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Notizie su Israele 477 - 30 dicembre 2009

1. La guerra di Gaza vista dal giudice dell'Onu
2. Profughi: «Si sente solo parlare dei palestinesi»
3. L'ultimo atto di una campagna di antisemitismo
4. Gli ebrei di San Nicandro Garganico
5. Dialogo con Giulio Meotti
6. Musica e immagini
7. Indirizzi internet
Isaia 55:6-7. Cercate l'Eterno mentre lo si può trovare; invocatelo, mentre è vicino. Lasci l'empio la sua via, e l'uomo iniquo i suoi pensieri: e si converta all'Eterno che avrà pietà di lui, e al nostro Dio che è largo nel perdonare.
1. LA GUERRA DI GAZA VISTA DAL GIUDICE DELL'ONU




Il Rapporto Goldstone

di Ulrich Sahm e Johannes Gerloff

Richard Goldstone
In 576 pagine suddivise in 1776 paragrafi, il giudice sudafricano Richard Goldstone ha descritto i "crimini di guerra" israeliani, "crimini contro l'umanità", "violazioni dei diritti umani" e delle "convenzioni di Ginevra e di Haag". Nel caso dei "gruppi armati" nella Striscia di Gaza "potrebbe anche essere" (a suo giudizio) che la loro condotta rientri nella rubrica "crimini di guerra". Ma l'attenzione principale dei giudici ONU si rivolge al comportamento dell'esercito dello Stato ebraico. Comunque - così ha dichiarato in un'intervista - "questa è una Corte di Giustizia e quindi niente è ancora dimostrato". E tuttavia nei media e nell'opinione pubblica il "Rapporto Goldstone" viene trattato come se con esso fossero stati dimostrati e attribuiti allo Stato d'Israele i peggiori crimini.
    Chi si vorrà sottoporre alla tortura di leggere tutto il rapporto potrà constatare subito che Goldstone ha redatto un unilaterale atto di accusa politico che è ben lontano da una sobria ricerca dei fatti. Le due parti che alla fine di dicembre 2008 e all'inizio di gennaio 2009 si trovavano in guerra a Gaza vengono misurate con metri diversi. Un elemento lampante è la richiesta a Israele di pagare un risarcimento danni ai palestinesi della Striscia di Gaza. Ai palestinesi invece non viene mai chiesto di rispondere dei danni provocati dai più di 8.000 razzi che dal 2001 sono stati lanciati su Israele dalla Striscia di Gaza.
    Una cronologia incompleta vorrebbe far vedere come si è arrivati, in quel sabato 27 dicembre 2008 alle ore 11.30, allo scoppio della guerra di Gaza. Ma il rapporto evita tutti i collegamenti causali. Viene quindi citata l'invasione israeliana in Cisgiordania nel marzo 2002 con le disastrose conseguenze per i palestinesi. Ma gli attentati suicidi palestinesi che poco prima dell'azione militare israeliana hanno causato dozzine di morti in Israele sono taciuti. E anche il blocco della Striscia di Gaza appare come un'immotivata punizione collettiva dei palestinesi da parte dello Stato ebraico.
    La missione-Goldstone presenta la persistente responsabilità di Israele verso la Striscia di Gaza secondo le convinzioni di Ginevra come se non ci fosse mai stato il ritiro israeliano nell'estate del 2005. Poiché Israele continua a controllare lo spazio aereo e le cinque frequenze in Gaza, questo punto di vista non è del tutto infondato. D'altra parte Goldstone trascura il fatto che anche l'Egitto ha una frontiera in comune con la Striscia di Gaza, dal cui controllo Israele si è praticamente del tutto ritirato. Israele tiene chiuse "le frontiere della Striscia di Gaza", biasima il rapporto, cosa che naturalmente non è vera, perché le "frontiere della Striscia di Gaza" che Israele ha chiuso sono anche le frontiere di Israele. E Israele insiste sul suo diritto, che del resto ogni Stato sovrano ha, di rifiutare l'ingresso a persone non desiderate. Goldstone critica il fatto che Israele impedisca un'immigrazione per "motivi di ostilità" - come se Siria Libano e altri stati arabi fossero aperti ai turisti israeliani, per non dire della "immigrazione" israeliana.
    Prima lavoravano in Israele decine di migliaia di palestinesi, si dice nel rapporto. Anche questo è vero. Ma non si dice che già dal 1987, durante la prima intifada, i palestinesi scioperavano e si astenevano dal lavoro per danneggiare l'economia israeliana. E nel periodo successivo ci fu un'intera serie di datori di lavoro israeliani che furono assassinati dai loro operai palestinesi. Quando poi nella seconda intifada gli attacchi terroristici presero il sopravvento, i lavoratori palestinesi furono lasciati fuori. E' stato un processo lungo, a cui entrambe le parti hanno partecipato in misura notevole e per le cui conseguenze ora soffrono non sono i palestinesi, ma anche gli israeliani.
    Con grandi esagerazioni Goldstone descrive il governo e il sistema giudiziario israeliani, e constata che Israele non ha una costituzione. Nella parallela descrizione del sistema di governo palestinese questa constatazione manca, anche se né le autorità dell'Autonomia Palestinese né il governo di Hamas a Gaza sono vincolati a una costituzione. In realtà, la descrizione della storia di Israele e della struttura dell'Autonomia Palestinese a Ramallah esula dal quadro del mandato conferito dalla Commissione per i diritti umani dell'Onu di indagare sulla guerra di Gaza. Per questo appare tanto più sorprendente che Goldstone non dica assolutamente niente sulla storia di Hamas, sulla sua carta costitutiva, la sua ideologia o il suo sistema di governo. E' noto che Hamas è andato al potere violentemente con un putsch nell'estate del 2007 e ha cacciato, ucciso o gettato in prigione i rappresentanti dell'Autonomia Palestinese. Tutti gli accordi di confine, tra cui anche quelli con l'Egitto, furono abrogati. Nonostante che fatti come questi fossero di importanza decisiva per la comprensione della guerra di Gaza del 2008-2009, il rapporto Goldstone non li ritiene degni di alcuna menzione.
    Tutti i misfatti degli israeliani registrati nei territori occupati dal 1967 vengono elencati. Nell'articolo 185 si dice, citando delle fonti, che quasi mezzo milione di palestinesi devono vivere "a occidente" del muro di separazione eretto dal 2002, rimanendo quindi tagliati fuori dai loro "collegamenti storici, sociali, culturali ed economici". Goldstone sbaglia. Ha citato in modo errato da una statistica di Betzelem che compare in una nota a piè di pagina
    Molto strana si presenta la discussione sui 240 poliziotti palestinesi uccisi. Nonostante che molti di loro - secondo dati del rapporto - appartenessero a Hamas, incitassero i loro comandanti alla guerra contro Israele e fossero sepolti come "martiri" (cosa che Goldstone non cita), lui li presenta come innocui vigili stradali. «Non partecipavano alle azioni di guerra e quindi hanno diritto all'immunità come civili» è l'opinine di Goldstone. Molti di loro furono uccisi nell'attacco a sorpresa che ci fu nei primi minuti di guerra. Secondo Goldstone i combattenti non possono essere uccisi quando sono "fuori combattimento" (cioè fuori della battaglia), cioè quando fanno la colazione o il riposino dopo pranzo. Evidentemente Goldstone pretende che i soldati, prima di potersi sparare addosso secondo il diritto internazionale, si gridino l'un l'altro: «Sei pronto alla battaglia?!»
