Chi tra voi teme l'Eterno,
e ascolta la voce del suo servo?
Benché cammini nelle tenebre, privo di luce,
confidi nel nome dell'Eterno,
e s'appoggi sul suo Dio!
Isaia 50:10  

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נַחֲמ֥וּ נַחֲמ֥ו עַמִּ֑י
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Predicazioni
Sovranità e grazia di Dio
ROMANI 8
  1. Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno.
GENESI 6
  1. Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo.
  2. Il Signore si pentì d'aver fatto l'uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo.
  3. E il Signore disse: «Io sterminerò dalla faccia della terra l'uomo che ho creato: dall'uomo al bestiame, ai rettili, agli uccelli dei cieli; perché mi pento di averli fatti».
  4. Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore.
GENESI 12
  1. Il Signore disse ad Abramo: «Va' via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti mostrerò;
  2. io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione.
  3. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra».
ESODO 3
  1. Il Signore disse: «Ho visto, ho visto l'afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; infatti conosco i suoi affanni.
  2. Sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani e per farlo salire da quel paese in un paese buono e spazioso, in un paese nel quale scorre il latte e il miele, nel luogo dove sono i Cananei, gli Ittiti, gli Amorei, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei.
  3. E ora, ecco, le grida dei figli d'Israele sono giunte a me; e ho anche visto l'oppressione con cui gli Egiziani li fanno soffrire.
  4. Or dunque va'; io ti mando dal faraone perché tu faccia uscire dall'Egitto il mio popolo, i figli d'Israele».
ESODO 6
  1. Il Signore disse a Mosè: «Ora vedrai quello che farò al faraone; perché, forzato da una mano potente, li lascerà andare: anzi, forzato da una mano potente, li scaccerà dal suo paese».
  2. Dio parlò a Mosè e gli disse: «Io sono il Signore.
  3. Io apparvi ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe, come il Dio onnipotente; ma non fui conosciuto da loro con il mio nome di Signore.
  4. Stabilii pure il mio patto con loro, per dar loro il paese di Canaan, il paese nel quale soggiornavano come forestieri.
  5. Ho anche udito i gemiti dei figli d'Israele che gli Egiziani tengono in schiavitù e mi sono ricordato del mio patto.
  6. Perciò, di' ai figli d'Israele: "Io sono il Signore; quindi vi sottrarrò ai duri lavori di cui vi gravano gli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi salverò con braccio steso e con grandi atti di giudizio.
DEUTERONOMIO 8
  1. Abbiate cura di mettere in pratica tutti i comandamenti che oggi vi do, affinché viviate, moltiplichiate ed entriate in possesso del paese che il Signore giurò di dare ai vostri padri.
  2. Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, il tuo Dio, ti ha fatto fare in questi quarant'anni nel deserto per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandamenti.
  3. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per insegnarti che l'uomo non vive soltanto di pane, ma che vive di tutto quello che procede dalla bocca del Signore.
  1. Nel deserto ti ha nutrito di manna che i tuoi padri non avevano mai conosciuta, per umiliarti e per provarti, per farti, alla fine, del bene.

Marcello Cicchese
gennaio 2008

Un sabato sacro
ESODO 31
  1. L'Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo:
  2. 'Quanto a te, parla ai figli d'Israele e di' loro: Badate bene d'osservare i miei sabati, perché il sabato è un segno fra me e voi per tutte le vostre generazioni, affinché conosciate che io sono l'Eterno che vi santifica.
  3. Osserverete dunque il sabato, perché è per voi un giorno santo; chi lo profanerà dovrà essere messo a morte; chiunque farà in esso qualche lavoro sarà sterminato di fra il suo popolo.
  4. Si lavorerà sei giorni; ma il settimo giorno è un sabato di solenne riposo, sacro all'Eterno; chiunque farà qualche lavoro nel giorno del sabato dovrà esser messo a morte.
  5. I figli d'Israele quindi osserveranno il sabato, celebrandolo di generazione in generazione come un patto perpetuo.
  6. Esso è un segno perpetuo fra me e i figli d'Israele; poiché in sei giorni l'Eterno fece i cieli e la terra, e il settimo giorno cessò di lavorare, e si riposò'.
  7. Quando l'Eterno ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli dette le due tavole della testimonianza, tavole di pietra, scritte col dito di Dio.

Marcello Cicchese
maggio 2017

Benedizione a domicilio?
GENESI 12
  1. Il Signore disse ad Abramo: «Va' via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti mostrerò;
  2. io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione.
  3. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra».
  4. Abramo partì, come il Signore gli aveva detto, e Lot andò con lui. Abramo aveva settantacinque anni quando partì da Caran.
  5. Abramo prese Sarai sua moglie e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che possedevano e le persone che avevano acquistate in Caran, e partirono verso il paese di Canaan.
  6. Giunsero così nella terra di Canaan, e Abramo attraversò il paese fino alla località di Sichem, fino alla quercia di More. In quel tempo i Cananei erano nel paese.
  7. Il Signore apparve ad Abramo e disse: «Io darò questo paese alla tua discendenza». Lì Abramo costruì un altare al Signore che gli era apparso.
  8. Di là si spostò verso la montagna a oriente di Betel, e piantò le sue tende, avendo Betel a occidente e Ai ad oriente; lì costruì un altare al Signore e invocò il nome del Signore.

MARCO 10
  1. Mentre Gesù usciva per la via, un tale accorse e, inginocchiatosi davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?»
  2. Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio.
  3. Tu sai i comandamenti: "Non uccidere; non commettere adulterio; non rubare; non dire falsa testimonianza; non frodare nessuno; onora tuo padre e tua madre"».
  4. Ed egli rispose: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia gioventù».
  5. Gesù, guardatolo, l'amò e gli disse: «Una cosa ti manca! Va', vendi tutto ciò che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi».
  6. Ma egli, rattristato da quella parola, se ne andò dolente, perché aveva molti beni.
  7. Gesù, guardatosi attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno delle ricchezze entreranno nel regno di Dio!»
  8. I discepoli si stupirono di queste sue parole. E Gesù replicò loro: «Figlioli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio!
  9. È più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio».
  10. Ed essi sempre più stupiti dicevano tra di loro: «Chi dunque può essere salvato?»
  11. Gesù fissò lo sguardo su di loro e disse: «Agli uomini è impossibile, ma non a Dio; perché ogni cosa è possibile a Dio».
  12. Pietro gli disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito».
  13. Gesù rispose: «In verità vi dico che non vi è nessuno che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli, o campi, per amor mio e per amor del vangelo,
  14. il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto: case, fratelli, sorelle, madri, figli, campi, insieme a persecuzioni e, nel secolo a venire, la vita eterna.
  15. Ma molti primi saranno ultimi e molti ultimi primi».

PROVERBI 10
  1. Quel che fa ricchi è la benedizione dell'Eterno e il tormento che uno si dà non le aggiunge nulla.

Marcello Cicchese
giugno 2006


Salmo 56
Salmo 56
  1. Abbi pietà di me, o Dio, poiché gli uomini anelano a divorarmi; mi tormentano con una guerra di tutti i giorni;
  2. i miei nemici anelano del continuo a divorarmi, poiché sono molti quelli che m'assalgono con superbia.
  3. Nel giorno in cui temerò, io confiderò in te.
  4. Con l'aiuto di Dio celebrerò la sua parola; in Dio confido, e non temerò; che mi può fare il mortale?
  5. Torcono del continuo le mie parole; tutti i lor pensieri son vòlti a farmi del male.
  6. Si radunano, stanno in agguato, spiano i miei passi, come gente che vuole la mia vita.
  7. Rendi loro secondo la loro iniquità! O Dio, abbatti i popoli nella tua ira!
  8. Tu conti i passi della mia vita errante; raccogli le mie lacrime negli otri tuoi; non sono esse nel tuo registro?
  9. Nel giorno che io griderò, i miei nemici indietreggeranno. Questo io so: che Dio è per me.
  10. Con l'aiuto di Dio celebrerò la sua parola; con l'aiuto dell'Eterno celebrerò la sua parola.
  11. In Dio confido e non temerò; che mi può fare l'uomo?
  12. Tengo presenti i voti che t'ho fatti, o Dio; io t'offrirò sacrifizi di lode;
  13. poiché tu hai riscosso l'anima mia dalla morte, hai guardato i miei piedi da caduta, affinché io cammini, al cospetto di Dio, nella luce de' viventi.

Marcello Cicchese
agosto 2016

Una lampada al piede
Salmo 119
  1. La tua parola è una lampada al mio piede e una luce sul mio sentiero.
  2. Ho giurato, e lo manterrò, di osservare i tuoi giusti giudizi.
  3. Io sono molto afflitto; Signore, rinnova la mia vita secondo la tua parola.
  4. Signore, gradisci le offerte volontarie delle mie labbra e insegnami i tuoi giudizi.
  5. La mia vita è sempre in pericolo, ma io non dimentico la tua legge.
  6. Gli empi mi hanno teso dei lacci, ma io non mi sono allontanato dai tuoi precetti.
  7. Le tue testimonianze sono la mia eredità per sempre, esse sono la gioia del mio cuore.
  8. Ho messo il mio impegno a praticare i tuoi statuti, sempre, sino alla fine.

Marcello Cicchese
gennaio 2008

Il peggiore dei profeti
MATTEO

Capitolo 12
  1. Allora alcuni degli scribi e dei Farisei presero a dirgli: Maestro, noi vorremmo vederti operare un segno.
  2. Ma egli rispose loro: Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno; e segno non le sarà dato, tranne il segno del profeta Giona.
  3. Poiché, come Giona stette nel ventre del pesce tre giorni e tre notti, così starà il Figliuol dell'uomo nel cuor della terra tre giorni e tre notti.
  4. I Niniviti risorgeranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno, perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco qui vi è più che Giona!

GIONA

Capitolo 1
  1. La parola dell'Eterno fu rivolta a Giona, figliuolo di Amittai, in questi termini:
  2. 'Lèvati, va' a Ninive, la gran città, e predica contro di lei; perché la loro malvagità è salita nel mio cospetto'.
  3. Ma Giona si levò per fuggirsene a Tarsis, lungi dal cospetto dell'Eterno; e scese a Giaffa, dove trovò una nave che andava a Tarsis; e, pagato il prezzo del suo passaggio, s'imbarcò per andare con quei della nave a Tarsis, lungi dal cospetto dell'Eterno.
  4. Ma l'Eterno scatenò un gran vento sul mare, e vi fu sul mare una forte tempesta, sì che la nave minacciava di sfasciarsi.
  5. I marinai ebbero paura, e ognuno gridò al suo dio e gettarono a mare le mercanzie ch'erano a bordo, per alleggerire la nave; ma Giona era sceso nel fondo della nave, s'era coricato, e dormiva profondamente.
  6. Il capitano gli si avvicinò, e gli disse: 'Che fai tu qui a dormire? Lèvati, invoca il tuo dio! Forse Dio si darà pensiero di noi, e non periremo'.
  7. Poi dissero l'uno all'altro: 'Venite, tiriamo a sorte, per sapere a cagione di chi ci capita questa disgrazia'. Tirarono a sorte, e la sorte cadde su Giona.
  8. Allora essi gli dissero: 'Dicci dunque a cagione di chi ci capita questa disgrazia! Qual è la tua occupazione? donde vieni? qual è il tuo paese? e a che popolo appartieni?'
  9. Egli rispose loro: 'Sono Ebreo, e temo l'Eterno, l'Iddio del cielo, che ha fatto il mare e la terra ferma'.
  10. Allora quegli uomini furon presi da grande spavento, e gli dissero: 'Perché hai fatto questo?' Poiché quegli uomini sapevano ch'egli fuggiva lungi dal cospetto dell'Eterno, giacché egli avea dichiarato loro la cosa.
  11. E quelli gli dissero: 'Che ti dobbiam fare perché il mare si calmi per noi?' Poiché il mare si faceva sempre più tempestoso.
  12. Egli rispose loro: 'Pigliatemi e gettatemi in mare, e il mare si calmerà per voi; perché io so che questa forte tempesta vi piomba addosso per cagion mia'.
  13. Nondimeno quegli uomini davan forte nei remi per ripigliar terra; ma non potevano, perché il mare si faceva sempre più tempestoso e minaccioso.
  14. Allora gridarono all'Eterno, e dissero: 'Deh, o Eterno, non lasciar che periamo per risparmiar la vita di quest'uomo, e non ci mettere addosso del sangue innocente; perché tu, o Eterno, hai fatto quel che ti è piaciuto'.
  15. Poi presero Giona e lo gettarono in mare; e la furia del mare si calmò.
  16. E quegli uomini furon presi da un gran timore dell'Eterno; offrirono un sacrifizio all'Eterno, e fecero dei voti.

Capitolo 4
  1. Ma Giona ne provò un gran dispiacere, e ne fu irritato; e pregò l'Eterno, dicendo:
  2. 'O Eterno, non è egli questo ch'io dicevo, mentr'ero ancora nel mio paese? Perciò m'affrettai a fuggirmene a Tarsis; perché sapevo che sei un Dio misericordioso, pietoso, lento all'ira, di gran benignità, e che ti penti del male minacciato.
  3. Or dunque, o Eterno, ti prego, riprenditi la mia vita; poiché per me val meglio morire che vivere'.
  4. E l'Eterno gli disse: 'Fai tu bene a irritarti così?'
  5. Poi Giona uscì dalla città, e si mise a sedere a oriente della città; si fece quivi una capanna, e vi sedette sotto, all'ombra, stando a vedere quello che succederebbe alla città.
  6. E Dio, l'Eterno, per guarirlo della sua irritazione, fece crescere un ricino, che montò su di sopra a Giona per fargli ombra al capo; e Giona provò una grandissima gioia a motivo di quel ricino.
  7. Ma l'indomani, allo spuntar dell'alba, Iddio fece venire un verme, il quale attaccò il ricino, ed esso si seccò.
  8. E come il sole fu levato, Iddio fece soffiare un vento soffocante d'oriente, e il sole picchiò sul capo di Giona, sì ch'egli venne meno, e chiese di morire, dicendo: 'Meglio è per me morire che vivere'.
  9. E Dio disse a Giona: 'Fai tu bene a irritarti così a motivo del ricino?' Egli rispose: 'Sì, faccio bene a irritarmi fino alla morte'.
  10. E l'Eterno disse: 'Tu hai pietà del ricino per il quale non hai faticato, e che non hai fatto crescere, che è nato in una notte e in una notte è perito:
  11. e io non avrei pietà di Ninive, la gran città, nella quale si trovano più di centoventimila persone che non sanno distinguere la loro destra dalla loro sinistra, e tanta quantità di bestiame?'

Marcello Cicchese
febbraio 2015

Salmo 27
Salmo 27
  1. Il Signore è la mia luce e la mia salvezza; di chi temerò?
    Il Signore è il baluardo della mia vita; di chi avrò paura?
  2. Quando i malvagi, che mi sono avversari e nemici, mi hanno assalito per divorarmi, essi stessi hanno vacillato e sono caduti.
  3. Se un esercito si accampasse contro di me, il mio cuore non avrebbe paura; se infuriasse la battaglia contro di me, anche allora sarei fiducioso.
  4. Una cosa ho chiesto al Signore, e quella ricerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore, e meditare nel suo tempio.
  5. Poich'egli mi nasconderà nella sua tenda in giorno di sventura, mi custodirà nel luogo più segreto della sua dimora, mi porterà in alto sopra una roccia.
  6. E ora la mia testa s'innalza sui miei nemici che mi circondano. Offrirò nella sua dimora sacrifici con gioia; canterò e salmeggerò al Signore.

  7. O Signore, ascolta la mia voce quando t'invoco; abbi pietà di me, e rispondimi.
  8. Il mio cuore mi dice da parte tua: «Cercate il mio volto!»
    Io cerco il tuo volto, o Signore.
  9. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo;tu sei stato il mio aiuto; non lasciarmi, non abbandonarmi, o Dio della mia salvezza!
  10. Qualora mio padre e mia madre m'abbandonino, il Signore mi accoglierà.
  11. O Signore, insegnami la tua via, guidami per un sentiero diritto, a causa dei miei nemici.
  12. Non darmi in balìa dei miei nemici; perché sono sorti contro di me falsi testimoni, gente che respira violenza.
  13. Ah, se non avessi avuto fede di veder la bontà del Signore sulla terra dei viventi!
  14. Spera nel Signore! Sii forte, il tuo cuore si rinfranchi; sì, spera nel Signore!

Marcello Cicchese
dicembre 2007

Il Re dei Giudei
Il Re dei Giudei

Dalla Sacra Scrittura

MATTEO 2
  1. Or essendo Gesù nato in Betleem di Giudea, ai dì del re Erode, ecco dei magi d'Oriente arrivarono in Gerusalemme, dicendo:
  2. Dov'è il re de' Giudei che è nato? Poiché noi abbiam veduto la sua stella in Oriente e siam venuti per adorarlo.
  3. Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.
  4. E radunati tutti i capi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informò da loro dove il Cristo doveva nascere.
  5. Ed essi gli dissero: In Betleem di Giudea; poiché così è scritto per mezzo del profeta:
  6. E tu, Betleem, terra di Giuda, non sei punto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un Principe, che pascerà il mio popolo Israele.
  7. Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s'informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparita;
  8. e mandandoli a Betleem, disse loro: Andate e domandate diligentemente del fanciullino; e quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo.
  9. Essi dunque, udito il re, partirono; ed ecco la stella che avevano veduta in Oriente, andava dinanzi a loro, finché, giunta al luogo dov'era il fanciullino, vi si fermò sopra.
  10. Ed essi, veduta la stella, si rallegrarono di grandissima allegrezza.
  11. Ed entrati nella casa, videro il fanciullino con Maria sua madre; e prostratisi, lo adorarono; ed aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra.
  12. Poi, essendo stati divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, per altra via tornarono al loro paese.
GIOVANNI 18
  1. Poi, da Caiàfa, menarono Gesù nel pretorio. Era mattina, ed essi non entrarono nel pretorio per non contaminarsi e così poter mangiare la pasqua.
  2. Pilato dunque uscì fuori verso di loro, e domandò: Quale accusa portate contro quest'uomo?
  3. Essi risposero e gli dissero: Se costui non fosse un malfattore, non te lo avremmo dato nelle mani.
  4. Pilato quindi disse loro: Pigliatelo voi, e giudicatelo secondo la vostra legge. I Giudei gli dissero: A noi non è lecito far morire alcuno.
  5. E ciò affinché si adempisse la parola che Gesù aveva detta, significando di qual morte doveva morire.
  6. Pilato dunque rientrò nel pretorio; chiamò Gesù e gli disse: Sei tu il Re dei Giudei?
  7. Gesù gli rispose: Dici tu questo di tuo, oppure altri te l'hanno detto di me?
  8. Pilato gli rispose: Son io forse giudeo? La tua nazione e i capi sacerdoti t'hanno messo nelle mie mani; che hai fatto?
  9. Gesù rispose: il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perch'io non fossi dato in mano dei Giudei; ma ora il mio regno non è di qui.
  10. Allora Pilato gli disse: Ma dunque, sei tu re? Gesù rispose: Tu lo dici; io sono re; io sono nato per questo, e per questo son venuto nel mondo, per testimoniare della verità. Chiunque è per la verità ascolta la mia voce.
  11. Pilato gli disse: Che cos'è verità? E detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei, e disse loro: Io non trovo alcuna colpa in lui.
  12. Ma voi avete l'usanza ch'io vi liberi uno per la Pasqua; volete dunque che vi liberi il Re de' Giudei?
  13. Allora gridaron di nuovo: Non costui, ma Barabba! Or Barabba era un ladrone.
Marcello Cicchese
ottobre 2019

Come cerva che assetata
Marcello Cicchese
gennaio 2008

Vanità delle vanità
Vanità delle vanità, tutto è vanità

Dalla Sacra Scrittura

ECCLESIASTE 1
  1. Parole dell'Ecclesiaste, figlio di Davide, re di Gerusalemme.
  2. Vanità delle vanità, dice l'Ecclesiaste, vanità delle vanità, tutto è vanità.
  3. Che profitto ha l'uomo di tutta la fatica che sostiene sotto il sole?
  4. Una generazione se ne va, un'altra viene, e la terra sussiste per sempre.
  5. Anche il sole sorge, poi tramonta, e si affretta verso il luogo da cui sorgerà di nuovo.
  6. Il vento soffia verso il mezzogiorno, poi gira verso settentrione; va girando, girando continuamente, per ricominciare gli stessi giri.
  7. Tutti i fiumi corrono al mare, eppure il mare non si riempie; al luogo dove i fiumi si dirigono, continuano a dirigersi sempre.
  8. Ogni cosa è in travaglio, più di quanto l'uomo possa dire; l'occhio non si sazia mai di vedere e l'orecchio non è mai stanco di udire.
  9. Ciò che è stato è quel che sarà; ciò che si è fatto è quel che si farà; non c'è nulla di nuovo sotto il sole.
  10. C'è forse qualcosa di cui si possa dire: «Guarda, questo è nuovo?» Quella cosa esisteva già nei secoli che ci hanno preceduto.
  11. Non rimane memoria delle cose d'altri tempi; così di quanto succederà in seguito non rimarrà memoria fra quelli che verranno più tardi.
  12. Io, l'Ecclesiaste, sono stato re d'Israele a Gerusalemme,
  13. e ho applicato il cuore a cercare e a investigare con saggezza tutto ciò che si fa sotto il cielo: occupazione penosa, che Dio ha data ai figli degli uomini perché vi si affatichino.
  14. Io ho visto tutto ciò che si fa sotto il sole: ed ecco tutto è vanità, è un correre dietro al vento.
  15. Ciò che è storto non può essere raddrizzato, ciò che manca non può essere contato.
  16. Io ho detto, parlando in cuor mio: «Ecco io ho acquistato maggiore saggezza di tutti quelli che hanno regnato prima di me a Gerusalemme; sì, il mio cuore ha posseduto molta saggezza e molta scienza».
  17. Ho applicato il cuore a conoscere la saggezza, e a conoscere la follia e la stoltezza; ho riconosciuto che anche questo è un correre dietro al vento.
  18. Infatti, dov'è molta saggezza c'è molto affanno, e chi accresce la sua scienza accresce il suo dolore.

ECCLESIASTE 2
  1. Io ho detto in cuor mio: «Andiamo! Ti voglio mettere alla prova con la gioia, e tu godrai il piacere!» Ed ecco che anche questo è vanità.
  2. Io ho detto del riso: «É una follia»; e della gioia: «A che giova?»
  1. Perciò ho odiato la vita, perché tutto quello che si fa sotto il sole mi è divenuto odioso, poiché tutto è vanità, un correre dietro al vento.

ECCLESIASTE 12
  1. Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso: Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto dell'uomo.

1 PIETRO 1
  1. E se invocate come Padre colui che giudica senza favoritismi, secondo l'opera di ciascuno, comportatevi con timore durante il tempo del vostro soggiorno terreno;
  2. sapendo che non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vano modo di vivere tramandatovi dai vostri padri,
  3. ma con il prezioso sangue di Cristo, come quello di un agnello senza difetto né macchia.
  4. Già designato prima della creazione del mondo, egli è stato manifestato negli ultimi tempi per voi;
  5. per mezzo di lui credete in Dio che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria affinché la vostra fede e la vostra speranza fossero in Dio.
  6. Avendo purificato le anime vostre con l'ubbidienza alla verità per giungere a un sincero amor fraterno, amatevi intensamente a vicenda di vero cuore,
  7. perché siete stati rigenerati non da seme corruttibile, ma incorruttibile, cioè mediante la parola vivente e permanente di Dio.
  8. Infatti, «ogni carne è come l'erba, e ogni sua gloria come il fiore dell'erba. L'erba diventa secca e il fiore cade;
  9. ma la parola del Signore rimane in eterno». E questa è la parola della buona notizia che vi è stata annunziata.

1 CORINZI 15
  1. Quando poi questo corruttibile avrà rivestito incorruttibilità e questo mortale avrà rivestito immortalità, allora sarà adempiuta la parola che è scritta: «La morte è stata sommersa nella vittoria».
  2. «O morte, dov'è la tua vittoria? O morte, dov'è il tuo dardo?»
  3. Ora il dardo della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge;
  4. ma ringraziato sia Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo.
  5. Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, sempre abbondanti nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.
Marcello Cicchese
8 ottobre 2006

La prova della fede
La prova della fede

Dalla Sacra Scrittura

GIACOMO 1
  1. Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù che sono disperse nel mondo: salute.
  2. Fratelli miei, considerate una grande gioia quando venite a trovarvi in prove svariate,
  3. sapendo che la prova della vostra fede produce costanza.
  4. E la costanza compia pienamente l'opera sua in voi, perché siate perfetti e completi, di nulla mancanti.
  5. Se poi qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio che dona a tutti generosamente senza rinfacciare, e gli sarà data.
  6. Ma la chieda con fede, senza dubitare; perché chi dubita rassomiglia a un'onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là.
  7. Un tale uomo non pensi di ricevere qualcosa dal Signore,
  8. perché è di animo doppio, instabile in tutte le sue vie.
  9. Il fratello di umile condizione sia fiero della sua elevazione;
  10. e il ricco, della sua umiliazione, perché passerà come il fiore dell'erba.
  11. Infatti il sole sorge con il suo calore ardente e fa seccare l'erba, e il suo fiore cade e la sua bella apparenza svanisce; anche il ricco appassirà così nelle sue imprese.
  12. Beato l'uomo che sopporta la prova; perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita, che il Signore ha promessa a quelli che lo amano.
Marcello Cicchese
1 ottobre 2006

L’enigma Gesù
L’enigma Gesù

Dalla Sacra Scrittura

MARCO 15
  1. E venuta l'ora sesta, si fecero tenebre per tutto il paese, fino all'ora nona.
  2. E all'ora nona, Gesù gridò con gran voce: Eloì, Eloì, lamà sabactanì? il che, interpretato, vuol dire: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
  3. E alcuni degli astanti, udito ciò, dicevano: Ecco, chiama Elia!
  4. E uno di loro corse, e inzuppata d'aceto una spugna, e postala in cima ad una canna, gli diè da bere dicendo: Aspettate, vediamo se Elia viene a trarlo giù.
  5. E Gesù, gettato un gran grido, rendé lo spirito.
  1. Ed essendo già sera (poiché era Preparazione, cioè la vigilia del sabato),
  2. venne Giuseppe d'Arimatea, consigliere onorato, il quale aspettava anch'egli il Regno di Dio; e, preso ardire, si presentò a Pilato e domandò il corpo di Gesù.
  3. Pilato si meravigliò ch'egli fosse già morto; e chiamato a sé il centurione, gli domandò se era morto da molto tempo;
  4. e saputolo dal centurione, donò il corpo a Giuseppe.
  5. E questi, comprato un panno lino e tratto Gesù giù di croce, l'involse nel panno e lo pose in una tomba scavata nella roccia, e rotolò una pietra contro l'apertura del sepolcro.
ATTI 1
  1. Nel mio primo libro, o Teofilo, parlai di tutto quel che Gesù prese e a fare e ad insegnare,
  2. fino al giorno che fu assunto in cielo, dopo aver dato per lo Spirito Santo dei comandamenti agli apostoli che avea scelto.
  3. Ai quali anche, dopo ch'ebbe sofferto, si presentò vivente con molte prove, facendosi veder da loro per quaranta giorni, e ragionando delle cose relative al regno di Dio.

  4. E trovandosi con essi, ordinò loro di non dipartirsi da Gerusalemme, ma di aspettarvi il compimento della promessa del Padre, la quale, egli disse, avete udita da me.
  5. Poiché Giovanni Battista battezzò sì con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo tra non molti giorni.
  6. Quelli dunque che erano radunati, gli domandarono: Signore, è egli in questo tempo che ristabilirai il regno ad Israele?
  7. Egli rispose loro: Non sta a voi di sapere i tempi o i momenti che il Padre ha riserbato alla sua propria autorità.
  8. Ma voi riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni e in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all'estremità della terra.

  9. E dette queste cose, mentre essi guardavano, fu elevato; e una nuvola, accogliendolo, lo tolse d'innanzi agli occhi loro.
  10. E come essi aveano gli occhi fissi in cielo, mentr'egli se ne andava, ecco che due uomini in vesti bianche si presentarono loro e dissero:
  11. Uomini Galilei, perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù che è stato tolto da voi ed assunto dal cielo, verrà nella medesima maniera che l'avete veduto andare in cielo.

  12. Allora essi tornarono a Gerusalemme dal monte chiamato dell'Uliveto, il quale è vicino a Gerusalemme, non distandone che un cammin di sabato.
  13. E come furono entrati, salirono nella sala di sopra ove solevano trattenersi Pietro e Giovanni e Giacomo e Andrea, Filippo e Toma, Bartolomeo e Matteo, Giacomo d'Alfeo, e Simone lo Zelota, e Giuda di Giacomo.
  14. Tutti costoro perseveravano di pari consentimento nella preghiera, con le donne, e con Maria, madre di Gesù, e coi fratelli di lui.
Marcello Cicchese
dicembre 2019

Salmi 124, 129
Salmo 124
  1. Se non fosse stato l'Eterno
    che fu per noi,
    lo dica pure ora Israele,
  2. se non fosse stato l'Eterno
    che fu per noi,
    quando gli uomini si levarono
    contro noi,
  3. allora ci avrebbero inghiottiti tutti vivi, quando l'ira loro
    ardeva contro noi;
  4. allora le acque ci avrebbero sommerso, il torrente sarebbe passato sull'anima nostra;
  5. allora le acque orgogliose sarebbero passate sull'anima nostra.
  6. Benedetto sia l'Eterno
    che non ci ha dato in preda ai loro denti!
  7. L'anima nostra è scampata,
    come un uccello dal laccio degli uccellatori;
    il laccio è stato rotto, e noi siamo scampati.
  8. Il nostro aiuto è nel nome dell'Eterno,
    che ha fatto il cielo e la terra.

Salmo 129
  1. Molte volte m'hanno oppresso dalla mia giovinezza!
    Lo dica pure Israele:
  2. Molte volte m'hanno oppresso dalla mia giovinezza;
    eppure, non hanno potuto vincermi.
  3. Degli aratori hanno arato sul mio dorso,
    v'hanno tracciato i loro lunghi solchi.
  4. L'Eterno è giusto;
    egli ha tagliato le funi degli empi.
  5. Siano confusi e voltin le spalle
    tutti quelli che odiano Sion!
  6. Siano come l'erba dei tetti,
    che secca prima di crescere!
  7. Non se n'empie la mano il mietitore,
    né le braccia chi lega i covoni;
  8. e i passanti non dicono:
    La benedizione dell'Eterno sia sopra voi;
    noi vi benediciamo nel nome dell'Eterno!
Marcello Cicchese
31 maggio 2015

Dio con gli uomini
Dio abiterà con gli uomini

Dalla Sacra Scrittura

Apocalisse 21:1-3
  1. Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, poiché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi, e il mare non c'era più.
  2. E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scendere giù dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.
  3. E udii una gran voce dal trono, che diceva: «Ecco il tabernacolo (skene) di Dio con gli uomini! Egli abiterà (skenao) con loro, ed essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà loro Dio."
Esodo 25
  1. E mi facciano un santuario perch'io abiti (shachan) in mezzo a loro.
  2. Me lo farete in tutto e per tutto secondo il modello del tabernacolo (mishchan) e secondo il modello di tutti i suoi arredi, che io sto per mostrarti.
Esodo 29
  1. Sarà un olocausto perpetuo offerto dai vostri discendenti, all'ingresso della tenda di convegno, davanti all'Eterno, dove io v'incontrerò per parlare qui con te.
  2. E là io mi troverò coi figli d'Israele; e la tenda sarà santificata dalla mia gloria.
  3. E santificherò la tenda di convegno e l'altare; anche Aaronne e i suoi figliuoli santificherò, perché mi esercitino l'ufficio di sacerdoti.
  4. E abiterò (shachan) in mezzo ai figli d'Israele e sarò il loro Dio.
  5. Ed essi conosceranno che io sono l'Eterno, l'Iddio loro, che li ho tratti dal paese d'Egitto per abitare (shachan) tra loro. Io sono l'Eterno, l'Iddio loro.
Giovanni 1
  1. E la Parola è stata fatta carne ed ha abitato (skenao) per un tempo fra noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come quella dell'Unigenito venuto da presso al Padre.
Luca 17
  1. Il regno di Dio non viene in modo da attirare gli sguardi; né si dirà:
  2. "Eccolo qui", o "eccolo là"; perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi.
Giovanni 1
  1. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, ma il mondo non l'ha conosciuto.
  2. È venuto in casa sua, e i suoi non l'hanno ricevuto:
  3. ma a tutti quelli che l'hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio; a quelli, cioè, che credono nel suo nome.
Matteo 18
  1. Poiché dovunque due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro.
1 Corinzi 3
  1. Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?
  2. Se uno guasta il tempio di Dio, Dio guasterà lui; poiché il tempio di Dio è santo; e questo tempio siete voi.
Giovanni 14
  1. Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me!
  2. Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che vado a prepararvi un luogo?
  3. Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi".
Marcello Cicchese
novembre 2016

Io vi darò riposo
  «Io vi darò riposo»

  Matteo 11:28-30
  Venite a me, voi tutti
  che siete travagliati ed aggravati,
  e io vi darò riposo.
  Prendete su voi il mio giogo
  ed imparate da me,
  perch'io sono mansueto ed umile di cuore;
  e voi troverete riposo alle anime vostre;
  poiché il mio giogo è dolce
  e il mio carico è leggero.

Marcello Cicchese
ottobre 2015

Tempi difficili
Negli ultimi giorni
verranno tempi difficili


Seconda lettera di Paolo a Timoteo

Capitolo 3
  1. Or sappi questo: che negli ultimi giorni verranno dei tempi difficili;
  2. perché gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanagloriosi, superbi, bestemmiatori, disubbidienti ai genitori, ingrati, irreligiosi,
  3. senza affezione naturale, mancatori di fede, calunniatori, intemperanti, spietati, senza amore per il bene,
  4. traditori, temerari, gonfi, amanti del piacere anziché di Dio,
  5. avendo le forme della pietà, ma avendone rinnegata la potenza.
  6. Anche costoro schiva! Poiché del numero di costoro sono quelli che s'insinuano nelle case e cattivano donnicciuole cariche di peccati, e agitate da varie cupidigie,
  7. che imparano sempre e non possono mai pervenire alla conoscenza della verità.
  8. E come Jannè e Iambrè contrastarono a Mosè, così anche costoro contrastano alla verità: uomini corrotti di mente, riprovati quanto alla fede.
  9. Ma non andranno più oltre, perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti, come fu quella di quegli uomini.
  10. Quanto a te, tu hai tenuto dietro al mio insegnamento, alla mia condotta, ai miei propositi, alla mia fede, alla mia pazienza, al mio amore, alla mia costanza,
  11. alle mie persecuzioni, alle mie sofferenze, a quel che mi avvenne ad Antiochia, ad Iconio ed a Listra. Sai quali persecuzioni ho sopportato; e il Signore mi ha liberato da tutte.
  12. E d'altronde tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati;
  13. mentre i malvagi e gli impostori andranno di male in peggio, seducendo ed essendo sedotti.
  14. Ma tu persevera nelle cose che hai imparate e delle quali sei stato accertato, sapendo da chi le hai imparate,
  15. e che fin da fanciullo hai avuto conoscenza degli Scritti sacri, i quali possono renderti savio a salute mediante la fede che è in Cristo Gesù.
  16. Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile ad insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia,
  17. affinché l'uomo di Dio sia compiuto, appieno fornito per ogni opera buona.

Capitolo 4
  1. Io te ne scongiuro nel cospetto di Dio e di Cristo Gesù che ha da giudicare i vivi e i morti, e per la sua apparizione e per il suo regno:
  2. Predica la Parola, insisti a tempo e fuor di tempo, riprendi, sgrida, esorta con grande pazienza e sempre istruendo.
  3. Perché verrà il tempo che non sopporteranno la sana dottrina; ma per prurito d'udire si accumuleranno dottori secondo le loro proprie voglie
  4. e distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole.
  5. Ma tu sii vigilante in ogni cosa, soffri afflizioni, fa' l'opera d'evangelista, compi tutti i doveri del tuo ministero.
Marcello Cicchese
luglio 2015

Il libro di Giobbe
Giobbe: una questione di giustizia

La figura di Giobbe viene di solito messa in relazione con il problema della sofferenza. Dallo studio del libro su cui si basa la seguente predicazione emerge invece che l’angoscioso tormento in cui si dibatte Giobbe non è dovuto all’inesplicabilità del problema della sofferenza, ma al crollo di un pilastro che aveva sostenuto fino a quel momento la sua vita: la fede nella giustizia di Dio. Le “buone parole” con cui i suoi amici cercano di metterlo sulla buona strada lo spingono sempre di più sul ciglio di un baratro in cui corre il rischio di cadere e perdersi definitivamente: il pensiero di essere più giusto di Dio.

Marcello Cicchese
novembre 2018

Testo delle letture

1.6 Or accadde un giorno, che i figli di Dio vennero a presentarsi davanti all'Eterno, e Satana venne anch'egli in mezzo a loro.
   7 E l'Eterno disse a Satana: 'Da dove vieni?' E Satana rispose all'Eterno: 'Dal percorrere la terra e dal passeggiar per essa'.
   8 E l'Eterno disse a Satana: 'Hai tu notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Iddio e fugga il male'.
   9 E Satana rispose all'Eterno: 'È egli forse per nulla che Giobbe teme Iddio?
 10 Non l'hai tu circondato d'un riparo, lui, la sua casa, e tutto quello che possiede? Tu hai benedetto l'opera delle sue mani, e il suo bestiame ricopre tutto il paese.
 11 Ma stendi un po' la tua mano, tocca quanto egli possiede, e vedrai se non ti rinnega in faccia'.
 12 E l'Eterno disse a Satana: 'Ebbene! tutto quello che possiede è in tuo potere; soltanto, non stender la mano sulla sua persona'. - E Satana si ritirò dalla presenza dell'Eterno.


1.20 Allora Giobbe si alzò e si stracciò il mantello e si rase il capo e si prostrò a terra e adorò e disse:
   21 'Nudo sono uscito dal seno di mia madre, e nudo tornerò in seno della terra; l'Eterno ha dato, l'Eterno ha tolto; sia benedetto il nome dell'Eterno'.
   22 In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di mal fatto.


2.E l'Eterno disse a Satana:
   3 'Hai tu notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Iddio e fugga il male. Egli si mantiene saldo nella sua integrità benché tu m'abbia incitato contro di lui per rovinarlo senza alcun motivo'.
   4 E Satana rispose all'Eterno: 'Pelle per pelle! L'uomo dà tutto quel che possiede per la sua vita;
   5 ma stendi un po' la tua mano, toccagli le ossa e la carne, e vedrai se non ti rinnega in faccia'.
   6 E l'Eterno disse a Satana: 'Ebbene esso è in tuo potere; soltanto, rispetta la sua vita'.
   7 E Satana si ritirò dalla presenza dell'Eterno e colpì Giobbe d'un'ulcera maligna dalla pianta de' piedi al sommo del capo; e Giobbe prese un còccio per grattarsi, e stava seduto nella cenere.
   8 E sua moglie gli disse: 'Ancora stai saldo nella tua integrità?
   9 Ma lascia stare Iddio, e muori!'
10 E Giobbe a lei: 'Tu parli da donna insensata! Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuteremmo d'accettare il male?' - In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra.


3.1 Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il giorno della sua nascita.
   2 E prese a dire così:
   3 «Perisca il giorno ch'io nacqui e la notte che disse: 'È concepito un maschio!'
   4 Quel giorno si converta in tenebre, non se ne curi Iddio dall'alto, né splenda sovr'esso raggio di luce!
   5 Se lo riprendano le tenebre e l'ombra di morte, resti sovr'esso una fitta nuvola, le eclissi lo riempiano di paura!


3.11 Perché non morii nel seno di mia madre? Perché non spirai appena uscito dalle sue viscere?
   12 Perché trovai delle ginocchia per ricevermi e delle mammelle da poppare?
   20 Perché dar la luce all'infelice e la vita a chi ha l'anima nell'amarezza,
   23 Perché dar vita a un uomo la cui via è oscura, e che Dio ha stretto in un cerchio?


9.20 Fossi pur giusto, la mia bocca stessa mi condannerebbe; fossi pure integro, essa mi farebbe dichiarar perverso.
   21 Integro! Sì, lo sono! di me non mi preme, io disprezzo la vita!
   22 Per me è tutt'uno! perciò dico: 'Egli distrugge ugualmente l'integro ed il malvagio.
   23 Se un flagello, a un tratto, semina la morte, egli ride dello sgomento degli innocenti.
   24 La terra è data in balìa dei malvagi; egli vela gli occhi ai giudici di essa; se non è lui, chi è dunque'?


13.7 Volete dunque difendere Iddio parlando iniquamente?


19.5 Ma se proprio volete insuperbire contro di me e rimproverarmi la vergogna in cui mi trovo,
    6 allora sappiatelo: chi m'ha fatto torto e m'ha avvolto nelle sue reti è Dio.
    7 Ecco, io grido: 'Violenza!' e nessuno risponde; imploro aiuto, ma non c'è giustizia!


24.12 Sale dalle città il gemito dei morenti; l'anima de' feriti implora aiuto, e Dio non si cura di codeste infamie!

24.22 Iddio con la sua forza prolunga i giorni dei prepotenti, i quali risorgono, quand'ormai disperavano della vita.

24.25 Se così non è, chi mi smentirà, chi annienterà il mio dire?


27.5 Lungi da me l'idea di darvi ragione! Fino all'ultimo respiro non mi lascerò togliere la mia integrità.
    6 Ho preso a difendere la mia giustizia e non cederò; il cuore non mi rimprovera uno solo dei miei giorni.


31.35 Oh, avessi pure chi m'ascoltasse!... ecco qua la mia firma! l'Onnipotente mi risponda! Scriva l'avversario mio la sua querela,
    36 ed io la porterò attaccata alla mia spalla, me la cingerò come un diadema!
    37 Gli renderò conto di tutti i miei passi, a lui mi avvicinerò come un principe!


1.6 Or avvenne un giorno, che i figli di Dio vennero a presentarsi davanti all'Eterno, e Satana venne anch'egli in mezzo a loro.


16.19 Già fin d'ora, ecco, il mio Testimonio è in cielo, il mio Garante è nei luoghi altissimi.
    20 Gli amici mi deridono, ma a Dio si volgon piangenti gli occhi miei;
    21 sostenga egli le ragioni dell'uomo presso Dio, le ragioni del figlio dell'uomo contro i suoi compagni!


19.25 Ma io so che il mio Vendicatore vive, e che alla fine si leverà sulla polvere.
    26 E quando, dopo la mia pelle, sarà distrutto questo corpo, senza la mia carne, vedrò Iddio.
    27 Io lo vedrò a me favorevole; lo contempleranno gli occhi miei, non quelli d'un altro... il cuore, dalla brama, mi si strugge in seno!


9.32 Dio non è un uomo come me, perch'io gli risponda e che possiam comparire in giudizio assieme.
  33 Non c'è fra noi un arbitro, che posi la mano su tutti e due!


42.7 Dopo che ebbe rivolto questi discorsi a Giobbe, l'Eterno disse a Elifaz di Teman: 'L'ira mia è accesa contro te e contro i tuoi due amici, perché non avete parlato di me secondo la verità, come ha fatto il mio servo Giobbe.


32.1 Quei tre uomini cessarono di rispondere a Giobbe perché egli si credeva giusto.
     2 Allora l'ira di Elihu, figliuolo di Barakeel il Buzita, della tribù di Ram, s'accese:
     3 s'accese contro Giobbe, perché riteneva giusto se stesso anziché Dio; s'accese anche contro i tre amici di lui perché non avean trovato che rispondere, sebbene condannassero Giobbe.


32.13 Non avete dunque ragione di dire: 'Abbiam trovato la sapienza! Dio soltanto lo farà cedere; non l'uomo!'
 14 Egli non ha diretto i suoi discorsi contro a me, ed io non gli risponderò colle vostre parole.


33.1 Ma pure, ascolta, o Giobbe, il mio dire, porgi orecchio a tutte le mie parole!
   2 Ecco, apro la bocca, la lingua parla sotto il mio palato.
   3 Nelle mie parole è la rettitudine del mio cuore; e le mie labbra diran sinceramente quello che so.
   4 Lo spirito di Dio mi ha creato, e il soffio dell'Onnipotente mi dà la vita.
   5 Se puoi, rispondimi; prepara le tue ragioni, fatti avanti!
   6 Ecco, io sono uguale a te davanti a Dio; anch'io, fui tratto dall'argilla.
   7 Spavento di me non potrà quindi sgomentarti, e il peso della mia autorità non ti potrà schiacciare.
   8 Davanti a me tu dunque hai detto (e ho bene udito il suono delle tue parole):
   9 'Io sono puro, senza peccato; sono innocente, non c'è iniquità in me;
 10 ma Dio trova contro me degli appigli ostili, mi tiene per suo nemico;
 11 mi mette i piedi nei ceppi, spia tutti i miei movimenti'.
 12 E io ti rispondo: In questo non hai ragione; giacché Dio è più grande dell'uomo.
 13 Perché contendi con lui? poich'egli non rende conto d'alcuno dei suoi atti.
 14 Iddio parla, bensì, una volta ed anche due, ma l'uomo non ci bada;
 15 parla per via di sogni, di visioni notturne, quando un sonno profondo cade sui mortali, quando sui loro letti essi giacciono assopiti;
 16 allora egli apre i loro orecchi e dà loro in segreto degli ammonimenti,
 17 per distoglier l'uomo dal suo modo d'agire e tener lungi da lui la superbia;
 18 per salvargli l'anima dalla fossa, la vita dal dardo mortale.
 19 L'uomo è anche ammonito sul suo letto, dal dolore, dall'agitazione incessante delle sue ossa;
 20 quand'egli ha in avversione il pane, e l'anima sua schifa i cibi più squisiti;
 21 la carne gli si consuma, e sparisce, mentre le ossa, prima invisibili, gli escon fuori,
 22 l'anima sua si avvicina alla fossa, e la sua vita a quelli che danno la morte.
 23 Ma se, presso a lui, v'è un angelo, un interprete, uno solo fra i mille, che mostri all'uomo il suo dovere,
 24 Iddio ha pietà di lui e dice: 'Risparmialo, che non scenda nella fossa! Ho trovato il suo riscatto'.
 25 Allora la sua carne divien fresca più di quella d'un bimbo; egli torna ai giorni della sua giovinezza;
 26 implora Dio, e Dio gli è propizio; gli dà di contemplare il suo volto con giubilo, e lo considera di nuovo come giusto.
 27 Ed egli va cantando fra la gente e dice: 'Avevo peccato, pervertito la giustizia, e non sono stato punito come meritavo.
 28 Iddio ha riscattato l'anima mia, onde non scendesse nella fossa e la mia vita si schiude alla luce!'
 29 Ecco, tutto questo Iddio lo fa due, tre volte, all'uomo,
 30 per ritrarre l'anima di lui dalla fossa, perché su di lei splenda la luce della vita.
 31 Sta' attento, Giobbe, dammi ascolto; taci, ed io parlerò.
 32 Se hai qualcosa da dire, rispondi, parla, ché io vorrei poterti dar ragione. 33 Se no, tu dammi ascolto, taci, e t'insegnerò la saviezza».


34.29 Quando Iddio dà requie chi lo condannerà? Chi potrà contemplarlo quando nasconde il suo volto a una nazione ovvero a un individuo,
 30 per impedire all'empio di regnare, per allontanar dal popolo le insidie?
 31 Quell'empio ha egli detto a Dio: 'Io porto la mia pena, non farò più il male,
 32 mostrami tu quel che non so vedere; se ho agito perversamente, non lo farò più'?
 33 Dovrà forse Iddio render la giustizia a modo tuo, che tu lo critichi? Ti dirà forse: 'Scegli tu, non io, quello che sai, dillo'?
 34 La gente assennata e ogni uomo savio che m'ascolta, mi diranno:
 35 'Giobbe parla senza giudizio, le sue parole sono senza intendimento'.
 36 Ebbene, sia Giobbe provato sino alla fine! poiché le sue risposte son quelle degli iniqui, 37 poiché aggiunge al peccato suo la ribellione, batte le mani in mezzo a noi, e moltiplica le sue parole contro Dio».


35.9 Si grida per le molte oppressioni, si levano lamenti per la violenza dei grandi;
 10 ma nessuno dice: 'Dov'è Dio, il mio creatore, che nella notte concede canti di gioia,
 11 che ci fa più intelligenti delle bestie de' campi e più savi degli uccelli del cielo?'
 12 Si grida, sì, ma egli non risponde, a motivo della superbia dei malvagi.
 13 Certo, Dio non dà ascolto a lamenti vani; l'Onnipotente non ne fa nessun conto.
 14 E tu, quando dici che non lo scorgi, la causa tua gli sta dinanzi; sappilo aspettare!
 15 Ma ora, perché la sua ira non punisce, perch'egli non prende rigorosa conoscenza delle trasgressioni,
 16 Giobbe apre vanamente le labbra e accumula parole senza conoscimento».


36.8 Se gli uomini son talora stretti da catene, se son presi nei legami dell'afflizione,
   9 Dio fa lor conoscere la lor condotta, le loro trasgressioni, giacché si sono insuperbiti;
 10 egli apre così i loro orecchi a' suoi ammonimenti, e li esorta ad abbandonare il male.
 11 Se l'ascoltano, se si sottomettono, finiscono i loro giorni nel benessere, e gli anni loro nella gioia;
 12 ma, se non l'ascoltano, periscono trafitti da' suoi dardi, muoiono per mancanza d'intendimento.
 13 Gli empi di cuore s'abbandonano alla collera, non implorano Iddio quand'egli li incatena;
 14 così muoiono nel fiore degli anni, e la loro vita finisce come quella dei dissoluti;
 15 ma Dio libera l'afflitto mediante l'afflizione, e gli apre gli orecchi mediante la sventura.
 16 Te pure ti vuole trarre dalle fauci della distretta, al largo, dove non è più angustia, e coprire la tua mensa tranquilla di cibi succulenti.
 17 Ma, se giudichi le vie di Dio come fanno gli empi, il giudizio e la sentenza di lui ti piomberanno addosso.
 18 Bada che la collera non ti trasporti alla bestemmia, e la grandezza del riscatto non t'induca a fuorviare!


37.1 A tale spettacolo il cuor mi trema e balza fuor del suo luogo.
   2 Udite, udite il fragore della sua voce, il rombo che esce dalla sua bocca!
   3 Egli lo lancia sotto tutti i cieli e il suo lampo guizza fino ai lembi della terra.
   4 Dopo il lampo, una voce rugge; egli tuona con la sua voce maestosa; e quando s'ode la voce, il fulmine non è già più nella sua mano.
   5 Iddio tuona con la sua voce maravigliosamente; grandi cose egli fa che noi non intendiamo.


38.1 Allora l'Eterno rispose a Giobbe dal seno della tempesta, e disse:
   2 «Chi è costui che oscura i miei disegni con parole prive di senno?»


42.1 Allora Giobbe rispose all'Eterno e disse:
   2 «Io riconosco che tu puoi tutto, e che nulla può impedirti d'eseguire un tuo disegno.
   3 Chi è colui che senza intendimento offusca il tuo disegno?... Sì, ne ho parlato; ma non lo capivo; son cose per me troppo maravigliose ed io non le conosco.
   4 Deh, ascoltami, io parlerò; io ti farò delle domande e tu insegnami!
   5 Il mio orecchio aveva sentito parlare di te ma ora l'occhio mio t'ha veduto.
   6 Perciò mi ritratto, mi pento sulla polvere e sulla cenere».


42.12 E l'Eterno benedì gli ultimi anni di Giobbe più de' primi.


42.16 Giobbe, dopo questo, visse centoquarant'anni, e vide i suoi figli e i figli dei suoi figli, fino alla quarta generazione.
    17 Poi Giobbe morì vecchio e sazio di giorni.

Il lebbroso purificato
Il lebbroso purificato
  1. Ed avvenne che, trovandosi egli in una di quelle città, ecco un uomo pieno di lebbra, il quale, veduto Gesù e gettatosi con la faccia a terra, lo pregò dicendo: Signore, se tu vuoi, tu puoi purificarmi.
  2. Ed egli, stesa la mano, lo toccò dicendo: Lo voglio, sii purificato. E in quell'istante la lebbra sparì da lui.
  3. E Gesù gli comandò di non dirlo a nessuno: Ma va', gli disse, mostrati al sacerdote ed offri per la tua purificazione quel che ha prescritto Mosè; e ciò serva loro di testimonianza.
  4. Però la fama di lui si spandeva sempre più; e molte turbe si adunavano per udirlo ed essere guarite delle loro infermità.
  5. Ma egli si ritirava nei luoghi deserti e pregava.
Marcello Cicchese
novembre 2015

Io vi lascio pace
Io vi lascio pace

Giovanni 14:27
  Io vi lascio pace; vi do la mia pace.
  Io non vi do come il mondo dà.
  Il vostro cuore non sia turbato e non si sgomenti.

Giovanni 16:33
  Vi ho detto queste cose, affinché abbiate pace in me.
  Nel mondo avrete tribolazione;
  ma fatevi animo, io ho vinto il mondo.

Matteo 11:28-30
  Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati,
  e io vi darò riposo.
  Prendete su voi il mio giogo ed imparate da me,
  perch'io sono mansueto ed umile di cuore;
  e voi troverete riposo alle anime vostre;
  poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero.

Marcello Cicchese
febbraio 2016

Salmo 62
Salmo 62
  1. Solo in Dio l'anima mia s'acqueta;
    da lui viene la mia salvezza.
  2. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza,
    il mio alto ricetto; io non sarò grandemente smosso.
  3. Fino a quando vi avventerete sopra un uomo
    e cercherete tutti insieme di abbatterlo
    come una parete che pende,
    come un muricciuolo che cede?
  4. Essi non pensano che a farlo cadere dalla sua altezza;
    prendono piacere nella menzogna;
    benedicono con la bocca,
    ma internamente maledicono. Sela.
  5. Anima mia, acquétati in Dio solo,
    poiché da lui viene la mia speranza.
  6. Egli solo è la mia ròcca e la mia salvezza;
    egli è il mio alto ricetto; io non sarò smosso.
  7. In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;
    la mia forte ròcca e il mio rifugio sono in Dio.
  8. Confida in lui ogni tempo, o popolo;
    espandi il tuo cuore nel suo cospetto;
    Dio è il nostro rifugio. Sela.
  9. Gli uomini del volgo non sono che vanità,
    e i nobili non sono che menzogna;
    messi sulla bilancia vanno su,
    tutti assieme sono più leggeri della vanità.
  10. Non confidate nell'oppressione,
    e non mettete vane speranze nella rapina;
    se le ricchezze abbondano, non vi mettete il cuore.
  11. Dio ha parlato una volta,
    due volte ho udito questo:
    Che la potenza appartiene a Dio;
  12. e a te pure, o Signore, appartiene la misericordia;
    perché tu renderai a ciascuno secondo le sue opere.
Marcello Cicchese
agosto 2017

Salmo 22
Salmo 22
  1. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Perché te ne stai lontano, senza soccorrermi, senza dare ascolto alle parole del mio gemito?
  2. Dio mio, io grido di giorno, e tu non rispondi; di notte ancora, e non ho posa alcuna.
  3. Eppure tu sei il Santo, che siedi circondato dalle lodi d'Israele.
  4. I nostri padri confidarono in te; e tu li liberasti.
  5. Gridarono a te, e furono salvati; confidarono in te, e non furono confusi.
  6. Ma io sono un verme e non un uomo; il vituperio degli uomini, e lo sprezzato dal popolo.
  7. Chiunque mi vede si fa beffe di me; allunga il labbro, scuote il capo, dicendo:
  8. Ei si rimette nell'Eterno; lo liberi dunque; lo salvi, poiché lo gradisce!
  9. Sì, tu sei quello che m'hai tratto dal seno materno; m'hai fatto riposar fidente sulle mammelle di mia madre.
  10. A te fui affidato fin dalla mia nascita, tu sei il mio Dio fin dal seno di mia madre.
  11. Non t'allontanare da me, perché l'angoscia è vicina, e non v'è alcuno che m'aiuti.

  12. Grandi tori m'han circondato; potenti tori di Basan m'hanno attorniato;
  13. apron la loro gola contro a me, come un leone rapace e ruggente.
  14. Io son come acqua che si sparge, e tutte le mie ossa si sconnettono; il mio cuore è come la cera, si strugge in mezzo alle mie viscere.
  15. Il mio vigore s'inaridisce come terra cotta, e la lingua mi s'attacca al palato; tu m'hai posto nella polvere della morte.
  16. Poiché cani m'han circondato; uno stuolo di malfattori m'ha attorniato; m'hanno forato le mani e i piedi.
  17. Posso contare tutte le mie ossa. Essi mi guardano e m'osservano;
  18. spartiscon fra loro i miei vestimenti e tirano a sorte la mia veste.
  19. Tu dunque, o Eterno, non allontanarti, tu che sei la mia forza, t'affretta a soccorrermi.
  20. Libera l'anima mia dalla spada, l'unica mia, dalla zampa del cane;
  21. salvami dalla gola del leone. Tu mi risponderai liberandomi dalle corna dei bufali.

  22. Io annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all'assemblea.
  23. O voi che temete l'Eterno, lodatelo! Glorificatelo voi, tutta la progenie di Giacobbe, e voi tutta la progenie d'Israele, abbiate timor di lui!
  24. Poich'egli non ha sprezzata né disdegnata l'afflizione dell'afflitto, e non ha nascosta la sua faccia da lui; ma quand'ha gridato a lui, ei l'ha esaudito.
  25. Tu sei l'argomento della mia lode nella grande assemblea; io adempirò i miei voti in presenza di quelli che ti temono.
  26. Gli umili mangeranno e saranno saziati; quei che cercano l'Eterno lo loderanno; il loro cuore vivrà in perpetuo.
  27. Tutte le estremità della terra si ricorderan dell'Eterno e si convertiranno a lui; e tutte le famiglie delle nazioni adoreranno nel tuo cospetto.
  28. Poiché all'Eterno appartiene il regno, ed egli signoreggia sulle nazioni.
  29. Tutti gli opulenti della terra mangeranno e adoreranno; tutti quelli che scendon nella polvere e non posson mantenersi in vita s'inginocchieranno dinanzi a lui.
  30. La posterità lo servirà; si parlerà del Signore alla ventura generazione.
  31. 31 Essi verranno e proclameranno la sua giustizia, e al popolo che nascerà diranno come egli ha operato.
Marcello Cicchese
settembre 2016

L'intoppo
L’intoppo che fa cadere nell’iniquità

Ezechiele 7:1-4
  1. E la parola dell'Eterno mi fu rivolta in questi termini:
  2. 'E tu, figlio d'uomo, così parla il Signore, l'Eterno, riguardo al paese d'Israele: La fine! la fine viene sulle quattro estremità del paese!
  3. Ora ti sovrasta la fine, e io manderò contro di te la mia ira, ti giudicherò secondo la tua condotta, e ti farò ricadere addosso tutte le tue abominazioni.
  4. E l'occhio mio non ti risparmierà, io sarò senza pietà, ti farò ricadere addosso tutta la tua condotta e le tue abominazioni saranno in mezzo a te; e voi conoscerete che io sono l'Eterno.

Ezechiele 8:1-13
  1. E il sesto anno, il quinto giorno del sesto mese, avvenne che, come io stavo seduto in casa mia e gli anziani di Giuda erano seduti in mia presenza, la mano del Signore, dell'Eterno, cadde quivi su me.
  2. Io guardai, ed ecco una figura d'uomo, che aveva l'aspetto del fuoco; dai fianchi in giù pareva di fuoco; e dai fianchi in su aveva un aspetto risplendente, come di terso rame.
  3. Egli stese una forma di mano, e mi prese per una ciocca de' miei capelli; e lo spirito mi sollevò fra terra e cielo, e mi trasportò in visioni divine a Gerusalemme, all'ingresso della porta interna che guarda verso il settentrione, dov'era posto l'idolo della gelosia, che eccita a gelosia.
  4. Ed ecco che quivi era la gloria dell'Iddio d'Israele, come nella visione che avevo avuta nella valle.
  5. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, alza ora gli occhi verso il settentrione'. Ed io alzai gli occhi verso il settentrione, ed ecco che al settentrione della porta dell'altare, all'ingresso, stava quell'idolo della gelosia.
  6. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, vedi tu quello che costoro fanno? le grandi abominazioni che la casa d'Israele commette qui, perché io m'allontani dal mio santuario? Ma tu vedrai ancora altre più grandi abominazioni'.
  7. Ed egli mi condusse all'ingresso del cortile. Io guardai, ed ecco un buco nel muro.
  8. Allora egli mi disse: 'Figlio d'uomo, adesso fora il muro'. E quand'io ebbi forato il muro, ecco una porta.
  9. Ed egli mi disse: 'Entra, e guarda le scellerate abominazioni che costoro commettono qui'.
  10. Io entrai, e guardai: ed ecco ogni sorta di figure di rettili e di bestie abominevoli, e tutti gl'idoli della casa d'Israele dipinti sul muro attorno;
  11. e settanta fra gli anziani della casa d'Israele, in mezzo ai quali era Jaazania, figlio di Shafan, stavano in piedi davanti a quelli, avendo ciascuno un turibolo in mano, dal quale saliva il profumo d'una nuvola d'incenso.
  12. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, hai tu visto quello che gli anziani della casa d'Israele fanno nelle tenebre, ciascuno nelle camere riservate alle sue immagini? poiché dicono: - L'Eterno non ci vede, l'Eterno ha abbandonato il paese'.
  13. Poi mi disse: 'Tu vedrai ancora altre più grandi abominazioni che costoro commettono'.

Ezechiele 14:1-11
  1. Or vennero a me alcuni degli anziani d'Israele, e si sedettero davanti a me.
  2. E la parola dell'Eterno mi fu rivolta in questi termini:
  3. 'Figlio d'uomo, questi uomini hanno innalzato i loro idoli nel loro cuore, e si sono messi davanti l'intoppo che li fa cadere nella loro iniquità; come potrei io esser consultato da costoro?
  4. Perciò parla e di' loro: Così dice il Signore, l'Eterno: Chiunque della casa d'Israele innalza i suoi idoli nel suo cuore e pone davanti a sé l'intoppo che lo fa cadere nella sua iniquità, e poi viene al profeta, io, l'Eterno, gli risponderò come si merita per la moltitudine dei suoi idoli,
  5. affin di prendere per il loro cuore quelli della casa d'Israele che si sono alienati da me tutti quanti per i loro idoli.
  6. Perciò di' alla casa d'Israele: Così parla il Signore, l'Eterno: Tornate, ritraetevi dai vostri idoli, stornate le vostre facce da tutte le vostre abominazioni.
  7. Poiché, a chiunque della casa d'Israele o degli stranieri che soggiornano in Israele si separa da me, innalza i suoi idoli nel suo cuore e pone davanti a sé l'intoppo che lo fa cadere nella sua iniquità e poi viene al profeta per consultarmi per suo mezzo, risponderò io, l'Eterno, da me stesso.
  8. Io volgerò la mia faccia contro a quell'uomo, ne farò un segno e un proverbio, e lo sterminerò di mezzo al mio popolo; e voi conoscerete che io sono l'Eterno.
  9. E se il profeta si lascia sedurre e dice qualche parola, io, l'Eterno, sono quegli che avrò sedotto il profeta; e stenderò la mia mano contro di lui, e lo distruggerò di mezzo al mio popolo d'Israele.
  10. E ambedue porteranno la pena della loro iniquità: la pena del profeta sarà pari alla pena di colui che lo consulta,
  11. affinché quelli della casa d'Israele non vadano più errando lungi da me, e non si contaminino più con tutte le loro trasgressioni, e siano invece mio popolo, e io sia il loro Dio, dice il Signore, l'Eterno'.
Marcello Cicchese
ottobre 2016

Salmo 125
Salmo 125
    Canto dei pellegrinaggi.
  1. Quelli che confidano nell'Eterno
    sono come il monte di Sion, che non può essere smosso,
    ma dimora in perpetuo.
  2. Gerusalemme è circondata dai monti;
    e così l'Eterno circonda il suo popolo,
    da ora in perpetuo.
  3. Poiché lo scettro dell'empietà
    non rimarrà sulla eredità dei giusti,
    affinché i giusti non mettano mano all'iniquità.
  4. O Eterno, fa' del bene a quelli che sono buoni,
    e a quelli che sono retti nel loro cuore.
  5. Ma quanto a quelli che deviano per le loro vie tortuose,
    l'Eterno li farà andare con gli operatori d'iniquità.
    Pace sia sopra Israele.
Marcello Cicchese
luglio 2017

La pazienza dl Dio
La pazienza di Dio e la nostra speranza
Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? Ma se speriamo ciò che non vediamo, noi l'aspettiamo con pazienza (Romani 8.25).

Marcello Cicchese
settembre 2017

Salmo 23
Salmo 23
  1. L'Eterno è il mio pastore, nulla mi manca.
  2. Egli mi fa giacere in verdeggianti paschi, mi guida lungo le acque chete.
  3. Egli mi ristora l'anima, mi conduce per sentieri di giustizia, per amore del suo nome.
  4. Quand'anche camminassi nella valle dell'ombra della morte, io non temerei male alcuno, perché tu sei con me; il tuo bastone e la tua verga sono quelli che mi consolano.
  5. Tu apparecchi davanti a me la mensa al cospetto dei miei nemici; tu ungi il mio capo con olio; la mia coppa trabocca.
  6. Certo, beni e benignità m'accompagneranno tutti i giorni della mia vita; ed io abiterò nella casa dell'Eterno per lunghi giorni.
Marcello Cicchese
settembre 2017

Il corpo dell'umiliazione
Il corpo della nostra umiliazione
Siate miei imitatori, fratelli, e riguardate a coloro che camminano secondo l'esempio che avete in noi. Perché molti camminano (ve l'ho detto spesso e ve lo dico anche ora piangendo), da nemici della croce di Cristo; la fine dei quali è la perdizione, il cui dio è il ventre, e la cui gloria è in quel che torna a loro vergogna; gente che ha l'animo alle cose della terra. Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli, da dove anche aspettiamo come Salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasformerà il corpo della nostra umiliazione rendendolo conforme al corpo della sua gloria, in virtù della potenza per la quale egli può anche sottoporsi ogni cosa.
Filippesi 3:17-21
Marcello Cicchese
giugno 2016

Una mente rinnovata
Il rinnovamento della mente
Vi esorto dunque, fratelli, per le compassioni di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, accettevole a Dio, il che è il vostro culto spirituale. e non vi conformate a questo secolo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza qual sia la volontà di Dio, la buona, accettevole e perfetta volontà.
Romani 12:1-2
Marcello Cicchese
gennaio 2017

Salmo 90
Salmo 90
  1. Preghiera di Mosè, uomo di Dio.
    O Signore, tu sei stato per noi un rifugio
    di generazione in generazione.
  2. Prima che i monti fossero nati
    e che tu avessi formato la terra e il mondo,
    da eternità a eternità tu sei Dio.
  3. Tu fai tornare i mortali in polvere
    e dici: Ritornate, o figli degli uomini.
  4. Perché mille anni, agli occhi tuoi,
    sono come il giorno d'ieri quand'è passato,
    e come una veglia nella notte.
  5. Tu li porti via come una piena; sono come un sogno.
    Son come l'erba che verdeggia la mattina;
  6. la mattina essa fiorisce e verdeggia,
    la sera è segata e si secca.
  7. Poiché noi siamo consumati dalla tua ira,
    e siamo atterriti per il tuo sdegno.
  8. Tu metti le nostre iniquità davanti a te,
    e i nostri peccati occulti, alla luce della tua faccia.
  9. Tutti i nostri giorni spariscono per il tuo sdegno;
    noi finiamo gli anni nostri come un soffio.
  10. I giorni dei nostri anni arrivano a settant'anni;
    o, per i più forti, a ottant'anni;
    e quel che ne fa l'orgoglio, non è che travaglio e vanità;
    perché passa presto, e noi ce ne voliamo via.
  11. Chi conosce la forza della tua ira
    e il tuo sdegno secondo il timore che t'è dovuto?
  12. Insegnaci dunque a così contare i nostri giorni,
    che acquistiamo un cuore saggio.
  13. Ritorna, o Eterno; fino a quando?
    e muoviti a pietà dei tuoi servitori.
  14. Saziaci al mattino della tua benignità,
    e noi giubileremo, ci rallegreremo tutti i giorni nostri.
  15. Rallegraci in proporzione dei giorni che ci hai afflitti,
    e degli anni che abbiamo sentito il male.
  16. Apparisca l'opera tua a pro dei tuoi servitori,
    e la tua gloria sui loro figli.
  17. La grazia del Signore Dio nostro sia sopra noi,
    e rendi stabile l'opera delle nostre mani;
    sì, l'opera delle nostre mani rendila stabile.

Marcello Cicchese
31 dicembre 2017

Dal Salmo 119
Salmo 119
  1. L'anima mia è attaccata alla polvere;
    vivificami secondo la tua parola.
  2. Io ti ho narrato le mie vie e tu m'hai risposto;
    insegnami i tuoi statuti.
  3. Fammi intendere la via dei tuoi precetti,
    ed io mediterò le tue meraviglie.
  4. L'anima mia, dal dolore, si strugge in lacrime;
    rialzami secondo la tua parola.
  5. Tieni lontana da me la via della menzogna,
    e, nella tua grazia, fammi intendere la tua legge,
  6. io ho scelto la via della fedeltà,
    mi son posto i tuoi giudizi dinanzi agli occhi.
  7. Io mi tengo attaccato alle tue testimonianze;
    o Eterno, non lasciare che io sia confuso.
  8. Io correrò per la via dei tuoi comandamenti,
    quando m'avrai allargato il cuore.

Marcello Cicchese
19 luglio 2018

Il giorno del riposo
Il giorno del riposo

Ricordati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa' in essi ogni opera tua; ma il settimo giorno è giorno di riposo, sacro all'Eterno, che è l'Iddio tuo; non fare in esso lavoro alcuno, né tu, né il tuo figlio, né la tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né il forestiero che è dentro alle tue porte; poiché in sei giorni l'Eterno fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò l'Eterno ha benedetto il giorno del riposo e l'ha santificato.

Esodo 20:8-11

Marcello Cicchese
dicembre 2014

Perché siete così ansiosi?
«Perché siete così ansiosi?»

Dal Vangelo di Matteo

CAPITOLO 6
  1. Nessuno può servire a due padroni; perché o odierà l'uno ed amerà l'altro, o si atterrà all'uno e sprezzerà l'altro. Voi non potete servire a Dio ed a Mammona.
  2. Perciò vi dico: Non siate con ansiosi per la vita vostra di quel che mangerete o di quel che berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito?
  3. Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutrisce. Non siete voi assai più di loro?
  4. E chi di voi può con la sua sollecitudine aggiungere alla sua statura anche un cubito?
  5. E intorno al vestire, perché siete con ansietà solleciti? Considerate come crescono i gigli della campagna; essi non faticano e non filano;
  6. eppure io vi dico che nemmeno Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro.
  7. Or se Dio riveste in questa maniera l'erba de' campi che oggi è e domani è gettata nel forno, non vestirà Egli molto più voi, o gente di poca fede?
  8. Non siate dunque con ansiosi, dicendo: Che mangeremo? che berremo? o di che ci vestiremo?
  9. Poiché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; e il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose.
  10. Ma cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno sopraggiunte. 34 Non siate dunque con ansietà solleciti del domani; perché il domani sarà sollecito di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno.
Marcello Cicchese
dicembre 2015



Senza i roghi

di Mattia Feltri

Gianfranco Pellegrino – docente di Scienze politiche alla Luiss, di cui ho letto e amato un libro sull’etica pubblica – invoca sul Domani l’istituzione del reato di negazionismo climatico. Cioè, chi nega il surriscaldamento globale e le colpe dell’uomo dovrà vedersela col giudice perché è pericoloso quanto chi nega la Shoah. Io – lo so, sono in drammatica minoranza – contesto anche il reato di negazionismo della Shoah, e l’idea di passare qualsiasi idea per le armi del tribunale, perlomeno finché non siano istigazioni al crimine.
  Ricordo, per esempio, lo storico inglese David Irving incarcerato in Austria per gli scritti in cui escludeva lo sterminio degli ebrei. Dopo qualche giorno, gli fu concesso di frequentare la biblioteca del carcere e sugli scaffali trovò i suoi libri. Sorpresa. E imbarazzo. Perché a quel punto il carcere era complice del carcerato. Dunque, o uscivano i suoi libri o usciva lui. Naturalmente fecero uscire i libri, destinazione discarica. Nonostante poi se ne sia tornato a casa, Irving ora sopravvive nell’oblio, dimenticata la sua storia, quella vissuta e quella scritta, ridotto all’irrilevanza il negazionismo della Shoah (è l’antisemitismo a godere ancora di buona salute, specie se mascherato). E non so se mi sto macchiando di un grave reato ma informo che i suoi libri sono tuttora in vendita su Amazon, pure in traduzione italiana, in barba alla legge e dove non fanno più scandalo né opinione. Anche se non sono andati al rogo.
  E come mi pare evidente, istituire una verità di Stato, e dichiarare fuorilegge chi non si accoda, non è soltanto illiberale ma persino inutile.

(La Stampa, 27 maggio 2023)
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Sono sempre stato contrario, fin da quando era ancora in discussione, all'istituzione del reato di negazionismo per punire chi nega la realtà della Shoah. Oltre a essere del tutto inutile ai fini di quello che si vuole ottenere, viene creata in questo modo la figura politico-giuridica del "negazionista": colui che si rende criminale con la semplice enunciazione, in forma scritta o parlata, di una proposizione che nega una realtà comunemente accettata. Abbiamo così il fiorire di una varietà di negazionisti di tutti i tipi; negazionisti dell'Europa, dei vaccini, della malvagità di Putin, della teoria del riscaldamento planetario, dell'ideologia transgender, e così via. Gli ebrei avrebbero dovuto essere i primi a capire la pericolosità di scivolare sul piano inclinato della Verità di Stato. M.C.

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La Fondazione Museo della Shoah tra Memoria e impegno

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Si è svolta ieri mercoledì 24 maggio 2023, presso la Casina dei Vallati, l’iniziativa “Tra Memoria e Impegno: La Fondazione Museo della Shoah si racconta” organizzata dalla Fondazione per presentare il Bilancio Sociale 2022.
  L’evento ha visto la partecipazione di molte personalità del mondo ebraico, della politica e della cultura, tra cui il Presidente della Fondazione Museo della Shoah Mario Venezia, il Ministro della Giustizia Carlo Nordio, il Ministro per lo Sport e i giovani Andrea Abodi, la Presidente dell’Unione Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni, la Presidente della Comunità Ebraica di Roma Ruth Dureghello, il Sindaco di Firenze Dario Nardella, la regista e sceneggiatrice Silvia Scola, in un incontro moderato dall’attivista per i diritti umani Claudia Conte.
  Durante la presentazione sono stati messi in evidenza alcuni dati significativi del bilancio sociale del 2022, relativi agli eventi e le attività organizzate dalla Fondazione, come le mostre, i convegni, le presentazioni di libri, il cineforum e la produzione di documentari. Come si evince dal bilancio nel 2022 sono stati riscontrati importanti segnali: dall’esponenziale aumento dei visitatori delle mostre in corso alla Casina dei Vallati, che ha raggiunto quota 55.000 presenze, fino al numero di studenti che hanno partecipato online all’incontro con Sami Modiano che ha sfiorato i 150.000 collegamenti.
  Come ha sottolineato il Presidente della Fondazione Museo della Shoah, Mario Venezia: - “La nostra sfida quotidiana è quella di mantenere alti livelli di servizio, migliorando la qualità formativa dei nostri utenti e promuovendo una strategia di condivisione, attenta allo sviluppo di collaborazioni sostenibili, sia da un punto di vista economico che sociale. Lo scopo principale del nostro agire quotidiano è soddisfare i bisogni cognitivi e relazionali dei visitatori, degli studenti e dei loro insegnanti, trasmettendo il patrimonio storico-culturale per il cui accrescimento e cura lavoriamo sodo ogni giorno”.

(Shalom, 26 maggio 2023)

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Israele forse rinvia la legge anti-Ong per le proteste degli alleati

Il governo israeliano sta attentamente valutando di rinviare la messa in opera di una proposta di legge che limiterebbe in modo significativo la capacità dei gruppi della società civile israeliana di accettare donazioni da governi stranieri, dopo che numerosi alleati, tra cui Stati Uniti, Germania e Francia, hanno espresso la loro opposizione al disegno di legge.
  Il Ministero degli Esteri e l’Ufficio del Primo Ministro hanno ricevuto proteste contro il disegno di legge da parte di alleati chiave e il Primo Ministro Benjamin Netanyahu è personalmente coinvolto nella risposta, ha dichiarato un alto funzionario diplomatico a Channel 13.
  La legge dovrebbe essere presentata domenica al Comitato ministeriale di alto livello per la legislazione della Knesset, ma i funzionari stanno valutando la possibilità di rinviarla alla luce delle obiezioni.
  Il disegno di legge stabilisce che qualsiasi gruppo non profit che si impegni in attività di difesa pubblica due anni prima o dopo aver ricevuto una donazione da un governo straniero perderà lo status di istituzione pubblica e non potrà più beneficiare di esenzioni fiscali. Inoltre, queste organizzazioni non profit saranno colpite da un’imposta sul reddito del 65%.
  Il provvedimento è considerato indirizzato verso i gruppi di sinistra, considerati avversari dal governo di destra di Netanyahu.
  La Germania è la più turbata dalla proposta di legge e ha espresso la sua disapprovazione attraverso diversi canali. Berlino ha richiesto una telefonata con il Ministro degli Esteri Eli Cohen per discutere la questione e la conversazione dovrebbe avvenire all’inizio della prossima settimana, come ha riferito Channel 13.
  L’ambasciatore tedesco in Israele, Steffen Seibert, ha dichiarato: “Il progetto di legge sulla tassazione delle ONG è una questione di grave preoccupazione per noi e per molti dei partner internazionali di Israele”.
  “Relazioni vivaci e senza ostacoli tra le società civili sono di valore essenziale nelle nostre democrazie liberali”, ha dichiarato Seibert.
  Anche le ambasciate olandese, belga, irlandese, norvegese e svedese in Israele hanno espresso preoccupazione per la legislazione in dichiarazioni pubbliche simili a quella tedesca diffuse giovedì.
  Il disegno di legge rischia di paralizzare la capacità delle organizzazioni per i diritti umani di operare in Israele e in Cisgiordania, poiché molte di esse dipendono da finanziamenti di governi stranieri.
  La legge è stata redatta dal deputato Ariel Kallner, membro del partito Likud di Netanyahu.
  Le organizzazioni per i diritti umani – come B’Tselem, Breaking the Silence e il New Israel Fund – sono da tempo nel mirino della politica israeliana (quasi tutta) per la loro denuncia di presunte violazioni dei diritti umani da parte di Israele nei confronti dei palestinesi.
  Il modo in cui i legislatori di destra hanno cercato di criticare le organizzazioni, in gran parte di sinistra, è stato quello di evidenziare i loro finanziamenti e sostenere che rappresentano un’interferenza negli affari interni di Israele.
  Gli attivisti di sinistra sottolineano che i gruppi della società civile di destra ricevono finanziamenti anche da investitori stranieri. Questi donatori possono essere individui, non Paesi, ma i fondi sono spesso trasferiti con molta meno trasparenza, sostengono gli attivisti di sinistra. Anche Israele finanzia gruppi della società civile all’estero.
  In passato è stata proposta una legislazione di questo tipo da parte della Knesset ma, a causa delle pressioni provenienti dall’estero, non è mai stata approvata.
  La nuova iniziativa sembra avere maggiori possibilità di diventare legge, vista la composizione hardline e pro-settler della coalizione di Netanyahu. L’impegno ad approvare una legge di questo tipo è stato incluso anche nell’accordo di coalizione che il Likud ha firmato con il partito di estrema destra Otzma Yehudit.
  Il Dipartimento di Stato americano si è espresso mercoledì contro la legge.
  Alla richiesta di commentare il disegno di legge durante un briefing con la stampa, il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller ha dichiarato: “Non voglio fare speculazioni su cose che potrebbero passare. Mi limiterò a dire che, in generale, gli Stati Uniti sostengono il ruolo essenziale delle ONG che fanno parte della società civile”.
  “Crediamo che siano fondamentali per un governo democratico, reattivo e trasparente, e crediamo fermamente che la società civile debba avere l’opportunità e lo spazio per operare e raccogliere risorse in tutto il mondo”, ha aggiunto Miller.
  La legge complicherebbe in modo significativo la storica legislazione del Congresso del 2020, sostenuta da entrambi i partiti, nota come Middle East Partnership for Peace Act. Il MEPPA ha stanziato 250 milioni di dollari in finanziamenti statunitensi per le organizzazioni di coesistenza che promuovono il dialogo israelo-palestinese e lo sviluppo commerciale palestinese.
  L’amministrazione Biden ha definito la legge fondamentale per creare le condizioni di base necessarie per un futuro accordo di pace tra israeliani e palestinesi. Ma se la proposta di legge di Kallner passasse, le organizzazioni che ricevono sovvenzioni dal MEPPA dovrebbero trasferire al governo israeliano una quantità massiccia di fondi.
  L’ambasciata francese in Israele è intervenuta mercoledì, osservando che aveva già espresso preoccupazione per la decisione israeliana del 2021 di designare sei gruppi per i diritti dei palestinesi come organizzazioni terroristiche, indicando che considerava l’ultimo disegno di legge come un’estensione di quello sforzo per colpire la società civile israeliana e palestinese.
  Il disegno di legge “è ugualmente e profondamente preoccupante. Ribadiamo il nostro impegno per il ruolo critico della società civile nella vita di ogni democrazia, in Israele e nel mondo”, ha dichiarato.
  “È responsabilità degli Stati creare e mantenere uno spazio e un ambiente favorevole al loro lavoro, perché una società civile vivace può anche portare una cultura di pace e diversità”, ha aggiunto l’ambasciata francese.
  Il New Israel Fund, che funge da gruppo ombrello per il finanziamento di decine di organizzazioni progressiste della società civile che operano in Israele e in Cisgiordania, si è schierato duramente contro il disegno di legge, definendolo il “passo successivo” dello sforzo del governo di revisionare il sistema giudiziario.
  “Netanyahu e il suo governo di estremisti vogliono eliminare fiscalmente la società civile, soprattutto quella che lavora per difendere i diritti dei più emarginati in Israele e sotto il controllo di Israele: le donne, la comunità LGBTQ e i cittadini arabi di Israele”, ha dichiarato mercoledì il direttore generale del NIF Daniel Sokatch.
  “Questo è esattamente il modo in cui gli autocrati riducono lo spazio democratico. Questa legge potrebbe costringere alla chiusura centinaia di organizzazioni in Israele – e prende di mira in particolare quelle che dicono la verità al potere. Bloccare i finanziamenti ai sostenitori del cambiamento non è ciò che fanno le democrazie”, ha dichiarato.

(Rights Reporter, 26 maggio 2023)

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I ricercatori hanno trovato un antico gabinetto di 2500 anni a Gerusalemme

Rivela una malattia mortale

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GERUSALEMME - Gli scienziati hanno trovato un bagno a Gerusalemme che racconta le abitudini sanitarie della gente di quell’epoca. Con la scoperta di questa toilette, gli scienziati si sono anche convinti che a quel tempo le persone non fossero consapevoli della propria salute. Gli scienziati hanno concluso dopo aver testato campioni di servizi igienici di 2500 anni fa che le abitudini delle persone nell’età del ferro non erano buone per la salute. I ricercatori hanno scavato dalle fosse sotto due latrine di pietra. Hanno trovato prove di batteri che causano la dissenteria durante questo periodo.

• Toilette per famiglie d’élite
  Questi bagni appartenevano a famiglie d’élite. Si dice che Gerusalemme sia stata un centro politico e religioso durante il periodo dell’impero assiro. A quel tempo qui vivevano da otto a 25mila persone. Gli scienziati affermano che questi servizi igienici sono la prima prova di una malattia chiamata Giardia duodenalis. Tuttavia, l’infezione dello stomaco, che provoca diarrea, crampi addominali e perdita di peso, è stata identificata per la prima volta nella Turchia di epoca romana e nell’Israele medievale. Il dottor Piers Mitchell, che è stato coinvolto nella ricerca, ha dichiarato: “La dissenteria è causata dal consumo di acqua sporca o cibo contaminato e sospettiamo che possa essere stato un problema più grande in passato a causa del sovraffollamento, del caldo e delle mosche, nonché della presenza di acqua limitata in estate. Questa ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica Parasitology.

• Haveli è stato scavato
  Questa ricerca è stata completata dal Dipartimento di Archeologia dell’Università di Cambridge. I ricercatori hanno trovato un sedile del water nell’anno 2019 a sud di Gerusalemme. Questo sedile del water si trovava nelle vicinanze della villa di Armon Ha-Natziv. Si ritiene che risalga probabilmente ai giorni del re Manasse. Regnò per 50 anni a metà del VII secolo a.C. Questa latrina in pietra calcarea aveva un’ampia apertura per la defecazione e probabilmente c’è un’apertura adiacente per la minzione degli uomini.

• Ancora oggi c’è la malattia nei bambini.
  Un altro sedile del water è stato trovato in un edificio di sette stanze noto come Casa di Aheel nella Città Vecchia di Gerusalemme. Si ritiene che potrebbe essere stata la casa di una famiglia dell’alta borghesia. I ricercatori hanno anche trovato uova di quattro tipi di parassiti intestinali: tenia, ossiuri, nematodi e tricocefali. Ma secondo una nuova ricerca, i microbi che causano la dissenteria sono delicati ed estremamente resistenti. La dissenteria causata da Giardia attualmente uccide la maggior parte dei bambini. Anche lo sviluppo mentale dei bambini infetti da questa malattia si ferma.

