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Notizie su Israele 248 - 15 luglio 2004

1. La Corte dell'Aja si ispira alla Sharia islamica
2. Dichiarazione di «Ebrei della Diaspora» in sostegno della pace
3. Una replica alla dichiarazione di «Ebrei della Diaspora»
4. Parla il ragazzino che stava per saltare in aria
5. Autorità Nazionale Palestinese nel caos per colpa di Arafat
6. Nostalgia di Israele
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Ezechiele 36:33-35. Così parla Dio, il Signore: Il giorno che io vi purificherò di tutte le vostre iniquità, farò in modo che le città saranno abitate e le rovine saranno ricostruite; la terra desolata sarà coltivata, invece d'essere una desolazione agli occhi di tutti i passanti. Si dirà: «Questa terra che era desolata, è diventata come il giardino d'Eden; e queste città che erano deserte, desolate, rovinate, sono fortificate e abitate»
1. LA CORTE DELL'AJA SI ISPIRA ALLA SHARIA ISLAMICA




Dure e motivate obiezioni
contro la sentenza fondamentalista dell'Aja
(1)

di Carlo Panella

Carlo Panella spiega perché la sentenza della Corte dell'Aja non ignora affatto il terrorismo palestinese, ma, nascondendosi dietro una lingua di legno burocratica e leguleia, ne sancisce la legittimità.


La Corte Internazionale di «Giustizia» dell'Aja

La lettura del dispositivo della sentenza della Corte di giustizia dell'Aia che ha definito illegittima la Barriera israeliana, è agghiacciante e costituisce un terribile precedente di diritto, paragonabile, nella storia dell'antisemitismo della legislazione internazionale, solo al libro Bianco inglese del 1939 che decretò il blocco dell'immigrazione ebraica in Palestina alla vigilia di Auschwitz. Non è infatti assolutamente vero che la Corte – come si è letto in quasi tutti i commenti – non abbia tenuto conto del diritto alla protezione di Israele dagli atti di terrorismo originati nei Territori e attuati in Israele. La Corte ha ampiamente trattato il punto, ma ha decretato che esso non valga, in punta di diritto; la Corte ha colto esattamente il nodo giuridico e di fatto, ma ha cinicamente stabilito che non è vero quel che è palesemente vero, cioè che la Barriera ha diminuito del 90 per cento gli atti terroristici palestinesi. Ma soprattutto la Corte si è fatta scudo, con uno stile da azzeccagarbugli, della mancata definizione da parte della legislazione internazionale del fenomeno terrorista e, forte di questa carenza, irride il diritto-dovere di Israele di difendere la vita dei suoi cittadini. L'infiltrazione terrorista palestinese non proviene infatti da un altro Stato, ma la legislazione internazionale prevede solo e unicamente questo caso (art. 51 della carta delle Nazioni Unite) e quindi non contempla norme sulla infiltrazione terrorista da un Territorio sotto il regime legale di occupazione (come è la West Bank). La Corte che è struttura dell'Onu) non chiede quindi, come avrebbe dovuto fare, che questo vuoto venga colmato, ma giudica lo stesso. Ai 14 giudici dell'Aia (il 15°, statunitense si è opposto) non interessa che il terrorismo sia nemico da battere su scala planetaria, che Israele soffra come nessun paese al mondo le sue ferite. Cinicamente, burocraticamente sanciscono che siccome il diritto internazionale prevede solo aggressioni terroristiche provenienti da un altro Stato, nessun paese ha diritto di "inventare" tecniche di difesa, come la Barriera, che riducano radicalmente l'attività terroristica. Il senso di voluta e indebita provocazione politica della sentenza è immediato: solo se i Territori fossero non più sotto controllo di Israele, ma di un Stato palestinese sovrano, la Barriera anti terrorista potrebbe essere legittimata (naturalmente entro i propri confini). Questi i passi della sentenza che ne costituiscono il baricentro: "L'articolo 51 della carta delle Nazioni Unite, riconosce l'esistenza di un inerente diritto all'autodifesa in caso di attacco armato di uno Stato contro un altro Stato. Comunque, Israele non sostiene che gli attacchi ai quali è esposto siano imputabili a uno Stato straniero. La Corte rileva anche che Israele esercita controllo nel Territorio palestinese occupato e che, come Israele stessa afferma, la minaccia alla quale si riferisce per giustificare la costruzione del muro si origina all'interno e non all'esterno, di quel territorio. La situazione si rivela quindi differente da quella contemplata dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza 1368 (2001) e 1373 (2001) e pertanto Israele non potrebbe in alcun caso invocare tali risoluzioni a sostegno della sua pretesa di esercitare diritto di autodifesa […] Alla luce del materiale presentato, la Corte non è convinta che la costruzione del muro lungo il percorso scelto fosse il solo mezzo per salvaguardare gli interessi di Israele contro il pericolo invocato come giustificazione della sua costruzione. Sebbene Israele goda del diritto, e invero abbia il dovere, di rispondere ai numerosi e mortali atti di violenza rivolti contro la sua popolazione civile, al fine di proteggere la vita dei suoi cittadini, le misure adottate devono rispettare la legislazione internazionale applicabile. Israele non può fare appello a un diritto all'autodifesa o a uno stato di necessità misconoscendo l'erroneità dei presupposti della costruzione del muro. La Corte conseguentemente ritiene che la costruzione del muro e l'annesso regime siano contrari alla legislazione internazionale". Si prenda la legittimazione secondo il diritto coranico degli attentati-sucidi in Israele e in Iraq, definita da Mohammed al Tantawi, Imam della moschea di al Azhar del Cairo il Foglio del 10.07.04) e si vedrà che la coincidenza, in punto di diritto, tra la Corte dell'Aia e la shar'ia fondamentalista, è totale.

