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Notizie su Israele 245 - 28 giugno 2004

1. Intervista con Alan Beker
2. Giovani ebrei arrivano in Israele per arruolarsi nell'esercito
3. Corsa alle armi a Gaza
4. Gli effetti benefici del «muro»
5. Arrestato un ufficiale delle forze di sicurezza palestinesi
6. Pubblicazione palestinese fa appello per fermare la violenza
7. Continua l'opera «International Fellowship Of Christian And Jews»
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Isaia 44:21-22. «Ricòrdati di queste cose, o Giacobbe, o Israele, perché tu sei mio servo; io ti ho formato, tu sei il mio servo, Israele, tu non sarai da me dimenticato. Io ho fatto sparire le tue trasgressioni come una densa nube, e i tuoi peccati, come una nuvola; torna a me, perché io ti ho riscattato.»
1. INTERVISTA CON ALAN BAKER




Nelle settimane scorse Israele è stato violentemente criticato dalla comunità internazionale per l'offensiva militare "Arcobaleno" a Rafah. Si è detto che la distruzione di case palestinesi va contro il diritto
Alan Baker
internazionale. Il giornalista Aviel Schneider, redattore del mensile in lingua tedesca stampato a Gerusalemme "israel heute", ha intervistato su questo soggetto il consigliere legale del Ministero degli Esteri israeliano, il giurista Alan Baker.

israel heute: Israele ha il diritto, secondo le vigenti leggi internazionali, di distruggere case di famiglie palestinesi?
Baker: Secondo la legislazione internazionale Israele ha il pieno diritto di difendersi dai terroristi palestinesi e in caso di necessità anche di abbattere case quando da queste si spara su soldati israeliani. A dire il vero, il diritto internazionale parla di guerre tra singoli Stati e nel nostro caso il nostro nemico, l'Autonomia Palestinese, non è ancora uno Stato, ma tuttavia a Rafah le forze di sicurezza israeliane si trovano in guerra, una guerra che combattiamo contro terroristi armati. Il problema nel diritto internazionale è che non è mai stato chiarito in modo inequivoco che cosa significa terrorismo. Soprattutto negli ultimi tre anni si è sviluppato un terrorismo contro Israele, come anche in tutto il mondo, contro il quale il diritto internazionale non ha ancora trovato il giusto modo di procedere.

israel heute: Chi è che stabilisce il diritto internazionale?
Baker: La "Croce Rossa Internazionale" e la Svizzera stanno cercando di portare chiarificazioni alla legge internazionale e quest'anno avrà luogo nell'Università americana di Harvard un forum internazionale in cui tra l'altro si dovrà stabilire come devono essere considerati legalmente gli attacchi terroristici da un'Autonomia contro uno Stato. Io sarò presente come rappresentante.

israel heute: Che cosa dice il diritto internazionale quando palestinesi armati sparano su israeliani e attraverso tunnel sotterranei si contrabbandano armi?
Baker: Il diritto internazionale dice molto chiaramente che le forze di sicurezza di uno Stato possono difendersi quando sono attaccate con le armi. Noi sosteniamo che i terroristi palestinesi combattono contro di noi con le armi e quindi crediamo di avere il pieno diritto di difenderci.

israel heute: L'esercito israeliano chiede pareri legali prima di fare irruzione nei territori palestinesi e, come dice la stampa straniera, "spianare delle case"?
Baker: Lo Stato Maggiore è molto cauto e prima di ogni operazione chiede pareri legali. Il fatto che l'esercito israeliano sia giudicato dall'opinione pubblica mondiale per le sue operazioni di rappresaglia non significa ancora che Israele ha infranto il diritto internazionale.

israel heute: Quattro anni fa le truppe israeliane si sono ritirate dal sud del Libano con la benedizione legale dell'ONU. Che atteggiamento assume oggi la comunità internazionale davanti agli attacchi dal sud del Libano della milizia Hezbollah che in questo modo infrange chiaramente il diritto internazionale?
Baker: Proprio contro questo fatto ha protestato Israele negli ultimi anni, perché la comunità internazionale usa verso Israele una doppia morale, giudicando Israele per azioni che nel caso di altri Stati vengono del tutto trascurate. Il segretario generale dell'ONU Kofi Annan ci ha confermato per iscritto che noi abbiamo fatto il nostro dovere, ma per ragioni politiche l'ONU non ha su questo alcun potere.

