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Notizie su Israele 306 - 29 luglio 2005

1. Obiezioni al piano di sgombero da Gaza
2. Lettera di una donna ebrea
3. Il peggiore abominio
4. Città da 100 milioni di dollari a Gaza
5. Due sportivi invitano a fare alià
6. Gli ebrei geniali perché perseguitati
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Salmo 91:1-2. Chi abita al riparo dell’Altissimo riposa all’ombra dell’Onnipotente. Io dico al Signore: «Tu sei il mio rifugio e la mia fortezza, il mio Dio, in cui confido!»
1. OBIEZIONI AL PIANO DI SGOMBERO DA GAZA




Israeliani di sinistra mettono in guardia
contro il piano di ritiro di Sharon


Politici israeliani di sinistra e professionisti della sicurezza che non hanno niente a che spartire con l'ideologia biblica dei coloni e tuttavia alcuni di loro concordano con i coloni ebrei sul fatto che il ritiro dalla striscia di Gaza voluto da Sharon è un errore, per motivi politici e strategici.

Yossi Beilin, segretario del partito di sinistra Yachad:
«Il ritiro unilaterale di Israele dalla striscia di Gaza non ci condurrà a nessun pacifico statu quo con i palestinesi, porterà anzi tutti e due i popoli ad una catastrofe. E' garantito che si arriverà ad un altro scoppio di violenza palestinese in Giudea e Samaria.»

Amy Ayalon, ex capo del servizio di sicurezza Shin Bet:
«Il capitano del piano di ritiro israeliano si comporta come un capitano che guida la sua nave senza una meta fuori dal sicuro porto nel mare aperto e tempestoso. Ancora più grave inoltre è il fatto che lui conosce la direzione, ma si guarda bene dal rivelarla al suo equipaggio. Agli occhi dei palestinesi un ritiro unilaterale da Gaza apparirà come una sconfitta israeliana. Così ci siamo guadagnati l'ultima rivolta contro Israele. Esiste inoltre una grossa probabilità che nell'anno 2006 dovremo affrontare una terza ondata di conflitti.»

Prof. Shlomo Ben Ami, ex ministro degli esteri sotto Ehud Barak:
«Lo sgombero unilaterale comunica ai palestinesi un'immagine di Israele che cede sotto pressione. Dopo questo, Fatah e Hamas si equipaggeranno per una terza intifada contro Israele.»

Uzi Dayan, ex vice-capo di stato maggiore dell'esercito israeliano:
«Il ritiro unilaterale dagli insediamenti ebraici Nissanit, Dugit e Eli-Sinai nel nord della striscia di Gaza è un doppio errore. In questo modo lasciamo avvicinare i razzi Kassam alla frontiera settentrionale di Gaza, e così esponiamo Ashkelon al rischio di essere colpita da lanci. Inoltre, non dovremmo ritirarci fino alla linea del 4 giugno 1967.»

Eitan Ben-Elijahu, ex comandante dell'aviazione israeliana:
«Non c'è nessuna chanche che il piano di ritiro di Sharon dalla striscia di Gaza porti ad una durevole stabilità in questa regione. Se nessun piano alternativo verrà a sostituire il piano di sgombero, questo significherà la fine del sogno sionista e la fine dello Stato ebraico.»

Ephraim Ha Levy, ex capo dei servizi segreti israeliani Mossad:
«Dopo il ritiro unilaterale dalla striscia di Gaza Israele dovrà subire una crisi diplomatica che da molto tempo non abbiamo più sperimentato.»

Shabtai Shavit, ex capo dei servizi segreti israeliani Mossad:
«Il piano di ritiro unilaterale dalla striscia di Gaza si saboterà da solo e porterà ulteriore instabilità tra i due popoli. Subito dopo lo sgombero, le relazioni diplomatiche di Israele con il governo USA subiranno un crollo.»

