettivo quello di aumentare la produzione di idrogeno dalle microalghe, in modo che diventi possibile avviare una produzione industriale.

(SiliconWadi, 7 novembre 2016)


Terra Santa, gli incunaboli del dialogo

A Gerusalemme una mostra di preziosi volumi quattrocenteschi della Custodia Francescana.

di Andrea Tornielli

Il cammino del dialogo in Terra Santa passa anche attraverso le pagine dei preziosi incunaboli, i libri a stampa del Quattrocento. Siamo quotidianamente raggiunti da immagini che ci parlano di massacri, uccisioni, violenze ma anche della distruzione di inestimabili pezzi del patrimonio culturale mondiale, come conseguenza di guerre, catastrofi naturali come pure di atti deliberati. È importante che le biblioteche e le raccolte librarie non soltanto conservino i loro tesori ma li facciano conoscere. È in questa prospettiva che da domani a giovedì nella Main Hall della Curia Francescana di Gerusalemme, per iniziativa del Custode fra Francesco Patton e del Padre bibliotecario Lionel Goh, si tiene la mostra «Ars artificialiter scribendi», una mostra di edizioni quattrocentesche della Custodia Francescana di Terra Santa.
  «Saranno esposti 26 tra i volumi più preziosi della biblioteca», ci spiega Edoardo Barbieri, ordinario di Storia del libro e dell'editoria all'Università Cattolica di Milano. «Tra questi c'è la Peregrinatio in terram sanctam, pubblicato nel luglio 1490, che descrive il viaggio a Gerusalemme fatto tre anni prima da Bernhard von Breydenbach, primo resoconto di viaggio nei Luoghi Santi illustrato. Il volume è corredato da xilografie che riproducono scorci della Città Santa, ma anche vestiario, costumi e tradizioni dell'epoca, come pure la traslitterazione degli alfabeti arabo ed ebraico. C'è poi una delle sette copie esistenti al mondo della Bibbia in volgare italiano stampata a Venezia per conto dei Giunta, decorata con preziose illustrazioni. Una rarità che è anche testimonianza della cultura italiana».

 Una ricca produzione
  I libri conservati nella Biblioteca provengono da varie sedi della Custodia Francescana, da Rodi al Cairo, da Cipro a Beirut, da Nazaret ad Aleppo. La collezione fotografa bene la produzione tipografica del Quattrocento e mostra quanti libri circolassero in Terra Santa. È stato realizzato un catalogo della mostra, scritto da Luca Rivali e Lorenzo Salamone, con una premessa di Falk Eisermann, direttore del Gesamtkatalog der Wiegendrucke di Berlino, ed è stato pubblicato grazie al contributo di Ats, Associazione pro Terra Sancta. L'attività di valorizzazione di questo patrimonio è iniziata sei anni fa, anche grazie al contributo di ricerca e volontariato di una trentina di studenti e neolaureati della Cattolica. Nel 2017 è attesa la pubblicazione di un catalogo complessivo delle edizioni quattro e cinquecentesche curato da Rivali.
  In concomitanza con la mostra, nel pomeriggio di mercoledì si terrà in una sala contigua un convegno in lingua inglese intitolato «Catalogare per preservare e conoscere. Un itinerario internazionale fra i libri antichi di Gerusalemme». Sarà il primo incontro tra diverse realtà culturali presenti in città - legate al mondo ebraico, palestinese, armeno e cattolico - per confrontarsi sui vari aspetti della catalogazione di manoscritti, libri antichi, documenti.

 «Per cambiare mentalità»
  «L'incontro avrà carattere scientifico», aggiunge il professor Barbieri, che farà da moderatore, «e sarà però aperto a tutti, tenendo conto della necessità di conoscersi reciprocamente. Una prima occasione per sapere cosa si sta facendo in proposito nelle diverse istituzioni culturali, dialogando e condividendo progetti».
  «Vogliamo aiutare a costituire e potenziare», ci spiega ancora Barbieri, «una rete di studiosi, di appassionati, di intellettuali capaci di diventare un riferimento costante per aiutare a cambiare mentalità. È la prima volta che in un'iniziativa del genere vengono coinvolte così diverse realtà locali operanti a Gerusalemme. In un tempo in cui tutto sembra cospirare contro il dialogo e la convivenza pacifica, questo faticoso cammino può passare anche attraverso la cultura e la valorizzazione del patrimonio. Ed è significativo che ciò avvenga grazie alla Custodia di Terra Santa».

(La Stampa, 7 novembre 2016)


La cucina kosher conosciamola

In ambito culinario risulta interessante sapere qualcosa di più per quanto riguarda la cucina kosher e le sue usanze e regole millenarie, giunte fino ai giorni nostri.

 Le regole della cucina kosher vengono seguite dagli ebrei osservanti
  La prima domanda a cui bisogna dare una risposta è ovviamente in cosa consista la cucina kosher. Con questo termine si va da sempre ad indicare tutto quell'insieme di norme di natura religiosa che stanno alla base del regime alimentare seguito dagli ebrei osservanti. Volendo dare qualche coordinata di natura etimologica, va detto che questo termine in origine non era legato all'ambito culinario ebraico, ma più in generale faceva riferimento a come vivere la propria esistenza, non soltanto per quanto concerne il cibo.

 Gli alimenti il cui uso e' vietato nella cucina kosher
  Il termine comincia ad essere legato in modo primario alle abitudini culinarie con la Bibbia, dove vengono indicati gli alimenti di cui è vietato il consumo: vi sono ad esempio il coniglio, gran parte degli insetti e il maiale. Queste norme culinarie sono contenute in quello che oggi tutti, credenti di qualsiasi religione e non, conoscono come l'Antico Testamento. Sono regole esistenti da millenni e che non hanno una base concettuale razionalmente giustificabile. Tuttavia sono norme ancora oggi seguite da quegli ebrei particolarmente osservanti e che ritengono che ingerire cibo che non rientri in quello "kosher" possa influire negativamente sul modo di vivere la propria spiritualità con effetti deleteri anche sull'anima. La regola base per gli ebrei osservanti è che tutto quello che si mangia diviene parte del proprio organismo e che quindi se si mangia qualcosa che il Creatore ha indicato come "impuro" si diventa impuri.
  Ma quali sono le regole più importanti, quelle che si potrebbero definire come "regole base" per quanto riguarda La cucina Kosher?

 Ci si puo' cibare solo di mammiferi ruminanti
  La prima è che ci si può nutrire di mammiferi, ma soltanto a due condizioni ben definite e che devono essere entrambe presenti: il loro essere ruminanti e l'avere degli zoccoli con fenditura. Per quanto riguarda il pesce vi sono diverse restrizioni, perchè gli unici ammessi sono quelli con squame e pinne. Arrivando ai divieti diretti, risulta impossibile nutrirsi di qualsiasi tipo di animale che per nutrirsi mangi altri appartenenti al mondo degli esseri viventi. Stesso discorso deve essere fatto per gli uccelli rapaci.

 Carne e latte vanno consumati separatamente
  Inoltre, carne e latte vanno tenuti separati e consumati in pasti diversi. Infine bisogna macellare gli animali seguendo le rigide regole della tradizione e utilizzare solo gli strumenti indicati dalla stessa, ricordandosi che nel periodo pasquale vi sono regole diverse.
  Ora che si è appreso qualcosa sulla cucina kosher non resta che aspettare la prossima cena con gli amici per fare sfoggio di queste interessanti nozioni storico-culinarie.

(Cucinare.it, 6 novembre 2016)


Vandalizzata e depredata la tomba di Ascarelli, l'uomo che fondò il Calcio Napoli

 
La tomba di Giorgio Ascarelli
Vandalizzata e depredata dei suoi ornamenti in ottone la tomba di Giorgio Ascarelli nel cimitero israelita della città di Napoli. A denunciare l'accaduto è stato il giornalista Nico Pirozzi con un lungo post su Facebook:
La memoria non fa parte del patrimonio del Calcio Napoli e, inutile aggiungerlo, nemmeno del presidente del club azzurro, Aurelio de Laurentiis. Per rendersene conto basta recarsi nel cimitero israelitico di Napoli, dove tra le tante tombe che scandiscono 150 anni e più di presenza ebraica in città vi è anche quella di Giorgio Ascarelli, il mecenate che nell'estate del 1926 fondò quella che oggi si chiama Società Sportiva Calcio Napoli e, qualche anno dopo, regalò ai tanti tifosi anche uno stadio che poteva contenere fino a ventimila spettatori. Storia passata e anche dimenticata. Come dimenticata e vandalizzata è la tomba (dalla lapide in marmo sono stati rubati gli ornamenti in ottone) che sorge in quello che fino a qualche decennio fa era il luogo di sepoltura degli ebrei napoletani. Beffardo destino, quello di Giorgio Ascarelli, il cui nome fu cancellato dal restaurato stadio che, nell'estate del 1934, ospitò alcune partite dei mondiali di calcio, tra cui la finale per il terzo posto tra l'Austria e la Germania di Hitler. Se Mussolini rimosse il nome dell'ebreo Ascarelli per non far torto all'alleato tedesco, non da meno fecero i notabili monarchici e democristiani che, un quarto di secolo dopo, preferirono il nome di San Paolo al suo, nel titolare lo stadio di Fuorigrotta. Il nome del fondatore del Calcio Napoli resta oggi confinato (non senza difficoltà per coloro che, cinque anni fa, si fecero promotori dell'iniziativa) ad un impianto sportivo di periferia. Ma assai peggio è il destino riservato alla sua tomba, dimenticata non solo dalle migliaia di tifosi azzurri (che proprio quest'anno hanno festeggiato i novant'anni della loro squadra), ma anche da chi, con la creatura partorita da Ascarelli, ha fatto affari a otto e nove zeri…

(Vesuvio Live, 6 novembre 2016)


Il Papa sui migranti: «Si salvano le banche e non le persone»

Quella dei rifugiati e dei migranti «è una situazione obbrobriosa, vergogna». Il Papa è intervenuto a braccio al terzo incontro con i movimenti popolari. Ha parlato del Mediterraneo come «un cimitero» e sottolineato che i muri sono «macchiati di sangue innocente». La causa di queste migrazioni forzate è da addebitare ad un «sistema socio-economico ingiusto e di guerre che di sicuro non hanno cercato coloro che oggi soffrono il doloroso sradicamento dalla loro patria, ma piuttosto è da addebitare a molti di coloro che si rifiutano di riceverli». Bergoglio parla di «bancarotta dell'umanità» aggiungendo che si preferisce salvare un istituto di credito che non i migranti. «Quando una banca va in bancarotta subito spuntano somme scandalose per salvarla, ma quando avviene questa bancarotta dell'umanità non c'è nemmeno una millesima parte per salvare questi fratelli».

(Il Messaggero, 6 novembre 2016)


Il cattolicesimo papale con Bergoglio è entrato in uno stato di confusione che ormai appare irreversibile. Il Vaticano scricchiola. M.C.


Armi ad Hezbollah in Siria, premier Medvedev risponde a timori di Israele

MOSCA - Il capo del governo russo Dmitry Medvedev, commentando i timori di Israele sul rafforzamento di Hezbollah a seguito degli sviluppi in Siria, ha dichiarato che Damasco è responsabile dell'ordine nel Paese e la Russia parte dal presupposto che nessuno intraprenda azioni tese a fomentare le tensioni e il conflitto.
"In primo luogo l'ordine in Siria è una responsabilità delle autorità a Damasco e delle forze armate siriane, non dell'Aviazione russa. E' il primo punto. In secondo luogo mi baso sul fatto che i rapporti tra la Siria ed Israele siano una storia a parte con cui il nostro Paese non ha nulla a che fare. In terzo luogo parto dal presupposto che in questa situazione nessuno intraprenda azioni che possano provocare tensioni o conflitti. Penso che sia chiaro a tutti, in ogni caso occorre comprenderlo in Siria", ha detto Medvedev in un'intervista con la tv israeliana, commentando la tesi secondo cui la presenza delle forze aeree russe in Siria può limitare le possibilità di Israele di difendersi nel caso in cui armi moderne finiscano nelle mani di "Hezbollah".

(ParsToday, 5 novembre 2016)


Anniversario della deportazione degli ebrei a Siena il 6 novembre 1943

Domenica il ricordo alla Sinagoga

di David Busato

SIENA - 73 anni fa, all'alba del 6 novembre 1943, in luoghi diversi di Siena, 14 ebrei furono prelevati dalle loro case, arrestati, deportati e successivamente assassinati ad Auschwitz. Dal 1948, una lapide ricorda i loro nomi sul muro esterno della Sinagoga, in Vicolo delle Scotte, 14.
   Quanti di noi, giovani o meno giovani, che attraversano le strade della città, sanno che in Pian dei Mantellini 10, furono prelevate dalla loro casa le sorelle Graziella e Marcella Nissim di 14 e 20 anni, assieme alla madre Gina Sadun Nissim? Che il signor Ubaldo Belgrado lasciò l'appartamento dove viveva con moglie e due figlie in Via Stalloreggi 20, e stessa sorte toccò all'anziana Ernesta Sadun Brandes, abitante anch'essa al numero 38 di Via Stalloreggi? Uscendo dalle mura della città, poco distante da Porta Camollia, i coniugi Gino Sadun e Adele Ayò , chiusero per sempre la porta della loro casa in Viale Cavour 54, e presso la Villa Il Branchino, in strada dei Cappuccini, venti minuti di tempo furono dati ai cinque membri della famiglia Valech, per uscire di casa e salire sulla camionetta che li avrebbe condotti in caserma.
   Dal 9 gennaio 2015 in via Fiorentina 87, due prime pietre d'inciampo sono state collocate a Siena in ricordo di due deportati. Gli abitanti che abitano in prossimità del civico 87 o chiunque percorra a piedi quel tratto di strada, &inciampano& con lo sguardo, nelle due piccole targhe d'ottone a memoria del rabbino Giacomo Augusto Hasdà di Pisa e sua moglie Ermelinda Bella Segre, che rifugiati a Siena, ospiti del genero Mario Castelnuovo, furono arrestati e deportati assieme agli altri ebrei, nella stessa giornata del 6 novembre 1943.
   Le pietre d'inciampo( ted. Stolpersteine) ideate dall'artista tedesco Gunter Demnig, sono piccole targhe di ottone incastonate nel selciato stradale delle città, volte a creare un memoriale diffuso e partecipato, dedicato a tutti i deportati del nazifascismo. L'artista realizza e cura personalmente l'installazione delle pietre. Sul lato superiore di ogni sampietrino è applicata una targa in ottone, dove vengono incisi il nome e l'anno di nascita del deportato, la data di arresto, la data e il luogo di deportazione e di morte.
   Le pietre sono un grande mosaico della memoria europea le cui tessere sono le decine di migliaia di sampietrini, collocati davanti alle abitazioni dei deportati, per restituire loro dignità di persone e un luogo dove ricordarli. Ogni pietra è un segno, concreto e tangibile ma discreto e antimonumentale, a conferma che la memoria deve costituire parte integrante della nostra vita quotidiana. L'inciampo con le pietre non è fisico, ma visivo e mentale, e costringe chi passa a interrogarsi su quella diversità, e agli abitanti a ricordare quanto accaduto in quel luogo e a quella data, intrecciando continuamente il passato e il presente, la memoria e l'attualità. Le pietre d'inciampo, come memoria diffusa, sottolineano il carattere capillare della deportazione, e il legame di tutte le nostre città con i campi nazisti di concentramento e di sterminio. Inoltre, nell'assegnare nome e luogo ad ogni pietra, &riportano a casa& coloro che sono stati deportati. e li ricollocano in una realtà urbana condivisa.
   L'iniziativa per la messa in posa di una pietra d'inciampo può partire da chiunque - singoli cittadini, associazioni o enti - desideri ricordare una vittima. Non sono quindi le istituzioni o l'amministrazione cittadina a scegliere chi ricordare, ma i singoli committenti, mediante una richiesta diretta di cui si fanno portatori. Le pietre sono finanziate da sottoscrizioni private e il costo di ognuna, compresa l'installazione, si aggira sui 120 euro.
   I primi Stolpersteine sono stati installati a Colonia nel 1995; da allora questa mappa della memoria europea si è estesa sino a includere oltre 50.000 pietre. In Italia l'iniziativa è stata introdotta nel 2010 a Roma ed estesa negli anni successivi in altre città italiane fra cui Viterbo, Torino, Reggio Emilia, Meina, Padova, Venezia, Livorno, Prato, Ravenna, Brescia, Genova, L'Aquila, Bolzano, Ostuni, Chieti, Casale Monferrato, Teramo e Siena.
   Martedì 8 novembre, nella sede del Senato a Roma, promosso dalla senatrice Silvana Amati in collaborazione con l'associazione &Arte in memoria, si terrà un incontro dal titolo 2010 -2016: 500 pietre d'inciampo nella mappa della memoria europea. Un' occasione per confrontare le esperienze di questi anni e dare nuovo impulso al progetto.
   Da Siena, alcuni di noi parteciperanno all'incontro di Roma, con l'obiettivo di portare avanti il progetto pietre d'inciampo nella nostra città, coinvolgendo singoli cittadini, associazioni, scuole.
   Domenica 6 novembre alle ore 15.30 la Sinagoga di Siena, regolarmente aperta alle visite guidate, propone un percorso di approfondimento dedicato alle pietre d'inciampo dal titolo "Una pietra, un nome, una persona. La memoria diffusa delle "pietre d'inciampo" in Europa. Il pubblico è invitato a partecipare.
  • Anna Di Castro, Comunità Ebraica di Firenze - Sezione di Siena
  • Laura Mattei, Istituto Storico della Resistenza Senese e dell' Età Contemporanea e Stanze della Memoria di Siena
  • Mauro Galeazzi, delegato toscano, Associazione "Arte in Memoria"
(I -Siena, 5 novembre 2016)


Dal 17 al 20 novembre a Milano. Bookcity, forte offerta culturale

MILANO - La Gerusalemme promessa, la Gerusalemme negata e la Gerusalemme riconquistata vista da vicino con gli occhi dei grandi scrittori italiani che hanno voluto percorrerne le strade.
Il Senso della Storia e la sua necessità, il nostro dovere di insegnarla, di impararla, di interpretarla, di farne un caposaldo della Memoria e della libertà.
La minaccia della demenza digitale e del complottismo dilagante, la necessità di combattere la subcultura e le aziende, i movimenti che cinicamente speculano sull'ingenuità della gente.
La redazione del giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche sarà protagonista nel quadro del grande festival culturale milanese Bookcity 2016, che si terrà dal 17 al 20 novembre prossimi.
Tre gli appuntamenti organizzati dai giornalisti dell'Unione delle Comunità Ebraiche nell'ambito di un programma ricchissimo di incontri che coinvolge editori grandi e piccoli, librai, bibliotecari, autori, agenti letterari, traduttori, grafici, illustratori, blogger, lettori, scuole di scrittura, associazioni e gruppi di lettura, il mondo delle scuole e delle università.
  La domenica 20 novembre al mattino, al Teatro Franco Parenti, si parlerà de La Rete, l'odio online e il ritorno alla giungla. Assieme alla giornalista della redazione Ada Treves saranno il filosofo Giulio Giorello, il giurista Carlo Melzi D'Eril, il sociologo Giovanni Ziccardi.
Smartphone, videogiochi e social network creano dipendenza, modificano le capacità intellettive, fanno emergere patologie sociali e invece di collegarci al resto del mondo rischiano di inibire le nostre capacità di approfondire, di socializzare, di intrecciare relazioni, di amare. Ma all'interno del questo dialogo globale, dilagano le espressioni di odio razziale e politico, le offese, i comportamenti ossessivi, le molestie, il bullismo e altre forme di violenza. Le culture di minoranza sono le prime vittime dell'odio online e dell'uso distorto delle tecnologie. Ma talvolta gravi distorsioni emergono anche nelle dinamiche interne ai gruppi minoritari.
  A metà giornata, nella prestigiosa sala delle Colonne del Circolo Filologico di Milano, sarà la volta di una riflessione sul senso e sull'uso della Storia che vedrà, con il giornalista Guido Vitale, a confronto lo storico sociale delle idee David Bidussa e il nuovo direttore della fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea Gadi Luzzatto Voghera.
Quando finisce questa Storia? Anima, corpo e destino nel pensiero di Serge Gruzinski e Yuval Harari il titolo dell'incontro, che prenderà le mosse dal pensiero dello storico francese autore di "Abbiamo ancora bisogno della Storia? Il senso del passato nel mondo globalizzato" e del filosofo israeliano autore di "Da animali a dèi: Breve storia dell'umanità".
  Nel pomeriggio, infine, in collaborazione con il Touring Club Italiano, la redazione darà voce allo storico della letteratura Alberto Cavaglion, autore di "Verso la terra promessa. Scrittori italiani a Gerusalemme da Matilde Serao a Pier Paolo Pasolini", per un confronto che vedrà fra i protagonisti lo studioso Bruno Pischedda e il giornalista Paolo Salom (Corriere della Sera).
Il programma prevede più di mille eventi, incontri, presentazioni, dialoghi, letture ad alta voce, mostre, spettacoli, seminari sulle nuove pratiche di lettura, a partire da libri antichi, nuovi e nuovissimi, dalle raccolte di biblioteche storiche pubbliche e private, dalle pratiche della lettura come evento individuale, ma anche collettivo. Una promozione capillare della lettura e della scrittura attraverso diverse e originali modalità di avvicinamento e coinvolgimento di lettori di ogni età.
  Nell'ambito della ricchissima offerta culturale della manifestazione ancora un incontro di presentazione dell'edizione italiana del Talmud, che si terrà, sempre domenica 20 novembre, nella sinagoga milanese di via Guastalla, e cui parteciperanno i rabbini Alfonso Arbib e Roberto Della Rocca assieme a Massimo Giuliani, Alberto Melloni, Clelia Piperno, Davide Romano e Shulim Vogelman.
  La quinta edizione di BookCity sarà inaugurata giovedì 17 novembre al Teatro dal Verme da una delle voci più autorevoli della narrativa turca: Elif Shafak, che rivendica nei suoi romanzi l'indipendenza del racconto dalla politica e dalla realtà, e interviene sui principali giornali di tutto il mondo sulla situazione sociale e politica in Turchia. Lo scrittore riceverà il Sigillo della Città di Milano dalle mani del Sindaco Giuseppe Sala.

