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Notizie agosto 2009

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Puglia, in distribuzione ultimo numero di "PugliaLibre"

La rivista cura il festival di cultura ebraica di Trani

E' quasi intereramente dedicato al Festival della Cultura Ebraica in Puglia il terzo numero del magazine gratuito «PugliaLibre. Libri a km zero» in distribuzione da oggi in una serie di librerie e biblioteche della Puglia. Il free-press, supplemento della rivista on line www.puglialibre.it, valorizza in questo numero alcune recenti pubblicazioni sul tema della presenza dell'ebraismo in Puglia e pubblica un'intervista esclusiva a Francesco Lotoro, responsabile culturale della Sinagoga Scholanova di Trani, pianista e scrittore. Un'ampia recensione è dedicata al volume Fonte di ogni bene, che racconta la storia della comunità ebraica di San Nicandro Garganico, mentre tra gli scrittori pugliesi che pubblicano fuori regione si segnala questo mese il romanzo d'esordio della molfettese Valentina Pansini sul precariato nel mondo della scuola.
Tra gli altri contributi, il resoconto della presentazione del volume su Banche e Mezzogiorno di Marina Comei, un bilancio delle manifestazioni di promozione della lettura di quest'estate in Puglia, e la pubblicazione di alcuni stralci del reportage dell'archeologo francese François Lenormant sulla Daunia di fine Ottocento.
La rivista sarà distribuita presso il gazebo allestito in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica, a Trani, e come di consueto anche presso la Teca del Mediterraneo - Biblioteca del Consiglio Regionale della Puglia. Per l'elenco completo dei punti di distribuzione, consultare il sito Internet www.puglialibre.it.

(Bat24ore.it, 31 agosto 2009)

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Nasce NaqaTube, alternativa "islamicamente corretta" a YouTube

Nasce NaqaaTube, nuova alternativa islamica e "moralmente pura" (Naqa in arabo significa appunto "puro") a YouTube, il portale americano di video sharing più popolare al mondo.
Dopo IslamicTube, ArabTube e VideoArab, i dieci canali di NaqaaTube mettono al bando immagini di donne, allusioni sessuali, musiche non musulmane e messaggi "profani", a vantaggio di una rigidissima selezione di cartoni animati, documentari sulla natura e video di contenuti a carattere prevalentemente religioso relativi a studiosi, imam e predicatori.
"Stiamo promuovendo un Islam moderato, niente di estremo", ha dichiarato il moderatore di NaqaaTube che ha sottolineato orgogliosamente che il nuovo sito "ha ricevuto dalle cinquemila alle seimila visite dal suo lancio avvenuto solo due mesi fa". Tuttavia, per molti non musulmani NaqaTube rappresenta un nuovo pericoloso strumento di propaganda terroristica.
Sulla scia di AqsaTube, il sito di video sharing di Hamas popolarissimo tra i palestinesi e accusato di aver messo online immagini che esaltavano il martirio e la Jihad, si teme infatti che anche NaqaaTube possa fare altrettanto.

(Affaritaliani.it, 31 agosto 2009)

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Archeologia, scoperto a Gerusalemme un grande palazzo romano

Un «sontuoso» palazzo romano di due piani, di oltre mille metri quadrati, è stato rinvenuto nel parco archeologico della Città di David (il nucleo originario di Gerusalemme), poco fuori le mura attuali della Città Vecchia di Gerusalemme. In precedenza gli archeologi ritenevano che le rovine romane del III secolo dopo Cristo si estendessero solo fino ai bordi delle mura della città vecchia ottomana. Ma la scoperta di questo palazzo nell'area del parcheggio Givati, fuori dalle mura e adiacente alla Città di David, suggerisce che le costruzioni romane arrivassero fino al fondo della Valle di Silwan. Lo ha spiegato Doron Ben-Ami, direttore degli scavi, al «Jerusalem Post», secondo quanto riferisce il sito internet Israele.net.
«La scoperta ci ha sorpresi - dice Ben-Ami -. Non ci aspettavamo di trovare resti di costruzioni romane entro la Città di David. Le dimensioni degli edifici sono sorprendenti: finora abbiamo scoperto mille metri quadri e la struttura si estende ancora al là dei limiti dell'area di scavo».
Secondo Ben Ami, il ritrovamento ha già rivoluzionato la cognizione degli storici sull'insediamento romano a Gerusalemme. «La supposizione prevalente tra gli studiosi che la collina della Città di David restasse fuori dalla zona dell'insediamento romano al tempo di Aelia Capitolina (dal II secolo dopo Cristo) non è più valida», spiega Ben-Ami.
La fastosità dell'edificio è provata dalle sue dimensioni e dai manufatti recuperati all'interno della struttura, sottolinea un comunicato della Antiquities Authority. Al centro c'era un grande cortile aperto, circondato da colonne. Tra le colonne e le camere accanto al cortile correvano delle gallerie. L'edificio si ergeva per due piani e era coperto da tetti di tegole. Tra le rovine è stata trovata una quantità di frammenti di affreschi, da cui gli archeologi hanno dedotto che alcuni dei muri delle stanze fossero intonacati e decorati con pitture colorate. I disegni colorati che ornavano le pareti intonacate consistevano principalmente in motivi geometrici e floreali. La ricchezza architettonica, la planimetria e in particolare i manufatti ritrovati tra le rovine attestano il carattere inequivocabilmente romano dell'edificio. I reperti più notevoli sono una figurina di marmo raffigurante un pugile e un orecchino d'oro con pietre preziose incastonate.
L'edificio, costruito durante il III secolo dopo Cristo, fu colpito da un terremoto nel IV secolo le cui conseguenze sono ancora evidenti nell'area degli scavi: i muri cedettero e le pietre crollate, ammucchiate al suolo, coprirono i muri del piano terra, alcuni dei quali sono ancora in piedi e raggiungono una considerevole altezza. Le monete trovate tra le macerie e sui pavimenti suggeriscono che il crollo del palazzo avvenne intorno al 360.
«Abbiamo la testimonianza archeologica degli effetti del terremoto che colpì la nostra regione nel 363», spiega Ben-Ami, che aggiunge: «Non conosciamo altri edifici del periodo romano scoperti in Israele che abbiano una planimetria simile a quella di questo edificio. I paralleli contemporanei più vicini sono situati in siti del II-IV secolo scavati in area siro-libanese. Si tratta di palazzi urbani del periodo romano scoperti ad Antiochia, Apamea e Palmira. Se il parallelo è corretto allora, nonostante le dimensioni e l'opulenza, significherebbe che l'edificio era nato come residenza privata».

(il Giornale, 31 agosto 2009)

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Gerusalemme: scontri fra polizia e ultra-ortodossi, feriti otto agenti

Nella notte centinaia di manifestanti hanno aggredito le forze dell'ordine. Gli ebrei osservanti protestano contro l'apertura di un parcheggio a pagamento nel giorno sacro del riposo ebraico.

GERUSALEMME - È di otto poliziotti feriti - in modo lieve - il bilancio degli scontri della notte scorsa a Gerusalemme fra le forze dell'ordine e un centinaio di ebrei ultra-ortodossi. A scatenare la rabbia di questi ultimi la decisione del tribunale di convalidare il fermo di 16 ebrei ultra-ortodossi, arrestati il 29 agosto mentre protestavano per l'apertura di un parcheggio a pagamento durante lo Shabbat, la festa del riposo ebraico.
Per la prima volta dall'inizio delle proteste per l'apertura del parcheggio, inaugurato diverse settimane fa, la polizia ha risposto lanciando gas lacrimogeni e bombe assordanti. La radio pubblica riferisce di decine di feriti fra i manifestanti, ma non vi sono conferme ufficiali da fonti ospedaliere. Danneggiate anche sei camionette della polizia e due moto. All'alba i dimostranti hanno anche cercato di appiccare il fuoco agli uffici del Ministero israeliano per il welfare, situato in un quartiere ultra-ortodosso della città.
Dall'ufficio del sindaco di Gerusalemme spiegano che il parcheggio è situato in un luogo ad alto flusso turistico e commerciale, frequentato da decine di migliaia di visitatori, ed è indispensabile per lo sviluppo economico.

(AsiaNews/Agenzie, 31 agosto 2009)

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Gheddafi contro Israele: chiudere le ambasciate in Africa

TRIPOLI - Israele è dietro a tutti in conflitti in Africa: per questo "tutte le sue ambasciate nel continente vanno chiuse". Con queste parole il leader libico Muammar Gheddafi si è scagliato contro lo Stato ebraico durante l'apertura del vertice dell'Unione Africana a Tripoli.
Israele - ha accusato il colonnello- " alimenta le crisi in Darfur, Sud Sudan, Ciad, per sfruttare le ricchezze di quelle aree, per questo chiediamo alle ambasciate israeliane di lasciare l'Africa". Solo l'Unione Africana, secondo Gheddafi, ha il compito, "diritto-dovere", di tenere le questioni legate ai conflitti in Africa sempre all'ordine del giorno "per aiutare gli africani a trovare soluzioni pacifiche ai conflitti in corso" .
"Nessuno deve intervenire negli affari interni africani". Questo il monito con il quale il leader libico Mummar Gheddafi ha aperto oggi i lavori della sessione speciale dell'Unione Africana dedicata alle zone critiche in Africa. Dopo aver elencato le zone di conflitto del continente, citando quelli fra Sudan e Ciad, fra Eritrea e Etiopia, fra Rwanda e Repubblica democratica del Congo, quelli interni in Somalia, in Kenya, in Darfur, in Costa D'Avorio, alcuni risolti altri no, il colonnello Gheddafi si è rivolto alla comunità internazionale: "non tenti di intervenire per risolvere i conflitti perché sappiamo che dietro - ha detto - c'é l'intenzione di mettere le mani sulle ricchezze dell'Africa, l'uranio, l'oro, il gas, il petrolio".

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Israele: da Gheddafi 'bulletto' dichiarazioni da circo

"Quel circo equestre itinerante che è Gheddafi è divenuto da tempo uno show tragicomico che imbarazza chi lo ospita e la nazione libica che ne paga il conto": così il portavoce del ministero degli Esteri israeliano Yigal Palmor ha commentato la richiesta di chiusura di tutte le ambasciate di Israele in Africa avanzata dal leader libico in apertura del vertice dell'Unione africana in corso a Tripoli. Interpellato dall'ANSA, Palmor ha così proseguito: "Mi chiedo se vi sia ancora qualcuno al mondo che prende seriamente ciò che dice quest'uomo. Noi comunque siamo certi che nessuno stato darà peso alle azioni teppistiche di questo bulletto". Israele ha dieci ambasciate in Africa e nei prossimi giorni il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman comincerà un viaggio in diversi stati africani - il primo di un capo della diplomazia israeliana dopo molti anni - con l'intento di rafforzare le relazioni con questo continente.

(ANSA, 31 agosto 2009)

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Frattini: Presto la condanna Ue dell'antisemitismo

Il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini ha affermato, in un'intervista al quotidiano Haaretz di Tel Aviv di aver concordato con il suo omologo Carl Bildt, che alla prossima riunione del Consiglio dei ministri degli Esteri Ue, l'Unione - sotto la presidenza della Svezia - condannera' severamente l'antisemitismo e contrastera' ogni sua manifestazione in Europa.
Frattini ha aggiunto che a Stoccolma (dove si terra' la riunione il 4 e 5 settembre) l'Italia da parte sua sollecitera' una riprovazione dei contenuti dell'articolo pubblicato di recente dal giornale svedese Aftonbladet in cui l'esercito israeliano e' stato accusato di aver trafugato organi di palestinesi rimasti uccisi durante l'intifada in Cisgiordania. Frattini ha detto a Haaretz di considerare articoli del genere "decisamente antisemiti". Riferendosi alla crisi politica innescata da quell'articolo fra Israele e Svezia, e dal rifiuto del governo di Stoccolma di ergersi a giudice dei mass media, Frattini ha osservato che "uno Stato non puo' interferire nel lavoro giornalistico. Sono i giornalisti stessi che devono porsi dei limiti".
In un articolo di commento il quotidiano progressista di Tel Aviv pubblica un profilo lusinghiero di Frattini, che viene descritto come "un italiano scandinavo" per il suo autocontrollo e per la sua calma interiore che non genera contrasti. Frattini viene anche presentato - al fianco del presidente francese Nicolas Sarkozy e della cancelliera tedesca Angela Merkel - come un deciso sostenitore di Israele che non esita tuttavia ad esprimere anche "critiche sincere". Si tratta di amicizie preziose per Israele, conclude l'articolista, che vanno coltivate.

(PDL. 31 agosto 2009)

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L'Onu non insegna la Shoah

I circa 200.000 bambini istruiti dalle scuole dell'Onu nella Striscia di Gaza continueranno a non sapere nulla dell'olocausto.
Questo perche' secondo Hamas, che controlla l'enclave costiera dal giugno 2007, la Shoah "un invenzione dei sionisti" e l'Unrwa, l'agenzia Onu responsabile degli aiuti ai profughi palestinesi, ha rassicurato di non aver alcuna intenzione di inserire un capitolo sull'olocausto nei libri riservati ai bambini di 13 anni, come invece temeva Hamas.
Il portavoce dell'Unrwa Adnan Abu Hasna ha rassicurato Hamas che "non c'e' alcuna menzione dell'olocausto nel nostro attuale libro di testo".

(RaiNews24, 30 agosto 2009)

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La road map de facto

Salam Fayyad
Il premier palestinese Fayyad ha annunciato che in due anni ci sarà uno stato palestinese de facto, al di là dei negoziati, delle road map e dei meeting che da sempre scandiscono l'inefficacia della strategia dei passi coordinati. I palestinesi vogliono fare uno stato per, certo, liberarsi dall'occupazione di Israele, ma anche per "dare stabilità alla regione" e avviare un percorso "per attirare investimenti stranieri". Vogliono esistere e non soltanto resistere.
E' una novità importante che va gestita e monitorata: già nel 1999 Arafat annunciò la volontà di creare uno stato palestinese, ma lo fece a corredo del "no" a tutte le concessioni - e allora erano davvero tante - fatte dalla comunità internazionale. Era uno stato di sfida, non certo la coronazione dell'ideale dei due popoli due stati vicini e in pace. Fayyad - che pure è un uomo molto solo, ancor più del rais Abu Mazen confinato in Cisgiordania - non appare come un provocatore, ma come uno che ha capito che l'iniziativa di uno stato deve venire prima di tutto da chi abiterà quello stato.
Il controllo del territorio è indispensabile e l'Anp non ce l'ha: Gaza è la terra di Hamas (o al limite di al Qaida) e chi è sospettato di essere di al Fatah non ha vita lunga. Ma lo stato dei palestinesi deve comprendere tutti, e soltanto i palestinesi possono riunirsi - con gli accordi o con la forza, saranno loro a deciderlo. L'annuncio di Fayyad è in questo senso il segnale di un nuovo senso di responsabilità ed è il risultato di un approccio alla questione israelo-palestinese inaugurato dall'ex premier Sharon. Fu lui, nel 2005, a decidere in contrasto con tutti, a partire dal suo partito e dai suoi amici, di ritirarsi unilateralmente da Gaza. Basta con i passi coordinati - disse Sharon - vi lasciamo la terra che desiderate, ce ne andiamo da soli. Sradicò i settlers dalle loro case e dalle loro terre - "soffro", ammise durante un accorato messaggio agli israeliani nei giorni terribili e grandiosi del ritiro - e disse ai palestinesi: ora di questa terra fatene buon uso. Il suo appello è rimasto inascoltato, ma Fayyad oggi riaccende una speranza.

(Il Foglio, 30 agosto 2009)

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Netanyahu: non bisogna attendersi un accordo imminente su Shalit

GERUSALEMME, 30 ago. - Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha smentito le notizie circa una svolta nelle trattative con Hamas per il rilascio di Gilad Shalit ed ha chiarito che non bisogna attendersi un accordo nei prossimi giorni. "Le affermazioni su un accordo garantito nei prossimi giorni non hanno alcuna base", ha dichiarato Netanyahu nel corso di una riunione di gabinetto oggi.
"Dobbiamo assicurarci che Shalit rientri a casa incolume ma tuttavia esistono una grossa parte di esagerazione e di informazioni non accurate", ha proseguito. Ieri il settimanale tedesco 'Der Spiegel' aveva riferito che il mediatore tedesco ha presentato ad Hamas una nuova proposta dando al movimento tre giorni di tempo per rispondere.
Il quotidiano saudita al-Madina da' invece oggi notizia dell'arrivo al Cairo del negoziatore israeliano Haggai Hadas, visita destinata ad accelerare il processo negoziale ed assicurare il rilascio di Shalit. Hadas ha in programma un incontro con il capo dell'intelligence egiziana Omar Suleiman e con il mediatore tedesco, riporta il quotidiano, citato da 'Haaretz'.

(Adnkronos, 30 agosto 2009)

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Giornata della cultura ebraica - Appuntamenti di dialogo da Nord a Sud

di Daniela Gross

Un gioioso corteo nuziale a Firenze, la tavola di Pesach ad Ancona e un'Havdalah in piazza a Trieste. E poi Indiana Jews, la caccia al simbolo perduto organizzata dal Museo ebraico di Roma; il viaggio nelle antiche vie del ghetto ad Asti; il pranzo ebraico a Finale Emilia. E ancora libri, letture, teatro e musica, visite guidate, mostre e incontri culturali. Con un appuntamento di grande suggestione al Sud dove "Negba - Verso il Mezzogiorno", primo Festival della cultura ebraica in Puglia, proporrà fino al 10 settembre una fitta scaletta d'appuntamenti d'approfondimento, musica, spettacoli e mostre da Bari a Otranto, da San Nicandro Garganico a Trani a Lecce.
Fervono ormai in tutte le Comunità ebraiche i preparativi per domenica prossima, Giornata europea della cultura ebraica, promossa dall'Ucei sotto l'alto Patronato del Presidente della Repubblica, con il patrocinio del ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca, del ministero per i Beni e le attività culturali e del ministro per le politiche europee e, per la parte pugliese, in collaborazione con la Regione Puglia. Un evento sempre più amato dal pubblico, che lo scorso anno ha richiamato oltre 50 mila persone e che anche in questa decima edizione, dedicata al tema delle feste e tradizioni, promette occasioni importanti per approfondire il dialogo e la conoscenza dell'ebraismo.
Quest'anno i centri coinvolti saranno 59, quasi il triplo delle Comunità ebraiche, per il coinvolgimento di tantissime località che nel nostro territorio conservano memorie significative di vita ebraica pur in assenza di strutture comunitarie. E a imprimere un significato particolare, la svolta a sud, terra dov'è in atto negli ultimi anni una significativa rinascita dell'ebraismo.
"In quest'edizione - spiega il presidente dell'Ucei Renzo Gattegna - abbiamo trovato il coraggio di lanciarci per la prima volta in un'emozionante avventura diretta verso il Meridione. Si tratta solo del primo passo verso la riscoperta di un intero capitolo della storia italiana e della storia ebraica". "L'emozione è grande - continua - perché avere alle spalle cinquecento anni di vuoto fa venire le vertigini, perché è sconvolgente sollevare il velo di silenzio per scoprire una realtà storica rimasta, non per caso, così a lungo sconosciuta. La forza e la determinazione per affrontare questa prova sono certamente scaturite dal consenso, dalla solidarietà, dall'interesse e dalla sincera volontà di conoscenza di cui gli ebrei in questo momento si sentono circondati in Italia".
Dopo cinque secoli tornerà così alla ribalta la vicenda illustre dell'ebraismo pugliese in una serie d'appuntamenti che, gettando uno sguardo nuovo sull'identità ebraica anche attraverso il festival teatrale diretto da Gioele Dix, vedranno un intreccio strettissimo con il territorio, ribadito dal presidente della Regione Puglia Nichi Vendola.
"La rinascita in atto dell'ebraismo pugliese - dice - ci rimanda a una delle radici più forti che attraversano il nostro Meridione e suscita in tutti noi una forte emozione. E per la Puglia la riscoperta del suo ebraismo si lega in modo inestricabile ai temi della pace, della solidarietà e della fratellanza dei popoli significando una straordinaria possibilità in più di perlustrare la nostra stessa umanità". E quest'opportunità di riflessione e d'incontro è forse il segreto principale del crescente successo ottenuto dalla Giornata dellacultura ebraica nel nostro Paese in una partecipazione che, sottolinea Yoram Ortona, consigliere Ucei delegato alla manifestazione, rappresenta senz'altro il migliore antidoto contro l'antisemitismo e l'intolleranza.

(Notiziario Ucei, 30 agosto 2009)

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Aharon Appelfeld: "Come Kafka non mi fido degli uomini"

di Alain Elkann

Aharon Appelfeld, lei sarà al Festival della mente a Sarzana (4-5-6 settembre, organizzato da Giulia Cogoli) e per questo ha preparato una conferenza sul tema «La differenza tra la cronaca e la letteratura». Può spiegare qual è questa differenza?
«Nella cronaca si segue il tempo, la letteratura è qualcosa che appartiene alla vita interiore. Molta cronaca è stata scritta per esempio sul tema dell'Olocausto: la gente pensa che sia letteratura e invece non lo è».

Ma Primo Levi, per esempio?
«Sta in mezzo. Ma quello che è molto interessante e che forse è l'unico scrittore che fa della cronaca-letteratura».

Perché?
«Perché c'è molto della sua vita interiore. Prima dei campi di concentramento, durante e dopo. Per esempio, la notte prima della deportazione era con un gruppo di ebrei italiani e, dopo aver impacchettato i loro averi, si sono seduti e hanno cantato vecchie melodie ebraiche. Improvvisamente non era più una deportazione ma un lamento di ebrei riuniti insieme»...

(La Stampa, 30 agosto 2009)

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Censurata la mostra sul capo islamico assassino di ebrei

Fu uno dei principali consulenti di Adolf Hitler nell'organizzazione della Shoah. Ma Hajj Muhammad Amin al-Husseini era musulmano. E il Centro multiculturale di Berlino, imbarazzato, decide di cancellarne la presenza dalla mostra "Il Terzo Mondo durante la Seconda Guerra Mondiale".
Tutto l'effetto ottenuto è l'esaltazione del ruolo svolto nello sterminio degli ebrei da al-Husseini, ai tempi Gran Mufti di Gerusalemme. Ma la direttrice del Centro, Philippa Ebéné, pur negando che la decisione sia originata dal timore delle reazioni della comunità islamica, bolla le critiche come "eurocentriche".
A protestare, tuttavia, è la comunità ebraica locale, oltre al curatore della mostra, Karl Rössler, secondo il quale non si può tacere che «al-Husseini, funzionario delle Ss, prese parte attivamente all'Olocausto».
Per evitare interventi censori, comunque, la versione integrale - 99 pannelli, compresi i tre che raffigurano i crimini di al-Husseini - è stata ora collocata nella galleria UferHallen. Senza però evitare il conflitto fra le istituzioni. Il commissario per l'integrazione e la migrazione della capitale tedesca, Günter Piening, difende la censura. Contro di lui, si schiera Heinz Buschkowsky, sindaco del quartiere di Neukölln, che ritiene l'accaduto un episodio di «repressione dei fatti che trattano di anti-semitismo».

(Libero-news.it, 29 agosto 2009)

COMMENTO - Può bastare il video qui sotto.


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Gerusalemme, tensione nella Moschea

Una schiera di fedeli musulmani come non se ne vedeva da tempo, stimata fra le 90 e le 100.000 persone nonostante i limiti di età imposti per ragioni di sicurezza, ha affollato oggi la spianata delle moschee di Gerusalemme per il primo venerdì del Ramadan. L'evento si è celebrato sotto lo sguardo di un imponente presidio della polizia israeliana, che ha compiuto qualche fermo, ma senza incidenti di rilievo. Controllati a uno a uno agli accessi, i presenti si sono raccolti nel luogo più sacro all'Islam della Città Santa per le preghiere di rito e hanno poi potuto defluire normalmente, seppure sullo sfondo d'una certa tensione. Le forze di sicurezza israeliane, che avevano limitato le autorizzazioni agli uomini sopra i 50 anni e alle donne sopra i 45, sono intervenuti solo per fatti episodici, arrestando in totale cinque persone: tre uomini trovati in possesso di coltelli, un palestinese della Striscia di Gaza (l'enclave controllata dagli integralisti di Hamas) che era riuscito a raggiungere Gerusalemme senza permesso di transito e una persona che, infuriata per l'attesa ai varchi, aveva aggredito un poliziotto. Non sono mancate d'altronde alcune lamentele per i vincoli imposti dalle autorità israeliane, alimentate anche dal fatto che diverse famiglie non sapevano dei divieti riguardanti i più giovani. In Cisgiordania (il territorio palestinese controllato dall'Anp del presidente Abu Mazen) la solennità odierna non ha intanto impedito le abituali manifestazioni di protesta del venerdì contro la barriera di separazione innalzata da Israele. Scontri limitati fra gruppetti di dimostranti e guardie di frontiera israeliane si sono registrati in particolare all'ombra del muro che taglia in due il villaggio di Naalin, dove - secondo i media israeliani - un militare e alcuni manifestanti hanno riportato leggere contusioni.

(Il Denaro, 29 agosto 2009)

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Israele: scontro tra polizia e ultra ortodossi

Alcune centinaia di religiosi ebrei ultraortodossi hanno manifestato oggi a Gerusalemme, scontrandosi con le forze dell' ordine, per protestare contro l'apertura di un parcheggio pubblico nel centro della città, in quanto ritenuto in violazione del precetto religioso del riposo sabbatico. Nel corso delle agitazioni due persone, un poliziotto e una passeggera di un taxi, sono state leggermente ferite dai manifestanti due dei quali sono stati fermati dagli agenti. E' gia da alcune settimane che gli ultrortodossi scendono in piazza di sabato in una prova di forza col municipio che ha autorizzato l'apertura del parcheggio.

(L'Unione Sarda, 29 agosto 2009)

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Shalit, mediatore tedesco propone scambio prigionieri

Spiegel: Israele dovrebbe rilasciare 450 palestinesi

I servizi segreti tedeschi per l'estero (BND) hanno depositato una concreta proposta per ottenere la liberazione di Gilad Shalit, il soldato israeliano rapito nel giugno del 2006 da miliziani palestinesi vicini ad Hamas. Secondo quanto scrive il settimanale tedesco Der Spiegel in cambio del rilascio di Shalit Israele dovrebbe liberare 450 palestinesi. Il governo israeliano sarebbe pronto a rilasciare in una seconda fase altri palestinesi. Il premier Benjamin Netanyahu insiste però affinché ciò avvenga come una sorta di gesto umanitario e senza alcuna fretta. Hamas ha ora tempo fino a inizio settembre per reagire alla proposta, scrive lo Spiegel. Il mediatore tedesco nella vicenda si è attivato su esplicita richiesta del governo israeliano ed è in contatto da metà luglio con le parti.

(Virgilio Notizie, 29 agosto 2009)

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Gaza, lanciato un razzo Qassam contro Israele

Non ci sono vittime o feriti

Miliziani palestinesi nel nord della Striscia di Gaza hanno lanciato stamattina un razzo Qassam contro il territorio israeliano. Lo riporta il sio web del quotidiano israeliano Haaretz. Il razzo è caduto in un campo aperto. Negli ultimi giorni ci sono stati ripetuti incidenti alla frontiera tra la Striscia e Israele, dopo mesi di relativa calma. Nel corso della giornata l'esercito israeliano ha sparato alcuni colpi di artiglieria contro uomini armati nel centro del territorio palestinese, senza fare feriti. Lo ha riportato l'agenzia di stampa palestinese Maan, citata da Haaretz. Alla fine del 2008 l'esercito israeliano lanciò una massiccia offensiva contro Hamas, il gruppo palestinese che controlla Gaza, per fermare i ripetuti lanci di razzi contro le comunità israeliane nei pressi del confine (oltre 7mila Qassam sparati negli ultimi otto anni).

(Virgilio Notizie, 29 agosto 2009)

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Shoah - Morto Guy von Dardel, la sua vita per trovare Raoul Wallenberg

Era fratellastro del filantropo svedese arrestato da sovietici

E' morto a 90 anni nella sua casa a Ginevra, in Svizzera, Guy von Dardel. Per anni cercò di trovare il fratellastro Raoul Wallenberg, un filantropo svedese che durante la Seconda Guerra mondiale lavorava a Budapest, in Ungheria, dove salvò la vita a migliaia di ebrei. Von Dardel non accettò mai la versione delle autorità sovietiche, secondo la quale Wallenberg, diplomatico svedese nato nel 1912, morì nel marzo 1945, pochi mesi dopo dopo essere stato arrestato con l'accusa di spionaggio. La moglie di Von Dardel, Mathilda, ha detto che il marito, fisico presso l'Organizzazione europea per la ricerca nucleare, è morto oggi. Per lui esistevano le prove secondo le quali i sovietici volevano usare Wallenberg come moneta di scambio per detenuti o altri russi in Svezia, ma le autorità svedesi hanno sempre rifiutato l'offerta. Una vicenda che, putroppo, resta un mistero.

(Virgilio Notizie, 29 agosto 2009)

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Israele, la destra vicina alla pace irrita la sinistra pro-palestinese

Non è raro che in politica le destre realizzino i programmi delle sinistre e viceversa. Fa parte del gioco democratico. Ma se il premier Bibi Netanyahu, così odiato in patria e all'estero dalle sinistre, riuscisse a comporre il conflitto palestinese, sarebbe non solo la conferma della salute della democrazia israeliana ma obbligherebbe gli intellettuali innamorati dei palestinesi e votati all'odio dell'occidente «a mangiarsi - come dicono gli inglesi - il cappello». Israele non è certo vicino alla pace coi palestinesi e forse non ci arriverà con il governo Netanyahu. Ma ci sono i segni che la tattica adottata dal premier israeliano e violentemente denunciata come razzista e colonialista dentro e fuori di Israele sta producendo in sordina dei risultati.
Due sono i principi su cui si muove Netanyahu: non si dà nulla senza ricevere, perché Israele non è un intruso ma a casa sua in Terrasanta; Israele non è la coda che fa muovere il cane americano ma uno Stato, che per quanto piccolo, sa dire no a Obama come ai leader arabi islamici che attendono o invocano per la sua scomparsa. Quanto ai piccoli segnali di disgelo nel conflitto palestinese, sono almeno quattro.
In primo luogo Mahmud Abbas, presidente della Autorità palestinese, ha accettato di incontrare Netanyahu a New York dopo aver giurato di non farlo prima della completa cessazione delle costruzioni israeliane nelle zone occupate. In seconda battuta il veto «totale» di Washington alle costruzioni negli insediamenti, dopo gli incontri di Netanyahu a Londra con Mitchell, inviato di Obama per la Palestina, è diventato un veto «condizionato» anche per Gerusalemme est, dove il «diritto degli ebrei di abitare ovunque desiderino» sembra ammesso, sia pure in sordina e per il momento dall'America. Di fronte all'intransigenza iraniana diventa pericoloso per Washington indebolire militarmente l'alleato.
C'è poi da segnalare (ed è il terzo indizio di «disgelo») che Ahmed Jabri, comandante della fazione militare Izat Din Qassam di Hamas che ha nelle sue mani il caporale Shalit, è partito diretto al Cairo per definire l'accordo per lo scambio del caporale con prigionieri palestinesi. Se finalmente raggiunto, questo accordo, dieci volte tentato dall'Egitto e dieci volte fallito, rappresenterebbe un enorme contributo di popolarità per Netanyahu.
Infine martedì scorso a Ramallah, per la prima volta nella storia dell'Olp, il premier palestinese Salam Fayyad ha presentato un programma di creazione delle infrastrutture dello Stato palestinese da realizzare entro due anni. L'annuncio è rivoluzionario perché implicitamente riconosce che per creare uno stato - come sostiene Netanyahu - occorre occuparsi «dell'economia, delle fogne e delle scuole», piuttosto di come distruggere il vicino. È la fine del mito di Arafat.
Come si spiegano questi cambiamenti? Anzitutto con la collaborazione militare fra Israele e il governo palestinese per distruggere le basi di Hamas in Cisgiordania e lottare contro il terrorismo. In secondo luogo con l'esito delle elezioni di al Fatah dalle quali il presidente Abbas è uscito rinforzato. L'assicurazione datagli da Israele di non liberare il suo più pericoloso concorrente Barghuti dalla prigione, la ripresa economica della Cisgiordania grazie agli aiuti europei e all'eliminazione di molti posti di blocco israeliani, l'estremismo di Hamas che ha impedito a 300 membri di al Fatah a Gaza di partecipare al congresso di Betlemme, lo hanno aiutato. Infine sembra esserci la nuova consapevolezza da parte di Obama e dei leader arabi di aver più bisogno della collaborazione di Israele di quanto Israele abbia bisogno del riconoscimento arabo. L'impegno americano e europeo a rinforzare le sanzioni contro l'Iran, unitamente a quello israeliano a non allargare gli insediamenti in Cisgiordania, rende furiosi contro Netanyahu i coloni e i suoi oppositori all'interno del Likud. È però anche una carta che il premier israeliano sta abilmente giocando. Gli basta porre la domanda «chi mettete al mio posto?» a Washington, Londra, Parigi e Berlino. Neppure in Israele esiste per il momento una risposta credibile.

(il Giornale, 29 agosto 2009)

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Cisgiordania, i coloni tentano di attirare i turisti

"Venite da noi. Avrete vini, cibi, rovine e niente Intifada"

Le colonie della Cisgiordania provano a rialzarsi dopo anni di guerra e di fame che ancora flagellano queste terre. Provano a rialzare la testa, a ricominciare e lo fanno prima di tutto tentando di stimolare il turismo in zone dove l'Intifada ha da tempo dissuaso ogni tipo di visitatore.
Ma segnali di ripresa ci sono e, come documenta un reportage pubblicato venerdì su La Stampa, nelle colonie della Cisgiordania, come quella di Psagot a poca distanza da Ramallah, alcuni israeliani già iniziano a fare le prime escursioni domenicali o dei week end rilassanti a base di natura incontaminata, buon vino e cucina locale. Questo dimostra che la politica del movimento dei coloni, che puntano a mostrare all'israeliano della strada «l'altro volto della Cisgiordania», inizia a dare i suoi frutti.
Anche se sono ancora pochi i visitatori, sono state comunque gettate le basi per una possibile rinascita. Grazie alla produzione di buon vino, un "Porto" che è stato lodato dalla critica, al miglioramento delle vie di comunicazione come la strada che collega Tel Aviv alle varie colonie e alla costruzione di casette adibite all'affitto per i turisti. E soprattutto grazie ad una campagna pubblicitaria sui maggiori media israeliani dal nome «Giudea-Samaria. La storia di ogni ebreo», ideata dal movimento dei coloni e che ora è arrivata al capolinea per mancanza di fondi.
Una campagna turistica che suggerisce escursioni a Shilo «da tre secoli la capitale religiosa degli israeliti all'epoca dei Giudici, tre millenni fa», a Herodion, alle porte di Nablus, il Monte Eibal e il Monte Gerizim, dove resta una piccola comunità di Samaritani.

(Blitz quotidiano, 28 agosto 2009)

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Israele: gruppo denuncia facebook, ospita contenuti negazionisti

GERUSALEMME, 28 ago. - Il social network Facebook viola le sue stesse regole interne consentendo contenuti che incitano all'odio. E' l'accusa del Jerusalem Center for Public Affairs, che ha pubblicato un rapporto rilanciato dal Jerusalem Post. "Facebook ha ospitato una piattaforma di politica antisemita, dove l'unico odio esplicitamente permesso e' quello contro gli ebrei", si legge nel rapporto, che lamenta "la riluttanza di Facebook ad attivarsi, se non sotto pressione da parte dei media". Lo scorso anno, il sito ha ricevuto diverse lamentele da parte del Jewish Internet Defense Force (Jidf), che chiedeva la rimozione di cinque gruppi creati da negazionisti. Alcuni dei loro titoli erano: 'Basandosi sui fatti, non c'e' stato alcun Olocausto', 'Olocausto: una serie di menzogne' e 'L'Olocausto e' una leggenda'.

(Adnkronos, 28 agosto 2009)

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Migliaia di musulmani a Gerusalemme per il Ramadan

Checkpoint aperti e l'ordine ai militari di "massimo rispetto"

Centinaia di palestinesi formano file ai check point di Gerusalemme. La scena è visibile soprattutto al Qanladia checkpoint, all'interno della città, principale punto di accesso per la folla di pellegrini diretti alle moschee di Al Aqsa e della cupola d'oro per le preghiere di celebrazione del Ramadan. Le due moschee sono situate sulla spianata del tempio (Al Haram Al Sharif per i mussulmani) terzo luogo sacro dell'Islam dopo la Mecca e Medina e primo del giudaismo. Solitamente l'accesso è proibito ai palestinesi ma in occasione del Ramadan gli ingressi sono lasciati liberi e ai militari di guardia è stato ordinato di "non bere o mangiare in pubblico" così da mostrare il massimo rispetto.

(PeaceReporter, 28 agosto 2009)

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Trani ebraica

Giornata europea della cultura ebraica 2009

"Trani ebraica" è un contenitore artistico, culturale, musicale e sociale per la Giornata Europea della Cultura Ebraica 2009 che si svolgerà domenica 6 settembre 2009 (17 Elul 5769 del calendario ebraico) in 30 nazioni europee e che in Italia avrà Trani quale città capofila.
Trani città capofila: è questo un importante riconoscimento alla presenza ebraica del Meridione e costituisce un appuntamento di alto spessore culturale e mediatico dell'Ebraismo nel Mezzogiorno. Il ritorno degli Ebrei a Trani dopo 500 anni è un avvenimento di enorme portata sociale, a prescindere dal suo significato religioso; da Sannicandro Garganico a Trani sino a Oria e Otranto, la Puglia ha sempre avuto una spina dorsale ebraica.
Francesco Lotoro pianista, responsabile culturale della Sezione ebraica di Trani e della Giornata Europea della Cultura Ebraica 2009: «Trani è stata culla dell'Ebraismo europeo dal sec. IX al sec. XVI e.v., sede di quattro Sinagoghe e di una enorme attività di studio e approfondimento del pensiero religioso ebraico; da Trani la Diaspora ebraica si è propagata presso l'intero continente europeo. Nel Medioevo la presenza di una consistente colonia ebraica concentrata nella Giudecca tranese favorì lo sviluppo dell'economia tranese, l'Imperatore Federico II di Svevia cedette agli Ebrei della città il monopolio della lavorazione e rivendita della seta grezza in tutto il Meridione. A Trani operarono grandi Maestri biblisti e talmudisti quali Isaiah ben Malì il Vecchio (nato nel 1180 a Trani) e suo nipote Isaiah il Giovane; i loro commentari sono ancor oggi oggetto di studio nelle più rinomate yeshivot, le loro responsa sono di forte attualità.
La comunità ebraica tranese divenne altresì punto di riferimento dell'attività commerciale e politica sotto il dominio Angioino e godeva della più vasta stima e riconoscenza, a dispetto di una legislazione sempre meno permissiva e tollerante verso gli Ebrei dell'Italia meridionale. Il declino della comunità ebraica tranese, conseguentemente ai decreti di espulsione emanati dal Regno di Napoli, alle conversioni coatte incoraggiate dalla Chiesa e al dilagante Marranesimo non hanno minimamente inficiato il focolare ebraico che oggi ha ripreso vigore in Trani.
Gli Ebrei sono tornati in questa città 463 anni dopo la cacciata, ripristinando culto e vita ebraica presso la Sinagoga Scolanova, la più antica oggi funzionante in Europa. La rinascita ebraica di Trani, oggi Sezione della Comunità di Napoli, è tra le più affascinanti realtà del Mediterraneo; ebraicamente parlando, essa è il punto di riferimento per tutti gli Ebrei della regione. Lo spirito con il quale è rinato l'Ebraismo a Trani è quello di promuovere il pensiero ebraico, l'osservanza dei precetti e l'insegnamento degli stessi ai giovani ebrei della comunità, i valori di convivenza e dialogo con istituzioni e componenti sociali, culturali e religiose del territorio. Ci sentiamo di dire che Trani ebraica è una conquista dell'Ebraismo italiano.
In qualità di responsabile culturale della Sezione di Trani, ho sviluppato la progettualità di Trani ebraica tenendo conto della particolare vocazione urbanistica, storica e culturale della Trani ebraica tardo-medioevale e rinascimentale. Lo scopo di Trani ebraica, faro dell'Ebraismo in tutta la Puglia è quello di riportare in vita atmosfere e sensazioni dell'intelletto e dello spirito condivise dalla fiorente popolazione ebraica tranese nel suo periodo di massimo fulgore ma altresì di promuovere fortemente i valori e le risorse ebraiche nell'attualità del Mezzogiorno d'Italia. La vita ebraica a Trani e nel territorio è una enorme risorsa anche per i non Ebrei, che sono la maggioranza; essa è portatrice di cultura, storia, valori dello spirito ed è fattore di crescita sociale».