(India Posts Italian, 26 maggio 2023)

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Con il sestetto vocale MiEle la musica ebraica è protagonista al Festival InterSezioni

Per il festival diretto da Giovanni Sollima e organizzato dalla Camerata Polifonica Siciliana sabato 27 maggio sul palco del Cut – Centro Universitario Teatrale la formazione israeliana, per la prima volta in Italia, composta da Sigal Chameides, Lilach Krakauer, Michal Tamari, Dov Entin, Ido Marco e Matan Gover proporrà brani di musica sacra e altri, meno noti, della tradizione popolare

CATANIA - Il sestetto vocale israeliano MiEle, che conclude a Catania il suo primo tour italiano, sarà protagonista del prossimo appuntamento di  InterSezioni, il festival catanese dedicato alla musica contemporanea nato dalla collaborazione tra il violoncellista Giovanni Sollima, che ne ha assunto la direzione artistica,e il compositore Giovanni Ferrauto, direttore artistico della Camerata Polifonica Siciliana. Sul palcoscenico del Cut – Centro Universitario Teatrale di Catania sabato 27 maggio alle ore 20.30 la formazione composta da Sigal Chameides (soprano), Lilach Krakauer (mezzosoprano), Michal Tamari (contralto), Dov Entin (tenore), Ido Marco (baritono) e Matan Gover (basso) proporrà un approccio originale alla musica in lingua ebraica: dalle melodie sacre associate ai testi biblici alla musica contemporanea dei grandi compositori israeliani del XX secolo, fino alla musica popolare israeliana (arrangiata per l’occasione dallo stesso sestetto) e brani originali scritti apposta per questa formazione.
  «Il repertorio che generalmente proponiamo durante i nostri live in Israele- dice Sigal Chameides – sono pezzi pop e rock riarrangiati in chiave jazz che seguiamo a cappella. Per questo concerto catanese, invece, proporremo un repertorio studiato ad hoc per il Festival InterSezioni: dai classici del repertorio ebraico del ‘900 composti per cori ed ensemble a brani di musica popolare, che eseguiremo quasi tutti a cappella. Per l’esecuzione del brano intitolato “Amok baTal” che mette in musica i meravigliosi versi della poetessa Leah Goldberg – conclude la cantante – , chiederemo al pubblico di accompagnarci attivamente». 
  I musicisti del sestetto MiEle intrecciano i loro percorsi all’interno del Jerusalem Chamber Choir dell’Accademia di Musica e danza di Gerusalemme, sotto la direzione del M° Stanley Sperber. Mentre completano ciascuno il proprio percorso accademico nelle varie facoltà dell’accademia (Lilach e Ido come direttori di coro, Dov e Matan come compositori, Michal e Sigal come performer di canto multidisciplinare) i sei si esibiscono sui palcoscenici Israeliani ed Europei con il Chamber Choir. Quando, a poco a poco, ciascuno si stacca dal coro per seguire la propria, spinti da un profondo legame d’amicizia e dall’amore per il canto a cappella decidono di formare un ensemble con cui continuare ad esibirsi. Dopo cinque anni MiEle continua a portare la musica a cappella nelle più svariate zone di tutta Israele. E ora, a Catania, promette una serata di canto e incanto, fatta di armonia e amore per la musica, in tutte le sue forme.

PROGRAMMA
 Hassidic Shabbat prayer Shalom Aleikhem
  Oedoen Partos HaMavdil Traditional Sephardic Music
  Sambursky, Alterman, Wiesenberg Bou menucha leyagea
  Achiniam Nini, Gil Dor BeEineha arr. Anat Aharon
  Avraham Hal, Yoni Rechter  Atur Mizchech arr. Matan Gover
  Paul Ben Chaim Ufduyei Adonai Yeshuvun (Isaiah 35,10)
  Paul Ben Chaim Elohai Zidki Traditional jewish prayer
  Yaakov Shabtai, Yehezkel Braun VeYimalet Kayin
  Psalms, Ernest Bloch Yihyu le razon omri fi
  Leah Shabat Tamid Yechaku Lecha arr. Lilach Krakauer
  Maya Politzer  MiKarov arr. Ido Marco
  Leah Naro, Nurit Hiresh Makhela Aliza arr. Lilakh Krakauer
  Vito Pallavicini, Paolo Conte Amru lo
  Leah Goldberg, Marina Maximillian Amok baTal
  Vinicius de Moraes, Antonio Carlos Jobim Osher trad. Ehud Manor, arr. Mayaan Bar-Sever
  Bertold Brecht, Shlomo Gronich Yehi haKol trad. Natan Zach, arr. Ido Marco

(Etnalife, 26 maggio 2023)

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Presentata dall’archivio storico della comunità la “Biblia Hebraica” del ’500

di Luca Spizzichino

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Presentato al pubblico il volume restaurato della “Biblia Hebraica”, una traduzione cinquecentesca del Tanach, curata da Benito Arias Montano. Il restauro è stato realizzato con il contributo della University of Notre Dame (Rome Global Gateway e Center for Italian Studies). Il Dipartimento Beni e Attività Culturali ha organizzato la presentazione presso l’Instituto Cervantes. Presenti la presidente della Comunità Ebraica di Roma Ruth Dureghello, il Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni, la professoressa Ingrid Rowland, storica dell’arte della University of Notre Dame; ha partecipato anche in video connessione la professoressa Tracy Bergstrom della Hesburgh Library di Notre Dame.
  “Questo volume è un esempio del vasto patrimonio che l’Archivio Storico conserva, con un lavoro puntuale e attento, che ci permette di produrre e continuare a studiare, per imparare dal passato e trasmettere al presente le conoscenze” ha affermato la presidente Ruth Dureghello.
  Parlando della Biblia Hebraica, Rav Di Segni si è soffermato sulla particolare struttura dell’opera, facendo successivamente una riflessione su come si sia evoluto nei secoli l’incessante lavoro di traduzione della Torah. “Questa è un’edizione particolare perché presenta la traduzione parola per parola in latino sopra il testo in ebraico” ha spiegato il Rabbino Capo. “La lettura di quest'opera non è semplice, è adatta allo studio e alla consultazione, ma dal punto di vista tipografico, questo volume è straordinario e all’avanguardia coi tempi”.
  La professoressa Ingrid Rowland ha contestualizzato la lavorazione del testo analizzando anche il ritratto del profeta Isaia dipinto da Raffaello, che venne realizzato nello stesso periodo della stampa della Biblia Hebraica di Benito Arias Montano. La professoressa Bergstrom, invece, ha sottolineato il lavoro di ricerca svolto sul tema dalla University of Notre Dame.

(Shalom, 25 maggio 2023)

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Shavuot: fare spazio alla Torà, nel cuore e nella mente. Ciascuno a suo modo

di Daniele Cohenca

La Torà ci racconta gli avvenimenti della settimana che precedette la promulgazione della Torà e il Talmùd (Shabbàt 86b, 88a) ci presenta una cronaca piuttosto dettagliata degli eventi, esordendo così: “Il primo di Sivan, Moshè non disse nulla al popolo in quanto tutti erano affaticati dal viaggio”. La rivelazione sul Sinai rappresentò il culmine e il compimento dell’esodo. Molti mesi prima, sempre sul Sinai, D-o si rivelò a Mosè nel roveto ardente e gli ordinò di guidare il popolo ebraico fuori dall’Egitto dicendogli: “Questa è la prova che sono Io ad averti mandato: quando porterai la nazione fuori dall’Egitto, servirete D-o su questo monte”.
  Dal momento in cui Moshè portò loro la promessa di redenzione, i figli di Israele hanno atteso con grande ansia la rivelazione sul Sinai, per il fatto che la promessa era molto più che una fuga dalla schiavitù d’Egitto: egli aveva promesso la libertà definitiva, la libertà dalla morte, dai limiti e dalla mondanità di una vita materiale. Moshè promise loro la visione della realtà divina e la potenzialità di incorporare la Sua eternità nelle loro vite.Dunque, da quando lasciarono l’Egitto, i figli di Israele contavano letteralmente i giorni che mancavano al compimento della promessa.
  Fino ad oggi noi condividiamo questa loro attesa di 49 giorni con il nostro “conteggio dell’Omer”. Alla luce di questo e di quanto il Talmùd ci dettaglia dei sei giorni che precedettero il dono della Torà, quanto accadde – o, meglio, quanto NON accadde – il primo di Sivan, resta difficile da capire. Il Talmùd ci spiega infatti che in quel giorno “Mosè non disse parola”; è tuttavia umano che quanto più ci si avvicina a un importante evento programmato, tanto più si desidera che lo stesso si realizzi. Diamo un’occhiata più da vicino a ciò che la Torà ci racconta sulle faccende del popolo ebraico durante il primo giorno di Sivan: “Il terzo mese dall’uscita dei figli di Israele dalla terra d’Egitto… e Israele si accampò lì…” Nel suo commento a questi versi, Rashì nota l’inusuale utilizzo della forma singolare per il verbo “si accampò” invece della forma plurale “si accamparono”, visto che si parla di tutta la nazione ebraica. Rashì spiega che essi “si accamparono come una singola persona con un singolo cuore, a differenza di altre situazioni in cui l’accamparsi era accompagnato da dispute e dissensi”. Pur se a volte costruttive e positive, le dispute e i dissensi erano intollerabili nell’accampamento del Sinai, poiché tuttora una parte importante della nostra preparazione alla ricezione della Torà è lo sradicamento delle differenze di visione e di comprensione.
  A questo punto, possiamo dedurre che la loro stanchezza non era dovuta al viaggio in senso fisico, quanto all’enorme difficoltà di prepararsi spiritualmente e psicologicamente a una totale passività. È davvero così? Davvero D-o ci chiede una totale passività e un annullamento della personalità? Questo grande non-evento del primo di Sivan fu seguito da cinque giorni di intensa preparazione spirituale, psicologica e materiale alla ricezione della Torà.
  Per capire la Torà, per fare propria l’essenza divina che è inclusa nella Torà stessa, è necessario rimuovere gli impedimenti intellettuali, psicologici e materiali che ci impediscono di acquisirne l’integrità. Ma una volta creato “lo spazio nella nostra mente e nei nostri cuori”, dobbiamo riattivare le nostre facoltà individuali per assorbire e capire ciò che abbiamo ricevuto. Infatti già dal secondo giorno riemersero le differenze: all’interno del recinto, furono divisi il popolo, i sacerdoti, Aharòn e Moshè, poiché da quel momento, una volta ricevuta la Torà tutti allo stesso modo, ognuno dovrà applicarla alla propria vita quotidiana, con gli strumenti che gli sono propri, con le proprie cognizioni ed esperienze.

(Bet Magazine Mosaico, 25 maggio 2023)

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L'Iran testa un missile in grado di colpire Israele: "Aiuteremo Paesi amici"

Il razzo di quarta generazione, denominato Kheibar, ha un raggio d'azione di duemila chilometri

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L'Iran ha testato con successo un missile balistico di quarta generazione, denominato Kheibar, con un raggio d'azione di duemila chilometri e quindi in grado di colpire obiettivi in Israele. Lo rende noto l'agenzia di stampa iraniana Irna spiegando che il nuovo missile supera il precedente Khorramshahr, che finora era quello con il raggio d'azione più lungo in dotazione delle forze armate di Teheran. Kheibar è "un missile a combustibile liquido con un raggio d'azione di duemila chilometri e una testata da 1.500 chilogrammi" si legge sull'Irna.
  Il ministero della Difesa iraniano Mohammad-Reza Ashtiani ha spiegato che il missile è stato testato per ''dare sostegno ai nostri partner e ai Paesi che sono impegnati a combattere contro il sistema dominante''. Citato dall'Irna, il ministro ha rivolto ''un messaggio ai nemici dell'Iran'' ovvero che ''difenderemo il nostro Paese e le sue conquiste''. Mentre ''il messaggio ai nostri amici è che vogliamo difendere la stabilità regionale'', ha aggiunto Ashtian.

(Adnkronos, 25 maggio 2023)

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Approvato il bilancio 2023-24 dello stato di Israele, una vittoria importante per Netanyahu

di Ugo Volli

• Un passaggio giuridicamente significativo
  Dopo una notte intera di discorsi e di voti, la Knesset, il parlamento monocamerale israeliano, ha approvato mercoledì mattina il bilancio dello stato per 64 voti a 55. È un voto importante, anzitutto perché la mancata approvazione del bilancio nei tempi stabiliti (quest’anno era il 30 maggio) è, secondo la legge israeliana, la sola ragione dello scioglimento automatico della Knesset e dell’indizione di nuove elezioni. A differenza dell’Italia, il Presidente della Repubblica non ha questo potere; la Knesset può sciogliersi da sola con una legge apposita, com’è accaduto diverse volte negli ultimi anni; ma è chiaro che un inciampo o un voto contrario sul bilancio erano il mezzo più semplice per far cadere il governo e la sua maggioranza. Questo non è accaduto, la coalizione ha tenuto senza perdite e anche le solite trattative fra gli interessi che in tutti i regimi democratici e anche in Israele caratterizzano la definizione del bilancio, che in sostanza è l’impegno degli investimenti pubblici, non sono risultate più difficili o contrastate del solito.

• Provvedimenti sociali
  Vi sono stati alcuni cambiamenti rispetto al passato, con maggiori investimenti sul settore charedì (quello che la stampa occidentale chiama con un termine poco sensato “ultraortodosso”), sulle regioni periferiche della Galilea e del Negev, provvedimenti sociali come lo spostamento di fondi da alcune città ricche a quelle più bisognose per favorire la costruzione di case popolari o gli interventi sui consumi alimentari, la previsione di una articolazione un po’ differente del servizio militare, un importante finanziamento per la Difesa. Ogni ministro ha tirato acqua al suo mulino, ma poi la determinazione del Ministro delle Finanze Smotrich e la grande esperienza del Primo Ministro Netanyahu hanno favorito un passaggio non troppo accidentato del bilancio.

• Un cambiamento di clima politico
  Il passaggio del bilancio è anche un punto di svolta politico. Segue l’ottima esecuzione dell’operazione di Gaza, un riaccendersi dell’interesse internazionale per Israele (Netanyahu è stato per esempio invitato per l’autunno negli Emirati; si parla con insistenza di numerosi passi avanti nella normalizzazione con l’Arabia Saudita). E, soprattutto, la ventata di insofferenza per il governo della destra che aveva raggiunto il culmine un paio di mesi fa è chiaramente in ritirata. I sondaggi non promettono più, se si votasse oggi, una maggioranza di sinistra, ma al massimo un nuovo risultato nullo; le manifestazioni settimanali di protesta sono molto meno numerose, sono emerse divisioni nell’opposizione, vi sono state manifestazioni numerose anche a sostegno del governo. Insomma non vi è più il clima di assedio che si viveva a marzo, ma quello normale per Israele di un acceso scontro politico.

• Che accade ora?
  Al momento del passaggio del bilancio Netanyahu ha annunciato che intende ricominciare a lavorare sulla riforma giudiziaria e che vuole cercare di ottenere un accordo con l’opposizione su questo tema, che è stato presentato nelle manifestazioni come una minaccia alla democrazia, ma che quasi tutti gli esperti della politica israeliana, anche dalle parti dell’opposizione, riconoscono come una urgenza da affrontare. Nei due mesi di sospensione della discussione parlamentare sono andate avanti consultazioni discrete patrocinate dal presidente Herzog fra la maggioranza e buona parte dell’opposizione. A quanto pare si sono raggiunti accordi su alcuni temi, come la riduzione dell’anomalo potere che è cumulato da un funzionario non eletto, il consigliere “giuridico del governo” che è anche procuratore generale e può imporre le sue valutazioni alla volontà del governo e della Knesset senza doverle giustificare a nessuno. Ma non è detto che il consenso sia condiviso da tutta l’opposizione parlamentare ed è ancora più difficile che soddisfi gli organizzatori delle manifestazioni di piazza, che in buona parte sono extraparlamentari i quali non rispondono ai partiti. È possibile, anzi, che la ripresa del lavoro parlamentare sulla riforma giudiziaria induca a una nuova intensificazione delle proteste. Esse del resto sono quasi esplicitamente sostenute dall’amministrazione Biden, che ha mostrato in maniera molto chiara la propria insoddisfazione per molte scelte del governo Netanyahu e di recente, a quanto hanno scritto senza smentite i giornali israeliani, avrebbe addirittura condizionato il proprio apporto all’accordo fra Israele e l’Arabia Saudita, che sarebbe un fatto storico importantissimo, all’abbandono della riforma giudiziaria e alla riapertura di improbabili trattative “di pace” con l’Autorità Palestinese. D’altro canto gli Stati Uniti stanno entrando a loro volta nel loro lungo processo elettorale e Netanyahu ha esperienza e lucidità sufficiente per riuscire a far valere l’indipendenza dello Stato ebraico dai condizionamenti della politica americana. Insomma i problemi del panorama politico israeliano non sono affatto finiti, ma certamente il governo ha ora più tempo e autorità per trattarli.

(Shalom, 25 maggio 2023)

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Accordi di Abramo, folgorati sulla via di Damasco: così la corsa alla ricostruzione in Siria può far fallire la normalizzazione tra Israele e gli Stati arabi

L’avvicinamento tra Arabia Saudita e Iran mediato dalla Cina, il rientro di Damasco nella Lega Araba e l’affare colossale della ricostruzione. L’ordine Usa in Medio Oriente vacilla e così il piano di distensione tra Israele e i Paesi vicini

di Andrea Lanzetta

Per il vertice della Lega Araba a Jeddah del 19 maggio c’erano proprio tutti, nuovi amici e vecchi nemici di Israele: il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, re Hamad del Bahrein e persino il dittatore siriano Bashar al-Assad, sopravvissuto — grazie a Iran e Russia — a 12 anni di guerra e invitato per l’occasione dal principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, il principale alleato degli Usa nella regione. Apparentemente la normalizzazione dei rapporti tra i vicini e lo Stato ebraico ha poco a che fare con il rientro di Damasco nell’organismo internazionale, eppure a poche ore dall’arrivo di Assad in terra saudita la ministra israeliana dell’Intelligence, Gila Gamliel, si affrettava ad annunciare da Washington — senza fornire dettagli — che «altri Paesi arabi sono pronti ad aderire» agli Accordi di Abramo, i quali starebbero assicurando una «tangibile pace regionale». Curioso, visto l’aumento della violenza sui palestinesi dal ritorno al potere del suo premier Benjamin Netanyahu.
  Ma il tema non era in agenda a Jeddah e d’altronde la pace non sembra nemmeno in cima alle preoccupazioni di chi ha firmato le intese promosse nel 2020 dal genero di Trump, Jared Kushner. Piuttosto sembra si sia sempre trattato più che altro di affari e proprio questo potrebbe essere il loro punto debole. Un nuovo business ben più lucroso delle intese commerciali con Israele interessa gli attori della regione: la ricostruzione miliardaria della Siria.

• CONTI IN TASCA
  A oltre due anni e mezzo dalla firma degli Accordi, secondo l’Abraham Accords Peace Institute, questi hanno portato a 3,47 miliardi di dollari gli scambi tra Israele e i firmatari Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Marocco, oltre a Egitto e Giordania. Per lo più si tratta di affari nei settori energetico, dei trasporti e del turismo ma anche l’industria bellica è coinvolta. A luglio scorso, l’allora ministro della Difesa israeliano Benny Gantz annunciò infatti che, nell’ambito degli Accordi, lo Stato ebraico e i suoi partner regionali avevano raggiunto una serie di intese in materia di armi per un valore di oltre 3 miliardi di dollari. Cifre imponenti – considerando anche che queste intese erano state presentate come un passo verso la pace in Palestina (invece dall’inizio dell’anno i morti sono più che triplicati) – ma decisamente inferiori alla grande torta della ricostruzione siriana. Un sottile filo rosso lega le due questioni, apparentemente scollegate, e porta dritto a Riad, la cui adesione agli Accordi costituirebbe una vera svolta in Medio Oriente.
  Come emerso da un incontro avvenuto a gennaio a Gerusalemme tra il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Jake Sullivan e il premier israeliano Netanyahu, il primo passo per la normalizzazione delle relazioni tra Tel Aviv e l’Arabia Saudita passa proprio dal ricucire i rapporti tra quest’ultima e Washington, deteriorati negli ultimi mesi dopo l’accordo raggiunto con la Russia in sede Opec+ per ridurre la produzione di petrolio al fine di sostenerne il prezzo, causando così l’ira di Biden interessato a contenere l’inflazione in patria. Piuttosto che riprendere le relazioni con la Casa bianca però, Riad ha optato prima per normalizzare i rapporti con l’Iran, grazie alla mediazione della Cina, e poi per riammettere la Siria nella Lega Araba, aprendo di fatto la corsa alla ricostruzione del Paese dopo oltre 12 anni di guerra.

• BASHAR, IL "SOPRAVVISSUTO"
  È stata una decisione pragmatica, almeno secondo la diplomazia saudita. Visto da Riad, il mondo arabo deve accettare che Assad sia sopravvissuto alla guerra, una realtà già accolta da molti Paesi della regione malgrado i crimini commessi dal regime contro il suo popolo. Già nel novembre 2021 infatti il ministro degli Esteri emiratino, Abdullah bin Zayed al-Nahyan, aveva visitato Damasco. Ma il processo di normalizzazione delle relazioni con il regime di Assad ha registrato una decisa accelerata a febbraio, dopo il devastante terremoto che ha colpito la Turchia meridionale e il Nord della Siria.
  Da allora, il dittatore ha ricevuto i ministri degli Esteri di Giordania, Egitto e Arabia Saudita. Un processo culminato con l’invito ad Assad di partecipare al vertice della Lega Araba di Jeddah, dopo 12 anni di sospensione dall’organismo. Ufficialmente sul tavolo del summit c’era la mediazione dei conflitti in corso in Yemen e Sudan, il contrasto al traffico di stupefacenti (in particolare Captagon) dalla Siria e il rimpatrio dei profughi fuggiti dalla guerra. Il tacito obiettivo di tutti i presenti però sembrava la partecipazione alla spartizione della torta della ricostruzione, stimata in almeno 400 (se non in 1.000) miliardi di dollari tra ripristino delle infrastrutture danneggiate e nuovi progetti di sviluppo.
  D’altronde, da quando ha riconquistato ampie porzioni del Paese grazie all’intervento militare russo e all’appoggio delle milizie finanziate dall’Iran, Assad ha cominciato a ricostruire piccole zone della Siria, compreso l’antico mercato di Aleppo e alcune moschee nella stessa città e a Homs. Non solo: dopo decenni di nazionalizzazione dell’economia Damasco ha aperto le porte del settore telecomunicazioni a imprese legate alla Guardie Rivoluzionarie dell’Iran e firmato a inizio maggio ben 15 accordi di cooperazione commerciale con Teheran in vari settori, tra cui i comparti energetico e dei trasporti. Tutto questo però non basta ad Assad, che ha bisogno di altri investitori e in molti appaiono desiderosi di sedersi a un tavolo tanto ricco. In primis, Riad.

• INTERESSI DIVERGENTI
  Le ragioni sono tutte economiche ma hanno un risvolto politico importante per la regione, proprio come l’accordo tra sauditi e iraniani, mediato dalla Cina. Il principale motore della normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi è stata la necessità per entrambi di rifiatare economicamente, il primo a causa della debolezza e volatilità dei corsi petroliferi legata alle conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina e il secondo per le decennali sanzioni imposte da Usa ed Europa per frenarne il programma nucleare.
  Al di là delle conseguenze immediate sulla tregua in Yemen, come notato dalla ricercatrice del Quincy Institute, Annelle Sheline, poco dopo l’annuncio dell’accordo di normalizzazione, al principe ereditario saudita Mohammed bin Salman restano meno di sette anni per realizzare la sua Vision 2030 con cui intende diversificare l’economia del regno rendendola indipendente dalla sola esportazione di petrolio. Attualmente Riad deve far fronte a seri problemi di deficit, legati al calo dei prezzi sui mercati internazionali.
  La situazione, secondo Bloomberg Intelligence, è tanto grave che quest’anno Aramco potrebbe dover staccare altri 20 miliardi di dollari di dividendi (destinati soprattutto al governo saudita) per coprire il buco di bilancio. Così, tra le varie opportunità all’orizzonte, l’affare della ricostruzione della Siria risulta ancora più appetibile. L’unico ostacolo però sono le sanzioni imposte da Usa ed Europa contro Assad, altro motivo di allontanamento di Riad e dei suoi partner regionali dall’Occidente e implicitamente da Israele, che rischia di pagare in prima persona la messa in discussione dell’ordine dato dagli Stati Uniti al Medio Oriente negli ultimi 50 anni.

(TPI, 25 maggio 2023)

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Esodo

“Un ebreo su quattro in Europa pensa di andarsene”. I numeri del vice di Ursula

ROMA - “L’antisemitismo è in aumento e, purtroppo, le istituzioni ebraiche in tutto il continente sono costrette a destinare maggiori risorse alle misure di sicurezza. Il 38 per cento degli ebrei in Europa sta pensando di lasciare il continente a causa di sentimenti di insicurezza. E’ una vergogna, ed è responsabilità di ogni governo dell’Unione europea salvaguardare i propri cittadini”. Così Margaritis Schinas, vicepresidente della Commissione europea, alla conferenza annuale a Porto di oltre cento leader delle comunità ebraiche provenienti da tutta Europa. Fra i partecipanti al fianco di Schinas anche il rabbino capo olandese, Benjamin Jacobs. Ha rivelato che lui e sua moglie se ne sarebbero già andati se non fosse per i loro doveri. “Sono come il capitano in servizio su una nave che affonda”. Come ha già fatto Benzion Evers, figlio del rabbino capo di Amsterdam.
  “Emigrare è per noi una soluzione. E lo farà il sessanta per cento della comunità. Anche mio padre mi seguirà”. Cinque dei suoi fratelli e sorelle hanno d’altronde già fatto lo stesso. “Negli ultimi cinquant’anni la popolazione ebraica in Europa è diminuita del sessanta per cento e un calo simile è previsto nei prossimi trent’anni”, scrive Eldad Beck sul maggiore giornale israeliano, Israel Hayom. Matti Friedman su Tablet scrive che 106.775 ebrei francesi (un quinto del totale) sono andati a vivere in Israele dal 1972, di cui 41.860 solo dal 2010. In Francia ci sono già città, come Grenoble, da cui metà della comunità ebraica è fuggita, mentre a Nizza, che ospitava la quarta più grande comunità ebraica, sono passati da ventimila a cinquemila. A Lione, come ha di recente detto il suo rabbino capo, “rimangono solo gli ebrei che sono troppo vecchi o troppo poveri per trasferirsi”. Centinaia di famiglie ebraiche hanno lasciato Tolosa e il presidente della comunità ebraica di Francia, Arié Bensemhoun, ha consigliato ai giovani di abbandonare la città. Per Israele. Per il Canada. Per altre città francesi più sicure. Tolosa contava fino a ventimila ebrei. Oggi sono rimasti in diecimila. Joël Rubinfeld, presidente della Ligue belge contre l’antisémitisme, è allarmato e dice a Paris Match che “ci sono buone possibilità, in vent’anni, di finire con un Belgio jüdenrein” (senza ebrei). L’esito finale di questo processo, se diventa irreversibile, si chiama Malmö. Nelle scorse settimane la sinagoga della terza città della Svezia è stata isolata a causa di una minaccia terroristica. Gli imprenditori Dan Olofsson e Lennart Blecher hanno donato 40 milioni di corone alla congregazione ebraica. “Malmö è stata un rifugio per la popolazione ebraica” hanno detto. “Le persone hanno potuto vivere qui liberamente senza essere molestate. Ora Malmö sta per perdere la sua popolazione ebraica e si è guadagnata una reputazione antisemita. E’ un disastro”. “Sarebbe bello se potessi vedere Malmö come una città tranquilla dove tutti possono sentirsi al sicuro e seguire i propri sogni, ma non è così”, ha appena detto all’Expressen Jonathan Conricus, cresciuto a Malmö prima di diventare il portavoce dell’esercito israeliano e il rappresentante dello stato ebraico presso le Nazioni Unite. Ora Conricus è in una tournée in Svezia e una delle tappe è la città d’infanzia di Malmö. “Dove sono gli ebrei di Malmö?”, chiede Conricus. “Non ci sono quasi più qui”. La comunità ebraica ha anche una data per la propria “scadenza”, il 2029, a meno che le circostanze non cambino. La città più multiculturale della Scandinavia contava 2.500 ebrei negli anni 70, 842 nel 1999, 610 nel 2009, 387 nel 2019, appena duecento oggi. “In dieci anni non ci saranno più ebrei”.

Il Foglio, 25 maggio 2023)

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Challah fatta in casa: la guida definitiva

Vuoi replicare la ricetta del tipico pane ebraico preparato nel giorno dello Shabbat ma non hai dimestichezza con i lievitati? Ecco una guida definitiva per te, con consigli mirati e la ricetta dal risultato garantito.

di Francesca Zampelli

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La Challah è definibile come la variante ebraica del pan-brioche che tutti conosciamo. La particolarità non si riscontra tanto nel procedimento o negli ingredienti della ricetta, quanto nel suo legame con la tradizione religiosa ebraica. La Challah, infatti, viene consuetudinariamente preparata durante il Capodanno ebraico e nel giorno dello Shabbat, coincidente con il settimo giorno della settimana: il sabato. Nello specifico, la celebrazione finalizzata al riposo ha inizio dal tramonto del venerdì e termina all’imbrunire del sabato.
  Per ottenere un pane Challah perfetto bisogna far attenzione in particolare alla lievitazione e all’inconfondibile forma intrecciata.
  Il tempo di lievitazione sarà commisurato alla quantità di lievito, che a sua volta si può preventivamente stabilire in base al tempo che si ha a disposizione. Una lievitazione più lunga e meno lievito possibile, tendenzialmente, rendono il pane più digeribile. Bisognerebbe evitare che l’impasto si raffreddi sotto i 28° ed è consigliabile che mantenga la temperatura anche durante la lievitazione, motivo per cui è preferibile utilizzare acqua leggermente calda nella preparazione e porre accanto al recipiente con l’impasto un altro recipiente con acqua calda in un forno chiuso con la luce accesa durante la lievitazione: questo agevola anche il mantenimento dell’umidità.
  L’utilizzo dello zucchero è fondamentale nelle ricette di lievitati, anche se questi ultimi accompagnano portate salate. In questo caso, infatti, lo zucchero è necessario per attivare la fermentazione del lievito. La ricetta della Challah prevede lo zucchero o, in alternativa, il miele. Grande amico della lievitazione è l’utilizzo di una farina “forte”, meglio capace di trattenere aria all’interno dell’impasto favorendo la buona riuscita della ricetta e la tipica alveolatura.
  La scelta della tipologia di lievito da utilizzare, fresco o secco, deve rispettare le proporzioni di peso tra i due e il processo di attivazione del secondo: un panetto di lievito fresco da 25 grammi corrisponde ad una bustina di lievito secco da 7 grammi. Il lievito secco va però attivato in acqua calda (una parte di quella che serve per la ricetta) per almeno 10 minuti, fino al suo scioglimento, prima di unirlo agli altri ingredienti. Una volta stabilito il tipo e il quantitativo di lievito da utilizzare, fondamentale è il rispetto maniacale dei tempi di lievitazione, o si rischia di far rompere la maglia glutinica provocando l’acidità e il collasso dell’impasto in cottura.
  Tipicamente, la ricetta ebraica prevede anche la realizzazione di una treccia fino a 10 capi. Una versione allo stesso modo scenografica e non complessa può prevedere anche quattro capi. Basterà seguire lo stesso iter a ripetizione: prendere il lembo all’estrema destra e portarlo oltre i due lembi contandoli da destra verso sinistra, ripetere la stessa cosa con il lembo all’estrema sinistra e invertendo la direzione del conteggio dei due lembi e infine prendere il secondo lembo partendo da sinistra e spostarlo al centro contando due lembi da sinistra verso destra. I meno temerari possono affidarsi ad una forma intrecciata a tre capi, che non toglierà nulla ad una Challah realizzata con cura e affidamento alla ricetta.
  Di seguito le indicazioni per una preparazione infallibile. Le dosi si riferiscono a una treccia di Challah lunga circa 35/40 cm, raddoppiarle in caso di necessità.

Ingredienti per il lievitino:

    100 gr di farina
    8gr di lievito di birra fresco
    110 gr di acqua

Ingredienti per l’impasto:

    200 gr di farina
    50 gr di zucchero
    1 uovo intero
    1 tuorlo per spennellare
    1 cucchiaio di olio di semi a scelta
    8 gr di sale

La ricetta inizia con la preparazione del “lievitino“: un impasto che permette di effettuare una pre-lievitazione. L’utilità sta nell’accorciare il tempo totale della lievitazione e nel conferire una maggiore forza di lievitazione.
  Mescolare gli ingredienti del lievitino fino a formare un composto denso e omogeneo e far lievitare finché sulla sua superficie non si formino delle bollicine: ci vorrà circa 1 ora.
  Una volta pronto, il lievitino può essere mescolato agli altri ingredienti, facendo attenzione a incorporarne uno per volta, alternando l’assorbimento totale di ciascuno e lasciando per ultimi olio e sale. Se si preferisce lavorare a mano, il composto va impastato almeno 10 minuti, se si opta per l’impastatrice basterà che diventi liscio e non appiccicoso.
  Appena l’impasto della challah risulta sufficientemente amalgamato, la lievitazione può iniziare. Si consiglia di riporre l’impasto in una ciotola unta e coperto da pellicola, in forno chiuso e con luce accesa (se si vuole, seguendo i consigli precedentemente forniti). Ci vorranno circa 3 ore, se fa molto caldo anche 2 ore e mezza, dovrebbe triplicare di volume.
  Per realizzare la tipica forma della treccia, dopo aver scelto il numero di capi da utilizzare, dividere l’impasto in parti uguali aiutandosi con una bilancia, così da ottenere dei capi equi per volume e lunghezza.
Dopo aver realizzato la treccia bisogna riporla sulla teglia scelta per la cottura, che sia non troppo piccola: serve dello spazio che favorisca l’ultima lievitazione.
  Ci vorrà almeno un’altra ora per consentirne il raddoppio. Prima di iniziare la cottura, spennellare la superficie della treccia con tuorlo d’uovo sbattuto e, facoltativamente, aggiungere semi di papavero, di sesamo o semi misti. Possibilmente, infornare nella parte media o medio-bassa del forno per assicurarsi che il fondo cuocia bene, a 170 gradi per 25 minuti. Ogni forno è diverso, per cui l’impasto va controllato ogni tanto in caso di variazioni sui tempi.
  Appena pronta, il consiglio è di lasciare intiepidire la Challah o anche raffreddare totalmente prima di mangiarla.
  Per conservarla al meglio si consiglia di sigillarla per bloccare il più possibile il passaggio d’aria e mantenerla fragrante fino a 3 giorni.

(Eroica Fenice, 25 maggio 2023)

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L’israeliana Inbar Lanir vince l’oro ai Campionati Mondiali di Judo in Qatar

di David Fiorentini

Inbar Lanir
L’atleta israeliana Inbar Lanir si è aggiudicata la prestigiosa medaglia d’oro nella categoria dei 172 libbre ai Campionati mondiali di judo svoltisi a Doha. Questo risultato segna un importante traguardo per Israele, poiché è la prima donna del paese a conquistare la vetta del podio in questa competizione dal 2014, quando lo fece Yarden Gerbi.
  Nella sua straordinaria performance, Lanir ha sconfitto la talentuosa atleta francese Audrey Tcheuméo, classificata al quarto posto a livello mondiale. La vittoria di Lanir è stata ottenuta dopo una serie di brillanti vittorie contro quattro avversarie, tra cui l’italiana Alice Bellandi, leader del ranking internazionale.
  Emozionata per il suo successo, Lanir ha voluto dedicare la sua medaglia ai residenti del sud del paese, che stanno affrontando un periodo di difficoltà, nonché ai coraggiosi soldati dell’IDF e a tutto lo Stato di Israele. La sua determinazione nel raggiungere tale risultato in un momento così complesso e difficile è stata un modo per contribuire positivamente alla società.
  Il Ministro dello Sport e della Cultura, Miki Zohar, ha espresso grande entusiasmo per la vittoria di Lanir, definendola “una notizia meravigliosa per il popolo di Israele”. L’intera nazione israeliana è orgogliosa del traguardo raggiunto dall’atleta, poiché la sua vittoria ha portato gioia e soddisfazione in un momento particolarmente significativo.
  Israele ha ottenuto numerose medaglie nel judo durante le Olimpiadi, tuttavia non ha ancora conquistato l’ambito oro olimpico in questa disciplina. Il judo rappresenta uno dei pilastri sportivi di maggior successo per Israele, insieme al windsurf, alla vela e alla ginnastica ritmica.
  Con la sua vittoria ai Campionati mondiali di judo, Inbar Lanir ha lasciato un’impronta significativa nella storia dello sport israeliano, dimostrando il talento e la determinazione degli atleti del paese su una competizione di rilevanza globale.

(Bet Magazine Mosaico, 24 maggio 2023)

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Un nuovo Bilancio per Israele

Lo scoglio dell’approvazione del Bilancio è sempre un passaggio delicato per i governi israeliani. Anche questa volta le trattative tra i partiti della coalizione sono stati prolungati e non senza tensioni. Ma alla fine, nel corso della mattinata, il governo del Primo ministro Benjamin Netanyahu ha ottenuto il passaggio del Bilancio biennale. La maggioranza alla Knesset ha votato compatta, con 64 voti a favore, dando così al Premier due anni di tranquillità, almeno sul fronte del budget statale. I negoziati interni sono stati lunghi. Il Likud ha trattato per settimane con i partiti haredi – Shas e Yahadut HaTorah – e con il fronte dell’estrema destra – Sionismo religioso e Otzmah Yehudit. Alla fine un compromesso – molto criticato dalle opposizioni, ma anche da alcuni economisti – è stato trovato. Il bilancio ammonterà a 484 miliardi di shekel nel 2023 e a 514 miliardi nel 2024. Parlando dopo il voto alla Knesset, Netanyahu ha affermato che il via libera è la dimostrazione “che questa coalizione sa come lavorare. Resteremo qui per quattro anni. L’opposizione non si illuda”.
  “È un momento molto importante”, ha dichiarato Yohanan Plesner, il presidente dell’Israel Democracy Institute in merito all’approvazione del Bilancio biennale. “Dà a Netanyahu una ragionevole proiezione di stabilità per i prossimi mesi, e forse per un anno e mezzo”.
  Tra le misure incluse nella finanziaria ci sono, spiega il quotidiano economico Globes, il Fondo Arnona (imposta comunale sugli immobili), la legge sulle infrastrutture nazionali, le agevolazioni burocratiche per le piccolissime imprese, una maggiore trasparenza sulle commissioni bancarie e una maggiore concorrenza nel mercato dei pagamenti. Il bilancio, rileva ancora Globes, è stato criticato per la mancanza di misure volte a contenere il costo della vita e per l’ampliamento delle sovvenzioni garantite al settore haredi. In particolare nell’occhio del ciclone ci sono 4 miliardi di euro diretti ad aumentare, tra le altre cose, i sussidi per gli uomini haredi (ultraortodossi) che studiano a tempo pieno nelle scuole religiose. E sono poi previsti ulteriori fondi per queste ultime. Il direttore del bilancio del Ministero delle Finanze, Yogev Gardos, ha avvertito che questi stanziamenti rischiano di danneggiare l’economia del paese, incoraggiando ulteriormente i haredi a rimanere fuori dal mercato del lavoro, diminuendo così il reddito di una comunità già segnata da livelli di povertà tra i più alti d’Israele. Gardos ha poi aggiunto che se non si incoraggia il tasso di partecipazione al lavoro tra gli uomini haredi, entro il 2065 il governo dovrà aumentare le imposte dirette del 16 per cento per mantenere lo stesso livello di servizi che fornisce senza aumentare il deficit.
  Alle critiche ha replicato il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich dopo il voto, accusando i media. “Confrontate la portata della copertura mediatica dei bilanci dell’istruzione haredi con quella delle altre sezioni del bilancio statale. I primi costituiscono forse lo 0,5 per cento dell’intero bilancio. Il 99 per cento va a beneficio di tutti i cittadini di Israele, ma non ve lo mostreranno. – la tesi del ministro – Per loro, il 99 per cento delle informazioni riguarderà il budget per i haredim, e meno del 50 per cento riguarderà il resto, perché non vogliono che sappiate la verità. Sapete già perché, vero? Perché quando si tratta di sinistra lodano e quando si tratta di destra si lamentano”, ha attaccato Smotrich.
  “Il bilancio che il governo ha presentato è devastante”, la contestazione del capo dell’opposizione Yair Lapid. “Non c’è nessuna riforma che possa migliorare lo stato dell’economia, non ci sono motori di crescita, non c’è lotta al costo della vita, c’è solo un’estorsione senza fine”.
  Con l’approvazione del pacchetto finanziario, Netanyahu si intanto è detto ottimista riguardo al passaggio della riforma della giustizia – contestata legislazione che limiterebbe alcuni poteri della Corte Suprema. Al momento i provvedimenti sono stati congelati per consentire colloqui di compromesso con l’opposizione, finora infruttuosi. “Stiamo cercando di raggiungere un’intesa. – ha dichiarato Netanyahu – Spero che ci riusciremo”.

(moked, 24 maggio 2023)

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Caos in Israele: tifosi invadono il campo, rubano medaglie e bruciano la porta

In occasione della finale di Coppa tra Betar Gerusalemme e Maccabi Natanya sono scoppiati incidenti tra tifosi, sfociati con la fuga del Capo di Stato protetto dalla scorta

MILANO - Nel calcio israeliano è scoppiato il caos nella giornata di ieri. In occasione della finale di Coppa nazionale tra Betar Gerusalemme e Maccabi Natanya, terminata 3-0, migliaia di tifosi gialloneri hanno invaso il campo dello stadio Sammy Ofer di Haifa pochi minuti prima del fischio finale. Gli ultras del Betar hanno lanciato fumogeni, fuochi d'artificio e petardi, monopolizzando il campo mentre i giocatori attendevano negli spogliatoi che gli animi si calmassero. Il Capo dello Stato, Isaac Herzog, è stato costretto a lasciare lo stadio protetto dalla scorta, e la cerimonia di premiazione è stata annullata.
  Secondo i media, nella confusione generale venutasi a creare, alcune medaglie destinate ai giocatori sono state rubate ed una delle porte del campo è stata bruciata. La direzione del Sammy Ofer ha precisato che i danni materiali sono di 100.000 shekel, circa 25.000 euro. La direzione del Betar Gerusalemme ha imputato la responsabilità dei disordini ad insufficienze organizzative dell'Associazione calcio israeliana, della polizia e della società addetta alla sicurezza. La società giallonera - squadra tradizionalmente vicina al Likud, principale partito di governo - insiste adesso per ricevere stasera la Coppa nella residenza del Capo dello Stato e per organizzare una grande festa in un parco della città. Il ministro per lo sport, Micky Zohar (Likud,) ha giustificato questa posizione rilevando che, sul piano puramente sportivo, "non c'è dubbio che i calciatori del Betar Gerusalemme si siano meritati il premio". Il suo ministero, ha aggiunto, si riserva di rivedere in futuro i provvedimenti necessari per prevenire le invasioni di campo. La posizione ufficiale dell'Associazione calcio israeliana non è ancora nota. Secondo alcuni media il suo presidente, Moshe Zuaretz, avrebbe comunque già inoltrato "messaggi tranquillizzanti" alla dirigenza del Betar.

(La Gazzetta dello Sport, 24 maggio 2023)

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L’esodo silenzioso degli ebrei dai Paesi arabi alla Commissione degli Esteri

Il 23 maggio David Meghnagi, docente universitario, psicoanalista e studioso, ha tenuto alla Commissione degli Esteri una audizione di 45 minuti su “L’esodo silenzioso” degli Ebrei dal mondo arabo, che vide più di 850.000 ebrei costretti a lasciare i Paesi arabi. Un tema, questo, di cui si parla ancora molto poco.
  In 15 anni si tratta della quarta audizione sul tema fatta alla Commissione degli Esteri da Meghnagi: la prima, nel giugno del 2009 con Irwin Cottler, già ministro del Canada e Fiamma Nirenstein allora vice presidente della Commissione esteri, poi nel 2016, realizzata per conto dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, quella del 2021  e quella di quest’anno.
  “Si tratta di un percorso che ha come obiettivo la sensibilizzazione della classe politica su un tema poco noto e largamente rimosso dal dibattito politico la cui conoscenza è fondamentale per una rilettura della storia più recente del mondo arabo e del conflitto arabo israeliano – spiega a Mosaico David Meghnagi -. L’ostilità contro gli ebrei nasce prima del rifiuto opposto alle aspirazioni del movimento di rinascita nazionale ebraico. Si trattò in una prima fase del rifiuto del diritto degli ebrei all’emancipazione. L’emancipazione degli ebrei e dei cristiani era percepita come una violazione dei valori dell’umma islamica, la messa in discussione da una condizione di sottomissione considerata immutabile. L’odio contro Israele viene dopo ed è stato considerato  come la realizzazione di un piano di stravolgimento dell’umma islamica e della nazione araba”.
  Sul tema Meghnagi aveva realizzato, nel 2017, in occasione dei cinquanta anni dall’ultimo esodo dalla Libia (1967) con il regista Ruggero Gabbai il documentario Fuga da Tripoli,  un documentario sugli ebrei di Libia che la Rai ha proiettato in prima serata, mentre qualche anno prima lo stesso Ruggero Gabbai ne aveva realizzato un altro sugli ebrei egiziani, Starting over again. “Ma ne occorrerebbero altri sugli ebrei iraniani, irakeni, siriani, tunisini, tanto più che la composizione delle nostre comunità è profondamente cambiata – commenta Meghnagi -. A Roma un terzo della comunità è origine libica e a Milano la maggioranza proviene dai paesi arabi e dall’Iran. Si tratta ormai di una parte interna della storia ebraica italiana non pienamente metabolizzata e rappresentata. Realizzare dei documentari di qualità contribuirebbe a fare conoscere meglio una pagina importante della storia dell’ebraismo italiano, ma anche del Vicino Oriente”.
  Secondo Meghnagi, “la narrazione della storia aiuterebbe a guardare al conflitto mediorientale con uno sguardo diverso e più ampio e forse anche per questo la loro vicenda è stata largamente ignorata, rimossa o derubricata come fosse una mera conseguenza del conflitto arabo-israeliano e non invece la spia di un processo endogeno cominciato molto prima e che dopo gli Ebrei ha colpito altre minoranze della Regione. Le comunità ebraiche del mondo arabo e islamico sono oggi solo un flebile ricordo. Eppure non molto tempo fa ne costituivano un elemento essenziale e costitutivo.  Oltre 850.000 ebrei lasciarono per sempre il mondo arabo”.
  “Se il mondo arabo avesse accettato la nascita dello Stato di Israele e non avesse scatenato una guerra di distruzione in cui Israele perse l’1 per cento della sua popolazione, israeliani  e palestinesi festeggerebbero oggi nello stesso giorno la loro indipendenza – continua -. La guerra di distruzione ebbe come conseguenza il dramma di 700 mila profughi arabi e 50 mila profughi israeliani, a cui si aggiunsero 850 mila ebrei fuggiti dai paesi arabi, che non erano parte del conflitto, ma furono ugualmente perseguitati, derubati e cacciati: erano degli ostaggi inermi che subirono la violenza delle folle e trovarono in larga parte rifugio in Israele dove ricostruirono le loro esistenze spezzate, trasformando l’esilio in esodo. I palestinesi furono invece trasformati in profughi permanenti con l’obiettivo di rendere il conflitto non componibile politicamente”.

(Bet Magazine Mosaico, 24 maggio 2023)

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“Una leadership di competenze e autorevolezza per le sfide del futuro”

In occasione delle prossime elezioni per il rinnovo del Consiglio e della Consulta della Comunità Ebraica di Roma, la redazione di Shalom ha posto sei domande ai candidati presidenti delle tre liste. Di seguito l’intervista ad Antonella Di Castro, candidata Presidente della lista Per Israele.

- Come avete stilato il vostro programma elettorale? Quali sono priorità e obiettivi della vostra lista?
  Il programma di Per Israele è frutto di un intenso lavoro di squadra. Chi ci ha preceduto, ciascun candidato, assieme alla sottoscritta, candidata Presidente, ha apportato il proprio contributo, le idee, rispondendo ad una visione comune basata su valori e prospettive che si trasformano in azioni quotidiane per garantire vita e continuità alla Comunità ebraica di Roma. I vari punti del programma sono stati declinati in progetti che illustrano gli obiettivi. Le sfide che ci attendono sono molteplici, solo attraverso un impegno costante possono essere affrontate, grazie alle competenze di ogni singolo componente della lista.

- Quali sono le sfide più urgenti e significative della Comunità in questo momento storico?
  Ogni giorno gli iscritti affrontano problematiche diverse: il lavoro che cambia velocemente, i giovani che cercano stabilità per poter creare nuove famiglie, gli impegni per garantire l’educazione ebraica, i costi della kasheruth e molto altro: tutte sfide che ci attendono nei prossimi anni, esigenze di fronte le quali la dirigenza comunitaria deve dare delle risposte. Sono sfide importanti che impegneranno gli assessori di riferimento in progetti di piccolo taglio, immediata evidenza e di lungo respiro.

- In che modo la vostra lista mette in campo le competenze per affrontare queste sfide?
  Ho al mio fianco, per scelta, tutte le anime della comunità perché ciascuno possa sentirsi rappresentato. Non accetto l’idea di rappresentare un’istanza piuttosto che l’altra, tutti in questa Comunità abbiamo diritto di essere rappresentati. Abbiamo però anche il dovere di votare chi meglio ci rappresenta e rispecchia il modello di gestione che vogliamo per la Comunità. Dunque la composizione della lista Per Israele è espressione di quelle anime e di quelle competenze necessarie per proporre soluzioni: ogni componente porta un bagaglio di valori e abilità necessari ad affrontare le nuove sfide.

- Quali sono le qualità e le caratteristiche che dovrebbero contraddistinguere una valida leadership per la comunità di Roma dei prossimi anni?
  La Comunità è un ente morale. La sua leadership oltre alle imprescindibili qualità di competenza, professionalità, spirito di servizio, abnegazione e autorevolezza deve saper dialogare all’interno con ogni singolo iscritto. Cosi come è necessario mantenere autorevolezza e credibilità di idee, di principi per farli comprendere alla società civile, manifestando sempre con orgoglio le peculiarità del popolo ebraico e l’irrinunciabile legame con Israele. Bisogna essere portatori di valori sani e di principi morali che fondano le loro origini nella Torah e nell’insegnamento dei Maestri, in una società che spesso mette in crisi tutto questo.

- Tra le sfide più impegnative in cui si trova il nostro Paese vi è il calo demografico,  un fenomeno che risulta presente e forse amplificato nella Comunità. Come si può intervenire e come si possono arginare gli effetti negativi a lungo termine?
  È evidente che per le comunità ebraiche il calo demografico rischia di diventare drammatico, perché oltre al venir meno il ricambio generazionale, nelle realtà più piccole impatta sino al rischio di far sparire letteralmente le comunità. Una leadership ebraica che voglia dare risposte ed offrire soluzioni deve essere di sostegno alle coppie, deve garantire i servizi, la Scuola Ebraica innanzitutto, sostegno economico e accoglienza. Creare le condizioni per vivere una serena vita ebraica.  Tutto questo viene anche dal senso di appartenenza, fiducia, speranza e sostegno che una “famiglia” può e deve dare. Questo è fare Comunità.

- Se dovesse essere eletta presidente, come immagini la comunità tra 4 anni, al termine del mandato del prossimo consiglio?
  Laddove fossi eletta vorrei lasciare una Comunità più coesa, con un bilancio solido che possa ricevere contributi esterni per necessità straordinarie, ma che sia autosufficiente, con una natalità in ripresa e con quel senso di orgoglio che ci caratterizza da secoli.
  Ma in prima istanza vorrei che fosse una Comunità dove tutti si sentano rappresentati e nessuno lasciato indietro, dove tutti abbiano voglia di partecipare concretamente e di votare per scegliere chi governa, certi che sarà per il bene comune.

(Bet Magazine Mosaico, 24 maggio 2023)

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«In vigile attesa dell'epidemia prossima ventura»

Perfino Repubblica aveva dovuto prenderne atto:
  «Fine pandemia, l'Oms: "I contagi continuano, ma Covid non è più un'emergenza"»,
è il titolo di un articolo fatto uscire da quel giornale il 5 maggio scorso. Ma la sparizione del mostro covid non solo dalla fattualità del presente ma anche dall'orizzonte del futuro dev'essere apparsa insopportabile a quella stampa benpensante. Ecco allora un titolo di oggi dello stesso giornale, quello che ci dice tutto su quello che dobbiamo sapere, credere e pensare:
  «Covid, l'assalto delle nuove varianti XBB: ecco perché fanno paura».
Capito il messaggio subliminale (ma non troppo) inviato ai devoti lettori? Dovete avere paura, ricordatevelo sempre. Dovete rimanere in vigile attesa della sciagura che vi potrebbe colpire se non... ed ecco allora un altro titolo di qualche giorno fa:
  «Rischio di nuova pandemia Covid, l'Oms: "Aggiorniamo i vaccini o non ce la faremo"».
Capita l'antifona? Senza i vaccini rischiamo di non farcela. Dobbiamo desiderarli, i vaccini; chiederli insistentemente, i vaccini; dobbiamo essere disposti a tutto pur di averli, i vaccini; e averli prima degli altri (come ha insegnato l'Israele di Netanyahu). E rimanere poi in uno stato di vigile attesa del peggio che verrà... se non arriveranno i vaccini.
Altri titoli terroristici trovati sulla stessa stampa:
  «Covid, il virus cambia strategia: arriverà a piccole ondate»
  «Covid: nuova epidemia in arrivo entro due anni, ma non sarà Omicron»
  «Covid, perché la variante XBB adesso preoccupa la Cina? Quali sono i rischi reali?»
Temete, temete, temete gente, e poi... andrà tutto bene. M.C.

(Notizie su Israele, 24 maggio 2023)

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Netanyahu sarà negli Emirati a novembre per conferenza Onu

Due telefonate del premier al principe saudita bin Salman

Benyamin Netanyahu compirà a novembre - su invito del presidente degli Emirati Arabi Uniti, Mohamed bin Zayed al-Nahyan - una visita a Dubai in occasione della Conferenza dell'Onu sui cambiamenti climatici.
  Lo ha riferito l'ufficio del premier israeliano secondo cui questo l'invito gli è stato inoltrato ieri dall'ambasciatore degli Emirati in Israele Mohamed Mahmoud al-Khaja.
  Il Jerusalem Post ha intanto appreso che Netanyahu ha avuto due conversazioni telefoniche con il principe ereditario saudita Mohammad Bin Salman. Questi colloqui sono avvenuti prima e dopo il recente vertice della Lega araba e sono stati resi possibili da un intervento del Bahrein. Secondo il Jerusalem Post, al centro delle conversazioni fra Netanyahu e bin Salman una eventuale normalizzazione dei rapporti fra i due Paesi, un tema su cui però - secondo il giornale - non sono stati registrati progressi. Israele si attende intanto dall'Arabia saudita l'autorizzazione a voli diretti fra Tel Aviv e Riad per i pellegrinaggi degli arabi israeliani.

(ANSAmed, 23 maggio 2023)

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Vince Eshkol Nevo; magico l’incontro con i ragazzi-giurati

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Premio Letterario ADEI WIZO “Adelina Della Pergola”. Due giorni con i protagonisti della narrativa ebraica. Alla premiazione alla Normale di Pisa e all’incontro con i ragazzi a Livorno, Eshkol Nevo e Andrea Molesini. E poi A. Gundar Goshen, Y. Leykin, M. Gross in collegamento da Israele e New York

Non un posto libero nella sala Azzurra della Scuola Normale Superiore a Pisa. Venuti in tanti per questa giornata conclusiva della XXIII edizione del Premio Letterario ADEI WIZO “Adelina Della Pergola”: dopo tre anni di premiazioni on line si torna in presenza in un luogo degno della tradizione d’eccellenza di questo evento. Il 15 e 16 maggio, sono accorse quindi le donne dell’ADEI WIZO da tutta Italia ma anche tanti studenti e cittadini livornesi e toscani amanti della letteratura, per un evento imperdibile, con al tavolo d’onore due autori pluripremiati come Eshkol Nevo e Andrea Molesini, mentre sullo schermo in collegamento c’erano Ayelet Gundar Goshen, Yigal Leykin e Max Gross, da Israele e New York. Un parterre di tutto rispetto che in questa edizione, tra premiati e finalisti, ha raccolto il meglio di una nuova generazione di autori israeliani. Un modo perfetto per assolvere nella società contemporanea al compito per cui è stato creato nel Duemila: trasmettere le molteplici realtà del mondo ebraico attraverso la narrativa e usarle come strumento contro il pregiudizio.
  «Ci ritroviamo ad esprimere questi concetti in un luogo di bellezza, progresso e sapere – spiega Susanna Sciaky, Presidente dell’ADEI WIZO Nazionale – e tuttavia l’antisemitismo vive e cresce nelle zone grigie dell’indifferenza e dell’ignoranza. L’impegno di questo Premio è più che mai necessario per far conoscere il nostro mondo, senza quei filtri e distorsioni che sono difficili da sradicare persino in persone insospettabili. Ma vedendo anche quanto ci hanno scritto gli studenti protagonisti della sezione ragazzi, direi che qualche passo nella direzione giusta lo stiamo facendo».
  Tante le autorità intervenute: il Direttore della Scuola Normale Superiore Luigi Ambrosio, l’assessore all’Urbanistica del Comune di Pisa Massimo Drigoli, l’assessore alla Cultura del Comune di Livorno Simone Lenzi, il Comandante della Compagnia dei Carabinieri di Livorno Maggiore Ugo Chiosi, il presidente della Comunità Ebraica di Pisa Maurizio Gabbrielli e il presidente della Comunità Ebraica di Livorno Vittorio Mosseri.
  La cerimonia è entrata nel vivo con un commosso Eshkol Nevo che ha ricevuto dalle mani di Susanna Sciaky il Premio, per poi raccontare del suo libro scelto dalla giuria popolare Le vie dell’Eden attraverso le domande della giornalista Francesca Nocerino e di Andrea Molesini: «Il primo Premio Letterario che ho ricevuto è stato proprio questo, ADEI WIZO Adelina Della Pergola, per La simmetria dei desideri – ricorda Nevo. – All’epoca fu proprio quello di cui avevo bisogno per spronarmi a continuare questo mestiere. Si può dire che oggi sto chiudendo un cerchio. Un ringraziamento all’ADEI WIZO e a Neri Pozza che hanno creduto in me fin dall’inizio».
  «Oggi, una delle cose che possiamo fare è ri-umanizzare e dare la vita alle parole che sono state usate fino a consumarsi, e che rischiano di diventare parole vuote». Il Premio per la sezione ragazzi lo ha vinto Ayelet Gundar Goshen con Dove si nasconde il lupo collegata a distanza da Israele. «In fondo il mistero della vita non è l’esplorazione dell’universo – spiega – ma cercare di capire chi sono le persone a noi più care. Ed è questo l’aspetto veramente umanistico della letteratura, perché ci troviamo ad affrontare tutti gli stessi problemi».
  La cerimonia è proseguita con i saluti da Israele di Sergio Della Pergola che insieme alla sorella Mara tiene in vita il ricordo della madre attraverso quest’opera meritevole. Andrea Molesini, Premio Speciale della giuria per Il rogo della Repubblica, presente in sala, ha invece immerso il pubblico nelle vicende storiche della Repubblica di Venezia del XV secolo.
  Il giorno dopo, 16 maggio,  il Premio ha visto gli scrittori incontrare i ragazzi delle scuole. Un momento che è diventato sempre più importante. Più di 700 quest’anno gli studenti da tutta Italia coinvolti nel ruolo di giurati. Alla Goldonetta di Livorno (ridotto del Teatro Goldoni) sono arrivati persino da Pomigliano d’Arco e da Galatina e in centinaia hanno seguito la cerimonia on line. Tantissime le domande agli scrittori, incentrate sui rapporti famigliari e le dinamiche dell’adolescenza, un tema molto trattato dalla letteratura israeliana. Straordinaria la capacità di analisi di questi ragazzi, estremamente preparati sui libri letti e votati. Segno che davvero l’iniziativa dell’ADEI WIZO ha colpito nel segno.

(Bet Magazine Mosaico, 23 maggio 2023)

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Intelligence israeliana: Hezbollah vicino a scatenare guerra con Israele

Nel frattempo l'Iran costruisce una nuova base sotterranea per l'arricchimento dell'uranio e basi terroristiche galleggianti.

Il capo della Direzione dell’intelligence militare dell’IDF ha detto lunedì che il capo del gruppo terroristico libanese Hezbollah è “vicino a commettere un errore” che potrebbe scatenare una guerra regionale, avvertendo che il conflitto tra Israele e Iran sta diventando sempre più diretto.
  Parlando a una conferenza ospitata dall’Istituto di politica e strategia dell’Università Reichman di Herzliya, Aharon Haliva ha affermato che “le possibilità di un’escalation che potrebbe degenerare in guerra non sono basse” e che, per quanto riguarda Hassan Nasrallah, la recente fiammata al confine tra Israele e Libano potrebbe non essere finita.
  Haliva ha alluso ai commenti passati di Nasrallah, secondo cui il rapimento da parte di Hezbollah di due soldati israeliani al confine nel 2006, che ha scatenato la Seconda guerra del Libano, è stato un errore, ma ha detto che ora comincia a credere che l’equilibrio di potere possa essere messo alla prova.
  “La storia del terrorista al Meggido Junction non è un caso isolato”, ha detto Haliva, riferendosi all’attentato dinamitardo di marzo che ha ferito gravemente un uomo e che si sospetta sia stato orchestrato dal gruppo terroristico sostenuto dall’Iran. “Nasrallah è vicino a commettere un errore che potrebbe far precipitare la regione in una grande guerra. È vicino a commettere questo errore dal Libano o dalla Siria”.
  Ha anche detto che il presidente siriano Bashar Assad, un altro alleato iraniano, sta diventando sempre più sicuro di sé, facendo notare la sua inclusione al vertice della Lega Araba in Arabia Saudita la scorsa settimana dopo 12 anni di assenza e un recente attacco di droni lanciato dalla Siria.
  “Tutto questo crea un alto potenziale per un’escalation nella regione e dobbiamo essere preparati al fatto che i nostri nemici non capiranno il messaggio che stiamo inviando. Che non si sbaglino, siamo pronti a usare la forza e faremo tutto il possibile e il necessario per riportare la calma”, ha detto Haliva.
  Le osservazioni sono giunte un giorno dopo che Hezbollah ha invitato i media a coprire un’importante esercitazione che simulava una guerra con Israele, affermando di essere pronto per un potenziale conflitto con lo Stato ebraico.
  Passando all’Iran, Haliva ha definito la Repubblica islamica “una minaccia reale per Israele” e ha affermato che “il confronto è diventato diretto” tra i Paesi negli ultimi anni.
  Haliva ha detto che il programma atomico iraniano ha continuato a progredire – “sia nel campo dell’arricchimento [dell’uranio] che in quello della costruzione di un’arma” – ma ha sottolineato che la sua unità non crede che i leader iraniani abbiano ancora preso la decisione di “scoppiare” per una bomba nucleare.
  “Ma ci si sta preparando per il giorno in cui il leader supremo o il suo successore prenderanno una tale decisione. Abbiamo gli occhi aperti per segnalare in qualsiasi momento la prontezza dell’Iran su questo punto”, ha aggiunto.

• BASI TERRORISTICHE GALLEGGIANTI
  Prima di lui il ministro della Difesa Yoav Gallant ha rivelato alla conferenza che l’Iran sta convertendo le navi mercantili in navi militari armate di droni, sistemi missilistici e strumenti avanzati per la raccolta di informazioni.
  Gallant ha sostenuto che il Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche sta cercando di costruire “basi del terrore galleggianti” come parte di una “politica preoccupante, simile a quella dei pirati”.
  “L’Iran si sta comportando come un insieme di organizzazioni criminali e non come uno Stato moderno”, ha aggiunto. “Le basi del terrore galleggianti sono un’estensione del terrorismo marittimo in corso da parte dell’Iran, come si vede nelle sue azioni nel Golfo Persico e nel Mar Arabico. L’Iran mira a espandere il suo raggio d’azione all’Oceano Indiano, al Mar Rosso e persino alle coste del Mediterraneo”.
  “Si tratta di un piano strutturato progettato per minacciare le rotte commerciali e di volo – sia militari che civili – e per creare una minaccia permanente nell’arena marittima”, ha accusato Gallant.
  “Il modo per affrontare il terrorismo iraniano in aria, in mare e sulla terraferma è attraverso la cooperazione internazionale e la creazione di coalizioni”.
  Intervenendo all’inizio della giornata alla stessa conferenza, il direttore generale del Ministero della Difesa Eyal Zamir ha dichiarato che l’esercito investirà risorse significative nei prossimi anni nell’intelligenza artificiale, che secondo lui ha il potenziale per migliorare drasticamente l’intelligence e il targeting di Israele contro l’Iran.
  I suoi commenti sono arrivati mentre l’Associated Press ha rivelato che l’Iran sta costruendo un impianto nucleare così profondo nel sottosuolo che probabilmente è al di là del raggio d’azione di un’arma statunitense di ultima generazione progettata per distruggere tali siti.
  Con l’Iran che sta producendo uranio vicino a livelli di qualità per le armi dopo il fallimento del suo accordo nucleare con le potenze mondiali, l’installazione complica gli sforzi dell’Occidente per impedire a Teheran di sviluppare potenzialmente una bomba atomica, mentre la diplomazia sul suo programma nucleare rimane in stallo.
  Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il Primo Ministro Benjamin Netanyahu hanno dichiarato che non permetteranno all’Iran di costruire un’arma nucleare.

(Rights Reporter, 23 maggio 2023)

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Sinagoga fiori per la festa di Shavuot

Domenica 28 “Aspettando il Golem”

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La Sinagoga di Casale si è riempita nuovamente di rose domenica 21 maggio, rispettando così una tradizione particolarmente sentita in città con l’avvicinarsi della festa di Shavuot. Un tripudio di colore e profumo resa possibile quest’anno grazie alla partnership con Coniolo Fiori.
  Fu nel maggio del 2006, in occasione del Festival di Cultura ebraica Oyoyoy, svolto in contemporanea con la manifestazione Riso & Rose, che si addobbò per la prima volta in questo modo il tempio di vicolo Salomone Olper e da allora le rose non sono mancate ogni anno. Persino durante la pandemia, nel giugno 2020, quando la festa venne abbinata a una iniziativa di altro profilo artistico presentando: “Shaar Leatid” (Porta per il futuro) di Angelo Castucci: un’opera d’arte contemporanea in forma di poster in edizione limitata che è stata resa nuovamente proposta al pubblico in occasione dei festeggiamenti di quest’anno.
  Shavuot si celebra sette settimane dopo Pesach (quest’anno ricorre a partire dalla sera del 25 maggio) ed è una festa legata a tutta la simbologia della primavera. Tradizionalmente viene associata anche alla discesa di Mosè dal Monte Sinai con le Tavole della Legge, un evento festeggiato da tutta la natura con una profusione di fiori al suo passaggio.
  Domenica 28 maggio le iniziative culturali al complesso ebraico di vicolo Olper proseguono con un doppio appuntamento. Al mattino alle ore 11 si inaugura la mostra “Aspettando il Golem”, realizzata in occasione di Casale Comics & Games. Raccoglie le illustrazioni di tre artisti della casa Editrice Orecchio Acerbo: Maurizio Quarello, Alice Barberini, Isabella Labate. Nel pomeriggio alle ore 17 primo appuntamento della rassegna “Musica nel complesso ebraico”: si ricorda Italo Calvino nel centenario della nascita con i ragazzi del Coro Ghescer e i solisti dell’Opera dei Ragazzi diretti da Erica Patrucco.

(Il Monferrato, 23 maggio 2023)

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È online il bando per partecipare a “Accelerate in Israel”

Il programma per le start-up italiane in Israele

di Francesco Paolo La Bionda

L’ambasciata italiana in Israele ha lanciato online, a questo link, il bando per partecipare ad “Accelerate in Israel”, quarta edizione del programma promosso dalla rappresentanza diplomatica per facilitare alle start-up italiane un periodo di accelerazione in Israele. Le domande di partecipazione dovranno essere presentate entro il 30 giugno 2023.
  “Accelerate in Israel” è lo strumento di sostegno dedicato alle start-up italiane finanziato nel quadro dell’Accordo di Cooperazione scientifica, tecnologica e industriale tra Italia e Israele. Giunto alla quarta edizione, può contare anche quest’anno sulla collaborazione con l’Agenzia ICE, la Camera di Commercio e Industria Israele-Italia e con Intesa Sanpaolo Innovation Center, e prevede un contributo di 14.000 euro per ciascuna delle start-up che verranno selezionate e un periodo di accelerazione di otto settimane presso un acceleratore israeliano. Le dodici start-up selezionate dovranno appartenere ai settori delle tecnologie per l’agricoltura e l’alimentazione; tecnologie per l’ambiente, l’energia verde e le risorse idriche; tecnologie medicali e tecnologie dello spazio.
  Nel comunicato stampa di lancio, l’Ambasciatore italiano in Israele, Sergio Barbanti, ha commentato: “la quarta edizione di Accelerate in Israel offrirà ai nostri giovani imprenditori della filiera tecnologica una occasione di presentarsi all’eccezionale ecosistema dell’innovazione israeliano e di beneficiare di un’opportunità unica per sviluppare la propria idea d’impresa attraverso un serrato periodo di lavoro con imprenditori e investitori israeliani e internazionali”.

(Bet Magazine Mosaico, 22 maggio 2023)

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Arte e geopolitica tra passato presente e futuro

di Paola Bergamo *

I-TAL-YA , o Isola della Rugiada Divina, è il titolo di questo splendido bosco italico fatto di numeri e lettere tratte dall’alfabeto ebraico che magicamente e sapientemente si compongono, con sapore alchemico, lungo il percorso della Ghematria per mano del famoso artista veneziano Tobia Ravà.
  L’opera, di grande fascino, sottolinea l’importante contributo fisico, etico e filosofico che la Comunità Ebraica Italiana ha dato al Risorgimento e la stretta connessione e tra il pensiero e la logica dell’ideale Sionista ed il Risorgimento Italiano.
  Il bosco, se qui è simbolicamente espressione di memoria e quindi di storia, è pure inteso quale polmone della terra e perciò immagine rappresentativa di respiro, di vita, anche quella di nuova occasione di vita come fu la fondazione dello Stato di Israele.
  Quello di Ravà è, però, un bosco costruito dall’uomo: gli alberi hanno tutti la stessa distanza e tra la parte verde e quella rossa si apre una bianca distesa dove fulgida è la luce che invita ad un cammino futuro più pulito, più etico.
  Nel dipinto, nel quale un immaginario sottofondo ci riporta alle note del Nabucco di Verdi e alla logica dei valori sottesi alla nostra Costituzione , non mancano importanti cenni storici come i nomi di alcuni tra i più noti membri della Comunità Ebraica che presero parte attiva al nostro Risorgimento come Giacomo Bassi di Venezia, Abramo Alpron di Padova, Riccardo Luzzato di Udine, Angelo Donati di Padova, Eugenio Ravà di Reggio Emilia e altri ancora.
  Vi compaiono pure i nome dei Fratelli Rosselli ed Enzo Sereni e altre vittime della furia nazi-fascista.
  E’ quindi un’opera molto densa questo bosco dato in dono, proprio l’altro giorno a Venezia, all’Ambasciatore di Israele in Italia Sua Eccellenza Alon Bar intervenuto all’evento organizzato dall’Associazione Italia-Israele di Venezia e di Padova nonché dal Rotary Club Venezia e Mestre Torre per i 75 anni dalla fondazione dello Stato Israele. A quell’evento c’ero anch’io ed è stato non solo toccante ma interessante per più di un verso. Se è vero che abbiamo festeggiato un anniversario congiunto, c’è che Israele ha festeggiato la sua Fondazione mentre noi la nostra Costituzione che Israele non ha ancora.
  La serata è stata preziosa occasione di dialogo con l’Ambasciatore, molto disponibile a spiegare anche che cosa stia accadendo in Israele, quali siano i problemi di politica interna ed estera che poi si riflettono sugli equilibri del Mondo e la Pace tra le genti.
  In primo luogo l’Ambasciatore ha sottolineato che è in atto in Israele un acceso dibattito interno, un confronto duro ma positivo tra portatori di diverse istanze.
  Tutto avviene in modo democratico e anzi è proprio espressione di vitalità della democrazia stessa nel raffronto tra il movimento religioso da una parte, quello dei kibbutz dall’altra, tra gli assertori di uno stato completamente laico e chi guarda ad uno stato religioso. Si discute della propria cultura politica e della propria identità. Tutto questo viene osservato dagli altri Paesi d’Occidente anche preoccupati ma alla fine sarà evidente il carattere democratico di Israele e la partnership morale tra Israele e Occidente sarà preservata.
  Alon Bar ha portato ad esempio il movimento del Kibbutz che, se fa ancora parte del paese, tuttavia il suo ruolo ha subito cambiamenti radicali e da un Israele socialista, poi si è passati a una importante liberalizzazione che lo ha portato ad una svolta capitalista necessaria per sopravvivere.
  L’Ambasciatore ha anche confermato che con l’Italia c’è molto potenziale su tanti settori e materie quali l’energia (si pensi alla esportazione del Gas israeliano che può essere trasportato in Italia sia con gasdotto che allo stato liquido), l’acqua potendo condividere con l’Italia il proprio know-how in tema di risparmio e utilizzo delle fonti idriche, non ultima l’uso dei dissalatori e infine la sicurezza e difesa del Mediterraneo.
  Un’altra materia importante è la Cybersecurity e altri settori quali arte, cultura, il mondo dell’innovazione e dell’agricoltura.
  Si è pure parlato dei rapporti con la Turchia e gli altri Paesi dell’area. La principale preoccupazione è quella legata al nucleare iraniano e Alon Bar ha sottolineato la necessità di aumentare le sanzioni in modo da indurre l’Iran a mutare atteggiamento.
  Se l’Iran si arresta ad un arricchimento dell’uranio all’84% e dimostra di cooperare con la l’Aiea e se smetterà di usare droni nella regione e vendere armi alla Russia, allora le cose potrebbero cambiare.
  Quanto alla guerra in Ucraina, Alon Bar ha confermato la forte solidarietà di Israele al popolo ucraino ma il sostegno sarà fornito in modo da non mettere a repentaglio la sicurezza interna dello Stato e nel contempo senza che questo possa causare uno scontro diretto tra Israele e la Russia. La Russia è del resto presente in Siria e quindi restano aperte le linee di comunicazione con Mosca.
  Israele naturalmente supporta la comunità internazionale per un negoziato.
  Nota dolente resta quella della continua escalation di violenze con i Palestinesi e le ondate crescenti di terrorismo. Al momento le attuali leadership sia quella israeliana che palestinese appaiono non avere molti punti in comune per un negoziato e la prima preoccupazione è quindi stabilizzare la situazione. In questo senso l’Ambasciatore ha rilevato come serva dialogo, cooperazione per la sicurezza, migliorare la situazione economica e fiscale della Anp e migliorare anche l’accesso al lavoro per i palestinesi.
  Quanto ai rapporti con l’Europa Alon Bar, riferendosi a Borell, e ad alcune polemiche, ha sottolineato come Israele è abituata a volte a sentirsi criticare sulla questione palestinese ma questa non può essere centrale ai rapporti in essere tra Israele ed Europa in quanto ridurre tutto a questo sarebbe un errore di valutazione.
  Alon Bar ha anche confermato che Israele non è affatto isolata e anzi si sono tenuti importanti incontri tra giordani, palestinesi, egiziani e israeliani sia ad Aqaba che a Sharm El Sheikh.
  Alla domanda finale se Israele riuscirà ad avere una Costituzione, l’Ambasciatore Alon Bar, ha detto che, pur augurandosi che ciò prima o poi avvenga, ha anche aggiunto che se Israele è riuscito a vivere per 75 anni senza, potrà eventualmente continuare così quanto meno per altri 75 anni.
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* Presidente Centro Studi MB2

(Nuovo Giornale Nazionale, 23 maggio 2023)

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La Polonia critica Noa Kirel

Dopo le sue dichiarazioni all’Eurovision sulla sua famiglia uccisa nella Shoah

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Quando la Polonia dà a Israele 12 punti, dopo che quasi l’intera famiglia Kirel è stata assassinata nell’Olocausto, è una vittoria”, ha detto Kirel al Kan news di Israele subito dopo la competizione.
  Con questa frase pronunciata all’Eurovision 2023, la cantante israeliana Noa Kirel, che si è posizionata terza, ha suscitato il malumore nel mondo polacco, attento a minimizzare le responsabilità della Polonia nel massacro degli ebrei, suscitando molte critiche dei politici e le denunce dei media del Paese. “Ricevere 12 punti dalla Polonia (il massimo, ndr), dopo la storia della mia famiglia e del popolo di Israele nell’Olocausto, momenti del genere sono davvero una vittoria”, ha aggiunto in commenti simili al sito di notizie Ynet, ricordando che i membri della famiglia di suo padre furono uccisi ad Auschwitz.
  Come riporta il Times of Israel, in un lungo post sui social media del 20 maggio, il viceministro degli Esteri polacco Paweł Jabłoński ha quindi dichiarato che inviterà Kirel in Polonia “per capire perché pensa alla nostra patria in questo modo e per spiegare perché [i suoi commenti] sono dolorosi per noi”.
  L’incidente tocca una disputa di lunga data tra Israele e Polonia sugli sforzi in corso di Varsavia per ridurre al minimo la responsabilità polacca per la persecuzione e l’assassinio di massa di ebrei sul suo territorio durante l’Olocausto.
  Jabłoński ha detto che Kirel dovrebbe venire a “vedere con i suoi occhi i luoghi in cui la Germania nazista ha commesso crimini crudeli contro polacchi ed ebrei nel nostro paese”. Ha inoltre evidenziato i viaggi dei giovani israeliani in Polonia, affermando che hanno fornito agli israeliani un’immagine errata dell’Olocausto.
  I viaggi sono al centro di un accordo recentemente firmato tra Israele e Polonia per ripristinare relazioni diplomatiche a lungo tese, ma che è stato oggetto di critiche diffuse in Israele.
  L’accordo è un passo verso la normalizzazione dei rapporti con la Polonia, che fino a diversi anni fa era uno dei paesi più filo-israeliani dell’Unione europea. Le relazioni si sono deteriorate nel 2018, dopo che la Polonia ha approvato una legislazione che vietava di incolpare la nazione polacca per i crimini nazisti. L’allora ministro degli Esteri Yair Lapid ha definito la legge antisemita, scatenando una lite diplomatica.
  L’accordo vedrà i gruppi studenteschi israeliani visitare un elenco di siti consigliati dai polacchi che, secondo i critici, forniscono una visione distorta dell’Olocausto, ignorano la complicità polacca nell’Olocausto e intensificano gli sforzi dei polacchi per salvare gli ebrei.

(Bet Magazine Mosaico, 22 maggio 2023)

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Medio Oriente: il prossimo forum del Negev si svolgerà il 25 giugno in Marocco

Lo ha riferito il quotidiano israeliano “Hareetz”, secondo il quale "Israele e Stati Uniti mirano ad espandere il vertice".

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I ministri degli Esteri di Israele, Stati Uniti, Marocco, Egitto, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti, rispettivamente Eli Cohen, Antony Blinken, Nasser Bourita, Sameh Shouky, Abdullatif bin Rashid al Zayani e Abdullah bin Zayed al Nahyan, si incontreranno il 25 giugno in Marocco per il secondo incontro del Forum del Negev. Lo ha riferito il quotidiano israeliano “Hareetz”, citando alcuni funzionari, secondo i quali lo Stato ebraico e gli Stati Uniti “mirano ad espandere il forum prima del prossimo incontro”. Il Forum del Negev è stato istituito lo scorso anno durante il mandato di Yair Lapid come ministro degli Esteri e la prima riunione si è tenuta a marzo del 2022 nel kibbutz Sde Boker, situato al centro del deserto del Negev nel sud di Israele. Secondo le fonti citate dal quotidiano, il forum era già stato organizzato ma poi posticipato a causa delle tensioni nella regione e di un disaccordo tra Washington e Rabat circa la sede dell’incontro, dal momento che il Regno nordafricano avrebbe inizialmente proposto una città del Sahara occidentale.

(Nova News, 22 maggio 2023)

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Guerra Gaza: ecco perché l’operazione Shield and Arrow ha avuto successo

di Yoav Zitun

Nell’ambito delle operazioni dell’IDF, l’operazione “Shield and Arrow” può essere definita come un’esercitazione di guerra concisa e strategica, che serve come versione condensata dell’esercitazione originariamente prevista per questo mese.
  Come i combattimenti del 2021, la recente esercitazione ha rappresentato un’opportunità per testare e perfezionare diverse capacità che in precedenza avevano visto un uso limitato. In particolare, ha mostrato l’uso efficace di aerei avanzati come il formidabile F-35, oltre a favorire la comunicazione diretta tra un giovane spotter e un abile pilota di caccia, un attimo prima di lanciare un attacco.
  Con una durata di 116 ore, “Shield and Arrow” è iniziato con un attacco meticolosamente coordinato che ha eliminato rapidamente tre membri di alto livello della Jihad islamica, la cui morte è avvenuta a pochi istanti di distanza.
  Nonostante le dimensioni relativamente ridotte, l’operazione si è rivelata un successo notevole, in gran parte attribuito all’approccio proattivo di Israele, che ha consentito una preparazione approfondita e ha ridotto al minimo le misure reazionarie.
  Al di là del colpo iniziale inferto alla Jihad islamica nelle prime 35 ore, l’IDF ha introdotto nuove capacità che hanno migliorato l’efficacia della campagna, in particolare grazie al coordinamento tra le forze terrestri e aeree che si è svolto come una macchina ben oliata.
  Questa integrazione ha comportato l’impiego di velivoli stealth all’avanguardia, tipicamente riservati a obiettivi specializzati nei conflitti settentrionali o a missioni clandestine condotte oltre i confini nazionali.
  Utilizzando tecnologie avanzate di rilevamento e tracciamento integrate in questi velivoli, il Comando Sud ha creato efficientemente circuiti di risposta rapida. L’ampio arsenale di bombe e missili distrutto durante “Shield and Arrow” è stato possibili grazie al successo dell’identificazione degli obiettivi da parte degli aerei stealth che si libravano sopra la Striscia di Gaza.
  All’estremità di ricezione, sia le forze aeree che quelle di terra, comprese le unità specializzate, erano pronte ad attaccare gli obiettivi designati, non diversamente da un taxi fermo all’angolo della strada, in attesa dell’annuncio di una tariffa vicina. In questo senso, il processo stava garantendo un approccio multiforme agli attacchi di precisione.
  Per ridurre al minimo i tempi di reazione di fronte all’individuazione del nemico, l’ufficiale dell’Aeronautica responsabile della collaborazione con le forze di terra ha spiegato l’utilizzo esaustivo di una miriade di risorse, tra cui aerei di intelligence con equipaggio dotati di capacità di esplorazione.
  L’obiettivo era quello di massimizzare l’efficienza e accelerare l’esecuzione degli attacchi, senza lasciare nulla di intentato nel perseguimento di operazioni rapide ed efficaci.
  Durante l’operazione si è verificata una notevole trasformazione, che ha facilitato attacchi più rapidi per le forze coinvolte.
  A differenza dei round precedenti, caratterizzati da una politica rigida e uniforme per quanto riguarda l’uso della potenza di fuoco, in cui le richieste di modifica dovevano affrontare processi lunghi che ostacolavano l’efficacia, questa volta si è assistito a un approccio più dinamico e rapido.
  Gli aggiustamenti sono stati effettuati con maggiore frequenza, rispondendo direttamente all’evoluzione della situazione sul terreno e alle esigenze espresse dalle forze, consentendo risposte più tempestive e personalizzate.
  Verso le 22:00 della notte iniziale dell’operazione, un elicottero da combattimento Seraf è emerso nel cielo sopra la Striscia di Gaza centrale. Ha attraversato la regione occidentale del Negev, avvicinandosi alla città di Khan Yunis dalla direzione orientale.
  Il suono distinto delle pale del rotore Apache risuonò all’avamposto di Kissuf, dove il soldato M, da poco arruolato come spotter, iniziò il suo compito.
  All’interno dell’elicottero, l’equipaggio si preparò a lanciare un missile contro la postazione della Jihad islamica. Tuttavia, i loro piani sono stati fermati dalla presenza di nuvole basse che hanno oscurato la loro visibilità.
  L’obiettivo, una struttura senza pretese e un po’ isolata, richiedeva un’accurata valutazione visiva per garantire l’assenza di civili non coinvolti nelle immediate vicinanze.
  Nel giro di meno di un minuto, l’esperto pilota si è messo in comunicazione diretta con gli ufficiali della Divisione Gaza, stabilendo prontamente un collegamento con M attraverso la rete di comunicazione.
  Il soldato M ha assunto il ruolo cruciale di supervisionare la raccolta e le azioni successive all’interno del settore designato dell’elicottero, che aveva monitorato diligentemente nelle ultime settimane.
  Comunicando direttamente con il pilota, abbiamo stabilito un linguaggio condiviso, utilizzando punti di riferimento tangibili all’interno dell’area”, ha spiegato. “Mi sono informata sulle sue osservazioni, discernendo sia gli elementi che aveva percepito sia quelli che poteva aver tralasciato, dato che stavamo osservando aree identiche da punti di osservazione diversi.
  “Per garantire l’assoluta accuratezza, ho deliberatamente posto una domanda fuorviante su un luogo separato, assicurandomi così che fossimo assolutamente sicuri delle nostre osservazioni comuni”, ha detto.