israel heute: Perché?
Baker: Gli Stati arabi e musulmani formano la maggioranza nell'ONU, per questo l'ONU non può fare niente contro il Libano, e inoltre gli Hezbollah non sono uno Stato. Nel caso di Israele, il diritto internazione viene sempre politicizzato. Nemmeno il tribunale internazionale dell'Aia ha dato fino ad oggi una definizione di terrorismo. Sono gli Stati arabi che in sostanza impediscono ogni dibattito sul terrorismo. Oltre al fatto che costituiscono la maggioranza nella comunità internazionale, considerano il terrorismo palestinese soltanto come resistenza contro Israele.

(israel heute, luglio 2004)





2. GIOVANI EBREI ARRIVANO IN ISRAELE PER ARRUOLARSI NELL'ESERCITO




Lontano da Casa

Basato su un articolo di Natasha Mosgovia

Molti giovani ebrei arrivano in Israele da soli e si arruolano nell'esercito, per lo più  in unità combattenti. In alcuni casi, i genitori dei soldati immigrati vengono a sapere del servizio militare dei figli nei territori solo dopo aver ricevuto la notizia che erano stati feriti o uccisi. “Non provo rancore nei confronti di Israele”, dice il padre del sergente maggiore Alexei Hayat, rimasto ucciso la scorsa settimana sulla Philadelphia Route. “Sono orgoglioso che mio figlio abbia compiuto il proprio dovere”.
    

    Sono venuti in Israele da soli, per costruirsi un futuro migliore. Molti si sono arruolati in unità combattenti dell’esercito israeliano. Alcuni dei soldati nuovi immigrati non hanno raccontato ai genitori, rimasti a casa, che prestavano servizio nei territori. I genitori di alcuni di questi soldati lo hanno appreso solo quando hanno ricevuto la notizia che il figlio era stato ferito o ucciso. Altri raccolgono brandelli di informazioni dalle trasmissioni dei notiziari e pregano per la salvezza dei loro ragazzi. Proprio come i genitori in Israele, solo da una distanza di migliaia di chilometri e in molti casi, senza nemmeno capire la lingua in cui i loro figli ricevono gli ordini dai loro superiori.
    La scorsa settimana, il caporale Alexei Rabikovitch (23 anni) ha accompagnato la madre Nadia all’aeroporto. Era stata la sua prima visita a suo figlio, da quando quest’ultimo era immigrato in Israele quattro anni fa. Ora lei torna in Bielorussia, mentre lui rimane in Israele per continuare a prestare servizio nell’Aviazione Militare. Suo padre è morto dodici anni fa ed è figlio unico.
    Alexei ha contato i 1.300 giorni passati finché sua madre è riuscita a venire a fargli visita, nell’ambito del programma dell’Agenzia Ebraica denominato “Keshet” [Arco]. Ora ha ricominciato a contare i giorni fino alla prossima visita. Alexei non può nemmeno comunicare per telefono con sua madre, che è sordo-muta dalla nascita.
    “E’ stata qui 28 giorni ed il tempo è passato veramente troppo in fretta” – dice Alexei – “E’ stato meraviglioso, soprattutto dopo così tanti anni di comunicazioni esclusivamente epistolari, una o due volte al mese. Se non fosse per carta e penne, non avremmo nemmeno potuto mantenerci in contatto”.
    “E’ difficile per me, ma per mia madre è molto più difficile. Non ha nessuno oltre alla nonna e diventa matta per la preoccupazione, Non so ancora come abbia trovato il coraggio di lasciarmi venire in Israele. Non può seguirmi per via della nonna e non ha soldi per venire a trovarmi più spesso. Quando riesco a risparmiare un po’ di soldi, glieli mando. E’ molto difficile affrontare una separazione così lunga, ma è qui che vedo il mio futuro”.
    
