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Notizie giugno 2009

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'C’era una volta una trottola', laboratorio per bambini nella sinagoga

dal Comune di Pesaro

Giovedì 2 luglio alle ore 17 nuovo appuntamento con le attività estive dei Servizi Educativi museali. “C’era una volta una trottola” è il titolo del percorso che porterà bambini e famiglie alla scoperta della sinagoga sefardita di Pesaro, costruita alla fine del ‘500 dagli ebrei provenienti dalla Spagna.
Gli affascinanti ambienti di questo edificio collocato nel cuore della città, verranno esplorati attraverso giochi, racconti e musiche per assaporare un po’ di quella cultura ebraica che si respirava in queste strade meno di un secolo fa. Nella luminosa Sala delle Preghiere dove un tempo si riunivano gli ebrei, verrà raccontata una storia per bambini dello scrittore Isaac B. Singer; protagonista del racconto è una trottola speciale - il dreidel - regalata in occasione della festa di Hanukkah.
La trottola sarà poi anche l’oggetto che i bambini dovranno ricostruire in laboratorio con carte, legno, colori e materiali di riciclo. Un gioco tradizionale come quello della trottola, molto diffuso tra i bambini di tutte le epoche, sarà dunque l’occasione per conoscere le tradizioni di una cultura “diversa” ma anche per approfondire la storia della propria città. L’appuntamento per giovedì 2 luglio è direttamente in sinagoga (via delle Scuole); la partecipazione è gratuita ma va prenotata telefonicamente. Info e prenotazioni 0721/387714-271.

(Vivere Fano, 30 giugno 2009)

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Spagna, archiviata l'inchiesta sul bombardamento israeliano a Gaza

Il raid contro un dirigente di Hamas finito sotto accusa in base al principio, ora revocato, della "giurisdizione universale"

Il Parlamento spagnolo ha approvato a larghissima maggioranza delle restrizioni al principio di "giurisdizione universale" che consente ai magistrati iberici di istruire cause sui delitti internazionali anche in mancanza di vittime spagnole e al di fuori del territorio della Spagna.
La giustizia spagnola ha deciso così di archiviare l’indagine per «crimini contro l’umanità» aperta lo scorso gennaio sulla base di questo principo e su richiesta palestinesedal giudice Fernando Andreu dell’Audiencia Nacional (tribunale competente per crimini gravi e terrorismo), riguardo al bombardamento del luglio 2002 su Gaza, in cui era morto il dirigente di Hamas Salah Shehadeh, obiettivo del raid, e altri 14 civili innocenti, mentre 150 erano rimasti feriti.
Nel caso erano indagati sei alti responsabili dell’esercito di Israele fra cui l’ex ministro della Difesa Benjamin Ben-Eliezer. L’indagine aveva provocato la collera di Israele con cui erano scoppiate forti tensioni diplomatiche. La procura aveva presentato ricorso contro al decisione del giudice istruttore per far archiviare il caso, e oggi la sezione penale dell’Audiencia Nacional riunita in sessione plenaria ha deciso ad ampia maggioranza di accogliere il ricorso e «archiviare definitivamente» il caso. Il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman si è felicitato della decisione e in un comunicato «saluta la decisione dell’alta corte spagnola di chiudere l’inchiesta» ricordando che «Israele afferma dall’inizio che la procedura era un tentativo politico di abusare del sistema giudiziario spagnolo». Il principio della giurisdizione universale, nella cui applicazione i giudici spagnoli sono stati pionieri, ha provocato diversi imbarazzi diplomatici alla Spagna, ad esempio con Stati Uniti e Cina, ma non sarà più applicato in futuro.

(La Stampa, 30 giugno 2009)

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Burqa vietato in Francia, al Qaida minaccia attentati

L’organizzazione maghrebina di al Qaida ha minacciato attentati in Francia dopo la recente presa di posizione contro il burqa del presidente Nicolas Sarkozy. Lo ha riportato il centro americano Site, citando forum jihadisti su internet. Il burqa è «un segno di avvilimento» e «non è il benvenuto sul territorio francese», aveva dichiarato Sarkozy il 22 giugno scorso, in un intervento davanti al Congresso, organizzato nella reggia di Versailles. Il burqa è un segno «di asservimento» della donna aveva rincarato il presidente.L’organizzazione di al Qaida nel Maghreb (Aqmi) ha anche lanciato un appello ai musulmani a reagire «all’ostilità» della Francia contro la loro comunità religiosa e ai suoi tentativi di impedire la pratica dell’Islam. «Noi mujaheddin non resteremo in silenzio di fronte a tali provocazioni e ingiustizie», ha dichiarato Abdel Wahud, secondo Site. «Chiediamo a tutti i musulmani di far fronte a questa ostilità con una più grande ostilità e di lottare contro i tentativi della Francia di allontanare i fedeli, uomini e donne, dalla loro fede, aderendo agli insegnamenti della sharia islamica», ha proseguito. Secondo Abdel Wahud, i cinque milioni di musulmani di Francia sono «sempre più preoccupati dall’accanimento degli uomini politici e dei dirigenti francesi». Nessuna cifra o rapporto sul numero di donne velate integralmente è disponibile in Francia, ma il fenomeno resta «marginale», secondo gli specialisti e le organizzazioni musulmane. Gli esperti stimano che il fenomeno interessi circa 5.000 persone che si rifanno al salafismo e predicano una visione puritana dell’Islam.

(Il Secolo XIX, 30 giugno 2009)

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Turbina made in Italy nell'impianto solare del Samar kibbutz

Si tratta di una microturbina ad altissima tecnologia da 100 kW che e' stata collocata sulla sommita' di una torre alta 30 metri, che nel caso del kibbutz Samar, e' stata disegnata dallo studio architetti Haim Dotan.

ROMA - E' Made in Italy la turbina che 'accende' l'impianto solare del Samar Kibbutz, in Israele. Si tratta di una microturbina ad altissima tecnologia da 100 kW che e' stata collocata sulla sommita' di una torre alta 30 metri, che nel caso del kibbutz Samar, e' stata disegnata dallo studio architetti Haim Dotan. I raggi solari si concentrano sulla torre attraverso le superfici riflettenti degli specchi di un campo eliostatico, raggiungendo un unico 'ricevitore solare' che riscalda l'aria compressa che muove la turbina. A realizzare la microturbina italiana e' stata la Turbec Spa di Cento, in provincia di Ferrara.
    La microturbina di Turbec, che, attraverso la controllante Turboenergy Srl, appartiene per il 75% a industriali italiani e per il 25% al gruppo Ansaldo Energia, e' stata installata con successo in collaborazione con la societa' Aora presso il kibbutz Samar in Israele, nel contesto di un Power Conversion Unit, che converte l'energia solare in 100kWe di energia elettrica e in 170kW di energia termica. La stessa applicazione Made in Italy e' ora in via di realizzazione ad Almeria, in Spagna.
    "Anche in un periodo di crisi -afferma il presidente di Turbec, Carlo Mauri- la nostra societa' sta profondendo un grandissimo impegno nel campo della ricerca e dello sviluppo delle applicazioni". L'impianto in Israele, in particolare, e' stato realizzato sviluppando una tecnologia basata sull'alimentazione di una turbina a gas con energia solare. "I vantaggi di questa tecnologia -spiega l'azienda italiana- sono la modularita', che consente l'implementazione dell'impianto nel tempo, la flessibilita', poiche' la turbina e' predisposta per l'utilizzo anche di qualsiasi altro combustibile fossile o biocombustibile, e la cogenerazione, visto che la microturbina fornisce sia energia elettrica (100 kW) sia energia termica (170kW)".
    "E' un mix che aumenta l'offerta di energia a utenti del comparto industriale, i quali, -commenta Mauri- possono beneficiare di entrambe e, contrariamente ad altri sistemi, senza alcun impiego d'acqua con in piu' la possibilita' di funzionare con bio-combustibili durante il periodo notturno". Forte l'impegno in ricerca e sviluppo dell'azienda italiana che ha un centro R&S di a Malmo, in Svezia. "Nel nostro centro, che abbiamo a suo tempo acquisito dalla Volvo, uno staff qualificato -sottolinea Mauri- segue lo sviluppo del prodotto e le sue innovazioni per le diverse applicazioni delle turbine in svariati settori, particolarmente quello delle energie rinnovabili".
    Con circa 400 microturbine vendute sul mercato prevalentemente europeo e oltre 3 milioni di ore lavorative alle spalle, l'azienda italiana ha un fatturato che ammonta a 8,5 milioni di euro ha investito, negli ultimi due anni, circa il 20 % del fatturato nella ricerca e nello sviluppo del prodotto, specie nelle rinnovabili. Tra le innovazioni prodotte da Turbec anche la realizzazione di una decina di applicazioni prototipali di caldaie a biomassa, abbinate a microturbine ad aria calda. "Crediamo fermamente nell'utilizzo degli scarti e -conclude Mauri- nei recuperi energetici ovunque sia possibile. Il nostro focus e' riconvertire lo scarto in energia con impatto ambientale ridotto al minimo".

(IGN, 30 giugno 2009)

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Kurt von Hammerstein nemico del nazismo che sfuggì alle rappresaglie

di Valerio Di Porto, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

La notte tra il 29 ed il 30 giugno di 65 anni fa, la "notte dei lunghi coltelli" segnò una violenta e radicale epurazione dei nemici interni ed esterni al nazismo. Tra i primi Ernst Rohm, capo delle SA e tra i secondi Kurt von Schleicher, l'ultimo cancelliere prima della presa del potere di Hitler.
Furono in molti allora a stupirsi che non figurasse tra le vittime dell'epurazione il generale Kurt von Hammerstein-Equord, fin dall'inizio oppositore del nazismo.
Hans Magnus Enzensberger ha dedicato al generale e alla sua famiglia un bel libro, "Hammerstein o dell'ostinazione", uscito di recente nella traduzione italiana. Documentato come un saggio storico e scritto quasi come un romanzo, il lavoro dello scrittore tedesco apre uno squarcio su una famiglia e su una società civile tedesca forse eccessivamente prudente, ma ferma nella sua opposizione al nazismo, nella sua resistenza il più delle volte passiva.
Attraverso le pagine del libro scorrono decine di personaggi legati in vario modo al mondo dell'opposizione, tra i quali le figlie (generalmente attratte da ebrei e comunisti, quando le due qualità non coincidevano nella stessa persona), i figli (due dei quali ricercati dopo il fallito attentato del 20 luglio 1944, nel quale uno era realmente implicato) di Hammerstein e la moglie, tenuta come ostaggio dalle SS, insieme ad altri personaggi illustri (tra i quali il figlio del maresciallo Badoglio, Mario), infine trasportati a Villabassa, nell'Alta Pusteria e lì consegnati alle truppe americane (ne ha raccontato l'epopea Hans-Gunter Richardi nel saggio "Ostaggi delle SS nella Alpenfestung").
Il generale, pur costituendo uno dei punti di riferimento della resistenza passiva al nazismo, ebbe la ventura di non essere mai oggetto delle rappresaglie naziste, morendo di tumore nel 1943.

(Notiziario Ucei, 30 giugno 2009)

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Belgio: da 10 anni non paga l’affitto del suo consolato a Gerusalemme

Il proprietario chiede a Bruxelles 2mln euro, il console ribattezzato 'diplomatico-squatter'

BRUXELLES, 29 giu.- (Aki)- Il Belgio non paga l'affitto del suo consolato a Gerusalemme da quasi dieci anni. Il governo di Bruxelles, infatti, si rifiuta di versare un solo centesimo, richiamando il fatto che la presenza di Israele nella Città santa viola le risoluzioni dell'Onu ed è illegale. Risultato? Il proprietario della splendida palazzina che ospita la sede consolare non vede un centesimo dall'inizio degli anni 2000. Tanto che adesso ha deciso di presentare ricorso presso un tribunale israeliano, chiedendo un rimborso di 2 milioni di euro, il totale degli arretrati.

(Adnkronos, 30 giugno 2009)

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Shoah. Conferenza Ue di Praga favorevole a indennizzi per gli ebrei

Le delegazioni di 46 paesi partecipanti a Praga alla conferenza sull'Olocausto si sono dette in favore del processo di indennizzi agli ebrei perseguitati dal regime nazista del Terzo Reich. In una "Dichiarazione di Terezin", dal nome della città ceca trasformata dai nazisti nel campo di concentramento per ebrei, i delegati si appellano a "rettificare le conseguenze dei sequestri dei beni, le confische e i depositi forzati, e le persecuzioni delle persone innocenti" da parte dei nazisti.
Alla conferenza, che si è aperta venerdì a Praga e a Terezin e con cui si chiude domani il semestre di presidenza ceca dell'Ue, partecipano in tutto 49 paesi europei e del resto del mondo. "Si tratta della più completa e più ferma dichiarazione sui beni delle vittime dell'Olocausto, che tocca punti mai affrontati relativi all'aiuto sociale ai sopravissuti e le restituzioni delle proprietà private", ha dichiarato Stuart Eizenstat, l'ex sottosegretario di stato Usa, che guida la delegazione americana.
Oltre alla dichiarazione, l'Ue si è impegnata anche a fondare "l'Istituto europeo sull'eredità dell'Olocausto", che garantirà la continuità del processo delle restituzioni soprattutto in Europa centrale e orientale. Il valore totale dei beni confiscati agli ebrei dal regime nazista fu valutato alla fine della guerra in oltre 17 miliardi di dollari. "A tutt'oggi è stata restituita o compensata solo una piccola parte", si ricorda nel documento. La dichiarazione, che sarà firmata domani, è stata appoggiata anche dalla Russia con la riserva che vengano rispettati gli accordi internazionali e di pace adottati dopo la guerra.

(l'Occidentale, 29 giugno 2009)

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GB: nel paese 85 tribunali islamici che applicano Sharia

In Gran Bretagna sono attivi 85 tribunali islamici che giudicano sulla base della 'Sharia', la severa legge coranica. E' quanto rivela il tabloid Daily Mail secondo cui le corti operano in gran parte nelle moschee e fungono piu' che da corti criminali da "tribunali di arbitraggio" per i musulmani alle prese con problemi come il divorzio, la violenza domestica e le dispute finanziarie. Ma soprattutto le loro sentenze hanno valore legale soltanto se approvate in seguito da un tribunale del Regno. I musulmani che si rivolgono a questi tribunali speciali lo fanno su base volontari e se vogliono possono anche non obbedire alle sentenze. Finora erano note solo cinque corti islamiche gestiti dal Muslim Arbitration Tribunal a Londra, Manchester, Bradford, Birmingham e Nuneaton, istituiti in base all'Arbitration Act del 1996 che regola i collegi arbitrali. In realta', ha rivelato l'associazione Civitas che ha curato il rapporto, ce ne sono altri 80 che operano in sostanza a porte chiuse, senza garantire accesso ad osservatori esterni e indipendenti. Il Mail, citando l'autore dello studio Denis MacEoin, denuncia che questi tribunali spesso sono sbilanciati a favore degli uomini e penalizzano fortemente le donne nei casi di divorzio e di violenza domestica. In particolare il rapporto evidenzia che "tante sentenze dei tribunali della sharia in Gran Bretagna nei casi di divorzio e di custodia dei figli non hanno al centro l'interesse dei bambini, come previsto dalle leggi britanniche, e che le donne, secondo la sharia, non godono degli stessi diritti'' dell'uomo.Ad innescare le polemiche sui tribunali islamici fu lo scorso anno una fonte imprevedibile: l'arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, primate della Chiesa Anglicana, era stato attaccato da piu' parti quando aveva definito ''inevitabile'' una futura cooptazione del diritto islamico nel sistema giudiziario britannico.

(la Repubblica, 29 giugno 2009)

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Israele: Romania; vendita ossa da fossa comune Shoah

TEL AVIV - ''L'accademia dell'orrore'': con questo titolo il quotidiano 'Israel ha-Yom' riferisce su una pagina intera del traffico a fini scientifici in una universita' romena di ossa che asseritamente provengono da una fossa comune di ebrei sterminati durante la Shoah.
Per 40 dollari, sostiene il giornale, e' possibile acquistare un teschio o ossa provenienti dalla fossa di Podu Iloaiei, un villaggio vicino alla citta' di Iasi. A scoprire casualmente la vicenda sarebbe stato un ebreo americano che in visita alla Universita' di medicina e di farmacia 'Gr. T.Popa' di Iasi, avrebbe appreso da uno degli studenti che a procurare le ossa sono i custodi del cimitero di Podu Iloaiei, i quali provvedono anche a pulirle.
Il giornale precisa che in quella Universita' sono iscritti anche studenti israeliani che finora ignoravano pero' l'origine delle ossa. 'Israel ha-Yom', un quotidiano gratuito vicino al Likud, non precisa se l'ateneo romeno abbia commentato le accuse. La vicenda ha destato impressione in Israele anche perche' il 'pogrom di Iasi' fu uno degli eventi salienti della Shoah. Il 29 giugno 1941 il dirigente romeno Ion Antonescu ordino' all'esercito e alla polizia, assistiti da reparti militari tedeschi, di sgomberare con la forza la popolazione ebraica della citta'. Complessivamente in quei giorni furono uccisi 14.500 ebrei, a Podu Iloaie ne furono inumati 1.200, trasportati in quel villaggio con un massacrante percorso in treno.
Il rabbino Aryeh Goldberg, vicedirettore generale della associazione dei rabbini di Europa, ha detto che le prime informazioni giunte dalla Romania ''destano preoccupazione''. Ha aggiunto di aver chiesto maggiori dettagli ai dirigenti rumeni e all'ambasciatore di Israele a Bucarest.

(ANSA, 29 giugno 2009)

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Inter Campus: riapre in Israele e Palestina

MILANO - Finalmente il programma di Inter Campus Israele e Palestina è stato ufficialmente riaperto dopo la chiusura per ragioni di sicurezza nel 2000. Attraverso il "Centro Peres per la Pace" in Israele e l'associazione "Al Quds per il dialogo e la democrazia" in Palestina sono state coinvolte inizialmente due municipalità in Israele (Sderot e Kiryat Gat) ed una in Palestina (Gérico), mentre si lavora per coinvolgere nuovamente Nablus, in Palestina. In ognuno dei tre centri l'attività coinvolgerà venticinque bambini e due allenatori/educatori, ma in linea con lo sviluppo della realtà locale e delle relative vicissitudini, il programma è destinato ad allargarsi ad altri bambini nei quattro centri sopraelencati. Una delegazione Inter si recherà due volte l'anno sul territorio per svolgere corsi di formazione con la partecepiazione dei bambini e dedicati in particolare agli allenatori/educatori locali, nella speranza di realizzare sessioni riunite appena possibile. Nonostante la presenza del muro ed il peggioramento della situazione locale, si è cercato e voluto realizzare un passo controcorrente portando la forza del calcio a favore di un Progetto di Pace.

(Inter.it, 29 giugno 2009)

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Obama dice agli ebrei dove possono vivere

di Joseph Farah

Barack Obama sta portando avanti ciò che la sua amministrazione chiama "un approccio più equilibrato alla politica mediorientale".
Lascatemi spiegare che cosa questo, alla lettera, significhi in termini reali.
Significa che il governo USA sta usando il suo peso con Israele per insistere che agli ebrei, non agli israeliani, badate bene, ma agli ebrei sia negato il permesso di vivere a Gerusalemme est e nelle terre storicamente ebraiche di Giudea e Samaria, usualmente chiamate West Bank.
Provate a immaginare l'indignazione, l'orrore, le proteste, il clamore, lo stridore di denti che esploderebbero se agli arabi o ai musulmani venisse detto che non possono più vivere in certe parti di Israele - per non parlare del loro proprio paese.
Questo, naturalmente, non accadrebbe mai con "un approccio più equilibrato al Medio Oriente"....

(ilblogdibarbara, 29 giugno 2009)

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Sondaggio: Fatah in vantaggio su Hamas in caso di elezioni

Per circa il 50% dei palestinesi la politica Usa non è cambiata

GERUSALEMME, 29 giu. - Il partito del Presidente palestinese Abu Mazen, Fatah, vincerebbe contro gli islamici di Hamas in caso di elezioni politiche. Stando a un sondaggio realizzato dal 'Jerusalem Media and Communication Centre (JMCC)', pubblicato oggi, Fatah otterrebbe il 38,5% dei voti contro il 18,8% di Hamas, mentre il resto delle preferenze andrebbe a formazioni minori. La ricerca dimostra inoltre che Abu Mazen è la personalità in cui i palestinesi "ripongono più fiducia", ottenendo il favore del 17,8% degli interpellati, contro il 14,8% del leader del governo di Hamas a Gaza, Ismail Haniyeh. Abu Mazen ha dichiarato di voler indire le elezioni nel gennaio 2010, alla scadenza del mandato dell'attuale Parlamento, eletto nel gennaio 2006 e dominato da Hamas. Fatah e Hamas hanno iniziato ieri al Cairo una nuova serie di negoziati per arrivare a una riconciliazione dopo gli scontri e la rottura del 2007 nella Striscia di Gaza, che portarono Hamas al potere. La maggioranza dei palestinesi, il 52,1%, ritiene che anche questo nuovo tentativo di dialogo sia destinato a fallire, contro il 37% che pensa invece possa avere successo. Secondo lo stesso sondaggio, il 49,8% degli interpellati afferma di non vedere "alcun cambiamento" nella posizione Usa sul processo di pace in Medio Oriente dopo l'arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca; il 40,6% vede "un cambiamento" e il 6,6% una "regressione". Inoltre, il 48% dei palestinesi "non ha cambiato opinione sulla politica americana in Medio Oriente" dopo il discorso tenuto da Obama al Cairo lo scorso 4 giugno; il 37,9% si dice "più ottimista" e il 9,5% "più pessimista". Il sondaggio è stato condotto su un campione rappresentativo di 1.199 palestinesi (760 in Cisgiordania e 439 a Gaza). Il suo margine di errore è pari al 3%. (fonte Afp)

(Apcom, 29 giugno 2009)

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Gerusalemme, protesta di ultra-ortodossi contro un parcheggio

Migliaia di manifestanti sono scesi in strada e una decina sono stati arrestati per aver tirato pietre contro le auto in transito e spazzatura contro gli agenti

Nella giornata di Shabbath - durante la quale agli ebrei osservanti non è permesso guidare - si ripetono gli scontri a Gerusalemme tra la polizia e centinaia di ebrei ultraortodossi contrari all'apertura di un parcheggio. Migliaia di manifestanti sono scesi in strada e una decina sono stati arrestati per aver tirato pietre contro le auto in transito e spazzatura contro gli agenti. Anche all'inizio di giugno c'erano stati incidenti con gli ultraortodossi per lo stesso motivo.

(Sky.it, 28 giugno 2009)

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Mediterraneo - Lo sdegno degli ebrei italiani per l'esclusione d'Israele dai Giochi

di Daniela Gross

Più che per i record sportivi rischia di essere ricordata come l'edizione del razzismo e dell'apartheid. A segnare i Giochi del Mediterraneo, al via venerdì allo stadio Adriatico di Pescara con una cerimonia spettacolare, è infatti l'esclusione d'Israele che tanta amarezza sta suscitando da mesi nell'ebraismo italiano. Le ultime reazioni parlano infatti di sdegno e profonda delusione. "A Pescara - afferma infatti Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica romana - si aprono quelli che comunemente vengono chiamati Giochi del Mediterraneo, ma che senza alcuna remora possiamo definire i Giochi dell'apartheid"."Non troviamo termini diversi - prosegue - per definire un odioso e ingiusto provvedimento che vede l'esclusione dell'unica democrazia del Medio Oriente, Israele. Lo sport dovrebbe essere lo strumento che da sempre avvicina gli uomini, che fa conoscere culture diverse e che nella competizione esalta il genere umano". "Ci auguriamo - conclude - che come ha promesso il ministro degli esteri Frattini questa - ha concluso - sia l'ultima volta".
Una dura condanna giunge anche da Vittorio Pavoncello, presidente del Maccabi Italia. "L'esclusione d'Israele - afferma - riecheggia l'apartheid che a inizio secolo scorso teneva fuori dalle federazioni sportive le squadre composte da ebrei". "Saremo a Pescara il 3 luglio - sottolinea Pavoncello - per sventolare la bandiera di Israele e mi auguro che questo sia l'ultimo anno di un comportamento ingiusto e vessatorio".
"Escludere Israele è un gesto di apartheid e di razzismo, privo di qualsiasi ragione e di qualsiasi significato", sostiene Fiamma Nirenstein, vicepresidente della Commissione esteri, da mesi in prima linea a sostegno della partecipazione israeliana. "Una simile esclusione non deve e non può essere messa da parte. Speriamo anche, dopo questa edizione, di vedere chiuso ufficialmente un capitolo che non fa onore allo sport mondiale, né al nostro paese che li ospita oggi".
Frutto di una situazione politica complessa e incandescente - che dalla prima edizione della manifestazione vede nel Comitato internazionale che la governa una netta prevalenza di delegazioni nazionali sfavorevoli alla partecipazione israeliana tra cui l'Algeria, la Siria o l'Egitto - la questione d'Israele era stata portata con forza all'attenzione pubblica già nei mesi scorsi. Ma nemmeno l'intervento del ministro degli Esteri Franco Frattini era riuscito a sbloccarla. Giudicando "paradossale" la mancata partecipazione di israeliani e palestinesi ai Giochi del Mediterraneo Frattini, aveva ribadito più volte come l'Italia sia "il Paese europeo più amico di Israele e anche quello che ha fatto il piano Marshall per la Palestina" assicurando che i Giochi di Pescara "saranno gli ultimi senza la nazionale israeliana e quella palestinese".
La soluzione è dunque rinviata al futuro, alla prossima edizione in programma a Volos in Grecia, nella speranza che allora si possa assistere davvero a un'Olimpiade del Mediterraneo nel segno della pace e del dialogo fra i popoli.

(Notiziario Ucei, 28 giugno 2009)

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Liberazione di Shalit, nessun progresso

Il piano è ancora in discussione

"Nessun progresso sostanziale", durante questo fine settimana, sulla liberazione del soldato Gilat Shalit. E' quanto rivela il quotidiano "Haaretz", dopo aver parlato con alcune fonti politiche di Israele. Le quali hanno però confermato che è in discussione un piano di liberazione, anticipato nei giorni scorsi dalla stampa araba, con la mediazione egiziana tra lo stato ebraico e Hamas.

(TGCOM.it, 28 giugno 2009)

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Shalit, prigioniero di Hamas e dell'indifferenza del mondo

di Magdi Cristiano Allam*

È ora di dire basta all'atteggiamento vergognoso dell'Italia, dell'Europa, degli Stati Uniti, della Croce Rossa e delle Nazioni Unite sul caso di Gilad Shalit, il soldato israeliano, che è anche cittadino francese, rapito tre anni fa in territorio israeliano dai terroristi di Hamas quando non aveva ancora vent'anni. A fronte di un gesto efferato ispirato dalla negazione del diritto alla vita del popolo ebraico, assistiamo proprio in queste ore allo svolgimento dei Giochi del Mediterraneo a Pescara con la partecipazione di tutti i paesi arabi ed islamici che predicano l'annientamento di Israele e che pertanto non vogliono averci nulla a che fare. E noi italiani, europei e occidentali, noi patria dei diritti fondamentali dell'uomo che ci facciamo in quattro per accogliere e difendere tutte le vittime vere o presunte delle dittature, delle guerre e della disperazione, che facciamo? Ci prostriamo agli ordini dei terroristi e dei tiranni islamici escludendo la presenza di Israele. Abbiamo confermato per l'ennesima volta questa sudditanza ideologica con la dichiarazione del vertice dei ministri degli Esteri del G8 conclusosi a Trieste il 26 giugno in cui, da un lato, non si è condannato il regime nazi-islamico iraniano per la sanguinosa repressione della rivolta popolare esplosa all'indomani delle elezioni presidenziali e, dall'altro, si è sostenuto la volontà di continuare a dialogare con Ahmadinejad, come se non sapessimo che da anni il nuovo Hitler viola sfacciatamente le risoluzioni dell'Aiea, l'Agenzia Internazione per l'Energia Atomica, mirando alla costruzione della bomba nucleare ed affermando pubblicamente l'intenzione di eliminare Israele dalla carta geografica. Eppure noi più di altri, noi che abbiamo sì partorito la democrazia ma anche prodotto l'Olocausto, dovremmo sapere che a furia di dialogare con chi disconosce i valori non negoziabili che sostanziano l'essenza della nostra umanità e della nostra civiltà, finiamo inesorabilmente per soccombere di fronte all'arbitrio di chi ha una concezione formalistica e strumentale del dialogo e della convivenza, perseguendo l'obiettivo di imporre la propria visione ideologica del mondo e della vita costi quel che costi.

    Gaza evacuata
    
È importante ricordare che quando nel 2006 fu rapito Gilad, Gaza era già stata totalmente evacuata sia dall'esercito israeliano sia dai coloni ebraici. Era quindi un territorio palestinese libero, sottomesso per libera scelta dei palestinesi alla dittatura dei terroristi di Hamas che, se avessero avuto veramente a cuore le sorti del proprio popolo, avrebbero potuto e dovuto utilizzare i generosi aiuti internazionali, tra cui primeggiano quelli dell'Unione Europea, per emanciparlo dalla miseria favorendo la costituzione di un sistema economico produttivo che valorizzi la piccola e media impresa e diffonda l'occupazione. Invece i terroristi di Hamas, accecati dall'odio ideologico nei confronti di Israele e degli ebrei, che trae ispirazione dal Corano e dalla lettura distorta della storia recente, si sono preoccupati essenzialmente di dotarsi di migliaia di razzi Kassam con cui hanno bombardato le città israeliane e di costruire dei tunnel sotterranei lungo la frontiera con l'Egitto per contrabbandare le armi e gli esplosivi.

    L'operazione
    
Fu così che il 25 giugno 2006 Gilad, che compirà 23 anni il prossimo 28 agosto, venne rapito a Kerem Shalom, in territorio israeliano, da terroristi di Hamas che partendo da Gaza, fecero irruzione sbucando da un tunnel sotterraneo, uccidendo due soldati israeliani e ferendone altri quattro. Diciasette giorni dopo dal Libano meridionale, anche in questo caso territorio libero e sovrano interamente evacuato dall'esercito israeliano, un commando di terroristi libanesi sciiti dell'Hezbollah si spinsero in territorio israeliano e rapirono i soldati Eldad Reghev e Ehud Goldwasser. I loro corpi sono stati restituiti il 16 luglio 2008 in cambio di terroristi detenuti nelle carceri israeliane.
Nelle tanto deprecate carceri israeliane la Croce Rossa internazionale accede regolarmente e stila dei rapporti infuocati che hanno convinto l'Unione Europea che Israele sarebbe lo Stato che più di altri al mondo violerebbe i diritti fondamentali dell'uomo, affiancato - guarda caso - dallo Stato del Vaticano! Eppure l'Unione Europea tace sul fatto che da tre anni i terroristi di Hamas non abbiano consentito alla Croce Rossa internazionale di visitare Gilad. E tace anche la Croce Rossa assumendo un comportamento quantomeno sbilanciato, in cui ciò che si richiede e si ottiene da Israele non vale per i suoi nemici. Una disparità di trattamento che accredita il presupposto che da una nazione civile si può pretendere tutto e si può al tempo stesso denunciarla anche se infondatamente dei peggiori crimini contro l'umanità, mentre da gente incivile che disconosce aprioristicamente la sacralità della vita, la dignità della persona e la libertà di scelta, ci si deve limitare ad assecondarla. Siamo arrivati al punto in cui collochiamo Israele sul banco degli imputati accusandolo delle peggiori nefandezze mentre siamo dialoganti e disponibili con i terroristi e i tiranni islamici.
Osserviamo con disincanto il fatto che Israele accetta e favorisce lo scambio dei corpi senza vita dei propri connazionali assassinati dai terroristi, pur di garantire loro una degna sepoltura e consentire ai propri cari di ricongiungersi seppur in un abbraccio spirituale, con la scarcerazione di migliaia terroristi che hanno le mani sporche del sangue di innocenti. È accaduto ripetutamente in passato e sembra che anche per il rilascio di Gilad si stia trattando in questa direzione con la mediazione dell'Egitto. Mi domando come facciamo noi, che coltiviamo il valore dell'inalienabilità del bene della vita come il pilastro della nostra umanità e della nostra civiltà, a non identificarci totalmente nella posizione di Israele e a schierarci dalla parte di chi oltraggia la sacralità della vita? Che orrore leggere ieri sulle pagine di Libero che nei siti dei terroristi islamici si è legittimato il cannibalismo se si tratta di mangiare la carne dei soldati americani catturati, a condizione che prima vengano sgozzati e dissanguati come si fa con l'animale da macello, ispirandosi a quanto disse il condottiero islamico Khalid bin Al Walid durante la battaglia di Yarmuk: «Siamo un popolo che beve sangue e sappiamo che non c'è sangue più prezioso di quello bizantino».

    Mostri disumani
    
Basta! Diciamo basta alla connivenza con questi mostri di disumanità! Affranchiamoci dalla schiavitù ideologica che ci ha fin qui portato a consegnarci in pasto alla ferocia di persone trasformate in robot della morte. Plaudo all'iniziativa del sindaco di Roma Gianni Alemanno che mercoledì prossimo in Campidoglio conferirà la cittadinanza onoraria a Gilad, sostenendo «Roma ha un cittadino in più, un cittadino prigioniero». Gilad è un cittadino prigioniero di tutte le nostre città, la sua causa ci appartiene profondamente. Lancio un appello al Parlamento Europeo affinché consideri Gilad, che ha il passaporto francese, cittadino onorario dell'Europa, affinché adotti la sua causa come emblema del diritto inalienabile alla vita e alla libertà. Salviamo il soldato Gilad per salvare noi stessi dal baratro del nichilismo in cui siamo sprofondati, facciamo dell'impegno a salvare la vita a Gilad l'occasione per recuperare il valore della sacralità della vita, salvando la nostra umanità e la nostra civiltà.

* Deputato Udc al Parlamento Europeo

(Libero-news.it, 28 giugno 2009)

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«Non fermiamo lo sviluppo delle colonie»

Mentre si fa sempre più decisa la pressione diplomatica per un congelamento totale negli insediamenti, Israele sta studiando nuove formule allo scopo di evitare un confronto con i Paesi amici ma anche di garantire una vita normale agli oltre 300.000 coloni che vi abitano.

GERUSALEMME - «Non possiamo fermare lo sviluppo naturale, non possiamo soffocare la nostra gente che vive in Giudea-Samaria (Cisgiordania)», ha detto il ministro degli esteri Avigdor Lieberman. Viste da Israele, le pressioni dell'amministrazione Obama per il congelamento totale delle colonie appaiono ingiuste. Nell'ufficio del premier Benyamin Netanyahu è stato dunque accolto con sollievo un articolo scritto sul Wall Street Journal da Elliot Abrams (ex consigliere di Bush) secondo cui effettivamente negli anni passati Israele e Usa hanno concordato una formula per la crescita naturale degli insediamenti. Malgrado le rivalità politiche, anche l'ex premier Ehud Olmert è venuto in soccorso di Netanyahu. «Obama sbaglia quando "spreme" Netanyahu per le colonie» ha detto a Newsweek.

(Il Tempo, 27 giugno 2009)

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L'Egitto riapre il valico di Rafah con Gaza per tre giorni

IL CAIRO, 27 giu. - L'Egitto ha riaperto il valico di Rafah con la Striscia di Gaza, questa volta per tre giorni e non solo per poche ore come nelle precedenti occasioni. Da questa mattina, gia' un centinaio di palestinesi hanno passato il punto di confine, ma Hamas prevede che entro lunedi' saranno migliaia le persone residenti nella Striscia a recarsi in Egitto.

(Adnkronos, 27 giugno 2009)

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Maturità non di sabato. Per rispetto ai candidati di religione ebraica

Oggi, 27 giugno, non ci sarà terzo giorno di prove scritte per la maturità 2009. Dopo le prove ministeriali di italiano di giovedì e quelle delle varie discipline di ieri, oggi non è il momento della prova interna predisposta dalla Commissione esaminatrice, prevista a calendario lunedì.
La ragione dello spostamento deriva dal fatto che il sabato è giorno di riposo per gli studenti di religione ebraica. Il riposo sabbatico è oggetto di speciale tutela da parte dello Stato italiano.
Con decreto del ministero dell'interno, 27 marzo 2008, che ha fissato per il 2009 il Calendario delle festività religiose ebraiche, viene raccomandato alle autorità pubbliche, anche nei concorsi, di fissare il diario delle prove tenendo conto dell'esigenza del rispetto del riposo sabbatico.
Per quanto riguarda prove d'esame, il decreto precisa che "Nel fissare il diario degli esami le autorità scolastiche adotteranno in ogni caso opportuni accorgimenti onde consentire ai ebrei che ne facciano richiesta di sostenere in altro giorno prove di esame fissate in giorno di sabato".
Questa una delle ragioni (non l'unica) per lo svolgimento della terza prova di lunedì.

(Tutto Scuola, 27 giugno 2009)

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Striscioni pro Ahmadinejad firmati dall'estrema destra Militia

ROMA - Tre striscioni firmati dal movimento di estrema destra, Militia, a favore del presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad e contro gli ebrei, sono stati trovati a Roma e sequestrati dalla Digos. Nei tre striscioni, che erano stati affissi a poche decine di metri l'uno dall'altro, nella zona di Ponte Lanciani, era stato scritto: «Onore ad Ahmadinejad, vera luce dell'antisemitismo», «Al fianco di Ahmadinejad e dei suoi pasdaran contro ebrei e angloamericani», «Al fianco del popolo iraniano contro il porco sionista». I tre striscioni, dopo i rilievi della polizia scientifica, sono stati sequestrati.