    Israele ha avvertito la popolazione civile palestinese degli attacchi incombenti con decine di migliaia di volantini e di telefonate. Metodi del tutto originali sono stati usati affinché il minor numero possibile di civili avesse danno. Cose simili non ci sono mai state fino ad ora in nessun'altra guerra. Non esiste alcuna convenzione che richieda di avvertire preventivamente gli abitanti di una casa o di un quartiere che deve essere bombardato, affinché si possano mettere per tempo al sicuro. Ma perfino su questo Goldstone fa una strigliata agli israeliani. Dice che Israele ha disorientato la popolazione perché i palestinesi non sono stati contattati personalmente ma hanno ricevuto un avvertimento per telefono attraverso un nastro magnetico. Particolarmente cattivo e doloroso, secondo la valutazione del giudice sudafricano, è stato l'avvertimento telefonico ripetuto due volte a Mr. Abu Askar, il proprietario di Al-Bader Flour Mills Co, l'unico mulino nella Striscia di Gaza. «I proprietari e i loro collaboratori soffrono adesso di stati d'ansia perché hanno dovuto sgombrare due volte il mulino senza che poi ci sia stato un attacco israeliano». Il quale poi alla fine è arrivato, ma soltanto al terzo giorno.
    La commissione riferisce che dal 2001 i razzi palestinesi hanno provocato soltanto poche vittime, grazie alla "fortuna" e al fatto che Israele ha speso milioni per la difesa dei suoi cittadini ebrei. Viceversa, i "cittadini palestinesi d'Israele" - cioè gli arabi israeliani e i beduini che abitano nelle vicinanze della Striscia di Gaza e in parte in "villaggi non riconosciuti" - sarebbero stati trascurati. Goldstone però non dice che in Israele i rifugi e i bunker sono cose che riguardano i comuni. Non viene chiesto invece quello che fanno i palestinesi per proteggere la loro popolazione civile dagli attacchi israeliani. Il rapporto riferisce, in una mezza proposizione, che "i gruppi palestinesi armati" hanno rifiutato un incontro con la commissione Goldstone, che così non è in grado di riferire nulla sulla loro tattica. In modo esauriente e con toni di alta disapprovazione viene presentato invece il rifiuto di Israele a collaborare con la commissione.
    Goldstone sostiene che le case private e le scuole palestinesi non sono state minate e le moschee non sono state usate come depositi di munizioni - come sostiene invece l'esercito israeliano. Dice di non aver trovato nessuna prova che i gruppi armati abbiano sparato i loro razzi all'ombra di scuole e case private. E per dire questo si appoggia esclusivamente su dichiarazioni - per lui "molto attendibili" - di testimoni palestinesi, ammettendo però nello stesso tempo che potrebbero aver paura di quei "gruppi armati", e quindi potrebbero non voler dire niente sul loro comportamento.
    Video israeliani di scuole piene di mine ed esplosivi sono del tutto ignorati da Goldstone, così come le riprese fatte da droni dell'esercito israeliano. Il fatto che perfino il Segretario generale dell'Onu si sia sentito costretto a esprimere una disapprovazione di Hamas quando aveva messo una base di lancio di missili vicino a una scuola dell'Onu, è evidentemente secondo Goldstone del tutto irrilevante. Le presentazioni ufficiali israeliane sono state giudicate contraddittorie e di solito rigettate come "inaffidabili". In questo modo Goldstone stesso ha offerto argomenti a quegli israeliani che hanno considerato inutile, e perfino dannoso, cooperare con il Commissario dell'Onu. Organizzazioni umanitarie critiche verso il governo, come Betzelem o "Rompere il silenzio" hanno creduto invece sulla parola a Goldstone, anche quando le dichiarazioni anonime di soldati israeliani sono state smascherate come diffusione di voci incontrollate che non hanno resistito ad un confronto con la realtà sul posto.
    In un punto il giudice ebreo si concede perfino un brutto scivolone antisemita. Parla di "privilegi esclusivi" per ebrei sotto il "regime di destra" di Israele a causa della loro provenienza ebraica. "Persone di razza o origine ebraica" godrebbero di diritti e privilegi superiori. Secondo Goldstone, nello Stato ebraico c'è una legge che legittima una discriminazione dei palestinesi. Come fonte di questa orripilante dichiarazione, con le sue formulazioni in stile nazista, cita un memorandun del Fondo Nazionale ebraico (JNF). La nota a piè di pagina nel rapporto conduce a una pagina internet palestinese contenente una devastante polemica contro lo JNF. Ma da una verifica della fonte è venuto fuori che in quel memorandum il "Paragrafo 3" a cui la citazione si riferisce semplicemente non esiste.
    Lo stato è tenuto, secondo Goldstone, a rispettare il diritto internazionale. Ma il problematico fatto giuridico che nella striscia di Gaza non esiste né uno stato, né un governo, né un esercito regolari è del tutto ignorato dal rapporto. Nasce così l'impressione che Israele abbia condotto una guerra in una sorta di vuoto. In tutto il rapporto non si nomina mai un qualsiasi legittimo obiettivo militare per gli israeliani, e se ne deduce che la popolazione civile israeliana avrebbe dovuto continuare a lasciarsi cadere addosso i razzi come da anni avveniva. Viceversa il rapporto manifesta una certa compassione per l'incapacità dei "gruppi armati palestinesi" che con le loro azioni su Israele non hanno saputo centrare soltanto strutture militari ma hanno colpito anche obiettivi civili. I loro razzi non potevano essere guidati in modo preciso verso l'obiettivo scelto. Il fatto che il lancio di missili e gli attentati suicidi esprimano una dichiarata volontà di Hamas e di altri gruppi palestinesi di uccidere di proposito il massimo numero di ebrei, è un fatto che Goldstone non prende nemmeno in considerazione.
    Israele non è l'unico paese che si trova invischiato in una "guerra asimmetrica" con "attivisti" che non si possono distinguere dalla popolazione civile e non si sentono vincolati a nessuna convenzione, e che di conseguenza non possono essere costretti da nessuno a rendere conto. Per eseguire un giudizio corretto sull'esercito israeliano durante la guerra di Gaza sarebbe stato necessario confrontarla con il modo di procedere dei russi in Cecenia, dei turchi nei territori curdi, degli americani in Iraq o della Nato in Afganistan. Tutti questi paesi possono ringraziare di non chiamarsi Israele e quindi di non dover essere messi a turno sulla gogna.