Da venerdi 4 settembre (tramonto) a sabato 5 settembre (tramonto) - Sinagoga Scolanova - Yom ha-Shabbath

Sabato 5 settembre ore 21.00 - Piazzale Scolanova
La luna oltre il Neghev. Proiezione di un film israeliano con sottotitoli in lingua italiana

Sabato 5 settembre ore 21.00 - Centro storico di Trani
Alègrate, o Judios y las Naciones - Annuncio della Giornata con araldi, musici e maestranze in costumi d'epoca

Domenica 6 settembre ore 9.30 - Quartiere ebraico di Trani, scalinata di Scolanova
Alègrate, o Judios y las Naciones - Annuncio della Giornata con araldi, musici e maestranze in costumi d'epoca

Domenica 6 settembre ore 10.30 - Lato ovest di piazzale Scolanova
Chi è rimasto a bottega? Stand di editoria, artigianato e gastronomia ebraica, infopoint

Domenica 6 settembre ore 10.30 - Lato est di piazzale Scolanova
Il ritorno del Mabit-1a parte - Ebraismo, ebraicità, identità ebraica; la vita dell'Ebreo

Domenica 6 settembre ore 11.30 - lato nord di piazzale Scolanova
Inaugurazione ufficiale della Giornata

Domenica 6 settembre ore 12.30 - Ex Sinagoga Scolagrande (via La Giudea)
Presentazione sezione ebraica del Museo diocesano

Domenica 6 settembre ore 13.30, via Sinagoga e lato sud di piazzale Scolanova
Beteavon! - Pranzo e buffet di cucina kasher pugliese

Domenica 6 settembre ore 16.30 - Lato est di piazzale Scolanova
Il ritorno del Mabit-2a parte - Ebraismo, ebraicità, identità ebraica; le feste degli Ebrei

Domenica 6 settembre ore 17.30 - 19.30 - Lato nord di piazzale Scolanova
Sefer, due conferenze su storia, pensiero e attualità ebraica in Puglia

Domenica 6 settembre ore 20.00 - 21.00, quartiere ebraico di Trani
"Trani es una ciudad muy hermosa y judía…" Musiche del '500 pugliese eseguite da musicisti con costumi e strumenti dell'epoca

(TraniWeb, 28 agosto 2009)

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Il Libano restituisce un israeliano

Hezbollah: era fuggito da un manicomio

TEL AVIV, 28 ago - E' stato riconsegnato la scorsa notte ad Israele un cittadino israeliano che era entrato, per ragioni ignote, nel Libano meridionale. Lo ha riferito un portavoce militare israeliano che ha anche espresso riconoscenza per la ''efficienza e la determinazione'' mostrate dall'Unifil (la forza di osservatori delle Nazioni Unite) e dall'esercito nazionale libanese. Il partito Hezbollah ha affermato che Igor Kagan, 30 anni, proveniva ''da un manicomio israeliano''.

(ANSA, 28 agosto 2009)

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Israele, sondaggio: popolarità di Obama in costante discesa

ROMA, 28 ago - È sempre molto bassa la popolarità del presidente Usa Barack Obama presso la popolazione ebraica di Israele. Un nuovo sondaggio condotto da Smith Research per conto del Jerusalem Post rivela che sono solo 4 su 100 gli ebrei israeliani che giudicano come favorevole a Israele la politica del capo della Casa Bianca. Il 51 per cento del campione considera l'amministrazione Usa più filo-palestinese, il 35 per cento "neutra" mentre 10 intervistati su 100 hanno preferito non rispondere. Il confronto con i sondaggi precedenti rafforza l'andamento negativo della popolarità del presidente Usa. Il 31 per cento dello stesso segmento di popolazione apprezzava Obama a inizio maggio. Un dato non esaltante rispetto all'88 per cento dell'ultima rilevazione sotto l'amministrazione Bush e che aveva spinto Obama e Netanyahu a lavorare per rinsaldare il sentimento di reciproca amicizia presso i propri elettori.
La discesa tuttavia è stata costante anche se, concede il Jpost, l'ultimo sondaggio è stato effettuato prima che si diffondesse la notizia secondo cui il presidente Obama sarebbe disposto a rilanciare il negoziato di pace israelo-palestinese in presenza di un congelamento parziale degli insediamenti. E cioè limitato alle abitazioni private in Cisgiordania, senza che lo stop interessi l'area di Gerusalemme est né le scuole o gli ospedali in tutti i Territori occupati. Rilevante anche il dato secondo il quale sono i 41 su 100 gli israeliani ebrei favorevoli al congelamento degli insediamenti quale mezzo per arrivare a un accordo con i palestinesi. Un dato complessivo in linea con la spaccatura che divide i due schieramenti politici: sono infatti contrari 73 elettori del Likud su 100, favorevoli 66 elettori della formazione centrista Kadima. L'ultima rilevazione è stata effettuata su un campione di 500 intervistati e ha un margine di errore di 4,5 punti percentuali.

(il Velino, 28 agosto 2009)

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Shoah: Rabbino Richetti, Edith Stein figura problematica per gli ebrei

CITTA' DEL VATICANO, 10 ago. (Adnkronos) - ''Sembra dalle parole del Papa che il nazismo nasca dal nulla, e non dal precedente antisemitismo perpetrato per secoli anche dalla Chiesa, cosi' come era stato riconosciuto dal suo predecessore e da lui stesso a quell'epoca''. E' quanto ha detto all'ADNKRONOS il rabbino capo di Venezia, Elia Richetti, commentando le parole pronunciate ieri all'Angelus dal Papa sul tema dei lager, del nazismo e sul nesso di questi con le correnti del nichilismo e dell'ateismo del nostro tempo. In quanto alle citazioni di diverse figure di santi che hanno trovato la morte ad Auschwitz compiuta ieri da Benedetto XVI, il rabbino Richetti ha osservato: ''Quella di Massimiliano Kolbe e' una figura magnifica, la figura di Edith Stein e' invece piu' problematica in quanto non viene uccisa perche' convertita al cristianesimo ma perche' ebrea. D'altro canto, dal punto di vista ebraico, con la sua conversione al cristianesimo non e' che la Stein abbia dato prova di particolare attaccamento al suo popolo''.
In riferimento invece al nesso stabilito dal Papa fra nichilismo, ateismo e nazismo, questo collegamento, secondo il rabbino Elia Richetti, se in parte puo' essere vero, e' pero' ''un'equazione troppo facile. Non e' affatto detto che ateismo significhi nazismo, mentre e' vero che il nazismo e' negazione di Dio''. Non e' quindi condivisibile un'eccessiva ''decontestualizzazione della realta' storica'', in questo modo ''si perde il senso del reale, di cio' che e' avvenuto''; allo stesso tempo l'odio contro l'uomo e' ''anche metatemporale'', sotto questo punto di vista il Papa ha una parte di ragione. Su un piano generale in ogni caso, afferma ancora il rabbino, se e' vero che ''correttamente il Papa parla del nazismo come di un esempio dell'odio contro l'uomo, con un eccesso di generalizzazione si rischia di comprendere sotto uno stesso ambito fenomeni che sono riconducibili ad altri problemi''.
Ancora, afferma il rabbino, il fatto che il Papa sia tedesco non puo' essere motivo di giudizio critico rispetto al suo pensiero circa l'Olocausto, e' vero piuttosto che Benedetto XVI ''ha sempre separato la responsabilita' fra nazismo e popolo tedesco, mentre sappiamo che il consenso al nazismo e' stato plebiscitario. Anzi i nazisti sono saliti al potere in modo democratico con una forte base di consenso acritico ivi compreso l'odio verso gli ebrei''. D'altro canto, secondo Richetti, la questione e' estremamente complessa sotto il profilo storico e religioso: ''ci sono stati religiosi cristiani che hanno chiesto il permesso di comandare plotoni di esecuzione, e sacerdoti cattolici e luterani, anche in Germania, che si sono esposti fino al martirio per salvare degli ebrei''.

(Libero-news.it, 28 agosto 2009)

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Verso Sud”: primo Festival della cultura ebraica in Puglia

BARI, 28 ago. “Negba - Verso il Mezzogiorno” e' il titolo del primo Festival della cultura ebraica in Puglia. In ebraico biblico negba significa verso Sud, quindi in direzione di Gerusalemme, ma anche verso il Mezzogiorno d'Italia, i suoi territori e le sue comunita', in un cammino di conoscenza, riscoperta e valorizzazione. L'evento, che prendera' il via la sera del 6 settembre a Trani, citta' capofila della decima edizione della Giornata Europea della Cultura ebraica, e' promosso dall'Unione Comunita' Ebraiche Italiane (Ucei) e dalla Regione Puglia - Assessorato al Mediterraneo con la collaborazione e il sostegno di 7 Amministrazioni comunali: Andria, Bari, Lecce, Oria, Otranto, San Nicandro Garganico e Trani. L'annuncio ufficiale dell'evento sara' dato nel corso della conferenza stampa del 2 settembre a Bari, presso la Presidenza della Regione Puglia (ore 11.00 - via N. Sauro, 33).
A presentarlo, il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, Silvia Godelli, assessore al Mediterraneo, Magda Terrevoli, assessore al Turismo, il rabbino Roberto Della Rocca, tra i curatori del programma culturale, Victor Magiar, supervisore del progetto e assessore alla Cultura Ucei, e Renzo Gattegna, presidente Ucei. Alla conferenza stampa interverranno anche il presidente della Comunita' Ebraica di Napoli, Pierluigi Campagnano e sindaci e assessori dei Comuni coinvolti (Michele Emiliano, sindaco di Bari; Vincenzo Zaccaro, sindaco di Andria; Luciano Cariddi, sindaco di Otranto; Costantino Squeo, sindaco di San Nicandro Garganico con Riccardo Tricarico, assessore alla Cultura; Antonio Lovato, assessore alla Cultura di Trani e Glauco Caniglia, delegato del sindaco di Oria per la valorizzazione della presenza ebraica).

(AGI, 28 agosto 2009)

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"Gerusalemme è sempre stata araba e islamica"

Tayseer Rajab Tamimi
Il capo magistrato islamico dell'Autorità Palestinese, lo sceicco Tayseer Rajab Tamimi, ha ribadito mercoledì che - a suo dire - non esiste nessuna prova a sostegno della tesi secondo cui gli ebrei sarebbero vissuti in passato a Gerusalemme, né che vi sia mai esistito un Tempio ebraico (lo stesso, per inciso, di cui parlano i Vangeli).
Tamimi sostiene che anche gli archeologi israeliani avrebbero "ammesso" che Gerusalemme non è mai stata abitata da ebrei.
Tamimi, che ricopre la più alta carica religiosa dell'Autorità Palestinese, ha fatto queste affermazioni - ampiamente riprese dalla stampa araba - in risposta alle dichiarazioni rilasciate all'inizio della settimana dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu secondo il quale Gerusalemme non può essere considerata "un insediamento" giacché sono gli ebrei che "l'hanno edificata tremila anni fa".
"Le affermazioni di Netanyahu sono senza fondamento - dice Tamimi - Gerusalemme è ed sempre stata una città araba e islamica". Tamimi sostiene che tutti gli scavi archeologici condotti da Israele dopo il 1967 "non sono riusciti a dimostrare una storia o una presenza degli ebrei a Gerusalemme né che il loro presunto tempio sia mai esistito".
Il leader religioso palestinese denuncia come bugiardi Netanyahu e "tutti i rabbini e le organizzazioni estremiste ebraiche" per la loro affermazione che Gerusalemme in passato fosse una città ebraica, e accusa Israele di distorcere i fatti e di falsificare la storia "con l'intento di cancellare il carattere arabo e islamico di Gerusalemme".
Tamimi accusa inoltre Israele di aver lanciato una campagna di "pulizia etnica" per cacciare gli arabi dalla città. "Profanando i suoi luoghi sacri, espellendo i suoi abitanti arabi e demolendo le loro case e confiscando le loro terre e i loro edifici a Gerusalemme - ha detto - Israele cerca, con l'uso delle armi, di trasformarla in una città ebraica, e questa è una flagrante violazione di tutti i valori religiosi, legali, morali e umani".
[Per la cronaca, nei quarant'anni successivi alla riunificazione del 1967 la percentuale della popolazione ebraica in tutta la città di Gerusalemme è scesa dal 74 al 66% mentre, nello stesso periodo, la percentuale della popolazione araba è cresciuta dal 28 al 34%.]

(Jerusalem Post - da israele.net, 27 agosto 2009)

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Israele - Palestina, colpi di mortaio su Kibbutz

Almeno 220 colpi di mortaio su Israele dalla fine dell'operazione piombo fuso

Nahal Oz
Una forte deflagrazione causata da un colpo di mortaio sparato dal territorio palestinese ha squarciato la calma della mattina nel kibbutz israeliano di Nahal Oz, zona nord occidentale del deserto del Negev.
Fortunatamente le autorità locali fanno sapere che l'ordigno non ha causato vittime ma solo piccoli danni materiali. Dal 18 gennaio scorso data in cui è terminata l'operazione piombo fuso da parte dell'esercito israeliano, da Gaza sarebbero stati sparati almeno 220 colpi di mortaio verso Israele.

(PeaceReporter, 27 agosto 2009)

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Israele, le teorie del sangue dello svedese 'Aftonblanet'

di Elena Lattes

La settimana scorsa un giornale svedese, l'Aftonbladet, considerato tra i più venduti del Paese, pubblicava un articolo in cui si riportava la testimonianza di una famiglia palestinese secondo la quale l'esercito israeliano avrebbe ucciso alcuni palestinesi per prelevarne gli organi e destinarli ai trapianti o addirittura al traffico internazionale clandestino.
Immediatamente la presunta notizia ha fatto il giro del mondo e si è gonfiata a dismisura col passare dei giorni.Così, per esempio, è successo che una semplice (presunta, poi vedremo perché) testimonianza di qualche palestinese venga descritta come un "reportage" dalla nostra agenzia di stampa nazionale, Ansa, una delle fonti principali dei nostri mass media e considerata tra le più autorevoli nel nostro Paese.
Al contrario le legittime proteste da parte del governo israeliano vengono descritte da importanti editoriali nel mondo arabo, come una manifestazione di isteria e il segno di un'incapacità di accettare le critiche o, come è successo per un quotidiano egiziano, l'al-Ahram, che accusa Israele di "usare il ricatto contro la stabile libertà di parola nell'Occidente, attaccando un Paese come la Svezia che ha una storica neutralità nel conflitto arabo-israeliano". Quanto meno bizzarro che considerazioni simili vengano da un Paese che non ha libere elezioni, che incarcera e tortura blogger dissidenti e nel quale i giornali sono tutti controllati dal governo.
Il tutto per una colossale bufala che ha tanto il sapore delle false accuse di sangue che la Chiesa imputava fino a poco più di cento anni fa agli ebrei e che poi sfociarono nel libercolo zarista dei "protocolli dei Savi di Sion", usato successivamente anche da nazisti e stalinisti.
Innanzi tutto è quanto meno curioso che venga denunciato ora un presunto evento relativo a 17 anni fa, durante la cosiddetta "prima intifada".
Chi l'ha confezionata (ma anche chi l'ha diffusa), inoltre, non sa evidentemente che, come ha affermato anche un medico palestinese, il dottor Mazen Arafah, per essere impiantati gli organi non possono provenire da cadaveri, ma devono essere prelevati quando il donatore è ancora in vita, anche se mantenuto in tale stato dalle macchine. Altrimenti gli organi vanno congelati e usati il più velocemente possibile per il quasi immediato deperimento.
Nei giorni scorsi, inoltre, sono arrivate le smentite ufficiali, prima dal direttore dell'Aftonbladet e poi dalla famiglia palestinese citata come testimone principale. Il primo, infatti, ha ammesso che non ci sono prove riguardo queste accuse, mentre la famiglia di Bilal Ahmed Ghanem, (il giovane terrorista di Fatah ucciso dagli israeliani nel corso di uno scontro a fuoco, dal quale l'esercito avrebbe prelevato gli organi) ha smentito quanto dichiarato dal giornalista svedese.
Il Jerusalem Post paragona questa "notizia" ad alcune assurdità date da diversi quotidiani nel mondo: il Sun, per esempio, rivelava che gli alieni dallo spazio stanno per invadere le isole britanniche o il Weekly World News riportava la scoperta della sepoltura segreta dello Yeti. Tuttavia queste "notizie" non hanno fatto il giro del mondo e tanto meno sono state riferite come seri "reportage" dalle agenzie di stampa.
Lo stesso articolo del Jerusalem Post, suggerisce, in maniera ironica, quindi, il legame che potrebbe esserci tra vari resoconti di esperimenti sessuali fatti dagli alieni sui terrestri e la misteriosa scomparsa di organi palestinesi, concludendo con il dubbio che il quotidiano svedese si ritenga troppo serio per seguire questa linea di indagine.
Non rimane che chiedersi, perché basta una qualunque diceria su presunte malefatte israeliane su i palestinesi, perché venga data per notizia certa? Perché se Israele, giustamente protesta, come farebbe qualunque diffamato o ingiuriato, lo si definisce subito permaloso ed esente da ogni critica?
Se è vero che la libertà di parola è sacrosanta, ciò non significa la libertà di non essere criticati e se i giornali hanno il diritto di pubblicare qualunque cosa desiderino, si presuppone che un quotidiano serio ha la responsabilità verso i propri lettori di fornire notizie verificate e il più accurate possibile.
Dove si vuole arrivare con questa rivisitazione di vecchie accuse che hanno fatto da base a numerosissime e sanguinosissime persecuzioni?

(Agenzia Radicale, 27 agosto 2009)

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Al Museo ebraico di Trieste, una mostra sugli albanesi musulmani

TRIESTE - "Perché mio padre salvò un estraneo a rischio della sua vita e dell'intero villaggio? Mio padre era un musulmano devoto: credeva che salvare una vita significa entrare in paradiso". L'estraneo che il padre di Enver Pashkaj riuscì a mettere in salvo era un ebreo di nome Yehoshua Baruchowic, un signore oggi in età che fa il dentista in Messico.
Siamo a Puke, paesino sulle montagne albanesi, negli anni della seconda guerra mondiale quando Ali Sheker Pashqaj, proprietario dell'unico emporio della zona, s'impietosisce per la sorte di quel giovane prigioniero trasportato a morte certa da un convoglio nazista. Con una prontezza di spirito stupefacente offre da bere ai guardiani finché sono ubriachi e intanto ordisce la fuga di Yehoshua nel bosco. Una volta scoperto, rifiuta di confessare ("quattro volte gli misero la pistola alla tempia. Tornarono a minacciarono di mettere a fuoco il villaggio se mio padre non avesse confessato"). E quando i nazisti se ne vanno recupera il ragazzo e se lo nasconde in casa sino alla fine della guerra....

(Notiziario Ucei, 27 agosto 2009)

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I missili per Teheran e il Mossad. L'ultimo mistero della Arctic Sea

Secondo fonti russe, la nave dirottata trasportava armi per l'Iran: con un'azione «corsara» gli israeliani hanno provato a impedire la consegna

WASHINGTON — La misteriosa Arctic Sea è come la balena delle favole: nella sua pancia puoi trovare di tutto. Le autorità russe, dopo tante smentite, hanno affermato che il carico della nave «dirottata» in agosto poteva essere costituito «non solo dal legno finlandese» destinato all'Algeria. E dunque, ha aggiunto il capo della Commissione d'inchiesta Alexander Bastrykin, andremo fino in fondo per capire cosa sia realmente accaduto sulla nave sparita in Atlantico e ritrovata a metà d'agosto alle isole Capo Verde. «Entro dieci giorni avremo una risposta», assicurano gli inquirenti. Un tempo necessario per torchiare gli improbabili pirati e l'equipaggio. Quindi per esaminare a fondo la nave, una volta che sarà arrivata a Novorossiisk, sul Mar Nero. Infine per confezionare una verità accettabile. L'impressione è che non solo il cargo ma anche il Cremlino abbia qualcosa da nascondere. E, anche alla luce delle dichiarazioni di Bastrykin, l'ipotesi del «carico segreto» non è più una semplice speculazione....

(Corriere della Sera, 27 agosto 2009)

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Procida, la corrente elettrica e i fratelli ebrei Shiffer

Un generatore di due milioni di watt è stato installato vicino alla centrale dell'ENEL, in località "Grotte", a Marina Grande, per far fronte alle difficoltà che Procida vive per la penuria di energia elettrica fornita dagli impianti del continente, in seguito ai noti guasti delle ultime settimane. Il generatore è stato sistemato nello spiazzo denominato "Largo Shiffer". Un nome - e qui sembra che la storia voglia prendersi una rivincita - che ricorda una vicenda accaduta il 10 giugno 1940. Quando il Duce sta annunciando alla radio la dichiarazione di guerra alla Francia e all'Inghilterra. Ricordano gli storici che in giro c'era un silenzio assoluto, non si sentiva nemmeno il rumore della risacca. Le parole del Duce squillavano come lame e si diffondevano sul porto, secche e veloci con la finale prolungata: "Italianiiii, in questo momentoooo…>. In quel momento, sul più bello, il Duce perde la voce, il discorso è troncato. La radio smette di parlare perché viene a mancare la corrente elettrica. Esplode la piazza:grida, insulti, bestemmie. La gente impazzita corre verso la spiaggia delle Grotte ove è situata la Centrale Elettrica Gasparini, ove lavorano Giuseppe e Alessandro Shiffer, due ebrei ungheresi, fino allora tollerati ed accettati. < Sono loro i colpevoli, gli Ebrei hanno boicottato il Duce!>. Il buon Giuseppe Shiffer che sta affannosamente cercando di far ripartire quella bestia della vecchia macchina che non ne vuol sapere, viene prelevato di forza e condotto al palazzo del Fascio ove è costretto ad ingurgitare mezzo litro di olio di ricino. Ma non è finita. Dopo alcuni giorni, per i fratelli Shiffer arriva il decreto di espulsione dall'isola: Alessandro sarà deportato e muore ad Auschwitz.
Dopo 69 anni, proprio da Largo Shiffer , ritornerà, potenziata, la corrente elettrica nell'isola.

(Blogolandia, 26 agosto 2009)

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"Ecco i piani per Auschwitz", dono di Merkel a Netanyahu

di Andrea Tarquini

La villa sul lago Wannsee
BERLINO - La prova inconfutabile e definitiva che l'Olocausto è avvenuto davvero, e che i negazionisti mentono, sarà consegnata domani dal governo federale-tedesco al premier israeliano, Benyamin Netanyahu, che dopo Londra è atteso a Berlino. Bibi Netanyahu riceverà dai leader tedeschi e dall'editoriale Springer, che li aveva acquistati, dei documenti ritrovati l'anno scorso a Berlino: sono i piani di costruzione di Auschwitz, il più grande e temuto dei campi di sterminio costruiti dal Terzo Reich per sterminare il popolo ebraico. Nel frattempo, nei suoi colloqui a Londra con il primo ministro britannico, Gordon Brown, Netanyahu si è detto deciso a proseguire e rilanciare il processo di pace in Medio Oriente con l'appoggio degli Stati Uniti, ma soprattutto ha auspicato di trovare finalmente nei palestinesi dei partner coraggiosi . Secondo il premier israeliano, uno Stato palestinese potrà esistere, «ma dovrà essere smilitarizzato e riconoscere pienamente lo Stato d'Israele». Ai leader britannici, e in generale ai governanti occidentali, che gli chiedono il blocco degli insediamenti dei coloni ebraici, ha risposto con dei netti distinguo, A cominciare da Gerusalemme, «che non è un insediamento, è la nostra capitale, che costruiamo da tremila anni». A Berlino il premier israeliano incontrerà la Cancelliera Angela Merkel, poi visiterà la villa sul lago Wannsee, a sud ovest della capitale tedesca, dove nel gennaio 1942 i massimi gerarchi della tirannide nazista si riunirono per studiare e pianificare la Soluzione finale, l'Olocausto, l'annientamento del popolo ebraico. In questo senso, i documenti che verranno consegnati dalla Germania a Netanyahu, e che sono destinati allo Yad Vashem, il memoriale dell'Olocausto, «sono unici, di un'importanza storica straordinaria», ha affermato il direttore dell'Archivio storico federale tedesco, Hans-Dieter Kreikamp. I piani di costruzione di Auschwitz precisi e dettagliati, dimenticati per decenni, sono stati ritrovati l'anno scorso a Berlino e acquistati dal gruppo editoriale conservatore Springer.

(la Repubblica, 26 agosto 2009)

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Il Maccabi Haifa travolge il Salisburgo

di Rossella Tercatin

Il Maccabi Haifa scrive un'altra pagina nella storia del calcio, e non solo di quello israeliano.
Superando i campioni d'Austria dell'FC Salzburg per 3-0, allo stadio Nazionale di Ramat Gan, la formazione israeliana conquista la seconda qualificazione della sua storia alla fase a gironi della Uefa Champions League, dopo quella della stagione 2002-2003.
Forti del risultato del match di andata, che li aveva visti passare a Salisburgo per 2-1, ma allo stesso tempo memori di numerose beffe subite in passato, quando pur avendo ottenuto risultati positivi fuori casa, si erano lasciati sfuggire la qualificazione con performance non all'altezza nelle partite di ritorno, i campioni d'Israele hanno giocato all'assalto, costruendo moltissime occasioni, fino a raggiungere la meritata vittoria.
A sottolineare l'importanza di questa partita, erano i 30 mila sostenitori della squadra giunti allo stadio di Ramat Gan, l'unico in Israele abilitato dalla Uefa per disputare i match di Champions League. Un'autentica onda verde, il colore del Maccabi Haifa, composta da famiglie, giovani, ebrei ortodossi, arabi, che non ha smesso un attimo di sostenerlo al grido di Alè, alè, Yarok Oleh, ("Alè, alè, Verde Avanti").
Sin dall'inizio, il Maccabi ha fatto la parte del leone, con alcune nettissime occasioni da gol, sciupate clamorosamente davanti a Gustafsson, il portiere del Salzburg.
Il goal del vantaggio dei padroni di casa arriva al 31o del primo tempo, con la rete dell'attaccante georgiano Dvalishvili, classe 1986, su assist del difensore ventottenne Yaniv Katan.
Il Salzburg prova a reagire, ma il Maccabi Haifa non si fa intimorire, e anzi, continua ad attaccare ottenendo anche un calcio d'angolo e alcune punizioni prima dell'intervallo.
Al 55o della ripresa l'allenatore del Salzburg Stevens tenta di dare alla sua squadra un assetto più aggressivo con due sostituzioni, ma non ottiene il risultato sperato. Anzi il Maccabi passa di nuovo al 57o , con goal del giovassimo Eyal Golasa, diciotto anni il prossimo ottobre.

(Notiziario Ucei, 26 agosto 2009)

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Stati Uniti, troppi fedeli per il Ramadan: si prega anche in una sinagoga

Negli Stati Uniti la crescita costante della popolazione musulmana si scontra con la mancanza di luoghi di culto. Per questo, sale da ballo, ma anche sinagoghe, nel mese del Ramadan vengono trasformate in moschee. "Come accade ai cristiani per la Pasqua o il Natale e agli ebrei per la festa di Hannuka - spiega al quotidiano 'Washington Post' l'imam Johari albul Malik- noi abbiamo i cosiddetti musulmani di Ramadan". Si tratta di "credenti generalmente non praticanti che affollano le moschee solo in questo periodo dell'anno". "Non so se il profeta Isaia - ha affermato il rabbino Robert Nosanchuk - avrebbe mai immaginato nella nostra sinagoga i fedeli islamici in preghiera per il Ramadan". La comunità ebraica - rende noto la Misna - fornisce ai musulmani una sala di preghiera nella sinagoga di Reston, nel nord Virginia. Quando sono troppi, i fedeli islamici pregano nel giardino sul retro del tempio ebraico. "Diciamo le nostre preghiere - ha spiegato Rizwan Jaka, della moschea di All Dulles - e poche ore dopo i fedeli della comunità ebraica si incontrano qui, nello stesso posto, per celebrare lo Sabbath". "Siamo molto grati per lo spazio che ci concedono". (A.L.)

(Radio Vaticana, 26 agosto 2009)

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I tassi d'Israele e il fiuto di Fischer

di Alessandro Merli

Stanley Fischer
Dal simposio dei banchieri centrali a Jackson Hole lo scorso fine settimana, i mercati finanziari hanno recepito un messaggio, sintetizzato dal governatore della Banca d'Israele, Stanley Fischer: la crescita sta cominciando a ripartire, ma è troppo presto per dichiarare la fine della crisi, anche se il peggio è passato e i segnali di crescita sono arrivati prima del previsto. Molto resta da fare per riportare in salute le banche e ci sono buone ragioni per temere una ripresa debole.
Gli interventi di Ben Bernanke e Jean-Claude Trichet, in linea con Fischer, sono stati letti dai mercati così: che i tassi d'interesse negli Usa e in Europa (oltre che in Gran Bretagna e Giappone) resteranno ai minimi storici ancora per qualche tempo, anche se le autorità monetarie stanno cominciando a pensare alle strategie d'uscita, in altre parole a come e quando alzare i tassi e mettere fine all'espansione della moneta attraverso acquisti di titoli.
Se non che, appena rimesso piede sul suolo d'Israele, Fischer ha decretato, il primo a farlo dopo la crisi, un immediato aumento dei tassi dello 0,25%, dopo che nelle scorse settimane aveva già interrotto l'espansione quantitativa della moneta e gli acquisti giornalieri di dollari sul mercato valutario. In mezzo, ci aveva piazzato due giorni di pesanti interventi per deprimere lo shekel, tanto per far capire ai mercati che lo stop al quantitative easing e agli acquisti di dollari non era un via libera incondizionato alla rivalutazione del cambio, evoluzione rischiosa in un paese dove l'export arriva al 40% del Pil.
L'apparente contraddizione fra le parole di Jackson Hole e i fatti di Tel Aviv è facilmente spiegabile con le diverse caratteristiche di una piccola economia aperta, come quella israeliana, e le maggiori aree monetarie, e con il diverso momento congiunturale: Israele, nella valutazione del suo governatore, vede già una ripresa più imminente e un'inflazione più alta di altri. La conclusione di molti osservatori di mercato è che, per quanto riguarda le grandi banche centrali, il messaggio di Jackson Hole vale più dell'esempio israeliano, che difficilmente avrà un seguito a Washington o Francoforte, Londra o Tokyo. Il che è quasi certamente vero nel breve periodo.
Fischer però non è un governatore qualsiasi: è il maestro di Bernanke, del numero due della Bce, Lucas Papademos, e del governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, ed è l'economista che ha dato sistematicità al pensiero sull'indipendenza delle banche centrali e l'inflation targeting. Dai suoi pari, è considerato un grande saggio: non a caso, a Jackson Hole, gli è stato riservata l'anno scorso la conclusione e quest'anno il discorso centrale.
Non ci sarà una corsa a imitarlo, ma le sue azioni di questi giorni costituiranno un paradigma per le mosse delle grandi banche centrali quando le rispettive economie daranno il segnale di imboccare la strategia d'uscita. Intanto, ai suoi discepoli Fischer avrà dato un'altra lezione: quando lo farete, occhio al cambio.

(Il Sole 24 Ore, 26 agosto 2009)

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Netanyahu: nessun accordo senza il riconoscimento dello stato ebraico

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha escluso il raggiungimento di un accordo con l'Autorità palestinese, a meno che i palestinesi non riconoscano lo stato ebraico.
L'ufficio di Netanyahu, in una dichiarazione ufficiale, ha così smentito quanto riportato ieri dal giornale ebraico Yedioth Ahronoth, secondo cui il premier, durante un incontro al chiuso con i rappresentanti dei media britannici, avrebbe affermato che è improbabile che si raggiunga un accordo con i palestinesi "anche se Israele dovesse ritirarsi da tutte le zone". Le parole di Netanyahu, secondo il suo ufficio, avrebbero invece indicato che "il nocciolo del conflitto nella regione è il rifiuto dei palestinesi a riconoscere Israele come stato nazionale degli ebrei", sottolineando che "fintanto che i palestinesi non lo faranno non sarà possibile raggiungere una soluzione pacifica".

(Infopal, 26 agosto 2009)


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I muri nel mondo

Sono numerosissimi i Paesi che ergono muri alle loro frontiere. Spesso lo fanno per evitare migrazioni massiccie, altre volte per separare popolazioni in lotta fra loro. Solo uno Stato, però, viene...



Video prodotto da Marcello Hassan, Barbara Mella ed Elena Lattes.

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Israele. Anche la musica fa politica

di Simone Di Segni

"Vorrei dire tutto ciò che c'è da dire in una sola parola. Odio quanto possa succedere tra l'inizio e la fine di una frase", scriveva Leonard Cohen nel "Gioco preferito". Odierà, probabilmente, anche tutto ciò che è successo tra l'annuncio del suo concerto a Ramallh all'amaro epilogo: doveva portare in musica il suo messaggio di pace, gli è stato imposto un silenzio stridente. Il concerto dell'artista canadese a Ramallah è stato annullato. Il Comitato di Boicottaggio palestinese ha avuto ragione sui buoni propositi degli organizzatori. L'ente che opera contro qualunque tipo di "normalizzazione" dei rapporti tra israeliani e palestinesi ha reputato inaccettabile che Cohen si esibisse nella località araba il 26 settembre, due giorni dopo il concerto di Tel Aviv.
Il cantante-poeta canadese aveva anche deciso di destinare il ricavato dello spettacolo ad associazioni impegnate nei rapporti tra i due popoli. Ma non è bastato. A Cohen, il Comitato di Boicottaggio ha imputato di non essere "fedele ai suoi principi umanitari". Un colpo, per gli oltre mille fan palestinesi. Un colpo, soprattutto alla democrazia. Negli Stati Uniti, altri gruppi filo-palestinesi si stanno muovendo per bloccare il concerto in Israele. La preghiera è stata rivolta direttamente ad Amnesty International. Oggetto: boicottaggio culturale nei confronti dello stato ebraico. Pretesto: la partecipazione della Discount Bank, "profondamente coinvolta nelle attività di colonizzazione", all'organizzazione dello spettacolo.
Così, la musica non ha potuto fare la sua parte. Le polemiche non sono nuove, in realtà, attorno alle "note" di pace. Ne sa qualcosa il direttore d'orchestra Daniel Borenboin, argentino-israeliano, che più volte ha "prestato" la musica alla questione mediorientale. L'artista è stato duramente criticato dai suoi correligionari, per aver ricevuto il passaporto palestinese in occasione di un suo concerto in Cisgiordania. Un dirigente del partito ortodosso Shas, chiese addirittura la revoca della cittadinanza a Borenboin. Senza successo, però. Grazie al cielo. E grazie alla democrazia.

(La Rete On-Line, 26 agosto 2009)

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Una "toppa" per riparare il cuore spezzato

LONDRA, 25 ago. - Il cuore spezzato dall'infarto si puo' riparare. Con una vera e propria "toppa" di tessuto muscolare. E' la tecnica sviluppata da una equipe di scienziati israeliani che potrebbe rappresentare la nuova frontiera per il trattamento dell'infarto, soprattutto nei soggetti non anziani. La "toppa" e' stata realizzata con tessuto muscolare cardiaco e utilizzata per riparare la parte del cuore danneggiata dall'infarto. Come si legge sulla rivista Pnas, la tecnica ha permesso di rafforzare il cuore dei topi, su cui e' stato condotto l'esperimento, dopo l'infarto. E' la prima volta che un test dimostra che questi pezzi di tessuto ricuciti sull'organo danneggiato migliorano effettivamente la salute del cuore dopo i danni causati dall'infarto. Gli scienziati hanno misurato un aumento delle dimensioni del muscolo nelle aree danneggiate nonche' un miglioramento nella conduzione degli impulsi elettrici necessari al cuore per pompare normalmente. L'infarto causa di solito un danno irreversibile al muscolo cardiaco. Quando il paziente sopravvive, il fatto che il muscolo cardiaco sia danneggiato puo' portare a una grave patologia chiamata insufficienza cardiaca. La tecnica sviluppata dalla equipe israeliana guidata da Tal Dvir della Ben-Gurion University of the Negev a Beer-Sheva lascia sperare in un miglior trattamento dell'infarto nell'uomo che impedisca lo sviluppo dell'insufficienza cardiaca. La tecnica, assicurano gli scienziati, "e' semplice e sicura", anche se sconsigliata ai pazienti molto anziani, per i quali essere sottoposti a molteplici interventi chirurgici puo' rappresentare un ulteriore rischio.

(AGI, 25 agosto 2009)

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Netanyahu: nelle colonie non si può vivere senza nuove case

"Questo non significa accaparrarsi la terra"

ROMA, 25 ago. - Nessuno può aspettarsi che Israele lasci che i 250mila residenti nelle colonie in Cisgiordania vivano senza nuove scuole, asili o case per le loro famiglie. E' quanto ha detto oggi il premier israeliano Benjamin Netanyahu, parlando in conferenza stampa al termine del suo incontro a Londra con il collega britannico Gordon Brown. Lo riporta il sito web del Jerusalem Post. "Questo non significa accaparrarsi la terra", ha aggiunto Netanyahu. Per quanto riguarda la questione di Gerusalemme il premier israeliano ha invece ribadito che Israele non permetterà una limitazione della sua sovranità sulla Città Santa: "Gerusalemme non è un insediamento". Israele e Stati Uniti stanno cercando di accordarsi su una "formula provvisoria" che consenta il rilancio del processo di pace in Medio Oriente e garantisca allo stesso una situazione di normalità negli insediamenti in Cisgiordania, ha spiegato ancora Netanyahu, ricordando che Israele ha già compiuto una serie di passi in vista del rilancio del processo di pace: sono stati rimossi più di 140 posti di blocco e il suo governo ha riconosciuto esplicitamente il principio dei due Stati - israeliano e palestinese - coesistenti in pace come base di un futuro accordo. Netanyahu ha quindi esortato i palestinesi a compiere analoghi passi, riconoscendo ad esempio Israele come Stato degli ebrei. Brown dal canto suo ha definito Netanyahu "un leader coraggioso", e ha detto che la Gran Bretagna appoggia gli sforzi degli Stati Uniti per sbloccare il processo di pace.

(Apcom, 25 agosto 2009)

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Gaza: raid aereo israeliano contro tunnel per il contrabbando

L'aviazione israeliana ha portato nella notte un raid contro alcuni tunnel vicino a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza. La notizia è stata diffusa dai responsabili della sicurezza palestinesi. Nel confermare l'attacco, una fonte militare israeliana ha precisato che il raid è seguito a colpi di mortaio sparati in direzione di Israele e che hanno ferito un soldato. L'attacco aereo, il primo dal 10 agosto scorso, ha preso di mira i tunnel usati per il contrabbando di armi, carburante e medicinali tra Gaza e l'Egitto.

(L'Unione Sarda, 25 agosto 2009)

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Vicino un accordo per il rilascio di Shalit

Il governo israeliano sarebbe molto vicino a concludere un accordo con Hamas per il rilascio del militare Gilad Shalit, rapito nel giugno del 2006 dalle milizie palestinesi: e' quanto riporta il quotidiano israeliano Ha'aretz.
Finora il nodo del contendere era il numero dei detenuti palestinesi che lo Stato ebraico sarebbe stato disposto a rilasciare per ottenere in cambio la liberta' di Shalit, ma ora - secondo gli analisti - e' Hamas ad aver maggiore bisogno di un risultato politico in vista della crescente popolarita' del partito moderato di Al Fatah nell'opinione pubblica palestinese.
In base agli ultimi sondaggi infatti il partito del presidente dell'Anp Abu Mazen avrebbe 16 punti di vantaggio nei confronti della formazione radicale, per la quale il rilascio di centinaia di detenuti palestinesi costituirebbe quindi un successo anche propagandistico.