(Il Messaggero, 27 giugno 2009)

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Colonie, Israele alla ricerca di nuove formule

Chiusura "sull'espansione verticale" dei nuovi insediamenti. Ma Washington preme

GERUSALEMME - Mentre si fa sempre più decisa la pressione diplomatica per un congelamento totale negli insediamenti ebraici, Israele sta studiando nuove formule allo scopo di evitare un confronto con i Paesi amici ma anche di garantire una vita normale agli oltre 300mila coloni che vi abitano. «Non possiamo fermare lo sviluppo naturale, non possiamo soffocare la nostra gente che vive in Giudea-Samaria (Cisgiordania)» ha detto il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman in una intervista. Viste da Israele, le pressioni dell'amministrazione di Barack Obama - ed in particolare del Segretario di Stato Hillary Clinton - per il congelamento totale delle colonie appaiono ingiuste.
L'ex premier Ehud Olmert - che pure ha proposto ai palestinesi un ritiro da quasi tutta la Cisgiordania, uno scambio di territori ed addirittura una "amministrazione congiunta" sui Luoghi santi di Gerusalemme da parte di Arabia Saudita, Giordania, Israele, Palestina e Stati Uniti - ritiene necessario sviluppare le zone omogenee di insediamento in Cisgiordania. «Con gli Stati Uniti stiamo esaminando proposte e possibilità diverse».
Una delle ipotesi, già esaminate da esperti del ministero israeliano della Difesa, è di realizzare negli insediamenti una estensione non più orizzontale, ma verticale mediante la costruzione di elevati condomini. Ma l'idea è stata subito bocciata dal leader dei coloni Dany Dayan. «Noi abitiamo in Giudea-Samaria di diritto, siamo qui per realizzare il nostro diritto storico su questa terra" ha dichiarato a Canale 7, la emittente dei coloni. «I progetti di costruzione devono essere fonte di orgoglio nazionale, non di vergogna»

(Corriere Canadese, 27 giugno 2009)

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Gran Bretagna - Condannata una scuola ebraica per aver rifiutato il figlio di una convertita

Un tribunale britannico ha condannato una scuola pubblica ebraica che ha rifiutato l'ammissione di un bambino a causa di una controversia sulla conversione della madre. Per il giudice l'istituto ha infranto la legge contro la discriminazione razziale. Un precedente che pesera' anche su altre scuole religiose. La Jewish Free School di Brent, un quartiere a nord di Londra, e' una delle piu' antiche scuole ebraiche del Regno Unito e la piu' grande scuola ebraica ortodossa d'Europa e per accedervi i bambini devono rispettare precisi criteri. Tra questi quello di essere figli di madre ebrea, criterio matrilineare necessario per poter essere considerati di fede ebraica. Requisito che pero' secondo la scuola mancava al bambino di 12 anni che si e' visto respingere la sua richiesta di ammissione. In realta', la madre di questo bambino si era convertita alla religione ebraica, ma per la scuola non era sufficiente perche' la sua conversione era avvenuta in una sinagoga progressista e non ortodossa. Neanche il fatto che anche il padre di questo bambino sia ebreo e' bastato a garantire l'ammissione. Il caso e' stato portato in tribunale e la Corte, che precedentemente sembrava sostenesse la posizione della scuola, ieri ha ribaltato il verdetto dichiarando colpevole la scuola di essere andata contro la Race Relations Act, legge sulle discriminazioni razziali. La scuola ha ora deciso di fare ricorso ricevendo anche l'appoggio del rabbino capo Sir Jonathan Sacks, lo stesso che decide sull'idoneita' degli alunni.

(ilsussidiario.net, 26 giugno 2009)

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Giochi del Mediterraneo, spuntano i palloncini pro Israele

PESCARA - Sono comparsi stamattina in varie zone della città con la scritta "No Israel? No party" i palloncini bianchi che ripropongono, a poche ore dall'avvio dei Giochi del Mediterraneo, la questione relativa alla mancata partecipazione dello Stato di Israele alla manifestazione internazionale.
L'iniziativa è stata salutata con favore da Alessio Di Carlo, coordinatore nazionale del neonato movimento politico Italia Liberale ed anche presidente di Abruzzo Liberale. Per Di Carlo "E' significativo di come i palloncini, simbolo di festa, non abbiamo potuto spiccare il volo, restando imbrigliati nei fili di una politica incapace di superare il veto dei paesi Arabi alla partecipazione di Israele ai Giochi".

(Abruzzo Liberale, 26 giugno 2009)

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Energia: Turbec installa microturbina solare in Israele

ROMA, 26 giu. - L'azienda italiana Turbec Spa ha installato una microturbina nel rivoluzionario impianto solare del Samar Kibbutz in Israele. L'azienda di Cento (Ferrara), partecipata dal Gruppo Ansaldo, produce microturbine ad altissima tecnologia, ma di recente ne ha realizzate alcune che trovano applicazione in innovativi impianti solari a concentrazione. La prima di queste microturbine e' stata posizionata con successo, in collaborazione con la societa' Aora Spa, nel kibbutz Samar in Israele, nel contesto di un Power Conversion Unit, unita' che converte l'energia solare in energia elettrica ed energia termica. L'impianto in Israele, fa sapere la societa', e' stato realizzato sviluppando una tecnologia unica, basata sull'alimentazione di una turbina a gas con energia solare. La microturbina da 100kW e' installata sulla sommita' di una torre alta 30 metri, i raggi solari si concentrano su di essa attraverso superfici riflettenti composte di specchi e raggiungendo un unico "ricevitore solare" che riscalda l'aria compressa che muove la turbina. Tra i vantaggi della nuova tecnologia vi sono la modularita', la flessibilita' e la cogenerazione, visto che la microturbina fornisce sia energia elettrica sia energia termica. La medesima applicazione e' in via di realizzazione anche ad Almeria, in Spagna.

(AGI, 26 giugno 2009)

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Israele: Nessun accordo con Hamas su scambio prigionieri

ROMA, 26 giu - Fonti del governo israeliano hanno smentito la notizia di un imminente accordo con Hamas, che prevederebbe, tra l'altro, il rilascio del caporale Gilad Shalit, in cambio della liberazione di palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Fonti diplomatiche occidentali confermano però che mediatori egiziani sono ancora al lavoro su un pacchetto di misure che riguarda, oltre allo scambio di prigionieri, anche accordi per il cessate il fuoco, un alleggerimento dei controlli sulla Striscia di Gaza e una mediazione per un accordo tra le fazioni palestinesi. In riferimento alla notizia del trasferimento di Shalit in Egitto, fonti israeliane fanno sapere di non essere a conoscenza di concreti sviluppo nei negoziati. Anche da Hamas non è giunta finora alcuna conferma di quanto riportato in precedenza.
I familiari del caporale israeliano, rapito da miliziani di Hamas nel giugno del 2006, continuano a chiedere un intervento del premier israeliano Benjamin Netanyahu, che ha posto come condizione per la ripresa dei negoziati di pace anche il rilascio del soldato. Netanyahu deve far fronte anche alle pressioni esterne di Stati Uniti ed Europa, che chiedono uno stop immediato alla realizzazione di nuovi insediamenti in Cisgiordania. Richiesta, questa, che è stata ribadita anche durante il suo tour a Roma e Parigi, nei colloqui con il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e con il presidente francese Nicolas Sarkozy.

(il Velino, 26 giugno 2009)

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Moshe Kai, 11 anni e un futuro fra le stelle

di Anna Momigliano

Si chiama Moshe e ha gli occhi a mandorla. L'ultimo "genietto d'America" ha un padre israeliano e una madre tailandese. Alla tenera età di undici anni, Moshe Kai Cavallin si è appena laureato in astrofisica presso l'East Los Angeles College, dove si era iscritto quattro anni fa - fate voi il calcolo.
E' il secondo più giovane laureato americano: prima di lui ci fu Michael Kearney, che nel 1995 terminò gli studi universitari a soli dieci anni, in Alabama. Il piccolo Moshe - che ha anche un nome cinese, Kai Hasiao Hu, "tigre obbediente" - ha spiegato in passato che il suo interesse principale è lo studio del cunicolo spazio-temporale, o ponte di Einstein-Rosen. Ma se vi immaginate un secchione imbranato e indifeso, sbagliate di grosso: in barba alle apparenze, Moshe è pure cintura nera in diverse arti marziali: un amore ereditato dal padre, che, secondo quanto riporta la stampa israeliana, era nelle forze speciali di Tsahal.




(Notiziario Ucei, 26 giugno 2009)

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Positivo il flusso degli italiani in Israele

Fino a maggio ci si attesta su un +21%

E' positivo il flusso degli italiani verso Israele: fino a maggio, fa sapere la direttrice dell'ente in Italia, Suzan Klagesbrun, ci si attesta su un +21%, pari a 34mila turisti tricolori. Un risultato particolarmente buono, commenta la direttrice, considerato che non si tratta di alta stagione e che è frutto della campagna dell'ente e del richiamo del recente viaggio del Papa nel Paese.

(Guida Viaggi, 26 giugno 2009)

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Il soldato Shalit cittadino onorario di Roma

Il Consiglio comunale di Roma, ha approvato ieri una mozione con la quale viene conferita la cittadinanza onoraria al soldato israeliano Gilad Shalit, rapito il 25 giugno del 2006 da Hamas (da ieri sono tre anni che è nelle mani dei terroristi).

Dopo la votazione il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, accompagnato da alcuni rappresentanti dell'aula e dal presidente della comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, ha srotolato, dal balcone del Campidoglio, una gigantografia con il volto del soldato con su scritto «Roma vuole il suo cittadino Gilad Shalit libero». Per Alemanno «la votazione è significativa. Il voto è stato all'unanimità anche se, per un atteggiamento di ostruzionismo politico incomprensibile l'opposizione non ha voluto votare pur condividendo la mozione». Alemanno ha spiegato che «questo non è il primo atto che il Comune fa in solidarietà verso il soldato Shalit ma, da questo momento, entriamo ufficialmente in tutte le richieste e le sollecitazioni istituzionali per chiederne la liberazione». Fab. Per.

(Il Tempo, 26 giugno 2009)

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Il serpente-robot: la nuova arma di Israele per la guerra

di Giovanni Carzana

Un robot a forma di serpente da utilizzare in guerra: Israele sta mettendo a punto una "diabolica" novità per il suo esercito.
Un serpente-robot che Israele potrà utilizzare in guerra, sfruttando principalmente la sua possibilità di mimetizzarsi. L'esercito di Gerusalemme potrà a breve contare anche su questa arma molto speciale. Una novità messa a punto nel Medio Oriente dai ricercatori del Technion-Israel Institute di Haifa: un'arma, è il caso di dire, diabolica.
Il robot sarà dotato di una telecamera posizionata al posto della testa del serpente. Mediante quest'ultima l'esercito potrà visualizzare gli spostamente dell'automa, che quindi potrà dare preziose informazioni ai soldati. Il serpente sarà equipaggiato con alcuni sensori e la sua lunghezza sarà pari a due metri. Inoltre il robot potrà anche portare con sè piccole quantità di esplosivi ad alto potenziale.
Il primo inventore a pensare a robot "animali" da utilizzare in guerra era stato Shigeo Hirose. L'inventore giapponese progettò automi di questo tipo già negli anni Settanta.
Da Israele fanno sapere che questa è soltanto la prima di una serie di invenzioni simili. Altri animali come gatti e cani verranno presi come "modelli" per costruire micidiciali robot da guerra. La nostra speranza è che tutte queste invenzioni rimangano nelle basi dell'esercito d'Israele, e, soprattutto, ci auguriamo che al più presto si arrivi a una pace con la Palestina in Medio Oriente

(Ciaopeople Magazine, 26 giugno 2009)

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Meshaal, scambio prigionieri o per Shalit stessa sorte predecessori

DAMASCO, 25 giu. - (Adnkronos/Aki) - Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha "una sola opzione" per ottenere il rilascio del caporale Gilad Shalit, preso in ostaggio nella Striscia di Gaza nel 2006, e cioe' "consentire uno scambio serio di prigionieri". Lo ha dichiarato il capo dell'ufficio politico di Hamas, Khaled Meshaal, in un discorso pronunciato a Damasco, dove vive in esilio, e trasmesso in diretta dalla tv satellitare 'al-Jazeera'.
Se questa condizione non sara' soddisfatta, Shalit "avra' lo stesso destino dei suoi predecessori", ha precisato Meshaal, riferendosi probabilmente ad altri militari israeliani scomparsi, tra cui Ron Arad, di cui non si hanno notizie da quando il suo aereo precipito' in Libano nel 1986 e fu preso in ostaggio da militanti sciiti. Le parole di Meshaal giungono nel terzo anniversario del sequestro del soldato.

(Libero-news.it, 25 giugno 2009)

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Da tre anni il soldato Shalit è nella mani di Hamas

di Luca Meneghel

Sono passati tre anni da quel terribile giorno, il 25 giugno 2006. Il giovane militare Gilad Shalit, classe 1986, viene catturato da un commando palestinese nei pressi di Kerem Shalom, vicino al confine con Gaza. Poi, il silenzio: da quel giorno, genitori e commilitoni di Shalit non hanno più avuto sue notizie. Più di una volta il governo israeliano - presieduto da Ehud Olmert - ha lasciato intendere di essere vicino alla liberazione del militare: puntualmente, però, tutto si è risolto in niente. Speranze vane anche in occasione delle trattative con Hamas in seguito all'operazione Piombo Fuso: la guerra è finita, ma il soldato israeliano è rimasto nella Striscia di Gaza....

(l'Occidentale, 25 giugno 2009)

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"In Israele i film sono l'anima critica del Paese"

I critici e studiosi intervenuti alla tavola rotonda sulle pellicole israeliane hanno concluso affermando che nel Paese il cinema è "luogo di sperimentazione di tecniche artistiche diverse ed espressione di pluralismo etnico"

PESARO, 25 giugno 2009 - I critici e studiosi intervenuti alla tavola rotonda sul cinema israeliano nell'ambito della 45^ Mostra internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro hanno affermato: "E' completamente libero, anima critica del paese, luogo di sperimentazione di tecniche artistiche diverse, composita espressione di pluralismo etnico".
    Giovanni Spagnoletti, direttore della Mostra pesarese, ha aperto i lavori descrivendo la parabola ascendente che il cinema d'Israele ha intrapreso a partire dalla fine degli anni novanta del Novecento. Poi lo storico del cinema Ariel Schweitzer ha ricordato: "Dal 2000 ad oggi lo sviluppo della filmografia israeliana ha potuto avvalersi di due pilastri istituzionali. La legge con cui il governo ha raddoppiato gli stanziamenti, pari in media a 12 milioni di euro l'anno, e l'accordo di coproduzione con la Francia".
    "Attualmente in Israele si producono 25 film l'anno e più di cento documentari, diciassette le scuole di cinema, che sfornano duecanto diplomati l'anno". Maurizio G. De Bonis, curatore della rassegna insieme a Schweitzer, ha aggiunto che "il nuovo cinema israeliano non è solo giovane, politicamente ed esteticamente maturo e consapevole, è forse prima di tutto femminile, fatto da registe donne".
    Tra i registi presenti alla tavola rotonda anche il promettente Danny Lerner, autore dell'esordio Frozen days (2005), film a bassissimo budget (25000 dollari) perfetto rappresentante di questa nuova generazione cinematografica, in cartellone questa sera.

(il Resto del Carlino, 25 giugno 2009)

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Uccidete Khomeini, ma il Mossad disse no

TEL AVIV - L'ex capo della stazione del Mossad a Teheran, Eliezer Zafrir, ha dichiarato al quotidiano israeliano Maariv, che all'inizio del 1979 nelle drammatiche settimane antecedenti la rivoluzione che portò al potere in Iran il regime islamico dell'ayatollah Khomeini (in foto), giunse ai servizi di spionaggio di Israele una disperata e insolita preghiera dello Scià Mohammed Reza Pahlavi: uccidete Khomeini. La richiesta fu respinta dal governo israeliano.
«Col senno di poi -ha detto Zafrir- forse avremmo dovuto soddisfare la richiesta dello Scià. Ma chi poteva allora immaginare dove Khomeini avrebbe trascinato il suo paese e l'intero Medio Oriente?».
Tra parentesi, continua Zafrir, anche l'allora presidente francese Valery Giscard d'Estaing aveva suggerito allo Scià di eliminare Khomeini, che era allora ancora esule in Francia.
D'Estaing, ha aggiunto l'ex uomo dei Servizi, mandò in quei giorni all'imperatore di Persia il suo ministro dell'Interno con questo messaggio: «Mandate i vostri agenti a Parigi e che facciano ciò che vogliono, noi chiuderemo un occhio».
Zafrir ricorda che a chiedere l'aiuto del Mossad perché assassinasse Khomeini furono stretti collaboratori dello Scià, su suo incarico. A questi, su istruzioni del quartier generale del Mossad a Tel Aviv, fu però data risposta negativa. «La nostra risposta agli iraniani fu - ricorda - che noi non intendevamo intrometterci in questo affare e che dopo tutto non potevamo essere i poliziotti di tutto il mondo». Khomeini sbarcò a Teheran il primo febbraio 1979 accolto da una folla giubilante di due milioni di persone, e l'11 dello stesso mese fu proclamata la repubblica islamica. Quattro giorni prima di questa data, ricorda Zafrir, «fui ricevuto dal premier Shapur Bakhtiar. Fui da lui per circa un'ora. Gli dissi che ero responsabile del piano di sgombero degli israeliani e gli chiesi di assicurarmi tutto l'aiuto necessario. La sua risposta fu «andrà tutto bene se solo potrete fare qualcosa con Khomeinì. Non disse esplicitamente cosa intendeva ma capimmo esattamente che cosa si aspettavano da noi».

(Il Gazzettino.it, 25 giugno 2009)

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Sarkozy a Netanyahu, congelare insediamenti coloni

PARIGI - Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha chiesto "il congelamento totale" degli insediamenti dei coloni nei territori palestinesi occupati nel corso di un incontro con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Lo rivela con un comunicato la presidenza francese.
Netanyahu è giunto a Parigi nel pomeriggio proveniente da Roma, dove è stato ricevuto dal presidente Giorgio Napolitano ed ha avuto colloqui con il presidente del consiglio Silvio Berlusconi.

(swissinfo.ch, 25 giugno 2009)

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L'Anp non tollera gli insediamenti che Netanyahu difende

Dalla visita in Italia del premier israeliano Benjamin Netnyahu è partita la sua nuova provocazione "politicamente scorretta": "Le colonie ebraiche in Cisgiordania non possono essere congelate". Il capo di governo non lo ha dichiarato di persona, ma il concetto, molto chiaro e diretto, è stato ribadito ieri, a radio Gerusalemme, da una fonte nel seguito del premier Benjamin Netanyahu ai margini dei suoi colloqui in Italia. "Le costruzioni negli insediamenti sono essenziali" - ha aggiunto la fonte - "per far fronte alle necessità legate allo sviluppo naturale della loro popolazione". Lunedì il ministro della difesa, Ehud Barak, si recherà negli Stati Uniti per incontrare Mitchell. Anche se è indubbio il disagio della nuova amministrazione sul tema degli insediamenti. Il loro congelamento e smantellameno è infatti uno dei primi passi del nuovo piano di pace. Netanyahu, semplicemente, non vuole fare concessioni in cambio di promesse. Prima di partire per Roma, aveva dichiarato: "Chi vuole la pace deve prepararsi alla guerra, deve essere forte. Non c'è un solo paese al mondo che abbia fatto concessioni come Israele. Dopo il 1967 abbiamo restituito territori grandi tre volte tutto Israele. Abbiamo dimostrato la nostra buona volontà. 'Oslo' (il Trattato di Oslo, usato come sinonimo del processo di pace) è iniziato nel 1993 e non mi sembra che siamo arrivati alla pace. In quale momento Israele è stata più popolare nel mondo? Dopo la guerra dei Sei giorni, e non dopo il 1o e 2o e 3o e 4o accordo di Oslo"."Israele deve spiegare all'America" - ribadiva nei giorni scorsi anche il ministro della Difesa Ehud Barak - "che non c'è alcuna connessione diretta fra gli insediamenti ebraici in Cisgiordania e la questione iraniana".
Della serie: se anche gli israeliani dovessero rinunciare allo sviluppo delle colonie in Cisgiordania e dovessero affrontare il sacrificio dell'evacuazione di quelle già esistenti (con grandi sofferenze per le famiglie evacuate e possibilità di forti disordini), non verrebbe fatto alcun passo avanti in direzione della pace. L'Iran (a meno che il suo regime non cada) continuerebbe a finanziare Hamas ed Hezbollah.Nessuno, poi, nota la contraddizione che è alla base dell'opposizione palestinese agli insediamenti. Se veramente l'Anp desiderasse avere uno Stato indipendente in grado di coesistere "fianco a fianco e in pace" con Israele, non può considerare l'ipotesi di una comunità ebraica al suo interno, garantendole pari diritti rispetto alla maggioranza palestinese? Una comunità ebraica che sia costituita dalla popolazione degli insediamenti? Il mediatore Ahmed Qureishi, la settimana scorsa, ha preso in considerazione questa idea. Ma l'intransigenza con cui l'Anp parla della questione degli insediamenti fa capire quanta poca tolleranza vi sia nei loro confronti. Un osservatore occidentale potrebbe dire: "perché i coloni sono fanatici". Ma cosa avviene con la comunità araba all'interno di Israele? Un esponente del mondo musulmano israeliano, Raed Salah, ex sindaco di Umm el Fahm, proprio la settimana scorsa, esortava gli studenti arabi di Haifa a immolarsi come "martiri" e puntava il dito contro immaginari complotti ebraici volti a "espugnare" la spianata delle moschee. Eppure Israele tollera tutto questo al suo interno e garantisce agli arabi pari diritti rispetto ai suoi cittadini ebrei. Perché i palestinesi non possono tollerare una minoranza ebraica al loro interno, ortodossa e nazionalista che sia?

(l'Opinione, 25 giugno 2009)

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Israele, in costruzione oleodotto a Gaza

Israele ha iniziato la costruzione di un oleodotto per il trasporto di diesel e cherosene alla fascia di Gaza. Lo ha dichiarato il Jerusalem Post, ripreso da RIA Novosti. Le fonti citano un comunicato delle Forze di Difesa Israeliane (IDF). Nella costruzione lavoreranno sia israeliani che palestinesi, mentre la IDF dichiara l'intenzione di continuare a lavorare per migliorare la situazione umanitaria del territorio.

(Portalino, 25 giugno 2009)

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Cristiani uccisi nello Yemen

Due giorni fa ci è arrivato per posta elettronica il seguente messaggio:
    Lunedì, 15 giugno 2009      
    Carissimi fratelli e sorelle,
    Saluti nel nome di Gesù.

    Questa è una lettera molto difficile da scrivere. Per motivi di sicurezza non posso essere troppo esplicita perché abbiamo ancora personale nella nazione ma spero vi aiuterà a pregare.

    Sabato scorso [13 giugno] un gruppo di 9 "operai" della mia missione che lavorano nell'ospedale della capitale dello Yemen, sono andati a fare un pick-nick visto vivono e lavorano sempre nel campo dove si trova l'ospedale. Di solito li accompagnano i soldati tutte le volte che vanno fuori dal campo ma sabato i soldati hanno detto "il posto dove andate è vicino e poi è sicuro perció non avete bisogno della scorta", tra quelli che sono andati, ci sono delle famiglie con bambini. Sarebbero dovuti rientrare per le 6 di pomeriggio ma non sono mai rientrati. Quando sono andati a cercarli la gente della zona hanno detto che avevano visto "gli stranieri" ma poi erano andati via per le 6pm.
    Gli "operai" non sono mai tornati al campo, sono stati rapiti. Quello che sappiamo ora è che e sono stati ritrovati uccisi, 3 del gruppo rapito: "un'operaia" Koreana e due Tedesche. Le ragazze Tedesche lavoravano in ospedale da poco tempo perché sono lì per un programma di "lavoro a breve termine".
    Pregate che gli altri "operai" e i bambini non ancora rilasciati, che non vengano uccisi, tra questi c'è un mio caro amico Toni, la moglie Christin, sabato non è andata con lui perché lavorava in ospedale. Toni è italo inglese. Pregate per Christin.
    Pregate la missione, questa è una grande perdita. Pregate per i Responsabili della missione che abbiano veramente sapienza nel sapere cosa fare. Pregate per i famigliari di queste vittime e di quelli di cui non si sa ancora nulla.
    "Prezioso è il sangue dei Suoi figli".
    "Il Sangue dei martiri è il seme della chiesa".
    Pregate che la morte e la sofferenza dei suoi figli in questa terra non sia invano ma che da questo possa nascere una chiesa forte di gente locale che adora e onora il Signore. Pregate che possano essere molti spronati alla missione proprio tramite questa tragedia... il mondo è molto perduto senza il nostro Signore Gesù.

    Fate girare questa email più che potete ma non cambiate nulla di quello che ho scritto "per la sicurezza degli altri operai nella nazione".
    Vostra in comunione
    Claudia
Soltanto oggi sembra che la stampa italiana se ne sia accorta. Il Foglio nel suo numero odierno pubblica un articolo sull'argomento. Perché nei media si parla così poco di argomenti come questo?

(Notizie su Israele, 24 giugno 2009)

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Entusiasmo a Nablus, dopo 22 anni si torna al cinema

NABLUS - Per la prima volta negli ultimi 22 anni gli abitanti di Nablus (Cisgiordania) hanno potuto godersi il piacere di andare al cinema. Lo rende noto oggi l'agenzia di stampa palestinese Maan precisando che la storica serata è avvenuta sabato scorso: per l'occasione è stato scelto un film egiziano (Ramadan Mabruk Abu Al-Alamen Hamuda di Wael Ihsan), che è stato applaudito da oltre 200 spettatori.
Il primo cinema di Nablus era stato aperto da una famiglia molto nota in città, gli Shaka, già nel 1921 ed aveva oltre mille posti. Ma nel 1987, con il divampare della prima intifada anti-israeliana, fu chiuso ad oltranza. Non era infatti opportuno, si disse allora in Cisgiordania, che mentre le famiglie degli attivisti politici piangevano i loro morti una parte della popolazione andasse egualmente a divertirsi. Nel corso degli anni, precisa Maan, gli abitanti di Nablus - una città spesso teatro di violenze e di raid militari - hanno perso la abitudine di uscire di sera. Di recente la situazione politica si è molto stabilizzata (grazie al dislocamento di centinaia di agenti dell'Anp particolarmente addestrati) ed è stato anche aperto un centro commerciale: ma alle dieci di sera le strade sono vuote, o comunque frequentate solo da uomini. Dopo oltre un anno di trattative con agenzie di distribuzione di film in Libano ed in Egitto due uomini d'affari locali, Marwan Masri e Bashir Shaka, hanno finalmente deciso di aprire adesso al pubblico il loro 'Cinema City', ossia la prima sala cinematografica della città da oltre 20 anni. Un evento che, sperano, contribuirà a mutare le abitudini dei loro concittadini nel tempo libero. Fonti locali aggiungono che un fenomeno simile si sta verificando anche nella vicina città di Jenin che un tempo era considerata la capitale della intifada armata e che adesso vanta pure un nuovo centro commerciale ed un teatro.

(ANSA, 25 giugno 2009)

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Marcenaro (Pd) invita il padre di Gilad Shalit in Senato: un gesto coraggioso

di Carlo Panella

Pietro Marcenaro, senatore del Pd e presidente della Commissione Diritti umani di Palazzo Madama ha fatto un passo coraggioso e importante: ha invitato il padre di Gilad Shalit, rapito il 25 giugno 2006 da miliziani di Hamas e da allora illegalmente detenuto a Gaza, a partecipare formalmente ad una riunione della sua Comnmissione in Senato. Un gesto limpido, pieno di significato, ancor più per le parole impiegate da Marcenaro nella lettera di invito a Noam Shalit:
''Tre anni sono passati dal rapimento di suo figlio - scrive Pietro Marcenaro - e tre anni sono un periodo di tempo lunghissimo da passare nell'incertezza e nell'angoscia. Il rapimento di Suo figlio costituisce un atto efferato e insopportabile, che ripugna alla coscienza; e' il gesto violento e spregiudicato di chi non ha rispetto ne' per gli individui, nella loro dignita' come persone umane, ne' delle regole minime stabilite dalla Comunita' internazionale a tutela dei singoli anche in presenza di aspri conflitti. Lei e la Sua famiglia siete vittime di un ricatto inaccettabile per voi, per lo Stato di Israele e per tutta la Comunita' internazionale; un ricatto che va respinto con forza e che non deve fermare gli uomini di buona volonta' e la loro ferma intenzione di giungere ad una pace giusta fra il popolo israeliano e il popolo palestinese. Nella visita che la Commissione Diritti umani del Senato ha fatto in Israele, nei Territori e a Gaza, abbiamo incontrato i responsabili della comunita' italiana in Israele che hanno richiamato l'attenzione, una volta di piu', sulla terribile condizione di Suo figlio Gilad, rispetto alla quale la Commissione intende manifestarle la sua piena solidarieta'. Piu' volte il Senato della Repubblica italiana e la Camera dei deputati, attraverso interrogazioni, interpellanze e mozioni, si sono attivate perche' anche l'Italia si unisse al coro di sdegno che ha unito su questa vicenda il mondo intero. Dobbiamo evitare che sulla vicenda di Gilad cali il silenzio; il silenzio e' complice dei peggiori crimini e il nostro dovere, se vogliamo realmente favorire il processo di pace che nonostante tutto deve andare avanti, e' far sentire la nostra voce contro ogni atto di violenza e di barbarie, da qualsiasi parte provenga. In attesa della Sua risposta, che mi auguro positiva, La prego di voler accogliere i sensi della mia rispettosa considerazione''.

(blog di Carlo Panella, 24 giugno 2009)

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Caccia F-16 israeliani si esercitano nell'abbattere Uav

E' alta la preoccupazione per questo tipo di intrusioni

               F-16
TEL AVIV - Le forze aeree israeliane stanno conducendo una serie di test per sviluppare la propria capacità di abbattere velivoli senza pilota a controllo remoto (Uav) che potrebbero essere lanciati nello spazio aereo del Paese ebraico da parte di guerriglieri, come quelli di Hamas o Hezbollah, o di Nazioni ostili, come ad esempio l'Iran.
I piloti di un caccia Lockheed Martin F-16 Fighting Falcon dell'aeronautica militare israeliana hanno infatti fatto pratica con le loro M61 Vulcan da 20 mm per abbattere uno Uav bersaglio durante una missione addestrativa completata ieri. Minacce di questo tipo sono tra quelle che preoccupano di più la difesa di Tel Aviv in questo momento.
L'F-16 Fighting Falcon è un caccia multiruolo sviluppato dalla General Dynamics (ora Lockheed Martin) alla fine degli anni '70. Il suo successo è dimostrato dal fatto che è attualmente in servizio presso le forze aeree di 25 Nazioni, tra cui Stati Uniti, Italia e Israele. E' lungo 14,8 metri con un'apertura alare di 9,8 metri. Ha un peso massimo al decollo di 19.200 kg e può raggiungere una velocità di 2414 km/h, con una tangenza di 18.000 metri ed un'autonomia di 4220 km. E' armato con un cannoncino M61 Vulcan e può trasportare quasi 8000 kg tra razzi, missili aria-aria, aria-terra ed anti-nave, e bombe. Può trasportare anche un ordigno nucleare B61.

(Avionews, 24 giugno 2009)

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Gli ebrei di Iquitos

di Maurizio Molinari

Gli ebrei di Iquitos vivono nella giungla del Perù, discendono da un pugno di mercanti sefarditi che nel Seicento si insediarono in questo remoto angolo dell'Amazzonia e negli ultimi anni hanno riscoperto le loro radici costruendo una sinagoga e convertendosi, grazie all'opera infaticabile e volontaria di Reategui Levy, un ispettore della compagnia petrolifera peruviana che li ha incontrati per caso. Sono diverse centinaia. Ora andranno tutti in Israele.

(Notiziario Ucei, 24 giugno 2009)

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Washington annulla l'incontro a Parigi fra Netanyahu e Mitchell

La Casa Bianca ha annullato l'incontro previsto giovedì 25 giugno a Parigi fra il premier israeliano Benyamin Netanyahu e l'emissario statunitense per il Medio Oriente George Mitchell, dopo aver appreso il rifiuto ufficiale di Israele di smantellare le colonie ebraiche in Cisgiordania.
E' quanto ha riportato oggi il quotidiano israeliano Yediot Aharonot.
Secondo un alto responsabile dell'amministrazione Obama, di cui il giornale ha taciuto il nome, Washington non autorizzerà l'incontro sino a quando il governo di Benyamin Netanyahu non cambierà politica riguardo alla questione delle colonie nei territori occupati.
Martedì 23 giugno, un membro della delegazione israeliana che accompagna Netanyahu nel suo viaggio in Europa, aveva dichiarato che Mitchell avrebbe comunque incontrato a Washington il ministro israeliano della Difesa Ehud Barak.
Netanyahu aveva visto Mitchell a Gerusalemme lo scorso 9 giugno, mentre preparava il discorso che intendeva portare come risposta a quello che Barack Obama aveva tenuto al Cairo all'inizio di giugno. Un discorso dove aveva certamente dato il suo accordo alla creazione di uno Stato palestinese, ma lo aveva fatto imponendo condizioni molto severe, inaccettabili per la maggior parte dei palestinesi, in particolare per le frange estremiste.
Martedì a Roma, Netanyahu ha confermato di voler mantenere le sue posizioni sugli insediamenti dei coloni in Cisgiordania, precisando che nel limite del possibile non avrebbe più autorizzato nuove colonie ma che quelle esistenti non sarebbero state smantellate.
"Nessuno può obbligare il governo israeliano a togliere la terra e le case al suo popolo - ha dichiarato il primo ministro, aggiungendo che ritiene comunque possibile trovare una soluzione con l'amministrazione di Barack Obama.

(ticinolibero.ch, 24 giugno 2009)

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Un'estate di caricature al Museo della Torre di David

Forse nessuno penserebbe a Gerusalemme come a un "paradiso" per i caricaturisti. Invece, proprio la complessità della storia di questa città, invita ad applicare un po' d'ironia nella vita di tutti i giorni! Ecco quindi dal 9 di giugno e per tutta l'estate in mostra al Museo della Torre di Davide il lavoro di 60 caricaturisti che ironicamente rappresentano la vita e il vivere quotidiano della splendida capitale d'Israele. Per tutta l'estate il Museo della Torre di Davide racconterà poi i 4.000 anni della storia di Gerusalemme con uno straordinario spettacolo di suoni e luci.

(Alibi Online, 24 giugno 2009)

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Noterelle - Stolti paragoni

di Alberto Cavaglion

Qualche settimana fa giocando con il telecomando mi è capitato di vedere la stella gialla cucita sul vestito di Emma Bonino, mentre Monica Guerritore, con solennità grave, stava recitando, pensai, un brano del diario di Anna Frank . Invece erano passi delle lettere sul "ciarpame" di Veronica Lario. Quando i politici o i giornalisti televisivi si servono della storia, stupisce sempre la loro assenza di umiltà. "Ho parlato da stolto (Insipienter locutus sum)", insegna Pier Vincenzo Mengaldo, un grande italianista, che si è saggiamente appoggiato a Giobbe (42, 3) prima di affrontare il tema dello sterminio: "Sono cose troppo alte e non le capisco" (et quae ultra modum excederent scientiam meam).
Sia chiaro. L'uso del giallo come colore dell'afflizione non l'hanno inventato Pannella o la Bonino. Ne siamo afflitti dall'inizio degli anni Novanta. Se ne era servito, in modo più soft, chi a suo tempo aveva manifestato per difendere l'innocenza di Adriano Sofri. Stesso discorso va fatto per le comparazioni riguardanti le leggi razziste. Era già "razziale" la Bossi-Fini. I paragoni storici sono sempre rischiosi, soprattutto quando a servirsene sono i politici o gli storici politicizzati. Raccogliendo i suoi ricordi sulla scuola italiana, Carlo Dionisotti non nascondeva il timore che quelle sue pagine risentissero dei "crucci provocati dagli eventi". Sia fra chi sostiene che siamo ormai in pieno 1938, sia in chi lo nega, ben altri, temo, siano i crucci.
Non da oggi, gli ebrei sono considerati, in Italia più che altrove, il termometro delle sofferenze umane. Ricordo che a suo tempo il governo Prodi, insieme a giudici e militari, volle una presenza ebraica nella commissione che avrebbe dovuto giudicare le efferatezze dei nostri soldati in missione in Somalia. E' l'idea di ebraismo dolente, che andrebbe capovolta, soprattutto quando si affrontano i problemi dell'immigrazione. Possiamo essere un esempio da imitare, non solo da compiangere. La storia degli ebrei italiani e la storia dell'emigrazione clandestina hanno un denominatore comune, che non è il Manifesto della razza, ma il modo attraverso cui gli ebrei, nel corso dei secoli hanno cessato di essere "clandestini", "stranieri" e sono diventati cittadini. Proprio la Padania ebraica è il luogo che dovrebbe insegnare come sia tortuosa, ma attuabile l'integrazione. Mezzo millennio circa di coabitazione, in Piemonte, senza respingimenti.

(Notiziario Ucei, 24 giugno 2009)

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Ex ministro delle Finanze del Likud condannato a 5 anni di carcere

TEL AVIV, 24 giu. (Adnkronos/Dpa) - L'ex ministro delle Finanze israeliano, Avraham Hirchson e' stato condannato a cinque anni e mezzo di carcere dopo essere stato giudicato colpevole da un tribunale di Tel Aviv di malversazione. Hirchson e' stato anche condannato al pagamento di una sanzione di 450mila shekel (114mila dollari).
Nel periodo compreso fra il 1998 al 2005, con la carica di presidente della Federazione nazionale dei lavoratori, l'esponente del Likud aveva stornato circa quattro milioni di shekel (1,2 milioni di dollari) in totale, versati come ''rimborso spese'' su base mensile. Ieri l'ex ministro ha rimborsato la Federazione di 570mila shekel in contanti e 1,16 con un assegno.

(Libero-news.it, 24 giugno 2009)

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Pesaro 45 - Children of the sun - Cinema Israeliano

Il Kibbutz è stata la più grande utopia collettiva della realtà sionista. Al suo interno bisognava, di fatto, costruire l'"uomo nuovo", l'ebreo che, fatta tabula rasa di tutte le incrostazioni del modello intellettuale tramandato per secoli, fosse concretamente capace di riportare al centro della sua stessa esistenza, la dimensione dell'agire, del muoversi, del proiettarsi davvero verso il futuro. Il Kibbutz era, di fatto, un collettivo orientato verso un'utopia socialista....

(Close-Up, 24 giugno 2009)

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La Spears in un film sulla Shoah? Gli ebrei tedeschi: «Scelta fuori luogo»

Il Consiglio Centrale degli ebrei in Germania contrario alla proposta fatta alla pop star: «È riprovevole»

BERLINO - Interpretare il ruolo femminile principale in un film sulla Shoah. Questa la proposta avanzata nelle ultime settimane a Britney Spears che ha fatto indignare, e non poco, le associazioni ebraiche tedesche. Il Consiglio Centrale degli ebrei in Germania ritiene inopportuna l'offerta avanzata alla controversa pop star.

«RIPROVEVOLE» - Britney dovrebbe interpretare il ruolo femminile principale in The Yellow Star of Sophia and Eton (La stella gialla di Sophia ed Eton), una pellicola che - secondo la trama apparsa su Internet - racconta la storia di una donna che si innamora di un uomo in un campo di concentramento. «È riprovevole cercare di finanziare il film mescolando perfidamente Britney Spears e la Shoah», ha detto la presidente del Consiglio Centrale degli ebrei in Germania, Charlotte Knobloch, al tabloid Bild. «I principi etici dovrebbero avere la precedenza», ha aggiunto. «La sceneggiatura per i film su temi come la Shoah dovrebbe essere scelta con cura - ha concluso la Knobloch -. E anche la scelta degli attori deve essere prudente. È del tutto fuori luogo la ricerca di effetti per questo tema».

(Corriere della Sera, 24 giugno 2009)

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Hamas sospende la partecipazione ai lavori della Commissione di riconciliazione nazionale.

RAMALLAH - Ieri un dirigente del movimento di Hamas, Omar Abderrazek, ha dichiarato che il suo movimento ha sospeso la partecipazione alle riunioni bilaterali con Fatah, all'interno della Commissione di riconciliazione nazionale.
Il ha affermato che "Hamas ha sospeso la propria partecipazione ai lavori della commissione di riconciliazione, in quanto i rappresentanti di Fatah rifiutano la richiesta di fissare un calendario per la liberazione dei prigionieri politici in Cisgiordania e di porre fine agli arresti politici".
Una settimana fa, i due movimenti di Fatah e di Hamas avevano raggiunto un accordo iniziale durante le riunioni della commissione di riconciliazione, organizzate dall'Egitto, che prometteva di mettere fine agli arresti politici a Gaza e in Cisgiordania, per creare un clima adatto al successo del dialogo interpalestinese.