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GLI INSEDIAMENTI EBRAICI NELLA STRISCIA DI GAZA

Insediamenti Anno di fondazione Famiglie Persone
Morag 1983 35 170
Rafiah-Yam 1984 25 150
Atzmona 1979 70 550
Shalev 1980 10 60
Bedolach 1986 34 220
Gan-Or 1983 52 320
Sadeh 1989 20 110
Gadid 1982 56 310
Newe-Dekalim 1983 500 2500
Kefar-Yam 1983 10 55
Shirat-Yam 2000 12 80
Gani-Tal 1979 70 380
Katif 1985 60 340
Netzer-Sereni 1973 70 410
Tel-Katifah 1992 18 75
Eli-Sinai 1983 85 370
Kefar-Darom 1970 60 330
Netzarim 1972 55 380
Nissanit 1980 300 1000
Dugit 1990 20 80


(israel heute nr. 323, agosto 2005)





2. LETTERA DI UNA DONNA EBREA




Lettera ai soldati e ai poliziotti dell'espulsione da Gaza
    
di Rachel Chajbi (traduzione di Sergio HaDaR Tezza)
    
Caro soldato/poliziotto,

In questa lettera non troverai ideologia. È un appello completamente personale, direttamente da me al tuo cuore.
Mi chiamo Rachele, sono nata 25 anni fa a Yamit [una comunità ebraica nel Sinai che fu distrutta e il terreno dato all'Egitto nel quadro degli Accordi di Camp David] e sin dall'espulsione di Yamit ho vissuto a Gush Qatif.
Vivo qui con mio marito, le mie due figlie, i mie genitori, i miei fratelli e sorelle e mia nonna - quattro generazioni che vivono felicemente insieme nel posto che amano così tanto.
Mi rivolgo a te pregandoti di considerare la missione che ti si chiede di compiere.
Chiudi gli occhi e immagina il seguente scenario: bussi alla porta di casa della famiglia Shalva a Newe Deqalim, presenti loro l'ordine di espulsione e cominci a eseguire l'ordine.

Cominciamo con l'espulsione della prima generazione.
Mia nonna, Nonna Penina (Perla), ha 92 anni, è una sopravvissuta alla Shoà, una che arrivò in Israele in una barca illegale, ma le fu negato l'ingresso e fu sbattuta fuori, a Cipro. Persino dopo essere arrivata in Israele ha avuto moltissime difficoltà. Questa è casa sua, e non ne ha un'altra da diciassette anni.
Questa espulsione non è davvero difficile. È una donnina fragile che non pesa molto, e naturalmente non ha la forza di resistere. Ma perché ti si riempiono gli occhi di lacrime quando gli occhi di Penina esprimono chiaramente che questa non è la prima volta che la sbattono fuori da casa sua? Nel passato fu sbattuta fuori di casa un'altra volta - direzione Auschwitz.
Nonna Perla è nell'autobus. L'espulsione della prima generazione si è svolta con successo.

Ora torniamo alla casa, alla seconda generazione.
I miei genitori, mio padre Moshè (il figlio di nonna Perla) e mia mamma Esti, non oppongono nessuna resistenza, ma i loro occhi sono pieni di lacrime che raccontano la loro storia. Moshè ed Esti sono stati sbattuti fuori dalla loro casa a Yamit 23 anni fa. Quando bussarono alla loro porta e li misero su un autobus coi loro quattro figli, il più vecchio di tre anni e mezzo e il più giovane che aveva solo qualche settimana di vita, promisero loro che l'autobus li avrebbe portati a Beer Sheva e che lì si sarebbero occupati di loro.
Con uno zaino a tracolla in cui c'era un ricambio per ogni bambino e qualche pannolino di stoffa, mamma e papà erano proprio dei profughi in tutti i sensi. Era ovvio che se fossero arrivati a casa dei loro genitori in quello stato, l'associazione di idee di quei sopravvissuti all'olocausto sarebbe stata un fardello troppo gravoso da sopportare e quindi non si fecero vedere.
Dopo aver atteso quattro ore sui marciapiedi della Stazione Autobus di Beer Sheva, mio padre si rivolse alla polizia. Anche lì non trovò nessun aiuto. Dopo un'attesa durata molte ore, un buon ebreo passò di là e dopo aver ricevuto risposta negativa alla domanda se avessero un posto in cui dormire, li invitò a casa sua a Gane' Tal.
In quei giorni vivevamo nel foyer della casa di quella famiglia, fino a che non trovammo un alloggiamento temporaneo nella comunità di Qatif. Fino a che la nostra casa fu costruita a Newè Deqalim, i miei genitori fecero ogni sforzo possibile per riorganizzarsi una nuova vita. Mio padre aprì con le sue mani un'azienda [agricola] a Newè Deqalim e la vita tornò alla normalità, o così sembrava...
Anche Moshe ed Esti sono quasi sull'autobus, quando ti ricordi di colpo che in verità non hai nessuna risposta alla domanda sospesa nell'aria tra voi due: "E adesso dove [andremo]? E poi? Che cosa accadrà adesso?"
Adesso, anch'essi sono sull'autobus e l'espulsione della seconda generazione è stata completata con successo.