(Rights Reporter, 22 maggio 2023)

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Gravina riceve i ragazzi del Roma Club Gerusalemme: “Il vostro sorriso è un manifesto per un futuro di pace”

I giovani calciatori di fede musulmana, ebraica e cristiana hanno incontrato questa mattina nella sala ‘Paolo Rossi’ il presidente federale ricevendo in dono una maglia e un gagliardetto della Nazionale.

Gravina riceve i ragazzi del Roma Club Gerusalemme: “Il vostro sorriso è un manifesto per un futuro di pace” L’entusiasmo contagioso dei ragazzi del Roma Club Gerusalemme ha riscaldato questa mattina la sala Paolo Rossi della FIGC in occasione dell’incontro con il presidente federale Gabriele Gravina. Una visita diventata ormai un appuntamento fisso, con i giovani calciatori di fede musulmana, ebraica e cristiana accompagnati dal vice presidente della società Samuele Giannetti. Presenti all’incontro anche l’ambasciatore di Israele in Italia Alon Bar e Smadar Shapira, consigliere degli affari pubblici all’Ambasciata.
  “Siamo oggi nella Sala Paolo Rossi – ha dichiarato Gravina rivolgendosi ai ragazzi del Roma Club Gerusalemme - e il sorriso di Paolo insieme ai vostri sorrisi è un manifesto straordinario per un futuro di pace, un futuro gioioso. Per questo ragazzi giocate, divertitevi e cercate sempre di volervi bene. Noi crediamo in un rapporto di grande fratellanza, che mette insieme tutte le religioni possibili, ed è molto bello che il calcio riesca a testimoniare questo momento di inclusione”.
  I ragazzi, che hanno ricevuto in regalo una maglia e un gagliardetto della Nazionale, hanno donato al presidente federale 10 nuovi alberi piantati a suo nome in Israele ‘perché chi pianta un albero pianta una speranza’.

(FIGC, 22 maggio 2023)

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Ebrei a Porto, ieri e oggi

di Sarah Tagliacozzo

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La comunità ebraica di Porto è oggi una piccola ma speciale realtà del Portogallo che quest’anno compie 100 anni. Presenti sul territorio forse già da millenni, nel 1496 durante il regno di Emanuele I, gli ebrei di Porto furono cacciati o costretti a convertirsi al cattolicesimo. Le tracce della presenza ebraica a Porto furono cancellate: sinagoghe, scuole, iscrizioni, testi religiosi, documenti, oggetti ebraici furono distrutti e anche la parola judeu scomparve. I libri della comunità ebraica portoghese, una delle più istruite dell’epoca, furono confiscati, distrutti o venduti.
  Tra il 1542 ed il 1544 fu operativo a Porto il Tribunale dell’Inquisizione. Un centinaio di cristiani furono accusati di continuare a rispettare usanze ebraiche: alcuni tra gli accusati, ad esempio, non mangiavano maiale, alcuni pesci, celebravano Pesach. Fino al XVI secolo molti cristiani conoscevano le proprie origini ebraiche e coloro che riuscivano ad ottenere il permesso dalla corona per compiere il pellegrinaggio fino a Roma talvolta ne approfittarono per raggiungere terre lontane dal Portogallo abbandonando anche il cristianesimo. Solo dopo la fine dell’Inquisizione alcuni ebrei sefarditi tornarono in Portogallo, dove nacquero la comunità ebraica (più grande) di Lisbona ed una (meno numerosa) a Porto. Qui gli ebrei pregavano nelle case, avevano forse una sinagoga ma non un cimitero.
  Alla fine del XIX, secolo gli ebrei a Porto erano quasi tutti ashkenaziti di origine tedesca. Negli anni Dieci del Novecento arrivarono a Porto numerosi ebrei dalla Russia, Polonia, Ucraina che allargarono la comunità ebraica, che comprendeva circa 30 famiglie ebraiche di mercanti. La scarsità di informazioni relative a quegli anni è dovuta soprattutto della mancanza di un’organizzazione comunitaria.
  Nel 1921 arrivò a Porto il capitano Arthur Carlos de Barros Basto. Il capitano Basto si era convertito all’ebraismo nel 1920 ed era sposato con Lea Azancot, figlia di un ebreo marocchino, anche lei convertitasi all’ebraismo a Lisbona. Due anni dopo il suo arrivo a Porto, nel 1923, il capitano Barros Basto, insieme a 17 ebrei di Porto, fondò la Comunità ebraica di Porto. Per sviluppare la comunità locale, il capitano elaborò un progetto di conversione all’ebraismo dei marrani avvalendosi dell’aiuto della comunità sefadita di Londra. Migliaia di marrani si convertirono all’ebraismo. A Porto nacquero un giornale ebraico locale, una scuola e nel 1929 iniziò la costruzione della sinagoga Ha-Lapid. Accusato falsamente e anonimamente di gravi reati che rovinarono la sua reputazione, il capitano Barros Bastos è oggi considerato al centro di un caso “Dreyfuss portoghese”.
  Durante la seconda guerra mondiale, grazie alla neutralità del Portogallo, Porto divenne un luogo importante per gli ebrei europei in fuga dalla barbarie nazista, soprattutto dal Belgio, dalla Francia e dal Lussemburgo. Molti dei rifugiati desideravano raggiungere la Palestina, gli Stati Uniti o il Sudamerica. Anche se la comunità locale ha registrato solo 416 rifugiati, secondo Hugo Vaz, curatore del Museo della Shoah di Porto, questi erano probabilmente molti di più, dal momento che il numero noto si riferisce solo ai rifugiati che al loro arrivo a Porto si sono rivolti alla locale comunità ebraica. Un fatto poco noto è che molti degli ebrei che riuscirono a raggiungere Porto provenivano da Bordeaux, dove il console portoghese Aristides de Sousa Mendes rilasciò molti visti per il Portogallo, salvando così la vita a decine di persone.
  Oggi la comunità ebraica di Porto conta circa 1000 iscritti, un numero in crescita grazie a numerosi studenti di religione ebraica che partecipano alla vita religiosa, culturale e sociale della comunità e soprattutto anche grazie alla legge del 2015 che consente ai discendenti degli ebrei sefarditi espulsi dal Portogallo durante l’Inquisizione di richiedere la cittadinanza. La gestione delle domande per la cittadinanza è stata recentemente oggetto di investigazioni e di sospette irregolarità infondate. A Porto si trova anche una splendida sinagoga, dove di Shabbat pregano decine di ebrei che dopo la funzione pranzano allegramente nell’edificio. Oltre alla sinagoga, a Porto c’è anche un mikve, definito “il più grande del mondo”, un museo ebraico ed un museo della Shoah, ristoranti kasher. In occasione del centenario dalla nascita della nuova comunità ebraica, Porto è stata la sede scelta dalla European Jewish Association per riunire leader di comunità ebraiche europee per guardare al futuro ispirandosi anche “al nuovo Rinascimento” di Porto.

(Shalom, 22 maggio 2023)

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Antichi coperchi di bare egizie esaminati con la TAC in Israele

L’Israel Museum in Israele collabora con il Centro Medico Shaare Zedek per sottoporre a TAC i coperchi di una bara egizia di 2.000 anni fa; l’esame svela dettagli intricati e rivela la maestria degli antichi artigiani, fornendo preziose indicazioni per la ricerca in corso.

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In un’operazione meticolosamente pianificata in Israele che ha richiesto cinque mesi di lavoro, venerdì scorso due coperchi di bare dell’antico Egitto risalenti a 2.000 anni fa sono stati trasferiti dall’Israel Museum di Gerusalemme per essere sottoposti a una TAC. Parte della stimata collezione egizia del museo, questi intricati coperchi di bara intagliati in legno di sicomoro sono stati sottoposti a un esame presso il Centro Medico Shaare Zedek di Gerusalemme per svelare le tecniche impiegate dagli artigiani durante la loro creazione migliaia di anni fa. La collaborazione tra il museo e l’ospedale potrebbe costituire un precedente per la fusione di manufatti storici con tecnologie mediche all’avanguardia per comprendere meglio il passato.
  La TAC (tomografia computerizzata) utilizza una serie di raggi X presi da diverse angolazioni per creare immagini trasversali di ossa, organi e vasi sanguigni. Di solito viene utilizzata per diagnosticare alcuni tipi di cancro, malattie cardiache, coaguli di sangue, ossa rotte, disturbi intestinali e spinali e ossa rotte, tra le altre cose.
  “Attraverso la scansione, siamo stati in grado di identificare le cavità nel legno che erano state riempite di gesso come parte della preparazione per la decorazione delle bare, così come le sezioni che erano state interamente colate dal gesso invece di essere direttamente scolpite nel legno”, ha detto Nir Or Lev, curatore dell’archeologia egizia dell’Israel Museum.
  “L’esame ha fatto luce sulla maestria degli antichi artigiani responsabili della creazione di questi coperchi di bara, contribuendo in modo significativo alle nostre ricerche in corso”. Il primo coperchio della bara, appartenente a un cantante cerimoniale di nome Lal Amun-Ra, risale al 950 a.C. circa. Sul coperchio sono incise le parole “Jed-Mot”, che rappresentano il nome del defunto, e una benedizione. Il secondo coperchio della bara, risalente al periodo tra il VII e il IV secolo a.C., apparteneva a un nobile egiziano di nome Petah-Hotep. “Non capita tutti i giorni di assistere alla convergenza tra storia gloriosa e progressi tecnologici in campo medico”, ha dichiarato Shlomi Hazan, capo radiologo del dipartimento di imaging dello Shaare Zedek.
  “Le scansioni ad alta risoluzione ci hanno permesso di distinguere tra vari materiali, come il legno, l’intonaco e le intercapedini. Inoltre, le scansioni trasversali hanno svelato gli anelli degli alberi e sono state generate ricostruzioni tridimensionali per aiutare il team di ricerca ad analizzare la composizione dei diversi materiali”, ha detto Hazan.

(Israele360, 22 maggio 2023)

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La saggezza che viene da Dio

PROVERBI 2

  1. Figlio mio, se ricevi le mie parole e serbi con cura i miei comandamenti,
  2. prestando orecchio alla saggezza e inclinando il cuore all'intelligenza;
  3. sì, se chiami il discernimento e rivolgi la tua voce all'intelligenza,
  4. se la cerchi come l'argento e ti dai a scavarla come un tesoro,
  5. allora comprenderai il timore del Signore e troverai la scienza di Dio.
  6. Il Signore infatti dà la saggezza; dalla sua bocca provengono la scienza e l'intelligenza.
  7. Egli tiene in serbo per gli uomini retti un aiuto potente, uno scudo per quelli che camminano nell'integrità,
  8. allo scopo di proteggere i sentieri della giustizia e di custodire la via dei suoi fedeli.
  9. Allora comprenderai la giustizia, l'equità, la rettitudine, tutte le vie del bene.
  10. Perché la saggezza ti entrerà nel cuore, la scienza sarà la delizia dell'anima tua,
  11. la riflessione veglierà su di te, l'intelligenza ti proteggerà;
  12. essa ti scamperà così dalla via malvagia, dalla gente che parla di cose perverse,
  13. da quelli che lasciano i sentieri della rettitudine per camminare nelle vie delle tenebre,
  14. che godono a fare il male e si compiacciono delle perversità del malvagio,
  15. i cui sentieri sono contorti e percorrono vie tortuose.
  16. Ti salverà dalla donna adultera, dalla infedele che usa parole seducenti,
  17. che ha abbandonato il compagno della sua gioventù e ha dimenticato il patto del suo Dio.
  18. Infatti la sua casa pende verso la morte, e i suoi sentieri conducono ai defunti.
  19. Nessuno di quelli che vanno da lei ne ritorna, nessuno riprende i sentieri della vita.
  20. Così camminerai per la via dei buoni e rimarrai nei sentieri dei giusti.
  21. Gli uomini retti infatti abiteranno la terra, quelli che sono integri vi rimarranno;
  22. ma gli empi saranno sterminati dalla terra, gli sleali ne saranno estirpati.
    PREDICAZIONE

Marcello Cicchese
aprile 2009




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Innovazione: le prospettive a lungo termine delle collaborazioni Marocco-Israele

Analizzate dal CEO di Start-Up Nation Central

Avi Hasson, CEO di Start-Up Nation Central, ha oltre 30 anni di esperienza come leader dell’innovazione sia nel settore privato che in quello pubblico. Prima di entrare a far parte di SNC, ha lavorato come Chief Scientist presso il Ministero dell’Economia e dell’Industria di Israele, nonché presidente fondatore dell’Autorità per l’innovazione israeliana. Ha inoltre lavorato per più di dieci anni come investitore in società di venture capital, individuando e supportando startup promettenti. Ha conseguito una laurea in economia e studi mediorientali, nonché un MBA, entrambi presso l’Università di Tel Aviv.
  CEO di Start-Up Nation Central ed esperto di innovazione di fama internazionale, sottolinea Avi Hasson, in questa intervista a Il 360, l’importanza dell’innovazione per rafforzare le relazioni tra Israele e Marocco. Evidenzia le opportunità di collaborazione in settori come la gestione dell’acqua, discute le sfide da superare e incoraggia gli imprenditori di entrambi i paesi a impegnarsi in partenariati reciprocamente vantaggiosi per affrontare sfide comuni.

- Il 360: Quali settori hanno il maggior potenziale di collaborazione tra Israele e Marocco?
  Avi Hasson: Molti i settori da considerare, soprattutto quelli di interesse comune. Ad esempio, la gestione dell’acqua. Entrambi i paesi hanno bisogno di acqua e Israele ha una grande esperienza nella desalinizzazione, nel riciclaggio e nella gestione di questa risorsa. Questa competenza e questa tecnologia sono essenziali per creare collaborazioni di successo.

- In che modo Israele e Marocco possono sfruttare i loro punti di forza nell’innovazione per partnership reciprocamente vantaggiose?
  Sono convinto che la collaborazione sia fondamentale nel campo dell’innovazione, perché non c’è niente di più importante che lavorare insieme. Il nostro obiettivo è identificare i veri punti di forza e le capacità del Marocco, come la sua forza lavoro qualificata, le sue opportunità, la sua posizione strategica come porta d’ingresso per l’Africa e il suo collegamento con l’Europa, nonché solo ciò che Israele può contribuire in termini di innovazione, conoscenza e abilità. Unendo i nostri sforzi, non solo potremmo risolvere le nostre sfide, ma anche puntare al mercato globale.

- Quali sono le sfide da superare in questo senso?
  Dopo il ripristino del nostro rapporto attraverso gli Accordi di Abramo e altre iniziative più ampie, stiamo iniziando un processo di reciproca riscoperta.

- Leggi anche: Le potenzialità di un accordo di libero scambio tra Marocco e Israele decifrate dal vicesindaco di Gerusalemme
  Per questo, è essenziale colmare le differenze culturali, soprattutto nel campo degli affari. Imparare le capacità di ciascuna parte e consentire agli operatori di visitare ed esplorare le esigenze e le opportunità per conto proprio sono fondamentali. Più persone lavorano insieme, più successo creeremo e più potremo sviluppare questa opportunità.

- Che ruolo possono svolgere i partenariati pubblico-privato in questo contesto?
  Il ruolo del settore pubblico e privato è fondamentale. I partenariati pubblico-privato (PPP) sono di grande importanza, ma quando si tratta di accordi e relazioni, i leader hanno già fatto la loro parte. I governi hanno espresso la volontà di lavorare insieme e promuovere lo sviluppo. Ora tocca al settore privato, alle persone che conoscono le opportunità, impegnarsi e realizzare queste relazioni.
  È quindi fondamentale una proficua collaborazione tra i decisori politici, che stabiliscano le strade da percorrere, lancino un messaggio chiaro e creino piattaforme come accordi di libero scambio e altri tipi di incentivi. Poi è il turno di imprenditori, ricercatori e innovatori di individuare opportunità specifiche per realizzare tutti questi impegni.

- In che modo imprenditori e startup di entrambi i paesi possono collaborare per trovare soluzioni innovative a sfide comuni?
  Abbiamo davanti a noi un’opportunità eccezionale. Gli accordi siglati, i rapporti instaurati e le complementarità esistenti fanno di questo rapporto un partenariato di altissimo potenziale. Ecco perché stiamo investendo molto per riunire queste comunità. La generazione più giovane è particolarmente intraprendente. Comprende appieno l’importanza della collaborazione internazionale e affronta le stesse sfide.

(dayFRitalian, 20 maggio 2023)

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«Dissalatori e non solo, Israele mostrerà al Veneto come risparmiare l'acqua»

di Angela Pederiva

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Due giorni a Venezia per Alon Bar . L'ambasciatore d'Israele in Italia giovedì ha visitato il padiglione nazionale della Biennale Architettura e ieri è stato ricevuto dal sindaco Luigi Brugnaro, ma le sue relazioni con il Veneto non finiranno certo qui. «Ho incontrato il presidente Luca Zaia, il quale mi ha espresso il desiderio di conoscere il modello israeliano di gestione dell'acqua: per questo organizzeremo una visita dedicata alle nostre tecnologie e alla nostra esperienza, il potenziale di collaborazione è molto alto», annuncia il diplomatico al Gazzettino, durante la conversazione con il direttore Roberto Papetti.

- Lo strumento israeliano dei dissalatori può essere un modello per la realtà veneta nel contrasto alla siccità?
  «Le sfide nei due territori non coincidono al 100%, ma le nostre buone prassi possono essere molto rilevanti. La desalinizzazione è una soluzione, però ce ne sono anche altre: prevenire, rilevare e risolvere le perdite della risorsa idrica; riciclare l'acqua, come facciamo noi per il 90% di quella che viene utilizzata in agricoltura. Su tutto questo Israele può offrire sia l'esperienza che la tecnologia per incrementare la collaborazione con il Veneto e con l'Italia, che penso poggi su tre pilastri principali di comune interesse».

- Quali?
  «Il primo è appunto l'acqua. Il secondo è l'energia, intesa come fonti alternative, ma anche come riserve di gas, con la capacità di portarlo dal Mediterraneo orientale e da Israele all'Italia. Il terzo è la sicurezza, nel senso di cyber-security, così come di difesa del Mediterraneo e di protezione delle infrastrutture civili, inclusa la tecnologia spaziale».

- Proprio in questi giorni è partito il programma "Accelerate in Israel", mirato a facilitare l'avvio di 12 start-up italiane. Che ecosistema troveranno?
  «Un insieme di comunità dedicate alla finanza, all'industria, allo sviluppo, alla ricerca, in cui le persone lavorano insieme. L'aspetto importante è che una tecnologia pensata per un settore, dall'ambiente alla medicina, può essere interessante anche per un altro. Penso che i nostri due Paesi possano lavorare bene insieme, perché parliamo la stessa lingua economica e culturale in Israele e in Italia».

- Come sono le relazioni fra i governi di Benjamin Netanyahu e Giorgia Meloni?
  «Ne ho parlato anche a un evento organizzato a Mestre dall'associazione Italia Israele e dal Rotary Club. I rapporti sono molto buoni, il ministro Antonio Tajani prepara una visita della premier Meloni al primo ministro Netanyahu forse per l'autunno».

- Quanto vi preoccupano i rigurgiti di antisemitismo?
  «Stiamo seguendo la lotta contro l'antisemitismo in Italia. Siamo incoraggiati dal fatto che il governo Meloni ha nominato un nuovo coordinatore per il ruolo che era stato istituito da un precedente esecutivo: altra persona (il prefetto Giuseppe Pecoraro, ndr.), ma stessa politica. Lavoriamo in maniera molto positiva con la comunità ebraica, con la classe dirigente e con la società civile. Come dappertutto, vediamo anche in Italia un crescente antisemitismo: nei social network, e a volte in certi contesti, si demonizzano gli ebrei e Israele. Ma c'è pure una crescente consapevolezza nella società italiana dell'esigenza di combattere questo fenomeno».

- In tema di combattimenti, qual è la posizione di Israele sulla guerra tra Russia e Ucraina? All'inizio c'è stata solo l'assistenza umanitaria agli ucraini, ma di recente è stato garantito a Kiev pure l'invio dei sistemi anti-drone.
  «C'è una forte solidarietà in Israele verso il popolo ucraino. Tuttavia il nostro sostegno all'Ucraina verrà offerto in un modo che non causi uno scontro diretto tra Israele e Russia. Dobbiamo tenere in considerazione il fatto che la Russia è presente in Siria, ai nostri confini, così come le importanti relazioni con le comunità ebraiche in Russia. Perciò manteniamo le linee di comunicazione con Mosca, ma supportiamo pienamente lo sforzo della comunità internazionale nel creare le condizioni per portarla al tavolo del negoziato. Faremo del nostro meglio per aiutare l'Ucraina, sempre che non ci siano rischi per la sicurezza interna di Israele».

- A proposito di affari interni, qual è il livello della tensione fra israeliani e palestinesi?
  
«C'è preoccupazione. Purtroppo registriamo una forte attività dei terroristi e di coloro che supportano il terrorismo nei campi palestinesi. La possibilità di avere un confronto positivo è limitata, a causa dell'influenza di Hamas a Gaza e della jihad islamica, che tentano di trascinarci in uno scontro totale con i palestinesi. Invece sarebbe importante poter rinnovare il dialogo con la dirigenza palestinese».

- Nelle prossime ore riprenderanno le proteste contro la riforma della giustizia voluta da Netanyahu. Qual è il clima?
  
«Il dibattito in Israele è serio e importante, perché riguarda l'equilibrio fra le diverse istituzioni democratiche. Vediamo forti manifestazioni, con centinaia di migliaia di persone nelle strade, pro e contro la riforma: ormai sono venti settimane, ma senza episodi di violenza, il che dimostra la forza della democrazia israeliana. Comunque il Governo ha sospeso l'iter della legge per concedere tempo al dialogo, sotto l'egida del presidente Isaac Herzog, fra la maggioranza e l'opposizione. Naturalmente la mia speranza è che si arrivi a un livello più alto di intesa tra i partiti, in modo che la riforma sia più condivisa di quella che era stata proposta all'inizio».

- Ultima domanda: le è piaciuto il padiglione israeliano della Biennale, dedicato al passaggio dall'analogico al digitale?
  
«Molto. Ho trovato davvero interessante la riflessione sugli aspetti architettonici della transizione nella comunicazione, come ad esempio i luoghi in cui stoccare i dati: strutture inaccessibili dall'esterno, che devono relazionarsi con gli altri edifici. Per noi la partecipazione alla Biennale è una fantastica opportunità per presentare le tecnologie, le idee e la cultura israeliane alla società di Venezia e dell'Italia, ma anche alla comunità internazionale».

(Il Gazzettino, 20 maggio 2023)

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La Lega Araba riesuma la questione palestinese

La questione palestinese ma anche il programma nucleare saudita sul piatto della normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita.

Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman parlando al vertice della Lega Araba ha ribadito il suo impegno per la creazione di uno Stato palestinese con Gerusalemme Est come capitale.
  “Non esiteremo a fornire assistenza al popolo palestinese per il recupero delle sue terre, il ripristino dei suoi legittimi diritti e la creazione di uno Stato indipendente sui confini del 1967 con Gerusalemme Est come capitale“, ha dichiarato bin Salman nel suo discorso alla conferenza di Gedda, dove una notevole attenzione è stata rivolta al ritorno del presidente siriano Bashar Assad al forum dopo 12 anni di sospensione.
  “La questione palestinese era e rimane la questione centrale per i Paesi arabi ed è in cima alle priorità del Regno“, ha aggiunto il leader saudita conosciuto anche come MBS.
  I commenti sono stati in gran parte quelli standard per la leadership di Riyadh, che da tempo insiste pubblicamente sul fatto che rimane impegnata nella causa palestinese e che normalizzerà i legami con Israele solo dopo aver raggiunto una soluzione a due Stati.
  Ciò non ha impedito all’amministrazione Biden di lavorare per trovare un accordo tra Gerusalemme e Riyad, tanto che all’inizio del mese il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan lo ha definito un “interesse per la sicurezza nazionale”.
  La settimana successiva Sullivan si è recato a Riyad, dove ha incontrato bin Salman e ha sollevato la questione. Sullivan è stato accompagnato dagli assistenti senior della Casa Bianca Brett McGurk e Amos Hochstein, che si sono poi recati a Gerusalemme per informare il Primo Ministro Benjamin Netanyahu sullo stato delle cose.
  Anche il direttore generale del Ministero degli Esteri israeliano Ronen Levy ha parlato con funzionari dell’amministrazione di un potenziale accordo saudita durante il suo viaggio a Washington all’inizio della settimana.
  Mentre a Gerusalemme si respira un rinnovato ottimismo, i vicini arabi di Israele hanno inviato altri segnali, esprimendo un forte malcontento nei confronti del nuovo governo di Netanyahu.
  La prevista visita di Netanyahu negli Emirati Arabi Uniti è stata sospesa e il vertice ministeriale del Forum del Negev, previsto per l’inizio della primavera, non è ancora stato fissato dal Marocco.
  Gli Stati Uniti hanno persino raccomandato a Israele di cambiare il nome del Forum del Negev in modo che sia meno specificamente identificato con lo Stato ebraico, in seguito all’aumento del disagio nei confronti di Gerusalemme negli ultimi mesi.
  Un diplomatico di alto livello che opera in Medio Oriente ha dichiarato il mese scorso al Times of Israel che il governo Netanyahu ha reso “molto difficile” il mantenimento degli Accordi di Abraham, per non parlare della loro estensione all’Arabia Saudita.
  Tuttavia, nei colloqui con i funzionari di Biden, l’Arabia Saudita è stata disposta a indicare il suo prezzo per la normalizzazione con Israele.
  L’alto diplomatico ha detto che Riyadh ha chiesto agli Stati Uniti di dare il via libera allo sviluppo di un programma nucleare civile in cambio della normalizzazione delle relazioni con Israele.
  Il programma nucleare civile è una delle numerose richieste che Riyadh ha presentato nei colloqui con l’amministrazione Biden nel corso dell’ultimo anno, ha detto il diplomatico, chiarendo però che un accordo di questo tipo rimane “molto lontano”.
  L’alto diplomatico ha affermato che, sebbene Washington sia interessata a mediare un accordo di normalizzazione, Riyadh non si sta affrettando in tal senso.
  Dato che l’amministrazione Biden teme che un programma nucleare saudita possa accelerare ulteriormente una corsa agli armamenti nucleari a livello regionale, Riyadh ha suggerito di svilupparlo in piena cooperazione con gli Stati Uniti e di accettare il monitoraggio e le ispezioni americane, ha detto il diplomatico, pur riconoscendo che Washington non è ancora convinta dell’idea.
  A complicare ulteriormente lo sforzo, l’Arabia Saudita sta anche condizionando un accordo di normalizzazione con Israele su una significativa espansione dei legami di difesa con gli Stati Uniti, compreso un sistema di garanzie per impedire alle future amministrazioni di ritirarsi dagli accordi sulle armi già firmati, ha detto il diplomatico.
  In particolare, il diplomatico ha rivelato che i funzionari sauditi non hanno sollevato una richiesta specifica relativa alla questione palestinese nei loro colloqui con gli Stati Uniti, come invece hanno fatto gli Emirati Arabi Uniti quando hanno condizionato la loro decisione di normalizzare i legami nel 2020 al fatto che Netanyahu accantonasse il suo piano di annessione di ampie parti della Cisgiordania.
  Il diplomatico ha ipotizzato che una richiesta relativa alla Palestina sarà probabilmente sollevata verso la fine dei negoziati.
  Al vertice di venerdì a Gedda erano presenti quasi tutti i leader arabi, compreso il presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas. Anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha partecipato, dopo aver ricevuto un invito a sorpresa.
  Abbas ha usato il suo discorso per esortare i Paesi arabi a unirsi agli sforzi di Ramallah per trascinare Israele davanti alla Corte penale internazionale per la sua condotta contro i palestinesi.
  “Israele viola gli accordi firmati e le risoluzioni delle Nazioni Unite e mantiene il suo progetto coloniale sionista, che si basa sulla continuazione dell’occupazione, della pulizia etnica e dell’apartheid“, ha accusato, aggiungendo che Gerusalemme ha continuato a mettere in atto “misure unilaterali” che rafforzano ulteriormente il conflitto in barba alla comunità internazionale.
  Il re di Giordania Abdullah ha usato toni simili a quelli di bin Salman, affermando che “la questione palestinese rimane al centro della nostra attenzione. Non possiamo rinunciare a perseguire una pace giusta e globale, che non sarà raggiunta se il popolo palestinese non sarà in grado di stabilire uno Stato indipendente entro i confini precedenti al 1967, con Gerusalemme Est come capitale“.
  Ha criticato la costruzione di insediamenti israeliani, la demolizione di case palestinesi e l’espulsione dei palestinesi dalle loro terre, insistendo sul fatto che l’alternativa alla soluzione dei due Stati – a cui Israele si oppone – è un “continuo stato di conflitto”.
  Il presidente egiziano Abdel-Fattah el-Sissi, che spesso si presenta come un’ala un po’ più moderata di Abdullah nei confronti di Israele, ha detto nel suo discorso che il Cairo “ho seguito con dispiacere e dolore l’irresponsabile escalation di Israele nei territori e ciò che è accaduto a Gaza“. Il riferimento era chiaramente al conflitto di cinque giorni della scorsa settimana, che si è concluso dopo che l’Egitto ha mediato un cessate il fuoco tra Israele e la Jihad islamica palestinese.
  “Chiediamo a Israele di porre fine all’occupazione e di consentire la creazione di uno Stato palestinese sui confini precedenti al 1967 con Gerusalemme Est come capitale“, ha dichiarato Sissi.
  Anche il segretario generale della Lega Araba Aboul Gheit ha criticato Israele nel suo discorso. “Le azioni sconsiderate del governo israeliano hanno portato a una scioccante escalation del livello di violenza e di uccisioni negli ultimi mesi. Rendiamo omaggio alla fermezza dei palestinesi. Le politiche e le azioni provocatorie del governo [israeliano] sono estreme e la comunità internazionale deve dare una risposta decisiva“.
  Anche il siriano Assad ha sollevato la questione, affermando che “il vertice della Lega Araba rappresenta un’opportunità storica per affrontare i problemi regionali senza interferenze occidentali e straniere“, in particolare i “crimini dell’entità sionista contro il popolo palestinese

(Rights Reporter, 20 maggio 2023)

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City Transformer CT-2, l’auto elettrica mutaforma che arriva da Israele

di Barbara Crimaudo

Sorpresa: arriva City Transformer CT-2, l’auto elettrica mutaforma. Non solo, è già considerata la microcar dei Guinness, perché?
Allora: è più stretta di una Smart fortwo, più veloce di una Citroën Ami e rispetto alla Renault Twizy ci si ripara meglio.

• City Transformer CT-2, la microcar mutaforma è una novità sul mercato
  Compatta, due posti secchi, la microcar è pronta per entrare in produzione e per calcare la scena del mercato. Progettata da una start up israeliana, City Transformer, cui iniziali danno il nome al modello, annuncia che nella veste definitiva la vettura si chiamerà CT-2.

• Dal progetto alla produzione
  La microcar nasce a Tel Aviv. La prima CT-1 l’abbiamo sicuramente incrociata in alcune rassegne qualche anno fa.
Ora, l’azienda coglie la sfida della mobilità per scendere in campo. Non solo, la microcar punta a essere un’ottima alleata nel traffico cittadino.

• City Transformer in numeri
   City Transformer vanta anche misure da record. È lunga 2,5 metri dal passo di 1,8 e riesce a variare la larghezza della piattaforma su cui poggia l’abitacolo.
Quindi il driver sceglie fra la modalità City di un metro. Questa è indicata per i parcheggi o i passaggi stretti nel traffico.
Mentre la modalità Performance da 1,4 metri. Dove la maggiore ampiezza delle carreggiate regala più stabilità e confort alle velocità maggiori.
La microcar City Transformer si spinge a una velocità massima di 45 km/h in modalità City. Sfiora i 90 km/h in quella Performance. Entrambi i modelli rientrano nella categoria dei quadricicli pesanti, possono essere guidati con la patente B1, da 16 anni di età o superiore.

• City Transforemer CT-2 come sarà
   Le prime microcar in circolazione sono ancora in fase di test. Per la City Transformer CT-2, cui ingegnerizzazione, pre-produzione e realizzazione di muletti l’azienda israeliana ha selezionato la Cecomp di Torino.
Tutto questo proprio in vista della fase iniziale di assemblaggio pianificato per il 2025. Alcune modifiche sono apportate al pianale, cui geometria varia come spiegato sopra.
Quindi il modello definitivo non ha le porte a forbice. Queste sono sostituite dalle tradizionali a battente.

• La microcar sportiva ed elegante
  La “Gen Z” non si lascia scappare le novità automotive, dove la tecnologia ben si accorda con la mobilità. City Transformer CT-2 è un concentrato di sportività ed eleganza. Le sedute sono avvolgenti in stile sportivo. Il costruttore assicura che nella produzione nulla è lasciato al caso.
Soprattutto, Cuty Transformer strizza l’occhio alla tecnologia. È presente l’identificazione fra la vettura e l’utilizzatore. O meglio tra auto e lo smartphone del driver, grazie al software CT-Connect sviluppato in collaborazione con la Bosch e installato in produzione.

• City Transformer la microcar della condivisione
   Altra caratteristica. City Transformer vuole essere un veicolo “ready to share”. Quindi faciliterà l’utilizzo a partire dall’eventuale prenotazione. Fino alla comunicazione attraverso il tablet di bordo che integra parte della strumentazione, alla ricarica delle batterie.
L’azienda israeliana non ha ancora confermato le caratteristiche degli accumulatori destinati ad alimentare i due motori da 7,5 kW ciascuno in corrispondenza delle ruote posteriori. Però si limita a dichiarare l’autonomia massima di 180 km e un tempo di ricarica in corrente continua inferiore a un’ora.

(techprincess, 20 maggio 2023)

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La “normalità” di Israele

di Daniele Coppin

Le notizie provenienti dal Medio Oriente negli ultimi giorni parlano dei missili lanciati da Gaza verso Israele e delle eliminazioni dei dirigenti del Jihad islamico da parte delle forze di difesa israeliane con, sullo sfondo, la minaccia di Hezbollah, longa manus dell’Iran nella regione, che dal Libano tiene in allerta l’esercito israeliano. 
  Notizie gravi che spesso vengono ascoltate con interesse e, allo stesso tempo, con la tranquillità di chi non vive quella realtà, a meno che non si abbiano parenti e amici che vivono da quelle parti o che non si provi, in quanto ebrei, un particolare legame con quei luoghi, con Eretz Israel, la “Terra di Israele”. 
  Proprio in virtù di questo legame che rende molti ebrei della diaspora solidali e attenti alle sorti dei propri fratelli di Israele, sabato scorso sono rimasto colpito dall’incontro con Moshè e Aviva, una coppia di Israeliani di mezza età che è stata ospite della Comunità Ebraica di Napoli per la festa per eccellenza dell’Ebraismo: lo Shabbat. 
  Moshè e Aviva sono una coppia come tante, che aveva deciso di trascorrere alcuni giorni di vacanza a Napoli prima che si scatenasse la pioggia di missili da Gaza su Israele. E proprio mentre erano in vacanza hanno appreso che un missile sfuggito all’Iron Dome era caduto a pochi metri dalla loro casa a Rehovot provocando la morte di una loro vicina. L’Iron Dome, l’ormai noto sistema di difesa antimissile israeliano grazie al quale è stato scongiurato un alto tributo di vittime nelle città prese di mira dalla furia omicida di Hamas e del Jihad, si basa sul connubio tra elettronica, automatizzazione e azione umana ed ha una percentuale di efficacia superiore al 90%. 
  Il missile palestinese caduto vicino alla casa di Moshè e Aviva ha fatto parte di quella piccola percentuale di missili non intercettati ed ha provocato danni, una vittima e alcuni feriti, a dimostrazione che l’imprecisione dei missili palestinesi non ne fa degli innocui razzi, come vorrebbero fare credere alcuni, quando riescono a colpire un centro abitato. 
  Nonostante l’accaduto, Moshè e Aviva, pur non sapendo con precisione in quali condizioni avrebbero trovato la loro casa, erano sereni, facevano battute con Aviva che ha raccontato divertita come, alla vista degli addobbi bianchi e azzurri che tappezzano Napoli in questi giorni per la conquista dello scudetto, le sia sembrato di trovarsi in Israele per Yom HaAtzmaut, la festa della nascita dello Stato ebraico. La loro è una normalità che conosciamo bene perché contraddistingue tutti gli israeliani che trovano il coraggio e la forza per cercare di vivere nella normalità in una condizione oggettivamente fuori di essa, quale è quella di Israele, minacciato e costretto a combattere per la propria esistenza fin dal giorno della sua fondazione. 
  Questa stessa normalità contraddistingue Ely, un giovane israeliano che lavora come analista di sistemi informatici e che è stato impegnato anche in iniziative di solidarietà durante la pandemia del Covid 19, il quale è stato richiamato sotto le armi per circa un mese, come accade per tutti gli israeliani, per un’attività al confine settentrionale di Israele, dove Hezbollah rappresenta un’altra seria minaccia alla sicurezza dello Stato ebraico. Ely, che ha vissuto diversi anni a Napoli prima di tornare in Israele, ma che ha mantenuto i contatti con la nostra comunità, mi ha spiegato come il richiamo fosse stato programmato diversi mesi fa e che quindi non ha niente a che vedere con gli avvenimenti degli ultimi giorni. Con molta semplicità e chiarezza, il nostro amico ci racconta di come lui e gli altri israeliani, da una vita improntata alla consuetudine, con affetti e hobby, vengano catapultati per alcune settimane in un contesto completamente diverso, indossando la divisa, imbracciando un fucile d’assalto, dormendo in brandine per tenersi sempre pronti ad intervenire per contrastare una minaccia verso Israele e i suoi abitanti, consapevoli della possibilità di mettere in pericolo la propria vita per la sicurezza degli altri. 
  Anche Ely, così come Moshè e Aviva, vive questa situazione dicotomica, tra una condizione di normalità, o di sua ricerca, e una condizione di insicurezza per la costante minaccia agli israeliani da parte delle organizzazioni terroristiche e di pericolo per la loro libertà. La loro, come quella di tutti gli israeliani, è una condizione difficile da comprendere per chi vive in Italia dove la sicurezza e la libertà, ottenute con il sacrificio di chi combatté contro il nazifascismo ottanta anni fa, sono considerate come cose scontate. Per gli ebrei in fondo la condizione di precarietà è una costante che si ripete da secoli nella diaspora, dove si è sempre dovuto far convivere il timore per la propria sicurezza con l’ostinata ricerca della normalità. 
  Probabilmente è questo il motivo per cui Moshè, Aviva, Ely riescono ad essere sereni e a conservare la loro umanità e dignità anche in una situazione in cui forse altri non riuscirebbero a farlo. 

(L'informale, 19 maggio 2023)

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Israele: le celebrazioni per l’anniversario della riunificazione di Gerusalemme

di Luca Spizzichino

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Si sono svolte ieri le celebrazioni per Yom Yerushalaim, giorno in cui si festeggia l'anniversario della riunificazione, avvenuta durante la Guerra dei Sei Giorni, di Gerusalemme, facendola ritornare la capitale unica e indivisibile dello Stato d’Israele.
  Nonostante le tensioni e le minacce di Hamas, il 56esimo anniversario della riunificazione di Gerusalemme è stato aperto con la Marcia della Bandiere, manifestazione che ha attraversato la Città Vecchia ed è arrivata fino al Muro Occidentale. Per svolgere in piena sicurezza il tutto, l’apparato di sicurezza israeliano ha impiegato oltre 3.200 uomini.
  La sera, invece, nel sito commemorativo di Ammunition Hill, che fu teatro di una delle più feroci battaglie della Guerra dei Sei Giorni, si è svolta la cerimonia di Stato alla presenza del Presidente Isaac Herzog e il primo ministro Benjamin Netanyahu.
  Il presidente Herzog ha ricordato il viaggio senza fine della città di Gerusalemme. "Ci ha insegnato come società e come Paese che c'è solo un modo per intraprendere questo viaggio: insieme", ha affermato. Ha lanciato inoltre un chiaro messaggio ai leader politici sull’attuale polarizzazione della società israeliana, parlando della distruzione di Gerusalemme. “L'odio insensato l’ha distrutta – e sottolineo: l'odio ingiustificato non è solo una ragione ma una conseguenza di se stesso; ci sono fattori che portano ad esso”.
  I testi rabbinici spiegano infatti che la distruzione del Secondo Tempio e la dispersione del popolo ebraico furono una conseguenza della relazione tossica tra sette ebraiche rivali a Gerusalemme. Herzog ha aggiunto inoltre che le storie di odio e distruzione nella storia ebraica derivano tutte dall'incapacità “di gestire il disaccordo, di risolvere la disputa, di mettere da parte il dibattito interno sulla via della pace". Il popolo ebraico deve imparare da tali lezioni e mettere in pratica le proprie scoperte, ha affermato.
  “Nel giorno di Gerusalemme, la eleviamo di nuovo al di sopra della nostra più alta gioia. Tuttavia, la verità è che la nostra gente ha fatto questo giorno dopo giorno, anno dopo anno, per centinaia di anni con la frase: ‘L'anno prossimo a Gerusalemme’". Così ha aperto Netanyahu il suo discorso, nel quale ha ricordato il lungo viaggio che ha portato alla riunificazione della capitale il 7 giugno 1967.
  “È diventata una città, una gigantesca metropoli in Israele. Stiamo costruendo e permettendo a tutti i suoi residenti una vita migliore nella nostra capitale eterna” ha continuato il premier israeliano, che ha sottolineato l’importanza nel rendere sicura Gerusalemme.
  “Ci impegniamo a salvaguardare la sicurezza di Gerusalemme, a garantire la sua prosperità e a continuare il suo slancio. Lo stiamo facendo anche contro tutte le minacce intorno a noi. Sebbene le minacce non stiano certamente cessando, la nostra capacità di affrontare i nostri nemici, respingerli e garantire la sicurezza della nostra capitale e del nostro stato è una lotta costante. Insieme possiamo vincere” ha aggiunto.
  “Questo è anche un giorno splendido per celebrare il ritorno nella nostra capitale eterna, che è stata la nostra capitale per oltre 3000 anni” ha concluso il primo ministro israeliano.

(Shalom, 19 maggio 2023)

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Perché gli Usa puntano a nuove relazioni fra Riad e Gerusalemme

di Emanuele Rossi

La Casa Bianca vuole spingere diplomaticamente per un accordo di distensione tra Arabia Saudita e Israele nei prossimi sei o sette mesi, prima che la campagna elettorale per le presidenziali consumi l’agenda del presidente Joe Biden. Lo hanno dichiarato a Barak Ravid di Axios due funzionari statunitensi a conoscenza della questione. A quanto pare, sul tavolo non c’è un percorso incrementale, ma la possibilità di lanciare un grande piano di intesa che potrebbe interessare vari aspetti di questi nuovi rapporti.

• Perché è importante
  Vale la pena mettere subito in chiaro che qualsiasi accordo di normalizzazione formale delle relazioni tra Arabia Saudita e Israele sarebbe uno sviluppo molto importante per la regione mediorientale, dove Riad e Israele hanno per lungo tempo tenuto pubblicamente posizioni distanti (anche ideologicamente), sebbene contatti tramite backchannel e intelligence siano sempre esistiti. Attualmente, sull’onda di una rinnovata ricerca di stabilità regionale, si sono anche innescate una serie di dinamiche distensive bilaterali più alla luce del sole, ma distanze su dossier come quello palestinese restano (e probabilmente un accordo di Riad comporterà per Gerusalemme l’accettazione di alcuni compromessi).
  Allo stesso tempo, un accordo israelo-saudita mediato dagli Stati Uniti dovrà anche includere un miglioramento delle relazioni tra Washington e Riad. Relazioni che si sono in parte congelate anche perché l’amministrazione democratica al governo ha privilegiato la spinta sui valori democratici e i diritti collegati come vettore di politica internazionale – e il regno saudita è stato spesso contestato dai congressisti statunitensi per la mancanza di standard di rispetto di quei valori e di quei diritti.
  Tant’è che un accordo del genere potrebbe essere impopolare tra i Democratici e costare a Biden molto capitale politico interno. Durante la campagna elettorale vinta, l’attuale presidente giurava di rendere l’Arabia Saudita un “paria” parlando dell’assenza di diritti umani del regno e dell’omicidio dell’editorialista del Washington Post Jamal Khashoggi – che l’intelligence statunitense sostiene sia stato eliminato, perché nemico del nuovo corso del potere a Riad, sotto ordine del principe ereditario Mohammed bin Salman (un’accusa che l’Arabia Saudita nega, incolpando “mele marce” del sistema di intelligence per quanto accaduto il 2 ottobre 2018 al consolato di Istanbul).

• Il valore dell’accordo
  Probabilmente, consapevole delle dinamiche innescate nel Medio Oriente, Biden potrebbe essere portato a spingere comunque sull’accordo. L’intesa potrebbe rappresentare una svolta storica con un effetto a cascata: la normalizzazione delle relazioni con Riad potrebbe portare molti altri Paesi della regione a muoversi in modo simile. L’Arabia Saudita è infatti il protettore dei luoghi sacri dell’Islam, e per molto tempo si è ritenuto che un passo del genere non fosse possibile, almeno finché Re Salman – che rappresenta lo status quo e il vecchio corso del potere saudita – fosse stato in vita.
  Se l’amministrazione Biden fa sapere di voler spingere sull’intesa, allora significa che si sono creati degli spazi concreti, e che bin Salman in qualche modo dà garanzia che certe tappe possono essere bruciate. D’altronde, l’erede ha dato una boccata d’ossigeno al regno, innescando una serie di processi di modernizzazione che sono passati anche da un rinvigorimento della strategia internazionale e dalla rottamazione del circolo del potere interno (passaggio non senza acredini).
  Il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, ha incontrato bin Salman la scorsa settimana a Jeddah e, tra le altre cose, ha discusso della possibilità della normalizzazione con Israele. Dopo l’incontro, lo zar della Casa Bianca per il Medio Oriente, Brett McGurk, è andato a Gerusalemme per vedere il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu – con McGurk c’era anche Amos Hochstein, consigliere senior di Biden che occupa il ruolo di Special Presidential Coordinator for Global Infrastructure and Energy Security e che partecipa a tutti i principali incontri mediorientali.

• La connettività…
  La presenza di Hochstein è molto importante perché sposta sul dossier di mediazione israelo-saudita il peso statunitense nel settore delle infrastrutture a dimensione geopolitica. Durante l’incontro con bin Salman infatti, gli americani hanno infatti discusso anche della possibilità di includere l’Arabia Saudita in un processo di connettività regionale che collegherebbe la regione con l’India attraverso una serie di strade, ferrovie e scali portuali che potrebbero aumentare notevolmente i rapporti lungo l’asse geopolitico indo-abramitico.
  Questa discussione sulla connettività è per altro nata all’interno dell’ambito I2U2 – il sistema minilaterale composto da India, Israele, Usa e Uae (Emirati Arabi Uniti) – e dunque troverebbe già presenti tutti gli attori più importanti per l’accordo israelo-saudita. E se gli Accordi di Abramo targati amministrazione Trump hanno avviato il processo di normalizzazione arabo-israeliana – coinvolgendo su tutti gli Emirati Arabi Uniti – l’accordo con Riad per l’amministrazione Biden sarebbe allora un successo internazionale di valore ben superiore.
  Sul tavolo infatti ci sono progetti come quello dell’interconnessione con l’India che hanno valore altamente strategico e che mirano a contro-bilanciare la presa della Belt & Road Iniative cinese e dei suoi tentacoli in Medio Oriente. Tutto in una stagione in cui il ruolo di Pechino nella regione si sta consolidando non solo sul piano economico-commerciale, ma anche in processi di mediazione politica come quello siglato tra Iran e Arabia Saudita. Con i cinesi che sono interlocutori di primo piano anche per Israele, anche in questo caso con interesse privilegiato ai nodi logistici di connessione, come raccontano le attività della Shanghai International Port Group al porto di Haifa.

• E l’alternativa
  Al pari dei progetti infrastrutturali, economici, politici, securitari della Cina, per gli Stati Uniti c’è anche un altro potenziale allineamento da contrastare: quello tra Russia e Iran, che da un lato ha la possibilità di integrazione con i piani cinesi, e dall’altro è oggetto di attenzioni per i Paesi regionali. Non c’è solo la questione delle forniture militari iraniane usate in Ucraina dai russi, chiaramente, ma la possibilità che Teheran e Mosca uniscano le forze anche in altri ambiti (seppure le enormi difficoltà economiche dei due Paesi).
  Il presidente russo, Vladimir Putin, e il suo omologo iraniano, Ebrahim Raisi, hanno per esempio firmato mercoledì, in collegamento video, un accordo per il finanziamento e la costruzione di una linea ferroviaria iraniana nell’ambito di un embrionale corridoio di trasporto internazionale Nord-Sud. La ferrovia Rasht-Astara è un anello del corridoio, destinato a collegare l’India, l’Iran, la Russia, l’Azerbaigian e altri Paesi attraverso rotaie e porti.
  Un percorso che, secondo la Russia, potrebbe rivaleggiare con il Canale di Suez come importante via commerciale globale – magari passante anche dalle rotte settentrionali (che Mosca spera più accessibili con lo scioglimento dei ghiacci). Bypassare Suez è uno dei temi che gli americani possono usare con i mediorientali perché è un piano sgradito a quei Paesi che per le connettività guardano a sud. L’altro riguarda la possibilità di crescita del valore strategico e internazionale dell’Iran. Sebbene la riapertura delle relazioni con Riad, Teheran resta un competitor per il Golfo (con diversi dossier aperti da sistemare); mentre per Israele è il nemico esistenziale contro cui muoversi anche militarmente.

• Il tema Iran
  Mentre qualche anno fa Washington poteva trovare un punto di contatto facile tra Riad e Gerusalemme nel contrasto guerresco a Teheran, ora le cose sono parzialmente cambiate. Tuttavia sia i sauditi che gli israeliani sono interessati ad aumentare le capacità di integrazione e cooperazione militare pensando alla Repubblica islamica come fattore di fondo. Al punto che circolano rumors sulla possibilità che gli Stati Uniti abbiano offerto di impegnarsi con Israele in una pianificazione militare congiunta nei confronti dell’Iran.
  Questa non significa di fatto la creazione di piani di attacco, ma diventerebbe una forma di rassicurazione massima nei confronti di Israele attraverso scambi quasi totali di intelligence, preparazione di scenari, esercitazioni e integrazioni operative. In definitiva, ogni parte sarà portata a condividere i propri piani per le diverse contingenze, ed entrambe le parti potranno discutere i modi per affrontare meglio i diversi scenari che potrebbero svilupparsi riguardo alle attività dell’Iran nella regione. Ma la situazione va letta con la giusta angolazione. Una pianificazione congiunta potrebbe anche servire a Washington per evitare di essere informata all’ultimo momento di un eventuale attacco israeliano agli impianti nucleari iraniani – sempre più plausibile davanti allo sviluppo del programma nucleare con l’accordo Jcpoa ormai naufragato.
  E questo è importante anche per Riad, che vuole evitare di finire invischiata in una guerra, di essere esposta con Israele potenziale aggressore iraniano, di far saltare i progressi ottenuti nell’appeasement con Teheran. Allo stesso tempo, Riad vorrebbe essere maggiormente coinvolta in questi processi di sicurezza, e gli Stati Uniti potrebbero dare più spazi ai sauditi se accettassero una formalizzazione delle relazioni con Israele. Inoltre, una partecipazione del regno potrebbe evitare a Washington il peso della richiesta di sviluppo di un programma nucleare proprio – mentre russi e cinesi sono già operativi per fornire un’offerta per l’arricchimento dell’uranio e Riad.

(Formiche.net, 19 maggio 2023)

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Djerba: una settimana dopo l’attentato, una faticosa ripresa. E non mancano le polemiche

di Roberto Zadik

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Sono giorni intensi per la comunità ebraica tunisina, che, a nemmeno due settimane dall’attentato alla sinagoga di Djerba, cerca di riprendersi nonostante il clima attorno ad essa sia decisamente inquieto. Le notizie si susseguono, in rapida successione, fra testimonianze contrastanti e stati d’animo di vario tipo.
  Il sito Jewish Telegraphic Agency, lo scorso 11 maggio, ha raccontato che il giorno dopo l’attentato, in cui hanno perso la vita cinque persone, nella stessa sinagoga, La Ghriba, una delle più antiche del Maghreb, vi è  stata una circoncisione. Canti, balli e gioia si sono riversati attorno a quel piccolo, a otto giorni dalla sua nascita, con il Rabbino Isaac Choua che ha celebrato la ricorrenza, come sempre. Secondo il Rav, attualmente residente a New York, è stata la risposta a quell’orrore, accaduto poche ore prima, e intervistato dal sito, al Congresso Ebraico Mondiale degli ebrei del Medio Oriente e del Nord Africa, ha detto” hanno voluto celebrare lo stesso la circoncisione  dopo tutto quello che era successo, il giorno prima, durante la festa del Lag Baomer che, ogni anno,  attira nelle sale della Ghriba migliaia di visitatori da tutto il mondo, molti dei quali di origini tunisine.Ripercorrendo la recente storia di questa sinagoga, il Rabbino ha ricordato l’attacco del 2002 che,  perpetrato dai terroristi di Al Qaeda, aveva ucciso venti persone.  Stando all’articolo l’attentato di martedì scorso risulta particolarmente spiazzante, visti gli sforzi della Tunisia e del suo governo in materia di tolleranza e accoglienza delle diversità. Nonostante questa difficile situazione, speranza e forza morale contraddistinguono i membri della piccola Comunità di Djerba che, come ha evidenziato Yaniv Salama, amministratore delegato della Fondazione Salamanca, “ha forti legami con le autorità e il mondo esterno ed è necessario rafforzare le relazioni fra le comunità ebraiche ed i paesi arabi; Djerba rimane un’oasi di coesistenza”.
  Il Rabbino Choua ha messo in luce come “gli ebrei tunisini sono resilienti, non si sentono scoraggiati dopo questo attentato e stanno visitando, anche in questi giorni, con le loro famiglie , i luoghi di pellegrinaggio”. In tema di reazioni, Salama ha espresso la propria costernazione, riguardo a questo attacco, dicendo “non mi aspettavo che una comunità di poco più di millequattrocento ebrei fosse colpita da questo attentato”. Come hanno sottolineato i vari interventi e ha confermato anche Salama gli ebrei tunisini “sono atterriti da queste violenze ma stanno cercando di andare avanti e di stringere i denti”. L’attentato ha lasciato un profondo choc nella Comunità locale e, in merito a quanto accaduto martedì 9 maggio per ragioni ancora oggi ignote,  il sito tedesco DW, venerdì 12 maggio, ha pubblicato l’interessante racconto di Michael Hanna, scampato in extremis all’attentato. Nell’articolo, firmato da Tarak Guizani e Cathrin Schaer, viene evidenziata la sua incredulità nell’essersi salvato miracolosamente. Hanna ricorda quando uno sconosciuto ha aperto il fuoco contro i presenti. Ancora impaurito ha affermato “i visitatori erano stipati dentro la sinagoga ma nessuno era stato ferito; mia moglie si era sentita male poco prima ed era tornata  a casa, ed io volevo raggiungerla per riposare assieme a lei e ai miei due figli ma, improvvisamente, ho visto le pallottole volare, in ogni direzione, e una di esse ha colpito la bottiglia di birra che tenevo in mano; pensavo di stare per morire ma, miracolosamente, sono sopravvissuto”. Ricordando il sacrificio dei due agenti, morti nell’attacco, l’ex Ministro del Turismo Renè Trabelsi, come ha riportato la TAP, agenzia giornalistica tunisina, ha elogiato le forze della sicurezza che “hanno sacrificato la vita per salvare altre vite umane” evidenziando che” il loro intervento, che è stato molto efficace, ha impedito che la strage si aggravasse”.

• Le dichiarazioni del presidente tunisino, bufera di reazioni e indignazione dopo il suo attacco a Israele

L’antica sinagoga della Ghriba a Djerba
A surriscaldare l’atmosfera sono arrivate le controverse esternazioni del presidente tunisino Kais Saied che, secondo quanto ha riportato giovedì 18 maggio la versione francese del Times of Israel, ha affermato che “la Tunisia è un paese tollerante ma bisogna dividere l’ebraismo dal sionismo”. Stando alle ricostruzioni di vari siti, mercoledì 17, egli avrebbe dovuto incontrare gli esponenti delle tre grandi religioni, il gran rabbino di Tunisia Haim Bittan, il mufti Hichem ben Mahmoud e l’arcivescovo di Tunisi, Ilario Antoniazzi. Inizialmente egli ha definito l’evento “un incontro storico fondamentale che dimostra l’apertura della Tunisia verso la convivenza fra culture”. Successivamente egli ha assicurato che l’inchiesta della polizia andrà avanti per ricercare i mandanti dell’attentato e, secondo quanto rivela il sito Times of Israel, nel suo articolo realizzato assieme all’agenzia di stampa tunisina, quattro persone collegate all’autore del gesto sono state arrestate.
  Le autorità tunisine però, nonostante abbiano denunciato l’attentato come “un gesto criminale”, hanno evitato  di definire l’autore del gesto come un “terrorista” e di inquadrare come antisemita il suo attacco. Oltre a questo, nel suo discorso Saied, ha confermato la gravità dell’accaduto che “danneggia la stabilità della Tunisia portando divisione e rancore”. La parte più problematica è stata quando,  rivolgendosi ai membri della Comunità ebraica al suo cospetto, ha detto “potete vivere in pace e garantiremo la vostra sicurezza ma bisogna distinguere ebraismo e sionismo e mettere fine alla tragedia del popolo palestinese”. Nonostante ciò, il Rabbino Bittan si è definito soddisfatto dell’incontro e del sostegno governativo per impedire che quanto accaduto si ripeta.

• L’indignazione della storica Deborah Lipstadt:”Saied antisemita”

Il presidente tunisino Kais Saied
Subito dopo che queste parole hanno girato il mondo,  è arrivata la replica dell’autorevole storica ebrea americana Deborah Lipstadt, inviata della Casa Bianca sull’antisemitismo, riportata mercoledì 17 maggio dal sito algemeiner. Nel testo dell’articolo, firmato da Andrew Bernard, la Lipstadt ha definito “antisemita” il discorso di Saied. Ricordando la sua visita il giorno prima dell’attentato, ella ha espresso  la sua costernazione riguardo all’assenza di qualsiasi condanna di Saied, nel descrivere l’odio antiebraico dell’attentato, definendo questa omissione come “scoraggiante e irritante”.I commenti indignati della storica arrivano in un momento di sconvolgimento fra gli ebrei tunisini per le dichiarazioni di Saied.
  Uno dei membri della Comunità, che per evitare problemi ha mantenuto l’anonimato, ha ribadito “ho sentito l’intero discorso del presidente e mi è sembrato che per lui sia molto difficile pronunciare la parola “ebrei”. Senza dubbio, Saied non solo odia Israele ma è anche antisemita”. Come ha evidenziato il sito, il presidente non è nuovo a condotte ostili verso gli ebrei perché, nel 2021, aveva tenuto un discorso in cui accusava gli ebrei di “essere responsabili dell’instabilità del Paese” anche se egli ha poi negato di aver fatto queste affermazioni. Ricordando le parole del presidente palestinese Mahmud Abbas che una volta, davanti alle Nazioni Unite,  accusò Israele di “mentire come Goebbels” la Lipstadt ha sottolineato la gravità di queste dichiarazioni soprattutto in un periodo in cui “a livello mondiale le violenze antisemite sono in aumento”.

(Bet Magazine Mosaico, 19 maggio 2023)

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Uno Shabbat, due piazze: domani scendono in strada le due anime di Israele

di Alfredo De Girolamo

Israele una bandiera e due piazze, quella di Tel Aviv che grida in difesa della democrazia e quella dei nazional-religiosi a Gerusalemme che urla l'odio per gli arabi. Due visioni politicamente e culturalmente distanti, geograficamente vicine. A Tel Aviv il prossimo sabato saranno 20 le settimane consecutive che la gente scende in piazza per opporsi alla riforma del sistema della giustizia.
  Per la prima volta però lo scorso fine settimana si è verificata una spaccatura nel movimento anti-Netanyahu. Alla luce dell'escalation militare a Gaza gli organizzatori hanno cancellato gli eventi previsti, optando per prendere una pausa dal canonico appuntamento del post Shabbat lungo i viali di Tel Aviv. Una questione puramente di sicurezza: “Portare 100 mila persone a Kaplan - arteria stradale della città - in un momento in cui potrebbe esserci la sirena dei razzi è pericoloso”. Una parte del movimento si è dissociata dalla decisione e ha indetto un proprio corteo: “Se non combatti, non vinci. Coloro che rinunciano al loro diritto di protestare, stanno facendo un invito alla dittatura”.
  Alla fine erano in decine di migliaia a sfilare. “Pioggia o sole, caldo o freddo, in guerra o pace, siamo qui”, così Shikma Bressler, uno degli attivisti del movimento. “Sappiamo bene che l'unico pericolo che minaccia davvero l'esistenza dello Stato di Israele è la revisione giudiziaria”. Qualche divergenza affiora, come era plausibile accadesse con il passare del tempo. Anche la maggioranza di governo mostra evidenti sfaccettature. A far più rumore c'è l'estrema destra, che a Gerusalemme ha marciato scortata da cordoni di polizia nei quartieri arabi, per celebrare con la “Marcia delle bandiere” la riunificazione della città Santa sotto il vessillo di Davide. E il ritorno delle preghiere al Muro del Pianto. Ma non nella Spianata delle Moschee dove sorgeva l'antico tempio ebraico, e vige lo status quo che non autorizza altri rituali se non quelli islamici. Condizione di divieto rispettata dai haredim dell'ortodossia ebraica, che seguono le indicazioni del rabbinato di astenersi da svolgere attività nel luogo. A non ascoltare l'invito sono le sigle riconducibili al Zionismo religioso e in genere al movimento post-sionista della destra. Che continuano a violare le regole, elevando costantemente il livello di guardia tra palestinesi e israeliani.
  Così quello che dovrebbe essere un giorno di festa, almeno per gli israeliani, finisce per trasformarsi in ore di tensione e il rischio di un nuovo confronto militare. Tutto ruota intorno a questa parata che puntualmente degenera in zuffe e scontri con i palestinesi. E lo scambio di reciproche accuse di essere stati provocati dall'altro. Simbolico che la piazza di Gerusalemme punta i riflettori sull'assidua presenza di Itamar Ben-Gvir, controverso ministro del governo Netanyahu, mentre in quella di Tel Aviv a salire sul palco abbiamo lo scrittore David Grossman. Due piazze, per due famiglie di Israele che si stanno imponendo in antitesi l'una all'altra.
  La stranezza è che il premier Benjamin Netanyahu, il più votato alle ultime elezioni, non ha una sua piazza schierata. Bibi se potesse farebbe a meno di appuntamenti di massa come quelli di Tel Aviv e Gerusalemme, e sicuramente dei loro contenuti. Invece, non può, per ragioni di tenuta della sua maggioranza, prendere troppo le distanze dagli alleati dell'estrema destra. E allo stesso tempo, in un momento così complesso, deve evitare che la tenuta interna della società israeliana si strappi, aggravando il quadro politico. L'equilibrismo del populista Netanyahu è pura arte retorica. Ha coltivato l'orticello della destra nazionalista e illiberale, lasciando che l'erba cattiva attecchisse bene, peccato che sia infestante. Ben-Gvir ogni giorno allarga, usando l'arma del ricatto, il proprio peso specifico condizionando la strategia del governo. Almeno fino a oggi Bibi non è riuscito a contenerlo. Gli è rimasta però un'ultima possibilità, molto pratica, per mostrare che è lui al timone: la manovra di bilancio. Il borsone della spesa può essere più convincente di qualsiasi altra cosa. Ma può anche creare dei nemici.

(Formiche.net, 19 maggio 2023)

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Ner Tamir del Sud, la vita ebraica in Calabria: intervista a Rabbi Barbara Aiello

La vita e le iniziative della comunità che ha come punto di riferimento la sinagoga Ner Tamir del Sud, l’unica presente in Calabria

di Gianni Poglio

Barbara Aiello
«Sono ottanta le persone che ruotano alla nostra comunità. persone che arrivano dai dintorni ma anche dalla Campania e dalla Sicilia» racconta a Joimag Rabbi Barbara Aiello, la prima donna rabbino in Italia, da Serrastretta, dove sorge la sinagoga Ner Tamid del Sud, l’unica attiva in Calabria negli ultimi cinquecento anni, oltre che la prima e unica sinagoga “ricostruzionista” riconosciuta in Italia.
  «Come prima donna e primo rabbino liberale moderno in Italia, sono tornata molti anni fa in Calabria, la terra delle mie radici, dove ho organizzato quella che è la prima e unica iniziativa per aiutare gli italiani del sud a scoprire e abbracciare qualcosa che era stato loro nascosto per quasi 500 anni. Ero venuta per aiutarli a trovare le loro radici ebraiche. Più di 500 anni fa, all’epoca dell’Inquisizione, i nostri antenati furono costretti a scegliere: abbandonare la religione ebraica e sottoporsi a una conversione forzata, oppure essere espulsi dalle nostre case e dai nostri villaggi» spiega. Rabbi Barbara Aiello è nata a Pittsburgh, in Pennsylvania, ed è figlia di un liberatore del campo di concentramento di Buchenwald. Negli ultimi mesi, Rabbi Barbara ha contribuito ad ospitare in Calabria madri e figli in fuga dall’Ucraina a causa della guerra.
  «Ho un’esperienza personale. I miei antenati, ebrei spagnoli, furono costretti a fuggire da Toledo, in Spagna, poi in Portogallo, quindi in Sicilia e infine sulle montagne della Calabria per sfuggire alle persecuzioni, all’arresto o alla morte. Infatti, la mia bisnonna, Angelarosa Grande, era una diretta discendente di Matteo de Grande, un “neofita” o “nuovo cristiano”, i cui beni e proprietà furono confiscati dalle autorità dell’Inquisizione nella città siciliana di Naro. La famiglia fu arrestata per “giudaizzazione”, ovvero per aver praticato in segreto le proprie tradizioni ebraiche. Alla fine si rifugiarono nel Reventino, nel minuscolo villaggio di montagna che chiamarono Serrastretta. Trovarono un posto dove essere ebrei, ma date le loro spaventose esperienze, scelsero di continuare la loro osservanza clandestina. Per secoli hanno acceso candele il venerdì sera, si sono astenuti dal mangiare carne di maiale e, quando moriva una persona cara, si sedevano su sedie basse e coprivano gli specchi di tutta la casa, antiche tradizioni ebraiche che praticano ancora oggi» rivela prima di aggiungere «che la comunità di Serrastretta offre un approccio pluralistico alle funzioni dello Shabbat, alle feste, alle commemorazioni e agli eventi del ciclo vitale, praticando l’accoglienza ebraica per tutti coloro la cui storia personale li spinge alla nostra porta. Siete i benvenuti se siete ebrei, se siete per metà ebrei, se vi sentite ebrei o se volete semplicemente saperne di più».
  Quanto alle attività di Ner Tamir del Sud, Rabbi Barbara racconta che buona parte dei membri della comunità vivono lontano da Serrastretta. «Per questa ragione, e per premettere loro di  partecipare alle funzioni dello Shabbat e alle feste ebraiche, offriamo esperienze intensive di weekend completi sei-sette volte durante l’anno. Un weekend Shabbaton comprende un servizio di Kabbalat Shabbat in un hotel locale, vicino all’aeroporto e alla stazione ferroviaria di Lamezia Terme. La mattina dello Shabbat noleggiamo un pullman per portare i nostri fedeli alla sinagoga – un viaggio di 40 minuti fino a Serrastretta, dove si trova la sinagoga. Dopo il tradizionale servizio Shacharit, che comprende canti e preghiere e la lettura della Torah, offriamo un pranzo seguito da una “passeggiata” e dallo studio della Torah all’aperto. Concludiamo lo Shabbat con la Havdalah. Alla fine di tutto, l’autobus riporta i nostri fedeli all’hotel di Lamezia. Non solo: «La domenica mattina offriamo ai nostri membri e ai visitatori della comunità una lezione di lingua ebraica. Concludiamo con i canti tradizionali dello Shabbat e tutti ripartono per casa. I nostri weekend di Shabbaton permettono così ai nostri membri che vivono in Sicilia, a Lipari, a Reggio Calabria e a Cosenza di partecipare comodamente alle nostre attività sinagogali. Le famiglie di Serrastretta che vivono vicino alla sinagoga possono invece raggiungerla a piedi. Infine, celebriamo Rosh Hashanah nell’ex campo di concentramento di Ferramonti vicino a Cosenza. Era gestito da italiani ed il loro comandante permetteva ai prigionieri di celebrare e le festività ebraiche. Quei soldati e buona parte della poolazione locale hanno salvato la vita a centinaia di ebrei. Festeggiato Rosh Hashanah in quel luogo per mostrare alla popolazione quel che hanno fatto per i prigionieri ebrei i loro antenati».

(JoiMag, 19 maggio 2023)

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Le «confessioni» di Palù sono un buon inizio

Le ammissioni a scoppio ritardato del capo dell'Aifa hanno un chiaro significato: è inutile continuare con la narrazione «terroristica» sul virus. Ammettiamo che l'idrossiclorochina funziona e facciamo mea culpa sulle vaccinazioni ai bambini.

di Giovanni Frajese 

Illustrissimo professor Palù, avrei voluto contattarla da qualche anno, avevo avuto modo di apprezzare la sua eleganza e la sua preparazione all'inizio della storia pandemica, quando i suoi interventi erano a mio modesto avviso puntuali e pieni di buon senso. Dopo essere diventato presidente dell'Aifa però la sua voce si è sentita molto poco, e quando lo ha fatto ha espresso posizioni, come nel caso della vaccinazione per il SarsCov2 nei bambini, che mi hanno lasciato sbigottito. È arrivato persino a ipotizzare l'obbligo vaccinale con questi prodotti nei bambini, per fortuna qualcuno non la ha ascoltata. Ma non è lei uno degli autori della ricerca pubblicata su Eroniiers of Virology a febbraio del 2022, nel quale si dimostra la presenza di una sequenza di 19 basi nucleotidiche, nel genoma pubblicato del SarsCov2, oggetto di brevetto di Moderna nel 2017? E che questa sequenza ha una possibilità su 3 triliardi di essere casuale? Non ci ha quindi chiaramente detto pubblicandolo su una ottima rivista scientifica, che il virus non solo è sintetico, ma che usa una sequenza, che include il sito di clivaggio della furina umana, brevettata da Moderna per la ricerca sui tumori, che ne ha aumentato esponenzialmente la capacità infettiva? La stessa Moderna che ha poi prodotto i vaccini.
  Sembra la trama di Mission Impossible 2, il virus chimerico e la sua cura. Eppure, è reale, solo che non se ne parla, per ragioni che sfuggono alla mia comprensione. Forse nessuno lo ha detto chiaramente alla magistratura. Sentirla dire da Vespa l'altra sera, una ventata di verità, seppur parziale e ben costruita dialetticamente, è stata una sorpresa. Ha esordito dicendo che gli errori si commettono, specialmente di fronte a un virus nuovo, per poi spiegarci come non si siano ascoltati i presidenti delle Regioni all'inizio della pandemia. Ma la vera sorpresa è stata sul tema delle terapie, dove oltre all'ormai ben noto dilemma sull'uso degli antinfiammatori invece che tachipirina e vigile attesa, il cui senso medico e scientifico è a tutt'oggi sconosciuto agli eretici come me, è arrivato a citare, senza mai nominarla, la potenzialità di una cura a base di idrossiclorochina e lo scandalo del Lancet Gate sulla stessa. Idrossiclorochina, una parola talmente tabù, che non riesce a pronunciarla neanche lei, pur parlando dello studio retratto da Lancet perché completamente falso, che ne screditava l'efficacia. Accanto a lei è rimasto muto e visibilmente preoccupato il prof. Bassetti, forse si sarà ricordato quando sulla questione, proposta all'epoca da Salvini, sentenziò: «Studi clinici fatti seriamente su vasta scala hanno detto che l'idrossiclorochina non serve a niente, inutile continuare a dire alla gente che serve a qualcosa» e ancora «non facciamo stregoneria, è stata ampiamente bocciata e non serve a niente». Da Vespa è rimasto muto. Ubi maior, minor cessat. 
  La sua indubbia preparazione invece, non potrà non farle notare l'incongruenza del suo stesso discorso. Ha esordito con un «ci trovavamo davanti a un virus nuovo», per cui errare è parte del processo, per poi smentirne l'essenza con il ragionamento successivo, dove parla di esperienze pregresse con SarsCov e Mers che ci avevano insegnato il rischio nosocomiale di questi virus e le terapie che si erano già rivelate efficaci su virus di questo tipo. Quindi la logica vuole che non ci trovassimo di fronte a una entità, seppur sintetica, completamente nuova, ma a un virus respiratorio appartenente a una famiglia studiata da decenni, sia dal punto di vista terapeutico, che trasmissivo. Altro che non sapevamo cosa fare, l'eccellente prof. Raoult ha bruciato la sua carriera in Francia per aver osato dire la verità, la cura esiste, l'idrossiclorochina funziona, le cure esistono, ivermectina, iodopovidone, indometacina. Ma lo diceva Trump, non poteva essere vero. Invece sì, lo conferma lei. L'esistenza delle cure significa aver esposto i bambini a una sperimentazione dove il rapporto costo/beneficio non è semplicemente applicabile. Il beneficio è nullo, il rischio sconosciuto, saprà meglio di me che per ragioni di «definizione» questi prodotti a mRNA sono effettivamente delle terapie geniche, ma non sono definibili tali perché secondo l'Erna per definizione i vaccini a mRNA non lo sono. Quando si dice le parole plasmano la realtà. 
  Conosce perfettamente che gli studi di cancerogenicità e genotossìcìtà non sono stati effettuati perché non richiesti dall'iter di approvazione scelto. E con tutte queste, e le altre conoscenze che lei ha, dubito che: «La prossima settimana vaccino ai bimbi, lo farò ai nipoti», sia poi divenuto realtà. Le auguro con il cuore di averlo detto, ma non averlo fatto. E se così fosse mi chiederei come può averlo detto al suo popolo? 
  Chissà che l'ora della verità non sia in arrivo, certo un segnale c'è stato, meglio tardi che mai.

(La Verità, 19 maggio 2023)

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Parashà di Bemidbàr: Perché i leviti erano così pochi?

di Donato Grosser

La parashà  inizia con l’ordine di contare i figli d’Israele: “L’Eterno parlò a Moshè, nel deserto di Sinai, nella tenda della radunanza, il primo giorno del secondo mese, nel secondo anno dell’uscita dei figli d’Israele dal paese d’Egitto, e disse: contate tutta la radunanza dei figli d’Israele secondo le loro famiglie, per le case paterne, enumerandole per nome, ogni maschio individualmente. Dai vent’anni in su, tutti quelli che in Israele possono andare alla guerra; tu ed Aharon ne farete il censimento, secondo le loro schiere” (Bemidbàr, 1: 1-3).
  Rashì (Troyes, 1040-1105) commenta: “Egli li conta ogni volta a causa del loro amore di fronte a Lui: li contò quando uscirono dall’Egitto; contò quelli rimanenti dopo che caddero a causa del  vitello d’oro; e li contò quando venne il momento di fare dimorare la Sua provvidenza presso di loro. Il mishkàn fu eretto nel primo giorno di Nissàn e li contò il primo giorno del successivo mese di Iyàr”.  
  R. Shelomo Ohev  (XVI sec. E.V., Ragusa, oggi Dubrovnik) nel suo commento Shemen Hatov, fa notare che bisogna spiegare perché tutte le tribù si moltiplicarono in modo miracoloso, “sei per ogni ventre”, mentre il numero degli uomini della tribù di Levi crebbe in modo normale. Leggendo il testo vediamo che furono contati ventiduemila leviti dall’età di un mese in su (ibid., 3:39) e circa ottomila dai trenta ai cinquanta anni. Se paragoniamo il numero dei leviti alla tribù con il numero più basso, vediamo che la tribù di Menashè contava trentaduemila e duecento uomini di età da venti a sessanta anni. E anche bisogna tener conto del fatto che la tribù di Menashè era metà della tribù di Yosef. 
  R. Ohev chiede quindi: “Quale peccato commise la tribù di Levi per rimanere così poco popolosa?“  Per rispondere a questa domanda egli cita il Nachmanide (Girona, 1194-1270, Acco) che nel suo commento afferma che le tribù si moltiplicarono a un ritmo miracoloso perché il faraone voleva impedire l’aumento della popolazione degli israeliti come scritto nella Torà: “Egli disse al suo popolo: Ecco, il popolo dei figli d’Israele è più numeroso e più potente di noi.  Usiamo prudenza con essi; che non abbiano a moltiplicare e, in caso di guerra, non abbiano a unirsi ai nostri nemici e combattere contro di noi e poi andarsene dal paese. Stabilirono dunque sopra Israele dei preposti ai lavori, che l’opprimessero con le loro angherie. Ed il popolo edificò a Faraone le città di approvvigionamento, Pithom e Raamses. Ma più l’opprimevano, e più il popolo moltiplicava e s’estendeva...” (Shemòt, 1:9-12). Gli egiziani oppressero i figli d’Israele affinché non si moltiplicassero e il Santo Benedetto proprio per questo motivo fece sì che si moltiplicassero. La tribù di Levi non fu soggetta alla schiavitù e pertanto si moltiplicò solo in modo naturale.
  R. Ohev cita anche r. Yitzchak Abarbanel (Lisbona, 1437-1508, Venezia) che da’ un altro motivo.  R. Abarbanel sostiene che ai Leviti non fu assegnato nessun territorio della terra d’Israele, come è scritto in Devarìm (18:1-2): “I kohanìm della tribù di Levi, tutta quanta la tribù di Levi, non avrà  parte né eredità con Israele; vivranno dei sacrifizi arsi all’Eterno, e di quanto a Lui offerto. Levi non avrà alcuna eredità tra i suoi fratelli; l’Eterno è la sua eredità, com’egli stesso gli disse”. I leviti non avevano un loro territorio e dovevano vivere delle decime che ricevevano dalla altre tribù. Se fossero stati troppo numerosi le decime non sarebbero bastate. E questo è il motivo per cui rimasero poco numerosi.
  R. Ohev offre una sua spiegazione basata sullo Zòhar. La Torà è composta di seicentomila lettere e pertanto era necessario che vi fossero altrettanti uomini nelle tribù d’Israele. Per questo si moltiplicarono in modo sovrannaturale.  I leviti invece erano destinati a fungere da guardia “reale” del mishkàn e per questo compito non erano necessari più di ventiduemila leviti come scrisse R. Behaye. Per un numero normale  non era necessario che l’Eterno facesse miracoli per moltiplicarli. 

(Shalom, 19 maggio 2023)
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Parashà della settimana: Bamidbar (Nel deserto)

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Gerusalemme celebra 'La marcia delle bandiere', ricorrenza della riunificazione. Si temono scontri

La polizia ha schierato più di 3 mila agenti per vigilare sulla manifestazione nazionalista, dove sono attesi in migliaia, che passerà in parte per il quartiere musulmano della Città Vecchia, per poi concludersi al Muro del Pianto.

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Gerusalemme celebra 'La marcia delle bandiere', ricorrenza della riunificazione. Si temono scontri. Un clima di forte tensione quello che si respira a Gerusalemme in queste ore che precedono l'inizio della ‘Marcia delle bandiere’, la ricorrenza annuale in cui gli israeliani celebrano la “riunificazione” della città sotto il controllo dello Stato ebraico, avvenuta nella Guerra dei Sei giorni a giugno del 1967, con l’occupazione militare della zona araba (Est) di Gerusalemme, allora sotto controllo giordano.
  La polizia ha schierato più di 3 mila agenti per vigilare sulla manifestazione nazionalista, dove sono attesi in migliaia, che passerà in parte per il quartiere musulmano della Città Vecchia, per poi concludersi al Muro del Pianto sventolando le bandiere di Israele.
  La marcia è stata definita una 'provocazione' dall'Autorità nazionale palestinese (Anp). "Porterà solo a tensioni", ha detto Nabil Abu Rudeinah, portavoce del presidente dell'Anp Abu Mazen.
  Anche quest'anno, come già accaduto in passato, si teme che la marcia possa rivelarsi un'occasione per scontri tra i manifestanti ultranazionalisti e i palestinesi che incontrano durante il cammino. È opinione diffusa che la presenza al potere del governo di estrema destra religiosa, guidato da Benyamin Netanyahu, offra ulteriori incentivi ai manifestanti di affermare con forza il controllo di Israele anche sulla Gerusalemme palestinese.
  Un ministro del partito di estrema destra Otzma Yehudit e diversi deputati del Likud, il partito del premier Netanyahu, si sono già recati in visita alla Spianata delle Moschee. Un comportamento criticato da David Bitan, deputato dello stesso partito Likud, convinto che sia stato "inappropriato". "Le persone sono diventate più estremiste del necessario, e non fa parte del lavoro del Likud mostrare questa sorta di estremismo. Non abbiamo nulla da guadagnarci", ha detto.
  Anche Hamas è tornata a minacciare Israele per la marcia, a pochi giorni di distanza dal cessate il fuoco con la Jihad dopo 5 giorni di ostilità.

(RaiNews, 18 maggio 2023)

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Ritrovata una ‘ricevuta’ di 2.000 anni fa a Gerusalemme

di Jacqueline Sermoneta

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Una ricevuta commerciale di 2.000 anni fa, incisa su un piccolo frammento di pietra, è stata scoperta lungo la via dei pellegrini nella Città di Davide, a Gerusalemme. Il ritrovamento è avvenuto durante i lavori di scavo condotti dalla Israel Antiquities Authority (IAA).
  Sulla tavoletta sono incise sette righe con nomi ebraici incompleti, lettere e numeri. Una di queste righe, ad esempio, termina con il nome ‘Shimon’ seguìto dalla lettera ebraica ‘mem’, mentre nelle altre righe sono presenti dei simboli che rappresentano numeri. Alcuni di questi sono preceduti dal loro valore economico, contrassegnato dalla ‘mem’, abbreviazione di ‘ma’ot’ (in ebraico, ‘denaro’) o dalla lettera ‘resh’, di ‘reva’im’ (in ebraico, quarti).
  Gli archeologi hanno sottolineato che la scoperta è stata fatta in quella che era allora una vivace zona commerciale. L’iscrizione, infatti, testimonia la registrazione di pagamento eseguita da una persona impegnata proprio in una attività di vendita.
  Questo è anche il primo reperto del genere trovato all’interno dei confini della città di Gerusalemme nel periodo del Secondo Tempio. “In questo semplice oggetto è espressa la quotidianità degli abitanti di Gerusalemme che risiedevano qui 2000 anni fa. – hanno spiegato gli archeologi – Apparentemente la scoperta di un elenco di nomi e di numeri non entusiasma molto. Ma se pensiamo che le ricevute venivano utilizzate per scopi commerciali in passato, come oggi, e che una di queste ci sia pervenuta, è davvero sorprendente".
  "La scoperta lungo la via del pellegrinaggio svela un altro aspetto della vita ebraica nella città in quel periodo – ha detto Rabbi Amichai Eliyahu, ministro del Patrimonio - Gli importanti scavi della Israel Antiquities Authority nell’area collocano la Città di Davide come centro cardine nella storia del popolo ebraico”.

(Shalom, 18 maggio 2023)

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Valditara: 'Gioco a supporto della pedagogia e per conoscere identità Paese'

ROMA - "La pedagogia ha sempre sottolineato l’importanza del gioco nell'apprendimento e credo che questa di oggi sia un’iniziativa bella, quella di costruire il percorso della comunità ebraica di 2000 anni di storia, un’iniziativa che ho voluto e in cui credo per dimostrare agli studenti quanto noi siamo debitori alla cultura ebraica".
Con queste parole il ministro dell'Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara saluta la nascita del primo videogioco che racconta la storia della presenza ebraica a Roma. "Menorah - The Game" è una caccia al tesoro virtuale che vede protagonisti due giovani ricercatori, Anna e Gavriel, in cui il giocatore verrà coinvolto nella storia e nella tradizione dell'ebraismo. Il gioco è una produzione della società "Golem Multimedia", dell'editore Shulim Vogelmann e del giornalista David Parenzo e viene presentata oggi 18 maggio a Roma al Museo ebraico, alla presenza di una rappresentanza delle scuole. L’app è stata sviluppata in collaborazione con l'associazione TuoMuseo e con il sostegno di Admiral Gaming Network (Agm).  L'iniziativa, promossa dalla Fondazione Museo Ebraico per Roma, è una componente del "Progetto edutainment", che intende ripercorrere la storia ebraica attraverso il gioco, scoprendo antiche tradizioni, simboli e significati che si ritrovano nel percorso del Museo di Roma.
  A spiegare in dettaglio l'iter del progetto è lo stesso Valditara: "Abbiamo costruito un gruppo di lavoro coordinato dalla dottoressa Alessandra Veronese per spiegare quanto gli ebrei hanno dato anche alla formazione dell’identità del nostro Paese. Cito una testimonianza del secondo secolo avanti Cristo, in questa straordinaria storia sta scritto che i romani e gli ebrei erano amici, che questi ultimi erano conosciuti come il popolo della buona fede e si sottolinea il contributo ebraico alla storia di Roma".
  E prosegue nel suo excursus storico: "Lo testimonia Giulio Cesare, che aveva una predilezione per la comunità ebraica: una legione ebraica lo salvò ad Alessandria e anche per questo motivo aveva una riconoscenza emotiva nei suoi confronti. Detto questo la comunità ebraica era numerosissima, la più numerosa delle comunità che abitavano la capitale dell’impero: prima dell’invasione araba il 40 percento della Sicilia era di religione ebraica". Si tratta dunque di "un contributo storico straordinario che dobbiamo riscoprire, basti pensare a quanto fatto dalla comunità ebraica durante la prima guerra mondiale, e che dobbiamo valorizzare. Una testimonianza di questo tipo, dunque, e ricostruire 2000 anni di storia è un percorso di dialogo positivo perché si riferisce a tutti, far conoscere questa testimonianza è importante. Per questo oggi voglio appoggiare questa iniziativa".