(RaiNews24, 25 agosto 2009)

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La Svezia si piega all'islam e guida il coro contro Israele

Le accuse di un giornale di Stoccolma: lo Stato ebraico uccide i palestinesi per estrarne gli organi. E a Gerusalemme i cittadini boicottano Volvo e Ikea

Israele è furiosa con la Svezia al punto che il suo primo ministro Benjamin Netanyahu e il suo ministro degli Esteri Avigdor Lieberman insistono duramente perché il governo di quel Paese si dissoci dal contenuto dell'articolo che descrive i soldati del loro esercito come interessati macellai. Perché non lasciano il giornale, come i critici suggeriscono, a cuocersi nel suo brodo di menzogne? Perché Israele è satura, con la bomba atomica iraniana dietro l'angolo e la jihad in tutto il mondo, sente che oltre a Gerusalemme, anche gli ebrei in Europa sono in pericolo, e dopo anni in cui ha sollevato innanzitutto dubbi su se stessa, ha capito che se non cambia registro l'incitamento e l'odio possono soffocarla.
Se chiedi in giro com'è Israele e buona parte degli europei, nelle università, alle cene, ti descriveranno un vulcano di violenza contro i poveri palestinesi innocenti, una sentina di crudeltà, in cui i soldati sparano ai bambini e il governo solleva muri razzisti di apartheid o fa guerre inutili per il gusto di uccidere. Adesso, dopo che l'Aftonbladet, giornale svedese che vende un milione e mezzo di copie su nove milioni di svedesi ha pubblicato lunedì scorso un paginone che sosteneva, senza ombra di prove, come ha ammesso il suo direttore, che i soldati d'Israele uccidono i giovani palestinesi per «raccoglierne» gli organi, una nuova teoria del sangue circolerà in Europa, e verrà ripetuta, e si diffonderà fra chi la vuole sentire: ciò che il governo israeliano cerca di combattere è l'idea che nel mondo si possa dire senza essere contraddetti con autorevolezza che l'esercito israeliano uccide allo scopo di strappare organi ai morti. Un'accusa che può suscitare ondate di violenza antiebraica. Anche i cittadini israeliani stessi non ne possono più di sentirsi dare di criminali di guerra e magari minacciare di arresto, come è capitato spesso, se vengono in visita in Europa dove li inseguono, a cura delle denunce delle Ong filopalestinesi, mandati di cattura internazionali. Alcune centinaia di persone, esasperate, hanno firmato per boicottare le ditte svedesi come la Volvo e l'Ikea, qui molto popolare.
Il giornalista (chiamiamolo così) Donald Brostom, che ha scritto l'articolo riporta solo voci e chiacchiere oltretutto riferite a 17 anni fa, e stabilisce una nuova bizzarra regola: spetta a Israele provare che non è vero. Secondo questo criterio spetterebbe a Israele provare che l'attentato delle Twin Towers non è stato un complotto sionista, che a Jenin non ci fu una strage, o che il bambino Mohammed Al Dura non fu ucciso dall'esercito israeliano, o che la "strage" di Kfar Khana in Libano fu orchestrata dagli Hezbollah, o che il buco sul tetto dell'ambulanza fotografato da tutto il mondo sempre durante la guerra del Libano non era stato causato da perfido missile ma procurato con la fiamma ossidrica. E anche che le sue soldatesse non si presentavano nude in battaglia per confondere i palestinesi, o che come disse Suha Arafat a Hillary Clinton, gli ebrei avvelenavano le acque, oppure che diffondono l'Aids col chewing gum, o che come disse Arafat stesso alla stupefatta platea di Davos, che distribuiscono giocattoli e cinture radioattive. Tutte queste balle e tante altre, dovrebbe essere Israele a smontarle, o un'opinione pubblica civile a dissociarsene?
Torniamo alla Svezia, che in questi mesi detiene la presidenza della Unione Europea: subito dopo la pubblicazione dell'articolo la sua ambasciatrice, Elisabet Borsin Bonnier ha avuto il buon senso di condannarne il contenuto; se il suo governo si fosse limitata a sostenerla, senza chiedere dimissioni o chiusure di giornali, le cose sarebbero andate lisce. Invece il primo ministro Fredrik Reinfeld ha preferito pontificare sulla liberta di stampa, e non ha trovato un secondo per dissociarsi dal contenuto del pezzo, senza ledere la libertà di opinione, che anzi egli avrebbe in quel caso esercitato. Anche il ministro degli Esteri Carl Bildt non ha aperto bocca e ha anzi sanzionato l'atteggiamento della sua ambasciatrice. Perché? Se qualcuno ha negli occhi le immagini dello stadio di Malmoe chiuso agli spettatori mentre vi si gioca la coppa Davis perché una delle squadre in lizza è israeliana, se si guarda poi al fatto che la maggioranza degli abitanti di Malmoe è di origine mediorientale e in generale islamica, se si considerano anche le immagini (reperibili facilmente su YouTube) della manifestazione superviolenta che ha rovesciato e distrutto veicoli della polizia di fronte allo stadio vuoto, contro la squadra israeliana... si comincia a capire.
Paura degli immigrati per cui l'odio antisraeliano è un pilastro identitario? O rispetto del diritto di opinione? Si direbbe di più la prima cosa se si considera che nel 2005 il governo svedese, benché la vicenda fosse danese, si scusò per le famose vignette che scherzavano su Maometto. Là non valeva la libertà di stampa. Si capisce ancora di più quando si ascoltano le risposte del giornalista Bostrom e del direttore del giornale Jan Helm che ripetono di essere non sospettabili di antisemitismo in quanto strenui difensori dei diritti umani. Questo è un punto fondamentale: il governo svedese è un grande finanziatore delle Ong che, supportate dall'Onu, supportano più che i diritti umani l'odio antisraeliano. Uno studio sistematico dell'Ong Monitor ha scoperto che le maggiori organizzazioni governative, come Drakonia, finanziano tutti quelli che accusano Israele di «genocidio», «pulizia etnica», «apartheid» e che paragonano Israele ai nazisti. Nessuno stupore che gli svedesi e come loro, in misura più o meno larga, tutti i Paesi che ricevono "studi", "ricerche", "rapporti" creino una base culturale che somiglia alle accuse con cui si suggeriva che gli ebrei usavano il sangue dei bambini nelle azzime di Pasqua. E con cui noi ci trasformiamo in confusi, pericolosi bevitori di menzogne.

(il Giornale, 25 agosto 2009)

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Netanyahu: No a pressioni Ue su costruzioni Gerusalemme

ROMA, 24 ago - Israele non accetterà pressioni europee per uno stop alle costruzioni di insediamenti nell'area di Gerusalemme. Lo ha rivelato al quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth un "funzionario che viaggia assieme al premier" impegnato in una nuova missione in Europa. Il primo ministro conservatore incontra oggi a Londra l'inviato speciale di Barack Obama per il Medio Oriente, George Mitchell, e il primo ministro britannico Gordon Brown. Giovedì Netanyahu sarà a Berlino per un faccia a faccia con la cancelleria tedesca Angela Merkel. L'esponente dello staff del primo ministro israeliano ha aggiunto che Netanyahu inviterà piuttosto i leader europei a esercitare pressioni su quelli iraniani affinché Teheran fermi il processo di proliferazione nucleare. La questione della minaccia nucleare iraniana sarà dunque la carta sulla quale punterà Netanyahu in particolare con Merkel, alla testa di un Paese, accanto all'Italia, tra i principali partner economici europei della Repubblica islamica. La bomba iraniana è stato uno dei temi, ha anche ricordato il funzionario, sollevato dal capo del governo in occasione di un recente colloquio con il presidente francese Nicolas Sarkozy. Al quale, scrive ancora Ynet, Netanyahu ha ricordato che prima di lanciare un nuovo negoziato di pace con i palestinesi "dobbiamo prenderci cura delle necessità dei coloni di Giudea e Samaria.

(il Velino, 24 agosto 2009)

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La Banca d'Israele alza i tassi. È la prima dall'inizio della crisi

di Mirca Mantero

È stata la Banca d'Israele il primo istituto centrale ad aumentare il costo del denaro dopo due anni di corsa forsennata al ribasso in tutto il mondo per fermare la crisi finanziaria e la recessione economica. La mossa era, almeno in parte attesa dai mercati, mentre é improbabile che a muoversi, almeno nel breve termine, siano le Banche centrali delle principali aree economiche al mondo - Usa, Giappone, Cina, Eurozona, Gran Bretagna. I banchieri centrali riuniti al vertice monetario di Jackson Hole, nel Wyoming, lo scorso fine settimana, si sono mostrati "cautamente" ottimisti sul futuro. Il messaggio uscito dalla riunione é stato che l'economia globale sta uscendo dalla recessione ma che non ci saranno strette sui tassi nel breve termine. A dare il la alla stretta monetaria é stata la Banca d'Israele con una decisione che non avrà valore politico vista l'economia 'a circuito chiuso' del Paese: l'Istituto centrale ha deciso di aumentare il tasso di interesse a breve di un quarto di punto allo 0,75%, il primo aumento dal luglio 2008. Il tasso era stato ridotto di 3,75 punti percentuali dallo scorso settembre a tutto maggio di quest'anno. Le attese preponderanti degli analisti erano, invece, di un mantenimento dei tassi ai livelli attuali in attesa di una crescita più sostenibile: il secondo trimestre per il pil israeliano si é chiuso a sorpresa con una crescita annualizzata dell'1% contro attese di un nuovo peggioramento, grazie al balzo del 20% della spesa pubblica, e il dato del primo trimestre é stato riveduto al rialzo da -3,7% a -3,2% (-1,7% nel primo semestre, l'unico periodo negativo per l'economia israeliana). Nel frattempo, l'inflazione in Israele si é portata in luglio all'1,1% mensile e al 3,5% annuo contro un target ufficiale dell'1-3%. "Dopo il dato sui prezzi di luglio - commenta Ori Greenfeld, economista di Clal Finance - ci sono state sicuramente molte pressioni sulla Banca centrale perché aumentasse i tassi già da questo mese" dopo averli mantenuti a un nuovo minimo storico per cinque mesi. Per Stanley Fischer, Governatore della Banca d'Israele, é stata questa la scelta più giusta in un difficile equilibrismo tra necessità di sostenere la ripresa, evitando un eccessivo apprezzamento dello shekel e un danno all'export.

(Il Sole 24 Ore, 24 agosto 2009)

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Gaza: vestiti islamici per alunne

Ragazza cristiana respinta da classe perche' senza hijab

GAZA, 24 ago - Con la riapertura delle scuole, le ragazze di Gaza hanno scoperto che non saranno ammesse in classe se abbigliate in stile occidentale. Chi si presentasse in jeans, verrebbe invitata a tornare a casa e ad indossare un 'jilbab' (tunica) di colore azzurro e un 'hijab' (velo) bianco oppure azzurro. Il provvedimento non e' stato deciso dall'esecutivo di Hamas ma e' stato preso su iniziativa dei presidi di alcuni licei. Ieri una ragazza cristiana che non indossava il 'hijab' e' stata respinta.

(ANSA, 24 agosto 2009)

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Scuola: una grottesca prova di forza per rimettere in sella gli insegnanti di religione

di Gadi Polacco, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

I docenti di religione cattolica, l'unica insegnata nella scuola pubblica italiana e peraltro a carico del pubblico bilancio, sarebbero "stati rimessi in gioco", come è stato scritto, da un provvedimento ministeriale, tramite DPR, che oltrepassa temporaneamente la sentenza del TAR del Lazio, almeno sino al pronunciamento del Consiglio di Stato. Un saggio modo di governare dovrebbe cercare soluzioni tendenti all'armonia tra le varie componenti della società e questo provvedimento non pare proprio destinato a ciò, apparendo anzi propedeutico a ulteriori ricorsi e divisioni. Dinanzi a questa sorta di "prova di forza", dai contorni peraltro grotteschi visto che taluni la vogliono correlare alla presunta difesa di una "maggioranza" che in quanto tale è già di per se ampiamente tutelata, viene spontaneo chiedersi perché non ci si attivi invece, come avviene in altri paesi, per diversificare la gamma di insegnamenti religiosi nella scuola pubblica e introdurre, per quanti non interessati o non credenti, reali materie alternative.

(Notiziario Ucei, 24 agosto 2009)

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E' arrivato il telefonino del perfetto musulmano

Il "touch" di ultima generazione è destinato a favorire la pratica religiosa quotidiana

di Fabio Scuto

GERUSALEMME - Sembra già un must in quasi tutti i paesi islamici. Dopo essere arrivato nei giorni scorsi nelle vetrine scintillanti dei megastore di Dubai e del Qatar, nei centro commerciali di Tunisi e del Cairo, la prossima settimana sbarcherà anche a Gerusalemme. E' l'Islamic Phone, un telefonino touch di ultima generazione dotato di una serie di applicazioni destinate a favorire "la pratica religiosa quotidiana" per tutti i fedeli musulmani. Avrà certo una solida base religiosa, ma altrettanto indubbio che la messa sul mercato, in coincidenza con l'inizio del Ramadan, è stata soprattutto un'abile mossa commerciale.
L'Islamic Phone è una produzione della coreana LG. Il "GD335", questo il nome del nuovo Gsm, è esclusivamente dedicato alla clientela musulmana, un bacino di potenziali clienti che supera il miliardo e mezzo di persone da Casablanca fino in Indonesia. Il telefonino offre anzitutto il Corano, con musica e immagine del testo che scorre seguendo la recitazione, consentendone anche la traduzione in varie lingue; gli "hadith" (le parole della tradizione del Profeta); l'annuncio delle ore della preghiera; l'invito alla preghiera (adhan). Dotato di una bussola elettronica indica la direzione della Mecca (Qibla) e nel software c'è anche una calcolatrice per determinare con esattezza l'ammontare della Zakat - l'elemosina, che è uno dei cinque pilastri dell'Islam - in base alle proprie entrate annuali.
L'idea del cellulare dotato di funzioni a "vocazione islamica", sviluppata in pochi mesi, ha ottenuto l'approvazione del Consiglio superiore islamico, che si è impegnato a verificare i diversi testi ed a fornire i nulla osta e le certificazioni che si impongono in materia religiosa, specie per quanto riguarda i versetti coranici. Il nuovo telefonino, che a secondo del Paese ha un prezzo che varia fra i 180 e i 140 euro, ha tutte le funzioni di un touch di ultima generazione, dalla macchina fotografica alle riprese video, dalla radio in Fm al bluetooth. I possessori di un altro particolare modello dello stesso marchio, il KP500, inoltre possono aggiungere nuove applicazioni islamiche.
Che il mercato islamico abbia delle potenzialità di rapida espansione è cosa ben nota anche per altri marchi di telefonini. La finlandese Nokia e l'americana Apple si sono lanciate proponendo applicazioni specifiche per il mese del Ramadan, che permettono di conoscere con esattezza l'ora delle preghiere. Il numero uno mondiale della telefonia mobile aveva già l'anno scorso offerto alcune funzioni dedicate al pubblico islamico da scaricare dal proprio sito ufficiale ottenendo un buon successo commerciale.
Secondo Chris Braam, vice presidente della Nokia per il Medio Oriente e l'Africa, "l'anno scorso anno più di 2 milioni e mezzo di musulmani hanno scaricato sul proprio cellulare le applicazioni per il Ramadan e sulla base delle richieste della nostra clientela quest'anno abbiamo migliorato l'offerta con nuove applicazioni". Anche la Apple mette a disposizioni funzioni da scaricare - a pagamento - dal proprio sito ufficiale diverse applicazioni per i fedeli di fede musulmana che hanno scelto l'iPhone come telefonino.
Ma certo avere tutte le funzioni "islamiche" pre-caricate mette la LG in pole position per invadere il mercato musulmani, non tutti in Medio Oriente hanno un computer per poter scaricare nuove applicazioni a pagamento. L'idea di caricare nel software applicazioni dedicate al mondo islamico non è nuova per la LG. L'anno scorso ha messo in vendita in tutti i paesi islamici un modello di tv ultrapiatto, la "Tv Time-Machine" dove sono già inserite nelle applicazioni di base la lettura delle 144 sure del Corano, accompagnate anche qui dal testo che scorre, con la possibilità di fare una playlist con le dieci preferite. Ne sono stati venduti milioni, un successo che i coreani della LG vogliono adesso bissare con l'Islamic Phone.

(la Repubblica, 24 agosto 2009)

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Libano: Peres, "Hezbollah ha 80 mila missili"

Il ministro degli esteri libanese Fawzi Sallouk ha smentito le affermazioni del presidente israeliano Shimon Peres che, secondo quanto riportato sabato dal quotidiano al Rai del Kuwait, ha affermato che il movimento sciita libanese filo-iraniano Hezbollah è attualmente in possesso di 80 mila missili. "Non so come egli (Peres) abbia contato questi razzi... Ha una grande immaginazione", ha detto Sallouk citato oggi dal quotidiano Daily Star di Beirut. Alti funzionari di Hezbollah hanno tuttavia ripetuto che le capacità militari del loro movimento sono divenute molto più forti dopo la guerra combattuta nel 2006 contro Israele. Lo stesso leader di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, ha affermato che il movimento ha missili che possono colpire ovunque all'interno di Israele.

(L'Unione Sarda, 24 agosto 2009)

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Clandestini - "Appelli del mondo cattolico da condividere.
Ma paralleli con la Shoah e accuse all'Italia sono fuorvianti"

di Riccardo Pacifici, Presidente della Comunità Ebraica di Roma

Riccardo Pacifici
L'appello dei giorni scorsi dal mondo cattolico a non rimanere indifferenti di fronte alle tragedie e alle morti nel Mediterraneo di poveri disperati, non solo deve essere condiviso, ma abbiamo anche il dovere di rafforzarlo e di renderlo più efficace.
Un dovere che nella tradizione ebraica proviene da un passo del primo comandamento: "Ricordati che sei stato schiavo in terra d'Egitto".
Non è però possibile condividere nello stesso appello il passaggio che accusa l'Italia di razzismo e ancora peggio evoca la tragedia della Shoah.
Un paragone non solo fuorviante, ma che rischia di far perdere significato, credibilità e importanza al messaggio principale, che è quello di combattere il comune nemico dell'indifferenza.
L'Italia non è un paese razzista. Non lo è il suo Governo (così come non lo erano quelli precedenti, quando di morti delle carrette del mare comunque leggevamo spesso sui giornali). Soprattutto è la Costituzione che garantisce Asilo politico a coloro che scappano da nazioni in cui sono discriminati o privati dei diritti civili. Bene lo ricordano gli ebrei fuggiti dalla Libia, dal Libano, dall'Iran e da altri Paesi arabi, che negli ultimi 40 anni hanno trovato accoglienza e solidarietà nel nostro Paese e si sono perfettamente integrati.
Per combattere l'indifferenza, specie durante le vacanze e in questi tempi difficili, in cui le famiglie non arrivano alla fine del mese, dobbiamo sapere distinguere e spiegarci. Soprattutto evitare slogan demagogici.
Tra gli immigrati c'è chi viene immaginando di avere un lavoro e non essere oggetto e sfruttamento di organizzazioni malavitose nostrane. C'è chi viene per garantire serenità ai nostri figli e ai nostri anziani o chi per assistere i malati nelle corsie degli ospedali.
Tutto questo non solo rappresenta per noi europei un benessere economico ma anche un ricchezza culturale di cui dobbiamo essere orgogliosi e grati.
Gli Usa, come il Canada, l'Australia, e tanti altri Paesi, anche in Europa, hanno leggi sull'immigrazione ben più severe delle nostre. Lo sanno molti italiani ed europei che ambiscono alla Green Card americana. Nessuno però si è mai sognato di accusare queste nazioni di razzismo.
Ma più sono severe le leggi sull'immigrazione, maggiore è la garanzia che questi immigrati possano integrarsi nel nostro Paese e non dover vivere l'umiliazione quotidiana e ancora peggio la discriminazione.
Dentro quelle barche che affondano (ma anche quelle che invece approdano senza vittime sulle nostre spiagge) spesso si annidano pericolosi terroristi, che non solo minacciano la sicurezza dell'Europa, ma spesso hanno come primo "target" le nostre Sinagoghe e le nostre scuole.
Questo non significa avere paura ma essere consapevoli e, nonostante tutto, avere la forza di non voltare le spalle. Il dovere dell'accoglienza per noi è sotto certi aspetti un precetto e anche per questo dobbiamo far sentire la nostra voce. Riportando però il dibattito sui giusti binari e soprattutto avendo la forza morale di non limitarsi alle critiche, ma di portare proposte costruttive e operative. Solo così potremmo aiutare questi poveri disperati del mare.
Un problema la cui matrice ha origini da organizzazioni criminali in Africa e in Medio Oriente, ma che deve trovare una comune risposta. Certamente da parte dell'Italia e dagli italiani tutti, ma anche da uno sforzo comune nell'ambito dell'Unione europea. Di questo discuteremo nella Consulta della Comunità Ebraica di Roma con il Presidente della Camera Gianfranco Fini il 16 settembre alle 19.45 nella sala della Protomoteca del Campidoglio. Chi desidera informazioni o annunciare la propria presenza prenotando un posto può rivolgersi a: consulta@romaebraica.it

(Notiziario Ucei, 24 agosto 2009)

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Giornalisti israeliani e giornalisti italiani

di Elena Lattes

La federazione israeliana dei giornalisti (NFIJ) ha accettato l'invito dell'omologa italiana (NFSI) per incontrarsi a Roma o a Gerusalemme per trovare una soluzione al problema dell'esclusione dei giornalisti israeliani dalla Federazione internazionale. Invito che arrivò verso la metà del luglio scorso, quando Lorenzo Del Boca, presidente dell'Ordine nazionale dei giornalisti a Roma, contattò la NFIJ, in seguito all'espulsione avvenuta qualche giorno prima, ufficialmente per motivi economici.
Secondo la Federazione internazionale, infatti, gli israeliani non avrebbero pagato l'iscrizione fin dal 2005, ma, pare anche, che le tasse riservate a loro fossero più alte rispetto a quelle richieste a colleghi degli altri Paesi del Medio Oriente, equiparabili, invece, soltanto agli importi pagati dalle Nazioni europee più ricche.
Per stessa ammissione del Segretario della sezione italiana della Federazione, Franco Siddi, poi, c'è qualcosa di più delle questioni economiche (per l'iscrizione alla fine si era trovato un compromesso): tra i numerosi esempi, infatti, ricordati da un suo collega israeliano, c'è quello dell'esclusione, dietro pressione dell'Associazione della Stampa giordana (il cui governo è ufficialmente in pace con lo Stato di Gerusalemme), ad un convegno tenutosi recentemente ad Amman.
La Federazione Internazionale, inoltre, aveva preso più volte le difese dei mass media controllati da gruppi terroristici, criticando, per esempio, l'assenza o la scarsità di condanna, da parte della NFIJ, dell'attacco israeliano alla televisione Al Manar di Hezbollah ed aveva evitato accuratamente di intervenire quando i missili sparati dal Libano nel 2006 e da Gaza nel gennaio 2009 ferirono diversi giornalisti israeliani.
In seguito a queste vicende tanti si sono mobilitati. Su Facebook è nato un gruppo "Non in mio nome" che attualmente conta più circa 2700 iscritti, per fare pressione sulla sezione italiana affinché ritiri il voto di esclusione.
Il segretario dell'Unione di Tel Aviv, Yossi Bar Moha, ha scritto una lettera al suo collega della Federazione internazionale nella quale lo invitava ad "interrompere l'incitamento ad una politica divisoria e promuovere, invece, il dialogo e la cooperazione all'interno della fratellanza universale tra giornalisti".
Franco Siddi ha offerto il supporto italiano per risolvere tutte le questioni e ha assicurato, in una dichiarazione al Jerusalem Post, di essere appoggiato da diversi Paesi, tra i quali la Danimarca, l'Olanda, gli Usa e l'Australia; ha inoltre sostenuto: "La IFJ ha una struttura democratica e quindi possiamo lavorare tutti insieme. Se Israele abbandona, il blocco anti-israeliano si rafforzerà e noi non vogliamo questo", dichiarandosi anche d'accordo con Bar Moha sulla situazione dei giornalisti israeliani che sono "liberi e aperti" e considera Israele uno dei rari Paesi dove i media possono controbilanciare contrabbilanciare il potere politico.
"Interessante - ha dichiarato Sergio Stimolo, creatore del gruppo "Non in mio nome" alla notizia postata in Facebook - ma siamo ancora solo alle promesse". E insieme agli altri iscritti già si prepara per rinnovare le domande da porre alla FNSI.

(Agenzia Radicale, 24 agosto 2009)

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23 agosto 1939, patto scellerato per una catastrofe

di Vito Antonio Leuzzi

La firma del patto Ribbentrop-Molotov
Il progetto nazista di un nuovo ordine europeo, varato nell’estate del 1939, ebbe una immediata e sconvolgente conseguenza nella guerra scatenata da Hitler il 1o settembre di quello stesso anno. La Germania attaccò la Polonia e provocò la reazione di Francia ed Inghilterra, che avevano offerto garanzie al governo di Varsavia.
Pensando a questo obiettivo, gli uomini del Führer avevano stipulato nei mesi precedenti importanti accordi con l’Italia di Mussolini e con l’Unione Sovietica di Stalin. Agli inizi di maggio, infatti, era stato firmato il «Patto di acciaio» che vincolava il fascismo italiano alle scelte politico-ideologiche e guerrafondaie tedesche; mentre il 23 agosto fu stipulato «Il Patto Ribbentrop-Molotov», rispettivamente ministri degli Esteri della Germania nazista e della Russia comunista. Sicché, dopo l’attacco nazista alla Polonia, anche l’Unione Sovietica provvide a occupare territori polacchi il 17 settembre, in ottemperanza ad una delle clausole del protocollo segreto del mese precedente che di fatto intendeva sancire la spartizione della Polonia tra le due potenze e la sua cancellazione dalla carta geo-politica d’Europa.
Alla strategia nazista di asservimento di popoli dell’Est europeo e di «purificazione razziale» si affiancava il disegno egemonico stalinista nell’aerea baltica, assecondato dal nazismo solo per ragioni tattiche (a distanza di circa due anni la tregua tra Hitler e Stalin difatti fallì e l’Unione Sovietica fu attaccata dal Terzo Reich). La portata apocalittica del conflitto provocato dal nazismo fu percepita prima di ogni altro dagli intellettuali ebrei. Nel primo giorno di aggressione tedesca il direttore di una scuola ebraica di Varsavia nel suo diario così annotò: «Stiamo assistendo all’alba di una nuova era nella storia del mondo. Questa guerra causerà davvero la distruzione della civiltà umana»; ed aggiunse: «quanto agli ebrei, il loro rischio è sette volte maggiore».
La violenta politica nazista di discriminazione ed epurazione etnico-razziale fu sperimentata sul suolo polacco. Si iniziò con i malati di mente, e si proseguì con gli zingari e diversi elementi definiti dai teorici tedeschi «razzialmente stranieri». Secondo le ricostruzioni di Saul Friedländer, storico ebreo originario di Praga, nel volume, Gli anni dello sterminio (edito in Italia da Garzanti, 2008), «migliaia di malati di mente giunti da istituti in Pomerania, in Prussia orientale e nella regione di Posen del Warthegau vennero eliminati poco dopo l’attacco tedesco alla Polonia. Furono assassinati senza alcuna messinscena di carattere medico, indipendentemente dal programma “Eutanasia”».
Questo programma «Eutanasia» entrò in funzione subito dopo. Esso venne identificato dal nome in codice «T4» (acronimo di Tiergartenstrasse 4, indirizzo del quartier generale dell’operazione a Berlino) e sperimentato, alla vigilia della guerra, sui neonati con gravi difetti. «In base al T4 - secondo i dati riportati da Friedländer - circa 70.000 malati di mente ricoverati furono radunati ed uccisi in sei istituti psichiatrici tra l’inizio del conflitto e l’agosto del 1941, quando la struttura portante del sistema di sterminio mutò».
Poi toccò agli ebrei, che furono definiti da Goebbels, ministro della Propaganda, «un prodotto di scarto» e «un problema clinico»; con grande tempismo, subito dopo l’inizio del conflitto, furono realizzati tre importanti film tedeschi, in appoggio a questo disegno epurativo: Der Rothschilds («I Rothschild», che erano una delle più importanti famiglie ebraiche), Der ewige Jude («L’ebreo eterno») e Jude Süss («Süss l’ebreo»). Quest’ultimo film fu lanciato nel settembre del 1940 al Festival del cinema di Venezia, dove riscosse uno straordinario successo ottenendo anche il Leone d’Oro. Tra le entusiastiche recensioni in Italia - ben evidenziate dalle ricerche di Friedländer - spicca quella di Michelangelo Antonioni, che affermò: «non esitiamo a dire che se questa è propaganda, allora diamo il benvenuto alla propaganda». La pellicola ottenne un notevole successo popolare in Italia e Germania e fu utilizzata anche a fini didattici dall’esercito tedesco.
Anche nella zona della Polonia occupata dai sovietici la popolazione locale, che includeva anche un milione e mezzo di ebrei (tra cui trecentomila rifugiati provenienti dalla parte occidentale), ben presto sperimentò la mano pesante dello stalinismo. Molti ebrei conobbero «il disincanto in merito ai nuovi dominatori»; le istituzioni religiose, politiche ed educative ebraiche furono tolte di mezzo e gli apparati di sorveglianza della polizia segreta sovietica iniziarono a colpire gli ebrei più ricchi e tutti coloro che non si adeguavano al nuovo ordine. Deportazioni di massa dei cosiddetti «gruppi ostili» caratterizzarono l’area orientale della Polonia controllata dagli uomini di Stalin sino al 1941.
Settant’anni fa l’attacco alla Polonia rappresentò il banco di prova di un conflitto che ha segnato radicalmente la storia del Novecento; un conflitto caratterizzato, in particolare, da una politica dell’orrore che nel giro di pochi anni provocò lo sterminio di milioni di ebrei nell’Europa occupata dai nazisti.

(La Gazzetta del Mezzogiorno, 23 agosto 2009)

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Dagli attentati ai comizi. Ecco i nuovi «eroi»

Da pericolosi terroristi a uomini liberi. Da stragisti a esponenti politici. Non solo il nuovo ministro della Difesa iraniano Ahmad Vahidi, accusato di strage. Non solo lo stragista di Lockerbie liberato e celebrato come un modello. Gli esempi di terroristi che diventano eroi, sono sempre più numerosi. Samir Kuntar, 47 anni, cittadino libanese, aveva appena 16 anni quando nel '79 guidò un commando terroristico del Fronte per la Liberazione della Palestina e uccise tre persone (tra cui una bimba di 4 anni alla quale fracassò il cranio). In seguito a uno scambio di prigionieri con Israele è stato liberato ed è diventato in Libano un simbolo celebrato con grandi onori da Hezbollah.
Così anche Khaled Abu Usba, 49 anni, membro di Fatah. È uno dei responsabili del peggior attacco terroristico mai subito da Israele, il cosiddetto «massacro della strada costiera» del '78, in cui furono uccisi 35 civili israeliani. Rilasciato dopo 7 anni di carcere, è stato celebrato come uno dei mediatori di pace all'ultima convention di Fatah.
Marwan Barghouti, 50 anni, leader e attivista palestinese. È ancora in un carcere israeliano per scontare cinque ergastoli. Eppure, durante la Convention di agosto, è stato designato da Fatah esponente di spicco della «nuova guardia».

(il Giornale, 23 agosto 2009)

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J'accuse

Ispirato al famoso J'accuse di Emile Zola, questo video accusa la comunità internazionale di riservare un trattamento diverso ad Israele e agli ebrei che ha il chiaro sapore di essere mosso unicamente dal vecchio e bieco antisemitismo.



Video prodotto da Marcello Hassan, Barbara Mella ed Elena Lattes.

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La Cina ha il suo primo calciatore israeliano

di Anna Momigliano

Che cosa ci fa un ragazzone israeliano a Chongqing, megalopoli cinese con più di 30 milioni di abitanti adagiata sul Fiume Azzurro? Semplice: gioca a calcio. Per la precisione, sta in difesa. Liron Zarko, 28 anni e un breve trascorso con l'Hapoel di Beersheva, è il primo calciatore professionista israeliano ad avere firmato un contratto con la lega calcistica cinese.
Una notizia decisamente insolita. Ormai non sono rari i casi di giocatori di talento che lasciano Israele per cercare fortuna in Europa, dove la qualità dei campionati è indubbiamente superiore. Alcuni esempi? Yossi Benayoun, passato nel 2007 al Liverpool, Dudu Aouate, portiere del Mallorca, e il giovanissimo Guy Assouline (classe 1991) che per il momento gioca nella riserva del Barcellona. Ma di giocatori israeliani che si trasferiscono in Cina (nazione non particolarmente celebre per le imprese calcistiche) non si era mai sentito parlare. E anche per gli standard cinesi, la squadra che ha ingaggiato Zarko, il Chongqing Lifan, non è delle migliori.
Zarko, che a differenza di Benayoun non è mai stato una stella in patria, la vede in modo molto pragmatico: "Guadagno bene, 20 mila dollari al mese", racconta in un'intervista al quotidiano Yediot Aharonot. "Qui vivo come un re, perché dovrei tornare a casa?".

(Notiziario Ucei, 23 agosto 2009)


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Concerto con Noa e Mira Award per 'Brindisi estate 2009'

La musica si fa messaggio di pace. E si propaga dal palcoscenico di «Brindisi d'estate 2009» con Achinoam Nini, 39 anni, più semplicemente conosciuta come Noa.
L'artista che ha cantato per Papa Wojtyla, domenica 23 agosto duetterà in piazza Duomo con la trentatreenne cantante e attrice Mira Awad in un concerto a ingresso libero che avrà inizio alle ore 21.
Noa è ebrea, ed è una militante pacifista; Mira Awad è arabo-cristiana. Entrambe cittadine israeliane, sono state scelte per rappresentare il loro Paese al concorso musicale Eurovision, lo scorso maggio a Mosca.
Si erano candidate tutt'e due. Così, i giurati della commissione le hanno riunite in duo. Una scelta che è stata attaccata da artisti e intellettuali arabi israeliani. Ma l'iniziativa ha irritato anche una parte dell'opinione pubblica ebrea, e commenti e proteste si sono sollevati sia nei ranghi della sinistra che in quelli della destra nazionalista. Designate per Eurovision in piena offensiva delle forze armate israeliane nella striscia di Gaza, le candidate sono state accusate di essere un «duetto di circostanza» che dà una falsa impressione rispetto alla reale «convivenza delle due comunità».
Ma anche di fronte alle tante pressioni, le due «non smetteranno di promuovere il dialogo tra i due popoli, perché l'odio non ci porterà a nessuno risultato», il commento del manager Ofer Pesenzon. Dal canto loro Noa e Mira hanno risposto schierandosi contro ogni forma di integralismo, da qualunque parte esso provenga. E, dopo Mosca, hanno continuato la loro collaborazione, peraltro già avviata in anni passati.
Non si trattava, infatti, della prima volta insieme delle due cantanti, entrambe residenti a Tel-Aviv. Mira Awad aveva già duettato con la collega nella canzone dei Beatles «We Can Work it Out» presente nel disco di Noa «Now», uscito nel 2002, in piena seconda Intifada. Successivamente le due artiste avevano cantato fianco a fianco nel maggio del 2008, in occasione delle celebrazioni per il sessantesimo anniversario dello stato d'Israele.
Adesso questo concerto di Brindisi, durante il quale Noa e Mira Awad proporranno i loro grandi successi e i brani inclusi nell'album di duetti «There Must Be Another Way», disco che prende il titolo dalla discussa canzone presentata all'European Song Contest di Mosca: un emozionante inno alla pace interpretato dalle due artiste in arabo, ebraico e inglese.

(Puglialive, 23 agosto 2009)

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Israele: dure critiche di viceministro Ayalon all'Iran

La nomina di Ahmad Vahidi alla carica di ministro della difesa iraniano "dimostra che il governo degli ayatollah di Teheran è un governo di terroristi, che va assolutamente fermato". Lo ha sostenuto il viceministro israeliano degli esteri Dani Ayalon, commentando - in una intervista radiofonica - la vibrata protesta per quella nomina da parte dell'Argentina.
Secondo il ministero degli esteri argentino la designazione rappresenta "un affronto alla giustizia argentina e alle vittime dell'attentato, nel 1994 a Buenos Aires, dell'Associazione di mutua assistenza israelo-argentina (Amia)".
Da parte sua il procuratore di Buenos Aires, Alberto Nisman, ha precisato che Vahidi è ricercato dall'Interpol nell'ambito delle indagini sui responsabili di quel massacro, nel quale morirono 85 persone.
Secondo Ayalon, Vahidi è un ministro adeguato per il presidente Mahmud Ahmadinejad "che è pure un terrorista". Ancora di recente, ha proseguito, il ministro israeliano degli esteri Avigdor Lieberman si è recato nell'America latina per segnalare "i rischi delle penetrazione iraniana in quel continente, che ha la sua base logistica in Venezuela".
La nomina di Vahidi - ha concluso Ayalon - "è un altro tassello di quello stesso mosaico".

(ticinonews.ch, 22 agosto 2009)

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Kartika, la modella condannata a sei frustate per una birra

È la prima volta che una donna viene punita con i colpi di canna per aver violato la legge islamica

di Marco Del Corona

Kartika
PECHINO— Alla Corte della Sharia non bastava che Kartika Sari Dewi Shukarno ammettesse il suo peccato. Kartika, la modella Kartika, sapeva di aver sbagliato. Ma dopo il delitto serviva il castigo. E il castigo arriva. Kartika -a ddirittura - gli va incontro spavalda, «è giusto che io sia punita», e per sottoporsi al verdetto rientra dall'estero nella sua Malaysia. La aspettano sei colpi di canna di rattan, così hanno stabilito un mese fa i magistrati che applicano la legge coranica ai malesi di fede musulmana. Kartika è malese e musulmana, dunque soggetta alla sharia. La sua colpa è essere stata sorpresa nell'agosto dell'anno scorso a bere birra in un night club in Pehang, uno degli stati orientali più conservatori.
Kartika è una peccatrice e non lo ha mai negato. «Non ho paura perché da subito ero pronta alla punizione — ha confidato — e le autorità pensano di utilizzare il mio caso per educare i musulmani. Facciano pure. Per me la vita continua». Sposata, madre di due bambini, 32 anni, Kartika ha ricevuto a Singapore, dove vive, la notizia del mandato d'arresto spiccato martedì scorso. Lasciata l'isola-Stato, troverà una prigione malese, dove resterà da lunedì per una settimana. Verrà sottoposta a esami medici per verificare se il suo fisico possa sopportare le nerbate, quindi sarà il momento del supplizio, che le verrà inflitto da una guardia carceraria donna. A completare la pena, una multa di 5mila ringgit, circa 1.100 euro. «I giovani imparino dal mio caso», aveva dichiarato in luglio all'agenzia di stampa Bernama.
Per la storia criminale della Malaysia si tratta di un evento senza precedenti. Non era mai accaduto - ricorda il suo avvocato, Mohamad Zuki Che Muhamad Ghani - che una donna venisse punita con i colpi di canna per aver violato la legge coranica. Chi non è sorpreso è il padre, Shukarno Mutalib: «Nessuna tristezza, noi siamo musulmani e siamo d'accordo», anche se il più delle volte il musulmano sorpreso a bere alcol viene multato (il massimo della pena, però, è di 3 anni in cella). Ci sono gruppi per i diritti delle donne e parlamentari che hanno espresso contrarietà a una punizione crudele, generalmente riservata agli uomini che si siano macchiati di gravi reati. Tuttavia, se stupratori, corrotti e corruttori vengono percossi con canne pesanti, a Kartika sembra sia riservata una canna sottile.
La convivenza e l'intreccio, in Malaysia, delle leggi e delle istituzioni ordinarie e delle corti coraniche è un elemento che produce cortocircuiti legali e morali. Con le Corti della Sharia competenti per i musulmani su questioni religiose e sul diritto di famiglia, a suscitare controversie sono spesso le accuse di apostasia a chi si converte al cristianesimo o sentenze circa vicende coniugali. Laici e musulmani moderati mettono in guardia dai rischi di un'erosione delle prerogative dello Stato secolare in un Paese federale dove sì i due terzi della popolazione sono musulmani, ma nel quale le minoranze cinese (soprattutto) e indiana hanno un peso decisivo. In una situazione politica e sociale complessa, di fronte alla crisi di legittimità del partito di maggioranza Umno, l'opposizione islamica ha aumentato la sua influenza negli stati più tradizionalisti, consolidando allo stesso tempo l'autorità delle corti coraniche. Gli sfregi sul corpo di Kartika potrebbero non essere gli ultimi.

(Corriere della Sera, 22 agosto 2009)

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Jabbar spodesta Superman, fumetti musulmani alla conquista del mondo

I nuovi super-eroi sono 99, come le virtù di Allah

di Deborah Ameri

LONDRA (21 agosto) - Hanno il burqa, lo hijab, la barba lunga. Meno futuristici di X-Men e più spirituali di Batman. Ma comunque super eroi. I primi del mondo musulmano. Si chiamano «The 99» perché i loro poteri si basano sulle 99 virtù di Allah. Le loro avventure, finora riprodotte solo a fumetti, hanno avuto un successo strepitoso in tutto il mondo islamico, dal Marocco all'Indonesia.
E il magazine americano Forbes li ha inseriti nella classifica dei primi venti trend che stanno conquistando il mondo. Con grande lungimiranza. Perché ora i super eroi fedeli alla sharia sbarcheranno anche in occidente. Entro la fine dell'anno la tv britannica Bbc trasmetterà una serie animata con «The 99» come protagonisti. E il produttore sarà niente meno che la compagnia olandese Endemol, quella del Grande Fratello.
Inoltre la casa editrice che li pubblica, la Teshkeel Comics, con base in Kuwait, ha strappato un accordo alla Marvel americana, per far uscire i fumetti anche negli Usa. «Con l'amministrazione Bush non sarebbe mai successo - sostiene il creatore degli eroi, Naif Al-Mutawa - Questa inedita unione tra i miei personaggi e gli Stati Uniti è un po' come il famoso discorso pronunciato da Obama al Cairo. E' un abbraccio tra il mondo cristiano e quello musulmano».
Gli eroi di vecchia generazione, da Superman all'Uomo Ragno, dovranno vedersela, per esempio, con Batina The Hidden (la nascosta) perché ricoperta dal velo dalla testa ai piedi. Oppure con Jabbar, una sorta di Incredibile Hulk dell'Arabia Saudita, ma anche con Darr, biondo americano in sedia a rotelle con il potere di manipolare i nervi e provocare dolore nel suo avversario. Dal Ghana arriva Musawwira, The Organizer, con la straordinaria capacità di piegare il caos al suo volere. Altri, invece, hanno come base Londra, l'Indonesia, il Sud Africa.
Gli eroi sono per adesso una cinquantina, ma non arriveranno mai a 99 perché è proibito dalla legge islamica mostrare tutte le virtù di Allah. L'obiettivo, secondo Al-Mutawa, è quello di instillare nei bambini di tutte le religioni i vecchi e buoni principi della fede musulmana. «Ho notato che la letteratura per l'infanzia era piena di figure di kamikaze e jihadisti - spiega al Times di Londra - A Nablus in Palestina andava per la maggiore un album di figurine intitolato "Intifada". Era pieno di madri in lacrime, carri armati israeliani, ragazzini feriti. Io non volevo libri del genere per i miei cinque figli».
Al-Mutawa, originario del Kuwait, era uno psicologo clinico, lavorava all'ospedale Bellevue di New York e trattava molti giovani iracheni vittime delle torture di Saddam Hussein: «Quelle storie mi hanno colpito - racconta - per quegli uomini Saddam era un eroe, eppure dal suo regime sono stati ridotti in fin di vita. Allora ho capito che il mondo arabo aveva bisogno di nuovi modelli di riferimento, figure positive. E' così che ho iniziato a pensare ai super eroi».