Questa volta, con passo meno leggero, ritorni per continuare con la terza generazione.
Undici dei miei dodici fratelli e sorelle vivono a Newè Deqalim, da Ori 26 anni, a Tifereth, la più giovane, che ha appena finito la prima elementare. Adesso la missione sembra un po' più difficile. Andare avanti e indietro verso l'autobus nel caldo pesantissimo è difficile, ma è ancora più difficile sopportare gli sguardi dei bambini, pieni di paura quando ti vedono - perché hanno sempre creduto che tu sia lì per proteggerli e farli sentire sicuri. Adesso li stai strappando via dalla loro casa, in cui sono nati e cresciuti.
Gli undici bambini sono stati messi sull'autobus e anche le spose e i due novelli sposi si sono aggiunti alla famiglia da poco. L'espulsione della terza generazione è terminata con successo come le altre.

Adesso ritorni alla casa, mentre il pianto e le urla dall'autobus echeggiano nelle tue orecchie, le tue gambe obbediscono a stento ai tuoi comandi. Solo la quarta generazione rimane da espellere - e questa è veramente un gioco da bambini. Due bambine piccole, Morià, di quattro anni e mezzo e Efrat, di due anni e mezzo, le mie figlie. Che cosa può essere così difficile nel prendere due bambine?
Le sollevi entrambe, insieme, senza sforzo, e le trasporti verso l'autobus, quando all'improvviso, Morià dice in lacrime: "Ma io voglio casa mia!" e di colpo ti rendi conto che quando avrai finito con la quarta generazione, avrai cancellato la vita normale di un'intera famiglia. Quando rifletterai sulle mie bambine nelle tue mani, penserai alla prossima generazione, penserai ai tuoi bambini, o ai bambini che avrai in futuro. Di colpo sei preso dalla paura quando pensi a ciò che dirai ai tuoi bambini quando ti chiederanno come hai servito lo Stato - Sarai capace di dir loro che sei fiero del servizio fatto allo Stato?
Pensa, te ne prego!
No, in realtà non devi disobbedire agli ordini.
Se ricevessi l'ordine di sollevare un camion che pesa un sacco di tonnellate, non dovresti disobbedire agli ordini - semplicemente non avresti abbastanza forza da compiere la missione.
Anche l'anima ha i suoi limiti!
Mi rivolgo alla tua anima, al cuore di quel soldato e ufficiale che giurò di proteggere lo Stato d'Israele.
Pensa, ti prego!
    
(italianhonestreporting@yahoogroups.com, 27 luglio 2005)





3. IL PEGGIORE ABOMINIO




La deportazione degli ebrei da Vienna

A parte le profonde differenze di valutazione che si possono dare dei fatti politici in Israele, il piano di ritiro da Gaza ha comunque già provocato un risultato fortemente negativo: israeliani sono contro israeliani, ebrei sono contro ebrei. Paralleli meccanici con il passato non si possono e non si devono fare, ma certamente pensieri ed emozioni tetre del passato possono riemergere in chi ne conserva il ricordo. Il fatto che ancora una volta la soluzione di un problema politico sembri essere facilitata dalla "deportazione" di ebrei da un posto a un altro, non può che evocare funeste impressioni, anche in chi non ne è direttamente coinvolto. Nel seguito viene riportato un brano dal classico testo di Raul Hilberg: "La distruzione degli Ebrei d'Europa".