(Gioconews, 18 maggio 2023)

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«L’Ue evita Israele, ma non i nostri vicini»

L'ambasciatore israeliano: «Bruxelles ci accusa di contraddire i suoi valori, ma noi eleggiamo i rappresentanti e rispettiamo quelli altrui. Ciò va accettato. Con Roma abbiamo ottimi rapporti, la sicurezza del Mediterraneo è un'opportunità di partnership»

di Claudio Antonelli

A Roma si è festeggiato l'anniversario della nascita di Israele la scorsa settimana. Lunedì è stata la volta di Milano. Il neo ambasciatore in Italia, Alon Bar, ha ripristinato le vecchie tradizioni interrotte dal Covid e dal lockdown, Nel capoluogo lombardo ha incontrato la comunità ebraica, i vertici della Regione, Attilio Fontana, e si è recato in stazione Centrale per inginocchiarsi al Memoriale della Shoah, il binario 21. Abbiamo incontrato il rappresentante dello Stato di Israele per condividere alcuni temi di attualità e parlare di Mediterraneo.

- Da quando si è insediato, sono cambiati governi sia in Israele sia in Italia. Il primo ministro Netanyahu è stato a Roma, uno dei pochissimi Paesi che ha visitato dopo l' elezione. Tajani e La Russa hanno visitato Israele. Il presidente della Knesset, Amir Ohana, e il titolare dell'innovazione, Ofir Akunis, sono volati qui. Incontri frequenti. Vede la possibilità di stringere ulteriori legami tra i due Paesi?
  «Credo abbiamo già oggi ottimi rapporti. Ma sono convinto che l'agenda che i nostri Paesi stanno mettendo a terra fornirà ulteriori occasioni. Ad esempio si sta lavorando a un meeting intergovernativo che si terrà in Israele dopo l'estate con una delegazione italiana guidata dal presidente Meloni. Inoltre ci sono tre temi che ci accomunano. Sono l'acqua, l'energia e la sicurezza».

- Sul primo tema a giugno è previsto in Puglia un summit con le vostre aziende: di che tecnologia si parla?
  «La questione è condividere tecnologia idonea a gestire la desalinizzazione. Ma c'è tanto altro. Si sta lavorando a stretto contatto con il ministero dell'Università anche per mettere a terra diversi progetti che l'Italia ha inserito nel Pnrr. Inoltre, non sto a citare la questione del gas e delle energie rinnovabili. Possiamo dire che, nel quadro più allargato del Mediterraneo, se l'Italia cerca Israele anche Israele cerca l'Italia. In un rapporto proficuo che mira a mettere in sicurezza il Mare Nostrum».

- A proposito di sicurezza e terrorismo, ritiene che il nostro Paese debba affrontare la questione del Mediterraneo sfruttando nuove tecnologie nell'underwater?
  «Personalmente non sono un grande esperto del tema del dominio sottomarino. Tra le nostre intelligence e comparti di sicurezza, in generale, esistono ottime relazioni e penso che coinvolgano già quanto accade sotto e sopra il mare. Vale anche per le nostre Marine militari. La sicurezza del Mediterraneo e ovviamente una nostra priorità, e vedo che è un imperativo anche per Roma. Immagino si tradurrà in ulteriore partnership. Cito quella della Guardia di Finanza, che potrà aiutare tutti i Paesi a contrastare i movimenti del terrorismo jihadista, tracciandone i flussi di denaro e le scatole finanziarie».

- Passando a temi più politici. Da oltre quattro mesi in Israele ci sono manifestazioni di piazza e proteste contro le riforme avviate dal governo Netanyahu. La stampa italiana ne ha dato grande risalto. A chi ha descritto Israele come un Paese spaccato in due e sull’orlo della crisi che cosa risponde?
  «Capisco l'interesse per il nostro Paese. Israele è in effetti una nazione interessante e che ha sempre ampia eco. Ma questa è la nostra cultura di confronto e pluralismo politico. Da una ventina di settimane stiamo assistendo a varie manifestazioni sia contro che a favore dell'attuale governo. C'è stato qualche episodio di violenza, ma statisticamente irrilevante. Il resto è manifestazione pacifica. È la base della democrazia: spetta poi a noi trovare una sintesi delle diverse posizioni. D'altronde siamo un Paese nato da interessi diversi tra loro, e spinte che sembrano contrapposte. Lo viviamo come dinamismo».

- La Rappresentanza Ue in Israele ha cancellato la cerimonia diplomatica prevista per la festa dell'Europa, alla quale avrebbe dovuto partecipare il ministro alla Sicurezza, Itamar Ben Gvir. L'Ue l'ha accusato di contraddire i valori del Vecchio Continente. Cambieranno le relazioni?
  «La notizia di per sé mi ha sorpreso. E vero noi abbiamo valori in comune. Ma ero convinto che consistessero nell'affermare reciprocamente che noi eleggiamo i nostri rappresentanti e voi i vostri. Poi ciascuno rispetta le scelte degli altri. Gvir è stato eletto dal popolo. La Ue lo accetti e poi, come si fa sempre in democrazia, si avvia un percorso di dialogo. Anche di critica, per carità. In caso contrario mi viene da dire: se Bruxelles non dovesse gradire il governo Meloni, si metterebbe a cambiarlo? Mi risulta che sia stato eletto dal popolo ... ».

- Beh, allora a quali valori comuni fa riferimento la Rappresentanza?
  «Per rispondere a questa domanda bisognerebbe chiederlo direttamente all'Ue. Anche se va notato che Bruxelles frequenta spesso molti dei nostri vicini di casa, e allora giro io la domanda: quali valori di democrazia hanno in comune con loro?».

- A proposito di rappresentatività, lei conosce bene le dinamiche dell'Onu, visto che per anni per conto del ministero degli Affari esteri si è dedicato alle organizzazioni internazionali. In merito alla tematica palestinese, crede che la posizione dell'Italia in sede Onu possa cambiare? Mi riferisco al fatto che a Roma adesso c'è un governo di centrodestra.
  «Da diversi anni Israele viene discriminato sistematicamente nelle sedi Onu. Per principio. Questa posizione politica non fa bene all'Onu né alla causa dei palestinesi che ne escono in ogni caso strumentalizzati. Per quanto riguarda Roma, vediamo dei cambiamenti. Credo che i buoni rapporti tra i due governi e anche il fatto che condividano numerosi principi possano aiutare un cambio di passo all'Onu. Principalmente per il bene dell'organizzazione che così potrà recuperare credibilità ed essere più efficace».

- A proposito, l'altro giorno Abu Mazen ha chiesto la vostra sospensione dal Palazzo di Vetro. Invece, lei vede spunti concreti nella prossima agenda?
  «Ad esempio un modo concreto per mettere l'Onu su una nuova strada c'è. Il 24 maggio sarà votata una risoluzione avviata dall'Oms sulle condizioni di salute dei palestinesi e di chi vive nel Golan. E’ l'ennesima mossa pretestuosa e sembra, come al solito, una scelta politica. Ecco, questa sarà la prossima tappa in agenda anche per la diplomazia italiana».

- Passando alla politica estera, crede che in caso di sconfitta di Erdogan la Turchia possa avvicinarsi all'Europa o possa cambiare la politica verso Siria e Libano?
  «Non abbiamo indicazioni in questo senso. So che i rispettivi ambasciatori proseguono nel lavoro di stabilizzazione dei rapporti e quindi della regione.

(La Verità, 17 maggio 2023)
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Ottima l’intervista all’Ambasciatore di Israele in Italia; solo un piccolo appunto: evidentemente è sfuggito al giornalista che gli ebrei non si inginocchiano mai, e quindi l’Ambasciatore non si è inginocchiato al Memoriale di Milano. Emanuel Segre Amar

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Il Codice Sassoon donato a un museo israeliano

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L’aveva esposto brevemente dal 23 al 29 marzo scorso, prima che venisse messo all’asta. Ora il Museo del popolo ebraico (Anu) di Tel Aviv entra definitivamente in possesso del Codice Sassoon. La versione manoscritta più antica e completa della Bibbia ebraica è stata acquistata dalla famiglia del 93enne avvocato di Baltimora Alfred H. Moses, ex ambasciatore statunitense in Romania (tra il 1994 e il 1997), con l’intento di farne dono al museo israeliano.
  Durante l’asta battuta da Sotheby’s a New York il prezzo d’acquisto raggiunto dal Codice il 17 maggio è stato di 38,1 milioni di dollari. Alla vigilia dell’asta era valutato tra i 30 e i 50 milioni di dollari.
  Fino al 2021, il record per il libro più costoso mai venduto era detenuto dal Codice Leicester, un manoscritto di Leonardo da Vinci acquistato da Bill Gates nel 1994 per 30,8 milioni di dollari. Fu detronizzato dalla prima stampa della Costituzione americana, acquistata per 43,2 milioni di dollari dall’investitore Ken Griffin.
  Il Codice Sassoon fu probabilmente copiato tra il Nono e il Decimo secolo d.C. Quasi mille anni dopo, il suo stato di conservazione è quasi perfetto. Mancano solo cinque pagine (con i primi dieci capitoli della Genesi). È possibile seguirne la traccia attraverso i secoli grazie agli appunti lasciati dai vari proprietari. Se ne persero le tracce intorno al XIII secolo, quando fu distrutta la sinagoga nel nord della Siria dove la copia della Bibbia veniva utilizzata.
  Il Codice riemerse 600 anni dopo, nel 1929, durante un’asta nella quale venne acquistato da colui che gli diede il suo nome attuale: David Solomon Sassoon (1880-1942), un britannico proprietario della più importante collezione di testi ebraici al mondo. Da quel momento il Codice è sempre rimasto in mani private. Fino a pochi giorni fa era di proprietà di Jacqui Safra, un banchiere svizzero con antenati siriani.

(Terrasanta.net, 18 maggio 2023)

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Combattere l’antisemitismo online: l’intervista all’israeliano Tomer Aldubi

di  Sarah Tagliacozzo

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Tomer Aldubi è un giovane israeliano fondatore di Fighting Online Antisemitism (FOA), una incredibile organizzazione non governativa dedita a combattere l’antisemitismo online, monitorando e lottando per la rimozione di attacchi antisemiti e di negazione della Shoah. Istituita nel 2020, FOA collabora con il governo israeliano, soprattutto con il ministero dell’educazione, con organizzazioni non governative e con la società civile in numerosi Paesi. FOA è parte dell’International Network Against Antisemitism (INACH) che lavora con la Commissione europea, ha formato oltre 300 volontari internazionali che monitorano l’antisemitismo online regolarmente, in numerose lingue, su oltre una decina dei principali social network del mondo, quali Facebook, Twitter, Google. Alla Conferenza EJA di Porto, Tomer ha spiegato come FOA si avvalga dell’impegno di numerosi volontari per monitorare e intervenire contro contenuti antisemiti online. Solo TikTok, secondo la sua esperienza, rimuove al 100% i contenuti denunciati, mentre le altre piattaforme rimuovono circa il 50% di quanto viene segnalato. Sfruttando hashtag, intelligenza artificiale e sostegno istituzionale, FOA lavora ininterrottamente da 3 anni per migliorare la sicurezza degli ebrei nel mondo.

- Come è nata l’idea di FOA? 
  Mia nonna è sopravvissuta alla Shoah. È sempre stata la mia ispirazione principale. Ci sono molte ONG che affrontano il tema dell’antisemitismo, della negazione della Shoah, ma siamo forse l’unica che monitora piattaforme in diverse lingue con volontari. Abbiamo infatti una grande comunità di volontari che controlla le piattaforme.
  La maggior parte delle ONG e dei governi monitorano e basta. Trovano milioni di link online, ma non li denunciano e non li rimuovono perché non hanno volontari o una comunità che lo faccia. Servono centinaia di volontari. Quindi trovano milioni di link che rimangono online. Noi invece ci focalizziamo su monitorare, denunciare e rimuovere.

- Ci sono nuove piattaforme su cui avete cominciato ad operare?
  Operiamo già su piattaforme come Facebook, Twitter, Youtube, Spotify, Telegram, Linkedin e cominceremo anche su Reddit e Discord. Le nostre capacità però sono abbastanza limitate. 

- Pensi che chiunque possa combattere l’antisemitismo online?
  Chiunque lo può fare. È però importante imparare a capire come e quali contenuti vengono rimossi e quali no. Anche se è facile denunciare, si possono ricevere feedback, ad esempio su facebook, che il contenuto non è stato rimosso e dopo un paio di volte che il contenuto denunciato non viene rimosso l’utente smette di denunciare. Antisemitismo e negazione della Shoah si possono far rimuovere. È anche per questo che ci impegniamo nel training.

- Pensi che si dovrebbero commentare post antisemiti?
  Commentare è fondamentale, ma è importante ricordarsi che i commenti favoriscono un aumento del traffico online (un commento porta ad un altro e se condividi il post aumenta la visibilità del contenuto antisemita). Consiglierei di commentare soprattutto quando si tratta di odio antisraeliano, sotto post che riguardano il conflitto, Israele, Palestina o sotto post che negano la Shoah, ma è importante denunciare il contenuto per farlo rimuovere.

- In pochi passi, riesci a spiegare a chiunque come combattere l’antisemitismo online, a prescindere dalle capacità tecnologiche?
  Consiglio a tutti di registrarsi sul nostro sito web (https://foantisemitism.org/it/). Ogni due settimane organizziamo training per i volontari ed insegniamo come rimuovere contenuti e quali contenuti vengono rimossi e quali no. Inoltre spieghiamo sul sito come denunciare un contenuto online su diverse piattaforme. Chi vuole può mandarci anonimamente anche solo il link, lo controlleremo e lo faremo rimuovere. È molto facile.

(Shalom, 17 maggio 2023)

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Se l’Onu piange la nascita d’Israele

Europa e America contro il primo “Nakba Day” delle Nazioni Unite

Il 29 novembre 1947, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione che sancì la fondazione di uno stato ebraico nell’allora ex Palestina mandataria. Il riconoscimento da parte delle Nazioni Unite del diritto del popolo ebraico a fondare il proprio stato è irrevocabile, almeno sulla carta. Questo diritto è il diritto naturale del popolo ebraico ad essere, come tutti gli altri popoli, padrone del proprio destino nel proprio stato sovrano. Per i palestinesi, invece, è la “nakba” (catastrofe). Sei paesi arabi (Egitto, Siria, Libano, Transgiordania, Arabia Saudita e Iraq) invasero Israele a poche ore dall’indipendenza, con un attacco che Azzam Pasha, Segretario generale della Lega araba, definì “una guerra di sterminio, un colossale massacro di cui si parlerà come dei massacri mongoli e delle crociate”.
  Adesso per la prima volta le Nazioni Unite organizzano un evento che segna il “Giorno della Nakba” palestinese all’Assemblea generale. Lo scorso novembre, 90 paesi su 193 membri delle Nazioni Unite hanno votato per commemorare ufficialmente il “Nakba Day”. Gli Stati Uniti e il Regno Unito, insieme ad altri paesi europei, hanno dichiarato che non avrebbero partecipato.
  Nelle scorse ore, da Gaza sono stati lanciati quasi mille missili sulle città d’Israele, raggiungendo Gerusalemme e Tel Aviv, dopo che Israele aveva eliminato i comandanti militari del jihad islamico. Nello stato ebraico c’è anche l’ondata di attentati dalla Cisgiordania. Il ciclo dell’intossicamento non sembra dunque avere mai fine. Israele non accetta la soluzione approntata nel 1948 per gli ebrei da Pasha. E l’Onu non dovrebbe farsi portavoce del fronte del rifiuto. Bene che America ed Europa stiano alla larga.

Il Foglio, 17 maggio 2023)
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È interessante notare che oltre 45 nazioni non hanno partecipato alla cerimonia/commemorazione, e tra queste ben 10 sono europee. L’Italia (bisogna ringraziare il cambiamento imposto dal governo Meloni) è tra queste, insieme a Grecia, Bulgaria, Repubblica Ceca e Ucraina (anche per questa nazione si tratta di un cambiamento interessante, da seguire nel prossimo futuro). Emanuel Segre Amar

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Israele, ritrovato un enorme carico di una nave mercantile di 1800 anni fa

di Jacqueline Sermoneta

È il più antico carico marittimo del suo genere mai scoperto nel Mediterraneo orientale. Rinvenuti a circa 200 metri della costa di Beit Yanai, a nord di Netanya, reperti di marmo di epoca romana, datati 1800 anni fa: capitelli in stile corinzio decorati con motivi vegetali, colonne alte fino a 6 metri e un grande architrave. Tutti elementi architettonici destinati, con ogni probabilità, a un maestoso edificio pubblico, un tempio o un teatro. Il sito archeologico era già conosciuto da tempo, ma la posizione esatta del carico, dal peso di 44 tonnellate, è stata rivelata solo poche settimane fa, quando una tempesta nella zona ha spostato la sabbia, portando alla luce alcune colonne. A scoprirlo un cittadino israeliano, Gideon Harris, che, nuotando nelle acque antistanti la spiaggia di Beit Yanai, si è imbattuto per caso nei reperti, allertando subito la Israel Antiquities Authority (IAA). “Eravamo a conoscenza dell'esistenza di questo carico inabissato da molto tempo. - ha spiegato Koby Sharvit, direttore dell'Unità di Archeologia subacquea presso l'IAA, “ma non sapevamo dove si trovasse esattamente perché era ricoperto di sabbia, e quindi non potevamo fare indagini. Le recenti tempeste nella zona devono averlo portato alla luce e, grazie all'importante segnalazione di Gideon, abbiamo potuto registrarne l'ubicazione e svolgere indagini archeologiche preliminari, che porteranno a un progetto di ricerca più approfondito”.
  È probabile che il marmo provenisse dall'odierna Turchia o dalla Grecia e fosse diretto verso una località lungo la costa levantina meridionale, come Ashkelon o Gaza o forse anche Alessandria d'Egitto, dove sarebbe stato utilizzato per la costruzione di un grande edificio. Tuttavia, sembra che la nave mercantile sia stata travolta da una tempesta in acque poco profonde e di conseguenza il carico non sia mai arrivato a destinazione. “Dalle dimensioni degli elementi architettonici – ha aggiunto lo studioso - possiamo calcolare la grandezza della nave; stiamo parlando di una nave mercantile che avrebbe potuto trasportare un carico di almeno 200 tonnellate. Questi pezzi pregiati sono tipici di edifici pubblici maestosi e di grandi dimensioni. Anche nella città di Cesarea del periodo romano gli elementi architettonici furono realizzati in pietra locale, ricoperta di intonaco bianco per imitare il marmo. In questo caso, però, stiamo parlando di marmo vero”.
  I reperti hanno permesso di risolvere un antico quesito: “se gli elementi architettonici importati [in Israele], risalenti al periodo romano, fossero stati scolpiti prima nella loro terra d’origine o se fossero, invece, terminati nel luogo di destinazione. - ha aggiunto Sharvit - Il ritrovamento conferma che alcuni pezzi lasciarono la cava di marmo proprio come materia prima di base, altri furono scolpiti solo in parte. In seguito, venivano rifiniti e terminati nel sito di costruzione da artigiani locali o artisti provenienti da altri Paesi, come anche da mosaicisti specializzati, che si trasferivano da un luogo all'altro seguendo progetti commissionati”.

(Shalom, 17 maggio 2023)

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L’ambasciatore di Israele a Milano per la festa del 75° anniversario dalla fondazione

Palazzo Reale in festa per il settantacinquesimo compleanno dello Stato di Israele; politica, emozioni e ricordi in nome dell’amicizia fra Italia e Israele.

di Roberto Zadik

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Una serata da ricordare, quella di lunedì 15 maggio, quando, nella sontuosa sala delle Otto Colonne a Palazzo Reale, si è tenuto l’importante evento di celebrazione dei settantacinque anni dalla nascita dello Stato d’Israele. L’iniziativa, organizzata dalla Comunità ebraica milanese, in collaborazione con l’Ambasciata d’Israele in Italia, e brillantemente presentata da Alberto Jona Falco, speaker ufficiale della serata, ha preso il via con un aperitivo e la performance della cantante lirica Julia Eliashov che ha intonato classici della musica israeliana come Yerushalaim shel Zahav (Gerusalemme d’oro) della cantautrice Naomi Shemer. Successivamente vi sono stati una serie di importanti interventi, primo dei quali quello del neo ambasciatore israeliano Alon Bar che, come ha ricordato Falco, «è nato in un Kibbutz storico dell’Hashomer Hatzair, che ha appena festeggiato centodieci anni».
  Bar ha ringraziato la Comunità ebraica milanese, nella persona del vicepresidente UCEI Milo Hasbani, il Keren Kayemet, Keren Hayesod, ADi – Associazione Amici di Israele, AMPI – Associazione Milanese Pro Israele, Adei Wizo, l’Ufficio del turismo israeliano ed il Comune di Milano per la loro presenza.
L’ambasciatore ha ricordato la grande amicizia che lega Milano e Israele e «i rapporti fra Italia e Israele che sono sempre stati buoni ma che oggi sono migliorati più che mai e lo dimostrano occasioni importanti come la recente visita a Roma del premier Netanyahu». Soddisfatto di aver ripreso gli eventi pubblici in rappresentanza di Israele, dopo la pausa del Covid, Bar ha sottolineato il difficile periodo in cui si trova attualmente Israele, bersagliato dal continuo lancio di missili sui suoi centri abitati, e ha ricordato l’uccisione di un cittadino italiano, Alessandro Parini, a Tel Aviv a causa di un attentato palestinese.
  L’ambasciatore ha ribadito poi che «Israele ha il dovere di difendere i suoi cittadini» evidenziando l’importanza della collaborazione fra Italia e Israele che si trovano di fronte a problemi come «la lotta al terrorismo, la sicurezza e le questioni legate all’ambiente e all’energia».
Alon Bar ha evidenziato la necessità di una stretta cooperazione fra i due Paesi e del rafforzamento delle relazioni e ha aggiunto che «è molto importante, sia a livello regionale sia locale, intensificare la collaborazione con Milano e la Regione Lombardia. Grazie di cuore per la vostra pazienza e per la vostra amicizia», ha concluso.
  Subito dopo, Jona Falco ha dato la parola a una serie di personalità, come il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana che ha ricordato come Israele sia stato «disponibile ad aiutarci, nel difficile periodo del Covid, quando, a differenza dell’Europa, aveva le idee ben chiare su come affrontare l’emergenza; tramite l’ambasciatore Dror Eydar, con una costante interlocuzione, abbiamo avuto molti aiuti facendo una serie di passi avanti nel fronteggiare quella situazione». Fontana ha espresso il desiderio di intensificare la collaborazione anche su altri fronti.
  Tra gli interventi istituzionali del mondo ebraico, il vicepresidente Ucei, Milo Hasbani, ha detto di essere molto soddisfatto, riguardo a questo evento, e il presidente comunitario Walker Meghnagi, rievocando il precedente festeggiamento in data ebraica dello Yom Hatzmaut dello scorso 25 aprile, ha evidenziato come la nascita di Israele «ha realizzato un sogno millenario, il desiderio per tutti gli ebrei del mondo di avere finalmente uno Stato». Successivamente Meghnagi ha invitato a sostenere Israele specialmente in questo momento così complesso ricordando che «in quattro giorni sono caduti sul Paese millequattrocento missili e migliaia di persone hanno dovuto abbandonare le loro case e trasferirsi in varie zone di Israele, avendo avuto gravi problemi, specie per i bambini che, in pochi minuti, dovevano andare nei rifugi». Nonostante questo, ha aggiunto che «Israele ha dimostrato di essere una democrazia forte, capace di essere unita nel momento del bisogno».
  Molto intenso poi il discorso del Rabbino Capo, Rav Alfonso Arbib che ha ribadito il tema del ricordo nella tradizione ebraica segnalando che varie volte «noi ebrei siamo accusati di essere ‘fissati’ col passato. Ma questa cosa viene smentita da Israele, Stato focalizzato sul futuro». Egli ha ricordato come «passato e futuro per noi ebrei sono estremamente collegati fra loro. L’idea è che non si possa proiettarsi nel futuro se non si analizza il proprio passato e credo che lo Stato di Israele rappresenti una esplosione di futuro con solide radici nel passato, che danno a Israele la visione e la base per continuare ad esistere».
  È intervenuto poi il presidente del Senato Ignazio La Russa, a sostegno dell’amicizia fra Italia e Israele, ricordando la celebrazione avvenuta, assieme al presidente della Knesset, in contemporanea alla celebrazione della prima seduta del Senato della Repubblica: «Nella stessa giornata in cui voi celebrate il ritorno del popolo ebraico nella terra agognata per secoli». La Russa ha ribadito la «solidarietà dell’Italia verso Israele e la centralità della concordanza delle forze politiche riguardo alla difesa di Israele contro chiunque tenti di minacciare la sua sopravvivenza» che, tuttavia, non sarebbe servita a nulla se il popolo di Israele non avesse avuto «la forza, la tenacia e la perseveranza di difendere la propria libertà battendosi contro chiunque attentasse alla sua sopravvivenza».
  Per le istituzioni milanesi, a portare i saluti del sindaco Sala e del Comune di Milano, è stato l’assessore al Bilancio e al Patrimonio Immobiliare, Emmanuel Conte che ha messo in luce «la rilevanza storica di questa celebrazione e della dichiarazione di Indipendenza del 14 maggio 1948, una pagina storica molto importante per tutti noi. Il nostro compito è quello di continuare la collaborazione e l’antica vicinanza di Milano a Israele e aumentare la nostra sinergia con la Comunità ebraica milanese che è una pianta rigogliosa nel tessuto cittadino».
  A conclusione degli interventi, Kalanit Goren Perry, direttrice dell’Ufficio Nazionale del Turismo israeliano, ha sottolineato la stretta collaborazione fra Israele e Italia ed il grande flusso di turisti israeliani in Italia e di italiani che visitano Israele «scelto recentemente dalla stampa italiana come migliore destinazione per il turismo».
Soddisfatto della serata, il presidente di ADI e promotore dell’iniziativa, Eyal Mizrahi, ha messo in luce come Alon Bar sia uno dei pochi ambasciatori ad aver tenuto un discorso in italiano, dopo pochi mesi di permanenza in Italia, e di come «un evento organizzato in poco tempo sia stato un successo».
  L’ultima parte della serata è stata segnata dalla degustazione del risotto alla milanese, seguita dall’esecuzione degli inni nazionali dei due Paesi, intonati con intensità dalla cantante Julia Eliashov. Infine, il taglio della torta dedicata a Israele, eseguito dal presidente Meghnagi, dal Rabbino Capo Rav Alfonso Arbib, dall’ambasciatore Alon Bar e dal vicepresidente Ucei Milo Hasbani.

(Bet Magazine Mosaico, 16 maggio 2023)

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Talmud, il precetto della traduzione

di Daniele Coppin

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Grande emozione ha suscitato a Napoli, lo scorso Shabbat, il “sium masechtà” per la fine della traduzione del trattato Sanhedrin del Talmud Yerushalmi da parte di Luciano Tagliacozzo, parnas della sinagoga e figura di spicco della comunità partenopea. Come ha sottolineato rav Cesare Moscati, rabbino capo della città, il sium masechtà è Mitzvà per chi lo compie e grande merito per chi partecipa a un evento così importante che avviene molto di rado nelle Comunità. Nel corso della tefillah di Shakhrit, prima della derashà di rav Moscati, Tagliacozzo ha letto e tradotto le ultime righe del trattato, come è consuetudine in questi casi, commentando il testo alla presenza del pubblico.
  Lo studio di Tagliacozzo, da sempre impegnato nell’approfondimento e nella traduzione di testi condividendone i contenuti con tutti coloro che sono interessati ad accrescere la conoscenza degli insegnamenti dei Maestri dell’ebraismo, dimostra una volta di più come la Comunità di Napoli, pur se numericamente piccola, riesce a mantenere una vivacità culturale e spirituale che può essere d’esempio a tante altre piccole realtà ebraiche e che, di pari passo con tutto il Sud Italia, può rappresentare un fattore di rinascita dell’ebraismo meridionale che tanto ha dato, in un lontano passato, alla cultura e alla tradizione ebraica. Per questo riteniamo sia giusto complimentarci con lo studioso con un grande hazzak!

(moked, 16 maggio 2023)

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“Italia-Israele, rapporti mai così positivi”

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Rapporti sempre più solidi che permettano di affrontare insieme le sfide di domani, dalla sicurezza all’energia, dalle risorse idriche all’ambiente. Italia e Israele guardano al futuro insieme e lo fanno con una cooperazione sempre più stretta, come hanno evidenziato le autorità intervenute a Palazzo Reale a Milano dove la Comunità ebraica cittadina, in collaborazione con l’ambasciata d’Israele, ha organizzato un partecipato evento per festeggiare i 75 anni della fondazione dello Stato ebraico. A ribadire in particolare lo stretto legame tra Roma e Gerusalemme l’ambasciatore israeliano Alon Bar. “I rapporti tra Italia e Israele sono sempre stati buoni, ma oggi più che mai” ha detto il diplomatico, protagonista dell’intervista del mese su Pagine Ebraiche.
  A rimarcare il ruolo d’Israele per l’ebraismo italiano (e non solo) sono stati poi il rabbino capo di Milano rav Alfonso Arbib, il vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Milo Hasbani e il presidente della Comunità milanese Walker Meghnagi. Ha invece ribadito l’impegno dell’Italia al fianco d’Israele il presidente del Senato Ignazio La Russa. “Voglio assicurare come da parte mia e del governo italiano vi sia piena concordanza sulla necessità di tenere come prioritaria la difesa della libertà e indipendenza di Israele contro chiunque tenti di minacciarle. – ha dichiarato La Russa, affiancato dal presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana – Onore a chi vuole stare accanto al popolo e alla libertà di Israele”. Per l’assessore al Bilancio del Comune, Emmanuel Conte, è importante ricordare il ruolo della democrazia israeliana nel panorama mediorientale.
  Nel corso della giornata l’ambasciatore si è anche recato in visita al Memoriale della Shoah di Milano. Un luogo che “che ogni cittadino italiano deve visitare. Da lì venti treni con ebrei e oppositori furono inviati a morte certa. Solo pochi sono sopravvissuti”, ha ricordato Bar. “Questo monumento rende un vero e proprio servizio, non solo onorando la loro Memoria, ma anche offrendo valori educativi e ospitando l’Osservatorio contro l’antisemitismo del Cdec”.

(moked, 16 maggio 2023)

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Cipro e Israele in trattative per un gasdotto offshore

Cipro e Israele stanno discutendo di un gasdotto che colleghi i loro giacimenti di gas, ma il ministro dell'Energia cipriota propone invece un corridoio marittimo per il trasporto di gas liquefatto, sottolineando l'importanza dell'approvvigionamento di gas naturale e la ricerca di alternative efficienti.

Cipro e Israele sono attualmente impegnati in discussioni sulla costruzione di un gasdotto che collegherebbe i rispettivi giacimenti di gas offshore, come ha rivelato lunedì George Papanastasiou, ministro dell’Energia di Cipro.

• Gasdotto Cipro-Israele: una soluzione in 18 mesi secondo Papanastasiou
  Tuttavia, Papanastasiou sembra sminuire le possibilità del proposto gasdotto“EastMed“, che porterebbe il gas dal Mediterraneo orientale all’Europa continentale. Suggerisce invece la creazione di un corridoio marittimo da un hub a Cipro, che consenta il trasporto di gas liquefatto.
  Papanastasiou sottolinea che l’obiettivo principale è quello di ottenere una generazione di elettricità a basso costo, concentrandosi sulla fornitura di gas naturale della regione. Dopo aver informato un partito dell’opposizione sui piani energetici della nuova amministrazione, Papanastasiou ha dichiarato ai giornalisti che il 29 maggio è previsto un workshop a Cipro con gli operatori del settore. Ha inoltre rivelato che la costruzione di un impianto di liquefazione richiederebbe circa 2,5 anni, mentre la costruzione di un gasdotto che colleghi Cipro a Israele richiederebbe circa 18 mesi.

• I negoziati continuano: in gioco il futuro del gas naturale nella regione
  Da un decennio si discute della costruzione di un gasdotto di 2.000 chilometri per trasportare il gas dal Mediterraneo orientale all’Europa. Il progetto aveva la possibilità di ricevere un finanziamento parziale dall’Unione Europea. Tuttavia, l’iniziativa ha subito una battuta d’arresto all’inizio del 2022, quando gli Stati Uniti hanno ritirato il loro precedente sostegno, motivando la loro decisione con i costi elevati e i tempi di costruzione più lunghi.
  Papanastasiou propone una soluzione alternativa, suggerendo che invece di un gasdotto tradizionale, si potrebbe stabilire un collegamento tra Israele e l’Europa attraverso Cipro. Questo “corridoio” consentirebbe il trasporto di gas liquefatto e potrebbe potenzialmente fungere da gasdotto virtuale. Papanastasiou insiste sul fatto che il gas liquefatto potrebbe essere spedito da Cipro verso qualsiasi mercato, compreso quello asiatico.
  Sebbene le prospettive del gasdotto EastMed possano essere svanite, i negoziati in corso tra Cipro e Israele dimostrano l’impegno a esplorare alternative valide per un trasporto efficiente del gas naturale dalla regione del Mediterraneo orientale. Mentre le discussioni proseguono e le parti interessate si riuniscono per il prossimo workshop, l’attenzione si concentra sul raggiungimento di una produzione di energia efficace dal punto di vista dei costi, sfruttando al contempo il potenziale del trasporto di gas liquefatto.

(energynews, 16 maggio 2023)

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Qumran, nel deserto la millenaria biblioteca degli ebrei

Torpedoni turistici nell'antico rifugio di una 'comune' ascetica

di Aldo Baquis

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TEL AVIV - A pochi chilometri dall'oasi di Gerico e dalla riva nord del Mar Morto, uno dei luoghi più frequentati dai turisti, israeliani e stranieri, è il Wadi Qumran. In questa zona arida del deserto di Giudea gli escursionisti scendono oggi dai loro torpedoni climatizzati per intraprendere un viaggio nel tempo che li riporta indietro di oltre 2.000 anni, quando in questo angolo di terra abitavano i membri della setta 'Yahad' (gli 'uniti').
  Storici antichi li chiamarono 'Esseni'.
  Da questa modesta altura lo sguardo scorre dal Mar Morto verso uno sperone roccioso più vicino. Qua si trovano le grotte in cui il secolo scorso furono recuperate centinaia di pergamene (e anche di papiri) con testi ebraici, aramaici e greci risalenti ad un periodo compreso fra il terzo secolo a.C, fino al 68 d.C., quando Qumran fu distrutta dalle legioni romane.
  Protetti dal clima secco del deserto questi testi di importanza straordinaria per la comprensione delle radici dell'ebraismo e anche del primo cristianesimo si sono conservati in maniera straordinaria e in buona parte possono essere visti nel Museo Israel di Gerusalemme. Quella occultata nelle grotte di Qumran era in effetti una incredibile biblioteca che per circa due secoli fu custodita, ed arricchita di continuo, dai membri della setta.
  I visitatori vengono condotti in un ambiente che ricrea lo stile di vita dei membri della setta. E' stato possibile stabilire che erano organizzati in una sorta di comune: pranzavano assieme, due volte al giorno, pregavano assieme, e condividevano con gli altri membri i propri beni personali.
  Ritenendosi 'Figli della luce' ('Bney Or'), ossia i prescelti da Dio, vestivano solo tuniche bianche di lino per ostentare la propria purezza. I 'mikve' (bagni rituali) ritrovati sul posto confermano che annettevano grande importanza ad abluzioni purificatorie quotidiane.
  Ai visitatori vengono mostrati anche capi di abbigliamento trovati nelle grotte della zona compresa fra Qumran e la vicina fortezza di Massada. Un tipo di sandali senza chiodi, vestiti di lana, calze. Fra i ruderi vi è anche quanto resta di una sala definita uno scriptorium. Qui a quanto pare venivano dispiegati i rotoli delle pergamene per essere compulsati nella loro interezza. In altri locali i membri della setta si producevano nella scrittura dei testi con una ottima calligrafia ebraica, ancora oggi perfettamente leggibile. Secondo quanto spiega la Autorità israeliana per le antichità, fra i frammenti sono stati scoperti alcuni testi scritti in apparenza con un codice segreto. Sono state trovate le loro penne che venivano intinte in calamai colmi di un inchiostro nero prodotto con cenere, resina, olio ed acqua. Mentre il calendario ebraico è lunare, a Qumran si osservava un calendario solare: lo conferma fra l'altro una meridiana orizzontale trovata sul terreno che mostra all'interno cinque cerchi concentrici e che indica le approfondite conoscenze astronomiche dei membri della setta (confermate anche in uno dei testi trovati nelle grotte).
  Secondo alcuni, ci sarebbero anche riferimenti zodiacali. I membri della setta avevano cognizioni approfondite di medicina, botanica e mineralogia.
  Per decenni i testi rinvenuti a Qumran hanno affascinato studiosi di numerose discipline. Quello che era all'epoca un luogo appartato di asceti in aspra polemica teologica con l'establishment di Gerusalemme, è adesso un polo di attrazione per turisti incuriositi di avvicinarsi ad una comunità rimasta numericamente esigua fino alla sua uscita di scena, ma caratterizzata da orizzonti intellettuali vasti come il deserto di Giudea.

(ANSA, 16 maggio 2023)

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La sigaretta elettronica nel mirino di Israele: possibile divieto totale

Arrivano ulteriori conferme da Israele.

di Giuseppe Fortunato

Israele potrebbe addirittura arrivare a vietare l'uso della sigaretta elettronica.
  Meglio dirsi, potrebbe vietarne la vendita sul territorio nazionale e qualsivoglia forma di commercializzazione.
  Sono i dati che hanno fatto risuonare l'alert presso le stanze del Governo di Tel Aviv: secondo i numeri a disposizione degli esperti del Primo Ministro Benjamin Netanyahu, infatti, il consumo di sigarette elettroniche sarebbe letteralmente esploso nella fascia di età compresa tra i 12 ed i 14 anni.
  Un +300% nell'arco di un solo anno.
  Ed è più che chiaro come, in tale vicenda, vi sia lo zampino molto marcato delle usa e getta.
  La diffusione del fenomeno, tuttavia, appare essere intollerabile per Israele che, quindi, "rischia" di adottare soluzioni che finirebbero per travolgere - come spesso accade - anche gli interessi di quegli adulti fumatori che stanno usando la soluzione svapo per dire addio alla dipendenza dal tabacco.
  Un aspetto, questo, che poco interessa ai tecnici di Netanyahu che hanno deciso di intervenire in modo alquanto risoluto.
  Le possibilità sono essenzialmente due: o ci si limiterà a vietare gli aromi nei liquidi con "gusto" differente a quello basale al tabacco o, in una ipotesi ancora più estrema, si bannerà completamente il mercato del vaping.
  Oltre al forte boom nei consumi tra gli adolescenti, vi sono stati due fatti di cronaca che hanno fatto risuonare il campanello dell'emergenza: due ragazzini, di circa 15 anni, infatti, sono finiti in ospedale "dopo aver fatto uso di una sigaretta elettronica".
  Accertato che a quell'età non si debba in modo perentorio né fumare né svapare, è tuttavia da comprendere se i medesimi abbiano fatto uso di un dispositivo conforme o se di uno recuperato attraverso i sempreverde canali del contrabbando.
  Perchè tutti ricordiamo come il fenomeno Evali sia stato una tempesta che ha sconvolto, per diversi mesi, il mercato mondiale dello svapo ma che coi prodotti ufficiali non aveva nulla a che vedere.

(skyvape, 16 maggio 2023)

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Si chiama Echo, è israeliano e potrebbe essere l'incubo peggiore per la nostra privacy

L’idea è tanto semplice quanto pericolosa: acquistare e processare i dati personali che ciascuno di noi abbandona online, per poi rivenderli ad agenzie di intelligence e forze di polizia di mezzo mondo.

di Guido Scorza

Si chiama Echo, viene dalla Rayzone, una società israeliana specializzata in servizi di cybersecurity e cyber intelligence e potrebbe essere uno degli incubi per la nostra privacy più spaventosi di sempre almeno a leggere il pezzo che Ryan Gallagher ha appena scritto per Bloomberg.
  L’idea è tanto semplice quanto pericolosa: acquistare e processare i dati personali che, più o meno consapevolmente, ciascuno di noi abbandona online lasciandosi profilare a scopo pubblicitario e poi rivenderli ad agenzie di intelligence e forze di polizia di mezzo mondo perché li utilizzino per le loro esigenze acquisendo, tra l’altro, la capacità di geolocalizzarci.
  Quelli che Bloomberg mette in fila, pur in assenza di conferme da parte della società fornitrice del servizio, sembrano i classici indizi precisi e concordanti.
  E, d’altra parte, alcune certezze ci sono.
  La società, innanzitutto, esiste, è viva e vegeta, fornisce esattamente questo genere di servizi e ha effettivamente rapporti con decine di Governi.
  E esiste, certamente, anche Echo.
  La società non lo pubblicizza per nome sul proprio sito internet sul quale, pure, promuove servizi che ne evocano le funzionalità ma basta giocare un po’ con un motore di ricerca per imbattersi in un documento in .pdf, stampato su carta intestata della Rayzone Group, pubblicato sul sito istituzionale del Governo di Tel Aviv, nel quale, nel portfolio dei prodotti della società compare proprio lui: Echo.
  Il servizio è descritto così: “Echo - Global Virtual Sigint System è un sistema strategico, che fornisce alle agenzie di intelligence e alle forze dell'ordine un'ampia e trasparente informazione sugli utenti di Internet”.
  E non basta perché navigando a ritroso online, si ritrovano tracce dell’utilizzo di Echo almeno da parte del Governo messicano già tra il 2019 e il 2020, quando, forse, Rayzone era più generosa di informazioni sul proprio “gioiello tecnologico”, perché la stampa online dell’epoca, racconta che la società israeliana lo descriveva così: “un metodo di raccolta completamente stealth su qualsiasi utente di Internet.
  ECHO è indipendente dal tipo di dispositivo, dal sistema operativo o dalla versione e non richiede la preinstallazione di alcuna apparecchiatura fisica.
  ECHO fornisce una piattaforma basata sul Web che consente agli utenti di accedere immediatamente a semplici interrogazioni e a indagini complesse.
  ECHO offre i vantaggi di un approccio centrato sull'obiettivo (raccolta di informazioni su un particolare punto di interesse) e centrato sui dati (raccolta di massa di tutti gli utenti di Internet in un Paese).”.
  Ce n’è abbastanza, insomma, per ritenere che l’incubo tecnologico in questione sia reale e giri ormai da qualche anno.
  Bloomberg, d’altra parte, ha sfogliato il materiale con il quale Rayzone promuove il suo servizio e il claim con il quale ne suggerisce la vendita lascia poco spazio alla fantasia: “Si può scappare, ci si può nascondere, ma non si può sfuggire alla propria eco”.
  Ora, tra le tante, una delle domande più importanti da porsi è: quali sono i Governi che hanno acquistato il servizio, da quando lo usano, per farci cosa?
  Perché quello che è certo è che i dati in questione, se ricondotti a una persona specifica, sono, ormai in grado di mettere letteralmente a nudo la vittima dell’investigazione fornendo a chiunque utilizzi il prodotto ogni genere di informazione personale, personalissima, intima su quest’ultima.
  Sulla vicenda specifica, naturalmente, bisognerà indagare, investigare, capire.
  Frattanto, però, l’occasione, forse, potrebbe servire a suggerirci una volta di più di attribuire il giusto valore alle informazioni sul nostro conto che lasciamo in giro online, ai frammenti della nostra identità personale che abbandoniamo alla deriva sui social o che, più o meno consapevolmente, scambiamo online con servizi e contenuti digitali.
  Ecco, forse, il pensiero che quei dati personali - che, sempre più spesso diamo via a cuor leggero pensando che possano al massimo servire a qualcuno a proporci pubblicità di nostro interesse - potrebbero finire o, magari, già essere finiti, nelle mani di Governi più o meno amici, più o meno democratici, più o meno civili, varrà a renderci più prudenti, più attenti, più interessati a proteggere la nostra privacy.
  O magari non servirà assolutamente a nulla perché, sfortunatamente, c’è ancora troppa strada da fare, in termini di educazione e cultura della protezione dei dati personali.

(L'HuffPost, 16 maggio 2023)

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L’operazione “Scudo e freccia”: un risultato importante per Israele

di Ugo Volli

• UNA PERICOLOSA ROUTINE
  Quella appena terminata (se terrà il cessate il fuoco annunciato sabato notte) è l’ottava operazione di difesa condotta da Israele a Gaza dopo il disimpegno unilaterale del 2005. Le crisi precedenti avvennero a giugno 2006, febbraio e poi dicembre 2008/gennaio 2009; novembre 2012, luglio 2014, maggio 2021, agosto 2022: tutte hanno seguito più o meno lo stesso schema: si inizia con attacchi missilistici provenienti da Gaza più o meno in profondità sul territorio israeliano, sempre su obiettivi civili, parati in parte dal sistema Iron Dome ma comunque capaci di fare danni, vittime e di impedire la vita normale del paese; interviene l’aviazione israeliana che colpisce invece obiettivi militari, tunnel d’attacco, fabbriche d’armi, sistemi di lancio, gruppi e comandanti terroristi. Se l’aggressione contro il territorio israeliano prosegue in maniera intollerabile, diventa necessaria un’operazione di terra che Israele però cerca di evitare per non subire le perdite di militari nel combattimento diretto e per non coinvolgere la popolazione civile di Gaza. Alla fine comunque vi è un cessate il fuoco di solito mediato dall’Egitto, con alcune violazioni iniziali e poi una tenuta per qualche tempo. Si tratta ormai di una routine evidentemente insensata: i terroristi sanno bene che sparare migliaia di razzi contro Israele non li porterà certamente vicini alla vittoria, anche perché un quarto ricadono a Gaza, la metà vanno su terreni vuoti e il resto viene abbattuto da Iron Dome; per caso riescono a fare danni su qualche casa e ad assassinare qualcuno, possono sperare in un colpo fortunato, ma certamente non indeboliscono seriamente Israele, al massimo mostrano al loro pubblico e ai loro sponsor (prima di tutto l’Iran) che sono loro a combattere i sionisti. Israele naturalmente deve difendere la sua popolazione civile e mostrare di saper far pagare il prezzo del terrorismo, ma lo Stato Maggiore delle Forze Armate non crede di poter spiantare i terroristi da Gaza senza rioccupare il territorio, un’opzione esclusa perché troppo costosa in termini di perdite sia israeliane che dei civili di Gaza e che avrebbe un prezzo diplomatico intollerabile.

• LA DISSUASIONE FUNZIONA
  Questa operazione era nell’aria da qualche tempo. Israele temeva che fosse la prova generale della strategia d’attacco multifronti che l’Iran sta perseguendo da tempo. Ma ciò fortunatamente non è accaduto. Sia a Nord-Est (Hezbollah, Siria, l’Iran stesso), sia in Giudea e Samaria (Fatah), sia nelle città arabo-israeliane, sia infine all’interno della stessa striscia di Gaza (Hamas), le forze che avrebbero potuto unirsi all’aggressione terrorista rendendola molto più difficile da gestire hanno invece lasciato solo il movimento della Jihad Islamica, che aveva fatto partire l’attacco per vendicarsi della morte in carcere (peraltro autoinflitta il 2 maggio alla fine di un lungo sciopero della fame) del proprio dirigente Khader Adnan e poi ha subito solo gravi perdite. Ciò dimostra che la deterrenza israeliana continua ad essere molto forte: i nemici sanno che pagherebbero pesantemente ogni atto ostile, mentre se se ne astengono possono avere “calma in cambio di calma”. Come era già accaduto nell’ultima campagna, Israele ha sottolineato quest’impostazione attaccando a Gaza solo gli obiettivi della Jihad Islamica, senza toccare Hamas, che pure ha espresso solidarietà e certamente ha permesso i lanci della Jihad. E’ una scelta rischiosa, perché permette il rafforzamento politico e anche militare di Hamas, ma per il momento funziona, sia nel senso del provocare divisioni fra i nemici, sia esercitando una sorta di pedagogia della dissuasione. I nemici inattivi vedono qual è la sorte di chi attacca e possono immaginare quel che accadrebbe a loro.

• INNOVAZIONI TATTICHE
  Questa campagna ha sviluppato due innovazioni tattiche già sperimentate in parte con successo l’anno scorso. La prima è l’effetto sorpresa. Dopo il centinaio di razzi sparati dalla Jihad in seguito alla morte di Adnan, ci fu una risposta immediata, ma giudicata “molto debole” nelle comunità colpite dal terrorismo e anche nella maggioranza di governo israeliana. Era solo una finta, perché la risposta vera e propria è avvenuta alcuni giorni dopo. Essa è consistita nel colpire direttamente tre capi terroristi dell’organizzazione, cui poi la Jihad ha reagito con altri razzi. L’attacco ai capi terroristi è la seconda innovazione importante. L’aviazione israeliana ha preso come obiettivi non solo le infrastrutture militari (depositi, caserme, centri di avvistamento, tunnel) e i gruppi di fuoco, ma i quadri militari più elevati del terrorismo, eliminandone sei fra i più importanti, tutti direttamente responsabili del terrorismo missilistico, e spesso anche di altri crimini. Si tratta dunque di obiettivi militari legittimi. Per colpirli ha badato nei limiti del possibile che non vi fossero intorno a loro estranei, mirando con grande accuratezza ai locali dove si trovavano, senza abbattere le case di cui essi facevano parte e dunque senza quasi colpire altri abitanti: un grande risultato tecnico sia per i servizi segreti che per chi ha guidato le armi. Inoltre, con la solita procedura di avvertimento (“bussare sul tetto”, cioè mandare una bomba innocua per far fuggire gli abitanti e non colpirli), l’aviazione ha distrutto le case di una trentina di altri dirigenti dell’organizzazione terrorista. Un’altra innovazione importante è stato il primo uso operativo dell’antimissile “Fionda di Davide” che intercetta missili balistici a più lunga gittata di Iron Dome: un’arma di difesa contro armi che vengono da lontano, dunque, per esempio dallo Yemen o dall’Iran

• COSA ACCADE ORA
  Il risultato dell’operazione è molto positivo per Israele, al di là della solite condanne formali delle organizzazioni internazionali, di alcuni stati arabi e della sinistra, peraltro meno forti di qualche anno fa. Le dichiarazioni di “vittoria” che vengono da Gaza sono patetiche. Se gli ultimi mesi di contestazioni e proteste anche nell’aviazione potevano aver dato a qualcuno l’illusione che Israele fosse militarmente e socialmente in crisi, questa speranza è stata delusa. E magari anche all’interno dello stato ebraico molti hanno capito che i pericoli veri per il paese non sono quelli prospettati nelle manifestazioni e che la guida di Netanyahu che è stato il responsabile e il regista di questa operazione di autodifesa, resta una garanzia per la sicurezza del paese. Anche perché nel bel mezzo dei combattimenti ci sono stati dei manifestanti che agitavano bandiere palestiniste: una scelta sciagurata, che ha squalificato moralmente agli occhi di molti israeliani i responsabili.

(Shalom, 14 maggio 2023)

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«Covid, la verità sulle cure boicottate»

Il medico elogiato da Malone (uno dei padri dell'mRna) in un convegno all'Europarlamento: «Sì potevano salvare 190.000 vite, ma per ottenere il via libera ai vaccini bisognava dire che non esistevano trattamenti».

di Angela Camuso

Due anni fa
La scorsa settimana, in una sede istituzionale come l'Europarlamento, lo scienziato americano Robert Malone, nel corso del terzo «International Covid Summit» che ha riunito medici e scienziati da tutto il mondo, ha elogiato l'operato del dottor Andrea Stramezzi durante la pandemia, per aver curato e guarito con terapie domiciliari precoci diverse migliaia di malati di Covid utilizzando farmaci già esistenti, sottolineando tra l'altro la circostanza (raccontata all'opinione pubblica da chi scrive nell'inchiesta andata in onda due anni fa a Fuori dal Coro che ha svelato appunto lo scandalo «tachipirina e vigile attesa») che in Italia le autorità sanitarie già da marzo 2020 erano a conoscenza che il Covid fosse una malattia curabile. Eppure nel nostro Paese, incredibilmente, si è continuato a negare la cura del Covid e sembra che nulla sia cambiato, neanche adesso.

- Dottore, come si sente ad essere, da una parte, elogiato da rappresentanti del Ghota della scienza e dall'altra denigrato e punito in patria? Proprio lei che ha salvato oltre settemila vite umane?
  «Da un lato mi inorgoglisce il fatto che nel mondo stiano riconoscendo l'importanza di ciò che io e molti altri colleghi abbiamo fatto e ciò che abbiamo cercato di raccontare per salvare vite umane. Dall'altro lato però c'è tanta rabbia, una rabbia interiore, profonda, in quanto, come ho detto a Bruxelles all'Europarlamento, 190.000 vite potevano essere salvate. Il fatto cioè che venga riconosciuta la bontà del nostro operato acuisce la rabbia, perché è certo che le persone siano morte a causa di cure negate».

- Lei parla di 190.000 vite che potevano essere salvate. Parliamo del totale delle morti di Covid registrate in Italia. Vuole dire che l'efficacia delle cure precoci rasenta il cento per cento?
  «Assolutamente sì. Io il 15 marzo del 2020 ho cominciato ad avere i primi pazienti che guarivano con una terapia che non era inventata sul nulla, bensì derivava dalle evidenze scientifiche che già all'epoca ci suggerivano che fosse quello l'approccio giusto. In particolare c'era la pubblicazione del professor Anthony Fauci sulla Sars e c'erano gli studi in vitro del professor Didier Raoult. Infatti fin da gennaio 2020, quando il Covid già girava in Italia anche se da noi ufficialmente non avevamo registrato casi e c'era il ministro Speranza che ostentava sicurezza affermando che '' eravamo pronti", io da medico curioso mi sono messo leggere la letteratura scientifica che esisteva sulla Sars. In particolare, in una pubblicazione Fauci affermava come l'idrossiclorochina - come è noto poi criminalizzata - fosse la molecola che aveva risolto la Sars e scrisse pure che questa molecola sarebbe stata la chiave di volta per risolvere future epidemie da coronavirus. Poi ho trovato i lavori del professor Raoult di Marsiglia che aveva appena svolto una ricerca in vitro sul virus di Whuan, evidenziando che l'associazione di idrossiclorochina e azitromicina eliminava il virus. Quindi, basandomi su queste premesse e sulle mie conoscenze di medico che mi portavano a ritenere che l'antinfiammatorio fosse la prima cosa da somministrare in un'infezione perché l'infiammazione spalanca le porte al virus, e tenendo presente anche quanto scoperto da qualche mio collega con cui lavoravo al ministero della Salute che aveva ventilato l'ipotesi che ci fosse un problema di tempesta citochimica, considerato pure che c'era stata la prima autopsia che aveva scoperto che i micro-trombi erano causa di morte, io ho somministrato al mio primo paziente idrossiclorochina, azitromicina, cortisone ed eparina ed è guarito in pochi giorni. A questo punto ho avvertito l'Ordine dei medici e ho scritto al professor Burioni e ho cercato insomma di diffondere questa notizia. Non solo. Pochi giorni dopo l'azienda socio-sanitaria territoriale di Bergamo - siamo sempre a marzo del 2020 - scrive le stesse cose, in una circolare che ho mostrato a Bruxelles: cioè che i medici sul territorio dovevano somministrare ai malati di Covid a domicilio idrossiclorochina, azitromicina ed eparina prima che finissero in ospedale. All'epoca in Italia c'erano solo seicento morti».

- Che fine ha fatto poi quella circolare? Perché non è stata più presa in considerazione?
  «Perché è partita la campagna mediatica suggerita dalle autorità sanitarie che affermavano che gli antinfiammatori non andavano dati, che non andava dato l'antibiotico perché in un'infezione virale l'antibiotico non serviva a niente, che l'idrossiclorochina era inefficace sulla base del famoso lavoro pubblicato da The Lancet e finanziato da Big Pharma e da Bill Gates, poi risultato farlocco tant'è che la pubblicazione fu poi ritirata. Poi, fu detto che il cortisone non andava dato perché inibiva le difese immunitarie senza capire che il cortisone era essenziale nel Covid severo perché si innescava una reazione auto-immune, cioè la tempesta citochimica in cui il nemico non è più la malattia virale respiratoria ma il problema è appunto la reazione anomala e distorsiva del sistema immunitario. Anche l'eparina fu sconsigliata quando invece era essenziale per salvare vite, perché la tempesta citochimica faceva sviluppare i micro-trombi che andavano ad otturare, letteralmente, i piccoli vasi che portano l'ossigeno dal polmone ai globuli rossi. Per questo era inutile aumentare la pressione dell'ossigeno, quindi mettere il casco e intubare le persone se prima non si scioglievano i trombi».

- Invece ancora oggi non sono sostanzialmente cambiate le linee guida, fatto salvo per gli antinfiammatori. Ancora si sconsigliano antibiotico ed eparina a domicilio e ancora si ricorre in ospedale a un utilizzo massiccio della ventilazione meccanica ad alti flussi e alle intubazioni ...
  «Quello che io ho detto a Bruxelles durante l'International Covid Summit è stato chiaro. Le autorità sanitarie hanno sconsigliato le cure perché aspettavano che arrivasse dalle case produttrici dei sieri anti-Covid la richiesta a Ema e Fda dell'autorizzazione in emergenza di questi farmaci non sperimentati adeguatamente, che poteva essere data, come è stata data, proprio in virtù dell'assunto che non esistessero cure e che eravamo in emergenza. Se avessero ammesso che c'erano le cure questi vaccini non sarebbero stati mai autorizzati perché questo c'è scritto nei regolamenti a proposito delle autorizzazioni condizionate».

- Ciò che afferma è gravissimo ...
  «Questa è l'unica spiegazione all'ostruzionismo feroce nei confronti delle cure e alle aggressioni contro i medici che salvavano vite curando in scienza e coscienza da parte degli ordini professionali.

- E infatti lei, dottor Stramezzi, è alla terza convocazione disciplinare. Sembra una persecuzione ...
  «Suppongo sia arrivata dai piani alti una richiesta di farmi radiare anche se per ora mi hanno comminato solo una sospensione di dodici mesi che però non è ancora operativa perché io ho diritto di appellarmi alla Ceps, una commissione nominata, però, da Speranza e da Draghi e quindi non mi aspetto nulla di buono».

- Le autorità, anche ora che il governo è cambiato, continuano a sostenere che la vaccinazione sia stata fondamentale per far calare il numero dei morti e però non dicono che i morti sono stati causati da cure precoci domiciliari negate e cure ospedaliere sbagliate ...
  «Un virus a Rna muta continuamente e quindi non può esistere una vaccinazione efficace e questi cosiddetti vaccini, come ho detto a Bruxelles, non erano e non sono necessari, perché esisteva ed esiste la terapia: una terapia semplice, poco costosa e che tutti possono assumere perché praticamente non ha effetti collaterali. Inoltre questi vaccini sono inefficaci, perché non prevengono il contagio e neppure la malattia e poi sono dannosi, purtroppo, come stiamo vedendo con questa moltitudine di effetti collaterali amplificati da queste dosi ripetute che mandano in tilt il sistema immunitario, il quale non serve solo per prevenire le infezioni ma anche per isolare e distruggere le cellule cancerogene. E uscito in questi giorni un articolo sul Daily Mirror che evidenzia un eccesso di mortalità spaventoso registrato nel 2022 in Gran Bretagna e gli scienziati si chiedono il perché senza però neppure nominare i vaccini antiCovid e questa è una follia. Si dovrebbe sapere, piuttosto, in che misura questo eccesso di mortalità riguarda le persone vaccinate e in che misura riguarda le persone non vaccinate, ma questi dati non ci sono e però devono uscire fuori. Spero che il Parlamento europeo obblighi le autorità a dare risposte».

- Quali conseguenze avrà il summit che si è svolto a Bruxelles?
  «Noi abbiamo portato la verità al Parlamento europeo e non può essere ignorata e qualcuno si farà un esame di coscienza, perché qualcuno è stato finanziato da Big Pharma per raccontare certe cose e qualcun altro, invece, ci ha semplicemente creduto. Qualsiasi persona, indipendentemente dalla patologia che ha e dalla propria età - perché io ho curato anche due centenari e tantissimi novantenni e persone con patologie gravi - può essere curata e può guarire dal Covid, a patto che la terapia venga iniziata nei primi giorni. E’ chiaro che se la cura inizia tardi è più complicato ma anche in questo caso, con le terapie giuste, si può guarire e invece si continua a morire ancora oggi, anche ora che il virus è meno aggressivo di prima. Quanto è accaduto è stata la più grande mistificazione di questo millennio e il più grande omicidio di massa del secolo, che continua ad essere mascherato. La verità però emergerà e i responsabili dovranno pagare».

(La Verità, 15 maggio 2023)

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Le notizie emerse dopo il cessate il fuoco concordato tra Israele e Gaza mediato dall’Egitto

di Letizia De Rosa

Secondo le informazioni emerse da entrambe le parti in contrasto, Israele e il gruppo militante palestinese della Jihad islamica a Gaza hanno concordato una tregua che è ufficialmente in vigore e riporta un minimo di stabilità per i cittadini che hanno vissuto cinque giorni consecutivi di attacchi devastanti.
  Questo evento segna la fine del più grave episodio di violenza transfrontaliera tra Israele e Gaza dal conflitto del 2021. L’Egitto, che ha svolto il ruolo di mediatore, ha invitato tutte le parti coinvolte a rispettare l’accordo, come riportato dal canale televisivo egiziano Al-Qahera News sabato.

• Tregua tra Israele e Gaza dopo un’escalation di violenza di cinque giorni
  Secondo un documento dell’accordo visto da Reuters, la notizia della conclusione dell’accordo riporta esattamente: “alla luce dell’accordo tra la parte palestinese e quella israeliana, l’Egitto annuncia che è stato raggiunto un cessate il fuoco tra la parte palestinese e quella israeliana”, con inizio alle 22:00. L’accordo prevede che entrambe le parti rispettino il cessate il fuoco, che includerà la fine dei attacchi ai civili, la demolizione di case e il prendere di mira le persone. La Jihad islamica ha confermato l’accordo e il portavoce del gruppo, Dawoud Shehab, ha dichiarato che “rispetteremo l’accordo fintanto che l’occupazione [Israele] si atterrà”.
  Come riportato anche da Al Jazeera, l’esercito israeliano ha confermato che ci sarà una valutazione della situazione per quanto riguarda il cessate il fuoco, che coinvolgerà probabilmente il primo ministro Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant e alcuni alti funzionari dell’intelligence militare, nel corso della prossime ore. L’esercito israeliano ha dichiarato che la determinazione del successo del cessate il fuoco sarà basata sulla presenza o meno di ulteriori lanci di razzi da Gaza.
  Poco prima dell’entrata in vigore della tregua alle 22:00, Israele ha riportato un forte lancio di razzi palestinesi verso il sud e il centro del paese, e ha affermato di aver attaccato obiettivi all’interno di Gaza. Dopo l’inizio del cessate il fuoco, Israele ha riferito di ulteriori lanci di razzi e i media israeliani hanno riferito che gli aerei da guerra stavano rispondendo.

• La posizione delle autorità israeliane e degli Usa dopo lo stop ai combattimenti
  Il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen ha dichiarato che Israele non ha fatto alcuna concessione alla Jihad islamica palestinese come parte dell’accordo di cessate il fuoco che ha posto fine all’ultimo ciclo di violenze durato cinque giorni. Cohen ha affermato che Israele non ha promesso nulla, confermando il resoconto di un alto funzionario egiziano, secondo cui Israele non avrebbe firmato un accordo di cessate il fuoco che comportasse condizioni al di là del fatto che l’esercito israeliano tenesse il fuoco.
  Il ministro degli Esteri israeliano Cohen ha dichiarato anche che Israele ha ottenuto ciò che voleva con l’Operazione Scudo e Freccia dell’IDF e che coloro che tentano di danneggiare Israele saranno puniti. Ha affermato che Israele ha chiarito molto chiaramente la sua posizione e che ha saldato i conti con tutti coloro che minacciano Israele, come dimostrato dagli avvenimenti degli ultimi cinque giorni di violenze.
  Le autorità israeliane hanno ricevuto pressioni da paesi di tutto il mondo nell’ultima settimana, con gli Stati Uniti e diversi membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che hanno cercato di bloccare una dichiarazione congiunta che esprimesse preoccupazione per la violenza. Tuttavia, molti paesi hanno anche espresso preoccupazione per le vittime civili causate dagli attacchi aerei israeliani.
  La Giordania, l’Egitto, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti sono stati tra i paesi che hanno emesso condanne, anche se il contraccolpo è stato in gran parte mitigato al mondo arabo.
  Riguardo alla marcia della bandiera dei nazionalisti religiosi, prevista per giovedì prossimo, attraverso il quartiere musulmano della città vecchia di Gerusalemme, Cohen ha insistito sul fatto che la manifestazione si svolgerà come previsto, nonostante le pressioni internazionali contrarie.
  Come riportato anche in precedenza da Army Radio, Israele non ha intenzione di apportare modifiche alla marcia della bandiera dei nazionalisti religiosi prevista per giovedì attraverso il quartiere musulmano della città vecchia di Gerusalemme, nonostante le pressioni internazionali contrarie.
  Cohen ha sostenuto che Gerusalemme è la capitale di Israele e che il paese è orgoglioso di marciare con la bandiera israeliana e che la manifestazione avrà luogo come previsto giovedì.
  L’amministrazione Biden ha accolto con favore l’annuncio del cessate il fuoco tra Israele e la Jihad islamica palestinese e ha ringraziato l’Egitto e il Qatar per il loro coinvolgimento nella mediazione. Il segretario stampa della Casa Bianca Karine Jean-Pierre ha dichiarato che i funzionari statunitensi hanno lavorato a stretto contatto con i partner regionali per raggiungere la risoluzione delle ostilità e riportare la calma tra fazioni palestinesi e quelle israeliane.
  Il segretario di Stato Blinken ha personalmente ringraziato il ministro degli Esteri del Qatar Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, durante una loro conversazione telefonica sabato sera, in cui hanno discusso anche di altre questioni regionali.
  Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha ribadito il proprio impegno per la sicurezza di Israele e ha dichiarato che continuerà a promuovere la calma nelle settimane e nei mesi a venire. Gli Stati Uniti hanno anche espresso la volontà di migliorare la qualità della vita dei palestinesi e di garantire la consegna rapida di carburante e altri rifornimenti critici a Gaza.
  Nel frattempo, un nuovo sondaggio Maariv, pubblicato venerdì mattina, ha mostrato che il Likud del primo ministro Benjamin Netanyahu e la fazione di unità nazionale del parlamentare Benny Gantz hanno entrambi vinto 27 seggi se le elezioni si fossero tenute oggi. Questo rappresenta un aumento di due seggi per il Likud rispetto al sondaggio della scorsa settimana, probabilmente attribuibile ai successi militari ottenuti durante l’Operazione Scudo e Freccia a Gaza, sotto la guida del ministro della Difesa Yoav Gallant, che è un membro del Likud.
  La tregua sembra reggere per ora, ma è necessario valutare come procederanno le cose nei prossimi giorni. È stato essenziale il lavoro diplomatico svolto da Egitto e alleati arabi che hanno tempestivamente iniziato trattative per scongiurare che i combattimenti diventassero un nuovo conflitto reale, che avrebbe gettato l’intera regione nel caos e in una crisi economica e sociale ancora più marcata di quella attuale.

(nanopress, 15 maggio 2023)

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Salvò 38 ebrei dai nazisti: Capracotta ricorda Osman Carugno, Giusto tra le Nazioni

Il carabiniere molisano si rese protagonista di un gesto eroico durante la seconda guerra mondiale e la Shoah. Martedì cerimonia in suo onore

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Si terrà martedì 16 maggio la cerimonia per ricordare Osman Carugno, capracottese, maresciallo dei carabinieri, Giusto tra le Nazioni, unico molisano a essere riconosciuto tale dallo Yad Vashem (l’ente nazionale israeliano per la memoria della Shoah) per aver aiutato un gruppo di profughi ebrei tra il 1943 e il 1944.
  Nato a Capracotta, dove il padre era segretario comunale, Osman Carugno si arruolò poi nell’Arma dei Carabinieri, diventando Maresciallo comandante di stazione, prima nelle Marche e poi in Romagna.
  E proprio in terra romagnola, a Bellaria, dove comandava la locale stazione dell’Arma, si rese protagonista di un gesto eroico, salvando – insieme all’albergatore Ezio Giorgetti, anche lui riconosciuto tra i Giusti – un gruppo di trentotto profughi ebrei di origine slava, provenienti dal campo di Asolo, in provincia di Treviso.
  Lo scorso anno il suo paese natale, Capracotta, gli ha tributato un doveroso omaggio, intitolandogli una piazzetta e inaugurando il giardino dei Giusti, all’interno della Villa comunale, proprio in sua memoria.
  A distanza di un anno, su iniziativa del nuovo Prefetto di Isernia, Franca Tancredi, e dell’Amministrazione comunale, si terrà una cerimonia in suo onore.
  L’inizio è fissato per le ore 9.30 presso la Chiesa Madre di Capracotta: tra i momenti più significativi, il videomessaggio del nipote di Josef Konforti, uno dei profughi salvati da Carugno e Giorgetti, e la cerimonia di premiazione del concorso “Disegnare nella memoria il giardino dei Giusti”, oltre che il solenne ricordo dei fratelli Fiadino, martiri capracottesi fucilati dai tedeschi il 4 novembre del 1943 proprio a Capracotta.
  «Dopo un anno dall’inaugurazione del Giardino dei Giusti – dice il sindaco Paglione – torniamo doverosamente a celebrare uno dei nostri figli più illustri, autore di un gesto eroico. Non mi stancherò mai di sottolineare – conclude il sindaco – l’importanza di coltivare la memoria, soprattutto per ricordare alle giovani generazioni gli orrori di un passato che non deve ripetersi».

(il Quotidiano, 15 maggio 2023)

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In corso i preparativi per la visita storica in Israele di Re Carlo

di Luca Spizzichino

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Sono in corso i preparativi per la visita ufficiale di re Carlo III in Israele e in Cisgiordania. Questo è quanto hanno rivelato i media britannici domenica scorsa. Si tratterebbe di una visita storica perché sarebbe il primo sovrano del Regno Unito a visitare Israele. Secondo il Daily Mail Sunday, re Carlo dovrebbe aver programmato anche una visita all'Autorità palestinese per evitare critiche dal mondo arabo. Infatti, proprio il timore di ripercussioni ha frenato per oltre 70 anni la regina Elisabetta II. Tuttavia, prima di salire al trono, Carlo si era recato in Israele privatamente in tre occasioni. Mentre nel 2018, il principe William ha intrapreso un viaggio ufficiale in Israele e nell'Autorità palestinese.
  Lord Stuart Polak, che è stato direttore dell’associazione Conservative Friends of Israel per oltre 25 anni, ha dichiarato al tabloid britannico che “la preparazione è stata fatta dal suo team per aprire la strada a questa visita".
  Secondo quanto riferito dalle testate giornalistiche inglesi, il presidente Isaac Herzog ha svolto un ruolo significativo in questa decisione. Amici della corona, Isaac e Michal Herzog erano seduti in prima fila durante la cerimonia di incoronazione di re Carlo e hanno avuto la possibilità di parlare alla coppia reale della situazione in Israele, inclusa la revisione giudiziaria. Charles ha incoraggiato gli sforzi di Herzog per raggiungere un compromesso e il presidente lo ha rassicurato dicendo che "Israele è una democrazia vibrante". A causa dell’escalation nella Striscia di Gaza, tuttavia, Herzog ha deciso di posticipare la data per la visita reale.

(Shalom, 15 maggio 2023)

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“I Club non combattono abbastanza razzismo e antisemitismo negli stadi”

di Michele Sarfatti

"I club non combattono abbastanza razzismo e antisemitismo negli stadi. Creiamo un premio per chi lavora per un calcio più civile”. Le parole di Michele Sarfatti- studioso della persecuzione antiebraica e della storia degli ebrei in Italia nel XX secolo- agli Sky Inclusion Days intervistato dal direttore di Sky Sport Federico Ferri
  I dirigenti delle squadre di calcio non fanno abbastanza per combattere il razzismo e l’antisemitismo all’interno delle tifoserie. La parte ‘sana’ dei tifosi deve isolare le minoranze razziste e antisemite”, ha dichiarato il professor Michele Sarfatti, studioso della persecuzione antiebraica e della storia degli ebrei in Italia nel XX secolo, intervistato dal direttore di Sky Sport Federico Ferri nel corso dell'evento “SKY INCLUSION DAYS con FIGLI ≠ GENITORI”, organizzato da Sky in collaborazione con l’associazione non profit Lidia Dice.

• "Bisognerebbe istituire un premio per squadre che si adoperano contro razzismo"
  Il professor Sarfatti ha anche lanciato una proposta: “Alla fine di ogni campionato bisognerebbe creare un premio destinato alla squadra di calcio che fa di più contro il razzismo e l’antisemitismo, un riconoscimento a chi agisce per mantenere un clima di civiltà negli stadi”. L’evento è disponibile in diretta sul canale 501 di Sky e in streaming su skytg24.it. Collegamenti e aggiornamenti anche su Sky TG24 e su Sky Sport 24.

(Sky Sport, 15 maggio 2023)

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Considerazioni ebraiche e cattoliche sulla cura nella malattia terminale

Dal 2 al 4 maggio 2023 ha avuto luogo a Gerusalemme la 17a riunione della Commissione bilaterale delle Delegazioni del Gran Rabbinato d’Israele e della Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo della Santa Sede, sul tema: «Considerazioni ebraiche e cattoliche sulla cura nella malattia terminale: ciò che è proibito, consentito, obbligatorio». Riportiamo di seguito una traduzione dall’inglese del testo della Dichiarazione congiunta firmata dalle due Parti.

Commissione bilaterale del Gran Rabbinato d’Israele e della Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo della Santa Sede – XVII riunione
Considerazioni ebraiche e cattoliche sulla cura nella malattia terminale: ciò che è proibito, consentito, obbligatorio – Dichiarazione congiunta

Gerusalemme, 2-4 maggio 2023

  1. Il Rabbino Capo Arussi al ricevimento inaugurale ha dato il benvenuto alle delegazioni, osservando che da cinque anni gli incontri della Commissione bilaterale non si erano tenuti a motivo della pandemia di covid, manifestando quindi particolare gioia per la presente riunione. Le delegazioni hanno augurato al Rabbino Capo pronta guarigione dalla sua indisposizione ed il recupero della piena salute. Il Signor Yehudah Cohen, recentemente nominato Direttore generale del Gran Rabbinato d’Israele, ha egualmente espresso il suo benvenuto ed il suo apprezzamento per i lavori della Commissione bilaterale e l’importanza per l’intera società.

  2. Le riflessioni, iniziate il giorno seguente, hanno approfondito il tema che la Commissione bilaterale aveva trattato nella sua vi riunione sulla vita umana e la tecnologia, alla luce dei notevoli progressi della scienza medica.

  3. L’esposizione da parte cattolica ha illustrato i principi guida che riguardano la cura dei malati terminali, a partire dall’ammonimento di papa Francesco a proposito del «contesto socio-culturale contemporaneo che sminuisce progressivamente la comprensione del valore della vita umana».

  4. Perciò la dignità di ogni essere umano — che per ebrei e cattolici discende dall’affermazione della sacralità della vita umana — è stata nuovamente proclamata, in accordo con la dichiarazione della Commissione bilaterale rilasciata a Roma nel febbraio 2006 /Shevat 5766: «Noi affermiamo i principi delle nostre rispettive tradizioni religiose secondo le quali Dio è il Creatore e Signore di ogni vita, e la vita umana è sacra perché, proprio come insegna la Bibbia, la persona umana è creata secondo l’immagine divina (cfr. Genesi 1, 26-27). Per il fatto che la vita è un dono divino da rispettare e preservare, noi ripudiamo decisamente l’idea di un dominio umano sulla vita, e del diritto di decidere del suo valore o della sua durata da parte di qualsiasi persona o gruppo umano. Conseguentemente ripudiamo il concetto di eutanasia attiva (il cosiddetto mercy killing) in quanto illegittima pretesa dell’uomo sull’esclusiva autorità divina nel determinare il momento della morte della persona umana».
    Inoltre «A questo proposito ribadiamo gli insegnamenti delle nostre tradizioni, secondo i quali ogni conoscenza e capacità umana deve servire a promuovere la vita e la dignità dell’uomo, e perciò essere in accordo con i valori morali che derivano dai principi sopra menzionati. Di conseguenza bisogna che ci siano dei limiti nell’applicazione scientifica e tecnologica, riconoscendo il fatto che non tutto quello che è tecnicamente realizzabile sia anche etico».

  5. Rilievo particolare è stato dato all’importanza di cure palliative e di ogni possibile sforzo per alleviare dolori e sofferenze. Si è fatto inoltre riferimento alla storica Dichiarazione congiunta delle tre religioni abramiche, che rifiuta l’eutanasia attiva ed il suicidio medicalmente assistito, pubblicata in Vaticano il 28 ottobre 2019 / 29 Tishri 5780.

  6. Per ebrei e cristiani il prendersi cura dei malati terminali con fede, rispetto ed amore, significa veramente accendere una luce di fiducia e di speranza, in un momento contrassegnato da oscurità e da un senso di solitudine e di abbandono, tanto per il malato quanto per i suoi cari.

  7. La ii Sessione ha riguardato le linee guida relative ai malati terminali, legiferate in armonia con la tradizione ebraica, e le loro ramificazioni globali. È stata messa in rilievo la distinzione tra azioni che causano la morte e scelte di omissione al di là dei bisogni umani fondamentali; come pure tra eutanasia attiva e suicidio medicalmente assistito da una parte, e dall’altra la sospensione di trattamenti terapeutici continuati (come ventilazione e pacemaker) o che prolunghino la vita al di là dei bisogni umani fondamentali (come dialisi e chemioterapia).

  8. Le delegazioni riconoscono che le complessità etiche e religiose, implicate nelle situazioni di fine vita, esigono che ciascun caso sia preso in considerazione in rapporto alle proprie particolari circostanze e necessità.

  9. Le delegazioni sono state ricevute dal Direttore generale dell’Ospedale Shaare Zedeq, dove hanno potuto costatare le modalità di trattamento di malati terminali, in conformità ai principi sopra enunciati.

  10. I membri della delegazione ringraziano Dio Creatore, invocando la Sua benedizione su tutti i malati e su tutti coloro che sono impegnati nel curare e proteggere la vita.

Gerusalemme, 4 maggio 2023
/ 13 Iyyar 5783

Rabbino Rasson Arussi                                
Presidente della Delegazione ebraica

Rabbino Eliezer Simha Weisz
Rabbino Prof. Avraham Steinberg
Rabbino Gidon Shlush
Signor Yehudah Cohen
Signor Oded Wiener

Kurt Cardinale Koch
Presidente della Delegazione cattolica

Arcivescovo Pierbattista Pizzaballa o.f.m.
Arcivescovo Adolfo Tito Yllana
Vescovo Giacinto-Boulos Marcuzzo
Mons. Pier Francesco Fumagalli
Rev. P. Norbert J. Hofmann s.d.b.

(morasha, 15 maggio 2023)

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Oltraggio ad Auschwitz: spunta un chiosco dei gelati. "Questo non è un Luna Park"

Il carretto piazzato all’ingresso dell’ex campo di concentramento (ma in un terreno privato). Il Museo alle istituzioni: fate chiudere l’attività. "Scelta di cattivo gusto, offende i morti".

di Roberto Giardina

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Un cono gelato a Auschwitz. Un chiosco è stato aperto da qualche giorno innanzi al Lager, vende coni, e cialde, gelati industriali e fatti artigianalmente, assicura il gestore che si ripromette di fare buoni affari. Ogni giorno il campo di sterminio è visitato da migliaia di persone, in gran parte studenti in gruppi organizzati dalle scuole.
  Ma in Polonia sono cominciate le proteste, il Lager è il più grande cimitero al mondo, scrivono i giornali, un luogo della memoria, non per andare in vacanza. I nazisti vi uccisero un milione e centomila ebrei. Il portavoce del museo che gestisce il campo, Bartosz Bartyzel, dichiara che è cominciata la procedura per giungere alla chiusura del chiosco: “Sorge a 250 metri dall´ingresso, su un terreno privato su cui non abbiamo giurisdizione. Non abbiamo il potere di intervenire direttamente.” “Il proprietario del terreno e il gestore del chiosco hanno stipulato un contratto, “ dichiara a sua volta il portavoce del municipio di Oswiecim, Andrzej Skrzpinski, da cui dipende il Lager, ma stiamo controllando la situazione giuridica, forse non si ha il diritto di esercitare un´attività privata a Auschwitz.”
  Nel campo è vietato mangiare e usare i telefonini, ma ogni giorno i sorveglianti sono costretti a intervenire. I visitatori si comportano come se fossero in gita, mangiano i panini e bevono birra durante la visita. E si scattano selfies, innanzi alla scritta “Arbeit macht frei”, il lavoro rende liberi, posta all´ingresso. Alcune settimane fa, una ragazza italiana si è fatta fotografare in posa romantica dal fidanzato sui binari che conducono al campo, e ha messo la foto su facebook. I ragazzi fanno a gara a chi va più veloce in equilibrio sui binari, e più a lungo senza cadere, come se si trovassero in una Luna Park.
  “Vendere e comprare un cono a Auschwitz non è solo una dimostrazione di cattivo gusto, commenta Bartyzel, ma un oltraggio ai morti. Si viene fino al campo e si ignora la storia? O a molti non importa”. Avviene anche a Buchenwald, il Lager a otto chilometri da Weimar, nella foresta di faggi dove Goethe andava a passeggio. “In inverno, quando nevica, vengono a sciare e andare sugli slittini, ha denunciato il responsabile del campo Christian Wagner, sciano sul prato tra le tombe, sono tremila, ma le vittime furono 56mila. In primavera e estate vengono a fare pic-nic e grigliano wurstel.”
  A Buchenwald morì la principessa Mafalda di Savoia. A Berlino; tra i tre e quattro milioni di turisti visitano ogni anno il Denkmal per gli ebrei uccisi nella Shoah, inaugurato nel maggio del 2005, in pieno centro di fianco alla Porta di Brandeburgo. L´architetto americano di origine ebrea, Peter Eisenman, 90 anni oggi, ha costruito 2711 steli in cemento, di altezza variabile, fino a due metri, su 19mila metri quadrati, quasi due campi di calcio. Dall'alto sembrano onde. I ragazzi si aggirano tra le steli, come in un labirinto, saltano da una all´altra, ridono e gridano, le coppiette si baciano. Molti protestano per la mancanza di rispetto. “L´avevo previsto, commenta Eisenman, non si può proteggere il mausoleo come un lager, sarebbe una sconfitta. I giovani si sentono liberi ma spero che pensino dove si trovano e perché.”

(Quotidiano Nazionale, 15 maggio 2023)

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Dalla Miriam di Israele alle Miriam dei Vangeli (2)

di Gabriele Monacis

Quello di Luca è, tra i Vangeli, il più ricco di particolari che riguardano la vita di Miriam, nel periodo che precedette la nascita di suo figlio Gesù e negli anni che seguirono. Nel primo capitolo, Luca comincia la sua esposizione dei fatti con la storia di una famiglia di sacerdoti: lui si chiamava Zaccaria, sacerdote dell’ordine di Abiia; lei invece era Elisabetta, una discendente di Aaronne, nonché parente di Miriam (vedi Luca 1:36)
  Luca fa sapere ai suoi lettori che, al momento del racconto, Zaccaria ed Elisabetta erano in età avanzata e che lei era sterile. Ciononostante, mentre Zaccaria esercitava il suo sacerdozio nel tempio offrendo del profumo, un angelo del Signore gli apparve e gli annunciò che lui e sua moglie avrebbero avuto un figlio, cioè Giovanni Battista, il quale sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d'Israele al Signore loro Dio. Gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto». (Luca 1:15-17).
  Questi elementi riportati all’inizio del Vangelo, come il sacerdozio, la nascita di un figlio da genitori in età avanzata, la sterilità della donna, non hanno solo la funzione di informare il lettore su determinati fatti legati ai personaggi della storia; ma sono lì soprattutto per creare collegamenti nella mente del lettore. E questi collegamenti non possono che riportare il lettore del Vangelo di Luca alla storia di Israele dell’Antico Testamento: Abramo e Sara, che ebbero Isacco in età avanzata; le madri dei patriarchi – Sara, Rachele e Rebecca, tutte donne che ebbero almeno un figlio nonostante fossero sterili; l’istituzione di Aaronne e dei suoi discendenti come sacerdoti all’interno del popolo di Israele.
  Possiamo dunque dire che una certa continuità con la storia di Israele caratterizza l’inizio di questo Vangelo. Se a questo aggiungiamo che è proprio il vangelo di Luca quello che dedica più spazio alla madre di Gesù, risulta dunque pertinente ricercare continuità tra il personaggio di Miriam e il popolo di Israele, di cui lei fa parte.
  Ecco il racconto di Luca che introduce questo personaggio, qui chiamato Maria.

    Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Luca 1:26-33).

Questo brano si collega al racconto precedente di Zaccaria ed Elisabetta attraverso l’espressione di tempo “nel sesto mese”. Si intende, evidentemente, nel sesto mese della gravidanza di Elisabetta, madre di Giovanni Battista. Il primo personaggio menzionato è l’angelo Gabriele, non certo nuovo ai lettori dell’Antico Testamento. È lo stesso angelo, infatti, che Dio mandò al profeta Daniele, come risposta alla sua preghiera (vedi Daniele 8:16, 9:21). 
  È interessante notare che la preghiera che Daniele rivolse a Dio prima che arrivasse l’angelo Gabriele, era una preghiera non solo per se stesso, ma per tutto il popolo di Israele; una confessione del proprio peccato, quello di Daniele, e del peccato tutto il popolo, visto che mentre Daniele pregava, Israele si trovava ancora in esilio a Babilonia. L’esilio in paesi stranieri era una conseguenza del peccato del popolo, secondo la Torah (vedi Levitico 26:33). 
  La risposta che Dio fece arrivare a Daniele attraverso l’angelo Gabriele, riguardava i tempi e i modi che l’Eterno aveva prestabilito per riportare il popolo di Israele a Gerusalemme, redimerlo dai propri peccati e salvarlo dai suoi nemici. Tra le altre cose, la profezia che Daniele ascoltò dall’angelo parlava dell’apparizione “di un unto, di un capo”, e che questo “unto sarà soppresso, nessuno sarà per lui”. (Daniele 9:25,26).
  Le parole dell’angelo Gabriele, rivolte a Miriam alcuni secoli dopo quelle rivolte a Daniele, preannunciano che lei diventerà madre pur senza l’intervento di un uomo, essendo vergine. Il figlio che nascerà si chiamerà Gesù. Egli “sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”. Questo figlio, dunque, sarà sia figlio dell’Altissimo, cioè di Dio, sia figlio del re Davide, l’unto che Dio ha scelto affinché sul suo trono sedesse un suo discendente per regnare per sempre. 
  Se i due messaggi rivolti a Daniele e a Miriam sono collegati, in quanto riportati dallo stesso messaggero, cioè l’angelo Gabriele, siamo davanti all’adempimento di quella profezia contenuta nel libro di Daniele, cioè la restaurazione che Israele stava aspettando da secoli, la quale avrebbe sì visto l’unto di Dio regnare su Israele, come figlio di Dio e figlio di Davide, ma anche che prima quest’unto sarebbe dovuto essere soppresso, senza che alcuno del suo popolo fosse per lui.
  Torniamo a Miriam, alla quale l’angelo Gabriele rivolse parole davvero particolari da parte di Dio. L’angelo esordì dicendo: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te”. Al che Miriam rimane piuttosto turbata, e si chiede cosa volessero significare quelle parole. Evidentemente aveva capito che quelle parole non erano da intendere come un generico saluto che si rivolge a qualcuno per augurargli qualcosa di buono. Visto il turbamento che l’aveva colta, Miriam deve aver intuito che dopo quella visita la sua vita non sarebbe stata più la stessa, e forse non solo la sua ma anche quella dei suoi conterranei.
  L’angelo la vede turbata, così la rassicura: “Non temere, Maria” e aggiunge “perché hai trovato grazia presso Dio”. L’espressione “trovare grazia presso Dio” merita una certa attenzione. Nell’Antico Testamento, l’espressione “trovare grazia agli occhi di qualcuno” non è inusuale. Trovare grazia è la condizione fondamentale per ricevere un favore immeritato da quella persona agli occhi della quale si è trovato grazia. E non è raro, come si diceva, trovare questa espressione in un contesto che parla di due persone. È piuttosto raro, invece, trovarla in riferimento alla grazia che una persona trova presso Dio, come nel caso di Miriam secondo le parole dell’angelo: “Non temere, Maria, poiché hai trovato grazia presso Dio”. Nell’Antico Testamento, è scritto esplicitamente che coloro che trovarono grazia agli occhi di Dio furono Noè, Mosè e Israele. Questa osservazione acquista un certo rilievo ai fini della ricerca di continuità, perché collega Miriam direttamente a questi personaggi che sono vissuti prima di lei.
  Noè trovò grazia agli occhi di Dio prima del diluvio (Genesi 6:8) e per questo, insieme alla sua famiglia, non perì sotto le acque del diluvio. Nel caso di Mosè, al trovare grazia presso Dio si aggiunge l’aspetto della sua relazione personale con Lui. Dio infatti dice a Mosè: “Io ti conosco personalmente e anche hai trovato grazia agli occhi miei” (Esodo 33:12). Nello stesso capitolo 33 di Esodo, da una domanda che Mosè pone a Dio, si capisce che anche il popolo di Israele ha trovato grazia agli occhi di Dio:

    Come si farà ora a conoscere che io e il tuo popolo abbiamo trovato grazia agli occhi tuoi? Non sarà dal fatto che tu vieni con noi? Questo distinguerà me e il tuo popolo da tutti i popoli che sono sulla faccia della terra” (Esodo 33:16).
In questo frangente molto delicato e teso della storia di Israele, cioè subito dopo il peccato del vitello d’oro da parte del popolo, Mosè intercede per loro, affinché Dio accetti di continuare ad essere presente in mezzo al popolo nel cammino verso la terra promessa. Secondo il versetto qui riportato, la presenza del Signore in mezzo al popolo è proprio ciò che lo contraddistingue dagli altri popoli. E da cosa dipende questa distinzione? Proprio dal fatto che Israele ha trovato grazia agli occhi di Dio.
  Avendo Dio accettato di essere presente con Mosè e con il popolo di Israele nel loro cammino nel deserto, Egli ha così dimostrato tangibilmente il fatto che essi hanno trovato grazia ai Suoi occhi. Se, infatti, Dio avesse deciso di non continuare ad essere presente in mezzo al popolo, non sarebbe stato più vero che questi hanno trovato grazia ai Suoi occhi. In sintesi, trovare grazia agli occhi di Dio e poter contare sulla Sua presenza sono due cose inscindibili. Non c’è l’una senza l’altra.
  Ecco che le parole dell’angelo Gabriele a Miriam acquistano una dimensione storica non indifferente: “Maria, il Signore è con te”. E poi: “Non temere, Maria, poiché hai trovato grazia presso Dio”. Proprio in questo binomio inscindibile – la presenza di Dio insieme al trovare grazia ai Suoi occhi – consiste la continuità di Miriam rispetto al popolo di Israele. Il personaggio di Miriam si trova sulla linea storica di questo popolo, che a sua volta continua la storia iniziata con Noè, che già prima del diluvio trovò grazia agli occhi di Dio. Con la visita dell’angelo Gabriele a Miriam, Dio continua a scegliere dei discendenti della casa di Giacobbe, proprio come la madre di Gesù, per poter portare a compimento i Suoi propositi.
  Partendo proprio dalla continuità storica tra Miriam e Israele riscontrata in questi brani della Scrittura, che cosa Dio ha promesso di adempiere per il popolo di Israele e per mezzo di lui? Nelle prossime occasioni cercheremo di trovare in cosa consiste questo adempimento, presente o futuro.

(2. continua)
(Notizie su Israele, 14 maggio 2023)


 

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Proseguono i bombardamenti di Israele a Gaza e il lancio di razzi palestinesi

Sono stati colpiti anche alcuni covi della Jihad islamica palestinese, incluso il quartier generale di Muhammed Abu al Ata

Proseguono oggi per il quinto giorno consecutivo i bombardamenti delle Forze di difesa israeliane (Idf) nella Striscia di Gaza e il lancio di razzi palestinesi contro Israele. Le Idf hanno attaccato per tutta la notte diversi obiettivi della Jihad islamica nella Striscia di Gaza, incluse alcune postazioni di lanciarazzi e di mortai. Colpiti anche alcuni covi della Jihad islamica palestinese, incluso il quartier generale di Muhammed Abu al Ata, uno dei leader del gruppo militante: egli sarebbe riuscito a sfuggire ai bombardamenti “rifugiandosi nell’ospedale di Shifa”, riferiscono le Idf.
  Da parte loro, i miliziani dell’organizzazione palestinese hanno risposto con il lancio di razzi verso la parte meridionale di Israele, la maggior parte dei quali intercettati dal sistema di difesa aerea “Iron dome” (cupola d’acciaio), mentre altri sono caduti all’interno della Striscia di Gaza. Una casa, ad esempio, è andata in fiamme nel quartiere Al Qasasib di Jabalia, a Gaza, colpita appunto da un razzo lanciato dalla Jihad Islamica.

(Nova News, 13 maggio 2023)

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Israele, Cipro e Grecia. Il triumvirato del gas guarda all’Italia

“Israele, Cipro e Grecia, insieme ai nostri amici americani, formano un’alleanza molto stabile e promettente. Dobbiamo continuare a costruirla: economicamente, in termini di intelligence, difesa e partenariato politico, anche nelle sedi internazionali”.
  Lo ha detto il premier israeliano Benjamin Netanyahu in un vertice bilaterale con il presidente cipriota Nikos Christodoulidis. Il passo diplomatico porta con sé una serie di ricadute legate, in primis, al gas ovvero in un gioco dove tra i protagonisti c’è senz’altro l’italiana Eni (tra Israele ed Egitto) e più in generale il peso specifico che ha l’Italia, come terra di “passaggio” per quelle risorse verso il centro e nord Europa.

• Più gas per tutti
  La cooperazione energetica è il tema principale comune ai tre Paesi, sotto l’occhio vigile degli USA e con l’interesse attivo dell’Italia: l’utilizzo congiunto israelo-cipriota del gas naturale è l’obiettivo centrale insieme al modus. Ovvero se creare adeguate infrastrutture a Cipro per il gas naturale, senza dimenticare il contenzioso pendente tra Cipro e Israele in merito al giacimento “Aphrodite” nella Zona Economica Esclusiva (ZEE) cipriota e al vicino giacimento “Isai”, per il quale ci sono rivendicazioni da Israele.
  Ma più in generale è l’iniziativa politica che va rafforzata: il riferimento è allo schema tripartito Cipro-Israele-Grecia, il cui prossimo vertice si terrà a settembre, da estendere alla presenza permanente di un rappresentante di gli Stati Uniti, con la possibilità di esprimere una componente anche rispetto al Forum del Negev, al quale partecipano insieme Israele, Usa e Stati arabi (con l’obiettivo di normalizzare i rapporti di Israele con gli Stati arabi). Inoltre, il colosso americano Chevron punta a nuove esplorazioni in quel fazzoletto di acque, e sta noleggiando una nave di perforazione per sostenere i lavori di esplorazione del gas naturale entro il 2024.

• Piombino+Ravenna
  Lo sfruttamento del gas naturale nella zona economica esclusiva dei Paesi coinvolti nel forum dovrebbe accelerare nel brevissimo periodo, come ammesso dal Ministro dell’Energia cipriota Giorgio Papanastasiou. L’obiettivo è favorire lo sfruttamento del gas naturale cipriota e di altri giacimenti di gas della regione: non solo per produrre energia localmente ma per esportare GNL in Europa, quindi attraverso l’Italia che, con Piombino e Ravenna, ha due snodi strategici sul proprio territorio. Una settimana fa, nel porto toscano, Eni ha avviato le prime operazioni di trasbordo di GNL nel nuovo terminal Snam: il carico è stato prodotto nell’impianto di liquefazione di Damietta, in Egitto, uno dei siti ad hoc su cui si è posato il cane a sei zampe. L’autocisterna GNL è stata ormeggiata presso la Golar Tundra da cui trasferirà il gas naturale liquefatto attraverso 6 tubi flessibili nei serbatoi FSRU e successivamente sarà riportato allo stato gassoso: da lì sarà convogliato nel trasporto nazionale rete.
  Golar Tundra ha una capacità di rigassificazione continua di 5 miliardi di metri cubi all’anno. Cresce, in sostanza, il ruolo oggettivo dell’Italia che, attraverso i due siti sul Tirreno e sull’Adriatico, assume lo status di essenziale snodo continentale.

• Cipro occupata
  Un altro elemento di dialogo tra Israele e Cipro riguarda gli investimenti nella parte occupata dai turchi. La mossa del governo di Nicosia non è estranea a quanto sta accadendo nell’area di Famagosta e alle informazioni secondo cui nei territori occupati sarebbero attivi investitori di vari paesi (tra cui Israele). Per cui si punta a fermare tali movimenti nei territori occupati a scapito dei beni greco-ciprioti, passo sollevato dal presidente Christodoulidis durante l’incontro avuto con il premier Netanyahu a Gerusalemme, con quest’ultimo che si è direttamente impegnato a evitare l’imbarazzo .

(ITALY24, 13 maggio 2023)

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Ebraismo e Israele nel Cinema

Pitigliani Kolno’a Festival – dal 19 al 22 giugno

ROMA - Torna dal 19 al 22 giugno 2023 a Roma, a ingresso gratuito fino a esaurimento posti, il Pitigliani Kolno’a Festival – Ebraismo e Israele nel Cinema, giunto alla sedicesima edizione, dedicato alla cinematografia israeliana e di argomento ebraico. Il festival si tiene in due location: dal 19 al 21 giugno alla Casa del Cinema mentre la serata finale, il 22 giugno, al Centro Ebraico Italiano Il Pitigliani.
  Prodotto dal Centro Ebraico Italiano Il Pitigliani e diretto da Ariela Piattelli e Lirit Mash, il PKF2023 propone, come sempre, un variegato assaggio dell’ultima produzione israeliana.
  Il festival apre con Matchmaking di Erez Tadmor (Premio alla carriera PKF2023), un film che rappresenta, scegliendo il genere della commedia, un affresco sul mondo dei giovani ebrei ortodossi di Gerusalemme che cercano, con l’aiuto dei sensali, l’amore della vita: un film dove si incontrano e si scontrano mondi diversi in quello che è già un microcosmo e in cui anche un fidanzamento può diventare un affare di stato.

EREZ TADMOR
Nato in Israele nel 1974, Erez Tadmor è sceneggiatore, regista e produttore. Si è laureato alla “Camera Obscurs Film School” di Tel -Aviv. Il suo primo cortometraggio “Moosh” ha vinto premi in più di 40 festival in tutto il mondo come Houston, Palm Springs e molti altri. Tra i film che ha diretto e di cui ha curato anche la sceneggiatura ricordiamo Magic Men, A Matter of  Size, The Art of Waiting e Homeport.

(Roma Daily News, 13 maggio 2023)

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Guardia rivoluzionaria iraniana: ‘Con i palestinesi fino al collasso di Israele’

TEHERAN – Il comandante della Quds Force – sezione per le operazioni estere della Guardia rivoluzionaria iraniana – Esmaeil Qaani ha avvertito che continuerà a sostenere le milizie palestinesi “fino al completo collasso di Israele”.
  Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa iraniana Tasmin, Qaani ha sottolineato “l’aspetto eroico e forte” della “resistenza” palestinese che continuerà a sostenere il più possibile, “sia con le parole che con i fatti” fino a quando “il regime sionista crollerà completamente”.
  Il comandante iraniano ha reso omaggio ai giovani palestinesi che sono attivi in ​​Cisgiordania contro Israele e che compiono fino a 30 azioni in alcuni giorni. “Sono il fronte della resistenza e della mobilitazione islamica globale”, ha sottolineato, aggiungendo che sono un “asse estenso” che collega la resistenza di varie parti del mondo.

(Adnkronos, 13 maggio 2023)
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Frase strutturalmente simile: "Con gli ucraini fino al collasso della Russia". Chi l'ha detta?

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Sabato 13 maggio torna La notte dei Musei al Museo Ebraico di Roma

di Michelle Zarfati

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La cultura non dorme mai, e sabato 13 maggio è la notte perfetta per godere di musei, spettacoli dal vivo e concerti. Torna finalmente nella Capitale l'attesissimo appuntamento con “La Notte dei Musei”. Una notte di apertura straordinaria di musei, università, istituzioni e altri spazi espositivi e culturali con mostre, spettacoli, visite e laboratori. Roma si prepara ad accogliere una notte ricca di cultura. Per sabato sono previste infatti molte aperture straordinarie. Non solo musei civici, ma eccezionalmente anche istituzioni italiane e straniere e musei privati, tra questi anche il Museo Ebraico di Roma che sarà aperto dalle 21.30 all’1.30 (ultimo ingresso 1.00). Non solo, all’interno del Museo alle 22.00 i visitatori saranno guidati dai curatori Giorgia Calò e Davide Spagnoletto all’interno della Mostra, inaugurata lo scorso 26 aprile, “Roma 1948. Arte italiana verso Israele”. Un percorso espositivo per celebrare il rapporto tra Italia ed Israele all’indomani della nascita dello Stato Ebraico. All’interno della mostra sono infatti presenti opere di alcuni dei più importanti artisti, insieme a nomi emergenti nell'arte contemporanea di 75 anni fa, fra i quali Cascella, Guttuso, Capogrossi, Accardi, Fischer e molti altri.
  La Notte dei Musei è un evento che si svolge contemporaneamente in tutta Europa dal 2005. Con un biglietto simbolico di 1 euro sarà possibile visitare le attrazioni culturali più belli della città. La Notte dei Musei 2023, vedrà l’apertura di 80 spazi con 60 mostre e un calendario di circa 130 spettacoli, oltre a visite guidate e attività didattiche per tutte le età. “La Notte Dei Musei” è un'iniziativa che colora le notti romane ormai da anni, promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e organizzata da Zètema Progetto Cultura.

(Shalom, 12 maggio 2023)

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Alla ricerca dei padri d'Israele, tra i segreti dei Rotoli del Mar Morto

Dal leggendario ritrovamento al fascino senza fine di una delle maggiori scoperte archeologiche contemporanee. Che cosa ci dicono oggi i Manoscritti di Qumran e le ultime ricerche in merito? In un evento eccezionale a Milano, nella sede della Comunità ebraica, verrà esposto, presentato e commentato il Grande Rotolo di Isaia, l'unico arrivato intero fino a noi attraversando due millenni. Intervista allo studioso Marcello Fidanzio.

di Ilaria Ester Ramazzotti

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Una data reale e simbolica: il 29 novembre 1947. È il giorno in cui l'Assemblea delle Nazioni Unite vota la nascita dello stato d'Israele. Ed è lo stesso giorno in cui i Manoscritti del mar Morto rientrano in possesso di mani ebraiche, riconnettendo così le lettere dell'ebraico dei padri con la terra dei figli, l'ancestrale con il contemporaneo, l'utopia con la realtà, il popolo del Libro con la terra del Libro. Ammantati dall'aura sacrale con cui hanno attraversato i secoli, avvolti nelle suggestioni mistiche seguite ai loro ritrovamenti avvenuti dal 1947 al 1956 in undici grotte nel deserto della Giudea, i Rotoli di Qumran costituiscono una delle maggiori scoperte archeologiche contemporanee. Datati tra il III secolo a.C. e il 68 d.C. e scritti in ebraico antico, aramaico e greco comprendono i manoscritti biblici del testo masoretico e conservano la testimonianza della fine del tardo giudaismo del Secondo Tempio.
  Avventurose e talvolta rocambolesche, le vicende legate al ritrovamento dei primi manoscritti nella località vicina alla sponda nord-occidentale del Mar Morto, e alle successive compravendite, hanno spesso dato adito a leggende. Leggendario appare il ritrovamento casuale dei primi Rotoli in una grotta, da parte di un pastore della tribù beduina Ta'amìre, nell'inverno del 1947, mentre sta inseguendo una capra. Mesi dopo, dei membri della comunità beduina avrebbero venduto dei manoscritti ritrovati nella grotta, dentro delle giare, in un mercato di Betlemme, dove sarebbero stati acquistati dal mercante cristiano Khalil Iskandar Shahin, che li avrebbe rivenduti di lì a poco al metropolita Athanasius Yeshue Samuel a Gerusalemme. Samuel, dopo aver intuito la portata della scoperta ed essere andato alla ricerca della grotta del ritrovamento, aveva trasferito negli Stati Uniti quattro dei Rotoli in suo possesso, fra cui una copia del libro di Isaia, in attesa di un compratore. Nel frattempo, l'archeologo Eliezer Sukenik dell'Università Ebraica di Gerusalemme, una volta rintracciato il primo mercante di Betlemme, aveva a sua volta comprato altri manoscritti, frammenti e giare provenienti dalla grotta poi ufficialmente individuata solo nel 1949, quando sono iniziati i primi scavi. I lavori archeologici hanno poi rinvenuto, nel tempo, altri 70 manoscritti o frammenti, giare, vasi, pezzi di stoffa e in seguito i resti di mikve, abitazioni e case dell'antico insediamento di Qumran, mentre le università e gli enti del neo costituito Stato d'Israele si stavano lanciando nel recupero dei Rotoli finiti oltreoceano. Negli anni Cinquanta, l'archeologo e militare Yigael Yadin ha così rintracciato negli Stati Uniti il metropolita Samuel, riuscendo tramite un intermediario a ricomprargli i manoscritti. Intanto, siamo intorno al 1956, venivano individuate altre dieci grotte, per un totale di quasi un migliaio di manoscritti e altri materiali. Oggi i reperti sono conservati in parte al Museo d'Israele e al Museo Rockfeller di Gerusalemme, in parte ad Amman, alla Biblioteca Nazionale di Parigi e in altri musei e collezioni nel mondo.
  I Rotoli sono in pelle arrotolata e cucita, di dimensioni variabili, fra cui il Rotolo di Abacuc (13xl41 cm) e il Rotolo di Isaia (25 cm x 7,34 mt) che, con i suoi 66 capitoli redatti su una striscia di pelle lunga oltre sette metri, è il meglio conservato e l'unico Rotolo biblico completo. Un fac-simile è esposto al pubblico al Museo di Israele a Gerusalemme. Ed è proprio questo stupefacente Rotolo che verrà presentato a Milano il 24 maggio, nel corso di una serata speciale e unica, un evento organizzato dalla CEM, Comunità ebraica di Milano, spiegato e illustrato da Marcello Fidanzio, archeologo e professore all'Istituto di Cultura e Archeologia delle terre bibliche alla Facoltà di Teologia di Lugano - Università della Svizzera Italiana. I Rotoli del Mar Morto costituiscono oggi una collezione di quasi mille Rotoli e 25 mila frammenti. Abbiamo chiesto a Marcello Fidanzio un approfondimento storico e archeologico sulle ricerche in corso sui Manoscritti e sul Rotolo di Isaia ritrovati a Qumran.

- Come procedono gli studi su questo enorme patrimonio?
 «Con l'archeologia cerchiamo di conoscerlo meglio - introduce il professor Marcello Fidanzio - vogliamo capire perché i Rotoli sono stati deposti nelle grotte e da dove vengono. Per questo siamo tornati al luogo del loro ritrovamento e da lì, dalle grotte, cerchiamo di ricomprendere la storia dei Rotoli e di Qumran. Tra gli oggetti archeologici ci sono naturalmente i Rotoli. [aspetto innovativo delle nostre ricerche sui Rotoli sta nell'interesse per tutti gli aspetti non testuali. Il Rotolo è un manufatto. Se vogliamo capire qualcosa degli scopi con cui è stato prodotto, oltre a leggere il testo bisogna occuparsi di tutte le altre informazioni offerte da questi oggetti archeologici. La 'filologia materiale' viene sempre più applicata anche ai Rotoli del Mar Morto e lo studio del Grande Rotolo di Isaia, a motivo del suo stato di conservazione, ne offre un esempio di prima grandezza».

- Di che epoca parliamo?
 «Di una fase storica in cui la Bibbia è ancora nel periodo della sua formazione, seppur "all'ultimo chilometro". Questi manufatti, in generale, ma in particolare il Grande Rotolo di Isaia, che è un testo completo, ci permettono oggi di cogliere quale fosse il rapporto fra il testo di Isaia che conosciamo e i suoi antichi utilizzatori. Abbiamo la possibilità di guardare da vicino un Rotolo con i segni della sua preparazione e scrittura, ma anche del suo uso. Già nel primo anno della ricerca non sono mancate le sorprese e alcune le presenteremo per la prima volta in Italia il 24 maggio a Milano - annuncia Marcello Fidanzio -. Vogliamo lasciarci istruire dai segni di interazione (correzioni, integrazioni, restauri) che il Rotolo porta su di sé per comprendere che cosa fosse per gli uomini del tardo periodo del Secondo Tempio il Libro di Isaia e come vi si rapportassero. Per chi è interessato alla Bibbia è possibile scorgere dei tratti del suo processo di formazione e conoscerla meglio. Questo non si basa innanzitutto su speculazioni astratte, ma ne trova i segni nei Rotoli ora disponibili. Mi sembra efficace l'immagine sintetica che esprimo con il titolo "il corpo della Bibbia" Prima delle scoperte dei Rotoli del Mar Morto, ritornare alle origini del testo biblico significava spesso avere a che fare con speculazioni critiche anche molto rigorose, ma fatte su aspetti immateriali, che a volte trasmettevano più l'arte dello studioso che non la ricostruzione dell'antico. Ora, invece, abbiamo fra le mani dei concreti manufatti che, come dice Roland de Vaux, l'archeologo che ha scavato Qumran, "ci permettono di ricomporre il passato fra le nostre mani e farlo ridiventare presente". È un'esperienza entusiasmante e un privilegio da condividere».

• I SEGNI LASCIATI SUL ROTOLO DAGLI SCRIBI

- Quali sono i segni e le tracce materiali ritrovati sul Rotolo di Isaia?
 «Si tratta di segni lasciati dagli scribi che ne hanno prodotto le copie, correzioni effettuate ancora da amanuensi successivi e perfino annotazioni a latere o a margine. Ma anche segni lasciati da chi leggeva, studiava e quindi utilizzava il manufatto. «C'è chi ha scritto il Rotolo - sottolinea il professore -, poi c’è chi vi ha interagito con correzioni, nell'arco del secolo che passa fra la prima mano che ha scritto e l'ultima che ha corretto, infine ci sono altri segni marginali o sopra-lineari che ci parlano di ulteriori interazioni con il testo. Non si tratta di segni fatti una volta sola e nemmeno sempre sistematici, spesso occasionali, che interessano solo alcune parti del testo. Infine, ci sono importanti segni di restauro, cioè segni di cura apposti da mani diverse che fanno capire l'alto valore che veniva dato al Rotolo dagli antichi utilizzatori. Il grande Rotolo di Isaia ha una sua storia. E il nostro progetto di ricerca è di scrivere la biografia di questo oggetto eccezionale, una biografia che passi attraverso tutti gli elementi materiali, a partire dai materiali di produzione, dalle pelli trattate e preparate, cucite e più volte ricucite per fini di restauro, ma anche dai segni di riscrittura di alcune righe o parti di testo quasi cancellatesi per l'uso. Tutti segni di interazione che il Rotolo ha mantenuto nel tempo fino al momento della sua deposizione nella grotta. In sostanza, il Rotolo di Isaia è un corpo vivo che mostra tutte le interazioni intercorse con chi lo usava. E proprio "interazione" è la parola chiave nel corso di formazione del testo biblico, perché ci dà evidenza di un laborioso e prezioso processo di formazione che vede il Rotolo legato a doppio filo all'esperienza del popolo in cui è nato».

• TEORIA DEL NASCONDIMENTO DEI ROTOLI

Fra i percorsi di studio dei Rotoli di Qumran primeggia, insieme ad altre, la questione sul perché tutti quei preziosi testi si trovassero accumulati in quelle grotte. Una della ipotesi, poi da molti messa da parte, vedeva in quei luoghi una possibile ghenizah, un deposito per dei libri non più utilizzabili. Una delle teorie storiche elaborate al riguardo sostiene invece che l'antico insediamento di Qumran sia stato abbandonato di fronte alla minaccia delle armate romane di Vespasiano, in marcia verso Gerusalemme, nel 68 d.C., cosicché i suoi abitanti decisero di nascondere e proteggere il loro ricco patrimonio manuscripto e sapienziale nelle cavità fra le rocce. «Non sono certamente il primo a sostenere che i Rotoli sono stati nascosti - spiega Fidanzio -, ma la differenza nelle nostre ricerche sta nello spostare il centro dell'attenzione dal contenuto dei testi (che non raccontano la storia del loro uso e della loro deposizione), alle evidenze materiali raccolte nel loro luogo di ritrovamento, cioè le grotte. Precedenti studi si sono focalizzati sull'insediamento abitativo di Qumran, ma non sulla situazione dei Rotoli nelle grotte, dove sono stati effettivamente ritrovati. Nessun manoscritto è stato infatti ritrovato nell'insediamento, ma solo in cavità artificiali vicino a Qumran e in altre naturali più distanti. A partire dalla domanda su quale sia stata la funzione delle grotte in relazione al deposito, il contesto archeologico del ritrovamento svela delle evidenze per cui possiamo sostenere che i Rotoli sono stati portati nelle grotte naturali per essere nascosti. Abbiamo trovato nove caratteristiche distintive del deposito da cui si evince che qualcuno sia partito dall'insediamento di Qumran per andare a nascondere quei manufatti nelle grotte. A partire dallo studio delle grotte e dei Rotoli che vi erano contenuti, è possibile inserire un ulteriore passaggio che dal contesto deposizionale porta al contesto vitale, per arrivare a fare delle ipotesi anche sulla natura degli abitanti di Qumran».

• CHI ERANO GLI ABITANTI DI QUMRAN?

Molto si è parlato degli Esseni, il gruppo semita nato forse attorno alla metà del II secolo a.C. e organizzato a volte anche in comunità di tipo monastico. Erano davvero loro gli abitanti di Qumran e i detentori dei Rotoli? Un'altra linea di studi ha ipotizzato invece che si trattasse di un gruppo di Sadducei. Di certo, sappiamo che una parte importante dei manoscritti è espressione di una corrente del giudaismo del tardo periodo del Secondo Tempio. «Possiamo parlare più propriamente di Zadokiti - precisa Fidanzio a questo proposito -. Erano dei sacerdoti, praticavano una Halakhah Zadokita e non farisaica. Poi, andando più nel dettaglio, ad oggi c'è un buon numero di studiosi secondo cui si trattava degli Esseni, ma altri ritengono che fossero membri di una riforma interna all'ambito dell’essenismo. Altri ancora pensano che si trattasse di un gruppo sacerdotale scissionista zadokita, senza necessità o possibilità di identificazione con gli Esseni. C'è ancora molta discussione. Quello che noi oggi possiamo dire è che si trattava di una specifica corrente del giudaismo e che i Rotoli costituivano la collezione di un gruppo, di una élite che si confrontava al più alto livello con altre élite del tempo. Non sono infatti stati ritrovati nelle grotte solo dei documenti relativi a questo gruppo, ma anche della letteratura religiosa comune dell'epoca. Abbiamo la possibilità di conoscere un particolare punto di vista su un periodo fondamentale della storia del giudaismo: il volgere dell'era che prepara il passaggio al giudaismo rabbinico».

• LEGARE L'ANTICO AL CONTEMPORANEO

Sui Rotoli, eccezionale patrimonio ebraico e universale, si riversa l'interesse affascinato di diversi mondi nazionali e religiosi, un interesse intrecciato attorno a un filo che lega il passato antico con la storia contemporanea dei popoli, coinvolgendone persino l'identità dei singoli. «Senza mai trascurare la natura ebraica di questi testi, vediamo come la storia della scoperta dei manoscritti di Qumran nel ventesimo secolo coinvolga persone di diverse provenienze e di differenti convinzioni che si sono appassionati alla loro ricerca e al loro studio - sottolinea il professore -. Anche perché l'ebraismo è una ricchezza per tutti e non solo per gli ebrei. Molti si sono lasciati avvincere, alcuni addirittura "bruciare" dal valore del loro ritrovamento, impegnando tante energie fino a consumarsi e a volte affrontando concretamente il rischio della vita. I Rotoli non sono solo una grandiosa scoperta archeologica: è chiaro come ognuno dei protagonisti di questi studi e di queste ricerche alla fine cercasse qualcosa di sé stesso e della propria personale identità, ponendosi delle domande non solo di senso storico e archeologico, ma per trovare una direzione nella vita odierna. Che cosa può significare per un ebreo che torna nella Terra dei padri ritrovare dei manoscritti risalenti all'epoca di quei padri? Che cosa può significare per un cristiano, in un periodo in cui tante volte sono stati ritrovati dei manoscritti del Nuovo Testamento, poterli confrontare con un così grande patrimonio ebraico, che può contribuire a comprendere meglio anche il cristianesimo? Gli studiosi che hanno lavorato sui Rotoli hanno cercato sé stessi e il senso del loro agire. Oggi c'è molto interesse anche a livello di grande comunicazione. Mentre è difficile attirare l'attenzione sul testo biblico, i Rotoli del Mar Morto riempiono sempre le sale. Tuttavia, questo interesse viene spesso alimentato da annunci sensazionalistici ed emozioni a volte povere di contenuti. La parola "mistero" è sovente abusata. Personalmente, ho del tutto vietato di usare questo termine nella comunicazione relativa agli scavi nelle grotte, perché si presta a venire strumentalizzato o a diventare vuoto. Il nostro compito di studiosi è di riempire queste emozioni spontanee di contenuti adeguati, di educare a ricevere quelli che sono i contenuti di queste scoperte. E dobbiamo rivolgerci non solo agli studiosi, ma anche alle persone che pur non essendo specialiste nutrono un sincero interesse per questi temi, dando loro la possibilità di conoscere il contenuto degli studi. Per le comunità ebraiche la materia è particolarmente vicina e famigliare - evidenzia -, visto che in queste ricerche ci confrontiamo con delle pratiche religiose ebraiche di 2000 anni fa e oltre, con esigenze che sono le stesse degli ebrei religiosi di oggi. È come mettere i piedi nelle proprie orme. Si possono trovare consonanze o anche dissonanze rispetto agli specifici modi di declinare oggi la pratica religiosa, ma c'è il fascino di incontrare alcuni dei propri padri. Infine, si potrebbe tracciare la storia della ricerca su Qumran sottolineando come ogni svolta dell'odierno conflitto mediorientale corrisponda a una tappa della ricerca sui Rotoli. Questo è uno degli aspetti che rendono tanto vitale il lavoro e grande l'interesse - conclude Marcello Fidanzio -. Come ha scritto l'archeologo Ygal Yadin, "c'è qualcosa di simbolico nel fatto che i primi testi siano stati acquisiti dagli ebrei il 29 novembre 1947, lo stesso giorno in cui alle Nazioni Unite si votava la ri-creazione dello Stato ebraico in Israele. È come se questi manoscritti avessero aspettato 2000 anni per riemergere quando il popolo del Libro è tornato nella terra del Libro"».

(Bollettino della Comunità Ebraica di Milano, maggio 2023)

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Ripreso il lancio di razzi da Gaza contro Israele dopo pausa di 13 ore. Sirene attorno a Gerusalemme

Se ne contano circa 15, di cui uno è caduto in una serra senza procurare vittime, altri sono stati intercettati. Sono 31 i morti finora, oltre 90 i feriti. E Israele lascia i colloqui indiretti sulla tregua.

Israele ha lasciato i colloqui indiretti per un cessate il fuoco dopo i nuovi lanci della Jihad da Gaza. Lo ha annunciato un alto esponente israeliano, citato dai media secondo cui al termine di consultazioni è stato deciso di abbandonare i colloqui indiretti mediati dall'Egitto. E l'aviazione israeliana, dopo i lanci da Gaza, ha ripreso gli attacchi alle postazioni della Jihad islamica nella Striscia. Lo ha fatto sapere il portavoce militare. 
  Il lancio di razzi, circa 15, da Gaza verso le comunità israeliane a ridosso della Striscia era ripartito dopo una pausa di quasi 13 ore. Infatti dalle 22 di ieri sera (ora locale) era cessato il lancio di razzi da Gaza verso Israele da parte della Jihad islamica. Uno dei razzi- secondo il portavoce delle comunità di confine - è caduto su una serra ma senza procurare vittime. Gli altri - secondo la stessa fonte - o sono stati intercettati dall'Iron Dome o sono caduti in zone aperte. L'ultimo lancio dalla Striscia risale alle 22 (ora locale) di ieri sera.  E dopo il lancio di razzi da Gaza le sirene di allarme risuonano in diverse località vicine a Gerusalemme. In particolare le sirene a Beit Shemesh ed - in Cisgiordania - nella zona di insediamento ebraico del Gush Etzion e nella città-colonia prevalentemente ortodossa di Beitar Illit. Secondo la radio pubblica, si sentono echi di esplosioni. 

• IL BILANCIO
  Secondo la Wafa, i morti a Gaza sono ad ora, tra miliziani e civili (comprese donne e bambini) 31 e i feriti oltre 90. Secondo il portavoce militare Daniel Hagari - che ha confermato i colloqui in corso sul cessate il fuoco a livello politico - da Gaza sono stati lanciati dall'avvio del conflitto 876 razzi (di cui 163 ricaduti nella Striscia) con 260 intercettamenti da parte dell'Iron Dome, tranne quello che, per un malfunzionamento del sistema, ha causato la prima vittima israeliana a Rehovot. L'aviazione - secondo la stessa fonte - ha colpito 215 obiettivi della Jihad islamica nell'enclave palestinese. 

(RaiNews, 12 maggio 2023)

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Nuovi attacchi israeliani su Gaza: uccisi due dirigenti della Jihad. Un civile israeliano morto sotto i razzi

L'esercito ha detto che Ali Ghali era il responsabile del lancio di razzi. Con lui sono morti anche altri due miliziani. Oggi pomeriggio colpito anche Ahmed Abu Daka, vicecomandante dell'unità missilistica. Lo Stato ebraico: "Proiettili difettosi dei jihadisti hanno ucciso quattro civili palestinesi tra cui una bambina di dieci anni”.

di Rossella Tercatin

GERUSALEMME -  Si nascondeva in un rifugio ritenuto sicuro insieme ad altri miliziani, ma non è stato sufficiente. Oggi, alle prime luci dell'alba l'aviazione israeliana ha raggiunto ed eliminato Ali Ghali, il comandante della divisione missilistica della Jihad Islamica nella città di Khan Younis, a sud di Gaza. Nel corso della giornata una sorte simile è toccata al suo vice Abu Deka. Sale così a cinque il numero dei leader del gruppo eliminati nel corso dell'operazione denominata da Israele "Scudo e Freccia", dopo che nella notte tra lunedì e martedì erano stati uccisi Khalil Bahitini, Jahed Ahnam e Tarek Az Aldin. Una vera e propria decapitazione dei vertici dell'organizzazione.
  Jihad - che in una nota afferma "l'assassinio dei nostri comandanti incoraggia solo i combattenti a continuare la lotta e combattere il nemico" - a sua volta ha reagito sparando oltre 800 razzi contro il territorio israeliano. Se la maggior parte è caduta all'interno della Striscia o in aree disabitate, e dei rimanenti il 95 per cento sono stati intercettati dai sistemi di difesa antiaerei - l'Iron Dome e la nuova tecnologia "Fionda di Davide" contro i missili a medio raggio - quelli restanti sono riusciti comunque a provocare danni importanti, colpendo diversi edifici e veicoli in varie località di Israele, tra cui Rehovot, una città a una ventina di chilometri da Tel Aviv e sede del prestigioso istituto di ricerca Weizmann. Qui un razzo ha sventrato un edificio causando un morto e una decina di feriti.
  Così paiono allontanarsi le prospettive di un cessate il fuoco che mercoledì sera pareva vicinissimo, tanto da essere addirittura annunciato come concluso dai media del Cairo, che come in passato si occupa di mediare tra Israele e i gruppi armati palestinesi.
  Poco dopo però decine di razzi erano stati sparati contro il sud di Israele e anche contro Tel Aviv e i suoi sobborghi, e a stretto giro il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva annunciato in televisione che l'operazione militare proseguiva. Nelle ore successive, Israele ha continuato a colpire Gaza. In totale sono almeno 25 le vittime palestinesi dall'inizio delle ostilità, in maggioranza miliziani, ma anche diversi civili, compresi quattro bambini uccisi nei primi raid della settimana.
  Dopo il razzo a Rehovot, gli analisti suggeriscono che lo scontro è probabilmente vicino a un punto di svolta. La morte di un israeliano e le case distrutte potrebbero rappresentare l'obiettivo simbolico che la Jihad cercava per dichiarare vittoria e accettare poi la tregua, che Israele sarebbe interessata a raggiungere in virtù dei successi operativi conseguiti.
  Oppure, al contrario, la distruzione di Rehovot potrebbe causare un'escalation e magari spingere Hamas, il gruppo armato palestinese che controlla Gaza, a scendere in campo in un conflitto che finora ha appoggiato solo a parole, con il suo arsenale nettamente superiore a quello della Jihad. Uno scenario, quest'ultimo, guardato con grande preoccupazione dalla comunità internazionale, con Stati Uniti, Ue, Egitto e vari altri paesi che premono per il cessate il fuoco. A Tel Aviv intanto, non si è fermato il concerto all'aperto del musicista Aviv Geffen, con l'esercito che prima dello show comunica ai 40mila partecipanti le istruzioni di come comportarsi in caso di allarme aereo. Prove di normalità in un paese abituato a convivere con la guerra.  

(la Repubblica, 12 maggio 2023)

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Gaza: «Israele riapra i valichi per consentire l’assistenza umanitaria»

Non riescono a dormire e temono per la loro vita. Per i bambini della Striscia di Gaza la nuova ondata di violenza – che colpisce anche il sud di Israele – oltre a minacciare la loro sicurezza rischia anche di aggravare la crisi della loro salute mentale, che perdura da tempo. Basti pensare che l’80%  già viveva in condizioni di depressione prima degli attacchi ripresi dal 9 maggio, e in 800mila non hanno conosciuto altro che le ondate di violenza e terrore degli ultimi 16 anni.
  A lanciare l’allarme è Save the Children, ricordando che la nuova ondata di violenza arriva due anni dopo che un’analoga escalation di violenza aveva provocato la morte di 67 bambini palestinesi e di due bambini israeliani. Bambini e famiglie intrappolati nella Striscia, raccontano, si rifugiano nelle loro case, mentre scuole, università e strutture pubbliche e private sono chiuse. Non solo. In seguito al lancio di razzi da Gaza verso il sud di Israele, i cittadini che vivono nelle città lungo la barriera perimetrale di Gaza hanno ricevuto istruzioni per l’evacuazione o per proteggersi in luoghi sicuri.
  Si tratta della sesta escalation di violenza in 16 anni per i piccoli di Gaza, costretti a vivere sotto il blocco terrestre, aereo e marittimo imposto dal governo di Israele. Loro rappresentano il 47% dei due milioni di abitanti della Striscia e, dopo 15 anni di vita sotto il blocco, in «4 su 5 riferiscono di vivere con depressione, dolore e paura. È probabile – spiegano da Save the Children – che la nuova escalation scateni ricordi traumatici per molti bambini di Gaza che hanno sopportato ondate di morte e distruzione, hanno subito ferite che hanno cambiato la loro vita o hanno perso i loro cari in precedenti escalation».
  In più, ora, con la chiusura dei valichi di Erez e Kerem Shalom, controllati da Israele, il personale umanitario e i beni di prima necessità come medicinali, cibo e carburante non possono entrare a Gaza. Secondo il ministero della Sanità palestinese, la chiusura dei valichi ha finora impedito a 292 pazienti di accedere a cure mediche essenziali in ospedali al di fuori di Gaza, tra cui 15 pazienti che necessitano di cure urgenti e potenzialmente salvavita. Nel 2022, ricordano, almeno tre bambini sono morti a causa della negazione del permesso di ricevere cure in ospedali al di fuori della Striscia di Gaza.
  Jason Lee, direttore di Save the Children per il Territorio palestinese occupato, parla di un «momento inimmaginabilmente difficile per i bambini di Gaza. La nostra ricerca – dice riferito a un rapporto del 2022 – ha dimostrato chiaramente che la maggior parte dei bambini stava già soffrendo le conseguenze di così tanti anni di blocco e di incessanti cicli di violenza. Ogni ora che passa senza un cessate il fuoco, la sofferenza dei bambini rischia di aggravarsi, con conseguenze potenzialmente catastrofiche». Quindi l’appello: «Il governo di Israele deve aprire immediatamente tutti i valichi di Gaza per consentire l’assistenza umanitaria salvavita a coloro che ne hanno bisogno, compreso l’accesso a cure mediche specialistiche. I genitori ci dicono che i bambini non riescono a dormire la notte, che fanno fatica a confortarli, senza sapere se saranno vivi domani. Esortiamo la comunità internazionale a usare tutta la propria influenza per allontanare la situazione dall’orlo del baratro – aggiunge -. Deve esserci un’immediata cessazione delle ostilità per proteggere tutti i bambini».

(Romasette.it, 12 maggio 2023)

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Gazzini (lega): grave sgarbo Ue ad Israele, totale solidarietà

STRASBURGO – “Accolgo con piacere l’appello dell’amico Alessandro Bertoldi, Presidente di Alleanza per Israele, il quale ha chiesto che l’Italia ed i suoi Parlamentari europei protestino con l’Unione Europea per l’inaccettabile decisione di annullare la festa dell’Ue a Tel Aviv a causa della presenza del Ministro per la sicurezza d’Israele Ben Gvir.
  Secondo l’Ue le opinioni del Ministro contraddirebbero i valori europei. Trovo a dir poco sconvolgente ed inaccettabile che la nostra amicizia nei confronti di Israele subisca questo duro colpo a causa di una decisione dei soliti burocrati europei, peraltro proprio nel giorno dell’anniversario della nascita dello stato ebraico, 75 anni fa. È soltanto Israele a scegliere i suoi rappresentanti, in patria come all’estero, e non può di certo essere l’Ue a decidere con quali rappresentati dello stato ebraico intrattenere rapporti e con quali rifiutarsi, visto che l’Ue non lo fa nemmeno quando si tratta di interloquire con i peggiori dittatori. Voglio esprimere quindi la mia totale solidarietà al Ministro Gvir ed a Israele per questo odioso sgarbo, rassicurandoli circa la presenza in Europa di moltissimi veri amici sempre pronti a difendere l’Amicizia tra i nostri popoli, così come il diritto d’Israele ad esistere e difendersi.
  L’esistenza di Israele è sempre fondamentale per tutte le democrazie occidentali, come elemento essenziale per la nostra stessa civiltà, sicurezza ed esistenza in pace e libertà. Israele è l’unica vera democrazia che tiene alti i valori della civiltà occidentale in Medio Oriente, e per questo viene costantemente aggredita e minacciata da fondamentalisti islamici e terroristi che non ne tollerano l’esistenza. Oggi Israele gode di buone relazioni anche con molti Paesi arabi, come Bahrain, Marocco e Emirati Arabi Uniti, e nonostante questo grande passo avanti avvenuto grazie agli Accordi d’Abramo voluti dal Presidente Donald Trump, oggi è ancora più inaccettabile che sia l’Ue a commettere un così grave sgarbo diplomatico contro i nostri fratelli d’Israele. Il sottoscritto contribuirà sempre con convinzione e coerenza a far crescere e sostenere il rapporto con questo straordinario Paese amico: buon compleanno Israele!” – E’ quanto ha dichiarato il Parlamentare Europeo, Matteo Gazzini.

(Stampa Parlamento, 12 maggio 2023)

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La cantante in gara all’eurovision Mae Muller

Nipote di sopravvissuti alla Shoah, richiede il passaporto tedesco

di Jacqueline Sermoneta

Mae Muller
La cantautrice britannica Mae Muller, nipote di un sopravvissuto alla Shoah, ha richiesto l’acquisizione della cittadinanza tedesca, secondo quanto prevede la legge per i discendenti degli ebrei perseguitati e costretti a fuggire dalla Germania durante il nazismo. Lo riporta il sito Jewish News.
  In una recente intervista pubblicata sul quotidiano ‘The Times’, la pop star, rappresentante del Regno Unito all’Eurovision Song Contest, ha affermato che il passaporto dell'Unione Europea avrebbe facilitato le sue esibizioni in tutta Europa e ha aggiunto di aver avviato la richiesta non solo per sé, ma anche per la famiglia allo scopo di trasferirsi in Spagna.
  L’artista 25enne, nata e cresciuta a Kentish Town, a Londra, in precedenza aveva già raccontato la storia di suo nonno, Robert, che a 12 anni scappò dalla Germania per giungere in Galles, riuscendo così a mettersi in salvo dai nazisti. Nel luglio 2020, in risposta a provocazioni antisemite, Muller aveva pubblicato su Instagram: “A tutti i miei amici e follower ebrei, vi amo. Non c'è posto per l'antisemitismo in questo mondo. Sono molto orgogliosa delle mie radici ebraiche e dovreste farlo anche voi”. “Mio nonno è fuggito dalla Germania nazista nel Regno Unito quando aveva 12 anni da solo” ha aggiunto.
  Nella finale di sabato 13 maggio la cantante eseguirà il brano ‘I wrote a song’ all’Eurovision, manifestazione ospitata alla Liverpool Arena. La cantante ha detto di essere "onorata" di rappresentare il Regno Unito e che per lei è un evento "super speciale",

(Shalom, 12 maggio 2023)

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Parashà di Bechukkotày: La terra desolata

Nella parashà la Torà annuncia tutta una serie di punizioni per il popolo d’Israele se non osserverà il patto con l’Eterno. Una delle trasgressioni è quella di non osservare la mitzvà della shemità che prescrive di lasciare riposare la terra nel settimo anno. L’esilio è una punizione appropriata per la mancata osservanza di questa mitzvà. In conseguenza dell’esilio nella Torà è scritto: “Allora la terra compirà i suoi riposi, durante tutto il tempo che essa sarà deserta, quando sarete nel paese dei vostri nemici. Allora la terra riposerà, e compirà i suoi anni sabbatici. Tutto il tempo che sarà deserta riposerà quello che non riposò nei vostri anni sabbatici, quando era abitata da voi” (Vaykrà, 26: 34-35). 
              R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993) in Mesoras Harav (p. 231) commenta: “Quando  uno pensa a dei peccati che causano l’espulsione dalla terra, vengono in mente idolatria, omicidio e rapporti sessuali proibiti. La Torà in questo passo ci insegna che vi è un’altra trasgressione che causerà l’espulsione degli abitanti dalla terra d’Israele: la violazione della mitzvà della shemità. La Torà dice che la terra deve riposare e non che chi la coltiva deva riposare negli anni della shemità. Cosi come l’uomo deve riposare nel suo Shabbàt, Eretz Israel deve riposare nel suo Shabbàt, ogni sette anni.  Eretz Israel è una cosa a sé. Al contrario di altri paesi, Eretz Israel può essere resa impura [dal comportamento dei suoi abitanti] proprio come gli esseri umani”.  
  Per questa trasgressione nella Torà è scritto: ”E renderò la terra desolata così che diverrà desolata anche dei vostri nemici che vi abitano” (ibid., 32). 
  Rashì (Troyes, 1040-1105) commenta che questa è una cosa positiva per Israele, perché i nemici non troveranno alcuna soddisfazione in Eretz Israel perché resterà desolata senza abitanti. 
  R. Soloveitchik aggiunge che “La terra d’Israele non può essere costruita da un popolo qualunque. Solo il popolo ebraico possieda la capacità di trasformarla in un paese abitabile e di fare fiorire una terra desolata. Questa promessa divina divenne un fatto miracoloso nella storia della terra d’Israele nel corso di vari periodo storici. Non dobbiamo dimenticare neppure per un momento che la terra d’Israele ha attratto le nazioni del mondo, cristiani e musulmani, come una calamita. Le crociate furono intraprese allo scopo di conquistare la terra d’Israele e di colonizzarla con una popolazione cristiana. Tutti gli sforzi dei crociati furono vani e non riuscirono a mettere radici nel paese. Perfino i musulmani che erano già nel paese non riuscirono a colonizzarla bene. Coloro che esiliano il popolo ebraico e li rimpiazzano per risiedere nella terra d’Israele abiteranno in una terra desolata. [...]. 
  I nostri nemici cacciarono i nostri antenati da Gerusalemme. Misero a fuoco e distrussero il Bet Ha-Mikdàsh ma non lo colonizzarono né lo popolarono. Il Monte Zion fu desolato per un lungo periodo e nonostante tutti i tentativi nessuna nazione e nessun altro popolo riuscì mai a stabilire uno stato in Eretz Israel. Molti popoli erano desiderosi e pronti a colonizzarla. Il paese è considerato sacro da musulmani e da cristiani. Fu occupato da molte potenze: Roma, Bisanzio, dai musulmani e dai crociati e poi nuovamente dai musulmani. Passò per diverse mani molte volte me nessuno sviluppò l’agricoltura, l’industria e le scienze in Eretz Israel. Nel 18esimo e all’inizio del 19esimo secolo continenti interi e estesi territori come Australia, Nuova Zelanda e Sud Africa furono colonizzati e popolati dagli inglesi. Essi trasformarono deserti e giungle in fiorenti giardini [...]. Ma anche gli inglesi non riuscirono a colonizzare Eretz Israel. È una terra speciale, Eretz Chemdà. Con l’eccezione di qualche colonia qua e là nessuno riuscì a colonizzare il paese in grande scala. Eretz Israel rimase una terra desolata. Al contrario Eretz Israel fiorisce grazie al Yishuv ebraico. Vediamo cosa sono riusciti a costruire in poco più di un secolo. Apparentemente vi è un senso di lealtà da parte della terra che non tradirà mai il suo popolo, non si darà mai a stranieri o a conquistatori. Rimarrà fedele solo al popolo al quale appartiene Eretz Israel”. 

(Shalom, 12 maggio 2023)
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Parashà della settimana: Bechukotài

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La cattura e il processo di Adolf Eichmann, il "tecnocrate della Shoah"

Era l’11 maggio del 1960 e a Buenos Aires in Argentina fu catturato uno dei maggiori responsabili dell’orrore del Terzo Reich, Adolf Eichmann, grazie all’operazione messa a segno dal Mossad. Dodici mesi dopo, a Gerusalemme, il processo contro lo “SS-Obersturmbannfuehrer” Eichmann ebbe inizio, rappresentando un capitolo imprescindibile nella vicenda dei crimini all’umanità perpetrati dalla Germania nazista. Eichmann non solo incarna la “banalità del Male”, ovvero il burocrate apparentemente dimesso che con puntigliosa precisione contribuisce a realizzare l’organizzazione dello sterminio hitleriano, ma anche il prototipo del tedesco che s’inscena come semplice ingranaggio di un meccanismo più grande di lui.

• LA CATTURA DI EICHMANN: UN'OPERAZIONE LEGGENDARIA DEL MOSSAD
  Nel 1960, il Mossad si mise alla ricerca di Eichmann, ritenuto uno dei maggiori criminali nazisti di sempre, grazie alla testimonianza di Lothar Hermann, un ex soldato delle SS. Lothar era convinto che Eichmann si trovasse in Argentina con una nuova identità: Riccardo Klement. L’operazione durò circa 10 mesi, durante i quali i membri del Mossad studiarono la vita di Klement e la sua famiglia, cercando informazioni su di lui in ogni modo possibile. Grazie alle informazioni raccolte, si riuscì a individuare l’uomo e il 10 maggio del 1960, un gruppo di agenti israeliani lo catturò in un sobborgo di Buenos Aires, dove viveva sotto falso nome.

• IL PROCESSO DI GERUSALEMME CONTRO EICHMANN
  L’11 aprile 1961, a Gerusalemme, ebbe inizio il processo contro Adolf Eichmann, uno dei maggiori responsabili dell’organizzazione dello sterminio degli ebrei. L’imputato, durante il processo, si presentò come un funzionario privo di potere reale, che non odiava affatto gli ebrei, ma che aveva semplicemente eseguito gli ordini. La sua difesa fu quella di essere stato soltanto un ingranaggio di un meccanismo più grande di lui e che avrebbe fatto soltanto il suo dovere, come un qualsiasi soldato avrebbe fatto durante una guerra.
  Il processo, che durò otto mesi, fu caratterizzato da momenti di grande tensione e da testimonianze commoventi da parte di sopravvissuti all’Olocausto. Nonostante la difesa di Eichmann, il tribunale lo riconobbe colpevole e lo condannò alla pena di morte per impiccagione.

• L'EREDITÀ DEL PROCESSO DI EICHMANN
  Il processo di Gerusalemme contro Eichmann rappresentò un evento senza precedenti nella storia giudiziaria. La sua importanza fu riconosciuta a livello mondiale, poiché Eichmann era stato uno dei maggiori responsabili dell’organizzazione dello sterminio degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. Il processo venne celebrato in Israele nel 1961, 16 anni dopo la fine della guerra, e rappresentò un momento cruciale per il movimento per i diritti civili degli ebrei e per la memoria storica dell’Olocausto.
  Il processo fu seguito da milioni di persone in tutto il mondo, e venne trasmesso in televisione in molti paesi. Fu anche il primo processo penale trasmesso in diretta televisiva. Durante il processo, Eichmann fu accusato di crimini contro l’umanità, di aver organizzato il rapimento e la deportazione di milioni di ebrei verso i campi di concentramento, dove furono uccisi in massa.
  Il processo fu particolarmente importante perché rappresentò una rottura con la tradizione giuridica dell’epoca. Fu il primo processo in cui i crimini contro l’umanità furono riconosciuti come tali e il primo processo in cui la giurisdizione penale internazionale fu applicata. Inoltre, fu il primo processo che si occupò della questione dell’Olocausto, che era stata largamente ignorata durante i processi di Norimberga.
  Il processo di Gerusalemme rappresentò un momento fondamentale nella storia giudiziaria, non solo per l’importanza dei crimini che vennero giudicati, ma anche per il modo in cui venne condotto. Il processo dimostrò che i crimini contro l’umanità non potevano essere ignorati e che i responsabili dovevano essere portati alla giustizia. Fu un momento di giustizia e di riconciliazione, ma anche un momento di riflessione sulla condizione umana e sulla necessità di proteggere i diritti umani in futuro.
  Eichmann, dopo aver rifiutato l’ultimo pasto preferendo mezza bottiglia di vino rosso secco israeliano, morì per impiccagione pochi minuti prima della mezzanotte di giovedì 31 maggio 1962. Si narra che le leve della corda furono tirate contemporaneamente da due persone: nessuno doveva sapere con certezza per quale mano fosse morto il condannato.

(Culture, 11 maggio 2023)

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Gaza: eliminato altro importante comandante della Jihad Islamica

GAZA – Un attacco aereo israeliano ha ucciso un comandante militare della Jihad islamica palestinese, infliggendo un altro durissimo colpo al gruppo e smorzando ulteriormente le speranze di un cessate il fuoco.
  L’attacco aereo avvenuto all’alba nella città di Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, ha ucciso Ali Ghali, il comandante delle forze missilistiche della Jihad islamica. Lo hanno dichiarato le Forze di difesa israeliane in un comunicato.
  Ghali si nascondeva in un rifugio al momento dell’attacco insieme ad altri due agenti della Jihad islamica, anch’essi uccisi, ha dichiarato l’IDF.
  “Ghali era responsabile della direzione e dell’esecuzione dei lanci di razzi contro il territorio israeliano, compresi i recenti sbarramenti durante l’operazione Shield and Arrow”, ha dichiarato l’IDF, riferendosi al nome dato da Israele all’operazione a Gaza di questa settimana.
  “Ghali era considerato una figura centrale dell’organizzazione e si occupava della sua gestione ordinaria”, ha dichiarato l’IDF.
  “L’attacco è stato portato a termine grazie a un lavoro di intelligence di successo, all’identificazione del nascondiglio nell’appartamento, un piano dove sono stati colpiti i terroristi – si è trattato di un attacco molto preciso da parte dell’aviazione”, ha dichiarato giovedì mattina il portavoce dell’IDF, il contrammiraglio Daniel Hagari, ai giornalisti.
  La Jihad islamica ha confermato la morte di Ghali dopo l’annuncio dell’IDF.
  “Ali Ghali… comandante dell’unità di lancio dei razzi… è stato assassinato nel sud della Striscia di Gaza insieme ad altri martiri”, si legge in un comunicato delle Brigate Al-Quds, il ramo armato del gruppo.
  L’Operazione Shield and Arrow è stata lanciata martedì con l’eliminazione di tre alti comandanti della Jihad islamica.
  Il gruppo terroristico ha risposto lanciando centinaia di razzi contro le comunità israeliane, causando ingenti danni materiali in tutto il sud di Israele.
  Case, edifici e automobili sono stati colpiti da schegge di razzi o dalla caduta di missili intercettori israeliani in città come Sderot, Ashkelon e Netivot, mentre alcuni razzi sono riusciti a penetrare le difese aeree di Israele.
  Non sono stati segnalati feriti, anche se un certo numero di persone ha cercato di farsi curare per le ferite riportate nel tentativo di raggiungere un riparo o per la forte ansia causata dagli impatti vicini.
  I razzi hanno raggiunto Tel Aviv e Beersheba.

(Rights Reporter, 11 maggio 2023)

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Nuovo attacco israeliano su Gaza: ucciso un dirigente della Jihad

L'esercito ha detto che Ali Ghali era il responsabile del lancio di razzi. Con lui sono morti anche altri due miliziani. Lo Stato ebraico: "Proiettili difettosi dei jihadisti hanno ucciso quattro civili palestinesi tra cui una bambina di dieci anni”.

di Rossella Tercatin

GERUSALEMME – Non si fermano i razzi sparati da Gaza contro Israele, proseguono i raid dell’aviazione contro la Striscia, e nella notte viene eliminato un altro leader della Jihad Islamica  – organizzazione finanziata dall’Iran e classificata come terrorista anche da Usa e Unione Europea –  allontanando le prospettive di una tregua che ieri sera pareva imminente.
  Abbiamo appena colpito Ali Ghali, il comandante della Forza di lancio di razzi della Jihad Islamica, insieme ad altri due miliziani dell’organizzazione a Gaza”, annuncia l’Idf. “Ghali era una figura centrale del gruppo, nonché il responsabile delle recenti serie di razzi lanciati contro Israele”. L’uomo era nascosto in una località ritenuta sicura a Khan Younis, a sud di Gaza.
  Secondo fonti citate dalla stampa israeliana, in serata era stato proprio il rifiuto di Israele a impegnarsi a non colpire la leadership della Jihad a rallentare le trattative per il cessate il fuoco mediato dagli egiziani. Un cessate il fuoco che era già stato annunciato dai media del Cairo verso le 19 ore locali. Poco dopo decine di razzi erano stati sparati contro il sud di Israele e anche contro Tel Aviv e i suoi sobborghi, in quello che secondo gli analisti è un copione quasi annunciato in questo tipo di conflitto – la Jihad che come già altre volte in passato tenta di lanciare un ultimo attacco prima della fine delle ostilità aperte, proprio come era accaduto la scorsa settimana, quando il gruppo aveva sparato oltre un centinaio di razzi in poche ore, compreso subito dopo l’annuncio di tregua. Stavolta però la dichiarazione ufficiale non arriva.
  Verso le nove di sera, il premier Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant vanno in televisione e ribadiscono che l’operazione militare – denominata da Israele “Scudo e Freccia” non è conclusa. Gli scontri proseguono. Dopo alcune ore di quiete, in mattinata diversi colpi di mortaio da Gaza colpiscono le comunità vicine al confine. In totale secondo l’esercito israeliano sono stati oltre 500 i razzi e altri tipi di colpi sparati dalla Striscia. Di questi, 368 hanno attraversato il confine, mentre 110 sono caduti a Gaza. I sistemi di difesa aerei – l’Iron Dome ma anche la nuova tecnologia “Fionda di Davide” per missili a medio-raggio, ne hanno intercettati 154, o il 95% degli attacchi diretti verso aree popolate, mentre il resto è finito in zone aperte. Alcune case e auto sono state colpite a Sderot, Ashkelon e Netivot, senza provocare vittime.
  Il nuovo capitolo del conflitto tra Israele e Gaza si era aperto la settimana scorsa, quando in seguito alla morte del leader della Jihad islamica Khader Adnan, deceduto in una prigione israeliana dopo 86 giorni di sciopero della fame, il gruppo aveva lanciato oltre cento razzi verso il territorio israeliano. Se Gerusalemme aveva risposto con raid aerei contro obiettivi militari a Gaza, i vertici politici e militari hanno iniziato a preparare un’azione di scala molto più ampia. Il piano si è concretizzato nella notte di lunedì, quando Khalil Bahitini, Jahed Ahnam e Tarek Az Aldin sono stati eliminati nel sonno mentre si trovavano nelle proprie case, in un’operazione elogiata dalle autorità israeliane come “di precisione” ma che ha comunque causato la morte di almeno dodici civili, tra cui diversi bambini.
  Se la Jihad e Hamas annunciano vendetta, per oltre 24 ore non succede nulla, con gli analisti che indicano come proprio il ruolo di Hamas e la sua volontà o meno di aprire un conflitto di vasta scala con Israele possano fare la differenza nella portata dello scontro imminente ritenuto certo e che puntualmente arriva. Con Hamas però che pare rimanerne fuori. In totale secondo fonti palestinesi sarebbero almeno 25 le vittime dei raid israeliani a Gaza.
  In mattinata poi un portavoce della Jihad ribadisce che l’organizzazione non è disponibile alla tregua senza che Israele si impegni a smettere di colpire la sua leadership. Gli scontri proseguono.

(la Repubblica, 11 maggio 2023)

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Israele-Gaza, una pioggia di razzi e di bombe. L’Egitto media ma Netanyahu: “Non è finita”

Continua l’operazione anti-Jihad islamica: rappresaglie su Tel Aviv e Giaffa. Salgono a 21 i morti palestinesi.

di Fabiana Magrì

TEL AVIV - Convivono, sul finire della seconda giornata dell’operazione «Scudo e Freccia», le contraddizioni che accompagnano la de-escalation di una campagna militare. Sono continuate, le raffiche di razzi della Jihad islamica palestinese su Israele, ben oltre gli annunci di un cessate il fuoco, che, di fronte all’evidenza, ancora appare traballante. E le misure di emergenza dell’esercito a tutela della popolazione sono state prorogate fino alle 12 (ora locale) di venerdì per le comunità che si trovano nel raggio di 80 km dalla Striscia.
  Anche Tel Aviv è stata presa di mira, nel mezzo della scarica di razzi. Due volte nella giornata di ieri. Qui, per la prima volta, Israele ha dispiegato il nuovo complesso sistema di difesa aerea a più strati, «Fionda di Davide» o «Bacchetta magica», capace di intercettare anche missili balistici, Arrow-2 e Arrow-3. A differenza del «vecchio» Iron Dome, concepito per neutralizzare colpi di mortaio, razzi Kassam e missili Grad, nonostante quanto potrebbe suggerire il nome, la «Fionda» è meno mobile. E, per adesso, da usare con parsimonia. Ogni suo impiego costa un milione di dollari.
  Mentre il ministro degli esteri Eli Cohen faceva sapere di aver ricevuto dall’Egitto la proposta di mediazione e di essere impegnato nella sua valutazione, il premier Benjamin Netanyahu, in un’apparizione in tv, si guardava dal pronunciare la parola tregua. Anzi, ha annunciato che «la campagna a Gaza ancora non è finita».
  La risposta della Jihad all’attacco con cui Israele ha eliminato tre dei suoi alti comandanti nella Striscia si è fatta attendere 36 ore. Poi la pioggia di razzi sulle comunità nel sud di Israele, lungo la costa sulle città di Ashkelon, Ashdod, Bat Yam e Giaffa, fino al centro del Paese è stata intermittente ma incalzante. Il portavoce militare ha riferito di oltre 270 razzi, con un 25% di fallimento dei lanci, che significa molti ordigni ricaduti nella Striscia o in mare aperto. Una reazione che Israele aveva ampiamente previsto. Nonostante due case siano state centrate, una a Sderot e una a Netivot, non ci sono state vittime. Entrambe erano disabitate al momento dell’impatto. La prima evacuata. I proprietari della seconda erano al riparo nel rifugio.
  Dall’inizio del conflitto, ha notificato il Ministero della Sanità palestinese, i morti a Gaza sono stati 21. Sei ieri, a Rafah, Khan Yunis e nell’area di Beit Hanun. Tra loro, una ragazza. Quattro sono stati identificati come esponenti del Fronte popolare per la liberazione della Palestina. 64 hanno riportato ferite.
  Anche sotto la pioggia di razzi, Israele non ha mai smesso di colpire dal cielo esponenti e postazioni militari della Jihad islamica. «L’operazione ha esclusivamente come obiettivo la Jihad islamica palestinese nella Striscia» è stato il mantra ripetuto dal portavoce militare israeliano Daniel Hagari in ogni briefing, in ogni intervista. E «Israele non è interessato a una guerra. Ma - ha aggiunto - siamo pronti per ogni scenario». Determinante per schivare l’escalation, a detta di tutti gli analisti, è l’astensione di Hamas dallo scontro armato. «Abbiamo motivo di credere che Hamas non sia coinvolta nei lanci di razzi - ha detto il generale - ma può certamente intervenire per fermarli». A fine giornata resta la speranza, espressa dal ministro della difesa Yoav Gallant, che l’operazione «Scudo e Freccia» si possa presto dichiarare conclusa.

(La Stampa, 11 maggio 2023)


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La scommessa di Gerusalemme: colpire al cuore la Jihad senza coinvolgere Hamas

Le fazioni armate palestinesi si muovono separatamente. Se unissero le forze, il conflitto sarebbe molto più sanguinoso

di Daniele Raineri

Quando un giornalista del sito Times of Israel ha chiesto in modo specifico al portavoce delle forze militari israeliane, l'ammiraglio Daniel Hagari, se i raid sulla Striscia di Gaza prendessero di mira anche le postazioni di Hamas, lui ha risposto che per adesso non sta succedendo: gli aerei israeliani continueranno a bombardare la Jihad islamica palestinese e soltanto "se le altre fazioni si uniranno risponderemo anche a loro".
  Perché Israele si sta sforzando di differenziare tra i gruppi armati della Striscia in queste ore di bombardamenti aerei e di lanci di missili da Gaza? La risposta breve è che vuole evitare che Hamas prenda ufficialmente la guida delle operazioni, perché è l'organizzazione più potente e dispone di molti più razzi da lanciare contro il territorio israeliano e di molte più squadre di fuoco. Quando Hamas comincia a usare le sue squadre di fuoco disseminate in tutta la Striscia, i lanci di razzi sono centinaia ogni giorno, arrivano fino a Tel Aviv e a Gerusalemme e i raid aerei per fermarli sono più intensi.
  La risposta più lunga è che Israele vorrebbe che questo round di scontri somigliasse all'operazione "Breaking Down" e non all'operazione "Spada di Gerusalemme". Breaking Down fu un confronto di sole cinquantasei ore nell'agosto 2022, fu lanciato dagli israeliani e riguardò soltanto la Jihad islamica palestinese. Nelle prime ventiquattr'ore i raid uccisero Tayseer Jabari e Khaled Mansour, i due capi militari più importanti. Dalla Striscia partirono circa millecento razzi contro le città israeliane, ma non fecero danni. Hamas assunse una posizione neutrale, non partecipò con i suoi arsenali e anche per questo la vampata di violenza si spense relativamente in fretta.
  "Spada di Gerusalemme" invece fu lanciata proprio da Hamas nel maggio 2021 e vide tutte le fazioni della Striscia combattere assieme per undici giorni. I razzi lanciati contro il territorio israeliano furono più di quattromila, ci furono raid aerei continui, morti fra i civili israeliani, devastazioni e per giorni si speculò persino su un possibile intervento di terra dell'esercito.
  Il finale di questi scontri è sempre lo stesso, il numero di razzi comincia a diminuire in modo fisiologico e si arriva a un cessate il fuoco di solito mediato dall'intelligence dell'Egitto, ma la differenza tra i due scenari è enorme. Ieri da Gaza c'è stato un comunicato del cosiddetto Comando operativo che prometteva una risposta di tutte le fazioni - il Comando operativo riunisce tutti i gruppi armati ed è diretto da Hamas con l'aiuto degli sponsor iraniani - ma Hamas non ha fatto annunci ufficiali e non ha dichiarato guerra.
  Lanciare un'operazione come "Spada di Gerusalemme" richiede anni di preparazione prima e anni di lavoro dopo, per recuperare le perdite e riempire di nuovo le scorte di razzi. Si tratta di una decisione strategica che prende in considerazione molti fattori, anche politici, e Hamas per ora non vuole farsela imporre da altri. Anche soltanto sistemare i razzi nelle loro postazioni di lancio sparse per tutta la Striscia richiede molto tempo e molte cautele perché è un'attività da svolgere sotto gli occhi dei droni israeliani, che prendono nota di tutte le posizioni. Può essere che per questa volta Hamas decida che due anni di pausa non sono abbastanza e che ha bisogno di più tempo per ricominciare.  

(la Repubblica, 11 maggio 2023)

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Democrazia, demografia ed economia: Israele compie 75 anni