(www.israelnetz.com, 27 ottobre 2009 - trad. www.ilvangelo-israele.it)





2. PROFUGHI: «SI SENTE SOLO PARLARE DEI PALESTINESI»




Israele solleva il caso dei suoi profughi al tavolo del negoziato

Un'importante analisi di un problema che finora è rimasto fra le pieghe della storia. E che Israele avrebbe fatto bene a sollevare sin dall'inizio. Il fatto che il milione di profughi ebrei dai paesi arabi sia stato affrontato e risolto senza tante lamentele non è sufficiente per non valutarlo nella sua importanza storica, soprattutto quando i profughi palestinesi, peraltro mai cacciati da Israele, vengono sempre branditi come una clava contro lo Stato ebraico.

GERUSALEMME. Sinagoghe in fiamme, vetrine di negozi in frantumi, folle che si danno al linciaggio al grido di "morte agli ebrei", profughi che fuggono con poco più che i vestiti che indossano. Il copione è quello dei pogrom della Russia zarista o della Notte dei cristalli nella Germania di Hitler, ma lo scenario è più vicino nel tempo. Si è ripetuto dal Nordafrica al Medio Oriente, dal Marocco all'Iran, e ha portato negli ultimi sessant'anni all'esodo di quasi un milione di ebrei dal mondo arabo, una pulizia etnica che ha cancellato comunità millenarie e che prosegue silenziosamente fino a oggi.
    In questi giorni in Israele, meta della maggior parte di quei profughi, il Parlamento sta esaminando una legge che rivendica diritti e risarcimenti per le vittime di questa tragedia che va ad intrecciarsi con la delicata questione dei rifugiati palestinesi, il problema forse più spinoso del conflitto mediorientale. La legge, che a novembre è stata approvata a larga maggioranza in prima lettura, imporrebbe al governo di sollevare la questione dei profughi ebrei in qualsiasi negoziato riguardante futuri accordi di pace. Inizialmente la norma poneva il riconoscimento dei diritti degli esuli come condizione per la firma di un accordo di pace, ma il suo promotore, Nissim Zeev, ha dovuto emendare il testo, che avrebbe legato le mani al governo e reso ancora più accidentate le trattative. Zeev non nasconde i risvolti politici della proposta, tesa a bilanciare le rivendicazioni dei profughi palestinesi, che reclamano il cosiddetto "diritto al ritorno" alle case abbandonate nel 1948, durante il conflitto che ha segnato la nascita dello stato d'Israele.
    "I negoziati non possono essere a senso unico", dice Zeev al Foglio. "I palestinesi chiedono miliardi di dollari ad Israele, ma anche noi abbiamo perso tutto". Il deputato è membro del partito ortodosso Shas, il cui elettorato è composto principalmente da ebrei fuggiti dai paesi arabi, oggi circa il 40 per cento della popolazione israeliana. La sua famiglia fuggì da Baghdad in quella che allora era la Palestina sotto mandato britannico dopo i tumulti antisemiti che accompagnarono il colpo di stato filonazista del 1941 in Iraq.
    Sebbene avessero attraversato tutto il Novecento, gli attacchi contro gli ebrei del mondo arabo raggiunsero il culmine tra il 1948 e la Guerra dei sei giorni del 1967. Quei decenni videro sparire o ridursi a poche decine di membri comunità che spesso precedevano di secoli la nascita di Maometto Il grado e le modalità delle persecuzioni variavano, e potevano includere sommosse popolari e attacchi terroristici, arresti per accuse di spionaggio seguiti da processi farsa e pubbliche esecuzioni, nonché leggi che toglievano la cittadinanza agli ebrei e ne limitavano i diritti.
    Laddove i governi arginarono i furori popolari e le discriminazioni oggi vivono ancora alcune migliaia di ebrei - un esempio è il Marocco, che pure ha visto una forte emigrazione. Ma da Egitto, Siria, Iraq e altri paesi sono del tutto spariti, fuggendo a decine di migliaia, in clandestinità attraverso il deserto o con ponti aerei verso Israele, l'Europa e gli Stati Uniti. A ottobre il dipartimento di stato americano ha rivelato di aver fatto uscire segretamente dallo Yemen una sessantina di ebrei, su circa 300 rimasti, minacciati da ribelli sciiti nel nord del paese. Il salvataggio ha replicato su scala ridotta l'operazione "Tappeto volante", che portò quasi 50 mila persone dallo Yemen in Israele tra il 1949 e il 1950.
    Nel 1967 fu l'Italia ad accogliere gli ultimi 6.000 ebrei della Libia. Liliana Fadlun ricorda la fine della comunità di Tripoli, in balia di una piazza prima galvanizzata dalle vittorie arabe proclamate dalla propaganda allo scoppio della Guerra dei sei giorni e poi inferocita alla notizia della sconfitta. "C'era questo mare di gente in strada. Gridavano, bruciavano tutto, negozi, sinagoghe. Per anni ho sognato queste folle di arabi che urlavano", dice Fadlun, che oggi vive a Roma. Suo marito, Rahmin Buhnik, spiega che la legge libica impediva agli ebrei di lasciare il paese. "Se c'era un ebreo per strada lo massacravano", ricorda Buhnik. "Abbiamo passato un mese chiusi in casa, quasi senza cibo". Le pressioni diplomatiche convinsero infine re Idris a concedere agli ebrei di abbandonare "temporaneamente" la Libia, permettendo loro di portare con sé una valigia e 20 sterline a testa. Della florida attività di costruzioni e importazioni dei Buhnik non rimase nulla.
    "Si sente solo parlare dei palestinesi. E' giusto che si metta anche la nostra storia sul tavolo del negoziato," dice Fadlun a proposito della proposta di legge israeliana. Nei paesi arabi, l'esodo degli ebrei è considerato generalmente il frutto di pressioni da parte di agenti sionisti. Ma anche nello stato ebraico, e fra gli esuli stessi, se ne parla poco, in parte per pudore nei confronti delle vittime della tragedia ancor più atroce dell'Olocausto.
    "Non puntiamo ai risarcimenti" Il Congresso degli Stati Uniti ha anticipato Israele, approvando nel 2008 una risoluzione che appoggia i diritti dei profughi ebrei. L'Organizzazione mondiale degli ebrei dai paesi arabi, con sede a New York, stima che i beni confiscati valgano miliardi di dollari e che le proprietà terriere ammontino a 100 mila chilometri quadrati, quasi cinque volte la superficie d'Israele.
    Secondo Heskel Haddad, presidente dell'associazione, ci sono poche speranze di ottenere un risarcimento e il vero scopo di tali iniziative legislative è convincere i paesi arabi a dare la cittadinanza ai profughi palestinesi che sono nati o vivono da decenni sul loro territorio. "I profughi palestinesi non vogliono veramente tornare nelle loro case, vogliono solo avere uno status riconosciuto", sostiene Haddad. "Se i paesi arabi accettassero di dare loro la cittadinanza sarebbe un passo fondamentale per la pace