    
I genitori seguono i figli in Israele

    L’Esercito Israeliano, l’Agenzia Ebraica, diverse organizzazioni e famiglie adottive, tutti tentano di aiutare come possono. Ciò comprende portare in Israele i genitori a far visita ai figli, aiutare i giovani immigrati a decidere che cosa fare al termine del servizio militare, organizzare feste di compleanno, ecc.
    Di recente, qualcuno ha proposto di non chiamarli più “soldati soli”, poiché tutto Israele è la loro famiglia. Ciononostante – e con tutto il rispetto per le famiglie adottive, un Seder di Pesach con il Capo di Stato Maggiore non è la stessa cosa di un pranzo a casa, con i genitori e la famiglia, e il “Beit Ha-chayal” [ostello per i soldati] non è un sostituto della casa.
    Un sondaggio svolto di recente fra i genitori dei soldati immigrati da soli rivela che l’86% sta considerando la possibilità di fare l’alià, sulle orme dei loro figli. I soldati che sono riusciti a convincere i loro genitori a compiere questo passo, li aiutano poi ad inserirsi qui. Alcuni genitori, tuttavia, sono stati costretti ad integrarsi molto rapidamente e nelle circostanze più crudeli, quando, insieme alla carta di immigrazione, hanno ricevuto la comunicazione che il figlio era rimasto ferito o ucciso.
    I genitori di Vladimir Kachlov, un soldato solo ferito in un attentato all’incrocio di Geha nel dicembre 2003, sono al suo capezzale per un mese, prima di ritornare in Siberia,  mentre quelli di Serghei Moshin (24 anni), che sono rimasti seduti accanto al suo letto d’ospedale per lunghi giorni, ancora prima di conoscere il significato della parola “paracadutisti”, hanno scelto di rimanere in Israele.
    Serghei è immigrato in Israele nel 1997, nell’ambito del programma Selah (acrostico ebraico di “Studenti prima dei genitori”) dell’Agenzia Ebraica. E’ stato gravemente ferito dal fuoco di un cecchino palestinese a Hebron, nell’ottobre 2001. Anche il fratello minore, che lo ha seguito in Israele , sta facendo il servizio militare. Quando si è arruolato nella Brigata Golani, i suoi genitori hanno deciso che era arrivato il momento di essere vicini ai figli.
Prima che i genitori immigrassero in Israele, i due fratelli non avevano raccontato loro che prestavano servizio nei territori: “Non c’era alcun motivo di preoccuparli” - dice Serghei, che attualmente studia al College di Ariel – “Non erano informati del tutto su quello che succedeva in Israele e abbiamo pensato che fosse meglio risparmiare loro questo genere di informazioni. La mamma era molto preoccupata per noi, ma non hanno mai preso in considerazione la possibilità di dirci che non volevano che ci arruolassimo nell’esercito israeliano”.
    In fin dei conti, nessuno manda i propri figli in un altro paese per servire nell’esercito. Mandano i figli in Israele per studiare e per vivere, non per morire. Non sempre pensano al fatto che una volta finita la scuola, i ragazzi devono arruolarsi.
    “E’ stato molto difficile quando i nostri genitori non erano qui. Ci siamo abituati a passare lo Shabbat con gli amici o al Beit Ha-chayal. Alle volte invidiavamo i ragazzi che parlavano sempre al cellulare con i loro genitori, mentre noi parlavamo con i nostri una o due volte al mese. Sono contento che alla fine siano immigrati in Israele”.
    Alexei Naikov z”l immigrò dall’Ucraina in Israele da solo, nel settembre 1996, nell’ambito del programma Selah. I suoi genitori speravano che il figlio sarebbe tornato in Ucraina dopo la fine del liceo. Alexei, tuttavia, riuscì a convincerli ad immigrare in Israele, affittò per loro un appartamento a Haifa e lì aiutò a superare tutto il processo di inserimento. Si arruolò nell’esercito nel febbraio del 1998, entrando a far parte di un’unità combattente di genieri. Fu ucciso otto mesi dopo a Kfar Darom.
    Il tenente Anatoly Kressik, vice-comandante dell’unità speciale di sfondamento “Orev”, della Brigata Givati, fu gravemente ferito nel giugno 2002 in uno scontro con i terroristi a nord di Gaza. Morì una settimana dopo per le ferite riportate. Tre mesi prima di morire, era riuscito a convincere la sua famiglia ad immigrare in Israele.
    