Vienna contava una popolazione ebraica di circa 51.000 persone, quando cominciarono, nell'ottobre 1941, le deportazioni di massa. Per gli Ebrei viennesi, tuttavia, queste «evacuazioni» non costituivano una novità. PIù di 6000 Ebrei avevano lasciato Vienna, diretti verso il Governatorato generale, prima dell'attuazione della «soluzione finale»; 1500 nell'autunno del 1939, e 5000 nel febbraio-marzo 1941. Nei mesi che precedettero le deportazioni di ottobre, il concentramento degli Ebrei all'interno della città si era intensificato, e alla fine erano raggruppati per il 90 per cento in tre quartieri loro assegnati: il II, il IX e il XX. Quando la stella giudaica divenne obbligatoria, gli Ebrei furono ancor più visibili e più vulnerabili. A puro titolo di esempio, possiamo citare quel funzionario del soccorso sociale della Comunità ebraica, ex combattente e mutilato della Prima guerra mondiale, che portava una gamba artificiale. Scivolò su un marciapiede ghiacciato, e implorò per tre ore l'aiuto dei passanti. Tutti lo ignoravano, ed egli finì con il rimettersi in piedi come poteva, rompendosi il polso. La Kultusgemeinde [Comunità religiosa ebraica] non cercava alcun soccorso. Al contrario collaborava con la Gestapo, e il rabbino Murmelstein non lesinava gli sforzi. [...]

Il raggruppamento degli Ebrei nei punti di raccolta era chiamato Kommissionierung. La Kultusgemeinde conservava uno schedario degli Ebrei viennesi, e la Gestapo stilava le liste della deportazione. La Kultusgemeinde, per ragioni precise, poteva «recuperare» alcune persone, ma sembra che fosse obbligata a designarne altre al loro posto, perché la quota richiesta - mille individui - potesse partire. Girzick [ufficiale dell SS] ricorda che, «all'inizio, gli Ebrei venivano arrestati per intere famiglie» (Grundsätzlich wurden die Juden familienweise abgeschoben) . I dirigenti ebraici, poi, dovevano piegarsi a un'esigenza che, tra tutte, era insostenibile: fornire ausiliari scelti tra i propri ranghi (Ausheberdienst, o Jupo), che aiutassero la Gestapo durante i rastrellamenti. Ora ci si aspettava dalla Comunità ebraica che commettesse il peggior abominio: Ebrei dovevano arrestare altri Ebrei. La Comunità eseguì, sperando in tal modo di poter garantire una procedura più umana (humanere Vorgangsweise) Gli Ausheber di Murmelstein facevano irruzione in molti in un appartamento ebreo e si mettevano davanti alla porta, mentre un SS o il capo di un Kommando ebraico si accomodava a un tavolo per compilare il questionario con i membri della famiglia e verificare la loro dichiarazione dei beni. Succedeva poi che le SS se ne andassero, autorizzando la polizia ebraica ad aiutare le vittime a fare i bagagli, ma mettendola seriamente in guardia contro ogni tentativo di fuga. Nei luoghi di raccolta, le guardie ebraiche si organizzavano per rendere impossibile la fuga delle persone arrestate. Per ogni persona arrestata e mancante alla partenza, si disse a Löwenherz [capo della Comunità ebraica], sarebbero state deportate due guardie ebree.
    
(Raul Hilberg, "La distruzione degli Ebrei d'Europa", ed. Einaudi)

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Si potrebbe dire che oggi la situazione è diversa, che oggi non ci sono i tedeschi, che oggi nessuno costringe gli ebrei a spostarsi ma si tratta di una decisione "unilaterale" del governo ebraico. Ma è proprio così? E' proprio vero che a volere "judenfrei" quella parte della terra d'Israele siano gli ebrei? E' sicuro che non ci siano intorno altre forze internazionali che con la loro pressione sulle autorità ebraiche abbiano reso quella decisione "una proposta che non può essere rifiutata"? E se le cose stanno così, è giusto che tutta l'attenzione sia posta sul contrasto, che può diventare drammatico, tra correnti diverse all'interno del mondo ebraico, in Israele e fuori?
Quello che segue è un estratto di una conferenza tenuta in Germania nel 2002 da Doron Rabinovici, un ebreo nato a Tel Aviv nel 1961 e trasferitosi dopo pochi anni a Vienna, dove è cresciuto, ha studiato psicologia e storia, e ha fondato insieme ad altri «Schalom Aschaw-Peace Now», gruppo viennese degli amici del movimento israeliano per la pace (Wiener Freundesbewegung der israelitischen Friedensbewegung).