(Il Foglio, 13.07.2004 - da Informazione Corretta)

Nota
(1) La Corte Internazionale di Giustizia — conosciuta anche come la Corte Mondiale — è il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite. Composta da 15 giudici eletti dall'Assemblea Generale e dal Consiglio di Sicurezza, la Corte delibera sulle controversie fra Stati. La partecipazione di uno Stato al procedimento è volontaria ma, nel caso in cui accetti di partecipare, esso è tenuto a conformarsi alla decisione della Corte. Su richiesta, la Corte fornisce inoltre pareri e consulenze all'Assemblea Generale e al Consiglio di Sicurezza.





2. DICHIARAZIONE DI «EBREI DELLA DIASPORA» IN SOSTEGNO DELLA PACE




Comunicato stampa

Una Dichiarazione degli Ebrei della Diaspora in sostegno della pace fra Israele e Palestina è stata pubblicata come annuncio a pagamento il 9 luglio sulle pagine di due quotidiani israeliani, Maariv e Haaretz, nonché nell'edizione via internet in inglese di Haaretz (www.haaretzdaily.com). La Dichiarazione, promossa dal Gruppo Martin Buber-Ebrei per la Pace di Roma è stata sottoscritta da quasi 600 tra  gruppi ebraici e singoli ebrei residenti in Argentina, Austria, Canada, Croazia, Belgio, Brasile, Danimarca, Francia, Germania,Gran Bretagna, Grecia , Italia, Paesi Bassi, Polonia, Spagna, Svizzera, Ungheria e Stati Uniti. Fra i firmatari, vi sono le associazioni "Amici di Shalom Achshav-Pace Adesso" in Brasile, Francia, Belgio e Gran Bretagna, il Circolo Bernard Lazare di Parigi e altri gruppi della sinistra ebraica impegnati da anni in attività di pace e nella promozione del dialogo fra israeliani e palestinesi. Vi sono rabbini,  due scienziati insigniti di Premi Nobel, illustri accademici delle maggiori Università del mondo, Consiglieri di Comunità e altre istituzioni ebraiche, e molti ebrei comuni, profondamente preoccupati per il futuro di Israele, la mancanza di pace e di sicurezza, il suo crescente isolamento internazionale, l'incapacità del governo attuale di avviare genuini negoziati di pace con i palestinesi e il pericolo che le scelte politiche di oggi  rappresentano per il futuro di Israele come stato ebraico e democratico.
Fra i firmatari italiani, vi sono Rita Levi Montalcini – Premio Nobel per la medicina – Carlo Ginzburg, Moni Ovadia, Edith Bruck, Gad Lerner, Stefano Levi della Torre, Miriam Mafai, Consiglieri in carica o ex Consiglieri dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane, delle Comunità di Roma, Milano, Torino, Venezia, Bologna.
Con l'iniziativa insolita di pubblicare una Dichiarazione sulla stampa  israeliana, i firmatari – ebrei della Diaspora –intendono far giungere  le loro voci e preoccupazioni alla più vasta opinione pubblica di quel paese e,  rinnovando  il loro legame di solidarietà,  sostenere le forze che,  in Israele,  combattono  una difficile battaglia di pace.
Pace e sicurezza fra Israele e Palestina potranno essere conseguite e riconciliate solo sulla base di vere trattative con i palestinesi, lo sgombero degli insediamenti e il principio di "due popoli-due stati".