(Pagine Ebraiche, novembre 2016)


Cattolici e musulmani con gli ebrei, in migliaia per ricordare la 'retata'

 
GENOVA - Uno striscione bianco, con scritto "la pace è il futuro", portato dai bambini delle scuole della pace che la Comunità di Sant'Egidio ha realizzato in molti quartieri cittadini, le autorità cittadine, il prefetto e i rappresentanti di Regione, Comune e Città metropolitana, ma sopratutto tanti giovani e giovanissimi, molti anche i migranti: si sono tutti stretti attorno alla comunità ebraica di Genova per ricordare la deportazione degli ebrei genovesi.
Una fiaccolata e una marcia silenziosa che, da Galleria Mazzini, ha raggiunto la sinagoga di passo Bertora. "E' un momento in cui vogliamo ricordare quegli eventi del 3 novembre 1943 - sottolinea Sergio Casali, della Comunità di Sant'Egidio - quando gli ebrei genovesi sono stati deportati con un agguato nella sinagoga della nostra città, vogliamo ricordare quelle 240 persone di cui tornarono solamente in 13".
Una deportazione che fu resa possibile da un clima di profonda indifferenza, la stessa che si vede oggi, in alcune situazioni e che deve essere contrastata proprio attraverso la memoria. "La memoria non è solamente un monumento polveroso ma la costruzione di una città diversa - prosegue Casali - in questo senso la presenza di tanti giovani e tanti migranti, come quella di una famiglia siriana che è venuta a Genova grazie ai corridoi umanitari della comunità di Sant'Egidio in fuga dalla guerra vogliono affermare che sono tanti gli scenari oggi di fronte ai quali ancora noi ci chiediamo come contrastare l'indifferenza che rischia di renderci tutti più disumani".
Un'occasione per ripensare al proprio passato, ha ricordato il rabbino capo di Genova, Giuseppe Momigliano, e, da questo, costruire il futuro. "Attraverso la giornata del 3 novembre che ricorda l'inizio della deportazione degli ebrei genovesi - spiega Momigliano - si sviluppa una riflessione sul ricordo della tragedia della Shoah. Una riflessione che diventa strumento di richiamo alla coscienza della popolazione affinché il ricordo del passato aiuti a trovare delle risposte concrete positive e costruttive per il futuro".

(Frammenti vocali in MO:Israele e Palestina, 5 novembre 2016)


Queste commemorazioni, in nome di una sbandierata “pace”, delle persecuzioni degli ebrei nel passato hanno quasi sempre come ricaduta che oggi secondo molti chi disturba la “pace” sarebbe proprio Israele. Non è il caso quindi di rallegrarsi troppo. M.C.


Cosa pensate di Israele? È una grande nazione tecnologica e conosciuta per le sue ricerche

Tuttavia molti lo criticano. Cosa ne pensate?

MIGLIORE RISPOSTA
Gli ebrei hanno moltissimi soldi, per cui pagano tecnici e scienziati non solo per la ricerca, ma anche per insegnare ai loro giovani. Questo è importantissimo.
Con il pretesto che devono difendersi, principalmente sviluppano tecnologie militari.
La realtà è che le armi rappresentano un settore che non conosce crisi e rende immense quantità di denaro. Pensiamo solo, per piccole armi individuali, quanto denaro ha portato, negli anni, la mitraglietta Uzi o la pistola Desert Eagle.
Sono stati i primi a diffondere sistemi di criptatura per cellulari.
Oggi sviluppano sistemi di antifurti domestici o industriali molto validi.
Le tre principali case di antifurti, in Italia, montano componenti prodotti in Israele.
A casa mia, ho un impianto piuttosto sofisticato, l'ho montato io, acquistando tutti i componenti in Israele, perchè è moderno, affidabile, relativamente facile da installare e gestire.
Israele non spende un centesimo per accogliere immigrati, non invia militari in giro per il mondo a portare avanti costosissime missioni inutili, non fa parte di una UE che la massacra di multe e sanzioni; non ha partigiani che governano da 70 anni, in accordo con la mafia...
E' chiaro che questo pone Israele in enorme vantaggio, rispetto all'Italia.
Gli ebrei amano la loro terra e la difendono, non mettono traditori e drogati a starnazzare "Bella ciao", in piazza.
In Israele i traditori vengono giustiziati, non messi in Parlamento.

(Yahoo! Answers, 5 novembre 2016)


Quei camici neri

Il dottor Schweitzer e poi l'eutanasia: la caduta della grande scienza tedesca. Settant'anni fa a Norimberga il processo ai medici nazisti.

di Giulio Meotti

Georg Schaltenbrand non conduceva esperimenti all'o- scuro dei lager, ma alla luce del sole all'Università di Wurzburg E' consolante presentarli come "i medici delle SS". Ma non erano tutti burattini di Hitler, avevano scelto di partecipare "Per me era impor- tante che gli espe- rimenti avessero valore scientifico" , disse Karl Gebhardt, ordinario all'Univer- sità di Berlino "Le vittime del tifo di Buchenwald non hanno sofferto invano" , si difese Rose, pioniere nella cura delle malattie tropicali

Il 21 novembre 1946, i medici nazisti presero posto sul banco degli imputati nell'immensa aula del tribunale di Norimberga. Una folla rumorosa e numerosa si accalcava nella parte riservata al pubblico. C'erano molti grandi nomi della medicina europea ad assistere a un evento senza precedenti. Quando fu pronunciato il suo nome, Karl Brandt, il medico personale di Adolf Hitler che aveva presidiato all'eutanasia dei bambini e dei disabili, avvicinatosi alla sbarra disse, con voce calma e forte: "Mi dichiaro non colpevole". Quel medico idealista dell'Alsazia aveva sognato di partire per l'Africa equatoriale francese che adesso è chiamata Gabon. Voleva servire i malati e i poveri in una striscia di terra seminata a caffè, aranci e limoni, stretta tra una foresta densa di vapori e un fiume lentissimo e giallastro. Brandt sognava di lavorare con il dottor Albert Schweitzer. Uno che avrebbe dedicato la sua vita alla cura di "tutto ciò che si muove". II "grande dottore bianco", come lo chiamavano gli africani, un uomo dalle mani severe e giuste che a Lambaréné, su un terreno messogli a disposizione dalla Società missionaria di Parigi, accolse sofferenti di lebbra, di dissenteria e di molte malattie tropicali. Contro la cultura dell'eutanasia, Schweitzer affermava sempre: "Rimanere in vita è un atto etico". Diceva che la natura non conosce rispetto per la vita, ma l'uomo sì. L'uomo, diceva, "è morale soltanto quando considera sacra la vita in quanto tale". Con queste parole Schweitzer spiegava il senso del suo impegno a favore dei malati. Era questo il significato più miracoloso del suo "village de la lumière", il villaggio della luce.
  Brandt fece sua una concezione opposta della medicina. La maggior parte dei medici alla sbarra a N orimberga aveva tutte le caratteristiche di rispettabilità civica e scientifica. Molti non erano burattini nazisti, ma avevano fatto le loro carriere come medici molto prima che Hitler salisse al potere. E avevano fornito contributi preziosi alla ricerca scientifica.
  Nel 1967 Feltrinelli traduce e pubblica in Italia il libro di Alexander Mitscherlich e Fred Mielke, "Medicina disumana". Sono le cronache e i documenti del processo di Norimberga. La sua prima edizione fu riservata all'Ordine dei medici della Germania occidentale e per incanto spari dalla circolazione, tanto era l'imbarazzo. "Gli annali della caduta della medicina tedesca sono pieni di nomi di scienziati di fama internazionale come i professori Planck, Rudin, e Hallervorden e medici come Georg Schaltenbrand, che ha condotto gli esperimenti neuro-immunologici non in un campo di concentramento, ma alla Julius-Maximilians-Universitat di Wurzburg'', ha scritto Hartmut Hanauske-Abel, studioso di storia della medicina nazista.
  Uno dopo l'altro, i 23 medici si dichiararono tutti "non colpevoli". Il dottor Siegfried Handloser, viso scarno e solcato dalle rughe, si sarebbe difeso con energia. Fino al 1928 aveva diretto l'ospedale di Ulm. Nel 1941 divenne ispettore dei servizi di Sanità dell'esercito. Fece pressioni perché si sperimentasse un vaccino contro il tifo, che stava decimando le truppe tedesche. Le prove contro di lui erano schiaccianti e la sua collusione con la scienza dei campi di concentramento sotto gli occhi di tutti. Eppure, gli fu concesso l'ergastolo, anziché la pena di morte.
  A Handloser fece seguito sul banco degli imputati Paul Rostock, il più ingenuo e il più onesto degli accusati, amico di Brandt e suo maestro e mentore. Si era iscritto alla facoltà di Jena, dove aveva consacrato tutto se stesso alla professione di chirurgo. Apolitico, nel 1927 diventò primario del reparto chirurgico dell'ospedale di Bochum, fino ad approdare alla docenza di Chirurgia all'Università di Berlino, dove insegnò cinque anni. Non fu mai un acceso sostenitore né un acerrimo oppositore del regime nazista, quanto un medico patriottico. Su richiesta di Brandt, Rostock entrò a far parte del Consiglio della ricerca del Reich. A Norimberga, il dottor Rostock avrebbe motivato così la decisione di partecipare agli esperimenti medici: "Volevo cercare di migliorare le nostre conoscenze per poi utilizzare tali conquiste scientifiche in periodo di pace. Penso che le mie iniziative non siano state del tutto inutili, perché durante tutto il periodo di guerra le ricerche scientifiche non furono abbandonate. Neppure in sogno avrei potuto immaginare che un giorno, proprio per quelle mie iniziative, sarei stato esposto ad accuse così mostruose".
  Kurt Blome era un medico e un nazionalista. Nel 1938 fondò un'accademia di studi medici a Budapest. Alla sua inaugurazione parteciparono medici e scienziati provenienti da molte nazioni. Nessuno sollevò problemi sul percorso intrapreso dalla medicina sotto Hitler. Nel 1943, Blome divenne plenipotenziario al Consiglio della ricerca del Reich, nel settore delle ricerche sul cancro e la guerra biologica. Nel frattempo venne nominato professore alla facoltà di Medicina dell'Università di Berlino. Ossuto nei tratti, teso e nervoso, Blome si difese con orgoglio a Norimberga, rivendicando la bontà delle sue azioni.
  Un altro degli imputati, il dottor Karl Gebhardt doveva la sua ascesa ai vertici della medicina nazista al fatto che era cresciuto assieme a Heinrich Himmler. Nel 1937, a soli quarant'anni, era già ordinario all'Università di Berlino. I suoi esperimenti erano noti anche all'estero, tanto che il governo polacco in esilio lo condannò a morte. Fu poi la volta del dottor Gerhard Rose, corpulento, capelli bianchi, barba rasata. Il più illustre degli scienziati, un luminare delle malattie tropicali.
  Gli accusati continuarono a succedersi al banco degli imputati. Rudolf Brandt, grassoccio, capelli rasati, miope, era il segretario di Himmler. Wolfram Sievers, la barba folta, lo sguardo penetrante, sembrava Rasputin. Hermann Becker-Freyseng si presentava come un ometto con le orecchie a sventola. Helmut Poppendick aveva il portamento dimesso, primario dell'ospedale di Virchow, specializzato in malattie ereditarie, e poi incaricato dalle SS al Servizio della razza. Karl Genzken, robusto, dai trati duri e decisi, era capo del Servizio di sanità delle SS. Joachim Mrugowsky, dallo sguardo altero, era capo dell'Istituto di igiene delle SS, incaricato fra le altre cose di provvedere al gas Zyklon B di Auschwitz.
  Herta Obersheuser era l'unica donna fra gli imputati, esperta di malattie della pelle, cattolica. Waldemar Hoven, "il bel Waldemar", mingherlino, responsabile medico nel campo di Buchenwald, fu uno dei medici più direttamente compromessi con gli esperimenti nei campi e con iniezioni selvaggi e di fenolo. Wilhelm Beiglbock era lo specialista degli esperimenti sulla sopravvivenza in mare. Fritz Fischer, brandeburghese, sperimentò numerosi farmaci su esseri umani, e nel febbraio 1943 a Berlino tenne una conferenza sulle sue scoperte. Sigmund Ruff, magro, elegante, diede subito il suo appoggio agli esperimenti, e li condusse lui stesso a Dachau. Hans Romberg, come Ruff, si interessava di medicina dell'aviazione e ne divenne il collaboratore. August Weltz, massiccio e sportivo, era responsabile dell'Istituto per la medicina aeronautica a Monaco. Di Konrad Schafer e Adolf Pokorny, il classico medico di Berlino colto, non si riuscì a provare la colpevolezza.
  Il generale medico Oskar Schroder, come Handloser, giustificò la sua partecipazione agli esperimenti sugli esseri umani. Viktor Brack, padre di sei figli, non era medico, ma il più alto responsabile politico e civile dell'eutanasia.
  Gli investigatori degli Alleati percorsero tutta la Germania per trovare prove e documenti che incriminassero gli imputati. Ma i nazisti avevano accuratamente distrutto le prove. Le installazioni sperimentali erano enclave all'interno dei campi di concentramento. E la leadership nazista era stata svelta anche nel liquidare i partecipanti alla ricerca medica. Molti medici scelsero il suicidio. Il processo fu presentato come quello ai "medici delle SS". Nulla di più falso, seppure molto consolante. Tre degli imputati erano amministratori, solo sette dei medici accusati erano ufficiali delle SS, e quattro non erano neppure iscritti al Partito nazista. Essi differivano non solo politicamente, ma anche in termini di esperienza medica e di provenienza sociale. Diciassette erano di fede protestante, sei i cattolici. Soltanto tredici dei ventitré accusati avevano abiurato la religione cristiana, in ottemperanza all'ideologia nazionalsocialista. Dei venti medici accusati, quattro erano chirurghi (Karl Brandt, Fischer, Gebhardt e Rostock), tre dermatologi (Blome, Pokorny, Oberheuser), quattro batteriologi CHandloser, Mrugowsky, Rose e Schroder), uno internista (Beiglbòck), uno radiologo (Weltz) e due medici generici (Genzken e Hoven).
  Nessuno dei medici processati e impiccati a Norimberga provò rimorso per quello che aveva fatto. Rivendicarono invece la bontà e la legittimità delle loro azioni. Karl Brandt: "Sono un medico e in coscienza c'è la responsabilità verso gli esseri umani e la vita ( ...) Pensate che sia stato un piacere per me ricevere l'ordine di consentire l'eutanasia? Mi sono preoccupato di ogni bambino malato come se fosse il mio". Handloser usò parole latine: "Scìentiae, Humanitati, Patriae". Per la scienza, l'umanità e la patria. Rostock: "Nella mia vita non ho mai lavorato per uno stato o un altro, né per un partito politico in Germania, ma solo per la scienza medica e i miei pazienti". Schroder: "I miei occhi hanno sempre guardato a un solo scopo: aiutare e curare". Gebhardt: "Ho sempre cercato di vedere ogni malattia come una condizione umana di sofferenza. Per me era importante che gli esperimenti avessero valore scientifico pratico per testare l'immunizzazione e proteggere migliaia di feriti e malati". Mrugowsky: "La mia vita, la mia azione e i miei scopi erano puliti". Poppendick: "Le moderne conquiste della scienza non possono essere raggiunte senza sacrifici. Sono convinto che gli esperimenti sugli esseri umani furono sforzi coscienti di scienziati seri per il bene dell'umanità". Beigbloeck: "Gli esperimenti dovevano salvare vite umane".
  Karl Brandt, Brack, Gebhard, Mrugowsky, Hoven, Sievers e Rudolf Brandt furono condannati a morte. Fischer, che aveva attuato gli esperimenti di Ravensbruck, Genzen, Handloser, Rose e Schroder, furono condannati all'ergastolo (amnistiati poco dopo). BeckerFreyseng e Oberheuser, anche loro medici a Ravensbruck, furono condannati a vent'anni. Beiglbock e Poppendick a dieci anni. Blome, Pokorny, Romberg, Rostock, Schafer e Weltz uscirono dal tribunale da uomini liberi.
  Quegli imputati erano ai vertici della medicina tedesca. E il paradosso è che la ricerca medica nazista toccò il suo culmine nel 1944, quando le sorti della Germania di Hitler erano segnate. Incentivi alla sperimentazione umana vennero garantiti anche a guerra persa. Molti dei medici processati a Norimberga provenivano dalla facoltà di Medicina di Berlino, che penò molto a liberarsi della fama di scuola dell'assassinio. L'Università di Berlino era implicata nel processo agli esperimenti di Ravensbruck. Quando venne pronunciata la condanna a morte per Karl Brandt, numerose personalità scientifiche insorsero a favore del medico di Hitler: i chirurghi Domrich e Sauerbruch, il patologo Robert Roesle, il farmacologo Heubner, il ginecologo Stoeckel e molti altri. Trovarono oltraggioso che un medico idealista e coscienzioso come Brandt potesse essere mandato al patibolo. C'era chi, come il dottor Joachim Mrugowsky, era stato l'allievo prediletto di Emil Abderhalden, il pioniere svizzero della biochimica che aveva studiato l'isolamento delle proteine durante la gravidanza. Dopo aver distribuito il gas Zyklon B ad Auschwitz in quanto responsabile dell'Istituto di igiene razziale, il dottor Mrugowsky si chiudeva nella sua biblioteca, per immergersi nei testi di Alexander von Humboldt e di Jakob Bohme. N ella mente di uno dei medici impiccati a Norimberga, il funzionamento delle camere a gas non era in disaccordo con il "Faust". Tutto in nome del motto di Goethe: "Sich überwinden". Superarsi.
  Tutti quei medici pensavano di fare del "bene". Lo spiegò così a Norimberga il dottor Gerhard Rose, il massimo esperto tedesco di malattie tropicali che aveva sperimentato vaccini su esseri umani: "Le vittime del tifo di Buchenwald non hanno sofferto invano. Noi oggi possiamo contare le persone che sono state sacrificate, ma non possiamo sapere quanti individui devono la vita a questi esperimenti". Come hanno potuto dei luminari della scienza e della medicina, titolari di cattedre, autori di ricerche straordinarie, tradire il giuramento di Ippocrate e distruggere così tante vite umane per sradicare la malattia e la sofferenza, per il "bene" dell'umanità e per il bene della medicina? Condannare non è sufficiente. Quei medici potevano rifiutarsi come altri fecero, non avevano ricevuto ordini, si erano offerti per compiere le selezioni, per scegliere il metodo di lavoro e per partecipare alle ricerche scientifiche. Più che mostruoso, non suona familiare?