«I consigli ebraici viennesi sotto il dominio nazista»

di Doron Rabinovici

[...]

Il 15 ottobre 1945 il capo della Polizia di Stato viennese intentò un'accusa contro Wilhelm Reisz da parte della Procura di Stato. Nel periodo nazista Wilhelm Reisz era stato agli ordini dell'ufficiale delle SS Herbert Gerbing. Sotto Gerbing Reisz aveva partecipato ai cosiddetti "snidamenti di ebrei" (Judenaushebungen). Con gli uomini delle SS doveva andare a cercare nei loro appartamenti gli ebrei che erano stati selezionati per la deportazione dalle autorità nazionalsocialiste, prendere nota dei loro nomi e aiutarli a mettere nelle valigie quelle poche cose che potevano portare con loro. Il comportamento di Reisz, osservò il capo della Polizia di Stato austriaco, è «particolarmente riprovevole» perché «per procurare a sé stesso un vantaggio, ha gettato in rovina i suoi connazionali».
    Per quale ragione Reisz era un'eccezione? Era forse «particolarmente riprovevole», mentre tali non erano gli austriaci, che per i propri personali vantaggi avevano tradito, depredato, cacciato, maltrattato o ucciso i propri connazionali? Assolutamente no: la «politica ebraica» nazionalsocialista in Austria non fu un provvedimento imposto dal di fuori, dall'«Antico Reich» tedesco contro la volontà della popolazione. Col massimo zelo gli antisemiti

prosegue ->
austriaci si misero all'opera nel 1938, e con ossessivo senso del dovere anticiparono quello che a Berlino era ancora impensabile.
    Wilhelm Reisz dunque non era affatto un'eccezione nel paese che dopo il 1945 voleva essere considerato soltanto come la prima vittima di Hitler. Ma Wilhelm Reisz era ebreo - ed era sopravvissuto. «I suoi connazionali», così la Polizia di Stato viennese, «hanno fatto cadere in disgrazia» Wilhelm Reisz. Come connazionali non s'intedevano cittadini austriaci o tedeschi, ma, senza eccezione, ebrei perseguitati dai nazisti. Il tribunale austriaco giudicò colpevole Wilhelm Reisz e condannò il sopravvissuto a quindici anni di prigione, incluso un trimestre di carcere duro. Quindici anni per un ebreo che prima era stato condannato a morte ed era sfuggito all'eccidio perché si era reso indispensabile per Gerbing come «capogruppo» (Gruppenführer). Gerbing, nato a Mödling nella bassa Austria, sparì. Come i suoi colleghi SS della centrale di Vienna, non fu più trovato e non dovette rendere conto dei suoi atti.
    Il giorno in cui fu resa nota la sentenza, Wilhelm Reisz si impiccò nella sua cella. Per sette anni aveva sofferto sotto la persecuzione nazionalsocialista ed era sopravvissuto allo sterminio. Adesso eseguì il suicidio. Non aveva previsto un simile verdetto di colpevolezza e si era sentito non collaboratore, ma vittima del regime nazista. La pesantezza del verdetto sorprende, soprattutto se la si confronta con la normale prassi della giustizia austriaca dopo il 1945. Dei 136.000 casi di persone che nel 1945 in Austria erano andate in giudizio davanti ai cosiddetti tribunali del popolo per crimini nazisti, 108.000 furono sospesi o ritirati. Dei rimanenti 28.000, soltanto la metà furono giudicati colpevoli. Molti tuttavia non per l'addebito di delitti contro altre persone, ma soltanto per cosiddetti reati formali, come l'illegale appartenenza al partito nazionalsocialista negli anni 1934-1938. Agli imputati fu attribuito il reato di essere caduti in complicità di fatto con i criminali totalitari. La responsabilità di questo rapporto stretto non era attribuita all'artefice, ma alla vittima, per essere stata particolarmente coinvolta in questa mortifera costellazione.
    Spesso si diceva che dei funzionari della comunità ebraica si erano preoccupati «soltanto» di assicurare la loro propria vita e quella della loro famiglia. Che sia stato fatto intenzionalmente o no, la leggenda dei responsabili delle comunità ebraiche che trattano con i nazisti soltanto per il proprio, egoistico interesse non è nient'altro che delazione. Al contrario, alla base della politica di compromesso c'erano soltanto preoccupazioni di responsabilità sociale. Non il desiderio di sopravvivere era decisivo per la direzione della comunità. In un primo tempo ci fu la speranza che, trattando con le SS, si potessero salvare ebrei ed ebree mediante l'emigrazione. In seguito si cercò di frenare lo sterminio totale; e alla fine si tentò soltanto di aiutare a mitigare le sofferenze.