Per contatti e informazioni :
Gruppo Martin Buber-Ebrei per la Pace
Via Nomentana 55
00161 Roma
(martinbuber@katamail.com)


Dichiarazione degli ebrei della Diaspora
in sostegno della pace fra Israele e Palestina



1. Difendiamo il diritto dello Stato di Israele a vivere in pace e sicurezza. Riconosciamo il ruolo centrale che Israele riveste per gli ebrei del mondo in quanto luogo di rifugio dalle persecuzioni e di legittima esistenza nazionale indipendente di un popolo cui questo diritto è stato per secoli negato.

2. Siamo angosciati per le perdite di vite umane e la condizione di insicurezza vissuta dal popolo di Israele sotto l'azione del terrorismo, tollerato dalle autorità palestinesi. Siamo preoccupati per il crescente isolamento internazionale di Israele. Come ebrei della Diaspora, rinnoviamo agli israeliani la nostra solidarietà.

3. La politica condotta dalla leadership israeliana non è servita ad assicurare al popolo israeliano né sicurezza né una pacifica coesistenza con i vicini arabi e palestinesi. Il governo del Primo ministro Ariel Sharon non è in grado o non intende affiancare un'autentica iniziativa di pace
alla repressione militare del terrorismo; l'idea che i palestinesi finiranno per accettare uno stato di soggezione permanente ad Israele è inaccettabile nonché irrealistica. Questa strategia è destinata a perpetuare il violento conflitto che da tanti anni oppone le due nazioni, entrambe con diritti legittimi a uno stato.

4. Gli insediamenti e la confisca di terre nei territori occupati pregiudicano sia il futuro di Israele come Stato ebraico e democratico sia la nascita di uno Stato palestinese degno di questo nome. La recente decisione del governo di Israele circa il ritiro unilaterale da Gaza non modifica in verità questo stato di cose. La barriera di separazione, proposta inizialmente come misura difensiva contro il terrorismo da costruirsi lungo la Linea Verde, s'inoltra profondamente nel suo tracciato all'interno del territorio palestinese; ciò peggiorerà in modo intollerabile le condizioni di vita dei residenti palestinesi e sarà causa di ulteriori conflitti.

Noi ebrei della Diaspora sosteniamo tutte le iniziative, come gli accordi di Ginevra e la petizione promossa da Ami Ayalon e Sari Nusseibeh, che dimostrano che malgrado le violenze e la sfiducia reciproca, una pace equa tra Israeliani e Palestinesi è ancora possibile.

(Chicca Scarabello, 13.07.2004)





