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Notizie su Israele 389 - 16 maggio 2007

1. 40° Anniversario della riunificazione di Gerusalemme
2. Le polemiche che amareggiano Israele
3. Quello che i palestinesi non vogliono
4. Un sondaggio sull'antisemitismo
5. Il segreto della scienza israeliana
6. Musica e immagini
7. Indirizzi internet
Salmo 125:1-3. Quelli che confidano nel Signore sono come il monte di Sion, che non può vacillare, ma sta saldo in eterno. Gerusalemme è circondata dai monti; e così il Signore circonda il suo popolo, ora e per sempre. Lo scettro dell’empio non rimarrà per sempre sull’eredità dei giusti, affinché i giusti non tendano le loro mani verso il male.
1. 40° ANNIVERSARIO DELLA RIUNIFICAZIONE DI GERUSALEMME




Gerusalemme: 1967-2007

Oggi, 16 maggio 2007, Israele festeggia il 40° anniversario della riunificazione di Gerusalemme dopo la guerra dei sei giorni del 1967. Nella più che trimillenaria storia della Città santa, Gerusalemme è stata divisa soltanto una volta: nei 19 anni trascorsi sotto il dominio giordano, tra il 1948 e il 1967. Per migliaia di anni gli ebrei nella diaspora hanno pregato tre volte al giorno: “A Gerusalemme, nella tua città, torneremo pieni di gioia” e hanno ripetuto il giuramento del salmista: “Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra”. Oggi nella città contesa vivono 730.000 abitanti, di cui 490.000 ebrei e 240.000 non ebrei.



Gerusalemme non è soltanto la capitale d’Israele, ma il cuore di tutto il mondo ebraico sparso nel mondo. Il sindaco di Gerusalemme di qualche anno fa, Teddy Kollek, ha descritto la cosa con queste parole: «Per tremila anni Gerualemme è stata il punto centrale della speranza e della nostalgia ebraiche. Nessun’altra città ha avuto un simile ruolo centrale nella storia, nella cultura, nella religione e nella coscienza di un popolo. Di fronte a questo intimo, inscindibile legame del popolo ebraico si deve dire: se si vuole riassumere la storia ebraica in una sola parola, allora questa parola è Gerusalemme».
    Per ebrei, musulmani e cristiani Gerusalemme è il punto centrale in tutto il conflitto mediorientale. Chi ha diritto a questa città? Per incarico della nazione islamica, i palestinesi insistono a dire che Gerusalemme Est è la loro capitale, nonostante che Gerusalemme non sia mai stata una capitale palestinese o araba.
    Negli ultimi 14 anni tutte le trattative intorno a Gerusalemme sono fallite. I palestinesi insistono ad avere il cuore del popolo ebraico, cosa che nessun governo israeliano può concedere. Tutte le proposte fatte fino ad ora che contenevano compromessi in relazione al luogo del Tempio ebraico e al muro del pianto si sono arrestate davanti a una linea rossa che non può essere valicata. Resistere alla pressione internazionale che vuole “scambiare Gerusalemme con la pace“, è qualcosa che soltanto con l’aiuto di Dio si può riuscire a fare.

Uri Lupolianski, sindaco di Gerusalemme

«La città ebraica di Gerusalemme è parte integrante di Israele, anche se la maggioranza mondiale non lo riconosce. Già David Ben Gurion, 40 anni fa, aveva detto questo nel parlamento israeliano. E oggi, dopo 40 anni di riunificazione, stiamo ancora a contendere su Gerusalemme, non soltanto all’estero, ma anche all’interno del nostro popolo. Gerusalemme è una città che lega, intendo un autentico legame, un legame del cuore e non soltanto di strade e case. Gerusalemme è una città che trasforma tutto Israele in amici. Guardate quante persone con differenti concezioni del mondo e religioni vivono insieme. Gerusalemme è la città di Dio, e quindi appartiene innanzi tutto a Lui!»