Josef Lšwenherz con Herbert Hagen e Adolf Eichmann

    Le vittime ebree, perseguitate o piantate in asso dalla popolazione non ebrea, furono doppiamente ingannate. Seguirono i provvedimenti nazionalsocialisti che la comunità ebraica annunciava e poi rivolsero la loro rabbia contro i propri rappresentanti. Non le SS o la Gestapo, ma i funzionari ebrei dovevano pubblicare i decreti nazionalsocialisti. Non il «responsabile per gli ebrei» della Gestapo, ma il capo della comunità ebraica ne portava la responsabilità nella memoria dei sopravvissuti; non il «capo pattuglia SS», ma il «membro del servizio d'ordine» ebraico doveva imprimersi nella loro mente. In questo modo fu manipolata e distrutta la fiducia delle vittime nella loro direzione, per impedire ogni rivolta contro gli autori dei crimini.
    La tattica nazionalsocialista, la manovra ingannatoria riuiscì pienamente e continuò ad essere efficace anche dopo la vittoria sul Reich tedesco. Perfino dopo il 1945 si continuò a confondere le vittime con i carnefici o a scambiarli intenzionalmente.
    Sotto il nazionalisocialismo alle vittime era vietato vivere. Dopo la liberazione dovettero giustificare la loro sopravvivenza. La logica antisemitica, secondo cui l'ebreo buono è soltanto quello morto, paradossalmente è sopravvissuta al «Terzo Reich».
    Nelle dispute ideologiche ogni tanto viene rimproverato alle organizzazioni ebraiche la collaborazione al crimine. Nella fantasia antisemitica sarebbe semplicemente troppo bello se gli ebrei avessero la colpa del loro sterminio. Simili rappresentazioni dei fatti potrebbero mitigare qualche sentimento di colpa austriaco o tedesco.
    I fatti storici dimostrano quanto astrusi siano questi miti. Il 13 ottobre 1940 la Gestapo comunicò a Josef Löwenherz, dirigente della comunità ebraica, che ai 60.000 ebrei [di Vienna], tra cui anche i cosiddetti «non credenti», sarebbe stata distribuita una tessera annonaria. La comunità ebraica dovette mettere a disposizione 30 persone per istituire un archivio centrale. Dal 1° novembre 1940 sulle tessere annonarie di tutti quei perseguitati dall'antisemitismo fu apposto il timbro «Jude».

Estate 1938: ebrei a Vienna che cercano di emigrare

     Chi voleva mangiare, bambino o vecchio, doveva presentarsi lì. L'amministrazione ebraica fu ingannata con successo. Il luogo di distribuzione delle tessere che avevano detto doveva servire alla distribuzione centralizzata di viveri e mezzi di sostentamento per gli ebrei, servì per la loro registrazione, la loro deportazione e la loro uccisione. Servì alla macchina dello sterminio.
     [...]
    
(Zeitschrift des Zeitgeschichtemuseums Ebensee, Nr. 58, luglio 2002)