3. UNA REPLICA ALLA DICHIARAZIONE DEGLI «EBREI DELLA DIASPORA»




di Danielle Sussmann Seiteanu

Pur ammirando i meriti individuali di alcunifirmatari, la sedicente "ebrei della Diaspora" non può permettersi di parlare a nome mio. La sedicente "ebrei della Diaspora" denuncia una mancanza totale di conoscenza e di realismo politici. Delegittima uno stato reale, legittimandone un altro inesistente. Delegittima un governo legittimo a favore di uno inesistente che si permette di fare un summit a Ginevra, confondendo ancor più l'opinione pubblica e dando maggior impulso alle politiche e propagande antiisraeliane. E' sconcertante come questi ebrei che sono favorevoli ad uno stato per due popoli, siano così miopi e così ciechi complici (!) del terrorismo che assassina e mutila i loro fratelli. Vivono nel loro mondo così irreale, anni luce dai fatti e dalle conseguenze dei loro atti. Evidentemente, lo studio biochimico del cervello non ha relazione con la mente intesa come spirituale ed intellettiva, per la Levi Montalcini. La yddishkeit di Moni Ovadia così ben rappresentata e portata alla ribalta, si riconfigura con la mentalità dei rabbini che per secoli hanno permesso che gli ebrei venissero perseguitati ed uccisi, poiché non potevano, non dovevano uccidere. Una vittoria per quell'occidente islamizzato che è riuscito - con una tolleranza apparente e con successo - a dividere gli ebrei. Perché: mai divisione, tra noi, è stata più netta dalle conseguenze del 1973. Mai è stato più netto il solco della ragione che motiva Israele a difendersi, malgrado un'opposizione che persegue un compromesso impossibile e dimostrato dalla sua fallimentare politica al governo. Tutti, tra israeliani ed ebrei che sono stati in Israele, conoscono dei palestinesi per bene, o sanno che esistono, ma non sono quelli che hanno potere. Anzi, alcuni o molti di loro non ci sono più perché considerati collaborazionisti di Israele. E sono stati trucidati con o senza sommarii processi. Ma le loro guide, ad iniziare da Arafat, sono terroristi e hanno minacciato di annientamento Israele. Amati dall'occidente. Attori e finanziatori - con gli aiuti UE - di una guerra immorale e criminale. Sono ciechi i nostri fratelli buberiani e della sedicente "ebrei della Diaspora?"? Non si rendono conto nemmeno di quanto sia superata dai fatti la filosofia buberiana? Non si sono mai applicati per comprendere la mentalità di coloro che vogliono la morte di tutti gli ebrei? Del loro storico, delle loro politiche, dei maledetti crimini del loro fanatismo che hanno ucciso e mutilato più di seimila cittadini israeliani? Aggiungendo a questo orrore, il mai sopito antisemitismo europeo. E dopo di noi...i cristiani?! Perchè se gli ebrei non sono mai esistiti in Eretz Israel, allora nemmeno Gesù è esistito. O Gesù era anche lui arabo? Ma i sedicenti "ebrei della Diaspora" sono così ignoranti sul Medio Oriente e cocciuti da non voler sapere? da non ragionare e non voler ragionare? Né si rende conto l'opposizione israeliana più a sinistra, che fallita l'utopia di Oslo che è costata sangue ad Israele e che Israele paga ancora oggi, della sua politica suicida? Ma se durante la cosiddetta pace di Oslo, nessuna seria azienda europea ha mai investito in Israele, dimostrando che altri erano gli obiettivi di quella "pace"!!! ma alcuni dell'opposizione, sì, in combutta con costruttori italiani di sinistra e chissà chi altri, hanno

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avuto i loro vantaggi. La democrazia israeliana ha molto da insegnare al mondo: ma vorrei aggiungere un tribunale morale che giudicasse comportamenti e responsabilità di quegli israeliani ed ebrei che si permettono di fare politiche alternative e parallele a quelle del governo israeliano, contro Israele e contro gli ebrei.

(Chicca Scarabello, 14.07.2004)





4. PARLA IL RAGAZZINO CHE STAVA PER SALTARE IN ARIA




Il baby-kamikaze: «Volevo punire i miei»

di Mara Vigevani

«Ho visto donne e bambini, non potevo farlo». In famiglia nessuno si curava di me. I miei genitori mi sgridavano.


NETANYA - «Sono il più giovane in famiglia, a nessuno importava di me. I miei genitori mi sgridavano perché vado male a scuola, i compagni di banco mi prendevano in giro, e allora ho deciso di diventare kamikaze. Così, almeno, qualcuno si sarebbe ricordato di me». Hussam Mahmud Bilal Abdu, 16 anni, è detenuto nella prigione israeliana Ha Sharon, a nord di Tel Aviv. Zona 7, assieme agli altri 66 minorenni palestinesi arrestati per aver compiuto gravi crimini contro la sicurezza. E' lui il ragazzino, che si avvicina con le mani alzate a un posto di blocco israeliano con la cintura esplosiva legata in vita. La scena, ripresa da una televisione straniera, mentre si taglia attentamente con delle forbici il giubbotto esplosivo, ha fatto il giro del mondo.