(Il Foglio, 19 dicembre 2009 - ripreso da Informazione Corretta)





3. L'INEGUAGLIABILE CREATIVITA' DELL'ANTISEMITISMO




Lettera aperta

di Michael Sfaradi

Cari amici,
A distanza di pochi giorni dall'attentato alla sinagoga di Roma dell'ottobre 1982, il compianto Herbert Pagani pubblicò uno scritto che si intitolava "Arringa per la mia terra."
Fra l'altro diceva:

«È vero, noi ebrei siamo dei rompiscatole. Sono secoli che rompiamo le balle all'universo. Che volete? fa parte della nostra natura... Ha cominciato Abramo col suo Dio unico, poi Mosè con le tavole della legge, poi Gesù con l'altra guancia sempre pronta per la seconda sberla, poi Freud, Marx, Einstein, tutti esseri imbarazzanti, rivoluzionari, nemici dell'ordine. Perché? Perché l'ordine, quale fosse il secolo, non poteva soddisfarli, visto che era un ordine dal quale erano regolarmente esclusi. Rimettere in discussione, cambiare il mondo per cambiare il proprio destino, tale è stato il destino dei miei antenati; per questo sono sempre stati odiati da tutti i paladini dell'ordine prestabilito. L'antisemita di destra rimprovera agli ebrei di aver fatto la rivoluzione bolscevica. È vero. C'erano molti ebrei nel 1917. L'antisemita di sinistra rimprovera agli ebrei di essere i proprietari di Manhattan, i gestori del capitalismo... È vero. Ci sono molti capitalisti ebrei. La ragione è semplice: la cultura, la religione, l'idea rivoluzionaria da una parte, i portafogli e le banche dall'altra sono stati gli unici valori mobili, le solo patrie possibili per quelli che non avevano una patria. Ora che di patria ne esiste una, l'antisemitismo rinasce dalle sue ceneri o meglio, scusate, dalle Nostre, e si chiama antisionismo. Prima si applicava agli individui, adesso viene applicato a una nazione. Israele è un ghetto. Gerusalemme è Varsavia, chi ci assedia non sono più i tedeschi ma gli arabi e se la loro mezza luna si è talvolta mascherata da falce era per meglio fregare le sinistre del mondo intero. Io, ebreo di sinistra, me ne sbatto di una sinistra che vuole liberare tutti gli uomini a spese di una minoranza, perché io faccio parte di quella minoranza. Se la sinistra ci tiene a contarmi fra i suoi non può eludere il mio problema, e il mio problema è che dopo le deportazioni in massa dai romani nel primo secolo d.C. noi siamo stati ovunque odiati, banditi, schiacciati, spogliati, inseguiti e convertiti a forza....»

A distanza di tanti anni quello che lui scrisse allora è di una attualità disarmante.
Quando davanti alle varie ondate di antisionismo il presidente Peres, allora ministro degli esteri, disse di lasciarli fare tanto avrebbero sempre trovato il modo di parlare male di noi, fece un errore madornale.
Questo e' stato il più grande errore strategico mai fatto dalla politica israeliana; perché se è vero che ne uccide più la penna che la spada, o che sono più pericolosi 4 giornali ostili che mille baionette, l'aver lasciato allora campo libero ai nostri denigratori ha fatto danni inestimabili.
Infatti la mezza luna non si maschera più solamente da falce e martello, con il tempo si è fatta furba e sa mascherarsi da tutto ciò che gli conviene, come gli conviene e, soprattutto, quando gli conviene.
Non si accontenta più di fregare solo la sinistra, perché oggi ha la forza di fregare, intimorire o convincere chiunque ad appoggiarla e raggiunge i suoi scopi andando a toccare quei tasti e quelle corde di un antisemitismo che non riguarda più solamente un popolo ma anche, e soprattutto, la sua nazione: Israele.
Con questo intento si è costruita alleanze di tutti i tipi.
Sa essere comunista, socialista, fascista e anche nazista; anzi quello lo ha sempre saputo fare visto che lo zio di Yasser Arafat, Amin al-Husseini, gran Muftì di Gerusalemme, durante la seconda guerra mondiale viveva a Berlino alla corte del Führer Adolf Hitler.
Oggi, davanti agli occhi annoiati e rivolti altrove del mondo intero, e con la complicità di parte di esso che con il passare del tempo diventa sempre più grande, forte e arrogante, assistiamo alla crescita di sentimenti di ostilità che da troppo tempo hanno superato i limiti di guardia e che, se non fermati, presto strariperanno. Acredine che va oltre la normale dialettica politica e che è alimentata dall'interesse economico, dall'odio mai completamente sopito e da mille altre ragioni, che nascono dalla parte più nera dell'animo umano.
Siamo testimoni di fatti inaccettabili che vengono vergognosamente sdoganati come si trattasse della normalità più assoluta.
Tribunali europei: inglesi, spagnoli, danesi olandesi ecc. ecc. che mettono mandati di cattura contro esponenti politici o di governo dello Stato di Israele accusandoli, senza prove e solo su denuncia di parte, dei crimini più efferati di cui un essere umano può macchiarsi, e rapporti di tutti i tipi, "Goldstone" è solo il più tristemente famoso, che redatti partendo da preconcetti e già pronti prima ancora che venissero fatte le indagini in loco, servono solo ad accusare Israele.
Io, in quei giorni di "Piombo Fuso", ho visto personalmente entrare dai valichi che dividono la striscia di Gaza dal territorio israeliano, decine di enormi autotreni carichi di ogni genere di prima necessità.
Io personalmente sono stato testimone del fatto che, proprio durante le ore di tregua per il corridoio umanitario che Israele concedeva per permettere il passaggio degli aiuti umanitari verso la striscia e del passaggio dei civili feriti verso gli ospedali israeliani, i palestinesi sfruttavano il fermo delle operazioni per colpire indisturbati, con i loro missili forniti dall'Iran, le città israeliane di Sderot, Asquelon ed il porto di Asdhdod.
Città piene di civili, ma di questo il dott. Goldstone nel suo rapporto ne fa menzione solo su poche pagine, ma che non sono mai venute alla luce e dalle quali non è scaturita nessuna accusa nei confronti dei dirigenti palestinesi.
Accusare Israele di crimini contro l'umanità è di moda, fa molto "IN", ma è come accusare ognuno di noi e anche se agli occhi di chi ci conosce sembra una barzelletta, sono in molti ormai, soprattutto quelli che si costruiscono le opinioni leggendo i giornali o ascoltando la televisione, e che di conseguenza si basano su falsi ripetuti la storia degli ultimi anni ne è piena, che ci credono capaci di ogni cosa... anche di questo.
L'accusarci di pulizia etnica, di massacri continuativi, espropri eseguiti e altro ancora, il catalogo è pieno e la fantasia non manca.
Dimenticando di menzionare un milione di ebrei perseguitati, cacciati e depredati di ogni loro bene dalla Libia, Algeria, Marocco, Tunisia, Siria, Iran e Yemen e della distruzione delle sinagoghe o nella loro conversione in Moschee nella quasi totalità delle nazioni arabe, accusare Israele è diventato per alcuni governi, per le loro magistrature, per molti giornali, che hanno scambiato la liberta' di stampa in liberta' di menzogna, e per la quasi totalità delle O.N.G., un lavoro a tempo pieno per il quale sono ben pagati.
Sbattendo le accuse contro Israele in prima pagina, e ripeterle all'infinito come un disco rotto, è un modo malvagio di condannare, perché anche se alle accuse non c'è quasi mai un seguito, il solo averle pubblicate è un successo, perché con l'andare del tempo la gente che segue solo superficialmente ciò che accade nel mondo, si forma l'idea che dietro tante accuse qualche colpa ci deve pur essere...e così siamo condannati; senza processo, senza difesa, senza che ci possa essere stato modo di