(Infopal, 24 giugno 2009)

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Prorogata la missione nel Golan

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato all'unanimità una proroga di sei mesi del mandato della missione delle Nazioni Unite sulle alture del Golan (Undof), fino al 30 dicembre 2009.

NEW YORK - L'Undof controlla un'area-cuscinetto tra Israele e Siria. Nel 1967, durante la guerra dei Sei Giorni, le forze armate israeliane strapparono le alture alla Siria. Sei anni dopo, nella guerra dello Yom Kippur (il giorno dell'espiazione dei peccati secondo la tradizione ebraica), Damasco tentò senza successo di riconquistare l'area. La missione Onu, creata nel maggio 1974, ha il compito di garantire il rispetto del cessate il fuoco.

(Il Tempo, 24 giugno 2009)

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Israele: una priorità gli scambi commerciali con L’Ue

Il caos in Iran e il processo di pace in Medio Oriente sono i temi al centro della prima visita in Europa di Benjamìn Netanyahu, dopo il suo insediamento alla guida del governo israeliano. Ma non sono gli unici.
Meno mediatizzata, eppure altrettanto importante per lo stato ebraico, è la questione degli scambi commerciali con l’Unione europea, oltre a quella degli aiuti che Bruxelles concede nell’ambito della sua politica di prossimità.
Con un volume totale di scambi che nel 2007 ha superato i 25 miliardi di euro, Israele è tra i principali partner commerciali dell’Unione, nella zona euro-Mediterranea.
Le imprese europee esportano in Israele beni per 14 miliardi di euro, mentre il valore delle esportazioni israeliane in Europa ammonta a 11,3 miliardi.
I ventisette finanziano anche forme di cooperazione con lo stato ebraico sul fronte politico ed economico: per il periodo 2007-2010, Bruxelles ha stanziato fondi per 14 milioni di euro.
Per quanto riguarda i palestinesi, gli scambi commerciali tra Ramallah e Bruxelles sono molto più limitati. Il motivo è dovuto sia alle divisioni interne tra le fazioni palestinesi, sia al blocco israeliano della Striscia di Gaza, passata dal 2007 sotto il controllo di Hamas.
Una tale situazione impedisce di fatto all’Autorità palestinese qualunque tipo di intervento per migliorare le condizioni di vita nei Territori, dove a fare la differenza sono i programmi di aiuto internazionale finanziati dalle Nazioni Unite e dall’Unione europea.
Dal 2000 a oggi, Bruxelles ha inviato 3,4 miliardi di euro in fondi di assistenza per i palestinesi. Il 2007, l’anno in cui Hamas ha assunto il controllo di Gaza, ha visto lo sforzo finanziario maggiore da parte dei Ventisette: 560 milioni di euro. Per il 2009, l’importo previsto è di 440 milioni.
L’insieme di questi interventi ha lo scopo di aiutare l’Autorità palestinese a creare le istituzioni di un futuro stato: una condizione che l’Unione europea considera indispensabile per la coabitazione pacifica tra palestinesi e israeliani.

(euronews, 23 giugno 2009)

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Scoperta a Gerico la grotta dei grandi misteri

Era una cava dei romani poi divenuta un monastero

          La grotta scoperta a Gerico
«Non ardite entrare. Quella grotta è maledetta. È infestata dai lupi e dalle iene». Erano stati perentori i due beduini di Gerico (Cisgiordania) imbattutisi nei giorni scorsi in una equipe di archeologi israeliani guidati dal professor Adam Zertal (Università di Haifa). Ma l'ardore scientifico ha poi prevalso. Una volta entrati nelle viscere della antichissima terra, gli studiosi hanno trovato davanti a sè la più vasta caverna mai scavata da esseri umani in questa Regione. Quale fossero le loro finalità originali resta ignoto: certamente si tratta di una cava utilizzata dai Romani a partire dal primo secolo d.C.. Ma fu anche un monastero, o un luogo sotterraneo di culto.
Possibilmente, nei secoli a seguire, fu anche utilizzato come nascondiglio. Prima che diventasse la temibile tana di lupi e iene: di cui comunque i ricercatori non hanno trovato traccia.
Situata a quattro chilometri da Gerico, la cava è lunga 100 metri e larga 40 metri. La gigantesca struttura architettonica è sostenuta da 22 pilastri: oggi sono alti circa tre metri, in passato probabilmente erano di quattro metri. Studiandoli con attenzione i ricercatori hanno trovato incisi dei cerchi che ricordano simboli zodiacali, lettere romane e anche un disegno che fa pensare allo stemma di una Legione. Nelle pareti c'erano dei fori utilizzati forse per contenere lampade a olio e per legare gli animali impiegati per trascinare all'aperto le pesanti pietre intagliate nella cava.
Quella grotta, dice il professor Zertal, fu utilizzata come cava per quattro-cinque secoli. Ma come mai non fu approntata a cielo aperto, come avveniva di norma in altre località? Come mai doveva essere sotterranea? Finora non ci sono risposte. Restano da studiare le incisioni trovate sulle pareti e le suppellettili recuperate sul terreno.

(Brescia Oggi, 23 giugno 2009)

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Mosca, una sinagoga su quattro ruote per le vie del centro

Offrono passaggi durante i quali si può pregare

Una sinagoga mobile con due rabbini a bordo ha iniziato a circolare nelle strade più affollate di Mosca. Quasi una prima assoluta per la capitale russa, che però già vanta una libreria a quattro ruote, una taverna-tram e "un nanobus". Ma il caso specifico rappresenta anche un segnale di tolleranza e possibile pacifica convivenza delle numerose fedi presenti in città, a fronte dei sempre più inquietanti - e frequenti - episodi di razzismo. E proprio per questo l'iniziativa è un passo chiave per lo sviluppo della coscienza sociale e anche per chi non crede. La sinagoga è facilmente riconoscibile, in quanto le sue porte sono rivestite con immagini specifiche: come le pergamene della Torah e il classico candelabro a sette braccia, tra i più noti simboli del giudaismo. I rabbini passano e chiedono ai pedoni se sono ebrei: nel caso di una risposta positiva, offrono alle persone un passaggio durante il quale possono indossare il necessario per pregare e procedere alle letture. L'opportunità è anche un tour della Mosca ebraica: visita dei luoghi, spiegazione dei significati degli elementi della preghiera o corso di lettura in ebraico. E secondo gli ideatori del tour, basta un'ora e mezza di tempo per imparare. Gli interessati possono anche domandare una consultazione su quasi tutte le questioni religiose, compresa la cerimonia della circoncisione. "Tutto è qui come in una sinagoga", dice il presidente della Comunità ebraica della Russia Federazione Daniil Yakovlev. "Uno è in grado di leggere e di parlare con i rabbini". L'idea non è comunque nuova al mondo. Tali sinagoghe mobili funzionano in molte capitali del mondo da oltre un ventennio. Nel 1991 il "mitzvah tank" - il tank dei rabbini - era stato lanciato anche a Mosca, ma non per molto: data la situazione poco tranquilla nel Paese, proiettato nelle incertezze della fine dell'Urss, l'esperienza venne velocemente archiviata. Poi, recentemente, è stato deciso di riprendere la sua attività all'interno del cosiddetto Kolzo' (anello, ossia il centro di Mosca), su iniziativa del leader ebraico, Berel Lazar. Il quattro ruote 'istruttivo' sta prendendo piede nella capitale russa. Oltre alla sinagoga su quattro ruote c'è il "nanobus", coperto con formule chimiche e fisiche, un piccolo pullman che permette ai moscoviti di fare un giro in mezzo ai segreti delle nanotecnologie e osservare alcuni esperimenti all'interno del veicolo. E pure i musei non sono in ritardo: un treno chiamato "Acquerelli" guida avanti e indietro lungo la Arbatsko-Pokrovskaya, linea metropolitana che vanta riproduzioni dei celebri dipinti del Museo Russo. Ma sicuramente una delle più popolari occasioni su ruote è una taverna-tram chiamata "Annushka": in onore del percorso tamviario nel quartiere Chistye Prudy, lanciato nel 1911. Il moderno "Annushka" compie lo stesso percorso da circa dieci anni e offre piatti gustosi. Qui non c'è bisogno di pregare, basta ordinare.

(Virgilio Notizie, 23 giugno 2009)

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Ahmadinejad è ebreo? Caos nella stampa del Bahrein

di Paolo Della Sala

Il Bahrein (stato che risente della vicinanza con l'Iran) ha chiuso per 12 ore un giornale (Gulf News), per avere pubblicato un articolo fortemente critico nei confronti di Ahmedinead e del regime iraniano.
L'articolo (di una donna, Samira Rajab) inoltre riprende una vecchia questione sul cambiamento di cognome di Ahmadinejad, fatto per nascondere le origini ebree... La questione a noi evidentemente non interessa affatto, e proporla agli iraniani per squalificare Ahmadinejad rischia di aggiungere razzismo al già complicato quadro interno. Tuttavia è significativa per indicare che il livello dello scontro interno tra le fazioni al potere in Iran è molto alto. Inoltre la libertà di stampa va difesa. Infine, attenzione! Dire o non dire che Ahamdinejad è ebreo rischia di innescare un gioco razzista. Non ci sono popoli perfetti, come non ci sono popoli reietti. (Essere il popolo "eletto" significa ben altro, sotto il profilo teologico, sia nel giudaismo sia nel cristianesimo).

(il legno storto, 23 giugno 2009)

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Pesaro 45 - A history of Israelian cinema - Cinema israeliano

di Alessandro Izzi

Cosa sappiamo realmente del cinema israeliano ? Poco e niente sarebbe la risposta più scontata. Certo i Festival internazionali ci hanno abituato alla presenza di Amos Gitai, e certo Valzer con Bashir è stato, appena lo scorso anno, un caso eclatante ed inaspettato, ma si tratta di casi così isolati all'interno della nostra distribuzione che non viene neanche da pensare che possano essere la punta di un iceberg ben altrimenti problematico.
Con A history of Israelian cinema, documentario di quattro ore presentato in apertura della monumentale rassegna che il festival di Pesaro dedica al cinema israeliano, Raphael Nadjari tenta l'ardua impresa di far conosce all'estero la complessità di un'industria che solo recentemente è stata davvero in grado di addentrarsi nella complessità di una narrativa ancorata nel presente e nelle contraddizioni spesso insanabili del conflitto palestenise.
L'opera ha un chiaro impianto didattico, costruito su una limpida successione cronologica di opere ed autori. Si parte quindi dall'inizio del cinema sionista, quando le opere erano improntato su un modello propagnadista debitore del modello sovietico (pellicole in cui l'ebreo assumeva la sua identità personale solo nel momento in cui si confrntava con la terra promessa alla quale faceva ritorno dopo un lungo e tormentato peregrinare) e si prosegue tranquillamente ed inesorabilmente verso l'oggi.
In effetti forse il grande problema del cinema israeliano delle origini sta tutto proprio nella sua dichiarata matrice politico/religiosa. Una dimensione che sembra voler rompere i ponti con la tradizione reale (quella ancorata sulle discussioni filosofiche intorno alle Sacre scritture) e che punta sulla definizione di un nuovo modello di ebreo : un individuo che combatte per la sua realtà, che lavora, che desidera eccellere liberandosi dei modelli intellettuali che egli stesso ha contribuito a creare.
Una breve parentesi, questa stagione del cinema sionista, presto interrotta dagli orrori della seconda guerra mondiale che ben altre direzioni avrebbe fatto prendere ad un cinema ancora incapace a definirsi in maniera compiuta ed assolutamente originale. Anche se l'abominio della Shoah permise agli israeliani di unirsi sotto l'egida di un'unica bandiera (e ad unirsi furono profughi europei e transfughi dell'est : etnie così diverse che si potrebbe parlare di multirazzialità sul modello americano), il cinema della terra di David stentava a trovare una propria identià personale, mantenendosi nel solco della pensosità europea o ricercando una forma di intrattenimento senza complicazioni sull'onda del sempre vicente modello americano (l'unico che riuscisse anche lì a riempire le sale). Così diviso, il cinema israeliano attraversò gli anni '60 e '70 imparando gradualmente ad entrare in contatto con il mondo arabo dapprima guardato con ansia e paura, poi con sempre maggior voglia di comprendere ed infine quasi con simpatia e compartecipazione. Nei casi più eclatanti, anzi, si cominciò ad avverare una vera e propria inversione dei ruoli secondo la quale erano gli arabi i veri padroni del territorio e l'ebreo altro non era che l'alieno piovuto dal cielo. La scoperta dell'alterità del mondo arabo è sicuramente l'aspetto necessario di una doverosa affermazione di una narrativa ebro/palestinese : qui si abbandona la propaganda dell'eroe d'azione cara al cinema sionista e ci si addentra in una visione del mondo contemporaneo in tutte le sue contraddizioni. Soprattutto si afferma un'identità nazionale capace di affrontare il tema della diversità (intesa non solo a livello culturale o religioso, ma anche in termini più spiccaimente sessuali) in una pospettiva nuova. Anche se la politica pare abbandonare tutto il cinema israeliano degli anni '90, nondimeno comincia ad affollarsi sullo schermo un novero di pellicole che compongono un'epica del quotidiano con una più spiccata attenzione all'universo femminile (una novità assoluta all'interno di una realtà oltremodo maschilista) e alle storie piccole e venate di discreto realismo. Così si arriva ai giorni nostri con un'industria che è stata finalmente capace di trovare un'identità personale caoace di confrontarsi paritariamente con altre cinematografie.
Il modello del documentario è classico : interviste e molti spezzoni di film. Il racconto avanza interessante e denso di spunti, ma ha il difetto di restare troppo ancorato ad una divisione didattica. La successione degli anni è inesorabile, ma si ha l'impressione che lo studio sopravanzi le ragioni del cuore. A history of Israelian cinema è opera importante, ma poco appassionata. Un saggio di cinema che si accende di luce propria solo in alcuni momenti (la divertente analisi del primo film sinoista, i toccanti momenti del finale) e che rischia di diventare per chi non sa nulla di questo cinema una inesauribile galleria di titoli e date.

(Close-Up, 23 giugno 2009)

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Gaza, dimostranti pro-Shalit chiudono valichi

TEL AVIV - Centinaia di israeliani hanno cercato oggi di ostruire i principali valichi di accesso alla striscia di Gaza in una manifestazione di sostegno a Ghilad Shalit, il caporale israeliano rapito da Hamas tre anni fa e da allora custodito in una localita' ignota nella Striscia. In questi anni nessun osservatore imparziale ha potuto visitarlo e verificarne le condizioni. Giunti ai valichi di Erez, Nahal-Oz e Kerem Shalom, i dimostranti hanno intralciato il traffico disponendo sulla strada automobili e mezzi agricoli. Un centinaio di camion diretti alla Striscia con generi alimentari e altri prodotti commerciali sono rimasti bloccati. In seguito i responsabili dei valichi hanno cercato di convincere i dimostranti ad acconsentire all'ingresso a Gaza almeno dei prodotti richiesti con maggiore urgenza. Domani, sul versante palestinese del valico di Erez sara' organizzata un'altra manifestazione di protesta. I dimostranti invocheranno da parte loro la rimozione del valico imposto alla Striscia (da quando due anni fa Hamas ha espugnato il potere con la forza) e sosterranno uno scambio di prigionieri che consenta la liberazione di Shalit assieme a quella di oltre mille detenuti palestinesi.

(ANSAmed, 23 giugno 2009)

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Somalia, rubano cellulari: adolescenti condannati al taglio della mano

I miliziani dei Giovani Mujahidin controllano la zona da qualche settimana e applicano la sharia islamica.

Quattro adolescenti sono stati condannati dai Giovani Mujahidin al taglio della mano dopo essere stati scoperti a rubare cellulari e altri beni. La notizia è stata diffusa dal giornale arabo 'al-Quds al-Arabì'.
La condanna è stata confermata ieri da alcuni giudici islamici, anche se non è stato reso noto quando potrà essere eseguita la sentenza di condanna. Nelle zone della Somalia controllate dai ribelli islamici viene applicata alla lettera la sharia, la legge islamica, ma è la prima volta che è stata comminata una pena che prevede il taglio della mano in caso di furto. Da diverse settimane i Giovani Mujahidin, insieme al Partito islamico somalo, controllano la periferia di Mogadiscio. Ieri, il presidente del governo somalo transitorio, Ahmad Sharif, ha proclamato lo stato d'emergenza nel Paese.

(PeaceReporter, 23 giugno 2009)

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Droni israeliani per la Russia

Accordo da 53 milioni di dollari per 12 Uav

La Russia ha raggiunto l'accordo con Israele per l'acquisto di 12 veicoli aerei senza pilota a controllo remoto (Uav). Il contratto ha un valore di 53 milioni di dollari. Lo ha reso noto oggi Vyacheslav Dzirkaln, vice-direttore del servizio federale per la cooperazione tecnico-militare di Mosca.
"Il contratto prevede la consegna di 10 Uav piccoli e due pesanti - ha detto Dzirkaln all'agenzia di stampa russa 'Ria Novosti' - Non abbiamo ancora ricevuto la consegna perché l'accordo è stato firmato solo recentemente". Scopo dell'acquisto, ha poi aggiunto Dzirkaln, è quello di studiare la tecnologia israeliana in questo campo per poi trasferirla nei programmi russi di produzione di velivoli senza pilota, uno strumento di cui le forze armate hanno più volte fatto richiesta, soprattutto in seguito al breve conflitto in Georgia dell'agosto 2008. Nonostante i numerosi programmi aperti e le dichiarazioni in merito, infatti, le industrie russe a tutt'oggi non sono riuscite a produrre uno Uav efficace per gli scopi e le sfide dei nuovi ambienti di guerra. (Avionews)

(Avionews, 22 giugno 2009)

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Ministro del Turismo di Israele in Russia

Il Ministro del Turismo di Israele, Stas Misezhnikov, visita la Russia. Lo rivela RIA Novosti. Si tratta del primo viaggio all'estero come ministro del turismo.
Il numero di turisti esteri in Israele è sceso del 22 per cento nel primo trimestre del 2009, ma il numero di turisti russi è sceso solo del 7 per cento, rivela la fonte.
"Le cifre mostrano che le dinamiche della domanda di servizi turistici in Russia è stata influenzata di meno che nel resto dell'Europa, ha detto il ministro israeliano.
Nel 2008, quando Russia e Israele hanno tolto il regime dei visti, 360.000 russi hanno visitato Israele, su un totale di 3 milioni di turisti esteri.
Lo scorso novembre, l'amministrazione di Mosca ha vinto il bando per la costruzione di un hotel con 240 stanze, due piscine, un centro termale, una struttura sanitaria, un centro conferenze, due ristoranti e un eliporto, per il valore di 100 milioni di dollari. Il lancio del progetto, però, è stato ritardato.

(Portalino, 22 giugno 2009)

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Yemen, "Gli ostaggi sono ancora vivi"

Lo sostiene una fonte tribale

Fonti tribali yemenite hanno fatto sapere che i sei occidentali (cinque tedeschi e un'inglese) rapiti nello Yemen il 12 giugno sono ancora vivi, e sono nelle mani di ribelli sciiti che operano nella provincia di Saada, nel Nord del Paese. La scorsa settimana erano circolate voci secondo le quali gli ostaggi erano stati uccisi, ma sabato il ministro dell'Interno, Motahar al-Masri, aveva sostenuto che gli ostaggi fossero ancora vivi.
"Dalle informazioni che abbiamo non sono stati trovati i corpi di alcuno di questi sei ostaggi e c'è la possibilità che siano ancora vivi", ha spiegato Intanto una corte d'appello dello Yemen ha condannato alla fucilazione per un ex pilota dell'aeronautica che a dicembre aveva assassinato un ebreo. Il tribunale di Amran, a nord di Sanaa, ha respinto la tesi dell'infermità mentale sostenuta dai giudici di primo grado.
La vedova e il padre della vittima avevano presentato appello contro la sentenza che assegnava loro un indennizzo di 27mila dollari al posto dell'esecuzione. L'imputato aveva sostenuto di aver voluto lanciare un monito a tutti gli ebrei che li avrebbe sterminati se non si fossero convertiti all'Islam.

(TGCOM.it, 22 giugno 2009)

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Si avvicina il rilascio di Shalit

Appena Shalit sara' in Egitto, Israele liberera' 150 detenuti

IL CAIRO, 22 giu - Le trattative per la liberazione del caporale israeliano Gilad Shalit sarebbero quasi alla conclusione. Lo affermano giornali,in relazione alla visita compiuta ieri al Cairo dal ministro della Difesa israeliano Barak, che ha avuto colloqui con il presidente egizianoMubarak.Una delegazione dei servizi di sicurezza egiziani sarebbe partita ieri per Gaza.Le trattative prevedono che appena Shalit sara'arrivato in Egitto, Israele liberera'150 detenuti palestinesi.

(ANSA, 22 giugno 2009)

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La stampa israeliana guarda l'Iran, tra speranza e scetticismo

La stampa israeliana guarda con attenzione alle rivolte iraniane fin dal loro inizio e, dopo qualche iniziale diffidenza, si fa largo un sostegno sempre maggiore alle proteste.
Un editoriale di Ha'aretz esprime solidarietà ai manifestanti iraniani e corregge il tiro delle prime analisi del voto: "Sebbene non siano ancora noti gli obiettivi e le conclusioni di quello che sta succedendo, quello che abbiamo visto finora è sufficiente a dare una lezione di umiltà a quelli che di solito sono considerati degli esperti in virtù del loro accesso a fonti e materiali riservati". Il riferimento è alle dichiarazioni del capo del Mossad, Meir Dagan, che aveva minimizzato l'impatto dei brogli elettorali, sostenendo che tra Ahmadinejad e Mousavi non c'erano molte differenze e le proteste si sarebbero dissolte nel giro di pochi giorni.
"La differenza tra Ahmadinejad e i suoi padrini, e Mousavi e i suoi sostenitori, è scritta con il sangue nelle strade di Teheran. Anche se Mousavi sostiene il programma nucleare (che, per inciso, fu avviato dallo scià, alleato di Israele), non si può non tener conto della minaccia senza precedenti lanciata da Mousavi all'ayatollah Khamenei e all'intero regime. Le sanzioni economiche che la comunità internazionale infliggerà all'Iran, se questo dovesse continuare a massacrare dei civili", conclude l'editoriale, "contribuiranno a rendere più difficile il cammino verso il nucleare di guerra, e ridurranno la minaccia di un confronto militare diretto con Israele. Un'altra buona ragione per sperare che il popolo iraniano abbia la meglio sui suoi dittatori".
Anche il Jerusalem Post pensa che la figura di Mousavi debba essere rivalutata in seguito ai fatti di questi giorni. "Indipendentemente da quali fossero le sue intenzioni originali, Mousavi rappresenta oggi qualcosa di più che una semplice alternativa soft ad Ahmadinejad. La sua influenza potrebbe essere una buona cosa per l'Iran e per il mondo, anche se nessuno ha ancora capito del tutto le intenzioni di quella parte di élite che lo sostiene. Negando la legittimità dei risultati elettorali spacciati da Khamenei per 'volere divino', però, questa fazione ha minato le basi stesse del regime. Magari vogliono solo riformare la repubblica islamica, invece che rovesciarla. Ma il popolo iraniano potrebbe pensarla diversamente".
Di tutt'altro parere Soli Shavar su Yediot Ahronoth, secondo cui sui fatti di questi giorni ha pesato molto di più lo scontro tra le due fazioni interne al regime, piuttosto che la lotta per la libertà e la democrazia. "Mentre gli iraniani protestano per i trent'anni di oppressione a cui sono stati sottoposti, per le violazioni dei diritti umani e per la grave situazione economica del paese, dietro le quinte della rivolta sta avendo luogo un feroce scontro di potere tra due differenti fazioni, e in particolare tra due ayatollah: Ali Khamenei and Ali Akbar Hashemi Rafsanjani".
"È probabile che Rafsanjani stia cercando di coalizzare attorno a sé tutte le fazioni distanti da Khamenei, in modo da marginalizzare i conservatori ma salvare la repubblica islamica e avviare un percorso di riforme", conclude Shavar". "Dovremmo però avere chiaro che ciò che sta principalmente a cuore a Rafsanjani non è il futuro del regime, ma solo il suo tornaconto".

(Internazionale, 22 giugno 2009)

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Netanyahu: ''Un nuovo governo in Iran potrebbe portare la pace con Israele''

Ahmadinejad aveva definito l'Olocausto come un ''grande inganno''

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha affermato in una intervista che sarebbe possibile stabilire un rapporto pacifico tra Iran e Israele se un nuovo leader prendesse il potere nel Paese.
In un'intervista al giornale tedesco Bild, Netanyahu assicura che "non vi è alcun conflitto tra il popolo israeliano e quello iraniano e sotto un regime diverso, le relazioni pacifiche potrebbero essere ristabilite". Secondo quanto ha detto il premier israeliano "credo che la maschera è stata strappata dal volto del regime iraniano" e "quello che stiamo vedendo in Iran è una potente sete di libertà da parte della popolazione".
Il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, ha definito l'Olocausto come un "grande inganno" e ha detto che Israele deve essere cancellato dalla mappa. Ahmadinejad è stato ufficialmente rieletto in una votazione lo scorso 12 giugno che l'opposizione ha denunciato come una frode. Netanyahu ha detto di non aver "alcun dubbio" che i cittadini iraniani avrebbero scelto un governo diverso se le elezioni fossero state libere.

(PeaceReporter, 22 giugno 2009)

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Iran-nucleare: Netanyahu chiederà a Berlusconi un inasprimento delle sanzioni

GERUSALEMME, 22 giu - Il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che inizia domani la prima visita in Europa del suo mandato, fara' pressioni su Italia e Francia affinche' vengano inasprite le sanzioni contro l'Iran per il suo programma nucleare.
Il premier dello Stato ebraico partira' domani per il nostro Paese, dove incontrera' il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, per poi fare tappa mercoledi' e giovedi' in Francia, dove avra' un incontro con il presidente Nicolas Sarkozy, ma anche con l'inviato speciale americano per il Medio Oriente George Mitchell.
''Il Primo ministro conta innanzitutto di discutere del dossier iraniano. Le scene di violenze e di repressione di questi ultimi giorni hanno permesso di strappare la maschera di questo regime sanguinario che non esita a far sparare sui manifestanti disarmati'', ha spiegato all'Afp un alto responsabile della presidenza del Consiglio israeliana, chiedendo di restare anonimo.
A suo parere, ''con quanto succede attualmente in Iran, le parole e le condanne verbali non sono piu' sufficienti. Il mondo si deve decidere a prendere delle misure molto piu' dure per impedire al regime iraniano di dotarsi della bomba atomica''.
Il quotidiano indipendente Yediot Aharonot scrive che Netanyahu ha intenzione in particolare di chiedere all'Italia di ridurre le sue relazioni commerciali con l'Iran, che hanno visto una crescita molto forte in questi ultimi anni.
Il premier israeliano non ha mai smesso dalla sua entrata in carica a inizio aprile di cercare di convincere la comunita' internazionale a dare priorita' alla questione iraniana, mettendo in secondo piano il processo di pace con i palestinesi.
Il presidente americano Barack Obama, cosi' come i leader europei, hanno insistito al contrario sulla necessita' di un rilancio delle discussioni e l'accettazione da parte di Netanyahu della creazione di uno Stato palestinese.
Di fronte a queste pressioni, Netanyahu ha accettato, per la prima volta, nel corso di un discorso il 14 giugno, l'idea di uno Stato palestinese ''smilitarizzato''.
''Il Primo ministro spieghera' ai suoi interlocutori che le sue affermazioni potranno tradursi in fatti solo se i palestinesi riconosceranno l'esistenza d'Israele come Stato ebraico, cosa che rifiutano al momento'', ha aggiunto il responsabile.
A suo parere, ''il fatto di chiedere che uno Stato palestinese sia smilitarizzato non dovrebbe mettere a disagio i leader europei, che in privato ammettono da anni quest'idea''.
Gli europei hanno sottolineato che si tratta solamente di un primo passo per rilanciare i negoziati israelo-palestinesi, ma ancora insufficiente, anche perche' Netanyahu ha rifiutato un congelamento completo della colonizzazione israeliana in Cisgiordania.
''Il Primo ministro assicurera' nuovamente che Israele non creera' nuove colonie, non sequestrera' nuove terre, insistendo allo stesso tempo sul fatto che bisogna consentire agli abitanti delle colonie di condurre una vita normale'', ha detto il responsabile, alludendo cosi' al proseguimento della costruzione di abitazioni.
Netanyahu ha anche intenzione di perorare la causa di un rafforzamento delle relazioni tra Israele e l'Unione europea, il suo principale partner commerciale. Le discussioni su questo ravvicinamento sono state congelate de facto in segno di disapprovazione dopo l'operazione condotta da Israele nella Striscia di Gaza all'inizio dell'anno.

(ASCA-AFP, 22 giugno 2009)

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Israele: le implicazioni politiche, economiche e sociali del flusso migratorio dall'ex URSS

L'Aliyah, il ritorno degli ebrei della diaspora verso la patria originaria, ha caratterizzato e caratterizza ancora oggi la società israeliana. Grazie alla Legge del Ritorno i figli dei figli di ebrei di tutto il mondo che decidono di trasferirsi in Israele acquistano automaticamente la cittadinanza israeliana. Secondo il Central Bureau of Statistics il 48% degli ebrei che tornano ogni anno in Israele provengono dall'ex Unione Sovietica. Dal crollo del muro di Berlino ad oggi circa un milione di olim russi sono arrivati in Israele, andando ad incidere sulla società sull'economia e sulla politica del paese.
[...]
L'inefficacia delle politiche di integrazione e gli effetti perversi della legge del ritorno sono fattori che hanno contribuito a creare una comunità di immigrati dell'ex Unione Sovietica non integrati, guardata con diffidenza e apprensione dalla società ospite. Se da un lato l'alta qualificazione degli olim è stato un vantaggio per l'economia israeliana dall'altro molti di essi non sono riusciti a trovare una posizione lavorativa idonea ai propri titoli accademici. La crisi economica mondiale e l'aumento della disoccupazione ha dato origine alla tendenza inversa del contro esodo verso il paese d'origine o verso paesi con una più alta possibilità di assorbimento, portando ad una perdita di capitale umano per l'economia di Israele.
Alle ultime elezioni il partito Yisrale Beitenu, che ha accolto il pieno sostegno degli olim russi, si trova a governare assieme ai partiti religiosi. Il ministro degli esteri Lieberman ha rassicurato i partiti religiosi affermando di non avere altre priorità prima di quella del matrimonio civile, resta comunque il fatto che la tensione tra partiti secolarizzati e partiti religiosi rende ancora più precario il difficile equilibrio del nuovo governo. La crisi economica e la nuova strategia politica degli Stati Uniti hanno spinto Israele a rilanciare la cooperazione economica strategica con la Russia. La linea di politica estera israeliana mira ad isolare Hamas e l'Iran. la Russia, unico paese del quartetto a riconoscere Hamas come interlocutore, continua comunque a non essere un partner affidabile per Israele, che pertanto mantiene una linea cauta e prudente.

(Equilibri.net, 22 giugno 2009)

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Israele, la rivolta dei drusi

La minoranza si sente discriminata: pochi fondi per lo sviluppo dal governo

Centinaia di esponenti della minoranza drusa in Israele hanno partecipato oggi a una manifestazione di protesta davanti all' ufficio del premier Benyamin Netanyahu a Gerusalemme per denunciare quella che definiscono una politica di discriminazione dello stato nei confronti della loro comunità. Nel corso della manifestazione sono scoppiati disordini tra manifestanti che gettavano uova, bottiglie e altri oggetti e le forze di polizia. Due agenti e alcuni dimostranti sono rimati feriti. Netanyahu ha ricevuto rappresentanti dei manifestanti ai quali, secondo un comunicato governativo, ha promesso il suo «massimo impegno» per aiutare le municipalità druse che si trovano in gravi difficoltà finanziarie. La comunità drusa israeliana, composta da circa 100 mila persone, sostiene che i fondi stanziati dallo stato per lo sviluppo dei villaggi drusi sono inferiori a quelli assegnati ai centri ebraici.

(La Stampa, 21 giugno 2009)

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Lieberman : «Nessun paese al mondo ha mai fatto concessioni come Israele»

Dice Lieberman: "Chi vuole la pace deve prepararsi alla guerra, deve essere forte. Non c'è un solo paese al mondo che abbia fatto concessioni come Israele. Dopo il 1967 abbiamo restituito territori grandi tre volte tutto Israele. Abbiamo dimostrato la nostra buona volontà. "Oslo" è iniziato nel 1993 e non mi sembra che siamo arrivati alla pace. In quale momento Israele è stata più popolare nel mondo? Dopo la guerra dei Sei giorni, e non dopo il 1o e 2o e 3o e 4o accordo di Oslo. A Roma dobbiamo comportarci come dei romani!"...

(ilblogdibarbara, 21 giugno 2009)

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Il grande Lothar Matthaus lascia Netanya per l'Ungheria

di Adam Smulevich

Lothar Matthaus è dal 10 giugno il nuovo allenatore del Fehervar, squadra del campionato ungherese. E cosa me ne importa, potrebbe pensare qualcuno. In realtà Lothar Matthaus, grandissimo calciatore degli anni novanta e "Pallone d'oro" nel 1990, è stato, fino a pochi giorni fa, uno dei maggiori promotori dell'immagine d'Israele in Europa.
Ingaggiato dal Ministero del Turismo israeliano per promuovere l'immagine del paese ebraico in Germania, è stato testimonial d'Israele alla Fiera internazionale del turismo di Berlino del marzo scorso. "Lothar ha firmato autografi, ha palleggiato con i visitatori dello stand israeliano e ha spiegato agli ospiti che Israele è un paese sicuro" commenta il Ministro israeliano del Turismo, convinto che quest'operazione di marketing sia servita a migliorare l'immagine del paese agli occhi dell'opinione pubblica tedesca.
Come mai è stato scelto proprio Lothar Matthaus? Perché Matthaus è stato il primo tedesco ad allenare una squadra di calcio israeliana, il Maccabi Netanya. Inizialmente il contratto stipulato prevedeva che Matthaus allenasse il Maccabi fino al maggio del 2010, ma il tecnico ha dato le dimissioni, di comune accordo con la dirigenza, all'inizio del mese scorso.
Sicuramente ha pesato il fatto che il Maccabi non avesse vinto il campionato, avendo ottenuto un mediocre quarto posto. Matthaus dice di essere stato spinto ad andarsene dalla società, in forti difficoltà economiche e quindi non più in grado di pagare il suo lauto stipendio. Fosse stato per lui sarebbe rimasto in Israele fino al 2010. "Ho avuto dei momenti bellissimi a Netanya. Non ho ottenuto dei grandi risultati calcistici, ma qualche volta ho fatto divertire i nostri tifosi. Consiglio alla dirigenza di reinvestire i soldi risparmiati nell'ammodernamento dello stadio", le sue parole di commiato.
I tifosi non lo dimenticheranno certamente, visto l'incredibile affetto dimostratogli, che trascende la normale stima che un tifoso possa provare verso l'allenatore della propria squadra. Basta curiosare su Youtube per vedere la calorosa accoglienza che Matthaus ricevette nell'estate del 2008.

"I've never had this in my life" dice emozionato nel finale del video

A lui sarà grata anche la Federcalcio Israeliana, poiché il carisma e il curriculum del tedesco (Bayern Monaco e Inter le squadre più importanti nelle quali ha giocato) hanno contribuito ad aumentare l'interesse nei confronti del movimento calcistico israeliano, già da tempo alla ribalta grazie soprattutto a Yosi Benayoun, stella del Liverpool, e Avraham Grant, ex allenatore del Chelsea.
Matthaus è stato comunque protagonista anche di uno spiacevole episodio, che ha rischiato di innescare una crisi diplomatica tra Germania e Israele. Nell'ottobre del 2008 fu arrestato perché sprovvisto del regolare permesso di lavoro obbligatorio e con il visto da turista scaduto. Fortunatamente intervennero immediatamente alcuni influenti uomini politici che riuscirono a snellire le procedure burocratiche per la sua liberazione. Lehitrahot Lothar!

(Notiziario Ucei, 21 giugno 2009)

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Barak: tra Usa e Israele sul processo di pace solo divergenze pratiche

Non ci sono contraddizioni tra i punti di vista di Israele e Stati Uniti sul processo di pace in Medio Oriente, ma vi sono divergenze per alcuni aspetti pratici sul come andare avanti. «Le prossime settimane metteranno in luce gli sforzi in corso per preparare questo cammino e la sua ripresa in avanti». Lo ha dichiarato il ministro della Difesa isareliano, Ehud Barak, dopo un colloquio di oltre un'ora con il presidente egiziano, Hosni Mubarak, al quale hanno assistito anche i ministri egiziani della difesa, Hussein Tantawi, e degli esteri, Ahmed Abul Gheit ed il capo dei servizi segreti, Omar Suleiman.
«Il Medio Oriente attraversa un momento estremamente importante, nel quale si confronta con numerose sfide - ha proseguito Barak - rappresentate da Hezbollah, Hamas, dal terrorismo integralista e dall'Iran». «Esiste una possibilità eccezionalmente concreta per il processo di pace - ha osservato - in ragione degli interessi congiunti dei paesi della regione», come la lotta al terrorismo, le necessità di impedire la proliferazione delle armi nucleari e di contrastare le ambizioni nucleari dell'Iran, «interessi che radunano i paesi moderati e i dirigenti del mondo».
«Tel Aviv e Washington cercano di garantire la sicurezza di Israele», è l'opinione di Barak, che ha annunciato da parte di Israele «l'adozione di misure addizionali per permettere ai due popoli, israeliano e palestinese, di vivere l'uno accanto all'altro, in due stati in pace e rispetto reciproco. Esse costituiranno un passo in avanti importante da parte del governo israeliano ed in particolare di quello di Netanyahu».