Vive in una cella con altri due detenuti. In ogni stanza una piccola televisione e un ventilatore. Le celle guardano un lungo corridoio diviso dai ragazzi, da una linea immaginaria, in due zone che hanno chiamato Palestina e El Kara come due quartieri di Nablus. Hamas e Jihad mandano ai ragazzi dai 15.000 ai 30.000 shekel al mese (dai 3000 ai 6000 euro) affinché possano comprarsi altre comodità: l'ultima, walkman per tutti. Le regole permettono ai ragazzi di uscire nel cortile tre ore al giorno, un'ora e mezza la mattina e poi al pomeriggio. Abdu indossa la divisa marrone scuro, che ha dovuto arrotolare, perché non c'è della sua misura. Entra nella stanza, dove di solito si tengono le lezioni. Abdu deve ancora imparare a leggere e scrivere. «Non mi è mai piaciuto studiare, ma qui le lezioni sono facili, ho meno problemi che nella mia vecchia scuola a Nablus, quando uscirò di prigione voglio diventare tecnico e riparare radio e televisioni».

Sembra più un bambino che un adolescente, più basso dei suoi compagni, un teenager in miniatura, due grossi occhi fin troppo ingenui. E quando parla, non gli daresti più di dieci anni.
Lo scorso marzo, dopo una forte lite con i genitori, Abdu ha deciso di diventare kamikaze. I responsabili delle organizzazioni terroristiche non gli hanno fatto troppi esami: in due giorni lo hanno provvisto di cintura esplosiva e gli hanno ordinato di diventare shahid al chek point di Hawara. «Quando sono arrivato - dice -, ho visto delle donne e bambini e non me la sono sentita, cosi ho chiamato i soldati e gli ho detto che stavo indossando una cintura».

L'arruolamento di Abdu è durato meno di due giorni. «Dopo aver detto a Nasser, il mio migliore amico, di voler diventare shahid , mi ha portato dai responsabili. Mi hanno chiesto di nuovo se ero convinto di ciò che facevo poi mi hanno dato 100 shekel (circa 20 euro), portato da un fotografo per l'ultima foto con la cintura e accompagnato a casa. Il giorno dopo ho detto ai mie genitori "arrivederci" e sono andato a ritirare la cintura esplosiva».

Abdu non è più arrabbiato con i suoi, dice di essersi pentito: «Da quando sono in prigione non ho visto nessuno della mia famiglia, ma ho parlato al telefono con mia madre e i miei cinque fratelli e sorelle maggiori. Piangevano tutti e mi chiedevano di continuo perché volevo morire. Con mio padre non ho ancora parlato, penso sia molto arrabbiato per quello che stavo per fare».

Per chi conosce Abdu è stata una vera sorpresa vederlo in televisione, non ha mai fatto parte di organizzazioni terroristiche e tanto meno ha partecipato a discussioni politiche: «Non ho mai approvato gli attentati, quando c'erano pensavo tra me e me che non valeva la pena morire cosi. Comunque non mi interessavano. Io volevo diventare kamikaze solo perché ero arrabbiato con i miei genitori, volevo essere più importante per loro». In prigione Abdu ha fatto nuove amicizie, «ma il mio migliore amico rimane sempre Nasser, non mi importa se mi ha portato da quei signori e mi ha aiutato a diventare kamikaze». Il processo di Abdu non è ancor terminato, e non si sa quanti anni dovrà passare in prigione.

(Corriere della Sera, 12 luglio 2004)





5. AUTORITA' NAZIONALE PALESTINESE NEL CAOS PER COLPA DI ARAFAT




NEW YORK - Durissima presa di posizione delle Nazioni Unite nei confronti di Yasser Arafat, accusato di "mancanza della volonta' politica" di attuare autentiche riforme in seno all'Autorita' Nazionale Palestinese nonche' di "appoggio soltanto nominale e parziale" all'impegno profuso dall'Egitto per rifondarne le forze di sicurezza: un atteggiamento che secondo Terje Roed-Larsen, inviato speciale Onu in Medio oriente, sta conducendo la stessa Anp alla "paralisi", e facendo precipitare i territori autonomi in un "caos costantemente emergente", con un conseguente "deterioramento della legge e dell'ordine" in quelle aree che va "peggiorando senza posa": e che, denuncia ancora Roed-Larsen nel consueto rapporto mensile al Consiglio di Sicurezza, "non puo' essere imputato unicamente alle incursioni israeliane e alle loro operazioni all'interno delle citta' palestinesi". Le affermazioni dell'inviato del Palazzo di Vetro hanno suscitato l'indignata reazione del rappresentante dell'Anp presso le Nazioni Unite, Nasser al-Kidwa; mentre sono state accolte con commenti piu' che positivi, fatto questo estremamente raro, dalla delegazione dello Stato ebraico.