(Il Foglio, 5 novembre 2016)


Razzismo e Olocausto negato. Zuckerberg nei guai in Germania

Inchiesta della procura di Monaco di Baviera. Contestati al social network 438 episodi

Dopo l'Italia, la Germania. La procura di Monaco di Baviera ha aperto un'inchiesta contro H fondatore e Ceo di Facebook, Mark Zuckerberg, con l'accusa di complicità nell'incitazione all'odio razziale e negazione dell'Olocausto. Coinvolti altri nove dipendenti del social network, tra cui la direttrice operativa Sheryl Sandberg, H responsabile dei rapporti con i governi europei Richard Allan e la sua omologa di Berlino Eva-Maria Kirschsieper.
   L'indagine è partita dalla denuncia presentata lo scorso settembre dall'avvocato Chanjo Jun, di Wurzburg, specializzato in diritto informatico e in particolare in questioni che riguardano l'hate speech. Jun ricorda che Facebook è obbligata dalla legge tedesca a rimuovere immediatamente dalle sue pagine contenuti illegali o che incitano all'odio e riporta 438 episodi in cui questo non è avvenuto nemmeno dopo ripetute segnalazioni.
   Eppure le regole sono chiare, e indicate dallo stesso social network in una pagina apposita: «Facebook rimuove i contenuti che incitano all'odio, compresi quelli che attaccano direttamente una persona o un gruppo di persone in base a: razza, etnia, nazionalità di origine, affiliazione religiosa, orientamento sessuale, sesso, disabilità o malattia. Le organizzazioni e le persone impegnate a promuovere l'odio contro questi gruppi protetti non possono avere una presenza su Facebook». Evidentemente non basta H controllo degli utenti, che segnalano i post offensivi o non consentiti, e non bastano le 200 persone che lavorano a Berlino per filtrare i messaggi che incitano all'odio razziale.
   L'azienda in una nota dichiara le accuse «prive di valore» e sottolinea che «non vi è stata alcuna violazione della legge tedesca da parte di Facebook o dei suoi dipendenti. Non c'è posto per l'odio su Facebook. Lavoriamo a stretto contatto con i nostri partner per combattere l'hate speech e promuovere il counter speech».
   E in realtà, secondo i dati del ministero della Giustizia tedesco, H social network ha eliminato H 46% dei messaggi vietati, YouTube (controllata da Google) il 10%, Twitter solo 1'1%. YouTube ha appena rivisto le regole per commentare i video, rendendole più severe, e Facebook aggiorna di frequente gli standard della comunità, ma per Jun H punto è un altro: «II diritto tedesco vale anche per i giganti di internet, e ora per la prima volta si riconosce la volontà politica di procedere con delle sanzioni contro Facebook». In marzo, infatti, una denuncia analoga alla procura di Amburgo era rimasta senza conseguenze per mancanza di competenza territoriale e le indagini contro i manager tedeschi del social network erano state archiviate. «La questione aperta è se le leggi attuali siano sufficienti oppure devono essere riscritte per costringere Facebook a rispettare H diritto tedesco», osserva ancora Jun.
   E c'è già qualche precedente: in Brasile, ad esempio, dove H governo qualche mese fa ha arrestato e poi scarcerato Diego Dzodan, numero due del social network per l'America Latina, perché Whatsapp (controllata da Facebook) si è rifiutata di fornire i dati necessari a identificare un potenziale criminale.

(La Stampa, 5 novembre 2016)


Gusto Kosher 2016, la cucina ebraica incontra l'arte a Roma

A Roma si celebrano le tradizioni ebraiche fra ricette antiche che diventano street food d'autore, cucina vegana da Israele, degustazioni di vini kosher italiani e israeliani… e poi tavole rotonde, percorsi d'arte, mostre, un'area bambini con laboratori e uno spazio dedicato alla lettura dove il cibo diventa fil rouge di un viaggio alla scoperta della cultura ebraica.
"Le festività ebraiche, che molto si celebrano in tavola," spiega Giovanni Terracina, fondatore di Lebonton Catering con il fratello Daniele Terracina e l'amico Dario Bascetta Greco "spesso impongono di mangiare alimenti zuccherosi (come a Rosh HaShanà, il Capodanno Ebraico, con l'augurio di un anno dolce) o amari (come le erbe amare della Pasqua ebraica, in ricordo delle sofferenze della schiavitù dell'Egitto). E così i sapori diventano l'occasione per raccontare la storia e l'identità di un popolo. Come sempre partendo della cucina, parleremo dell'equilibrio degli opposti che tanto caratterizza l'ebraismo: in bilico tra patria ed esilio, lontananza e ritorno, individuo e collettività."...

(Food Confidential, 5 novembre 2016)


Il mondo capovolto di Amnesty International Amnesy international

Così Amnesty ha spento la luce dei diritti umani in favore di un fosco pregiudizio anti occidentale.

di Giulio Meotti

ROMA - Per chi non lo sapesse, gli "hot-spot", i centri per i migranti che arrivano in Italia, sono come Garage Olimpo, il più famosa delle carceri clandestine di Buenos Aires, dove la dittatura militare torturava i desaparecidos. Almeno si apprende questo a leggere il rapporto di Amnesty International, che accusa l'Italia niente meno che di "tortura" dei migranti. Nel report compare una sequenza di testimonianze, mai comprovate, che descrivono metodi degni della giunta Videla. Un "testimone", che si qualifica con il nome di "Adam", parla di "una specie di pinza con tre estremità" con cui i poliziotti italiani gli hanno afferrato i testicoli. Prove? Referti medici che attestano le violenze? La versione dei poliziotti italiani? Sembra che non servano nel magnifico mondo di Amnesty International, dove una democrazia occidentale può essere tranquillamente accusata di tortura". Già a febbraio Antonio Marchesi, presidente della sezione italiana di Amnesty, aveva detto: "Chi, trovandosi in questo momento in Italia, abbia commesso atti di tortura può, nella grande maggioranza dei casi, dormire sonni tranquilli". Un mese fa, Amnesty aveva diffuso un rapporto simile sui centri per migranti in Australia, un'altra democrazia tacciata di "tortura" dalla ong che ha vinto il Premio Nobel.
   Il mondo ha un debito di riconoscenza verso Amnesty, ma questa sembra aver perso da tempo il lume di quella candela, una piccola candela, accesa ma prigioniera tra le spire di un filo spinato e che è il suo simbolo. L'allora segretario generale di Amnesty, Irene Khan, ebbe a definire il carcere americano di Guantanamo "il Gulag del nostro tempo", paragonando i lager sovietici dove sono morti tre milioni fra sacerdoti, dissidenti, kulaki e gente comune, a una base militare americana dove non è morto nessuno e che forse ha evitato che centinaia di civili saltassero per aria. Da tempo, Amnesty sembra aver spento la luce dei diritti umani in favore di un fosco pregiudizio antioccidentale. Per questo il settimanale inglese Economist ha accusato Amnesty di "riservare più pagine agli abusi dei diritti umani in Gran Bretagna e Stati Uniti di quanti non ne dedichi a Bielorussia e Arabia Saudita". E' questa l'equivalenza morale che ha portato Amnesty a impiegare per gli hotspot italiani lo stesso linguaggio che usa per descrivere le carceri di Bashar el Assad. L'ambasciatrice americana all'Onu Jeane Kirkpatrick ebbe a definire "ipocrita" Amnesty per i suoi silenzi su tragedie politiche del Novecento che non hanno scaldato i cuori umanitaristi, come quelle in Angola e Nicaragua e come il genocidio cambogiano di Pol Pot. Quando in Etiopia e in Sudan migliaia di persone morivano per fame e tortura (quella vera), Amnesty aveva come principale obiettivo l'abolizione della pena di morte negli Stati Uniti. C'è sempre tortura e tortura. E che ad Amnesty ci sia tortura e tortura se ne era accorta anche una dirigente di spicco di quella ong, l'algerina Karima Bennoune, autrice di "Your fatwa does not apply here". "Durante i miei anni ad Amnesty ho condiviso le preoccupazioni sulla tortura in Algeria", ha scritto Bennoune nel libro. "Ma non potevo comprendere la risposta dell'organizzazione alla violenza dei gruppi fondamentalisti. Amnesty era cieca a quello che i fondamentalisti facevano ai diritti umani. Amnesty descrisse l'atmosfera in Algeria come uno stato di confusione su chi commette i crimini'. Questo ha terribilmente sminuito i tentativi delle vittime di veder riconosciuta la propria storia e i colpevoli giudicati". Se Guantanamo è il Gulag, come non chiedere l'arresto del suo comandante in capo? E' quello che Amnesty ha fatto due anni fa, rivolgendo al Canada la richiesta di arrestare George W. Bush. "Il Canada è obbligato ad arrestare e perseguire Bush per la sua responsabilità in crimini di diritto internazionale tra cui la tortura", ha detto Susan Lee, direttore di Amnesty Inter-national America. La ong ha accusato anche Israele di "crimini di guerra", chiedendo l'apertura di una inchiesta alla Corte dell'Aia. Ebrei torturatori, un grande classico che Amnesty ripete dal "massacro di Jenin" (che poi massacro non fu). E visto che Amnesty travisa il concetto di "tortura", capita anche che il segretario generale di Amnesty, Claudio Cordone, dica che il "jihad difensivo" non è "antitetico" alla battaglia per i diritti umani. Lo disse in risposta a una petizione sul rapporto di Amnesty con Cageprisoners, la ong fondata dal fondamentalista islamico Moazzam Begg e che si batte per il rilascio di conclamati jihadisti.
   Visti i precedenti, è quanto meno lecito dubitare che la polizia e le autorità italiane siano in combutta per "torturare" i migranti che hanno così generosamente salvato in mare da oltre due anni. Benvenuti nel meraviglioso mondo di Amnesy International.
   
(Il Foglio, 5 novembre 2016)


Milano - «Paura dell'islam, ci chiudono le chiese»

La denuncia degli evangelici. Il pastore Tocco: «Chiesto incontro al prefetto».

di Marta Bravi

Quante sono le Chiese evan- geliche nella nostra città per
un totale di 13mila fedeli
Le manifestazioni di interesse presentate dalla conferenza evangelica

La psicosi da moschea sta mietendo «vittime» tra le comunità religiose che nulla hanno a che fare con l'islam. Come le chiese evangeliche. Si contano almeno un' ottantina di locali, per 130 Chiese in città e un totale di 12mila fedeli. Si contano invece 80mila islamiei milanesi. «Per colpa del vuoto legislativo che si è creato con la Consulta che ha parzialmente bocciato la legge regionale soprannominata «antimoschee», continuano a farci chiudere le chiese - denuncia Roberto Tocco pastore della chiesa Semplicemente amore e presidente del Coen, la conferenza evangelica nazionale - l'ultimo caso risale a settembre. Prima che venga approvato il Piano per le attrezzature religiose passeranno due anni, ma esistono sul territorio realtà che operano da anni. Così con questo pallino della realtà musulmana continuano a chiudere luoghi di culto, e le vittime sacrificali siamo noi. Siamo preoccupati». In sostanza secondo la legge regionale il Comune deve elaborare il nuovo Piano delle attrezzature religiose, senza il quale non può essere creato nessun nuovo luogo di culto. Ma quelli che esistono già? Se non rispondono ai rigidi paletti urbanistici fissati dalla legge varata dalla Regione nel 2015 vengono chiusi. L'iter per l'approvazione del Piano per le attrezzature religiose - che altro non è che una modifica dell'attuale pgt - è molto lungo (il piano dovrà essere adottato dal consiglio comunale, discusso con il territorio, emendato in base alle osservazioni e riapprovato in aula). E nel frattempo? Per poter continuare a «sopravvivere» il presidente delle comunità evangeliche ha chiesto, con l'associazione islamica di Milano, ovvero la comunità di Cascina Gobba, un incontro al prefetto proprio ieri. Il problema della comunità evangelica - tenendo conto che ogni Chiesa è a se stante - è che mancano gli spazi: «130 chiese sono costrette a convivere in 80 locali - spiega ancora il pastore Tocco -. Le chiese non si occupano solo di culto, ma hanno anche un'intesa attività sociale per cui servono ulteriori spazi». Il Coen ha presentato 9 proposte e altre 4 almeno stanno ancora viaggiando per posta. La chiesa Semplicemente amore di via Fleming ha chiesto l'estensione del luogo di culto anche ai magazzini di pertinenza e un' area in via Novara per realizzare un antico sogno: aprire un centro di accoglienza per richiedenti asilo e tanti italiani, che vivono nel sotto bosco, e che non hanno più un tetto. A Lambrate si chiede l'ampliamento del centro attivo al primo piano di Wl immobile per attività di doposcuola, mentre in via San Marco, in pieno centro, servono gli spazi per aprire una scuola di italiano per stranieri. In piazzale Lotto in una palazzina di ex uffici la chiesa vorrebbe aprire un mercatino dell'usato per raccogliere risorse fondamentali per l'auto sostentamento.
   Ma fra le proposte arrivate c' è anche quella dei buddisti, una comunità molto importante e molto numerosa (si parla di decine di migliaia di persone solo a Milano). Il sogno, come spiega Stefano Bettera, il responsabile per la comunicazione dell'Unione interbuddista, è un centro condiviso dalle varie tradizioni e aperto a tutti i cittadini. «Un centro utile alla città». Il sogno sarebbe realizzarlo non nel centro di Milano, ma in una (ex) cascina da ristrutturare. Un luogo di culto e di cultura.

(il Giornale, 5 novembre 2016)


Tel Aviv: Iveco presenta nuove soluzioni nell'ambito dei carburanti sostenibili

La quarta edizione del Fuel Choices Summit, dedicato all'innovazione nell'ambito dei carburanti alternativi e della mobilità intelligente, ha costituito una piattaforma di confronto sugli approcci più all'avanguardia nel settore dei trasporti al fine di promuovere l'obiettivo di ridurre del 60%, in Israele, il consumo di petrolio entro il 2025. All'evento, svoltosi tra il 2 e 3 novembre presso l'Habima National Theater di Tel Aviv, hanno preso parte il primo ministro israeliano, circa un migliaio di imprenditori e 450 startup tra cui anche scienziati, relatori e aziende del settore automotive e dell'energia provenienti da oltre 30 paesi.
   Tra questi era presente anche Iveco che ha presentato i risultati della sua attività e le novità legate al Memorandum of Understanding (MoU) firmato a febbraio 2015 da FCA, Iveco, Magneti Marelli e la Israel Fuel Choices Initiative (programma nazionale per i carburanti alternativi nel settore dei trasporti) al fine di stabilire una collaborazione per sviluppare tecnologie basate sul gas naturale e i carburanti alternativi.
   Lo Stralis NP (Natural Power) è un camion alimentato a gas naturale compresso o liquefatto in grado di offrire un adeguato livello di potenza, comodità, tecnologia del cambio e autonomia (1500 km) per sostenere missioni sulle lunghe distanze. Il nuovo motore Cursor 9 Natural Power Euro VI offre la stessa potenza e coppia del suo equivalente diesel diventandone così un'alternativa concreta.
   "La tecnologia Natural Power di Iveco non teme il futuro, perché rappresenta una soluzione a tutti gli agenti inquinanti, sia locali che globali. - ha dichiarato Clément Chandon, Iveco Heavy Line Gas Business Development in EMEA - I livelli di CO2 sono estremamente ridotti con il gas naturale e prossimi allo zero con il biometano e le emissioni di NOx e PM sono ridotte al minimo, così come i livelli di rumorosità, garantiti in tutte le condizioni e fondamentali per le missioni urbane notturne".
   Con la creazione di motori a gas naturale (CNG e LNG) il produttore italiano testimonia il potenziale del metano come carburante per i veicoli commerciali e dedicati ai trasporti e servizi pubblici. In Israele, il primo risultato ottenuto grazie alla partnership con la Israel Fuel Choices Initiative risale allo scorso anno, si è tradotto con la consegna a un'azienda di logistica israeliana del primo veicolo alimentato a gas naturale.

(Trasporti Italia, 4 novembre 2016)


Roma - In concerto il pianista israeliano Rabinovich

 
Roman Rabinovich

ROMA - Il giovane pianista israeliano Roman Rabinovich, vincitore del Primo Premio al prestigioso Concorso Pianistico Internazionale Artur Rubinstein, sarà ospite dell'Associazione Culturale "Annarosa Taddei" per un concerto che si terrà a Roma presso l'Aula Magna della Scuola di Lettere, Filosofia e Lingue dell'Università Roma Tre mercoledì 9 novembre alle 20:30.
   Rabinovich suonerà il concerto in Re Minore K.466 di W.A. Mozart accompagnato dalla Romatre Orchestra diretta da Tonino Battista. Il concerto vedrà anche la partecipazione della violinista Misia Iannoni Sebastianini, vincitrice del primo premio al Concorso "Premio Annarosa Taddei" del 2015.
   Il giorno seguente, giovedì, Rabinovich farà parte della giuria della Prova finale del IV Concorso Internazionale "Premio Annarosa Taddei" che si svolgerà a Roma dal 7 al 10 novembre, sempre presso l'Aula magna della Facoltà di Lettere, Filosofia e Lingue dell'Università Roma Tre.
   Il pianista si è esibito in sedi prestigiose come la Wigmore Hall di Londra, la Gewandhaus di Lipsia, la Carnegie Hall di New York, la Sala Grande del Conservatorio di Mosca, la Cité de la Musique di Parigi e il Kennedy Center di Washington DC.
   Nella stagione 2016-2017 ha in programma l'esecuzione del Concerto n. 3 di Rachmaninov con l'Orchestra KBS e Yoel Levi, il Concerto n. 3 di Prokofiev con l'Ann Arbor Symphony e il Concerto n. 2 di Bartok con l'Orchestra Dohnanyi. Terrà inoltre dei recital con la Vancouver Recital Society, la Cincinnati Matinee Musical Series, la Chopin Society di St Paul, MN, il Lincoln Center di NewYork e il Royal Welsh College of Music & Drama di Cardiff. Tra i suoi partner musicali della stagione l'Ariel Quartet e il Doric String Quartet.
   Il concerto è realizzato sotto gli auspici dell'Ufficio Culturale dell'Ambasciata di Israele.

(ANSAmed, 4 novembre 2016)


I politici credono in Dio?

Un giornale l'ha chiesto ai deputati israeliani. Che hanno risposto in modo sorprendente

di Davide Frattini

Vent'anni fa Haaretz - il quotidiano che fa da bandiera alla sinistra israeliana e che sempre meno persone comprano da sventolare - aveva chiesto ai parlamentari di rispondere a una domanda breve ma per alcuni non semplice: «Crede in Dio?». Su 120 deputati 91 avevano detto sì, 9 avevano dichiarato il loro ateismo, 20 si erano rifiutati di rispondere.
   Il giornale ha ripetuto l'esperimento nelle settimane che hanno preceduto quest'anno le festività ebraiche e che culminano con Yom Kippur, il giorno più sacro. Nei risultati del sondaggio sono aumentati quelli che hanno voluto proteggere la privacy religiosa (38 si sono rifiutati di affermare o negare la fede), 71 hanno risposto sì e undici hanno seguito il «no» di Yoel Razvozov di Yesh Atid (C'è un futuro), il partito che ha raccolto i voti della classe media anche promettendo di ridimensionare i privilegi della classe religiosa, gli ultraortodossi. Che sono rappresentati tra i banchi della Knesset: questi parlamentari si sono sentiti insultati dalla domanda di Haaretz come se non ci potessero essere dubbi (e per loro in effetti non ce ne sono). Altri meno certi hanno fornito spiegazioni socio logiche (Tamar Zandberg di Meretz, sinistra radicale: «Non credo in Dio eppure sono sicura che esista, non come un fenomeno soprannaturale ma polltlco»), altri hanno condiviso le loro oscillazioni teologiche fino al punto di non ritorno del pendolo della devozione così da rendere difficile capire la risposta (Nachman Shai di Unione sionista ha espresso al telefono - raccontano i giornalisti di Haaretz - le incertezze per poi inviare una lunga email in cui dettagliava le esperienze in sinagoga senza comunque chiarire).
   Tra chi ha scelto di astenersi, la maggior parte ha affermato di voler proteggere la sfera privata dall'ingerenza dei reporter mentre Abdullah Abu Maaruf della Lista Unita (partiti arabi) sembra aver voluto difendere la sfera pubblica dall'ingerenza della divinità: «Sono per la separazione tra Stato e religione».