spiegare le nostre ragioni e, soprattutto, ci viene negata la possibilità di coprire di ridicolo le false accuse.
Quando poi ci riusciamo, il caso Al Dura è il classico esempio, le rettifiche da parte di coloro che avevano strombazzato al mondo intero l'assassinio di un bambino fra le braccia del padre non arrivano, e quando arrivano sono due righe in ultima pagina dopo gli annunci mortuari.
L'accanimento nei confronti della democrazia ebraica fa da contraltare al silenzio che gli stessi tribunali e gli stessi giudici applicano nei confronti dei governi dittatoriali di quei paesi, e la maggioranza di essi sono proprio nazioni arabe, per cui amici degli amici e agli amici tutto, o quasi tutto, è permesso.
Nazioni dove la libertà in ogni sua forma non è mai stata conosciuta, che non ne ha mai fatto parte, e mai lo farà.
Nazioni dove i tribunali sono teatri, i processi delle farse e il boia non è mai disoccupato.
Ma questo, ai solerti giudici inglesi, spagnoli e danesi e così via non interessa, perché è Israele il mostro da colpire.
Questo, di per sé già grave, è solo una delle facce di questo assurdo che caratterizza la nostra epoca, l'altra, più subdola per questo, forse, ancora più pericolosa, è la delegittimazione della magistratura e dei tribunali israeliani.
Gli inglesi, spagnoli, danesi e i loro soci con i loro mandati di cattura internazionali dicono al mondo intero, per mezzo di una stampa compiacente che sembra non aspettare altro per riempire le prime pagine dei giornali o mandare in onda i servizi di apertura, che non siamo in grado di giudicare noi stessi, che la nostra magistratura non è in grado di perseguire e di punire chi si macchia di crimini.
Falso... mentono, e lo fanno sapendo di mentire, sfregiano e infangano una nazione che, al contrario, dovrebbe essere portata come esempio e faro di libertà.
Il messaggio che questa gente manda, senza contraddittorio è sicura che mai sarà chiamata a rispondere del loro operato, è che il nostro comportamento nei confronti dei nemici è simile, se non uguale, a quello che i nazisti usarono contro di noi.
Anche gli ebrei (o gli israeliani alla fine il senso non cambia) lo fanno... anche loro lo hanno fatto, per cui, quello che hanno subito allora potrebbe diventare oggi, come dire, prassi comune.
Quindi non vi potete lamentare di averlo subito visto che lo fate anche voi ai palestinesi e non potrete lamentarvi quando ve lo rifaremo, perché è a questo che si stanno preparando.
Calunnie, falsi storici, falsi morali.
Vediamo il loro continuo ripetersi, Goebbels è stato il loro maestro, ma dobbiamo smetterla di rimanere inermi.
Dobbiamo gridare al mondo intero che da oggi in poi non resteremo impassibili alle loro menzogne e che le combatteremo una ad una ed in tutti i campi.
Perché le menzogne e le offese, in ogni epoca, precedettero pogrom e massacri.

Cari amici, cari fratelli,
siamo attaccati su molti fronti, "Durban", "Durban 2", missili Qassam al sud, missili iraniani al nord e molto altro ancora.
Il mondo vuole legarci le mani, non abbiamo più il diritto di difenderci, e quando lo facciamo diventiamo criminali di guerra.
Nuova teoria mondiale, chi si difende e non chi attacca è criminale di guerra, ma questo, naturalmente vale solo per Israele.
Ultimamente è successo due volte: Libano 2006, Gaza 2009.
Israele è stata attaccata e difendendosi è diventata criminale di guerra.
Mentre bande di contestatori si organizzano promovendo boicottaggi contro tutto ciò che è prodotto in Israele, non importa cosa e dove, basta boicottare e mantenere alta la tensione e piene le pagine dei giornali, "Storici" di ultima generazione e "Sacerdoti" Lefevriani mettono in dubbio la Shoah o la sua portata in termine di numeri, in modo da cancellarla definitivamente o, in alternativa, diminuirne l'importanza.
Delegittimazione dello stato, minimizzazione dell'olocausto e accuse di crimini di guerra.
Queste sono le nuove armi, oltre naturalmente i bombardamenti del sud Israele che continuano ma che non vengono mai menzionati.
Il ministero dell'istruzione inglese, la stessa nazione dei solerti giudici indagatori, ha di fatto cancellato, nei corsi di storia che riguardano il secolo scorso, la parte riguardante lo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti.
"Questo per non urtare i sentimenti degli studenti di fede islamica" è stato ciò che ha dichiarato il ministero; giudicate voi se è più grave l'atto o la spiegazione che viene data.
E mentre tutto questo gira e prende forza come un tornado non si aspetta nemmeno la scomparsa degli ultimi sopravvissuti di Auschwitz per smontare, pezzo dopo pezzo, i simboli del loro dolore.
Con il furto del cartello metallico con la scritta "il lavoro rende liberi " sul cancello d'entrata del più grande campo di sterminio che la follia umana è stata capace di creare, una nuova follia cerca oggi di cancellarne il ricordo e i suoi simboli.
Ma non c'è da stupirsi questo è solo l'ultimo atto di una campagna di antisemitismo che non ha più neanche il pudore di mascherarsi da antisionismo o da criticità nei confronti del governo di Israele.
Cordiali saluti

Michael Sfaradi

(Shalom_Israele, 20 dicembre 2009)