(Il Messaggero, 21 agosto 2009)

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Trani, ebrei da tutta Europa per «la festa della cultura»

di Lucia De Mari

Trani
TRANI-Sarà Trani la città capofila della “Giornata Europea della Cultura ebraica 2009” che si svolgerà domenica 6 settembre (17 Elul 5769 del calendario ebraico) con l'Alto Patronato della Presidenza della Repubblica: organizzata dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, è patrocinata dal Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Consiglio d'Europa, Consiglio Europeo delle Comunità Ebraiche e altre Istituzioni culturali internazionali.
La Giornata, giunta alla sua decima edizione, avrà luogo in 28 nazioni europee e sarà Trani la città italiana capofila, e in collaborazione con l'amministrazione comunale e l'assessorato alle Politiche Culturali di Trani, la comunità ebraica tranese ha realizzato un'offerta multiculturale, religiosa e artistica dal titolo Trani Ebraica. Tutte le iniziative si svolgeranno dalla sera del 5 alla sera del 6 settembre (dalla sera del 4 per chi parteciperà allo Shabbath, il sabato ebraico) nel cuore del quartiere ebraico di Trani, a ridosso della Sinagoga Scolanova da pochi giorni tornata a splendere di nuovi arazzi, matroneo, banchi lignei e Tavole della Legge riposte nelle 2 antiche nicchie sovrastanti il tabernacolo.
Numerosi saranno gli Ebrei che confluiranno a Trani da ogni parte d'Italia, da diversi Paesi europei e da Israele. Al termine delle manifestazioni della Giornata, con uno spettacolo di Gioele Dix presso il Castello Svevo di Trani partirà Negba, Festival della Cultura Ebraica in Puglia promosso da Ucei. e Regione Puglia. Il Festival partirà da Trani e sino al 10 settembre toccherà diverse città pugliesi (Oria, Bari, Lecce, Otranto, Andria).
Grande partecipazione e collaborazione alla Giornata sarà offerta dal gruppo ebraico di Sannicandro Garganico che non solo parteciperà alle iniziative tranesi ma ospiterà diverse manifestazioni del Festival Negba.
In vista dell'alto afflusso di Ebrei a Trani durante la Giornata e il Festival, il ristorante Da Miana (tel. 0883589794) prospiciente la Sinagoga verrà appositamente kasherizzato (ossia reso idoneo alle regole alimentari ebraiche) e dalla sera del 5 alla sera del 10 settembre servirà alla clientela, ebraica e non, menù di cucina ebraico-pugliese rigorosamente kasher.
Le iniziative di Trani ebraica sono state ispirate dalla particolare vocazione urbanistica, storica e culturale della Trani ebraica tardo-medioevale e rinascimentale. Lo scopo è quello di riportare in vita atmosfere e sensazioni condivise dalla fiorente popolazione ebraica tranese nel suo periodo di massimo fulgore ma altresì di promuovere fortemente i valori sociali e le risorse del patrimonio culturale, religioso e artistico ebraico nell’attualità del Mezzogiorno. Insomma una bella occasione per immergersi e conoscere la cultura ebraica e concorrere al dialogo interreligioso.

(La Gazzetta del Mezzogiorno, 21 agosto 2009)

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Sondaggio, resta bassa la fiducia degli israeliani in Obama

TEL AVIV - Resta molto basso il tasso di fiducia e di simpatia degli israeliani nei confronti del presidente degli Usa, Barack Obama, considerato favorevole a Israele solo dal 12% degli intervistati in un sondaggio condotto parallelamente fra israeliani e palestinesi a cura dell'istituto Truman dell'Universita' ebraica di Gerusalemme e da Centro di studi politici palestinese di Ramallah (Cisgiordania). La rilevazione attribuisce al 40% degli israeliani la convinzione che il nuovo leader della Casa Bianca sia invece ben disposto verso i palestinesi, a dispetto del fatto che nel giudizio dei palestinesi stessi l'attuale amministrazione americana - per quanto piu' gradita delle precedenti - resta al contrario prevalentemente filo-israeliana: come asserisce un 60% delle persone interpellate in Cisgiordania. Gli israeliani, in controtendenza con l'opinione pubblica di gran parte dei Paesi occidentali, hanno in maggioranza accolto Obama fin dall'inizio con scetticismo. L'amministrazione americana in carica si e' impegnata negli ultimi mesi assai piu' che non le precedenti a far pressione su Israele per un congelamento di tutti gli insediamenti ebraici in Cisgiordania e a Gerusalemme est (considerati illegali dalla comunita' internazionale), funzionale al rilancio del processo di pace con i palestinesi. Pressioni che sembrano avere aperto negli ultimi giorni uno spiraglio di compromesso possibile con il premier Benyamin Netanyahu, finora riluttante sul tema, ma che hanno anche innescato la reazione di una fronda interna al partito di Netanyahu (Likud, destra), favorevole al movimento dei coloni e contraria ad ogni concessione nei confronti di Washington. Fronda cui in queste ore ha dato voce, irritando il premier, il ministro ed ex generale Moshe Yaalon.

(ANSAmed, 21 agosto 2009)

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Napoli (Pdl): da Avvenire accuse gravi

ROMA, 21 ago. - "Spiace leggere sull'Avvenire un articolo che ferisce molto, con parole gravi e accuse immotivate, la sensibilità di ogni italiano e di ogni uomo politico. Le accuse firmate da Marina Corradi, e il paragone, mi permetto di dire, ingiurioso fra il destino degli immigrati e l'olocausto del popolo ebraico offende atrocemente e insieme gli ebrei, lo Stato di Israele e lo Stato italiano". Lo afferma in una nota il vicepresidente dei deputati del Pdl, Osvaldo Napoli. "In Italia - aggiunge - ci sono oltre 3 milioni di immigrati regolari, con i diritti e i doveri di ogni cittadino italiano. Lavorano, pagano le tasse, e godono di diritti sociali aggiuntivi rispetto a tanti cittadini italiani: per loro ci sono graduatorie di vantaggio per accedere agli asili nido, per loro i Comuni costruiscono, certo con le risorse disponibili, case, scuole e ambulatori. L'articolista dell'Avvenire - prosegue - forse ignora questa realtà per soffermarsi, invece, su episodi, sicuramente gravi ma del tutto fortuiti, di immigrati che muoiono per raggiungere l'Italia.
Paragonare questa realtà ai vagoni piombati che portavano gli ebrei nei campi di concentramento è fuorviante e offensivo, ripeto, prima di tutto per il popolo ebraico. La cui tragedia viene evocata e invocata, spesso a sproposito e, talvolta, in modo strumentale".

(AGI, 21 agosto 2009)

COMMENTO - Un’altra equiparazione. Sembra che un certo cattolicesimo si eserciti a scovare tracce di nazismo dappertutto.

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Israele, ancora attacchi a Peace Now

Un nuovo pesante attacco è arrivato oggi da un esponente del Likud verso Peace Now. Il parlamentare Dany Danon ha dichiarato che il movimento pacifista va sciolto in quanto finanziato da paesi esteri. Secondo Danon questo rappresenta un'ingerenza estera negli affari israeliani. L'associazione riceve in effetti fondi da Norvegia, Finlandia, Inghilterra e Unione Europea.Nei giorni scorsi già il vice premier Ya'Alom aveva definito Peace Now un "virus" per lo Stato. Le reazioni erano già state dure e Netanyahu in un incontro con Ya'alom avvenuto oggi lo ha costretto a una smentita ufficiale. Il segretario generale di Peace Now Oppenheimer si sente minacciato da queste dichiarazioni che "fanno di Peace Now un target". Anche un altro ex dirigente dell'organizzazione ha ricordato che simili dichiarazioni nel 1983 portarono alla morte di un suo compagno.

(Virgilio Notizie, 21 agosto 2009)

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Noa, il canto del medioriente

Noa
CORTINA D’AMPEZZO - La voce straordinaria di Noa riempirà questa sera il Pala Infiniti di Cortina, per un concerto che di certo rappresenterà uno dei momenti culminanti dell’intera rassegna Cortina InConTra. La celebre artista israeliana, con il chitarrista Gil Dor, ripercorrerà le tappe della carriera: dalla musica della sua terra alle amate canzoni napoletane. L’inizio è alle 21.30.
Nata a Tel Aviv nel giugno 1969, da una famiglia di ebrei yemeniti, Achinoam Nini vive tutta l’infanzia a New York, per tornare in Israele all’età di 17 anni, dove presta servizio militare obbligatorio per due anni. Contemporaneamente comincia la sua carriera di cantante. Diviene celebre all’estero per numerosi concerti dal vivo e tournée, in coppia col chitarrista Gil Dor, famoso per le sue collaborazioni con Pat Metheny. Noa è un’artista profondamente impegnata, nell’utilizzo della musica come strumento di riavvicinamento fra popoli in conflitto, con particolare riguardo alla tragica questione mediorientale. Le sue canzoni sono fortemente influenzate dal dolore per la guerra e il terrorismo e dalle speranze di un mondo pacificato. Il concerto che porta sul palco di Cortina InConTra è un viaggio lungo il suo percorso di artista, dagli inizi ad oggi, quindi un mix di tradizione yemenita, ebraica, il pop acquisito nell’adolescenza americana, sino al grande amore per le canzoni napoletane.

(Il Gazzettino.it, 20 agosto 2009)

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Lo Shin Bet scorta Abu Mazen in zone A cisgiordane

ROMA, 20 ago. - Sono i servizi di sicurezza interna israeliani a garantire la sicurezza del presidente e del premier dlel'Autorità Nazionale palestinese, Abu Mazen e Salam Fayyad, in alcuni dei loro spostamenti in Cisgiordania: è quanto pubblica il quotidiano israeliano Ha'aretz. In base a un accordo fra il governo israeliano e l'Anp lo Shin Bet fornisce protezione ogni qualvolta Abu Mazen o Fayyad visitino le "Zone C", ovvero quelle sotto il pieno controllo israeliano, o nel territorio dello Stato ebraico; negli altri casi l'onere della sorveglianza spetta alla sicurezza dell'Anp. La cooperazione israeliana - giustificata con il voler evitare che le guardie palestinesi debbano trovarsi a dover sparare in territorio israeliano - ha lo scopo di evitare due scenari: uno è il tentativo di omicidio da parte di estremisti palestinesi, l'altro un attentato organizzato dalla destra religiosa e nazionalista israeliana.

(Apcom, 20 agosto 2009)

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Grande impresa del Maccabi Haifa in terra austriaca

di Adam Smulevich

Importantissima vittoria del Maccabi Haifa contro il Salisburgo nel match di andata dell’ultimo turno preliminare per accedere alla fase a gironi della Champions League, la massima competizione calcistica europea. Gli israeliani si sono imposti col punteggio di due a uno. Gli uomini di Elisha Levy hanno giocato un’ottima partita, aggredendo gli spazi e creando delle ripetute occasioni da goal, soprattutto nel primo tempo. Il goal del vantaggio è arrivato a metà della prima frazione grazie al potente colpo di testa di Mohammed Ghadir, assolutamente imparabile per lo sconsolato portiere austriaco. Il Maccabi ha continuato a produrre gioco e ha sfiorato il raddoppio, mancato più volte per lo scarso cinismo dei suoi attaccanti. Gli austriaci, palesemente in difficoltà, hanno iniziato a essere pericolosi solamente dopo l’intervallo. All’inizio della seconda frazione, complice un grave svarione difensivo, sono riusciti a pareggiare. La rete è stata messa a segno da Zickler, il giocatore più rappresentativo della squadra (ha giocato per tanti anni nel Bayern Monaco e nella nazionale tedesca). Da quel momento la situazione si è ribaltata. Salisburgo all’attacco e Maccabi sulla difensiva. Un pareggio in trasferta è pur sempre un buon risultato e mister Levy, convinto di poter vincere il match di ritorno in Israele, ha arretrato il baricentro della squadra. Nonostante mezz’ora di grande sofferenza, a pochi minuti dal termine è successo quello che pochi ritenevano ormai possibile: il Maccabi è tornato in vantaggio. Autore del goal Shlomi Arbeitman, che superava il portiere avversario in uscita con un preciso tiro in diagonale. Dopo il triplice fischio finale dell’arbitro si scatenava la gioia di calciatori e tifosi israeliani. Nella gara di ritorno, che si giocherà nello stadio di Ramat Gan davanti a quarantamila tifosi, il Maccabi potrà accontentarsi anche di un pareggio. Gli austriaci, invece, nel tentativo di ribaltare il risultato, lasceranno probabilmente molti spazi liberi per il contropiede del team israeliano, che potrebbe approfittarne grazie alla velocità dei suoi esterni offensivi. Se il Maccabi riuscirà a difendere la posizione di vantaggio acquisita a Salisburgo arriverà, per la seconda volta nella sua storia, alla fase a gironi della competizione, dopo la positiva esperienza della stagione 2002/2003, nella quale riuscì nell’impresa di battere i fortissimi inglesi del Manchester United per tre a zero. L’errore più grande che gli israeliani potrebbero fare sarebbe però quello di considerarsi già qualificati. Come dice il celebre allenatore Giovanni Trapattoni, che tra l’altro ha allenato il Salisburgo nel recente passato, “non dire gatto se non l’hai nel sacco”, alludendo al fatto che non bisogna cantare vittoria prima del dovuto.

(Notiziario Ucei, 20 agosto 2009)

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Libano: sepolta con rito indù una vacca 'sconfinata' da Israele

L’animale era precipitato una settimana fa in una depressione del terreno

BEIRUT, 20 ago - Dopo giorni di polemiche tra Libano e Israele e' stata sepolta col rito indu' una vacca morta in un territorio conteso tra i due Paesi. La zona e' sorvegliata dai militari indiani dell'Unifil, la forza Onu schierata nel sud del Libano. L'animale era precipitato circa una settimana fa in una piccola depressione del terreno dopo aver attraversato la zona occupata da Israele ed esser entrata, in cerca d'acqua, in territorio libanese.

(ANSA, 20 agosto 2009)

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007 tedeschi in azione per liberare Gilad Shalit

di Enzo Piergianni

BERLINO, 19 ago - Il servizio segreto tedesco Bundesnachrichtendienst (Bnd) sarebbe di nuovo in azione in Medio Oriente per concludere uno scambio di prigionieri che punta alla liberazione del 23enne caporale israeliano Gilad Schalit, catturato il 25 giugno 2006 nel corso di un raid condotto all’alba da un commando palestinese nei pressi di Kerem Shalom, nel sud di Israele vicino al confine con Gaza, e da allora nelle mani di Hamas. Lo riferisce oggi la Süddeutsche Zeitung in un servizio di prima pagina sulla visita a Washington del presidente egiziano Hosni Mubarak. Il quotidiano cita un’intervista del leader egiziano con la stazione televisiva statunitense Public Broadcasting Service, in cui Mubarak rivela che “un intervento dall’esterno ha fatto fallire uno scambio di prigionieri che era già stato concordato”. Nell’intervista, Mubarak ha elogiato il “ruolo decisivo” svolto dalla Germania per lo sbocco positivo della trattativa. Il presidente egiziano non ha specificato di chi sia stata la responsabilità “dell’intervento dall’esterno”, ma ha affermato che l’Egitto “era in procinto” di portare Schalit al Cairo, da dove egli doveva proseguire per Israele in cambio del rilascio di palestinesi detenuti in carceri israeliani.
Mubarak ha aggiunto che il suo paese collabora intensamente con la Germania per ottenere “una fine del dramma degli ostaggi”. A Berlino, il ministero degli Esteri e il Bnd non hanno voluto commentare le dichiarazioni del presidente Mubarak. Fa notare la Süddeutsche Zeitung nello stesso articolo: “Persone competenti di servizi segreti tra cui Jossi Melman, esperto del giornale Haaretz, ritengono senz’altro possibile che il Bnd sia implicato attivamente nel caso di Gilad Schalit come avvenne per lo scambio di prigionieri nell’estate del 2008”. In quella circostanza, con la mediazione dell’agente tedesco Gerhard Conrad protagonista di un “negoziato pendolare” durato 18 mesi, si ottenne la consegna delle salme di due militari israeliani in cambio dei resti di 200 miliziani di Hizbollah e della liberazione del terrorista Samir Kuntar.
“Ormai si tratta solo di chiarire se Israele sia disposto ad accettare la richiesta di Hamas di liberare 450 palestinesi, tra cui alcuni colpevoli di sanguinosi attentati, e se costoro possano fare ritorno nei territori palestinesi oppure debbano essere deportati all’estero”, è l’opinione di Jossi Melman. “Se è così, allora non vi sono più molti ostacoli per un accordo - commenta la Süddeutsche Zeitung - In questo senso va interpretato il chiaro linguaggio di Mubarak”. Il quale, conclude il giornale, incontrando rappresentanti di istituzioni ebraiche negli Stati Uniti avrebbe detto che “uno scambio di prigionieri è in vista”.

(il Velino, 19 agosto 2009)

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Splendido edificio romano del III secolo portato alla luce dalla Israel Antiquities Authority
Testa di pugile ritrovata nei recenti scavi realizzati nella Città di Davide

Gli scavi, realizzati alle porte di Gerusalemme dalla IAA - Israel Antiquities Authority - presso il sito della Ir David - Città di Davide -hanno portato alla luce uno splendida villa signorile di epoca romana del III sec. d. C. Secondo quanto stimato dal direttore dello scavo, Dr. Doron Ben-Ami, la villa avrebbe interessato un'area di circa 1.000 metri quadri al cui centro risulterebbe un grande cortile circondato da colonne. Tra le rovine comparirebbero anche interessanti frammenti di affreschi a temi geometrici e floreali: inequivocabile risulta quindi il carattere romano dell'edificio supportato dal ritrovamento tanto di una figurina marmorea che rappresenta un pugile, quanto di un orecchino adornato di pietre preziose. Il ritrovamento poi di monete del 360 d.C. farebbe risalire la villa fino a quel periodo e la distruzione di essa verrebbe collegata con il terremoto che colpì Gerusalemme nel 363 d.C. Secondo quanto dichiarato dal Dr. Ben-Ami, la tipologia della villa sarebbe riconducibile ad edifici romani ritrovati ad Antiochia, Apamea e Palmira e datati tra il II ed il IV secolo d.C. Il ritrovamento risulta poi fondamentale per comprendere la struttura e l'estensione della città a partire dal II secolo sovvertendo con ogni probabilità l'ipotesi che l'area della collina della "Città di Davide" fosse rimasta esterna alla trasformazione di Gerusalemme in Aelia Capitolina realizzata a partire dall'epoca di Adriano. La definizione di "Città di Davide" viene utilizzata per indicare il luogo prescelto da Re Davide per innalzare la sua capitale Gerusalemme ben 3.000 anni fa. Oggi all'interno del sito della "Città di Davide" è possibile visionare alcuni straordinari ritrovamenti archeologici come il tunnel di Hezekiah e la piscina di Shiloah del periodo del Secondo Tempio, oltre che una straordinaria ricostruzione in 3D dell'area.

(TravelingInterline, 19 agosto 2009)

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Gaza, Hamas impedisce ai giornalisti l'ingresso negli ospedali a Rafah

Reporters sans Frontieres: "Questo bando consente alle autorità di non dover rispondere delle proprie azioni"

Reporters sans frontieres (RSF) ha condannato le misure restrittive della libertà di stampa adottate nei giorni scorsi da Hamas a Gaza. Ai giornalisti è stato proibito l'ingresso in tutti gli ospedali della Striscia di Gaza e all'intera città di Rafah. A molti fotografi e cameraman è stato proibito di lavorare nelle vicinanze della moschea Ibn Taymiyya. Hamas ha spiegato ai reporters che le misure sono state emanate per la loro sicurezza. RSF ha dichiarato che "queste restrizioni tolgono ai giornalisti la possibilità di documentare gli eventi e permettono alle autorità di non dover rendere conto delle proprie azioni". Le restrizioni sono state applicate dal giorno 14 agosto fino a data da destinarsi a seguito degli scontri tra Hamas e la milizia salafita Jund Ansar Allah. Tali scontri sarebbero iniziati dopo che il leader della guerriglia, lo sceicco Abdul Latif Musa, avrebbe annunciato in un sermone alla moschea Ibn Taymiyya la creazione di un emirato islamico a Rafah.

(PeaceReporter, 19 agosto 2009)

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Peres: Medvedev riesaminerà la vendita di missili all'Iran

 Lancio di missile S-300
Il presidente russo Dmitri Medvedev si è impegnato a riesaminare la prevista vendita di missili terra-aria S-300 di fabbricazione russa all'Iran. Lo ha detto il presidente israeliano, Shimon Peres, attualmente in visita in Russia.
"Il presidente Medvedev - ha detto Peres parlando a Sochi, dove ha incontrato il collega russo - ha promesso che esaminerà di nuovo la questione, perché gli ho spiegato che questa storia può cambiare l'equilibrio di forze nella nostra regione"-
Da mesi Mosca è in bilico se consegnare o meno il nuovo sistema di difesa antiaerea ad alta tecnologia, che renderebbe più difficile un eventuale bombardamento da parte israeliana degli impianti nucleari iraniani.
Nel 2007 la Russia ha consegnato all'Iran 29 sistemi di difesa antiaerea TOR-M1, molto meno sofisticati e di minor portata degli S-300.
Israele è impegnata da tempo nel tentativo di coinvolgere la Russia in un programma di sanzioni internazionali che blocchi il progetto nucleare iraniano, che Teheran dichiara avere solo usi civili ma che Israele sospetta sia destinato ad avere scopi militari.

(ticinonews.ch, 19 agosto 2009)

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Iran - Haaretz: l'Aiea ha nascosto prove sul programma nucleare

ROMA, 19 ago - L'agenzia dell'Onu per l'energia atomica (Aiea) avrebbe nascosto dati, dai quali emergerebbe in modo chiaro che l'Iran sta sviluppando armi nucleari. È quanto scrive oggi il quotidiano israeliano Haaretz, citando fonti diplomatiche occidentali rigorosamente anonime. Dalle loro testimonianze sembrerebbe che l'Aiea sia in possesso di elementi che non lascerebbero dubbi sulle reali intenzioni del regime di Teheran, nonostante il direttore uscente Mohamed El Baradei abbia sempre dichiarato il contrario. Le informazioni sarebbero contenute in un rapporto classificato redatto dagli ispettori Onu in Iran e firmato dal capo del team Aiea nella Repubblica islamica.
Secondo le fonti citate da Haaretz, però, tali dettagli sarebbero stati censurati e tenuti nascosti dai vertici dell'agenzia Onu di Vienna, anche se giungono da più parti le pressioni perché le informazioni contenute nel rapporto siano rese note in occasione della prossima conferenza generale dell'agenzia. Interpellato sul caso dal giornale, l'ufficio del premier israeliano Benjamin Netanyahu non ha voluto rilasciare nessuna dichiarazione, anche se non è stata smentita l'esistenza del rapporto. Israele ha più volte accusato El Baradei di non mostrare sufficiente determinazione nel far fronte al nucleare iraniano e ora spera che con l'insediamento del suo successore, il giapponese Yukiya Amano, si opti per la linea dura contro il regime.

(il Velino, 19 agosto 2009)

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Uno stato di troppo

Tony Judt
Il governo di Israele ha deciso di congelare l'ampliamento di nuovi insediamenti in Cisgiordania, una condizione posta a Gerusalemme da Barack Obama e, prima di lui, dagli ultimi presidenti americani. Un tempo il mondo intellettuale e la sinistra occidentale chiedevano insistentemente a Israele di ritirarsi dai "Territori" occupati in seguito agli attacchi subiti dal mondo arabo nel 1967 e, di conseguenza, giudicavano l'occupazione militare sionista come la causa principale del conflitto mediorientale. Dopo l'ennesimo rifiuto palestinese a siglare un accordo di pace nel 2000 e la successiva sanguinosissima Intifada scatenata dagli uomini di Yasser Arafat, nel 2005 l'allora premier israeliano Ariel Sharon, uno con la fama da duro, quel passo clamoroso lo ha compiuto, lasciando Gaza e la Cisgiordania al controllo palestinese. Non solo non è cambiato l'atteggiamento di fondo anti israeliano della leadership palestinese, ma con un'acrobatica giravolta intellettuale una buona parte della sinistra occidentale ha continuato ad accusare Israele, questa volta per essersi ritirata troppo presto e senza averlo concordato con gli arabi. Ma ora c'è di più. L'ultima moda della sinistra occidentale è criticare, dalle prestigiose pagine del New York Times, del Guardian e della New York Reviews of Book, la cosiddetta "soluzione due popoli- due stati", l'antico slogan di chi un tempo accusava Israele di voler impedire la nascita di uno stato arabo accanto a sé. In realtà, Israele è l'unico paese della regione ad aver condiviso fin dall'inizio la risoluzione delle Nazioni Unite del 1947 che divideva l'ex mandato britannico della Palestina in due stati, uno ebraico e uno arabo. I paesi arabi non solo non hanno accettato la nascita di Israele, dichiarandogli guerra il giorno successivo, ma non hanno mai voluto creare uno stato palestinese. Da quando il presidente americano George W. Bush, subito seguito da Barack Obama, si è impegnato a sostenere direttamente l'idea dei due stati, a sinistra è cominciato un imbarazzante processo di revisione, ben visibile sui giornali internazionali proprio adesso che anche Bibi Netanyahu ha confermato la sua disponibilità a far nascere uno stato palestinese accanto a quello ebraico. Questa intellighenzia liberal, guidata da stimati professori come Tony Judt, non vuole più i due stati. Molto meglio, spiega, puntare a un unico stato. Ovviamente a patto che Israele rinunci al suo carattere di stato ebraico. "Il problema - hanno scritto Hussein Agha e Robert Malley sul Times e sul Guardian - non è mai stato quello di definire lo stato di Palestina. E', ed è sempre stato, come definire lo stato di Israele". Cioè, come sbarazzarsene.

(Il Foglio, 19 agosto 2009)

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Anche i vigili del fuoco si danno al boicottaggio...

di Ugo Volli

Be' cari amici, non c'è proprio più religione. E, lasciatemelo dire, anche le stagioni non sono più quelle di una volta. C'è da essere un po' scoraggiati. Mi spiego. Nei siti ebraici si sussegue la notizia dell'ultima proposta di boicottaggio di Israele, anzi della penultima, perché il Jerusalem Post riferisce oggi che l'United Church of Canada ha appena respinto alla sua convenzione annuale una proposta in questo senso della sua diocesi (o forse, dato il carattere politico dell'iniziativa, bisognerebbe dire: sezione) di Toronto. Ma nelle chiese, lo sappiamo, soprattutto in quelle un po' snob e anti-istituzionali, il messaggio terzomondista è forte, per cui tendono a pensare, come suonava una canzone popolare italiana del secolo scorso "Gesù Cristo l'era un vero socialisto, che morì per la libertà".
Ma quel che colpisce è il penultimo boicottaggio, quello di ieri. La ragione sta nella personalità dei proponenti, che non sono niente di meno che i 60 mila pompieri di Sua Maestà Britannica, o almeno la sua rappresentanza sindacale, la "Fire Brigades Union", che ha proposto al congresso dei sindacati inglesi una mozione per congelare i rapporti con la Histadrut, il sindacato israeliano, per protesta contro l'operazione "Piombo Fuso". A parte la tempestività della reazione, che contrasta con la prontezza di riflessi dei pompieri, colpisce il numero assegnato con ordine britannico alla mozione: P76, che è il doppio di P38. Chi si ricorda il tempo delle Brigate Rosse riconoscerà il nome di una pistola molto usata e nominata a quel tempo.
Insomma, anche i vigili del fuoco si danno al boicottaggio... Addio simpatici pompieri di Viggiù, addio autocarri cromati e rombanti dei pompieri americani, pronti peraltro a sacrificarsi eroicamente a Ground Zero, addio fremito virtuoso che ci coglieva quando sentivamo quella sirena dietro di noi e ci affrettavamo a lasciar spazio ai mezzi rossi dei vigili diretti chissà dove a salvare chissà chi. La prossima volta che ci capiterà accosteremo disciplinatamente a destra ma ci chiederemo se i pompieri, almeno quelli inglesi, vanno a spegnere un incendio o ad attizzarne uno. Non c'è più religione e anche le stagioni non sono più quelle di una volta. Où sont le pompiers d'antan?

(Informazione Corretta, 18 agosto 2009)

I pompieri di una volta

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Pagina Twitter offre ai suoi 'seguaci' contatto diretto con Dio

GERUSALEMME - Vuoi mandare un messaggio a Dio? Uno studente universitario israeliano ha aperto una pagina su Twitter -- twitter.com/thekotel -- in cui è possibile inviare preghiere che saranno portate al Muro Occidentale di Gerusalemme, un luogo sacro per gli ebrei che ritengono li metta in contatto con Dio.
"Prendo le preghiere, le stampo e vado a Gerusalemme per metterle sul Muro Occidentale", ha spiegato Alon Nir, che vive a Tel Aviv.
Nir ha detto di sperare che la sua iniziativa sul popolare sito di social network -- dove gli utenti possono pubblicare brevi messaggi noti come 'tweet' -- possa "portare benefici alla gente di tutto il mondo".
Nir promette di consegnare regolarmente le preghiere, ciascuna non superiore ai 140 caratteri massimi di un tweet e inviata direttamente alla sua pagina Twitter in modo da non essere visibile dagli altri utenti.
"La gente si fida di me affidandomi i propri sentimenti e pensieri più segreti ... ed è mio dovere fare ciò che ho promesso", ha spiegato Nir a Reuters mentre si trovava al Muro Occidentale, dove ha già messo circa un migliaio di fogli arrotolati.
Esistono diversi servizi che portano al Muro preghiere spedite via e-mail, sms o fax. Le autorità postali israeliane hanno detto che le preghiere arrivano anche per posta tradizionale, alcune di esse in buste che riportano come destinatario "Caro Dio".

(Reuters, 18 agosto 2009)

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E la prova del Dna non è una prova

L'urlo della ragazza che si accorge dell'assassinio. La polizia. La scientifica. La scena del crimine. I prelievi. L'analisi dei dati. Tracce di saliva. Tracce di sangue. Il Dna. L'assassino è identificato. Il caso è chiuso.
O no? Qualcuno potrebbe aver falsificato i dati. Ma soprattutto, qualcuno potrebbe aver falsificato il Dna.
Nei gialli degli ultimi anni il reperimento delle tracce di Dna è stato il sacro graal delle polizie scientifiche, la prova per eccellenza. Ma alcuni scienziati israeliani hanno pubblicato un paper che dimostra, secondo loro, come la prova del Dna possa essere fabbricata da chiunque possieda conoscenza e strumenti sufficienti. ("Sufficienti", tra l'altro, non significa particolarmente sofisticati. Gli scienziati israeliani dicono che ce la può fare qualunque studente di genetica). La storia è sul New York Times. E il paper è su FsiGenetics.
Il leader del gruppo di scienziati, Dan Frumkin, è anche il fondatore della Nucleix, azienda che produce una tecnologia in grado di distinguere tra le false e le vere tracce di Dna.

(Il Sole 24 Ore, 18 agosto 2009)

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Israele propone un concerto a L. Cohen

Da tenere a Nazareth oltre a quello gia' progettato a Tel Aviv

TEL AVIV, 18 ago - Il ministero israeliano del Turismo propone a Leonard Cohen di tenere un concerto a Nazareth, oltre a quello gia' progettato a Tel Aviv. Nella capitale si svolgera' il 24 settembre a Tel Aviv. La reazione dell'artista ancora non e' nota. Intanto in Israele l'attesa per il concerto di Cohen e' molto elevata. I 45mila biglietti del concerto di Tel Aviv sono andati a ruba in appena 24 ore e a quanto pare un secondo concerto richiamerebbe altre masse di ammiratori.

(ANSA, 18 agosto 2009)

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Israele, accordo su stop ai insediamenti: insorge la destra

ROMA, 18 ago - Lo stop per un anno agli insediamenti israeliani in Cisgiordania deciso dal governo Netanyahu è un "congelamento" sul piano internazionale, una semplice "attesa" su quello interno. Il recente accordo tra il premier Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Ehud Barak e quello dell'Edilizia Ariel Atias per l'arresto della crescita delle costruzioni a Gerusalemme est e nel resto della West Bank non è stato accolto bene dalla destra nazionalista che per bocca del sindaco di Ariel - insediamento in Samaria fondato nel 1978 - reagisce dichiarando: "Se il primo ministro implementa la politica di Tzipi Livni (il capo dell'opposizione centrista, ndr), questo governo ha i giorni contati". Secondo il comitato dei coloni di Binyamin, "è tornato il vecchio Bibi (Netanyahu): duro come una roccia nel parlare ma pronto a capitolare alle richieste degli Usa". A gettare acqua sul fuoco è intervenuto lo stesso Atias, esponente del partito religioso Shas. Rivolto ai coloni, il titolare dell'Edilizia ha spiegato che la decisione servirà al primo ministro, che incontrerà a giorni a Londra l'inviato speciale Usa per il Medio Oriente George Mitchell, "per dimostrare la buona volontà del governo d'Israele di progredire sulla strada della pace e raggiungere un accordo complessivo con i palestinesi".
Lo stop per un anno agli insediamenti israeliani in Cisgiordania deciso dal governo Netanyahu è un "congelamento" sul piano internazionale, una semplice "attesa" su quello interno. Il recente accordo tra il premier Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Ehud Barak e quello dell'Edilizia Ariel Atias per l'arresto della crescita delle costruzioni a Gerusalemme est e nel resto della West Bank non è stato accolto bene dalla destra nazionalista che per bocca del sindaco di Ariel - insediamento in Samaria fondato nel 1978 - reagisce dichiarando: "Se il primo ministro implementa la politica di Tzipi Livni (il capo dell'opposizione centrista, ndr), questo governo ha i giorni contati". Secondo il comitato dei coloni di Binyamin, "è tornato il vecchio Bibi (Netanyahu): duro come una roccia nel parlare ma pronto a capitolare alle richieste degli Usa". A gettare acqua sul fuoco è intervenuto lo stesso Atias, esponente del partito religioso Shas. Rivolto ai coloni, il titolare dell'Edilizia ha spiegato che la decisione servirà al primo ministro, che incontrerà a giorni a Londra l'inviato speciale Usa per il Medio Oriente George Mitchell, "per dimostrare la buona volontà del governo d'Israele di progredire sulla strada della pace e raggiungere un accordo complessivo con i palestinesi".
Secca la bocciatura dell'accordo da parte di Danny Ayalon, ex ambasciatore israeliano alle Nazione Unite e viceministro degli Esteri in quota al partito nazionalista russofono Israel Beitenu. "Con tutto il dovuto rispetto per il primo ministro e i ministri, queste decisioni devono essere adottate nei forum deputati - ha dichiarato alludendo alla necessità di convocare una riunione del governo di coalizione - e nessuna decisione è stata presa in questi forum". Un congelamento della crescita edilizia in Cisgiordania è stato richiesto con insistenza dal Quartetto per il Medio Oriente e dall'Autorità nazionale palestinese come precondizione per la ripresa del negoziato

(il Velino, 18 agosto 2009)

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Sondaggio: Hamas in calo di popolarita', mentre Abu Mazen sale al 52%

18 ago. - Diminuisce la popolarita' di Hamas e aumenta il consenso dei palestinesi intorno ad Abu Mazen e al partito di Fatah. E' quanto emerge da un sondaggio effettuato dal Centro palestinese di analisi politica (Psr) secondo il quale il presidente dell'Anp ha conquistato tre punti negli ultimi 90 giorni attestandosi al 52% delle preferenze.
Solo il 38% degli intervistati voterebbe invece per Ismail Haniya, il primo ministro di Hamas a Gaza. Ampio lo stacco tra i due partiti: Fatah e' passato dal 41 al 44% delle preferenze, mentre Hamas e' sceso dal 33 al 28%.

(Clandestinoweb, 18 agosto 2009)

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La battaglia dentro la Striscia dice cose "molto interessanti".

Decine di morti, ma anche segnali di cambiamenti

Militanti armati del gruppo Jund Ansar Allah
In questi caldi giorni di agosto è sfuggita, tra le tante, una notizia degna d'attenzione: lo scontro a fuoco nella Striscia di Gaza tra uomini di Hamas e miliziani qaedisti. Merita tornarci su.
Hamas è un'organizzazione politico-militare palestinese, considerata terrorista, che è nata con l'a'ppoggio strumentale di Israele (interessata a quel tempo a creare un'alternativa palestinese alla forza di al-Fatah) e che si è evoluta elettoralmente fino a vincere le elezioni nella Striscia, battendo i candidati di al-Fatah. Il suo obiettivo politico, dichiarato, è la distruzione dello Stato d'Israele, ma nel suo interno ha comunque una minoranza che potremmo definire riformista, nel senso che non si dichiara contraria a una dialogo "reale" con Israele.
Lo scontro dell'altro ieri con una formazione politico-militare qaedista dice due cose:
1) che nella Striscia il radicalismo ufficiale di Hamas può generare tensioni ancora più estremiste, precipitando definitivamente nell'ambito della "guerra totale" tra l'Islam e l'Occidente la guerra "nazionalista" dei paelstinesi;
2) che Hamas non tollera forze "a sinistra" e intende gestire direttamente un possibile negoziato con Israele, lanciando anche un segnale di capacità di contenimento delle derive integraliste.
Nella crisi di transizione del conflitto "palestinese", le cose 1) e 2) vanno valutate con interesse, perchè incidono sulla costruzione del progetto di negoziato.

(La Stampa, 17 agosto 2009)

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Libano: una vacca 'sconfina' e crea un incidente diplomatico

BEIRUT - E' una vacca la responsabile dell' incidente che sta creando nuove polemiche fra Libano e Israele: nessuno vuole farsi carico della carcassa dell'animale precipitato qualche giorno fa in un 'wadi' (una piccola depressione del terreno) nei pressi di Kfar Chouba, dopo aver 'sconfinato' in territorio libanese alla ricerca di acqua. La carcassa dell'animale, scrive oggi il quotidiano libanese L'Orient le jour, è ormai divenuta preda di uccelli ed animali selvatici, ma nessuno nei due Paesi ha intenzione di rimuoverla. Un problema anche per i soldati indiani dell'Unifil, la missione Onu schierata nel Sud del Libano, cui è affidata la responsabilità della zona: per loro, quasi tutti di religione indù, la vacca è un animale sacro che andrebbe sepolto con tutti gli onori. Non è la prima volta che lo sconfinamento di animali da Israele è motivo di tensione fra i due Paesi. Il Libano accusa infatti gli agricoltori israeliani di spingere deliberatamente loro animali ad abbeverarsi in territorio libanese. Per evitare nuovi incidenti, ieri i soldati dell'Unifil hanno iniziato a erigere un recinto di filo spinato a protezione del bacino di Baathail, la principale riserva idrica delle contese colline di Kfar Shuba, territorio che Israele occupa parzialmente dal 1967.