Silvan Shalom, parlamentare (Likud)

«Gerusalemme simbolizza il legame tra il popolo e la terra d’Israele. Gerusalemme è l’essenza del nostro essere, della nostra anima e il cuore di tutti gli ebrei nel mondo. Gerusalemme simbolizza la risurrezione del popolo d’Israele nella sua terra e una città con molte persone diverse. Io spero e prego che nei prossimi 40 anni Gerusalemme diventi una città di pace.»
Shalom Simchon, Ministro (Partito Laburista)

Il desiderio della riunificazione di Gerusalemme è stato parte della mia infanzia. Gerusalemme è la più importante e la più sacra città del mondo e quindi è nostro compito conservare i luoghi storici, religiosi e archeologici. Questo è più importante che ingrandire la superficie municipale della città.»


Ran Cohen, parlamentare (Partito Meretz, sinistra)

«Da bambino ho vissuto l’esperienza della riunificazione di Gerusalemme, poco tempo dopo che Naomi Shemer componesse il canto “Gerusalemme di Dio”. Che esperienza emozionante! Ma nello stesso tempo ho capito subito che il giorno dopo avremmo dovuto dividerci dai palestinesi. La conquista ha portato il caos politico. Gerusalemme, la città della pace, è diventata il centro del conflitto israelo-palestinese. Spero che i prossimi 40 anni siano più pacifici e facciano di Gerusalemme Est la capitale dello Stato palestinese.»


Ibrahim Zarzur, parlamentare arabo (Partito arabo per il rinnovamento)

«La conquista ebraica e l’annessione di Gerusalemme ai nostri occhi non ha valore. La Gerusalemme araba è parte della Palestina che ci è stata tolta nel 1967. Nei prossimi 40 anni spero di vedere Gerusalemme Ovest come capitale di Israele e Gerusalemme Est come capitale palestinese. Sono sicuro che ci si arriverà.»
Jitzchak Cohen, Ministro (Partito Shass, ortodosso)

«Gerusalemme per me è il centro del mondo, la Città santa a cui tutti gli ebrei guardano. Sono fiero che dopo migliaia di anni, negli ultimi 40 anni gli ebrei possono camminare a testa alta nella loro città, per pregare nel Tempio e nella Sinagoga. E il mio cuore ha pianto quando per la prima volta gli omosessuali hanno marciato per Gerusalemme. Prego e ho fiducia in Dio che nei prossimi anni Gerusalemme sarà fortificata e diventerà una luce ancora più chiara per tutti i popoli. E che con l’aiuto di Dio sarà edificato il terzo Tempio.»

Ahmed Tibi, parlamentare arabo (Partito arabo per il rinnovamento)

«Questa non è una festa di riunificazione, ma un giorno di cordoglio, in cui 40 anni fa la parte orientale della città fu conquistata dagli ebrei. Gerusalemme Est ha lo stesso status delle altre città palestinesi come Ramallah e Nablus. Gerusalemme Est è una condizione a cui non rinunceremo mai a favore degli israeliani.»


Jaakov Margi, parlamentare (Partito Shass)

«Negli ultimi 40 anni ogni bambino fa quello che noi per generazioni abbiamo sognato. Noi preghiamo in Gerusalemme , e lo facciamo davanti ai resti del Tempio ebraico. Ringraziamo Dio per questo, e spero che nel corso della mia vità riuscirò ancora a vedere il terzo Tempio.»


Colette Avital, parlamentare (Partito Laburista)

«Per molti anni Gerusalemme è stata simbolo di successo, soprattutto negli anni in cui Teddy Kollek dirigeva una Gerusalemme pacifica. Ma poi la nostra speranza è sparita, e Gerusalemme non è più una città unita. Mi auguro che Gerusalemme diventi la capitale di Israele riconosciuta internazionalmente come tale.»


(israel heute, maggio 2007 - trad. www.ilvangelo-israele.it)





2. LE POLEMICHE CHE AMAREGGIANO ISRAELE




Perché non riconoscere Gerusalemme capitale?