(Corriere della Sera - Sette, 4 novembre 2016)


Israel Joshua Singer. Un talento riscoperto

di Solomon Tokaj

 La via tortuosa della fama
 
Israel Joshua Singer
  «Dedico queste pagine alla memoria del mio defunto fratello, I. J. Singer, autore dei Fratelli Ashkenazi. Egli era per me non soltanto il fratello maggiore, ma anche un padre spirituale e un maestro di vita. lo guardo a lui come a un modello di grande spiritualità e di probità letteraria».
  L'autore di questa dedica è Isaac Bashevis Singer, Premio Nobel nel 1978, creatore di opere meravigliose come La famiglia Moskat e Gimpel l'idiota. II destinatario è il fratello Israel Joshua, maggiore di Isaac di poco più di due lustri, morto nel 1944 a soli 51 anni. Nati entrambi in Polonia, figli di un rabbino chassidico, e trasferitisi a New York per sfuggire all'antisemitismo che stava avvelenando il cuore dell'Europa, sono considerati tra i più grandi autori in lingua yiddish. La fama, però, segue i percorsi tortuosi della storia: più noto in vita, il maggiore Israel ha finito lentamente per essere oscurato dalla popolarità del fratello.
  D'altronde non sempre essere il primogenito, nella tradizione ebraica, comporta grandi vantaggi, come insegna la storia del povero Esaù. Ma il destino è insondabile come i piani del Signore: nulla di strano, dunque, che il talento di Israel sia oggi di nuovo alla ribalta, grazie ad una riscoperta letteraria che lo ha rimesso al suo posto tra i grandissimi del Novecento. È stato il romanzo La famiglia Karnowski a sciogliere il ghiaccio dell'oblio: uscito negli States nel 1943, è arrivato in Italia solamente settant'anni dopo, tradotto da Adelphi e oggetto di continue ristampe. Una volta aperta la breccia, Bollati Boringhieri e Adelphi hanno fatto a gara per pubblicare il meglio della sua produzione.
  Una più piccola casa editrice, la fiorentina Passigli, si è dedicata con merito alla traduzione dei racconti, inediti in Italia: belli, alcuni bellissimi, non grandi affreschi di una storia familiare nel vortice del Novecento, ma minute figurine da collezionare, scampoli di quel sorprendente paesaggio culturale e umano dello shtetL Ho avuto in regalo Sulla Vistola (traduzioni di S. Dilaghi e L. Merlini) e mi sono perso qualche giorno nelle pianure polacche, tra alluvioni e gelate invernali, piangendo per la fine del bovaro Hirsch Leib e della sua capretta, gioendo per la rivincita del raccoglitore di setole di maiale FichI Maidanìker, struggendo mi nei tormenti amorosi del semplice Shimen e della giovane Khaye dalla trecce ribelli.

 La legge della gioia
  «Rabbi Ezekiel di Kozmir e i suoi seguaci erano credenti convinti della legge divina della gioia», così comincia il racconto Espiazione. Si tratta di pii chassidim, i quali credevano che la santificazione del quotidiano non passasse attraverso l'ascetismo e le privazioni, ma nella gioia e nella pienezza della vita. Balli, cibo e vino inclusi in questa pienezza, ovviamente!
  Ecco allora che alla corte di Rabbi Ezekiel «si ballava e si cantava sempre, e sempre si tenevano bevute interminabili di vino e idromele». Capita anche a noi di celebrare la vita in questo modo, tolto l'idromele che proprio non fa per me: e il vino della gioia, manco a dirlo, per la mia combriccola è sempre la Schiava, generosa e spensierata.
  Tra le irrinunciabili, la Kalkofen di Baron Di Pauli, un'azienda che ha potuto fregiarsi del titolo di «fornitrice di corte imperiale e reale d'Austria-Ungheria»: un Kalterersee da vigne antiche, con radici profonde e fusti robusti, capaci di reggere l'impatto delle turbolenze del mondo.

(Corriere dell'Alto Adige, 4 novembre 2016)


Israele - Nei primi dieci mesi battuto il record annuale di vendite nel mercato automobilistico

Nei primi dieci mesi del 2016 in Israele sono state vendute 258.743 auto. Lo testimoniano i dati di Associazione Importatori, pubblicato giovedì, 3 novembre.
Nel periodo gennaio-ottobre le vendite di auto nuove sono aumentate del 15% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, riferisce Walla News.
In questo modo, quest'anno è già diventato un record per il mercato automobilistico israeliano.
Leader di vendite continua ad essere il marchio Hyundai. Nel periodo gennaio-ottobre gli israeliani hanno acquistato 36.352 auto di questo marchio, 30,6% in più rispetto all'anno precedente.
Al secondo posto un'altra marca sudcoreana - Kia - con 34.401 venduto l'auto (+17%), al terzo - Toyota (29.698; +15%). Tra i primi cinque leader di mercato si trovano anche la Skoda (18.230; +30%) e Mitsubishi (15.817; +9%). Seguono nell'ordine: Mazda, Suzuki, Nissan, Renault, Chevrolet.

(Notizie Israele oggi, 4 novembre 2016)


Il gruppo Fca al "Fuel Choices Summit 2016"

Presentata in Israele la Fiat 500 M15, primo veicolo pronto per la vendita, conforme allo standard Euro 6, alimentabile con una miscela di benzina e metanolo.

Il gruppo Fca al "Fuel Choices Summit 2016". Presentata la Fiat 500 M15, primo veicolo pronto per la vendita, conforme allo standard Euro 6, alimentabile con una miscela di benzina e metanolo. L'evento si svolge a Tel Aviv, in Israele e il Gruppo torinese, con Iveco e Magneti Marelli, insieme a Israel Fuel Choices Initiative, ha presentato i risultati e gli aggiornamenti delle attività svolte a seguito del memorandum d'intesa sottoscritto a febbraio dello scorso anno. Un passo importante per lo sviluppo di tecnologie basate sui carburanti alternativi e in particolare sul gas naturale e che vede il Governo di Israele impegnato a fondo per rendere il Paese un polo avanzato nel campo dei carburanti alternativi sostenibili a cui si aggiunge l'impegno di ridurre i consumi nazionali di petrolio del 60% entro il 2025.
Da parte sua il gruppo Fca è leader riconosciuto nello sviluppo, nella produzione e nella vendita di vetture alimentate a gas naturale compresso, biometano e combustibili a base di alcol, attraverso tecnologie avanzate multi-combustibili e sostiene fermamente la riduzione dell'impatto ambientale del trasporto su strada.
   "Fca ha aperto la strada allo sviluppo di tecnologie alternative finalizzate a ridurre le emissioni in atmosfera offrendo alla propria clientela prodotti affidabili, economicamente accessibili, sostenibili e altamente innovativi - sottolineano al quartier generale - In particolare, le innovazioni del Gruppo nelle tecnologie del gas naturale e delle alimentazioni flex-fuel hanno rivoluzionato il mix energetico nel settore dei trasporti in diversi Paesi. Un esempio è l'Italia, che si è trasformata nel migliore Stato europeo in termini di parco veicoli ad alimentazioni alternative. Tra le storie di successo internazionale figura il Brasile che è attualmente l'unico Paese al mondo che dispone di una reale alternativa ai carburanti tradizionali per il trasporto grazie all'innovativo sistema flex-fuel realizzato da Magneti Marelli. Oggi nel Paese i consumi di carburanti per il trasporto sono equamente suddivisi tra benzina ed etanolo".
   Fca ha presentato in Israele i risultati del "Progetto M15", realizzato insieme con Israel Fuel Choices Initiative e Dor Chemicals, finalizzato allo sviluppo del metanolo in termini di produzione, miscelazione, infrastruttura, regolamentazione e relativa tecnologia.
Il risultato concreto del progetto è stato quindi presentato al Fuel Choices Summit, la Fiat 500 M15 che può tranquillamente essere alimentata con una miscela di benzina e metanolo, quest'ultimo in quantità compresa tra lo 0 e il 15 per cento che sarà venduta in Israele da Mca (importatore ufficiale israeliano di Fca).
   Questa vettura, alimentata da miscela composta per l'85 per cento di benzina e il 15 per cento di metanolo, conforme allo standard Euro 6 in base al New European Driving Cycle, permette una diminuzione delle emissioni di CO2 pari al due per cento rispetto alla versione a benzina, pur mantenendo le stesse prestazioni. La Fiat 500 M15 è bi-fuel e quindi può essere alimentata sia con M15, sia con benzina, oltre a qualsiasi miscela dei due carburanti.
   Da segnalare poi che il metanolo può essere prodotto anche a partire dal metano e può essere distribuito attraverso le infrastrutture già esistenti per il trasporto del petrolio seppure necessiti di alcuni adeguamenti per la piena compatibilità con questo combustibile. Un'operazione comunque molto semplice che consente di concertire, ad esempio, una tradizionale stazione di rifornimento in una struttura di erogazione del metanolo.
Lo scorso mese di maggio ha segnato una tappa importante nel cammini di Israele verso i carburanti alternativi sostenibili poiché il suo ministero dei Trasporti ha approvato lo standard normativo per l'uso del combustibile M15, rendendo Israele il primo Paese al mondo a emanare una norma nazionale per i veicoli flex-fuel a metanolo, conformi alla normativa europea Euro 6.
   L'importanza del metanolo è stata evidenziata scientificamente già nel 2006, quando il premio Nobel per la chimica, George A. Olah e due co-autori, G. K. Surya Prakash e Alain Goeppert, hanno pubblicato "Oltre il petrolio e il gas: l'economia del metanolo", riconoscendo a questo carburante un ruolo molto efficace per un trasporto sostenibile. Nel 2013, durante il primo Fuel Choices Summit, Olah e Surya Prakash sono stati insigniti del "Premio Eric e Sheila Samson". (m.r.)

(la Repubblica, 4 novembre 2016)


La coesistenza nel mirino

La dirigenza palestinese è risolutamente impegnata a recidere ogni germoglio di convivenza tra i due popoli.

Alla base delle performance dell'Autorità Palestinese al teatro dell'assurdo dell'Unesco vi è un altro aspetto, più profondo, relativo a come la dirigenza palestinese si pone veramente circa le relazioni con Israele: il suo risoluto impegno a recidere alla nascita qualunque germoglio di convivenza tra i due popoli.
Si consideri ad esempio l'arresto operato dall'Autorità Palestinese di quattro palestinesi colpevoli d'aver fatto una visita di cortesia a un insediamento israeliano durante la festa di Sukkot. I quattro avevano accolto l'invito avanzato da Oded Revivi, sindaco di Efrat (nella zona di Gush Etzion), secondo la tradizione degli ebrei di invitare i propri vicini ad unirsi a loro nella capanna (sukka) durante i giorni della festa. Per questo sono stati arrestati dalle forze di sicurezza dell'Autorità Palestinese e trattenuti per quattro giorni, fino a quando il clamore pubblico suscitato dalla vicenda ha ottenuto il loro rilascio....

(israele.net, 4 novembre 2016)


Gli ebrei hanno ucciso Gesù e voi sionisti avete imparato la canzoncina antisionismo antisemitismo?

ci sono tanti ebrei antisionisti non possono essere gli ebrei antiebrei.
Gesùù che disse chiaramente il mio mondo non è di questo mondo non era ebreo o meglio seguiva le leggi ebraiche
comq gli ebrei hanno ucciso Gesù perchè non avevanno autorità di ucciderlo dissero pure il loro sangue ricada sui nostri figli e sui figli dei nostri figli e lo deridono tutt'ora oggi. e non credete che io sia filo palestinese me ne snbatto di usraele palestina e subitoto imparate un un antisemita kè chi cirtica gli ebrei è automaticamente anntisemita vero?
Se dessimo ascolto a tutto quello che predica la sinagoga di satana...
Sionismo = terrorismo

(Trovata casualmente in rete, 4 novembre 2016)


Riportiamo questo “intervento” trovato casualmente in rete così come l’abbiamo trovato con una domanda che rivolgiamo anzitutto a noi stessi: ma quanto è diffuso questo tipo di analfabetismo mentale? E che collegamento c’è con l’antisemitismo antisionista?


In israele si è svolta la quarta edizione di Miss Olocausto

Fin dai suoi esordi nel 2012, l'evento organizzato da un ente benefico israeliano ha attirato polemiche. Esso è riservato alle donne sopravvissute alle persecuzioni

La neo-eletta Anna Grinis posa insieme alla first lady israeliana, Sara Netanyahu
Il concorso di bellezza riservato alle superstiti dell'Olocausto è diventato oramai un appuntamento fisso in Israele. Giunto alla sua quarta edizione, l'evento è stato organizzato nella città di Haifa. Quest'anno a vincere la corona è stata l'israeliana di origine russa Anna Grinis.
La nuova reginetta di bellezza ha 75 anni ed è stata incoronata domenica 30 ottobre alla presenza di molte personalità politiche, sbaragliando le altre 13 finaliste.
Anche quest'anno il numero delle partecipanti è stato significativo con almeno 300 iscritte. La neo-eletta "Miss Sopravvissuta all'Olocausto" ha commentato così la sua elezione: "Non ho parole per descrivere quanto sono felice ed eccitata di ricevere questo riconoscimento".
Quando iniziarono le persecuzioni dei nazisti contro gli ebrei, Anna aveva appena due giorni di vita. La madre decise di fuggire via insieme alla sua bambina appena nata, sfuggendo così all'Olocausto.
L'annuale concorso è organizzato da Yad Ezer La Haver, un'organizzazione fondata nel 2001 e impegnata nel fornire aiuto e supporto ai sopravvissuti all'Olocausto che vivono in condizioni precarie in Israele.
Secondo il fondatore dell'associazione e organizzatore del concorso, Shimon Sabagh, l'evento non convenzionale è stato creato per le donne che sono sopravvissute agli orrori della seconda guerra mondiale, spesso costrette a condurre una vita d'oblio.
L'appuntamento di domenica scorsa era così articolato: prima della sfilata delle partecipanti è stata servita una cena sontuosa in una sala ricevimenti ad Haifa. All'evento hanno preso parte circa un migliaio di persone, tra cui personalità di spicco della politica israeliana: alcuni membri della Knesset, il sindaco di Haifa, Yona Yahav e la moglie del presidente del consiglio, Sara Netanyahu.
La first lady non si è lasciata sfuggire la possibilità di posare sorridente con la reginetta di bellezza appena eletta e si è rivolta a tutte le partecipanti con queste parole. "Tutte voi avete sopportato il periodo più buio della storia, e nonostante tutto, avete scelto di vivere. Avete scelto di creare una famiglia, di trovare un lavoro, di crearvi la vostra vita e di continuare a viverla".
Per l'occasione, a margine del concorso, è stata ospitata la prima esibizione di un coro di donne composto anch'esso da sopravvissute alle persecuzioni naziste. L'età media delle coriste oscilla intorno ai 90 anni. Le donne si sono esibite intonando i canti che spesso venivano scanditi nei ghetti d'Europa.
"Si è trattato di un momento commovente per tutti", ha commentato il direttore dell'associazione Yad Ezer La Haver.

(The Post Inte3nazionale, 3 novembre 2016)


Israele: Nuovo test diagnostico per distinguere tra infezioni batteriche e virali

 
Una startup israeliana sta prendendo di mira uno dei problemi che attanaglia la sanità mondiale: l'uso eccessivo di farmaci antibiotici.
Memed, fondata a Haifa nel 2009, ha ricevuto milioni di dollari di investimenti per il suo ImmunoXpert, ora utilizzato anche negli ospedali della UE, Svizzera e Israele per determinare rapidamente se un infezione sia batterica o virale.
Gli esperti sostengono che circa il 50% degli antibiotici generalmente prescritti, siano in realtà inutili o inappropriati. L'abuso di antibiotici porta inevitabilmente alla proliferazione di batteri-multiresistenti.
ImmunoXpert interpreta i segnali chimici del sistema immunitario del corpo e distingue con una precisione superiore al 90 per cento tra infezioni batteriche e virali. In questo modo il medico curante può prescrivere i farmaci in maniera più consapevole.
ImmunoXpert è un kit che analizza il sistema immunitario e fornisce i risultati i circa 100 minuti (la versione di seconda generazione ridurrà il tempo a 15 minuti). Interessante notare che il test non viene alterato o confuso dalla presenza di batteri innocui che non attivano il sistema immunitario. E non c'è bisogno di adeguare la tecnologia a nuove epidemie, come invece accade con i metodi diagnostici attualmente in uso, dal momento che il sistema immunitario lo fa naturalmente.
Dopo i mercati europei, asiatici e statunitensi, Memed vuole espandersi anche in America Latina, partendo con il Brasile. Queste le parole di Eran Eden, CEO dell'Azienda:
I batteri non rispettano i confini e vogliamo raggiungere il maggior numero di posti possibile.
Il team multidisciplinare della società comprende uno staff di 30 esperti in Israele, oltre a liberi professionisti a Boston e a Washington. I kit ImmunoXpert sono realizzati nel laboratorio Memed di Haifa.

(SiliconWadi, 3 novembre 2016)


Il Meis di Ferrara si presenta in Israele

Il progetto del museo esposto dal ministro Franceschini a Tel Aviv

Si è conclusa presso il Museo Eretz Israel, con la presentazione del Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano (Meis) di Ferrara e del prezioso manoscritto originale del "Giardino dei Finzi Contini" di Giorgio Bassani, la visita in Israele del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Con lui, il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, il Sindaco di Tel Aviv, Ron Huldai, la Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Noemi Di Segni, il Presidente del Meis, Dario Disegni, il Direttore, Simonetta Della Seta, e il Sindaco di Ferrara, Tiziano Tagliani.
Dopo l'incontro della mattina, a Gerusalemme, con il Primo ministro Benjamin Netanyahu, il ministro Franceschini ha introdotto a Tel Aviv il progetto del Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara, ribadendo l'impegno a portare a compimento i lavori entro i termini previsti. "Il museo - ha affermato il ministro - sarà un luogo vivo, ricco di eventi e manifestazioni di rilevanza nazionale, di occasioni di approfondimento sui temi della pace e della fratellanza tra i popoli, e dell'incontro tra culture e religioni diverse. Al Meis, i giovani potranno conoscere più estesamente la storia, il pensiero e la cultura dell'ebraismo italiano". Il ministro ha anche dichiarato che, dopo questa prima presentazione a Tel Aviv, il progetto sarà illustrato anche in altre città.
   Ad affiancare Franceschini nella missione, Noemi Di Segni, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che ha ringraziato per quanto si sta facendo per diffondere la cultura del popolo ebraico e ha sottolineato come il manoscritto di Bassani, che sarà poi esposto al Meis, non a caso venga per la prima volta mostrato al pubblico proprio in Israele". Secondo Di Segni, inoltre, la cultura si alimenterà ulteriormente "attraverso il legame tra Italia e Israele, come ha rimarcato il Presidente Mattarella in questa sua prima visita, e porterà a una nuova maturazione non solo dell'ebraismo italiano, ma anche della società italiana nel suo insieme".
   Dario Disegni, presidente del Meis, rivolgendosi al Presidente Mattarella, si è augurato di poterlo accogliere "l'anno prossimo a Ferrara per l'inaugurazione del museo, così fortemente voluto dallo Stato italiano, che per la sua realizzazione ha profuso un impegno del quale tutti noi siamo profondamente riconoscenti".
   Tra i delegati in Israele, il sindaco di Ferrara, Tiziano Tagliani, che nel proprio intervento ha ricordato la tragica e disumana vicenda della comunità ebraica europea, aggiungendo come "in un periodo di forte intolleranza, in cui sono radicati pregiudizi e stereotipi, l'antidoto migliore siano il dialogo e l'ascolto: sapere ciò che è successo per impedire nuovi orrori, trasformare l'ignoranza in conoscenza e l'intolleranza in comprensione".