(AGI, 13.07.2004)  





6. NOSTALGIA DI ISRAELE




«Torna al tuo paese!» Ovvero: perché ho fatto la mia alià


di Yaël Attal-Gusi


YOM KIPPUR 1973 - Siedo accanto a mio padre nella sinagoga del mio quartiere parigino. Improvvisamente vedo sul viso segnato dalla fatica di un giovane una grande inquietudine e sento qualcuno che grida: «Israele è stato attaccato! E' entrato in guerra, pregate per i nostri fratelli!»
    Dopo la cerimonia mia madre ascolta le informazioni, e davanti alla terribile notizia si mette a pregare in arabo: «Rabbi Meyer Baal Ha Ness (Rabbi Meyer, Maestro dei Miracoli), proteggi il nostro popolo, proteggi la nostra Terra d'Israele!...» Io sono ancora una bambina e chiedo a mia madre: «Ma perché dici nostra Terra d'Israele? Il nostro paese non è la Francia?»
   
INIZIO AGOSTO 1992 - E' il mio quinto viaggio in Israele organizzato dal MAF (Movimento dell'Alià di Francia). Il nostro gruppo è molto eterogeneo, e ciascuno di noi ha un motivo diverso per fare il viaggio. Per qualcuno è l'occasione per incontrare l'anima gemella, perché là dove abitano la scelta è limitata. Per altri il motivo è che è casher e non caro [casher et pas cher]! Per me è perché non sopporto il viaggiare imbecille e lo stile "abbronzatura, gonnellina e discoteca" non è il mio sogno.
     Nella macchina che ci porta da Tel Aviv a Gerusalemme parlo con la mia amica Ilana che mi dice di avere la febbre e un gran mal di testa. Tutt'a un tratto sviene. Facciamo venire d'urgenza il Magen David Adom, e l'infermiere che la rianima è talmente bello che quando lei torna in sé si fa rivenire un malore! Ilana soffre di disidratazione e dovrà passare tre giorni in ospedale. Quando ritorna nel gruppo appare superbamente sbocciata e ci annuncia che ha deciso di restare in Israele per fidanzarsi con l'infermiere del Magen David Adom! Non è una bella storia!
    In viaggio. Dalla finestra della macchina che ci conduce da Ashkelon a Beer Sheba osservo il paesaggio che non è di grande interesse nei 10 chilometri intorno a noi. Si tinge di una sfumatura di marrone, di ocra e di beige (il deserto, la sabbia, le pietre). Tutt'a un tratto vedo all'orizzone una distesa di verde giada con dei tocchi giallo oro, rosso e rosa, e quei colori associati al colore d'un cielo blu trasparente mi fanno pensare a un magnifico quadro vivente di Pissarro. Ho le lacrime agli occhi, tanto questa oasi è bella e sembra irreale... Gli israeliani hanno fatto ritirare il deserto ed è straordinario quello che hanno costruito in così poco tempo, dopo essere sopravvissuti alla Shoah e a tutte le guerre, fino ad oggi.
    Assisto a una serie di conferenze sul popolo ebraico, sulla storia d'Israele. Uno dei dirigenti dell'Agenzia Ebraica comincia il suo discorso dicendo che «quando uno decide di lasciare il suo paese d'origine, è per trovare una situazione migliore, una vita più facile, una maggiore sicurezza nel nuovo paese o dove desidera stabilirsi... Per un ebreo, la decisione di salire in Israele sfida tutta questa logica...»