4. CITTÀ DA 100 MILIONI DI DOLLARI A GAZA




DUBAI - Gli Emirati Arabi Uniti costruiranno una città per i palestinesi sul luogo delle colonie israeliane che saranno demolite nella striscia di Gaza dopo il ritiro. Lo ha riferito ieri la stampa di Dubai, secondo cui la città sarà un dono dell’Emiro Khalifa bin Zayed al popolo palestinese «per alleviare le sue sofferenze e moltiplicare le possibilità di alloggio all’interno della striscia. Sarà il primo progetto a essere realizzato nelle aree liberate di Gaza». Il nuovo centro urbano si chiamerà Khalifa bin Zayed City, in onore dello sceicco, e costerà almeno cento milioni di dollari. Non si conosce ancora l’ubicazione della città, che, una volta ultimata, dovrebbe ospitare dalle 30 alle 40mila persone.
Le case verranno distribuite in collaborazione con l’Autorità nazionale palestinese (Anp), con cui Israele ha concordato di demolire tutte le abitazioni dei coloni di Gaza. Questa sarà la quarta opera architettonica che gli Emirati realizzeranno in favore del popolo palestinese dopo l’edificazione di una città a Gaza e la ricostruzione dell’accampamento di Jenin e di un intero quartiere a Rafah, lungo il confine con l’Egitto. Gli Emirati Arabi non intrattengono relazioni diplomatiche con Israele, e la ripresa dei contatti è subordinata alla nascita dello Stato palestinese.

(Il Giornale, 26 luglio 2005)





5. DUE SPORTIVI INVITANO A VENIRE A VIVERE IN ISRAELE




«Noi ci siamo riusciti. E tu?
Speriamo di incontrarti presto in Israele»

 
L'ex giocatore di pallacanestro del Maccabi Tel Aviv, Tal Brody e il nuovo allenatore della Benetton Treviso, David Blatt, hanno risposto positivamente alla richiesta del Presidente dell'Agenzia Ebraica, Zeev Bielski, di inviare una lettera ai partecipanti delle Maccabiadi, intitolata: “Noi ci siamo riusciti. E tu? Speriamo di incontrarti presto in Israele.”  I due sportivi, che hanno fatto l'alià dopo aver preso parte alle Maccabiadi, hanno avuto un ruolo fondamentale nello sport in Israele, per aver vinto il Campionato d'Europa di pallacanestro con la loro squadra, il Maccabi Tel Aviv.
Per iniziativa dell'Agenzia Ebraica e in collaborazione con la presidenza delle Maccabiadi, la lettera è stata distribuita alle migliaia di sportivi che sono venuti in Israele da tutto il mondo per partecipare alle Maccabiadi in Israele.


TESTO DELLA LETTERA
 
Questa lettera ti viene indirizzata personalmente. Proviene da due di noi, che rappresentano, tuttavia, molti, ma molti altri sportivi ebrei, che sono venuti in Israele alle Maccabiadi ed hanno deciso di rimanerci e di legare il proprio futuro al futuro di Israele.
Io, Tal Brody, sono nato a Trenton, New Jersey, U.S.A. Sono arrivato in Israele all'età di 21 anni, durante la Maccabiadi del 1965. Ho fatto l'alià nel 1970, ho giocato a pallacanestro e sono diventato capitano del Maccabi di Tel Aviv, con cui ho vinto la prima Coppa Campioni d'Europa nel 1977. Abito con mia moglie Tirtza ad Herzliya e ho due figli, sposati, che vivono ad Herzliya e a Kfar Saba.
Io, David Blatt, sono nato a Boston, Massachuesetts, U.S.A. Ho fatto l'alià a 22 anni, dopo le Maccabiadi del 1981. Sono stato vice-allenatore del Maccabi di Tel Aviv, che ha vinto la Coppa Campioni d'Europa negli anni 2000-1 e 2003-4. Abito a Beit Yehoshua con mia moglie e con i nostri quattro figli.
Siamo stati molto lieti di esaudire la richiesta del nuovo Presidente dell'Agenzia Ebraica per
Israele, Zeev Bielski, e ti scriviamo, dal momento che siamo parte del crescente legame tra i partecipanti alle Maccabiadi e le iniziative dell'Agenzia Ebraica, quali "Massà – Viaggio in Israele", con il presentarti l'opportunità di fare l'alià.
Siamo felici di essere presenti qui con te, migliaia di amici ebrei da tutte le parti del mondo. Tutti noi proveniamo da diversi background. Ciò che ci accomuna è la crescita in avvenimenti confortanti e familiari. Tal ed io siamo venuti dagli Stati Uniti, dove non ci mancava nulla. Tuttavia, quando per la prima volta siamo arrivati in Israele, ci siamo entusiasmati di  vivere qui – la fiaccola, che si era accesa, non si è spenta. Vivere in Israele non è facile, ma forse proprio per questa ragione, l'esperienza di vita qui è così forte. Ti tocca profondamente, ti tocca l'anima – la gente, il paesaggio, la storia, l'ebraismo, i cibi, la cucina, la lingua, lo sport, la politica, l'economia, l'esercito, la tecnologia – ogni cosa si intreccia in un'unica ed incredibile esperienza di vita, che non si potrebbe trovare altrove nel mondo. Sebbene siamo cresciuti in diverse parti del mondo, dal momento che siamo venuti in Israele abbiamo capito che dovevemo tornare a casa. Ti raccomandiamo di considerare seriamente questa unica ed incredibile esperienza e di venire qui almeno per qualche mese, per studiare, per fare del volontariato, per fare una visita o un lavoro.
 