4. GLI EBREI DI SAN NICANDRO GARGANICO




Ritorno alla Sinagoga

La storia dei settanta contadini pugliesi che negli anni Venti diventarono ebrei e nel 1948 emigrarono in Israele

di Anna Foa

Sannicandro, oggi San Nicandro, è una cittadina pugliese, un paesotto del Gargano che poco ha di urbano a tutt'oggi, figuriamoci alla fine degli anni Venti del secolo scorso, quando vi iniziò un'avventura straordinaria, quella che portò una settantina dei suoi abitanti a diventare ebrei, ad attendere molti anni di potersi convertire formalmente all'ebraismo e infine a trasferirsi in Israele, subito dopo il 1948. Erano, quelli successivi alla Prima guerra mondiale, anni percorsi da fermenti politici e religiosi di ogni tipo anche nel sud, profondamente modificato dalle migrazioni di tanti suoi figli in America. Diffusi ed attivi nel proselitismo erano i protestanti, in particolare i movimenti pentecostali. Il protagonista di questa vicenda, unica nella lunga storia dei rapporti tra mondo cristiano e mondo ebraico, è un bracciante analfabeta, Donato Manduzio, tornato invalido dalle trincee della Grande guerra. In ospedale ha imparato a leggere e a scrivere e, costretto alla quasi immobilità, passa il tempo immerso nelle letture. Letture disparate, spesso casuali. Quando un vicino gli regala una Bibbia avuta da un predicatore pentecostale - una Bibbia in italiano, nella traduzione di Lutero - Manduzio vi si immerge totalmente, scoprendo che nel testo biblico non si faceva parola né della Trinità né del Papa né di Gesù e che vi si narrava invece di un popolo perduto in paesi lontani a cui Dio apparve sulla montagna consegnando la "vera fede". Intorno a lui cominciano a radunarsi amici, parenti, vicini. Il gruppo discute le parole lette da Manduzio, con ingenuità e curiosità, senza preconcetti.
    E' la prima volta che hanno l'occasione di affrontare direttamente la parola di Dio. A poco a poco, da semplice lettore, Manduzio diviene un interprete, pervaso di messianesimo e di tensioni mistiche, mentre i suoi seguaci imparano a leggere e a scrivere.
Di fronte a questa grave violazione religiosa - la lettura del testo sacro in italiano - intervenne il prete del luogo. Non solo però non riuscì a spuntarla, ma perse anche il suo sacrestano, che si unì al gruppo di Manduzio. Si fecero vivi anche i luterani, convinti di far proseliti e di strappare fedeli ai papisti. Ma, se la lettura della Bibbia aveva convinto Manduzio e i suoi seguaci che il cattolicesimo non aveva granché a che vedere con quanto ritrovavano nel testo, non li aveva però spinti nella direzione di una conversione al protestantesimo. Erano giunti alla conclusione che la vera fede fosse quella ebraica, come era esposta nel testo biblico, e si proclamavano ebrei. Erano convinti, d'altronde, che gli ebrei non esistessero più, che fossero stati soppiantati dai cristiani. Insomma pensavano fermamente di essere gli unici ebrei sulla faccia della terra. Cominciarono a osservare il sabato, a tenersi lontani dai riti cattolici, ad adottare quelli ebraici che imparavano faticosamente a conoscere studiando il Levitico.
    Erano ovviamente molto distanti dalla ritualità ebraica vera e propria, non conoscevano il Talmud, e il loro unico punto di riferimento era il testo biblico. Ma quando vennero casualmente a sapere che di ebrei sulla faccia della terra, e perfino in Italia, ce ne erano ancora molti, e che se volevano essere davvero ebrei dovevano mettersi in contatto con loro, decisero di scrivere a Roma e di informare il rabbino capo dell'esistenza della loro comunità, chiedendo di essere convertiti. Per due volte le loro lettere restarono senza risposta, poi, infine, ricevettero risposta. David Prato, il rabbino capo della Comunità di Roma, li esortava ad attendere tre anni meditando sul passo che volevano compiere, prima di affrontare il problema della conversione. Nel frattempo, Roma inviava loro testi biblici, scialli e libri di preghiera. Era il 1934.
    Lentamente, il paese si abituava alla presenza di quel gruppo di "ebrei" che mangiavano secondo le regole ebraiche, celebravano le feste ebraiche, leggevano la Bibbia, pregavano e creavano canti religiosi. Le tensioni semmai furono interne, tanto è vero che si formarono due comunità in conflitto, quella rimasta intorno a Manduzio ed una fondata dal ciabattino Mattoni. Ma i tempi stavano diventando sempre più grami. I protestanti erano sottoposti a molte restrizioni, e nel 1937 anche i seguaci di Manduzio furono ammoniti e multati pesantemente dalla polizia. Non si trattava di antisemitismo, ma del sospetto che le loro riunioni nascondessero attività antifasciste. In quell'occasione, intervenne l'Unione delle comunità israelitiche a chiarire la situazione. Il presidente Raffaele Cantoni si recò a Sannicandro a visitare questi strani ebrei, portando loro in dono libri.
    Nel 1938, passati i tre anni, Manduzio ricevette infine dal rabbinato una lettera che li esortava, per il loro bene, ad avere ancora pazienza: il momento non era molto favorevole agli ebrei, meglio aspettare che passasse la bufera delle leggi razziali. Sul momento, convertirsi all'ebraismo non era cosa consigliabile. Una decisione che a Sannicandro venne interpretata come un rifiuto, e molto sofferta. Nel 1940, con l'entrata in guerra, il Sud si riempì di campi di internamento per ebrei italiani e soprattutto stranieri, Mai, dopo il 1540, data dell'espulsione definitiva degli ebrei dal meridione d'Italia, queste zone avevano visto tanti ebrei. A soli cinquanta chilometri da Sannicandro, a Manfredonia, fu creato un campo di internamento, dove furono rinchiusi molti ebrei tedeschi, ma a Sannicandro la vita continuava a scorrere senza troppe tensioni. Soltanto poco prima dell'8 settembre, i tedeschi, che si avviavano ormai ad abbandonare la zona incalzati dall'avanzata alleata, si fermarono in paese a chiedere dove fossero gli "ebrei", ma il paese intero li protesse.