I numeri e i dati che fotografano le trasformazioni dello Stato nel corso dei decenni

di  Claudio Vercelli

A settantacinque anni dalla sua nascita lo Stato d’Israele ha mantenuto alcuni caratteri d’origine ma ne ha mutati molti altri. Ha mantenuto le sue modestissime dimensioni, 22.072 chilometri quadrati, comprendendovi anche le alture del Golan. Continua ad essere formalmente in stato di guerra con alcuni suoi vicini, il Libano e la Siria, anche se la natura del confronto armato ai suoi confini ha conosciuto trasformazioni nel corso del tempo, essendo oggi condotto – perlopiù – da organizzazioni terroristiche o comunque paramilitari e non da eserciti nazionali. In molti campi il cambiamento è stato invece corposo e accelerato, quasi a volere accentuare il carattere di «paese laboratorio»che, dalla sua origine, porta con sé. Fino a non molto tempo fa avremmo parlato perlopiù dell’evoluzione economica. E a ragione, per molti aspetti. Ad oggi, tuttavia, quello che più risulta sorprendente, e spiazzante, è il grado di accesa polarizzazione politica. Ad un esecutivo di destra, dove sono presenti esponenti del più acceso radicalismo nazionalista, populista e sovranista, infatti si contrappone il resto del Paese, che non intende concedere alcunché a ciò che considera come una deriva non solo illiberale ma anche antidemocratica. Le manifestazioni di piazza, tanto plateali quanto partecipate, con centinaia di migliaia di persone costantemente mobilitate, soprattutto a partire dal sabato sera, sono il segno di questa contrapposizione. Che non è solo tra destra e sinistra, come altrimenti d’abitudine si afferma. Semmai è l’indice di una radicalizzazione del confronto tra quanti intendono garantire il rispetto delle regole nel sistema istituzionale, e di rappresentanza della collettività, e la vocazione, a tratti quasi eversiva, che si esprime in formazioni politiche, spesso votate da un numero non irrilevante di elettori, nei confronti degli assetti legali e del sistema di check and balance dei poteri. Ossia, del circuito di controllo e bilanciamento reciproco tra di essi. Ad oggi, la vera domanda su Israele rinvia, ancora una volta, alla sua futura sopravvivenza. Ma non solo per le persistenti minacce esterne (terrorismo, Iran e quant’altro) bensì per l’evidente stato di malessere che attraversa l’intera società nazionale e del quale i fermenti politici odierni sono solo l’epitome, la punta dell’iceberg, estrinsecandosi in un lungo periodo di ingovernabilità, dove ad esecutivi fragili, senza solide maggioranze parlamentari, si sono sovrapposte elezioni in successione.
  Più in generale, il Paese sembra trovarsi in una condizione di permanente stallo politico, dal quale i tanti non sanno come uscire. Mentre i vecchi partiti che, per settant’anni e più, ne hanno accompagnato l’evoluzione, si sono progressivamente dissolti (e con essi le culture politiche di cui erano espressione), ciò che si è in parte sostituita è la presenza di formazioni politiche (e ideologiche) dove l’estremismo delle concrete posizioni politiche fa il paio con il radicalismo ideologico di fondo. Se si fa eccezione per il Likud, tuttavia sotto l’oramai esclusivo controllo del suo leader Benjamin Netanyahu, che lo ha trasformato in una sorta di formazione politica personale, estromettendo, passo dopo passo, i suoi avversari interni, ciò che resta è quindi un’opposizione centrista, laica e liberale,  incapace tuttavia di formulare progetti politici alternativi e, ancor più, inabile nel costruire maggioranze di governo diverse da quella a tutt’oggi fortemente spostata a destra. La sinistra socialdemocratica, socialista e sionista, che tanta parte ha avuto nella genesi e nel consolidamento d’Israele, è oramai solo una pallida e residuale immagine dei suoi trascorsi.
  Più in generale, in un tale quadro, per nulla confortante, si raccolgono tutta una serie di questioni che il Paese, nei suoi recenti anni di pur tumultuoso sviluppo, non è riuscito ad affrontare e a risolvere consensualmente. Alle fenditure identitarie pregresse (secolarizzati versus religiosi; destra contro sinistra; ebrei ed arabi israeliani; modernisti cosmopoliti e tradizionalisti; abitanti d’Israele e residenti nei Territori della Cisgiordania e così via) si sono adesso sovrapposte nuove urgenze. La prima di esse è quella che demanda all’assenza di un Costituzione scritta, votata, promulgata e quindi vincolante per tutti. Si tratta di un tema annoso, che si trascina dalla nascita stessa del Paese, trovando in parlamento, durante le sue diverse legislature, sempre e comunque l’opposizione radicale dei partiti religiosi, altrimenti indispensabili per la formazione della coalizioni di governo di qualsivoglia colore politico. Se fino a un certo numero di anni fa poteva sembrare ancora un obiettivo da raggiungere, quanto meno in un qualche futuro a venire, oggi invece si manifesta soprattutto per i rischi istituzionali, oltreché politici, che la sua mancanza produce da subito. L’impossibilità di identificare con chiarezza dei perimetri all’azione dei soggetti istituzionali (soprattutto governo e Corte suprema, ma non solo essi), così come la permanente competizione aperta tra esecutivo, legislativo e giudiziario, rischia di minare non solo il già precario equilibrio dei poteri vigenti ma anche la loro separazione in sfere autonome, e come tali concorrenti, di iniziativa sovrana. La reciproca delegittimazione che da un tale stato di cose può derivare, è evidente a tutti, in Israele così come al di fuori del Paese stesso.
  Non di meno, posto che ad una crisi se ne legano altre, un ulteriore passaggio problematico è quello del destino della Cisgiordania. L’evoluzione, la crescita e il rafforzamento degli insediamenti ebraici sta incidendo pesantemente non solo sulle residue prospettive di autonomia delle popolazioni arabo-palestinesi autoctone ma anche, e soprattutto, nel quadro politico israeliano, dove la «rivendicazione della terra» – quindi dell’espansione delle colonie e, in prospettiva, di un’eventuale annessione dei territori – come fondamento di un progetto politico già in parte in essere, costituisce un potenziale rivolgimento anche per la democrazia israeliana. Il dibattito sul rapporto tra democrazia ed ebraismo, legge positiva e Torah, legislazione israeliana e legislazione ebraica, ruota quindi intorno a questi due nodi strategici. Non è il solo riproporsi di questioni non inedite ma il loro riformularsi alla luce dell’evoluzione di questi ultimi tre decenni, tra globalizzazione, digitalizzazione ed etnicizzazione delle identità collettive. A tali ordini di problemi, peraltro, altri se ne aggiungono, rimandano soprattutto al divario economico e sociale tra quella parte di popolazione che ha beneficiato dei processi di modernizzazione e quanti, invece, ne sono rimasti ai margini. Tra di essi, per intenderci, non solo le enclave tradizionalmente più fragili (ultraortodossi, arabi-israeliani, popolazione con un basso livello di scolarizzazione) ma anche e soprattutto in quella parte di ceto medio che in Israele, così come negli altri Paesi a sviluppo avanzato, è rimasta esclusa dai ritorni dell’accelerata modernizzazione del Paese.
  La demografia, così come la composizione sociale del Paese, costituiscono, dal punto di vista analitico, un aspetto imprescindibile di questo orizzonte. Ad oggi, Israele è forse l’unica democrazia occidentale con un elevato tasso di fertilità. Da ciò, per inciso, deriva la capacità di garantirsi una crescita economica nazionale senza dovere fare ricorso al lavoro degli immigrati (così come invece avviene in altri paesi, a partire dalla stessa Italia). A tale riguardo, secondo i dati del 2021 (proiettati sull’anno corrente), il tasso di fecondità della componente ebraica è di 3,13 nascite per donna, superiore quindi a quello arabo, pari al 2,85. In tale trend va tuttavia considerato il fatto che le famiglie ultraortodosse rimangono molto più prolifiche di quelle secolarizzate. La qual cosa, quanto meno in prospettiva, lascia intendere che la prima componente è destinata a crescere di numero e di peso (anche politico) negli equilibri del Paese. Per capire di che cosa stiamo parlando, si consideri che il tasso medio di fecondità OCSE è invece di 1,61 nascite per donna.
  Non di meno, nel 2023 Israele si trova dinanzi ad una potenziale ondata immigratoria di circa 500mila nuovi elementi (non tutti ebrei), provenienti perlopiù dall’Ucraina, dalla Russia, oltre che dalle ex Repubbliche sovietiche, così come – anche se in misura minore – dalla Francia, dalla Gran Bretagna, dalla Germania, dall’Argentina e dagli Stati Uniti. Una tale prospettiva, tuttavia non destinata obbligatoriamente a verificarsi appieno, fa comunque sì che il combinato disposto tra politiche dell’assorbimento degli Olim (i nuovi immigrati, provenienti dai più disparati paesi d’origine e con una concezione dell’essere ebrei estremamente eterogenea) e definizione di un’identità nazionale basata, al medesimo tempo, sull’«ebraicità» così come sulla cittadinanza giuridica di natura universalista, rimangano tra le priorità per un Paese che si è costruito, nel tempo, grazie anche ai flussi migratori.
  Sussiste da sé, comunque, un’evoluzione demografica in campo ebraico. Il numero di nascite di ebrei israeliani nel 2022 (137.566 elementi) è stato superiore del 71% rispetto al 1995 (80.400), mentre il numero di nascite di arabi israeliani, nel medesimo arco di tempo (43.417), è stato pari al 19% in più rispetto al 1995 (36.500). Nel 2022, le nascite ebraiche erano quindi il 76% delle nascite totali (180.983), rispetto al 69% del 1995. Le donne israeliane –  seconde solo all’Islanda per accesso nel mercato del lavoro – sono tra le poche a sperimentare una correlazione diretta tra un aumento del tasso di fertilità, da un lato, e incremento dell’urbanizzazione, dell’istruzione, della capacità reddituale individuale in età di matrimonio dall’altro. Parimenti, nel 2022, si sono registrati 45.271 morti tra gli ebrei israeliani, rispetto ai 31.575 del 1996. Si tratta di un aumento del 43% a fronte, tuttavia, del raddoppio della popolazione nazionale (da quattro a nove milioni). Il numero di morti tra gli ebrei israeliani è stato quindi del 33% rispetto alle nascite (nel 1995 era invece del 40%). Un indice che, nel suo insieme,  riflette lo sviluppo di una società sempre più giovane.
  Dopo di che, non la medesima cosa può essere dette tra gli arabi israeliani (6.314 morti nel 2022, di contro ai 3.089 del 1996, con un aumento del 104%, percentuale che riflette l’invecchiamento del gruppo). Nel 2021, l’aspettativa media di vita dei maschi israeliani era di 80,5 anni e delle donne di 84,6. Per la componente araba si colloca a 78 anni per gli uomini e a 82 per le donne. Anche qui, per dare un parametro di confronto, l’aspettativa di vita negli Stati Uniti è, per i maschi, di 73,2 anni mentre per la popolazione femminile di 79,1. In Cisgiordania, assomma a 74 per gli uomini e a 78 per le donne. L’occidentalizzazione della demografia araba in Cisgiordania – meno figli, maggiori investimenti sugli individui nella loro singolarità, prevalenza dei lavori nei settori dei servizi – è stata accelerata dalla radicale urbanizzazione (da una popolazione rurale del 70% nel 1967 si è passati ad un insediamento urbano del 77% nel 2022), così come dall’aumento dell’età media di nuzialità per le donne (dai 15 ai 24 anni), dall’uso consistente di contraccettivi (70% delle donne) così come dalla contrazione del periodo riproduttivo (dai 16-55 anni trascorsi agli attuali 24-45). L’età media degli arabi palestinesi è di 22 anni, rispetto ai 18 del 2005.
  Tali saldi vanno poi raffrontati con l’immigrazione ebraica che, in oltre trent’anni ha misurato una diminuzione media statistica annuale da poco più di 14mila soggetti a 10mila, a fronte del raddoppio della popolazione nazionale. In sostanza, Israele è sempre meno una nazione di Olim e sempre più composta da autoctoni. Così come va registrato il fatto che l’occidentalizzazione dei tassi di fecondità ha caratterizzato tutte le nazioni a prevalenza musulmana diverse da quelle della regione sub-sahariana: in Giordania si registrano 2,9 nascite per donna; in Iran 1,9; in Arabia Saudita 1,9; in Marocco  2,27; in Iraq 3,17; in Egitto 2,76 e così via. Al netto di molte altre considerazioni demografiche (e non solo) rimane la sequenza storica per la quale se, nell’area compresa tra l’attuale Stato d’Israele e la Cisgiordania, nel 1897 c’era una minoranza ebraica del 9%, nel 1967 si aggirava intorno al 47% mentre ad oggi è del 69% (7,5 milioni di ebrei, 2 milioni di arabi israeliani la parte restante composta di arabi della «Giudea e Samaria» stima, quest’ultima, tuttavia rigettata dalle autorità palestinesi).
  Rispetto al 1950, quando gli israeliani erano 1.370mila, al 2018 la popolazione era già aumentata di sei volte e mezza. Il tasso di crescita annua è oggi del 2%, quello delle nascite del 2,15%. La composizione dell’età indica che il gruppo che va dagli 0 ai 14 anni costituisce il 27,3% della popolazione (17% per la media europea), quello che raccoglie gli israeliani tra i 15 e i 64 anni è del 62,2% mentre per le classi d’età più anziane si arriva al 10,5% (il 15% in Europa). L’età media degli israeliani ebrei è di 31,6 anni, quella degli israeliani arabi è di 21,1 anni. La società israeliana è rigorosamente multietnica, essendo il prodotto dell’incontro tra individui e gruppi dalle più disparate origini. Non a caso si parla di un «paese mosaico».
  I trend di evoluzione della popolazione riflettono invece le condotte di tre grandi gruppi: gli ebrei non ultraortodossi, pari al 63,3% della popolazione (dati del 2018), quelli ultraortodossi, ossia l’11,7% e gli arabi israeliani, il 20,7%. Si tratta di categorie generalizzanti, discutibili anche dal punto di vista nominalistico (nel gruppo dei non ultraortodossi, ad esempio, sono compresi coloro che si autodefiniscono non credenti, i laici credenti, ma anche i molteplici modi di intendere le pratiche religiose ebraiche in chiave identitaria ma non per questo rigorosamente restrittiva, ossia secondo i canoni di una rigida interpretazione dei Sacri Testi). Tuttavia, nella loro generalizzazione, indicano le linee di sviluppo in questi ultimi anni. Se la componente arabo-musulmana è passata da un tasso di crescita di oltre il 3% annuo all’attuale 2,1%, la componente ebraica ha invece incrementato dall’1,4% all’1,7% in ragione, però, della crescita del gruppo più religioso (il cui tasso è del 5% di contro all’1,2% della parte restante degli ebrei). Rimane il fatto che Israele, a scapito del fatto che sia qualificato dal linguaggio corrente come «Stato ebraico», è uno dei paesi dove maggiore è stata la secolarizzazione (ottavo nella classifica mondiale dei tassi di laicità), sia a livello civile che nelle istituzioni politiche.
  La distribuzione geografica della popolazione israeliana nei sei distretti del paese è poi la seguente: il 24% nel distretto centrale; il 17% in quello metropolitano di Tel Aviv; il 17% in quello settentrionale; il 14% in quello meridionale; il 12% in quello metropolitano di Haifa; sempre il 12% in quello di Gerusalemme e, infine, la parte restante in Cisgiordania. Più di metà della popolazione israeliana è concentrata nei distretti del centro del paese, seguendo una linea che lega Haifa e Gerusalemme attraverso Tel Aviv (nella cui area metropolitana risiede un quinto degli israeliani). Il 45% della popolazione israeliana d’origine araba è invece residente in Galilea. Detto questo, il 77% della popolazione ebraica israeliana è nata nel Paese mentre il 16% proviene dall’Europa e dalle Americhe e il 7% dall’Asia e dall’Africa. Della componente autoctona, ossia «sabra», la metà proviene da famiglie di origine aschenazita, la parte restante è di origine sefardita o mizrachi. La propensione ai matrimoni intercomunitari tra ebrei “occidentali” e “orientali” ha raggiunto il 35% delle unioni (un quarto almeno dei giovani di oggi ne è quindi figlio).  Israele, in ciò,segue i trend delle società a sviluppo avanzato. Ci si sposa sempre più tardi: l’età media dei matrimoni si è spostata a 27 anni. Nel 2005 il 61% dei giovani maschi tra i 25 e i 29 anni risultavano celibi (di contro al 28% del 1970); le donne nubili della medesima coorte demografica erano non meno del 40% (13% nel 1970). Più è alto il livello di scolarizzazione e maggiore è l’urbanizzazione minore è la propensione a fare famiglia. A Tel Aviv la popolazione maschile non sposata è del 72%; quella femminile si aggira intorno al 62%. Le proiezioni per i tempi a venire indicano che entro il 2035 la popolazione israeliana raggiungerà gli 11,4 milioni (73% dei quali ebrei) e nel 2059 supererà i 18 milioni.
  L’economia israeliana è cresciuta, negli anni, ad un ritmo medio annuale del 3%. Al momento dell’ultima rilevazione a consuntivo, prima della grande crisi pandemica, secondo il Central Bureau of Statistics di Gerusalemme la crescita del Prodotto interno lordo era del 4,3%, sostenuta dall’incremento dei consumi privati, dal miglioramento del potere d’acquisto delle famiglie e da una generalizzata tendenza all’incremento degli investimenti (con una maggiorazione dell’11%). I fattori legati a quest’ultimo risultato, in sé sorprendente per le sue notevoli dimensioni, sono da ricercarsi nell’oramai costante crescita del settore delle nuove tecnologie, oltre al riconoscimento che gli operatori economici hanno tributato alle autorità politiche ed istituzionali rispetto alla creazione e al mantenimento di un habitat favorevole allo sviluppo, alla ricerca e all’implementazione dei processi di innovazione. Israele continua ad essere ancora visto come un paese stabile e promettente, malgrado gli ultimi eventi politici ne abbiano in parte minato la credibilità a livello internazionale. Ancora nel 2016 gli investimenti esteri avevano superato i cento miliardi di dollari, incidendo per oltre il 36% nella formazione della ricchezza nazionale. Un quarto di questi sono a tutt’oggi di origine statunitense. La struttura economica rimane, nel suo insieme, a regime misto (investimenti pubblici e privati, proprietà individuali e statali delle imprese), basandosi sulla costante evoluzione del settore della ricerca e dello sviluppo. Percentualmente, ogni anno vi viene investito il 5% del Pil (il doppio degli Stati Uniti, mentre l’Italia raggiunge a malapena lo 0,9%).
  Tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, peraltro, si è consumata una transizione nella struttura produttiva del Paese. Le basi della ricchezza nazionale si sono spostate dall’agricoltura e dall’industria ai servizi. In particolare modo l’attenzione continua a concentrarsi sulle telecomunicazioni, sull’informatica e l’elettronica, le biotecnologie, la difesa e tutto quanto ha a che fare con l’innovazione applicata. Da questo punto di vista lo scarto con i circostanti paesi arabi è gigantesco e, per questi ultimi, oramai incolmabile. Israele è l’unico paese al mondo con più di un quarto della popolazione in possesso di una laurea. Lo sviluppo dei settori ad alta tecnologia, in una terra povera o pressoché priva di materie prime (e di industrie di lavorazione, a parte il settore agroalimentare), è essenziale affinché i capitali stranieri continuino ad esservi investiti. Peraltro, senza un tale flusso in entrata, le prospettive di crescita sarebbero drasticamente ridimensionate. I processi migratori hanno alimentato, nel corso di almeno settant’anni, una complessa economia dell’assorbimento, basata sull’aumento della domanda di beni di consumo, sul soddisfacimento dei bisogni manifestati dai nuovi immigrati, sulla messa in opera delle loro competenze intellettuali e professionali (nel caso di alcuni flussi migratori, come quelli dall’Europa dell’Est, molto elevate), sull’offerta di occasioni di investimento favorevoli all’ingresso di capitali. Fondamentale è il ruolo svolto nell’economia dell’informazione, con la creazione, la commercializzazione e la diffusione di una serie di prodotti nazionali, soprattutto nel campo delle tecnologie informatiche e delle comunicazioni. Non a caso si parla del distretto industriale di Tel Aviv come di una «Silicon Wadi» (la «valle del silicio», unione tra la parola araba che indica il letto di un fiume e quella inglese che indica l’elemento chimico).
  Il rapporto tra percorsi di formazione, alta scolarizzazione, servizio militare e riversamento delle competenze maturate nel settore civile, rimane un elemento di eccellenza, che costituisce un fattore di alta competitività nel mercato mondiale. Anche in questo caso gli indici sono significativi: ogni 10mila lavoratori in Israele circa 140 sono ingegneri (70 negli Usa, 50 nell’Unione europea, 5 nei paesi arabi); gli investimenti per l’educazione raggiungono i 2.500 dollari all’anno per cittadino (un decimo, invece, nei paesi arabi). Il mercato del lavoro ha tuttavia beneficiato solo in parte dell’alta redditività di molti investimenti. Alla base della piramide sociale, non diversamente dalla totalità dei paesi occidentali, si pongono i lavoratori immigrati clandestini, irregolari o in possesso di permessi temporanei. Provenienti perlopiù dai paesi dell’Est, come dall’Africa e dall’Asia, si sono inseriti negli interstizi dell’economia sostituendosi ai palestinesi. Non solo svolgono i lavori meno ambiti ma subiscono l’aleatorietà della loro condizione giuridica. Ad una stima si calcolano in almeno 300mila i possessori di un visto temporaneo per motivi di lavoro, così come70mila i rifugiati. La presenza degli abitanti della Cisgiordania e di Gaza, tradizionale manodopera pendolare, si è drasticamente ridimensionata dopo la recrudescenza delle violenze a seguito della seconda Intifada (avviatasi nel 2000).
  Ai vertici della scala sociale, invece, si pongono quelle élite sociali, economiche e culturali che appartengono alla nuova borghesia globalizzata, che si sente «cittadina del mondo». Il ceto medio diffuso, a sua volta, ha beneficiato solo in parte della grande vivacità economica. Solo un sesto della popolazione lavora nei settori ad alto investimento tecnologico. La parte restante è legata invece alle attività più tradizionali, dalle manifatture ai commerci. Inoltre, lo sviluppo dell’economia dell’informazione e il sistema delle start-up, risultano premianti per creatori ed investitori ma si basano su un basso livello di coinvolgimento della manodopera. La vera redditività si registra non solo producendo i beni ma soprattutto commercializzando le licenze. Non è infrequente, quindi, che i giovani lavoratori, in possesso di alti titoli di studio, debbano svolgere contemporaneamente più attività per potere fare fronte all’elevato costo di certi beni fondamentali, come le abitazioni.
  La supremazia aschenazita, tale fino alla seconda metà degli anni Settanta, è andata attenuandosi nel corso degli ultimi tre decenni. Più che nel differenziale etnico, che pur ancora conta nella determinazione dello status delle singole persone, è l’accesso al sapere, ovvero al capitale culturale, che fa la differenza di sostanza, aprendo a coloro che ne sono detentori porte che per il resto della popolazione rimangono invece chiuse. Gli esponenti delle classi abbienti appartengono perlopiù a quel ceto di operatori economici che volgono il loro sguardo ad Oriente, sapendo che dal confronto con l’India e con la Cina (e, più in generale, con il Sud-Est asiatico) deriveranno le fortune proprie. In Israele, paese per sua natura poliglotta, la mobilità verso l’estero, ovvero la costruzione di profili di carriera professionale attraverso il ricorso agli stage in paesi stranieri, è un fatto comune che ha permesso, soprattutto all’ultima generazione, di rompere l’assedio dettato dall’essere cresciuta in un contesto regionale dove il senso dell’accerchiamento ha ancora un peso rilevantissimo e dove l’interscambio con i paesi limitrofi è pressoché nullo.
  L’intervento politico, soprattutto con i trascorsi governi Netanyahu, ha ridotto il peso economico dello Stato. Rimane fondamentale nel settore agricolo che, tuttavia, occupa non più dell’1,5% della popolazione (concorrendo per il 2% al Pil), con uno sfruttamento intensivo delle terre fortemente tecnologizzato. Di fatto, dall’originaria condizione di dipendenza dall’estero, Israele oggi riesce a soddisfare autonomamente i tre quarti del fabbisogno alimentare nazionale. È ancora aperto il capitolo dell’approvvigionamento idrico (destinato al 57% per l’agricoltura, al 31,5% per usi domestici e per la parte restante nell’industria), due miliardi di metri cubi per anno, poiché più del 50% delle risorse è reperito in falde o in depositi al di fuori della spazio sovrano nazionale. La costruzione di quattro impianti di desalinizzazione (Ashkelon, Hadera, Sorek e Palmahim) sta al momento soddisfacendo il 15% della domanda.
  In Israele la popolazione dovrebbe mantenere un tasso di crescita annuo intorno all’1,5% fino al 2050. Nello stesso periodo di tempo i Territori palestinesi potrebbero passare da 4.017.000 (stima palestinese) a 10.265.000 abitanti, con un tasso del 2,6%. Questo a patto che quelle terre rimangano separate da Israele. Nel caso, invece, di una loro annessione unilaterale si calcola che già tra il 2020 e il 2025, quindi ad oggi, la componente araba diverrebbe maggioritaria. Un carico demografico di tale misura è comunque destinato a pesare molto in una regione tendenzialmente scarsa di risorse idriche. Più in generale, la variabile ecologica, intesa in chiave non solo ambientalista ma, più in generale, nell’ottica del riequilibrio di rapporto tra espansione quantitativa delle popolazioni, uso qualitativo del territorio e natura dei consumi – soprattutto energetici – s’impone già da adesso come dirimente rispetto alle scelte politiche future. Detto questo, rimane l’eredità dei settant’anni trascorsi ma anche di ciò che li ha preceduti, a partire dall’esperienza dell’«Yishuv», l’insediamento sionista, tra il 1881 e il 1948, che ha dato origine al Paese per come lo conosciamo.

(JoiMag, 11 maggio 2023)

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Nuovo raid a Gaza, Israele ora teme ritorsioni

Colpiti leader islamisti, ma anche civili. Duemila ebrei pronti a lasciare il Sud del Paese 

di Stefano Graziosi 

Sale la tensione in Medio Oriente. Ieri pomeriggio, le Forze di difesa israeliane hanno condotto un attacco aereo a Khan Yunis contro una cellula della Jihad islamica palestinese che stava cercando di effettuare il lancio di un missile anticarro al confine israeliano. Secondo il ministero della Salute di Gaza (che è guidato da Hamas), sono rimaste uccise due persone. «I soldati delle Idf (Israel Defense Force, ndr.) hanno monitorato l'attività della cellula e l'hanno colpita mentre si dirigeva verso la piattaforma di lancio», hanno riferito le forze dello Stato ebraico. Le attività militari sono avvenute nel quadro dell'operazione Shield and Arrow, lanciata dalle truppe israeliane nelle primissime ore della giornata di ieri nella Striscia di Gaza contro i miliziani della Jihad islamica: ieri sera, la Bbc ha riportato che, secondo il ministero della Salute di Gaza, si contavano in totale almeno 15 vittime (miliziani, ma anche donne e bambini). 
  Stando al Times of Israel, l'operazione è scattata dopo che, lo scorso 2 maggio, la Jihad islamica aveva lanciato 104 razzi contro Israele. «L'esercito israeliano ha dichiarato l'inizio dell'operazione Shield and Arrow in risposta a mesi di attacchi della Jihad islamica», ha inoltre riportato la testata i24 News. « Il nostro principio è chiaro: a chi ci fa del male, noi facciamo del male a lui e con maggiore forza. Il nostro lungo braccio raggiunge ogni terrorista nel momento e nel luogo da noi scelto», ha dichiarato il premier israeliano, Benjamin Netanyahu. «Siamo nel bel mezzo di una campagna e siamo pronti a qualsiasi possibilità. Consiglio ai nostri nemici di non scherzare con noi», ha aggiunto, sostenendo che, a differenza dei terroristi, Israele cerca di non colpire i civili, e rivendicando l' eliminazione di tre alti esponenti della Jihad islamica. Ricordiamo che quest'ultima è un'organizzazione paramilitare islamista, designata come terroristica da Usa, Ue, Israele, Canada, Giappone e Regno Unito. Essa intrattiene inoltre solidi rapporti con l'Iran e con Hezbollah (che ieri le ha non a caso espresso «completa solidarietà»), Nel frattempo, circa duemila persone si sono preparate ad abbandonare il sud di Israele nel timore di lanci da Gaza, mentre a Tel Aviv sono stati aperti rifugi antiaerei. 
  Sono intanto arrivate delle reazioni internazionali rispetto all'escalation. «Stiamo seguendo da vicino gli attacchi aerei israeliani nella Striscia di Gaza che hanno ucciso tre leader della Jihad islamica palestìnese», ha detto un portavoce dell'ambasciata americana a Gerusalemme. «Siamo anche a conoscenza di notizie secondo cui dieci civili sono stati tragicamente uccisi negli attacchi israeliani», ha proseguito. «Chiediamo a tutte le parti una de-escalation per proteggere chi non combatte», ha aggiunto, per poi concludere: «L'impegno americano alla sicurezza di Israele resta incrollabile». Dal canto suo, l'Ue ha detto di «rammaricarsi profondamente per la perdita di vite civili, compresi i bambini, e chiede il rispetto del diritto umanitario internazionale».

(La Verità, 10 maggio 2023)


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Razzi su Gaza: uccisi tre capi della Jihad

di Fiamma Nirenstein

Si chiama «Scudo e freccia» l'operazione intrapresa alle due della notte di domenica con tre eliminazioni mirate, contornate da una decina di morti e feriti, e proseguita nella giornata di ieri con altri due morti. Anche questi terroristi della Jihad Islamica, presi di mira nella loro auto mentre stavano per sparare un missili teleguidato. Tutti gli obiettivi sono membri dell'organizzazione che dopo la morte in carcere di un jihadista, Khaled Arnan, di sciopero della fame, ha lanciato il 2 maggio 104 missili sul sud di Israele. I due eliminati ieri tentavano una delle possibili vendette per la morte di tre capi islamisti: Khalil al Bahtini, Tarek Izeldin e Jihad Ghannam. Fra i membri delle loro famiglie uccisi nell'attacco, anche purtroppo due bambini. Bahtini aveva nel suo curriculum l'organizzazione di innumerevoli attacchi suicidi, lanci di missili, bombe. Coordinava gli attacchi della fazione terrorista. Izerdin era il responsabile degli attacchi nell'West Bank, era lo stratega del terrore che usciva da Gaza. Condannato a vita, era stato rilasciato nello scambio per Gilad Shalit nel 2011. Ghannam era un assassino seriale: fra l'altro nel 2004 ammazzò a fucilate una donna incinta di otto mesi, Tali Hatuel, con i suoi 4 bambini.
  L'operazione di ieri è stata preparata con determinazione e precisione dopo un periodo di silenzio dall'attacco del 2 maggio: Netanyahu sembra aver voluto con questo rassicurare i cittadini che hanno sofferto, specie nel sud del Paese, nelle settimane delle manifestazioni nelle strade assieme alle violenze delle giornate di Ramadan; la decisione dell'operazione risponde alla Jihad e a Hamas che volevano dimostrare di essere i padroni delle Moschee. Duole pensare che in questi attacchi anche sangue innocente sia stato versato: ma l'operazione è una scelta di salvaguardia ritenuta necessaria.
  Adesso Israele ha il fiato sospeso: a parte le condanne internazionali (ma gli USA non si son sentiti) e le criminalizzazioni (Abu Mazen in volo verso Washington al Nakba Day, Erdogan,l'Egitto, la Giordania, il Qatar...) si teme la ritorsione. Per ora c'è solo una presa di posizione di Khaled Mashal, che dichiara che parteciperà alla grande vendetta. Nel sud del Paese le scuole sono chiuse, gli autobus e i treni fermi, i negozi chiusi, i rifugi aperti: ma la gente di Sderot, di Netivot, di Ashkelon, dei kibbutz, dice che è pronta a qualsiasi sacrificio per il cambiamento. Non ne può più. Ieri si è riunito il Gabinetto di Sicurezza.
  Certo, il fuoco di Hamas non brucia solo sul suo confine meridionale, certo l'Iran ha interessi prima di tutto legati alla Jihad islamica, certo Hamas siede oggi anche sul confine del Libano con Hezbollah. Ma il guanto è stato lanciato dopo averci pensato bene, scegliendo il nemico, solo la Jihad Islamica. Netanyahu ha detto: «Alla violenza, noi risponderemo tutti uniti. Sappiamo affrontare ogni rischio e vincere. Non ci mettete alla prova». Ma qualsiasi cosa può accadere nelle prossime ore. Di sicuro Israele ha cercato con questa operazione di ristabilire la deterrenza perduta nella supposizione del nemico che Israele fosse indebolita dallo scontro interno. I soldati delle riserve sono stati in parte richiamate, 200 famiglie sono state evacuate. Israele è pronta, può darsi che Hamas stia chiedendosi se stavolta la strada prescelta sia quella dell'eliminazione dei grandi capi.

(il Giornale, 10 maggio 2023)


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Chi erano i tre capi terroristi uccisi a Gaza

Israele colpisce i vertici del terrorismo, ma deve aspettarsi la consueta rappresaglia palestinese contro i civili israeliani

I tre capi terroristi uccisi nell’operazione di lunedì notte
In un’operazione lanciata a sorpresa nella notte fra lunedì e martedì, le Forze di Difesa israeliane hanno ucciso tre capi terroristi di alto livello della Jihad Islamica Palestinese, il gruppo sponsorizzato dall’Iran e principale responsabile una settimana fa del lancio di più di 100 razzi nell’arco di 24 ore sulle comunità civili del sud di Israele.
  I tre capi terroristi uccisi sono Khalil Bahitini, comandante delle Brigate al-Quds nel nord della striscia di Gaza, Tareq Ezzaldin, portavoce del gruppo nonché responsabile di attività terroristiche in Cisgiordania e da Gaza, e Jihad Ghanem, segretario del Consiglio militare del movimento.
  Khalil Bahitini, 44 anni, comandante delle Brigate al-Quds della Jihad Islamica Palestinese nel nord della striscia di Gaza, era il più alto comandante operativo del gruppo terrorista. Diretto responsabile del lancio di razzi sulle comunità civili israeliane nel mese scorso, stava pianificando ulteriori lanci di razzi per l’imminente futuro. Bahtini aveva supervisionato molteplici attacchi terroristici dalla parte nord di Gaza, compresi attentati mirati contro civili in profondità nel territorio israeliano tra cui attentati suicidi e con ordigni stradali.
  Tareq Ezzaldin, 49 anni, portavoce della Jihad Islamica Palestinese, era responsabile del coordinamento tra il gruppo con base a Gaza e le sue diramazioni in Cisgiordania, del trasferimento di fondi e degli sforzi per fomentare terrorismo in territorio israeliano. La sua eliminazione viene considerata una svolta giacché finora non erano stati presi di mira i terroristi che pianificano da Gaza gli attentati in Cisgiordania. Ezzaldin era stato scarcerato da Israele nel 2011 nell’ambito del ricatto per la liberazione dell’israeliano Gilad Shalit, trattenuto da Hamas in ostaggio a Gaza per cinque anni.
  Jihad Ghanem, 62 anni, segretario del Consiglio militare del gruppo terrorista, era uno degli operativi veterani di più alto livello e aveva ricoperto varie posizioni di comando nel gruppo filo-iraniano, tra cui quella di comandante delle Brigate al-Quds nel sud della striscia di Gaza. Nella sua ultima posizione, Ghanem era responsabile del trasferimento di fondi, armi e munizioni tra Jihad Islamica Palestinese a Hamas. Aveva anche contribuito a pianificare e realizzare numerosi attentati in Cisgiordania e all’estero, tra cui l’attacco compiuto nel maggio del 2004 in cui vennero assassinate a sangue freddo Tali Hatuel, 34enne incinta, e le sue quattro figlie Hila di 11 anni, Hadar di 9, Roni di 7 e Merav di 2 anni, nei pressi del kibbutz Kissufim, vicino al confine con la striscia di Gaza.
  La Jihad Islamica Palestinese ha confermato martedì la morte dei suoi tre alti comandanti, insieme ad alcuni loro famigliari.
  Il presidente d’Israele Isaac Herzog ha elogiato le operazioni anti-terrorismo delle Forze di Difesa israeliane a Gaza a difesa del paese e ha esortato i cittadini israeliani a seguire le istruzioni di sicurezza dal Comando Fronte interno. “Ci troviamo ad affrontare molte sfide di sicurezza che ci obbligano ad agire in modo responsabile e attenerci alle istruzioni del Fronte interno – ha detto Herzog – Tutti noi, con il cuore e con la mente, siamo con le Forze di Difesa, con le forze di sicurezza e con i residenti del sud” (vicini alla striscia di Gaza).

(israele.net, 10 maggio 2023)

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Risparmiare energia: Israele apre il primo impianto di produzione di sistemi di accumulo di energia termica

di David Fiorentini

L’azienda israeliana Brenmiller Energy ha annunciato l’apertura del primo impianto di produzione di sistemi di accumulo di energia termica al mondo, a Dimona nel deserto del Negev.
  L’accumulatore immagazzina energia proveniente da fonti rinnovabili o in generale dalla rete elettrica, in un mezzo di stoccaggio, in questo caso rocce del deserto frantumate, sotto forma di calore estremamente elevato, raggiungendo temperature fino a 750 °C. Dopodiché, al bisogno, viene fatta attraversare dell’acqua nel sistema, che, al contatto con le rocce roventi, si trasforma in vapore e quindi nuovamente in elettricità pronta per essere immessa in rete.
  La nuova fabbrica, che creerà decine di posti di lavoro, raggiungerà una produzione di 4 gigawattora entro la fine del 2023. Brenmiller, che ha già altri impianti in Italia, Stati Uniti e Brasile, ha dichiarato che la sede israeliana sarà il suo fiore all’occhiello, diventando il principale centro di produzione.
  “Per ridurre le emissioni nel settore industriale e del riscaldamento, è necessario un sistema di accumulo di calore che colleghi la disponibilità variabile di fonti di energia elettrica rinnovabile, come l’energia eolica e solare, alle esigenze che richiedono calore 24 ore su 24”, spiega Avi Brenmiller, fondatore e CEO di Brenmiller Energy.
  “L’inaugurazione della nostra fabbrica segna una pietra miliare nella storia della nostra azienda. Quello che è iniziato come un’impresa familiare è cresciuto fino a diventare una ditta che può aiutare gli sforzi dell’economia globale per la decarbonizzazione”.

(Bet Magazine Mosaico, 10 maggio 2023)

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“Le tre sorelle di Auschwitz”

di Michelle Zarfati

Tratto da un'incredibile storia vera “Le tre sorelle di Auschwitz” (Newton compton editori) di Heather Morris è il racconto del vero amore tra sorelle: un legame che supera tutto anche l’orrore della guerra. Non basterà infatti il lager, la fame, e la sofferenza a dividere Livi, Magda e Cibi che riescono a sopravvivere anche ad Auschwitz-Birkenau. Le tre sorelle sono riuscite a farcela difendendosi e supportandosi a vicenda nonostante la ferocia delle SS, eppure il peggio sembra non essere ancora finito per loro. Con la “marcia della morte” le sorelle si rendono conto di non essere ancora del tutto salve, il loro destino sembra essere segnato eppure un colpo di scena cambia la sorte improvvisamente.
Un testo emozionante, a tratti doloroso ma senza dubbio una preziosa testimonianza di una storia che merita di essere narrata.

(Shalom, 10 maggio 2023)

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Doppio standard dell’Ue su Israele

Annullata la serata a Tel Aviv. Tutto ok in Qatar e Arabia Saudita

L’Unione europea ha il piacere di invitarvi a un evento speciale per celebrare l’Europa Day in Qatar”. E ancora: “Ogni anno, il 9 maggio, celebriamo la dichiarazione Schuman. L’ambasciatore Ue in Arabia Saudita, Patrick Simonnet, ha organizzato un pranzo per celebrare la Giornata dell’Europa a Riad”. Stesso invito in Turchia. Qatar, Arabia Saudita e Turchia, tre paesi che nei report di Freedom House vanno dalla dittatura all’autocrazia. Nessuno di loro si avvicina, neanche lontanamente, alla democrazia pluralista e liberale israeliana, dove a differenza dell’Arabia Saudita che interdice l’ingresso alla Mecca a ebrei e cristiani, Gerusalemme si è fatta capitale delle tre fedi, tanto da impedire agli ebrei di pregare sul Monte del Tempio, per non scatenare rivolte islamiche.
  Eppure, l’Ue ha deciso quest’anno di annullare l’evento del 9 maggio a Tel Aviv, a causa della presenza nella delegazione israeliana del ministro Itamar Ben Gvir. Quest’ultimo non ha immacolate credenziali democratiche, non è un liberal, ma un nazionalista religioso con precedenti di razzismo antiarabo. L’Unione europea non ha esitato a cancellare l’evento in Israele, quando neanche lontanamente ha pensato di fare altrettanto in Qatar (dove i gay e gli apostati sono passibili di pena di morte secondo “costituzione”) o in Arabia Saudita, che detiene record mondiali di esecuzioni capitali. Nelle stesse ore in cui annullava la serata a Tel Aviv, l’Unione europea celebrava la “libertà di stampa” in Giordania. L’Europa ha diritto di far sentire la sua voce nei rapporti con gli alleati. Quello che non ha è il diritto di applicare il doppio standard su Israele. Lo avevamo già visto sulle merci dalla Cisgiordania: trattamento punitivo per gli insediamenti israeliani, niente sulla Cipro occupata dai turchi. E vista la storia degli ebrei europei piena di fantasmi e ombre oscure, per Bruxelles sarebbe saggio e prudente non indicare lo stato ebraico al pubblico ludibrio.

Il Foglio, 10 maggio 2023)


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L’ipocrisia dell’Ue: va dal dittatore Xi, ma boicotta i ministri di Israele

di Michel Sfaradi

Assurdo annullare il ricevimento diplomatico per impedire a Itamar Ben-Gvir di parlare. È anche un errore politico.

Per l’evento ‘La Giornata dell’Europa’ che doveva tenersi a Tel Aviv, l’Unione Europea ha scelto di annullare il ricevimento diplomatico pur di impedire la partecipazione, e di conseguenza il discorso, che avrebbe dovuto tenere il ministro della Sicurezza Nazionale di Israele, Itamar Ben-Gvir.

• Annullato il ricevimento
  La decisione è stata presa dopo le consultazioni tenutesi durante la giornata tra gli ambasciatori europei e il Servizio europeo per l’azione esterna a Bruxelles.
Una dichiarazione rilasciata dalla delegazione dell’Unione europea in Israele afferma: “Non vediamo l’ora di celebrare la ‘Festa dell’Europa’ il 9 maggio come ogni anno. Purtroppo quest’anno abbiamo deciso di annullare il ricevimento diplomatico perché non vogliamo dare una piattaforma a coloro le cui opinioni contraddicono i valori rappresentati dall’Unione europea. Tuttavia, l’evento culturale della ‘Giornata dell’Europa’ si terrà per celebrare con i nostri amici e partner in Israele”.

• La reazione israeliana
  Il ministro Ben Gabir ha risposto: “È un peccato che l’Unione europea, che pretende di rappresentare i valori della democrazia e del multiculturalismo, pratichi un bavaglio poco diplomatico. Per me è un onore e un privilegio rappresentare il governo israeliano, il suo eroico esercito e il popolo di Israele in ogni forum. Anche gli amici sanno esprimere critiche, ma certamente non mettono il bavaglio a chi non la pensa come loro”.
  Si è chiaramente trattato di un intervento a gamba tesa contro il governo israeliano, un intervento che ha dato subito modo all’opposizione di polemizzare nei confronti del Premier Netanyahu. Infatti il presidente dell’opposizione di sinistra Yair Lapid, non ha perso l’occasione per twittare in merito alla decisione degli europei: “Durante il periodo del cambio di governo, abbiamo portato le relazioni con l’Unione europea a un boom senza precedenti che ha contribuito all’economia israeliana e alla nostra forza politica. Invece di continuare la linea positiva, l’attuale governo ci ha portato a litigi inutili e ha creato una crisi solo per far sì che Ben Gvir ci metta ancora una volta in imbarazzo davanti al mondo con un discorso inutile”. Il ministro Ben Gvir avrebbe dovuto rivolgersi ai partecipanti all’evento e congratularsi con loro, ma pur di non farlo parlare, i rappresentanti dell’Unione Europea avevano addirittura considerato di annullare tutti i discorsi decidendo poi di annullare tout court l’evento diplomatico. Stefan Seibert, il rappresentante della Germania in Israele ha dichiarato: “Vorrei che non fosse necessario, ma lo è stato.”

• Cina e Iran sì, Israele no
  A questo punto la domanda sorge spontanea: cosa è stato necessario? Perché, bisogna ricordarlo, tutto questo circo mediatico è stato architettato solamente per impedire la partecipazione di un ministro eletto democraticamente in libere elezioni. E da quale pulpito arriva la predica? Da quello europeo, cioè da coloro che negli ultimi anni hanno incontrato la peggior specie politica esistente al mondo. A Bruxelles, ad esempio, non hanno mai avuto, non hanno e mai avranno, alcuna remora a incontrare i rappresentanti cinesi. Certo a Pechino si fanno buoni affari, ma non venissero a raccontare che nel paese del dragone esiste la libertà, la democrazia e libere elezioni. Abbiamo visto cosa è successo all’ultimo congresso del partito comunista cinese quando l’ex presidente Hu Jintao è stato portato via a forza davanti agli sguardi ipocriti dei presenti e a quello compiaciuto di Xi Jinping. Nessuno a Bruxelles si sognerebbe mai di tappare la bocca a uno dei ministri del Dragone.
  A Bruxelles, ad esempio, non hanno mai avuto, non hanno e mai avranno, alcuna remora a incontrare i rappresentanti della Repubblica Islamica dell’Iran, altro esempio di libertà e democrazia, dove i manifestanti vengono impiccati e le famiglie avvertite ad esecuzione avvenuta. Qualcuno crede che esista un funzionario dell’Unione Europea che abbia le palle per tappare la bocca a un ministro degli Ayatollah? Di esempi di questo tipo se ne potrebbero citare all’infinito.

• Perché l’Ue sbaglia con Israele
  Il ricevimento a Tel Aviv è stato annullato perché l’Europa non vuole dare una piattaforma a coloro le cui opinioni contraddicono i valori rappresentati dall’Unione europea. E in altri posti? In Turchia, ad esempio, è stato annullato? Eppure la cattedrale di Santa Sofia è stata trasformata in moschea, questo non contraddice nulla? Il punto è, o potrebbe essere, che l’Europa pensa di poter fare la voce grossa con i più deboli e, a causa delle divisioni interne allo Stato Ebraico, vede Israele indebolita e si permette ciò che ad altre latitudini si guarderebbe bene anche di pensare. Sbaglia chi ha fatto questa analisi, sbaglia due volte. La prima quando seguendo le notizie che arrivano dai media crede Israele divisa, e non lo è, la seconda quando non si rende conto di quanto l’Europa stessa sia divisa al suo interno.
  Con questa decisione l’Unione Europea ricorda molto un passaggio importante del Vangelo di Luca 6,41-42 quando Yoshua di Nazareth, mio famoso correligionario, durante il discorso della montagna, pronunciò: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell’occhio tuo? Come puoi dire a tuo fratello: ‘Lascia che io tolga la pagliuzza che hai nell’occhio’, mentre tu stesso non vedi la trave che è nell’occhio tuo? Ipocrita, togli prima dall’occhio tuo la trave, e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello”.

(Nicola Porro, 9 maggio 2023)

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Gaza, attacco israeliano nella notte

Tredici morti, uccisi tre capi della Jihad islamica (che promette vendetta)

Quaranta mezzi dell’aviazione in azione, colpiti edifici residenziali e centri di addestramento. Già annunciata la risposta delle milizie che la scorsa settimana avevano lanciato un centinaio di razzi contro lo Stato ebraico
  Un attacco condotto questa notte dall’esercito israeliano sulla striscia di Gaza ha provocato almeno 13 morti, tra cui tre comandanti della Jihad islamica, e oltre 20 feriti. Secondo le autorità palestinesi, tra le vittime ci sarebbero sei donne e quattro bambini.
  Il governo Netanyahu ha lanciato l’operazione con l’obiettivo di colpire i militanti, dopo la pioggia dei razzi caduti su Israele nel giorni scorsi. Le milizie di Gaza avevano risposto così alla morte di uno dei loro comandanti, Khader Adnan, che si era lasciato morire di fame in carcere israeliano dopo 87 giorni di sciopero. Era dal 1992 che nessun detenuto palestinese moriva dopo uno sciopero della fame in un carcere israeliano.
  Ora ci sia attende la risposta — già annunciata — della Jihad islamica e il lancio di razzi verso Israele da Gaza come vendetta. Tanto che gli ufficiali dell’esercito hanno fatto sapere che sono in corso i preparativi per giorni di guerriglia. La Jihad islamica è il più numeroso tra i gruppi di militanti della Striscia dopo Hamas. Negli anni ha bombardato più volte Israele e ha evocato la distruzione del Paese.
  Il raid di questa notte ha causato il numero di vittime più alto da quando, nell’agosto del 2022, si verificarono tre giorni di combattimenti. Israele ha mobilitato quaranta tra aerei ed elicotteri, attaccando Gaza in più ondate, colpendo diversi edifici residenziali.
  Le Brigate al-Quds, il braccio armato della Jihad, hanno confermato la morte di tre dei loro capi e delle loro famiglie: Jihad Shaker Al-Ghannam, segretario del Consiglio militare delle Brigate; Khalil Salah al-Bahtini, comandante nella regione settentrionale, che secondo l’esercito israeliano costituiva «una minaccia imminente per la sicurezza dei civili israeliani»; e Tariq Muhammad Ezzedine, identificato come uno dei leader delle operazioni militare delle al-Quds nella Cisgiordania controllata da Israele.
  Le forze armate israeliane, secondo i loro stessi comunicati, avrebbero anche centrato anche dieci siti per la fabbricazione di armi e sei centri di addestramento della Jihad. Il primo commento dal governo è arrivato dal ministro della Difesa, Yoav Gallant: «Faremo in modo che qualunque terrorista minacci i cittadini israeliani se ne penta».
  Questo attacco, e la risposta dalla Striscia, arrivano in un momento di difficoltà per l’esecutivo guidato da Benjamin Netanyahu, che da mesi deve affrontare vaste proteste in piazza per via della discussa riforma della giustizia (la cui approvazione è stata rimandata). E che deve fare i conti con alcuni ministri molto discussi, a partire dal leader di Potere Ebraico Itamar Ben-Gvir, che ha accusato il premier di aver risposto «troppo debolmente» dopo quanto accaduto la scorsa settimana.
  Sempre Ben-Gvir ieri ha acceso una polemica con l’Ue dopo che i rappresentati europei a Tel Aviv hanno annullato una cerimonia per evitare la partecipazione dello stesso Ben-Gvir, accusato di farsi portavoce di idee che «calpestano i valori fondanti dell’Unione». Ora una nuova escalation militare con i gruppi armati della Striscia di Gaza potrebbe ricompattare il Paese contro il nemico esterno e mettere in secondo piano le difficoltà di Bibi.

(Corriere della Sera, 9 maggio 2023)

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L'Ue boicotta il ministro israeliano Itamar Ben-Gvir: annullato il ricevimento

La Festa dell’Europa non vedrà la presenza del rappresentante della Sicurezza nazionale del governo di Netanyahu, accusato di razzismo. Bruxelles chiede di sostituirlo e mette il veto

di David Carretta

BRUXELLES - La delegazione dell’Ue in Israele ha deciso di annullare il ricevimento diplomatico per la Festa dell’Europa, dopo che il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha annunciato la sua partecipazione e un discorso. “Non vogliamo offrire una piattaforma a qualcuno le cui opinioni contraddicono i valori che l’Ue rappresenta”, ha spiegato il portavoce dell’Alto rappresentante, Josep Borrell. A Bruxelles riconoscono che la decisione “non è comune”. Il problema non è Israele, ma Ben-Gvir. Il leader del partito di estrema destra Potere ebraico, è conosciuto per le sue opinioni razziste. È stato il governo di Netanyahu a decidere chi inviare.
  Il problema non è Israele, ma Ben-Gvir. Il leader del partito di estrema destra Potere ebraico, è conosciuto per le sue opinioni razziste. E’ stato il governo di Netanyahu a decidere chi inviare. I diplomatici dell’Ue hanno chiesto esplicitamente di sostituire Ben-Gvir, che invece ha insistito per partecipare e ieri ha accusato l’Ue di “silenziarlo”. I gruppi israeliani di difesa dei diritti umani hanno invece salutato la decisione dell’Ue di non concedere un palco a chi “promuove politiche razziste e discriminatorie”. Il leader dell’opposizione, Yair Lapid, ha risposto che “gestire le relazioni internazionali di Israele è una questione complessa che richiede esperienza e un approccio intelligente”. L’Ue ha confermato che la Festa dell’Europa andrà avanti senza ricevimento per “celebrare con i nostri amici e partner in Israele la relazione bilaterale forte e costruttiva”.

Il Foglio, 9 maggio 2023)
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"Il problema non è Israele", dice l'Europa. Sicuro? Il laicissimo Lapid sembra convinto. M.C.


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L'Ue in Israele cancella l'evento diplomatico con Ben Gvir

'Le sue opinioni contraddicono i valori dell'Europa'

La rappresentanza Ue in Israele ha cancellato la cerimonia diplomatica prevista per domani per la festa dell'Europa alla quale avrebbe dovuto partecipare il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir.
  "Sfortunatamente - ha scritto su Twitter - quest'anno abbiamo deciso di cancellare il ricevimento diplomatico poiché non vogliamo offrire una piattaforma a qualcuno le cui opinioni contraddicono i valori rappresentati della Ue".
  La Rappresentanza tuttavia ha scelto di mantenere "l'evento culturale dell''Europa Day' per il pubblico israeliano in modo da celebrare con i nostri partner e amici in Israele una forte e costruttiva relazione bilaterale".
  La presenza - su delega del governo di Benyamin Netanyahu - del leader del partito di estrema destra Otzma Yehudit , e ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir alla festa aveva provocato una serie di polemiche in Israele. Sia Yair Lapid, leader dell'opposizione, sia altri esponenti della stessa corrente avevano espresso forti riserve sulla partecipazione di Ben Gvir. Lapid aveva definito "un serio sbaglio professionale" il fatto di inviare Ben Gvir alla cerimonia, che "imbarazza un largo gruppo di Paesi amici, mettendo a rischio i voti futuri nelle istituzioni internazionali", a causa delle prese di posizione del ministro.
  E la risposta di Ben Gvir non si è fatta attendere: "E' una vergogna che la Ue, che dice di rappresentare i valori della democrazia e del multiculturalismo, ora non diplomaticamente tappi la bocca", ha detto il ministro, aggiungendo che "è un onore e un privilegio per me rappresentare il governo israeliano, gli eroici soldati israeliani e il popolo di Israele in ogni sede. Gli amici sanno come esprimere le critiche e anche i veri amici sanno come prenderle".

(ANSA, 8 maggio 2023)
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'Le sue opinioni contraddicono i valori dell'Europa'. Cosa gravissima. L'Europa è maestra di democrazia. L'Europa è antisovranista, e se riprende l'Ungheria di Orban può ben riprendere anche l'Israele di Netanyahu. M.C.

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Delegittimare lo Stato ebraico è la folle moda culturale di oggi

di Fiamma Nirenstein

È tempo di festa per l'aggressione verbale a Israele, per la disapprovazione, per l'indice levato, e anche per l'antisemitismo, sempre in crescita. Lo scontro interno ha solleticato la creatività di chi non può soffrire gli ebrei, specie nella loro più importante espressione: lo Stato ebraico. Di chi dice che ne critica le politiche, ma vorrebbe in realtà vederlo sparire dalla mappa. Israele è a pezzi come un piatto rotto, dicono contenti i cronisti e i teorici dello scontro. Guai a dirgli che sono antisemiti, anche se alla prova delle tre «D» non reggono: delegittimazione, demonizzazione, doppio standard. È il momento della delegittimazione. L'antisemitismo anti Stato ebraico è ormai codificato anche dall'IHRA, un comitato internazionale formato da 35 Stati che ha definito l'odierna declinazione dell'odio più antico. La tipologia precedente era codificata nella famosa vignetta in cui Ariel Sharon mangia bambini addentandoli per la testa in stile Goya. Questa vignetta è stata ripubblicata recentemente dal Guardian. È una forma di criminalizzazione: Israele è moralmente indegno di esistere. E torna ad affacciarsi la giornalista della CNN Christiane Amanpour, sempre antisraeliana: parlando della giornalista palestinese Shireen Abu Akleh ha affermato di nuovo che i soldati israeliani l'hanno ammazzata intenzionalmente anche se l'inchiesta ha escluso questa ipotesi. È un blood libel come quello di Mohammed al Dura, il bambino (forse) ucciso nel 2000 in uno scontro a fuoco: la demonizzazione ne attribuì a Israele l'omicidio, e non era vero; ma suscitò la seconda Intifada: 2000 morti per terrorismo.
  Stavolta la tempesta dei media nasce dalla frattura politica interna allo Stato ebraico sulla riforma giudiziaria. Scontro verticale fra destra e sinistra, uno dei tanti. Ma le piazze, molto più che dalla riforma (se chiedi a un dimostrante sa solo che è minacciata la democrazia, ma prova a chiedergli perché) sono state mobilitate dalla vittoria della destra nel novembre 2022 e dalla conseguente formazione di una coalizione guidata da Netanyahu, con la partecipazione di due partitini nazional religiosi guidati da Itamar Ben Gvir e Betzalel Smotrich, leader molto esibizionisti e vocali, ma di cui non si conosce nessuna tendenza fascista. La loro sola vista, il loro eloquio, le kippah sono insopportabili all'opinione pubblica laica di Tel Aviv. Non fino al punto di abbandonare il sionismo.
  Però, il capo dell'opposizione israeliana Yeir Lapid, spinto da Ehud Barak, suggerisce sempre che chi ha vinto regolarmente le elezioni è tuttavia illegittimo: lo fa dichiarando pregiudizialmente, sempre e comunque, Netanyahu indegno. La stampa internazionale lo segue; a questo si aggiunge, molto popolare, la denuncia di una tribù messianica, primitiva, al governo. Sarebbero fascisti religiosi incompatibili con la costruzione di uno stato democratico e moderno. Lapid, invece, starebbe col mondo avanzato che difende la democrazia. Questa teoria è sbagliata: Netanyahu è un leader democratico, lo dimostra come ha accolto, bloccando la riforma, le manifestazioni di piazza, considerandole parte del necessario consenso nazionale. Ma qui non parleremo di lui ma della frattura sociale. Gli stessi accusati, ebrei di origine orientale e non ashkenazita, hanno vittimisticamente cominciato a qualificarsi come trascurati, discriminati, «cittadini di seconda classe», alimentando il senso di rottura, mentre gli estremisti di sinistra hanno ripetuto le loro accuse. Gli uni e gli altri hanno torto, la forza della realtà, dell'esercito, dei pericoli ma anche dei continui successi e dell'ebraismo comunque lo si viva, li riporta sempre insieme.
  La spaccatura, più pesante di quella della proposta di riforma, ha prodotto una nuova delegittimazione dello Stato d'Israele. Piace molto ai giornali. Israele - si dice e si scrive - è destinato a affondare perché va a pezzi, è un patchwork artificiale che finalmente si sfalda. «Gli ebrei non sono un vero popolo», si ripete con entusiasmo e sollievo. La delegittimazione, dunque, una delle tre D, si annida nella classica teoria antisionista che Israele non esista, che il popolo ebraico non abbia sostanza storica e sociale, che sia solo una creatura virtuale. È la «creatura sionista», come la chiama il raffinato giornale italiano di politica internazionale Limes nel nuovo numero intitolato Israele contro Israele. È una tesi vecchia, la discussione se Israele sia una religione o una nazione ne è la copertina usurata dal tempo. Ma insomma chi sono questi ebrei? E la domanda classica di chi non capisce che sono tutte e due le cose, popolo e religione, in dosi diverse a seconda delle circostanze. Un popolo così unito da essere riuscito, parlando lingue diverse e vivendo in luoghi lontanissimi fra loro, a sopravvivere tremila anni sempre guardando a Gerusalemme. La scoperta che gli ebrei, spezzettati dalla politica, denunciano un'assenza di identità, è tipica delle corrente culturale postsionista, per cui l'identità sarebbe costruita a tavolino, non rifletterebbe una storia vera, sarebbe il frutto di scelte ideologiche da rettificare. Limes addirittura gioca sull'umanitarismo conservatore di Vladimir Zeev Jabotinsky per suggerire che anche lui alla fine non era quel sionista che si vuol credere.
  L'entusiasmo nato in seguito al duro scontro legato alla riforma giudiziaria rende molto attivi sul campo della delegittimazione non solo l'Iran, gli hezbollah e i palestinesi; oggi, in Europa e negli Usa, un vasto ventaglio di intellettuali e media si affanna a spiegare che Israele è un Paese la cui esistenza si è indebolita, non funziona più, forse non ha mai avuto senso.
  Finora la delegittimazione era stata giocata sul terreno morale. Ovvero: apartheid, genocidio, colonizzazione, razzismo... Israele deve essere cancellato perché è moralmente reprobo. I concetti di guerra e di oppressione sono i pilastri di questa accusa. Per questo tipo di teoria, tutte le oppressioni sono collegate, e gli oppressori sono i maschi, i bianchi, i poliziotti... e gli ebrei, ormai suprematisti bianchi. E in Medio Oriente, persecutori di Palestinesi. Molte manifestazioni che gridano «Kill the Jews» hanno marciato con le bandiere palestinesi.
  La costruzione fittizia intrapresa già nell'ambito della Guerra Fredda presuppone una storia palestinese nazionale e un oppressore coloniale storicamente inesistenti. Ma è stata accettata, né Israele ha mai deciso di fronteggiarla come si deve. Ha preferito dedicarsi a presentare le sue ragioni, e ha contato a lungo su una falsa premessa: che se la parola Ebreo in Europa dopo la Shoah si fosse collegata col senso comune antifascista, Israele avrebbe conquistato alla fine l'opinione pubblica. Invece la forza della politica ha fatto sì che il fiume scavalcasse gli argini, e di fatto l'antisemitismo si avvale invece da decenni dall'abbinamento fra la parola ebreo e del termine «occupazione» (prima dal 1948, poi dal 1967) per dimostrare che gli ebrei sono oppressori e non oppressi, attaccanti feroci e non assediati che si difendono. Una perfetta realizzazione della decisiva definizione di Robert Wistrich della «nazificazione di Israele», base nel nuovo antisemitismo. Con un triste rovesciamento dell'uso dei «diritti umani» di cui molto si è scritto.
  Oggi siamo a una svolta peggiore. Peggio ancora infatti dell'accusa di sbagliare è l'accusa al popolo ebraico di non esistere a partire dalle divisioni e dalle innegabili grandi differenze di opinioni. Si attribuisce l'accensione del falò alla prepotenza di Benjamin Netanyahu, ma il premier israeliano non ha niente di personale da guadagnare dalla riforma: il suo processo sta andando a pezzi per l'insostenibilità delle accuse e per la sua fragilità giuridica. Quindi, facilmente, non ci sarà condanna. Comunque se anche nel frattempo la riforma nel modo di eleggere i giudici fosse modificata, su quindici giudici solo cinque sarebbero eletti con la riforma, e dieci resterebbero al loro posto. Nessun giudice dovrebbe dimettersi. Ci vorrebbero forse dieci o venti anni prima che per raggiunta età di pensione o motivi vari la composizione della Corte Suprema fosse politicamente modificata. Ma la sicumera conoscitiva è tipica dell'attacco a Israele, Bibi è il suo oggetto assoluto, divenuto oggetto di ogni attacco e accuse di fascismo; di fatto oggi è un conservatore liberal.
  Ma Limes titola un pezzo del suo numero Israele contro Israele «Il sionismo religioso di Netanyahu», mentre nella prefazione si addentra nella delegittimazione dello Stato d'Israele con interpretazioni storiografiche complicate e molto malevole. L'editoriale del giornale intitolato «La sindrome ottomana», spinge il sionismo di destra e di sinistra nel ventre Turco, in una parte ritardata e un po' ottusa del già morente impero ottomano, un pasticcio in cui la sindrome espansionista si scontra con l'idea di tenere insieme egualitariamente gruppi etnico-religiosi occupando territori che poi devono confederarsi... Cioè, tutto sbagliato, socialismo e ottomanismo insieme, povero Ben Gurion, chissà come ha fatto a portare a casa il suo progetto imbevuto com'era di idee già definitivamente condannate allo sgretolamento. Insieme a questo troviamo qui molte sarcastiche ma dotte memorie della storia di Israele alle sue origini, da cui viene espunta, con l'accento sulla solita Uganda, la nobiltà e anche la realtà storica del ritorno alla casa dei padri fra mille impossibili aggressioni e proibizioni; espunta la presenza mai interrotta nei secoli, la maggioranza ebraica a Gerusalemme, inesistente la meraviglia della lingua ebraica ricostruita.
  È una collezione di fraintendimenti che tendono tutti a dimostrare che alla domanda «Chi è Israele?» si può rispondere che è un mosaico incomprensibile, certo non uno Stato del Popolo ebraico. Insomma, si può approfittare dello scontro politico in corso per stabilire che è un insieme di «Tribù che in terra promessa si agitano, si distinguono, si rimescolano». E Limes è diligente: quante cartine punteggiate di tutti i gruppi che vivono in Israele, religiosi, ashkenaziti, sefarditi, arabi... Ma non è magnifico proprio per questo: che la democrazia di Israele abbia garantito libertà a tutti alla faccia delle politiche e delle differenze etniche dell'unione delle diaspore? Chi disegna un'Israele destinata al caos vede tutto il contrario di ciò che si vede visitando il Paese, ricco, ordinato, pulito nonostante le incredibili difficoltà, il terrorismo, i conflitti politici.
  Ma il giornale spiega che «i confini non sono identificati perché se si delimitassero si spaccherebbero». Intanto non è spaccato, e i Territori sono una realtà che è semplicemente, oggi, sottratta così all'imperialismo terrorista palestinese finché ci sarà un accordo. Pensiamo a cos'è Gaza sgomberata: una rampa di lancio di missili. Ma poi, perché i confini non sono definiti? Se i palestinesi avessero concordato su una delle tante grandi proposte di pace, lo sarebbero. Non è andata così, gli insediamenti non si possono sgomberare di fronte a un doppio rifiuto (Hamas e Fatah), condito di minacce, oggi supportato dall'Iran.
  I paradossi non finiscono: la natalità è un guaio perché favorisce i religiosi, Israele non ha rappresentatività perché non ha diritto di rappresentare la diaspora. Ma Israele rappresenta i suoi cittadini e ogni ebreo può diventarlo se vuole. Ogni ebreo è parte del popolo ebraico: se vuole, diventa anche cittadino. Popolo, lo è di già, e anche religioso se gli pare. Se non gli pare, solo popolo.
  Ma quello che interessa è dimostrare che il popolo ebraico non c'è e la destrutturazione si svolge in molte pagine di asprezza linguistica rivelatrice: «Le acrobazie con cui Ben Gurion e successori hanno inventato e poi evoluto Israele in potenza regionale e avanguardia tecnologica non ne garantiscono il futuro». «La creatura sionista è scossa da una crisi identitaria»: Nasrallah si è espresso proprio così davanti alle manifestazioni dei giorni scorsi.
  Questa illazione, l'abbiamo letta declinata variamente ovunque: New York Times, Le Monde, El Pais, Guardian, Corriere della sera, la Repubblica. Al centro sempre le colpe di Netanyahu: il suo governo, scandalo immenso, ha proposto una legge di riforma di una vecchia struttura palesemente troppo potente e autoriferita. Ma allora è un fascista! Chi ha letto la proposta di legge, che gli piaccia o no e ormai comunque è in un cassetto, diventa il segnale certificato che Bibi intende trasformare Israele in un potere assoluto, e esserne il re. Bibi ha «strappato il sipario che celava la montante sofferenza delle tribù israeliane». Si dà per certa «la vena autocratica, lo scontro frontale imminente, la fusione del nocciolo della sicurezza, l'intelligence e l'esercito». Abbonda la citazione del discorso dell'ex presidente Reuven Rivlin sulle «quattro tribù»: arabi, laici, religiosi, ultraortodossi. Rivlin non parlava certo di destrutturazione di Israele, ma qui lo Stato Ebraico non ha futuro perché «è uno stato costruito sulla paura». Di nuovo, Hezbollah non avrebbe detto meglio. E pensiamo semplicemente: peccato che chi scrive non abbia mai vissuto in Israele, nel coraggio civile come forma di vita. Basta pensare alla gente di Sderot, dove fioccano i missili da Gaza, si corre in cantina coi bambini, e nessuno lascia le case. Non si sente mai parlare di fuga, di spostamento delle famiglie tormentate dalla persecuzione palestinese.
  Per il 75esimo l'Economist, più raffinato e subdolamente distruttivo, solleva dopo una descrizione delle fratture in corso la questione chiave: l'emarginazione della questione palestinese! Ecco che torna e viene di nuovo descritto il problema come una colpa di Netanyahu; né l'Economist, né le Monde, né il Guardian, né El Pais, né Repubblica né Limes, si accorgono della truffa bellicistica di Hamas sulla rottura dello status quo sulla Spianata delle Moschee; nessuno analizza la tragedia subita, mai voluta, che per Israele è stato il fallimento dei tentativi di pace; nessuno verifica il numero mostruoso degli attentati terroristi e della pervasività della propaganda dall'età scolare che rifiuta la presenza del popolo ebraico, che ha impedito la pace con l'incitamento che fa vittime fra i giovani «shahid» quanto lo stipendio che viene loro dato dall'Autorità Palestinese; nessuno ricorda mai che Ramallah e Gaza sono due, non una entità palestinesi, separati da odio e reciproci morti assassinati buttati dai tetti e fucilati per strada.
  Se Israele sia un popolo o una religione, dicevamo, è una questione vecchia come il mondo, se ne parla dall'esilio Babilonese. Se abbia al suo interno scontri e punti di vista che confliggono è una domanda addirittura ridicola. Certo che sì. Ben Gurion, socialista, ha un ruolo gigantesco nella storia del popolo ebraico, ma sono innumerevoli le sue reminiscenze bibliche nel costruire lo Stato e totale la sua convinzione che la tradizione ebraica sia la pietra angolare della nazione; Meir Dizengoff primo sindaco di Tel Aviv nel 1911, superlaico, si dette cura di costruire subito le sinagoghe. Gli ebrei religiosi nei secoli sono stati indispensabili per tenere accesa la fiaccola del popolo ebraico, senza la loro indefessa conservazione della lingua, della filosofia, del rito fino nei Campi di Sterminio, l'ebraismo sarebbe morto. Così è stato dopo la distruzione del Tempio nel 70 d.C. e anche nel XIII secolo, uno dei periodi peggiori della storia ebraica; così attraverso tutti i roghi, i pogrom, le cacciate, e poi la Shoah. Un popolo, una religione da ciascuno praticata a suo modo fra reciproche proteste e insulti. Dopo il ritorno in Francia nel 1360 solo dedicandosi al compito laico di rimettere insieme la comunità Rabbi Mattathia ben Jossef è riuscito a ricostruire il tessuto slabbrato dalla pestilenza con la conseguente ondata di antisemitismo. La comunità era laica, la religione ebraica. Gli ebrei religiosi e laici sono sempre stati indispensabili gli uni agli altri nella tessitura di quello che non si capisce quando le differenze si leggono alla rovescia: per gli ebrei le differenze sono la ricchezza che li ha aiutati a pensare e anche a vincere le guerre. Così è la mappa delle culture dei paesi democratici: un mosaico.
  L'Economist si avventura fino ai saggi consigli condivisi dal resto della stampa liberal: liberarsi di Netanyahu è il suo astuto obiettivo. «Il futuro è legato al sistema politico... in cui si disegni un riallineamento dei partiti che dia più forza alla maggioranza centrista ciò che richiede l'uscita di scena del divisivo mister Netanyahu». Ah, era così semplice? E allora perché dedicare a Israele tanto studio?
  La risposta purtroppo è nella interazione malata fra incontrollabile fastidio verso lo Stato degli ebrei, la sorpresa perdurante e stizzita per il suo incredibile successo, e la determinazione a ucciderne (politicamente) uno dei maggiori fautori. La delegittimazione di Israele va con quella di Netanyahu. Ma l'attacco cieco distrugge tutta la vera possibilità dell'osservazione critica effettiva sulla situazione mediorientale. Possibile che si sia così distratti da non capire che i Palestinesi sono i primi fautori del loro destino, e che Israele ha sempre cercato la pace, anche se una pace sicura, ovviamente? Meglio ricordare che ad ogni vigilia di guerra i Paesi arabi mentre si coalizzavano per battere lo Stato degli ebrei lo dichiaravano già finito, a pezzi, un mosaico insensato. E poi... Non è mai andata così.

(il Giornale, 9 maggio 2023)

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Israele-Italia, l’ambasciatore Bar: I rapporti tra i due Paesi non sono mai stati così forti

Dopo il vertice dello scorso marzo, in cui il primo ministro israeliano Benjamin Nethanyahu e il ministro delle Imprese e made in Italy Adolfo Urso hanno presentato i numeri dell’interscambio tra i due Paesi (che nel 2022 ha superato i 5 miliardi di euro) il rapporto di alleanza si consolida in occasione del 75° anniversario della nascita dello Stato d’Israele, in occasione del quale oggi, lunedì 8 maggio, si è tenuto a Roma un evento ospitato presso il Maxxi di Roma con l’ospitalità di Intesa Sanpaolo. Presenti il presidente della Knesset (parlamento di Gerusalemme), Amir Ohana, e il presidente del Senato, Ignazio La Russa. Di seguito il saluto dell’ambasciatore, Alon Bar.
  Dopo i saluti di rito, l’ambasciatore ha detto che «i rapporti tra Italia e Israele sono sempre stati ottimi, ma oggi sono migliori più che mai. Sia l’Italia che Israele si trovano di fronte a delle sfide. Sfide importanti, per la sicurezza -per esempio, nel contesto del Mediterraneo-, per l'ambiente e altro ancora».
  «Credo», ha aggiunto, «che affrontare in maniera congiunta queste sfide contribuirà a entrambi i Paesi e migliorerà la nostra capacità di gestire queste cose, a beneficio di entrambi i popoli». Come ha detto il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, durante la sua recente visita a Roma, «le nostre relazioni stanno per fare un vero e proprio salto quantico».

• L’importanza della relazione
  «È mio compito», ha concluso l’ambasciatore, «agire assieme agli amici qui presenti stasera, per trasformare in realtà il desiderio dei nostri due primi ministri e dei nostri due popoli. A tutti voi che siete qui oggi, a festeggiare assieme a noi questa importante ricorrenza: grazie di cuore, per la vostra presenza, per la vostra amicizia. Oggi e sempre: fa davvero bene al cuore vedervi qui con noi. A nome mio e a nome dello Stato di Israele, todà rabbà! Grazie!»
  I due Paesi, come emerso dal vertice tra Netanyahu e Urso, cooperano soprattutto nei campi in cui la tecnologia è la chiave per creare il mondo del futuro: sanità, energia, mobilità sostenibile, sicurezza alimentare, difesa cyber e tradizionale.

• Le parole di Ignazio La Russa
  «Mi rivolgo all'ambasciatore carissimo e al mio caro amico Amir. Ho avuto il piacere di essere ospitato da lui alla Knesset e con molto orgoglio l'ho ricevuto al Senato per celebrare i 75 anni della nascita di Israele e del Senato italiano. Ci lega l'affetto non solo come nazioni, ma anche come uomini e donne», ha detto il presidente del Senato, Ignazio La Russa.
«Tutta l'Europa», ha concluso, «deve molto alla cultura cristiano-giudaica. Senza cultura giudaico-cristiana non ci sarebbe nessuna cultura europea e non dobbiamo mai dimenticarlo. Settantacinque anni fa era un momento doloroso per Italia e per Israele. Era la fine di una guerra, anche civile in Italia, ed era una momento ancora più doloroso per chi aveva subito la più immane delle persecuzioni. Ma tutti e due i popoli volevano costruire, costruire in pace e in amicizia». (riproduzione riservata)

(Milano Finanza, 9 maggio 2023)

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Israele vuole solo la pace o di più?

La coalizione di governo, che è considerata il governo più di destra di tutti i tempi in Israele, non sta facendo molto di più dei governi di sinistra.

di Aviel Schneider

GERUSALEMME - L'attuale coalizione di governo, che è considerata il governo più di destra di tutti i tempi in Israele, non sta facendo molto di più dei cosiddetti governi di sinistra. Silenzio e, di tanto in tanto, un rumore di fondo, tutto qui.
  I palestinesi trovano ogni volta una scusa per disturbare la nostra pace, sia a causa degli ebrei nella Piazza del Tempio durante il Ramadan sia, come l'altro giorno, a causa di un prigioniero palestinese che ha iniziato uno sciopero della fame ed è morto dopo 83 giorni. Per questo motivo, la Jihad islamica ha lanciato oltre 100 razzi contro Israele. Il regime di Hamas nella Striscia di Gaza mantiene un basso profilo per motivi politici e invia invece i suoi colleghi terroristi. Negli ultimi mesi si sono avuti alcuni sviluppi che non possono essere ignorati e che rafforzano questa tendenza. Come qualche giorno fa, quando il presidente iraniano Ebrahim Raisi è stato ricevuto a Damasco. L'ultimo era stato Ahmadinejad 13 anni prima.
  Chi sta attivamente dietro a tutto questo è l'Iran. Quest'ultimo vede il punto debole di Israele e lo attacca alternativamente sui suoi quattro fronti: Libano meridionale, Siria, Giudea e Samaria e Striscia di Gaza. Per questo motivo, Israele risponde su questi fronti, ma solo per riportare la calma. Questo sta danneggiando il deterrente di Israele, che è già molto debole. Anche se il prigioniero palestinese e terrorista jihadista Khader Adnan non fosse morto nella prigione israeliana, l'Iran, in collusione con Hamas o Hezbollah, avrebbe trovato un altro motivo per attaccare Israele.
  La mente araba pensa in termini di causa ed effetto. "Non vedono un Israele offensivo, attivo e astuto, e questa è la più grande falla di Israele nella nostra strategia di difesa", ha detto una volta l'esperto di Medio Oriente Zwi Yeheskeli. Se l'obiettivo è la calma, compriamo la calma per altre due settimane, ma non di più. Altri la chiamano "gestione del conflitto", un termine che da anni viene attribuito al capo del governo israeliano Benjamin Netanyahu. Invece di risolvere il problema, il conflitto viene gestito. Questo comporta calma ed escalation. Nella sua forma attuale, Israele è incapace di risolvere il conflitto con un intervento chirurgico.
  Gli attacchi di rappresaglia mirati di Israele a Gaza in seguito agli attacchi missilistici non aiutano la deterrenza di Israele. Come ho scritto più volte: Israele ha bisogno di un ripensamento, ma purtroppo perché ciò accada, deve accadere qualcosa di brutto nel Paese. Senza questo, nessuno nel governo e nell'establishment della sicurezza cambierà. È vero, su alcuni punti il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir ha assolutamente ragione nel dire che Israele deve diventare più duro. Ma il fatto è che nessuno prende sul serio chi "grida". A volte è necessario gridare meno e rispondere con tatto e saggezza per ottenere le cose.
  Solo quando il disco sarà cambiato a Gerusalemme ci sarà la possibilità di riacquistare un reale potere di deterrenza. Anche se non siamo soli in questo tipo di guerra, Israele rimarrà solo in caso di guerra totale. Non è tanto la politica di sicurezza di una coalizione di governo, quanto piuttosto lo stato maggiore, l'esercito di Israele, che teme un'invasione di Gaza.
  Ad esempio, il ministro israeliano della Cultura e dello Sport Miki Zohar ha detto che c'è solo una soluzione agli infiniti attacchi missilistici nel sud: riprendere Gaza. "La Striscia di Gaza deve essere liberata dal regime di Hamas e smilitarizzata. Dopodiché, la Striscia deve essere consegnata all'Autorità Palestinese", ha affermato. "Non c'è altra soluzione, lo capiamo tutti. La questione è a che punto lo faremo e se lo faremo in accordo con i dettami di Hamas o meno". Le sue parole hanno sorpreso molti nel Paese, poiché Zohar è uno dei ministri relativamente miti della coalizione. Ma anche lui ha detto quello che tutti capiamo. L'esercito, d'altra parte, prevede centinaia di soldati morti se Gaza sarà attaccata, e la maggioranza non vuole pagare questo prezzo. Quindi le cose continueranno come negli ultimi anni, indipendentemente da chi governerà il Paese, la sinistra o la destra.

(Israel heute, 8 maggio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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L'Ue cancella il ricevimento per la giornata dell'Europa a causa della presenza del ministro Ben Gvir

L'evento diplomatico è stato annullato per la prevista presenza dell'esponente dell'estrema destra, per non lasciare spazio "a opinioni che contraddicono i valori europei". E lui attacca: "Una vergogna che Bruxelles mi tappi la bocca”.

di Rossella Tercatin

GERUSALEMME – La missione dell’Unione Europea in Israele ha deciso di cancellare il ricevimento previsto domani per celebrare la Giornata dell’Europa dopo la decisione del governo israeliano di farsi rappresentare dal Ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, leader del partito di estrema destra Otzma Yehudit (“Potere ebraico”).
  “La delegazione dell'Ue in Israele non vede l'ora di celebrare la Giornata dell'Europa il 9 maggio, come ogni anno. Purtroppo, quest'anno abbiamo deciso di annullare il ricevimento diplomatico, perché non vogliamo offrire una piattaforma a qualcuno le cui opinioni contraddicono i valori rappresentati dall’Unione Europea”, è scritto nel comunicato, che ha poi specificato che l’evento organizzato per il grande pubblico avrà luogo come da programma.

• Come è nato l'incidente
  Le polemiche montavano già da diversi giorni. Come spiegato dal quotidiano israeliano Yediot Ahronoth, la scelta di inviare Ben Gvir all’evento non è stata deliberata ma piuttosto frutto di normale rotazione diplomatica tra i diversi dicasteri. Allo stesso tempo, una volta assegnato l’incarico solo lo stesso ministro può decidere di rinunciare, con Ben Gvir che però già ieri aveva messo in chiaro che non lo avrebbe fatto, creando grande imbarazzo tra i diplomatici Ue, colti di sorpresa dall’accaduto.

• Chi è Itamar Ben Gvir
  Con un passato di attivista di estrema destra, noto per le sue posizioni anti-arabe, Ben Gvir è noto tra le altre cose per essere stato un membro di Kach, organizzazione classificata come terrorista da Israele, Usa e Ue. Negli ultimi anni, Ben Gvir ha affermato di essersi “ammorbidito”, sostenendo per esempio di non avercela più con gli arabi in generale ma soltanto con coloro che non sono “leali allo Stato ebraico”. Dall’entrata in carica del governo a dicembre è stato comunque protagonista di vari episodi incendiari, come il sostegno espresso agli esponenti del gruppo ultrà razzista “La Familia”.
  "È una vergogna che l'Unione europea, che afferma di rappresentare i valori della democrazia e del multiculturalismo, si metta a tappar bocche", la reazione di Ben Gvir alla cancellazione dell’evento.
  L’episodio tra l’altro arriva solo pochi giorni dopo l’incontro tra il Ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen e l’Alto Rappresentante Ue per la Politica Estera Joseph Borrell, che era volto proprio a imprimere una svolta in senso positivo tra Gerusalemme e Bruxelles.
  Mentre dal punto di vista politico, questa è solo una delle matasse da sbrogliare per il premier Benjamin Netanyahu procurata da Ben Gvir. Da giorni infatti, Otzma Yehudit sta boicottando i lavori di parlamento e governo per protestare contro quella che ha definito “una risposta debole” alla crisi con Gaza della settimana scorsa, quando dalla Striscia sono stati sparati un centinaio di razzi contro il territorio israeliano (e Israele ha condotto diversi raid contro obiettivi legati ad Hamas e alla Jihad). Una decisione, quella di Ben Gvir, che ha suscitato le ire degli alleati di governo. Al momento invano.

(la Repubblica, 8 maggio 2023)

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Riprendono le trattative per il libero scambio tra Israele e Cina dopo tre anni

di David Fiorentini

Ponte tra Oriente e Occidente, Israele ricopre un ruolo fondamentale nel commercio mondiale, aprendo i mercati europei e statunitensi ai Paesi del Golfo e intrattenendo rapporti multimilionari con l’Estremo Oriente. In questa ottica, dopo circa tre anni di silenzio, sono ripartite le trattative con la Cina per sancire un accordo di libero scambio tra i due paesi. Lanciate nel 2016, l’ultimo incontro risale al 2019, da allora i funzionari dei rispettivi ministeri degli affari esteri hanno avanzato nuove proposte per semplificare le procedure doganali velocizzando tempi di trasporto e riducendone i costi.
   L’accordo potrebbe spalancare le porte alla tecnologia agricola israeliana, dato che alcune regioni cinesi sono state devastate dalla siccità e dalle ondate di calore. In cambio, le aziende automobilistiche cinesi potrebbero beneficiare di un abbattimento dei dazi sui veicoli esportati in Israele.
   La Cina è il secondo partner commerciale di Israele dopo gli Stati Uniti, con un volume di scambi dal valore di 24,45 miliardi di dollari, in crescita dell’11,6% rispetto lo scorso anno. In particolare, Israele esporta in Cina 4,68 miliardi di dollari di beni.
   Il primo accordo di libero scambio di Israele è stato firmato nel 1985 con gli Stati Uniti d’America. Da allora, Israele ha firmato 14 “free trade agreements” con 46 Paesi e blocchi economici come l’Unione Europea e il Mercosur. I più recenti sono quelli con la Corea del Sud nel 2021 con gli Emirati Arabi Uniti nel 2022.

(Bet Magazine Mosaico, 8 maggio 2023)

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La Giordania bombarda la Siria per i traffici di armi e droga

Il regime di Damasco, appena rientrato nella Lega Araba, continua a rifornire le milizie filo-iraniane

La Giordania bombarda la Siria per i traffici di armi e droga. La visita di Benjamin Netanyahu ad Amman del gennaio scorso, dove con il Re Abdullah II erano state affrontate importanti questioni regionali relative alla cooperazione strategica, economica e di sicurezza fra i due Stati, è servita a convincere il sovrano a riconsiderare la sua posizione in merito al regime di Damasco.
  Netanyahu aveva insistito sul ruolo destabilizzante che Iran e Siria ricoprivano in seno alla regione mediorientale con i continui trasporti illegali di armi e munizioni da Teheran al Golan e Damasco, in favore dei miliziani sciiti di Hezbollah e dei Pasdaran impegnati a sfidare Gerusalemme con il lancio di razzi e droni verso il territorio israeliano.
  Ma oltre a questo, la Siria continua a rifornire la Giordania con il traffico di droga per mano di Maraj al Ramatan, tratto in arresto dalle autorità siriane nello scorso dicembre e rilasciato il 20 aprile, noto per la sua collaborazione proprio con le milizie legate al partito sciita libanese filo-iraniano Hezbollah alle quali devolve parte dei proventi del traffico di stupefacenti.
  L’aviazione giordana è quindi intervenuta per stroncare il traffico di stupefacenti bombardando questa mattina un deposito controllato dai trafficanti al confine con la Siria, nel villaggio di al Sha’ab, uno snodo essenziale per la rotta degli stupefacenti contrabbandati verso Amman.
  Ad aggravare la situazione siriana vi è poi la posizione dell’Iran che ha facilitato gli attacchi contro le truppe Usa in Siria, sempre attraverso l’invio nel Paese di armi nascoste all’interno degli aiuti umanitari che sono confluiti nella regione dopo il catastrofico terremoto di febbraio. Le indiscrezioni sono trapelate dalle carte segrete del Pentagono pubblicate di recente dal Washington Post I documenti avrebbero rivelato le movimentazioni di Teheran che da lungo tempo contrabbanda attrezzature militari verso la Siria, sfruttando convogli di aiuti umanitari inviati in Siria organizzati dalla Forza Quds, in particolare armi, munizioni e droni.

• LA SIRIA RIENTRA NELLA LEGA ARABA
  Ma Damasco, forte dell’appoggio fondamentale del Qatar che ne ha perorato la causa, è riuscita nell’intento di rientrare, almeno in parte, nella Lega Araba dalla data di oggi. Le delegazioni di Damasco, sospese dalla Lega da 12 anni, verranno quindi reintegrate partecipando a tutte le riunioni sulle quali vigilerà una commissione di collegamento ministeriale composta da Giordania, Arabia Saudita, Iraq, Libano, Egitto e dal segretario generale della Lega. Il tutto al fine di raggiungere una soluzione globale alla crisi siriana che affronti tutte le sue conseguenze, con passi “concreti ed efficaci” secondo la metodologia del “passo dopo passo” e in linea con la risoluzione numero 2254 del Consiglio di sicurezza.  Nella dichiarazione della Commissione, le parti si sono impegnate a preservare la sovranità, l’integrità territoriale e la stabilità della Siria sulla base della Carta della Lega araba, e di continuare e intensificare gli sforzi volti a uscire dalla crisi.
  Il punto focale sarà quello del 19 maggio prossimo quando è previsto il vertice della Lega in Arabia Saudita

(ofcs.report, 8 maggio 2023)

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La Siria riammessa nella Lega Araba. Una vergogna per il mondo arabo

La Siria è stata riammessa alla Lega Araba 11 anni dopo la sua sospensione a causa della violenta repressione del governo delle proteste pro-democrazia nel 2011, che ha portato allo scoppio della guerra civile siriana.
  In una riunione dei ministri degli Esteri presso la sede della Lega Araba nella capitale egiziana Il Cairo, domenica (7 maggio), si è concordato di “riprendere la partecipazione delle delegazioni del governo della Repubblica Araba Siriana alle riunioni del Consiglio della Lega degli Stati Arabi”.
  Il segretario generale della Lega Araba Ahmed Aboul Gheit ha inoltre dichiarato ai giornalisti che il presidente siriano Bashar al-Assad potrebbe partecipare al prossimo vertice della Lega Araba in Arabia Saudita se invitato e se vorrà partecipare.

• La risoluzione del conflitto siriano è una “questione graduale”
  Nella dichiarazione rilasciata dopo il voto di riammissione della Siria, che secondo quanto riferito non è stato unanime, la Lega Araba ha affermato che la “risoluzione del conflitto siriano è una questione graduale”, di cui la riammissione della Siria al gruppo è solo un primo passo. La dichiarazione ha aggiunto che la Lega Araba sostiene l’integrità territoriale della Siria e il “ritiro di tutte le forze straniere” dal Paese.
  Da parte sua, il ministero degli Esteri siriano ha dichiarato di aver ricevuto la decisione della Lega “con grande attenzione” e ha chiesto “una maggiore unità e partnership araba”.
  Stati Uniti e Regno Unito hanno tuttavia criticato la mossa. Un portavoce del Dipartimento di Stato americano ha dichiarato che la Siria non meritava di essere reintegrata, ma ha aggiunto che gli Stati Uniti sostengono il desiderio della Lega Araba di risolvere la crisi siriana.
  Nel frattempo, il Ministro degli Affari Esteri, del Commonwealth e dello Sviluppo del Regno Unito, Lord Ahmad, ha dichiarato che il Regno Unito rimane “contrario all’impegno con il regime di Assad” e ha affermato che il Presidente Assad continua a “detenere, torturare e uccidere siriani innocenti”.

(Rights Reporter, 8 maggio 2023)

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Cosa si celebra a Lag Ba’omer?

di Donato Grosser

Nel Tamud babilonese (Yevamòt, 62b) è raccontato: “Disse r. Akivà: se uno ha studiato Torà da giovane, la studi anche da vecchio; se ha avuto discepoli da giovane, ne abbia anche da vecchio, come è detto: "Semina di mattina, ecc.". [Così fece r. Akivà sul quale è raccontato che] aveva dodicimila coppie di discepoli nel territorio da Gevat ad Antipatris [in Giudea], e morirono tutti in un breve periodo di tempo, perché non si trattavano con rispetto reciproco. E il mondo era senza Torà finché r. Akivà andò nel meridione a insegnare Torà ai maestri che si trovavano là. Questo secondo gruppo di discepoli era composto da r. Meir, r. Yehudà, r. Yosè, r. Shim’on e r. El’azar ben Shamua’. E questi furono coloro che risollevarono allora lo studio della Torà. Le dodicimila coppie di discepoli morirono nel periodo che va da Pèsach a Shavu’ot.
  R. Shlomò Zevin (Belarus, 1888-1978, Gerusalemme) in Ha-Mo’adìm Be-Halakhà (360) scrive che una delle prime fonti che indicano Lag Ba’omer (il 33esimo giorno da quando si inizia il conteggio dello ’omer) come giorno speciale è r. Menachem ben Meir detto Meiri (Perpignano, 1249-1315). Il Meiri nel suo commento Bet Ha-Bechirà al trattato Yevamòt, afferma che ha una tradizione ricevuta dai Gheonìm di Babilonia che Lag Ba’omer è il giorno nel quale i decessi dei discepoli di r. Akivà cessarono. Per questo motivo di Lag Ba’omer non si digiuna [né si dicono suppliche nelle tefillòt quotidiane].
  R. Tzidkiyà Anau di Roma (XIII sec. E.V.) nella sua opera halachica Shibbolè Ha-Lèket (cap. 235) scrive: “In alcuni luoghi vi è l’usanza di non tagliare i capelli da Pèsach fino a Lag Ba’omer e così pure di non andare a nozze perché in quei giorni morirono di un’epidemia i discepoli di r. Akivà.
   Nello Shulchàn ‘Arùkh (cap. 493) r. Yosef Caro (Toledo, 1488-1585, Safed) scrive: “Vi è l’usanza di non andare a nozze tra Pèsach e Shavu’ot fino a Lag Ba’omer perché in quel periodo morirono i discepoli di r. Akivà”. Viene menzionata anche l’usanza di non tagliare i capelli, ma nulla più. Non si parla affatto di eventi tenuti a Meron come avviene ai nostri giorni.
  Una delle prime fonti che citano Meròn come destinazione di Lag Ba’omer è il commento ‘Atèret Zekenìm allo Shulchàn ‘Arùkh (cap. 493), citato da r. Zevin . L’autore scrive che vi è un’usanza in Eretz Israel di andare accanto alle tombe di r. Shim’on bar Yochai e di suo figlio El’azar nel giorno di Lag Ba’omer. R. Chayìm Vital (Calabria, 1543-1620, Damasco) in Perì Etz Chayìm (Sha’ar Sefiràt Ha‘omer, cap. 7) scrisse che vide il suo maestro (R. Yitzchak Ashkenazi detto Arì Hakadòsh) che andò lì con moglie e famiglia e vi stette tre giorni.
  R. Zevin aggiunge che quando gruppi di persone iniziarono ad andare a Meron di Lag Ba’omer per celebrare l’anniversario della morte di R. Shim’on Bar Yochai e a visitare il luogo dove è sepolto, ci furono importanti autorità halakhiche che espressero le loro riserve. Tra questi vi fu l’autorevole r. Moshè Schreiber (Francoforte,1762-1839, Bratislava) che nella sua opera di responsi Chatàm Sofèr (Y.D., 233) scrisse che non era opportuno stabilire un mo’ed in un giorno nel quale non avvenne alcun miracolo e di cui non si parla nel Talmud. E le astensioni dal digiunare e dal fare discorsi funebri sono usanze per le quali non si sa l’origine. Un’altra fonte critica delle celebrazioni fatte a Meròn per Lag Ba’omer fu r. Yosef Shaul Nathansohn (Galizia, 1808-1875, Lwow) autore dell’opera di responsi Shoèl u-Meshìv. R. Nathanson scrisse che nel giorno della dipartita di un giusto è appropriato digiunare e non farne una festa. Nonostante le critiche vi furono anche autorità rabbiniche che giustificarono l’usanza di festeggiare Lag Ba’omer come giorno della dipartita di r. Shim’on Bar Yochai. L’autore dei responsi Shem Ariè scrisse che si fa festa a Lag Ba’Omer per celebrare il fatto che R. Shim’on Bar Yochai morì di morte naturale e i Romani non riuscirono mai a catturarlo. Al giorno d’oggi Lag Ba’omer a Meron è diventato per molti, specialmente per i chassidìm, un giorno di celebrazione.

(Shalom, 8 maggio 2023)

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“Cara Italia, per tornare ad avere figli, impara da Israele, pieno di bambini”

Sul Catholic Herald, uno scrittore cattolico riflette sulle ragioni culturali (e non economiche) della carestia demografica europea.

Ho avuto quattro figli nel corso degli anni, quindi sono stato in molti parchi giochi. Potrei scrivere un libro sui parchi giochi migliori e peggiori nel sud-est di Londra. Quello che ho notato da quando ho avuto il mio primo figlio 13 anni fa è che in questi giorni sono spesso l’unica madre al parco giochi. Quando ho avuto il mio primogenito, c’erano un sacco di mamme, papà e baby sitter con i loro piccoli che salivano gradini e si lanciavano giù dagli scivoli, ma ora di solito sono da sola”. Così Laura Persins sul Catholic Herald. “Può essere inquietante e mi ricorda il film ‘I figli degli uomini’. Quel film (basato sull’omonimo libro) contiene una scena di una scuola e di un cortile fatiscenti e abbandonati. Il film ritrae un mondo, una distopia, dopo che c’è stato un crollo della fertilità globale causato dall’impossibilità delle donne di avere figli per una ragione sconosciuta.
  L’Occidente non è stato colpito da una malattia improvvisa che ha causato l’infertilità totale e tutto il dolore che ne consegue. L’Occidente ha scelto liberamente un busto per bambini. Si prevede che 23 nazioni, tra cui Spagna e Giappone, vedranno la loro popolazione dimezzarsi entro il 2100. È risaputo che il Giappone, ad esempio, sta fissando un abisso senza figli. Il primo ministro giapponese Fumio Kishida ha recentemente affermato che il Giappone sarebbe “sull’orlo della disfunzione sociale” se la situazione attuale continua.
  L’ultimo shock è arrivato dall’Italia cattolica dove “le nascite sono scese a un nuovo minimo storico, sotto le 400.000 nel 2022”, secondo Reuters. Tutti i paesi europei sono uguali, dal sud cattolico ai paesi nordici liberali. Tutti i tassi di fertilità sono al di sotto del livello di sostituzione.
  Ma cosa sta causando questo calo dei tassi di natalità e può essere invertito? Alcuni dicono che fattori economici hanno causato il declino e che se ci fosse più sostegno per le famiglie, avrebbero più figli. Sebbene i fattori economici siano un problema, penso che sia più un cambiamento culturale. C’è stata una rivoluzione nel nostro sistema di valori e oggi l’Occidente non dà più valore ai bambini. Ad esempio, il Lussemburgo ha le politiche di assistenza all’infanzia più generose secondo uno studio di The Economist, ma ha ancora un tasso di fertilità di 1,38, classificandosi al terzo posto tra i paesi europei. Credo che non importa quanto denaro un governo dedichi alla bassa fertilità, è improbabile che causi cambiamenti a lungo termine. Le culture europee hanno iniziato a dare più valore all’individuo e meno alla famiglia.
  Per vedere il contrasto in questo approccio bisognerebbe andare in Israele, l’unico tipo di nazione occidentale che ha tassi di fertilità superiori a quelli di sostituzione. Non solo perché le famiglie ebree ultraortodosse hanno effettivamente cinque o sei figli, ma anche perché gli ebrei laici hanno lo stesso numero di figli che avevano gli europei negli anni ’60 e ’70. Il baby busto causerà problemi reali come pensioni non finanziate, assistenza sanitaria e ogni sorta di altri problemi economici. Ma il vero problema di avere meno figli è che senza figli oggi non ci saranno famiglie domani».