(ANSA, 17 agosto 2009)

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Il sindacato inglese dei pompieri chiede il boicottaggio di Israele

ROMA, 17 ago - Dopo gli insegnanti medi e universitari e i giornalisti un'altra categoria di lavoratori britannici, i pompieri, chiedono di boicottare Israele. O meglio, lo chiede la principale associazione sindacale di vigili del fuoco d'oltremanica, la Fire Brigades Union (Fbu), che ha anche sollecitato la più grande associazione di lavoratori britannici, il Trade Union Congress forte di sei milioni e mezzo di iscritti, a fare lo stesso. Lo rivela il Jerusalem Post in una corrispondenza da Londra nella quale non si manca di sottolineare "lo strabismo" di una richiesta registrata pochi mesi dopo la firma di un protocollo di collaborazione tra i pompieri inglesi e quelli israeliani impegnati a creare la International Fire Fighter Unions Alliance, federazione internazionale dei sindacati del settore.
&In vista del suo congresso in programma a Liverpool a settembre, l'Fbu, che rappresenta l'85 per cento dei vigili del fuoco di Gran Bretagna, ha chiesto una "revisione" dei rapporti con Israele, una condanna dell'operazione militare "Piombo fuso" condotta dalle Israele Defense Forces su Gaza a inizio 2009, una censura del principale sindacato israeliano, la Histadrut Labor Federation (Hlf), per non avere preso le distanze da quell'azione e ancora la condanna dello Stato ebraico "per l'embargo verso Gaza, che è contrario al diritto internazionale". L'associazione dei vigili del fuoco chiede anche al governo di Sua Maestà di adottare "misure serie" contro Israele, dall'embargo sul commercio di armi, al blocco delle importazioni dei beni prodotti in Cisgiordania, alla sospensione degli accordi commerciali preferenziali tra l'Ue e Israele.
La richiesta del sindacato dei pompieri è stata criticata, riferisce ancora il Jerusalem Post da Eric Lee, rappresentante di Tulip, (Trade Unions Linking Israel and Palestine, ossia "Sindacato per unire Israele e la Palestina"), associazione di lavoratori inglesi, australiani e statunitensi, che punta, si legge nel suo statuto, "a contrastare gli apologeti di Hamas e di Hezbollah nel movimento dei lavoratori". Commentando la mozione che l'Fbu presenterà al proprio congresso Lee ha dichiarato: "Non capisco perché pensino di poter lavorare con i sindacalisti israeliani mentre chiedono la revisione dei rapporti con la Histadrut. È come se l'Fbu fosse vittima di un serio caso di schizofrenia". Per il sindacato dei vigili del fuoco ha risposto Mick Shaw secondo il quale la Fire Brigades Union a "semplicemente" chiesto una "revisione" dei rapporti con l'Histadrut che è però riconosciuta quale membro del movimento internazionale dei lavoratori ed è dunque titolata a partecipare alla creazione dell'International Fire Fighter Unions Alliance.
Critiche nei confronti del nuovo tentativo di emarginazione di Israele sorto nel mondo del sindacato britannico sono giunte anche da Trade Union Friends of Israel - i sindacati inglesi "amici di Israele". Secondo il suo direttore Stephen Scott queste decisioni sono contrarie allo spirito di solidarietà sindacale mentre lo Fbu e il Trade Union Congress dovrebbero "sviluppare le relazioni tra le controparti israeliane e palestinesi come modo per far progredire la pace e la cooperazione nella regione".

(il Velino, 17 agosto 2009)

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Un ebreo ai vertici del partito di Arafat

di Rolla Scolari

Uri Davis
Per la prima volta un ebreo è stato eletto ai vertici di Fatah, il partito dell'ex leader Yasser Arafat. Uri Davis (nel tondo, ndr), 66 anni, passaporto israeliano e britannico, è professore all'università araba al Quds.
Lo storico movimento palestinese ha da poco chiuso il suo primo congresso in vent'anni. L'obiettivo non troppo celato della conferenza era il tentativo di reinventare il partito e rinnovare l'immagine del gruppo che, in seguito alla vittoria dei rivali di Hamas alle elezioni del 2006 e alla disfatta militare a Gaza nel 2007, cerca di tornare protagonista della scena palestinese. L'entrata dell'israeliano Davis al secondo organo decisionale del partito, il Consiglio rivoluzionario, può essere parte del tentativo di Fatah di apparire diverso, anche se il professore non è in realtà un volto nuovo nel gruppo, di cui è membro dagli anni Ottanta. Dopo il voto, Davis è apparso sorridente, al collo la keffiyeh bianca e nera, simbolo del nazionalismo palestinese.
Il professore è nato nella Gerusalemme del mandato britannico da una famiglia di immigrati ebrei sionisti. Eppure oggi preferisce presentarsi come «palestinese ebreo, antisionista». È stato tra i primi obiettori di coscienza israeliani. Ha cominciato l'attività di militanza politica negli anni Settanta avvicinandosi a gruppi per i diritti umani, ma con il passare del tempo è andato oltre la sinistra israeliana più radicale fino a denunciare Israele definendolo uno «Stato di apartheid» in libri e pubblicazioni. Non sostiene, come fanno la comunità internazionale, Israele e la stessa Autorità nazionale palestinese di cui Fatah è parte, la soluzione a due Stati per il conflitto israelo-palestinese ma, come scrive sul suo sito - www.uridavis.info - uno «Stato democratico comune».
Davis è sposato con una palestinese e convertito all'islam. La sua elezione ha sollevato curiosità e l'attenzione dei mass media, dei giornali palestinesi ma soprattutto di quelli israeliani, anche se non si tratta di una prima assoluta: l'israeliano Ilan Halevi fu infatti attivo nell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina negli anni Ottanta. In Israele il pubblico è interessato alle sue posizioni per quanto riguarda la lotta armata palestinese. Soltanto nel 2008, un attentato che ha ucciso una donna e ferito 40 persone nella città meridionale di Dimona è stato rivendicato anche dalle Brigate dei Martiri di Al Aqsa, braccio armato di Fatah.
Nel congresso che si è appena chiuso, il rais Abu Mazen ha reiterato l'appoggio dell'Anp al processo di pace, ma anche alla «resistenza» come opzione, una dichiarazione che ha sollevato polemiche in Israele. «Davis è favorevole alla lotta armata dei palestinesi contro l'occupazione in Cisgiordania», gli ha chiesto la radio militare israeliana ieri? «Fatah - ha risposto - non fa appello alla lotta armata, ma si limita a rilevare che quella è un'opzione legittima per i popoli sottoposti a occupazione militare».

(il Giornale, 17 agosto 2009)

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Gaza: gruppo pro Al Qaeda minaccia attacchi ministeri e moschee

GAZA, 16 ago. - Resta alta la tensione nella Striscia di Gaza dopo la battaglia a Rafah tra le forze di sicurezza di Hamas e il gruppo pro-al Qaeda dei "Guerriglieri di Dio", che ha causato 24 morti e 120 feriti. Un altro gruppo che si dichiara vicino all'organizzazione di Bin Laden, Syuf Al-Haq Al-Islamiye, ha minacciato dalle pagine del suo sito web di far saltare in aria ministeri ed edifici di Hamas ma anche moschee.
Il gruppo radicale vuole vendicare la morte del leader religioso Abdel-Latif Mussa, ucciso negli scontri di venerdi' scoppiati dopo che in un acceso sermone, aveva proclamato la nascita di un "emirato islamico sunnita" nella Striscia, accusando Hamas di non applicare la sharia con il necessario rigore. "Non finisce qui", hanno avvertito i militanti del "Syuf Al-Haq Al-Islamiye" (Le spade della giustizia islamica).
"Abbiamo detto alla nostra gente che e' stata testimone di questi crimini che la guerra prosegue", si legge ancora nel messaggio. I cittadini di Gaza, dove Hamas e' al potere dal 2007, sono stati esortati dai militanti ad evitare la zona del Parlamento e quella dei tribunali militari, che sono tra gli obiettivi degli eventuali attentati. Intanto due organizzazioni dei diritti umani con sede nella capitale della Striscia, "Al-Damir" e "Centro palestinese per i diritti umani", hanno chiesto una indagine sulla strage. Le Ong hanno criticato l'atteggiamento dei gruppi radicali ma hanno accusato Hamas di aver utilizzato i suoi miliziani, anziche' le forze di sicurezza, per ristabilire l'ordine.

(AGI, 16 agosto 2009)

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Gaza, battaglia tra Hamas e qaedisti: tra i 22 morti anche il leader dei ribelli

Per la prima volta kamikaze in azione contro palestinesi
Scambio di accuse tra Hamas e l'Anp


ROMA (16 agosto) - E' di 22 morti e oltre 120 feriti il bilancio degli scontri scoppiati due giorni fa nella striscia di Gaza tra Hamas e miliziani del gruppo qaedista Jund Ansar Allah (i "guerrieri di Dio"). Nella battaglia intorno alla moschea di Iben Tayemah, a Rafah. Negli scontri è stato ucciso anche il capo dei ribelli, Abdelatif Mussa, che aveva proclamato la costituzione di un emirato islamico, accusando Hamas di mollezza nell'applicazione della legge coranica. Il Centro Palestinese per i Diritti Umani stima che gli uccisi nella battaglia siano 28....

(Il Messaggero, 16 agosto 2009)

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La sentenza del Tar del Lazio sull'ora di religione

di David Bidussa, storico sociale delle idee

David Bidussa
Intorno alle reazioni di parte cattolica, in merito alla decisione del Tar del Lazio sull'ora di religione, bisogna registrare un "salto di qualità" e nuove novità che avranno valenza generale che ci accompagneranno a lungo. Qualcuno ha parlato della dimostrazione del carattere illiberale dell'illuminismo. E' un giudizio privo di fondamento e che è a priori irricevibile. Non perché l'illuminismo sia incriticabile, ma perché il continuo ricorso a bollare, con concetti assunti come spregiativi, le opinioni e le convinzioni con cui non si è d'accordo, da chiunque si metta a-priori al di sopra delle parti, appartiene a una retorica che nella storia - passata e presente - è stata ed è propria delle culture illiberali, comunque fondate sull'intolleranza. Non è l'unica questione. Qualcuno ha anche dichiarato che quella sentenza ha un carattere illiberale perché disconosce: "l'ora d'insegnamento della religione cattolica in quanto appartenente alla cultura italiana". Trovo che quest'affermazione implichi vari sottintesi. Li elenco in ordine sparso senza un preciso e predefinito ordine gerarchico. Per la precisione mi pare che con quelle parole si dica che:

1) a trent'anni circa dalla scrittura delle intese con le molte confessioni religiose in Italia, ottimo sarebbe tornare alla situazione che precedeva, ovvero quella dove le altre confessioni, se presenti,
erano al più tollerate;
2) l'ora di religione è l'ora di catechismo;
3) l'alternativa all'ora di religione cattolica non è l'educazione civica, o forse più propriamente una disciplina come "storia delle religioni", ma è il "niente", comunque un surrogato che non conta nulla e che soprattutto, a livello formativo, è il vuoto;
4) l'etica pubblica la distribuisce, la gestisce e la fonda l'ora di religione cattolica;
5) chi non si avvale dell'ora di religione cattolica, perciò stesso, rinuncia a un pezzo dell'identità nazionale.

Se si avvale di un'ora di altro catechismo è tollerato, forse è recuperabile (vedremo in corso
d'opera come), altrimenti è un cittadino a cultura parziale e a identità nazionale incompleta. Con queste premesse gli dareste mai un incarico pubblico? In ogni caso è un "cittadino sospetto" e come tale forse si auspica che domani sia tenuto sotto sorveglianza. Magari, con un verbo molto novecentesco, per rieducarlo.

(Notiziario Ucei, 16 agosto 2009)

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Ebrei ortodossi contro il parcheggio di sabato

Ebrei ultra-ortodossi di nuovo in strada, a Gerusalemme, contro la riapertura di un parcheggio durante lo shabbat. Almeno 8 persone sarebbero state arrestate dalla polizia. Da 8 settimane gli ultraortodossi stanno protestando contro la decisione del sindaco laico di Gerusalemme, Nir Barkat, di tenere aperto un parcheggio vicino alla Città Vecchia anche di sabato, giorno consacrato dalla dottrina al totale riposo....

(euronews, 16 agosto 2009)

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Un ebreo nella direzione di al-Fatah. "Sono un palestinese che parla ebraico"

Il professore è stato uno dei primi obiettori di coscienza di Israele

RAMALLAH - Svolta storica per al-Fatah. Per la prima volta un ebreo è stato eletto nella direzione del partito dell'attuale presidente dell'Autorità nazionale palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas). Uri Davis, questo il nome del neoeletto, ha 66 anni ed è un professore di sociologia all'Università Al Qods di Abu Dis, alla periferia di Gerusalemme est.
"Sono di nazionalità israeliana e britannica, ma mi considero innanzitutto un palestinese che parla ebraico", ha dichiarato Davis all'agenzia Afp prima della sua elezione, avvenuta domenica scorsa ma resa nota solo oggi. Il militante antisionista, iscritto ad al-Fatah dal 1984 (il partito venne fondato nel 1959 da Yasser Arafat), è stato uno dei primi obiettori di coscienza di Israele e ora dichiara di voler rappresentare in seno al partito "centinaia di militanti non-arabi che hanno partecipato alla lotta palestinese".

(la Repubblica, 15 agosto 2009)

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Gaza, ucciso capo estremista negli scontri con la polizia di Hamas

Il capo del gruppo Jund Ansar Allah durante
le preghiere prima degli scontri
GAZA - Abdelatif Moussa, capo del gruppo islamico salafita Jund Ansar Allah, è stato ucciso dalla polizia di Hamas nel corso della sparatoria di ieri nella striscia di Gaza. Un rappresentante del gruppo integralista palestinese ha confermato che nel violento scontro a fuoco avvenuto ieri a Rafah, nel sud della Striscia, tra la polizia di Hamas e il gruppo Jund Ansar Allah, è stato ucciso il leader di questo movimento ultraradicale vicino ad al Qaeda.
Nella battaglia di ieri, durata circa sette ore e finita solo in tarda sera, almeno 22 persone sono state uccise e oltre 120 ferite. Il bilancio è stato aggiornato dal locale ministero dell'Interno del governo di fatto di Hamas, secondo il quale negli scontri da ambo le parti è stato fatto ampio uso di armi automatiche, razzi ed esplosivi.
Lo scontro tra le due fazioni è scoppiato dopo che Moussa, in aperta sfida a Hamas, il movimento islamico ma di impronta nazionale palestinese al potere a Gaza, aveva proclamato in una moschea di Rafah in presenza di una folla di suoi sostenitori armati la costituzione di un 'emirato islamico' e aveva tra l'altro accusato Hamas di mollezza nell'applicazione della legge coranica. La reazione di Hamas è stata immediata. E' scoppiata così una vera e propria battaglia che ha apparentemente causato vittime anche tra la popolazione civile.
A questa è poi seguita una vera e propria caccia all'uomo da parte di miliziani di Hamas. In precedenza altre fonti avevano riferito che Abdelatif era stato ucciso nel corso di un'operazione di repressione dopo le preghiere del venerdì.
Il portavoce del ministero ha detto che tra gli uccisi figurano 15 "fuorilegge", incluso un siriano, e sei poliziotti di Hamas. Una quarantina di persone inoltre sono state arrestate. Fra gli uccisi figura anche Mohammed Al-Shimali, capo delle Brigate Qassam a Gaza, che Israele ritiene implicato nel rapimento del soldato Ghilad Shalit, nel giugno del 2006.

(la Repubblica, 15 agosto 2009)

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Leader di Hezbollah minaccia Israele

Il leader degli hezbollah libanesi, Hassan Nasrallah, ha escluso che a breve possa scoppiare una nuova guerra con Israele ma ha aggiunto che il suo movimento è pronto a rispondere a qualsiasi attacco. «Nell'immediato non pensiamo che possa esserci un altro conflitto contro il Libano», in un discorso davanti a migliaia di simpatizzanti riuniti alla periferia sud di Beirut per il terzo anniversario della fine delle ostilità tra Hezbollah a Israele. «Noi non vogliamo certo un'altra guerra ma non la temiamo e diciamo che se dovessero bombardare Beirut o la sua periferia noi bombarderemmo Tel Aviv». Nell'estate 2006, lo Stato ebraico ha condotto una guerra di 34 giorni contro i miliziani di Hezbollah in risposta ai razzi lanciati contro il suo territorio.

(il Giornale, 15 agosto 2009)

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Peace Now, Shalom Achshav, Sciocchezze Sempre

di Angelo Pezzana

Oltre alla pura e semplice invocazione di "pace adesso", sulla quale credo nessun israeliano avrebbe da eccepire, sempre che l'accordo sia quello giusto, per tutto il resto Peace Now non ha fatto altro che produrre chiacchiere, e nemmeno tutte di buona qualità. L'ultima, in ordine di tempo è quella che ha per protagonista il Ministro della Difesa Ehud Barak, del quale tutto si potrà dire, e qui lo dicono, ma non che sia uomo della destra, anche se fa parte di un governo di coalizione, fatto non inusuale in Israele Quale colpa ha commesso, per attirare l'attenzione su di sé da parte dei "pace con qualunque mezzo e a qualunque costo"? E' andato alla sinagoga Ohel Torah la scorsa domenica per festeggiare l'arrivo di nuovi rotoli della Torah. E dov'è il problema? Il problema sta nel fatto che il Tempio si trova nella zona musulmana della città vecchia, per cui gli zelanti di Pace Adesso gli hanno rimproverato, addirittura, di avere contravvenuto, con la sua sola presenza, il divieto imposto da Stati Uniti e dagli organismi intrenazionali. Poiché non ci sono state proteste formali da parte araba alla presenza di Barak alla cerimonia, devo supporre che i pacifisti israeliani si sono autonominati interpreti di quello che Israele può o non può fare, se entrare in una sinagoga che si trova solo adesso nella zona araba è lecito a un ebreo oppure no. La storia dell'edificio è interessante e aiuta a capire. Il tempio fu costruito nel 1867 (impero ottomano), e in quel quartiere vivevano allora circa 5000 ebrei. Fu poi abbandonato nel 1938, a causa degli atti di terrorismo degli arabi, che costrinsero gli ebrei ad allontanarsi dalla zona (chi governava era il mandato britannico). Ma il tempio, che dista solo 100 (cento) metri dal Kotel (il muro occidentale), è stato riattivato dopo la liberazione di Gerusalemme nel '67, e la sua attività non ha mai dato adito a screzi con le autorità musulmane. Forse, ai nostri pacifisti, disturba il fatto che l'edificio sia stato riacquistato nel 1994 da quel Irving Moskowitz, che da anni investe capitali (suoi) per acquisire proprietà un tempo ebraiche. Il fatto che ci siano dei venditori e che il tutto si svolga secondo le regole della compravendita, sfugge ai nostri eroi, i quali vedono rosso appena sentono il suo nome. Gerusalemme ha da essere divisa, pensano, ma mentre nella parte ebraica i cittadini arabi ci vivono tranquillamente, quella araba deve essere judenrein. Ragionano così i nostri pacifisti, convinti che Israele corre seri pericoli senza il loro aiuto. Adesso hanno un alleato dalla loro, non di poco peso, che risponde anche lui al nome di Barack (con una c in più del Ministro israeliano), e che di cognome fa Obama. E questo, occorre prenderne atto, è un problema.

(Informazione Corretta, 15 agosto 2009)

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La sentenza del TAR sull'ora di religione è corretta, questa l'opinione di "Noi Siamo Chiesa"

Anche tanti cattolici, come tutti i protestanti e gli ebrei, condividono la sentenza del TAR sull'ora di

Il portavoce nazionale di "Noi Siamo Chiesa" Vittorio Bellavite ha rilasciato la seguente dichiarazione :
"Non sono affatto monocordi le opinioni critiche nel mondo cattolico nei confronti della sentenza del TAR del Lazio. C'è anche un'area di opinione che la condivide in quanto conseguenza di principi irrinunciabili per cattolici che considerano la laicità (senza aggettivi) delle istituzioni patrimonio della loro fede. In sintesi cerco di esporre questo punto di vista...

(Noi Siamo Chiesa, 13 agosto 2009)

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Giornata della Cultura Ebraica

Domenica 6 settembre, il 17 Elul 5769 del calendario ebraico, in 28 Paesi del Vecchio Continente si celebra la Giornata Europea della Cultura Ebraica, occasione imperdibile per scoprire la presenza ebraica e le testimonianze culturali, ma non solo, che le comunità ebraiche hanno lasciato in tutta Europa.
La manifestazione, che festeggia il suo primo decennale, quest'anno è dedicata ad un tema assolutamente affascinante, quello delle feste e tradizioni ebraiche.
59 le località coinvolte. In ciascuna di esse sinagoghe, luoghi di culto e di incontro, quartieri che hanno vissuto la presenza di comunità ebraiche saranno aperti alla visita. In molti casi saranno gli stessi componenti delle Comunità ebraiche a fungere da guida. Ma a creare un clima di festa e di accoglienza concorreranno anche le iniziative che ciascuna località ha messo in cantiere: spettacoli, concerti, mostre, incontri, conferenze, proposte gastronomiche, il tutto, naturalmente, nel rigoroso rispetto della grande tradizione ebraica. Una tradizione che presenta molte sfaccettature, visto che attraversando l'Europa e il Mediterraneo, la cultura ebraica si è confrontata con popoli e tradizioni diverse, mutuando specificità pur all'interno della grande, unica tradizione. Basti pensare alla ricchezza dei generi musicali conosciuti oggi come musica klezmer, sefardita, sinagogale, yiddish e chassidica, ciascuno influenzato da paesi e consuetudini diverse.
La Giornata, accolta nelle precedenti edizioni con crescente consenso - molte più di 50mila le presenze registrate lo scorso anno in Italia - è promossa dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane con l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica e il Patrocinio dei Ministeri per i Beni e le Attività Culturali, dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca, e delle Politiche Europee.
Com'è nella tradizione della Giornata, ogni anno una città viene indicata come ideale "capofila" delle località coinvolte. Per la decima Giornata sarà Trani, città pugliese che per un millennio è stata di riferimento per tutte le comunità ebraiche nel Mezzogiorno d'Italia, un percorso illustre, bruscamente interrotto nel 1541, allorché l'editto di espulsione dal Regno di Napoli, emanato dal re spagnolo Ferdinando, colpì gli ebrei del Sud d'Italia.
Queste le località coinvolte nella decima Giornata: Alessandria, Ancona, Asti, Biella, Bologna, Bozzolo, Carmagnola, Carpi, Casale Monferrato, Cherasco, Chieri, Cittanova, Correggio, Cuneo, Ferrara, Finale Emilia, Fiorenzuola D'Arda, Firenze, Genova, Gorizia, Ivrea, Livorno, Lugo di Romagna, Mantova, Merano, Milano, Modena, Moncalvo, Mondovì, Monte S. Savino, Napoli, Ostiano, Padova, Parma, Pesaro, Pisa, Pitigliano, Pomponesco, Reggio Calabria, Reggio Emilia, Roma, Sabbioneta, Saluzzo, San Nicandro Garganico, Senigallia, Siena, Siracusa, Soncino, Soragna, Torino, Trani, Trino Vercellese, Trieste, Urbino, Venezia, Vercelli, Verona, Viadana, Vicenza

I programmi di ogni singola località saranno consultabili su:
Chi volesse conoscere le iniziative dei 28 Paesi europei, potrà consultare il sito:

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E se Olmert querelasse Mazuz?

di Angelo Pezzana

Menachem Mazuz
L’Avvocatura dello Stato ha in Israele una funzione importante e delicata. Deve infatti indagare sulle denunce che toccano personalità pubbliche, in gran parte politici e uomini del governo, oppure nomi illustri del gotha finanziario che finiscono sotto inchiesta, quasi sempre per corruzione. Ehud Olmert, per esempio, ha trascorso metà del tempo che l’ha visto svolgere le funzioni di Premier, entrando e uscendo da interrogatori riguardanti le inchieste che l’Avvocatura aveva aperto contro di lui. Menachem Mazuz, è l’Avvocato. Figura notissima, all’apparenza indipendente dal potere politico, ha in mano il destino della classe dirigente israeliana. Olmert ha finito il suo incarico sotto il peso di accuse molto gravi, nelle quali la corruzione era il comun denominatore. Leggo invece su Haaretz, con stupore, visto che il giornale non l’ha mai trattato con i guanti, che alcune tra le accuse più gravi che gli erano state rivolte sono finite in un niente di fatto, e che Mazuz le ha archiviate, in quanto “ non c’erano elementi sufficienti a comprovarle “. Lo stupore aumenta quando prendo atto che la casa privata acquistata in via Cremieux a Gerusalemme, sulla quale sono stati stampati fiumi di accuse, con annessi anche i particolari più insignificanti, era invece un atto d’acquisto regolare, mentre, credo, la maggior parte dell’opinione pubblica, me compreso, era convinta del contrario. Non ha mai nemmeno intascato 1 milione di shekel per favorire un Ospedale a Netanya, mentre invece l’accusa faceva anche il nome di chi gliel’aveva dato. Chiusa l’investigazione per mancanza di prove. Idem per quanto riguarda la banca Leumi, l’accusa era quella di aver cercato di aiutare un magnate australiano, Frank Lowy, a prendere il controllo della maggioranza delle azioni (Olmert era nel 2005 Ministro delle Finanze). Anche in questo caso, l’inchiesta si è chiusa con un niente di fatto, prove non ce n’erano. Sembra che le uniche malversazioni commesse da Olmert fossero i rimborsi per viaggi effettuati e presentati due volte, e la falsificazione di alcune ricevute per spese durante viaggi all’estero, illecito commesso d’accordo con una agenzia di viaggi. Ottenere due volte dei rimborsi, e falsificare delle ricevute non saranno gesti da primo ministro, ne indicano la natura di sicuro poco elegante, ma sono decisamente lontani dalle ben più gravi accuse rivelatesi inesistenti, e per le quali l’immagine pubblica di Olmert è stata definitivamente deturpata. La notizia è infatti uscita senza grandi clamori, senza che nessun giornalista abbia sentito la curiosità di intervistare Menachem Mazuz, l’Avvocato dello stato, per chiedergli conto del perchè prima si distrugge l’immagine di un uomo pubblico, a di quel livello, senza poi dirgli nemmeno un “ ci scusi, avremmo dovuto indagare meglio, prima di buttare il suo nome in pasto all’opinione pubblica “. Con il prossimo anno a Mazuz scade il mandato, speriamo che il prossimo avvocato stia più attento, adesso sotto i suoi riflettori c’è il ministro degli esteri Avigdor Lieberman, vediamo se le inchieste si concludono prima di rovinargli la reputazione.

(Informazione Corretta, 14 agosto 2009)

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Fatah, nuovo vertice più duro con Hamas

Stampa israeliana: vuole la rivincita a Gaza

TEL AVIV (14 agosto) - Segnali di un atteggiamento più duro verso gli islamico-radicali di Hamas emergono dalla prima riunione del nuovo Comitato centrale di Fatah, il partito storico della causa palestinese, laico e nazionalista, reduce dal congresso di Betlemme che - dopo 20
anni - ne ha ridisegnato gli organismi dirigenti. Lo rileva oggi il giornale israeliano Haaretz sulla base di dichiarazioni di prima mano.
Convocato per la prima volta ieri a Ramallah (Cisgiordania), il Comitato si è presentato nella sua nuova formazione, con il presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), Abu Mazen (Mahmud Abbas), affiancato da pochi veterani superstiti e da una maggioranza di neoeletti, per lo più cinquantenni. Una maggioranza nella quale appare rafforzata l'ala (guidata fra gli altri da uomini provenienti dai servizi di sicurezza già aperti a rapporti di cooperazione operativa con gli apparati israeliani e americani come Mohammed Dahlan, Hussein al-Sheikh o Tawfik Tirawi e dal capo negoziatore dell'Anp, Saeb Erekat) decisa ad assumere un atteggiamento più rigido con Hamas. E magari a pianficare una rivincita nella Striscia di Gaza, la porzione di territorio palestinese passata nel 2007 sotto il pieno potere degli integralisti in un quadro di rottura di fatto con la Cisgiordania controllata dall'Anp e da Fatah.
Tra i componenti entranti del Comitato centrale solo Jibril Rajub - altro ex dirigente dei servizi di sicurezza dell'Anp, ma fratello di un esponente di Hamas detenuto in Israele - sembra puntare davvero su un'accelerazione degli sforzi di riconciliazione avviati fra le due fazioni rivali sotto l'onbrello della mediazione egiziana. Mentre a riecheggiare gli umori ostili a Hamas non si sottrae un altro neoletto di spicco come Ziad Abu Ayin, rappresentante della folta diaspora palestinese in Libano già impegnato - nei campi profughi libanesi - a contrastare l'infiltrazione di gruppi radicali ispirati da Al Qaeda. «Noi - ha detto Ayin ad Haaretz - dobbiamo avvertire Hamas che i negoziati non proseguiranno senza fine. Hamas ha di fatto trasformato un milione e mezzo di palestinesi residenti nella Striscia di Gaza in ostaggi e la leadership di Fatah deve valutare come poterli liberare: se con il negoziato o con il combattimento. Hamas ha sconfitto Fatah alle elezioni del 2006 perché Fatah allora era nel caos, ma oggi che abbiamo serrato le nostre file esiste un nuovo Fatah. Quello vecchio è morto e Hamas può essere sconfitto».

(Il Messaggero, 14 agosto 2009)

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Passatempo israeliano di mezza estate: la caccia alla sirena

Il comune di Kyriat Yam promette una ricompensa di un milione di dollari per chi la fotograferà.

(la Repubblica, 14 agosto 2009)

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Oman e Qatar disposti a riaprire relazioni con Israele

Se Stato ebraico accetterà moratoria di un anno su insediamenti

Oman e Qatar sono disposti a riaprire le proprie relazioni diplomatiche con Israele se lo Stato ebraico accetterà una moratoria sulle attività edilizie negli insediamenti: è quanto riporta il quotidiano israeliano H'aretz, citando fonti governative statunitensi. L'Amministrazione Obama avrebbe proposto a Israele una moratoria di un anno come incentivo per la normalizzazione dei rapporti fra i Paesi arabi ed Israele: l'offerta sarebbe stata avanzata dal rappresentante della Casa Bianca per il Medio Oriente, George Mitchell, che incontrerà il premier israeliano Benjamin Netanyahu il 26 agosto prossimo a Londra; una riposta potrebbe arrivare il 22 settembre prossimo, in occasione dell'Assemblea generale dell'Onu a New York. Washington avrebbe avuto invece minor successo con l'Arabia Saudita, che tira le fila della politica araba nei confronti dello Stato ebraico e che non avrebbe intenzione di premiare Israele se non in caso di un accordo sullo status finale dei Territori. L'ambasciata israeliana nell'Oman è stata chiusa nel 2001, dopo lo scoppio della seconda Intifada; identica sorte ha corso la rappresentanza commerciale nel Qatar in seguito all'offensiva israeliana nella Striscia di Gaza, nello scorso dicembre.

(Virgilio Notizie, 14 agosto 2009)

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Gruppo palestinese rivendica il rapimento di un soldato israeliano

GERUSALEMME, 13 ago. - Un gruppo palestinese finora sconosciuto, il sedicente "Esercito di al Quds", ha dichiarato oggi di aver rapito un soldato israeliano. Lo ha riferito l'agenzia stampa palestinese Ma'an. L'esercito israeliano ha riferito che sta indagando sulla notizia.

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Israele smentisce il rapimento di un soldato

GERUSALEMME, 14 ago. - L'esercito israeliano ha escluso che un suo soldato sia stato rapito, come si era temuto nel pomeriggio di ieri. Dopo aver controllato la presenza di tutti i soldati e' stato emesso nella notte un comunicato congiunto dell'esercito, la polizia e i servizi d'intelligence dello Shin Bet che "esclude" la possibilita' di un rapimento. Il livello di allerta e' stato subito abbassato, ha confermato una portavoce dell'esercito all'agenzia stampa tedesca Dpa.

(Adnkronos, 14 agosto 2009)

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Terrorismo: Meir (Israele), c'e' stretto legame con media internazionali

CORTINA, 13 ago - ''C'e' un legame molto stretto tra alcuni media internazionali ed il terrorismo''. Lo ha detto a CortinaIncontra Gideon Meir, ambasciatore d'Israele in Italia. ''Questo lo dico in base all'esperienza che ho fatto prima di diventare ambasciatore: tenevo le relazioni con giornali di tutto il mondo'' ha specificato Meir, che soffermandosi sui giornali italiani ha affermato che ''sono i piu' obiettivi di tutta l'Europa'' [figuriamoci gli altri! ndr].

(ASCA, 13 agosto 2009)

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Congresso Mondiale di Studi Ebraici a Gerusalemme

Sergio Della Pergola, demografo Università Ebraica di Gerusalemme

Sergio Della Pergola
Si è concluso a Gerusalemme il Quindicesimo Congresso Mondiale di Studi Ebraici che ha visto la partecipazione di 2.500 ricercatori da tutto il mondo. È il massimo convegno come numeri ed è tuttora incomparabile per la qualità di molti degli interventi (diciamo non tutti) nei più svariati campi di studio dell'ebraismo come complesso di simboli, di idee e di società. Ci si può chiedere se sia ancora possibile dire qualcosa di nuovo dopo che tanto è stato scritto sul mondo ebraico e le sue emanazioni spirituali, culturali e sociali. I dibattiti di questi ultimi giorni dimostrano come il tema sia in realtà inesauribile grazie all'apporto di nuove scoperte documentarie e di nuovi metodi interpretativi, e ai rinnovati dibattiti su cose già note che si possono sempre rileggere da diverse angolature. Per rimanere nella contemporaneistica, segnalo un acceso dibattito sulla questione se l'identità degli ebrei della diaspora sia primariamente ebraica-nazionale o nazionale-ebraica. Per fare un esempio: Ebrei italiani o Italiani ebrei? Questione non nuova, c'è chi dirà insulsa dato che entrambe le definizioni sono necessarie, complementari, e insufficienti. Ma questo confronto ci rammenta la necessità di collocare lo studio degli ebrei come collettivo e come singoli in un'ottica sia locale-nazionale, sia transnazionale-globale. Su questo punto non solo la ricerca ma anche il discorso comunitario ha ancora molto da dire.

(Notiziario Ucei, 13 agosto 2009)

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Israele, esercito e polizia in allarme. "Militare forse rapito nel centro del Paese"

Nel 2006 il caporale Shalit venne sequestrato da palestinesi nella Striscia di Gaza

GERUSALEMME - Indagini a tappeto in Israele, nel timore che un altro soldato possa essere stato rapito, dopo il caporale israeliano Gilad Shalit, sequestrato nel 2006 da militanti palestinesi nella Striscia di Gaza. Ad accrescere l'allarme c'è il fatto che se di rapimento si tratta è avvenuto non a Gaza o in Libano ma all'interno del territorio nazionale israeliano, e più precisamente nel centro del Paese.
Le informazioni fornite da un portavoce dell'esercito confermano le indiscrezioni riportate in precedenza da alcuni mass media locali, secondo cui è possibile che il militare sia stato sequestrato nei pressi dell'aeroporto internazionale 'David Ben Gurion', alle porte di Tel Aviv. Posti di blocco sono stati istituiti in tutta l'area.
Proprio in queste ore, intanto, fonti egiziane citate sul sito web del quotidiano Haaretz, affermano che presto una delegazione di Hamas si recherà al Cairo per continuare le trattative sul rilascio del caporale israeliano Shalit. La fonte non ha specificato i nomi dei componenti della missione, spiegando però che ai colloqui è atteso anche l'inviato speciale di Israele, Haggai Hadas.
Mahmoud al-Zahar, uno dei quattro membri di Hamas che a marzo avevano condotto intensi negoziati indiretti sulla questione Shalit, è stato al Cairo nei giorni scorsi. A marzo era stato affiancato dal capo dell'ala militare del movimento di resistenza islamico, Ahmed al-Jabari, e da Marwan Issa e Nizar Awadallah, tuttavia non è sicuro che anche questa volta i tre siano presenti all'incontro nella capitale egiziana.

(la Repubblica, 13 agosto 2009)

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Scuola: evangelici contro Gelmini e Coletti, pronti a battaglia legale

Domenico Maselli
ROMA, 13 ago - ''Contrariamente agli anni precedenti questa volta andremo fino in fondo. In caso di invalidazione anche di questo pronunciamento faremo ricorso alla Corte costituzionale''. Promette una battaglia legale all'ultimo sangue il pastore Domenico Maselli, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), rispondendo cosi' al ministro della Pubblica Istruzione, Mariastella Gelmini, la quale ha gia' annunciato l'appello al Consiglio di Stato contro la decisione del Tar del Lazio in materia di crediti scolastici per gli studenti che si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica (Irc).
''Mi stupisco delle reazioni cosi' accese intorno ad una sentenza che semplicemente ribadisce il dettato costituzionale della laicita' dello Stato - afferma Maselli in una dichiarazione diffusa dall'agenzia evangelica Nev -.
Non si tratta di lotta anticattolica, ma della tutela dei diritti di quegli scolari che non si avvalgono dell'Irc. La sentenza e' la diretta conseguenza sia del fatto che l'ora di religione, sulla base dello stesso Concordato, e' facoltativa, sia della dichiarazione della Corte Costituzionale secondo cui la Repubblica Italiana ha tra i suoi fondamenti il principio supremo della laicita''', prosegue il presidente della Fcei, che e' tra le associazioni che hanno promosso il ricorso accolto dal Tar del Lazio, insieme a decine di associazioni laiche e a diverse confessioni religiose non cattoliche - avventisti, battisti, ebrei, luterani, pentecostali, e valdesi -, nonche' a due studenti che in sede di scrutinio degli esami statali si erano visti discriminati nell'attribuzione del voto finale.
Sempre alla ministro Gelmini, che commentando la sentenza del Tar ha parlato di una forma di nichilismo e relativismo, Maselli ribatte: ''La laicita' non ha nulla a che vedere con il nichilismo religioso, perche' prevede il rispetto e la tutela di tutte le religioni e delle opinioni religiose. Non dimentichiamo che parliamo di un insegnamento di 'religione cattolica' inteso in senso catechistico, e che gli insegnanti sono scelti non mediante concorso statale, ma per nomina vescovile. Diverso sarebbe se si trattasse di un insegnamento scientifico e aconfessionale di storia delle religioni che permetterebbe anche il libero orientamento degli studenti''.
Il pastore Maselli risponde anche al presidente della Commissione Cei per l'educazione cattolica, mons. Diego Coletti, che ieri ha parlato di ''bieco illuminismo''. La separazione tra Stato e Chiesa, ricorda, risale a prima dell'illuminismo: ''Nel 1636, fu il pastore battista Roger Williams, che fondo' la colonia di Rhode Island e la citta' di Providence, ad istituire la separazione tra potere civile e religioso sulla base della completa liberta' religiosa.
Qualche anno dopo nacque la colonia cattolica del Maryland che applico' anch'essa lo stesso principio. Un'idea dunque non certo illuminista, ma che storicamente parte dal mondo delle chiese evangeliche''.

(ASCA, 13 agosto 2009)

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A proposito del premio sull’esistenza delle sirene

Confessione

Pare che dopo la notizia secondo cui un comune dello Stato d'Israele ha offerto un milione di euro a chi provi l'esistenza delle sirene, numerose cittadine dell'ex Cecoslovacchia intendono lanciare un premio per chi dimostri di avere fatto colazione con un golem. In Israele, c'è preoccupazione. E' vero che l'iniziativa è stolida e le centinaia di persone che hanno fatto colazione con un golem sono morte, ma esse erano i pro-pro-pro-zii delle centinaia e centinaia che hanno avvistato le sirene. Il che obbligherebbe a confessare che cosa metta tutta questa gente nel brodo di pollo il venerdì sera.

Il Tizio della Sera     

(Notiziario Ucei, 13 agosto 2009)

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Delegazione di Hamas al Cairo per negoziare la liberazione di Shalit

Nella capitale egiziana atteso anche il negoziatore israeliano

Una delegazione di Hamas si recherà a breve in Egitto per colloqui sul rilascio del soldato israeliano Gilad Shalit, ostaggio del miliziani palestinesi da oltre tre anni. Lo affermano fonti egiziane, secondo quanto riporta il sito web del quotidiano israeliano Haaretz. Le fonti non hanno precisato i nomi dei membri della delegazione, ma hanno riferito che al Cairo è anche atteso nelle prossime ore l'inviato speciale israeliano per il dossier Shalit, Haggai Hadas. Il quotidiano arabo pubblicato a Londra Al Sharq al Awsat, citando sempre fonti egiziane, ha riferito ieri che sono stati compiuti progressi verso un accordo per il rilascio del soldato israeliano. Il negoziato si svolge sotto la mediazione dell'Egitto.

(Virgilio Notizie, 13 agosto 2009)

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Se ne discute in Israele

Yediot Aharonot osserva che gli americani si oppongono fortemente alle costruzioni nell'area E-1, vicino a Maaleh Adumim, perché questo non solo collegherebbe Ma'aleh Adumim con Gerusalemme, ma anche - sostengono - interromperebbe la contiguità territoriale di qualunque futuro stato palestinese. Quindi l'l'editoriale sollecita i vari parlamentari e ministri che hanno parlato in favore delle costruzioni nell'area E-1 vicino a Maaleh Adumim a tacere perché "sanno la verità: non ci saranno costruzioni nell' E-1".