    Venne la liberazione, con gli angloamericani che circolavano ovunque distribuendo cioccolata e sigarette. Fu in questa circostanza che gli ebrei di Sannicandro scoprirono, increduli ed estasiati, la stella di Davide sulle camionette. Era la famosa brigata ebraica, formata da ebrei della Palestina arruolati nell'esercito inglese. Sarà un ufficiale di quella Brigata, Phinn Lapide, a stringere più forti rapporti con loro, a leggere le carte di Manduzio, il suo diario, la documentazione che raccontava quei tredici anni, dal 1930 in poi, in cui si era formata la piccola comunità. Nel 1953 scriverà sulla loro vicenda un libro, "The prophet of San Nicandro", tradotto in italiano nel 1958 con il titolo "Mosè in Puglia" (Longanesi). Fra quanti, incuriositi dalla sua storia, andarono a far visita a Manduzio, ci fu anche, nel marzo 1944, un ufficiale dell'esercito inglese. Era un ebreo italiano che veniva dalla Palestina ed era impegnato in una missione volta a soccorrere gli ebrei ancora sotto l'occupazione nazista. Si chiamava Enzo Sereni, e viene oggi considerato uno dei padri fondatori dello stato d'Israele.
    Nel maggio dello stesso anno, compirà la sua ultima missione, paracadutandosi in Toscana, dove sarà arrestato dai nazisti, per morire poi a Dachau. Finita la guerra, gli ebrei di Sannicandro otterranno infine di convertirsi, non senza ulteriori difficoltà. La conversione, una conversione di massa senza precedenti di settanta persone fra uomini, donne e bambini, avvenne nell'agosto 1946. Donato Manduzio, fortemente contrario a lasciare la sua terra per il nuovo stato degli ebrei, si spegnerà nel marzo del 1948. Tra il 1948 e il 1950, i suoi seguaci faranno tutti l'aliyah in Israele, stabilendosi vicino a Tzfat, e a Sannicandro rimangono solo cinque ebrei. Attualmente, sono una cinquantina e mantengono in vita una piccola comunità.
Ma qual era il contesto culturale in cui la conversione di Sannicandro è nata? Quali le memorie della presenza ebraica nel sud d'talia, dopo secoli dall'espulsione? Nell'Alto Medioevo, gli ebrei italiani erano stanziati soprattutto al sud, sulle coste.
    La Puglia era particolarmente importante: qui in quei secoli, nelle fitte comunità ebraiche che la popolavano, era stato introdotto il Talmud babilonese e si era, sembra, costituita la stessa forma comunitaria. Questo mondo era finito già all'inizio del secondo millennio, e gli ebrei rimasti nel meridione erano stati convertiti a forza o esiliati sotto la dominazione angioina. Nel Trecento le sinagoghe pugliesi erano state trasformate in chiese. Ma non era questa, la memoria dietro quella conversione. Più recente era il ricordo delle conversioni e dell'esilio che accompagnarono l'inizio della dominazione spagnola, e soprattutto del fenomeno del marranesimo: il criptogiudaismo di convertiti a forza, o di discendenti di convertiti, che continuano a mantenere nascostamente credenze, riti ed usanze degli ebrei, duramente perseguitati dall'Inquisizione, mandati sul rogo ove scoperti. Il sud d'Italia è pieno di reminescenze famigliari (nomi, usanze, particolarità) a cui far risalire una lontana origine ebraica perduta nelle generazioni.
    Manduzio non guarda a questa memoria. Legge la Bibbia, non sa di Talmud, Mishnah, cultura rabbinica. Il suo ebraismo, quello dei suoi seguaci, viene direttamente dal testo biblico. Ma su qualcosa doveva pur innestarsi. Pensiamo innanzitutto, alla vasta diffusione del protestantesimo, con cui lo stesso Manduzio, prima di accostarsi all'ebraismo, era venuto in contatto, alla pratica di una lettura diretta del testo biblico di matrice protestante, anche se diverse sono le conclusioni che Manduzio ne trasse. Inoltre, ricordiamo che ci sono stati nel sud d'Italia, prima di questo, casi di cattolici, non discendenti da ebrei convertiti, che si scoprivano ebrei leggendo i testi. "Vecchi cristiani", per dirla usando il linguaggio del tempo, che volevano diventare ebrei non per trovare radici più o meno lontane, ma per convinzione. Qualche anno fa uno storico, Giovanni Romeo, ne ha tratti alcuni dall'oblio.
    Finivano assai male, naturalmente: sul rogo, in prigione, suicidi, considerati pazzi. Figure affascinanti, di persone qualunque o di mistici e intellettuali, come Giulio Cesare Gambardella, un giovane napoletano tormentato da una deformità fisica e considerato "scemo di cervello", torturato e condannato al carcere perpetuo nel 1579, come Giovanni Leonardo Gatto, anch'egli napoletano, dottore in legge, dichiarato insano di mente, e soprattutto come il pugliese Ottavio d'Arimini, filosofo e teologo, che sarà giustiziato a Roma dopo un processo in cui si era dimostrato "del tutto miscredente dela fede christiana" e credente invece in "un solo Iddio in cielo a costume di hebrei". Un altro caso interessante è quello di Scipione Vallati, anch'egli di origine pugliese, un giovane colto che a Napoli nel 1605 decide di rifiutare il cattolicesimo e di farsi ebreo, arrivando a tentare di circoncidersi. Denunciato in ospedale dal suo confessore, morirà prima che il processo inquisitoriale sia compiuto. Nelle sue dichiarazioni, oltre all'esaltazione del monoteismo, un acceso spirito messianico. Questi casi, per quanto sporadici, rivelano come l'ebraismo possa aver giocato un ruolo importante come punto di riferimento di un dissenso religioso diffuso soprattutto al sud nei primi decenni della dominazione spagnola. Gli stessi della fuga di Giordano Bruno e della congiura di Tommaso Campanella, in un momento di riflusso delle spinte riformatrici di matrice protestante.
    C'è infine un'altra matrice che merita di essere analizzata nella ricerca dell'origine della conversione di Sannicandro: la cultura contadina. Una volontà forte di apprendere, un desiderio di mettere la cultura alta al vaglio della propria critica, testardaggine e se vogliamo anche molta confusione, e l'idea che apprendere ti metta in grado di decidere. C'è un senso forte delle proprie autonome capacità di comprendere in un analfabeta che impara a leggere e si fa maestro e quasi profeta. Come Campanella, anche Manduzio si era macerato gli occhi sull'olio delle lampade e aveva anteposto la cultura a tutto il resto. Un filo rosso unisce i vari aspetti di questo mondo bizzarro della cultura eterodossa del Sud d'Italia, in tutte le forme che assume, nel Dio che nega come in quello che accetta.