(estense.com, 3 novembre 2016)


Verso la Parashat Noach - Tra etica ed estetica

di Alberto Moshe Somekh, rabbino

"I figli di Noach usciti dall'Arca erano Shem, Cham e Yefet; Cham è il padre di Kena- 'an. Questi tre sono i figli di Nòach; da essi si diffuse la popolazione in tutta la terra. Noach, agricoltore, fu il primo a piantare la vigna. Bevve del vino, si ubriacò, e si scoprì dentro la sua tenda. Cham, padre di Kena'an, vide la nudità del padre e lo disse, fuori, ai suoi due fratelli. Shem prese il mantello insieme a Yefet, lo posero sulla schiena di ambedue, e camminando a ritroso coprirono la nudità del padre senza vederla, poiché avevano il viso rivolto indietro. Noach, destatosi dal vino, seppe quello che gli aveva fatto suo figlio minore. E disse: "Maledetto Kena'an! Sia servo dei servi dei suoi fratelli!" Disse poi: "Benedetto il S. D. di Shem! Kena'an sia loro servo. D. conceda a Yefet estesi confini ed abiti nelle tende di Shem. Kena'an sia il loro servo!" (Bereshit 9, 18-27). È evidente dall'impostazione del racconto che la Torah gli attribuisce una grande importanza per le sorti dell'umanità post-diluviana. Come nota il famoso commentatore tedesco dell'Ottocento Shimshon Refael Hirsch, i tre figli di Noach non sono semplicemente i progenitori di tre "fette" del genere umano, ma sono anzitutto i portatori di altrettante culture, o sistemi di valori. Lo si vede da come reagiscono all'imbarazzante situazione. Posto di fronte all'ebbrezza e alla nudità di suo padre Cham reagisce deridendolo. Egli è il rappresentante di una cultura materiale, fondamentalmente rude. Il padre lo condannerà a un destino di servitù. Diverso è il caso dei due fratelli Shem e Yefet. Essi concordano nel rispondere al problema in modo costruttivo ma, è bene farlo notare, il punto di partenza, la spinta all'azione non è comunque la stessa in entrambi. Wayiqqach Shem wa-Yefet: il verbo "prese" è scritto al singolare, anche se le persone soggetto sono due! E logica vuole che il verbo al singolare concordi con il primo dei due soggetti, ovvero Shem. In altre parole il testo ci vuol dire che l'iniziativa di coprire il padre con il mantello venne solo da Shem, e Yefet si limitò ad appoggiarla. La spinta etica, commenta Hirsch, è tipica di Shem: per lui la nudità del padre è immorale. Yefet la approva perché constata alla prova dei fatti che essa è valida sul piano a lui più consono, quello estetico: la nudità del padre è semplicemente indecorosa. L'etica è un riflesso dello spirito; l'estetica, l'arte è ancora una via di mezzo, una sintesi fra spirito e materia. Il diverso carattere di Shem e Yefet si riflette a sua volta nella berakhah che riceveranno dal padre. D., la fonte di ogni morale, resta patrimonio di Shem: abiterà nelle sue tende. A Yefet viene promessa in cambio larghezza di mezzi materiali. Il versetto, peraltro, può essere interpretato in modo differente. Chi è il soggetto della frase: "abiti nelle tende di Shem"? D., o non piuttosto Yefet stesso? In tal caso, il significato della berakhah si arricchisce notevolmente. Non ho obiezione alcuna - direbbe Noach - che Shem accolga nelle sue tende il senso artistico proprio di Yefet. Purché si ricordi sempre che la sua vocazione è un'altra: quella di essere l'ispiratore etico dell'umanità. Alla vigilia di Chanukkah il rapporto fra cultura etica e cultura estetica, fra contenuto e forma, si ripropone nel confronto fra gli ebrei, figli di Shem, e i greci (in ebraico: Yawan), figli di Yefet (Bereshit 10,2). Oggi viviamo in una società nella quale i valori di Yefet imperano. Mi riferisco al culto dell'immagine e dell'apparenza. Mi limiterò pertanto a riportare quanto si attribuisce ad Ernest Renan, un filosofo non ebreo di fine Ottocento, a proposito della differenza di fondo fra greci ed ebrei. "Per i greci - diceva - ciò che è bello è buono; per gli ebrei, invece, ciò che è buono è bello". C'è ancora un'altra interpretazione ottocentesca dei nostri versetti ed è quella del Malbim. Al pari di Hirsch, anch'egli scrive che "Shem intraprese la Mitzwah (di coprire il padre) per primo", ma caratterizza in modo diverso i due fratelli e la relazione fra loro. Per Malbim Shem "apparteneva agli uomini Divini (min ha-anashim ha-Eloqiim)" e in quanto tale è imitato da Yefet, "dal momento che l'obbligo di preservare la dignità del genitore sussiste anche sotto il profilo della consuetudine politica (nimmùs ha-medinì): in definitiva, entrambi i figli concorsero a coprire la nudità del loro padre". Per Malbim dunque Shem, antesignano del popolo d'Israele, rappresenta la religione con i suoi valori di rapporto con il Divino, mentre Yefet, antenato dei Greci, simboleggia i valori della polis, la comunità degli uomini. Parallelamente a quanto Hirsch affermava sull'arte, anche per l'interpretazione del Malbim vale analoga constatazione: "Yefet abiti nelle tende di Shem" significa che la politica rimane una dimensione valida nella misura in cui sia ispirata e si renda portavoce terrena dei valori etici superiori. Se così non fosse, la politica sarebbe priva di legittimità. Come dice la Chokhmah (Sapienza) Divina nei Mishlè: "é in virtù mia che i re regnano" (8,15)! Per questo fu pagato un duro prezzo in relazione al possesso di Eretz Israel. È lo stesso Malbim a notarlo commentando i versetti relativi alla berakhah paterna. "Allorché D. legò il Suo Nome ad Israele, figlio di Shem, questi conquistò la terra sottraendola ai Cananei, figli di Cham, che ad esso si asservirono. Ma dopo che Israele a sua volta fu esiliato dalla terra e 'nelle tende di Shem' si furono insediati i figli di Yefet (Persiani, Greci e Romani successivamente), i Cananei passarono in servitù a questi ultimi". La disputa non è dunque fra noi e Cham, bensì fra noi e Yefet. Chanukkah rappresenta il momento storico di maggiore tensione su questo punto, in quanto all'epoca asmonea Shem e Yefet si dividevano il dominio di Eretz Israel e inevitabilmente si scontrarono sui valori fondamentali. Chi dei due vanta maggiore legittimità? Credo che la risposta sia nella fedeltà ai valori stessi. La Terra d'Israele ci è stata assegnata perché attraverso di essa noi ci rendiamo testimoni della "forza delle Sue opere" (Tehillim 111,6). Solo questa testimonianza da parte nostra ci procura giustificazione a fronte dell'opinione pubblica occidentale (V. anche il comm. 'Amar Neqè di R. 'Ovadyah da Bertinoro al primo Rashì sulla Torah).

(Pagine Ebraiche, novembre 2016)


Angelica e il mistero di Israele

Dalla presentazione del libro "Memorie di un angelo custode" di Angelica Calò Livnè.

di Giulio Meotti

Cosa spinse una ragazza ebrea di Roma ad abbandonare l'Europa negli anni Settanta, col suo benessere e la sua pace sociale, per andare a vivere nel Kibbutz Sasa, nell'unghia sotto assedio di Israele? È la storia di Angelica Edna Calò Livnè, autrice di questo libro straordinario. Se apre la finestra di casa, Angelica riesce a vedere le colline del Libano. E se sale in cima alla torre dell'acqua, riesce anche a scorgere la Siria. Angelica ne ha viste di guerre e ha avuto una posizione privilegiata, abitante di uno dei tanti piccoli avamposti che sorgono ovunque in Israele, nel torrido sud come nel fertile nord, perché lo stato ebraico è tutto confine. Angelica la guerra l'ha vista negli anni Ottanta, quando il suo kibbutz era esposto agli attacchi terroristici. E ancora nel 2006, quando tutto il nord di Israele venne esposto al lancio di migliaia di missili da parte di Hezbollah. Eppure, ogni pagina di Angelica trasuda ottimismo.
I kibbutzim hanno perso molti figli per mano dei terroristi e questi attentati hanno qualcosa di ancora più agghiacciante nel fatto che molte delle vittime erano militanti della pace, gente disposta a cedere la terra pur di convivere con i palestinesi, idealisti che credevano in un'Israele morale, giusta, democratica, egualitaria, migliore. Questi morti del fronte del compromesso hanno sempre accresciuto il significato del martirio d'Israele. Angelica incarna questo mistero del popolo di Israele, di chi ogni giorno si confronta con il vivere in un paese costretto a difendersi da chi lo vuole distruggere, ma che non rinuncia alla speranza. Angelica ha creato Beresheet La Shalom. Un inizio per la pace, alla ricerca dell'amicizia e del rispetto tra etnie diverse in nome di una pedagogia in cui l'identità individuale potenzia quella collettiva, basata sulla collaborazione e sulla responsabilità dell'individuo verso il gruppo e viceversa. Il suo teatro dell'Arcobaleno vede la partecipazione di ragazzi ebrei, cristiani, musulmani, drusi, dunque il volto divertente, umanistico e positivo di Israele che, generalmente, non viene rappresentato. Per Angelica la speranza passa attraverso l'educazione. È quanto mi disse anche Gabi Ladowski, dopo aver perso il fratello nell'attentato alla caffetteria sul Monte Scopus: "La distruzione non sarà mai la via dell'educazione, del progresso, della pace e della comprensione. La leadership israeliana è lontana dalla perfezione, ma non incita all'uccisione dei vicini, non sequestra, non lancia pietre né spara ai passanti. Il popolo di Israele ha una lunga storia di vittoria sulla distruzione, l'odio, l'annichilimento e la persecuzione. La via giusta è amore della vita, opere buone ed educazione a fare del bene all'umanità". Nel momento stesso in cui Israele viene dipinta agli occhi dell'opinione pubblica internazionale come un'usurpatrice di case e memoria e una entità estranea al Medio Oriente, il libro di Angelica Edna Calò Livne porge al mondo il volto migliore d'Israele. Quello della civiltà della vita.

(Tempi, 3 novembre 2016)


La preoccupante ascesa della presenza russa nella regione

GERUSALEMME - La Russia ha alzato la posta della sua presenza strategica in Medio Oriente schierando la sua unica portaerei nel Mar Mediterraneo, di fronte alle coste siriane, poche settimane dopo aver inviato in quel paese sistemi antiaerei sofisticati. La portaerei "Ammiraglio Kuznetsov" è salpata dalla Russia il 15 ottobre scorso, accompagnata da un gruppo navale che include la nave da battaglia "Pietro il Grande" e gli incrociatori anti-sommergibili "Severomorsk" e "Vice-ammiraglio Kulakov". Il ministero della Difesa russo ha spiegato che "l'obiettivo della campagna è assicurare una presenza navale russa nelle aree marittime operativamente rilevanti". La crescente presenza russa nel Mar Mediterraneo orientale, con una portaerei in grado di rilevare molte, se non tutte, le attività militari israeliane, combinata alle avanzate batterie di difesa aerea S-300 e S-400 già schierate in Siria, è un fattore di forte preoccupazione per Stati Uniti e Israele, scrive in un'analisi il quotidiano "Jerusalem Post" Un funzionario della Difesa recentemente citato dalla "Washington Post" ha riferito della preoccupazione di Washington per il posizionamento delle batterie S-300 nell'area di crisi, e ha aggiunto che "non è certo che i nostri aerei possano sconfiggere l'S-300". Si tratta di una preoccupazione condivisa da Tel Aviv, considerato anche il fatto che la Russia non solo ha schierato l'S-300 in Siria, ma lo ha anche venduto al primo avversario di Tel Aviv nella regione, l'Iran.

(Agenzia Nova, 3 novembre 2016)


In Israele la 500 a metanolo più amica dell'ambiente

Tecnologia Magneti Marelli, minori emissioni di C02 e particolato

di Luigi Grassia

 
Il carburante auto, se l'auto è di modello Fiat 500 Ml 5, può essere anche costituito da una miscela di benzina che contiene fino al 15% di metanolo. E il metanolo è un alcol che si ricava dal metano o addirittura dall'anidride carbonica, la C02 con cui il mondo è in guerra e che può essere fagocitata in un circolo virtuoso che ripulisce l'aria.
La tecnologia che permette tutto questo è stata sviluppata da Fiat Chrysler Automobiles assieme all'azienda israeliana Dor Chemicals e al programma governativo Ifci (Israel's Fuel Choices Initiative) in base alle intuizioni del premio Nobel per la Chimica George Andrew Olah. La Fiat 500 Ml 5 è la prima vettura Euro 6 alimentata a metanolo. Non è un prototipo: è pronta a essere commercializzata da Mca, importatrice israeliana di Fca.
La nuova auto è stata presentata al Fuel Choices Summit 2016, un evento internazionale che si svolge a Tel Aviv, in Israele, presente per Fca Virgilio (erutti, Head of Business Development Centrai Coordination. Allo sviluppo della Fiat 500 M15 hanno partecipato Iveco e Magneti Marelli.
La tecnologia Magneti Marelli ha già permesso al Brasile di far circolare le sue auto abbattendo al 50% l'uso di carburanti tradizionali, mentre l'altro 50% è ormai costituito da etanolo ricavato da fibre vegetali. Il metanolo non si produce allo stesso modo ma condivide col cugino etanolo una serie di caratteristiche favorevoli ali' ambiente, fra cui una riduzione del 2% delle emissioni di C02 e un taglio del dannoso particolato rispetto alla versione a benzina, a parità di prestazioni.
Il governo di Israele vuole portare il Paese all'avanguardia nei carburanti alternativi, sostenendo lo sviluppo e l'applicazione di nuove tecnologie e riducendo il consumo nazionale di petrolio del 6% entro il 2025. Due anni fa ha scelto Fiat Chrysler Automobiles come partner del programma Ifci riconoscendo in Fca il leader internazionale nello sviluppo, nella produzione e nella commercializzazione di auto alimentate a gas naturale compresso (Gnc), biometano e combustibili a base di alcol, attraverso tecnologie multi-combustibili.
Questo ha già prodotto molti risultati. L'Italia è diventata il Paese numero uno in Europa per numero di veicoli ad alimentazioni alternative. E poi c'è la storia di successi del Brasile ( dove Fiat Chrysler Automobiles è presente in modo massiccio) con l'etanolo.
La nuova Fiat 500 Ml 5 può essere alimentata sia con il 15% di metanolo e 1'85% di benzina sia con una qualsiasi miscela dei due carburanti compresa fra il metanolo zero e il metanolo quindici per cento.
Di recente, nel maggio 2016, il ministero israeliano dei Trasporti ha approvato lo standard normativo per l'uso del combustibile M15, facendo di Israele il primo Paese al mondo a emanare una norma nazionale per i veicoli a metanolo, conformi alla normativa europea Euro 6.
Il metanolo ha il vantaggio di poter essere distribuito utilizzando le infrastrutture già esistenti per il trasporto degli idrocarburi (navi, ferrovie, camion, tubature) anche se alcuni materiali devono essere adattati per renderli compatibili con questo carburante.
E l'ambiente ci guadagna.

(Il Secolo XIX, 3 novembre 2016)



Parashà della settimana: Noach (Noè)

Genesi 6:9-11:32

 - Nella parashà di Noach (Noè) viene descritto il diluvio universale, la torre di Babele e la nascita di Abramo. Sono trascorse solo dieci generazioni dalla Creazione dell'uomo, che D-o decide di chiudere un ciclo, per la malvagità degli uomini e ricominciare con l'Arca di Noè.
Bisogna interrogarsi su questa decisione Divina e sul simbolismo dell'Arca che appare spesso nella storia del popolo ebraico. Moshè bambino fu salvato da un'Arca fatta di giunchi dalle acque del Nilo, per mezzo dell'Arca dell'Alleanza Moshè parlava con D-o Benedetto e nell'Arca sono contenute le due tavole della Legge.
La tradizione ebraica considera la nozione di Arca come uno spazio benedetto, dove risiede il Bene. Nel periodo anti-diluviano il mondo era pervaso dal male e solo il patriarca Noè non praticava il furto e la depravazione sessuale. Quando il male raggiunge il suo parossismo ed è impossibile fermarlo, la soluzione è quella di costruirsi un'arca per difendersi dai falsi valori della umana società.
Rashì sostiene che la costruzione dell'arca da parte di Noè sia durata ben 120 anni cioè il tempo necessario agli abitanti della terra per chiedere a Noè spiegazioni e cambiare il loro modo di vita sbagliato. Ma così non fu. La Torah descrive un raro esempio dove l'ira di D-o si manifesta completa fino alla fine.
"Nella sua generazione Noè trovò grazia agli occhi del Signore. Era un uomo giusto nella sua generazione, che camminava con D-o" (Gen. 6.8).
Trovare "grazia" vuol dire che il Signore non può distruggere tutta la Creazione, ma qualcosa deve sempre salvare. Essere ritenuto giusto "nella sua generazione" secondo Rashì ha un significato relativo per il fatto che gli uomini erano in quella generazione, malvagi.
Uscito dall'arca dopo il diluvio insieme ai suoi figli, Noè venne benedetto. "Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra" a cui D-o aggiunge "Ecco I-o fermo il Mio patto con voi con la vostra discendenza dopo di voi" (Gen. 9.8).
Chi sono i discendenti di Noè? I noachidi cioè tutta l'Umanità che è obbligata a rispettare con questo Patto le "sette Leggi " dette dei figli di Noè, annunciate nella Torah e descritte nel Talmud babilonese (Sanhedrin 58 b).
"Noè agricoltore fu il primo a piantare la vigna. Bevve il vino, si ubriacò e si scoprì dentro la sua tenda" (Gen. 9.20). Ham vide le nudità del padre, mentre Shem e Jafeth" presero "un mantello per coprirne le nudità.
Come si può interpretare questa storia riportata nella Torah? I tre figli di Noè sono il simbolo di tutta l'Umanità cioè la fede, la ragione, l'azione.
Shem rappresenta il Nome del progetto che Noè vuole realizzare, Jafeth ne rappresenta la ragione, Ham l'azione che darà l'energia al tutto. Quale era il progetto noachide? La formazione dell'uomo nuovo dopo il diluvio. La ribellione di Ham, che rifiuta di fornire energia, mettendosi al servizio del male, farà naufragare l'unità del progetto messianico auspicato da Noè.

La torre di Babele
"Non maledirò più la terra a causa dell'uomo perché il suo pensiero tende al male" (Gen. 8.31).
D- o non agirà per intervento diretto anche se l'evoluzione futura dell'uomo ricalcherà il cammino della generazione del diluvio. Al posto di un'era messianica sognata da Noè, viene edificata la torre di Babele, dove il Nome di D-o dagli uomini viene "banalizzato" a tal punto che la sua "discesa" sulla terra (Gen. 11.5 ) va intesa come una caduta di D-o cioè una Sua profanazione.
Gli uomini di Babele hanno deliberatamente scelto l'orgoglio senza alcun riguardo per la vita umana. Il mattone per costruire la torre era più importante dell'uomo! Questo infame disegno è di una attualità bruciante. Oggi assistiamo all'ombra della torre Eiffel allo stesso criminoso disegno, dove le menzogne contro Israele vengono sostenute e incoraggiate. Siamo all'apice di una guerra mediatica per togliere al popolo ebraico la sua identità di Nazione nella terra ricevuta in dono da D-o.
Quale è stata la punizione per la costruzione della torre di Babele? E' stata forse distrutta? No! La punizione è stata la sua non realizzazione per cui gli uomini sono stati sparpagliati per tutta la terra, una specie di meritato "esilio" per aver profanato il Nome di D-o.
Il senso di questo insegnamento della Torah è chiaro: un progetto senza la benedizione di D-o non può realizzarsi. Con la presenza nella storia di Abramo, nostro padre, la benedizione torna tra gli uomini come scritto: "Benedirò chi ti benedice… e si benediranno in te tutte le famiglie della terra" (Gen.12.3). F.C.