    
“Sono orgoglioso di mio figlio”

Altri due soldati immigrati da soli sono stati uccisi dopo avere terminato il servizio di leva in unità combattenti, quando già lavoravano in qualità di addetti alla sicurezza. Kyril Shremko z”l, immigrato nel 2002, è stato ucciso nel maggio 2003 in un attentato alla stazione ferroviaria di Afula, proprio al suo primo giorno nel nuovo lavoro di agente di sicurezza.
    Alexander Kostiyuk z”l serviva in un’unità della Guardia di Frontiera ed è stato ucciso nell’aprile 2003, in un attentato all’ingresso della nuova stazione ferroviaria di Kfar Saba, mentre tentava di impedire al terrorista di entrare nell’edificio. In un primo momento i suoi genitori avevano richiesto che fosse sepolto nel suo paese d’origine, poi alla fine acconsentirono a che i funerali si svolgessero in Israele.
Proprio una settimana fa, altre due famiglie di soldati soli hanno ricevuto la terribile notizia della morte dei loro figli. Il sergente maggiore Yaakov (Zelko) Marvitza, originario della Yugoslavia ed il sergente maggiore Alexei Hayat, proveniente dalla Russia, sono stati entrambi uccisi a Gaza. La madre di Yaakov, Rozitza, ha richiesto che suo figlio fosse sepolto nella sua città natale, Novi Sad. Il padre di Alexei, Leonid, ha chiesto che il figlio fosse sepolto in Israele.
    “Volevamo immigrare in Israele” – ha detto Leonid dopo il funerale del figlio – “Questo paese lo ha accettato ed egli ha accettato il paese e voleva difenderlo. Mi ha detto che prestava servizio in un’unità combattente, ma non sapevo che si trovasse a Gaza. Dalla sua voce, avevo intuito che era in un posto pericoloso e che non voleva entrare in particolari”.
    “Non provo rancore nei confronti di Israele. Sono orgoglioso che il mio ragazzo abbia compiuto il proprio dovere. Il dolore, però, è insostenibile. Appena un mese dopo che ero venuto a trovarlo, sono tornato per seppellirlo. Spero che una volta che avrò sistemato tutti i miei impegni in Russia, potrò tornare qui a sostenere mia figlia e a piangere sulla tomba di mio figlio”.

(Keren Hayesod, 24.06.2004)





3. CORSA ALLE ARMI A GAZA




I gruppi terroristici palestinesi nella striscia di Gaza sono attualmente impegnati in una “forsennata corsa alle armi” nel tentativo di procurarsi quante più armi possibili prima dell’avvio del piano di disimpegno israeliano.
    E’ quanto sostengono fonti della difesa israeliana.
“Ogni organizzazione sta cercando di prepararsi per il giorno successivo al ritiro accrescendo il più possibile la propria forza”, spiegano le fonti.
    Secondo informazioni recentemente ottenute dai servizi di intelligence, in questo periodo stanno arrivando nella striscia di Gaza molti diversi tipi di arma, compresi razzi Katyusha e missili anti-aereo da spalla tipo Strella. Le Forze di Difesa israeliane affermano che viene fatto ogni sforzo per cercare di prevenire che queste armi arrivino a destinazione.
    Ultimamente la difesa israeliana assiste anche a un crescente livello di cooperazione fra differenti gruppi palestinesi. “A causa dei duri colpi inferti dalle Forze di Difesa israeliane alle strutture del terrorismo – spiegano le fonti militari – ogni gruppo è costretto a condividere con altri le proprie competenze per portare a termine attentati. Allo stesso tempo, però, essi cercano di procurarsi molte armi nell’eventualità che scoppi una lotta di potere il giorno dopo il disimpegno israeliano”.