Noi ci siamo riusciti. E tu?
Speriamo di incontrarti presto in  Israele

Tal Brody    David Blatt
 
(Keren Hayesod, 26 luglio 2005)





6. GLI EBREI GENIALI PERCHÉ PERSEGUITATI




NEW YORK - Albert Einstein, Sigmund Freud, Leonard Bernstein, Saul Bellow erano predisposti al genio in quanto ebrei, vittime per secoli di pogrom e discriminazioni? È questa la provocatoria conclusione di uno studio di antropologi dello Utah che hanno messo in relazione l'intelligenza altamente sopra la media degli ebrei ashkenazi alle persecuzioni da questo gruppo subite nel corso dei secoli.
I ricercatori guidati da Henry Harpending hanno dato alle stampe una delle tesi accademiche più politicamente scorrette dell'ultimo millennio sul Journal of Biosocial Science dell'Università di Cambridge.
Gli antropologi hanno fatto un'equazione tra la «tendenza al genio» degli ashkenazi e la predisposizione di questo gruppo a una serie di malattie genetiche del sistema neurologico come Tay Sachs, Gaucher, Niemann Pick suggerendo che i disordini genetici siano l'«effetto collaterale sfortunato» dei geni che facilitano l'intelligenza.
Harpending e i suoi colleghi sono partiti osservando che gli ebrei-americani di discendenza europea hanno vinto il 27% dei Nobel pur rappresentando appena il 3% della popolazione Usa nell'ultimo secolo.
Ebrei sono anche più della metà dei campioni di scacchi del mondo. L'antropologo ha messo in rapporto questa capacità intellettuale inconsueta (12-15 punti in più rispetto alla media europea) con le malattie genetiche più diffuse nel gruppo che, pur essendo nella stragrande maggioranza dei casi fatali, hanno come «effetto collaterale benefico» la crescita e interconnessione delle cellule cerebrali.
Lo studio è stato accolto con perplessità, timori e interesse. Studiosi ebrei negli Usa e in Israele hanno messo in guardia dalla recrudescenza di antisemitismo evocando gli stereotipi con cui i nazisti giustificarono l'Olocausto, ma altri hanno colto nella ricerca di Harpending un punto di partenza per la cura delle malattie al centro dell'indagine: «Quando studi la genetica per salvare vite umane è sempre importante», ha osservato James Young dell'Università del Massachusetts a Amherst e autore di un saggio sull'Olocausto.
Il rapporto tra intelligenza e malattie ha portato Harpending e i suoi collaboratori a una riflessione sullo stato sociale degli ebrei a partire dal Medioevo: mille anni di persecuzioni e restrizioni di mestieri hanno precluso agli ashkenazi l'accesso a attività tradizionali come l'agricoltura spingendoli invece in terreni come la finanza e il commercio, che richiedono agilità mentale ma erano disprezzati o addirittura proibiti alle popolazioni cristiane. Il successo in questi campi portò a ricchezza, cibo, case, famiglie. Ricchezza garantiva sopravvivenza e chi sopravviveva abbastanza a lungo da lasciare più prole (a cui trasmettere anche l'eredità genetica) erano sempre più frequentemente quelli con la tendenza al genio.
Sotto questa formula di selezione naturale, suggeriscono gli antropologi dello Utah, i tratti genetici relativi all'intelligenza divennero prevalenti tra gli ebrei dell'Europa centrale e settentrionale.

(Il Giornale, 20 luglio 2005)





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