*

 - Dio ha cominciato creando i cieli e la terra. Dalla terra Dio ha tratto un uomo (maschio e femmina) in cui ha soffiato il suo spirito, rendendolo in certi aspetti simile a Lui, cioè in grado di ascoltare e parlare.
Il primo comandamento dato da Dio all'uomo è stato: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e rendetevela soggetta" (Gen. 1:28). La terra dunque doveva diventare l'habitat di una società umana che sarebbe cresciuta per generazioni successive. Dio dunque ha informato Adamo che non avrebbe continuato a produrre coppie in forma industriale come aveva fatto con la prima. E già questo significa qualcosa.
Poi Dio diede alla coppia il giardino di Eden, che non è quel paradiso terrestre che si raffigura nelle favole religiose, e non coincide con tutta la terra allora creata, ma è un luogo d'incontro con Lui. La Bibbia infatti non teme il ridicolo quando presenta "l'Eterno, il quale camminava nel giardino sul far della sera" e chiama Adamo dicendogli: "Dove sei?" (Gen. 2:8-9). Il giardino di Eden è stato il primo Tempio per l'uomo, ed è per questo che ne fu cacciato dopo il peccato. Adamo ed Eva rimasero sulla terra, ma non poterono più entrare nel luogo dove avrebbero dovuto incontrare il Signore.
Dio continuò a parlare all'uomo, ma da lontano: non ci fu più l'intima comunione d'amore che Dio avrebbe voluto e per il quale aveva creato il genere umano.
Il peccato della prima coppia umana però non è una semplice caduta durante il viaggio, da cui ci si può rialzare e continuare: è la fine del viaggio. Il peccato ha fatto entrare la morte nel mondo; e la morte è irreparabile. Ed è passata su tutti gli uomini generati in seguito.

Un nuovo viaggio
La storia continua con l'inizio di un nuovo viaggio, che naturalmente è conseguenza del primo ma non è stato un tentativo di ritorno indietro o di semplice prosecuzione.
Il Signore ha accettato di aver a che fare con una società di uomini mortali, senza aver mai accettato l'idea che la morte possa avere l'ultima parola. Dio lascia andare avanti le cose, ma con il crescere della popolazione cresce anche, come previsto fin dall'inizio, la malvagità degli uomini. Fin dall'inizio il male si presenta come un lievito che fermenta la società e si sviluppa fino a diventare inarrestabile. E qui la Bibbia usa parole tremende:
«L'Eterno vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra, e che tutti i disegni dei pensieri del loro cuore non erano altro che male in ogni tempo» (Gen. 6:5).
E questo sembra far cambiare al Signore il suo primo proposito:
«L'Eterno si pentì d'aver fatto l'uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo. E l'Eterno disse: 'Io sterminerò di sulla faccia della terra l'uomo che ho creato: dall'uomo al bestiame, ai rettili, agli uccelli dei cieli; perché mi pento d'averli fatti'» (Gen. 6:6-7).
E' come se Dio dicesse a Se stesso: ho permesso alla società umana di sopravvivere pur essendo costituita da uomini mortali, ma ho visto che non funziona: dunque farò sparire tutta la società.

Qui però avviene il colpo di scena
"Ma Noè trovò grazia agli occhi dell'Eterno" (Gen. 6:8).
Che è successo? Che cosa ha visto l'Eterno in Noè di tanto buono da fargli cambiare idea?
Prima di rispondere a questa domanda, osserviamo una cosa di grande importanza: questa è la prima volta che nella Bibbia si usa la parola "grazia" (khen, in ebraico). Il termine ha assunto in seguito un significato teologicamente molto (troppo) tecnico, ma è bello per un non ebreo venire a sapere che l'espressione "trovare grazia" è ancora oggi molto comune in ebraico, tanto che per dire a una ragazza "mi piaci" si usa una locuzione che tradotta letteralmente suona "tu trovi grazia agli occhi miei".
Che cosa ha fatto allora Noè di tanto speciale da trovare il gradimento di Dio? Ha soltanto fatto quello che Dio gli aveva detto di fare: una cosa da idioti, umanamente parlando, perché solo così si può giudicare uno che lavora per decenni alla costruzione di una barca gigantesca in pieno deserto. Ma Noè l'ha fatto perché ha creduto in quello che Dio avrebbe fatto dopo, quando si sarebbe visto chi erano i veri idioti. Era questo in fondo quello che Dio cercava: qualcuno che accettasse la relazione d'amore con Lui nei limiti di ciò che era ancora possibile: l'ascolto fiducioso della Sua Parola.
Un altro termine compare per la prima volta nella Bibbia dopo il diluvio: "altare". Noè fu il primo a costruirne uno, e non si dice che lo fece per ordine del Signore. Dunque fu un atto di spontaneo ringraziamento a Dio. "E l'Eterno sentì un odore soave" (Gen. 8:20), che evidentemente lo ripagò del disgusto che aveva provato osservando la malvagità umana. E prese un impegno solenne con Se stesso:
«Io non maledirò più la terra a motivo dell'uomo, perché i disegni del cuore dell'uomo sono malvagi fin dalla fanciullezza; e non colpirò più ogni essere vivente come ho fatto» (Gen. 8:21).
Poi Dio benedisse Noè e gli rinnovò l'ordine che aveva dato ad Adamo ed Eva: "Crescete, moltiplicate e riempite la terra" (Gen. 9:1).

Un altro patto
Va detto che l'impegno preso da Dio davanti a Noè è un patto di pura conservazione: non risolve certo il problema del peccato e della morte, ma permette alla creazione e all'umanità di continuare ad esistere per poter essere l'ambito in cui Dio svolgerà l'opera di salvezza che inizierà con la chiamata di Abramo.
L'umanità che si generò dopo il diluvio si differenziò da quella precedente in questo: che la prima era autenticamente cattiva e la seconda era falsamente buona. Gli uomini rifiutarono di disperdersi sulla faccia della terra, come Dio aveva ordinato prima ad Adamo e poi a Noè. Erano uniti, e tali volevano rimanere. Cominciarono quindi a lavorare alacremente intorno a un progetto di mantenimento e consolidamento dell'Umanità Unita intorno alla Torre di Babele. Dio scese a vedere che cosa stavano facendo; si rese conto della situazione e misericordiosamente confuse i loro piani disperdendoli in una varietà di nazioni.
Negli ultimi decenni però gli uomini hanno ripreso i lavori interrotti alla Torre di Babele. Se Dio riuscì a far fallire il loro progetto dell'Umanità Unita facendo nascere e disperdere le nazioni, adesso gli uomini reagiscono con il progetto delle Nazioni Unite. E se Dio dopo la dispersione promise ad Abramo di creare in lui una nazione particolare attraverso cui avrebbe benedetto tutte le genti, adesso gli uomini delle Nazioni Unite si propongono come primo obiettivo di colpire e distruggere proprio quella particolare nazione che Dio ha voluto formarsi. Non ci riusciranno. Dio scenderà di nuovo, ma questa volta le cose andranno in modo diverso.
Sul tema della Torre di Babele si propone di leggere un articolo già presente sul nostro sito
"L'uomo di Scinear". M.C.

  (Notizie su Israele, 3 novembre, 2016)


Anniversario della deportazione degli ebrei genovesi: una marcia per non dimenticare

Il 3 novembre 1943, con un agguato dentro la sinagoga, iniziò la deportazione degli ebrei genovesi: furono arrestate circa venti persone, ed altri arresti seguirono nei giorni immediatamente successivi. In tutto furono deportate 261 persone, e fra queste furono solo venti i sopravvissuti.
A 73 anni da quei tragici fatti, la Comunità ebraica di Genova, la Comunità di Sant'Egidio, il Circolo Primo Levi e l'Università di Genova hanno organizzato una marcia della memoria, per ricordare una delle pagine più nere della vita della città.
Giovedì 3 novembre, alle ore 17.30 a Genova una marcia silenziosa da Galleria Mazzini fino alla Sinagoga di passo Bertora. Interverranno: il rabbino capo di Genova Giuseppe Momigliano, l'Assessore del Comune di Genova Elena Fiorini, il responsabile della Comunità di Sant'Egidio di Genova Andrea Chiappori. il presidente della Comunità Ebraica di Genova Ariel dello Strologo.

(Albenga Corsara News, 3 novembre 2016)


La fatwa della sinistra bianca

Dopo gli islamisti, sulla testa di Hirsi Ali arriva anche una taglia liberal. Storia di un rapporto scandaloso e di una lista che mette a nudo l'ipocrisia progressista sui musulmani moderati.

di Giulio Meotti

Lo storico olandese Geert Mak ha paragonato Hirsi Ali a Goebbels, mentre nei campus del Massachusetts è persona non grata Gli scrittori londinesi attaccarono Rushdie, "l'inglese dalla pelle scura", mentre la gauche francese ha dato di "razzista" all'algerino Daoud Azar Nafisi è stata chiamata "informatrice nativa", mentre a Maryam Namazie hanno tolto la parola nelle università britanniche Il libro dell'egiziano Hamed Abdel, Samad è stato censurato in quanto porterebbe "acqua al mulino dell'estrema destra"

E' stato il quotidiano francese Le Figaro a delineare meglio la tragica condizione di duplice prigionia di queste personalità musulmane minacciate di morte: "Sono considerati traditori dai fondamentalisti e vivono in un inferno. Agli occhi degli islamisti, la loro libertà è un atto di tradimento. Sono soli contro l'islamismo che usa il terrorismo fisico dei kalashnikov ma anche contro un terrorismo intellettuale che li sottopone alle intimidazioni dei media. Visti come 'traditori' dalle loro comunità. sono accusati dalle élite occidentali di 'stigmatizzare'". E' quest'ultima accusa a dominare l'incredibile rapporto reso noto questa settimana dal Southern Poverty Law Center, il centro studi creato in America per combattere il Ku Klux Klan e la galassia ariana (la vita del suo fondatore, Morris Dees, è stata resa popolare in tv da Line of Fire).
  Il Southern Poverty Law Center ha stilato una lista di quindici "estremisti antislamici". Fra questi c'è anche Ayaan Hirsi Ali, la dissidente islamica più famosa del mondo, e Maajid Nawaz, il musulmano britannico che ha fondato la Fondazione Quilliam per combattere il radicalismo e che è stato consulente di Tony Blair, Gordon Brown e David Cameron. Come è possibile che in una lista nera di "estremisti antislamici" ci finiscano anche due rappresentanti dell'islam moderato, quello vero? E' Nick Cohen sullo Spectator a spiegare perché: "Nel mondo orientalista liberal, l'unico 'vero' musulmano è un barbaro. Una batteria di insulti è lanciata su qualsiasi musulmano che dica il contrario. Essi sono 'neoconservatori', 'informatori nativi' e 'sionisti'. In breve, una parte della sinistra occidentale ha adottato l'ideologia dei salafiti, dei khomeinisti e degli islamisti. Sostiene i loro codici di blasfemia".
  Il Wall Street Journal in un editoriale non firmato ieri ha attaccato il rapporto del Southern Poverty Law Center, dicendo che "come se gli attacchi dei fanatici islamisti violenti non fossero sufficienti, i riformatori musulmani devono ora anche schivare gli attacchi della sinistra americana". Sulla rivista Tablet, Lee Harris fa notare che "il Southern Poverty Law Center sta mettendo una taglia sulle teste dei musulmani come Maajid Nawaz che si oppongono all'estremismo islamico. Questo documento è semplicemente un elenco dei nemici, del tipo dei fascisti, degli stalinisti, e degli altri totalitari".
  Cohen sullo Spectator parla della "prima fatwa della sinistra bianca". In realtà non è affatto la prima. Timothy Garton Ash, opinion maker liberal, si è chiesto quanto il successo di Ayaan Hirsi Ali dipenda dalla sua bellezza e l'ha definita una "fondamentalista dell'illuminismo", speculare agli islamisti che la vogliono morta. "Non manco di rispetto alla signorina Ali se faccio notare che se fosse bassa, tozza e strabica, le sue storie e le sue opinioni non sarebbero così seguite", ha scritto Garton Ash niente meno che sulla New York Review ofBooks. Simili le critiche rivolte a Hirsi Ali da Ian Buruma, giornalista olandese trapiantato nell'Upper West Side a New York.
  Sulla rivista tedesca Perlentaucher, il francese Pascal Bruckner ha difeso Hirsi Ali dalle critiche di Buruma e Garton Ash: "Non basta che Ayaan Hirsi Ali debba vivere come una reclusa, minacciata di morte dai fondamentalisti e circondata da guardie del corpo. Ora deve anche sopportare il ridicolo di questi grandi idealisti e filosofi pantofolai. In Olanda è stata persino chiamata nazista. Così i difensori della libertà sono raffigurati come fascisti, e i fanatici diventano vittime!". Così Ian Buruma e Timothy Garton Ash mostrano "lo spirito degli inquisitori che vedevano delle streghe possedute dal male in ogni donna troppo esuberante per i loro gusti".
  Geert Mak, il più noto storico olandese, ha paragonato il film "Submission", sceneggiato da Hirsi Ali per il regista Theo van Gogh e che gli costò la vita, all"'Ebreo eterno", il film di propaganda nazista. Hirsi Ali stigmatizza i musulmani come Joseph Goebbels faceva con gli ebrei. L'"Index on Censorship", la rivista fondata da Stephen Spender per difendere il diritto dei dissidenti sovietici a parlare liberamente, in un articolo a firma di Rohan Jayasekera, direttore associato del magazine, ha invece dipinto Hirsi Ali come una sciocca ragazza che aveva permesso a un uomo bianco (Van Gogh) di manipolarla in un "rapporto di lavoro di sfruttamento".
  Due anni fa, Hirsi Ali è stata cacciata dalla Brandeis University, una delle culle del liberalismo accademico americano che avrebbe dovuto onorarla con una laurea. Se non fosse che degli accademici di sinistra hanno fatto pressione sull'ateneo perché ritirasse il premio a Hirsi Ali. 85 su 350 professori professori dell'ateneo nel Massachusetts, uno degli stati più di sinistra d'America, erano troppo imbarazzati a ospitare una portavoce del Terzo mondo e dell'islam così famosa.
  Successe anche a un altro musulmano moderato, Salman Rushdie. Il governo canadese vietò temporaneamente le importazioni dei "Versi satanici". Jack Straw, leader del Partito Laburista, propose di estendere la legge sulla blasfemia a tutte le religioni, dichiarando illegale ogni contenuto che "offendesse il sentimento religioso". L'Accademia svedese, che assegna il Nobel per la letteratura, rilasciò una ridicola dichiarazione su Rushdie, assolutamente priva di spina dorsale. Così tre membri della Svenska Akademien - due romanzieri (Kerstin Ekman e Lars Gyllensten) e un poeta (Werner Aspenstrom) - si dimisero in segno di protesta perché la prestigiosa istituzione aveva fallito nel difendere lo scrittore minacciato di morte. Nel febbraio 1989 il Pen American Center guidato da Susan Sontag organizzò un convegno a sostegno di Rushdie. I più addussero scuse per "bucare" l'evento. Arthur Miller spiegò che il suo ebraismo avrebbe potuto giocare un ruolo controproducente. Gran parte della sinistra letteraria londinese si schierò con l'ayatollah Khomeini anziché con lo scrittore.
  Germaine Greer diede a Rushdie di "egomaniaco" e lo chiamò "l'inglese dalla pelle scura". Roald Dahl, autore di libri per ragazzi, chiamò Rushdie "pericoloso opportunista". George Steiner, uno dei più rispettati critici culturali al mondo, tagliò corto: "Rushdie ha fatto in modo di creare un sacco di problemi". E lo storico Hugh Trevor-Roper: "Mi chiedo come Rushdie stia in questi giorni sotto la protezione benevola del diritto britannico e della polizia britannica, con cui lui è stato così maleducato. Non troppo comodamente, spero ... non avrei versato una lacrima se alcuni mussulmani britannici, deplorando i suoi modi, avessero cercato di migliorarli". Il re dello spionaggio letterario, John Le Carré, definì Rushdie un "cretino", mentre il romanziere John Berger sul Guardian invitò Rushdie a "chiedere ai propri editori di smettere di pubblicare 'I versetti satanici'". In un editoriale sul New York Times, l'ex presidente americano Jimmy Carter definì il libro di Rushdie "un insulto ai musulmani". E quando Susan Sontag e Gay Talese lessero in pubblico le pagine più controverse del romanzo in un locale di New York, solo una manciata di intellettuali si fece vedere. L'elenco di chi prese posizione a favore di Rushdie fu a dir poco breve, tanto che Leon Wieseltier, redattore letterario di New Republic, scrisse: "Si possono contare sul numero delle dita di una mano tremante. La stragrande maggioranza degli scrittori americani, quando gli è stato chiesto di parlare pubblicamente in supporto, ha scelto di non farlo. E le persone che non parlano oggi perché è pericoloso sono le stesse persone che hanno fatto carriera parlando quando non era pericoloso". Spettacoli televisivi, come il MacNeil/Lehrer NewsHour e Nightline, si lamentarono che autori di primo piano si rifiutassero di discutere la "questione Rushdie".
  E' successo di nuovo un anno fa con il caso dello scrittore algerino Kamel Daoud, l'autore del romanzo "Il caso Meursault" (premio Goncourt per il romanzo d'esordio). Daoud, oltre agli editti dei predicatori islamici nel suo paese, ha dovuto affrontare una condanna ben più sinuosa in Francia. Prima è uscito l'appello sul Monde di venti accademici di sinistra, in cui si accusa Daoud di una serie di reati ideologici, come "cliché orientalisti", "essenzialismo", "psicologizzazione", "paternalismo colonialista", che corrispondono, nel loro insieme, a un'accusa di "razzismo" e "islamofobia".
  Poi è uscito un libro dal titolo "Kamel Daoud la contre enquète", a firma di Ahmed Bensaada e con la prefazione del giornalista di Mediapart, Jacques-Marie Bourget, che attacca "questi intellettuali del Nord Africa, che, da un effetto pendolo degno di Foucault, fanno gli ausiliari dei pensatori neo-conservatori francesi" che hanno bisogno del "buon negro", "l'alibi nativo". Daoud viene definito "martire di una fatwa in pelle di coniglio", colpevole di ritrarre "tutti gli arabi e i musulmani nel mondo come frustrati, furfanti senza coraggio, esseri senza credenze, corrotti e acquistabili dal miglior offerente". Daoud strumento del "pensiero neo colonialista". Daoud "l'utile idiota del neocolonialismo di una cricca di intellettuali del Flore" (il caffè parigino).
  "Il processo per islamofobia contro Kamel Daoud è degno dell'epoca staliniana", ha scritto sul Figaro il politologo Laurent Bouvet, accusando il "complesso coloniale" e "il rifiuto della realtà" di certa gauche, mentre sul settimanale Le Point, Étienne Gemelle attacca "gli sciocchi della sinistra regressiva". Gli attacchi al romanziere e giornalista algerino arrivano dalla London Review of Books, la bibbia delle élite liberal britanniche, che definisce Daoud "irresponsabile". Rafik Chekkat chiama Daoud "un informatore nativo", sostiene che "la sua decisione di lasciare il giornalismo sarebbe l'unica buona notizia in mezzo a tutto questo rumore". Si chiede Mediapart: "Daoud è islamofobo?", mentre il suo patron, il procuratore delle lettere Edwy Plenel, chiede a Daoud di "scusarsi". Su Libération, Olivier Roy, islamologo di riferimento per molti giornali anche in Italia, in un articolo dal titolo "Colonia e il tartufo femminista", accusa Daoud di stigmatizzare i musulmani: "Il maschilismo e le molestie sessuali esistono in tutto il mondo, perché isolare questo fenomeno tra i musulmani, invece di combatterne tutte le forme? Solo perché sono musulmani". E, sempre sul Monde, Jeanne Favret-Saada, orientalista di fama, accusa Daoud di "parlare come l'estrema destra europea". J ocelyne Dakhlia, docente all'Ecole des hautes études en sciences sociales, scrive che Daoud ha riciclato "una visione culturalista della violenza sessuale".
  Il tic inquisitorio della sinistra verso l'islam moderato ha contagiato anche Gad Lerner, che ha attaccato sul suo blog Maryan Ismail Mohamed, portavoce della comunità somala di Milano e candidata con la lista di Giuseppe Sala, che ha lasciato il Partito democratico in polemica con la scelta di sostenere la candidatura di Sumaya Abdel Qader, musulmana velata eletta in Consiglio comunale. Gad Lerner si è rivolto così a Maryan: "Lanciare accuse gratuite di salafismo o addirittura di nazismo contraddice la realtà e riproduce in miniatura, dentro alle nostre comunità, la guerra in corso nei paesi d'origine. Favorire una simile tendenza sarebbe da irresponsabili".
  Stesso trattamento venne riservato dalla sinistra all'allora vicedirettore del Corriere della Sera, Magdi Allam, preso di mira in un appello apparso su Reset e firmato da duecento intellettuali. storici e scrittori: si va da Agostino Giovagnoli, storico alla Cattolica di Milano, ad Alfredo Canavero di Avvenire; da Guido Formigoni, studioso di cattolicesimo, al priore di Bose Enzo Bianchi, che confeziona un cristianesimo pret-à-porter. Fino ad Alberto Melloni, Paolo De Benedetti, il medievologo Franco Cardini e il filosofo della Cattolica di Milano Franco Riva, che scrive per le edizioni cattoliche Città Aperta.
  Stesso trattamento riservato all'egiziana Mona Elthaway, femminista e critica del patriarcato islamico, attaccata così in un articolo sull'Huffington Post: "Libri delle 'voci native' - tra cui 'Infedele' di Ayaan Hirsi Ali, Azar Nafisi con 'Leggere Lolita a Teheran' e Irshad Mandji con 'La fede senza paura' - aiutano a 'fabbricare il consenso' per le guerre in Iraq e in Afghanistan". Nafisi venne definita da un docente alla Columbia University "intellettuale venduta", mentre Fouad Ajami, musulmano libanese e docente di studi mediorientali, fu chiamato su The Nation "informatore nativo".
  Maryam Namazie, altra intellettuale islamica di origini iraniane, è stata cacciata dall'Università di Warwick, in Inghilterra, perché la sua conferenza avrebbe potuto "alimentare l'islamofobia". La stampa progressista, guidata dal Guardian, ha sostenuto l'esclusione di Namazie con queste argomentazioni: "Le sue parole non sono state vietate, lo stato non l'ha imbavagliata, e la capacità di Namazie di condividere le sue idee sarebbe stata sminuita se non appare di fronte agli studenti? Dopo tutto, lei può ancora twittare, e se non altro l'intera vicenda ha aumentato il suo pubblico". Certo, e Rushdie è costato un occhio al contribuente inglese.
  Gli studenti della Duke University hanno cercato di impedire di parlare a un'altra dissidente islamica, Asra Nomani, autrice del libro "Standing Alone". In Francia, lo scrittore egiziano Hamed AbdelSamad si è visto ritirare dal mercato il libro "Der Islamische Faschismus", bestseller in Germania, perché secondo la casa editrice Piranha avrebbe portato "acqua al mulino dell'estrema destra".
  Ai benpensanti liberal, l'islam moderato piace quando si traveste da Tariq Ramadan, da Ucoi e da imam in doppio petto. I dissidenti della mezzaluna li liquida invece come agenti provocatori della Cia. Questa fatwa della sinistra bianca e borghese non colpisce meno duro di quella degli islamisti.