(ilsussidiario.net, 21 giugno 2009)

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Il vero successo di Netanyahu: guadagnare tempo

Quanto durerà il successo riportato da Benyamin Netanyahu col suo discorso all'università di Bar Ilan, domenica scorsa, in risposta a quello programmatico di Obama sul Medio Oriente? Probabilmente poco se si deve giudicare dallo scontro fra il segretario di Stato americano Clinton e il ministro degli Esteri israeliano Lieberman, sulla questione degli insediamenti. Lieberman ha respinto la richiesta americana di totale blocco delle colonie, inclusa la costruzione di alloggi per soddisfare l'aumento demografico all'interno degli insediamenti stessi. La Clinton è rimasta invece irremovibile sul congelamento totale delle costruzioni. Ma la partita è lungi dall'essere chiusa. Anzitutto perché Lieberman non poteva rimangiarsi la principale promessa elettorale senza perdere il sostegno dei coloni; non è però lui a decidere la politica estera, ma Netanyahu. Poi perché il discorso del premier israeliano ha tracciato abbastanza chiaramente le linee di condotta che vuole seguire e che gli hanno portato il consenso di Obama e del leader dell'opposizione, Livni.
Netanyahu si è detto disposto ad accettare la creazione di uno Stato palestinese se demilitarizzato. Con questo ha rimosso il principale terreno di scontro con Washington. Allo stesso tempo ha incassato l'approvazione della Livni. Così facendo ha segnalato ai partner religiosi e antipalestinesi nella coalizione governativa di aver pronto un partito di ricambio - Kadima - in caso di crisi. Quanto alla demilitarizzazione dello Stato palestinese è difficile che americani e arabi possano opporsi, dopo l'uso che Hamas ha fatto di Gaza evacuata dai coloni.
Ci sono due altri punti interessanti nel discorso di Netanyahu. Accettando l'idea dello Stato palestinese non ha parlato di frontiere, come hanno fatto tutti i suoi predecessori di centrodestra e centrosinistra. Implicitamente non ha escluso che queste frontiere possano essere quelle del 1967, con qualche eventuale modificazione negoziata coi palestinesi. Evitare di parlare di frontiere era una trappola tesa ai palestinesi, nella quale questi sono caduti respingendo in toto il discorso del premier israeliano. La loro precipitosa e drastica reazione ha dimostrato - quello che si era sempre saputo ma mai detto - che lo scopo dello Stato palestinese non è la restituzione del territorio occupato da Israele nel 1967 (cioè 2.500 kmq circa) ma la scomparsa dello Stato israeliano. I confini sono uno dei tre problemi di fondo del conflitto di Israele coi palestinesi. Gli altri due (riconoscimento di Israele in quanto Stato ebraico e ritorno dei rifugiati palestinesi in Israele) sono problemi su cui l'amministrazione americana non può fare pressioni, dal momento che significherebbero la fine dello Stato d'Israele a cui Obama ha detto al Cairo, essere l'America «legata in maniera indissolubile». Tenuto anche conto della situazione post elettorale in Iran, il vero successo di Netanyahu è aver guadagnato tempo. Nel Medio Oriente è il fattore necessario per non fare nulla.

(il Giornale, 21 giugno 2009)

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Iran - Peres: più importante lotta contro regime che al nucleare

Il presidente israeliano si schiera con i giovani manifestanti

ROMA, 21 giu. - "La lotta contro i leader del regime iraniano è più importante di quella contro la bomba (atomica": lo ha detto oggi il presidente israeliano Shimon Peres, secondo quanto riporta il Jerusalem Post. Peres ha anche espresso l'auspicio che la leadership iraniana "scompaia" prima che la Repubblica islamica riesca a utilizzare l'uranio arricchito per fare la bomba. Il presidente israeliano ha anche attaccato la guida suprema iraniana, l'ayatollah Ali Khamenei, per aver accusato Israele e Stati Uniti di aver organizzato le proteste dell'opposizione, e ha quindi esortato i giovani iraniani a "far sentire la loro voce per la libertà".

(Apcom, 21 giugno 2009)

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Iran - Ministro Israele: le proteste porteranno a una rivoluzione

Yaalon: "Ma il programma nucleare non si fermerà"

Moshe Yaalon
Secondo Moshe Yaalon, ministro israeliano per gli Affari Srategici, le manifestazioni di protesta anti-Ahmadinejad in Iran da parte dei sostenitori del candidato moderato Mir Hossein Mousavi porteranno a una rivoluzione. Lo riporta il sito web del quotidiano israeliano Haaretz. "(Il leader dell'opposizione) Mousavi e sua moglie hanno portato un nuovo spirito di apertura e libertà", ha detto Yaalon durante un discorso a Modiin. "E' impossibile nascondere questa energia, e quindi ci sarà una rivoluzione in Iran. Il 70 per cento degli iraniani si oppone al regime degli ayatollah. Lo sostenevo quando ero a capo dell'intelligence militare, e lo sostengo nuovamente ora". Tuttavia, ha aggiunto il ministro, nonostante questa crisi interna, difficilmente il programma nucleare di Teheran verrà rallentato o fermato. "Ciò che sta avvenendo ora non cambierà la questione nucleare, ma è uno sviluppo incoraggiante per l'Occidente".

(Apcom, 20 giugno 2009)

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A Roma il gruppo israeliano 'The Idan Raichel Project'

ROMA, 20 giu. - (Adnkronos) - Sulla scia di una esplosiva ascesa di popolarita', il gruppo israeliano The Idan Raichel Project approda, domenica 28 giugno, all'Auditorium Parco della Musica per presentare il nuovo progetto, Within My Walls. The Idan Raichel Project e' emerso sulla scena musicale nel 2002, rivoluzionando, fin dal suo esordio, il volto della musica popolare israeliana grazie alla contaminazione tra la pop music e una miscela di musica etiope tradizionale, poesia araba, canti yemeniti, cantillazione ebraica e ritmi caraibici. Il primo album pubblicato in Israele ha venduto oltre 150.000 copie diventando velocemente uno dei piu' grandi successi nella storia della musica israeliana popolare conseguendo numerosi dischi di platino.
Alla base del nuovo progetto di Idan Raichel Within My Walls ci sono il tema del conflitto tra sogno e realta', tra il desiderio di esplorare il mondo e quello di restare al sicuro nella propria casa e questioni universali come la ricerca della soddisfazione personale e il profondo significato dell'amore in un mondo sempre difficile e in conflitto. Idan Raichel ha immaginato un individuo che si sveglia al mattino senza sogni da realizzare. Cosa succederebbe a questa persona? Rimarrebbe confinato tra i muri della sua stanza, sdraiato nel suo letto, sognando il mondo fuori? O cercherebbe una ragione per lasciare la sua stanza e scoprire cosa abbia da offrire la vita?
Idan Raichel sembra esplorare, ancora meglio, il sogno - o la realta'. Le canzoni, in israeliano, spagnolo, arabo e swahili, non offrono risposte ma lasciano a chi ascolta il compito di giungere alla propria conclusione.

(Libero-news.it, 20 giugno 2009)

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Crisi in Iran

Ayatollah Ali Khamenei
Da vent'anni è la suprema autorità religiosa iraniana: l' Ayatollah Ali Khamenei ha l'ultima parola sui destini del paese.
Leader spirituale, con un potere tale da definire l'architettura dello Stato: sceglie il capo della magistratura, su cui mantiene una forte influenza, nomina i sei membri del Consiglio dei Guardiani, organo che approva le leggi del Parlamento. Leggi su cui Khamenei puo' porre il veto, se considerate in contraddizione con la Sharia, la legge islamica reintrodotta con il rovesciamento dello Shah nel 79.
L' Ayatollah controlla direttamente radio e tv, celebra la preghiera del venerdi' e conferma l'elezione del presidente, oltre a limitarne l'autorità nel corso del mandato. Visto che resta Khamenei l'arbitro delle decisoni da prendere anche in politica estera.
Ha raccolto l'eredità politica della Rivoluzione islamica introdotta dall' Ayatollah Ruhollah Khomeini tornato nel 79 in Iran dopo quattordici anni di esilio e divenuto il leader del movimento di opposizione al regime dello Shah, Mohamad Reza Pahlavi.
Con la sua Rivoluzione Bianca, Pahlavi aveva avviato una serie di riforme per la modernizzazione del paese, ridimensionando sensibilmente il potere dell'élite religiosa. Rovesciato lo Shah, Khomeini inverte la tendenza, instaura un regime teocratico, proclamando la nascita della Repubblica islamica.
Tra l' 81 e l'89 è Ali Khameni il presidente dell'Iran. Anni che si ricordano per la difficile coabitazione con Mir Hossein Mussavi, attuale candidato riformista, allora premier
Nel 1989 Khamenei diventa Ayatollah e succede a Khomeini, primo atto del suo mandato la soppressione della figura del primo ministro, attribuendosene buona parte dei poteri.
Le frizioni tra conservatori e riformatori si fanno piu' dure, e Khamenei si schiera apertamentamente a favore dei primi. Tranne nel 2002 quando durante la mobilitazione degli studenti è la guida suprema a trasformare in pena detentiva l'ergastolo inflitto all'intellettuale riformista Hachem Aghajari, colpevole di avere in un discorso pubblico invitato gli iraniani a non obbedire ciecamente alle parole del loro leader religioso.

(euronews, 19 giugno 2009)

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Kerself: joint-venture in Israele con importanti imprenditori locali

Kerself ha sottoscritto tramite la controllata Ecoware S.p.A. un accordo per la costituzione di una joint-venture societaria in Israele, Ecoware Israel Ltd., con importanti imprenditori locali attivi nel settore delle energie rinnovabili. Ecoware deterrà una partecipazione pari al 35% del capitale sociale a fronte del restante 65% di proprietà dei soci israeliani. Il consiglio di amministrazione sarà composto da 5 membri, di cui 2 di nomina del Gruppo Kerself.
L’accordo, che si inserisce nell’ambito di una strategia di internazionalizzazione sui mercati con i più importanti tassi di crescita attesi nel settore fotovoltaico, è finalizzato a cogliere le opportunità offerte dal mercato israeliano, grazie sia alla tariffa incentivante per gli impianti fotovoltaici (in particolare per quelli di dimensioni inferiori ai 50 kw), sia alle possibilità derivanti dall’ottimo livello di irraggiamento presente sul territorio israeliano. Tale accordo si inserisce in una strategia di ampio respiro di espansione all’estero del Gruppo, finalizzata a valutare l’evoluzione e le migliori opportunità in altri paesi nel bacino mediterraneo e nel mercato americano.
Ecoware apporterà alla joint-venture il proprio know-how, basato sulla realizzazione con tecnologia SPV degli inseguitori digitali biassali (trackers) ed impianti a struttura fissa, mentre i soci israeliani apporteranno contratti tramite la propria rete di relazioni commerciali oltre all’attività di installazione direttamente sul territorio. Ecoware, inoltre, sarà l’unico fornitore in esclusiva per almeno 2 anni. La nuova società disporrà già subito di un primo contratto per un ammontare pari a 5 MW basato sulla realizzazione di 100 impianti su tetto da 50 Kw ciascuno. Inoltre, la joint-venture beneficierà di importanti prospettive relative alla costruzione di campi solari a terra da almeno 1 MW con tecnologia Ecoware ad inseguimento, ad esempio nel deserto del Negev.

(Trend-online, 19 giugno 2009)

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L’inizio della Shoah

L’inizio della Shoah ha una data: il 15 settembre 1941 la Wehrmacht e le SS, che occupavano Berdicev in Ucraina, eseguirono l’ordine di eliminare i circa ventimila ebrei lì residenti. Fra loro c’era la madre di Vasilij Grossman, nel cui romanzo “Vita e destino” tutto il ‘900 tragico doveva confluire, e di lei da quel giorno egli perse ogni traccia. Pubblicava allora reportage di guerra che gli avevano ampliato i consensi ottenuti dai racconti d’esordio. Volle arruolarsi a 37 anni come soldato nell’Armata Rossa e andare al fronte: fu a Stalingrado quando in massa si combatteva alla morte, per strade e cunicoli; salvo per caso, si trovò dopo ulteriori fatalità fra i liberatori del lager di Treblinka. Il suo articolo del novembre ’44 diffuse per la prima volta al mondo la cognizione di un campo di sterminio. Alla fine di aprile del ’45 era a Berlino e poté visitare, anche in qualità di reporter, lo studio di Hitler nel bunker poco dopo il suicidio. Da testimone d’eccezione Grossman si tramutò in scrittore d’eccezione quando nel dopoguerra decise di narrare l’epopea di Stalingrado alla luce di quanto sapeva del nazismo, del comunismo sovietico e anche dell’antisemitismo (argomento tabù del regime stalinista, intenzionato a coprire le complicità delle proprie popolazioni, di cui l’Ucraina era stata una tremenda prova). “Vita e destino”, stampato per imprudenti estratti, si rivelò subito intollerabile alle autorità, e non lo salvò dalla requisizione neppure il nuovo corso di Chruscev. Mancava in Italia una biografia all’altezza della straordinaria vicenda di Grossman, conclusa nel 1964: giunge dunque desiderata quella di John e Carol Garrard (“Le ossa di Berdicev”, Marietti, € 25).

(Il Gazzettino.it, 19 giugno 2009)

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Germania: ergastolo per il "boia di Falzano", ex tenente della Wermacht

Josef Eduard Scheungraber
BERLINO, 18 giu - La Procura di Monaco di Baviera ha chiesto oggi l'ergastolo per il "boia di Falzano" Josef Eduard Scheungraber, l'ex tenente della Wehrmacht, oggi novantenne, sospettato di avere ordinato la strage di Falzano di Cortona (Arezzo) il 27 giugno del 1944, potrebbe trascorrere il resto dei suoi giorni in un carcere tedesco. Il caso di Scheungraber si affianca a quello di un altro anziano presunto ex nazista, John Demjanjuk, 89 anni, ribattezzato il 'Boia di Sobibor' e sospettato di avere contribuito allo sterminio di 29 mila ebrei nel campo di concentramento dell'allora Polonia occupata. Anche Demjanjuk, estradato in Germania dagli Usa lo scorso 12 maggio, verrà giudicato dal tribunale di Monaco di Baviera. Oggi Scheungraber era in aula, ma non ha parlato. Per lui, lo farà il suo avvocato mercoledì prossimo, giorno in cui il processo - cominciato lo scorso settembre - riprenderà con gli interventi della difesa. Il verdetto è atteso per il tre luglio. L'ottantenne Silvano R., una delle poche persone ancora vive che potrebbero aiutare la giuria a formulare un verdetto, era stata sentita in collegamento video da Falzano di Cortona. Secondo l'accusa, Scheungraber avrebbe ordinato la strage per rappresaglia contro un agguato teso dai partigiani alle truppe del Terzo Reich, che era costato la vita a due soldati. "E' stata una grande disgrazia", aveva detto il testimone, spiegando di avere visto come "una intera truppa di soldati tedeschi" avrebbe raggruppato alcuni abitanti del villaggio con ordini come "tu qui e tu qui, voi venite". Undici persone, aveva poi ricordato Silvano R. - che all'epoca aveva 16 anni - sarebbero state uccise in una casa di campagna, che poi sarebbe stata fatta saltare in aria con la dinamite. "Io ero molto vicino, ho sentito un grande botto", aveva detto, aggiungendo che i soldati avrebbero ucciso altre tre persone e avrebbero dato alle fiamme numerose case, inclusa quella di suo padre. Scheungraber, che vive a Ottebrunn, in Baviera, è stato condannato all'ergastolo nel 2006 da un tribunale militare a La Spezia per la strage costata la vita a 14 civili italiani. Il tribunale tedesco ha avviato il processo contro l'ex ufficiale nazista il 15 settembre del 2008, proprio sulla base dei documenti del processo italiano.

(Notiziario Ucei, 19 giugno 2009)

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Incoming in Israele, ad aprile 250mila arrivi dall'estero

"Nonostante la crisi economica internazionale e gli effetti negativi della crisi di Gaza, il Ministero del Turismo è riuscito a tenere sotto controllo l'andamento dell'incoming grazie ad una intensa attività di promozione". Così Stas Misezhnikov, neoministro del Turismo di Israele, ha commentato i dati relativi all'incoming nel Paese, che ha visto 250mila turisti durante lo scorso mese di aprile, facendo registrare una flessione complessiva del 13% rispetto ad aprile 2008 ? anno assolutamente record ? ed una crescita del 23% rispetto allo stesso periodo del 2007. Secondo quanto dichiarato dall'Istituto Centrale di Statistica Israeliano, nello scorso mese di aprile 220mila turisti hanno soggiornato in Israele almeno una notte, mentre 29mila sono stati i visitatori giornalieri. Una crescita significativa ha registrato il numero dei turisti giunti in Israele con una crociera per un totale di 5.200 unità, facendo registrare, quindi, una progressione del 53% rispetto al 2008. "Oltre 15 milioni di euro verranno investiti in tutto il mondo per la promozione dei differenti brand del turismo verso Israele - aggiunge il ministro - ed al turismo religioso ed al pellegrinaggio cattolico, soprattutto a seguito della visita in Israele di Papa Benedetto XVI, saranno riservati oltre 5 milioni di euro". Oltre 735mila turisti hanno visitato Israele dal gennaio ad aprile 2009 contro i 938.500 dello stesso periodo del 2008, ed i 653.200 del 2007.

(TTG, 19 giugno 2009)

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Davydenko non sfida Israele

Davydenko
Nikolay Davydenko non farà parte della spedizione russa in Israele per i quarti di finale di Coppa Davis. Lasfida èin programma tra il 10 e il 12 luglio prossimi. E' stato il capitano della squadra ex sovietica, Shamil Tarpishchev, ad annunciare di avere permesso al numero 11 del mondo di non prendere parte al match con gli asiatici.
A difendere i colori della Russia saranno con ogni probabilità Marat Safin(23), Igor Andreev (25), Dmitry Tursunov (27)e Mikhail Youzhny (44). "Prenderò una decisione definitiva solamente dopo Wimbledon", ha però avvertito Tarpishchev, che evidentemente vuole tenere tutti sulla corda.


(Sportal, 18 giugno 2009)

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Impianto solare ibrido in Israele

Si legge su www.engadget.com che un'azienda dal nome AORA ha sviluppato un impianto ibrido solare nel deserto israeliano.
Composto da alcune unità base da 100kWe, la costruzione è modulare (unità aggiuntive possono essere sviluppate in seguito) e sarà completo nei prossimi giorni.
Quando sarà operativo, trenta specchi "cattureranno" la luce solare e la dirigeranno ad un "fiore" alto circa 30 metri, dove la luce scalderà aria compressa, che a sua volta dà energia ad una turbina elettrica.
Quando il sole tramonta oppure quando il tempo è nuvoloso la turbina può funzionare con biodiesel, gas naturale o carburanti fossili, permettendo all'impianto di essere operativo per 24 ore.

(Portalino, 18 giugno 2009)

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La Croce Rossa chiede di poter vedere Shalit

GINEVRA, 18 giu. (Adnkronos/Dpa) - La Croce Rossa chiede di poter visitare Gilad Shalit, il militare israeliano catturato dai militanti palestinesi nel giugno 2006 e da allora tenuto prigioniero. Shalit non ha mai potuto ricevere la visita di un rappresentante del Comitato Internazionale della Croce Rossa, visita cui avrebbe diritto in base al diritto internazionale, ha sottolineato la stessa Cicr. Pochi giorni fa, l'ex presidente americano Jimmy Carter, in visita nella Striscia di Gaza, aveva consegnato ai rappresentanti di Hamas una lettera indirizzata a Shalit dai suoi famigliari. Ma Hamas ha messo in chiaro che consegnera' la lettera solo se questo dovesse contribuire a favorire un accordo per uno scambio di prigionieri con Israele.

(IGN, 18 giugno 2009)

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Quarantenne israeliana dà alla luce il 18esimo figlio

Il primo figlio ha ventun anni. Sia lei che il marito sono ebrei ultra ortodossi e considerano un peccato l'uso di sistemi contraccettivi.

TEL AVIV - Una donna israeliana ha dato alla luce il suo diciottesimo figlio in 21 anni. Lo riportano i media israeliani, secondo cui la madre, ultraquarantenne, starebbe gia' programmando insieme al marito una nuova gravidanza. La coppia, entrambi ebrei ultra-ortodossi, ha 12 maschi e 6 femmine ma, ammette la donna, ogni parto continua a darle emozioni.
"Non posso dire di essermi commossa come alla nascita del mio primo figlio, ma ogni nascita e' insieme un'emozione e una benedizione", ha dichiarato. "Dopo essere stata in sala parto 21 volte mi sento ormai parte dello staff", ha continuato scherzosamente la donna, che ha trascorso in tutto 14 anni della sua vita col pancione. Gli ebrei ultraortodossi considerano un peccato l'uso di sistemi contraccettivi.

(RaiNews24, 18 giugno 2009)

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Israele come tutte le nazioni

di Sergio Della Pergola, demografo Università Ebraica di Gerusalemme

Quando parliamo di Israele su questa pagina spesso cerchiamo di correggere l'erronea immagine negativa del paese che è diffusa nell'opinione pubblica europea. Ma questo non può andare a scapito della libertà di critica quando l'esecutivo israeliano commette gravi errori. Il 7 maggio scorso avevamo riportato la sentenza della Corte Suprema israeliana che stabiliva che, dall'anno prossimo, le madri che lavorano avrebbero potuto dedurre nella dichiarazione dei redditi le spese sostenute per la governante dei bambini o per l'asilo nido. Ebbene, questa settimana il governo di Israele nella nuova legge di bilancio ha soppresso la decisione del tribunale e l'ha sostituita con un modestissimo bonifico peraltro compensato dalla soppressione di un altro bonifico in altra parte del bilancio. A parte il problema non semplice dell'imposizione dell'opinione del potere esecutivo su quella del giudiziario, proprio il Tribunale aveva saputo interpretare una necessità primaria nella società israeliana ampiamente dimostrata dalle indagini sociali. Perché questa scelta? Da un lato, per l'arida applicazione di astratti modelli economici da parte di funzionari del Tesoro totalmente isolati dalle necessità del paese reale. Dall'altro, per piccoli interessi di coalizione che inducono il governo a preferire le necessità di gruppi specifici di popolazione rispetto a quelle della società nel suo complesso. Tre le conclusioni possibili. La prima è che Israele perde un'ottima occasione per promuovere la condizione della donna e della famiglia giovane e produttiva. La seconda è che il governo di Gerusalemme perde credibilità nel dibattito sulla cosiddetta questione demografica. La terza è che quanto abbiamo descritto ricorda molto da vicino ciò che avviene quotidianamente sotto altri cieli. Israele come tutte le Nazioni.

(Notiziario Ucei, 18 giugno 2009)

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Ricordati anche in Italia i profughi ebrei perseguitati e violentemente espulsi dai Paesi arabi

"Abbiamo appena concluso un'audizione alla Commissione Esteri della Camera dove per la prima volta è stata affrontata la questione dei profughi ebrei dai paesi arabi. La Commissione ha ascoltato il Prof. Irwin Cotler, già Ministro della Giustizia Canadese e presidente onorario dell'organizzazione "Justice for Jews form Arab Countries" e il Prof. David Meghnagi dell'Università Roma Tre, lui stesso scappato dalla Libia nel 1967". Lo dichiara in una nota Fiamma Nirenstein (Pdl), Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera. "E'importante portare alla conoscenza degli italiani quello che nessuno sa: ovvero che oltre alla ben nota nakba palestinese, esiste una ben più voluminosa, e prolungata nei tempi, nakba ebraica, che è nata dal cuore dell'antisemitismo arabo nei confronti degli ebrei, una realtà che si contrappone al mito della tolleranza islamica nei confronti delle minoranze religiose. Il numero di profughi ebrei cacciati dai paesi arabi si aggira intorno al milione, superando quindi quello dei palestinesi. La portata delle persecuzioni e dei sequestri di beni fu ben più duratura: ebbe il suo apice nel periodo 1945-48 e poi di nuovo nel 1967.

(fuori dal ghetto, 18 giugno 2009)

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I due rivali chiusi insieme nella gabbia del Corano

di Mimmo Càndito

 
Quando Obama dice che non v'è poi molta diversità tra Ahmadinejad e Mousavi, non si lascia tentare da alcuna eresia politica: i due leader iraniani si muovono, infatti, all'interno di una gabbia dorata che li accomuna, quali che siano i loro programmi politici. La gabbia si chiama «Velayat-e faqih», che in persiano significa «Tutela del giurista» ed è la dottrina che Khomeini s'inventò per rendere inattaccabile il potere del Potere. L'esperto della legge di Dio - l'ayatollah, nello specifico - è l'interprete unico della volontà divina, e ogni esercizio di autorità deve dunque piegarsi all'interpretazione che viene data alle parole della shari'a. Non v'è potere politico, non v'è forza di partito, o di movimento, o di opinione, che possa contrastare quanto il «velayat-e faqih» ha deciso.
Come il cattolicesimo ebbe la sua Riforma, allo stesso modo nell'islam il percorso della «riforma» che taluni tentano va ben al di là di quanto possano predicare i Mousavi,i Khatami, o i loro seguaci nelle piazze. E il Martin Lutero di questa riforma è un mite professore di filosofia, Abdel Karim Soroush, occhiali spessi, una piccola barba sul mento, che ora insegna a Harvard anche se è iraniano di antica discendenza.
A Harvard c'è dovuto andare per salvarsi la pelle, perchè i gruppi studenteschi di Ansar-e Hizbullah lo avevano preso di mira e lì insegnava che se la religione è la forma della rivelazione divina, eterna, immutabile, invece l'interpretazione della religione si basa su fattori sociali e storici. Ma introdurre il principio che l'interpretazione del Corano e della shari'a vada storicizzata, e che vi possa essere una lettura «non autoritaria» e non dogmaticamente definita della legge, significa minare alla base il concetto del «velayat-e faqih», sottrarre ciè il potere al Potere dell'ayatollah e del Consiglio dei guardiani. Dopo l'ultimo attacco dei bastonatori, Soroush scrisse una lettera al presidente Rafsanjani dove chiedeva: «Ma questo paese, ha proprio bisogno di un Galileo o di un Giordano Bruno?». Un antico proverbio iraniano dice. «Non far salire mai il mullah sul tuo asino. Non ne scenderà più». Soroush oggi vive in America.

(La Stampa, 18 giugno 2009)

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Sono italiani gli ebrei privati della cittadinanza a causa delle leggi razziali

Avevano perso la cittadinanza italiana durante le persecuzioni razziali faciste dovendo lasciare la loro casa in Italia e fuggire all'estero, questa la storia di tantissimi ebrei italiani degli anni '20.
Nonostante nel 1944 tali leggi furono abrogate, costoro nel frattempo, per evitare condizioni di apolidia, avevano acquistato la cittadinanza del Paese di emigrazione.
È stato di recente sollevato il problema del riconoscimento della cittadinanza a questi ex connazionali e una circolare del ministero dell'Interno del 15 giugno scorso ha chiarito che, poiché non si trattò di una scelta volontaria in quanto determinata dalle tragiche vicende storiche, i nostri ex connazionali, salvo espressa rinuncia, non hanno mai perso la cittadinanza italiana, trasmettendola dunque ai loro discendenti.

(Sabato Sera Online, 18 giugno 2009)

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"No allo stop totale degli insediamenti"

La risposta di Israele alla Clinton

Israele respinge la richiesta dell'amministrazione Obama di un congelamento "completo" dello sviluppo degli insediamenti nei territori palestinesi occupati. Lo ha ribadito a Washington il ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, al segretario di Stato, Hillary Clinton. Quest'ultima ha sottolineato che per gli Stati Uniti lo stop agli insediamenti è "importante ed essenziale" per il processo di pace.

(TGCOM.it, 17 giugno 2009)

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"È la reciprocità, stupido"

di Evelyn Gordon

Molti sono comprensibilmente perplessi di fronte al rifiuto di congelare le attività edilizie negli insediamenti già esistenti. A prima vista, sembra una posizione completamente illogica: perché mai Israele dovrebbe rischiare uno scontro diplomatico con il suo unico vero alleato soltanto per aumentare al massimo di qualche altro migliaio i quasi trecentomila coloni in Cisgiordania?
La risposta, naturalmente, è che il punto non sono quelle poche migliaia di persone. Ciò che è in gioco, qui, è un principio: la reciprocità. Vale a dire: che non si fanno concessioni senza ricevere qualcosa di concreto in cambio. E le amare esperienze del contrario fatte in passato sono esattamente il motivo per rifiutarsi di farlo ancora....

(israele.net, 17 giugno 2009)

COMMENTO - Si propone di rileggere Il "processo di pace".
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In Francia cresce l'antisemitismo e anche il numero di ebrei ammazzati

di Costantino Pistilli

Siamo in Francia, durante una delle udienze nel processo contro l'estremista islamico Youssouf Fofana, un 28enne di origine ivoriana a capo della cosiddetta "banda dei barbari" (la gang di ragazzi, fra esche, complici, carcerieri e postini) che nel 2006 hanno rapito, ferito, picchiato, torturato e ucciso il 23enne Ilan Halimi. Durante il processo, l'imputato si è alzato in piedi e ha lancia una scarpa (ormai è diventata una moda) contro gli avvocati della parte civile, gridando: "Tutti gli ebrei del mondo sono miei nemici!". Lo era anche la sua vittima, Ilan. Vittima dell'antisemitismo islamico e del pesante silenzio della Francia, dell'Europa, del mondo.
Le fotografie della prigionia di Ilan pubblicate dal magazine "Choc" sono state addirittura ritirate par l'Etat. Sei anni fa, sempre in Francia, gli islamisti fecero un'altra vittima, Sebastien Selam, un dj di Parigi, un altro ventenne che stava andando al lavoro. Il suo assassino, Adel, gli tagliò in due la gola, squarciandogli il volto e cavandogli gli occhi. Poi si mise a gridare: "Ho ucciso il mio ebreo. Andrò in paradiso". Nella stessa città, in quella stessa sera, un'altra donna ebrea veniva assassinata, in presenza della figlia, sempre da fanatici musulmani.
Come scriveva Begin all'inizio del Novecento, parlando dell'Olocausto, "l'angelo dell'Oblio è una benefica creatura. Il contatto delle sue ali guarisce terribili ferite. Molti tra noi hanno già cominciato a dimenticare. Ma noi non ci rassegniamo. Per la felicità del nostro avvenire e di quello dell'umanità, noi non dimenticheremo ciò che è accaduto proprio nel secolo della civiltà meccanica, nel cuore della civilissima Europa".
Dopo molti anni, fiumi di parole, manifestazioni, programmi tv, giornate della Memoria, "l'angelo dell'Oblio" continua a volare alto sul cielo dell'Europa. Ilan è stato rapito, picchiato, torturato, ucciso, nell'indifferenza generale. E' rimasto per 3 settimane nelle mani di una gang delle banlieue parigine. Il suo corpo è stato trovato nudo, straziato, bruciato all'ottanta per cento. Agonizzava nei pressi della stazione di Saint-Geneviève- des-Bois, con ferite e bruciature di sigarette ovunque sulla carne viva.
"I vicini sentirono le sue urla perché erano particolarmente atroci" testimonia Guy Millière "gli assassini sfregiarono la carne del giovane uomo, gli spezzarono le dita, lo bruciarono con l'acido e alla fine gli hanno dato fuoco con del liquido infiammabile". Alimentato con proteine liquide attraverso una cannuccia, Ilan ha resistito per qualche giorno. Poi è morto.

(l'Occidentale, 17 giugno 2009)

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In giro per Mosca una sinagoga mobile

Una "sinagoga mobile" gira per le strade di Mosca, al servizio di fedeli di religione ebraica desiderosi di pregare senza essere obbligati a coprire lunghe distanze per raggiungere i luoghi di culto ebraico presenti nella capitale russa. Come riferisce la stampa moscovita, si tratta di una sorta di camper dipinto con le sembianze del Muro del Pianto, che gira per la città, fermandosi in luoghi solitamente affollati o molto frequentati. Dal mezzo esce il rabbino che invita chi lo desidera a entrare per recitare le preghiere. A questo scopo la 'sinagoga mobile' e' attrezzata di tutto l'occorrente per celebrare il rito ebraico. Dopo la preghiera e' possibile ottenere inoltre informazioni utili, fra l'altro su come si puo' acquistare un posto al cimitero ebraico o sui luoghi dove a Mosca si puo' eseguire la circoncisione. Per lo piu' la 'sinagoga mobile' percorre la centralissima Via Tverskaia e il lungo Leningradski Shosse', fermandosi spesso alle stazioni Sokol e Aeroport della metropolitana. Su un sito internet e' possibile anche lasciare una prenotazione ordinando la 'sinagoga mobile' in un luogo preciso.

(ilsussidiario.net, 17 giugno 2009)

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Gaza: Ex presidente Carter sfugge ad un attentato

L'ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter è effettivamente sfuggito ieri a Gaza ad un attentato ordito da una cellula clandestina che si ispira ad al Qaida: lo sostiene il quotidiano Maariv di Tel Aviv, malgrado le secche smentite in merito diffuse già ieri dai responsabili di Hamas nella Striscia. Secondo Maariv sono stati i servizi di sicurezza israeliani a sventare l'attentato, informando tempestivamente il convoglio su cui viaggiava Carter. Il giornale precisa che Carter, proveniente da Israele, è entrato ieri a Gaza alle 9 di mattina per compiervi un sopralluogo e per incontrare i dirigenti locali di Hamas. Dopo il suo transito dal valico di Erez miliziani del gruppo filo al Qaida hanno iniziato a deporre alcuni ordigni, nella intenzione di farli esplodere quando nel pomeriggio l'ex presidente degli Stati Uniti fosse transitato per rientrare in Israele. Secondo Maariv vedette israeliane hanno subito informato il convoglio di Carter che a sua volta ha chiesto l'intervento dei servizi di sicurezza di Hamas. Artificieri palestinesi hanno dinnescato gli ordigni e hanno compiuto tre arresti, conclude il giornale.

(L'Unione Sarda, 17 giugno 2009)

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Israele, scuse del ministro per l'espressione anti-araba

Il ministro della sicurezza interna Yitzhak Aharonovic (del partito di destra radicale Israel Beitenu, di Avigdor Lieberman) è stato costretto ieri a scusarsi dopo essere stato ripreso da una telecamera mentre ricorreva ad un termine ebraico spregiativo nei confronti degli arabi. Durante una visita alla stazione centrale degli autobus di Tel Aviv ha incontrato un agente in borghese, che si è scusato per il suo aspetto trasandato e sporco. Il ministro, sorridendo ha replicato: "Sembri proprio un vero 'arabush' ". Immediata la reazione adirata di diversi parlamentari arabi alla Knesset secondo i quali il termine usato dal ministro ha connotazioni razziste. In serata Aharonovic ha assicurato che non era sua intenzione ferire i sentimenti di alcuno e ha chiesto scusa a chi fosse egualmente rimasto offeso dalle sue parole.

(L'Unione Sarda, 17 giugno 2009)

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Accordo tra le agenzie spaziali di Italia ed Israele

Oggi, al Salone dell'Aeronautica e dello Spazio in corso a Le Bourget , l'Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e quella israeliana (ISA) hanno firmato un accordo bilaterale di cooperazione in campo spaziale per scopi pacifici. L'accordo, che ha durata quinquennale, prevede cinque aree di collaborazione: la ricerca in campo spaziale, con particolare attenzione allo scambio di docenti e ricercatori; l'esplorazione dello spazio; l'osservazione della Terra e le sue applicazioni, in particolare quelle SAR (Radar ad Apertura Sintetica) e la sensoristica iperspettrale; le telecomunicazioni satellitari; l'uso di impianti e infrastrutture di Terra.
Il documento è stato firmato dal commissario straordinario e presidente designato dell'ASI, Enrico Saggese, e il direttore generale dell'ISA, Zvi Kaplan. L'accordo è il risultato dei contatti italo/israeliani iniziati con la visita compiuta tra il 7 e il 9 gennaio scorsi in Israele da una delegazione dell'ASI, durante la quale il commissario straordinario Enrico Saggese aveva incontrato sia i vertici dell'ISA sia il presidente Shimon Peres. Una delegazione Israeliana guidata dal chairman dell'ISA Isaac Ben-Israel aveva poi ricambiato la visita il 20 marzo a Roma. In entrambe le occasioni erano state individuate aree di possibile collaborazione tra i due paesi, che vengono ora riconfermate nell'accordo.

(Dedalo News, 16 giugno 2009)

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La traduzione del discorso di Netanyahu al Begin-Sadat Center

di Benjamin Netanyahu

Riprendiamo da “l’Occidentale” la traduzione del discorso che il premier israeliano Netanyahu ha tenuto all'Università di Bar-Ilan. Punti centrali sono il riconoscimento di Israele come stato ebraico e la smilitarizzazione dei palestinesi come requisito per la nascita del loro stato.