La decisione degli ambasciatori europei e statunitense di non partecipare ai festeggiamenti viene vissuta come un’onta.

di Dimitri Buffa

I festeggiamenti per il quarantesimo anniversario della riunificazione di Gerusalemme sotto sovranità israeliana, in programma mercoledì prossimo, rischiano di amareggiare la vita ai cittadini israeliani già abbastanza angosciati dall’odio islamista, e dal relativo terrorismo, che li circonda. Tutto il mondo politico dello stato ebraico è infatti furente per la svolta politically correct della diplomazia internazionale che insiste nel non volere riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato nella cui bandiera c’è la stella di Davide. Soprattutto il governo Olmert, già alle prese con le conseguenze del rapporto Vinograd, sta vivendo questa cosa come una pugnalata nella schiena. Arte nella quale buona parte delle diplomazie europee sono maestre insuperabili. E la decisione degli ambasciatori occidentali di non partecipare alla cerimonia di Stato, mercoledì prossimo, dato che l'annessione israeliana dei quartieri arabi della città, occupati nel 1967, non è riconosciuta dalla comunità internazionale, viene vissuta malissimo.
    L'offesa è ancora più avvertita perché a farsi attivo promotore del boicottaggio della cerimonia di stato da parte del corpo diplomatico occidentale è stato proprio l'ambasciatore tedesco Harald Kinderman, il cui paese è presidente di turno dell'Ue. La Germania è considerata in Israele lo Stato più amico in Europa. E infatti è anche quello che gli ha venduto alcuni sottomarini capaci di portare le numerose testate nucleari custodite nel Neghev. La cosa poi è diventata ancora più angosciante quando anche l'ambasciatore degli Stati Uniti Richard Jones ha annunciato che non avrebbe partecipato. Gli Stati Uniti sono notoriamente il maggiore sostenitore di Israele, che dà alle relazioni con Washington un'importanza strategica.
    Secondo fonti di stampa locali, solo una ventina di ambasciatori dei circa cento accreditati in Israele avrebbero annunciato la loro partecipazione alla cerimonia. Come se non bastasse tutto ciò, ci si sono messi anche i pacifisti locali a rompere i cosiddetti. In particolare il movimento pacifista israeliano Peace Now ha tenuto lo scorso venerdì una manifestazione “per protestare contro la continua occupazione di Gerusalemme Est e promuovere la speranza di una Gerusalemme in pace”. A quel punto potevano stare buoni i palestinesi facendo la figura degli unici che non danno addosso a Israele? No che non potevano e oltre a riprendere le storie a fumetti del Topolino antisemita sulla tv di Hamas hanno denunciato l'annessione dei quartieri orientali e affermato che Gerusalemme Est dovrà divenire capitale del loro futuro stato.
    Infine Israele in questo momento deve anche registrare un raffreddamento diplomatico con la Giordania di Re Abdallah II. Il quale domenica doveva recarsi a Ramallah per parlare con il primo ministro di Hamas Ismail Haniyeh proprio nella sede del governo dell’Anp a Ramallah. I giornali l’altro ieri dicevano che Abdallah non era potuto partire per le pessime condizioni meteorologiche. Ieri sul Jerusalem Post è uscita invece un’altra versione. Il giornale cita infatti fonti palestinesi secondo cui la decisione di Abdallah di rinviare la visita è in realtà un messaggio di protesta contro le autorità israeliane che hanno impedito al premier dell'Anp, Ismail Haniyeh di Hamas, di lasciare Gaza per raggiungere Ramallah ed essere presente all'incontro con Abdallah. “Il monarca era molto contrariato quando ha saputo che Israele non avrebbe permesso ad Haniyeh di lasciare la Striscia di Gaza - avrebbe commentato un funzionario palestinese coperto dall'anonimato e citato dal Jerusalem Post – solo Israele è responsabile per la cancellazione della visita”. Per il governo di Olmert il concentrarsi di tutte queste difficoltà diplomatiche nel momento in cui la propria leadership è messa in discussione potrebbe rivelarsi fatale politicamente.