(Il Foglio, 3 novembre 2016)


Gli ebrei al muro del pianto se le suonano fra di loro

Ultraortodossi contro modernisti

Scontri senza precedenti sono scoppiati ieri al Muro del pianto a Gerusalemme fra ebrei ultraortodossi e riformisti. Tutto è cominciato quando un corteo di circa 200 rabbini e fedeli dell'ebraismo Riformista, assieme ad attiviste del gruppo «donne del muro», si è diretto verso il luogo sacro. Scopo della marcia, a cui partecipavano anche leader ebraici venuti dall'estero, era ribadire la richiesta di un luogo paritario dove donne e uomini possano pregare assieme davanti al Muro del pianto. Ma gli ultraortodossi presenti hanno aggredito fisicamente i partecipanti alla marcia, con botte e spintoni. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha poi stigmatizzato la marcia, accusando gli organizzatori di una «rottura unilaterale dello statu quo» al Muro del pianto perché «minano i nostri sforzi di trovare un compromesso».

(Libero, 3 novembre 2016)


Risposta del Rettore dell'Università di Cagliari

Il 25 ottobre scorso abbiamo riportato una lettera di Alessandro Matta, direttore di "Associazione Memoriale Sardo della Shoah", al Rettore dell'Università di Cagliari. Riceviamo oggi, per conoscenza e diffusione, la lettera di risposta del Rettore e la successiva replica di Matta.


Gentile Sig. Matta
l'Università è fin dalla sua istituzione luogo di elaborazione del sapere e spazio di crescita culturale e umana attraverso il confronto. Così è anche per il nostro Ateneo, che da sempre ospita nei propri spazi dibattiti culturali sui temi più diversi, curando con la dovuta attenzione che la rappresentazione della realtà che in essi viene fatta passi anche attraverso la spiegazione di posizioni a volte distanti tra loro, nel rispetto reciproco di ognuno e nella libertà di espressione delle proprie opinioni. Ciò accade spesso, tutti i giorni, negli spazi dell'Ateneo.
Il nostro Ateneo garantisce inoltre la libertà di ricerca, come è dimostrato dall'aver sottoscritto specifici accordi con l'istituto da Lei citato.
Come è naturale, ciò che accade in spazi pubblici o nelle strade adiacenti ai nostri locali non rappresenta affatto la posizione dell'Ateneo, nemmeno quando nelle manifestazioni sono coinvolti studenti iscritti o altro personale.
Cordiali saluti
Maria Del Zompo
Rettore dell'Università degli Studi di Cagliari
________

Egregio Rettore
La ringrazio molto per la sua gentile risposta. Le sue parole dimostrano, al di là della condivisibilità o meno delle sue opinioni su quanto accaduto, la sua disponibilità al confronto e al dialogo pacato e rispettoso. Pertanto, non posso che ringraziarla .
Posso solo sperare, e chiederle con la presente, a nome sia mio che di tanti altri amici di Israele presenti nell'Isola, che il Prossimo 13 Novembre 2016, quando scadrà l'accordo tra l'Università degli Studi di Cagliari e il Technion Institute, il presente accordo sia rinnovato ulteriormente, e che oltre che rinnovato, venga anche presentato Pubblicamente come Merita a tutti gli studenti ed ai cittadini di Cagliari.
Sono certo che i molti risultati positivi di questo accordo vadano al di là di certe manifestazioni poco accettabili di puro e semplice boicottaggio e di certe "raccolte firme" che ci risultano essere addirittura state consegnate al Senato Accademico nella stessa giornata di quella manifestazione negli spazi esterni alla sede dell'Università.
In fede
Dott. Alessandro Matta
Associazione Memoriale Sardo della Shoah

(Notizie su Israele, 2 novembre 2016)


Israele, la frontiera dell'Europa

Giovedì 17 novembre 2016, Roma.
ll Foglio promuove un grande evento con ospiti internazionali per ricordare che il nostro futuro è indissolubilmente legato a quello del nostro avamposto in medio oriente
Nel ricorrere dell'anno dagli attentati di Parigi e dallo scoppio di una nuova Intifada in Israele, mentre assistiamo allibiti all'annichilimento del legame millenario tra gli ebrei e Gerusalemme da parte dell'Unesco, ll Foglio promuove un grande evento con ospiti internazionali per ricordare che il futuro dell'Europa è indissolubilmente legato a quello del nostro avamposto in medio oriente.

Interverranno:
lo scrittore algerino Boualem Sansal,
l'ex ministro degli esteri israeliano Tzipi Livni,
il blogger palestinese Waleed Al-Husseini,
lo storico Benny Morris,
l'Arcivescovo di Ferrara Mons. Luigi Negri,
l'Imam francese Hassen Chalghoumi,
l'archeologo Gabriel Barkay,
il CEO di SodaStream Daniel Birnbaum,
gli autori Bat Ye'or e Bruce Bawer,
l'antropologa Maryan Ismail.

Per confermare la propria presenza e per informazioni: eventoisraele@ilfoglio.it

(Il Foglio, 2 novembre 2016)


Obama progetta una "sorpresa israeliana"?

NEW YORK - Uno dei pochi sviluppi geopolitici positivi nella regione del Medio Oriente, scrive la direzione del "Wall Street Journal" in un editoriale non firmato, è la progressiva riappacificazione tra Israele e i paesi sunniti circostanti, per effetto delle minacce comuni rappresentate dall'Iran e dallo Stato islamico. I diplomatici di Tel Aviv temono però che il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, possa mettere a rischio tale dinamica di riavvicinamento tentando di forzare una risoluzione del conflitto israelo-palestinese presso le Nazioni Unite, prima della conclusione del suo secondo mandato alla Casa Bianca.
   L'amministrazione presidenziale, sottolinea l'editoriale, ha mantenuto un inusuale riserbo in merito all'approccio che intende adottare in sedo Onu, ma si sa che il dipartimento di Stato ha ricevuto la richiesta dall'amministrazione di approntare una serie di opzioni per le ultime settimane di Obama alla guida degli Stati Uniti. Tra le ipotesi figurerebbe la sponsorizzazione, o quantomeno l'avallo, di una risoluzione del Consiglio di sicurezza che condanni la politica israeliana degli insediamenti: una posizione senza precedenti, che stando alle fonti del "Wall Street Journal" potrebbe essere addirittura accompagnata "dalla revoca delle esenzioni fiscali dell'Internal Revenue Service (Irs) per i soggetti o le persone giuridiche coinvolti nella costruzione degli insediamenti" nei territori occupati della Palestina. Gli Usa avevano opposto il veto a una simile risoluzione del Consiglio di sicurezza nel 2011, obiettando che essa avrebbe "rischiato di indurire le posizioni di entrambe le parti". Tale obiezioni, afferma la direzione del quotidiano Usa, "resta valida anche oggi", ma la condanna degli insediamenti "è una posizione sempre più popolare all'interno del dipartimento di Stato", e consentirebbe al presidente Obama "di rafforzare il suo status di icona progressista in vista del post-presidenza".
   Tra le opzioni sul tavolo del presidente Usa ci sarebbe anche il riconoscimento formale dello Stato arabo palestinese, in contrasto con la posizione del Congresso federale secondo cui la Palestina manca degli attributi fondamentali della statualità. Un'opzione "potenzialmente ancora peggiore", conclude il quotidiano, potrebbe essere la forzatura di una risoluzione del Consiglio di sicurezza che "fissi dei 'parametri' per un accordo definitivo tra Israele e palestinesi": una risoluzione di questo tipo è già stata avanzata dalla Francia, e Obama potrebbe limitarsi a non opporle il veto.
   Se Washington percorresse questa strada, avverte il "Wall Street Journal", commetterebbe "un errore grossolano": "I palestinesi si attaccherebbero a quei parametri come a un loro diritto di nascita, rendendo impossibile a un qualunque leader palestinese di negoziarne una parte nell'ambito di trattative concrete". Gli Stati arabi, invece, "si troverebbero le mani legate, e non potrebbero fare da intermediari tra Tel Aviv e Ramallah, con rischio di un nuovo, brusco raffreddamento delle loro relazioni con Israele".

(Agenzia Nova, 2 novembre 2016)


Haredim in cerca di un'occupazione

di Daniel Reichel

 
 
La questione dell'occupazione del mondo haredi (ultraortodossi) in Israele è un evergreen. Essendo un problema che tocca uno dei settori più complessi della società israeliana - criticato perché sostenuto da cospicui sussidi statali e su cui non grava l'obbligo di leva - i dati pubblicati dall'Istituto centrale di statistica israeliano e dall'Istituto della democrazia israeliana sono da registrare come segnali positivi. Secondo questi risultati, che analizzano i dati provenienti da diverse istituzioni, il tasso di occupazione tra gli uomini ultra-ortodossi ha recentemente superato la soglia del 50 per cento, ancora molto sotto all'87 per cento degli uomini ebrei non-haredi, ma con un incremento del 14 per cento rispetto al 2003. Tra le donne haredi invece il tasso di occupazione è pari al 73 per cento rispetto al 81 delle donne ebree non haredi, con un aumento del 21 dal 2003 a oggi.
   Si tratta evidentemente di un cambiamento significativo ma molto graduale e che ancora deve fare sentire i suoi effetti sul tasso di povertà che ancora affligge la realtà haredi. Se il problema occupazionale è cosa nota, infatti, altrettanto lo è quello del livello di indigenza in questo settore: il tasso di povertà tra i haredim è al 52 per cento contro il 19 della popolazione generale. A causa di un sensibile taglio agli assegni famigliari nel 2003 - spiega un articolo del sito di informazione israeliano davar 1 - questo livello era passato dal 45 al 58 per cento nel 2006, attestandosi poi al 52 attuale nel corso di diversi anni, nonostante il graduale aumento dell'occupazione. Il dato più preoccupante è quello legato all'infanzia: ancora oggi un quarto dei bambini haredi non ha la sicurezza alimentare. Il fatto è che il livello dei redditi del mondo cosiddetto ultraortodosso è ancora basso per cui l'impatto sui livelli di povertà tarda a farsi sentire, ma è questione di tempo.
   Siamo comunque, spiegano gli analisti, davanti a un positivo dato occupazionale, vista anche l'ostilità di una parte di questo mondo - ancora piuttosto forte - verso il mondo del lavoro. Esempio di questo atteggiamento, il ministro della Sanità Yaakov Litzman (esponente haredi), secondo cui bisogna mantenere l'esenzione alla leva per i haredim, così come il rifiuto all'istruzione laica (ad esempio l'insegnamento delle materie scientifiche) ed è necessario aumentare le sovvenzioni a chi dedica la vita solo a studiare la Torah. Il trend sembra però andare seppur lentamente in una direzione diversa da quella auspicata da Litzman. E questo è un segnale positivo per tutta Israele.

(Pagine Ebraiche, novembre 2016)


Gentiloni: Israele è un modello per la ricerca

Il Ministro consegna il 'premio Rita Levi Montalcini' al prof. Procaccia

ROMA - Oltre 100 ricercatori italiani in Israele e 170 progetti di collaborazione scientifica avviati tra i due Paesi. Questi alcuni numeri del rapporto di cooperazione nel settore industriale, scientifico e tecnologico tra Italia e Israele. "Una cooperazione che va avanti da 15 anni ed è una buona pratica", ha spiegato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni che oggi ha consegnato alla Farnesina il premio 'Rita Levi Montalcini' per la cooperazione scientifica tra Italia e Israele al professor Itamar Procaccia.
"Mai simbolo fu più adeguato di Rita Levi Montalcini per un premio del genere. Un esempio di vita, di impegno scientifico, dell'attenzione ai rapporti tra Italia e Israele", ha aggiunto il ministro che ha presieduto la prima edizione del riconoscimento con il ministro dell'Istruzione Stefania Giannini.

(ANSA, 2 novembre 2016)


Federica Mogherini: "L'invito a boicottare Israele è libertà d'espressione"

di Riccardo Ghezzi

"L'invito a boicottare Israele fa parte della libertà di espressione". A dirlo è l'Alto Commissario agli Affari Esteri e alle politiche di sicurezza dell'Unione Europea, l'italiana Federica Mogherini.
L'ex titolare della Farnesina ha risposto ad un quesito scritto e inoltrato a fine settembre dal Comitato palestinese per il Bds. Secondo Mogherini "l'Unione europea sostiene con forza il diritto dei cittadini a boicottare Israele" in quanto "l'UE difende la libertà di espressione e di associazione, in conformità con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea che si applica agli Stati membri anche per quanto riguarda le azioni BDS (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) condotte entro i confini".
Pur affermando che "l'UE non condivide la strategia BDS per isolare Israele", l'Alto Commissario non nega "la legittimità" dell'azione per difendere i diritti dei palestinesi.
Federica Mogherini ha giustificato questa presa di posizione affermando che, secondo la Corte europea dei diritti dell'uomo, la libertà di espressione si applica anche alle idee "che offendono, destano scalpore o disturbano uno stato o una parte della popolazione".
Una presa di posizione che va a contraddire le azioni di alcuni governi che hanno adottato leggi e politiche volte a limitare l'azione del movimento BDS, come ad esempio il Regno Unito, che però è in procinto di uscire dall'Ue.
Tre invece sono gli stati membri dell'Ue che hanno recentemente riconosciuto il diritto a boicottare Israele: Svezia, Irlanda e Paesi Bassi.
Ciò che Federica Mogherini ignora, o fa finta di ignorare, è che il boicottaggio non è un'opinione. Si tratta di un'azione, illegittima in questo caso anche dal punto di vista delle libertà di espressione, in quanto ostile non ad un governo ma all'esistenza stessa di uno stato, quello di Israele, che la campagna BDS vorrebbe fortemente danneggiare.
Difendendo, anche se non condividendo a parole, il diritto a boicottare Israele, l'Alto Commissario Ue agli Affari Esteri legittima pericolosamente l'opinione di chi pensa che Israele non abbia il diritto di esistere. Siamo alla legittimazione del boicottaggio di uno stato: caso unico nella storia.
Giustificare questo parlando di territori contesi, libertà di espressione e diritti umani è non solo scorretto, ma anche fuori luogo.

(L'Informale, 1 novembre 2016)


Il nuovo presidente libanese ribadisce: "Israele nemico numero uno!"

Il Parlamento del Libano ha eletto dopo due scrutini Michel Aoun, 81 anni, quale presidente della repubblica, ponendo così fine ad un vuoto di potere che durava da ormai due anni.
Aoun è un ex-generale dell'esercito, di religione cristiana maronita, che fin dal suo discorso di insediamento non ha tradito la sua posizione anti-sionista, affermando senza mezzi termini che il regime israeliano è "la più grande minaccia per il Libano".
Ha poi continuato dichiarando che bisogna adottare ogni misura utile per liberare le zone occupate dai sionisti, trovandosi in ciò d'accordo con i comunisti, il cui leader Khalid Hadadeh ha già avuto un colloquio.
Il principale partito sciita, Hezbollah guidato da Hassan Nasrallah (a capo di una coalizione che unisce il Partito Comunista Libanese e la Lega Operaia Libanese) ha garantito il al nuovo presidente il proprio appoggio al momento del voto.

(Sinistra.ch, 1 novembre 2016)


Catania - Incontro di studio al Policlinico. Visita di radiologi israeliani

L'incontro di studio è stato organizzato e coordinato dal punto di vista scientifico dal Prof. Guglielmo Trovato, referente regionale dell'Azienda per le attività relative alla internazionalizzazione e alle progettualità di ricerca e innovazione, e dal punto di vista logistico dal dr Salvatore Favitta.