Onorevoli ospiti, cittadini di Israele. La pace è sempre stata il più ardente desiderio del nostro popolo. I nostri profeti donarono al mondo una visione della pace, ci salutiamo l'un l'altro scambiandoci un segno di pace, e le nostre preghiere si concludono con la parola pace. Ci siamo riuniti questo pomeriggio in una istituzione dedicata a due pionieri della pace, Menachem Begin e Anwar Sadat, condividendo la loro visione.
    Due mesi e mezzo fa ho giurato come primo ministro di Israele. Mi sono impegnato a creare un governo di unità nazionale - e l'ho fatto. Credevo, e credo, che per noi l'unità sia essenziale, ora più che mai, visto che siamo di fronte a tre immensi cambiamenti - la minaccia iraniana, la crisi economica, e l'avanzamento del processo di pace.
    La minaccia iraniana si profila in modo vasto nei nostri confronti, ancora di più com'è stato dimostrato ieri. Il pericolo maggiore che devono affrontare Israele, il Medio Oriente, l'intero mondo e l'umanità, è la connessione fra l'Islam radicale e le armi nucleari. Ho parlato di questa questione con il presidente Obama durante la mia recente visita a Washington e la solleverò ancora nei miei incontri con i leader europei previsti per la prossima settimana. Per anni sono stato al lavoro instancabilmente per forgiare un'alleanza internazionale in grado di prevenire l'Iran dal dotarsi di armi nucleari.
    Confrontandoci con una crisi economica globale, il governo si è mosso rapidamente per stabilizzare l'economia israeliana. Abbiamo esaminato il budget di due anni del governo - e la Knesset lo approverà molto presto.
    Il terzo cambiamento, estremamente importante, è l'avanzamento del processo di pace. Ho parlato anche di questo con Obama e ho sostenuto pienamente l'idea di una pace regionale che il presidente americano sta portando avanti. Condivido il desiderio di Obama di offrire una nuova era di riconciliazione nella nostra regione. Per riuscirci ho incontrato il presidente Mubarak in Egitto e Re Abdullah di Giordania per ottenere il sostegno di questi leader nell'espansione del 'cerchio della pace' nella nostra regione.
    Stanotte mi rivolgo a tutti gli altri leader arabi e dico: Incontriamoci. Parliamo di pace e facciamo la pace. Sono pronto ad incontrarmi con voi ogni volta che sarà necessario. Sono pronto ad andare a Damasco, a Ryad, a Beirut, dovunque - compresa Gerusalemme.
    Mi rivolgo alle Nazioni arabe affinché cooperino con noi e con i Palestinesi in modo da far avanzare una pace che si regga su fondamenta economiche. Una "pace economica" non è un sostituto della pace politica ma un importante elemento per raggiungerla. Insieme, possiamo portare avanti dei progetti per vincere la scarsezza di risorse della nostra regione, per esempio ottenendo acqua desalinizzata o per massimizzare quello che ci avvantaggia, per esempio sfruttando l'energia solare, o ponendo le condotte del gas e del petrolio, e le rotte per i trasporti verso l'Asia, l'Africa e l'Europa.
    Il successo economico degli Stati del Golfo ci ha impressionato tutti e personalmente mi ha colpito. Mi rivolgo agli imprenditori di talento del mondo arabo affinché vengano ad investire qui e assistano i palestinesi - e noi - nello stimolare l'economia. Insieme, possiamo sviluppare le aree industriali che daranno migliaia di posti di lavoro e porteranno alla creazione di siti turistici in grado di attrarre milioni di visitatori ansiosi di camminare sui luoghi che hanno fatto la Storia - a Nazareth e a Betlemme, attorno alle mura di Gerico e a quelle di Gerusalemme, sulle rive del Mare di Galilea e sui siti battesimali del Giordano.C'è un enorme potenziale per il turismo archeologico, se impareremo a cooperare e a svilupparlo.
    Mi rivolgo a voi, nostri vicini palestinesi, guidati dalla Autorità Palestinese, e dico: diamo immediatamente inizio ai negoziati senza precondizioni. Israele è obbligato dai suoi impegni internazionali e si aspetta che tutte le parti rispettino i loro impegni.
    Vogliamo vivere in pace con voi come buoni vicini. Vogliamo che i nostri e i vostri figli non debbano più fare l'esperienza della Guerra: che i genitori, i fratelli e le sorelle non conoscano più l'agonia di dover perdere quelli che amano in battaglia; che i nostri figli siano capaci di sognare un futuro migliore e di realizzare questo sogno; e che insieme investiremo le nostre energie in strumenti per la semina e il raccolto non in lance e spade.
    Conosco il volto della Guerra. Ho esperienza della battaglia. Ho perso degli amici cari, ho perso un fratello. Ho visto il dolore dei parenti dei defunti. Non voglio la guerra. Nessuno, dentro Israele, la vuole. Se ci stringeremo la mano e lavoreremo insieme per la pace non ci sarà limite allo sviluppo e alla prosperità che potremo ottenere per i nostri due popoli - nell'economia, nell'agricoltura, nel commercio, nel turismo, nella educazione - e cosa più importante nel garantire alla nostra gioventù un mondo migliore in cui vivere, una vita piena di tranquillità, creatività, opportunità e speranza.
    Se i vantaggi della pace sono così evidenti dobbiamo chiederci perché la pace resta così remota nonostante continuiamo a tendere la mano verso di essa. Nel tentativo di mettere fine al conflitto dobbiamo fornire una risposta schietta e onesta alla domanda: qual è la radice del conflitto?
    Nel suo discorso alla prima Conferenza sul Sionismo a Basel, il fondatore del movimento sionista, Theodore Herzl, disse a proposito della casa nazionale degli ebrei: "Questa idea è così grande che dobbiamo parlarne solo nei termini più semplici".
    Sebbene guardiamo all'orizzonte, dobbiamo restare saldamente connessi alla realtà, alla verità. E la semplice verità è che la radice del conflitto era, e resta, il rifiuto di riconoscere il diritto del popolo ebraico di avere un proprio stato, sulla terra che gli ha dato la Storia. Nel 1947, quando le Nazioni Unite proposero un piano per la divisione tra uno stato ebraico e uno stato arabo, l'intero mondo arabo rifiutò la Risoluzione. La comunità ebraica, al contrario, le diede il benvenuto con danze ed espressioni di gioia.
    Quelli che pensano che la continua inimicizia verso Israele sia un prodotto della nostra presenza in Giudea, Samaria e a Gaza, confondono le cause con le conseguenze. Gli attacchi che abbiamo subito negli anni Venti, l'escalation con l'offensiva generale nel 1948 in occasione della dichiarazione di indipendenza di Israele, i ripetuti attacchi dei feddayeen negli anni Cinquanta, e il culmine nel 1967, alla vigilia della Guerra dei Sei Giorni, sono stati tutti modi di stringere un nodo scorsoio attorno al collo dello stato israeliano. Tutto questo è accaduto durante i cinquant'anni prima che un solo soldato israeliano avesse mai messo piede in Giudea e Samaria.
    Fortunatamente, Egitto e Giordania sono usciti dal cerchio dell'inimicizia. Le firme dei trattati di pace hanno portato alla fine delle loro rivendicazioni contro Israele e alla fine del conflitto. Ma con nostro rammarico questo non è stato il caso dei palestinesi. Quanto più ci avviciniamo a un accordo con loro, tanto più aumentano quelle richieste che sono incompatibili con un vero desiderio di mettere fine al conflitto.
    Molta gente per bene ci ha detto che il ritiro dai territori è una questione essenziale per ottenere la pace con i palestinesi. Beh, in effetti in passato ci siamo già ritirati. Ma il fatto è che ad ogni ritiro si è verificata un'enorme ondata di terrore da parte di attentatori suicidi e migliaia di missili.
    Abbiamo cercato di ritirarci con o senza la stipula di accordi. Abbiamo cercato di fare dei ritiri parziali o completi. Nel 2000 e di nuovo l'anno scorso, Israele ha proposto un ritiro quasi totale in cambio della fine del conflitto, ma entrambe le nostre offerte sono state rifiutate. Abbiamo evacuato fino all'ultimo centimetro della Striscia di Gaza, abbiamo stadicato decine di insediamenti e sfrattato migliaia di israeliani dalle loro case; e come risposta abbiamo ricevuto una pioggia di missili sulle nostre città, paesi e bambini L'affermazione che il ritiro dai territori porterà alla pace con i palestinesi, o anticiperà i tempi per raggiungere la pace, finora non ha avuto nessuna corrispondenza con la realtà.
    Per di più, nel sud del paese Hamas - e gli Hezbollah nel nord - proclamano ripetutamente il loro impegno per "liberare" le città israeliane di Ashkelon, Berrsheba, Acre e Haifa. Il ritiro dai territori non ha fatto diminuire l'odio e, con nostro rammarico, i palestinesi moderati non sono ancora pronti a dire queste semplici parole: Israele è lo Stato-nazione del popolo ebraico, e resterà tale.
    Il raggiungimento della pace richiederà il coraggio e la franchezza da parte dei due schieramenti, e non solo da parte d'Israele. La leadership palestinese deve alzarsi in piedi e dire: Ne abbiamo avuto abbastanza di questo conflitto. Riconosciamo il diritto del popolo ebraico d'avere un proprio Stato in questi territori, e siamo pronti a viverci accanto in una vera pace.
    Sto aspettando e desiderando che si avveri quel momento, quando i leader palestinesi diranno parole del genere alla nostra gente e alla loro. Allora si aprirà il cammino per risolvere tutti i problemi della nostra popolazione, non importa quanto possano essere difficili.
    Di conseguenza, un requisito preliminare e fondamentale per mettere fine al conflitto è quello di un riconoscimento pubblico, vincolante ed inequivocabile di Israele come lo Stato e la Nazione del popolo ebraico. Per dare un vero senso a questa dichiarazione, deve essere messo in chiaro che il problema dei rifugiati palestinesi va risolto fuori dalle frontiere israeliane. Perché ciò avvenga deve essere chiaro che qualsiasi richiesta di re-insediamento dei rifugiati palestinesi entro le nostre frontiere mina l'esistenza dello Stato del popolo ebraico nel tempo.
    Il problema dei rifugiati palestinesi deve essere risolto, e può essere risolto, dato che noi stessi ci siamo ritrovati in una situazione simile. Nel piccolo territorio israeliano sono stati assorbiti con successo decine di migliaia di rifugiati ebrei che hanno lasciato le loro case e i loro averi nei paesi arabi. Quindi, tanto la giustizia come la logica ci dicono che il problema dei rifugiati palestinesi debba essere risolto al di fuori delle frontiere d'Israele. Su questo punto c'è un ampio consenso nazionale. Credo che con la buona volontà e con l'investimento internazionale, questo problema umanitario possa essere risolto in modo permanente.
    Finora ho parlato della necessità dei palestinesi di riconoscere i nostri diritti. Fra un momento parlerò apertamente della nostra necessità di riconoscere i loro diritti. Prima però lasciatemi dire che il legame fra tra il popolo ebraico e la Terra d'Israele dura da più di 3500 anni. Giudea e Samaria, i luoghi in cui vissero Abramo, Isacco, Giacobbe, Davide, Salomone, Isaia e Geremia, non ci sono estranei. Questa è la terra dei nostri antenati.
    Il diritto degli ebrei di avere uno Stato nella terra d'Israele non deriva dalle catastrofi che hanno tormentato la nostra gente. E' vero che per 2000 anni il popolo ebraico è stata vittima di espulsioni, persecuzioni, diffamazioni, e massacri che sono culminati nell'Olocausto, una sofferenza che non ha uguali nella storia dell'Umanità. C'è chi afferma che se non fosse avvenuto l'Olocausto, non sarebbe mai stato creato lo Stato d'Israele. Ma io rispondo che se lo Stato d'Israele fosse stato creato prima, non sarebbe mai avvenuto l'Olocausto. Questa tragica storia di impotenza spiega perché il popolo ebraico ha bisogno del diritto sovrano alla autodifesa.
    Ma il nostro diritto di creare uno Stato sovrano proprio qui, nella terra d'Israele, deriva da un semplice fatto: questa è la patria degli ebrei, è qui che la nostra identità è stata dimenticata. Come proclamò il primo ministro israeliano David Ben-Gurion nella nostra Dichiarazione d'Indipendenza: "Il popolo ebreo nacque nella terra d'Israele ed è qui che si è formato il suo carattere spirituale, religioso e politico. Proprio qui gli ebrei hanno ottenuto la loro sovranità e qui hanno lasciato in eredità al mondo i loro tesori nazionali e culturali, e i libri sacri più eterni".
    Ma bisogna essere sinceri fino in fondo: entro questa patria vive una numerosa comunità palestinese. Non vogliamo governarla, non vogliamo regolare la loro vita, non vogliamo imporre loro né la nostra bandiera né la nostra cultura.
    Nella mia visione della pace, in questo nostro piccolo territorio, due popoli possono vivere liberamente, uno accanto all'altro, in amicizia e nel mutuo rispetto. Ognuno avrà la sua propria bandiera, il proprio inno, il proprio governo. Nessuno minaccerà la sicurezza o la sopravvivenza dell'altro. Queste due realtà - cioè, il nostro legame con la terra d'Israele e con la popolazione palestinese che ci vive dentro - hanno creato delle profonde divisioni nella società israeliana. Ma la verità è che abbiamo molte più cose che ci uniscono rispetto a quelle che ci dividono.
    Sono qui stasera per esprimere questa unità e quei principi di pace e sicurezza sui quali c'è un vasto consenso nella società israeliana. Questi sono i principi che guidano la nostra politica. Una politica che deve prendere in considerazione la situazione internazionale che si è creata di recente. Dobbiamo riconoscere questa realtà e allo stesso tempo difendere con fermezza quei valori che sono essenziali per Israele.
    Ho già parlato del primo principio, quello del riconoscimento. I palestinesi devono riconoscere chiaramente e senza ambiguità Israele come uno Stato ebraico. Il secondo principio è la demilitarizzazione. Il territorio sotto controllo palestinese deve essere demilitarizzato con clausole di sicurezza blindate per Israele. Senza queste due condizioni, esiste il pericolo reale che venga creato uno Stato armato palestinese che divenga un'altra base per i terroristi che lottano contro di noi, come quello sorto a Gaza.
    Noi non vogliamo i missili Kassam su Petach Tikva, né razzi Grad su Tel Aviv, né missili contro l'aereoporto Ben-Gurion. Noi vogliamo la pace. Ma per ottenere la pace, dobbiamo assicurarci che i palestinesi non importino missili nel loro territorio, non armino il loro esercito, che chiudano il loro spazio aereo, o raggiungano accordi con l'Hezbollah e l'Iran. Anche su questo argomento, in Israele c'è un largo consenso.
    E' impossibile aspettarsi da noi un accordo che venga prima della certezza di uno Stato palestinese demilitarizzato. In una questione così critica per l'esistenza di Israele, dobbiamo assicurarci innanzitutto che vengano rispettate le nostre necessità di sicurezza.
    Di conseguenza, oggi chiediamo ai nostri amici della comunità internazionale, guidata dagli Stati Uniti, di intervenire su ciò che è essenziale per la sicurezza d'Israele: un chiaro impegno che - in un futuro accordo di pace - il territorio controllato dai palestinesi sia demilitarizzato, cioè senza un esercito, senza il controllo del suo spazio aereo, e con misure di sicurezza efficaci per prevenire il contrabbando di armi nel suo territorio - un vero monitoraggio, non come quello che accade oggi a Gaza. E ovviamente, i palestinesi non devono essere capaci di stabilire accordi militari.
    Senza tutto questo, prima o poi, quei territori diventerebbero un altro Hamastan. Ed è un qualcosa che non possiamo accettare. Quando sono andato a Washington ho detto al presidente Obama che se possiamo trovare un accordo nella sostanza allora la terminologia non sarà un problema. Ed ecco qui la sostanza che ribadisco con chiarezza: se riceveremo questa garanzia sulla demilitarizzazione e sulle necessità di sicurezza di Israele, e se i palestinesi riconosceranno Israele come lo Stato del popolo ebraico, allora in futuro saremo pronti a raggiungere un accordo di pace per ottenere una soluzione in cui uno Stato palestinese esisterà accanto allo Stato ebraico.
    
(l'Occidentale, 16 giugno 2009 - trad. Fabrizia B. Maggi e Roberto Santoro)

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Dopo il discorso i consensi a Netanyahu volano da 28 a 44%

Piace al 71% degli intervistati ciò che il premier ha detto.

GERUSALEMME, 16 giu. (Ap) - Dopo il discorso all'Università di Tel Aviv, nel quale ha aperto alla creazione di uno Stato palestinese, seppur smilitarizzato, il primo ministro israeliano vola nei sondaggi: i suoi consensi sono passati dal 28% di un mese fa al 44%. Il 71% degli intervistati ha affermato di essere d'accordo con il contenuto del suo discorso, sebbene il 67% ritenga che non farà grandi passi in avanti verso la pace israelo-palestinese. La ricerca è stata condotta dall'istituto Dialog e pubblicata sul quotidiano Haaretz. Sono state contattante 504 persone e il margine d'errore è del 4,3%.

(Apcom, 16 giugno 2009)

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La sfida di Netanyahu: ora tocca ai palestinesi decidere

di Fiamma Nirenstein

Per pronunciare quelle tre parole, Stato palestinese smilitarizzato, Bibi Netanyahu ha sofferto i dolori del parto. La casa del padre, lo storico Benzion, il sacrificio del fratello Yoni capo dell'operazione di Entebbe, la sua stessa vicenda di membro della Saieret Mathal, l'unità speciale antiterrore, i libri che fanno di lui un antesignano nel disegnare i pericoli del terrorismo, tutto gli vietava di promettere lo Stato ai palestinesi. Eppure l'ha fatto, non ha detto né «autonomia» né «confederazione con i giordani», ha proprio parlato di Stato palestinese a fianco dello Stato ebraico. E qui sta l'altro punto di novità: Netanyahu ha spostato il tema alla questione reale, quella che nel corso di questi anni ha impedito la pace con i palestinesi. E non si tratta di territorio: si tratta del rifiuto arabo. Bibi l'ha gettato sul tappeto come questione politica, e adesso non ci sarà più chi potrà ignorarlo. Adesso, la palla è nel campo palestinese e arabo, ma anche nelle mani di Obama. Il presidente americano ha fatto sapere di ritenere il discorso un importante passo avanti, ma in realtà il passo deve farlo lui e chiedere ad Abu Mazen: ma voi lo Stato degli ebrei accanto al vostro, lo accettate davvero? Fino a che punto desiderate il vostro Stato? O desiderate di più la scomparsa di Israele?
Per capire bene le ragioni di Netanyahu non dobbiamo farci confondere dalla questione territoriale: Israele non ha mai avuto problemi a cercare di scambiare terra con pace anche a prezzi elevatissimi. Gli è andata bene con l'Egitto, male col Libano, malissimo con i palestinesi da cui ha avuto a ogni sgombero terrorismo e missili. Da qui la richiesta di uno Stato demilitarizzato. Ma il discorso di Netanyahu contiene un'apertura totale sugli insediamenti, al contrario di quello che molti hanno scritto sbagliando, il rifiuto di bloccare la crescita naturale con la determinazione a non sgomberare. Dialogo senza precondizioni, ha detto Bibi. Certo, se si arriva ad accordi potranno esserci swap territoriali ma non verrà chiesto ai palestinesi di rinunciare a spazi che corrispondano ai confini del '67.
Netanyahu punta soprattutto a una contropartita di carattere ideologico, e se il mondo vuole aiutare la pace è questa la sfida; se Obama vuole la pace, può chiedere a Netanyahu di essere generoso con la terra, e ai palestinesi e al mondo arabo di aprirsi alla legittimità della nazione ebraica. Peccato davvero che in queste prime ore di reazioni si assista al solito rifiuto. Esso appare purtroppo come un odio ontologico, razzista, che nega la storia degli ebrei e l'evidenza della esistenza di Israele come Stato ebraico. Per questo Netanyahu insiste sulla consueta richiesta di abbandonare l'idea del "ritorno" dei figli dei figli dei figli dei profughi, conservati nei campi artificialmente e con crudeltà da tutto il mondo arabo, in modo anomalo rispetto a qualsiasi altro profugo del mondo. Il ritorno - e Rabin, Peres, Clinton, Olmert, Bush, persino la Comunità europea, lo hanno ripetuto in mille trattative fallite - distruggerebbe demograficamente lo Stato ebraico, e quindi insistere significa attenersi alla prima spinta che determinò il rifiuto del novembre 1947 alla partizione: quella del no allo Stato ebraico. Questo no è risuonato negli anni a venire senza un attimo di sosta: con la guerra del '48; nel '67 con i tre no di Khartum; a Camp David con il no di Arafat; con Olmert cui Abu Mazen, il moderatissimo, ha detto no alla restituzione del 98 per cento dei territori più parte di Gerusalemme.
Adesso il fatto che Bibi chieda il riconoscimento della nazione che è sempre stata il centro della vita ebraica per 3.500 anni, la richiesta di cessare dal considerare gli ebrei dei casuali intrusi da espellere dalle città che hanno fondato e in cui ormai da duecento anni sono tornati stabilmente e con enormi progressi economici e culturali, pone una sfida che sta a tutto il mondo accettare. Perché i palestinesi non vogliono accettare che Israele sia uno Stato ebraico, come la Palestina sarà uno Stato palestinese? Perché Bashar Assad inveisce contro Netanyahu con l'accusa di apartheid solo perché chiede che gli ebrei stiano a Israele come gli italiani all'Italia? Perché Mubarak dice che la richiesta di riconoscimento dello Stato ebraico rovinerà tutto? Semplicemente perché riconoscere la legittimità dello Stato ebraico significa la fine di un conflitto di cui si è approfittato tutto il mondo arabo. In una parola: la novità del discorso del primo ministro israeliano non consiste tanto nella formula magica dello "Stato palestinese" quanto dello spostamento della questione allo spazio ideologico cui di fatto appartiene, quello del rifiuto o dell'accettazione. È per questo che la vera risposta a Obama è venuta quando Bibi gli ha detto che, contrariamente a quanto da lui sostenuto, la fondazione e l'origine di Israele non c'entra con la Shoah, con le sofferenze del popolo ebraico, quanto invece con la sua stessa identità che risiede tutta in quel fazzoletto di terra. Che Obama, dunque, spieghi al mondo arabo: uno Stato ebraico per gli ebrei, uno Stato palestinese per i palestinesi.

(il Giornale, 16 giugno 2009)

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Il premier israeliano a Roma il 23 giugno

Fonti ufficiali di Gerusalemme fanno sapere che Netanyahu prevede di compiere una visita ufficiale a Roma il 23 giugno, per poi proseguire l'indomani alla volta di Parigi.

A quanto risulta, Netanyahu incontrerà a Roma - come confermato anche da Palazzo Chigi - il presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Possibile anche un incontro con il ministro degli esteri Franco Frattini. Per Netanyahu - che nelle settimane passate ha già compiuto delicate missioni negli Stati Uniti, in Egitto e in Giordania - si tratta comunque della prima visita in Europa da quando lo scorso aprile ha assunto la carica di primo ministro. Fonti ufficiali hanno detto che «non è casuale» che sia Netanyahu sia, in precedenza, il ministro degli esteri Avigdor Lieberman, abbiano ritenuto opportuno dare la precedenza all'Italia nei loro contatti iniziali con i maggiori dirigenti europei.

(Il Tempo, 16 giugno 2009)

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Israele: un robot-serpente per l'esercito

Tra poco sarà in dotazione a Tzahal. Avrà compiti di spionaggio sul campo di battaglia

MILANO - Fra poco, Tzahal, ovvero l'esercito israeliano, avrà a disposizione un robot serpente che avrà compiti di spionaggio sul campo di battaglia. Il robot, lungo due metri, è dotato di telecamera e sensori e striscia sul terreno come un vero e proprio rettile. Il robot è rivestito con un materiale mimetico che gli permette di confondersi con la vegetazione e il suolo. Il robot-serpente può avanzare dovunque: anche in tunnel, gallerie e cavità naturali oscure....

(Corriere della Sera, 16 giugno 2009)

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IRAN - Hezbollah si congratula per epiche elezioni

Il movimento sciita filo-iraniano libanese Hezbollah si è congratulato oggi con l'Iran per le "epiche" elezioni che hanno confermato Mahmud Ahmadinejad alla presidenza per altri quattro anni.
In una lettera aperta indirizzata alla Guida suprema della rivoluzione, l'ayatollah Ali Khamenei, il leader di Hezbollah, seyyed Hasan Nasrallah ha scritto: «(Presento) le mie congratulazioni per questa magnifica epopea che l'eminente popolo dell'Iran ha realizzato, rinnovando il proprio credo in questo regime benedetto e nei valori e nei principi della rivoluzione islamica».
«Questa magnifica epopea - ha aggiunto Nasrallah - ha dato gioia ai cuori di tutti gli oppressi e combattenti (mujaheddin), ridando speranza nella forza, nella determinazione e nella solidità di questa cara Repubblica, che è un forte sostegno per la nostra gente che difende i propri diritti contro gli aggressori e usurpatori».

(ilsussidiario.net, 15 giugno 2009)

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Le responsabilità di Obama nel trionfo del tiranno

Barack Obama va incredibilmente annoverato tra i grandi elettori che hanno assicurato ad Ahamadinejad la Vittoria plebiscitaria di ieri.

di Carlo Panella

Vittoria sicuramente gonfiata dai brogli, ma con un tale margine da non permettere dubbi sulla sostanza: una sanguinaria dittatura, che ha in programma di cancellare Israele dalla faccia della terra, che impicca gli omosessuali, che terrorizza gli oppositori, riscuote in Iran uno straordinario consenso popolare. Obama, sicuramente, non voleva ottenere questo risultato, ma il suo dilettantesco discorso all'Islam dal Cairo, l'ha invece rafforzato. Obama si è presentato politicamente in ginocchio di fronte ad Ahamadinejad, ha chiesto scusa per le ingerenze statunitensi, ha detto cose incredibili - e false - sulla tolleranza dell'Islam, ha cancellato ogni pretesa che l'Iran si adegui alle richieste dell'Onu (dell'Onu, non degli Usa) e sospenda il programma di arricchimento nucleare, si è detto disposto a discutere.
Soprattutto, Obama, non ha minacciato, si è voluto distinguere da Bush presentandosi solo e unicamente col volto amico, addirittura si è detto disposto a riconoscere le buone ragioni dell'Iran. Questo, a dieci giorni dal voto iraniano, dieci giorni in cui Ahmadinejad ha potuto portare a testimonianza lo stesso discorso di Obama per dimostrare - a ragione - agli iraniani, che la sua strategia è stata pagante, che disattendere le risoluzioni dell'Onu, rifiutare i controlli dell'Aiea, lanciare missili intercontinentali (che hanno senso solo se armati con una atomica), armare i Talebani afgani (questo ha rivelato il segretario Usa alla difesa, Gates), armare Hamas, aveva obbligato il nuovo presidente americano a abbassare la cresta, a riconoscere la potenza iraniana.
Solo il cielo sa chi e che cosa abbiano convinto Obama a fare quel suo sciagurato discorso del Cairo, prima che Hamas e al Fatah avessero cessato di spararsi nei Territori, prima che la Siria avesse fatto un solo passo di appeasement, prima che a Teheran si fosse delineata una minima apertura. Avesse taciuto, avesse compreso quel che stava bollendo in pentola a Tehran (e dopo 30 anni dalla vittoria di Khomeini ci sarà pure qualche americano che abbia imparato a "leggere" quel paese), si fosse riservato la mossa del discorso all'Islam in tempi più maturi, Obama oggi non si troverebbe spiazzato. Soprattutto si sarebbe risparmiato di fare davanti al mondo la figura del provinciale - che è - che parla al popolo dell'Iran come parlerebbe al popolo della Virginia: tutta retorica, voli pindarici, frasi ad effetto e nessuna sostanza, solo appelli buonisti al solidarismo. In cinque mesi la "strategia del dialogo"di Obama ha dunque portato a questi risultati: la Corea del Nord è sull'orlo di una guerra con la Corea del Sud; in Iran il blocco oltranzista si è rafforzato a dismisura, con conseguenze a catena su Hamas e Hezbollah (che hanno salutato il trionfo di Ahmadinejad, come fosse loro), Abu Mazen subisce sempre più l'iniziativa terroristica di Hamas anche in Cisgiordania, mentre la semplice notizia del ritiro di buona parte del contingente Usa dall'Iraq, sta facendo rialzare la testa a quei terroristi che erano stati quasi tacitati.
Ora, si dice a Washington, Obama correrà ai ripari, metterà in campo un "piano B". Il problema è che questa alternativa non esiste, che da tre anni il senatore di Chicago spiega al mondo le virtù salvifiche del dialogo e del buonismo, che ha vinto le elezioni su questa piattaforma ipocrita e che il "piano B" possibile è uno e uno solo: fare esattamente quel che fece George W. Bush. Obama ha già ricalcato le orme della precedente amministrazione in molti campi (l'ala liberal dei democratici glielo rimprovera ogni giorno), ma in politica estera era riuscito sinora a mantenere la sua immagine di "portatore di speranze". Ora che Ahmadinejad gli ha subito detto a brutto muso che di dialogo non si parla nemmeno e che se vuole parlare con lui deve accettare il nucleare e cessare di appoggiare Israele, Obama di deve trasformare in un uomo di Stato. Possibilmente con idee vincenti.

(Il Tempo, 15 giugno 2009)

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Dalle urne viene fuori la faccia sanguinaria dell'Iran

di Carlo Panella

L'Iran presenta al mondo la faccia crudele e difficilmente accettabile di un regime sanguinario -tutto centrato sull'antisemitismo - che riesce però a riscuotere un largo consenso di massa. Questa è la notizia vera, terribile, che ci viene dalle urne iraniane.
Sicuramente ci sono stati brogli, e anche molti, moltissimi ma non è possibile che abbiano modificato le proporzioni di fondo tra i due candidati. L'Iran si è schierato maggioritariamente per chi ha un progetto politico e culturale basato sulla negazione dell'Olocausto, sull'impiccagione degli omosessuali e sulle miserie apocalittiche di un Ahmadinejad, che rilancia anche un nazionalismo aggressivo ed espansivo che evoca i peggiori fantasmi. Questa è la verità inconfutabile, brogli o non brogli...

(l'Occidentale, 15 giugno 2009)

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Germania dell'Est - Shoah, resti di alcuni ebrei conservati per 19 anni in scatole per scarpe

I resti di alcuni ebrei morti nel campo di concentramento tedesco di Jamlitz (Nord) verranno tumulati oggi, dopo essere stati custoditi in scatole di scarpe per circa 19 anni in un archivio della Stasi, la polizia segreta dell'ex Germania comunista. Le ossa, scrive il quotidiano Tagesspiegel, appartengono a ebrei massacrati dalle Ss nel febbraio 1945, quando il campo di Jamlitz fu chiuso. Il gerarca nazista Heinrich Himmler ordino' fucilare 1.342 persone, fra malati e disabili, quasi tutti ungheresi e polacchi, e secondo il giornale i fori dei proiettili sarebbero ancora visibili su alcune ossa. Nel 1971, gli ultimi resti vennero riesumati, ma non per tutti venne celebrato il funerale. Una parte delle ossa, infatti, fini' in un archivio della Stasi, a Francoforte sull'Oder, dove rimase - custodita in scatole di scarpe - fino alla caduta del Muro di Berlino, nel novembre del 1989. Questi resti verranno tumulati nella stessa cava in cui vennero trovati, che nel frattempo e' stata consacrata a cimitero ebraico. Fino a oggi, solo 577 delle vittime ebree state cremate e solo una parte delle ceneri e' stata poi seppellita, a Lieberose, dove la Rdt ha costruito un monumento commemorativo. Dei resti degli altri ebrei morti sono state perse le tracce.

(ilsussidiario.net, 15 giugno 2009)

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Un viaggio alle radici del klezmer, pubblico entusiasta

di Alberto Angelino

Un concerto di musica klezmer senza se e senza ma quello messo in scena sabato sera alla Sinagoga di Casale Monferato dall'Orient Express Ensemble. La parola klezmer ha finito ormai per assumere un valore che si associa tout-court a tutte le sfumature della musica ebraica, ma i cinque musicisti vanno alle radici e propongono una ampia selezione di brani nati indiscutibilmente nelle comunità dell'Est Europa. Insomma quelle canzoni che ormai conosciamo bene attraverso film e citazioni e che ci fanno pensare subito a matrimoni pittoreschi, rabbini askenaziti e ahimè anche a persecuzioni: tempo di marcia dolcemente in levare, ironia dolce amara in piccole storie musicali. 'Tum balalaika' ad esempio 'Az der rebe zing' o la Doina rumena, magari i nomi dicono poco, ma nascoste sotto la voce canto popolare rumeno ci sono temi che tutto il pubblico canta.
Questo gruppo che guarda ad oriente è formato da 5 solidi musicisti che collaborano con l'orchestra della della Svizzera Italia. Quindi tutto risulta alla fine con uno stile molto formale. Improvvisazioni di grande virtuosismo, sopratutto da parte del violino Tamas Major e di Corrado Giuffredi al clarinetto, con un suono non molto diverso da quello che userebbero di fronte al loro direttore. Enrico Fagone al contrabbasso invece dà un tocco swing che muove molto bene il ritmo. Altrettanto virtuosistica la fisarmonica di Ciro Radice, bravissimo a doppiare tutti gli altri strumenti. Discorso a parte merita la voce di Francesca Galante, che riesce a mettere in ogni canzone tutto il pathos doloroso di questa musica. E' lei che spiega i brani al pubblico che ha riempito la sala del tempio di casale e si capisce che questo viaggio alle radici del folclore di bulgaria, romania ha dietro un serio studio etnomusicologico. Al quintetto si aggiunge nell'incipit anche la bella partecipazione dei Ariel Segre Amar pianista torinese.
Forse solo tre canzoni escono dallo schema più rigoroso del klezmer. La prima e la Hatikva, ovvero l'inno nazionale israeliano, che ormai ci piace crede derivare in realtà da un ballo mantovano del XVII secolo, senza nulla togliere alla sua solennità visto che tutto il pubblico decide di ascoltarlo in piedi.
La seconda è una canzone sefardita molto toccante 'Buona Semana', che può essere vista anche come un omaggio alla comunità ebraica monferrina formata da ebrei fuoriusciti dalla Spagna cinque secoli or sono. La terza è 'La vita e bella' di Nicola Piovani e Noa che riporta con la mente gran parte degli ascoltatori al grande concerto della cantante israeliana per il festival Oyoyoy!
Due bis concessi ad un pubblico entusiasta e poi, visto che siamo in una giornata dedicata al MOMU, cioè all'unione dei musei monferrini. Apertura straordinaria della Mostra su Carlo Levi nella sala esposizioni della comunità. Mostra che ha già totalizzato un migliaio di visitatori da tutto il Piemonte.

(Il Monferrato, 15 giugno 2009)

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Giovani del Likud a Netanyahu: "Israele non si piega"

"Israele non si piega": questo uno degli slogan esposti oggi da giovani attivisti del Likud a Gerusalemme di fronte all'ufficio del premier, a poche ore dal discorso che Benyamin Netanyahu pronuncerà in risposta a quello del presidente Usa Barack Obama al Cairo, dieci giorni fa. 'Amiamo Israele, rafforziamo Netanyahu' hanno scandito i dimostranti, fiduciosi che stasera comunque il loro leader non cedera' alle pressioni internazionali sul congelamento degli insediamenti e sulla costituzione di uno stato palestinese accanto ad Israele. 'Israele non puo' accettare uno stato palestinese armato e guidato da Hamas' ha osservato il ministro delle finanze Yuval Steinitz, un dirigente del Likud molto vicino al premier. Secondo la stampa e' probabile che Netanyahu confermera' l'impegno di Israele per il Tracciato di pace (presentato dal Quartetto nel 2003) e che si dira' pronto al dialogo con i palestinesi; ma non si impegnera' a congelare le colonie. 'Il suo sara' un discorso molto prudente e di carattere generico' ha anticipato il ministro della difesa Ehud Barak. Netanyahu sarà ospite del Centro accademico Begin-Saadat, nella Università ebraica di Bar Ilan, a Tel Aviv.

(ilsussidiario.net, 14 giugno 2009)

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Un bosco in Galilea. Omaggio a Cannavò

Il Keren Kayemeth LeIsrael, l’ente che si occupa delle problematiche ecologiche in Israele, renderà più verde la zona attorno a Bar'am in memoria dello storico direttore della Gazzetta, scomparso a febbraio. Un gesto altamente simbolico per un uomo di pace.

MILANO, 14 giugno 2009 - Un bosco nell’Alta Galilea, al confine con il Libano, sarà dedicato a Candido Cannavò. Un luogo altamente simbolico per ricordare un uomo di pace. La consegna formale della pergamena che lo attesta si è tenuta ieri nella sede milanese del Keren Kayemeth LeIsrael, l’ente che si occupa delle problematiche ecologiche in Israele: dallo sfruttamento oculato e innovativo delle risorse idriche alla riforestazione.
La cartina della zona di Bar’am in Alta Galilea. In azzurro l’area che sarà riforestata con fondi raccolti dal KKL Italia.
Il presidente di KKL Italia, Silvio Tedeschi, con i suoi vice Donia Shaumann Ellis e Maurizio Ruben e il portavoce Joe Dana, hanno consegnato a Franca Cannavò e al figlio Alessandro l’attestato mostrando loro sulla mappa l’area di Bar’am destinata alla foresta creata con fondi provenienti da donatori italiani. L’idea di dedicare un bosco a Candido è nata in azienda subito dopo la sua morte, il 22 febbraio, e ha immediatamente trovato sostenitori fra gli amici della Gazzetta. A Bar’am una stele su una roccia ricorderà il bosco di Candido. Gli alberi saranno piantati quando le condizioni climatiche ne garantiranno il perfetto attecchimento, cioè nei mesi invernali.
Il Keren Kayemeth è stato fondato nel 1901 con il compito di acquistare terre e bonificarle per permettere l’arrivo di coloni europei. La situazione degli ebrei in Europa a cavallo del XIX e XX secolo non era certo tranquilla anche se la spaventosa tragedia dell’Olocausto era ancora lontana e imprevedibile. Alle famiglie ebraiche veniva consegnata una grande latta, chiamata “bossolo azzurro”, dove venivano inserite le monete che erano poi utilizzate per gli acquisti dei terreni.
La versione moderna del bossolo azzurro, il salvadanaio con cui i bimbi israeliani sostengono i progetti del KKL
Con la nascita dello stato di Israele il KKL continuò a occuparsi di ambiente con grandi successi: dalla tecnica dell’irrigazione a goccia che permette a un albero di vivere con meno di un bicchiere d’acqua all’anno alla costruzione di bacini idrici, dalla bonifica dei terreni alla silvicoltura. Sono stati piantati 240 milioni di alberi. Naturalmente il “bossolo azzurro” è rimasto, in versione piccolo salvadanaio dove i bambini israeliani inseriscono le monete per contribuire a finanziare le attività del Keren Kayemeth LeIsrael.
Daniele Redaelli

(La Gazzetta dello Sport, 14 giugno 2009)

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Sondaggio: maggioranza israeliani può convivere con Iran nucleare

Un israeliano su 5 crede che Iran cercherà di distruggere Israele

Solo un israeliano su cinque crede che una volta dotato di armi nucleari l'Iran cercherà di distruggere Israele e la maggioranza del popolo israeliano ritiene che continuerà a condurre una vita normale anche quando la Repubblica islamica avrà ottenuto la bomba. E' quanto emerge da un sondaggio commissionato dall'Istituto di Studi sulla sicurezza nazionale dell'Università di Tel Aviv e riportato oggi dal quotidiano Haaretz. Alla domanda su come cambierebbe la loro vita con un Iran dotato di armi nucleari, l'80% delle persone interpellate ha risposto di non prevedere alcun cambiamento, l'11% si è detto pronto a valutare l'ipotesi dell'espatrio, mentre il 9% ha dichiarato che potrebbe trasferirsi, rimanendo però in territorio israeliano. Secondo lo studio, solo il 21% degli israeliani ritiene che l'Iran "attaccherebbe Israele con le armi nucleari con l'obiettivo di distruggerlo", contraddicendo così quanto affermato dall'attuale premier israeliano Benjamin Netanyahu e dai suoi predecessori, secondo cui un Iran nucleare minaccerebbe l'esistenza dello Stato ebraico. Netanyahu e i suoi predecessori hanno sempre lasciato intendere di essere pronti a un attacco preventivo contro gli impianti nucleari iraniani. Secondo il sondaggio, l'attacco sarebbe sostenuto dal 59% degli israeliani.

(Virgilio Notizie, 14 giugno 2009)

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Iran - L’America attende sviluppi e per Israele «poco cambia»

Prudenti reazioni internazionali. Washington: «Vedremo cosa deciderà il popolo». Gerusalemme: «Sono le scelte concrete che contano, non il nome di chi comanda».