(Ma’ariv. 24.06.04 - israele.net)





4. GLI EFFETTI BENEFICI DEL «MURO»




In cinque mesi, zero attentati

di Matthew Gutman

    A giudicare dal sorriso, Danny Attar è un uomo soddisfatto. La campagna che il capo del Consiglio regionale della regione Gilboa (nord Israele) aveva contribuito a lanciare, tre anni fa, per chiedere la costruzione di una barriera tra Israele e Cisgiordania sta dando frutti insperati. Attar snocciola le cifre mentre guida lungo la barriera anti-terrorismo che corre ai margini della Cisgiordania settentrionale: “Avevamo seicento attacchi terroristi all’anno, da queste parti. Negli ultimi cinque mesi, zero. Decine di migliaia di palestinesi clandestini venivano a lavorare illegalmente qui ogni anno. Negli ultimi cinque mesi, zero. E intanto, pensa un po’, sono diminuiti anche i furti”.
    L’armamentario polemico dell’anno scorso – accuse al governo di negligenza criminale per non aver costruito abbastanza rapidamente la barriera – è stato sostituito dalle nuove statistiche, e qualche sorriso. Benché via via più ottimisti, sia Attar che Yitzhak Meron, sindaco di Afula, non possono certo spingersi fino ad affermare che l’economia delle loro zone sia in piena ripresa. Ma entrambi attribuiscono ai duecento chilometri di barriera di rete e cemento il migliore stato d’animo fra la loro gente, il rinnovato senso di sicurezza e una certa ripresa economica. Nella nuova atmosfera, per dirla con le parole di Attar, “anche i fiori diventano più belli”.
    Secondo Attar, il Consiglio regionale Gilboa sta registrando una

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crescita esponenziale del mercato immobiliare. “In alcuni luoghi, come Ramat Zvi – dice – non era stata venduta una sola casa per tutti i primi tre anni di ‘intifada’. Ora, in cinque mesi, ne sono state acquistate cinquanta. Sono cose che non hanno solo un valore percentuale”.
    Non sono che i primi segni visibili della ripresa economica, aggiunge mentre guida una delegazione di stranieri per un tour nel cantiere di quello che sarà un nuovo valico di passaggio tra Israele e Jenin, che il ministero della difesa conta di completare entro settembre. Attar è convinto che, una volta operativo, il nuovo terminal darà nuova vita a tutta la zona.
    Jenin è una città di circa trentamila abitanti con alle spalle le colline di Samaria (Cisgiordania settentrionale) e stesa davanti a lei la valle israeliana di Jezreel. Fino a tutta l’estate 2003 c’erano solo fertili campi a separare questa zona dai venticinque e più attentatori suicidi partiti da Jenin dall’ottobre 2000 in poi. Ad Afula, città israeliana di quarantamila abitanti, non va altrettanto bene che ai suoi vicini rurali. Fino a poco fa, spiega il sindaco Meron, l’atmosfera era tetra. ”L’economia della città è stagnante, ma perlomeno stabile. La gente sta ancora cercando di superare le ferite, ma se non altro ora non hanno paura di saltare in aria in ogni momento”. Afula ha subito una mezza dozzina di attentati suicidi nell’arco di trenta mesi di violenze, con quindici morti e centinaia di feriti e mutilati. A un certo punto la stazione centrale degli autobus si era trasformata in una zona off limits, senza più passaggio di pedoni. L’ultimo attentatore ha colpito il 19 marzo 2003, nella via pedonale Ammakim. Alcune settimane dopo veniva completata la barriera fra Afula e Jenin, e da allora Afula non ha più subito un attentato. Se ad Afula gli affari vanno ancora a rilento, intanto i furti sono scesi ai livelli più bassi da un decennio a questa parte. Un portavoce della polizia dice che il furto di veicoli privati e agricoli è crollato “principalmente perché non hanno più modo di portare la roba rubata nelle città palestinesi”.
    “Con il calo del terrorismo, dei furti e dei clandestini, e con le Forze di Difesa israeliane che non devono più spingersi dentro Jenin ogni giorno, possiamo iniziare a rimettere insieme i pezzi”, dice Attar.
    Il test del ministero della difesa sarà il Terminal Crossing Jalame da 30 milioni di shekel (ca. 5,4 m di euro), afferma un ufficiale durante una visita sul posto. Si tratta di un vasto complesso che dovrebbe essere pronto per il prossimo settembre: più un valico di frontiera che un check-point. Per la fine dell’estate dovrebbe dare lavoro a quattrocento abitanti della regione Gilboa. Con la sua apertura, a settembre, permetterà di far passare 2.800 palestinesi ogni ora attraverso i necessari controlli di sicurezza. Le sue strutture “connesse”, che permettono il passaggio di beni da camion palestinesi a camion israeliani, potranno gestire fino a quattrocento camion al giorno.
    Se tutto va bene, conclude Attar, investitori e donatori aiuteranno a creare una zona industriale di più di 600 ettari che darà lavoro a diecimila palestinesi e a circa 2.500 israeliani. “Questo sì che potrebbe cambiare l’atmosfera in questa regione”. Ma ciò che conta, per Attar, è che “la barriera sta facendo il suo lavoro, salvando vite umane. E per questo sono contento”.