(L’Opinione.it, 15 maggio 2007)





3. QUELLO CHE I PALESTINESI NON VOGLIONO




"Due popoli due stati" è solo uno slogan in cui nessuno crede

di Angelo Pezzana

Che Israele abbia provato fastidio e irritazione per la mancata partecipazione ufficiale di Unione Europea e Usa alle celebrazioni per i 40 anni di riunificazione di Gerusalemme è comprensibile, ma per lo Stato ebraico non è una novità. Sia gli Stati Uniti che la maggior parte degli altri stati con i quali ha rapporti diplomatici, non hanno l'ambasciata nella capitale ma a Tel Aviv. In un mondo

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dove si prende atto di qualunque fatto compiuto, succede solo a Israele che la sua capitale non venga riconosciuta. Ma gli israeliani ci hanno fatto il callo, come si dice, tanto che ieri le polemiche erano già scomparse da tutti i giornali. Per ciò che è considerato lecito, in democrazia come in qualunque altro tipo di regime, gli israeliani sanno che il metro col quale vengono giudicati è diverso.
    Gerusalemme capitale non poteva essere una eccezione. Persino costruire nuove abitazioni viene marchiato quale "insediamento di coloni", perchè Israele, per la mai risolta questione del riconoscimento dei confini e la conseguente creazione di uno Stato palestinese indipendente, non ha il diritto di considerarsi a casa propria, ma soltanto una "realtà sionista" che va sradicata, come sostiene il buon Ahmadinejad e i suoi amici di Hamas. E ogni giorno che mantiene Israele lontana dalla separazione definitiva con i suoi vicini arabi, della Cisgiordania come di Gerusalemme est, ogni rinvio di una soluzione che garantisca per il futuro il carattere ebraico dello Stato, è un pericolo che il governo, di qualunque colore politico sia, non può più permettersi il lusso di non affrontare. E risolvere.
    Prendiamo il caso di Gerusalemme, dove la popolazione araba cresce ad un ritmo tale che fra 12 anni supererà quella ebraica. Che cosa succederà? Il mondo non aspetta altro se non un segnale che il livello democratico non è più garantito nel paese. Lo dicono già ora quelli che per mestiere diffamano Israele, "paese dell'Apartheid, come il Sud Africa". Ma se, anche solo a Gerusalemme, la maggioranza dei cittadini non fosse più ebraica, cosa succederebbe? Facile dare consigli, Israele deve fare questo, non deve fare quello, un paese dove la gente si alza ogni giorno sapendo di vivere nella continua minaccia di un attacco, minaccia per modo di dire perchè poi, a intervalli regolari, l'attentato arriva. Ma il governo ha il dovere di non considerare il problema demografico come qualcosa che attiene alla scienza statistica. E' un problema politico, e come tale va affrontato. Siamo talmente soffocati dalla retorica del " due popoli due stati", che i nostri politici vanno ripetendo convinti di star lavorando per la pace, che non ci accorgiamo che uno dei due popoli, quello palestinese, di uno Stato autonomo e indipendente non sa più che farsene. E che in fondo non l'ha mai voluto, anche se a suon di terrorismo l'ha sempre reclamato. Ma è mai possibile che nessuno veda che lo Stato in pericolo, in procinto di scomparire dalla faccia della terra, è Israele ? Minacciato non solo dalle atomiche iraniane, dai razzi che arrivano da Hamas o dai missili di Hezbollah, ma dalla bomba demografica all'interno del suo territorio, se la separazione dagli arabi non diventerà effettiva e in una cornice giuridica ineccepibile. Il che esclude l'eterno tavolo delle trattative, inutile e dannoso, vista la mancanza di volontà della controparte. Pur nel rispetto dei diritti degli altri, Israele prenda una decisione, senza alcun timore del giudizio di quegli stati che non gli hanno nemmeno concesso il diritto ad avere una capitale riconosciuta.