FINE AGOSTO 1992 - Ritorno a Parigi. Prendo la macchina e vado al lavoro (che del resto mi piace molto) e negli spossanti e quotidiani imbottigliamenti sulla tangenziale lascio vagabondare la mia mente nel ricordo di tutto «il pieno di bontà e santità» che ho fatto in Israele. Mi rivedo davanti al Muro del Pianto mentre prego D-o di aiutarmi a fare la mia alià... Chiudo gli occhi e sento l'aria pura e la dolcezza del vento che canta sulle magnifiche alture del Golan. In un attimo mi ritrovo a Masada e dall'alto contemplo il Mar Morto che danza e brilla come un'infinita coltre di stelle. Sulla sabbia dolce di Haifa guardo come ipnotizzata il sole dai raggi arancioni e rosa che galleggia un momento e poi si tuffa nel mare.
    La fila di vetture avanza e un gran colpo di clacson mi riporta alla realtà tetra e inquinata della mia situazione. Il conducente dietro di me mi supera e frenando mi grida arrabbiato: «Allora sogni? Torna al tuo paese!» Oh sì, grazie, non chiedo altro.
    Io che arrivavo sempre di buon umore al lavoro, divento silenziosa e sfioro i muri... La mia segretaria, che è convinta che io ho una pena d'amore (dovrebbe smettere di fumare, quella là) un giorno mi dice: «Deve essere extra quel ragazzo, perché tu ti riduca in questo stato. E come si chiama?» «Si chiama Israele, e andrò a raggiungerlo molto presto. Non ce la faccio più!!!» «???».
    Continuo a vedere i miei amici, ma mi annoio con loro. Le loro conversazioni mi sembrano prive d'interesse: «L'ultimo libro di quel tale dev'essere assolutamente comprato... I soldi di... l'autorizzazione del Concistoro a consumare una nuova marca di Chips...». Non sopporto più di fare 80 minuti di macchina (andata e ritorno) per andare a ingoiare in fretta un sandwich casher nel centro di Parigi. Mi sono stufata di ripetere ogni anno in ufficio al nuovo venuto non ebreo che non festeggio il 24 dicembre perché la cosa non mi riguarda, ma che tuttavia non vengo da Marte! Non sopporto più di passare lo Shabbat che termina alle 23, mentre il Rabbino della mia sinagoga offre soltanto un corso di Torah tra le 17.30 e le 19. Trovo frustrante interessarmi di Israele soltanto perché sono preoccupata della situazione del paese, anche se spesso invio soldi a diverse associazioni laggiu...
    Pietà, soffoco, aiuto! Portatemi il fratello dell'infermiere del Magen David Adom, se è bello come lui!!!
    Voglio risvegliarmi con la chiarezza favolosa di Gerusalemme, parlare ebraico, ridere e litigare con gli israeliani (dopo qualche anno qui, non credevo di dire così bene), lavorare e contribuire allo sviluppo del paese. Voglio sentirmi a casa mia, perché qui non ho bisogno di giustificare il fatto di essere ebrea: è naturale esserlo. Voglio contribuire a questo meraviglioso edificio, come fa ogni ebreo quando decide di stabilirsi sulla Sua Terra.
   
GIUGNO 2004 - Sono ormai 11 anni che abito a Gerusalemme «la Città Eterna» - ogni città d'Israele è eterna - e ricordo quello che aveva detto quel dirigente dell'Agenzia Ebraica: «Per un ebreo, la decisione di salire in Israele sfida ogni logica...» E' vero, ma è una logica che ogni ebreo deve incorporare prima o poi nella sua vita, indipendentemente dalla situazione e dall'età.
    Oggi sono i miei ragazzi che prima di dormire dicono: «Rabbi Meyer Baal Ha Ness proteggi il nostro popolo, proteggi la nostra Terra d'Israele...», ma pronunciano questa preghiera in ebraico, e adesso so di averne capito tutto il senso.

(Guysen Israël News, 28 giugno 2004)


NOTA - Strano soltanto che non si tenga presente che la Bibbia vieta in modo assoluto di rivolgersi ai morti.  «Un popolo non deve forse consultare il suo Dio? Si rivolgerà forse ai morti in favore dei vivi?» (Isaia 8:19). M.C.





7. MUSICA E IMMAGINI




Hora Mamtera




8. INDIRIZZI INTERNET




Magen David Adom

Americans For a Safe Israel




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