Ma'ariv critica aspramente la richiesta del ministro dell'interno e presidente di Shas, Eli Yishai, che il presidente d'Israele Shimon Peres condoni l'ex parlamentare di Shas e ministro Shlomo Benizri, recentemente condannato per corruzione, frode, abuso di fiducia, ostacolo alla giustizia e cospirazione. Il giornale si dice "sconvolto e disgustato" dall'impudenza del capo di un partito, sette parlamentari del quale sono criminali condannati, di poter chiedere tale perdono". Il giornale scrive: "Nessuno nega i fallimenti nel trattare con gli immigranti sefarditi nei primi anni dello Stato, con la discriminazione continuata anche dopo, e i divari che si sono creati. L'obiettivo dello Shas di combattere contro tutto questo è assolutamente legittimo. Il problema è che il partito ha apparentemente perso ogni controllo e ritiene che tutto sia valido per correggere la discriminazione e compensare il passato. Bisogna sfruttare lo Stato e prendere dallo Stato tutto il possibile e, secondo alcuni, perfino infrangere la legge. E, secondo Yishai, a quanto pare, perfino cancellare questi misfatti con un condono".

Yisrael Hayom commenta il congresso di Fatah a Betlemme e dice che molti di quelli che sono stati eletti a posizioni di leadership- Marwan Barghouti, Jibril Rajoub, Muhammad Dahlan e Tewfik Tirawi, fra gli altri - hanno acquisito importanza durante la prima intifada. L'editoriale ritiene che la "nuova-vecchia leadership di Fatah" stia cercando di "rinnovare il suo appeal avviandosi su una nuova strada nella sua lotta continua, non con Israele, ma contro Hamas".

Il Jerusalem Post, preoccupato che il carattere di Gerusalemme cambi in peggio a causa dell'estremismo ultraortodosso, dichiara: "Sia che si tratti di un parcheggio aperto di Shabbat, degli autobus segregati secondo il sesso o dell'applicazione della legge in modo equo, noi esortiamo le autorità a tener duro. E ci appelliamo agli ortodossi tradizionali, la maggioranza dei quali, confidiamo, non si identifica con le tattiche degli estremisti, affinché prendano la parola almeno per richiedere tolleranza, anche se la loro coscienza non permette loro di sostenere il pluralismo".

Haaretz fa riferimento all'ammonizione publica fatta a Nadav Tamir, console generale di Israele a Boston, dopo la pubblicazione di un memoriale interno in cui Tamir metteva in guardia su una crisi nei rapporti tra Israele e Stati Uniti, e scrive che "il nostro pimo ministro e il nostro ministro degli esteri preferiscono ancora 'quelli che hanno la nostra stessa posizione', rifiutando l'esistenza di un servizio civile professionale le cui valutazioni differiscono dagli ordini dei politici e dalla propaganda ufficiale". Aggiungendo che è un grave pericolo neutralizzare i professionisti e trasformarli in portavoce dei partiti al potere, l'editoriale afferma che "Netanyahu e Lieberman devono permettere ai professionisti di fare il loro lavoro".

(israele.net, 13 agosto 2009)

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Torna la Giornata Europea della Cultura Ebraica

Sara' celebrata il 6 settembre in 59 localita' italiane e in 27 paesi europei. La manifestazione, alla quale si aggiunge la prima edizione del Festival della Cultura Ebraica in Puglia, che si svolgera' dal 6 al 10 settembre.

ROMA - Far conoscere una cultura antica che ha contribuito a creare l'identita' italiana ed europea. Combattere i pregiudizi razziali che si abbattono contro le minoranze etniche e religiose. Costruire un ponte tra il Mediterraneo e la cultura ebraica riscoprendo tradizioni e costumi. Sono questi gli obiettivi principali della decima Giornata Europea della Cultura ebraica che sara' celebrata il 6 settembre in 59 localita' italiane e in 27 paesi europei. La manifestazione, alla quale si aggiunge la prima edizione del Festival della Cultura Ebraica in Puglia, che si svolgera' dal 6 al 10 settembre. ''Per l'edizione di quest'anno - ha spiegato Alain Elkann - abbiamo scelto di attribuire a Trani, in Puglia, il ruolo di citta' capitale della cultura ebraica cosi' come, nel 2008, la capofila della manifestazione e' stata Milano. Il tema centrale sul quale punteremo la nostra attenzione sara' quello del ciclo della vita. Ci concentreremo anche su tutte le feste della tradizione ebraica''. La decima Giornata Europa della Cultura Ebraica si pone l'obiettivo di far conoscere la presenza ebraica e le tante testimonianze che ha lasciato in Italia e nel mondo intero. Nelle 59 localita' coinvolte sinagoghe, luoghi di culto e di incontro e quartieri in cui si e' radicata la presenza ebraica saranno aperte alla visita del pubblico, in molti casi organizzata dagli stessi componenti della Comunita' che faranno da guide. La 'sfida' principale dell'edizione 2009, pero', sara' quella di promuovere, in Puglia, il primo Festival della Cultura Ebraica chiamato ''Negba- Verso il Mezzogiorno''. ''La manifestazione pugliese - ha chiarito il presidente della regione Puglia Nichi Vendola - ha avuto un 'anno zero' a Bari nel 2008 quando abbiamo allestito una festa tra la cultura pugliese e quella ebraica. Fino ad oggi, abbiamo lavorato con i giovani per far conoscere la tragedia dell'Olocausto organizzando viaggi nei campi di concentramento. Il Festival si svolgera' in diverse realta' pugliesi tra cui spiccano le citta' di Andria, Bari, Otranto, Lecce, San Nicandro Garganico oltre che, naturalmente, Trani. Vogliamo testimoniare che la Puglia e' una regione in cui non vengono violati i diritti umani e nella quale ogni cultura deve sentirsi accolta''.
    La Giornata Europa della Cultura Ebraica e il Festival vogliono far conoscere l'ebraismo senza lasciarsi condizionare dal passato tragico che ha cercato di comprometterlo definitivamente.''Il tema dell'ebraismo - ha spiegato infatti Enrico Hullweck - e' sempre stato legato ai ricordi tragici della storia che hanno inciso sulla nostra coscienza. E' importante, invece, recuperare e festeggiare la tradizione ebraica mettendone in evidenza le tante articolazioni tra cui spiccano la musica la letteratura e le tradizioni gastronomiche. La Giornata offre l'opportunita', pertanto, di avvicinarsi al microcosmo ebraico utilizzando un approccio diverso''.
    ''La Giornata Europea della Cultura Ebraica compie dieci anni - ha detto Renzo Gattegna. E' il primo passo per la riscoperta della cultura ebraica italiana che, in molto casi, e' stata annullata e distrutta. Una riscoperta che, quest'anno, passa per il Sud e per la Puglia in particolare. Viviamo - ha aggiunto - in un Paese libero che tutela i diritti umani e salvaguarda le minoranze nel quale siamo pienamente integrati. Per questo motivo, il nostro desiderio e' quello di aprirci e di farci conoscere dalla comunita' nazionale e di combattere contro i pregiudizi. Su tutto prevale il desiderio di mettere in luce il contributo che l'ebraismo ha offerto allo sviluppo del Meridione d'Italia''.
    Il Festival, e la Giornata Europea della Cultura Ebraica, ha concluso Francesco Giro, ''rappresentano un segnale forte per dare vita ad un dialogo e a un confronto proficuo e costruttivo tra culture diverse. E' una grande iniziativa alla quale il presidente della Repubblica, il ministero dei Beni Culturali e dell'Istruzione hanno voluto dare un sostegno concreto dimostrando l'amicizia che lega il nostro Paese alla Comunita' ebraica''.

(IGN, 12 agosto 2009)

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Un comune israeliano offre un premio a chi prova l’esistenza delle sirene

Kiryat Yam
GERUSALEMME - Il comune di Kiryat Yam, vicino a Haifa, ha offerto un premio di un milione di dollari a chi sarà in grado di provare l'esistenza delle sirene. L'iniziativa del comune, secondo quanto riferisce la stampa locale, è partita in seguito a numerosi avvistamenti riferiti da privati cittadini della mitica creatura marina, presente anche nell'Odissea. Secondo il portavoce del consiglio comunale, Natti Zilberman, negli scorsi mesi ci sono stati almeno una dozzina di avvistamenti. "Molte persone ci dicono che sono certe di aver visto una sirena e si tratta di persone che non hanno alcun rapporto tra loro". "La gente - ha continuato - dice di aver visto una figura femminile, metà giovane donna e metà pesce che salta come un delfino e compie diverse acrobazie prima di scomparire". Il portavoce ha negato che l'offerta del premio sia un espediente pubblicitario ma ha ammesso di sperare che le voci sulla sirena possano richiamare a Kiryat Yam folle di turisti e di curiosi.

(ANSA, 12 agosto 2009)

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Il Tribunale amministrativo del Lazio e la laicità nella scuola

di Gadi Polacco, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

Il Tribunale amministrativo del Lazio ha accolto i due ricorsi presentati da varie associazioni e confessioni religiose, Unione delle Comunità Ebraiche Italiane compresa, riguardanti i crediti scolastici per l'ora di religione cattolica, l'unica che si insegna nella scuola pubblica, e la partecipazione "a pieno titolo" agli scrutini da parte degli insegnanti di questa materia.
Assai espliciti diversi passaggi della sentenza 7076/2009 : "violazione dei diritti di libertà religiosa e della libera espressione del libero pensiero", "forma di discriminazione, dato che lo Stato italiano non assicura identicamente la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle proprie confessioni ovvero", passaggio altrettanto assai opportuno,"per chi dichiara di non professare alcuna religione in Etica Morale Pubblica", affermazione secondo la quale lo Stato "non può conferire a una determinata confessione una posizione dominante" e così via dicendo.
Impressiona positivamente il crescendo di pronunciamenti che si ispirano alla laicità dello Stato, virtù che se applicata pienamente consentirebbe a tutti di vivere il proprio credere o non credere nella libertà e nel rispetto reciproco, cittadini tutti uguali come li vuole la Costituzione, mentre preoccupa la distanza che viene sempre più marcata con la politica, trasversalmente intesa e fatte le poche e varie eccezioni del caso, assopita su questi temi sacrificati evidentemente sull'altare di presunti interessi elettorali.
Spetta però anche a noi di attivarci affinché questo vento aiuti la società italiana a migliorare, senza alcuna necessità di ergere barricate, ma anzi per perseguire un modello di società aperta del quale beneficiare tutti.

(Notiziario Ucei, 12 agosto 2009)

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Il Tar del Lazio accoglie il ricorso contro l'ora di religione. Soddisfazione degli evangelici

CITTA' DEL VATICANO, 12 ago - Viva soddisfazione degli evangelici italiani per la sentenza del Tar del Lazio che stabilisce che frequentare l'ora di religione non puo' portare crediti aggiuntivi agli studenti che si presentano agli esami di maturita'. La esprime, in una nota diffusa dall'agenzia evangelica Nev, il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), pastore Domenico Maselli.
I ricorsi erano stati avanzati, tra gli altri, dalla Consulta romana per la laicita' delle istituzioni e dalla Fcei, insieme a decine di associazioni laiche e a diverse confessioni religiose non cattoliche - tra cui avventisti, battisti, ebrei, luterani, pentecostali, e valdesi -, nonche' da due studenti oggi ventenni, che in sede di scrutinio degli esami statali si erano visti discriminati nell'attribuzione del voto finale, perche' non avvalentesi dell'Irc.
''Resta ora da vedere se e come l'attuale ministro Mariastella Gelmini intendera' applicare la disposizione del TAR del Lazio, onorando il principio di laicita' dello Stato previsto dalla Costituzione'', ha commentato Maselli.
La sentenza n. 78076 del 17 luglio 2009 ha accolto due ricorsi annullando di fatto le Ordinanze ministeriali emanate dall'allora Ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni, per gli esami di Stato del 2007 e 2008, le quali prevedevano la valutazione, ai fini della determinazione del credito scolastico, della frequenza dell'insegnamento della religione cattolica (IRC). ''Sul piano giuridico - si legge nella sentenza - un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non puo' assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico''.

(ASCA, 12 agosto 2009)

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Al congresso di Al Fatah trionfa la retorica

di Vittorio Dan Segre

Il VI congresso di Al Fatah, il primo da quello del 1989 tenutosi a Tunisi, ha chiuso i battenti con un ritardo di tre giorni dovuto alla competizione fra i candidati al Comitato esecutivo (21 membri) e al Comitato rivoluzionario (150 membri fra cui un ebreo israeliano, Uri Davis, reclutato nelle file di Al Fatah dal 1980). Al di là della retorica condizionata dalla paura di non apparire abbastanza radicali in confronto a Hamas, il congresso ha prodotto alcuni risultati degni di nota.
1.Un successo indubbio di immagine locale e internazionale per il fatto stesso dei 2600 delegati riuniti a Betlemme, senza incidenti, in piena libertà di espressione garantita dalla presenza della nuova efficiente polizia palestinese organizzata dal generale americano Dayton, nonostante il veto di Hamas.
2.La conferma del divario fra gli scopi e la realtà. Espressa dal nome stesso di Al Fatah (Conquista), l'impegno ufficiale di distruggere l'occupante sionista, trasformato ora in «diritto alla resistenza» si scontra con l'impegno a operare per la creazione di uno Stato palestinese accanto a Israele «fintanto che ci sarà un filo di speranza». Una quadratura del cerchio che non ferma la colonizzazione israeliana e resta un anatema per Hamas.
3.La rottura con Hamas ha ridato prestigio all'interno della dirigenza di Al Fatah a Mohammed Dahlan, ex "ras" di Gaza, avversario di Arafat con molti legami con Israele tornato da anni in esilio "di malattia" in Europa. Si è posizionato come possibile successore del riconfermato Mahmud Abbas. L'altro concorrente, l'ex premier Ahmed Qureia, è stato sconfessato a causa del suo sfacciato arricchimento con la vendita di cemento usato da Israele nella costruzione degli insediamenti, mentre Marwan Barghuti incarcerato da Israele, eletto al Comitato centrale, resta il più popolare leader di Al Fatah.
4.Nel congresso è emersa la rottura fra la "vecchia guardia" proveniente dall'esilio di Tunisi e la nuova formatasi nel corso di due intifade. Ma né le sprezzanti accuse lanciate dall'estero dal "ministro degli Esteri dell'Olp" Qaddumi co-fondatore con Arafat di Al Fatah, né la richiesta - subito respinta - di creare una commissione di inchiesta sul comportamento della dirigenza di Al Fatah nei passati 20 anni hanno scalfito il potere dei "vecchi tunisini" confermato dall'elezione per acclamazione di Abu Mazen alla presidenza per altri cinque anni.
5.In queste condizioni il congresso conferma la situazione di stallo all'interno del movimento e nei confronti di Hamas e di Israele. Stallo che non dispiace a Netanyahu, interessato a dimostrare all'America che nulla è cambiato nella speranza palestinese di far cambiare politica al governo di Gerusalemme grazie alle pressioni di Washington e dell'Europa. Tanto più che anche i Paesi arabi, in primo luogo l'Arabia Saudita, a cui la diplomazia americana si è rivolta per chiedere "gesti" di normalizzazione dei rapporti con Israele hanno risposto negativamente. Meglio dunque pensare - senza dirlo - a un lungo armistizio con Hamas ancora accusato di terrorismo dall'Occidente, piuttosto che trattare con un Fatah politicamente impotente.

(il Giornale, 12 agosto 2009)

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Dopo 79 anni torna vivo il sogno di Donato Manduzio
e degli ebrei per scelta di San Nicandro Garganico

di Valerio Di Porto, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

Donato Manduzio
Nella notte tra il 10 e l'11 agosto del 1930, in un paese della Puglia, si verificò un piccolo evento dalle straordinarie conseguenze.
In quella notte di 79 anni fa, Donato Manduzio venne svegliato da una voce che gli disse: "Ecco, vi porto una luce" e vide un uomo che teneva in mano una lanterna spenta. Per accendere la lanterna, spiegò l'uomo, occorreva del fuoco che proprio Donato possedeva. Donato Manduzio comprese il senso del sogno il giorno dopo, quando un suo conoscente gli portò una copia della Bibbia ricevuta da un protestante. La lettura dell'Antico testamento lo sconvolse, inducendolo a distruggere tutte le statue e le immagini religiose possedute in casa quali simboli idolatrici e ad avvicinarsi, dapprima inconsapevolmente, alla religione ebraica. Molti nel paese lo seguirono, convertendosi ufficialmente all'ebraismo e affrontando con la massima dignità anche la temperie delle leggi razziste.
Gli ebrei di San Nicandro furono circoncisi il 4 agosto 1946 e gran parte di loro emigrarono in Israele l'11 novembre 1949.
Quest'anno San Nicandro Garganico sarà una delle località che ospiteranno il festival della cultura ebraica intitolato "Negba - Verso il Mezzogiorno", in concomitanza con la Giornata europea della cultura ebraica, che vede quest'anno la città di Trani come capofila per l'Italia. E' il riconoscimento di quel fervore ebraico che sta attraversando da alcuni anni tutta la Puglia e che ha visto il sorgere e lo svilupparsi della sezione di Trani nell'ambito della comunità ebraica di Napoli; di questo fervore è stato antesignano il paese di San Nicandro, grazie al sogno rivelatore di Donato Manduzio, nella notte tra il 10 e l'11 agosto di 79 anni fa.

(Notiziario Ucei, 11 agosto 2009)

Notizie su Israele 428

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Abu Ala fuori da comitato Al Fatah. Eletto Barghuti, detenuto in Israele

L'ex premier palestinese Ahmed Qrea (Abu Ala) non è stato rieletto nel Comitato centrale del partito palestinese Al Fatah durante il primo congresso della formazione politica in 20 anni. Tra gli eletti nel Comitato centrale figurano invece Marwan Barghuti, detenuto in Israele per implicazione in quattro attentati, Mohammad Dahlan, ex uomo forte di Fatah a Gaza, e Jibril Rajub, ex capo dei servizi di sicurezza in Cisgiordania.
Il neoeletto Barghuti sta scontando in carcere una condanna all'ergastolo per omicidio. Ed è lui che è stato scelto per l'importante carica nel partito Fatah del presidente Abu Mazen (Mahmud Abbas), come rivelano i primi dati sulle votazioni di domenica scorsa, 9 agosto, al congresso del partito che si tiene a Betlemme.
Ahmed Qrea, 72 anni, esponente della vecchia guardia di Yasser Arafat, era stato capo del governo e aveva condotto i negoziati con Israele sfociati nel 1993 negli accordi sull'autonomia palestinese.
Tra i dieci esponenti della vecchia guardia del partito che cercavano la rielezione negli organismi dirigenti, il Comitato centrale e il Consiglio rivoluzionario, meno della metà sono stati confermati.
Fra gli eletti c'è anche Mohamed Dahlan, detestato da Hamas per la repressione che condusse contro il movimento islamista negli anni Novanta, quando era a capo delle forze di sicurezza palestinesi a Gaza.
Sono stati circa 2.600 i delegati che hanno partecipato ai lavori, eleggendo 18 dei 95 candidati al Comitato Centrale (organismo, quest'ultimo, che conta di solito 21 membri), e 80 dei 500 candidati al Consiglio Rivoluzionario, che di norma conta 120 membri. I tre membri restanti del Comitato Centrale saranno cooptati. E' possibile che il numero di membri sia elevato a 23.
Nel Consiglio Rivoluzionario, oltre agli 80 eletti, altri 20 saranno cooptati e altri 20 designati dagli 11mila palestinesi detenuti in Israele.

(TGCOM.it, 11 agosto 2009)

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Gli ebrei vincono il tabù: ristampate Mein Kampf

di Giordano Bruno Guerri

Il testo antisemita di Hitler è vietato in Germania dal 1946 Ma ora il Consiglio israelita ne chiede un'edizione critica. Il silenzio sul volume del dittatore alimenterebbe solo le nostalgie estremiste

La colta, civile Germania ha pagato anche con un grave errore - di cultura e di civiltà - i suoi trascorsi nazisti. Fu quando, nel 1946, venne vietata la ristampa, su tutto il territorio nazionale, di Mein Kampf, ovvero «La mia battaglia», libro definito anche «la Bibbia di Hitler».
Scritto, per lo più in carcere, nel 1924, la prima parte fu stampata l'anno dopo, la seconda nel 1926: fino a gennaio del 1933, quando Hitler prese il potere, ne furono vendute quasi 230.000 copie, a dimostrazione che i tedeschi sapevano molto bene con chi avevano a che fare, cosa pensava l'uomo che li avrebbe guidati. Nei successivi dodici anni di dittatura ne vennero vendute, regalate o imposte (per esempio a ogni matrimonio) decine di milioni di copie. È facile immaginare l'enorme quantità di volumi che esiste ancora in Germania, fra quelli dell'epoca e quelli ristampati clandestinamente. Già, perché il governo della Baviera, proprietario dei diritti del libro dal 1946, ne ha proibito la ristampa per impedire la diffusione delle idee che vi sono contenute: ovvero, soprattutto, la superiorità della razza ariana e l'attribuzione agli ebrei della responsabilità di quasi tutti i mali del mondo. Con le conseguenze - la «soluzione finale» - che sappiamo.
Idee aberranti, ma è sbagliato e controproducente cercare di pensare che non siano mai state scritte. Da un punto di vista pratico, perché comunque il libro è reperibile facilmente in internet (viene ristampato di continuo, per esempio dai nazisti americani, anche in tedesco); da un punto di vista culturale, perché è sbagliato tentare di soffocare l'esistenza di un libro, specialmente di quella portata storica. Un'altra conseguenza, pesante e concreta, è che oggi - in Germania e in molti altri Paesi, sulla sua scia - è possibile leggere Mein Kampf soltanto nel testo originale, senza la dotazione di un apparato storico-critico che ne illustri orrori, finalità e risultati. In pratica, si lascia che Hitler continui a fare la sua propaganda d'odio antisemita, senza un contraddittorio diretto.
A rendere ancora più paradossale la vicenda, c'è da considerare che il 1o maggio del 2015, a settant'anni dalla morte di Hitler, la Baviera perderà i diritti d'autore del volume, il quale quindi potrà essere ristampato da chiunque, con qualsiasi tipo di commento, o ancora senza commento. Da qui la saggia e necessaria mossa di Stephan J. Kramer, segretario generale del Consiglio centrale degli ebrei in Germania, che ha sostenuto l'opportunità di pubblicare un'edizione critica di Mein Kampf. Si otterrebbe così il doppio risultato di togliere al libro il pericoloso fascino del proibito, e soprattutto di limitare i danni che potranno fare le edizioni acritiche o addirittura simpatizzanti. È vero, infatti, che il saggio del Führer è un vero mattone, come lo definì Mussolini nel 1934. Ma è anche vero che contiene slogan e suggestioni di facile presa su teste poco dotate di strumenti critici o predisposte a quel tipo di idee. Basti, in proposito, leggere il piccolo campionario di citazioni estrapolate nel box qui accanto.
Per questo ha ragione Kramer, quando sostiene: «È necessario pubblicare oggi un'edizione storicamente critica dell'opera per evitare che i neonazisti ne traggano vantaggio», mentre è risibile la risposta del governo bavarese: «Non revocheremo il divieto perché questo farebbe il gioco dell'estrema destra». Gli estremisti - di destra, di sinistra, religiosi e di qualsiasi altro tipo - traggono vantaggio specialmente dall'ignoranza, dalla mancanza di dibattito, dalle chiusure rigide che impediscono la conoscenza.
Invece, chi estremista non è - la società, la politica, la scuola - viene inevitabilmente danneggiato dalla mancanza di un esame critico del passato recente, e tanto più quando quel passato ha avuto effetti e conseguenze drammatici. Ne sappiamo qualcosa in Italia: dove, dopo la guerra, per decenni, in base a un antifascismo sacrale e acritico, si è prima impedito di fatto una conoscenza vera del regime fascista. Poi, per altri decenni, si è negato che nel periodo 1943-1945 ci sia stata una vera guerra civile, per di più mettendo tutti i buoni da una parte e tutti i cattivi dall'altra. Con il risultato non di impedire le nostalgie neofasciste, crollate da sole, ma di tenerle in vita più a lungo. E, soprattutto, con il risultato di impedire agli italiani di fare i conti con la propria storia.

(il Giornale, 11 agosto 2009)

NOTA -In italiano esiste già dal 2002 un'edizione critica del "Mein Kampf" a cura di Giorgio Galli.

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Fonti israeliane: l'Iran fornisce nuovi missili a Hezbollah

Missili iraniani Zelzal
ROMA, 10 ago - Mentre si riaccende la tensione tra Israele e Hezbollah, con il premier Netanyahu che tira in ballo il governo di Beirut, avvertendolo che sarebbe ritenuto responsabile di un qualsiasi attacco ad opera della milizia sciita, fonti militari israeliane rivelano che l'Iran sta fornendo a Hezbollah missili anti-aereo SA-18 (simili all'americano Stinger) e Sam-8, e missili terra-terra Fateh-110, una versione aggiornata del Zelzal 2, già usato nella guerra del 2006 contro città come Hadera, situata nel nord di Israele. Rispetto al suo predecessore il missile Fateh-110 ha una gittata di 200 chilometri e può quindi raggiungere il nord di Tel Aviv, ha testate capaci di portare mezza tonnellata di esplosivo ed è dotato di un più sofisticato sistema di guida venduto all'Iran dai cinesi. Secondo le fonti israeliane, alcune batterie sarebbero già state consegnate e prossime all'operatività.
A Teheran si teme che il presidente Usa Obama, dopo il fallimento dei tentativi di rompere i legami tra la Siria di Assad e l'Iran, possa dare a Israele luce verde per "punire" Hezbollah. Gli iraniani quindi avrebbero deciso di rifornire l'arsenale della milizia sciita libanese con missili più avanzati, sia per vanificare un eventuale attacco israeliano, sia per colpire la popolazione civile dello stato ebraico in caso di esplosione di un nuovo conflitto. Il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, ha minacciato di usare "tutta la forza necessaria" nel caso di un nuovo attacco di Hezbollah ai confini settentrionali di Israele. Non più tardi di sette mesi fa, il governo israeliano aveva inoltre avvertito Damasco che consentire a questi tipi di missili di attraversare i confini con il Libano sarebbe stato considerato una violazione dell'equilibrio militare nella regione e che tali missili sarebbero stati ritenuti obiettivi legittimi di attacco sia prima di lasciare il territorio siriano sia una volta collocati nelle postazioni libanesi.
Hezbollah avrebbe ammassato fino a 40 mila missili non lontano dal confine con Israele, ha riportato nei giorni scorsi il Times. In Libano è presente la forza multinazionale d'interposizione delle Nazioni Unite, Unifil, a comando italiano. Il ministro della Difesa spagnolo, Carmen Chacon, ha recentemente confermato che la Spagna assumerà il comando da settembre.

(il Velino, 10 agosto 2009)

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Libano, blindati israeliani nell'area delle Fattorie di Shebaa

L'esercito libanese in allerta dopo la notizia della presenza di blindati israeliani nell'area delle Fattorie si Shebaa.

Dopo la notizia riportata dal Times nei giorni scorsi che Hezbollah avrebbe ammassato lungo il confine con Israele 40mila missili pronti per attaccare, Tel Aviv risponde spostando uomini e mezzi nell'area delle Fattorie di Shebaa, regione fortemente contesa al confine fra Israele, Siria e LIbano.
L'esercito libanese sarebbe quindi in allerta: secondo fonti militari, tre blindati israeliani, accompagnati da un veicolo civile, si sarebbero diretti nell'area agricola formata dalle 14 fattorie ai piedi del monte Hermon. Anche l'Unifil, allertata dalla situazione, avrebbe inviato alcune pattuglie per monitorare.
L'area delle Fattorie di Shebaa è oggi amministrata come parte delle alture del Golan. Dopo il ritiro di Israele dal Libano meridionale nel 2000, la zona è rimasta sotto il controllo di Tel Aviv: lo Stato libanese e l'Hezbollah rivendicano il controllo dell'area con l'appoggio di Siria e Iran.
La scorsa settimana il quotidiano israeliano 'Ha'aretz' riportava che le forze armate libanesi avrebbero ammassato truppe sulla zona delle colline Kfar Shuba e delle contese Fattorie di Shebaa, che sorgono nel settore orientale della Linea Blu, confine delimitato dalle Nazioni Unite.
I movimenti di queste ultime ore arrivano a pochi giorni dalla dichiarazione del vice ministro degli Esteri israeliano, Daniel Ayalon, che ha esortato un attacco contro il Libano, per mettere fine alla minaccia rappresentata da Hezbollah: "Il prossimo confronto con Hezbollah è diventato inevitabile e arriverà presto" aveva detto alla tv israeliana.

(PeaceReporter, 10 agosto 2009)

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Il Papa: «Il nichilismo è come il nazismo»

di Nina Fabrizio

Benedetto XVI
Dura condanna ieri di papa Benedetto XVI contro il male estremo dei lager nazisti «simboli dell'inferno in terra» con l'avvertimento che il nichilismo che li produsse è un pericolo «ampio e diffuso» ancora oggi. L'uomo non si sostituisca quindi a Dio, esorta Ratzinger, perchè l'arbitrarietà assoluta è alla radice di ogni male. I calendari ricordano in questi giorni i santi Teresa Benedetta della Croce-Edith Stein, ebrea convertita al cattolicesimo che si fece monaca carmelitana, e San Massimiliano Kolbe, francescano polacco. Entrambi conquistarono la santità morendo da martiri nell'orrore del campo di sterminio di Auschwitz. Il papa rievoca le loro figure all'Angelus e li indica come esempi di santità. Di quella «carità nella verità » che è l'unica «risposta credibile ed esaustiva» alla «crisi profonda del mondo contemporaneo». Ma c'è un'altra risposta, avverte il papa, propagandata da «filosofie e ideologie» e «sempre più anche da modi di pensare e di agire» che è alternativa all'umanesimo cristiano e ha «attraversato tutta quanta la storia» raggiungendo «la punta culminante» nella follia dei campi voluti da Adolf Hitler: il nichilismo contemporaneo. «I lager nazisti - scandisce la sua condanna Ratzinger -, come ogni campo di sterminio, possono essere considerati simboli estremi del male, dell'inferno che si apre sulla terra quando l'uomo dimentica Dio e a Lui si sostituisce, usurpandogli il diritto di decidere che cosa è bene e che cosa è male, di dare la vita e la morte». Un «triste fenomeno», aggiunge il papa, che «non è circoscritto ai lager», «punta culminante di una realtà ampia e diffusa, spesso dai confini sfuggenti», e che non appartiene quindi solo al passato. Al contrario, sottolinea Benedetto XVI, oggi la cultura nichilista che «esalta la libertà individuale quale unico principio dell'uomo» è persino più insidiosa. È così, infatti, che l'uomo si trasforma in un dio e fa «dell'arbitrarietà il proprio sistema di comportamento». Dunque una nuova condanna da parte di Ratzinger dell'Olocausto e della furia nazista che si abbattè contro gli ebrei. E avverte che, come l'uomo che rifiutò Dio all'epoca del nazismo creò l'abominio dei lager, così oggi, se vuole perseguire un progresso senza Dio, rischia di produrre mali simili.

(Il Tempo, 10 agosto 2009)

COMMENTO - Nichilismo=nazismo: un’altra insulsa equiparazione morale che strumentalizza il fenomeno essenzialmente antisemita del nazismo presentandolo come modello universale di un “male” che periodicamente riappare sotto forme diverse. Il papa sceglie in questo caso la forma della “cultura nichilista” dell’odierno uomo laico, altri scelgono la “pulizia etnica” operata dagli israeliani a danno dei palestinesi. Sarebbe bello trovare qualcuno che faccia un elenco ordinato e completo di simili equiparazioni.

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Rabbino Laras: il Papa dimentica che molti nazisti erano cristiani

Il rabbino Laras
CITTA' DEL VATICANO, 10 ago. - ''Vorrei ricordare al Papa che i campi di concentramento sono stati messi in piedi dai nazisti che erano dei cristiani e anche loro avevano usurpato a Dio il diritto di dare la vita e la morte, di fare il bene e il male, il Papa dimentica insomma che molti nazisti erano cristiani''. E' quanto ha detto all'ADNKRONOS il rabbino Giuseppe Laras, presidente dell'assemblea rabbinica d'Italia. Affrontando questi temi con un taglio solo teologico e filosofico si corre il rischio di ''destoricizzare il fenomeno che invece oltre alla filosofia ha bisogno di un'analisi sociologia e antropologica''. Inoltre, osserva il rabbino Laras, ''vorrei dire che Giovanni Paolo II sullo stesso argomento sono sicuro che avrebbe fatto un altro discorso, Wojtyla aveva la capacita' e la volonta' di farsi capire, Benedetto XVI sembra troppo compiaciuto del proprio pensiero e il discorso risulta troppo metafisico''.

(Adnkronos, 10 agosto 2009)

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Lieberman: Il programma di Fatah sotterra le speranze di pace

ROMA, 10 ago - Le recenti posizioni assunte da Fatah in occasione della convention di Betlemme "seppelliscono qualunque speranza" di raggiungere un accordo di pace tra israeliani e palestinesi. È il commento del ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, che oggi ha incontrato una delegazione di parlamentari americani del Partito democratico, in visita nella regione. "Una situazione, dove c'è una netta divisione tra l'Hamastan nella Striscia di Gaza e Fatahland in Cisgiordania, insieme con il programma di Fatah che è stato formulato, seppellisce qualunque possibilità di raggiungere un accordo con i palestinesi nei prossimi anni", ha osservato il capo della diplomazia dello Stati ebraico. "Date queste circostanze - ha aggiunto -, dobbiamo salvaguardare un dialogo con i palestinesi, migliorare la loro sicurezza e la loto situazione economica, ma questo è il massimo che possiamo ottenere nel futuro prossimo".
Lieberman ha poi messo in guardia dal rischio che una soluzione imposta dall'esterno, come il piano di pace che l'amministrazione americana si appresta varare, possa portare al fallimento. "Ogni grande obiettivo, come una soluzione imposta in un breve lasso di tempo, porterà ad un fallimento e persino a scontri - ha osservato Lieberman -, dobbiamo concentrarci su accordi provvisorio e non fissare ultimatum. Questa è una politica realistica".

(il Velino, 10 agosto 2009)

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Netanyahu avverte Libano contro Hezbollah nel governo

GERUSALEMME - Il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha lanciato oggi un nuovo avvertimento al governo di Beirut, affermando che Israele lo riterra' responsabile di ogni eventuale attacco che dovesse partire dagli Hezbollah contro obiettivi israeliani. ''Se gli Hezbollah entreranno ufficialmente nel governo (a Beirut) - ha detto il premier - deve essere chiaro che sara' il governo libanese a essere responsabile di ogni attacco dal suo territorio contro Israele''. L' avvertimento di Netanyahu si aggiunge a quello non meno duro lanciato ieri dal vice ministro degli esteri Dany Ayalon, in seguito a voci di un'intensificazione dei tentativi degli Hezbollah di colpire rappresentanti e cittadini israeliani all' estero per vendicare l' uccisione, lo scorso anno a Damasco, del capo del braccio operativo di questo movimento sciita, Imad Mughniyeh. Gli Hezbollah hanno replicato agli avvertimenti israeliani affermando che in caso di nuovo conflitto quello dell'estate del 2006 potrebbe apparire come ''un gioco da ragazzi''. Netanyahu, in risposta a domande della stampa, ha pero' negato che sul confine tra Israele e il Libano vi sia in questi giorni una tensione particolare.

(ANSAmed, 10 agosto 2009)

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Sondaggio: 60% degli israeliani è con Netanyahu sulla colonizzazione di Gerusalemme est

La maggioranza degli israeliani è favorevole alla colonizzazione di Gerusalemme est e sostiene la posizione assunta dal premier Benjamin Netanyahu davanti alla comunità internazionale su questa questione.
Stando a un sondaggio diffuso oggi, il 60% delle persone intervistate si è detto favorevole a proseguire la costruzione degli insediamenti a Gerusalemme est, reputando "la sovranità israeliana su Gerusalemme incontestable".
Il 31% si è invece detto contrario alla costruzione di nuove case per gli ebrei, mentre il 7% non ha espresso alcuna opinione.
Il 60% delle persone interpellate sostiene inoltre la posizione assunta dal primo ministro verso gli Stati Uniti, che nei mesi scorsi hanno chiesto di fermare la costruzione degli insediamenti. Netanyahu ha opposto un rifiuto alla richiesta americana. Il sondaggio è stato realizzato a fine luglio da un istituto indipendente, nell'ambito dell'Indice (mensile) di Guerra e pace dell'Università di Tel Aviv, su un campione di 500 Israeliani (ebrei e arabi). Il margine di errore è del 4,5%.

(ClandestinoWeb, 10 agosto 2009)

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Attentati, il vice ministro degli Esteri di Israele avverte Hezbollah

Danny Ayalon
GERUSALEMME, 9 ago. - Il vice ministro degli Esteri israeliano Danny Ayalon ha rivolto un duro monito a Hezbollah, dopo le indiscrezioni di stampa su un complotto per un attentato contro l'ambasciatore dello stato ebraico in Egitto, Shalom Cohen. Se l'organizzazione militante libanese "torcesse un solo capello di un rappresentante ufficiale israeliano all'estero o anche di un turista, ne subirà le conseguenze che saranno molto gravi", ha dichiarato il vice ministro vice alla radio pubblica. Il quotidiano egiziano indipendente al Masri al-yom ha scritto ieri che i membri di una cellula islamista egiziana legata ad al Qaida, smantellata recentemente dai servizi di sicurezza del Cairo, avrebbero ammesso che intendevano uccidere l'ambasciatore di Israele. Secondo il giornale, questi progetti sono falliti a causa delle misure di sicurezza rafforzate adottate dalle autorità egiziane. "C'è un legame ideologico e operativo (tra i diversi gruppi islamisti). Alla fine, hanno lo stesso obiettivo ed è lo stesso cervello diabolico che li mette in azione", ha precisato Ayalon quando gli è stato chiesto perchè aveva chiamato in causa Hezbollah.

(Apcom, 9 agosto 2009)

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Colpo di mortaio da Gaza contro Israele

Una bomba di mortaio sparata dalla striscia di Gaza è scoppiata stamane in territorio israeliano, vicino al terminal del valico di Karni dove doveva transitare un convoglio di 90 autocarri carichi di merci per Gaza, senza causare vittime e neppure danni. Lo ha annunciato stamane un portavoce militare israeliano. La responsabilità del tiro di mortaio non è stata finora rivendicata da nessun gruppo armato palestinese a Gaza. Il precedente analogo incidente risale al 16 luglio scorso.

(L'Unione Sarda, 9 agosto 2009)

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Sentivamo la mancanza di un San Valentino ebraico?

di Anna Momigliano

TEL AVIV. Lo scorso 5 agosto si è festeggiato Tu be'Av, che ormai in Israele si è trasformato in una specie di San Valentino ebraico. O, come va di moda chiamarla da queste parti, "hag ha-ahava", la festa dell'amore. Nelle strade più trafficate e nei centri commerciali abbondano le vetrine piene di orsacchiotti, biancheria intima, cioccolatini a forma di cuore e altre "utilissime" idee regalo. Anche i giornali si riempiono di pagine speciali.
Sul settimanale femminile La'Ishà ci spiegano che quest'anno vanno di moda i pendagli a forma di cuore, purché di design moderno e con un prezzo preferibilmente superiore ai 500 shekel (circa 100 euro). L'inserto di Yediot Ahronot coglie l'occasione per spettegolare sullo status sentimentale delle celebrities più amate: Bar Refaeli e Leonardo di Caprio hanno rotto (buono a sapersi), mentre Seal e Heidi Klum si sono sposati per l'ennesima volta (ma che sorpresa).
Sul Jerusalem Post, invece, leggo che originariamente Tu be'Av non aveva nulla a che vedere con i cioccolatini a forma di cuore. Che è "una festa minore del calendario ebraico", una giornata di gioia tra i digiuni di Tisha be'Av e Yom Kippur. Che esistono "una serie di ragioni per cui gioire" in questa giornata: per esempio perché, "passato il solstizio d'estate, le giornate cominciano ad accorciarsi, lasciando più tempo allo studio della Torah". Che nei tempi antichi, nel quindicesimo giorno del mese di Av, le fanciulle in età da marito usavano vestirsi di bianco e danzare nei vigneti, "creando un'ottima opportunità per combinare i matrimoni". Poi, sarà che oggi scarseggiano sia i vigneti sia le fanciulle ansiose di trovare marito, si è deciso di festeggiare questa ricorrenza scambiandosi regalini un po' kitsch.
Resta da chiedersi: davvero sentivamo tutta questa mancanza di un San Valentino ebraico? Tu Be'Av, nella sua edizione Israele 2.0, è un bene o un male? Ci sono modi diversi di vedere la cosa. Da un lato si può pensare che in fondo, anche con tutto il suo improbabile merchandising, fa parte dell'identità israeliana moderna. Proprio come la cena del 25 dicembre con cibo cinese e videocassetta per gli ebrei americani. Dall'altro lato, è anche vero che tutto questo consumismo sempre uguale a se stesso è a tratti un po' fastidioso. Una cosa è certa: visti i tempi che corrono, "la festa dell'amore" fa bene all'economia israeliana.