(ITALY24, 8 maggio 2023)

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Dalla Miriam di Israele alle Miriam dei Vangeli (1)

L’autore di “Miriam, un personaggio profetico” inizia con questo articolo un’altra serie di studi in cui collega la Miriam dell’A.T. all’insieme delle Marie del N.T., tra cui in particolare la madre di Gesù.

di Gabriele Monacis

I nomi di persona nella Bibbia racchiudono sempre in sé un significato. Si pensi a tutti quei nomi di persona che riportano il nome di Dio (יה o אל) alla fine o all’inizio del nome stesso, come Yehoshua – il nome di Giosuè in ebraico – o Elisha – il nome del profeta Eliseo. Questo significato intrinseco di un nome, a volte, può essere illuminante per comprendere come la trama del racconto biblico si evolve, come un dito che indica al lettore la direzione verso cui guardare mentre prosegue nella lettura.
  Si prenda ad esempio il nome Mosè, che significa “tratto dalle acque”, e si pensi a come il significato di questo nome ritrovi un senso, quasi un suo completamento, nel giorno in cui, proprio sotto la guida di Mosè, fu Dio a trarre il popolo di Israele dalle acque del mar Rosso, molti anni dopo il giorno in cui il piccolo Mosè fu tratto dalle acque del fiume Nilo per mano della figlia del faraone.
  Anche nel Nuovo Testamento, i nomi possono essere una vera e propria rivelazione di ciò che Dio farà attraverso quella persona. È il caso, ad esempio, di Gesù; al quale venne dato questo nome prima che nascesse. Perché, disse l’angelo a Maria sua madre, sarà Lui a salvare il suo popolo dai propri peccati.
  Ed è proprio sul nome Maria che qui ci si vuole soffermare; non tanto per il suo significato etimologico, non del tutto chiaro per altro, quanto per la sua alta frequenza nel Nuovo Testamento. Volendo infatti parlare di Maria dei Vangeli, la prima domanda da farsi sarebbe questa: sì, ma Maria quale?
  Infatti, non solo la madre di Gesù portava questo nome, ma anche Maria di Magdala, colei che per prima vide Gesù risorto; Maria di Betania, che insieme a sua sorella Marta e suo fratello Lazzaro, erano legati a Gesù da un legame di amicizia.
  Questo per citare le Marie che forse si ricordano più facilmente, ma non sono le uniche. C’è ancora Maria di Cleopa, che l’evangelista Giovanni riporta vicino a Gesù quando questi era sulla croce (Giovanni 19:25). Leggiamo anche di Maria madre di Giacomo e Giuseppe, che assistette alla sepoltura di Gesù, come raccontato dall’evangelista Marco (Marco 15:47). Potrebbe addirittura essercene ancora una, la sesta. Si tratta di una non meglio specificata “altra Maria” dall’evangelista Matteo (Matteo 27:61 e 28:1). Insieme a Maria Maddalena, questa “altra Maria” fu presente alla crocifissione di Gesù, per poi andare a vedere la tomba di Gesù il giorno dopo il sabato.
  Cinque diverse Marie nei Vangeli. Addirittura sei se si vuole considerare l’“altra Maria” come una Maria diversa da Maria di Cleopa o da Maria madre di Giacomo e Giuseppe. Un numero considerevole, davanti al quale viene da chiedersi: ma perché così tante Marie? C’è forse qualche significato implicito legato a questo nome così frequente?
  Il Nuovo Testamento è considerato Parola di Dio da chi scrive, allo stesso livello del resto della Bibbia scritta in ebraico. Pertanto, un numero relativamente alto di donne che portano lo stesso nome può essere considerato a tutti gli effetti un atto intenzionale da attribuire alla Parola di Dio, e non il frutto di una mera coincidenza legata all’omonimia del caso. E allora, trattandosi appunto di intenzionalità della Scrittura, verso quale direzione il lettore dall’occhio attento dovrebbe guardare?
  Una precisazione sull’origine del nome Maria può aiutare a rispondere a questa domanda. Il nome femminile ebraico che veniva dato alle bambine, evidentemente non era Maria, bensì Miriam. Maria è la traduzione in italiano della versione greca Mariam (Μαριαμ) che si trova nella traduzione dei Settanta dell’Antico Testamento per indicare Miriam, la sorella di Mosè. È verosimile che le famiglie in terra di Israele ai tempi di Gesù fossero solite dare nomi di origine ebraica ai propri figli; se, come per il caso di Miriam, questi nomi erano tratti dall’Antico Testamento.
  Ecco, dunque, un possibile collegamento che il Nuovo Testamento fa con l’Antico attraverso le storie delle diverse Miriam. Riporta il lettore all’omonimo personaggio dell’Antico Testamento, la sorella di Mosè. Attraverso questo nome comune a molte Miriam e tramite il ruolo di rilievo di alcune di queste Miriam nella vita di Gesù, l’intera Sacra Scrittura – Antico e Nuovo Testamento insieme – intende costruire un ponte tra la Miriam dell’Antico e la Miriam del Nuovo Testamento.
  Oltre al nome in comune, queste donne del Nuovo Testamento hanno anche un ruolo narrativo che le accomuna: è attestato nei Vangeli che esse furono testimoni oculari della morte, della sepoltura e della risurrezione di Gesù. Fatta eccezione per Maria di Betania, non menzionata negli ultimi frangenti della vita di Gesù, di tutte le altre Miriam è esplicitamente detto che erano presenti ad almeno uno degli eventi cruciali della sua vita sulla terra: quando morì, quando fu sepolto e quando risuscitò. La madre di Gesù, presente ovviamente alla sua nascita, era con lui anche nel momento della sua morte in croce. Maria di Magdala fu addirittura presente a tutti questi tre eventi cruciali.
  Perché questa alta frequenza di Miriam presenti nei momenti chiave della vita del Messia è alquanto significativa? Per spiegarlo, si immagini di costruire un personaggio femminile immaginario, anch’esso di nome Miriam, che raccolga tutte le esperienze reali, fisiche e spirituali, che hanno avuto le Miriam dei Vangeli. Ecco, una Miriam del genere, seppure ideale ma risultato dell’unione delle testimonianze oculari di donne reali, sarebbe stata con Gesù praticamente per tutta la sua vita, dalla sua nascita alla sua resurrezione, passando per svariati momenti di normale quotidianità. Per dirla con parole semplici, accanto a Gesù era frequente trovare almeno una Miriam.
  Un personaggio femminile del genere, con queste caratteristiche, potrebbe impersonificare molto bene il popolo di Israele stesso, il popolo che diede i natali al Messia, all’interno del quale egli crebbe e diventò uomo, popolo dal quale assorbì la lingua, le abitudini e la cultura. Popolo in mezzo al quale non solo visse, ma anche morì e risuscitò.
  Per il Nuovo Testamento, dunque, Miriam non è soltanto il nome ebraico della madre del Messia, o di altre donne che in qualche modo erano vicine a Gesù. Ma è anche un personaggio che rappresenterebbe molto bene il popolo di Israele, il popolo del Messia.
  Se questa affermazione potrebbe risultare esagerata, si consideri ciò che fa l’autore dell’Apocalisse, uno dei libri del Nuovo Testamento. L’evangelista Giovanni scrive così in Apocalisse 12:1-6

    1 Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. 2 Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto. 3 Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso. [...] 4 Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato. 5 Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e il figlio fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono. 6 La donna invece fuggì nel deserto, ove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni.

I personaggi di questi versetti sono tre: una donna, evidentemente dall’alto valore simbolico visto che è vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Questa donna partorisce un maschio e poi scappa nel deserto. Suo figlio maschio è il secondo personaggio. Il terzo è il dragone, che vuole divorare questo figlio maschio appena nato. Questo figlio è senz’altro il Messia, in quanto è destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro. Quindi la donna che lo partorisce è la madre del Messia, che secondo il Nuovo Testamento è Miriam, la madre di Gesù. Questa donna è la stessa che fugge nel deserto per rifugiarsi ove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni.
  Secondo molti commentatori del libro dell’Apocalisse, questa donna che trova rifugio nel deserto per un certo periodo rappresenta il popolo di Israele negli ultimi tempi. Giovanni, dunque, in modo del tutto naturale, afferma che la madre del Messia e il popolo del Messia sono la stessa persona. È dunque in linea con la Scrittura considerare Miriam come il personaggio che rappresenta meglio il popolo di Israele.
  Il rifugio preparato da Dio nel deserto per Israele, di cui si parla in Apocalisse 12:6, ci riporta a Geremia 31:2, un versetto già commentato (vedi il primo articolo di “Miriam, un personaggio profetico”, che parla delle promesse di Dio per il futuro di Israele.

    Così dice l'Eterno: «Il popolo scampato dalla spada ha trovato grazia nel deserto; io darò riposo a Israele».

Come già detto in quell'articolo, il profeta Geremia annuncia che Israele vedrà un nuovo esodo, come quello dall’Egitto. Ci sarà nuovamente una situazione in cui Israele scapperà dalla spada – come quella degli egiziani – e troverà rifugio nel deserto, dove Dio proteggerà Israele, come già successo ai tempi del primo esodo. Nel versetto 4 del capitolo 31, il profeta Geremia aggiunge delle promesse a Israele da parte del Signore.

    Io ti riedificherò e tu sarai riedificata, o vergine d'Israele. Sarai di nuovo adorna dei tuoi tamburelli e uscirai in mezzo alle danze di quelli che fanno festa

Come già notato nel primo articolo, è significativo che Geremia riporti alla mente dei suoi ascoltatori la storia dell’esodo; non solo con la promessa del rifugio nel deserto, ma anche tramite le parole “tamburelli” e “danze”, proprio le stesse che il libro dell’Esodo usa per raccontare di Miriam, sorella di Mosè, che si pose alla guida delle donne di Israele per guidarle nella lode al Signore. (vedi Esodo 15:20).
  Sembra proprio che il Nuovo Testamento, iniziando con il racconto di molte Miriam nei Vangeli e finendo con l’Apocalisse, voglia riprendere in mano un discorso rimasto in sospeso nell’Antico Testamento: quello del valore profetico del personaggio di Miriam. La testimonianza oculare delle diverse Miriam nei Vangeli e l’identificazione della madre del Messia con Israele nell’Apocalisse, spingono il lettore a porsi questa domanda: in che modo la Miriam del Nuovo Testamento è la continuazione della Miriam dell’Antico Testamento? In quali termini l’una è l’adempimento del valore profetico dell’altra?
  Proveremo a rispondere a questa domanda nelle prossime occasioni.

(1. continua)
(Notizie su Israele, 7 maggio 2023)


 

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Legittimando l’estrema destra, Netanyahu ha messo in crisi la democrazia israeliana

Congelata la questione palestinese, per il disinteresse dei paesi arabi, il premier ha abbandonato il suo tradizionale liberalismo pur di salvarsi dai processi. Ma ha dovuto cedere peso elettorale e potere a partiti xenofobi e suprematisti ebraici altrimenti marginali, spaccando il Paese.

di Carlo Panella

Per la prima volta nella storia di Israele giovedì scorso l’estrema destra è scesa in piazza riuscendo a mobilitare decine e decine di migliaia di persone, secondo Le Monde addirittura duecentomila. Una manifestazione imponente, mai vista, di coloni e di simpatizzanti dei partiti di destra – ma mancavano i supporter dei partiti religiosi – ha avvolto la Knesset a Gerusalemme per chiedere a gran voce che riprenda subito l’iter delle riforme della giustizia che Bibi Netanyahu ha sospeso sotto la pressione di una immensa e contraria mobilitazione di piazza e nel paese dei laici e della sinistra.
  Si è avuta così un’immagine plastica, concreta, preoccupante del muro contro muro, della divisione profonda e partecipata dalle due parti che sta sconvolgendo la vita e l’immagine stessa del popolo in Israele.
  Di fatto è finita una lunga fase che – pur nel cambio di leader e di leadership ha visto Israele sviluppare una politica unitaria – tendente a allacciare legami con più Paesi arabi possibili (prima l’Egitto, poi la Giordania infine con gli Accordi di Abramo gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein, il Sudan e il Marocco) e di congelare di fatto la questione dei Territori occupati.
  Alle spalle e di fronte l’irresponsabile avventurismo della leadership palestinese, che nel 2000 a Taba con Yasser Arafat rifiuta la restituzione del novantacinque per cento delle zone d’occupazione per far partire subito dopo l’orrida e ovviamente perdente Intifada delle Stragi. Avventurismo palestinese irresponsabile duplicato nel 2005 quando Ariel Sharon restituisce senza condizioni la Striscia di Gaza e Hamas innesca una guerra civile con al-Fatah e la trasforma in uno sterile bunker lancia razzi invece che nel primo nucleo di uno Stato palestinese florido e in pace con Israele.
  Congelata la questione palestinese – nel pieno disinteresse del mondo arabo ormai teso soprattutto a fare affari con la un tempo odiata “Entità Sionista” – negli ultimi trent’anni Israele è cresciuto vorticosamente su sé stesso sul piano tecnologico, economico e militare. Si è illuso che fosse possibile, secondo la battuta di Ehud Barak, vivere con forza e gioia al riparo di un muro: al di là facciano quello che vogliono. Unico pericolo, l’atomica iraniana, ma lontano, e comunque contrastato da inaspettati alleati come i sauditi.
  Ma, a riprova che la Storia ama i percorsi tortuosi e le beffe, questo status quo di un Israele che aveva congelato la questione palestinese è stato interrotto da un banale procedimento penale che ha coinvolto un uomo, Bibi Netanyahu. Questi, dopo quattro elezioni perse nell’arco di due anni, ha evocato il Golem, e per vincere finalmente la Knesset e rendere inefficace un’eventuale condanna ha compiuto il gesto che nessun leader israeliano, neanche il più estremista di destra, aveva mai osato compiere: ha dato piena legittimità politica alla destra fascista e xenofoba, e ha portato al governo ceffi come Itamar Ben Gvir e Bezael Smotrich che si autoproclama “fascista”. Senza la legittimazione di Netanyahu, questi due personaggi e i loro minipartitini avrebbero continuato la loro vita grama e marginale di sempre, modello Casa Pound per intenderci.
  Ma ora, titolari di ministeri importanti e con più del dieci per cento dei voti complessivi alla Knesset, i leader dell’estrema destra fascista e parafascista hanno innescato un fenomeno eversivo che sta travolgendo lo stesso apprendista stregone Netanyahu: puntano direttamente all’annessione della Cisgiordania a Israele e considerano gli arabi, anche gli arabi israeliani, una feccia da estirpare. E non a parole: Bezael Smotrich ha tentato – fallendo per un pelo – di effettuare un sanguinoso pogrom contro il villaggio arabo di Huwara.
  Questa è la vera posta in gioco dietro la riforma della giustizia che il governo Netanyahu vuole imporre: togliere ogni autonomia alla magistratura per colonizzare senza più ostacoli la Cisgiordania e schiacciare con una repressione sanguinaria arabi israeliani e palestinesi.
  Di fatto, l’occupazione militare israeliana della Cisgiordania dal 1967 a oggi ha corrotto la democrazia di Israele, vi ha introdotto un virus di sopraffazione nei confronti degli arabi, un suprematismo ebraico da sempre marginali ma ora dotato di grande forza politica, amministrativa e di governo per colpa delle dissennate scelte di Netanyahu. Un virus suprematista paradossalmente rinvigorito da una inqualificabile dirigenza palestinese: da una parte la Anp di Abu Mazen capace solo di sviluppare corruzione spinta e inefficienza, e dall’altra una Hamas che vive nel mito irraggiungibile di distruggere Israele e intanto sviluppa un’economia di contrabbando, corruzione e traffici sotto il tallone di ferro della legge islamica.
  Contro questa deriva suprematista ebraica e i dissennati progetti del governo nei mesi scorsi, come si sa, si è levata una mobilitazione popolare così massiccia e una reazione dentro le Forze Armate che ha costretto Netanyahu a sospendere i progetti di riforma della giustizia. Una reazione tale e talmente compatta da aver fatto precipitare nei sondaggi i partiti della coalizione di governo da sessantaquattro a cinquantadue seggi. Ma ora alla piazza laica e democratica si contrappone una piazza suprematista e xenofoba. Una lacerazione e una tensione mai viste dentro Israele.
  L’apprendista stregone Netanyahu che ha abbandonato il suo tradizionale liberalismo pur di salvare sé stesso dai processi deve decidere a quale piazza dare ragione. Una scelta drammatica, forse esiziale per la stessa democrazia israeliana. Una scelta che può essere evitata solo da una manovra di Palazzo: un accordo di governo al ribasso tra il Likud, il Partito di Netanyahu e Unione Nazionale di Benny Gantz con conseguente espulsione dal potere dei partiti di Itamar Ben Gvir e di Bezael Smotrich. L’unica democrazia del Medio Oriente vive ore cruciali.

(LINKIESTA, 6 maggio 2023)

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Shai Cohen dirige l’ufficio di collegamento di Israele in Marocco -

L’Ambasciatore Shai Cohen faceva parte della delegazione che accompagnava il Ministro dell’Economia e dell’Industria israeliano, Nir Barkat, in visita in Marocco.
  L’ufficio di collegamento israeliano in Marocco ha annunciato la nomina di Shai Cohen a nuovo capo della missione diplomatica israeliana a Rabat. Questo è secondo un tweet pubblicato dall’ufficio mercoledì sera.
  Secondo l’ufficio, Shai Cohen faceva parte della delegazione che ha accompagnato il ministro israeliano dell’Economia e dell’Industria, Nir Barkat, che ha incontrato il suo omologo, Ryad Mezzour.
  La stessa fonte ha sottolineato che “le due parti hanno discusso del progetto di creare imprese economiche in Marocco e dei mezzi per rafforzare la cooperazione economica tra i due Paesi”. -
  Nir Barakat ha anche visitato, martedì, l’International Agricultural Show di Meknes, in Marocco. Va notato che non sono stati fatti commenti agli amici delle autorità marocchine su quanto menzionato nel tweet dell’ufficio di collegamento israeliano. -
  Lo scorso aprile, l’ufficio di collegamento israeliano in Marocco ha annunciato la fine della missione del suo capo, Alona Fisher, senza annunciare un successore. Fischer è subentrato all’ex capo ufficio David Govrin lo scorso settembre.
  Il 10 dicembre 2020, Israele e Marocco hanno annunciato la ripresa delle loro relazioni diplomatiche, dopo la loro sospensione nel 2000.

(DayFR Italian, 6 maggio 2023)

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Audizione a Montecitorio di Amir Ohana, Presidente Knesset

Martedì alle 14.15 in diretta webtv

Martedì 9 maggio, alle ore 14.15, presso la Sala del Mappamondo di Montecitorio, le Commissioni riunite Esteri di Camera e Senato svolgono l’audizione del Presidente della Knesset israeliana, Amir Ohana.
L’appuntamento sarà trasmesso in diretta webtv.

(Stampa Parlamento, 6 maggio 2023)

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Chi è Noa Kirel, la cantante che rappresenta Israele all'Eurovision Song Contest 2023

A soli 22 anni, ma con già una carriera musicale e da attrice avviata alle spalle, l'artista si esibisce nel corso della nona performance della prima serata della competizione

Noa Kirel
Attrice, popstar e giudice a Israel's Got Talent e Music School: Noa Kirel ha esordito con il singolo Medabrim a soli 14 anni e, ora che ne ha 22, è stata scelta dall'Israeli Public Broadcasting Corporation (Ipbc/Kan) come rappresentante di Eurovision Song Contest 2023. La cantante si esibisce durante la prima semifinale, che si terrà a Liverpool nella serata del 9 maggio e la sua sarà la nona performance della serata. Unicorn è il titolo del brano, scritto da Doron Medalie, May Sfadia, Noa Kirel e Yinon Yahel con musica a cura di Doron Medalie, May Sfadia, Noa Kirel e Yinon Yahel, che Noa Kirel eseguirà sul palco.Tra i riconoscimenti che sono stati conferiti nel corso della sua carriera, ricordiamo il Best Israeli Act e agli Mtv Europe Music Awards e si è esibita davanti a 35mila persone a Tel Aviv. Nonostante la giovane età, Kirel ha anche già fatto esperienza come conduttrice televisiva: nel 2017, infatti, a soli 16 anni, la cantante ha partecipato al programma Lipstar, in onda sul canale kidZ.

(zazoom, 6 maggio 2023)

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Safer to Wait: i bambini non devono correre rischi con le vaccinazioni per il Covid

La campagna Safer to Wait, lanciata nel 2021, è nata dalla seria preoccupazione che principi medici e scientifici consolidati – tra cui il consenso pienamente informato per i genitori, attente valutazioni rischio/beneficio, il principio di precauzione e l’immunità naturale – venissero abbandonati nel favore dell’applicazione generalizzata di un nuovo prodotto farmaceutico ai bambini. Un prodotto con dati sulla sicurezza a breve termine molto limitati e nulli a lungo termine.
  Il nostro obiettivo era fornire ai genitori i fatti medici che venivano ampiamente ignorati dal nostro governo, dai media e dagli organismi sanitari. Abbiamo esortato alla prudenza e apparentemente i genitori erano d’accordo con noi. L’assorbimento del vaccino Covid per i bambini nel Regno Unito è rimasto solo all’11% per i 5-11 anni. Safer to Wait rimane impegnato a proteggere la salute dei bambini. Per quanto riguarda i farmaci, le cure mediche e gli interventi, continueremo a valutare attentamente i dati, fornire informazioni equilibrate e considerare tutti i rischi e i benefici.
  Comprendiamo anche che l’assistenza sanitaria reale e sostenuta non arriva necessariamente in una siringa. Raccomandiamo di aiutare i bambini a esplorare altri modi per sostenere la loro salute e rafforzare la loro resilienza.
  I bambini NON devono correre rischi. Fino a quando l’OMS non affronterà le importanti preoccupazioni sopra delineate, il nostro messaggio rimane: è più sicuro aspettare.
  L’OMS afferma: “Dobbiamo agire ora per recuperare i milioni di bambini che hanno perso i vaccini durante la pandemia, ripristinare la copertura vaccinale essenziale almeno ai livelli del 2019 e rafforzare l’assistenza sanitaria di base per fornire l’immunizzazione”.
  Una sfida importante per l’OMS sarà sicuramente la perdita di fiducia negli organismi farmaceutici e sanitari dal 2020.
  Negli ultimi anni sono diventati evidenti molteplici conflitti di interesse all’interno degli organismi di regolamentazione che approvano i vaccini e delle ONG internazionali che guidano la politica sanitaria. Inoltre, sono sorti seri interrogativi sull’accuratezza e la trasparenza della comunicazione dei dati sui test sui vaccini, con miliardi di dollari in gioco per le aziende farmaceutiche coinvolte.
  Non sorprende quindi vedere un aumento della cosiddetta “esitazione vaccinale”. Mentre l’OMS, le Nazioni Unite e altri possono dare la colpa di ciò all ‘”aumento di informazioni fuorvianti”, a noi sembra la risposta ragionevole e razionale a quello che è un sistema ovviamente rotto e irrimediabilmente corrotto.

(Presskit, 6 maggio 2023)

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Israele contro Israele: come si risolverà lo scontro tra tribù?

di Anna Balestrieri

Il conflitto nel paese tra le quattro (e mezzo?) società che non comunicano tra loro, le tribù di Israele di Rivlin, si fa sempre più marcata ed evidente.  A questo tema è stato dedicato l’ultimo numero di Limes. Un’occasione di confronto nata dai 75 anni dell’indipendenza di Israele, in un incontro dell’Associazione Italia Israele di Milano e di Lech Lechà (già intervenuti all’evento del 9 dicembre sul post-elezioni in Israele, patrocinato dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.

Dopo una breve introduzione di Davide Assael, presidente di Lech Lechà la parola è passata a Lucio Caracciolo, direttore di Limes, che ha delineato un quadro geopolitico che vede il “graduale ma evidente disimpegno degli Stati Uniti dalla regione mediorientale”, con un progressivo avvicinamento tra Russia ed Emirati per assorbire l’impatto delle sanzioni antibelliche. L’ultimo numero della rivista mensile è dedicato ai diversi modi di leggere Israele e la storia delle sue tribù, dall’interessante analisi delle strutture scolastiche come primo stadio di separazione tra haredim, secolari, sionisti religiosi ed arabi/drusi al significato cruciale della riforma della giustizia, punto di rottura insanabile in uno stato egualitario e democratico così come Israele è concepito nella diaspora. La crisi per Caracciolo non è originata dalla contestazione della riforma, bensì dall’assenza di costituzione.
  Evocando la metafora di Danny Trom: «Lo Stato di Israele assomiglia a quel bambino in bicicletta che nel momento in cui si chiede come faccia a stare in equilibrio smette di pedalare, s’impanica e cade. Forse lo prevede, evita di pensare e continua a pedalare. Volta lo sguardo e smette di pensare ogni volta che è spinto a pensare che cosa stia facendo. L’assenza di costituzione, la predilezione per il bricolage e gli arrangiamenti provvisori in guisa di soluzione, la presupposta reversibilità di ogni iniziativa” sono la dimostrazione che probabilmente “Israele (r)esiste perché rifiuta di identificarsi e che lo sforzo di farlo potrebbe ucciderlo” (Limes 2023/3, 32). Questa sensazione di provvisorietà intrinseca al paese, è secondo Caracciolo, la magia e la tragedia di Israele.
  L’interpretazione del direttore di Limes, che sottolinea la radice ottomana di Israele, è stata apprezzata dal demografo Sergio Della Pergola, esperto analista politico. La voce dell’emerito della Hebrew University è giunta ai 200 partecipanti alla conferenza direttamente da Gerusalemme, a pochi passi dalla Knesset, dove duecentomila manifestanti esprimevano il loro appoggio alla riforma, con interventi del ministro della Giustizia Levin e di Smotrich. La “destra piena” di Bibi è tuttavia tutt’altro che omogenea. I sondaggi evidenziano un movimento tettonico sia all’interno del Likud, sia nella fetta decisiva dell’elettorato composta dalla destra nazionale e costituzionale e dai sionisti religiosi orfani di Bennett. Le prove in vista per la maggioranza parlamentare che non è più maggioranza di strada non sono poche, prime fra tutte: un bilancio da approvare entro fine maggio e la riforma della legge sull’arruolamento per i giovani haredim, che richiede il diritto di prevalenza del parlamento sulla corte suprema, poiché la corte suprema subito l’annullerebbe.
  Della Pergola paragona le diverse figure che bramano potere alle cavallette delle makkot, le sciagure che colpirono gli ebrei nel deserto che ricordiamo nel seder di Pesach.  Il servo che diventa re, ricorderà Rav Michael Ascoli da Haifa, nella tradizione ebraica è fonte di governo ingiusto e sopraffattorio. Il problema non è quindi la riforma della Corte suprema, bensì quella del parlamento, a causa di uno sbilanciamento dei deputati per regione. E svela gli altarini: “Meno noto è il fatto che dietro la riforma si trovi un centro studi finanziato da circoli ultraconservatori e libertari americani, il Kohelet Policy Forum. I testi delle leggi proposte sono stati elaborati dai giuristi di Kohelet e poi adottati dai politici. Ma il Forum ha un programma più vasto che comprende fra l’altro la privatizzazione selvaggia dell’apparato dello Stato e una normativa più restrittiva nelle leggi che regolano l’immigrazione in Israele. La base teorica del Kohelet Policy Forum è interessante e preparata da persone competenti, accompagnata da un’aggressiva promozione con il supporto efficiente dei social media, ma fuorviante e settaria se analizzata attentamente. Di questa ingerenza il pubblico non è consapevole. In realtà la Corte suprema, di cui si vogliono ridurre i poteri, è stata finora un importante strumento di bilanciamento ed equilibrio di un sistema pieno di lacune legislative. La posta in gioco è alta. Si tratta, ricorda il professore, di “decidere se in Israele tutti i cittadini siano uguali di fronte alla legge: la maggioranza governativa di oggi risponde no a questa domanda”. Maggioranza che si propone come assoluta interprete dell’ebraismo, che in verità non impone affatto questo principio, bensì “proietta enormi valori di giustizia e di equità e di attenzione ai diritti delle persone e dei deboli” e non propugna “che gli uomini sono superiori alle donne, che gli ebrei sono superiori agli arabi, che gli straights sono superiori ai gay”. Ed è ancor più indegno che a farci la morale siano personaggi come Ben Gvir, che è andato ad offendere la memoria dei caduti ai cimiteri militari in occasione di Yom ha Zikaron pur non avendo mai fatto il servizio militare.
  Nel saluto della comunità ebraica di Milano di Milo Hasbani (presidente della Comunità ebraica di Milano), si è confermata la crisi di fiducia in Netanyahu nella diaspora. “Se Israele è stato ebraico deve capire anche cosa vogliono gli ebrei”, ha ricordato Della Pergola.
  La chiosa di rav  Ascoli è sprone al superamento dell’incapacità dialettica tra le tribù. La protesta alla riforma lo ha visto assistere a ragazzi dell’HaShomer Hatzair che applaudivano Lieberman, come a manifestazioni anti-riforma capeggiate dal rabbino capo della yeshiva di Gush Etzion. Difendere la democraticità e la laicità dello stato non è “di sinistra”.
  La Speranza nel presidente israeliano Isaac Herzog e nella prevalenza del buon senso è stata la cifra fondante dell’incontro.

(Bet Magazine Mosaico, 5 maggio 2023)

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Al Meis in mostra la storia di sinagoghe e cimiteri ebraici in Italia

di Jacqueline Sermoneta

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Allestita fino al 17 settembre 2023 negli spazi del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (MEIS), a Ferrara, la mostra “Case di vita. Sinagoghe e cimiteri in Italia”, a cura di Andrea Morpurgo e Amedeo Spagnoletto. L’esposizione si focalizza, in modo innovativo e originale, non solo sugli aspetti architettonici, rituali e sociali di sinagoghe e cimiteri ebraici, ma anche sul rapporto tra luoghi sacri e i cambiamenti avvenuti in Italia, in oltre due millenni di storia dell’ebraismo italiano.
  “Il nostro è un ritorno ad un tema molto caro per il museo: il concetto di casa – ha spiegato il Direttore e curatore Amedeo Spagnoletto – Le sinagoghe, infatti, non sono unicamente destinate alle preghiere ma sono vere e proprie case della comunità, mentre il titolo della mostra prende in considerazione il nome con cui vengono designati i cimiteri nel mondo ebraico, Battè Chaim, ossia Case di Vita. Questi due luoghi, pur con le loro differenze, custodiscono da millenni le esistenze, le storie, i percorsi identitari. A differenza delle dimore private, in questi spazi l’autorappresentazione passa dalla dimensione del singolo a quella comunitaria e, proprio per questo, nella concezione ebraica diviene eternamente viva”.
  Il percorso espositivo, grazie alla storia delle architetture, racconta i diversi momenti della presenza ebraica in Italia: “Affrontare il tema delle architetture ebraiche – sinagoghe e cimiteri – significa confrontarsi con spazi d’identità, in grado di restituirci un affascinante intreccio di racconti e memorie che è parte integrante e inscindibile della storia del nostro Paese”, ha detto il curatore Andrea Morpurgo.
  Progetti architettonici, oggetti familiari e documenti provenienti da archivi statali e comunità ebraiche permettono di ricostruire le tappe evolutive delle sinagoghe e dei cimiteri ebraici. Fra gli oggetti esposti, un mahazor (formulario di preghiere) della seconda metà del XV secolo dell’area emiliano-romagnola per la prima volta in mostra, l’Aron ha-Qodesh di Vercelli, armadio sacro per i rotoli della Torah, prodotto in area piemontese nel XVII secolo all'epoca dei ghetti. E ancora, dopo l’Unità d’Italia, i progetti per la costruzione di nuove monumentali sinagoghe nelle principali città italiane, fra cui la Mole Antonelliana, che doveva originariamente ospitare il tempio israelitico.
  Anche l’evoluzione dei cimiteri ebraici in Italia rappresenta una chiave di lettura nel rapporto che si era istaurato tra gli ebrei italiani e coloro che erano al potere nelle diverse epoche. Lo stesso rito di sepoltura ebraico destava interesse e curiosità: a tal proposito, in prestito dal Musèe du Louvre per la mostra, il dipinto del pittore Alessandro Magnasco un “Funerale ebraico” del 1720. Tra le opere anche una colonna funeraria di Yehudah Leon Briel del 1772 e un prezioso seggio ligneo rivestito in bronzo che il banchiere e senatore Ugo Pisa commissionò nel 1887 allo scultore Mario Quadrelli per il reparto Israelitico del Cimitero Monumentale di Milano.
  “Il nostro auspicio – dice il Presidente del MEIS Dario Disegni - è che attraverso questa mostra i visitatori possano riscoprire le città italiane sotto una nuova luce, apprezzare luoghi dalla bellezza ancora nascosta ai più, aprire nuove porte della conoscenza e ritrovare ancora una volta (e più vicino di quanto si creda!) un pezzo della propria storia”.
  Numerose iniziative, insieme alla mostra, coinvolgono la città di Ferrara. E' possibile, in via eccezionale, visitare le tre sinagoghe della città e il cimitero ebraico di via delle Vigne. All’interno del catalogo della mostra in italiano e in inglese, edito da Sagep, i contributi dei più importanti storici dell’architettura e dell’ebraismo.
  L’esposizione ha ricevuto la Medaglia del Presidente della Repubblica e gode del sostegno del Ministero della Cultura, degli Enti Partecipanti - Regione Emilia-Romagna, Comune di Ferrara e Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e dell’Ente Sostenitore Intesa Sanpaolo. È patrocinata dalla Fondazione per i Beni Culturali Ebraici in Italia e dalla Comunità Ebraica di Ferrara e realizzata con il contributo della Fondazione Guglielmo De Lévy, TPER, Hera, CoopAlleanza 3.0, AVIS e Fondazione Bottari Lattes.

(Shalom, 5 maggio 2023)

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Da Giorgio Ascarelli a Enrico Bassani, i presidenti ebrei che fecero il calcio

di Adam Smulevich

Scriveva Giuseppe Pacileo, decano dei giornalisti partenopei: “Dal lontano passato del calcio napoletano emerge una figura che ogni appassionato della maglia azzurra deve considerare indimenticabile: Giorgio Ascarelli. Egli non può essere altrimenti definito che un mito”.
  Sa infatti di mito “quel nome, molto più che non altri ancora più lontani nel tempo, per la dimensione e la compiutezza realizzata a pro del calcio napoletano in periodi di stupefacente brevità”. Mitico anche, aggiungeva il giornalista, “per quella sorta d’aureola del martirio che gli regalarono, sebbene postuma, l’anormalità idiota delle leggi razziali e la normalità ignobile dell’umana ingratitudine”. Era il suo modo per denunciare quanto quel nome, il nome del fondatore e primo presidente del Napoli, fosse stato dimenticato. Una “umana ingratitudine” che ha finito per dissipare nel ricordo ciò che questo grande imprenditore e filantropo ebreo aveva fatto per la collettività locale. Dotandola di una squadra di calcio, di uno stadio di proprietà e soprattutto di molte strutture sociali all’avanguardia.
  Napoli è in festa per il terzo scudetto, conquistato ufficialmente ieri sera anche se nell’aria già da mesi. Ed è un’impresa per la quale per primo gettò le basi proprio Ascarelli, fondando il nuovo club nell’estate del 1926 e proiettandolo fin da subito ad alti livelli. Era la sua ambizione, anche se non poté goderne più di tanto gli effetti vista l’improvvisa scomparsa, avvenuta nel marzo del ’30, all’età di 36 anni. Un lutto cittadino e un rimpianto che da Napoli abbracciò l’Italia intera. Non sul Mattino, ma sulla Gazzetta dello sport fu scritto: “Non è il dirigente che si commemora con la solita parola buona, con la lode mesta e accorata che è di prammatica. La figura di Ascarelli è così gigantesca, è così varia e notevole per i diversi aspetti ch’essa richiama alla memoria, che la penna si sente ora troppo impari al suo compito immenso e pare non sappia far altro che lasciar stridere sulla carta il dolore che è dentro”.
Video aggiunto da NsI
Si era nell’ottavo anno dell’Italia fascista. Otto anni dopo l’antisemitismo di Stato avrebbe cancellato tutto quello che Ascarelli aveva fatto nella sua breve ma intensa vita, relegandone la figura sempre più ai margini. Nella grande festa scudetto che si protrarrà inevitabilmente per settimane, l’occasione per fare memoria di questa straordinaria personalità. E di una stagione non solo sportiva che vide numerosi dirigenti ebrei “fare” la storia del calcio italiano.
  Contemporaneo di Ascarelli era Renato Sacerdoti, tra i fondatori della Roma e suo secondo presidente. In politica la pensavano diversamente: simpatizzante del socialismo Ascarelli, pienamente a suo agio con la camicia nera Sacerdoti. Ciò, oltre a una precedente conversione al cristianesimo, non lo mise però in salvo dalle leggi razziste che colpirono anche lui e i suoi cari. “La sua diabolica furberia, fondata sull’attitudine tipicamente ebraica a corrompere con il denaro le persone per spingerle a delinquere e ad addossarsi le responsabilità di delitti ai quali non avrebbero forse mai ricorso senza le circostanze che li hanno avvicinati all’odioso giudeo, è stata vinta dalla sagacia della polizia italiana” esulterà il Popolo d’Italia, l’organo del fascismo, annunciandone l’arresto negli stessi giorni in cui l’antisemitismo veniva istituzionalizzato da Mussolini e dai suoi sodali. Seguiranno mesi travagliati, una condanna al confino, il ritorno nella capitale dopo il crollo del regime, la necessità di nascondersi dopo l’occupazione nazista di Roma. Fino al ritorno nel mondo del calcio, che vide come una personale rivincita rispetto a chi l’aveva costretto a farsi da parte. Cantava la curva della Roma, nel mitico inno Campo Testaccio (l’impianto dei primi sogni e successi): “Semo giallorossi e lo sapranno tutti l’avversari de st’artranno. Fin che Sacerdoti ce stà accanto, porteremo sempre er vanto, Roma nostra brillerà”. Una strofa oggi rimossa, ma eloquente per cogliere il suo peso nelle vicende quasi centenarie del club. Di cui sarà di nuovo presidente negli anni Cinquanta, dotandolo tra gli altri del talento di un campione come Alcides Ghiggia. “Solo tre persone sono riuscite a zittire il Maracanã: Frank Sinatra, papa Giovanni Paolo II e io” raccontava il campione nato a Montevideo, gongolando al ricordo del “Maracanazo”. Quando, con un suo goal, aveva messo in ginocchio il Brasile nel Mondiale casalingo già dato per vinto.
  Da non dimenticare anche il nome di Raffaele Jaffe, di professione insegnante, che a inizio Novecento aveva fondato il Casale Football Club. Un’epoca pionieristica segnata dalla vittoria di un clamoroso scudetto da parte della squadra monferrina, negli stessi giorni in cui l’Europa sprofondava nel baratro di una guerra mondiale come conseguenza dell’attentato di Sarajevo. In quei giorni però a Casale si parlava soprattutto dell’impresa dei ragazzi di Jaffe, vittoriosi nella doppia finale contro la Lazio. E “ragazzi” non è un termine improprio, visto che l’ossatura dell’undici titolare era formata dagli studenti del Leardi in cui questo austero prof infiammatosi d’improvviso per l’arte pedatoria insegnava. Anche Jaffe, come Sacerdoti, si convertirà in seguito al cristianesimo. Ma i provvedimenti antisemiti del ’38 raggiungeranno anche lui, costringendolo alle dimissioni da preside dell’istituto Lanza. Arriveranno poi giorni ancora più duri: l’arresto per mano fascista, il trasferimento a Fossoli, la deportazione ad Auschwitz-Birkenau (da dove, ormai 67enne, non farà ritorno). La Fondazione Cdec di Milano conserva un suo epistolario. Decine sono le lettere alla moglie, cui in prossimità del trasferimento in lager chiederà: “Voglio che tu sia sempre la donna forte che ho conosciuto, che ho ammirato adorandola e che è stata per lunghi anni il faro luminoso della mia esistenza. Spera come spero io, e prega il cielo perché un giorno si possa ancora essere riuniti nella nostra casetta, angelo mio. Tu devi essere coraggiosa, anche al di là dei limiti delle tue forze”.
  Poco nota è la storia di Enrico Bassani, il padre di Giorgio, che fu presidente della Spal dal 1921 al 1924. Sotto la sua guida il sodalizio estense raggiunse il punto più alto della sua storia, la semifinale nel torneo 1921-22. In origine anche Bassani senior fu attratto dal fascismo, salvo poi discostarsene nettamente dopo il delitto Matteotti. L’ultimo anno, e forse non è un caso, della sua presidenza. Periodo di cui non sopravvivrà nessun cimelio, nella casa di famiglia spogliata di quasi ogni traccia antecedente la persecuzione. Solo un angelo di gesso (L’anzulon) accoglierà il ritorno dei Bassani nella loro proprietà.
  Molti altri ancora sono i segni ebraici nel calcio italiano degli albori. Nel solo Veneto, una delle regioni più ricche di storie, da menzionare è il contributo del preside del Regio Istituto Tecnico Giuseppe Orefice che fu tra quanti, nel 1902, diedero vita al Vicenza calcio. Un posto nella leggenda spetta senz’altro anche al barone Giorgio Treves De’ Bonfili, fondatore nel 1910 del Padova. E a Davide Fano, fondatore del Venezia, che nacque nel contesto della Trattoria Corte dell’Orso. Treves De’ Bonfili era quel che si suol dire un eclettico: primo presidente, primo allenatore e persino, all’occorrenza, anche calciatore.
  Un po’ più a Nord, nel primo dopoguerra, l’ebreo Leo Brunner affiderà la guida della Triestina a un giovane allenatore cresciuto nel rione di San Giacomo. Sarà l’artefice di un’impresa, la prima di tante, portando la squadra della città giuliana al secondo posto della graduatoria (seconda solo al Grande Torino). Il suo nome era Nereo Rocco, il “Paron”. Una carriera formidabile che prenderà il via proprio nel segno di quell’intuizione.

(moked, 5 maggio 2023)

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Allarme del ministro israeliano della Difesa: “L’Iran ha uranio per fabbricare cinque bombe nucleari”

"Il progresso iraniano e l'arricchimento al 90 per cento potrebbero provocare ulteriore tensione nella regione

L’Iran ha arricchito abbastanza uranio per creare cinque bombe nucleari. Lo ha detto il ministro della Difesa di Israele, Yoav Gallant, ad Atene all’omologo greco, Nikolaos Panagiotopoulos. “L’Iran non sarà soddisfatto da una sola bomba nucleare. Finora, l’Iran ha ottenuto materiale arricchito al 20 per cento e al 60 per cento per cinque bombe nucleari”, ha detto Gallant, aggiungendo: “Il progresso iraniano e l’arricchimento al 90 per cento sarebbero un grave errore da parte dell’Iran e potrebbero provocare ulteriore tensione nella regione”.Gallant ha ribadito che Israele non permetterà all’Iran di continuare i suoi tentativi di costruire una roccaforte in Siria.

(Agenzia Nova, 4 maggio 2023)

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La crisi dell’high-tech israeliano si aggrava con centinaia di licenziamenti in un solo giorno

“C’è una profonda crisi nell’high-tech israeliano, in parte dovuta alla crisi globale, ma in parte a ciò che sta accadendo nel Paese”, ha dichiarato Boaz Dinte, Managing General Partner del fondo VC Qumra Capital.

L’industria high-tech israeliana ha vissuto un'altra giornata difficile. Corning ha annunciato la chiusura del suo centro di sviluppo in Israele e il licenziamento di decine di dipendenti, l’azienda medtech israeliana Healthy.io, fondata dall’imprenditore Yonatan Adiri, ha licenziato circa 70 dipendenti, che rappresentano un terzo della sua forza lavoro, e il gigante dei giochi Unity, che ha acquisito IronSource nel 2021 per circa $4,4 miliardi di dollari, ha annunciato una terza tornata di licenziamenti, che comprende decine di dipendenti dell’azienda in Israele.
  Sebbene il ridimensionamento delle aziende faccia parte di un fenomeno mondiale, in Israele si aggiunge l’incertezza dovuta al potenziale colpo sulla riforma della giustizia che il governo sta cercando di legiferare. All’inizio di questa settimana, l’Israel Innovation Authority ha inviato un severo documento di posizione al Ministro della Scienza e dell’Innovazione, Ofir Akunis, in cui avverte che l’incertezza politica in Israele potrebbe causare gravi danni all’industria high-tech locale.
  Boaz Dinte, Managing General Partner del fondo di venture capital Qumra Capital, ha parlato relativamente agli ultimi licenziamenti e del contesto imprenditoriale. “Parlo con gli investitori negli Stati Uniti e parlano di una tendenza al risveglio”, ha detto. “Tutta la Silicon Valley è occupata in questi giorni da investimenti in aziende legate al mondo della ChatGPT e all’intero spazio che la circonda. In Israele c’è una stagnazione totale. C’è una profonda crisi nell’high-tech israeliano, in parte dovuta alla crisi globale, ma in parte a ciò che sta accadendo nel Paese”.
  La tendenza più preoccupante nel contesto dell’industria tecnologica locale è la chiusura dei centri di sviluppo. La chiusura del centro di Corning è la terza nelle ultime settimane. È stata preceduta dalla chiusura del centro di sviluppo del gigante dei giochi EA, che ha licenziato decine di dipendenti, e della società di archiviazione cloud Dropbox, che ha anch’essa licenziato decine di dipendenti. Inoltre, Amazon ha recentemente licenziato decine di dipendenti in Israele in seguito alla chiusura del progetto “Halo”, e anche Meta ha licenziato circa 100 dipendenti in Israele.
  La chiusura dei centri di ricerca e sviluppo fa parte di un fenomeno molto diffuso in tempi di crisi, poiché non sono significativi per le società madri. Nei tre casi – di EA, Dropbox e Corning – i tre centri impiegavano al massimo centinaia di dipendenti e non facevano parte delle loro attività principali. Il centro di sviluppo di Corning è uno dei più grandi e antichi in Israele ed è stato creato sulla base dell’azienda MobileAccess, che Corning Global ha acquistato nel 2011 per circa 180 milioni di dollari. Nell’ultimo anno l’azienda ha subito diversi licenziamenti, l’ultimo dei quali ha riguardato circa 100 lavoratori.
  Ora l’azienda, che ha una capitalizzazione di mercato di circa 26 miliardi di dollari, ha deciso di chiudere completamente il centro e di licenziare tutti i dipendenti.
  Oltre alla chiusura dei centri di sviluppo dei giganti internazionali, diverse aziende israeliane hanno segnalato licenziamenti significativi: Rapid, fondata dall’imprenditore Iddo Gino, ha licenziato metà dei suoi dipendenti la scorsa settimana, poco dopo aver annunciato la partenza di Gino, che sarà sostituito dal direttore finanziario. Anche l’azienda medtech israeliana Healthy.io, fondata dall’imprenditore Jonathan Adiri, ha annunciato il licenziamento di circa 70 dipendenti, che rappresentano un terzo dei suoi dipendenti, insieme all’annuncio del completamento di un round di raccolta fondi di 50 milioni di dollari.
  I licenziamenti fanno parte di un piano di lavoro volto a rendere l’azienda redditizia, condizione necessaria per il completamento del round di finanziamento. La difficoltà dell’azienda a raccogliere fondi riflette le sfide che devono affrontare molti imprenditori che cercano di raccogliere nuovi capitali, soprattutto nelle fasi di crescita. Itay Rand, partner del fondo di venture capital 10D, ha dichiarato: “Vediamo la paralisi ovunque. Nell’ultimo trimestre abbiamo avvertito la paralisi anche nei primi round. Ci rendiamo conto di quanto sia difficile ora raccogliere fondi come è stato fatto negli ultimi round. In molte aziende di questo tipo c’è stagnazione. La FOMO del mercato è passata e non c’è concorrenza per le operazioni”.
  Yonatan Sela, partner del fondo di venture capital Square Peg, non è dello stesso avviso. “Oggi ho firmato un nuovo accordo e un altro accordo di follow-up. Il ritmo è molto più lento per i fondi e per le aziende. Dal punto di vista delle aziende, ciò che è cambiato è la velocità dei round e il valore delle aziende. Il problema principale è nelle aziende nei round avanzati, a partire dalla Serie B, dove il mismatch con il 2021 è più acuto e dove ci sono molte aziende che, anche se hanno raggiunto gli obiettivi ambiziosi che si erano prefissate, non riescono a giustificare il valore, il che causa il rinvio della raccolta fondi o la ricerca di soluzioni creative per evitare una rivalutazione dell’azienda”.
  Dinte di Qumra sottolinea un altro problema che gli amministratori delegati delle aziende devono affrontare: “Hanno un altro compito in testa: il coinvolgimento nella protesta contro la riforma. Questo consuma energia. Inoltre, molte nuove società sono registrate all’estero, il che è un duro colpo”. Secondo l’avvocato Atir Jaffe, dello studio legale Pearl Cohen, oggi le aziende devono concentrarsi sulle vendite e sulla redditività e non cercare di massimizzare il valore dell’azienda: “Gli imprenditori che possono rimandare le assunzioni lo faranno”, ha osservato.

(Israele360°, 4 maggio 2023)

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Israele: svelato il sottomarino autonomo BlueWhale

La società statale israeliana Israel Aerospace Industries fa sapere che il sottomarino senza pilota ha già condotto migliaia di ore di operazioni sommerse e autonome

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La società statale israeliana Israel Aerospace Industries (Iai) ha annunciato oggi di aver sviluppato un nuovo grande veicolo subacqueo autonomo, un drone sottomarino soprannominato BlueWhale (Balena blu). Secondo Iai, il sottomarino senza pilota ha già condotto migliaia di ore di operazioni sommerse e autonome. L’azienda afferma che BlueWhale utilizza sistemi radar ed elettro-ottici per rilevare obiettivi marini e costieri. È inoltre dotato di capacità sonar per rilevare sottomarini con e senza equipaggio, nonché mappare le mine navali. Il sottomarino autonomo può svolgere una parte significativa delle operazioni di un sottomarino con equipaggio, per periodi di diverse settimane, a costi e manutenzione minimi, senza la necessità di operatori a bordo.
  Come i sottomarini con equipaggio, BlueWhale effettua la raccolta di informazioni segrete sopra la superficie del mare, può rilevare sottomarini, bersagli sottomarini e raccogliere informazioni acustiche, nonché cercare e rilevare mine navali sul fondo del mare. BlueWhale è dotato di un albero telescopico, come il periscopio di un sottomarino con equipaggio, alto diversi metri, su cui sono montati radar e sistemi elettro-ottici per il rilevamento di bersagli marini e costieri. Utilizzando un’antenna di comunicazione satellitare sull’albero, i dati raccolti possono essere trasferiti in tempo reale ai posti di comando, in qualsiasi parte del mondo, in mare o a terra. BlueWhale ha dei sensori per garantire il suo transito sicuro sott’acqua o vicino alla superficie.

(Agenzia Nova, 5 maggio 2023)

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Israele apre una nuova ambasciata in Turkmenistan. E inizia un avvicinamento con il Niger

di David Fiorentini

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Il treno degli Accordi di Abramo non si ferma più e aggiunge un nuovo vagone al convoglio. Seguendo il vento della distensione tra molti paesi a maggioranza islamica con Israele, il Ministro degli Affari Esteri israeliano Eli Cohen si è recato in visita in Turkmenistan per aprire la nuova ambasciata israeliana (a sinistra nella foto con il Ministero degli Esteri del Turkmenistan Berrdiniaz Matiev. Credits: Shlomi Amsalem/GPO).
  Situato in Asia Centrale, il paese ha una rilevanza particolarmente strategica vista la sua vicinanza con l’Iran. La nuova ambasciata infatti è situata a soli 16 chilometri dal confine iraniano e rimpiazzerà l’ambasciata temporanea aperta circa dieci anni fa.
  Nel corso degli anni, alti funzionari di Israele e Turkmenistan hanno scambiato varie visite istituzionali, firmando accordi di cooperazione principalmente nei settori del commercio e dell’energia, ma di recente anche in materia di salute e difesa informatica. Inoltre, Ishmael Khaldi, il primo ambasciatore beduino di Israele, ha già assunto il suo incarico nella capitale turkmena Ashgabat alcune settimane fa.

• GLI USA CERCANO DI AVVICINARE IL NIGER A ISRAELE
  Nel frattempo, da una parte all’altra del mondo, si registrano segnali molto promettenti anche in Niger, dove da poco il Segretario di Stato Anthony Blinken ha completato una visita ufficiale.
  Durante la sua permanenza l’alto funzionario americano ha parlato con il presidente Mohamed Bazoum invitandolo caldamente a prendere parte agli Accordi di Abramo, per un futuro di prosperità e avanzamento per il proprio paese.
  Successivamente, Blinken ha aggiornato Cohen sugli sviluppi di tale trattativa, in una teleconferenza a cui si è unito l’alto diplomatico nigerino Hassoumi Massaoudou. In tale sede, in ottica di una distensione delle relazioni bilaterali, Cohen ha suggerito di invitare il Niger al prossimo Negev Forum, di cui fanno parte Stati Uniti, Israele, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco ed Egitto.
  Israele ha mantenuto relazioni diplomatiche non ufficiali con il Niger fin dagli anni ’60, ma sono state interrotte nel 1973 a seguito della Guerra dello Yom Kippur. I due paesi hanno rinnovato le relazioni di base solamente nel 1996, dopo la firma degli Accordi di Oslo tra Israele e l’OLP. Un disgelo durato però solo pochi anni, fino a quando il Niger ha nuovamente interrotto le comunicazioni ufficiali nel 2002, durante l’ondata di terrorismo palestinese passata alla Storia come Seconda Intifada.
  Tuttavia, il miglioramento dei legami diplomatici con l’Africa è diventato un punto focale della recente amministrazione del primo ministro Beniamin Netanyahu, avviando un vasto iter che finalmente sembra iniziare a dare i suoi frutti.
  Israele si sta inoltre impegnando per normalizzare i legami con Mauritania e Somalia.

(Bet Magazine Mosaico, 4 maggio 2023)

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Il Ministro Bernini e il Ministro israeliano Akunis alla Farnesina

Internazionalizzazione dei Centri di Ricerca Pnrr e collaborazione scientifica al centro dell’incontro

Il Ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, e il Ministro israeliano dell’Innovazione, Scienza e Tecnologia, Ofir Akunis, si sono incontrati oggi alla Farnesina. Il bilaterale si è concentrato sui temi della ricerca e, in particolare, sui cinque Centri Nazionali di Ricerca italiani creati grazie alle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, sull’ulteriore attuazione dell’Accordo di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica tra Italia e Israele, sulla partecipazione di Israele ad Horizon Europe, sulla cooperazione nel settore idrico e dell’agri-tech e sulla candidatura italiana ad ospitare Einstein Telescope.
  Al termine del bilaterale i Ministri hanno incontrato i responsabili dei cinque Centri Nazionali di Ricerca. Hanno partecipato all’incontro il Direttore del Centro Nazionale per la Mobilità Sostenibile, Ing. Gianmarco Montanari, l’Amministratore unico del Centro Sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a RNA, Prof. Rosario Rizzuto, il Presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e della Fondazione ICSC Centro Nazionale di Ricerca in High Performance Computing, Big Data and Quantum Computing, Prof. Antonio Zoccoli, il Rettore dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e Presidente della Fondazione Agritech, Prof. Matteo Lorito, il Presidente del CNR e rappresentante del Centro Nazionale delle Ricerche e del National Biodiversity Future Centre, Prof. Maria Chiara Carrozza, ed il Presidente della Conferenza dei Rettori Italiani (Crui), Prof. Salvatore Cuzzocrea.
  Al Ministro Akunis sono state illustrate le caratteristiche, i progetti, le partnership e le potenzialità di ogni Centro, che a sua volta raccoglie Università, Enti e organismi pubblici e privati di ricerca e imprese. “L’incontro di oggi è stata un’occasione importantissima per la ricerca italiana. I cinque Centri Nazionali creati grazie al PNRR hanno tutte le carte in regola per rendere più competitivo e avanzato il sistema scientifico nazionale. Il nostro obiettivo è quello di farli crescere, anche nei rapporti con l’estero, e renderli sostenibili anche dopo il 2026. E sono certa che il processo di internazionalizzazione dei Centri Nazionali sarà fondamentale per il consolidamento delle relazioni scientifiche tra Italia e Israele”, dichiara il Ministro Bernini.
  I due Ministri hanno condiviso, quindi, l’obiettivo di stringere una forte cooperazione per sviluppare sinergie nell’ambito della ricerca scientifica e dell’innovazione, connettendo i cinque Centri italiani con Università e Centri di ricerca israeliani, non tralasciando le numerose ulteriori iniziative che stanno arricchendo sempre di più il panorama scientifico ed accademico italiano. Anche grazie alla collaborazione di partner come Israele, l’Italia lavora per dar vita ad un network di relazioni internazionali avanzate in cui la sostenibilità delle iniziative finanziate tramite le risorse del PNRR svolgerà un ruolo chiave ben oltre il 2026.
  “Israele e Italia, due grandi Paesi ricchi di storia e cultura, insieme avranno un futuro luminoso”, ha dichiarato il Ministro Akunis. “Le relazioni bilaterali, risalenti alla nascita di Israele 75 anni fa e da sempre eccellenti, sono ora più forti che mai. Non è un caso che l’Italia sia tra i primi Paesi che ho scelto di visitare dalla mia nomina a Ministro: considero la cooperazione bilaterale su scienza e innovazione estremamente importante e sono qui per approfondirla e ampliarla. In particolare, dobbiamo collaborare su progetti congiunti di ricerca nei settori watertech, agritech, bluetech, energia, big data, quantum computing, AI e spazio. Ed essendo Israele e Italia accomunati da condizioni ambientali simili, la nostra cooperazione deve mirare a rispondere alle sfide climatiche comuni”. Il Ministro Akunis ha invitato il Ministro Bernini a visitare Israele per far progredire la collaborazione tra i Ministeri, anche in vista del summit intergovernativo (G2G) che si terrà in Israele entro la fine dell’anno.  
  Infine, in merito alla questione delle infrastrutture, il Ministro Bernini ha aggiornato il Ministro Akunis sulla candidatura italiana a ospitare l’Einstein Telescope, per realizzare in Sardegna il più grande rilevatore di onde gravitazionali al mondo. Il progetto – la cui candidatura è supportata dal premio Nobel e premio Wolf per la fisica Giorgio Parisi – ha un potenziale straordinario per i settori della meccanica di precisione, metallurgia, sensoristica sismica e dell’intelligenza artificiale.

(Oggi Scuola, 4 maggio 2023)

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Uccisi i terroristi di Hamas che avevano sterminato una famiglia ebrea

Due palestinesi accusati di aver ucciso Lucy Dee e le sue figlie Maia e Rina in un attacco con armi da fuoco nella Valle del Giordano avvenuto il mese scorso sono stati uccisi dalle truppe israeliane giovedì mattina nella città cisgiordana di Nablus insieme a un terzo uomo armato, anch’esso palestinese.
  In una dichiarazione congiunta, l’agenzia di sicurezza Shin Bet, la Polizia e le Forze di Difesa Israeliane hanno affermato che le truppe sono entrate nella Città Vecchia di Nablus per arrestare Hassan Katnani e Ma’ad Masri, i terroristi di Hamas che avrebbero compiuto l’attacco mortale del 7 aprile.
  I membri dell’unità antiterrorismo d’élite Yamam della polizia hanno circondato la casa dove si pensava si nascondessero i due terroristi. Secondo i media palestinesi, le forze hanno sparato un missile a spalla, in una tattica nota come “pentola a pressione”, per stanare i sospetti ricercati. Alcuni resoconti hanno anche affermato che un drone in miniatura ha volato contro l’edificio.
  Secondo il comunicato intorno alla casa si sono verificati scontri armati e i due terroristi sono stati uccisi insieme a un altro uomo armato, Ibrahim Hura, che li aveva aiutati a nascondersi, ha dichiarato il comunicato.
  Le forze israeliane hanno anche sequestrato tre fucili d’assalto dall’interno della casa, ha aggiunto la dichiarazione.
  I media palestinesi hanno pubblicato un filmato di quelli che, secondo loro, erano tre corpi recuperati dalla casa. Il Ministero della Sanità dell’Autorità Palestinese ha confermato che tre uomini sono stati uccisi negli scontri.
  I tre membri della famiglia Dee avevano la doppia cittadinanza israelo-britannica e vivevano nell’insediamento cisgiordano di Efrat, a sud di Gerusalemme, dopo essersi trasferiti in Israele circa otto anni fa.
  Gli uomini armati palestinesi hanno aperto il fuoco contro l’auto delle vittime vicino all’insediamento di Hamra, nella Valle del Giordano settentrionale, mentre si stavano dirigendo a nord per un viaggio a Tiberiade il 7 aprile. Il veicolo si è schiantato sulla carreggiata dell’autostrada e i terroristi hanno sparato di nuovo contro l’auto a distanza ravvicinata. Le figlie, Maia di 20 anni e Rina di 15 anni, sono state dichiarate morte sul posto, mentre Lucy, 48 anni, è stata portata in ospedale in condizioni critiche ma è morta tre giorni dopo.

(Rights Reporter, 4 maggio 2023)


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Netanyahu, 'regolati i conti con gli assassini' della famiglia Dee

Premier, 'chi ci attacca paga un prezzo'

TEL AVIV - "Questa mattina abbiamo regolato i conti con gli assassini di Lucy, Maya e Rina Dee".
Lo ha detto il premier Benyamin Netanyahu aggiungendo: "il nostro messaggio a coloro che ci danneggiano, e a coloro che vogliono farci del male, è che ci voglia un giorno, una settimana o un mese, potete essere certi che regoleremo i conti con voi.
Non importa dove cerchi di nasconderti: ti troveremo. Chi ci attacca - ha concluso ringraziando le forze di sicurezza per la loro operazione a Nablus - ne pagherà il prezzo".

(ANSA, 4 maggio 2023)


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Le figlie di Lucy Dee ascoltano il battito della madre dalla paziente che ha ricevuto il suo cuore

di Luca Spizzichino

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Martedì scorso, in un momento estremamente toccante, Keren e Tali, figlie di Lucy Dee, hanno sentito il battito del cuore della madre nel petto di Lital Valenci, che da cinque anni soffriva di una grave insufficienza cardiaca.
  La famiglia di Lucy, la donna assassinata il mese scorso insieme a due delle sue figlie dal terrorismo palestinese, ha incontrato anche altri due pazienti che sono stati salvati grazie agli organi della signora Dee, che sono stati trapiantati prima della sepoltura.
  "Ero così commossa quando ho saputo da chi stavo ricevendo il cuore. Avevo letto di Lucy Dee e di che donna incredibile fosse” ha detto alla stampa Lital Valenci, madre di due figli.
  Anche Keren e Tali Dee hanno parlato di questa esperienza. "È stato commovente incontrare Lital e le altre persone. Abbiamo perso tanto, ma siamo confortati dal fatto che tante famiglie siano state salvate da un dolore simile", ha affermato. "Nessuno può capire com'è perdere una madre e due sorelle contemporaneamente, tuttavia sentire il battito del cuore di mia madre è stato confortante", ha aggiunto Tali.
  “Erano tutti commossi quando Keren e Tali hanno sentito il battito del cuore della loro madre”, ha ammesso il Prof. Dan Aravot, che ha eseguito il trapianto di cuore e ha supervisionato la guarigione di Valenci. “Parliamo spesso del recupero fisico dopo un trapianto, ma c'è sempre una componente emotiva che ne deriva. È stato molto importante per Lital incontrare la famiglia, condividere con loro le sue condoglianze e quanto sia grata di avere il dono della vita e vedere i suoi figli crescere grazie a Lucy Dee”.
  La famiglia anglo-israeliana ha incontrato anche Mordechi Elkabetz, 51 anni, che ha ricevuto uno dei reni di Lucy e Daniel Geresh, 25 anni, che ha ricevuto il suo fegato. Elkabetz aspettava da sette anni un trapianto di rene. Il quarto paziente, Ahmed Suliman, 38 anni, che ha ricevuto il secondo rene, non ha potuto partecipare alla riunione, ma ha comunque inviato una targa con versetti della Bibbia come tributo a Lucy Dee.

(Shalom, 4 maggio 2023)

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Europa e Israele: un rapporto complesso che rifugge da schematismi

di Giorgio Gomel

L’ articolo “Israele -Palestina: il cambio di paradigma che l’Unione europea continua a ignorare” condanna atti e atteggiamenti dell’Unione europea che giudica anacronistici rispetto al sostegno della soluzione “a due stati” del conflitto israelo-palestinese. Al di là delle disfunzioni e debolezze oggettive costitutive della politica estera della Ue e finora irrisolte – regola dell’unanimità, meccanismi complessi che inibiscono il passare dalla sfera delle dichiarazioni a quella dell’azione operativa, ecc. – trovo il ragionamento sotteso errato, tutto fondato su asserzioni apodittiche circa la natura “coloniale” di Israele o il suo nascere da un colonialismo d’insediamento.
  Molto vasta è la dottrina che informa tale tesi, ma la inficia il fatto che diversamente da altri casi del genere – Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda, il sionismo e la nascita 75 anni fa dello stato di Israele in quella terra – Eretz Israel o Palestina – non è il prodotto di coloni europei che lasciano le terre di origine esportando con sé nelle nuove cultura, lingua, interessi, protesi al sostituire o “convertire” gli indigeni, bensì di ebrei che fuggono dall’Europa con la sua storia infame di esclusioni e persecuzioni antisemite e rigettano quella Europa, la sua cultura, la sua lingua, il suo razzismo.

• Sionismo e identità nazionale palestinese
  Il conflitto che attanaglia i due popoli da oltre cent’anni contrappone due movimenti nazionali che rivendicano un diritto di autodeterminazione su uno stesso lembo di terra. Un embrione di identità nazionale palestinese si formò proprio negli anni Venti del secolo scorso poco dopo gli inizi dell’immigrazione ebraica. I due popoli sono accumunati anche dalle ironie della demografia: circa 7 milioni di ebrei e un analogo numero di arabo-palestinesi abitano il territorio compreso fra il mare Mediterraneo e il fiume Giordano.
  Il sionismo è stato il movimento di liberazione nazionale del popolo ebraico: gli ebrei si affermarono soprattutto nell’Est europeo come gruppo etnico, non più come comunità religiosa, anelante a fuggire dall’antisemitismo e a diventare una nazione “normale” dopo secoli di esilio e persecuzioni; ma quella terra era abitata da altre genti – arabi – , sudditi dell’impero ottomano e poi britannico, che col tempo e anche in virtù del confronto duro con il nazionalismo ebraico acquisirono una coscienza di nazione come palestinesi.
  Ai palestinesi il sionismo apparve come un movimento di stranieri colonizzatori cui bisognava resistere. Ancora oggi per la loro psicologia collettiva che ha vissuto l’insediamento degli ebrei in Palestina come un’ingiustizia è difficile accettare le conseguenze di questi eventi, cioè l’esistenza legittima dello Stato d’Israele. A molti di loro gli ebrei appaiono ancora come una realtà transeunte nella “umma” musulmana , o una comunità religiosa, non un popolo, cui riconoscere il diritto a un proprio stato. Tardivamente, almeno nelle istanze ufficiali, lo riconobbero, con gli accordi di Oslo del 1993.

• Un accordo difficile
  Certamente un’occupazione di 56 anni non è più un fatto temporaneo; non è più un elemento di trattativa, come negli anni successivi alla guerra del 1967 e fino agli accordi di Oslo del 1993, per uno scambio fra territori e pace. Sotto la pressione del movimento dei coloni e dei partiti di destra che lo sostengono l’espansione degli insediamenti, la confisca di terreni anche di soggetti privati palestinesi, rendono un futuro di due stati indipendenti e in rapporti di buon vicinato più difficile e la realtà emergente nei fatti di uno stato unico con diritti diseguali più vicina. Eppure la soluzione “a due stati” resta l’unica possibile, forse con correttivi di tipo confederale – su cui vi sono proposte solide in ambito sia accademico che politico -; detta soluzione esige la spartizione concordata di quella terra contesa.
  L’accordo dovrà riguardare lo “status finale” e comprendere: i confini fra i due stati, lo status di Gerusalemme, capitale fisicamente unita ma amministrativamente divisa dei due stati, il ritiro di 100-130 mila coloni dei 450 mila che abitano in Cisgiordania escludendo quindi quelli i cui insediamenti saranno oggetto di scambio di territori con lo stato di Palestina, il ritorno di una parte dei rifugiati palestinesi nel loro futuro stato tranne un numero limitato già negoziato nel 2000 a Camp David e Taba che potrebbe trasferirsi nello stato di Israele.
  La forza egemonica dei partiti di destra e lo spostamento profondo avvenuto nella società israeliana verso posizioni etno-nazionaliste sono anche una conseguenza nefasta della strada nichilista imboccata anni fa dai palestinesi: l’esplodere della violenza terroristica contro civili israeliani negli anni 2001-05; l’inutile guerra di guerriglia mossa da Hamas dalla striscia di Gaza, il rigetto da parte di Abu Mazen delle offerte positive del governo Olmert nei negoziati del 2008 che dischiuse la porta alla premiership di Netanyahu e da allora ai governi del Likud con i partiti religiosi con esso alleati.

• Status quo e prospettive
  Lo status quo non è tollerabile, come dimostrano le esplosioni ricorrenti di violenza e le stesse violenze inter-etniche scoppiate nel 2021 fra ebrei ed arabi cittadini di Israele. Soprattutto il ripetersi di una guerra distruttrice con Hamas nella striscia di Gaza, le aggressioni contro civili israeliani all’interno del paese o sulle strade Cisgiordane, la debolezza endemica dell’Autorità palestinese e l’emergere di formazioni palestinesi militarizzate ad essa opposte, dimostrano che il costo della non-pace è enorme e l’illusione che i palestinesi accettino il perdurare di un’occupazione umiliante è pericolosa per lo stesso Israele.
  Nel governo attuale l’ideologia dominante predica l’annessione in parte o toto della Cisgiordania. Non sono solo gli oltre 400 mila coloni negli insediamenti in Cisgiordania a rendere la soluzione “a due Stati” più difficile nei fatti; anche una vasta parte della società preferisce che i palestinesi restino “invisibili” dietro il muro di separazione.
  Secondo inchieste d’opinione appena poco più di un terzo degli israeliani sostiene convinto una soluzione “a due stati”, il 19% opta per uno stato unico, democratico ed egualitario, il 15% propugna l’annessione piena dei territori senza diritti politici per i palestinesi. In questa grande incertezza, la spinta dei governi israeliani è stata quella di mantenere lo status quo, senza un’annessione formale ma espandendo gli insediamenti e i loro residenti. L’impulso fattivo di Stati Uniti ed Ue dovrebbe essere invece quello di spingere la leadership israeliana verso la soluzione “a due stati”, con un programma di incentivi e sanzioni; gli stessi accordi di normalizzazione conclusi con gli Emirati e il Bahrein, oltre a facilitare l’integrazione di Israele nella regione, possono agire sull’opinione pubblica del paese al fine di spingerla in favore di una soluzione negoziata del conflitto.

(Affari Internazionali, 4 maggio 2023)
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Il tentativo di soluzione proposta dall'autore assomiglia agli storici tentativi di soluzione del problema della quadratura del cerchio. Senza ricorre allo "schematismo" indicato dalla Bibbia, il problema di Israele nella sua terra non si risolve. M.C.

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Stramezzi mostra in aula la guida di cura pre-Speranza 

“Il più grande scandalo dell'era moderna"

Tante delle cose che stanno emergendo, dalle chat #AIFA volte a non pubblicare i dati scomodi sui vaccini, alle terapie domiciliari ignorate per oltre due anni, hanno raggiunto gran parte della popolazione, ma meno certi palazzi in cui si decidono i destini di quest'ultima. L'#InternationalCovidSummit è in questo senso forse il primo precedente a #Bruxelles in cui c'è un vero confronto: a lavori iniziati parlano in aula medici e specialisti che all'improvviso si sono visti eretici agli occhi di molti. Due anni dopo, la dimostrazione che non lo sono mai stati c'è stata, ma ora la chiarezza su quanto accaduto in Italia tra il febbraio e il maggio 2020 deve essere fatta e divulgata.
  La conosceva, l'aveva vista forse davanti ai suoi occhi Andrea Stramezzi, quando nel bel mezzo del primo lockdown si era precipitato a salvare il papà di un amico. Supplicò la polizia di lasciarlo passare, "aiutatemi a salvargli la vita". Successe coi metodi di sempre, "o quello sarebbe stato il mio ultimo paziente Covid".
  Poi le offese e le prese in giro. Gli sproloqui e la gogna mediatica a favore di telecamera, che forse la consapevolezza in medici come #Stramezzi, l'hanno affinata.
  Così come certi documenti scomodi, perché dei frammenti di quei maledetti mesi sono rimasti. Ad esempio queste linee guida precedenti alle indicazioni del governo di qualche giorno. Le ha mostrate a Bruxelles Stramezzi stesso:

• E’ una cosa importante, dirimente
  Queste linee guida sono del 27 marzo 2020. Fatte dall'azienda sanitaria locale - quindi dall'ospedale - Papa Giovanni XXIII, il primo colpito in Italia, e quindi forse in Europa.
  Le linee guida pubblicate prevedono azitromicina e idrossiclorochina a casa. Poi, in caso di Covid serio, ricovero, magari cortisone ed enoxaparina. Sapevamo già tutto il 27 marzo 2020. Fino ad allora avevamo avuto solo 600 morti in Italia, degli altri 190mila morti la responsabilità è di chi ha ignorato le terapie precoci domiciliari e il plasma iperimmune del dottor De Donno. Questo sapendo che l'autorizzazione dei vaccini a mRNA sarebbe stata condizionata in emergenza al fatto che non esistessero le cure, altrimenti non avrebbero potuto autorizzarli. 
  Il più grande business della storia Occidentale, la più grande mistificazione che un giorno, presto o tardi, sarà considerato non solo il più grande scandalo dell'era moderna, ma il più grande genocidio del secolo, poiché oltre alle cure negate e la complicità dei media mainstream e delle riviste scientifiche, alcuni potenti hanno sfruttato la paura e causato perdite infinite. Questo pur sapendo che il Covid si cura con terapia domiciliare precoci, semplici e poco costose.
  I vaccini sono quindi inutili, esistendo le cure. I vaccini sono inefficaci. Non prevengono contagio e malattia, visto che tutti i virus a #RNA messaggero mutano continuamente, e lo sappiamo da sempre.
  I vaccini sono dannosi e i moltissimi casi di eventi avversi saranno la sfida della medicina dei prossimi anni. Questo #Parlamento Europeo, che ringrazio per l'invito, non potrà non tenerne conto, o la storia lo condannerà".

(Radio Radio TV, 3 maggio 2023)
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Dunque la diffusione dei "vaccini" a mRNA poteva essere autorizzata solo se non fosse emerso che contro il covid esistevano altre cure. La parola d'ordine data ai medici dunque suonava più o meno così: nessuno si azzardi a curare i malati fuori dai protocolli imposti perché se poi quelli guariscono non si può più dire che i vaccini sono indispensabili. Cosa inaccettabile per le multinazionali farmaceutiche venditrici di vaccini. E per contrastare i dubbi che potevano sorgere nella popolazione, il mezzo usato è classico: la paura. Chi per un motivo, chi per un altro, chi in una posizione, chi in un'altra, tutti, assolutamente tutti dovevano essere impauriti. Così molti sono letteralmente morti di paura, nel senso che è stata la forza di questa paura a impedire che tante morti fisiche e morali potessero avvenire senza destare indignazione. Qualcuno ha detto che si dovrebbe istituire un nuovo processo di Norimberga per consegnare alla giustizia i criminali responsabili. Ma il processo non si farà, perché come nel caso del nazismo i corresponsabili attivi e passivi sono troppi, quindi non si riuscirebbe a trovare sufficienti testimoni di accusa. In particolare, chi per paura del ridicolo o della gogna mediatica non ha osato dire a suo tempo la verità che già appariva chiara, oggi per paura dello stesso ridicolo che gira in senso inverso preferirà rinchiudersi in un indignitoso silenzio e confondersi tra la folla. M.C.

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È tregua tra Israele e terroristi palestinesi dopo ore di violenza

Israele e i gruppi terroristici di Gaza avrebbero concordato un cessate il fuoco mercoledì mattina all’alba, dopo una giornata di violenze scatenate dalla morte di un importante membro della Jihad islamica palestinese durante uno sciopero della fame in una prigione israeliana.
  Le due parti hanno concordato una tregua che è entrata in vigore prima dell’alba, secondo quanto riportato da diverse fonti che hanno citato fonti palestinesi.
  L’accordo è stato mediato da funzionari dell’Egitto, del Qatar e delle Nazioni Unite.
  Una sirena di allarme è suonata vicino alla comunità israeliana mebet magarridionale di Nir Am poco dopo l’inizio del cessate il fuoco. Non sono stati segnalati feriti o danni né è stata confermata l’esistenza di un lancio di razzi.
  Le Forze di Difesa Israeliane hanno dichiarato che, dopo una valutazione della situazione, hanno deciso che gli abitanti delle comunità confinanti con la Striscia possono tornare alle loro abitudini.
  Il Consiglio regionale di Eshkol, che confina con Gaza, ha annunciato che le scuole saranno aperte come di consueto.
  Il cessate il fuoco è stato annunciato circa 24 ore dopo che il Servizio carcerario israeliano ha annunciato la morte di Khader Adnan, del Jihad islamico palestinese, dopo uno sciopero della fame di 86 giorni.
  Adnan era stato arrestato con l’accusa di terrorismo ed era in detenzione in attesa di processo.
  Poco dopo l’annuncio della morte di Adnan, quattro razzi sono stati lanciati da Gaza, senza causare feriti. In risposta, i carri armati dell’IDF hanno colpito un posto di osservazione di Hamas vicino al confine.
  Martedì pomeriggio e sera, i terroristi di Gaza hanno lanciato altre decine di razzi e colpi di mortaio verso Israele. La maggior parte è stata intercettata dal sistema di difesa aerea Iron Dome, è atterrata in aree aperte o è caduta a terra all’interno di Gaza. Cinque hanno però colpito aree urbane nel sud di Israele, secondo la polizia.
  Uno dei razzi ha colpito un cantiere edile nella città di Sderot, ferendo gravemente un cittadino straniero di 25 anni e ferendone leggermente altri due, secondo il servizio di emergenza Magen David Adom.
  I tre, che presentavano ferite da schegge, sono stati portati al Barzilai Medical Center di Ashkelon. In un comunicato successivo, l’ospedale ha dichiarato che le condizioni del ferito grave sono migliorate e che le sue condizioni sono moderate.
  Una telecamera di sicurezza ha registrato un razzo che ha colpito un’area residenziale vicino ad Ashkelon.
  La cosiddetta “Sala operativa congiunta” di varie fazioni terroristiche palestinesi nella Striscia di Gaza si è assunta la responsabilità degli attacchi missilistici.
  In una dichiarazione di martedì pomeriggio, il collettivo, che comprende sia Hamas che la Jihad islamica, ha affermato che gli attacchi sono stati una risposta alla morte di Adnan.
  I gruppi terroristici hanno lanciato almeno 37 razzi contro Israele nel corso della giornata.
  A parte il fuoco dei carri armati nelle prime ore del mattino, l’IDF si è astenuto dal rispondere immediatamente al lancio di razzi.
  Il governo del Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha però subito forti pressioni per una rappresaglia, in gran parte provenienti dall’interno della sua stessa coalizione.
  Il tasso di approvazione del blocco di destra è diminuito da quando è tornato al potere quattro mesi fa, promettendo di ripristinare la sicurezza, solo per essere accolto da una serie prolungata di attacchi terroristici palestinesi mortali e da tensioni sulla sicurezza su altri fronti. Anche la spinta della coalizione a rivedere il sistema giudiziario è stata ampiamente impopolare, secondo i sondaggi, e ha provocato proteste massicce e prolungate in tutto il Paese.
  Martedì sera, l’aviazione israeliana ha iniziato ad effettuare attacchi aerei contro obiettivi terroristici di Hamas in risposta ai razzi.
  In un comunicato, l’IDF ha dichiarato che i jet dell’aviazione hanno preso di mira una serie di siti appartenenti al gruppo terroristico di Hamas.
  Gli obiettivi includevano un campo di addestramento di Hamas; un’altra base che ospitava un sito di produzione di armi, un impianto di produzione di cemento e un sito di addestramento; un sito per i commando navali del gruppo; e un tunnel usato da Hamas nel sud di Gaza.
  “L’attacco infligge un duro colpo alla capacità di Hamas di fortificarsi e armarsi”, ha dichiarato l’IDF.
  I media palestinesi hanno riferito che sono state udite esplosioni nel nord e nel centro di Gaza.
  Sempre secondo alcuni media palestinesi un uomo è stato gravemente ferito in un attacco aereo contro un sito appartenente ad Hamas. Le autorità di Hamas non hanno fornito alcuna conferma immediata.
  Qualche ora dopo, l’IDF ha annunciato un’altra serie di attacchi aerei contro obiettivi simili di Hamas a Gaza.
  Le sirene hanno continuato a suonare nelle comunità israeliane vicino al confine con Gaza fino alle prime ore dell’alba di mercoledì, fino a poco prima dell’annuncio del cessate il fuoco.
  L’IDF ha detto che stava indagando sugli allarmi. Non sono stati confermati lanci di razzi, né sono stati segnalati feriti o danni.

(Rights Reporter, 3 maggio 2023)

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Israele-Gaza, regge la tregua dopo i missili della notte

GERUSALEMME – Dopo una notte di fuoco, pare reggere la tregua raggiunta fra Israele e i gruppi armati palestinesi di Gaza, che ha visto oltre cento razzi lanciati dalla Striscia contro il territorio israeliano. Un’escalation che ha causato diversi feriti, tra cui un muratore straniero che lavorava in un cantiere nella cittadina di Sderot, con Israele che in risposta ha colpito diversi obiettivi militari nell’enclave, causando secondo il Ministero della Sanità di Gaza una vittima.

• LA MORTE DI KHADER ADNAN
  L’impennata nelle tensioni era cominciata ieri mattina, in seguito alla morte di Khader Adnan, il leader della Jihad Islamica deceduto in una prigione israeliana dopo 86 giorni di sciopero della fame. Adnan, 45 anni, originario della cittadina di Arrabeh vicino a Jenin era considerato colui che aveva trasformato lo sciopero della fame dei prigionieri i palestinesi in uno strumento di lotta contro Israele, digiunando nel 2012 per 66 giorni di fila – all’epoca il più lungo sciopero della fame mai registrato da parte di un prigioniero palestinese. Nel corso della sua carriera l’uomo era stato arrestato almeno una decina di volte dalle autorità israeliane, l’ultima a febbraio, accusato di appartenenza a un’organizzazione terrorista, supporto e incitamento al terrorismo.
  Finanziata per la maggior parte dall’Iran, la Jihad Islamica – classificata come organizzazione terrorista anche a Ue e Usa – ha la sua base principale a Gaza, ma registra una presenza forte anche in Cisgiordania. Dopo la morte di Adnan, Jihad e Hamas – che governa Gaza – hanno giurato vendetta, decidendo anche di coordinare le proprie mosse.

• I MISSILI NELLA NOTTE
  Secondo il portavoce dell’esercito Daniel Hagari, durante l’escalation il sistema di difesa aerea Iron Dome ha intercettato 24 dei razzi lanciati contro il territorio israeliano, pari al 90% degli attacchi diretti verso aree popolate, mentre altri 48 colpi sono finite in aree disabitate, 14 all’interno della Striscia, 11 in mare e altri sette sono caduti in luoghi non identificati. "Dobbiamo capire di più sul razzo che ha colpito il cantiere", ha detto Hagari.
  Dal canto suo, l’esercito israeliano ha centrato 16 obiettivi legati ad Hamas e alla Jihad Islamica, inclusi due campi di addestramento, una fabbrica di armi e un tunnel. “Abbiamo colpito tutto ciò che volevamo colpire,” ha sostenuto Hagari.