(Jerusalem Post, 02.06.2004 - Ebraismo e Dintorni)





5. ARRESTATO UN UFFICIALE DELLE FORZE DI SICUREZZA PALESTINESI




GERUSALEMME - Il servizio di sicurezza per l'interno di Israele, Shin Beth, ha arrestato un ufficiale delle forze di sicurezza preventive
Muain Atallah
palestinesi nella striscia di Gaza. Si presume che l'uomo abbia partecipato all'attentato terroristico nel porto della città israeliana Ashdod, nel mese di marzo.
    Secondo quello che ha dichiarato lo Shin Beth martedì scorso[22 giugno], l'ufficiale palestinese Muain in Abdel Asis Atallah era stato arrestato già il 5 giugno, ma sulla notizia era stato posto un divieto di diffusione.
    Il palestinese aveva lavorato come comandante delle forze di sicurezza al transito di Karni, nella zona centrale della striscia di Gaza. Secondo le sue stesse ammissioni, è stato reclutato dal gruppo terroristico Hamas perché in quella zona lui godeva di ampia libertà di movimento. Avrebbe aiutato il gruppo radical-islamico a far passare di nascosto in Israele due attentatori suicidi in un container con il doppio fondo. Conosceva bene le pratiche di sicurezza in vigore al transito, e per questo ha potuto aiutare Hamas nella progettazione dell'attentato.
    Atallah avrebbe anche ammesso di aver progettato un altro attacco simile. Anche in questo caso due palestinesi avrebbero dovuto passare di nascosto in Israele nel doppio fondo di un container da nave. L'attentato avrebbe dovuto essere eseguito pochi giorni dopo il suo arresto.
    Nell'attentato al porto di Ashdod del 14 marzo scorso sono morti dieci israeliani.
    
(Israelnetz Nachrichten, 23.06.2004)





6. PUBBLICAZIONE PALESTINESE FA APPELLO PER FERMARE LA VIOLENZA




In aprile 2004, il quotidiano Al-Ayyam dell’Autorità Palestinese ha pubblicato un supplemento, intitolato "La strada per l’indipendenza e la pace," della Coalizione Palestinese per la Pace. Questa si è costituita il 25 aprile 2003 per ordine del Presidente dell’AP Yasser Arafat ed è presieduta dall’ex ministro palestinese Yasser Abed Rabbo, uno degli architetti delI’Iniziativa di Ginevra. Il supplemento contiene un numero di articoli che chiedono di metter fine alla violenza palestinese e per una lotta non armata contro Israele. Seguono estratti dagli articoli.


“Resistenza non-violenta, la via sicura verso la vittoria”

In un articolo intitolato "Resistenza non-violenta, la via sicura verso la vittoria”, l’opinionista del quotidiano Al-Ayyam dell’Autorità Palestinese, Muhammad Yaghi, scrive: "...[Le raccomandazioni della Commissione] Mitchell ... iniziano con la richiesta che la parte palestinese metta fine a tutti gli atti violenti ... Il documento del [Piano] Tenet ... inizia con la [stessa] richiesta che l’AP metta fine a tutti gli atti di violenza e terrore... “

"E’ chiaro che la politica adottata ad oggi dalla resistenza palestinese in risposta ai crimini israeliani ... ha soltanto allontanato il [nostro] popolo dai suoi obbiettivi di raggiungere la libertà e l’indipendenza. In Europa, che è un nostro alleato, le operazioni militari [palestinesi] all’interno d’Israele sono descritte come atti di terrorismo, mentre negli Usa, tutte le operazioni militari, sia in Israele sia nei territori occupati, sono [descritte] come terrorismo. La politica di rappresaglia palestinese giova solo all’estrema destra del governo in Israele”.