WASHINGTON - Prudenti le reazioni internazionali agli sviluppi post-elettorali in Iran. La Casa Bianca, dapprima galvanizzata dall'alta affluenza ai seggi - Obama aveva parlato di «speranza di cambiamento» - ieri ha esaminato con preoccupazione le accuse di irregolarità nel voto pur senza sbilanciarsi in giudizi. «Come il resto del mondo seguiamo l'evoluzione in Iran e aspettiamo di vedere cosa deciderà il popolo iraniano»: per Washington la partita è ancora aperta.
Il ministro degli Esteri italiano Frattini sottolineando che «l'Iran è un partner importante per stabilizzare Pakistan e Afghanistan», ha detto di «confermare la volontà di avere l'Iran al vertice G8 di Trieste». Ha aggiunto di augurarsi che Ahmadinejad abbia «un ripensamento su alcune linee»: Medio Oriente (riferimento ai dichiarati propositi di "annientare Israele", ndr) e programma nucleare. In Israele il ministro degli Esteri Lieberman ha affermato che il problema sono le azioni del regime iraniano più che la personalità del presidente rieletto. «La comunità internazionale deve continuare a lavorare senza compromessi per prevenire la nuclearizzazione dell'Iran e fermare l'aiuto che dà ai gruppi terroristi», ha aggiunto Lieberman. Israele ritiene la minaccia iraniana prioritaria per la sua politica estera. Ahmadinejad ha negato più volte l'Olocausto e si è augurato che Israele sia «cancellato dalle mappe». Teheran ha avviato un programma nucleare dicendo che ha scopi pacifici, ma la comunità internazionale ritiene che porterà a realizzare bombe nucleari.
Hamas, il gruppo radicale palestinese che controlla la striscia di Gaza ha salutato con gioia la riconferma di Ahmadinejad, sostenitore della "linea dura" contro lo Stato ebraico.
Linea dura che Mussavi invece contesta. Architetto, nato nel 1941, Mussavi è stato primo ministro per otto anni nella guerra con l'Iraq 1981-1989. Dopo la morte dell’ayatollah Khomeini era stata abrogata la carica di primo ministro, "inglobata" da quella di Guida suprema - ed erede di Khomeini - Alì Khamenei. È da allora che Mussavi lascia per 20 anni la politica attiva, facendo il consigliere dei presidenti Rafsanjani (1989-1997) e Khatami (1997-2005), i sostenitori della sua candidatura in funzione anti-Ahmadinejad. Regista dell'operazione è stato l’ex presidente pragmatico Rafsanjani, acerrimo rivale di Ahmadinejad e da lui battuto nel ballottaggio di 4 anni fa. In campagna elettorale Mussavi ha puntato, sulla necessità di cambiare l'immagine «estremista» dell'Iran di Ahmadinejad, di cercare con l'Occidente e gli Usa un dialogo anche sul nucleare, al quale però ha sempre affermato che Teheran non può rinunciare. Ha attaccato la politica di spesa a pioggia di Ahmadinejad, caua dell'iperinflazione. Ha promesso di opporsi all'offensiva moralizzatrice della polizia nelle strade negli ultimi 4 anni, con gli arresti di molte donne 'malvelate'. Ha attratto sostenitori tra i giovani, in particolare ragazze, grazie anche a sua moglie Zahra, ex rettore dell'Università femminile di Teheran, che è stata al fianco del marito nella campagna elettorale: una novità assoluta.

(Il Gazzettino.it, 14 giugno 2009)

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Gheddafi tende la mano agli esuli italiani: noi e voi vittime dello stesso colonialismo

Il colonnello: «Chi vorrà venire per gestire imprese, per lavorare con noi, avrà la precedenza sugli altri»

ROMA (14 giugno) - Sembrava una rock star alle prese con una marea di fans impazziti. Rideva, lanciava sguardi di soddisfazione, con le braccia invitava ad avvicinarsi. Parlava in arabo e gli rispondevano nella stessa lingua mentre firmava le gigantografie del suo ritratto che gli mettevano sotto il naso. Per quaranta anni lo hanno odiato ma da ieri, e chissà per quanto tempo, Muammar el Gheddafi è apparso come improbabile eroe degli italiani da lui stesso buttati fuori della Libia. Per gli ebrei libici, rappresentati da soltanto cinque persone per la decisione degli altri di non accogliere l'invito nel giorno del riposo settimanale, è stata come un'occasione mancata. Il Leader li ha salutati uno per volta con una stretta di mano, da uno ha ricevuto in regalo due foto di un vecchio combattente libico ma, poi, non è andato oltre.
    Dopo averli invitati, stranamente ha evitato di parlare della loro vicenda, quella di una popolazione con profonde radici storiche nella Libia e che è ben diversa da quella degli altri. La modesta tenda beduina allestita nel giardino di villa Doria Pamphili non poteva accogliere i quasi duecento ospiti. E così hanno preso posto in un moderno gazebo, tutto acciaio e plastica, montato davanti alla palazzina. Gheddafi è sempre stato un maestro del ritardo e ha accumulato altre due ore da aggiungere alle dodici da quando è arrivato in Italia.
    Non s'aspettava l'applauso che lo ha accolto. E da quel momento è stato uno scambio continuo di saluti in arabo tripolino, di discorsi, invocazioni, ricordi, strette di mano e abbracci. Stava quasi per indossare un berretto, tricolore e le date della sua visita storica a Roma, offertogli da un anziano esule dalla Libia. L'Italia, ha ricordato per l'ennesima volta, ha chiesto scusa ai libici. E lui, il Leader, a sorpresa, si è scusato con gli italiani di Libia. «Noi siamo vittime del colonialismo come lo sono gli italiani mandati in Libia. Noi abbiamo sofferto e voi avete sofferto. Non avete colpe». Poi giù con promesse per il futuro. Gli italiani cacciati nel 1971 erano circa 25 mila e ora loro e i loro figli, fino a oggi banditi dalla Libia, potranno tornare a vedere le loro case, le scuole, i cimiteri.
    «Chi vorrà venire per gestire imprese, per lavorare con noi, avrà la precedenza sugli altri». E la restituzione dei beni confiscati? «Portate i vostri documenti in tribunale e ciò che era vostro vi sarà in qualche modo restituito o sarete compensati». C'è stato un lungo applauso quando Gheddafi ha detto: «So come siete stati accolti e trattati quando siete arrivati in Italia». Ossia, sbattuti in campi e alberghi di fortuna prima di poter trovare spazio nella società. Un altro applauso è arrivato quando, proprio lui che l'altro giorno ha criticato il sistema dei partiti nelle democrazie occidentali, ha sollecitato gli esuli a formare un partito impegnato non si sa bene a fare che cosa. «Io vi sosterrò», la sua garanzia. Le due comunità, italiani di Libia ed ebrei di Libia, sono spaccate al loro interno. Anche perché l'invito di Gheddafi era rivolto a tutti e non alle associazioni che le rappresentano.
    La soddisfazione degli esuli italiani presenti era evidente. Altra storia per gli ebrei. Shalom Tesciuba, leader carismatico della comunità ebraica tripolina e vice presidente della comunità ebraica di Roma, ha fatto consegnare a Gheddafi una lettera per spiegare perché non era presente e per sollecitare la definizione del «risarcimento ai profughi». Un'altra lettera è stata consegnata per conto di Giuseppe Maimon. Chiede la creazione di un comitato scientifico d'ebrei libici e personalità accademiche libiche per studiare insieme la millenaria storia comune.

(Il Messaggero, 14 giugno 2009)

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L'ira dei rimpatriati e la mancata visita degli ebrei tripolini

Nessun esponente dell'Associazione Italiani Rimpatriati dalla Libia (Airl) ha ricevuto un invito per partecipare all'incontro fra il leader libico Muammar Gheddafi e alcuni italiani nati a Tripoli.

Lo rende noto un comunicato dell'Associazione, che sottolinea di «ritenersi umiliata dall'atteggiamento tenuto ancora una volta dal nostro Governo nei suoi confronti». Nell'ambito della ritrovata amicizia tra Italia e Libia, «è deplorevole - nota l'Airl - che non si sia ritenuto necessario inserire nell'agenda ufficiale un incontro con una rappresentanza dei rimpatriati italiani che hanno subito la confisca dei beni e l'umiliazione della cacciata». Per l'associazione, spiega Ortu, è solo «solo l'ultima delle tante mortificazioni subite». L'Airl chiede comunque «al ministero degli Esteri» di entrare in possesso «de discorso del colonnello il quale, al di là delle manifestazioni di amicizia verso i presenti, avrebbe fatto anche rivelazioni scioccanti sulle modalità della nostra espulsione». A rifiutarsi, invece, di vedere il Colonnello sono stati gli ebrei romani. Gheddafi si è visto consegnare una lettera a firma di Shalom Tesciuba, leader carismatico della comunità ebraica tripolina e vice presidente della comunità ebraica di Roma. Nel testo è stata riportata tutta la storia di come Gheddafi ha allontanato gli ebrei dalla Libia e la richiesta di un tavolo tra ebrei libici e il Colonnello per definire i risarcimenti ai profughi.

(Il Tempo, 14 giugno 2009)

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L'ira degli ebrei romani

di Marco Innocente Furina

“Questa visita è un insulto. Il viaggio di Gheddafi in Italia si sta risolvendo in un tour penoso, che per il nostro Paese si è rivelato un fallimento politico e economico. E anche Berlusconi non lo riconosco più”. Riccardo Pacifici è scosso. Il presidente della Comunità ebraica romana cerca di controllare la voce, di parlare con calma, ma ci riesce solo a tratti. Non quando rievoca la fuga precipitosa degli ebrei libici nel '67 o l'attentato di un commando di terroristi palestinesi nell'82 alla sinagoga di Roma. Nell'agguato rimasero uccisi due bambini e furono ferite 43 persone, fra cui il padre di Pacifici. Uno dei terroristi, dopo varie peripezie, fu consegnato dalla Grecia alla Libia, e da allora non se ne è saputo più niente. Il presidente della Comunità ebraica romana si sente quasi tradito, non si capacita di come "l'Italia, il Governo, questo Governo che è quello che forse nella storia repubblicana vanta le migliori relazioni con Israele, possa aver lasciato libero Gheddafi di visitare tutti i luoghi più sacri della democrazia, insultando la democrazia”. Sull'incontro richiesto dal Colonnello con la Comunità ebraica romana per oggi, sabato, shabbat, giorno sacro, in cui gli ebrei devono evitare ogni impegno, dice: “Non nutro alcuna speranza che si faccia”.

    Presidente, anche lei pensa che quella dell'incontro sia stata solo una provocazione?
    Più che una provocazione è uno schiaffo. Per una richiesta del genere nutro solo disprezzo. Mi sento offeso da uomo, da ebreo, da cittadino italiano. Qui il problema supera la questione religiosa. Questa visita è stata un'umiliazione. Come si può accettare di sentire deridere le istituzioni repubblicane da un uomo che non rispetta la democrazia, i diritti umani, le donne? Guardi cosa è stato capace di dire al Campidoglio: uno sberleffo. Alla nostra storia di italiani democratici, ai padri costituenti, alla Costituzione, di un Paese, certo litigioso, certo diviso, ma democratico.

    Ma se alla fine questo incontro dovesse avvenire, magari un altro giorno, cosa fareste?
    Dia retta a me, l'incontro non si farà. Ma sarei ben felice di essere smentito. Per dirgli in faccia, da uomini liberi, cosa pensiamo. E dopo tutto quello che è avvenuto sarebbe un riscatto. Abbiamo già pronta una lettera con le nostre richieste.

    L'annosa questione dei risarcimenti agli ebrei libici cacciati tra il '67 e il '70?
    
Sì, anche se occorre una precisazione. La storia degli ebrei libici è in parte diversa da quella degli italiani che vivevano in Libia. Gli ebrei cominciarono a fuggire dal Paese africano prima degli italiani, subito dopo la guerra dei sei giorni. Fuggivano dai pogrom, fuggivano dalla morte sicura. Imbarcandosi sulle navi per l'Italia con nient'altro che paura, nostalgia e una valigia. Questi ebrei libici trovarono in Italia la patria che li ha accolti e integrati.

    Gheddafi dice di non riconoscere i misfatti del governo precedente alla sua Rivoluzione…
    
Tesi interessante. All'Italia repubblicana chiede miliardi per i danni del colonialismo dello Stato liberale e del fascismo, mentre lui non riconosce il governo di Re Idris di pochi anni prima. Il principio della continuità dello Stato vale solo per l'Italia. Per lui vale una sola continuità: lo sfruttamento dei pozzi di petrolio…

    Il petrolio, è per questo che il Governo è stato così accondiscendente nei confronti del leader libico?
    
Berlusconi non lo riconosciamo più. Non è il Berlusconi che ha sostenuto Israele, che si è impegnato per far annoverare Hamas tra le organizzazioni terroristiche. Un'umiliazione. Che però non può giungere fino ad accettare che Gheddafi salga in cattedra a darci lezioni di democrazia.

    Presidente, però non può negare che in questa visita italiana Gheddafi abbia pronunciato delle parole importanti: sui diritti delle donne e sulla lotta al terrorismo.
    
Se sulla lotta al terrorismo Gheddafi fosse sincero ci direbbe dove si nasconde Al Zomar, un palestinese che nell'82 uccise due bambini colpevoli solo di essere ebrei davanti alla sinagoga di Roma. Vuole davvero combattere il terrorismo internazionale? Lo rimandi in Italia, lo attende una condanna. All'ergastolo.

(Il Riformista, 13 giugno 2009)

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Italia-Libia - Arabi a Gheddafi: Hai offeso le donne e l'Italia

Ondata di condanne per il comportamento e le parole del rais libico

E' una condanna plebiscitaria quell'opinione pubblica araba contro le parole e il comportamento tenuto dal leader libico Muammar Gheddafi durante la sua visita in Italia. Si contano a centinaia i messaggi di protesta dei lettori dei siti arabi, come quelli delle maggiori tv arabe, al Jazeera e al Arabiya, oltre a quelli dei principali quotidiani come al Quds al Arabi. A fare irritare di più è stato il paragone con "un pezzo di mobilio" che il colonnello ha usato per definire la donna secondo gli uomini arabi. "Vergogna" è la parola più usata dalla maggioranza dei contributi: "Vergognati per avere offeso le donne giordane, algerine, irachene e palestinesi che ogni giorno si comportano con eroismo e dedizione superiori mille volte a te e alle donne dellatua guardia del corpo", scrive ad al Quds al Arabi, Ahmed Ismail al Muafi con una lettera indirizzata al "leader unico", Gheddafi. Non manca chi estende il senso di "frustrazione" al grave ritardo del leader arabo all'appuntamento con il presidente del parlamento, Gianfranco Fini, come Mohammed al Badru: "Quello che è successo è una grave offesa alle istituzioni italiane". "Ritardo per la preghiera del venerdì?", si domanda Mohammed sul sito della tv al Arabiya: "Ma quei capoccioni al suo seguito che ci stanno a fare, se non riescono nemmeno a programmare il tempo del loro fratello guida?". Ma quale programma, obbietta il nick name 'l'iracheno' scrivendo ad al Arabiya, "quello lì (riferito al colonnello) è una persona incivile che ci ha fatto ridere dietro da tutta l'Europa". Giusto, "gli europee hanno ragione a non portare a noi arabi alcun rispetto, visto il campione che abbiamo inviato loro", è invece il parere, di 'un egiziano originale' al quale dà ragione 'Said, un simpatizzante libico' che dice di sentire "vergogna per essere arabo". Ma poi, obbietta un terzo, "se dice che gli arabi trattano le donne come un pezzo di mobilia, allora, lui che è cosi illuminato, perché non vieta la poligamia nel suo paese?". Ma quale vergogna, argomenta un lettore di al Jazeera: "la verità è che gli occidentali guardano solo ai loro interessi e per il petrolio libico gli italiani sono disposti ad accogliere come un trionfatore anche un pazzo vestito da pagliaccio come il nostro fratello leader".

(Apcom, 13 giugno 2009)

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Israele, ora va intensificato il contrasto al nucleare di Teheran

ROMA, 13 giu - L'annuncio del governo iraniano circa la vittoria di Ahmadinejad alle elezioni presidenziali e' stato accolto in Israele con preoccupazione, anche se, ha affermato il viceministro degli Esteri israeliano, Dany Ayalon, ''noi non ci siamo mai fatti illusioni poiche' non c'erano differenze sostanziali fra i candidati sui temi del terrore e del nucleare''. In ogni caso, ha sottolineato, la comunita' internazionale deve ora intensificare la sua azione per contrastare ''immediatamente'' i programmi nucleari di Teheran. Ed ha aggiunto: ''Se anche ci fosse stata un'ombra di speranza, la rielezione di Ahmadinejad (considerato il nemico numero uno dello Stato ebraico - ndr) e' giunta a dimostrare una volta di piu' la crescente minaccia rappresentata dal'Iran''.

(ASCA, 13 giugno 2009)

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Venezia - Niente nomi arabi agli approdi

VENEZIA - Il Canal Grande in versione araba? Comune e Actv rispondono picche. L'artista palestinese che partecipa alla Biennale, Emily Jacir, aveva avanzato la richiesta, quattro mesi fa, di tradurre i nomi degli approdi della linea 1 lungo il Canal Grande anche in arabo. Insomma, affiancare alla versione veneziana-italiana una più orientaleggiante. Questo perché la vincitrice del Leone d'Oro alla precedente edizione della Biennale voleva lanciare un segnale alla città frequentata quotidianamente da centinaia di turisti. Venezia, del resto, da sempre ha rapporti con il mondo arabo, i cui segni sono tangibili ancora tutti i giorni, dall'architettura all'artigianato. In pratica, un progetto di pace sotto forma di viaggio a tappe. Ma a Ca' Farsetti e dall'azienda di navigazione arriva la bocciatura unanime alla richiesta. Il motivo? «Inopportunità - fanno sapere da entrambe le parti - dovuta alla scelta di un solo alfabeto straniero». Come dire: perché in arabo sì e no in cinese, giapponese, indù? Ma pare anche che la richiesta fosse arrivata in un momento in cui i rapporti erano particolarmente tesi tra Palestina ed Israele. Quindi la domanda di trascrizione delle fermate in arabo aveva suscitato qualche imbarazzo, oltre che a molte perplessità. Di quila decisione, concorde, di dare parere negativo alla proposta.

(Il Gazzettino.it, 13 giugno 2009)

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Sondaggio Israele: per il 56% Netanyahu deve opporsi alla richiesta di Obama

Quasi sei israeliani su dieci ritengono che il primo ministro Benjamin Netanyahu dovrebbe opporre la sua resistenza alla richiesta degli Stati Uniti di fermare definitivamente la politica coloniale dello stato ebraico.
E' quanto emerge da un sondaggio dell'Istituto Maagar Mohot, pubblicato oggi. Il 56 per cento delle persone intervistate ha spiegato che Netanyahu non dovrebbe dare il suo assenso alla richiesta americana di bloccare la costruzione degli insediamenti. Di parere contrario il 37 per cento degli interpellati.
Il sondaggio è stato compiuto intervistando 503 israeliani ed ha un margine di errore di 4,5 punti percentuali.

(Clandestinoweb, 13 giugno 2009)

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Visite guidate alla Sinagoga di Cherasco

Fino al 1 novembre 2009 la settecentesca Sinagoga apre le sue porte per visite guidate. I visitatori saranno accompagnati alla scoperta della storia, della cultura e delle tradizioni della comunità ebraica che nel corso dei secoli è vissuta nella cittadina di Cherasco, ammirando un piccolo gioiello recentemente restaurato e ricco di suggestioni. L’annessa mostra fotografica 'Vita e cultura ebraica', che espone scatti del fotografo Giorgio Avigdor, consentirà inoltre di scoprire e conoscere la storia degli ebrei piemontesi e uno straordinario patrimonio culturale costituito dalle splendide e spesso antiche Sinagoghe presenti nel territorio della Regione....

(Porter, 13 giugno 2009)

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Israele: creato un serpente-spia telecomandato che si infila nella fogna per spiare il nemico

Potrebbe sembrare l’idea per un nuovo giocattolo robotizzato, ma il serpente-spia telecomandato ha ben poco di ludico. Per infiltrarsi oltre le linee nemiche, ed in particolare in ambienti di difficile accesso come i comandi o i bunker, Israele ha messo a punto un robot telecomandato dalla forma di un serpente che è in grado di strisciare sul terreno come un rettile e anche di passare nella rete fognaria.
    Anche per usi civili - Dotato di telecamere e di microfoni, il serpente-spia fornisce informazioni tattiche dettagliate alle unità israeliane che operano nelle sue vicinanze ed è anche in grado di trasportare ordigni che possono essere attivati, in caso di bisogno. Il serpente telecomandato può essere utilizzato anche a fini civili: ad esempio per ricercare superstiti sotto le rovine in zone terremotate.
    Azioni di guerra - I dettagli sulla nuova arma sono stati diffusi dalla televisione commerciale israeliana, Canale 2, secondo cui finora sono stati messi a punto solo primi prototipi. In futuro i serpenti-spia potrebbero essere utilizzati, secondo la emittente, per sorprendere nelle loro basi i miliziani palestinesi di Hamas o i libanesi Hezbollah.
    I commenti di Hamas - L’emittente ha aggiunto che le informazioni da lei divulgate in merito, nei giorni passati hanno attirato la attenzione del braccio armato di Hamas, Brigate Ezzedin al-Qassam. "Sapevamo da tempo che gli israeliani sono simili a serpenti - ha scritto un commentatore di Hamas - e adesso ne abbiamo la conferma". Secondo l’emittente il serpente-spia israeliano sta peraltro destando interesse in diversi eserciti al mondo.

(Tiscali, 12 giugno 2009)

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Gli ebrei di Roma rifiutano l'incontro con Gheddafi

La comunità ebraica di Roma si rifiuta di incontrare il leader libico Gheddafi - come racconta Riccardo Pacifici ai microfoni di Agr - perché la data fissata da Tripoli è un sabato, giorno sacro per gli ebrei, e perché ci sono ancora contenziosi sui territori confiscati dalla Libia durante la rivoluzione agli ebrei poi fuggiti a Roma.
Ma un altro ostacolo è il caso mai risolto dell'estradizione in Libia di Osama Al Zomar, l'attentatore della sinagoga di Roma che agì nel 1982 e nel quale morì un bimbo italiano di 3 anni.

(il salvagente.it, 12 giugno 2009)

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Gli Ebrei libici non vedono Gheddafi

ROMA, 12 giu. - La comunità ebraica libica di Roma conferma che non vi sarà alcun incontro ufficiale con il colonnello Gheddafi, ma chiede al presidente del Consiglio Berlusconi di occuparsi "finalmente" dei loro interessi. Il capo di Stato libico aveva prospettato un incontro per sabato, giorno sacro per gli ebrei ('shabbat'), e la comunità ebraica capitolina aveva domandato - senza ottenere risposta - di cambiare data. "La nostra comunità - afferma in un comunicato Raffaele Sassun, esponente della comunità degli ebrei di Libia - ha scelto di non cavalcare critiche e polemiche, perché consapevole che in occasioni come questa gli interessi nazionali hanno la priorità rispetto a quelli, seppur legittimi e fondamentali, di una comunità. Tuttavia chiediamo che, una volta esaurito il clamore, il Presidente Berlusconi voglia finalmente occuparsi anche di noi e dei nostri diritti, poiché anche noi siamo Italiani e non meno dei nostri connazionali". Esplusi dalla Libia nel 1967, gli ebrei tripolini ricordano di aver lasciato nel paese nord africano case, imprese e crediti, che chiedono al Governo di porre sul tavolo dei negoziati con la Libia di Gheddafi.

(Apcom, 12 giugno 2009)

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Gheddafi a Roma: rabbino capo di Trieste, non incontrero' leader libico di sabato

ROMA, 12 giu - "Non incontrerò mai di sabato Muammar el Gheddafi. Assolutamente no": così il rabbino capo della Comunità ebraica di Trieste, Itzhak David Margalit, ha commentato l'incontro fissato per domani, a Roma, dall' ambasciata libica con gli esponenti della comunità ebraica tripolina e italiana. "Io non parteciperò. Lo dico diplomaticamente: è una dimostrazione di mancanza di sensibilità - ha affermato Margalit - prima di convocare l'incontro sarebbe stato opportuno contattare le autorità ebraiche". "Perchè - ha sottolineato Margalit - la nostra religione, il Signore, lo impedisce. Chi parteciperà, per due minuti di passaggio televisivo - ha evidenziato Margalit - non rappresenterà più gli ebrei e le istituzioni ebraiche".

(IRIS press, 12 giugno 2009)

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Italia-Libia; Ebrei romani: Fini ha riscattato onore dell'Italia

"Siamo un paese schiavo della Libia e del suo petrolio"

ROMA, 12 giu. - Annullando l'appuntamento a Montecitorio con il leader libico Gheddafi a causa del ritardo di quest'ultimo, Gianfranco Fini "ha riscattato l'onore dell'Italia", secondo il presidente degli ebrei romani Riccardo Pacifici. "Fini è il primo che, rompendo il protocollo, ha fatto rispettare, più che la sua persona, l'Italia tutta", afferma Pacifici interpellato per un commento a caldo. "Questa tre giorni è stata caratterizzata da tanti ritardi, voluti o non voluti, che denotavano un disprezzo totale da parte di questo personaggio. Peccato - prosegue Pacifici - perché poteva essere l'occasione per dimostrare all'opinione pubblica internazionale che aveva cambiato opinione e voleva collaborare con la comunità internazionale ad un nuovo corso. Ma tutto quello che Gheddafi ha detto fino a oggi ha mostrato che nulla è cambiato e che gli scettici, come noi, avevano effettivamente ragione". "Siamo un paese schiavo della Libia e del suo petrolio", afferma Pacifici a commento degli onori riservati in questi giorni a Gheddafi dalle istituzioni italiane.

(Apcom, 12 giugno 2009)

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Due ragazzi dialogano nel mare di Gaza

RIMINI - È un giorno normale a Gerusalemme: un attentato, sei morti, la notizia riportata alla televisione… Una ragazza israeliana non si abitua all’orrore e comincia a scrivere. Scrive messaggi a un ragazzo palestinese, che le risponde.
In una bottiglia nel mare di Gaza Valérie Zenatti (nella foto) racconta il conflitto israeliano-palestinese agli adolescenti attraverso gli occhi degli adolescenti stessi.
La scrittrice presenterà il suo romanzo (pubblicato in Italia da Giunti) al festival “Un mare di libri” a Rimini domani alle 16.30 (Musei Comunali-Lapidarium).
“Una bottiglia nel mare di Gaza”, vincitore del Prix Tam-Tam/Je bouquine 2005, è un successo editoriale in Francia ed è stato tradotto in Germania, Regno Unito, Spagna, Polonia, Corea, Messico. Valérie Zenatti è nata a Nizza nel 1970 in una famiglia ebrea ed è emigrata in Israele all’età di 13 anni. Dal 1988 al ’90 ha fatto il servizio militare ed è tornata in Francia per completare gli studi (di Storia ed Ebraico) prima e per insegnare poi. Dal 1999 è a tutti gli effetti una della autrici per ragazzi più conosciute in Francia. È inoltre la traduttrice in lingua francese dello scrittore Aaron Appelfed.

(Il Resto del Carlino, 12 giugno 2009)

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Il Centro. La notizia sfocia nel ridicolo

Ripresa da altri organi di stampa nazionale ed estera, anche sul quotidiano locale abruzzese di oggi, 11 giugno 2009, si legge che, in vista delle imminenti elezioni in Iran (nelle quali sono stati ammessi solamente 4 candidati su quasi 500 aspiranti concorrenti n.d.r.) il presidente Ahmadinejad, noto negatore dell’Olocausto, “può contare fin d’ora sul voto della maggioranza degli ebrei di casa sua, in vista delle elezioni di venerdì”. La bizzarra notizia riportata a pag. 23 da Il Centro appare oltre che tendenziosamente diffamatoria nei confronti dei circa 25.000 ebrei superstiti (in quanto, per loro fortuna, durante la seconda guerra mondiale c’erano gli inglesi a sud ed i russi a nord) in territorio persiano, anche non correttamente rappresentativa delle infinite sofferenze, condizionamenti e soprusi che costoro subiscono quotidianamente in Iran (ad esempio non possono fare il servizio militare, hanno la preclusione a posti di rilievo nelle istituzioni e se uno di loro si converte all’Islam eredita tutti i beni a discapito degli altri parenti che sono rimasti fedeli alla loro originaria fede ebraica). Solo premettendo questo si capisce perché un ebreo iraniano intervistato da qualche giornalista o da qualche agenzia di sondaggi (!) dichiari pubblicamente di votare per il presidente Ahmadinejad.

(Abruzzo Liberale, 11 giugno 2009)

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Dal processo su morte Ilan affiora un profilo agghiacciante della Francia. Macelleria islamica

Oltre a quanto già riferito nei giorni scorsi da Abruzzo Liberale, dal processo in corso a Parigi emergono ulteriori dettagli sull’efferato omicidio di Ilan Halimi, il giovane ebreo francese torturato e seviziato per tre settimane da una banda di giovani musulmani. Infatti, nonostante il velo di silenzio dei media francesi per non urtare la “sensibilità” della comunità musulmana delle periferie, sta venendo a galla che molti abitanti della zona, prevalentemente musulmani, dove Ilan era sequestrato, fossero a conoscenza di quanto stava accadendo in quei giorni. La Francia non è nuova a questo feroce antisemitismo islamico che germina all’interno delle sue folte comunità musulmane. Sei anni fa, Sebastien Selam, un dj di Parigi di 23 anni, uscito dall’appartamento dei genitori per andare al lavoro, venne aggredito nel garage del parcheggio dal vicino musulmano Adel, che gli taglio la gola due volte, quasi decapitandolo, squarciandogli il volto e cavandogli gli occhi. Dopo la mattanza, Adel corse sulle scale del condominio, grondando sangue, urlò: “Ho ucciso il mio ebreo. Andrò in paradiso”. Nella stessa città, in quella stessa sera, un’altra donna ebrea veniva assassinata, in presenza della figlia, da un altro musulmano. Coincidenze. Torniamo al processo sulla morte di Ilan: Youssouf Fofana, il capo dei cosiddetti barbari, all’inizio del processo entrò in aula con il sorriso, alzò un pugno verso l’alto e trionfante gridò: “Allah vincerà”. Ha ragione!

(Abruzzo Liberale, 11 giugno 2009)

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Gheddafi consegni il responsabile dell'attentato alla sinagoga di Roma

Si trova in Libia il responsabile dell'attentato che nel 1982 uccise Stefano Gaj Tache', di soli due anni

«Trovo scandaloso che a un personaggio del calibro del Colonnello Gheddafi sia permesso di parlare nella sede del Senato della Repubblica. Perché è vero che con la Libia sono in essere trattati commerciali e di cooperazione, ma è altresì vero che il leader libico è da anni al centro di polemiche mai sopite circa l'assenza totale di opposizione e dibattito politico nel suo paese, un paese che, pur essendo stato nominato paradossalmente dall'Onu alla Presidenza della Commissione per i Diritti Umani e dell'Unione Africana, non ha ancora firmato nessuna convenzione internazionale per il rispetto dei diritti umani.
Un paese che, pur avendo preteso dall'Italia un congruo risarcimento per i danni causati dall'occupazione italiana in Libia, non si è ancora posto il problema di risarcire centinaia di migliaia di esuli italiani ed ebrei, spogliati di ogni bene e vittime della sanguinaria persecuzione operata dal suo regime.
Un paese dove, la polizia esercita orribili persecuzioni e violenze nei confronti di quanti, in fuga dall'Etiopia e dall'Eritrea transitano via terra attraverso il deserto tra Sudan e Libia in cerca di salvezza. Parliamo di sopraffazioni, commercio di esseri umani e violenze sessuali su donne indifese, come raccontato nel film documentario 'Come un uomo sulla terrà'.
Ci spieghi il Colonnello Gheddafi come intende mantenere fede agli impegni presi con il governo italiano, e, vista la sua disponibilità a collaborare contro il terrorismo di matrice islamica, consegni alle autorità italiane il responsabile dell'attentato alla Sinagoga di Roma del 1982 estradato dalla Grecia, condannato da un tribunale italiano ed attualmente presente in Libia».

Carla Di Veroli
Assessore Politiche Relazioni Internazionali ed Interculturali del Municipio Roma XI

(L’ideale, 11 giugno 2009)

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Pesaro: Riapre il percorso della cultura ebraica

PESARO - Riaprirà oggi pomeriggio il percorso di visita composto dalla sinagoga di via delle Scuole e dal cimitero ebraico sul colle San Bartolo.
Entrambe saranno visitabili gratuitamente ogni giovedì dei mesi di giugno, luglio e agosto.
I visitatori della sinagoga troveranno allestita al piano terra la mostra '1938-1945 La persecuzione degli ebrei in Italia': 38 pannelli articolati in 15 sezioni tematiche - dove convivono testi, foto, libri, giornali e documenti privati che ricostruiscono con impostazione scientifica le vicende subite dagli ebrei nel Novecento.
In agosto, è prevista inoltre un'apertura eccezionale sabato 15 in occasione della festività: mattino dalle 10 alle 12 e pomeriggio dalle 17 alle 19.

Per informazioni: Servizio Musei del Comune di Pesaro, tel. 0721.387474

(By Marche, 11 giugno 2009)

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È dedicato a Perlasca il Giardino dei giusti di Varese

Il 14 giugno sarà inaugurato il parco in memoria di chi rischiò la vita per salvare i perseguitati dal nazismo. Una stele ricorderà l'uomo che durante la seconda guerra mondiale strappo migliaia di ebrei alla deportazione

Giorgio Perlasca
"Chi salva una vita salva il mondo intero" così recita la scritta, tratta dal Talmud, che sarà incisa sulla targa dedicata a Giorgio Perlasca. Il prossimo 14 giugno si celebrerà a Varese l'inaugurazione del parco a lui dedicato "Il giardino dei giusti" situato in viale Aguggiari, di fronte alla Chiesa Massimiliano Kolbe. L'iniziativa è rivolta alla memoria di quanti sacrificarono o rischiarono la propria vita per aiutare non solo il popolo ebraico ma anche tutti coloro che furono vittime e perseguitati dal nazismo. «È molto importante ricordare a tutti e soprattutto ai giovani di quali atrocità è capace l'essere umano - ha spiegato Bruno Paulillo, capogruppo di Forza Italia nella circoscrizione 3 del Comune di Varese -. Varese è stata sfondo di numerosi episodi legati al nazifascismo, basti ricordare gli insulti antisemiti inneggiati durante la partita contro gli israeliani del Maccabi di Tel Aviv. Quegli eventi hanno macchiato la nostra reputazione, dobbiamo ora impegnarci per mettere una pietra su quel passato indegno». «Quella di Giorgio Perlasca è la straordinaria vicenda di un uomo che nell'inverno del 1944 riuscì a salvare dallo sterminio nazista migliaia di ebrei spacciandosi per console spagnolo - ha ricordato Vitaliano Segna, uno dei promotori di questa iniziativa -. Perlasca scrisse: "Voglio che i giovani si interessassero a questa mia storia unicamente per pensare, oltre a quello che è successo, a quello che potrebbe succedere e sapere opporsi eventualmente, a violenze del genere". Questo è il suo testamento».
Alla cerimonia che inizierà alle 11 interverrà, anche l'on. Enrico Pianetta (Pdl - presidente Comitato interparlamentare d'amicizia Italia Israele) e il consigliere del governo israeliano Leora Hadar. Interverranno inoltre esponenti delle comunità israelitiche di Milano ed è invitata a partecipare anche il ministro Mariastella Gelmini. La stele con la targa commemorativa sarà scoperta da una reduce di Dachau e dal figlio di Perlasca, Franco.

(Varese News, 11 giugno 2009)

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I 100 anni di Tel Aviv

Quest'anno si celebrano i 100 anni di Tel Aviv, e per festeggiare la ricorrenza sono previsti diversi eventi. Tra gli appuntamenti da non perdere, segnaliamo quelli che vedono protagonista la Scala di Milano. In particolare, all'Opera House dal 14 al 22 luglio verrà rappresentata l'Aida, opera verdiana che avrà la direzione di Daniel Barenboim con orchestra, coro e ballo del Teatro alla Scala. Sempre sotto la direzione di Daniel Barenboim, il 16 luglio all'Yarkon Park, dove verrà eretto un palcoscenico simile a quello del teatro milanese, verrà rappresentato il Requiem di Verdi, con la partecipazione di 300 tra musicisti e membri del coro della Scala, e quattro solisti: il soprano Adriana Damato, il mezzo soprano Sonia Ganassi, il tenore Giuseppe Fillianoti e il basso Rena Pape

(Agenzia di viaggi, 11 giugno 2009)

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Seviziano un ebreo Processo a porte chiuse per ossequio all'islam

Il 20 gennaio 2006 il giovane ebreo francese di origine marocchina Ilan Halimi fu attirato da una attraente ragazza in un appartamento della banlieue parigina. Qui fu sequestrato da una banda di giovani musulmani che pretendevano un riscatto da un ebreo che non poteva non essere ricco. Sorpresa: la famiglia era nullatenente.
Per 24 giorni il prigioniero legato e incartato come una mummia fu nutrito con una cannuccia inserita in un taglio praticato nello scotch che lo imbavagliava....

(Libero-news.it, 11 giugno 2009)

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Studenti sul piede di guerra Gli ebrei respingono l'invito

ROMA. Non tutti accoglieranno oggi Gheddafi con lo stesso entusiasmo del governo: la prima volta del colonnello in Italia sarà infatti segnata da una serie di manifestazioni di protesta che scandiranno i tanti appuntamenti della sua visita di quattro giorni. Mentre l'onda studentesca ha già annunciato un'accoglienza "calorosa" al leader libico che dovrebbe parlare all'università la Sapienza domani, ieri Amnesty International ha scritto alle più alte cariche dello Stato per chiedere che «sia messa fine alla cooperazione poco trasparente e priva di garanzie in materia di diritti umani, che ha sinora contraddistinto le relazioni tra Italia e Libia». Parallelamente diverse associazioni di base si sono schierate contro la visita di un leader che «non ha mai rispettato la dignità di ogni essere umano e i diritti universali dei cittadini». Il Cipsi, Coordinamento di Iniziative popolari di solidarietà che raccoglie circa 50 associazioni, ha scritto al rettore dell'università di Sassari per invitarlo a recedere dall'idea di assegnare una laurea honoris causa a Gheddafi. Infine, mentre i collettivi giovanili di Roma protestano per la tenda a villa Doria Pamphili tappezzandola di piccoli manifesti che dicono «no camping, la tenda piantala a villa Certosa», è in atto un piccolo scontro tra gli ebrei romani di origine libica e Gheddafi. Il colonnello li ha invitati nella sua tenda per un colloquio, ma sabato. «Non ci saremo», ha risposto il presidente della Comunità ebraica romana sottolineando che l'invito cade nel giorno del riposo sabbatico.

(La Sicilia.it, 11 giugno 2009)

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La morte non vincerà, Renzo Foa

di Fiamma Nirenstein

Prima di raccontarne una sola, lasciatemi dire quante cose belle potrei ricordare parlando di Renzo Foa: a me colpiva particolarmente il suo garbo, la sua gentilezza, la voce bassa e quieta quando si esercitava in osservazioni molto pungenti e ironiche; mi soddisfaceva il fatto che una domanda a lui non rimanesse mai inevasa; aveva il coraggio e la cultura per concentrarsi e rispondere a tutto, per quanto la questione fosse "overwhelming" come dice Thomas Elliott. Renzo era un amico e un intellettuale eccezionale per coraggio e cortesia....

(l'Occidentale, 11 giugno 2009)

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Israele - La Settimana del Libro

di Sergio Della Pergola

Israele impiega nel settore dell'educazione l'8 per cento del Prodotto interno lordo - la più alta aliquota fra i paesi sviluppati, anche se a causa della più elevata natalità la spesa per alunno è inferiore a quella di molti altri paesi. Anche l'investimento nella ricerca e sviluppo (4,5 per cento del Pil) è in proporzione il più alto al mondo. Le 2.338.650 persone che nel corso di un anno visitano un museo in Israele costituiscono circa il doppio del totale degli spettatori che hanno assistito a una partita del campionato di calcio di Serie A (a dire il vero, piuttosto modesto). Ma per sapere definitivamente se il Popolo del Libro è ancora tale basta aspettare la Settimana del Libro, inaugurata in questi giorni in Israele, e giudicare. Secondo le previsioni, circa metà della popolazione totale (ossia oltre 3 milioni e mezzo di persone) intende visitare i banconi sparpagliati un po' dappertutto nel paese. Oltre due terzi degli israeliani leggono libri regolarmente, il 74 per cento delle donne e il 61 per cento degli uomini. Il 50 per cento legge almeno sei libri l'anno, e la stessa percentuale regala libri a parenti e amici. Il 25 per cento (fra cui il sottoscritto) legge più libri in contemporanea. Il 27 per cento comprano libri fidandosi del nome dell'autore e il 33 per cento seguendo il consiglio di amici. Un terzo dei possibili acquirenti ammette che la congiuntura economica ha influenzato gli acquisti. E Dvir Ifergan, di dieci anni, alunno di quinta elementare a Gerusalemme, ha vinto il premio istituito dal Sindaco per avere letto quest'anno 400 libri, più di un libro al giorno. A casa di Dvir non c'è la televisione [come a casa nostra... ndr].