(Notiziario Ucei, 9 agosto 2009)

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Netanyahu: "Mai più un'altra Gaza, non caccerò i coloni"

GERUSALEMME, 9 ago. - Benjamin Netanyahu non vuole commettere un "errore" come lo sgombero degli insediamenti nella Striscia di Gaza e per questo assicura che non sara' mai lui a cacciare i coloni dai territori occupati. "Il ritiro dalla Striscia di Gaza" ha detto in apertura della settimanale riunione di gabinetto, "non ci ha portato ne' pace, ne' sicurezza. Il territorio e' diventato base di Hamas, un movimento filo-iraniano, e noi non commetteremo mai piu' un errore simile. Non cacceremo mai piu' la gente dalle loro case". Lo sgombero della Striscia di Gaza fu portato a termine nel settembre del 2005 dall'allora premier Ariel Sharon.

(AGI, 9 agosto 2009)

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Congresso Fatah, slitta ancora l’elezione del direttivo

Slitta ancora l'elezione - già prevista per oggi - degli organismi direttivi di Fatah, movimento storico della causa palestinese fondato da Yasser Arafat e guidato oggi dal presidente moderato dell'Anp, Abu Mazem (Mahmud Abbas). Lo si apprende a margine dei lavori del congresso del partito, il primo dopo 20 anni, convocato in questi giorni a Betlemme proprio con l'obiettivo dichiarato di avviare un rinnovamento dei vertici dopo una lunga stasi.
Il voto - da cui dipende la nomina dei 21 membri del comitato centrale e dei 120 del consiglio rivoluzionario - era stato inizialmente annunciato per giovedì, a conclusione del dibattito congressuale cominciato martedì 4. Poi, una serie di rinvii che di volta in volta lo avevano spostato sino a oggi. E adesso - salvo ulteriori contrordini - a domani mattina.
Il problema riguarda le regole del voto a distanza, via mail o via telefono, necessario per permettere di partecipare alla consultazione anche ai 550 delegati del partito bloccati nella Striscia a Gaza dal veto di Hamas: la fazione islamico-radicale rivale di Fatah che da due anni, in un clima di rottura con l'Anp, controlla quella porzione di territorio palestinese.

(Ticinonews, 9 agosto 2009)

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Adesso Al Fatah vuole tutta Gerusalemme

di Fiamma Nirenstein

Betlemme è tutt'altro che quel luogo di pace che tanti cristiani sognano e, in questi giorni, meno che mai. Proprio da qui, da quella che è stata (e che continuerà, per cercare di sedare gli scontri, ancora fino a martedì prossimo) la prima convenzione di Fatah in venti anni, oltre alla rielezione bulgara di Abu Mazen avvenuta ieri, potrebbe scaturire una terza intifada. Non è mancato nessuno dei classici segnali del regresso e di un totale rifiuto del dialogo: il documento di ieri invita a sacrificarsi, ovvero a perpetrare atti di terrorismo, fin che Gerusalemme non sarà interamente, anche nella sua parte ovest, anche dentro la Linea Verde, consegnata ai palestinesi: fino ad allora Fatah, la parte moderata rispetto a Hamas, non si siederà a parlare con gli israeliani. Una linea inusitata, che dichiara guerra fino a che vivrà non solo l'ultimo israeliano, ma anche l'ultimo ebreo: Gerusalemme è nelle sue preghiere tre volte al giorno da che mondo e mondo, citata 622 volte nella Bibbia e migliaia di altre volte con altri nomi. O semplicemente, è la capitale adorata di Israele, dove gli ebrei sono rimasti maggioranza persino negli anni in cui tutti l'avevano abbandonata. «Una città di pietra con occhi di pietra e un cuore di pietra» come dice Mark Twain che la visitò stupefatto, oggi un giardino aperto a tutte le fedi.
I documenti della Convenzione ripropongono la lotta armata, la resistenza (tutti sinonimi di terrorismo), il diritto al ritorno (sinonimo di distruzione demografica dello Stato d'Israele). Molto tempo si è dedicato alla teoria per cui Arafat sarebbe stato ucciso da una congiura fra Abu Mazen e Sharon; personaggi considerati moderati come Mahmoud Dahlan hanno ricordato che di giorno Arafat condannava gli attentati, ma di notte «si dedicava a onorevoli attività». Più di ogni altra cosa parla l'accoglienza da eroe tributata a Khaled Abu Usba, che nel marzo del 1978 partecipò all'eccidio di 35 passeggeri di un autobus.
Nonostante la politica della mano tesa di Obama, in questi giorni non c'è stato nessuno alla conferenza di Fatah che si sia proposto come un alfiere di pace, che abbia sostenuto la proposta di parlare, almeno parlare, con Israele. Di nuovo, la leadership palestinese di fronte al mero tema dell'esistenza di Israele, sembra accendere la miccia del terrore come al tempo di Camp David, quando il rifiuto di Arafat fu accompagnato dalla seconda Intifada, o quando dopo lo sgombero di Gaza si è intensificato il bombardamento con i Kassam, fino alla guerra. Adesso, Netanyahu ha dichiarato che è d'accordo per due Stati e due popoli, le misure di alleggerimento dei check point permettono una vita molto migliore, si è aperto un grande centro acquisti a Nablus, a Ramallah si esce la sera, i caffè sono pieni fino a tardi in buona parte del West Bank, si gode la speranza che questo preluda a colloqui. Ma quando c'è un segnale che la pace possa avanzare, si ripresenta la dinamica tradizionale nel mondo arabo: gli autocrati si mettono in gara con i teocrati, Fatah compete con Hamas che la sfida non solo a Gaza ma anche nel West Bank, la parte laica accusata di corruzione vuole dimostrare che è sua la politica più antisraeliana, più aggressiva, più antioccidentale e anche carica di odio antisemita. Nei dintorni, i segnali sono gli stessi: gli Stati Uniti cercano una politica araba incoraggiante perché Israele conceda il più possibile e il più rapidamente possibile: ma nonostante il viaggio di Mitchell, il ministro degli Esteri giordano Nasser Judeh dichiara che Amman non vuole migliorare i rapporti con Israele; Saud al-Faisal dall'Arabia Saudita dice che non ci sarà nessuna politica di pace step by step; Bashar Assad non vuole parlare con Israele a meno che, prima, non si impegni a lasciare il Golan; gli Hezbollah seguitano a ricevere armi molto avanzate dall'Iran. In realtà, la faccia dura e feroce dell'Iran è la vera pietra di paragone.

(il Giornale, 9 agosto 2009)

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Mahmoud Abbas rieletto leader di Fatah

Ahmd Qurei
BETLEMME, 8 ago. - (Adnkronos) - Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e' stato riconfermato oggi alla guida di Fatah. Non si presentava nessun altro candidato e la sua nomina e' stata accolta dagli applausi degli oltre 2mila delegati riuniti a Betlemme per il congresso del partito. "Siamo qui per liberare la terra palestinese e formare il nostro stato con Gerusalemme capitale", ha detto Abbas, ricordando come Fatah sia stato il movimento "che ha sparato il primo colpo nella lotta palestinese".
Il Congresso, il primo dopo vent'anni, sara' prolungato di altri due giorni per permettere l'elezione degli organismi dirigenti. Intanto, secondo quando riferisce la radio israeliana, il Congresso ha adottato un documento che impegna Fatah ad ottenere uno stato con Gerusalemme capitale. "Fatah -si legge- continuera' a sacrificare vittime fino a quando Gerusalemme non sara' restituita, ripulita d'insediamenti e coloni".
L'ex primo ministro palestinese Ahmd Qurei (Abu Ala) ha spiegato ai giornalisti che l'elezione dei 18 membri del Comitato Centrale e dei 120 del Consiglio rivoluzionario avverra' fra domani e lunedi'. Il voto, le cui modalita' sono ancora in discussione, si terra' contestualmente a Betlemme e a Gaza. Il partito rivale Hamas, che controlla la Striscia di Gaza, ha impedito ai delegati di Fatah di recarsi a Betlemme e avrebbe posto alcuni di loro agli arresti domiciliari. Il voto da Gaza dovrebbe avvenire per telefono. Secondo Abbas Zaki, un delegato dal Libano, sono state presentate 100 candidature per il Comitato Centrale e 646 per il Consiglio Rivoluzionario.

(Libero-news.it, 8 agosto 2009)

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Fatah: sacrificheremo altre vittime per Gerusalemme

"Niente negoziati se non riavremo prima la Città Santa"

Il sesto congresso di al Fatah, riunito a Betlemme, ha adottato oggi un documento in cui si afferma che non ci saranno negoziati di pace con Israele fino a quando l'intera Gerusalemme non sarà posta sotto il controllo palestinese. Secondo quanto riportano i media israeliani, al Fatah ha stabilito che lo status di Gerusalemme come futura capitale dello Stato palestinese è una "linea rossa" che nessun leader palestinese potrà mai oltrepassare. "Fatah continuerà a sacrificare vittime fino a quando Gerusalemme non tornerà (ai palestinesi), libera dagli insediamenti e dai coloni", afferma il documento di al Fatah, che non fa alcuna distinzione tra la parte est e quella ovest della Città santa. Immediata la reazione da parte di Israele. Questo documento dimostra chiaramente che i palestinesi non sono pronti per "nessun compromesso", ha dichiarato il ministro dei Trasporti Yisrael Katz. Il Congresso, il primo dal primo 1989, ha rieletto oggi all'unanimità il presidente Abu Mazen alla guida del partito. Non è stato necessario un voto perchè nessuno si era candidato a sfidare Abu Mazen. Centinaia di delegati hanno esultato e applaudito mentre uno dei leader di Fatah, Tayib Abdul Rahim, annunciava che il presidente dell'Anp era stato confermato alla sua guida. Il Congresso, che avrebbe dovuto chiudersi l'altro ieri, è stata prorogato fino a martedì per i dibattiti sul programma politico e per eleggere i componenti degli organi direttivi del movimento.

(Virgilio Notizie, 8 agosto 2009)

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Un sito pro Hamas ha diffuso la seguente notizia riguardante il “leggendario tempio ebraico”.

Esposto un modello del tempio ebraico di fronte alla moschea di al-Aqsa.

GERUSALEMME - Gruppi ebraici, con la partecipazione di rabbini, di allievi delle sinagoghe e dell'organizzazione Eish Hitorah, hanno esposto ieri un grande modello del leggendario tempio ebraico sul retro dell'area dove s'intende costruire la nuova sinagoga e il centro ebraico dal nome "Centro mondiale del fuoco della Torah".
L'associazione al-Aqsa, in un comunicato stampa di cui il corrispondente di Infopal.it ha ricevuto una copia, ha riferito che il modello dista pochi metri dalla moschea di al-Aqsa e dal Muro di Buraq (noto anche come Muro del Pianto), rispetto ai quali si trova a ovest, rivolto esattamente in direzione della prima.
Secondo Eish Hitorah, il simulacro verrà utilizzato come centro di attrazione per i visitatori, ricollegandosi al tempio che si presume fosse eretto in passato nell'area di al-Aqsa. L'idea rappresenta un'ulteriore mossa dei gruppi ebraici volta a spingere verso la costruzione del cosiddetto "terzo tempio", al posto della moschea attualmente eretta nella zona.
Negli ultimi tempi, le attività israeliane a favore di quest'obiettivo si sono intensificate sotto diverse forme. L'associazione al-Aqsa ha rivelato qualche mese fa i tentativi fatti da alcuni ebrei per piazzare il candelabro del tempio di fronte al luogo di culto musulmano, non lontano dal punto dove ieri è stato esposto il modello.
Secondo l'associazione, "tutte queste pratiche indicano la crescita degli attacchi contro la moschea, e un consenso ebraico per la costruzione del tempio leggendario". Per rispondere a quest'offensiva ideologica, al-Aqsa ha invitato tutti a frequentare costantemente la moschea, allo scopo di salvare sia questa che la città di Gerusalemme.

(Infopal, 8 agosto 2009)

COMMENTO - Se il tempio ebraico è una leggenda, anche Gesù è una leggenda. E' chiaro allora, anche ai cristiani, che cosa significa il volere insistentemente un culto musulmano sul monte del Tempio?

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Via le armi, ora Hamas combatte Israele con i film

Con «Imad Aqel» il partito islamico palestinese ha lanciato il suo primo film «commerciale»

di Viviana Mazza

GERUSALEMME - «Uccidere i soldati israeliani significa essere devoti a Dio». Il pubblico in sala applaude. Barba, kefiah e kalashnikov, Imad Aqel salta giù dall'auto e svuota il caricatore sui nemici, si traveste da colono israeliano per portare a termine una missione, ma niente scene di sesso occasionale in penombra. «Questa non è Hollywood, è Hamaswood», ha spiegato il ministro dell'Interno di Gaza Fathi Hamas alla premiere del film d'azione «Imad Aqel» (guarda il trailer). «Cerchiamo di produrre arte di qualità che sia islamica e sulla resistenza, senza scene provocatorie». Hamas ha spostato negli ultimi mesi la lotta contro Israele dal piano militare a quello culturale. A giugno solo due razzi Qassam a corto raggio sono stati sparati da Gaza su Israele, idem a luglio: sono tra i mesi più tranquilli dal 2002 (anche se Hamas sta cercando di ampliare l'arsenale di missili a lungo raggio)...

(Corriere della Sera, 8 agosto 2009)

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La Lega anti-diffamazione a Obama: Il problema è il rifiuto arabo

La Lega anti-diffamazione ha acquistato uno spazio sulla stampa americana con il testo di una lettera aperta al presidente Obama.

"Siamo tutti a favore della pace nel Medio Oriente. Le pressioni su Israele non sono però l'approccio appropriato. L'ostacolo alla pace non è Israele. Gli insediamenti non sono l'ostacolo.
La questione è semplice: il rifiuto del diritto di Israele ad esistere, da parte araba e palestinese, per più di 60 anni. Il diritto di Israele ad esistere è innegabile ed è basato su sul diritto all'autodeterminazione nella sua patria storica.
La via alla pace è semplice. Se c'è il riconoscimento, Israele ha detto ripetutamente che si può discutere senza pre-condizioni.
Signor Presidente, è giunto il tempo in cui lei deve porre fine alle sue pressioni sul nostro amico ed alleato vitale. E' giunto il tempo che lei rivolga la sua attenzione su coloro che rifiutano di riconoscere Israele e di negoziare la fine del conflitto.
Con la sua guida, sì, possiamo avere la pace. Ma il percorso comincia con il riconoscimento di Israele".

La Lega anti-diffamazione invita i lettori a firmare la petizione.

(ICN-News.com, 7 agosto 2009)

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«Arafat assassinato», via all'inchiesta

Come la statua del «Gran commendatore» del Don Giovanni di Mozart, l'ombra di Yasser Arafat ha bussato al congresso di Fatah, che si tiene a Betlemme, e rischia di trascinare nel fango il più forte partito dell'Olp, senza curarsi dei conflitti tra vecchia e nuova guardia che da due giorni dilaniano i 2.500 delegati. Il congresso ha deciso ieri di istituire una commissione d'inchiesta sulla morte dello storico leader di Fatah, scomparso in Francia nel 2004 dopo essere stato trasferito in ospedale da Ramallah, e ha chiesto un aiuto internazionale per fare luce su quanto avvenne tra ottobre e novembre di cinque anni fa.
Le ragioni della morte di Arafat sono state da allora al centro di un fitto mistero. Ufficialmente si disse che Arafat, 75enne, era morto per una rara forma di infezione del sangue, ma sia i medici francesi che i suoi fedelissimi furono attenti nel fermare le voci che davano il «leone della Mukata» ammalato di Aids e nel far circolare un'altra leggenda, ovvero che Arafat era stato avvelenato dal Mossad. La decisione di Fatah parte da quest'ultima premessa, ma trae dalla faida interna al partito nuova linfa. È stato Faruk Kaddumi, storico ministro degli esteri dell'Olp, ad avanzare l'ipotesi di una partecipazione dei palestinesi moderati al complotto per assassinare Arafat. Il Palestinian Information Center di Hamas, nello stesso tempo, ha fatto circolare in rete la trascrizione della registrazione di un incontro che l'attuale presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, e il capo della sicurezza di Fatah, Mohammed Dahlan, avrebbero avuto con l'ex premier israeliano Ariel Sharon e una delegazione americana. L'obiettivo -secondo la trascrizione, la cui autenticità resta da verificare- era l'assassinio di Arafat e una nuova soluzione per la leadership palestinese. Tutto questo ha spinto lo stesso Abu Mazen a dirsi favorevole a una commissione d'inchiesta, affinchè «nessuno possa approfittare della morte di Arafat per ragioni personali». La direzione di Fatah, ha aggiunto, è «la prima interessata alla verità».
Quanto all'andamento dello scontro tra vecchia e nuova guardia, il congresso mostra tutta la stanchezza di un movimento che non è riuscito, in tanti anni, a raggiungere l'obiettivo ed è tentato da un nuovo radicalismo. La «nuova guardia» chiede un allungamento del congresso fino al fine settimana, mentre è battaglia sui posti in direzione. Finora è prevalsa la linea di Abu Mazen, per il rilancio del dialogo «non illimitato» con Israele e una forma di resistenza civile nel caso anche questa volta il confronto pacifico con il nemico storico dovesse fallire.

(il Giornale, 7 agosto 2009)

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Festival della Cultura Ebraica in Puglia

La sera di domenica 6 settembre, al termine della decima edizione della "Giornata Europea della Cultura Ebraica", prende il via a Trani il primo "Festival della Cultura Ebraica in Puglia" denominato "NEGBA - Verso il Mezzogiorno

La parola NEGBA nell'ebraico biblico significa "verso Sud": Neghev è anche il nome della regione meridionale della Terra di Israele.
La prima volta che si incontra questa parola nella Bibbia è quando Abramo si mette in viaggio - continuando ad andare verso la Terra che l' Eterno gli ha indicato - e si dirige verso Sud, in direzione di Gerusalemme.
Una metafora dunque, quella di un cammino di conoscenza che l'ebraismo italiano intraprende verso il Mezzogiorno d'Italia, i suoi territori, le sue comunità....

(Sudnews, 7 agosto 2009)

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Mercato dell’auto in Israele, boom di vendite prima della nuova tassazione

Il nuovo regime di tassazione entrato in vigore il 1 agosto ha fatto lievitare i prezzi di alcuni veicoli, afferma l'Istituto Israeliano per le Esportazioni e la Cooperazione Internazionale.
Gli ultimi giorni prima che la nuova tassazione "verde" sui veicoli entrasse in vigore hanno visto un aumento delle vendite di auto di lusso in Israele.
Il nuovo regime ha fatto aumentare i prezzi.
Le vendite di luglio, secondo i concessionari locali, sono due o tre volte superiori alla media mensile e alte anche se paragonate a mesi che hanno visto un gran numero di acquisti.
Fonti dell'ufficio dogane hanno riportato che gli importatori di auto hanno prodotto migliaia di veicoli per averli disponibili prima che la nuova legge entrasse in vigore. L'importatore Volkswagen ha riportato di aver venduto l'intero inventario di modelli premium, incluse le Touareg SUV, la Scirocco e la Passat sedan.
La Chrysler ha riportato vendite di 40 automobili in dieci giorni, più del doppio rispetto alla media.
L'agenzia Lexus ha ricevuto 80 ordini nel corso dell'ultimo mese, la maggior parte dei quali è stata subito evasa. Simili livelli di vendite sono stati registrati anche dai rivenditori di Mercedes Benz, Audi, BMW e Honda.

(Portalino, 6 agosto 2009)

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Nella striscia di Gaza Hamas organizza matrimoni di massa

Le immagini parlano da sole



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L'ombra di Arafat pesa su Fatah, inchiesta su "omicidio"

Come la statua del "Gran commendatore" del Don Giovanni di Mozart, l'ombra di Yasser Arafat ha bussato al congresso di Fatah, che si tiene a Betlemme, e rischia di trascinare nel fango il piu' forte partito dell'Olp, senza curarsi dei conflitti tra vecchia enuova guardia che da due giorni dilaniano i 2.500 delegati. Il congresso, infatti, ha deciso di istituire una commissione d'inchiesta sulla morte dello storico leader di Fatah, scomparso in Francia nel 2004 dopo essere stato trasferito in ospedale da Ramallah, e ha chiesto un aiuto internazionale per fare luce su quanto avvenne tra ottobre e novembre di cinque anni fa. Le ragioni della morte di Arafat sono state da allora al centro di un fitto mistero. Ufficialmente si disse che Arafat, 75enne, era morto per una rara forma di infezione del sangue, ma sia i medici francesi che i suoi fedelissimi furono attenti nel fermare i rumour che davano il "leone della Mukata" ammalato di Aids e nel far circolare un'altra leggenda, ovvero che Arafat era stato avvelenato dal Mossad. La decisione di Fatah parte da quest'ultima premessa, ma trae dalla faida interna al partito nuova linfa. E' stato Faruk Kaddumi, storico ministro degli esteri dell'Olp, ad avanzare l'ipotesi di una partecipazione dei palestinesi moderati al complotto per assassinare Arafat. Il Palestinian Information Center di Hamas, nello stesso tempo, ha fatto circolare in rete la trascrizione della registrazione di un incontro che l'attuale presidente dell'Autorita' nazionale palestinese, AbuMazen, e il capo della sicurezza di Fatah, Mohammed Dahlan, avrebbero avuto con l'ex premier israeliano Ariel Sharon e una delegazione americana. L'obiettivo - secondo la trascrizione, la cui autenticita' resta tutta da verificare - era l'assassinio di Arafat e una nuova soluzione per la leadership palestinese. Tutto questo ha spinto lo stesso Abu Mazen ha dichiararsi favorevole all'istituzione di una commissione d'inchiesta, affinche' "nessuno possa approfittare della morte di Arafat per ragioni personali". La direzione di Fatah, ha aggiunto, e' "la prima interessata alla verita'". Quanto all'andamento dello scontro tra vecchia e nuova guardia, il congresso mostra tutta la stanchezza di un movimento che non e' riuscito, in tanti anni, a raggiungere l'obiettivo ed e' tentato da un nuovo radicalismo. La "nuova guardia" chiede un allungamento del congresso fino al fine settimana, mentre e' battaglia sui posti in direzione. Finora e' prevalsa la linea di Abu Mazen, per il rilancio del dialogo "non illimitato" con Israele e una forma di resistenza civile nel caso anche questa volta il confronto pacifico con il nemico storico dovesse fallire.

(Affaritaliani.it, 6 agosto 2009)

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Gaza-Hacker attaccano il sito web di Kadima, Livni nel mirino

GERUSALEMME, 6 ago. - Il sito web di Kadima, principale partito dell'opposizione israeliana, e' finito nel mirino di hacker, che si sono firmati 'Gaza Hacker'. Pirati informatici, si legge sull'edizione online del quotidiano 'The Jerusalem Post', sono riusciti a infiltrarsi nel portale e a inserirvi immagini e slogan "anti-israeliani" in arabo, rivolti soprattutto contro la leader della formazione politica ed ex ministro degli Esteri, Tzipi Livni. "Te lo promettiamo, stiamo arrivando", si leggeva sotto una foto della Livni.

(Adnkronos, 6 agosto 2009)

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Agosto a Tel Aviv

di Rossella Tercatin

Frishman Beach
Agosto. La Milano ebraica si svuota. La Tel Aviv italiana si anima. Centinaia di ebrei milanesi tutte le estati puntualmente lasciano la città.
Se a luglio le preferenze si dividono tra Forte dei Marmi, Nizza e Milano Marittima, ad agosto la scelta cade quasi invariabilmente su una sola località: Tel Aviv. Un rito che si ripete ogni anno, coinvolgendo famiglie, giovani, anziani, coppie.
È un'atmosfera speciale che cominci a gustare già all'aeroporto di Malpensa. Mentre ti dirigi verso l'area check in riservata ai voli per destinazioni sensibili, cominci a cogliere qua e là qualche parola in ebraico, e a vedere giovani coppie, lei con la gonna, lui con la kippà, circondate da tre o quattro bambini vestiti uguali, ma di altezze diverse.
Poi ti metti in fila ad aspettare che il poliziotto ti controlli passaporto e biglietto, e qualcuno ti saluta. Magari un compagno delle elementari che negli ultimi dieci anni, pur abitando entrambi a Milano, hai incontrato solo in Israele ad agosto. "Che coincidenza! Anche tu qui! Stai in casa o in hotel? Quanto ti fermi? Davvero?! Allora ci incontriamo di nuovo al ritorno! Comunque prima ci vediamo a Frishman..". Già Frishman. In altre parole, la spiaggia più amata e popolata dagli italiani in Israele ad agosto (ma anche a Pesach, e perché no, Succoth..). Il mondo è lì, la vita è lì, se non ci vai, è come se tu non fossi nemmeno in Israele ("Come!? C'eri anche tu in Israele questa estate?!? Ma io ero sempre a Frishman, e non ti ho visto!"). Dopo aver passato in spiaggia tutta la giornata, i ragazzi dai tredici, quattordici anni fino ai trenta, si ritrovano davanti a Frishman anche la sera, prima di spostarsi in uno dei locali del Namal (il porto), o alla gettonata discoteca Klara.
Mentre pensi a tutto questo, aspetti il tuo turno per la sicurezza della compagnia, e ti accorgi che ci sono almeno altre cinque o sei persone che conosci. Però le vedi così concentrate a rispondere alle domande degli addetti israeliani dall'aria severa, che decidi di salutarle più avanti. Tanto le occasioni non mancheranno, né durante il viaggio, né in Israele.
I bambini sfrecciano in giro e le mamma chiacchierano, mentre fai il check in con un po' di apprensione, perché naturalmente due o tre chili di eccedenza bagaglio ci sono sempre. Insomma, ti stai lanciando nel periodo di più frenetica vita sociale e mondanità dell'anno, avrai pure bisogno di un guardaroba sufficientemente vasto a disposizione. E gli addetti al check in sembrano capire e, se possono, chiudono un occhio.
Bene, sei arrivato presto, ma tra file, saluti, e valigie enormi si è fatto tardi. Alla coda per passare il metal detector e il controllo passaporti di Malpensa friggi. E non solo tu, dato che sono pur sempre le giornate più calde e trafficate dell'anno, anche per quanto riguarda il trasporto aereo. Qua e là tra i serpenti che formano la fila, riconosci qualcun altro e gli rivolgi un cenno. In mezzo a quella ressa di più proprio non si può fare.
Prima di raggiungere l'uscita da cui imbarcarsi, voli tra il Duty Free, la toilette, l'edicola e il bar. Poi, quasi più carico che prima di spedire le valige, ti dirigi verso il gate.
Qui sembra di essere già arrivati a destinazione. Saranno gli israeliani seduti qua e là che riconosci subito, per come sono vestiti, in maniera sbarazzina, per usare un eufemismo, oppure il gruppo di ebrei riuniti in un angolo per la preghiera di Minchà, in un misto di abiti neri tradizionali, peot e blue jeans. Oppure la mescolanza di lingue. Ebraico, francese, italiano. Una donna parla in francese col marito, tiene a bada in figli emozionati per la partenza in ebraico e chiacchiera in italiano con un'amica. Dove altro la trovi una cosa del genere?
Poi ci sono i bambini, che scorrazzano allegramente, ridono, si ricorrono. Nessuno se ne preoccupa troppo, proprio come in Israele. In fondo poi si è tutti fra amici. E a proposito di amici, qua la vita sociale si può finalmente sbizzarrire. Alle domande di rito già elencate si aggiungono i "Che posto hai?" e "Speriamo che il volo non faccia ritardo". A completare il quadro, ci sono le famiglie molto molto allargate, nonni, genitori, figli, a volte anche zii e cugini, in vacanza tutti insieme, che quando incontrano un altro gruppo multi-generazionale fanno festa, ognuno trova il giusto corrispondente con cui parlare la coda per l'imbarco fila via che è una bellezza.
A bordo il copione si modifica leggermente. Colpa della struttura logistica dell'aeromobile, che è molto adatta a fare salotto. Le mamme riescono a chiacchierare, ad ogni modo, e i bambini giocano. I papà leggono il giornale, i giovani, ovviamente, ascoltano l'iPod, gli anziani cercano di assopirsi.
Il volo scorre via lento, sono tutti impazienti di atterrare. Man mano che il tempo passa, le attività si affievoliscono, complice anche l'arrivo del pasto.
Poi finalmente si delineano fuori dai finestrini i profili della costa e dei grattacieli di Tel Aviv. L'aereo atterra all'aeroporto di Ben Gurion e, sbarcando, il profumo rovente dell'estate israeliana investe i nuovi arrivati.
Posto di riuscire a superare le temperature polari del controllo passaporti solo di poco superiori a quelle sofferte per l'area condizionata in aereo, dopo questa grande botta di caldo, puoi salutare tutti al nastro di ritiro bagagli, sapendo che non passeranno molte ore prima di rivederli in tenuta da mare.
Frishman Beach vi attende!

(Notiziario Ucei, 6 agosto 2009)

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HRW: Hamas potrebbe aver commesso crimini di guerra

Esistono "forti indizi" per affermarlo

Ci sono "forti indizi" per affermare che Hamas ha commesso crimini di guerra sparando i suoi razzi Qassam contro la popolazione civile nel sud di Israele. Ad affermarlo è un rapporto di 31 pagine preparato da Human Rights Watch, l'organizzazione che si batte per la difesa dei diritti dell'uomo con sede a New York. "Gli attacchi di Hamas con i razzi contro i civili israeliani sono illegali e ingiustificati, ed equivalgono a crimini di guerra", ha detto Ian Levine, di Human Right Watch. In circa otto anni i miliziani di Hamas hanno sparato migliaia di razzi Qassam contro Sderot e le altre comunità israeliane nel Negev Occidentale, ma il rapporto di HRW si concentra in particolare con gli attacchi effettuati dal gruppo palestinese durante l'offensiva israeliana a Gaza dello scorso gennaio. Humans Right Watch non accusa esplicitamente Hamas di aver commesso crimini di guerra, ma indica che ci sono buone ragioni per farlo. Ciò che conta per formulare una tale accusa - ha spiegato Bill Van Esveld, di HRW - è l'intenzione del gruppo armato palestinese di colpire i civili e non il numero di civili uccisi. Hamas ha violato le leggi di guerra attaccando "deliberamente o indiscriminatamente" le aree popolate da civili, ha spiegato ancora Van Esveld. Hamas ha anche violato le leggi di guerra permettendo ai suoi miliziani di sparare dalle aree densamente abitate di Gaza, mettende così a rischio la vita dei civili palestinesi. Nel corso dell'offensiva israeliana il gruppo palestinese ha sparato centinaia di Qassam, uccidendo tre civili israeliani. E proprio in relazione a queste vittime si può affermare che ci sono prove schiaccianti che Hamas abbia commesso dei crimini di guerra.

(Virgilio Notizie, 6 agosto 2009)

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Da studiosi israeliani un videogioco per curare l'occhio pigro

Un videogioco per curare l'ambliopia, un deficit visivo comunemente detto "occhio pigro" che viene a manifestarsi inizialmente durante i primi anni di vita. Arriva da un gruppo di ricercatori israeliani il progetto di un videogioco in grado di allenare l'occhio malato senza dover ricorrere a centinaia di ore di bendaggio su quello sano.
Gli studiosi dell'università di Tel Aviv, guidati da Uri Polat, hanno realizzato un sistema che permetterebbe di sfruttare i più popolari videogiochi per combattere la disfunzione ottica, una condizione che interessa circa quattro bambini su dieci.
Secondo quanto riferito dalla rivista specializzata Vision Research, la Food and Drug Administration, l'ente statunitense preposto al controllo sui farmaci, sta valutando questo metodo: se la sua efficacia venisse confermata potrebbero essere sufficienti venti ore di divertente gioco al pc per curare l'occhio pigro

(L’Automatico.net, 6 agosto 2009)

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VI Conferenza di Fatah: tempestose accuse a Abbas.

BETLEMME. Stava per scoppiare il finimondo, ieri, alla VI Conferenza di Fatah in corso a Betlemme: i membri di 18 comitati differenti hanno chiesto conto dei venti anni di attività del movimento e delle scelte finanziarie, per scopire che il Comitato centrale non aveva redatto alcun rapporto. Lo racconta oggi l'agenzia di informazioni Maan News.
Il leader di Fatah, nonché presidente dell'Anp con mandato scaduto, Mahmoud Abbas, è stato invitato nella sala conferenze diverse volte, da riunioni parallele cui stava prendendo parte, per mediare le divergenze tra i membri e il Comitato centrale.
Abbas ha spiegato che le 46 pagine del suo discorso, tenuto il giorno precedente, comprendono gli ultimi venti anni, dalla V Conferenza svoltasi a Tunisi, e sono il "documento di riferimento" che rimpiazza il report mai stilato dal Comitato centrale.
Alcuni delegati hanno accusato Abbas di proteggere i membri del Cc dall'accusa di aver fallito il loro lavoro, e lui ha risposto che chiunque abbia commesso errori verrà punito.
Il portavoce di Fatah, Nabil Amr, da parte sua, ha definito il secondo giorno di Conferenza, "tempestosa".

(Infopal, 6 agosto 2009)

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Germania: ebrei chiedono di pubblicare il Mein Kampf

di Rodolfo Calò

BERLINO - Uno dei massimi esponenti della comunità ebraica in Germania ha ribadito la necessità di pubblicare un'edizione critica del Mein Kampf di Adolf Hitler per evitare che i neonazisti ne approfittino quando, fra meno di sei anni, scadrà il sostanziale bando che ne impedisce la pubblicazione in terra tedesca. Lo scopo della pubblicazione commentata, ha dichiarato il segretario generale del Consiglio centrale degli ebrei in Germania, Stephan J. Kramer, è anche quello di togliere il fascino perverso che la proibizione conferisce all'esposizione del delirante pensiero del Fuehrer e del programma politico del suo partito nazista.
"Il primo maggio 2015", ha ricordato Kramer in dichiarazioni all'ANSA, esattamente "70 anni dopo la morte di Hitler, i diritti di autore sul Mein Kampf si esauriscono". A perdere il controllo sulle opere del dittatore nazista è il ministero delle Finanze della regione tedesca della Baviera che ne ottenne tutti i diritti dagli americani nel 1946: da allora la pubblicazione del Mein kampf (La mia battaglia) formalmente è consentita in Germania solo se accompagnata da commenti storici ma in pratica è vietata. Dopo il primo maggio 2015 però, ha ricordato ancora Kramer, "chiunque potrà stampare il Mein Kampf. Perciò - ha aggiunto ribadendo una posizione espressa nell'aprile di un anno fa - già oggi si deve preparare un'edizione scientifica storico-critica" anche solo per "prevenire future speculazioni neonaziste".
"Un approccio illuminatamente aggressivo al libro - ha affermato ancora Kramer - senza dubbio gli toglierebbe molto della miticità che ingiustamente ha acquisito". Inoltre l'esponente ebraico ha definito "assolutamente sensato avere a disposizione una versione commentata che possa ad esempio essere utilizzata nell'insegnamento". Kramer ha confermato che l'Istituto di storia contemporanea (Ifz) di Monaco di Baviera "da lungo tempo" ha chiesto al ministero delle Finanze bavarese l'autorizzazione a pubblicare, per ora senza avere ricontri. Lo stesso Ifz a fine mese aveva fatto sapere comunque di aver avviato i "lavori preparatori" per l'edizione del 2015. A giugno comunque un responsabile bavarese, Wolfang Heubish, ministro della Cultura del Land, aveva detto che a suo avviso "una nuova edizione critica del Mein Kampf debba essere consentita presto".
Il libro "già oggi si può ottenere su internet, per vie semi-legali o attraverso antiquari", ha ricordato Kramer aggiungendo che "tutti sappiamo come sia particolarmente stuzzicante ciò che è proibito". L'esponente ebraico tedesco ha ricordato inoltre che per 12 anni, sotto il nazismo, il Mein Kampf è stato in Germania "un regalo obbligatorio di nozze" e quindi sicuramente è stato ereditato "in molte famiglie tedesche".

(ANSA, 5 agosto 2009)

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Nuova influenza: rabbini in volo contro il virus

Rabbi Benyahu Shmueli
Rituali ebraici, rabbini cabalisti, corni e salmi biblici da recitare. Sono queste le ultime "armi" messe in campo da Israele per far fronte al diffondersi della Nuova influenza che, secondo quanto ha riferito ieri l'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), potrebbe colpire almeno due miliardi di persone.
A dare la notizia delle nuove "misure" è stato oggi il quotidiano israeliano Ha-yom che spiega come il progetto di prevenzione sembra di non semplice realizzazione. Prima di tutto servirà un aereo. Una volta decollati e giunti alla quota di crociera, cinquanta rabbini cabalisti daranno fiato ai corni e reciteranno salmi ebraici sorvolando Israele, tutto per evitare o limitare il contagio e gli effetti della Nuova influenza.
Stando a quanto dichiarato dal capo del collegio rabbinico Nahar Shalom di Gerusalemme, Benyahu Shmueli, la Nuova influenza sarebbe la diretta conseguenza di una "colpa", da ritrovare nella "degenerazione dei costumi" degli israeliani. La comparsa del virus H1N1 sarebbe dunque una sorta di punizione dal cielo, sul modello delle ire divine di cui si legge nel Vecchio Testamento. Tra le cause di questo decadimento, secondo il rabbino capo, ci sarebbe anche il Gay pride, definito come "uno dei fenomeni oggi più abominevoli". In ogni caso, ha concluso il rabbino capo, gli ebrei ortodossi non devono provare collera verso i laici perché questi ultimi "sono solo anime infantili, contaminate loro malgrado".
Medici, infermieri e popolazione da oggi potranno dunque contare anche sulle preghiere dei nuovi rabbini dell'aria, una pattuglia che promette preghiere e salmi invece di antivirali e mascherine.

(Salute24, 5 agosto 2009)

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Libano: inchiesta del "Times": da Hezbollah attacco a Tel Aviv

LONDRA - Il movimento sciita libanese di Hasan Nasrallah ha nel proprio arsenale 40mila razzi e sta addestrando i suoi uomini all'utilizzo di missili terra-terra, in grado di colpire Tel Aviv, e di missili anti-aerei che potrebbero sfidare i continui sorvoli di jet israeliani sul Libano. È quanto si legge oggi sul quotidiano britannico 'The Times', a quasi tre anni dalla conclusione della guerra tra i miliziani di Hezbollah e Israele. Secondo Israele, le Nazioni Unite e gli stessi vertici del Partito di Dio, Hezbollah è oggi più forte di quanto fosse nel 2006, quando è scoppiata la guerra che è costata la vita a 1.191 libanesi e 43 israeliani e che il movimento di Nasrallah ha sempre celebrato come una «vittoria divina». Stando al generale Alon Friedman, numero due del Comando settentrionale israeliano, la calma che regna da tre anni al confine tra Israele e Libano «può esplodere ogni minuto». Nel Sud del Paese dei Cedri, dopo i 34 giorni di guerra dell'estate 2006, è stata rafforzata la forza Onu Unifil, comandata dal generale Claudio Graziano. I timori del generale israeliano interpellato dal 'Times' derivano anche dalle ripetute minacce che giungono da Hezbollah. Il mese scorso Nasrallah ha fatto sapere che se la periferia meridionale di Beirut, tradizionale roccaforte del Partito di Dio, verrà bombardata nuovamente come nel 2006, Hezbollah potrebbe rispondere colpendo Tel Aviv. «Il riarmo di Hezbollah è nel nome della resistenza contro Israele. Probabilmente, tuttavia, la vera ragione è collegata al suo alleato Iran - si legge sul 'Times' - Se Israele concretizza la sua minaccia di attaccare gli impianti nucleari dell'Iran, la principale rappresaglia potrebbe venire da Hezbollah in Libano». Il giornale ricorda quindi quanto avvenuto lo scorso 14 luglio nel Sud del Libano, vicino al confine con Israele, quando è esploso un deposito di armi e munizioni, pubblicando anche un filmato che mostrerebbe miliziani di Hezbollah intenti a portare in salvo razzi e munizioni dal sito.