 
CATANIA - Un gruppo di 40 Radiologi e Tecnici di Radiologia Israeliani, da tutti i più importati Centri di diagnostica di Israele, hanno partecipato a un incontro di studio all'interno delle strutture dell'Azienda Ospedaliera Policlinico-Vittorio Emanuele di Catania. Questo incontro è stato direttamente richiesto al Direttore Generale dr Paolo Cantaro dal dr. Menahem Ashkenazy, di Gerusalemme, Segretario Generale della Israeli Radiographers Union (I.R.U), associazione che riunisce tutti i professionisti e i ricercatori di area radiologica che operano in Israele.
   L'incontro di studio è stato organizzato e coordinato dal punto di vista scientifico dal Prof. Guglielmo Trovato, referente regionale dell'Azienda per le attività relative alla internazionalizzazione e alle progettualità di ricerca e innovazione, e dal punto di vista logistico dal dr Salvatore Favitta.
   L'incontro (workshop) è stato moderato dal dr. Ashkenazy e dal Prof. Trovato, e introdotto nella Sala Conferenze del nuovo Edificio 8, con una conferenza del Prof. Antonello Basile, il cui intervento è stato esplicitamente richiesto dai Colleghi israeliani per un confronto di studio con una così riconosciuta autorità nel campo della radiologia interventistica.
   La discussione è stata molto ricca di domande e di commenti che hanno messo in evidenza le somiglianze e le differenze tra i due sistemi, Israeliano e Siciliano, in due territori e popolazioni molto simili anche per dimensioni. Fra l'altro, la struttura architettonica del nostro Policlinico è un modello per alcuni centri israeliani.
   L'interesse preminente è stato rivolto a una analisi costi-benefici evidenziando come professionisti in campo radiologico, bene integrati in staff di tecnici esperti e con apparecchiature e itinerari di assistenza appropriati, sono in grado di fornire risposte di diagnosi rapide e tempestive, e azioni di terapia efficaci e sicure per i pazienti. Ciò risolve in un notevole risparmio di costi, in quanto interventi complessi, che altrimenti andrebbero eseguiti con modalità chirurgica aggressiva, possono venire attuati in maniera semi-ambulatoriale. Su questa base in Israele le degenze medie in ospedale sono di 3.5 giorni, per tutte le patologie, risultato ottenuto incentivando le attività di Day service e di Day hospital. Questa strategia di gestione attiva del rischio clinico è oggetto di studio e di attuazione anche nel nostro Policlinico.
   Il prof. Basile e il prof. Stefano Palmucci hanno fornito informazioni sulle procedure, sulle apparecchiature di radiologia avanzata in uso, sulle modalità di training di tecnici e radiologi in una prospettiva di adeguamento e accreditamento internazionale. Il prof. Trovato e il dr. Ashkenazy hanno infine riassunto alcuni dei punti emersi, che erano stati gli elementi di interesse dei Colleghi israeliani nella loro visita:
  1. le procedure interventistiche ecografiche di base (accessi vascolari etc) sono la regola in tutti gli ospedali israeliani; l'utilizzo in medicina di urgenza e il training in ecografia è un obiettivo in Israele, e il modello attuato al Policlinico e per loro di estremo interesse.
  2. Ulteriori e tempestivi perfezionamenti in radiologia interventistica potrebbe essere possibile anche con collaborazioni internazionali, specie nel campo delle urgenze vascolari e della terapia interventistica radiologica di metastasi anche ossee, il campo di particolare eccellenza mostrato dal Prof. Basile.
I Colleghi Israeliani hanno ringraziato per l'ospitalità con cui sono stati accolti in Italia, e hanno invitato a incentivare visite analoghe di professionisti italiani in Israele.

(Live Sicilia Catania, 1 novembre 2016)


Israele progetta una ferrovia sotto la Città Vecchia di Gerusalemme

La notizia arriva a una settimana dalle polemiche fra l'Unesco ed Israele per la preservazione del carattere particolare di Gerusalemme

In un futuro non lontano gli israeliani potranno raggiungere direttamente in treno il Muro del Pianto - e non più passando a piedi attraverso un dedalo di viuzze - grazie a un nuovo tratto di ferrovia che sarà scavato ad ottanta metri sotto alla Città Vecchia di Gerusalemme.
Questo almeno un progetto che viene elaborato su richiesta del ministro dei trasporti Israel Katz (Likud), secondo quanto riporta Yediot Ahronot a una settimana dalle polemiche fra l'Unesco ed Israele per la preservazione del carattere particolare di Gerusalemme.
Il giornale ha appreso che si tratta di una estensione della linea ferroviaria veloce Tel Aviv-Gerusalemme che entrerà in funzione nella primavera del 2018; il tragitto sarà allora percorso in un tempo record di 28 minuti.
Adesso, precisa il giornale, Katz ritiene opportuno che quella linea prosegua di due chilometri fin sotto alla Città Vecchia di Gerusalemme per raggiungere così il Muro del Pianto. Lo scopo, è stato precisato, è quello di snellire il traffico in superficie e di agevolare le masse di turisti in visita a Gerusalemme.

(tio.ch, 1 novembre 2016)


Arte ebraica, le antiche ketubbot in mostra

di Marco Di Porto

Il rapporto tra arte ed ebraismo. Un argomento estremamente complesso che già si evince dal titolo della giornata di studi in programma giovedì mattina a partire dalle 9 al Centro Bibliografico Tullia Zevi dell'Unione dele Comunità Ebraiche Italiane: "Immagini vietate o permesse?". Un chiaro riferimento al divieto dell'idolatria, che si è tradotto storicamente in una frequentazione un po' problematica, nel mondo ebraico, dell'espressione artistica. Privilegiando l'adornamento di oggetti sacri o legati al rito, spesso artisticamente e riccamente decorati. Ne sono un esempio le ketubboth, i contratti matrimoniali ebraici, di cui alcuni esemplari, provenienti dal fondo del Centro Bibliografico, potranno essere ammirati nella piccola ma significativa esposizione che sarà allestita a margine del simposio.
"Saranno esposte dieci ketubboth, nove di Senigallia e una di Ancona" spiega Micaela Vitale, responsabile delle attività culturali del Pitigliani, tra i relatori del convegno, con un intervento sull'argomento. "Si tratta di contratti matrimoniali dell''800, decorati con diversi tipi di figure, animali, vegetali, umane e anche mitologiche, come alcuni animali fantastici".
Il fondo di ketubboth del Centro Bibliografico dispone in tutto di oltre sessanta manufatti. Quarantaquattro provengono da Senigallia, e riguardano matrimoni avvenuti anche ad Ancona e Perugia. Quattro provengono dalla biblioteca del Collegio Rabbinico, cinque sono frutto di una donazione, infine dodici sono state depositate dalla Comunità ebraica di Mantova"
Le ketubboth provenienti da Senigallia permettono un interessante sguardo sull'Italia ebraica dell''800", sottolinea Vitale. "E hanno caratteristiche - aggiunge - in comune con quelle di altre città italiane, testimoniando uno scambio proficuo di 'saperi' anche allora. È utile approfondire il legame tra arte e cultura ebraica. Nei secoli si è diffusa la credenza che gli ebrei non abbiano prodotto arte. Anche se di sicuro c'è stata una diversa sensibilità per l'arte figurativa, gli ebrei hanno saputo esprimersi con efficacia e producendo opere di notevole interesse. Spesso funzionali o legate al rito, ma di grande valore artistico."

(moked, 1 novembre 2016)


L'Italia finanzia il terrorista: 75mila euro ad Abu Omar

L'ex imam nel nostro Paese deve scontare sei anni. Ma il governo gli paga senza fiatare il risarcimento Ue.

di Luca Fazzo

«Roba da Corte dei Conti, chi ha autorizzato questo pagamento dovrebbe essere chiamato a restituirlo di tasca sua»: così si brontola (per usare un eufemismo: la realtà è che sono furibondi) negli ambienti dell'intelligence nostrana, quando ieri si scopre che in Egitto un terrorista islamico ha appena ricevuto un finanziamento alla luce del sole da parte del governo italiano.
   Il terrorista si chiama Abu Omar, ed è assai noto alle cronache: nel 2003 venne rapito a Milano da una squadra della Cia e consegnato al governo egiziano. Per quel sequestro, ventitre 007 americani sono stati incriminati, processati e condannati. Gli agenti segreti italiani che secondo la Procura di Milano li avevano aiutati sono usciti di scena (qualcuno di loro nel frattempo si è anche fatto la galera, muto come un pesce) in conseguenza del segreto di Stato imposto in coerente sequenza dai governi Prodi, Berlusconi, Monti, Letta e Renzi.
   Ma mentre venivano processati i suoi rapitori, anche le indagini della Procura milanese a carico di Abu Omar andavano avanti: fino alla condanna definitiva a sei anni di carcere per terrorismo internazionale. Abu Omar non è un innocente vittima delle angherie della Cia. Abu Omar è un predicatore della jihad, che dalla moschea milanese di via Quaranta organizzava attentati e arruolava combattenti.
   Oggi Abu Omar vive in Egitto, prima al Cairo dove aveva aperto una macelleria, oggi (secondo quanto riferisce ieri l'Adnkronos) ad Alessandria. Non ha cambiato le sue idee, come dimostrano le interviste che di tanto in tanto rilascia. Il governo del Cairo se ne liberebbe volentieri, consegnandolo all'Italia per fargli scontare la sua condanna: peccato che nessuno abbia finora chiesto la sua estradizione.
   E adesso ad Abu Omar, nel suo confortevole latitanza in patria, arriva anche il bonifico a cinque cifre della Repubblica Italiana. Merito della Corte europea dei diritti dell'uomo, cui l'imam terrorista si era rivolto lamentando la violazione della sua libertà: e la Corte, ritenendo chissà come provata la responsabilità anche dei servizi segreti italiani nella rendition organizzata dalla Cia, nel marzo scorso aveva condannato Palazzo Chigi a risarcirlo con 75mila euro.
   Sembrava una condanna destinata a rimanere simbolica: come poteva il terrorista latitante Abu Omar incassare materialmente il risarcimento? «Se vuole i soldi - diceva in quei giorni uno 007 - venga in Italia e si costituisca». Invece, contro ogni previsione, il governo ha deciso di pagare. Ad attivarsi per eseguire la sentenza di Strasburgo sarebbe stato direttamente Marco Minniti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti. Minniti conosce perfettamente il mondo degli 007, probabilmente ha anche idee piuttosto precise su come sia andato davvero il sequestro di Abu Omar, e di sicuro poteva immaginare lo sconcerto che la sua decisione avrebbe creato. Eppure ha attivato le procedure, si è procurato l'iban del terrorista e ha disposto il bonifico: 75mila al predicatore, 15mila alla ex moglie e 5mila di spese legali. «Ho ricevuto sul mio conto bancario l'indennizzo, e così mia moglie. Sono molto felice per quel che ha fatto il governo italiano e spero che anche il governo americano faccia lo stesso», spiega Abu Omar all'Adnkronos. L'obiettivo è ora il gruzzolo ben più consistente che dovrebbe pagargli Washington in seguito alla condanna dei ventitre della Cia. Ma quelli sono soldi che difficilmente vedrà: anche perché fa sapere che li spenderebbe per aiutare Omar Abdelrahman, lo sceicco cieco all'ergastolo negli Usa per terrorismo.

(il Giornale, 1 novembre 2016)


Abu Mazen: "Siamo contro la guerra. Pronti a discutere i confini con Israele"

Il presidente palestinese: "Confidiamo nei negoziati internazionali promossi dalla Francia". Oggi riceve Mattarella: "Con l'Italia ottimi rapporti, ora Renzi riconosca il nostro Stato".

di Maurizio Molinari

Mahmoud Abbas
RAMALLAH - Al centro della città palestinese più prospera e vivace c'è la Muqata dove, al secondo piano, poco distante dall'ex ufficio di Yasser Arafat, incontriamo il presidente palestinese Abu Mazen (Mahmoud Abbas). È circondato dai consiglieri, tiene la sigaretta elettronica in mano ed ha alle spalle la gigantografia della Moschea di Gerusalemme. Abbas spiega l'agenda negoziale che ha in mente per superare lo stallo con Israele: «L'iniziativa francese è la migliore e la proposta della Lega Araba è la più importante ma siamo aperti anche a possibili passi da parte dell'Italia». Il ruolo dell'America resta sullo sfondo perché il fallimento nel 2015 del negoziato condotto da John Kerry ha lasciato il segno. Abbas si dice disposto a «discutere di confini» con Israele, partendo dalla spartizione Onu del 1947, e non condivide le proteste contro la recente risoluzione dell'Unesco su Gerusalemme. Parla in coincidenza con l'incontro odierno con il presidente italiano, Sergio Mattarella, affermando «la volontà di cercare in ogni modo di porre fine al conflitto con Israele sulla base della formula dei due Stati». Anche perché, superata la boa degli 81 anni, è alle prese con la perdurante spaccatura con Hamas e gli incerti scenari di una possibile successione.

- Sul fronte negoziale vi sono oggi tre iniziative sul tavolo: quella della Lega Araba, l'offerta di Putin di ospitare colloqui diretti a Mosca e la proposta di una conferenza internazionale da parte della Francia. A quale crede di più?
  «La proposta della Lega Araba è quella più importante. Prevede il riconoscimento di Israele da parte di 58 Paesi arabi e musulmani se porranno fine all'occupazione. Risale al 2002, noi la sosteniamo da allora, vi crediamo, perché può avere un impatto vasto, strategico, portando a una nuova atmosfera in tutta la regione. Riguardo alla Russia, quando il presidente Vladimir Putin ci ha invitato a Mosca io sono andato mentre il premier israeliano Benjamin Netanyahu non si è presentato. La proposta migliore è tuttavia, a mio avviso, quella francese perché ha una natura internazionale come quella che ha portato all'accordo con l'Iran sul programma nucleare. La cornice internazionale dà migliori garanzie perché lunghi anni di negoziato bilaterale con Israele non hanno prodotto risultato concreto. Anche l'amministrazione americana sostiene l'iniziativa francese. Al primo appuntamento a Parigi, ospitato dal presidente Hollande, non siamo andati né noi né gli israeliani ma si è creata la cornice internazionale adatta alla partecipazione di entrambi».

- A suo avviso da dove nasce la difficoltà a raggiungere un'intesa finale sul conflitto con lo Stato di Israele?
  «Noi siamo per i due Stati, per la pace, contro la violenza armata, per l'iniziativa araba e per quella francese, ciò che manca lo deve chiedere al premier Netanyahu. Siamo per la fine dell'occupazione con il ritiro di Israele ai confini del 1967 perché nel 1947 le Nazioni Unite assegnarono ai palestinesi solo il 22 per cento del territorio dell'allora Palestina. L'attuale situazione è insostenibile perché non c'è contiguità fra le aree che controlliamo e non abbiamo infrastrutture fondamentali come ad esempio un aeroporto internazionale. Ma sono pronto a discutere con Netanyahu su dove correranno i confini. Siamo aperti, vogliamo arrivare a un'intesa e rifiutiamo la violenza. Gli israeliani ora affermano che vogliono prima il riconoscimento come Stato ebraico ma in precedenza chiedevano altre cose».

- Lei sta per incontrare il presidente Mattarella, cosa vi aspettate dall'Italia?
  «Con l'Italia abbiamo un rapporto di antica amicizia e collaborazione. L'Italia ci dà un importante contributo per il sostegno economico al nostro Stato. Abbiamo posizioni convergenti su molti argomenti e condividiamo la soluzione dei due Stati. Certo, il vostro Parlamento si è detto a favore del riconoscimento della Palestina e dunque ci aspettiamo che il governo di Matteo Renzi lo faccia. Con Renzi i rapporti sono ottimi e se l'Italia dovesse avanzare una sua iniziativa per arrivare alla conclusione dell'occupazione e del conflitto, la prenderemo molto seriamente. Incontrerò il presidente Mattarella a Betlemme, dove abbiamo contribuito al completamento dei lavori per il restauro della Basilica della Natività nel quadro della nostra stretta collaborazione con il Vaticano, confermata dal fatto che loro ci riconoscono come Stato».

- Il presidente israeliano Reuven Rivlin afferma di vedere nella confederazione «fra due entità, con confini aperti» una possibile formula di convivenza duratura fra israeliani e palestinesi. Lei cosa ne pensa?
  «Prima bisogna arrivare all'accordo sui due Stati, poi si potrà discutere di una eventuale confederazione fra Palestina e Israele. In tale prospettiva comunque la questione destinata a porsi sarà quella della sicurezza e noi siamo da tempo a favore dello schieramento di contingenti della Nato nelle aree più critiche».

- Uno degli ostacoli più difficili con Israele resta il futuro di Gerusalemme. La risoluzione dell'Unesco che nega i legami fra la città e l'ebraismo ha suscitato vivaci proteste. Cosa ne pensa?
  «Noi riteniamo che Gerusalemme appartenga a tutte e tre le grandi religioni: islam, cristianesimo ed ebraismo. Non capisco in verità tutto lo scalpore causato dal voto dell'Unesco perché non si è trattato di una risoluzione di tipo politico, il testo ha trattato solo alcuni aspetti archeologici».

- L'Europa e Israele si sentono minacciate dal terrorismo di Isis che, con più video e dichiarazioni, si è scagliato anche contro di voi. Cosa pensa di tale minaccia, quale è la sua origine e come può essere sconfitta?
  «Isis è contro di noi, contro Israele e contro di voi perché proviene da elementi religiosi. La sua genesi è il fondamentalismo che deve essere combattuto e sconfitto. Purtroppo in alcuni Paesi arabi non lo affrontano. Noi in Palestina lo combattiamo».

- Come legge gli sconvolgimenti in corso all'interno del mondo arabo e l'indebolimento progressivo degli Stati nazionali?
  «Alcuni Stati hanno problemi politici interni che non affrontano. Dal 2011 in Tunisia, Siria e Libia abbiamo visto quali sono le conseguenze di tale mancanza di azione. Più volte ho detto personalmente a molti leader di Paesi arabi di affrontare con urgenza tali problemi interni».

- A ben vedere anche lei ha problemi interni. Le elezioni amministrative palestinesi non si sono potute svolgere a causa delle perduranti divergenze con Hamas. Ha un piano per risolverle?
  «Sono appena stato in Turchia e poi in Qatar, dove ho visto anche Khaled Mashaal e Ismail Haniyeh, leader di Hamas. Ho cercato la formula di un'intesa internazionale, avanzando proposte concrete per far svolgere su tutti i territori palestinesi, tanto in Cisgiordania che a Gaza, elezioni trasparenti. Ma non le hanno accettate».

- Cosa c'è alla base del contrasto con Hamas?
  «Il fatto che non abbiamo sostenuto le loro guerre con Israele nel 2006, 2008 e 2014. Siamo contro gli attentati, il terrore e i lanci di missili contro Israele come, certo, siamo anche contro i bombardamenti israeliani su Gaza. Loro perseguono la violenza, noi no».

- Eppure anche in Cisgiordania avvengono violenze contro Israele, quale è l'origine dell'«lntifada di Al Aqsa»?
  «Hamas prova ad entrare in Cisgiordania ma facciamo di tutto per fermarli. Abbiamo a tal fine una collaborazione di sicurezza con Israele a cui tengo molto e che funziona assai bene. Li combattiamo perché non vogliamo la loro violenza».

(La Stampa, 1 novembre 2016)


La grande voglia di tranquillità degli israeliani prima o poi renderà accettabili questi discorsi. E come è già accaduto più volte, quello che i nemici di Israele non hanno ottenuto con la forza cercheranno di ottenerlo con l'inganno. E alla lunga ci riusciranno, per un certo tempo. Ma non fino alla fine, perché si dovrà riconoscere che la questione israeliana è una questione di verità. E la Verità vince. M.C.


Mattarella: Israele è un modello

Preoccupazione per lo «stallo» nelle trattative di pace.

GERUSALEMME. «Israele con la sua democrazia così forte e vitale costituisce un modello per tutta la regione». E l'Italia «sarà costantemente dalla sua parte ogni volta che il suo diritto e dovere a esistere fosse messo in dubbio». Parole nette e chiare queste del presidente Sergio Mattarella pronunciate a Gerusalemme durante un incontro con il presidente Reuven Rivlin. Concetti che ben definiscono i «rapporti senza precedenti» che si sono instaurati tra Italia e Israele e che stanno dando corpo alla prima visita del presidente in Israele.
   Una presa di posizione che si accompagna però ad una grande «preoccupazione»: il processo di pace israelo-palestinese è in «stallo» da troppo tempo e «l'assenza di un orizzonte credibile mette in serio pericolo la soluzione due stati per due popoli». Mattarella non nasconde al suo interlocutore israeliano un timore crescente nella Comunità internazionale che è ben presente anche nelle linee di politica estera del Governo. «Lo stallo - argomenta il capo dello Stato - rischia di produrre nuove preoccupanti radicalizzazioni di carattere etnico e religioso». E il presidente israeliano non si è sottratto alla sollecitazione italiana incaricando Mattarella di trasmettere un messaggio ad Abu Mazen: «Si fidi di noi, vogliamo la vera pace».

(La Gazzetta del Mezzogiorno, 1 novembre 2016)


Di questo discorso in Israele del Presidente della Repubblica italiana si può dire la stessa cosa che è stata detta dell'incontro fra il Papa e Rabbino Capo della comunità ebraica di Roma: molto calore, poca sostanza. E quella poca sostanza ha un suono sinistro. L'Italia si unisce alla schiera dei paesi amici che benevolmente concedono a Israele il "diritto di esistere" (e naturalmente si aspettano la gratitudine israeliana), ma sono preoccupati perché «l'assenza di un orizzonte credibile mette in serio pericolo la soluzione due stati per due popoli». Il pericolo per Israele invece continuerà ad esserci fino a che continuerà ad essere credibile «l'orizzonte della soluzione di due stati per due popoli». Adesso sappiamo da fonte autorevole che l'Italia si impegna a mantenere credibile quest'orizzonte. Non è consolante. M.C.


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