"La risposta alla sfida che ci è stata imposta – siamo al tempo stesso legati alla Road Map e [forzati] a resistere a un governo arrogante il cui scopo è assassinare palestinesi ed espropriare le loro terre - è un cambiamento fondamentale nella natura violenta della resistenza, tale da portarla ad assumere un carattere non-violento”.

"Passare a una resistenza non-violenta spianerà la strada verso un isolamento del governo israeliano nel mondo e dimostrerà che l’AP ha aderito alla Road Map, senza alcun bisogno di [entrare in] conflitto con elementi palestinesi combattenti. Un tale cambiamento stimolerà anche le forze pacifiche in Israele a fare la loro parte, [un ruolo bloccato] dai continui conflitti violenti”.

"Ancora più importante è che la natura non-violenta della resistenza riporterà il conflitto alla sua vera essenza: la lotta tra un popolo che cerca di liberarsi dell’occupazione e un governo che vuole continuarla, che vuole liberarsi dei [palestinesi] ed espropriare le loro terre.”

"Cambiamento [nella natura della resistenza] non significa un arresto dello scontro, piuttosto il coinvolgimento di molti più settori del pubblico palestinese, con marce quotidiane contro la barriera di separazione razzista e i posti di blocco ... e dimostrazioni sulle terre minacciate da esproprio. Questa forma di lotta richiede la fine di ogni coordinamento ufficiale con il governo di occupazione israeliano, incluso il rifiuto di negoziare con esso, perché l’obiettivo è di isolarlo nel mondo ... e, solo quando riconoscerà il diritto legittimo del popolo palestinese alla libertà e all’indipendenza nelle aree occupate nel 1967, i negoziati saranno possibili.”

"Questa lotta richiede pure di non essere in contatto con gli uffici civili [dell’occupante] e di non acquistare prodotti israeliani. Lotta non-violenta significa lotta globale, allo scopo di alzare la tensione del conflitto al massimo, in modo che sia difficile per il nemico e il mondo ignorarlo. Con parole semplici, lo scopo è di impedire alla macchina di distruzione israeliana, carri armati e aerei di operare contro un popolo che li affronta a mani nude soltanto."


“Vi sono due vie: lotta per un obiettivo politico e lotta come scopo in sé e per sé”

In un articolo intitolato "Il dilemma nella logica del suicidio," Ahmad Daoud scrive: "...Chi ha deciso di inviare esecutori di operazioni militari ha cominciato a fuggire il mondo della politica, a causa delle considerazioni su e la complessità di un mondo nascosto, mutando la lotta dalla sua natura, di conflitto di interessi tra forze sociali e politiche, a uno scontro di due religioni. In altre parole, siamo entrati in un nuovo conflitto - caratterizzato dalla politica che rinuncia [alla necessità] di decisioni razionali ed entra in un circolo di fatwa e slogan [religiosi].”

"L’attacco israeliano in atto contro il popolo palestinese non annulla l’importanza di riconoscere la responsabilità di alcune fazioni palestinesi per essersi lasciati catturare da un’unica visione riguardo al conflitto – una che percepisce società, partiti politici e correnti in Israele come un unico blocco di pensiero, identità e decisione.”

"Deve essere consentito [ai palestinesi] di scegliere tra due percorsi. Uno afferma che la lotta è un mezzo per uno scopo politico che deve conquistare un largo consenso popolare. Il secondo vede la lotta come uno scopo in sé e per sé, ed è la strada apparentemente preferita da alcune fazioni palestinesi che esaltano le operazioni militari e glorificano gli attentati suicidi.”

"Ora non è il momento di analizzare il fenomeno di queste azioni, ma è essenziale esaminare la logica politica che giustifica l’uso di questi mezzi, in ogni momento e in ogni condizione, e che non tiene conto dei cambiamenti politici. Questo, prima ancora di discutere della gravità di propagandare tali operazioni [attentati suicidi] tra il popolo, trattandole tutte come tappe vittoriose nel percorso verso la fine dell’occupazione, mentre è vero il contrario.”