(News ITALIA PRESS, 5 agosto 2009)

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Lieberman visita il villaggio conteso di Al Ghajar

L'Unifil media per una soluzione, Italia chiede ritiro israeliano

Avigdor Lieberman
Il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman ha visitato oggi il villaggio conteso di Al Ghajar, a cavallo tra il Libano e le alture del Golan. Il villaggio, che un confine tracciato dall'Onu nel 2000 aveva diviso fra il Libano e le alture del Golan (presidiate dallo Stato ebraico dal 1967, e annesse unilateralmente nel 1981), è poi stato interamente occupato da Israele durante la guerra dell'estate 2006 contro i guerriglieri dell'Hezbollah. Durante il suo passaggio, Lieberman ha fatto cenno ad alcune proposte avanzate dalle Nazioni Unite per una soluzione sul territorio conteso, ma senza fornire dettagli. Il ministro israeliano ha poi sostenuto che la maggior parte dei 2mila abitanti del villaggio vuole una soluzione di unità, a prescindere da chi lo controllerà, aggiungendo di sperare in "decisioni giuste e buone" al riguardo. Nella vicenda, per l'Onu, un ruolo di primo piano è ricoperto dal generale italiano Claudio Graziano, comandante dell'Unifil e mediatore della contesa territoriale nei negoziati fra Libano e Israele che vanno avanti fin dalla pace nel settembre 2006. In una missione a Beirut e Damasco, all'inizio di aprile, il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini aveva affermato che "il ritiro da Ghajar da parte israeliana è necessario, perché sarebbe un segnale importante per la comunità internazionale". Frattini si era poi spinto fino a dichiarare che l'"occupazione" israeliana delle alture del Golan è "uno dei principali ostacoli alla pace" in Medio Oriente. Quando è venuto in Italia a maggio, lo stesso Lieberman - che ha sempre negato la possibilità che il suo governo restituisse il Golan alla Siria - aveva lasciato intendere che Netanyahu avrebbe potuto rispondere positivamente alla sollecitazione italiana per "qualche passo avanti" verso la soluzione di alcuni problemi-chiave del Libano, come quello di Al Ghajar appunto.

(Virgilio Notizie, 5 agosto 2009)

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In Cisgiordania, Fatah a congresso. Abu Mazen contro Hamas e Israele

di Anna Momigliano

TEL AVIV - «Abbiamo scelto la pace, ma ci riserviamo il diritto alla resistenza armata». Con queste parole Abu Mazen, presidente dell'Autorità nazionale palestinese, ha inaugurato ieri a Betlemme il congresso del suo partito Fatah, il primo dopo vent'anni. Più di duemila rappresentanti di Fatah si sono riuniti nella città della Cisgiordania, obiettivo: approvare un nuovo documento programmatico e rinnovare gli organi dirigenti del partito (cioè la commissione centrale, 21 membri, e il consiglio rivoluzionario, 120). In altre parole, svecchiarsi, cercare nuovi consensi e trovare nuove energie per continuare a governare l'Autorità nazionale palestinese. E soprattutto, prepararsi a reggere il confronto con Hamas: Fatah è forza principale dell'Olp (organizzazione per la liberazione della Palestina) che di fatto ormai governa solamente sulla Cisgiordania, da quando gli estremisti hanno preso il potere a Gaza nel 2007. Nel suo discorso, il presidente palestinese ha attaccato non solo Hamas, «i principi dell'oscurità che stanno dividendo la nostra patria e danneggiando la democrazia», ma anche Israele: «Non ha mantenuto gli impegni presi».
Il congresso è stato aperto «nel nome dei martiri e di Gerusalemme, capitale dello Stato palestinese». Sui muri della sala conferenze si potevano leggere cartelli con gli slogan «la resistenza è un diritto legittimo» e «il diritto di ritorno è sacro». Il ritorno dei profughi palestinesi nei confini dello Stato ebraico è uno dei principali motivi di disaccordo tra palestinesi e israeliani: i primi lo vedono come un loro diritto inalienabile, i secondi come un inaccettabile suicidio demografico.
Da parte israeliana non mancano le preoccupazioni, ma il ministro della Difesa Ehud Barak (Labour) invita ad aspettare la fine del congresso prima di trarre conclusioni. «Non dobbiamo ignorarlo del tutto, ma neppure farci impressionare troppo», ha detto Barak davanti alla commissione affari esteri della Knesset. «Il vero test avverrà quando si sarà formata una leadership con un livello appropriato di legittimità», ha aggiunto Barak, che ricopre anche la carica di vicepremier «vedremo allora che cosa avranno da dire».
Sulla stampa israeliana erano circolate delle indiscrezioni sul documento programmatico che Fatah sta per approvare: il partito di Abu Mazen intenderebbe riaffermare il non riconoscimento di Israele come Stato del popolo ebraico. Barak ha anche detto che, se confermata, una decisione del genere «sarebbe indicativa della disponibilità palestinese a continuare i negoziati con Israele».
Il ministro dei Trasporti Yisrael Katz (Likud) ha espresso un giudizio assai più duro: «La piattaforma di Fatah equivale a una dichiarazione di guerra». Avi Dichter, ex capo dei servizi segreti Shin Bet e oggi parlamentare di Kadima, ha lanciato l'allarme: «Le dichiarazioni dei leader di Fatah aprono la strada a una terza Intifada». E ancora: «Trovo particolarmente preoccupante che siano i moderati a volere votare su un articolo intitolato "Proseguire la lotta contro Israele con ogni mezzo necessario". Sedici anni dopo gli accordi di Oslo, Fatah continua a vedere la lotta armata come un mezzo legittimo di dialogo».
Le ragioni di preoccuparsi ci sono ma l'allarme su una "terza Intifada" sembra francamente eccessivo, commenta Shmuel Sandler, docente di scienze politiche all'università di Bar Ilan. «Abu Mazen non vuole la violenza» dice al Riformista. «Eppoi non credo sarabbe così stupido da lanciare un'offensiva in Cisgiordania, dove l'esercito e l'intelligence israeliani sono in una posizione di forza». «Non mi stupirei se davvero approvassero un documento violento, prosegue, ma alla fine sarebbero solo parole». Semmai, sostiene Sandler, c'è da chiedersi se davvero la sua leadership ha qualche possibilità di uscire rafforzata da questo congresso: «Fatah è un partito politicamente morto. La sua storia non è molto diversa da quella di molli movimenti nati da una solida ideologia e che, una volta perso lo slancio, si ritrovano senza consensi». E ancora: «La stessa cosa che sta capitando al partito laburista israeliano». Abu Mazen, conclude il docente, sta «seriamente cercando di rinnovare il partito», ma ha poche possibilità di successo: «Mi auguro che da questo congresso possa uscire qualcosa di buono, anche per Israele. Ma sono pessimista».

(Il Riformista - 5 agosto 2009)

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La comunità Chabad chiede la nomina di "Giusto fra le Nazioni" per un ufficiale tedesco

di Aldo Baquis

Wilhelm Canaris
TEL AVIV - L'emozione, negli ambienti della comunità ultraortodossa Chabbad, è forte. I dirigenti hanno appena appreso che il loro capo spirituale all'epoca della seconda guerra mondiale Yosef Yitzhak Schneerson, sesto 'Admor' nella dinastia dei Lubavitch, fu tratto in salvo nel 1940 da Varsavia su ordine personale del capo dell'intelligence militare del Terzo Reich (Abwehr), Wilhelm Canaris. Oggi il movimento Chabbad è uno dei più influenti nell' ebraismo ortodosso, con rappresentanze in tutto il mondo. "Ma senza quel rocambolesco salvataggio oggi forse non esisteremmo" affermano i dirigenti Chabbad. In un appello al Museo dell'Olocausto Yad Vashem chiedono che Canaris sia riconosciuto come Giusto fra le Nazioni. "Quell'uomo - spiega il rabbino Yosef Kaminzky - salvò non solo il rabbino Schneerson, ma anche centinaia di ebrei. Non per lucro, ma per sentimenti di umanità, a rischio della propria incolumità ". Riconosciuto come attivo oppositore di Hitler, Canaris fu arrestato e ucciso nel 1945 nel campo di concetramento di Flossenberg, poche settimane prima della fine della seconda guerra mondiale. A destare l'emozione negli ambienti Chabbad è stata la pubblicazione in questi giorni di 'Operazione Walkiria', una ricerca dello storico israeliano Dany Orbach sugli oppositori a Hitler che si nascondevano all'interno del regime. Persone nei confronti delle quali, secondo Orbach, anche Israele ha un debito di riconoscenza perché esse per motivi vari cercarono di mettere fine alla guerra, e dunque anche alla Shoah. Di Canaris, Orbach scrive che era essenzialmente un patriota tedesco, spinto da sentimenti religiosi e morali.
All'inizio sostenne Adolf Hitler, ma presto ne prese le distanze anche perché indignato dalle persecuzioni nei confronti degli ebrei. Anche quando era vietato, continuò a fare acquisti nei negozi degli ultimi ebrei di Berlino. Anche quando si rischiava la pena di morte fece il possibile per far espatriare ebrei e per mettere in salvo civili polacchi. Il salvataggio di Schneerson ebbe origine da una discreta telefonata del Dipartimento di Stato che esprimeva inquietudine per la sua sorte. Canaris forse pensava che un gesto di amicizia verso gli Stati Uniti poteva servire per indurli a mediare fra Germania e Gran Bretagna e mettere dunque fine alla guerra. Soldati tedeschi di origine ebraica furono scelti per scoprire dove il rabbino fosse nascosto. Varsavia, sotto occupazione militare, era sottosopra. Per vie segrete a Schneerson fu detto che i soldati tedeschi che lo cercavano avevano ordine di salvarlo, non di eliminarlo. Fra gli sguardi sbalorditi dei militari della Gestapo, il rabbino ortodosso fu allora scortato fino a Berlino. Proseguì poi per Riga, quindi - via Svezia - si mise in salvo negli Stati Uniti. Orbach aggiunge che Canaris salvò centinaia di ebrei inviandoli in treno in Spagna e in Portogallo con documenti che falsamente attestavano che erano spie tedesche. La pratica è adesso sul tavolo della direzione di Yad Vashem. Si tratta di un dossier scottante: in passato l'onorificenza a Canaris di Giusto fra le Nazioni era stata negata. Fra il 1935 e il 1944 egli mantenne infatti una funzione di comando nella macchina bellica tedesca, fu corresponsabile delle sue operazioni. Si può forse cancellare tutto con un colpo di spugna ? L'istituzione prende tempo. Anche se oggi compare su tutti i giornali, "la richiesta dei Chabbad circa Canaris ancora non ci è giunta - ha dichiarato all'ANSA la portavoce - Quando arriverà, la studieremo".

(ANSA, 4 agosto 2009)

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Fioravanti: "Ora la Procura lavori sulla pista palestinese"

di Concetto Vecchio

ROMA - "Sarebbe stato più comodo ammettere che fummo noi, che fu un incidente, ci avrebbero pure pagato. Questa storia sarebbe finita cento anni fa, e avremmo fatto contenta un sacco di gente. Ma non fummo noi, e il fatto che una sentenza definitiva lo stabilisca, che la gente lo pensi, mi dà una punta di angoscia. Perciò dico: si continui ad indagare sulla strage di Bologna". L'ex Nar Valerio Fioravanti, 51 anni, cinque ergastoli, un certificato penale di 27 pagine, esce dal dentista, zona Nord di Roma. Ora è un uomo libero: entrò in carcere nel febbraio 1981, vi rimase 20 anni difilato, più quattro di semilibertà e altri cinque di libertà condizionale. Non nega 26 pagine e mezzo del suo curriculum terroristico: salvo la mezza paginetta, ma pesantissima, su Bologna....

(la Repubblica, 4 agosto 2009)

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Fatah a congresso, ma i «falchi» hanno già vinto

di Fiamma Nirenstein

Fiamma Nirenstein
Se il mondo si era affacciato alla finestra per guardare meglio la conferenza di Fatah che da oggi raccoglie 2265 delegati a Betlemme per tre giorni, meglio torni a dormire. Non ci sarà un cambio della guardia, i più che settantenni resteranno al potere; non ci sarà un cambiamento di linea che porti il Mediorente verso la pace; non ci sarà la base per un accordo fra Fatah e Hamas. Il fatto che si tratti della sesta convenzione in venti anni è una grande occasione di incontro fra personaggi sparsi ai quattro angoli del Mediorente in cui il West Bank è contro Gaza, i vecchi contro i giovani, i moderati, pochi, contro i moltissimi rivoluzionari permanenti. Hamas che ha tentato di impedire ai 200 delegati di Fatah provenienti dalla sua zona di arrivare, è di fatto, per Fatah, il nemico da battere ma anche il remoto ispiratore di una linea sempre più tragicamente dura: la leadership di Abu Mazen, ormai 74enne, così come quella dei cinquantenni come Mahmud Dahlan o il carcerato Marwan Barguti, in dura competizione fra di loro, hanno in comune la determinazione a reggere la competizione di Hamas sfoderando toni durissimi.
Così la bozza del documento conclusivo, di cui già si parla anche se pochi l'hanno visto, promette di non riconoscere Israele come stato ebraico, di propugnare il diritto al ritorno dei profughi del '48 e del '67, e, pare, anche di ribadire la legittimità della lotta armata, ovvero, nella tradizione palestinese, del terrorismo. Israele, con permessi speciali valutati dai servizi segreti dell'interno, lo Shabbach, ha scelto una linea morbida con alcune eccezioni. È stato lasciato entrare persino Khaled Abu Asba, uno degli autori del terribile attentato del 1978 sulla costa di Tel Aviv, in cui morirono 35 innocenti passeggeri di un autobus. Contento di essere rientrato, dice che adesso spera di rendere la lotta armata più attiva. Invece, non ha ricevuto il lasciapassare Munir Hussein al Maqda, un capo terrorista legato all'Iran e molto vicino agli Hezbollah.
A Betlemme si eleggerà un comitato centrale di 21 persone, per cui ci sono 150 candidati, e un comitato rivoluzionario di 120 delegati, per cui ci sono 500 in lizza. Il capo della nuova guardia è Hatem Abdel Khader, e punta sul comitato rivoluzionario, perché il vertice è ancora in buona parte controllato dalla vecchia guardia.
Il rafforzamento di Fatah a fronte di Hamas, la definizione della strategia, sono i tre obiettivi principali della conferenza di oggi. Ma il presente della lotta con Hamas incombe, insieme al solito uso dell'antisraelismo, tanto più fonte di potere quanto più acuto e gridato. È chiaro che rifiutarsi di riconoscere lo stato ebraico non c'entra col rifiuto di principio di uno stato confessionale, dato che gli ebrei sono una nazione laica con il 20 per cento di religiosi che seguono le loro regole ma non possono imporle a nessuno. La verità è che riconoscere lo stato ebraico d'Israele significa rinunciare a distruggere Israele con la demografia, e questo nessuna jihad potrà mai accettarlo. Invece è proprio, magari inconsapevolmente, una forma di jihad religiosa quella per cui anche Abu Mazen propugna il "ritorno" della terza o quarta generazione di profughi figli, nipoti e pronipoti di coloro che furono costretti a spostarsi, in guerra, verso i Paesi arabi mentre un numero altrettanto grande di ebrei si spostava in fuga verso Israele. Obama certo guarda preoccupato alla prossima convenzione: potrebbe venirne fuori un grosso "no" alla sua linea della mano tesa, e proprio da chi non se lo aspetta.

(il Giornale, 4 agosto 2009)

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Anp, Fatah a congresso dopo 20 anni

di Giorgio Raccah

GERUSALEMME - Vent'anni dopo la sua ultima convocazione nel 1989 a Tunisi, si apre a Betlemme il sesto Congresso del Fatah, sotto la presidenza di Abu Mazen (Mahmud Abbas). Nei prossimi tre giorni i circa 2.260 delegati dovranno rinnovare i quadri direttivi di questa organizzazione e formulare un nuovo programma politico. I lavori saranno seguiti con grandissimo interesse, oltre che dai palestinesi, anche da Israele e dai maggiori attori internazionali per i loro possibili riflessi sulle prospettive di una soluzione negoziata del conflitto israelo-palestinese. I delegati dovranno eleggere i 21 membri del Comitato Centrale e i 120 membri del Comitato Rivoluzionario. Dietro le quinte e' gia' in corso un'aspra lotta tra i membri della vecchia guardia, che si e' formata in esilio e che ha finora controllato le leve del potere, e della generazione piu' giovane, formatasi sotto l'occupazione israeliana e protagonista della prima e anche della seconda intifada. Attivisti del Fatah nei giorni scorsi hanno espresso scetticismo sulla possibilita' che dal Congresso emerga un vero rinnovamento dei quadri direttivi, soprattutto nel Comitato Centrale, e hanno accusato la vecchia guardia - screditata agli occhi di molti palestinesi - di bloccare la strada alle generazioni piu' giovani e rampanti. Il congresso e' un test critico per il presidente dell'Anp Abu Mazen (Mahmud Abbas) che dovra' convincere i palestinesi innanzi tutto - ma anche Israele e Stati Uniti - che al-Fatah non e' una forza politica fossilizzata e consumata dall'esercizio del potere, ma che e' anzi dinamica e in grado di realizzare accordi di pace. Non a caso, le principali difficolta' per Abu Mazen giungono dai rivali ideologici di Hamas - al potere nella Striscia di Gaza - che hanno impedito a numerosi delegati del Fatah di uscire da Gaza e hanno minacciato di processare quanti abbiano raggiunto Betlemme per vie traverse. La scissione di Gaza resta per Abu Mazen il problema n.1. Per rafforzare Abu Mazen, Israele ha autorizzato l'ingresso in Cisgiordania di delegati provenienti da Paesi nemici, come Siria e Libano. Malgrado cio' sul piano ideologico al-Fatah potrebbe uscire da questa Conferenza piu' rigido, specialmente se le forze giovani metteranno da parte i vecchi quadri di partito. Sul programma politico circolano per ora diverse bozze. Le anticipazioni indicano che al-Fatah fara' appello alla lotta contro le colonie ebraiche e contro la barriera di sicurezza, privilegiando le proteste popolari disarmate. Al-Fatah dovrebbe inoltre respingere seccamente la richiesta di Netanyahu che i palestinesi riconoscano Israele come 'Stato ebraico', al cui interno non ci sarebbe alcun ritorno di profughi, e pure proporre l'unilaterale proclamazione di uno stato palestinese se i negoziati con Israele dovessero fallire. Circola pure una proposta di apertura a un dialogo strategico con l'Iran in considerazione del suo crescente peso regionale. Il governo israeliano si e' finora astenuto da commentare queste voci, in attesa dei risultati del Congresso. L'unico a farsi sentire apertamente e' stato il ministro dei trasporti israeliano Yisrael Katz, con fama di 'falco', che ha definito le voci una dichiarazione di guerra a Israele. Abu Mazen spera che alle fortune del Fatah possano ora giovare il ritorno della sicurezza e la tumultuosa crescita economica in Cisgiordania. Quest'ultima tanto piu' significativa se paragonata alla miseria di Gaza, controllata da Hamas.

(ANSAmed, 3 agosto 2009)

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Gerusalemme capitale. Ma della cultura araba

L'iniziativa, nata in seno all'Onu, vede ogni anno valorizzare una città differente

Il francobollo e il foglietto iracheni
Se l'Occidente non concorda sulla scelta israeliana di considerare Gerusalemme come capitale (tanto è vero che le rappresentanze diplomatiche hanno sede a Tel Aviv), ora è Baghdad a considerarla tale. Ma della cultura araba.
L'iniziativa, in realtà, è nata dalla Conferenza mondiale sulle politiche culturali, organizzata dall'Onu in Messico nel 1982. In tale contesto venne adottato il programma del "Decennio mondiale dello sviluppo culturale" (1988-1997), basato sulla necessità di un dialogo tra i popoli, rispettoso sia dell'identità culturale nazionale, sia della diversità. Nel 1994 è stata focalizzata l'idea delle capitali culturali regionali, ripresa l'anno successivo anche dall'Organizzazione araba per l'educazione, la cultura e le scienze. La prima città dell'area ad ottenere il riconoscimento è stata Il Cairo nel 1996, seguita, negli anni successivi, da Tunisi, Sharjah, Beirut, Riyadh, Kuwait, Amman, Rabat, San'a, El Khartum, Masqat, Algeri, Damasco ed ora, appunto, Gerusalemme.
L'emissione irachena, organizzata in un francobollo e un foglietto dai nominali rispettivamente di 250 e 750 dinari, è giunta agli sportelli ieri. Entrambe le cartevalori propongono il logo dell'evento, mentre i francobolli provengono dalla libanese Green glory privet printing house.
È facile immaginare che altri Paesi si aggiungeranno alle celebrazioni postali.

(Vaccari News, 3 agosto 2009)

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Palestinesi: deficit di 30 milioni di dollari per l'agenzia Onu

Trenta milioni di dollari: è questo il deficit che l'agenzia dell'Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) deve colmare per coprire i 545 milioni di spesa previsti per il 2009. A riferirlo è stato il responsabile delle operazioni Richard Cook, che secondo quanto riferito oggi dalla stampa libanese, ha precisato che "l'Unrwa ha urgente bisogno di almeno 30 milioni di dollari, ma è una cifra flessibile, dipende tutto dalle donazioni". Una situazione drammatica, ha sottolineato Cook, "la peggiore nei 24 anni che ho passato qui" e che presenta ridotte possibilità di miglioramento nei prossimi due anni. "L'agenzia affronta dei problemi finanziari cronici", ha dichiarato il responsabile dell'(L'Unione Sarda, 03 agosto 2009) , dal suo ufficio di Amman, "ma speriamo che i nostri donatori abituali continuino a essere generosi". Sono 4,2 milioni i profughi palestinesi di cui l'agenzia Onu attualmente si occupa nei diversi Paesi della regione in cui vengono ospitati, secondo fonti della stessa Unrwa: Giordania (1.8 milioni di rifugiati), Libano (423.000), Siria (462.000), Cisgiordania (762.000), Striscia di Gaza.

(L'Unione Sarda, 3 agosto 2009)

Ved. L'Onu e l'Unrwa, la gallina dalle uova d'oro

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Obama sulle tv arabe e israeliane per promuovere il processo di pace

Il presidente statunitense ha in programma di concedere una serie di interviste alle emittenti arabe e israeliane per creare consenso e influenzare l'opinione pubblica per una pacifica risoluzione del conflitto

WASHINGTON, 3 agosto 2009 - Alla luce delle difficoltà che ha incontrato nel promuovere il processo di pace in Medio Oriente, il presidente statunitense Barack Obama ha in programma di concedere una serie di interviste alle emittenti arabe e israeliane per creare consenso e influenzare l'opinione pubblica per una pacifica risoluzione del conflitto.
L'inviato speciale per la regione, George Mitchell, ha spiegato al New York Times che è nato un equivoco sul veto Usa per la costruzione degli insediamenti israeliani in Cirgiordania. "Questa affermazione è inesatta", ha dichiarato Mitchell nella rara intervista concessa al quotidiano in un momento in cui l'amministrazione Obama viene criticata per la sua politica in Medio Oriente.
Mitchell ha aggiunto anche che, contrariamente a quanto si crede, gli Stati arabi sono pronti a lanciare nuove segnali di apertura. Secondo gli analisti presto si potrebbero aprire uffici commerciali israeliani negli Stati arabi e viceversa, gli aerei israeliani diretti in Asia potrebbero sorvolare i Paesi arabi per gli aerei e i leader arabi potrebbero rilasciare interviste alle emittenti israeliane. "I sauditi vogliono rendersi utili e, come tutti, vogliono un accordo pacifico che ponga le basi per la fine del conflitto", ha sottolineato Mitchell.

(Quotidiano.net, 3 agosto 2009)

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Cinema, film prodotto da Hamas debutta nella Striscia di Gaza

"Uccidere i soldati israeliani significa essere devoti a Dio".

di Nidal al-Mughrabi

GAZA - Gli spettatori della Striscia di Gaza hanno applaudito quando l'attore ha pronunciato le parole più memorabili del film.
"Uccidere i soldati israeliani significa essere devoti a Dio".
"Imad Aqel", uscito sabato, è il primo lungometraggio prodotto dal movimento islamico di Hamas, e il titolo si richiama al nome di un militante palestinese accusato da Israele per l'uccisione di 13 soldati e coloni.
In rispetto della severa tradizione musulmana, uomini e donne si sono seduti in sezioni separate della sala, per guardare quello che i funzionari di Hamas hanno definito un "cinema della resistenza", riferendosi al film che descrive la situazione come una lotta contro l'occupazione israeliana.
"Imad Aqel" è stato girato all'interno dell'ex insediamento ebraico di Ganei Tal, nella Striscia di Gaza controllata da Hamas, e descrive la fondazione di Hamas negli anni 80, gli attacchi di Aqel contro l'esercito israeliano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e la firma della pace di Oslo tra Israele e l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina nel 1993.
Il film è costato 120.000 dollari ed è stato scritto da Mahmoud al-Zahar, un importante leader di Hamas, ritenuto dall'Occidente un gruppo terroristico, dopo che si è rifiutato di rinunciare alla violenza, riconoscere Israele e accettare gli accordi di pace provvisoria.
Aqel è stato ucciso nel 1993 a Gaza all'età di 22 anni, dopo che soldati israeliani avevano accerchiato il suo nascondiglio.
Quattro degli attori che recitano nel film, per la cui realizzazione ci sono voluti diversi mesi, sono rimasti uccisi nel corso dell'offensiva lanciata da Israele nella Striscia di Gaza lo scorso dicembre, con l'obiettivo dichiarato di porre fine ai razzi lanciati dai militanti palestinesi.
Il regista, Majed Jendeya, ha espresso la speranza di poter proiettare il film al Festival di Cannes in Francia. Questa è la più recente incursione sui mass media per Hamas, che gestisce già un canale sulla Tv satellitare, una stazione radio e diversi giornali.

(Reuters, 3 agosto 2009)

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Israele, i cimiteri scoppiano, nuove idee in linea con tradizione

di Ari Rabinovitch

GERUSALEMME - In Israele sta finendo lo spazio per seppellire i morti.
Dalla creazione dello stato 61 anni fa, i cimiteri del piccolo paese si sono riempiti di tombe, la cremazione è un'opzione, ma la tradizione religiosa ebraica lo impedisce. Così la terra è diventata scarsa e lo spazio è poco.
All'ingresso di Gerusalemme uno dei più grandi cimiteri della città ha finito per lambire l'autostrada, quasi a ricordare che la terra non basta più.
Una commissione nominata dal governo sta guardando al passato per trovare una soluzione per il futuro -- proponendo "interramenti ad alta densità".
Ai tempi della Bibbia, era comune seppellire i morti a pile in cripte sotterranee. L'idea salva-spazio è stata riesumata circa 20 anni fa da due architetti israeliani, Tuvia Sagiv e Uri Ponger, che l'hanno presentata al Rabbinato di Israele, massima autorità in fatto di sepoltura.
Al Rabbinato l'idea è piaciuta, poiché segue le linee guida della religione.
"Il sistema era usato all'epoca dei Sanhedrin e dell'autorità ebraica, stiamo soltanto riproponendo qualcosa che esisteva già in passato", ha detto il rabbino capo di Israele, Yona Metzger.

(Reuters, 3 agosto 2009)

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In Israele accogliere i rifugiati significa aiutarli a trovare lavoro

di Anna Momigliano

Il governo ha finalmente cancellato la norma "Hadera Gedera", una delle più controverse (e forse anche una delle più inutili) leggi israeliane. Come molti ormai sanno, Israele accoglie un discreto numero di rifugiati del Darfur: persone che sfuggono al genocidio raggiungendo con mezzi di fortuna l'Egitto. In Egitto però la polizia li maltratta, in alcuni casi ha persino aperto il fuoco contro di loro. Di conseguenza i poveretti non hanno altre alternative se non attraversare a piedi il confine del Sinai per raggiungere Israele: "E' l'unica democrazia che conosciamo" aveva raccontato uno di loro, nel documentario israeliano Asylum City. Qui, si sa, nessuno spara contro i rifugiati.
I rifugiati politici, alcuni dei quali sono sotto la protezione dell'Onu, altri del ministero dell'Interno, hanno diritto a rimanere e a lavorare in Israele. Problema: una legge obbligava loro di risiedere a Sud di Gedera o a Nord di Hedera. In altre parole, di stare lontani da Tel Aviv, dove ci sono più posti di lavoro. Organizzazioni israeliane per i diritti civili avevano ripetutamente denunciato come ingiusta questa legge: va bene accogliere le persone in pericolo di vita, ma poi bisogna anche permettergli di trovarsi un lavoro. Infatti molti rifugiati del Darfur ignoravano questa legge, e lavoravano illegalmente a Tel Aviv: spesso le autorità chiudevano un occhio, ma alcune decine di loro sono stati arrestati e incarcerati.
Molti israeliani hanno protestato: sono scese in piazza le organizzazioni per i diritti civili, movimenti giovanili ebraici come Hanoar Haoved, insieme a gente comune. L'esecutivo di conseguenza ha deciso di revocare questa legge. Una vittoria per la società civile israeliana.

(Notiziario Ucei, 2 agosto 2009)

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«Sono stato un giovane hezbollah, ma ora il mio sogno è l'Occidente»

Il racconto di una Beirut divisa tra drugstore, tacchi a spillo e Corano nelle confessioni di un 26enne in fuga da Nasrallah.

BEIRUT (2 agosto) - La capitale del paese dei cedri è un lunapark di luci e colori. Insegne rosa e gialle dei drugstore, I McDonald’s aperti fino a tardi, i giovani che fumano il narghilè tra le palme del lungomare. Ragazze che camminano in gruppo, disinibite, con tacchi a spillo e rossetto.
Dentro questo ritratto da “dolce vita” libanese però, dietro le quinte dei tappeti rossi di una telenovela araba disinvolta e romantica, Mohammed Bazra, un ragazzo di ventisei anni che vive rifugiato fra le montagne del Libano, racconta la storia di un’altra Beirut. Di una città che vive di un islam tollerante, ma anche di un altro islam, rigido e gerarchizzato, dove non c’è spazio per musiche e libertà....

(Il Messaggero, 2 agosto 2009)

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Fatah non riconosce Israele

"Cessi subito ripristino insediamenti"

Con una mossa destinata a inasprire il percorso verso la ripresa dei colloqui di pace, Fatah si appresta a rifiutarsi di riconoscere lo stato di Israele come uno stato ebraico. Il presidente Abu Mazen ribadirà il 'no' alla ripresa dei negoziati fino a quando non sarà fermata la costruzione di insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme. Il congresso di Fatah si aprirà martedì a Ramallah e sarà il primo da vent'anni.

(TGCOM.it, 02 agosto 2009)

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Obama fa il duro con Israele non con i palestinesi

di Fiamma Nirenstein

Va bene, adesso è quasi sicuro, Bibi Netanyahu ha intenzione di dichiarare un «congelamento» temporaneo degli insediamenti, proprio come gli hanno chiesto tutti gli inviati, dal segretario della Difesa Robert Gates, all'incaricato per il Medio Oriente George Mitchell, al Consigliere per la Sicurezza James Jones, giunti in processione dagli Stati Uniti. Ma questo aiuterà a fare la pace? Sembra quasi che la linea Obama, di cui le concessioni israeliane sono il perno, stia creando una specie di scivolamento inerziale verso una strana, pericolosa neghittosità palestinese, e un altrettanto automatico riflesso antisraeliano da parte dell'Europa. Insomma: come se Israele dovesse far tutto e i palestinesi e il mondo arabo solo quel che gli pare.
Obama, al contrario di quello che si sapeva, non ha più voglia di presentare un piano di pace per il Medio Oriente. Gli Usa ora tenderebbero semplicemente a puntare su ciò che sembra a portata di mano, ovvero un accordo con Israele per lo sgombero di alcuni "out post" illegali e per il "congelamento" temporaneo degli insediamenti, in attesa che Abu Mazen batta un colpo. Per spingere il mondo arabo a un gesto di buona volontà, Mitchell ha visitato gli Emirati, la Siria, l'Egitto: cerca una pace onnicomprensiva, ma per ora Obama dovrà approfittare della sola buona volontà israeliana. E così, tutti spingono su Bibi che vuole buoni rapporti con Obama a causa della minacciosità dell'Iran. La repressione e i toni degli ayatollah lasciano pochi dubbi: Israele e gli Usa tornano a discutere su come fermare la bomba; ma gli Usa giocano la loro parte agli occhi del mondo arabo premendo Israele, e tutti li seguono.
Molte cose, però, non si spiegano. Come può essere che la scorsa settimana l'Autonomia Palestinese (non Hamas) abbia annunciato l'intenzione di dare alle sue strade i nomi di terroristi assassini, ora ospiti delle celle israeliane, senza che nessuno vi rilevi un incitamento al terrore? E poi, perché le cancellerie non chiedono spiegazioni di fronte alle dichiarazioni di Rafik Natshe e altri membri del Comitato Centrale di Fatah che ha affermato che «Fatah non riconosce il diritto ad esistere di Israele, né abbiamo mai chiesto ad altri di farlo, tantomeno a Hamas». Davvero? Abu Mazen ha più volte fatto sapere che la richiesta era sul tavolo. Quanto alla lotta armata, Natshe e altri dicono che «essa non finirà mai». Per allargare lo sguardo: stiamo aspettando una reazione alla scelta giordana di revocare ai cittadini palestinesi la cittadinanza per «non creare l'illusione che la questione palestinese si possa risolvere in una confederazione giordano-palestinese». Che si direbbe a Israele se strappasse la cittadinanza ai suoi cittadini arabi! E che dire dell'incontro fra Fatah (non Hamas) con il ministro degli Esteri iraniano? Come mai nessuno ne chiede conto e dice che se gli israeliani devono smetterla con le loro costruzioni di mattoni, essi devono piantarla con quelle mentali che suggeriscono odio?

(il Giornale, 2 agosto 2009)

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Obama, l' 'indurimento' della linea di Al Fatah non è male, no?

di Ugo Volli

I giornali italiani praticamente non ne hanno parlato, ma molte cose dipendono dalla conferenza nazionale di Al Fatah che è convocata nei prossimi giorni a Betlemme, la prima dopo vent'anni. Alcune centinaia di delegati dovranno decidere sul rinnovo della leadership dell'organizzazione, che è decisamente vecchia, sulla sua nuova linea politica, sui rapporti con Israele, con l'America e con Hamas. Da quel che si capisce, i risultati non saranno allegri, in particolare per chi crede che la pace sia possibile subito. Il giornale saudita "Wattan" ha ottenuto in anteprima la bozza di documento finale. Non vi è traccia di riconoscimento dello Stato ebraico. In cambio Fatah si propone di intensificare la lotta contro gli insediamenti, la barriera di sicurezza e la "giudeizzazione di Gerusalemme", usando l' "opposizione civile" e "limited violent means" [mezzi violenti limitati]. Chi sa che vuol dire violenza "limitata"? Bombe senza suicidio?
Fra gli obiettivi ritorna il rientro dei "rifugiati" del '48 e la proclamazione di uno stato palestinese nei confini del '67. Per ricominciare le trattative con Israele Fatah chiede il congelamento dell'attività edilizia (che è l'idea di Obama, ma è anche una condizione nuova, dato che da vent'anni le due parti hanno trattato senza questa clausola). Nel frattempo Fatah chiede a tutto il mondo arabo di "evitare la normalizzazione con Israele finché dura l'occupazione". La ciliegina sulla torta è la decisione di stabilire un "canale strategico con l'Iran". Per essere la piattaforma di una pace con Israele entro un anno e mezzo, come vuole Obama, questo "indurimento" della linea della maggiore organizzazione palestinese non è male, no? Se volete aggiungere un pizzico di amaro al cocktail dovete sapere che il leader di Fatah e presidente dell'Autorità Palestinese Abu Mazen, che in realtà non è mai stato eletto dalla sua organizzazione, intende far confermare o nominare se stesso, ma vuol anche indicare un successore, che in via del tutto eccezionale per i paesi arabi non è suo figlio. Si tratta di Maher Abu Ghneim, un signore non solo giovanissimo (ha 72 anni) e molto amante della pace. Non è rientrato nei territori dopo gli accordi di Oslo perché non era d'accordo a rinunciare alla lotta armata e, appena arrivato dalla Giordania per la conferenza, ha confermato la sua ferma intenzione di "continuare la lotta, finché ogni granello di sabbia del territorio palestinese sarà libero sotto la bandiera della Palestina". Incluse naturalmente Gerusalemme, Tel Aviv e Haifa. Questi sono i palestinesi "buoni" e "moderati", da distinguere attentamente da quelli "cattivi" ed "estremisti" che comandano a Gaza. Non posso che augurare buona fortuna a chi crede nella pace.

(Informazione Corretta, 2 agosto 2009)

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Centrale nucleare nel deserto del Neghev

Israele progetta la costruzione nel deserto del Neghev di un reattore nucleare per l'energia elettrica.
Lo afferma il quotidiano Yediot Ahronot secondo cui nei giorni scorsi il progetto e' stato sottoposto alla attenzione di responsabili di governo statunitensi. Il giornale spiega che Israele necessita il sostegno diplomatico degli Stati Uniti perche' da un lato e' disposto a consentire ispezioni nel futuro reattore del Neghev, ma d'altra parte lo stato ebraico continua a rifiutarsi di sottoscrivere il Trattato per la non-proliferazione delle armi atomiche.
Il giornale rileva che questa distinzione, ossia la limitazione delle ispezioni internazionali alle sole centrali per la produzione di elettricita', e' gia' stata garantita all'India. Secondo Yediot Ahronot la costruzione di un reattore nucleare a Shivta (a sud di Dimona) si rende necessaria in vista di una notevole crescita del fabbisogno di corrente elettrica nel prossimo decennio. In alternativa Israele potrebbe costruire una nuova centrale elettrica alimentata da carbone: ma questo progetto dove misurarsi con la forte opposizione degli ambientalisti.

(Il Denaro, 1 agosto 2009)

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Il jet iraniano esploso in volo per il carico d'armi dei Pasdaran

L'aereo trasportava detonatori destinati all'Hezbollah libanese

di Guido Olimpio

Pasdaran iraniani
Cosa c'era nella stiva del Tupolev iraniano precipitato il 15 luglio con 168 persone a bordo? Fonti mediorientali sospettano che il jet stesse trasportando un carico di sofisticati detonatori e alcuni di questi sarebbero esplosi provocando il disastro.
    Il comandante dell'aereo, decollato da Teheran e diretto a Erevan (Armenia), ha segnalato un'emergenza 16 minuti dopo il decollo. E poco dopo il Tupolev, forse durante un disperato tentativo di atterraggio, si è schiantato nella regione di Qazvin, a nord della capitale. Il jet — secondo indiscrezioni — aveva imbarcato, oltre ai bagagli dei passeggeri, un buon numero di casse di metallo che ospitavano detonatori di ultima generazione. Apparati composti da due chilogrammi di esplosivo e meccanismi elettrici. Alcuni di questi, per motivi non chiariti, avrebbero causato una deflagrazione fatale al jet. Infatti, testimoni hanno raccontato di aver sentito degli scoppi prima dell'impatto.
    Sempre secondo le fonti il Tupolev doveva trasferire il materiale lungo la seguente rotta: Iran-Armenia- Turchia- Siria. Quindi il carico bellico avrebbe proseguito, via terra, per il Libano. I detonatori erano, infatti, destinati al movimento filo-iraniano degli Hezbollah, tenace avversario di Israele. Era stato scelto un percorso tortuoso — sostengono ambienti dell'opposizione in esilio — nella speranza di dare meno nell'occhio. Una misura di precauzione accompagnata dal cambio del «manifesto di carico» che doveva essere attuato a Erevan. In passato le autorità turche hanno impedito il transito di equipaggiamenti militari. E in un'occasione un attentato ad un treno da parte dei separatisti curdi nel sud della Turchia ha svelato un traffico di missili in favore dell'Hezbollah.
    Sembra che l'operazione Tupolev sia stata gestita da una sezione speciale dei Pasdaran, impegnata a sostenere le milizie sciite. Tra le vittime vi sarebbe, infatti, anche un dirigente dei Guardiani della rivoluzione a cui era stato assegnato il compito di sorvegliare la consegna. E non è un caso che nella zona dove si è schiantato il jet siano arrivati uomini della sicurezza e artificieri mentre le autorità hanno continuato a parlare di «incidente ». Informazioni trapelate dal Libano hanno aggiunto un particolare interessante. Il piano prevedeva che le casse dovessero essere nascoste in uno dei rifugi che l'Hezbollah ha creato nel Libano sud. Ma dopo un'esplosione che ha distrutto, il 14 luglio, il deposito di Khirbet Slem, gli iraniani avevano deciso di nascondere i detonatori a nord del fiume Litani.
    La presenza di arsenali proibiti ha causato, negli ultimi mesi, forte tensione tra l'Hezbollah e il contingente Onu, del quale fanno parte soldati italiani. A fine aprile un reparto spagnolo ha iniziato a scattare foto nel villaggio di Rabat Al Talatin dopo aver individuato «un luogo sospetto». Un'attività che ha provocato l'immediata reazione di decine di civili — in realtà Hezbollah — che hanno circondato la pattuglia.
    Una situazione simile si era verificata in gennaio quando una folla di miliziani, travestiti da abitanti, ha assalito un'unità francese che aveva scoperto un bunker a sud del fiume Litani. Ne è nato un duro confronto risolto con l'intervento di una colonna di soldati libanesi, tutti sciiti. I militari sono entrati nel tunnel ed hanno «certificato» che non vi erano armi. In realtà hanno dato una mano all'Hezbollah nel coprire azioni non permesse dalle risoluzioni Onu.

(Corriere della Sera, 1 agosto 2009)

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Notizie archiviate

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