(Libero, 15 maggio 2007)





4. UN SONDAGGIO SULL’ANTISEMITISMO




Alessandro Ruben commenta i risultati di un sondaggio europeo dell’Anti Defamation Leangue

Italia antisemita e antisionista

di Barbara Alessandrini

Non è davvero encomiabile il posto in cui l'Italia è finita all'interno del sondaggio sull'antisemitismo realizzato dall'Anti Defamation League in cinque paesi europei (Germania, Francia, Italia, Spagna e Polonia) e presentato ieri in Israele dal direttore dell'istituto, Abraham H. Foxman. Come un gran numero di europei anche gli italiani continuano a lasciarsi influenzare da sentimenti antisemiti, dalle tradizionali teorie antiebraiche e dalle tesi cospirative che hanno alimentato la persecuzione degli Ebrei nei corso dei secoli.
Le domande a cui gli intervistati italiani dovevano rispondere erano semplici. Gli Ebrei sono più fedeli ad Israele che al loro paese? Gli Ebrei hanno troppo potere nel mondo degli affari? Gli Ebrei hanno troppo potere nel mercato finanziario internazionale? Gli Ebrei continuano a parlare troppo dell’Olocausto? A questo primo blocco si aggiungeva il secondo blocco di quesiti . Gli Ebrei sono i responsabili della morte di Cristo? Le vostre opinioni sugli Ebrei sono state influenzate dalle azioni intraprese dallo Stato di Israele? E se sì, sono cambiate positivamente o negativamente? Credete che la violenza diretta contro gli Ebrei europei sia il risultato di sentimenti antisemiti o anti-Israeliani? Ebbene, dato fin troppo inquietante, il 32% degli intervistati italiani ha risposto con un secco “probabilmente vero” almeno a tre dei quattro luoghi comuni antisemiti su cui sono stati interrogati.

Ed ecco alcune cifre dell'indagine: Il 42% degli intervistati ritiene che gli Ebrei abbiano troppa influenza sul mondo degli affari; il 42% ritiene che gli Ebrei abbiano troppa influenza sul mondo dei mercati finanziari internazionali; il 46% ritiene che gli Ebrei parlino ancora troppo di ciò che gli accadde durante l’Olocausto. Mentre il 18% è d’accordo sul fatto che gli Ebrei siano responsabili della morte di Cristo. E ancora solo il 38% ritiene che la fonte degli ultimi attacchi agli Ebrei italiani sia il risultato di un sentimento antisemita e il 33% che la fonte di tale violenza sia da ricercare in un profuso sentimento anti-Israeliano. Mentre la percezione positiva dell'operato del governo italiano per garantire la sicurezza dei cittadini ebrei copre un margine che va dal 28% al 50%. Indicativo anche l'atteggiamento nei confronti della stampa ritenuta dal 42% “imparziale” o “abbastanza imparziale”, dal 45% “molto” di parte. Di questi intervistati, il 53% ritiene che sia a favore degli Israeliani, il 29% ritiene che sia a favore degli “Arabi”.

A commentare i dati del sondaggio scende in campo il presidente dell'Adl in Italia Alessandro Ruben “Un terzo degli intervistati in Italia vede gli ebrei con sospetto e con preoccupazione e li giudica ancora secondo gli stereotipi classici dell’antisemitismo come, ad esempio, quella del troppo potere nel sistema economico-finanziario. Il persistere di questo antico pregiudizio, insieme all’accusa di essere cittadini poco fedeli, deve spingere l’Autorità italiana ad accelerare e potenziare tutti i percorsi formativi già in atto per educare le nuove generazioni all’accettazione dell’altro e a contrastare tutte le forme di intolleranza ed in particolare di antisemitismo strisciante “. Secondo Ruben, “il fatto che fra i pregiudizi vi sia ancora l’accusa agli ebrei di parlare troppo di olocausto, costituisce un campanello di allarme sulle metodologie con le quali si sta trasmettendo la memoria collettiva della Shoà, che non è patrimonio storico solo degli ebrei ma dell’intera umanità e che trova la sua celebrazione nel giorno della Memoria”. Alla domanda se certa politica di sinistra sia responsabile di aver nutrito l'antisemitismo in Italia Ruben taglia corto: “Sicuramente la politica estera del governo di centro sinistra - dichiara - ha esercitato una certa influenza sul rafforzamento degli storici pregiudizi antiebraici.