(Notiziario Ucei, 11 giugno 2009)

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Gheddafi vuole incontrare gli ebrei libici a Roma (di sabato)

LìOccidentale ha pubblicato un articolo apparso sul quotidiano israeliano "Yediot Aharonot" l'8 giugno 2009 riguardante la volontà del leader libico Muammar Qaddafii di tenere un incontro di riconciliazione con la leadership della comunità di ebrei d'origine libica che vive in Italia.

Il leader libico Muammar Qaddafi (Muammar Gheddafi, Ndr) vuole tenere un incontro di riconciliazione con la leadership della comunità di ebrei d'origine libica che vive in Italia.
Dopodomani Qaddafi è atteso a Roma per una visita storica di quattro giorni. Yediot Aharonot è venuto a sapere che nell'ambito della visita, il leader libico vuole incontrare la rappresentanza degli ebrei d'origine libica in Italia. La data proposta per l'incontro da parte dei libici: sabato prossimo. Per organizzare l'incontro, i libici chiedono l'aiuto del Ministero degli Esteri italiano e del suo capo, il Ministro degli Esteri Franco Frattini.
Shalom Tesciuba, vice presidente della comunità ebraica di Roma e leader della comunità dei libici a Roma, ha fatto sapere che "gli ebrei libici e gli ebrei di Roma non abbasseranno la testa e non dissacreranno il sabato. Se non sarà concordata un'altra data, l'incontro non avverrà".
Pertanto, stamattina dovrebbe tenersi una riunione della rappresentanza dei libici con l'Ambasciatore di Libia in Italia, che è responsabile della visita. L'incontro servirà agli ebrei libici per capire se Qaddafi sia interessato all'incontro per scopi propagandistici oppure se egli intende procedere per trovare una soluzione alla questione del risarcimento chiesto dagli ebrei libici per i loro beni espropriati all'atto della loro espulsione dalla Libia alla fine della Guerra dei Sei Giorni.
Il Governo italiano ha fatto sapere ai libici che intende difendere i diritti dei propri cittadini ebrei d'origine libica.
Nel prossimo mese Qaddafi sarà nuovamente in Italia, questa volta per il G8, che si riunirà all'Aquila, recentemente colpita da un grave terremoto. Qaddafi si è già rivolto agli organizzatori, chiedendo la loro assistenza nell'organizzare un incontro tra lui ed il Presidente americano Barack Obama. Si valuta che il suo incontro con gli ebrei possa essergli utile in un tale incontro.

(l'Occidentale, 10 giugno 2009)

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Problemi e interrogativi sull'incontro con Gheddafi. Pacifici: "Ma il leader libico fa sul serio"?

ROMA, 9 giu - "Ma il colonnello Gheddafi vuole veramente incontrare gli ebrei romani di origine libica, oppure no"? Il Presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici ha manifestato i suoi dubbi sulla reale volontà dell'incontro da parte del leader libico che aveva invitato una delegazione indicando che questo avvenimento avrebbe potuto aver luogo durante la giornata del sabato. Già Shalom Tesciuba, vicepresidente della Comunità romana e esponente di spicco della folta Comunità degli ebrei romani di origine libica che avrebbe dovuto guidare la delegazione, aveva detto nei giorni scorsi che non sarebbe stato possibile un incontro di sabato. "Guardiamo - ha spiegato Pacifici - con grande attenzione e rispetto a questo incontro, ma non vorrei, come sostengono alcuni, che sia una scelta deliberata tesa ad umiliare gli interlocutori. Tra l'altro voglio ricordare che Tesciuba è responsabile di una sinagoga romana". Pacifici ha anche ricordato che c'è un contenzioso con la Libia di Gheddafi, ovvero le implicazioni dell'attentato del 1982 alla Sinagoga di Roma nel quale perse la vita il bambino Stefano Gay Taché e furono ferite molte persone (tra cui lo stesso padre del Presidente della Comunità). "Per questo - ha detto ancora - pongo una domanda che mi auguro vorranno avanzare anche le autorità italiane: che fine ha fatto il terrorista Al Zomar, implicato in quell'attentato, e che, arrestato in Grecia, fu consegnato libero ai libici invece che all'Italia dove era ricercato per un condanna in contumacia all'ergastolo nel 1988? Chi erano gli altri del commando e chi i complici in Italia di quell'attentato? Ha intenzione di riconsegnarlo all'Italia e di condividere la battaglia contro il terrorismo?".

(Notiziario Ucei, 10 giugno 2009)

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Gheddafi: giovani ebrei, inopportuno il discorso al senato

"Risulta inopportuna la presenza e il discorso del leader libico Gheddafi, accolto come un premier democratico ed illuminato dal Senato della Repubblica". Lo dichiara Daniele Nahum, presidente dell'Unione Giovani Ebrei d'Italia, che continua: "Sarebbe stato invece utile ascoltare le voci mai ascoltate dalla politica e dalla societa' dei tanti dissidenti e dei tanti esuli che nel corso dei decenni sono stati costretti a fuggire da una dittatura feroce e sanguinaria. Per questo chiediamo ai capigruppo che siano proprio gli esuli a parlare al posto di Gheddafi". "Lezioni di democrazia e rispetto, il nostro Paese, non le puo' prendere da un dittatore", conclude Nahum, "che all'Italia deve ancora molte risposte a molti quesiti che nell'arco della storia sono entrati in un grande cono d'ombra".

(la Repubblica, 10 giugno 2009)

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Gli ebrei iraniani? Votano Ahmadinejad

Sindrome di Stoccolma, pragmatismo o, più semplicemente, desiderio di non mettersi contro i poteri forti di Teheran? Sta di fatto che, quando uno legge che la maggioranza dei 25mila ebrei iraniani voterà per Ahmadinejad nelle presidenziali di venerdì, un brivido gli corre lungo la schiena. E pensa ai fetentissimi kapò al servizio dei carcerieri hitleriani: cittadini ebrei normalissimi che nei lager si trasformavano in aguzzini per assecondare i diktat dei loro padroni e avere salva la vita. Poi ci riflette sopra e capisce che le cose, in realtà, sono un po' più complesse. Anche perché la fonte di questo sondaggio casereccio tra i sefarditi iraniani non è l'ufficio stampa dei Guardiani della Rivoluzione, ma un quotidiano israeliano, Ynet, che ha passato gli ultimi giorni a intervistare alcuni esperti super-partes dello Stato d'Israele.
Uno di questi, il portavoce dell'Organizzazione centrale degli immigrati iraniani in Israele, David Mutai, sostiene che Ahmadinejad è un cane che abbaia ma non morde, mentre il suo principale rivale, Mir Hosein Mousavi, molto amato tra i giovani e i riformisti iraniani, è "imprevedibile" e per questo realmente più pericoloso per gli ebrei. "Sarà un voto per il male minore. In questi quattro anni - ha spiegato Mutai - il presidente iraniano ha infiammato la sua gente e reso furibonde le nazioni del mondo. Ma si conosce ciò che dice e ciò che poi in effetti fa, mentre Mousavi rappresenta l'ignoto e la preoccupazione è che invece di parlare possa agire".
Dello stesso parere di Mutai, è anche David Menashri, direttore del centro di studi iraniani dell'università di Tel Aviv secondo il quale il motivo di questa scelta, da parte degli ebrei iraniani, è un altro. Ovvero: mai mettersi contro l'establishment politico, come ha insegnato (agli ebrei) la storia secolare delle persecuzioni. "Preferiscono mantenere un profilo basso e non avere a che fare con la politica interna e le lotte di potere. Per questo sostengono chi vince". Come dire: non svegliare il cane che dorme (o abbaia). E tenersi buono chi comanda. Anche questa, in fondo, è saggezza yiddish.

(Panorama, 10 giugno 2009)

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Guardia costiera: domani a Roma commemorazione dell’ammiraglio Ascoli

ROMA, 10 giu. (Adnkronos) - Sara' commemorato domani alle 11 presso la sala del centro bibliografico dell'Unione delle Comunita' Ebraiche Italiane di Roma alla presenza dell' Avvocato Renzo Gattegna, Presidente dell'Ucei, del Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni e del Comandante Generale delle Capitanerie di porto - Guardia costiera, Ammiraglio Raimondo Pollastrini, il cinquantesimo anniversario della morte dell'Ammiraglio Aldo Ascoli, primo Comandante Generale del Corpo dell'Italia liberata. Nel 1938 l'Ammiraglio Ascoli, a seguito delle leggi razziali, fu messo in congedo assoluto e dovette interrompere di fatto una brillante carriera. Dopo l' 8 settembre del '43 fu richiamato in servizio dal Governo Badoglio, con l'incarico di Comandante Generale delle Capitanerie di porto.
Le ricerche svolte dall'ufficio storico del Comando Generale presso gli archivi della Marina e del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, hanno permesso di valorizzare questa figura esempio di assoluta dedizione alle istituzioni. Importante il contributo dei famigliari, l'anziana figlia Paola Ascoli e il nipote avvocato Andrea Barone, presenti alla celebrazione. Nell'occasione il professor Bruno Di Porto, docente di storia contemporanea all'Universita' di Pisa, terra' una conferenza sull'effetto delle leggi razziali nei confronti degli appartenenti alle Forze Armate italiane.

(Libero-news.it, 10 giugno 2009)

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Il dialogo tra Obama e i Fratelli musulmani è un segno di pace o di resa

di Giulio Meotti

ROMA. Prima dell'ambizioso viaggio al Cairo, Barack Obama ha incontrato a Washington importanti esponenti dei Fratelli musulmani. Su richiesta esplicita della Casa Bianca, a sentirlo parlare al Cairo c'erano anche undici rappresentanti della fratellanza islamica, un fatto assolutamente nuovo per gli Stati Uniti. "Obama è pronto ad adottare la violenza, non l'ideologia islamista, come discriminante nell'attitudine americana verso simili organizzazioni", si legge in un'analisi appena uscita sul sito Internet dei Fratelli, Ikhwanweb. In Europa i Fratelli musulmani, che sono anche il movimento più diffuso nelle moschee italiane, lavorano già oggi con il governo inglese, olandese e francese sui temi dell'integrazione. A Washington numerosi analisti, fra cui Fareed Zakaria su Newsweek, suggeriscono da tempo a Obama di cancellare la messa al bando non scritta nei confronti della storica organizzazione islamista, che si interseca con la clandestinità fondamentalista, che predica la distruzione di Israele e lavora per l'espansione della sharia in tutto l'occidente.
    Dall'ideologia dei Fratelli musulmani, nati nel 1928 in Egitto e ancora oggi fuorilegge al Cairo, sono nati gruppi terroristici come al Jamaa al Islamiya e Hamas, presenti sulla lista nera di Washington e Bruxelles. Nel maggio di due anni fa, il Foglio per primo intercettò un simile mutamento all'interno della diplomazia americana. Allora la discussione fu avviata da due studiosi del Nixon Center, Robert Leiken e Steven Brooke, che sulla rivista Foreign Affairs pubblicarono il saggio "The moderate muslim brotherhood". I due chiesero al dipartimento di stato di avviare il dialogo con la fratellanza sulla base della sua "evoluzione non violenta". Ma Zeyno Baran, analista della Hoover Institution e collaboratrice dell'Herald Tribune, liquida così ogni tentativo di dialogo con i Fratelli: "Per loro il Corano non è fonte di legge, è l'unica fonte. La fratellanza crea una quinta colonna per indebolire i sistemi occidentali. La Fratellanza ritiene necessario diffondere concetti islamici che rigettano la sottomissione e incitano alla lotta".
    Il primo consigliere di Obama per i Rapporti con il mondo islamico, Mazen Asbahi, si dimise quando emersero i suoi legami con la Fratellanza islamista. "Gli Stati Uniti devono considerare quando e come parlare con movimenti politici che hanno un consenso pubblico sostanziale e hanno rinunciato alla violenza, i Fratelli musulmani potrebbero essere in questa categoria", è scritto in un rapporto del The Project on U.S. Engagement with the Muslim World. Ne fa parte Dalia Mogahed, il primo velo islamico della Casa Bianca. Egiziana di nascita a capo del Gallup Center for Muslim Studies e tra le massime sostenitrici del dialogo fra Washington e lo storico movimento islamista, oggi Mogahed è a capo dell'Advisory Council on Faith-Based and Neighborhood Partnerships voluto da Obama. Laurea in Ingegneria e master in Business administration, Dalia è vicina alla Muslim American Society, l'organizzazione storicamente affiliata alla Fratellanza musulmana. Appena scelta da Obama come consigliera alla Casa Bianca, Dalia ha rilasciato una lunga intervista a Islamonline, il sito internet dello sceicco Yusuf al Qaradawi, che della Fratellanza è il guru e che sintetizza così il programma del movimento in occidente: "La conquista non sarà con la spada, ma con il proselitismo". Anche l'altro membro islamico del board obamiano sulla fede, Eboo Patel, è legato al Council on American Islamic Relations, organismo finanziato dai sauditi e legato ai Fratelli.
    Ad aprile Obama ha visitato la Turchia per partecipare all'Alleanza delle civiltà, un forum vicino ai Fratelli musulmani con affiliazioni europee e americane, del cui board fa parte John Esposito, il mentore di Dalia Mogahed, l'islamologo della Georgetown University che da anni sostiene il dialogo con i Fratelli musulmani e la sua filiera americana. L'Alleanza delle civiltà a cui ha partecipato Obama non fa mistero di essere uno strumento dell'Organizzazione della conferenza islamica, che ha sede a Gedda in Arabia Saudita ed è non da oggi il più potente blocco di votanti alle Nazioni Unite, dominando anche il Consiglio dei diritti umani. E' sua la risoluzione al Palazzo di Vetro che criminalizza l'islamofobia e rende sempre più tormentata e difficile la libertà d'espressione e di critica sull'islam in occidente. Lo scorso 15 settembre, alcuni membri dello staff di Obama, allora candidato alla guida degli Stati Uniti, si incontrarono a Washington con alcuni esponenti del Council on American Islamic Relations e della Muslim American Society, entrambe emanazione dei Fratelli musulmani. Quando nel 1928 nacquero in reazione all'abolizione del califfato, i Fratelli aprirono scuole, ambulatori, moschee. Gli uomini iniziarono a farsi crescere la barba, le donne a portare il velo. Come quello di Dalia Mogahe.

(Il Foglio, 9 giugno 2009)

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Roma ricorda la riapertura della Sinagoga

di Valerio Di Porto, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

Ricorre in questi giorni il sessantacinquesimo anniversario della riapertura della sinagoga di Roma, in concomitanza con la liberazione della città.
L'evento è stato ricordato in una cerimonia svoltasi il 4 giugno, alla quale ha preso parte anche il sindaco Alemanno, secondo il quale "la rottura dei sigilli alla Sinagoga da parte di un soldato della brigata ebraica è l'atto più significativo della liberazione di Roma".
Alla rottura dei sigilli seguì, il 9 e 10 giugno 1944, la celebrazione dello shabbat, dopo i mesi bui dell'occupazione nazista e la deportazione degli ebrei dal ghetto del 16 ottobre 1943. Lo shabbat cadeva, secondo la data ebraica, il 18 e 19 Tammuz del 5704.

(Notiziario Ucei, 9 giugno 2009)

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Libano: se Hezbollah riprende la jihad

Seguaci di Hezbollah issano la bandiera
sui loro razzi vicino al porto di Tiro
Stati Uniti, Francia e Arabia Saudita da una parte. Siria e Iran dall'altra. A leggere con disincanto le elezioni generali in Libano, il vaso di coccio mediorientale tra i vasi di ferro delle grandi potenze, possiamo dire che ha vinto il blocco filo-occidentale guidato da Saad Hariri, il figlio di Rafik, e hanno perso le due Nazioni canaglia (copyright: George Bush) che sostengono gli sciiti di Hezbollah e i suoi alleati cristiani coagulati attorno al caudillo maronita Michel Aoun, l'ex capo di Stato maggiore dell'Esercito. I guai però iniziano ora. E questo perché la coalizione filo-occidentale del 14 marzo (71 seggi contro i 57 dei rivali) avrebbe in serbo una sorpresa: togliere a Hezbollah quel diritto di veto che ha consentito al movimento sciita di Nasrallah di decidere il bello e il brutto tempo nel governo di unità nazionale.
Strano Paese, il Libano. Con un presidente della Repubblica cristiano, un primo ministro sunnita, un presidente del parlamento sciita, si regge dal 1943 su un equilibrio etnico istituzionale molto delicato. Tutti, anche gli acerrimi rivali, devono condividere responsabilità di governo. Altrimenti, come insegnano gli anni 80, riesplode la guerra settaria. E il Libano, come potrebbe accadere ora che la coalizione di Hezbollah è uscita sconfitta, sprofonderebbe nuovamente nella guerra civile. Meglio sarebbe stato - secondo alcuni analisti libanesi - che dalle urne, nella sfida elettorale di ieri, non uscisse nessun chiaro vincitore. Perché Hezbollah, Stato nello Stato che controlla manu militari tutto il sud, ha armi e soldi a sufficienza per incendiare il Paese. E il rischio ora, con questo risultato che mette in scacco il fronte anti-occidentale, è più forte di prima

(Panorama, 9 giugno 2009)

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Hezbollah sconfitto non rinuncia alle armi

di Fiamma Nirenstein

È difficile credere che il Libano adesso ce la farà. Eppure ci prova ancora, ed è commovente: ieri sera il capo di Hezbollah, lo sceicco Nasrallah, ha ammesso la sconfitta e si è addirittura complimentato con i vincitori. Buona parte dei libanesi, soprattutto per merito dei cristiani risvegliati dal vescovo maronita Nasrallah Boutros Sfeir, andando a votare hanno scelto un Libano ancora arabo, e non dominato da interessi iraniani; pluralista, e non musulmano sciita; in cui una ragazza possa camminare per mano con un ragazzo. L'unico, solitario Paese arabo multietnico, multiculturale e multireligioso tenta ancora di liberarsi del continuo tentativo di asservirlo a una logica totalitaria, come nel '58 quando i sunniti cercarono di forzarlo nell'orbita ultranazionalista di Nasser, nel '75 la guerra civile portò l'Olp in posizione dominante e mise in giuoco Israele e la Siria, che solo due mesi fa aprendo l'ambasciata a Damasco ha formalizzato l'idea di non essere il padrone....

(il Giornale, 09 giugno 2009)

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Italia-Libia: l'invito di Gheddafi a 'Shabbat' imbarazza gli ebrei romani

La comunità ebraico tripolina spera in uno spostamento di data

ROMA, 9 giu. - Crea imbarazzo tra gli ebrei romani l'invito che il colonnello Muammar Gheddafi ha rivolto loro in occasione della visita in Italia che comincia domani. Per incontrare la sparuta comunità ebraica tripolina della capitale, infatti, il capo di Stato libico ha scelto il giorno di sabato, 'shabbat' per gli ebrei, ossia il giorno in cui per onorare i dettami religiosi vanno sospese tutte le attività, obblighi politici e mondani compresi. "Gheddafi ha fissato unilateralmente la data di sabato. Se dovesse rimanere tale, credo che farà l'incontro da solo", spiega il presidente della comunità ebraica romana Riccardo Pacifici. Se in seno alla comunità ebraica capitolina c'è chi arriva a sospettare un'intenzione provocatoria da parte del leader libico, il presidente degli ebrei tripolini getta acqua sul fuoco. "L'appuntamento rimane sabato, ma i libici stanno cercando in tutti i modi di trovare un altro giorno", spiega Scialom Tesciuba. "Certo, il programma è già preparato da tempo ed è pieno di appuntamenti... Noi, ad ogni modo, siamo in attesa di un nuovo appuntamento, che potrebbe essere comunicato anche mezz'ora prima". Fonti libiche bene informate confermano che, al momento, non è stata trovata una collocazione alternativa nel programma di Gheddafi e l'appuntamento, per i libici, è ancora sabato. Pacifici non esclude un altro esito. "Non mi sorprenderei - spiega - che qualcuno volesse andare comunque all'incontro, ma rappresenterebbe se stesso, e non la comunità ebraica libica. Ne risponderebbe alla propria coscienza", afferma Pacifici, che però sottolinea che gli ebrei romani seguono tutta la vicenda "con apprensione, ma anche rispetto". Se la data rimanesse 'shabbat' andare o no a incontrare Gheddafi? "Non so", taglia corto Tesciuba, che oltre ad essere capo della comunità libico-ebraica ha anche l'incarico istituzionale di vicepresidente degli ebrei romani. Di certo, al Tempio maggiore di lungotevere de' Cenci hanno un conto in sospeso con la Libia, che risale all'attentato dell'ottobre 1982 in cui morì un bambino di due anni e trentacinque persone - tra le quali il padre di Pacifici - rimasero ferite. L'unico membro identificato del commando palestinese che aprì il fuoco sui fedeli che uscivano dalla Sinagoga, arrestato in Grecia, venne estradato in Libia nonostante le richieste di estradizione avanzate dall'Italia. Pacifici è netto: "A quale titolo fu estradato lì? Che fine ha fatto? E' ancora vivo? Vogliamo informazioni per rendere giustizia". Sempre che, alla fine, gli ebrei romani riescano a incontrare Gheddafi.

(Apcom, 9 giugno 2009)

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Un convegno sulla filosofia ebraica

di Roberto Della Rocca, rabbino

La settimana scorsa si è svolto presso l'Università di Bologna un interessante convegno sulla filosofia ebraica dal titolo un pò singolare "Between Shem and Yafet - Orizzonti e Frontiere della filosofia ebraica". Vi hanno preso parte accademici e intellettuali di fama internazionale tra cui molti israeliani e francesi che si sono interrogati sui complessi rapporti che vi sono stati nel corso dei secoli tra la Tradizione ebraica e la filosofia greca. La mia relazione ha preso spunto da quell'insegnamento rabbinico che si interroga circa la possibilità di tradurre la Bibbia in un'altra lingua. Secondo la tradizione rabbinica infatti i libri sacri devono essere scritti nella lingua originale e con carattere quadrato pur se la posizione dei Maestri rispetto alla prima traduzione in greco, cioè la versione dei 70, fu tuttavia piuttosto conciliante. Nel commento, che i Maestri del Talmùd fanno intorno a questa mishnah, emerge tuttavia che alla traducibilità universale della Bibbia che secondo i Maestri conserverebbe il suo significato in tutte le lingue - secondo alcuni soltanto se tradotta in greco - c'è un ebraismo inalterabile e intraducibile, quello dei Tefillìn e delle Mezuzòt. Questi oggetti, che leghiamo su noi stessi e attacchiamo nelle nostre case, hanno una loro intimità che deve restare obbligatoriamente ebraica.

(Notiziario Ucei, 9 giugno 2009)

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Israele- Vaticano: revocato sequestro

Il provvedimento sarebbe stato frutto di un 'errore tecnico'

GERUSALEMME, 8 giu - E' stato revocato il congelamento di fondi appartenenti a una non meglio precisata istituzione cattolica in Israele. Il provvedimento, giustificato con questioni fiscali, sarebbe stato 'frutto di un errore tecnico' e di 'un malinteso', hanno precisato fonti qualificate del ministero degli Esteri israeliano all'ANSA, ridimensionando i timori di un incidente diplomatico con il Vaticano suscitati dalle informazioni sul sequestro riferite da fonti ecclesiastiche.

(ANSA, 8 giugno 2009)

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Intel, nuovo impianto produttivo in Israele?

Intel potrebbe ampliare la sua capacità produttiva realizzando, nei prossimi anni, un nuovo impianto in Israele.

L'impianto Intel in Kiryat Gad
Intel ha intenzione di realizzare un altro sito di produzione nel sud dello stato di Israele entro il 2012. La notizia è stata riportata dal giornale Yedioth Ahronoth, che ha parlato di un incontro tra i vertici del colosso americano dei chip e il governo israeliano, in cui si sarebbero trattate eventuali sovvenzioni statali.
Intel non ha confermato, ma la costruzione di una nuova "Fab" dovrebbe richiedere l'esborso di 2,5 miliardi di dollari. L'azienda, al momento, ha un impianto da 3,5 miliardi di dollari, la Fab 28, nella città di Kiryat Gat, nel sud del paese.
In questo impianto Intel produce in volumi i processori a 45 nanometri, con una capacità che dovrebbe raggiungere il picco entro la fine dell'anno. Per la Fab 28 Intel ha ricevuto dal governo israeliano circa 525 milioni di dollari di'incentivo.
Gli interessi di Intel in quel di Israele non si limitano alla Fab 28. L'azienda ha chiuso la Fab 8 di Gerusalemme (che sarà convertita a sito per la prepazione dei die) e destinato la Fab 18, di Kiryat Gat, a Numonyx, la joint venture tra Intel, STMicroelectronics e Francisco Partners nel settore delle memorie flash.
L'azienda, inoltre, ha quattro centri di ricerca e sviluppo nello Stat

(Tom's Hardware Guide, 8 giugno 2009)

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Festa Monferrato Musei

In occasione della festa annuale di MOMU (MONFERRATO MUSEI), il secondo fine settimana di giugno - sabato 13 e domenica 14 giugno -, i musei appartenenti alla rete, Museo Civico e Gipsoteca Bistolfi, Sinagoga e Musei Ebraici, Cattedrale di Sant'Evasio e Tesoro del Duomo della città di Casale e il Parco Naturale del Sacro Monte di Crea, aprono gratuitamente le sale con visite guidate e iniziative musicali.
S'inizia sabato, dalle 14,30 alle 18,30, con la mostra Il Portale di Santa Maria di Piazza e la scultura del Rinascimento tra Piemonte e Lombardia e gli ambienti del Museo Civico, si prosegue poi con l'apertura straordinaria serale dalle 21 alle 24.
Alle 21,30 la Comunità Ebraica propone in Sinagoga un concerto di musica Klezmer con il gruppo Oriente Espress Ensable.
Domenica, dalle 10 alle 12, saranno aperti la Sinagoga e i Musei Ebraici, nel primo pomeriggio, dalle 14,30 sino alle 17, tocca alla cappella del Paradiso e alle 15 si terrà un concerto per piano e violino con Matteo Corda ed Erika Mello sulla piazza del Santuario. Negli stessi orari sono aperti anche la Cattedrale di Sant'Evasio e il Tesoro del Duomo.
L'iniziativa si conclude alle 18,30 nel chiostro grande di Santa Croce, sede del Museo Civico, con un concerto dell'Ensemble Festa Rustica.

(Il Monferrato, 08 giugno 2009)

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Riapre il percorso della cultura ebraica a Pesaro

PESARO - Da giovedì 11 giugno, si riapre il percorso cittadino della cultura ebraica composto dalla sinagoga e dal cimitero ebraico, visitabili gratuitamente il giovedì pomeriggio.
La sinagoga di via delle Scuole sarà visitabile nei mesi di giugno, luglio e agosto, ogni giovedì dalle 16 alle 19. I visitatori della sinagoga troveranno ancora allestita al piano terra dello storico edificio la mostra "1938-1945 La persecuzione degli ebrei in Italia", a cura della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea CDEC. I 38 pannelli articolati in 15 sezioni tematiche - dove convivono testi, foto, libri, giornali e documenti privati - ricostruiscono con impostazione scientifica le vicende subite dagli ebrei in un periodo ben preciso del Novecento.
L'apertura estiva è possibile grazie alla disponibilità delle associazioni FAI e Serc e della dottoressa Maria Letizia Siepi.
Accanto alla sinagoga, anche il cimitero ebraico sul colle San Bartolo (strada panoramica San Bartolo c/o n. 161), sarà aperto da giugno a settembre il giovedì dalle 17 alle 19. In agosto, è prevista inoltre un'apertura eccezionale sabato 15 in occasione della festività: mattino 10-12, pomeriggio 17-19; per informazioni Ente Parco Naturale Monte San Bartolo 0721 400858, 335 1746509.
Informazioni tel. 0721 387474-357 Servizio Musei_Comune di Pesaro.

(fanoinforma, 8 giugno 2009)

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Obama vuole ascoltare le ragioni di tutti ma non quelle di Israele

Obama insiste sul fatto che la politica estera degli Stati Uniti verrà portata avanti con modestia e umiltà. Soprattutto, l'America non si metterà più a "dettare" ad altre nazioni. Dobbiamo, ha detto Obama al G-20, "forgiare collaborazioni, invece di limitarci a dettare soluzioni". Ha poi dichiarato ad al-Arabiya che l'America d'ora in poi "inizierà ad ascoltare, perché troppo spesso l'America inizia dettando". Un'intenzione lodevole. Si applica a chiunque: Iran, Russia, Cuba, Siria, anche il Venezuela. Eccetto Israele. A Israele si ordina di bloccare gli insediamenti. Per usare le imperiose parole del segretario di Stato Hillary Clinton: "Stop agli insediamenti. Niente avamposti, niente nuovi villaggi, nessun naturale ampliamento di quelli esistenti. Nessuna eccezione"....

(l'Occidentale, 8 giugno 2009)

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Iran - Israele: non possiamo fidarci piu' del controllo dell'Aiea

GERUSALEMME, 7 giu. - La comunita' internazionale non piu' piu' fidarsi dell'attivita' di monitoraggio del programma nucleare dell'Iran affidata all'Agenzia atomica dell'Onu. E' la pesante condanna del nuovo rapporto dell'Aiea che arriva da Israele. "I suoi risultati dimostrano che la comunita' internazionale, non puo' piu' continuare a riporre la sua fiducia nell'attivita' di monitoraggio dell'Aiea" si legge in un comunicato del ministero degli Esteri israeliano.

(Adnkronos, 7 giugno 2009)

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Terremoto: la comunita' ebraica canadese e romana tende la mano all'Abruzzo

OTTAWA, 7 giu. - La comunita' ebraica di Toronto si e' unita alla corsa di solidarieta' a sostegno dei terremotati dell'Abruzzo. Come riporta il ''Corriere Canadese'', diverse associazioni ebraiche (Skylink Aviation, UJA Federation of Greater Toronto, Canadian Jewish Congress Charities Committee) hanno preso parte alla sfida lanciata dall'Abruzzo Earthquake Relief Fund (AERF), iniziativa voluta dalla comunita' italiana di Toronto. Finora sono stati raccolti 620mila dollari, utilizzati per l'acquisto di medicinali che sono gia' stati spediti in Italia ed approvati dal governo italiano, e che verranno utilizzati dalla Protezione Civile Nazionale nelle zone colpite dal sisma.
''Mi considero equamente italiano, ebreo e canadese'', ha detto Walter Arbib di Skylink Aviation, promotore della fusione delle due comunita' a favore dell'Abruzzo. ''Questo progetto e' un'occasione unica per ricambiare l'assistenza che l'Italia ha offerto a me e alla comunita' ebraica quando la Libia ha espulso gli ebrei dal Paese nel 1967, senza contare che gli abruzzesi durante la guerra hanno salvato parecchi ebrei''. Walter Arbib ha infatti vissuto in Italia per diversi anni, dopo essersi rifugiato li' in tenera eta', e solo successivamente si e' trasferito in Israele e poi in Canada. Contemporaneamente a questa fusione nata nella Gta, la comunita' ebraica italiana ha devoluto altri 360mila dollari, anch'essi destinati sotto forma di medicinali alla popolazione dell'Abruzzo, con il patrocinio di SkyLink Air.
''La comunita' ebraica - osserva ''Il Corriere Canadese'' - si e' detta soddisfatta dei risultati ottenuti dalla collaborazione con le organizzazioni italiane, successo che deriva dalla condivisione di risorse e da valori comuni che hanno sempre fatto parte della tradizione di queste due comunita', sempre pronte, in ogni momento storico, a tendere una mano alle popolazioni in difficolta'. E si e' infine augurata che le risorse raccolte possano offrire qualche sollievo a tutti coloro che sono stati coinvolti nel terremoto''. L'Aerf, da parte sua, ha infine ringraziato la generosita' e solidarieta' della comunita' ebraica, grazie alla quale ''migliaia di persone potranno guarire meglio e piu' velocemente.

(Adnkronos, 7 giugno 2009)

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Ebrei ortodossi in rivolta: «Quel garage viola il sabato»

Centinaia di ebrei ultraortodossi hanno violentemente manifestato a Gerusalemme contro la decisione del Comune di aprire anche al sabato il parcheggio municipale, vicino alla Città Vecchia, per far fronte all'insufficienza di parcheggi a disposizione di visitatori nell'area.
Secondo gli ultraortodossi la decisione viola la sacralità del sabato che impone l'astensione da tutte le attività lavorative e, quindi, anche l'interruzione del traffico automobilistico. I manifestanti hanno cercato di irrompere nella spianata del municipio ma sono stati fermati dalle forze di polizia immediatamente accorse in forze.

(l'Occidentale, 7 giugno 2009)

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"Hezbollah sta preparando attacchi"

Hezbollah sta cercando di minare il governo egiziano, e finanzia gli estremisti palestinesi nella Striscia di Gaza, anche senza il consenso di Hamas. A sostenerlo è il quotidiano israeliano Ha'aretz, che cita fonti governative egiziane secondo le quali il partito sciita libanese intende organizzare attentati in Israele e in Egitto. Secondo il Cairo, comunque, il processo a 50 presunti agenti del partito sciita farà luce sulla vicenda.

(TGCOM.it, 7 giugno 2009)

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I Giochi del Mediterraneo e l'esclusione d'Israele, la condanna del Comitato degli italiani all'estero

Niente Israele, niente Giochi del Mediterraneo. Doveva essere questa la formula a sostegno della partecipazione d'Israele alla manifestazione sportiva che prenderà il via a Pescara il 26 giugno. Ma la classe dirigente dello sport italiano è mancata a un appuntamento storico. Il Comites - Comitato italiani all'estero d'Israele risponde così al rammarico espresso da Mario Pescante, presidente del Comitato organizzatore di Pescara 2009, per l'esclusione di Israele da questo prestigioso appuntamento internazionale che tanta amarezza ha suscitato nell'ebraismo italiano.
''Ai Giochi del Mediterraneo - aveva dichiarato Pescante - mancheranno due Paesi: Palestina e Israele. Ci abbiamo provato a portarli, ma non siamo riusciti''. ''Due paesi - aveva aggiunto il presidente del Comitato organizzatore presentando l'edizione 2009 dei Giochi - che non riescono ad incontrarsi, a parlarsi. E' noto a tutti l'impegno del ministro degli Esteri, Franco Frattini. Mi chiedo dunque come poteva fare lo sport a riuscirci? Se non ce l'abbiamo fatta, non è colpa né di Pescara 2009 né dello sport''.
Tanto rammarico, ribatte il Comites Israele, è "ingiustificato". "Fin dall'inizio dei Giochi, oltre 50 anni fa - si legge in una nota - Israele è stata esclusa a causa del veto e del ricatto dei paesi arabi all'interno del Comitato Internazionale dei Giochi del Mediterraneo, che è l'organo ufficiale che invita i diversi paesi a partecipare. Sarebbe stato sufficiente, e molto più onesto e morale da parte dei paesi favorevoli alla partecipazione di Israele (e poi anche della Palestina) contrapporre un veto incrociato: niente Israele, niente Giochi".
"Una manifestazione con i soli paesi arabi, ma senza le potenze dell'Europa occidentale (Italia, Francia, Spagna) e i forti paesi balcanici (Croazia, Serbia, Grecia) - prosegue il Comites - avrebbe perso ogni valore sportivo. Il problema, chiaramente, non sono 'Israele e Palestina che non riescono a parlarsi'. Questo è semplicemente falso: Israele e Palestina hanno intavolato numerose trattative, anche se non ancora coronate da successo. Il Presidente Abu Mazen parla con Israele, anche se Hamas lo contesta. Il vero problema è il ricatto dei paesi arabi e la vile acquiescenza della maggioranza degli altri paesi".
Onore al merito invece per Frattini. "Riconosciamo all'amico ministro degli Esteri Franco Frattini una presa di posizione coraggiosa e trasparente - concludono infatti gli italiani d'Israele - Ma questo non è bastato. La classe dirigente dello sport italiano e mediterraneo è mancata all'appuntamento, e questo è un fallimento imperdonabile".

(Notiziario Ucei, 7 giugno 2009)

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"Brucerò i libri israeliani"

Chi è Hosni, il ministro della Cultura egiziano che potrebbe guidare l'Unesco

Quando Farouk Hosni dice che "Israele non ha mai contribuito alla civilizzazione, in nessun'epoca, perché non ha mai fatto altro che appropriarsi del bene altrui", non si ferma alle parole. Due anni fa, in qualità di ventennale ministro della Cultura egiziano, Hosni fece bandire un film israeliano premiato a Cannes, "The band's visit". Parlava di otto soldati egiziani che sbarcano all'aeroporto di Tel Aviv e dopo varie peripezie finiscono in uno sperduto villaggio nel deserto. Lì stringono amicizia con gli israeliani....

(Il Foglio, 7 giugno 2009)

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Israele rimborserà dei palestinesi

A seguito dei danni causati da coloni

GERUSALEMME - Israele si accinge a indennizzare una cinquantina di famiglie palestinesi a Hebron, in Cisgiordania, per i danni causati a loro proprietà da parte di coloni che si sono insediati nella parte della città rimasta sotto il controllo di Israele. Secondo quanto hanno riferito fonti militari, il ministero della difesa verserà a queste famiglie complessivamente 250 mila shekel (circa 70 mila franchi), in seguito a una decisione presa dall'amministrazione militare alla quale i palestinesi avevano denunciato i danni subiti. Lo scorso 4 dicembre gruppi di coloni avevano reagito con violenza allo sgombero di una casa che era stata da loro occupata a Hebron, scontrandosi non solo con soldati israeliani ma anche attuando una serie di azioni vandaliche contro case e automobili di proprietà palestinese.

(Corriere del Ticino, 7 giugno 2009)

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Gran Bretagna: un progetto europeo per introdurre la sharia

I giudici britannici potrebbero essere obbligati ad applicare la legge coranica (sharia) in caso di divorzio. Esiste un progetto dell'Unione Europea che porterebbe le corti di giustizia a trattare i casi sollevati dalla famiglia in base alle leggi del Paese di origine della coppia, qualsiasi sia la provenienza.
Ciò significa che una corte britannica dovrebbe poter consultare il diritto francese se uno dei coniugi è di origine o di nazionalità francese. Più probabilmente, tuttavia, ciò obbligherebbe ad applicare le leggi in vigore in Arabia Saudita se una coppia è originaria di questo Paese.
Tale riforma è attaccata dal Centre for Social Justice, il think tank conservatore guidato da Iain Duncan Smith, che la giudica "grottesca", avvertendo che una misura simile ritarderebbe in maniera considerevole le procedure, ne aumenterebbe i costi e porterebbe, nella maggior parte dei casi, a decisioni ingiuste. Ritiene, inoltre, che questa novità istighi al divorzio, poiché le coppie potrebbero scegliere un sistema giudiziario meno vincolante del sistema britannico.
Secondo il Centre for Social Justice «ciò non incoraggia le coppie a cercare di salvare il loro matrimonio».
Per il momento almeno 9 Stati membri dell'Unione Europea, senza contare il Regno Unito, sostengono il progetto ("Daily Mail Reporter", 27 aprile 2009).