(Il Foglio, 25 dicembre 2009)





5. DIALOGO CON GIULIO MEOTTI




Gerusalemme, la danza degli amputati

di Guido Ceronetti

CERONETTI: «Caro Giulio Meotti, si fanno libri di attualità politica in quantità insensata, e per fortuna, dopo l'immancabile Dibattito, il Buco Nero li risucchia e amen. Ma il tuo libro-inchiesta su «Le storie mai raccontate dei martiri d'Israele», i morti e i sopravvissuti del terrorismo islamo-palestinese, merita lunga vita e ritorni di attenzione: lo trovo un contributo importante, decisivo, alla verità, o non saremmo qui a parlarne, ad approfondirne un poco il rovente contenuto. Una verità appassionata che si fonda su eventi contemporanei dove ricompare un travolgente enigma metafisico: il destino di Israele. Un sangue su pavimenti e asfalti versato appena ieri, che il pensiero data plurimillenario, e teme di non poter escludere futuro. La danza di cui il tuo titolo parla è una danza di amputati.
«Dimmi come ti è nato questo libro di testimonianze».

MEOTTI: «Sei anni fa, mi trovavo a Haifa, per documentarmi, sulla seconda Intifada: Haifa, città tradizionalmente di reciproca tolleranza tra arabi ed ebrei... E quel giorno in un ristorante di proprietà palestinese una donna, alla fine del pasto, si alza e si fa esplodere, uccidendo venti persone, arabi ed ebrei. Di queste vittime sulla stampa estera non comparve nessuna descrizione - né un nome, né una storia. L'assassina suicida mirava a distruggere quel convivere pacifico degli uni e degli altri. Tra le famiglie massacrate ci fu anche il figlio, arabo, del proprietario. Compresi allora che dovevo raccontare la storia dei morti dimenticati di Israele.
«La mia inchiesta durò cinque anni: tratta di circa 1800 israeliani morti e di 10.000 feriti, una strage enorme, proporzionalmente agli abitanti di Israele, di cui nessuna delle molte guerre è costata tanto. Il libro parte dalla distruzione della squadra olimpica a Monaco nel 1972 e termina con la rievocazione delle Torri Gemelle e qualche storia dei meravigliosi shomrìm, i vigilantes, e altri impensati eroi che fermano i terroristi col loro corpo, sbriciolandosi con loro, salvando vite».

CERONETTI: «C'è da domandarsi: dopo, davvero, "Dio riconoscerà i suoi"? Delle giornate olimpiche del 1972 conservo un ricordo dei più vivi, le abbiamo vissute a Roma, mia moglie Erica, e io, con indicibile spasimo. Speravamo che Willy Brandt e la nuova Germania avrebbero compiuto il miracolo di salvare la squadra: rimandando l'attacco, la strage fu inevitabile. Resta l'immensa vergogna di non aver fermato i giochi. E qui non si può dimenticare l'articolo del giornale vaticano, compunto a raccomandare di continuare i giochi, altrimenti... pensa un po'!... i terroristi l'avrebbero avuta vinta... (Dicono che il papa Montini non si perdesse una gara). La teoria di non fermare tutto per non "far vincere i terroristi" prevalse facilmente: così il male ebbe la sua infame corona. Hai fatto il libro tutto da solo?
«E alle famiglie come ti presentavi? Come sei stato accolto?».

MEOTTI: «Sì, tutto da solo. Nessuno mi ha aiutato, eccetto, si capisce, i famigliari delle vittime. E dato il silenzio, l'apartheid intellettuale e politica che isola oggi Israele, tutti gli interrogati capivano l'importanza di un simile lavoro. Un giornalista non ebreo, di un paese dove prevale sulla stampa un'informazione più o meno sfavorevole allo Stato ebraico, era là per interrogarli umanamente, non per fini politici, sul loro dolore. I soli che hanno rifiutato la mia richiesta sono stati gli ultraortodossi, chiusi nel loro ghetto e nella loro estraneità all'Erez, in attesa di Qualcuno che sempre sta venendo e che non verrà. Anche i coloni oltranzisti, che hanno pagato un tributo di sangue altissimo, gente che non abbandona mai il fucile, perché il loro vivere è un perpetuo rischio, tutti mi hanno parlato... Così è nato questo libro, che non rifà la storia del conflitto, che cerca soltanto di raccontare il martirio ebraico, mezzo secolo dopo la fine della Shoah, negli ultimi anni del XX secolo e nel primo decennio del XXI...
«Spero che molti miei lettori siano toccati da fremiti e lacrime dov'è rievocata la strage degli otto giovani seminaristi della yeshivah di Merkaz Harav, la scuola dei talmudisti (le loro belle facce e i loro nomi, così vicini ai personaggi di un Isaac Singer, sono a p. 320)... Merkaz Harav, cuore spirituale della nazione, dov'è accesa giorno e notte, inestinguibile, la lampada della Torah... E se pensiamo che il terrorista autore dello scempio era un palestinese israeliano perfettamente integrato, che godeva di piena fiducia, che guidava gli scuolabus - ma nascondeva il seme dell'odio, la bramosia di un raccapricciante martirio... Nella scuola si festeggiava il mese lunare di Adar, l'avvicinarsi della primavera, quando irruppe quell'orrenda pianta del male...».

CERONETTI: «È vano darsi spiegazioni politiche: atti simili sono male-per-il-male. Hai fatto bene a non trascurare mai i nomi, le identità, le genealogie, il principium individuationis, perché il terrorismo vuole l'opposto: la perdita del volto, la distruzione della persona morale, lo spegnimento della nazione nei figli macellati, rendere "la Mano e il Nome" irriconoscibili... Così anche altrove: in ogni popolo preso di mira si vede l'azione di una volontà di annientare l'uomo. Ma in Israele anche da una dentiera sbriciolata sull'asfalto traggono la voce di un nome, come tu dici. Immagino però che la situazione psichiatrica sia delle più amare».

MEOTTI: «Dietro tanto amore per la vita e tante prove di coraggio senza limiti, c'è una società di anime morte: là, nelle pieghe dell'anima, è impressa la VU spaventosa di vittoria del terrorismo suicida. Andare in cerca di un bottone, di una traccia di tuo figlio, trovarli sotto la testa (che di solito rimane intatta) di chi ha compiuto il massacro, che cosa produrrà in un povero cervello umano? Il sonno naturale è utopistico, in Israele. A Sderot, nella Striscia, dove a centinaia sono caduti i missili di Hamas, ci sono generazioni invalide nell'anima, molti bambini in regressione psichica. Il piano terrorista mira a creare una società di questo tipo. Atlete amputate nelle gambe, giovani musicisti promettenti accecati; nelle città colpite un abitante su due ha disturbi psichici, i soldati stessi sono avvolti nelle depressioni, come reggere a una guerra che non ha fronti, che non ha fine?
«Ad Ashkelon ho parlato con una ginecologa, ferita da schegge di missile mentre era con una paziente. Una scheggia nella spina dorsale l'ha paralizzata per sempre. Se vai nelle case dei superstiti, dei feriti, dei mutilati, il martirologio di Israele lo tocchi con mano - là, un popolo invincibile confessa il suo smarrimento, la sua sfinitezza muta. Neppure la Shoah ha prodotto simili piaghe. E sempre quello sforzo intenso, spossante, per ricordare "quel che ti ha fatto Amalèk". Il mondo che ormai apertamente detesta Israele ne ravviva, ne allarga le ferite. Perciò ho ritenuto necessario scrivere questo racconto sui morti d'Israele. Non sanno che farsene, loro, dei nostri coccodrilli!».

CERONETTI: «Permettimi di chiudere questa nostra intervista con un verso di Giorgio Seferis: "Dove c'è umanità c'è dolore. / Ma non è il fine dell'uomo / Essere solo dolore"».
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Giulio Meotti è autore del libro Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri d'Israele (ed. Lindau, pp. 353, € 24)

(La Stampa, 17 dicembre 2009)





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