Ma se si considera lo stereotipo delle risposte date nel sondaggio, il dato che emerge con maggiore forza è rappresentato dal sovrapporsi alla componente antisemita di un nuovo antisionismo che porta con sé il concetto di annullamento dello Stato di Israele. Insomma, come sottolineato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ogni valutazione sugli ebrei maturata nel tempo non può prescindere da un ormai visibile antisionismo. La politica è stata trasformata in una sorta di escamotage per giustificare la negazione dello stato di Israele”. E a ben leggere tra le cifre del sondaggio di quel 17% di italiani che sostiene che le proprie opinioni sugli Ebrei siano state influenzate dalle azioni intraprese dallo Stato di Israele, il 47% afferma che la propria considerazione degli Ebrei è resa peggiore dall'operato di Israele. E solo il 36% che la propria opinione sugli Ebrei è migliorata a seguito delle sue azioni. Tutto questo rappresenta una inequivocabile conferma del travaso in corso tra antisemitismo ed antisionismo. Come anche l'apparente incongruenza tra i dati relativi allo scacchiere mediorientale e l'allarmante fenomeno antisemita interno al nostro paese per Ruben “confermano una spiccata sensibilizzazione nei confronti della politica mediorientale e contestualmente l'urgenza di operare per dissolvere il bagaglio degli stereotipi antisemiti che finiscono per giustificare le azioni antiebraiche di cui tutti siamo al corrente”.

Nel sondaggio, comunque, non mancato anche dati confortanti. La ricerca demoscopica dell'ADL tratteggia un 89% “molto preoccupato” o “abbastanza preoccupato” del pericolo che l’Iran stia sviluppando armi nucleari, un 53% degli intervistati favorevoli ad Israele e solo un 13% sfavorevole a Tel Aviv. In merito poi all'attuale situazione mediorientale, il 20% degli intervistati dice di simpatizzare per i palestinesi, il 22% per gli israeliani , il 28% di non simpatizzare con nessuno e il 24% di simpatizzare per entrambi. Inoltre il 45% degli intervistati considera Hamas un’organizzazione terroristica, il 24% un movimento nazionalista legittimo ed il 39% ritiene che esso voglia distruggere Israele. Il 27% ritiene che Israele voglia distruggere il popolo palestinese. Eppure ben il 63% degli intervistati ha mostrato di sostenere “fortemente” o “abbastanza fortemente” la decisione dell’Unione Europea di interrompere gli aiuti stranieri al Governo Palestinese finché Hamas non metterà fine agli atti di violenza contro i civili israeliani, non riconoscerà ad Israele il diritto di esistere e non accetterà tutti gli accordi firmati in passato tra Israele e l’Autorità Palestinese.

Oltretutto il 45% ritiene che, nonostante la formazione di un governo palestinese unitario, la comunità internazionale dovrebbe continuare a boicottare il governo palestinese e non inviare aiuti stranieri fino a quando Hamas non accetterà di rinunciare all’uso della violenza contro gli israeliani e ne riconoscerà il diritto ad esistere. Di più il 71% è d’accordo con l’affermazione che “Israele voglia veramente raggiungere un accordo di pace con i Palestinesi ed il 67% è d’accordo con l’affermazione che l’“Autorità Palestinese voglia davvero raggiungere un accordo di pace con Israele”. E anche se il 37% è d’accordo con l’affermazione che il trattamento che Israele riserva ai Palestinesi sia simile al trattamento che il Sud Africa riservava agli abitanti di colore, durante l’apartheid, con un margine che va dal 49 al 35%, gli intervistati italiani considerano Israele un paese aperto e democratico e si dicono convinti nel 42% dei casi, contro il 40% dei contrari, che l’anno scorso Israele abbia avuto tutto il diritto di usare la forza militare contro gli Hezbollah nel Libano del sud.