(ICN-News.com, 7 giugno 2009)

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L'islam immaginario

L'islam tollerante, umanitario e rispettoso della libertà religiosa oltre che della dignità della donna, dipinto nel discorso di Obama è puramente illusorio. Basterebbe ricordare che il massimo responsabile culturale dell'Egitto, paese islamico tra i più "moderati", ha ripetutamente affermato anche recentemente che i libri scritti da ebrei debbono andare al rogo. Obama lo sa ma ha scelto di mettere tra parentesi il terrorismo di matrice islamica, perché probabilmente è convinto che l'appello alla lotta antiterroristica ormai viene inteso da vasti settori delle popolazioni islamiche come un appello alla guerra contro i loro principi. Questo significa che si è convinto che la battaglia culturale tra i regimi moderati e le tendenze estremistiche vede in netto vantaggio le seconde sui primi. Ne ha indotto che invece di un confronto tra civiltà è necessario realizzare un confronto all'interno dell'islam, delle grandi masse dei credenti in Allah, tra un'interpretazione tollerante e umanitaria e quella dominante che è di tutt'altro segno. Si tratta di capire se questa strategia, che sarebbe ingenuo considerare ingenua, ha qualche possibilità di successo. L'islam finora ha visto come alternativa solo la secolarizzazione e ha reagito con un ritorno al tradizionalismo identitario che ha striature fondamentaliste. Obama propone una sorta di protestantesimo islamico, facendo appello non alla forza del consumismo ma a una diversa interpretazione dei valori morali. Si vede che è convinto che sia matura una crisi interna all'islam, della quale però mancano tracce visibili.

(Il Foglio, 6 giugno 2009)

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Armi e non belle parole per battere i terroristi

di Davide Giacalone

Bel discorso, ma solo un discorso. Il presidente statunitense ha cosparso di zucchero i giornali del mondo, gigioneggiando un po' ed accettando che finisse fra le righe la parte puntuta dell'eloquio: Occidente ed islam devono combattere gli estremismi. Con il che, però, il celeste cielo della pace si scurisce alquanto. L'idea che, al mondo, ci si abbracci fra buoni è molto parrocchiale, ma occorrerà tenere presente anche i cattivi.

- Vicini di casa
È vero, non c'è alcuna ragione per cui Occidente ed islam debbano farsi la guerra, né ce ne sono per non potere convivere pacificamente con vicini di casa di religione musulmana. Ad un patto, però: che gli uni non ritengano giusto convertire a forza gli altri, con i roghi o tagliando loro la gola. La pace è una gran bella cosa, e l'Iran può ben prosperare accanto ad Israele. Ma se il primo annuncia di volere cancellare il secondo, nel mentre corre verso l'arma atomica, non è che gli mando un predicatore a suggerire la buona creanza , gli spedisco quel che serve a fermarli.
I palestinesi possono ben essere ricchi e felici accanto ad israeliani ricchi e sicuri, ma se ci sono forze del fondamentalismo terrorista, che si battono affinché i palestinesi restino miseri e dannati, in modo da poterli usare contro la stella di David, non è che si possa invitare alla buona volontà, si devono tagliare le vie che portano armi e soldi ad Hamas, nel frattempo eliminando i capi che si espongono.

- Nessun cedimento
L'errore è credere che sia in corso una guerra di religione, o di civiltà, in questo modo cedendo al linguaggio ed ai simboli del fondamentalismo. Parimenti, però, è un clamoroso errore credere che la pace sia un derivato dell'accettazione del fondamentalismo, perché quella è la via più sicura verso il massacro.
Lo sforzo, pertanto, è quello di portare i governi ed i popoli musulmani a ragionare di convenienza e convivenza, mostrandone i lati allettanti, al tempo stesso chiedendo loro di non tentennare quando si tratta di colpire i nemici, anche se musulmani. Loro, del resto, sanno bene di che stiamo parlando, conoscono la loro stessa storia e misurano il problema della convivenza fra sciiti e sunniti, come quello con altre dottrine interne.
Un nuovo inizio? Splendido, ma se si parte con l'esclusione degli estremisti, temo non sia pacifico proprio per niente.

(Libero-news.it, 6 giugno 2009)

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Gaza, Fatah accusa Hamas di ondata arresti suoi sostenitori

ROMA, 6 giu - Il partito Fatah, del presidente dell'Autorita' palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas), ha accusato oggi il movimento islamico Hamas di aver lanciato un'ondata di arresti di suoi sostenitori nella Striscia di Gaza. Hamas, a sua volta, ha indetto a Gaza City una grande manifestazione per denunciare l'uccisione di cinque suoi miliziani nei giorni scorsi a Qalqilya, in Cisgiordania, da parte delle forze di sicurezza dell'Autorita' palestinese durante operazioni di arresto di ricercati che sono degenerate in violenti scontri a fuoco. Esponenti del Fatah a Gaza, che hanno voluto restare anonimi, hanno detto che agenti di Hamas hanno arrestato o sottoposto a interrogatori numerosi attivisti del Fatah nella Striscia. Un portavoce del Fatah in Cisgiordania ha confermato la notizia, precisando che dozzine di persone sono state arrestate da Hamas o sono attivamente ricercate. Il ministero dell'interno del governo di fatto di Hamas a Gaza ha affermato che sono stati scoperti ''gruppi criminali'' che avevano il compito di raccogliere informazioni su esponenti del movimento islamico a Gaza per passarle all'Autorita' palestinese in Cisgiordania o a Israele. Hamas e il Fatah sono divisi da una profondissima rivalita', soprattutto da quando il primo ha preso il potere con la forza a Gaza, e tutti i tentativi di ricucire la spaccatura in campo palestinese non hanno finora avuto successo.

(iris press, 6 giugno 2009)

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Libano - Scoperte sei cellule di Al Qaida

I servizi di intelligence dell'esercito libanese hanno smascherato dall'inizio del 2009 sei cellule di al Qaida, operative dal Sud del Paese fino all'Afghanistan. Lo riferisce oggi il quotidiano an Nahar di Beirut.
Fonti militari libanesi di alto livello citate dal giornale hanno affermato che i membri di tali cellule sono di «nazionalità arabe e non» e hanno confessato di aver elaborato piani per «destabilizzare il Libano, compresa l'aerea di operazioni della forza delle Nazioni Unite», l'Unifil, comandata dal generale italiano Claudio Graziano.
«Le confessioni hanno inoltre rivelato piani che riguardavano l'Afghanistan», hanno detto le stesse fonti, senza peraltro rivelare il numero dei presunti membri di al Qaida arrestati.
«L'importanza di queste cellule non risiede nel numero dei loro membri, ma nel livello del loro addestramento e del loro elevato rango all'interno di al Qaida», hanno detto le fonti.
Alcuni dei componenti delle cellule smascherate, scrive ancora an Nahar, erano di base in Libano, mentre altri usavano il Paese come «zona di transito e base di partenza per operazioni».

(ilsussidiario.net, 5 giugno 2009)

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Israele: politica insediamenti non cambierà

Fonti governative: ampliamento per naturale crescita demografica

GERUSALEMME, 5 giu. - Israele non fermerà le attività edilizie negli insediamenti cisgiordani, nonostante le esplicite richieste dell'Amministrazione Obama: lo hanno reso noto fonti governative dello Stato ebraico, sottolineando come sia necessario un ampliamento dovuto alla crescita demografica naturale delle colonie. Obama ha ribadito più volte - l'ultima nel discorso di riconciliazione con l'Islam pronunciato ieri al Cairo - che gli insediamenti rappresentano un ostacolo per la pace e che ogni attività edilizia deve esservi sospesa: una richiesta che il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva definito "irragionevole". L'Amministrazione esige infatti un congelamento delle attività edilizie "senza eccezioni", come aveva sottolineato lo stesso Segretario di Stato Hillary Clinton: "Vogliamo la fine della colonizzazione: niente più insediamenti, niente avamposti, niente eccezioni legate alla crescita naturale demografica". Secondo quanto pubblica il quotidiano israeliano Haaretz tuttavia Obama intenderebbe dare sei settimane al governo israeliano perché fornisca una "politica aggiornata" sulle attività edilizie nelle colonie cisgiordane e il principio dei due Stati. Stando a fonti israeliane la Casa Bianca ha intenzione di completare un piano preliminare per il riavvio dei negoziati di pace in Medio Oriente e di presentarlo entro luglio: "Parte dell'essere un buon amico sta nell'essere onesti, e credo ci siano state occasioni nelle quali non siamo stati onesti sul fatto che l'attuale evoluzione della situazione nella regione è profondamente negativa, non solo per gli interessi israeliani ma anche quelli statunitensi", aveva avvertito Obama. Nel suo discorso Obama - pur insistendo sugli indissolubili legami fra Stati Uniti e Israele - ha confermato che uno Stato ebraico che continui a discriminare i palestinesi e impedisca loro di esercitare il proprio diritto all'autodeterminazione e alla libertà di movimento non può aspettarsi un sostegno attivo da parte degli Stati Uniti. Lunedì prossimo infine sarà in Israele per consultazioni il rappresentante per il Medio Oriente, George Mitchell, che si tratterrà due giorni: in agenda incontri con il premier Netanyahu - con il quale discuterà anche la soluzione dei due Stati - e con il presidente dell'Autorità Nazionale palestinese, Abu Mazen. Non è ancora chiaro se la missione di Mitchell comprenderà anche una tappa in Siria per un colloquio con il presidente siriano Bashar al Assad.

(Apcom, 5 giugno 2009)

COMMENTO - Per arrivare ai "due stati" a Israele si chiede sempre qualcosa di preciso (cessare e togliere gli insediamenti) e ai palestinesi qualcosa di vago (cessare la violenza). Per gli insediamenti si dovrebbe fare il contrario: bisognerebbe pretendere dai palestinesi la "prova di buona volontà" di accettarli come ebrei sul loro futuro territorio, così come vengono accettati degli arabi sull'attuale territorio israeliano. Lo sgombero dei "coloni" ebrei da Gaza sembra non aver insegnato niente. Ved. "La guerra continua"

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Haaretz, Obama ha posto israeliani e arabi su un piano di parita'

GERUSALEMME, 4 giu. (Adnkronos) - Con il suo discorso di oggi al Cairo, il presidente americano Barack Obama ha aperto oggi un nuovo capitolo "ponendo arabi e israeliani su un piano di parita'". lo scrive il quotidiano israeliano Haaretz. Obama, si legge, "e' stato attento a bilanciare in modo equo citazioni dal Corano, il Talmud e la Torah per sottolineare che non si tratta solo di interessi transitori, ma di un approccio morale, dei suoi valori fondamentali e di quelli del popolo americano".

(IGN, 4 giugno 2009)

COMMENTO - Evidentemente Barack Hussein Obama in stile papale piace a molti. E’ uno stile che certamente costituirà una conferma per tutti quelli che hanno visto in lui il messia.




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Anp, un ucciso in scontro tra agenti e miliziani Hamas

GERUSALEMME - Un agente della polizia palestinese è stato ucciso stamani a Qalqilya, in Cisgiordania, nel corso di un'operazione di arresto di miliziani di Hamas. Lo hanno riferito fonti della sicurezza palestinese, secondo le quali l' agente di 24 anni, è stato mortalmente colpito quando gli occupanti di una casa, circondata dagli agenti della sicurezza per procedere agli arresti, hanno aperto il fuoco sui poliziotti. Uno dei ricercati è Mohammed Ateyeh, membro del braccio armato di Hamas, che si è barricato nella casa.
La settimana scorsa in un'operazione analoga sei persone, tre agenti, due miliziani e un civile, erano stati uccisi in uno scontro a fuoco sempre a Qalqilya.

(swissinfo.ch, 4 giugno 2009)

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Tutte le frasi a effetto di Barack Obama

NEW YORK (4 giugno) - Dall' «Assalaamu Alykum» iniziale, cioè la pace sia con voi in arabo, alle citazioni finali tratte dal «Sacro Corano», dal «Talmud» e dalla «Sacra Bibbia», il discorso pronunciato al Cairo dal presidente americano Barack Obama, è stato ricco di frasi a effetto.
Ecco una scelta di citazioni, nell'ordine in cui sono state pronunciate.

- «Le relazioni tra islam e occidente includono secoli di coesistenza e di cooperazione, ma anche conflitti e guerre religiose. Più recentemente le tensioni sono state alimentate dal colonialismo che ha negato diritti e opportunità a numerosi musulmani, e una guerra fredda durante la quale i paesi a maggioranza musulmana sono stati troppo spesso ignorati».

- «Considero che sia parte della mia responsabilità di presidente degli Stati Uniti combattere contro gli stereotipi dell'Islam dovunque essi appaiano. Ma lo stesso principio deve applicarsi alla percezione musulmana dell'America. Esattamente come i musulmani non possono essere definiti con stereotipi crudi, l'America non è lo stereotipo crudo di un impero che cura soltanto i propri interessi. Gli Stati Uniti rappresentano una delle maggiori fonti di progresso che il mondo abbia mai conosciuto. Siamo frutto di una rivoluzione contro un impero».

- In Afghanistan «non ci siamo andati per scelta, ma per necessità. Sono consapevole che c'è ancora chi si pone domande o addirittura giustifica gli eventi dell'11 Settembre. Occorre la massima chiarezza: quel giorno al Qaida ha ucciso circa 3mila persone. Le vittime erano uomini, donne e bambini innocenti, dell'America e provenienti da numerosi altri paesi, che non hanno fatto nulla, non hanno attaccato nessuno».

- «I forti legami dell'America con Israele sono ben noti. Il legame non si spezzerà mai... Minacciare Israele di distruzione o ripetere vili stereotipi contro gli ebrei è profondamente sbagliato e serve soltanto ad evocare nelle menti degli israeliani i più dolorosi dei ricordi impedendo la pace che le popolazioni della regione meritano».

- «Che non ci siano dubbi: la situazione per il popolo palestinese è intollerabile... L'unica soluzione per le aspirazioni dei due popoli è attraverso due Stati, in cui israeliani e palestinesi vivano accanto in pace e in sicurezza. È nell'interesse di Israele, nell'interesse della Palestina, nell'interesse dell'America e nell'interesse del mondo».

- «Tutte le nazioni, compreso l'Iran, dovrebbero avere il diritto di accedere all'energia nucleare pacifica se rispettano i propri impegni in seno al Trattato di non proliferazione nucleare. Questo impegno è il fulcro del Trattato: deve essere valido per tutti e rispettato appieno da tutti».

- «È più facile cominciare una guerra che finirla. È più facile incolpare gli altri che noi stessi. È più facile vedere cosa è differente piuttosto che cosa ci unisce. Ma dobbiamo scegliere la strada giusta, non quella più facile».

(Il Messaggero, 4 giugno 2009)

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Quando i nodi verranno al pettine Obama scoprirà il vero volto dell'Islam

di Carlo Panella

Un grande evento mediatico, un'eccellente prova retorica e… un pugno di mosche. Questa l'estrema sintesi dell'impatto che avrà nei mesi a venire lo "storico" discorso che Obama ha tenuto stamane al Cairo. Il miglior commento ai voli pindarici del presidente è venuto dalla Cisgiordania e ha toccato proprio il nervo scoperto, il tallone d'Achille di tutta la sua retorica: quattro palestinesi si sono massacrati fra loro in uno degli scontri tra Hamas ed Al Fatah, ennesimo incidente di queste settimane che costituisce il vero, ineliminabile, nodo gordiano della questione israelo-palestinese.
E' inutile e ipocrita che Obama parli di "due popoli e due Stati", è pericoloso e sbilanciante che Obama condanni solo gli insediamenti - effettivamente illegali - di Israele e che poi non spenda una parola, una parola sola, neanche alla lontana sulla guerra civile fratricida che da tre anni insanguina le fazioni palestinesi (e che in realtà cova da sempre sotto la cenere).
Chi governerà lo Stato palestinese a cui Obama lavora: Hamas? Abu Mazen? E chi li obbligherà a smettere di massacrarsi tra loro, visto che l'ultimo tentativo di pacificazione, durato sei mesi, è appena fallito al Cairo e già decine sono i morti (e gli impiccati dopo orrendi "processi" a Gaza) dall'una e dall'altra parte?
La realtà è che nel conflitto che contrappone Hamas ad al Fatah si trova il nodo vero della crisi dell'Islam di oggi e che è fuorviante, ipocrita e anche da ignoranti pretendere che esso veda solo contrapporsi un grande Islam moderato e i "terroristi" di Osama bin Laden.
La visione del mondo jihadista che caratterizza Hamas si basa su una concezione della famiglia e della donna che sono ispirate a violenza e ineguaglianza e sono però condivise da larga parte del mondo islamico "moderato". Con scelta opportunistica, Obama è andato a propugnare la libertà di religione proprio da al Azhar, la più importante università coranica del mondo sunnita. Senza sapere probabilmente - ennesimo segno della sua ciarliera superficialità - che proprio i teologi di al Azhar ancora recentemente hanno stabilito che il musulmano che abiuri la sua fede e che lo faccia dando "pubblico scandalo" deve essere messo a morte!
E' facile tendere ramoscelli d'ulivo "parlando d'altro", evitando i nodi reali di civiltà che separano oggi l'occidente democratico non dai regimi islamici - che sono caduchi - ma dalla cultura islamica maggioritaria, che è inquisitoriale, che relega la donna ad un ruolo di subalternità civile, che è impregnata di cultura della morte.
Infine: l'ipocrisia. Come fa, come fa Obama a esortare i musulmani a non gioire più per le donne e i bimbi e i civili ebrei uccisi da attentatori suicidi in Israele - e questo ha fatto - senza accennare al fatto che proprio dall'aula in cui ha parlato si sono sempre levate le fatwa, i verdetti che legittimavano in pieno quelle morti e davano ai "martiri" l'onore del paradiso?
Insomma, uno stupendo, barocco, ricamo politically correct basato sull'equivoco, sull'ignoranza, sulla poco elegante - ma trasparente - brama di separare il proprio destino da quello del suo predecessore. Uno sforzo peraltro vano perché di qui a poco Obama, in Afghanistan, Palestina, Sudan e soprattutto Iran, dovrà prendere atto del fallimento del suo dialogare e decidere cosa fare, non cosa dire. E sarà un dramma.

(l'Occidentale, 4 giugno 2009)

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Israele: discorso importante, il Vaticano apprezza

Il governo israeliano ha definito ''importante'' il discorso pronunciato al Cairo dal presidente Usa, Barack Obama, esprimendo ''la speranza'' che esso possa contribuire ''davvero a una nuova era di pace fra il mondo arabo e musulmano e Israele''.

CITTA' DEL VATICANO - "Grande apprezzamento" della Santa Sede per il discorso pronunciato oggi dal presidente Barack Obama al Cairo è stato espresso dal portavoce vaticano, padre Federico Lombardi. Si è trattato - ha detto all'ANSA - di un intervento "molto importante", "molto significativo" non solo nei rapporti tra Stati Uniti e mondo islamico ma anche in una prospettiva di pace internazionale.

(ANSA, 4 giugno 2009)

COMMENTO - Che il Vaticano abbia apprezzato il discorso di Obama è la prova del nove che si tratta di qualcosa che va contro Israele. In nome della "pace", naturalmente.

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Obama - Coloni israeliani furiosi: ha sposato le bugie degli arabi

Reazione furiosa del movimento israeliano dei coloni al discorso pronunciato oggi al Cairo dal presidente americano, indicato in una nota come «Hussein Obama» (con il suo solo secondo nome) per sottolinearne l'asserita partigianeria verso il mondo arabo e musulmano.
«Hussein Obama ha dato priorità alle bugie degli arabi, ripetute sempre con determinazione dai loro leader, piuttosto che alle verità degli ebrei, riferite con voce debole e insicura» dalla dirigenza politica israeliana, si legge in una nota diffusa dal consiglio della Yesha, l'organismo di coordinamento degli insediamenti ebraici in Cisgiordania, dei quali Obama è tornato a chiedere il congelamento.
Un atteggiamento intollerabile questo, secondo la Yesha, che chiede al primo ministro d'Israele (e leader della destra tradizionale del Likud) Benyanin Netanyahu di smetterla con «la politica del disfattismo» e di emulare invece i suoi predecessori Menachem Begin e Yitzahk Shamri (leader storici del Likud) «levandosi in piedi come un ebreo orgoglioso per respingere le fabbricazioni di Obama».
Disappunto è stato espresso anche da esponenti dei partiti della destra religiosa facenti parte della maggioranza che sostiene il governo Netanyahu, oltre che dall'Unione Nazionale, piccolo partito ultrà d'opposizione vicino ai coloni.
Di «discorso illuminato» ha parlato invece il vertice del Meretz, piccola formazione della sinistra liberal israeliana.

(ilsussidiario.net, 4 giugno 2009)

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Obama - Il 60% degli israeliani non si fida di lui

È nel segno della diffidenza il giudizio prevalente degli israeliani sul presidente americano, Barack Obama, ritenuto sbilanciato a favore della causa palestinese dalla maggioranza degli intervistati di un sondaggio realizzato ancor prima del suo discorso di apertura al mondo islamico tenuto oggi al Cairo.
Secondo il sondaggio, curato da due istituti dell'Università di Tel Aviv e pubblicato oggi dall'agenzia online Ynet, il 60% della popolazione israeliana non ha fiducia che Obama sia in grado di garantire la sicurezza dello Stato ebraico. Il 55% reputa inoltre la sua politica filo-palestinese, contro un 31% che la giudica neutrale e un misero 5% che la valuta filo-israeliana in continuità col tradizionale orientamento delle amministrazioni Usa precedenti.
Nello stesso tempo, il 65% ritiene fallimentare l'esito del recente vertice fra Obama e il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, anche se il 56% è convinto che Netanyahu si sia comportato in modo equilibrato. Quanto al processo di pace, il 67% riconosce che una pace con i palestinesi potrà essere raggiunta solo nel quadro della formula "due Stati per due popoli".
Campione diviso, infine, sulle colonie ebraiche in territorio palestinese, la cui esistenza è contraria agli interessi d'Israele per il 48% ed è invece legittima per il 43%.

(ilsussidiario.net, 4 giugno 2009)

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Shoah: ventimila campi per ebrei, nuovi dati sull’orrore nazista

Ventimila tra campi di prigionia, ghetti e centri di detenzione. È questo il numero più impressionante citato dalla Encyclopedia of camps and ghettos, uno studio sulla Shoah realizzato in dieci anni di lavoro dai ricercatori dello US Holocaust Memorial Museum di Washington. L'uscita del primo volume è prevista per il 12 giugno.
Il dato mostra come la vastità del piano di sterminio sia stata in passato sottostimata, ha scritto oggi il Washington Post che oggi riporta alcuni risultati dello studio: finora si pensava che i campi di concentramento del nazismo fossero stati tra 5.000 e 7.000.
L'enciclopedia mostra come il sistema nazista fosse costruito secondo una logica ferrea. Ognuno dei campi principali era circondato da centri ausiliari, identificati con eufemismi agghiaccianti. Ad esempio, le "Strutture di cura per bambini stranieri" non erano altro che edifici dove le donne venivano costrette ad abortire.

(ticinonews.ch, 4 giugno 2009)

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Roma, piantato ulivo a ricordo della riapertura della Sinagoga

Cerimonia in ricordo della riapertura del Tempio Maggiore da parte delle truppe alleate questa mattina al Ghetto, dove testimoni della resistenza a Roma hanno ripercorso, attraverso il loro racconto, le tappe che portarono, nel 1944, a rompere i sigilli della Sinagoga. All'evento, che si è concluso con la piantumazione di un ulivo nel giardino del Tempio in ricordo dei caduti, hanno partecipato, tra gli altri, il sindaco Gianni Alemanno, il prefetto Giuseppe Pecoraro, il presidente e il rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici e Riccardo Di Segni, il comandante della Regione militare centro, generale Domenico Rossi, gli assessori capitolini Enrico Cavallari (Personale), Sergio Marchi (Mobilità), Fabio De Lillo (Ambiente), il vicesindaco Mauro Cutrufo e rappresentanti delle associazioni partigiane. (omniroma.it)

(la Repubblica, 4 giugno 2009)

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Lieberman, non parteciperemo a conferenza con Hamas ed Hezbollah

MOSCA, 3 giu - Israele boicottera' qualsiasi conferenza sul Medio Oriente, in particolare quella prevista a Mosca, se Hamas ed Hezbollah vi parteciperanno. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman.
''Non parteciperemo ad alcuna conferenza, ne' a Washington, ne' a Mosca, alla quale prenderanno parte Hamas e Hezbollah'', ha detto Lieberman nel corso di una conferenza stampa nella capitale russa.
Ieri, il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, aveva assicurato al termine di un incontro con il capo della diplomazia israeliana che lo Stato ebraico e' disposto a partecipare alla conferenza sul Medio Oriente prevista quest'anno a Mosca.
Per quanto riguarda la data della conferenza, ha aggiunto Lieberman, ''non e' stato ancora chiarito niente'', in occasione della sua visita in Russia.
''Noi abbiamo un atteggiamento positivo nei confronti di questa conferenza, ma bisogna formulare chiaramente gli obiettivi, definire i parametri, la lista dei partecipanti, l'ordine del giorno e il risultato che vogliamo ottenere'', ha sottolineato il ministro israeliano.
''Lassu' lavoreremo a partire dalla seconda meta' di luglio, dopo la visita del presidente americano a Mosca'', ha precisato. Barack Obama sara' in visita in Russia dal 6 all'8 luglio.

(Asca, 3 giugno 2009)

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Silajdzic riceve il direttore dell'American Jewish Committee

SARAJEVO - Il membro della Presidenza della Bosnia-Erzegovina, Haris Silajdzic, ha ricevuto ier il Rabbino Andrew Baker, direttore dell'American Jewish Committee (AJC) responsabile per gli affari internazionali ebraici, nonchè rappresentante della Presidenza dell'OSCE per la lotta contro l'antisemitismo. Nel corso dell'incontro sono state discusse le diverse misure per la lotta contro l'antisemitismo nel mondo, convenendo che "non esiste una base giuridica di contrasto all'antisemitismo in Bosnia". Silajdzic ha sottolineato la lunghissima tradizione di convivenza tra varie religioni in Bosnia-Erzegovina, alla quale ha contribuito anche la comunità ebraica. Con riferimento, inoltre, all'attuale situazione politica della Bosnia-Erzegovina, Silajdzic ha sottolineato la necessità di preservare il carattere multietnico del Paese e ottenere il sostegno della comunità internazionale per costruire una vera società democratica.

(Rinascita Balcanica, 2 giugno 2009)

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Shoah: centinaia di oggetti personali di ebrei ungheresi trovati ad Auschwitz

VARSAVIA, 2 giu. (Adnkronos/Dpa)- Centinaia di oggetti personali, fra cui anche biberon, sono stati trovati fra le rovine di un crematorio nel lager di Auschwitz, durante lavori di conservazione dell'ex campo di sterminio nazista, ora meta di un pellegrinaggio della memoria. Lo ha riferito oggi la radio polacca, aggiungendo che diverse scritte in ungherese fanno pensare che gli oggetti appartenessero ad ebrei magiari.
"Si tratta di oggetti estremamente toccanti, probabilmente conservati dai loro proprietari sino all'ultimo istante", ha commentato Igor Bartosik, del museo di Auschwitz, dove alcune di queste testimonianze verranno esposte al pubblico. Bartosik ha ricordato che, al loro arrivo, i deportati ad Auschwitz erano costretti a lasciare i loro bagagli sul treno e prendevano con se' solo piccoli oggetti indispensabili o a loro molto cari. A partire dal maggio 1944 furono deportati ad Auschwitz circa 400mila ebrei ungheresi, la maggior parte dei quali furono sterminati al loro arrivo. Gli ebrei magiari rappresentano il piu' ampio gruppo massacrato ad Auschwitz.

(Libero-news.it, 2 giugno 2009)

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I complici della Shoah

di Marco Vigevani

Apro il settimanale tedescoDer Spiegel, la cui copertina è dedicata ai “complici” della Shoah (che sarebbero i non-tedeschi) e vedo la foto di un giovane lituano con in mano una lunga sbarra di ferro, sparsi ai suoi piedi i corpi di quelli che ha appena assassinato. In questi anni mi è successo che al groppo in gola per le vittime, si è aggiunto il conato di vomito per i macellai, il ribrezzo per la vertiginosa incomprensibilità di quello che hanno fatto. Si parla spesso di scomparsa dei testimoni diretti e di quello che accadrà al ricordo della Shoah nei prossimi anni, ma non del fatto che molti di noi cinquantenni, pur non essendo né testimoni né figli di sopravvissuti, sentiamo ancora questo dolore quasi fisico e questo orrore quasi fisico per il genocidio ebraico. Lo sentiranno anche le generazioni più giovani o per loro sarà come pensare ai massacri di Tamerlano? E i non ebrei, lo sentono questo? Azzardo il pensiero che è questa reazione fisica all’orrore, questa “allergia” che noi ebrei abbiamo sviluppato (o dovremmo in ogni caso avere sviluppato) a costituire la nostra seconda “elezione”, a darci una speciale responsabilità, a fare di noi quasi “i canarini nella miniera” dei totalitarismi e dei genocidi che ancora si sviluppano e ancora avvengono.

(Notiziario Ucei, 2 giugno 2009)

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Lieberman a Mosca, piu' insediamenti

Ministro israeliano, soluzione solo in ambito regionale

MOSCA, 2 giu - Israele non accetta come condizione all'inizio di negoziati sul Medioriente la rinuncia agli insediamenti nei Territori. Lo ha detto a Mosca il ministro degli esteri israeliano, Avigdor Lieberman. 'Noi non riteniamo che l'evacuazione dei coloni possa portare a una soluzione pacifica del problema'', ha detto Lieberman aggiungendo che una soluzione al conflitto fra israeliani e palestinesi e' possibile solo tenendo conto della situazione nel'intera regione.

(ANSA, 2 giugno 2009)

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Ordinazioni rabbiniche ortodosse in Germania

di Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma

Domani a Monaco di Baviera verranno date, con una cerimonia solenne, le due prime ordinazioni rabbiniche ortodosse in Germania dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. In questo c'è un messaggio molto suggestivo: il nazismo non è riuscito a spegnere la luce della Torà. Ma subito dopo la domanda: perché così tardi? Facciamo un confronto con l'Italia, patria del fascismo e sede di una persecuzione pesante, al termine della quale l'ebraismo ha perso 20 mila persone tra vittime, emigrati e convertiti. Alla fine della guerra le istituzioni ebraiche italiane hanno fatto il possibile per continuare. Con tutte le difficoltà le scuole rabbiniche italiane sono riuscite a ordinare, dal 1945 ad oggi, circa 37 rabbini. Perché l'Italia sì e la Germania no? Probabilmente perché in Italia e altrove il Male è stato considerato, benché terribile, un accidente transitorio, mentre in Germania è stato considerato essenziale e inscindibile da quella terra e quel popolo. Era giusto che fosse così? E se lo era, perché ora non lo è più?.

(Notiziario Ucei, 1 giugno 2009)

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Cisgiordania, riesplode lo scontro Fatah-Hamas

Dopo il viaggio a Washington, mano dura di Abu Mazen: sei morti tra le fazioni

GERUSALEMME - Riesplode la violenza tra Hamas e al Fatah con sei palestinesi (due miliziani islamici, tre poliziotti dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) e un civile) uccisi in uno scontro a fuoco a Qalqilya, nel nord della Cisgiordania. Lo scontro giunge appena tre giorni dopo l'aperto sostegno che il presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas) ha ottenuto a Washington dal presidente Barak Obama, sostegno che ha aggravato l'ostilità tra il movimento integralista islamico Hamas, al potere a Gaza, e l'organizzazione al Fatah, della quale Abu Mazen è il leader.
Due notti fa agenti dell'Anp hanno bussato alla porta di una casa di due piani a Qalqilya, per arrestare due attivisti di Hamas. Ma gli agenti sono stati accolti con raffiche di armi automatiche che hanno ucciso tre poliziotti e costretto gli altri a ritirarsi in attesa di rinforzi. È così cominciata una battaglia durata circa sette ore, a conclusione della quale, ieri sono stati uccisi Mohammed Samman, il più alto ufficiale di Hamas nell'area, il suo vice Moahmmed Yassin e il proprietario della casa.
La decisione con la quale la polizia palestinese ha portato a termine l'operazione, secondo numerosi osservatori, indica maggiore fiducia nelle sue capacità e dimostra la volontà politica dell'Anp di esercitare i suoi poteri, forte del sostegno ottenuto negli Stati Uniti. Il consigliere presidenziale palestinese Nabil Abu Rudeina ha detto: «Se vogliamo costruire il nostro Stato dobbiamo fare in modo che vi sia una sola autorità col potere di far rispettare le leggi e di portare armi». «L'esempio di Hamas a Gaza non si ripeterà» hanno affermato fonti dell'Anp.
Gli integralisti di Hamas hanno reagito con collera all'uccisione dei loro miliziani: hanno accusato l'Anp e al Fatah di aver «superato ogni linea rossa» e Abu Mazen di collusione con «il nemico sionista».

(L’Arena, 1 giugno 2009)

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Grande mostra: Carlo Levi "Il prezzo della libertà"

Carlo Levi - Autoritratto
Come ultimo atto per il festival di cultura ebraica OyOyOy!: domenica, in Sinagoga, la Comunità Ebraica casalese ha presentato la mostra di Carlo Levi "Il prezzo della libertà", una storica esposizione di opere del grande artista che il complesso di vicolo Olper ospiterà fino al 5 luglio.
A fare da prologo all'inaugurazione vera e propria, sabato sera, il suggestivo concerto di Marco Fusi Group,.
Il quartetto, formato da Marco Fusi al clarinetto, Yuri Goloubev al contrabbasso, Ninela Lamaj al violino e Thomas Sinigallia alla fisarmonica, ha incantato e divertito al tempo stesso il numeroso pubblico con musica klezmer, genere tradizionale ebraico.
La band ha proposto brani classici e non, con particolare attenzione alle contaminazioni che il filone musicale ha assimilato entrando in contatto con differenti culture....

(Il Monferrato, 1 giugno 2009)

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Iran-nucleare: secondo Israele programma ‘a velocità inquietante’

Tel Aviv ipotizza che l’Iran, già a fine anno, abbia a disposizione il materiale necessario per la sua prima bomba atomica.

L'Iran potrebbe avere già entro la fine del 2009 abbastanza "materiale fissile per realizzare la sua prima bomba nucleare". Lo ha affermato oggi il generale Yossi Baidatz, capo divisione dell'intelligence militare israeliana, durante un'audizione alla commissione Esteri e Difesa della Knesset alla quale è intervenuto pure il premier Benyamin Netanyahu. Secondo l'alto ufficiale, "la velocità" dei programmi atomici iraniani è "molto inquietante". Teheran - ha aggiunto - "ha già missili in grado di raggiungere Israele e l'orologio iraniano precede quello del dialogo internazionale". Di recente fonti dell'amministrazione americana - pur impegnata a tentare un approccio diplomatico con Teheran - hanno espresso a loro volta preoccupazione per l'accelerazione dei programmi nucleari iraniani, ma hanno evocato il timore della bomba per il 2010.

(L'Unione Sarda, 1 giugno 2009)

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Insediamenti, tensione Tel Aviv-Usa

Israele contrario al congelamento chiesto dalla Casa Bianca

TEL AVIV - Si moltiplicano i segnali di frizione fra Israele e Usa sul dossier degli insediamenti ebraici in Cisgiordania (territorio dell’Autonomia palestinese), che l’amministrazione di Barack Obama chiede con crescente insistenza di congelare per favorire il rilancio del processo di pace. Un’insistenza che ha incoraggiato il governo di destra (con appendice laburista) del premier Benyamin Netnyahu a fare un paio di gesti concilianti sul fronte della rimozione di piccoli avamposti abusivi, ma non sembra per ora attenuare d’un millimetro il no all’idea di uno stop totale dei progetti di costruzione nelle grandi colonie esistenti.
Le pressioni della Casa Bianca su questo tema, rinnovate nei giorni scorsi a margine del vertice fra Obama e il presidente moderato dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Abu Mazen, avevano già trovato giovedì una risposta fredda da Mark Regev, portavoce di Netanyahu. Ieri i toni sono ulteriormente saliti per bocca di alcuni ministri: figure non di primissimo piano, ma interpreti non smentiti di umori diffusi.
«Voglio rendere chiaro che l’attuale governo non accetterà mai alcun congelamento degli insediamenti legali di Giudea e Samaria (Cisgiordania)», ha tuonato più di tutti il ministro dei Trasporti, Yisrael Katz, focoso esponente del Likud (il partito di Netanyahu, destra tradizionale): definendo «legali» (a differenza degli avamposti) quelle costruzioni autorizzate dai governi israeliani, che la comunità internazionale giudica viceversa illegittime al pari di tutte le colonie realizzate dal 1967 in poi. Katz ritiene in particolare «ingiusta» la richiesta americana di congelare i piani di ampliamento presentati da Israele come una risposta alla «crescita naturale» della popolazione delle colonie (forte già oggi di 280.000 persone solo in Cisgiordania, Gerusalemme est esclusa).
D’accordo con lui, fra gli altri, il ministro-rabbino Daniel Hershkowitz, titolare del dicastero della Scienza e rappresentante del Focolare Ebraico (vicino al movimento dei coloni religiosi), il quale ha tacciato di «irragionevolezza» il rifiuto Usa di convenire sull’argomento della crescita naturale. Accostando Obama niente meno che a un «faraone» reincarnato, deciso a «buttare nel Nilo» il popolo di Mosè.
Netanyahu si è sentito a sua volta in dovere di precisare al gruppo parlamentare del Likud di non avere alcuna intenzione di «rimuovere comunità intere».

(Corriere Canadese, 1 giugno 2009)

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Se Israele attacca, l'Iran scatenerà tutti i suoi alleati contro lo Stato ebraico

Attaccare l’Iran per azzerarne il programma nucleare. Questa la mission (quasi) impossibile per la macchina bellica israeliana. Certo, Israele potrebbe risolvere la pratica con un attacco nucleare contro i vari Natanz, Busher ecc., ma le conseguenze ambientali sarebbero devastanti, per tutta la regione, con ricadute che si farebbero sentire per anni se non decenni. Ecco allora che l’opzione più credibile resta quella di un attacco aereo convenzionale con la Hel Haavir, la leggendaria Aeronautica israeliana, ancora una volta indiscussa protagonista. In Israele ci si sta preparando a questo scenario ormai da anni, anche perché non si tratterebbe di una semplice ripetizione dell’operazione "Opera" che nel 1981 portò alla distruzione del reattore nucleare iracheno di Osirak. Gli obiettivi sono molti di più. Sono ben protetti e per di più dispersi su un territorio molto vasto....

(l'Occidentale, 1 giugno 2009)

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Notizie archiviate

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