"Una fatwa, che innalza queste operazioni a un livello di santità, porta una parte di responsabilità nella proliferazione della cultura dell’assassinio... Il partner naturale di questa cultura è la politica estremista israeliana permeata di sangue."


”La militarizzazione dell’Intifada è stato il fattore principale della scomparsa di ordine [nell’AP]”

Nel suo articolo "Una descrizione della nostra situazione...," Ziyad Barham scrive: "Apparentemente, la politica palestinese ha perso la sottile trama che l’ha messa in ordine... 'La militarizzazione dell’Intifada è stato il fattore principale della scomparsa di quest’ordine. Malgrado quanto detto agli inizi dell’Intifada - in pubblico dagli israeliani e sottovoce dai palestinesi - sulla capacità della leadership di controllare le operazioni militari, è apparso chiaro molte volte che questa capacità non impedisce iniziative spontanee o organizzate sul campo, che imbarazzano l’AP.”

"Analogamente, la nebbia che avviluppa i Martiri delle Brigate di Al-Aqsa ha raggiunto un punto tale da creare un quadro incompleto della situazione sul campo. Queste brigate si sono rivelate più di una volta con azioni sconnesse dalla linea politica, disubbidendo, alla prima provocazione, all’ordine di fermare le sparatorie e di partecipare in operazioni suicide contro la popolazione israeliana. Come se non bastasse che le organizzazioni più attive in operazioni suicide, Hamas e Jihad [Islamica], si sono chiamate fuori della linea politica approvata dall’AP.”

"Vi sono molte profonde ragioni per guardare alla fattibilità e ai benefici di queste operazioni, anche se possono avere delle spiegazioni, quale la risposta ai crimini israeliani, il contagio della malattia di al-Qa'ida o avventurose operazioni spontanee. Vi è un urgente bisogno di riesaminare questi metodi. Il comunicato, firmato dai rappresentanti di settori accademici e finanziari, che chiede la fine delle operazioni contro civili israeliani, può costituire una buona base di partenza per un responsabile dibattito nazionale, che sarà unificato in vista e nei piani di una lotta nazionale, con mezzi e modi da definire....”

"Le circostanze senza dubbio sono difficili, ma quando mai saranno facili? La squadra che si pensa sia la più consapevole della pessima situazione a tutti i livelli è, sfortunatamente, la dirigenza del movimento Fatah, le cui lotte per il controllo delle sue fazioni e correnti, la lascia senza alcun controllo."

(The Middle East Media Research Institute, 28.05.2004)





7. CONTINUA L'OPERA DI «INTERNATIONAL FELLOWSHIP OF CHRISTIAN AND JEWS»<





L’International Fellowship of Christians and Jews, diretta dal Rabbino Yechiel Eckstein, continua a varare nuovi programmi, che avranno grande influenza sulla vita di molte persone in tutti i campi della realtà israeliana: una donazione di 1 milione di Shekel ($217.391) a nuovi immigranti bisognosi ed alle loro famiglie. Per mezzo di una quantità di nuovi progetti, una donazione di 120.000 Shekel ($27.000) a persone bisognose, particolarmente bambini e ragazzi nella Valle di Beit Shean; il progetto “la Marcia della Speranza”, sul modello del “Neediest Family Fund”, sponsorizzato da giornali di diverse parti degli USA, in collaborazione con il quotidiano israeliano Ma’ariv, che è un’iniziativa di molti milioni di dollari per soccorrere migliaia di famiglie israeliane indigenti, tramite un sussidio fino a 6.000 dollari per famiglia, destinato a cibo, cure mediche, educazione, addestramento professionale ed altre esigenze basilari; l’organizzazione “Alternativa Laboral”, che consentirà ad immigrati veterani dal Sud America di aiutare altri nuovi immigrati, trovando loro un impiego ed infine un programma per infermieri etiopi diplomati, uomini e donne, nell’Ospedale Tel Hashomer di Tel Aviv.

(Keren Hayesod, 11 giugno 2004)




8. MUSICA E IMMAGINI




Uf Gozal




9. INDIRIZZI INTERNET




European Coalition for Israel

Arabs for Israel




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