Tra i maggiori e più radicati luoghi comuni individuati dal sondaggio? Il fatto che gli ebrei abbiano troppo potere nel mondo degli affari e nel mercato finanziario internazionale. “Una valutazione allarmante - continua Ruben - dato che in piena globalizzazione grandi concentrazioni economiche sono nelle mani dei cinesi, degli arabi dei cristiani”. Infine il 48% degli intervistati ritiene che gli Ebrei siano più fedeli ad Israele che all’Italia. “ Un altra follia, è assurdo- dice Ruben – che si possa ancora pensare che un ebreo ad esempio italiano non sia fedele al suo paese. Basti pensare ai nomi di ebrei che hanno dato lustro al nostro paese come il sindaco di Roma Ernesto Nathan, il ministro degli Esteri Sindey Sonnino, il primo presidente dell'Assemblea costituente, Umberto Terracini, solo per fare qualche esempio. C'è un grande senso dello Stato nella comunità ebraica. Ogni tanto qualche politico mi dice di aver appena parlato col mio ambasciatore ed io, essendo italiano, non riesco mai a capire a quale ambasciatore si riferisca”.

(L’Opinione.it, 15 maggio 2007)





5. IL SEGRETO DELLA SCIENZA ISRAELIANA




Competizione e ricerca fondi, il segreto della scienza israeliana

«Da noi la ricerca è condotta unicamente da studenti e ricercatori postdottorato a contratto, il che ci consente di disporre di giovani altamente motivati e di alto livello; mentre la speciale situazione politica di Israele fa sì che ci sia una sistematica collaborazione fra scienziati e Forze armate».

«Non esiste un “gene ebraico” che spieghi la nostra tradizionale eccellenza nelle scienze. La ragione primaria per la tradizionale eccellenza ebraica nelle scienze sta nel fatto che il nostro popolo ha vissuto nella diaspora per 2mila anni, spesso sottoposto a legislazioni restrittive. Per cui, l'unica opportunità stava nel puntare tutto sulla conoscenza e sull'educazione dei giovani che eventualmente possono portarne i frutti facilmente con sé».
    È quanto ha spiegato il capo della Scuola di Chimica dell'Università ebraica di Gerusalemme, professore Daniel Mandler nel suo intervento al Cnr di Palermo durante il seminario «Science in Israel. A personal viewpoint of an insider».
    «Oltre che da infrastrutture avanzate – ha aggiunto il ricercatore israeliano - l'eccellenza della ricerca israeliana è causata dalla scelta di competere scientificamente a livello internazionale e dalla costante ricerca di fondi alla quale siamo costretti. I nostri libri sono scritti in inglese e le nostre università non finanziano la ricerca per cui noi docenti universitari dobbiamo competere duramente per ottenere i fondi necessari al nostro lavoro».
    «Inoltre, da noi la ricerca è condotta unicamente da studenti e ricercatori postdottorato a contratto, il che ci consente di disporre di giovani altamente motivati e di alto livello; mentre la speciale situazione politica di Israele fa sì che ci sia una sistematica collaborazione fra scienziati e Forze armate per cui le migliori persone delle nostre imprese hi-tech sono quasi tutti ex militari e membri dell'intelligence».
    «Israele - ha insistito Mandler - è un piccolo Paese semidesertico e la nostra unica risorsa sulla quale puntare è dalla nostra fondazione la qualità umana dei suoi cittadini. Siamo un mix di cultura occidentale e mediterranea. Non siamo per nulla organizzati e sviluppiamo rapidamente la capacità di improvvisare. E questo compensa la mancanza di organizzazione mentre è una dote importante per l'industria perché la rende capace di adattarsi rapidamente alle mutevoli esigenze del mercato».
    «Infine – ha concluso Mandler - è fondamentale che da noi il 10% del salario di ogni scienziato (circa 7mila euro per un professore ordinario, N. d. R.) è destinato ad un fondo riservato alle spese di viaggio per incontrare scienziati stranieri e favorire le collaborazioni. Tutte le mie collaborazioni, ad esempio, sono nate dall'incontro personale di scienziati a conferenze internazionali».
    «Il nuovo sviluppo italiano – ha concluso Mario Pagliaro, il cui gruppo di ricerca al Cnr collabora con quello di Mandler – passa dalla capacità di fare rete con le migliori istituzioni scientifiche del mondo. Farlo partendo e imparando da Israele serve per capire cosa bisogna fare per superare l'impasse e far sì che i nostri laboratori tornino ad attrarre giovani ricercatori a livello internazionale».

(Fonte Cnr Palermo, 15 Maggio 2007)





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