• IL CESSATE IL FUOCO
  Nel corso della notte, Israele e i gruppi di Gaza hanno poi concordato un cessate il fuoco mediato da Egitto, Qatar e Nazioni Unite, che è entrato in vigore alle quattro ore locali e, con l’eccezione di un ulteriore allarme antiaereo nel sud di Israele per un razzo lanciato verso le cinque e mezza, pare reggere.
  “Congratulazioni al popolo palestinese e alle forze di resistenza che sono state fedeli all'eredità di Khader Adnan”, ha commentato Hamas in una nota. “Le forze di resistenza non esiteranno ad adempiere al loro dovere in tutte le aree, con particolare attenzione a Gaza”.
  Gli analisti concordano che tanto Israele quanto i gruppi armati palestinesi avevano interesse ad assicurarsi che il conflitto si concludesse rapidamente, ma che allo stesso tempo la situazione rimane tesa e pronta a riaccendersi.
  In Israele, la notizia della tregua ha ricevuto aspre critiche all’interno della maggioranza di governo, con il leader del partito di estrema destra Otzma Yehudit (“Potere ebraico”) Itamar Ben Gvir – che ricopre anche il ruolo di Ministro della Sicurezza Nazionale – che ha annunciato che i suoi parlamentari oggi boicotteranno i lavori della Knesset per protestare contro la “debole risposta” contro Gaza. 

(Bet Magazine Mosaico, 3 maggio 2023)

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Israele, il partito del ministro Ben Gvir minaccia Netanyahu

“Risposta debole ai razzi da Gaza, boicottiamo ogni iniziativa alla Knesset”.

Tenere unite tutte le anime del nuovo governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu appariva una sfida tutt’altro che semplice fin dalla sua costituzione. In quattro mesi ci sono state le provocazioni, le dimostrazioni di forza e le dichiarazioni shock dei rappresentanti più estremisti alle quali il premier ha dovuto far fronte, nella maggior parte dei casi rifugiandosi nel silenzio. La morte in carcere di uno dei leader della Jihad Islamica, Khader Adnan, ha però dato il via a uno scontro interno al governo: la risposta di Tel Aviv ai razzi lanciati da Gaza, secondo il partito Otzma Yehudit, guidato dal ministro per la Sicurezza Nazionale, Itamar Ben-Gvir, sarebbe stata “troppo debole”. Così, come riporta il Jerusalem Post, la formazione ha annunciato il boicottaggio di tutte le iniziative governative alla Knesset.
  La reazione del Likud, il principale partito della coalizione guidato proprio da Netanyahu, è stata immediata: i deputati Ofir Katz e David Amsalem hanno detto a Ben-Gvir che la sua condotta è “inaccettabile”, come riporta Walla News. Il timore della formazione è che, mancando l’appoggio dei parlamentari di Otzma Yehudit, alcuni provvedimenti possano saltare: la formazione esprime infatti sei rappresentanti nel Parlamento israeliano e senza di essi la coalizione di governo ha una maggioranza risicata, 58 esponenti contro 56 delle opposizioni.
  A far scattare l’opposizione del partito ultranazionalista è stata la decisione delle Forze di Difesa israeliane (Idf), nella mattinata del 3 marzo, dopo una notte di allarmi e lanci di razzi dalla Striscia, di far riprendere normalmente le attività nelle comunità israeliane al confine con Gaza, comprese le scuole, senza che rimangano in vigore misure speciali di sicurezza. “La risposta lassista dell’Idf rimanda al prossimo round che danneggerà le vite dei nostri figli, dei residenti al confine con Gaza e del Sud che ha riposto in noi la sua fiducia”, ha tuonato il deputato Almog Cohen. Mentre il suo compagno di partito e anche lui membro della Knesset, Yizhak Kroyzer, ha chiesto a Israele di non restituire il corpo di Adnan all’Autorità nazionale palestinese fino a quando Tel Aviv non riceverà in cambio i corpi di Oron Shaul e Hadar Goldin, uccisi durante l’operazione Margine di protezione del 2014.
  Anche il sindaco di Sderot, Alon Davidi, ha criticato la risposta del governo: “La realtà è che il governo israeliano adotta una politica di concessione dell’immunità ai terroristi, una politica permissiva per la quale pagheremo un prezzo quest’estate. Hamas e la Jihad Islamica hanno fatto ciò che volevano, l’hanno fatto la scorsa settimana e continueranno in futuro. Questa è una politica fallimentare. I leader terroristi devono essere eliminati. Sembra che qualcuno abbia firmato un accordo sottobanco secondo cui l’Idf non li ucciderà”.
  Ad aumentare la preoccupazione dell’esecutivo anche il fatto che le proteste si levano non solo dal partito di Ben-Gvir. Un altro rappresentante delle formazioni al governo, Zvi Sukkot di Sionismo religioso, ha manifestato il proprio disappunto su Twitter: “L’equazione con Hamas non è stata ancora cambiata, la debolezza ha portato altra debolezza e quando il terrorismo dal Nord e nella Samaria settentrionale non riceve un duro colpo, quel messaggio arriva in tutti i settori. Eppure, questo è l’unico governo degli ultimi decenni che ha la possibilità di alterare radicalmente questa terribile equazione”.
  Adesso la questione torna di nuovo in mano a Benjamin Netanyahu. Il premier non può permettersi l’ennesima crisi di governo che lo esporrebbe, di nuovo, ai procedimenti giudiziari che lo riguardano. Così dovrà di nuovo trovare una mediazione, se non addirittura cedere di fronte alle pretese dell’ala più estremista del suo governo.

(il Fatto Quotidiano, 3 maggio 2023)

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Musica e vino in Sinagoga

Può il vino raccontare la storia di un popolo attraverso la musica? Beh, certamente l’alcool in molte culture è sempre stato una fonte di ispirazione (anche in senso letterale) delle migliori canzoni e, al contempo, ha caratterizzato la vita degli uomini, spesso interessando il loro rapporto col sacro, visto che il potere inebriante del vino ha la capacità di privare gli spiriti del freno della ragione per portarli in una dimensione più eterea.
  Nasce da queste premesse in “Vino very tanz”, in scena al Complesso Ebraico di Casale Monferrato domenica 7 maggio, alle ore 17.30. Uno spettacolo che è, allo stesso tempo, un concerto di canti e testi legati alla tradizione ebraica, ma arrangiati nello spirito della world music, e un viaggio enologico nella tradizione kasher, con tanto di degustazioni delle migliori etichette in commercio. 
  Rimanendo sulla parte musicale in Vicolo Salomone Olper ci saranno i musicisti del Progetto DAVKA di Maurizio Di Veroli, un gruppo di tradizioni e confessioni diverse, riuniti nella diffusione della cultura ebraica. Capace di eseguire una musica che veicola i valori di una tradizione che si perde nei secoli, ma anche di intrattenere in modo molto vivace, combinando melodie antiche, ritmi moderni e brevi spiegazioni in quelli che chiamiamo “viaggi virtuali nella tradizione” 
  “Ci piace molto la fusion”, dichiarano e, facendo un accostamento con il gusto, si può proprio dire che hanno trovato pane per i loro denti: in ogni parte del mondo la cucina ebraica mischia i prodotti locali con le regole della kasherùt e le proprie tradizioni. Ma c’è un elemento che una buona tavola ebraica non disdegna mai ed è la presenza di bevande alcoliche, soprattutto negli ambienti chassidici. I brindisi tra discorsi sulla Torà e studi mistici sono da sempre incentivati da un bicchiere. Non a caso la tavolata di studio si chiama Fahrbrengen (dall’Yiddish portare lontano). E il vino caratterizza tutta la vita ebraica, sia nei riti che nelle feste. Anche se, proprio per i costumi pagani ad esso legati, è sempre stato considerato una bevanda controversa e vista dai Maestri sia con rispetto che con sospetto. Nasce così l’esigenza di utilizzare solamente i vini kasher (permessi, adeguati) che solo dopo attento controllo e trattamento possono accompagnare l’ebreo nella sua quotidiana esperienza, spirituale e non.
  Il programma del concerto è una raccolta di brani delle varie tradizioni dell’ebraismo, tutte sul tema del vino. Questa deliziosa bevanda diventa così un comun denominatore, capace di narrare la propria indispensabile presenza in ogni aspetto della vita ebraica.
  Ingresso libero – per informazioni 0142 71807 www.casalebraica.org

((Il Monferrato, 3 maggio 2023)

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“Mercanti e stracciaioli nel Ghetto di Venezia”: la Serenissima e gli ebrei in una mostra di tessuti

di Michelle Zarfati

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Dal 2 maggio al 30 agosto in Campo di Ghetto Novo, si ripercorre la storia del più antico ghetto della storia grazie ad una nuova esposizione collocata nello spazio Ikona Gallery. La mostra, voluta dalla Comunità Ebraica di Venezia, è stata realizzata con il Museo Ebraico e con Opera Laboratori. Lo spazio espositivo getta uno sguardo sulla storia e sulla vita del ghetto di Venezia attraverso un viaggio nel tempo a ritroso verso la Repubblica Serenissima del 1516. La mostra è stata curata da Marcella Ansaldi, direttore del Museo Ebraico di Venezia e nasce per celebrare un importante restauro conservativo offerto da Opera Laboratori e realizzato dal Laboratorio di restauro tessile diretto da Carla Molin Pradel. “Con Opera Laboratori abbiamo avviato una collaborazione illuminata e preziosa che, con questa mostra di preziosi tessuti legati alla liturgia ebraica e ora restaurati nei loro laboratori fiorentini, presenta il primo frutto di un percorso culturale che porta a conoscenza del pubblico opere d’arte finora rimaste nascoste nei depositi museali” ha dichiarato Dario Calimani, presidente della Comunità ebraica di Venezia che ha inaugurato la mostra ieri assieme alla direttrice, allo staff di restauratori e a Beppe Costa presidente di Opera Laboratori. “Quando si pensa al Ghetto di Venezia e alla vita quotidiana che si svolge al suo interno, si stenta a immaginare il fervore artistico della città in pieno Rinascimento: Gentile e Giovanni Bellini, Carpaccio, Tiziano, Tintoretto, Veronese, solo per citare dei colossi, ritraggono scene della Torah e talvolta rappresentano gli ebrei, senza mai apparentemente incontrarli o conoscerli – ha aggiunto Marcella Ansaldi - Vittor Carpaccio quando ritrae Venezia e il suo splendore, pare estraneo all’operazione socio-economica, ma soprattutto umana, che la città sta vivendo in quegli anni: la fondazione del Ghetto”.
  Un racconto che si nutre di tutta la bellezza dei manufatti tessili, narrando proprio attraverso gli oggetti la storia del primo Ghetto della storia. Un mestiere, quello dell’artigiano, che affonda le sue radici nel 1400 quando, nel sestiere di Cannaregio, fiorirono attività artigianali, tra queste quella dei Testori da seda, cioè dei tessitori di sete. A metà del Settecento Venezia contava circa 795 tessitori, di cui l’84% vive nel sestiere di Cannaregio. Lo stesso stretto angusto Ghetto era chiuso da ogni lato da botteghe di Testori, i tessitori cristiani. E sebbene agli ebrei non era permesso tessere, molti di quelli artigiani ricevevano ordini dagli ebrei del Ghetto di Venezia. L’esposizione ripercorre le vicende dell’affascinante ghetto veneziano incrociando la ricercatezza dei tessuti preziosi esposti per la prima volta dopo un restauro unico nel suo genere.

(Shalom, 3 maggio 2023)

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I ‘bambini’ di Sciesopoli tornano a Selvino per onorare il luogo dove tornarono alla vita

L’evento del 2015 per i 70 anni di Sciesopoli
Come già accaduto nel 1983 e nel 2015, arriveranno nei prossimi giorni a Selvino alcuni degli ospiti di Sciesopoli (dal 1945 al 1948) e le famiglie dei bambini orfani ebrei scampati alla Shoah, che fra il 5 e il 9 di maggio parteciperanno ad attività ed eventi legati alla colonia in cui fra il 1945 e il 1948 furono ospitati 800 bambini scampati alla Shoah.
  Saranno circa 60 persone provenienti per la maggior parte da Israele ma anche da Gran Bretagna, USA e Canada; tra questi anche 5 persone che allora erano bambini (‘Bambini di Sciesopoli’): Moshe Aran, Zvi Pelts Dotan, Israel Droblas, Michael Weisbach e Nitza Sarner Zeiri.
  Nitza è la figlia di Moshe Zeiri, soldato della Brigata Ebraica che fu il direttore della colonia in quegli anni; all’età di 6 anni, insieme alla madre Yeudith raggiunse il padre e così conobbe molti dei bambini che passarono da quel luogo di rinascita.
  Moshe Aran è un ebreo nato nel 1931 che nel 1945 lasciò la Romania occupata dai russi per emigrare in Eretz Israel ed arrivò a Sciesopoli della quale ricorda soprattutto il corso di falegnameria perché, nei loro mesi di permanenza, tutti dovevano imparare un mestiere; la nave che lo portava in Palestina si arenò ad Haifa e lui rimase per 1 anno nel campo profughi di Cipro prima di raggiungere la Terra Promessa; in Israele è poi diventato pilota d’aereo e proprio nell’Aeronautica Militare ha conosciuto sua moglie. Moshe era una delle circa 80 persone che vennero a visitare Sciesopoli nel 1983.
  Zvi Pelts Dotan proviene da una città nel sudest della Polonia che durante la guerra venne prima occupata dai nazisti e poi dall’Armata Rossa; la sua famiglia venne deportata in Siberia dove visse in un lager fino al 1941 quando venne liberata per raggiungere il Kazakistan dove visse fino al termine della guerra; nel loro viaggio verso Israele passarono da Salisburgo e Milano; poi Zvi, con i fratelli Dov, Yitzhach e Yossi e la sorella Rivka, arrivò a Sciesopoli che gli apparve come un paradiso; di quel periodo si ricorda soprattutto il fatto di aver imparato a leggere e a scrivere in ebraico. È tornato a Selvino già nel giugno del 2018, insieme a figli e nipoti.
  Anche Israel Droblas proviene dalla Polonia; suo padre venne ucciso dai nazisti e lui, con fratelli e sorelle rimase nascosto presso alcune famiglie di contadini; alla fine della guerra con un gruppo di altri ragazzi attraversò a piedi le Alpi fino ad arrivare a Selvino; del suo soggiorno a Sciesopoli ricorda l’atteggiamento caloroso degli abitanti di Selvino ed il viaggio a Milano per vedere alla Scala “Aida” ed il giorno dopo “Carmen”.
  Michael Weisbach ha dei ricordi molto vaghi di Sciesopoli perché aveva solo 6 anni quando vi giunse; ricorda la neve, di aver mangiato delle arance provenienti dalla Palestina e di una piccola chiesa lì vicina; quando circa 13 anni fa sua figlia Keren lo convinse a tornare a Sciesopoli, ritrovò e riconobbe con grande emozione quella piccola chiesa.
  Il soggiorno in Italia durerà 5 giorni nei quali sono previste varie attività ed eventi: una visita a Bergamo Alta (sabato 6 maggio) per testimoniare il loro affetto verso questa città: nell’aprile del 2020 l’Associazione Children of Selvino (la cui presidente Miriam Bisk, figlia di 2 istruttori a Sciesopoli, sarà presente a Selvino durante l’incontro) ha donato circa 8.000 euro all’Ospedale Papa Giovanni XXIII; un’altra visita (lunedì 8 maggio) al Museo della Stampa di Soncino, dove venne stampata nell’aprile 1488 la prima Bibbia Ebraica completa.
  Gli avvenimenti principali avverranno però nella giornata di domenica 7 maggio: al mattino dapprima la visita al Mu.Me.SE, il Museo Memoriale di Sciesopoli Ebraica, inaugurato nel novembre del 2019 all’interno dell’edificio del Comune; quindi nella Sala Consigliare, il Comune di Selvino consegnerà ai 5 Bambini presenti la Cittadinanza Onoraria che venne conferita a tutti gli ex bambini nel gennaio 2021; al termine della cerimonia verrà presentato in anteprima il libro Aspettami e tornerò – Epistolario di Moshe Zeiri che contiene una parte delle numerose lettere che Moshe e sua moglie Yeudith si scrissero tra il 1943 e il 1946, prima appunto che lei lo raggiungesse a Selvino insieme a Nitza; le lettere sono state tradotte dall’ebraico in italiano da Chiara Camarda che già ne aveva tradotte alcune per il libro di Sergio Luzzato I bambini di Moshe.
Nel pomeriggio appuntamento a Sciesopoli che aprirà i cancelli a questi importanti ospiti che hanno un legame particolare ed unico con questo luogo; ci sarà la Montanara, il Corpo Musicale di Selvino, altri musicisti e i ragazzi dell’Hashomer Hatzair di Milano per festeggiare questo ritorno alla Casa di Sciesopoli.
  Martedì 8 invece alla mattina verranno piantati, nel Parco del Castello, 6 alberi dedicati ai 5 Bambini presenti e ad Anna Sternfeld Pavia, membra italiana dell’Associazione Children of Selvino, recentemente scomparsa e nipote di Mario Pavia, l’ingegnere ebreo di Torino che, insieme al collega Gualtiero Morpurgo, allestiva le navi che partivano dalla Liguria con destinazione la Terra Promessa. Nel pomeriggio, prima del ritorno nei luoghi di provenienza, è prevista invece una visita al Memoriale della Shoah di Milano.
  Da ricordare anche che durante i 5 giorni sarà possibile visitare, nell’atrio del Comune, la mostra “I disegni dei bambini di Terezin”, a cura dell’Associazione Figli della Shoah.

(Bet Magazine Mosaico, 2 maggio 2023)

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I2U2: Israele, India, USA e UAE ampliano le relazioni economiche con un nuovo memorandum

di David Fiorentini

Crescono e si fortificano i ponti tra l’Oriente e l’Occidente, sulla scia degli Accordi di Abramo e di altre fruttuose relazioni bilaterali, Israele, India, USA e Emirati Arabi Uniti approfondiscono i loro legami economici.
  Dopo aver creato il forum I2U2 nell’ottobre del 2021, i quattro paesi hanno intrapreso vari percorsi di cooperazione, in particolare in temi di acqua, energia, trasporti, spazio, salute e sicurezza alimentare. Proprio lo scorso febbraio, i delegati delle quattro nazioni si sono riuniti a Dubai per discutere di sicurezza alimentare, elaborando soluzioni per fronteggiare la crisi dovuta all’invasione russa dell’Ucraina.
  Adesso, il Business Council UAE-India, il Business Council UAE-Israele e il Business Council US-UAE hanno firmato un Memorandum of Understanding per approfondire la collaborazione tecnologica e del settore privato tra le quattro nazioni. I paesi hanno concordato di organizzare una serie di eventi in India, Israele, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti con i principali funzionari governativi per attirare l’attenzione pubblica sull’iniziativa I2U2 e sensibilizzare maggiormente la comunità imprenditoriale sul suo potenziale.
  Il memorandum d’intesa è stato annunciato a Washington nel corso di un evento a cui hanno partecipato il sottosegretario di Stato americano Jose Fernandez, il vice capo missione indiano negli Stati Uniti Sripriya Ranganathan, il vice capo missione israeliano negli Stati Uniti Eliav Benjamin e l’ambasciatore degli Emirati Arabi Uniti Yousef Al Otaiba.
  “Siamo lieti di partecipare a questa iniziativa importante e di vasta portata, che metterà in contatto la business community in modo da promuovere una cooperazione più forte tra i Governi degli Stati Uniti, degli Emirati Arabi Uniti, dell’India e di Israele”, ha dichiarato Dorian Barak, presidente del Business Council UAE-Israele. “Il commercio è la base più solida per un fruttuoso coinvolgimento con I2U2, che sta emergendo come un importante pilastro dell’integrazione economica regionale”.

(Bet Magazine Mosaico, 2 maggio 2023)

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Siria: attacco israeliano all’aeroporto di Aleppo, un morto e sette feriti

Già nella mattinata di sabato, 29 aprile, le Forze di difesa israeliane avevano scagliato missili contro un deposito di munizioni del movimento sciita libanese Hezbollah, all’interno dell’area dell’aeroporto militare di Al Dabah

E’ di un soldato siriano morto e di sette feriti, tra i quali due civili, il bilancio dell’attacco sferrato dalle Forze di difesa israeliane (Idf) attorno alle 22:35 di ieri, in prossimità di Aleppo, nel nord della Siria, che ha messo fuori uso l’aeroporto internazionale della città. Lo ha riferito l’agenzia di stampa siriana “Sana”. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Sohr), organizzazione non governativa con sede a Londra, ma con una fitta rete di contatti sul campo, l’attacco delle Idf ha preso di mira l’aeroporto internazionale e l’aeroporto militare di Aleppo, nel nord della Siria, e contro i laboratori della Difesa situati in prossimità di Al Safira, nelle campagne della città.
  Già nella mattinata di sabato, 29 aprile, le Idf avevano scagliato missili contro un deposito di munizioni del movimento sciita libanese Hezbollah, all’interno dell’area dell’aeroporto militare di Al Dabah, nelle campagne di Homs, nella Siria orientale. Il tentativo di reazione della contraerea siriana aveva quindi provocato l’incendio di una pompa di benzina nelle vicinanze. Quattro combattenti di Hezbollah erano rimasti feriti.

(Nova News, 2 maggio 2023)

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Israele: muore in prigione leader della Jihad Islamica. Razzi da Gaza

Quattro razzi sono stati lanciati da Gaza martedì mattina, mentre Israele si preparava a una potenziale escalation dopo che Khader Adnan – un alto leader del gruppo terroristico palestinese della Jihad islamica – è morto mentre era in custodia israeliana dopo uno sciopero della fame di 86 giorni.
  Le Forze di Difesa Israeliane hanno dichiarato che tre razzi lanciati intorno alle 6:30 hanno fatto scattare le sirene nella zona intorno al Kibbutz Sa’ad e sono atterrati in aree aperte.
  Non sono stati lanciati missili intercettatori Iron Dome e non sono stati segnalati feriti o danni.
  Poco dopo, un colpo di mortaio lanciato dalla Striscia è atterrato vicino alla barriera di sicurezza, ha dichiarato l’IDF. Non sono suonate sirene perché il proiettile era diretto verso un’area non popolata.
  Khader Adnan è stato trovato privo di sensi nella sua cella nella prigione di Nitzan, nella città centrale di Ramle, prima dell’alba di martedì. È stato portato al Centro medico Shamir, fuori Tel Aviv, e sottoposto a tentativi di rianimazione, ma è stato dichiarato morto in ospedale. A riferirlo è stato il servizio carcerario israeliano.
  L’establishment della difesa si sta preparando a una potenziale escalation di violenza sulla scia della morte di Adnan. Ci si aspettava inoltre che l’IDF risponda all’attacco missilistico.
  In una dichiarazione, la Jihad islamica palestinese ha avvertito che “l’occupazione pagherà il prezzo della morte di Adnan” e ha chiesto uno sciopero generale in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.
  “La sua morte sarà una lezione per le generazioni. Non abbandoneremo questa strada finché la Palestina rimarrà sotto occupazione”, ha dichiarato il gruppo terroristico.
  Il gruppo terroristico di Hamas, che controlla la Striscia di Gaza, ha dichiarato che “l’occupazione ha la piena responsabilità della morte di Khader Adnan”.
  Il portavoce di Hamas, Hazem Kassem, ha descritto la morte di Adnan dopo 86 giorni di sciopero della fame come una “esecuzione a sangue freddo da parte dei servizi di sicurezza israeliani” e ha avvertito di un’escalation.
  “Il popolo palestinese non lascerà passare sotto silenzio questo crimine e risponderà di conseguenza. Il percorso della rivoluzione e della resistenza si intensificherà”, ha affermato.
  Kassem ha anche criticato la comunità internazionale, affermando che “sta a guardare e non sostiene i prigionieri palestinesi, incoraggiando così l’occupazione a continuare i suoi crimini”.
  L’Autorità Palestinese ha chiesto un’indagine internazionale sulla morte del prigioniero e ha dichiarato che presenterà una denuncia alla Corte Penale Internazionale.
  Il primo ministro dell’Autorità Palestinese Mohammad Shtayyeh ha definito la morte di Adnan un “assassinio deliberato”.
  Adnan, 45 anni, è stato arrestato a febbraio nella sua città natale di Arrabeh, nel nord della Cisgiordania vicino a Jenin, per sospetta appartenenza a un gruppo terroristico, sostegno a un’organizzazione terroristica e incitamento alla violenza.
  Una fonte della sicurezza israeliana ha dichiarato che Adnan “non era un membro anziano, non era un leader e non stava scontando una condanna a vita”.
  “Ha iniziato uno sciopero della fame e si è rifiutato categoricamente di ricevere cure mediche, mettendo in pericolo la sua vita”, ha aggiunto la fonte.
  Adnan era stato incriminato ed era tenuto in custodia fino alla fine del procedimento legale contro di lui.
  Ha iniziato lo sciopero della fame subito dopo l’arresto, il 5 febbraio, rifiutandosi di sottoporsi a controlli medici o di ricevere cure durante la detenzione.
  Il trattamento e le condizioni dei detenuti per terrorismo, spesso indicati come prigionieri di sicurezza, sono un punto critico del conflitto israelo-palestinese.
  La settimana scorsa, la moglie di Adnan, Randa Mousa, ha dichiarato all’AFP che il prigioniero era detenuto nella clinica del carcere di Nitzan.
  “Rifiuta qualsiasi sostegno, rifiuta le visite mediche. È in una cella con condizioni di detenzione molto difficili”, ha detto. “Si sono rifiutati di trasferirlo in un ospedale civile e di permettere al suo avvocato di visitarlo”.
  Un medico del gruppo Physicians for Human Rights Israel ha visitato Adnan in prigione all’inizio di questa settimana e ha avvertito che “rischiava una morte imminente”, chiedendo che venisse “trasferito con urgenza in un ospedale”.
  Il gruppo ha dichiarato che Adnan “faticava a muoversi e a mantenere una conversazione di base, apparendo pallido, debole, esausto e pericolosamente emaciato”, secondo una dichiarazione rilasciata lunedì.
  L’ultima detenzione di Adnan è stata la sua decima nel sistema carcerario israeliano. I funzionari israeliani hanno dichiarato che è stato detenuto complessivamente 13 volte.
  Adnan è stato a lungo accusato di essere un portavoce della Jihad islamica e negli ultimi anni è stato arrestato più volte e ha scontato diverse pene detentive in relazione alle sue attività per il gruppo.
  Dopo il suo arresto, avvenuto il 5 febbraio, Adnan è stato incriminato per attività a favore della Jihad islamica. Per questo motivo, è stato trattenuto in attesa del processo. L’udienza era stata fissata per il 10 maggio.
  In precedenza, Adnan aveva iniziato quattro volte lo sciopero della fame per la sua detenzione, anche per un arresto avvenuto nel 2018. In quel caso, era stato condannato per essere stato un membro attivo del gruppo terroristico sostenuto dall’Iran, dopo essersi dichiarato colpevole in un patteggiamento.
  Nel 2012 ha iniziato uno sciopero della fame di 66 giorni per protestare contro un periodo di internamento.
  Nel 2015 è rimasto senza cibo per oltre 50 giorni dopo un altro arresto.
  È stato arrestato per sospetta attività terroristica anche nel 2019.
  Il ministro della Sicurezza nazionale di estrema destra Itamar Ben Gvir ha assunto il controllo delle carceri israeliane quando è entrato in carica a dicembre e ha spinto per una gestione più rigorosa dei prigionieri di sicurezza. Il suo ministero supervisiona anche la polizia e la polizia di frontiera.

(Rights Reporter, 2 maggio 2023)

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Israele, Iran, Arabia Saudita e Stati Uniti. Parla Bobo Craxi

di Giuseppe Basilico

- On. Bobo Craxi, verto l’intervista su Israele, Iran, Arabia Saudita e Stati Uniti. Il Governo di Israele approva costituzione Guardia nazionale. Lei da cittadino occidentale che percepisce?
  Percepisco che sia una manovra tutta interna al sistema di sicurezza del paese. Esiste un problema di carattere generale di difesa di Israele ed esso è riservato all’esercito che non a caso colpisce al di fuori dei propri confini. Poi c’è un problema di sicurezza nuovo dettato dall’insorgenza della popolazione araba che ormai mal sopporta il carattere teocratico dello Stato israeliano come abbiamo visto nei recenti scontri alla moschea di Gerusalemme nel mese sacro di Ramadan.

- Le sottolineo un dettaglio nella costituzione Guardia nazionale. Al contempo l’esecutivo ha approvato un finanziamento di circa un miliardo di shekel (circa 250 milioni di euro) per la Guardia, riducendo di 1% il budget di altri ministeri. Potrebbe essere preso come modello per l’attuale governo Meloni?
  L’organizzazione dell’ordine pubblico del nostro paese è affidato al corpo di polizia ed anche a reparti dei carabinieri. Il primo fu smilitarizzato a suo tempo. Il secondo si riferisce al ministero della Difesa ma si coordina con le prefetture sono corpi che non rispondono direttamente al potere politico e, salvo infiltrazioni, hanno dato prove democratiche di tutto rispetto.

- Sappiamo che c’è un profondo e indissolubile legame tra Israele e gli Stati Uniti. E’ fatta di costante cooperazione in sicurezza, intelligence, difesa, economia. Ho la sensazione che ci sono molti disaccordi a livello politico, che riguardano diverse questioni come l’Iran, la questione palestinese e questa volta sulla riforma della giustizia che lascia Joe Biden perplesso?
  Non bisogna immaginare che Stati Uniti ed Israele siano un corpo unico. Tutto l’Occidente democratico ha considerato Israele un paese che nasceva culturalmente nella visione liberale e democratica. Dopodiché ci sono dispute territoriali e le difficili relazioni con i paesi arabi confinanti che Israele tende sempre di più a gestire in una logica nazionale. Il periodo di campagna elettorale é sempre l’occasione per svincolarsi dalle amministrazioni americane impegnate in vicende interne.

- Il primo ministro Benjamin Netanyahu dichiara che Israele è un Paese Sovrano che prende le decisioni per volontà del popolo e non sulla base di pressioni che arrivano dall’estero, incluso i migliori amici. Non le sembra di sentire le stesse parole pronunciate dall’ex Guida suprema dell’Iran l’ayatollah Ruhollah Khomeini nel 1979?
  Mi sembra un’orgogliosa affermazione di indipendenza nazionale. Così sarebbe naturalmente se le vicende di quell’area non generassero un’interdipendenza con altri Stati e su diversi terreni. Quello della Sicurezza ma anche quello dello sfruttamento delle risorse energetiche. Su questo terreno Israele avrebbe dovuto adottare una linea di orientamento più aperta generando una grande area di sviluppo e di pace.

- Yossi Kuperwasser è un esperto di intelligence e sicurezza israeliano. Dichiara che Pechino approfitta di quella sensazione che c’è a Riyad, dove i sauditi credono di non poter fare troppo affidamento sugli Stati Uniti che sono meno impegnati verso la sicurezza regionale. Lei essendo un politologo di lungo corso, si ritrova sulla stessa analisi geopolitica di Yossi Kuperwasser?
  I sauditi cercano di interpretare la nuova fase mondiale che si è aperta. La fine della globalizzazione senza guida politica genera la necessità di aprirsi anche verso coloro che erano considerati nemici.
È una specie di dopo guerra quello che si sta generando nel Golfo e. per ora le potenze dell’area si annusano e cercano innanzitutto di convergere laddove gli interessi sono coincidenti. La mano di protezione occidentale si allenta nel momento del quale sono più fragili sul piano interno anche le nostre democrazie. Riverbero delle diverse crisi economiche.

- L’accordo tra Iran e Arabia Saudita mediato dalla Cina di Xi Jinping ne è una dimostrazione percettibile?
  In assenza di un nuovo ordine le alleanze sono circolari, secondo me è prematuro sostenere che vi sia un cambio di spalla nel sistema delle alleanze dei paesi del Golfo. Esistono convergenze su molti terreni se ci si riferisce alla Cina, quel che è certo che l’influenza americana ne subisce un colpo ma nulla può essere considerato stabile e permanente quando si tratta di politica internazionale. La Cina sembra sostituire tuttavia ad una politica aggressiva come quella sovietica un soft Power che rappresenta il tentativo di qualificare il nuovo polo della divisione mondiale.

- In questo momento la presenza russa in Siria e i rapporti economici tra Pechino e gli attori geopolitici del Golfo Persico riducono l’atteggiamento predominante di Washington?
  Non c’è dubbio che ci troviamo di fronte ad un ridimensionamento della strategia americana che è seguita al 2001. La Cina in fondo sta raccogliendo i frutti di una posizione assai duttile quando gli americani mossero l’arma militare in Iraq. All’epoca i cinesi non ebbero alcun dubbio nel sostenere politicamente le ragioni del colosso americano violato sul suo territorio. In una fase di riorganizzazione dei rapporti con il mondo arabo e assolutamente naturale che un grande player economico che sviluppa nuova tecnologia e produce nuove prospettive economiche si rivolga alle potenze medie di quell’area.

- Dall’altra parte abbiamo Mosca, stretto collaboratore di Tehran, non ha facilitato le trattative con gli occidentali?
  Quella di Mosca è sempre stata una politica che fondava sull’hard Power il proprio baricentro. Finita la suggestione dell’internazionalismo comunista Putin si è limitato a mantenere rapporti di influenza fondati innanzitutto sulla sua potenza militare. Quest’ultima naturalmente sta venendo meno visti i risultati della guerra, tuttavia coi paesi confinanti ha mantenuto ottimi rapporti, c’è una grande presenza musulmana in Russia e questo fa sì che loro interesse sia interno ed esterno.

- Chiudo con l’ultima domanda. L’accordo tra Arabia Saudita e Iran non pone fine alla scontro?
  Non bisogna mai dimenticare che sottostante a quello scontro vi sia una profonda divisione di carattere religioso. L’Arabia Saudita è la sede della Mecca e l’Iran possiamo considerarlo un paese di riferimento per tutto il mondo sciita. Non sono questioni da poco. Il fatto che vi sia un nuovo appeasement (pacificazione) nei rapporti può generare quantomeno il raffreddamento di alcuni conflitti, un canale di comunicazione diretto che può avvantaggiare qualche soluzione. Questo lo vedremo d’altronde come ho detto all’inizio si tratta di nuovi posizionamenti di fronte a nuovi scenari che includono innanzitutto lo sviluppo economico in aree dove prevalente sul piano dello sfruttamento delle risorse è stato interesse occidentale. Questo deve essere il vero fronte di preoccupazione perché sebbene non infinite le fonti petrolifere esse continuano ad essere fondamentali per tutto il pianeta. In questo senso vedo un indebolimento occidentale ma non l’estromissione dell’Europa e dell’America nei rapporti con questi paesi.

(Avanti!, 2 maggio 2023)

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Uno sguardo alla misteriosa comunità ebraica dell'Afghanistan

di Michelle Zarfati

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Tra pochi mesi, con l'inaugurazione del nuovo edificio della Biblioteca Nazionale di Israele, saranno presentati per la prima volta documenti storici appartenenti alla comunità ebraica perduta dell'Afghanistan.
  I rari documenti, che faranno parte della nuova mostra permanente, sono stati acquisiti dalla biblioteca a causa della situazione dell’Afghanistan dopo il primo dominio talebano. "Ciò che distingue questi documenti è che sono arrivati dall'Afghanistan e rappresentano la vita di una comunità ebraica di cui semplicemente non sapevamo nulla” dice il dott. Yoel Finkelman, curatore della collezione Judaica presso la Biblioteca Nazionale di Gerusalemme.
  Nell'anno 586 a.C., il Primo Tempio fu distrutto da Nabucodonosor, il re di Babilonia, e dal suo comandante dell'esercito Nebuzaradan, che conquistò Gerusalemme ed esiliò gli ebrei a est. Durante quel periodo, gli esuli ebrei migrarono dalla Terra di Israele nell'area che ora è l'Afghanistan, un importante centro commerciale lungo la Via della Seta, con alcuni mercanti ebrei che accumulavano grande ricchezza.
  L'età d'oro degli ebrei nella regione si è probabilmente conclusa nel XIII secolo d.C. quando Gengis Khan e i mongoli conquistarono l'area e sistematicamente tutto sulla loro scia, comprese le comunità, le proprietà e persino la documentazione storica. Tuttavia, due archivi sono stati conservati per quasi mille anni vicino alla città di Mian in Afghanistan, uno dei quali apparteneva a un mercante ebreo di successo di nome Abu Nasr ben Daniel.
  "Probabilmente era una specie di patriarca di famiglia", dice il dott. Finkelman. "Ha documentato chi gli doveva dei soldi e chi doveva versare l'affitto che si pensa li ricevesse per le sue proprietà. Ha anche conservato i testi ebraici. La collezione comprende molti documenti, alcuni scritti in antiche lettere persiane e arabe, ma ci sono anche documenti in ebraico e persino in arabo ebraico". Il Dr. Finkelman osserva inoltre che "la collezione acquisita dalla Biblioteca Nazionale di Israele include anche un archivio non ebraico con un carattere amministrativo locale, che conserva ricevute, accordi e registri. Era un ufficio che fungeva da ufficio contabile. Questo ci permette di saperne di più non solo sulla vita ebraica, ma anche sui mestieri e la cultura di quel periodo.
  Gli ebrei erano, ovviamente, una minoranza in quella zona, e la maggior parte dei residenti erano musulmani che parlavano e scrivevano in persiano antico. I documenti consentono però ai ricercatori di conoscere quella cultura antica.
  David Blumberg, della direzione della biblioteca, spiega che a seguito della devastazione causata da Gengis Khan e dal suo esercito nel 1221, non c'è quasi nessuna documentazione della lingua e della cultura persiana e araba nella regione. "La rara e importante collezione è stata acquisita con il sostegno della William Davidson Foundation e del Fondo Haim and Hanna Solomon, e la mostra sottolinea il ruolo della Biblioteca Nazionale di Israele come centro culturale internazionale", ha concluso Blumberg.

(Shalom, 2 maggio 2023)

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Effetti avversi: diamo dignità ai danneggiati da vaccino anti Covid-19

Chi di noi, portato ad assumere un farmaco, può non essere interessato a conoscere gli effetti indesiderati che quel farmaco potrebbe generare?

di Maurizio Federico*

Pochi giorni fa è stata lanciata su Change.org una raccolta di firme finalizzata a spingere gli attuali decisori politici a finanziare un programma nazionale di ricerca per studiare gli effetti non desiderati dei vaccini anti-Covid-19.

• IN ITALIA 50 MILIONI DI VACCINATI
  Per cercare di arginare la diffusione del virus SARS-CoV-2, poco meno di cinquanta milioni di persone solo in Italia sono state inoculate con preparati farmacologici di ultimissima generazione che, per scelta delle autorità sanitarie a livello globale, sono stati anche distribuiti alla popolazione mondiale ma senza prima aver passato tutti i canonici test su efficacia e sicurezza.
  Fuori dalla diatriba sul se, quanto, e a chi abbiano giovato questi vaccini, ora un numero di persone che hanno aderito a questa profilassi denunciano la comparsa e la persistenza di effetti non desiderati anche gravi. E, sicuramente in più di un caso, molti non hanno neppure fatto in tempo a denunciarli.
  Questi vaccini anti-Covid-19 hanno generato una serie variegata di effetti non desiderati, inutile nasconderlo. Lo certifica, per esempio, il governo USA, non precisamente un organismo complottista, sul suo sito VAERS laddove riporta in gran dettaglio le sintomatologie degli effetti avversi registrati, nonché le statistiche anche correlate ai diversi lotti dei vaccini distribuiti.

• IN GERMANIA SONO STATI GIÀ AVVIATI STUDI SU SCALA NAZIONALE
  Recentemente poi il Ministro della Salute tedesco Karl Lauterbach ha rilasciato una intervista piena di buon senso e di umiltà, di fronte ad un giornalista che lo incalzava con modi anche severi (l’esatto contrario di ciò che siamo abituati a vedere nelle nostre televisioni), Intervista in cui prende atto pubblicamente del problema, prospetta aiuti mirati ai colpiti da vaccino, e annuncia che in Germania sono stati già avviati studi su scala nazionale per capire cosa possa essere successo agli sfortunati cittadini tedeschi.
  E qui da noi? Personalmente sin dal dicembre 2022 ho sollecitato sull’argomento gli attuali decisori del Ministero della Salute. Ho ripetutamente fallito. Questo mi ha ora spinto a rivolgermi alla platea dei cittadini attraverso una iniziativa intrapresa da un cittadino siciliano, Stefano Cardella, che ha lanciato la petizione e la relativa raccolta di firme sul sito Change.org.
  Districandomi nel dibattito in buona parte intossicato che è girato e gira ancora attorno al Covid-19, cercherò di analizzare i motivi per cui una persona può essere spinta a non appoggiare una iniziativa del genere, iniziativa che a prima vista anche al soggetto meno attrezzato culturalmente può sembrare ovvio appoggiare.

• PERCHÉ DIRE NO A UNA RICERCA SUGLI EFFETTI AVVERSI
  Partiamo con l’escludere l’interlocutore marcato da cinismo, ignavia, indifferenza e egoismo, tratti che purtroppo segnano molti caratteri umani, e contro i quali non esistono né argomenti né medicine valide. Ipotizziamo quindi di essere in presenza di un interlocutore disposto ad ascoltare.
  Un primo argomento che spesso gli scettici espongono riguarda la piccolissima percentuale di effetti avversi in relazione alla platea dei vaccinati. Ammessa questa argomentazione, anche una percentuale solo dello 0,01% di effetti avversi gravi, così come denunciato pubblicamente dal ministro Karl Lauterbach, porterebbe su una platea di più di 40 milioni di italiani vaccinati a più di 4.000 eventi avversi gravi.
  Uno Stato come quello italiano che presenta come un fiore all’occhiello la ricerca e la cura contro le malattie rare (quelle, per definizione, che colpiscono 1 persona su 500.000/1 milione), perché allora ignorerebbe questa platea di (almeno) 4.000 danneggiati gravi?
  I quali, ricordiamolo sempre, erano persone sane prima della vaccinazione ed hanno seguito alla lettera le indicazioni che lo Stato stesso ha fornito loro in tema di profilassi anti-Covid-19?
  Altro argomento: così si mina la fiducia su questi vaccini e sui vaccini in generale. Ora, sappiamo benissimo che i ricercatori hanno testato questi vaccini (o, per meglio definirli, pro-farmaci) in maniera insufficiente, segnatamente riguardo gli effetti non voluti a medio e lungo termine. Conosciamo anche la dimensione enorme della platea che li ha ricevuti.

• DIBATTITO INTOSSICATO SULLA PANDEMIA
  Ma chi di noi, portato ad assumere regolarmente un qualsiasi farmaco, può non essere interessato a conoscerne gli effetti indesiderati che (molto) eventualmente questo farmaco può generare, in modo tale da poter preparare possibili contromisure? Sapere che professionisti del campo sono impegnati a studiare i meccanismi di possibili effetti avversi non può che aumentare la fiducia nel farmaco e in chi lo propone.
  Mi sono anche imbattuto, per esempio da parte di familiari di elevato spessore culturale, in chi afferma che promuovere studi del genere significa legittimare no-vax e complottisti di ogni genere. Personalmente considero queste affermazioni come la più alta esemplificazione dell’intossicazione ideologica a cui è arrivato il dibattito intorno alla pandemia. Ci vuol poco a realizzare che i danneggiati da vaccino sono compresi tra coloro i quali hanno aderito alla campagna vaccinale. E il complottismo piuttosto si alimenta con la pervicacia a nascondere i fatti invece che indagarli, capendo cosa e quanto ci sia di vero.
  Altro argomento evergreen: mancano le risorse. Non più di qualche giorno fa il Ministro Fitto ha denunciato in Parlamento l’incapacità dell’Italia a spendere circa 20 miliardi di Euro derivanti dai fondi PNRR. Inutile argomentare oltre.
  Quindi, se escludiamo cinismo, ignavia, indifferenza ed egoismo, è veramente difficile trovare una ragione per non supportare una iniziativa a livello statale rivolta a ricercatori indipendenti e mirata a capire attraverso studi scientifici i meccanismi attraverso i quali questi vaccini anti-Covid-19 hanno generato effetti indesiderati.
  La richiesta in tal senso ufficializzata dalle firme di migliaia di cittadini potrà spingere le autorità italiane a imitare quelle tedesche. Non c’è motivo confessabile e/o argomentabile perché continuino a rifiutarsi.
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* Dr. Maurizio Federico
   National Center for Global Health
   Istituto Superiore di Sanità

(RomaIT, 2 maggio 2023)

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Israele si interroga sul riavvicinamento tra Iran e Arabia Saudita

In Israele il riavvicinamento tra i due paesi è stato visto come una battuta d'arresto degli sforzi dello Stato ebraico per creare legami più stretti con Riad.

di Francesco Paolo La Bionda

Arabia Saudita e Iran hanno siglato lo scorso 10 marzo un accordo mediato dalla Cina per ristabilire le relazioni diplomatiche, interrotte nel 2016, e riaprire le rispettive ambasciate entro due mesi. La decisione segna una prima e inaspettata inversione di tendenza nell'inasprimento della rivalità avvenuto tra le due potenze regionali mediorientali, divise da questioni dottrinali e politiche. La dichiarazione congiunta alla stampa rilasciata a margine della firma ha affermato che le relazioni ravvivate tra i due paesi "porteranno allo sviluppo della stabilità e della sicurezza regionale e aumenteranno la cooperazione tra i paesi del Golfo Persico e del mondo islamico per affrontare le sfide esistenti".

• IL DIBATTITO IN ISRAELE TRA PREOCCUPAZIONI E OPPORTUNITÀ
  In Israele il riavvicinamento tra i due paesi è stato generalmente visto come una battuta d'arresto degli sforzi dello Stato ebraico per creare legami più stretti con Riad, con cui ancora oggi permangono relazioni diplomatiche solo ufficiose, nonostante molti si aspettassero una normalizzazione come avvenuto con Emirati Arabi Uniti e Bahrein nel 2020 grazie agli Accordi di Abramo.
  Alcune voci tuttavia vedono più opportunità che problemi in questo inaspettato sviluppo: Efraim Halevy, che in passato è stato direttore del Mossad e capo del Consiglio nazionale di sicurezza israeliano, in un'intervista rilasciata alla CNN il 15 marzo, ha affermato che il governo israeliano non dovrebbe guardare in modo pregiudiziale all'accordo. Per Halevy anzi l'esecutivo dovrebbe cercare di capire quali fattori abbiano reso possibile il riavvicinamento tra i due rivali e sondare discretamente se ci siano margini anche per smorzare le tensioni tra Israele e l'Iran.
  Il 22 marzo invece il quotidiano online Axios ha pubblicato un articolo nel quale cita estensivamente un alto diplomatico israeliano, lasciato anonimo, secondo cui i tori del pubblico israeliano riguardo all'accordo sarebbero esagerati, in quanto il riavvicinamento all'Iran non interferirà con le relazioni tra lo Stato ebraico e l'Arabia Saudita, citando a riprova il fatto che anche gli Emirati si siano riavvicinati a Teheran senza per questo tornare sui propri passi nella relazione con Gerusalemme.
  Inoltre, secondo la fonte, Israele potrebbe beneficiare indirettamente di una possibile fine della guerra in Yemen, in cui sauditi e iraniani sostengono fazioni opposte. Poiché il conflitto è una delle principali cause di attrito tra Riad e Washington, per via delle numerose vittime civili causate dai bombardamenti dell'aviazione saudita, una sua fine porterebbe a un miglioramento delle relazioni tra i due governi e dunque faciliterebbe a sua volta una possibile normalizzazione diplomatica tra Israele e Arabia Saudita.

• LA QUESTIONE SIRIANA
  Un altro elemento di valutazione per Israele si è poi aggiunto ai precedenti quando il 23 marzo l'Arabia Saudita ha riallacciato i rapporti diplomatici anche col regime siriano, annunciando la riapertura della sua ambasciata a Damasco. Sin dall'inizio della guerra civile nel paese, Riad aveva sempre osteggiato Bashar Al-Asad, anche in virtù del forte legame tra il dittatore e l'Iran, che è diventato un vitale fornitore di armi e truppe per Damasco. Tuttavia nel mondo arabo si è progressivamente fatta strada in tempi recenti l'idea che non si possa raggiungere una soluzione al conflitto senza trattare col regime.
  Israele è impegnato da anni a contrastare la minaccia della penetrazione iraniana in Siria e all'aviazione dello Stato ebraico sono stati attribuiti numerosi attacchi aerei contro infrastrutture e uomini dei pasdaran schierati nel paese. A Gerusalemme si dovrà quindi valutare se questo ulteriore riavvicinamento saudita a un precedente rivale comune sia più un problema o un'opportunità.

(Bollettino della Comunità Ebraica di Milano, maggio 2023)

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Israele, i primi 75 anni

Il 14 maggio 1948 nasceva lo Stato ebraico, realizzando il sogno di Herzl e dei tanti che vedevano in quella patria la fine di crudeli persecuzioni. Ma era anche l’inizio di un nuovo e lungo conflitto col mondo arabo. Tra guerre, lotta al terrore e primati economici e tecnologici, così è cresciuta l’unica democrazia del Medio Oriente.

di Enrico Franceschini

Theodor Herzl in Palestina nel novembre del 1898
Immaginiamo un suono di cornamuse. È la sera del 14 maggio 1948. Sta per nascere lo Stato di Israele. Nelle antiche strade della Città Vecchia, la struggente melodia annuncia la partenza dei soldati britannici, che hanno occupato Gerusalemme per trent'anni. Alle finestre delle abitazioni o sulle soglie delle sinagoghe, vecchi dalle grandi barbe bianche osservano la sfilata militare. I loro antenati hanno visto partire molti altri occupanti: assiri, babilonesi, persiani, crociati, arabi, turchi. Ora tocca agli inglesi. Quando l'ultimo distaccamento di soldati giunge davanti all'arco di una casa in pietra, il plotone si arresta. Un ufficiale bussa al portone, gli apre il rabbino Mordechai Weingarten. "Dall'anno 70 dopo Cristo fino a oggi, nessuna chiave di Gerusalemme è stata nelle mani degli ebrei", dice l'ufficiale. "Oggi è la prima volta in quasi venti secoli che il vostro popolo ottiene questo previlegio". E gli consegna la chiave della porta di Sion, una delle sette porte della Città Santa. Il rabbino risponde: "Che tu sia benedetto, o Iddio che ci hai concesso di vivere questo giorno. Accetto questa chiave in nome del mio popolo". Ma mentre l'ufficiale britannico fa dietrofront e scendono le luci del crepuscolo, un nuovo rumore, sordo e minaccioso, subentra al suono delle cornamuse: il crepitio della fucileria. Ancora una volta Gerusalemme sta per diventare un campo di battaglia. Le sue mura apparterranno soltanto a chi saprà conquistarle.

• L’ANNO PROSSIMO A GERUSALEMME
  L'episodio raccontato da Dominique Lapierre e Larry Collins nel libro Gerusalemme! Gerusalemme! fotografa l'inizio di un conflitto durato fino ai giorni nostri, attraversando l'intera storia del moderno Stato di Israele, che in questi giorni compie 75 anni di vita. Una storia le cui radici partono dall'Antico Testamento, il libro che narra l'esodo del popolo ebraico fino alla Terra Promessa e, tra il 900 e l'800 avanti Cristo, l'avvento del regno di Israele di re Davide e re Salomone. Quel testo costituisce anche la prima parte della Bibbia dei cristiani, ma i primi padri della Chiesa, nell'ardore di convertire le masse pagane, si sforzarono di sottolineare la differenza che separava la nuova fede dal giudaismo, piuttosto che metterne in evidenza i legami: tacendo che Gesù era ebreo e che l'Ultima cena è una celebrazione della Pasqua ebraica. In seguito, gli imperatori romani convertiti condannano gli ebrei alla segregazione. L'Impero di Bisanzio li mette fuori legge. Gli Stati europei negano loro il diritto alla proprietà. Nel 1215 la Chiesa di Roma li obbliga a portare un marchio per distinguerli dalle altre razze. I re di Francia e Inghilterra sequestrano i loro beni. In Russia viene coniata una parola che diventerà di uso comune per descrivere i massacri di comunità ebraiche: pogrom. Poi viene l'Olocausto. Soltanto nel 2000, durante il suo pellegrinaggio a Gerusalemme, papa Giovanni Paolo II afferma che gli ebrei sono "i fratelli maggiori" dei cristiani, porgendo pubbliche scuse per il ruolo della Chiesa in venti secoli di antisemitismo.
  Poco più di cent'anni prima dello storico viaggio di Wojtyla in Terra Santa, l'ingiusta condanna di un ufficiale francese di origine ebraica mette in moto la resistenza a questo odio millenario. Tra la folla che assiste alla degradazione di Alfred Dreyfus nel cortile della École Militaire di Parigi, nel 1894, c'è un giornalista viennese, anch'egli un ebreo assimilato, cioè perfettamente integrato nella società del suo Paese, fino a quel momento indifferente a questioni di razza e di religione. Si chiama Theodor Herzl. Quel giorno capisce che il vulcano dell'antisemitismo non si sarebbe mai spento e gli ebrei avrebbero potuto sopravvivere solo diventando una nazione. Rientrato a Vienna, due anni dopo pubblica il manoscritto Lo Stato ebraico e fonda il movimento sionista, dal nome del monte Sion che sorge al centro di Gerusalemme. Per duemila anni gli ebrei della diaspora disseminati a ogni angolo della terra hanno pregato con l'invocazione: "Se ti dimentico, Gerusalemme, che mi si mozzi la mano destra!"; e a ogni Pasqua, hanno ripetuto la promessa solenne di ritrovarsi "l'anno prossimo a Gerusalemme", il desiderio di tornare a casa, prima o poi, nonostante ogni ostacolo. E quale poteva essere la loro casa? Dopo varie ipotesi, i sionisti scelgono la terra degli avi, la Terra Promessa dell'Antico Testamento, da dove non se ne erano mai andati del tutto: nel momento in cui Herzl assiste all'umiliazione di Dreyfus, trentamila dei cinquantamila abitanti di Gerusalemme sono ebrei.
  Sotto le pressioni del movimento sionista, nel 1917 il ministro degli Esteri britannico Arthur Balfour dichiara che il governo di Sua Maestà "considera favorevolmente la creazione di un focolare nazionale per il popolo ebraico in Palestina", all'epoca una colonia del Regno Unito. L'annuncio moltiplica l'immigrazione ebraica nella regione. Gli arabi cominciano ad aggredire gli ebrei, con i quali fino ad allora avevano vissuto in relativa armonia. Gli ebrei si difendono e aggrediscono a loro volta gli arabi. È una lenta, progressiva guerra civile. Durante la Seconda guerra mondiale il Gran Muftì di Gerusalemme, Mohammed Said Haj Amin al Husseini, più alta autorità religiosa islamica nella Palestina britannica, si rifugia a Berlino, appoggia la Germania nazista, incontra Hitler, pensando che la vittoria tedesca libererà il suo popolo di due nemici in un colpo solo: gli ebrei e i britannici. 

MAPPA - Mandato britannico
Ma i nazisti perdono la guerra, Hitler si suicida, il Muftì fugge e una terribile scoperta contribuisce a rafforzare l'idea di un "focolare nazionale ebraico": l'orrore dell'Olocausto. Si profila così una soluzione "salomonica": dividere la Palestina britannica fra i due litiganti. Il pomeriggio del 29 novembre 1947 i rappresentanti di 56 Paesi delle neonate Nazioni Unite si riuniscono a New York per votare la risoluzione numero 181. Essa prevede che una terra due volte più piccola della Danimarca, cinque volte meno popolosa del Belgio, venga spartita formando due Stati distinti, uno per gli ebrei e uno per gli arabi. Il 57 per cento del territorio verrebbe assegnato agli ebrei, sebbene fino a quel momento siano più numerosi gli arabi. Il Muro del Pianto, il Santo Sepolcro e la Moschea della Roccia, luoghi santi delle tre religioni monoteistiche, dentro le mura della Città Vecchia di Gerusalemme, sarebbero sotto controllo internazionale. La risoluzione passa con 33 voti favorevoli, tra cui quelli di Stati Uniti e Unione Sovietica, 13 contrari e 10 astenuti. Le delegazioni arabe lasciano l'aula per protesta. Si lamentano di essere chiamate a pagare un prezzo per la cattiva coscienza dell'Europa nei confronti dell'Olocausto: perché non sono gli Stati europei a offrire agli ebrei una terra, visto che sono loro ad averli sterminarti nei lager? Scoppierà una guerra, avverte il rappresentante arabo, cugino del Gran Mutfì che aveva abitato nella Berlino di Hitler, e gli eserciti dell'intero mondo arabo getteranno a mare gli ebrei.

• LA GUERRA PIÙ LUNGA

"David Ben Gurion proclama la dichiarazione di indipendenza dello Stato di Israele a Tel Aviv
Alla mezzanotte del 14 maggio 1948, David Ben Gurion pronuncia la dichiarazione di indipendenza. La nuova nazione si chiamerà Israele, dice il suo fondatore, dal termine biblico che appare nel libro della Genesi, quando Dio cambia nome a Giacobbe chiamandolo appunto Israele, capostipite degli israeliti, la stirpe che governerà la Terra Promessa. Qualcuno ritiene che la dichiarazione d'indipendenza debba indicare le frontiere del nuovo Stato, seguendo il tracciato indicato dalle Nazioni Unite. Ben Gurion dissente. Considera quelle frontiere in più punti indifendibili, nella prospettiva ormai evidente di una conflittualità prolungata con gli arabi. Del resto, afferma, gli arabi hanno respinto il compromesso sulla partizione. "Lo Stato che proclameremo al termine della guerra - conclude - non nascerà da una risoluzione dell'Onu, bensì da una situazione di fatto".
  Gli eserciti di cinque Paesi arabi attaccano gli ebrei, ma a prevalere sono questi ultimi, meglio armati e più determinati. Quando le due parti proclamano il cessate il fuoco, Israele si ritrova con uno Stato più ampio del territorio che le avrebbe assegnato il Palazzo di vetro, pur senza riuscire a prendere la Città Vecchia di Gerusalemme. In quella che gli ebrei chiamano la loro "guerra d'indipendenza", e che gli arabi chiameranno "nakba", la tragedia, Israele ha avuto più di 6mila vittime fra soldati e civili: in proporzione, più morti di quanti ne ebbe la Francia nella Seconda guerra mondiale. Alle migliaia di perdite arabe vanno aggiunti 700mila palestinesi costretti a evacuare le zone conquistate da Israele: finiranno in campi profughi sparsi per il Medio Oriente. Restano in mano araba, tuttavia, Cisgiordania e Gaza: per i successivi vent'anni, la prima apparterrà alla Giordania e la seconda all'Egitto. Ma i governi di Amman e del Cairo non le offrono ai palestinesi, affinché ne facciano una patria: le tengono per sé.
  Otto anni dopo scoppia un'altra guerra, per il possesso del canale di Suez, nazionalizzato dall'Egitto: alleate degli inglesi, le forze israeliane avanzano verso il Cairo, finché l'America ferma tutti per evitare un conflitto con l'Urss. I Paesi arabi cercano di prendersi la rivincita nel 1967, mobilitando i propri eserciti alla frontiera, ma Israele lancia un formidabile attacco preventivo: distrugge a terra tutta l'aviazione nemica, penetra in territorio avversario a Sud e a Nord. In appena sei giorni la guerra è finita. Un leggendario generale israeliano con la benda all'occhio, Moshe Dayan, guida le operazioni insieme al capo di stato maggiore Yitzhak Rabin. Quest'ultimo riceve il compito di dare un nome al conflitto, come riconoscimento della sua eccezionale abilità strategica. Circolano varie proposte: la Guerra del coraggio, la Guerra della salvezza. Rabin sceglie la Guerra dei sei giorni, evocando i sei giorni della creazione secondo la Bibbia. La guerra, in effetti, ha ricreato Israele, che si allarga all'intera penisola del Sinai, a tutta la Cisgiordania, alle alture del Golan, al confine con la Siria e alla Città Vecchia di Gerusalemme. La foto di due parà israeliani che guardano commossi il Muro del Pianto diventa emblematica: lo Stato ebraico ha di nuovo quel che resta del tempio di re Salomone. Ma oltre che della terra, Israele si impadronisce dei milioni di arabi che la abitano. Per rafforzare il controllo sui palestinesi sconfitti e ostili, il governo israeliano approva la costruzione di insediamenti civili in Cisgiordania e Gaza: le "colonie ebraiche", come verranno chiamate dalla comunità internazionale, che l'esercito protegge con strade speciali e posti di blocco. Nei Territori occupati, come da allora la diplomazia internazionale definisce Cisgiordania e Gaza, comincia così a crescere un sentimento che fra il '48 e il '67, quando facevano parte di Giordania ed Egitto, era debole o carente: la determinazione palestinese ad avere uno Stato. Trascorrono altri sei anni e, nella guerra dello Yom Kippur, scatenata dai Paesi arabi con un attacco a sorpresa nel giorno più sacro del calendario religioso ebraico, Israele per alcuni giorni rischia di soccombere: quindi contrattacca e, con un altro generale, Ariel Sharon, benda sulla fronte per una ferita, arriva a 100 chilometri dal Cairo.
  Nel 1982, il medesimo Sharon guida gli israeliani fino a Beirut per mettere fine alle incursioni dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina capeggiata da Yasser Arafat, così costretto a rifugiarsi a Tunisi: una milizia cristiano-maronita alleata di Gerusalemme massacra i palestinesi dei campi profughi di Sabra e Shatila, senza che Sharon intervenga, secondo alcuni con la sua complicità.
Piano ONU 1947
Israele nel 1949
La guerra del '48, la guerra del '56, quelle del '67 e del '73, l'invasione del Libano nel 1982, negli anni 90 la prima Intifada, la rivolta palestinese con le pietre, nei primi anni Duemila la seconda Intifada, i terroristi kamikaze alle fermate dei bus, poi le guerre contro Gaza, dopo il ritiro israeliano dalla Striscia nel 2005, e avanti così, fra attentati e rappresaglie, fino ai giorni nostri. Tutte insieme fanno la guerra più lunga che il mondo moderno abbia conosciuto. Ed è una guerra fra nemici che si contendono lo stesso claustrofobico spazio: nel punto più stretto, all'altezza del Ben Gurion, suo unico aeroporto internazionale, Israele è larga appena 12 chilometri.

• IL PROCESSO
  Negli anni in cui ho vissuto in Israele, dal 1997 al 2003, mi è capitato di incontrare persone con i numeri sul braccio: il marchio di identificazione che i nazisti imprimevano ai prigionieri dei campi di concentramento. Vederli sorridere, giocare con un nipotino in un parco, mangiare un piatto con gusto al ristorante, mi trasmetteva un senso di meraviglia e ammirazione. Non solo erano riusciti a sopravvivere all'orrore più grande conosciuto dall'umanità, ma avevano anche saputo rifarsi una vita, apparentemente normale. Che forza e che coraggio straordinario ci volevano! Ma non c'è stato sempre un sentimento di ammirazione e di orgoglio, in Israele, per i superstiti della Shoah. Da un lato, alcuni provavano la vergogna di essere sopravvissuti: perché io sono vivo e i miei familiari, amici, compagni di sventura sono morti? Dall'altro lato, i sionisti che si erano lasciati alle spalle la buia Europa dei ghetti per costruire un proprio Stato nella luce della Terra promessa mediorientale non si riconoscevano negli ebrei trucidati nei lager: i pionieri che avevano forgiato con la zappa e con il fucile uno stato indipendente sentivano di appartenere a un nuovo tipo di ebrei. "Pecore al macello" è stata a lungo l'espressione per identificare le vittime della Shoah: quasi ci fosse una qualche loro corresponsabilità nello sterminio, una mitezza, come quella delle pecorelle, che aveva impedito di ribellarsi. È una falsa immagine, smentita da tanti resoconti sulle ribellioni di partigiani ebrei contro i nazifascisti durante la Seconda guerra mondiale.
  Ma niente ha cambiato la percezione della Shoah in Israele e nel mondo come il processo del 1961 a Adolf Eichmann, il criminale di guerra nazista responsabile del trasporto degli ebrei nei lager, catturato dal servizio segreto israeliano in Argentina, trasportato clandestinamente in Israele e lì processato, condannato, impiccato: l'unica condanna a morte eseguita nei 75 anni di esistenza dello Stato ebraico. La cattura e il processo di Eichmann hanno infatti messo sul banco degli imputati non soltanto il nazismo, come aveva già fatto il Processo di Norimberga ai gerarchi del Terzo Reich, bensì l'antisemitismo in quanto tale: un antisemitismo che poteva avere anche i modi e il volto in apparenza pacifici di un uomo che per difendersi diceva "Io non odio gli ebrei, ho soltanto eseguito gli ordini". Quella che la filosofa Hannah Arendt, in un reportage per il New Yorker diventato proverbiale, descrisse come "la banalità del male". Nel 2012, sessant'anni dopo il processo, il Mossad organizza al Museo del Popolo Ebraico di Tel Aviv una mostra sulla cattura dell'architetto dell'Olocausto. "Fino al processo di Eichmann, in Israele nessuno parlava apertamente degli orrori dell'Olocausto", ammette Ahinoam Armoni, direttore del museo. "Molti sopravvissuti tacevano, perfino con i propri figli. La cattura e il processo sono stati come l'apertura di una diga per noi. Io stesso sono cresciuto dicendomi: non sono un ebreo, sono israeliano. Di colpo, da quel momento, siamo stati in grado di confrontarci con la nostra storia".

• VIVERE CON IL TERRORISMO  

La folla in una città israeliana ascolta alla radio il processo ad Eichmann
Bisogna trascorrere un po' di tempo nello Stato ebraico per comprendere cosa significhi vivere sotto una continua minaccia. Durante la Seconda Intifada, ogni volta che andavo a cena fuori, sceglievo se possibile un tavolo nella parte più isolata del ristorante, quella con meno clienti, dove un possibile terrorista suicida avrebbe avuto meno interesse a farsi esplodere o a nascondere una bomba, in modo che i miei familiari ed io avessimo una chance in più di salvarci. Piccoli accorgimenti di vita quotidiana, che a chi vive in un'altra realtà sembrano un peso insopportabile: ma gli israeliani hanno imparato a conviverci. Nessuna nazione al mondo ha dovuto affrontare la minaccia del terrorismo tanto a lungo. Attacchi avvenuti non solo sul proprio territorio, ma ovunque nel mondo si trovassero cittadini e possibili bersagli israeliani o ebraici. Ci sono stati attentati contro sinagoghe, aerei, navi, sedi diplomatiche e di aziende, fermate dei treni e degli autobus, ristoranti, bar, discoteche, supermarket, centri commerciali o semplicemente strade affollate di uomini, donne e bambini, come avvenuto quest'anno alla vigilia di Pasqua, quando un turista italiano è stato ucciso da un terrorista sul lungomare di Tel Aviv. Per la stessa ragione, nessun altro Paese ha accumulato una esperienza simile nel combattere il terrorismo.
  Uno degli attacchi terroristici più eclatanti è quello lanciato da un commando palestinese alle Olimpiadi di Monaco del 1972, in cui muoiono 11 atleti israeliani. Sia pure con riluttanza, la premier Golda Meir autorizza l'Operazione Furore di Dio, per individuare e uccidere i responsabili dell'attentato, dovunque si trovino. Dopo il processo a Eichmann e la vittoria nella Guerra dei Sei Giorni, un senso di euforica sicurezza si era diffuso per Israele, come se i fantasmi del passato, l'antisemitismo, l'Olocausto, fossero vinti per sempre. L'attentato di Monaco fa precipitare di nuovo gli israeliani nello sconforto. Anche per questo Golda Meir ordina una risposta esemplare. Fra le missioni affidate alle forze speciali e al Mossad, c'è quella di uccidere tre palestinesi a Beirut. Un commando israeliano sbarca in Libano. Li guida un pluridecorato ufficiale di nome Ehud Barak. Molti anni dopo, quando Barak è già un ex primo ministro, gli domando se davvero quella notte a Beirut, per non farsi riconoscere, lui e i suoi compagni si erano travestiti da donna.
  "Certo, non è qualcosa che si può dimenticare, sa?", mi risponde. "Voglio confidarle una cosa. Quando fui nominato capo di Stato Maggiore delle forze armate israeliane, una delle nostre donne-soldato, con i gradi di tenente, mi accolse nel mio nuovo ufficio per illustrare come funzionavano le comunicazioni. Le chiesi come si chiamava di cognome e rispose: "Romano". Domandai se era parente di Yossef Romano, uno degli atleti israeliani trucidati dai terroristi palestinesi alle Olimpiadi di Monaco. "Sono la figlia", rispose. Erano ebrei di origine italiana, come suggeriva il nome. Suo padre, un campione di sollevamento pesi, aveva tentato di disarmare i terroristi, era stato uno dei primi a essere ucciso e il suo corpo mutilato fu lasciato sul pavimento dell'appartamento in cui si trovavano gli israeliani, come monito agli altri membri della squadra di non provare a ribellarsi. Ebbene, in quel momento avrei voluto abbracciare la soldatessa, la figlia di Romano, dirle che ero stato io a fare giustizia degli assassini di suo padre. Ma all'epoca il mio ruolo in quella missione era ancora coperto dal segreto di Stato e dunque tacqui".
  I critici dell'operazione Furore di Dio la condannano come una campagna di assassinii politici, resa ancora più problematica, in un episodio in Norvegia, dall'uccisione della persona sbagliata. Ricorda Aron Yariv, un generale israeliano a capo dell'operazione: "Mandare un commando a uccidere era moralmente accettabile? Questo può essere discutibile. Ma era politicamente necessario? Assolutamente sì. Non avevamo altra scelta, se volevamo provare a impedire che azioni del genere si ripetessero a oltranza". Eppure, il terrorismo non si spegne. A ogni palestinese assassinato da Israele, risponde un attentato. Quattro anni dopo il massacro alle Olimpiadi, un commando palestinese compie un'azione altrettanto clamorosa, dirottando a Entebbe, nell'Uganda del feroce dittatore Idi Amin, un aereo della Air France partito da Tel Aviv con 248 passeggeri a bordo, in gran parte ebrei. Il raid di Entebbe per liberarli verrà ricordato come un'epica "missione impossibile". I commandos israeliani riportano a casa quasi tutti gli ostaggi, senza subire perdite, tranne una: il comandante della missione. Si chiama Yonatan Netanyahu. Anche suo fratello minore Benjamin entrerà nelle forze speciali. Diventerà il primo ministro più longevo nella storia di Israele.

• IL PECCATO ORIGINALE

I vincitori del Nobel per la pace Yasser Arafat, Yitzhak Rabin e Shimon Peres a Oslo nel 1994.
Se azioni deterrenti e raid eroici non possono estirpare il terrorismo, come fermarlo? Una delle mie prime interviste come corrispondente da Israele è con Shimon Peres, all'epoca ex premier, ex ministro degli Esteri, ex braccio destro di Ben Gurion: "L'Antico Testamento descrive la decisione di Eva di accettare la mela dal serpente come il peccato originale, il peccato da cui tutto discende e di cui l'uomo deve eternamente mondarsi per guadagnare il perdono divino", mi dice il grande statista. "Ebbene, anche noi ebrei abbiamo un peccato originale da scontare: quando Herzl, il teorico del sionismo, pronunciò il suo famoso slogan, secondo cui "un popolo senza una terra" andava verso "una terra senza un popolo", ometteva il fatto che su quella terra c'era un altro popolo, il popolo palestinese. Molto altro è accaduto da allora, distribuendo torti e ragioni da entrambe le parti del conflitto. Ma per riparare il nostro peccato originale, c'è un solo modo: dare una terra anche ai palestinesi".
  Il tentativo di liberarsi del peccato originale inizia nel 1979, con una stretta di mano tra due leader: l'egiziano Anwar Sadat e l'israeliano Menachem Begin sanciscono l'accordo di Camp David, dal nome della residenza di campagna del presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter, che ne è il mediatore. Si tratta di una "pace fredda", ovvero non calorosa, ma è lo stesso una svolta: il più importante Stato arabo riconosce il diritto di esistere di Israele. Begin e Sadat vincono il Nobel per la pace. Ma il 6 ottobre 1981 il presidente egiziano viene assassinato da militanti islamisti contrari alla sua storica decisione. Passa un decennio prima che il cammino della pace riprenda, con il "processo di Oslo", sostenuto dal presidente Bill Clinton nel 1993, un ciclo di trattative segrete fra israeliani e palestinesi nella capitale norvegese che porta a un'altra stretta di mano: quella tra Rabin e Arafat alla Casa Bianca. La loro intesa prevede la creazione di territori sotto diretto controllo palestinese in Cisgiordania e a Gaza, la cooperazione fra i servizi di sicurezza israeliani e palestinesi per combattere il terrorismo e il progetto di dichiarare entro cinque anni uno Stato palestinese che viva in pace e sicurezza reciproca accanto a Israele.
  Come Begin e Sadat, anche Rabin e Arafat ottengono il Nobel per la pace, insieme all'altro autore dell'accordo, il ministro degli Esteri israeliano Peres. Sul prato della Casa Bianca, l'ex generale Rabin cita la Bibbia: "La terra del latte e del miele non deve diventare la terra delle lacrime e del sangue. La pace si fa tra nemici, non tra amici". Come Sadat, il leader israeliano paga con la vita il suo gesto: due anni più tardi viene assassinato a Tel Aviv da un estremista ebreo contrario alla pace. Nel discorso alla Casa Bianca in cui ne annuncia la morte, Bill Clinton appare commosso come se avesse perso un fratello e un modello: "Il mondo ha perso uno dei suoi più grandi uomini", dice il presidente americano. "Un guerriero per la libertà della propria nazione. Un paladino per la pace della propria nazione. Per mezzo secolo, Yitzhak Rabin ha rischiato la vita per difendere il proprio Paese. Oggi, ha dato la vita per difendere la pace. E la pace sarà l'eredità che ci lascia".
  Per un po' sembra vero. Le elezioni in cui forse il laburista Rabin sarebbe stato rieletto sono vinte dal suo avversario Netanyahu, leader del Likud, il partito della destra israeliana, che sconfigge a sorpresa il premier a interim Peres, ma anche Netanyahu all'inizio tratta con Arafat, firmando due accordi con il presidente dell'Autorità Palestinese. E dopo qualche anno la storia si ripete, non solo nel segno della tragedia ma pure nella speranza. In Israele si dice che soltanto un ex generale può realizzare veramente la pace e il destino disegna le stesse circostanze che esistevano prima dell'assassinio di Rabin: Netanyahu perde le successive elezioni, al suo posto diventa primo ministro Barak, ex generale, ex ministro della Difesa, nuovo leader del Labour, il capo del commando che travestito da donna aveva ucciso tre palestinesi a Beirut, l'ufficiale più decorato al valore nella storia di Israele. Al summit di Camp David, nell'estate del 2000, Israele offre ad Arafat uno Stato indipendente in Cisgiordania e a Gaza, con Gerusalemme Est come capitale (la Città Vecchia con i luoghi santi sarebbe stata sotto gestione congiunta) . L'unica questione su cui Barak non cede è il "diritto al ritorno" dei palestinesi che vivono da generazioni nei campi profughi del Medio Oriente: perché dovrebbero tornare dopo 52 anni nelle città israeliane, osserva, visto che ora avranno un proprio Stato in cui stabilirsi? "Accetti questa offerta, Abu Ammar", dice ad Arafat, chiamandolo con il suo nome di guerra, l'ambasciatore saudita a Washington. "La accetti ora o rimpiangerà per sempre di non averlo fatto". Parole profetiche.
  Arafat si impunta sul diritto al ritorno, la trattativa fallisce, Barak non viene rieletto primo ministro, al potere torna il Likud, scoppia una nuova Intifada, stavolta non con pietre tirate dalle fionde ma con kamikaze palestinesi che si fanno saltare in aria in mezzo ai civili israeliani, a Gaza prendono il potere i fondamentalisti di Hamas in contrapposizione con l'Olp in Cisgiordania e la pace si allontana. Due anni prima di morire, Arafat mi appare spento, in un'intervista nel suo quartier generale a Ramallah: "Se non sarò io a vedere uno Stato palestinese, lo vedrà mia figlia". Ma finora non lo ha visto nemmeno sua figlia: nonostante qualche altro tentativo di dialogo, l'occasione perduta del 2000 genera due decenni di lacrime e sangue. Altri conflitti danno l'impressione che quello israeliano-palestinese non sia più la priorità in Medio Oriente: la guerra in Iraq nel 2003; il sedicente Stato terrorista dell'Isis; l'allarmante programma nucleare iraniano. Gli accordi di Abramo, firmati tra Israele e quattro Paesi arabi durante la presidenza Trump, dimostrano come quelli siglati in precedenza da Egitto e Giordania che il mondo arabo è disposto a fare la pace con lo Stato ebraico anche senza avere risolto la questione palestinese. Promessa due volte, da Iddio agli ebrei, quindi dagli ebrei almeno in parte agli arabi, la terra fra il Giordano e il Mediterraneo rimane al centro di un secolare conflitto.
  Fino alla sua morte, nel 2016, Peres ripete un ammonimento: "Se non daremo uno Stato ai palestinesi, ci saranno solo due possibilità, o non saremo più uno Stato ebraico, perché gli arabi saranno la maggioranza della popolazione, o non saremo più uno Stato democratico, perché quegli arabi non avranno diritto di voto". Esiste una terza opzione, quella di Netanyahu, che sembra optare per mantenere a tempo indeterminato lo status quo. Ma in Israele, come in Europa e negli Usa, molti non sono d'accordo con lui. "Fino a quando continua questa situazione, il nostro Paese va condannato per il sistematico abuso dei diritti dei palestinesi", scrive sul Jerusalem Post Gershon Baskin, un giornalista israeliano che ha collaborato alla nascita del processo di pace. "Nella situazione attuale, il nostro Stato pratica una nuova forma di apartheid: due popoli che vivono nella stessa terra con diritti legali diversi. Chi dice queste cose viene bollato come antisemita, ma io mi limito a criticare il mio governo". Anche questo israeliano così critico verso Israele però aggiunge: "Mettere fine all'occupazione e dare ai palestinesi i loro legittimi diritti nazionali sarebbe più facile, se i palestinesi mettessero in ordine la loro casa politica, avessero un governo invece che due, facessero libere elezioni, avessero una leadership nuova, giovane, dinamica e composta anche di donne". Insomma, ci vorrebbe un miracolo, anzi una serie di miracoli: ma quando cammini per la Città Vecchia di Gerusalemme ti pare di seguire le orme di Abramo, di Gesù, di Maometto. La Terra Santa è la terra dei miracoli, della fede che non si spegne mai, nemmeno nei momenti più bui.

(la Repubblica, 1 maggio 2023)

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Duecento bambini del Regno Unito canteranno una magnifica versione dell’Adon Olam per l’incoronazione di Re Carlo III

di Marina Gersony

La comunità ebraica del Regno Unito si sta preparando per l’incoronazione di Sua Maestà Re Carlo III con grande entusiasmo. Per rendere omaggio al sovrano, circa 200 bambini provenienti da cinque scuole ebraiche del Regno Unito si sono riuniti per registrare una nuova versione della tradizionale canzone ebraica Adon Olam, accompagnati da un ensemble musicale ucraino che ha partecipato alla realizzazione del programma. Questo evento, che avrà una vasta copertura mediatica in tutto il mondo, è stato organizzato con grande cura e attenzione per i dettagli.
  In questi giorni il Coronation Choir della United Synagogue – l’Unione delle sinagoghe ortodosse britanniche – ha registrato la suggestiva versione dell’antico canto ebraico, composta da Stephen Levey e arrangiata da Mendy e Israel Portnoy, noti come i Portnoy Brothers. Queste iniziative ebraiche celebreranno la cerimonia di incoronazione del Re e contribuiranno a rendere questo evento indimenticabile per tutti coloro che vi parteciperanno o che lo seguiranno.
  Adon Olam – che come ogni ebreo sa, significa “Signore eterno” o “Signore dell’Universo” – è un inno potente che fa parte della liturgia ebraica quotidiana e sabatica dal XV secolo e che parla di D-o sia in termini cosmici che come presenza personale nella nostra vita. Secondo la tradizione sefardita e nelle sinagoghe inglesi, Adon Olam viene cantato alla fine dei servizi liturgici dello Shabbat e delle Festività ebraiche durante le preghiere mattutine, mentre gli ebrei ashkenaziti lo cantano alla fine dei servizi serali nelle stesse occasioni, e tutti lo cantano alla Vigilia dell’Espiazione (Kol Nidre).
  Secondo quanto riferisce il Town&Countrymag, il rabbino capo d’Inghilterra, Ephraim Mirvis e sua moglie Valerie, soggiorneranno a Clarence House la notte prima dell’incoronazione di Re Carlo per osservare lo Shabbat e assistere comunque all’incoronazione. I coniugi dormiranno nella residenza del re in modo da poter partecipare senza violare lo Shabbat.
  L’incoronazione avverrà presso l’Abbazia di Westminster, una chiesa reale: mentre molte interpretazioni ortodosse della legge ebraica sostengono che gli ebrei non dovrebbero entrare nelle chiese, la massima corte rabbinica di Londra ha stabilito negli anni ‘70 che i capi rabbini possono farlo se la loro presenza è richiesta dal monarca.
  Secondo il Telegraph , «il rabbino capo celebrerà anche lo Shabbat che si terrà durante il fine settimana dell’incoronazione con le comunità locali». Non va infine dimenticato che in passato c’è stata un’altra incoronazione caduta durante lo Shabbat nella storia moderna: l’incoronazione del re Edoardo VII, sabato 9 agosto 1902, prevista inizialmente per giovedì 26 giugno 1902, ma due giorni prima, gli era stata diagnosticata l’appendicite.
  Anthony Broza, CEO di Wienerworld, società di distribuzione musicale che ha partecipato alla realizzazione del coro dei bambini, ha commentato: «Wienerworld è molto orgogliosa di collaborare con la United Synagogue, i fratelli Portnoy e 200 giovani voci per produrre e distribuire questa nuova composizione di Adon Olam di Stephen Levey in onore dell’incoronazione». Ha quindi aggiunto: «Re Carlo III è sempre stato un fedele amico personale della comunità ebraica. Ci auguriamo che questa nuova registrazione di Adon Olam funga da ulteriore riconoscimento dell’affetto della comunità per la Royal Family e della nostra gratitudine per il fatto che gli ebrei possano osservare i loro costumi e tradizioni in modo sicuro e aperto nel Regno Unito».
Ha dichiarato a sua volta Jo Gross, CEO della United Synagogue: «Mentre il mondo è cambiato radicalmente da quando siamo stati fondati nel 1870, due costanti durante i nostri 153 anni di storia sono state la recitazione ogni settimana nelle nostre sinagoghe della Preghiera per la Famiglia Reale e la conclusione dei nostri servizi con Adon Olam. La United Synagogue è quindi lieta di celebrare l’incoronazione di Re Carlo III con questa nuova versione grazie a Wienerworld. Adon Olam è spesso cantato dai giovani membri della nostra comunità, quindi siamo particolarmente lieti di aver riunito circa 200 bambini delle nostre scuole ebraiche per esibirsi con i fratelli Portnoy. Speriamo che vi piacerà ascoltarlo e cantarlo durante lo Shabbat dell’Incoronazione e oltre!».
  Come si legge nel testo in calce al video su Youtube della Prima trasmessa il 28 aprile 2023 che conta già 27.870 visualizzazioni mentre scriviamo, i Portnoy Brothers fanno musica insieme da tempo immemorabile. La loro musica spazia in molti generi e il loro album più recente No Complaints (registrato tra Nashville e Gerusalemme) è entrato nella TOP 10 della classifica Billboard Heatseekers e presenta un duetto con Alex Clare. Hanno anche condiviso il palco con Idan Raichel e Ivri Lider e si sono esibiti, tra l’altro, con la Jerusalem Symphony Orchestra.
  Infine una curiosità: Questa di Re Carlo III sarà  l’incoronazione di molte fedi e di molte lingue. Il futuro sovrano, desideroso di dimostrare di poter essere una figura unificante per tutti nel Regno Unito, sarà incoronato in una cerimonia che per la prima volta includerà la partecipazione attiva di fedi diverse dalla Chiesa d’Inghilterra.
  Leader buddisti, indù, ebrei, musulmani e sikh prenderanno infatti parte a vari aspetti dell’incoronazione, ha detto sabato l’ufficio dell’Arcivescovo di Canterbury, rivelando i dettagli di un servizio descritto come un atto di culto cristiano che rifletterà la società contemporanea.
  La cerimonia includerà per la prima volta anche vescovi donna, oltre a inni e preghiere cantati in gallese, gaelico scozzese e gaelico irlandese, oltre che in inglese.
  Adon Olam sarà pubblicato come singolo su tutte le piattaforme di streaming e download insieme a un video su tutti i canali dei social media, con i proventi devoluti in beneficenza.

(Bet Magazine Mosaico, 1 maggio 2023)

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Israele, scoperta la bussola di un combattente dell’Haganah

di Jacqueline Sermoneta

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Ritrovata una bussola in ottone, risalente a 75 anni fa, in un sito a sud-ovest di Gerusalemme, dove, nel 1948, furono uccisi 35 combattenti dell’Haganah. Il luogo fu teatro di un sanguinoso scontro, noto nella storia d’Israele come la ‘battaglia dei Lamed-Heh’ – in ebraico, 35- durante la Guerra d’Indipendenza. Secondo quanto riferisce l’Israel Antiquities Authority (IAA), la bussola apparteneva proprio a uno di questi uomini.
  La storia del prezioso ritrovamento inizia il 16 gennaio 1948, quando un gruppo di combattenti dell’Haganah, la principale organizzazione militare ebraica prima della fondazione dello Stato d’Israele, partì per consegnare aiuti e rifornimenti a quattro kibbutzim di Gush Etzion, a sud di Gerusalemme. Prima dell’arrivo a destinazione, il convoglio militare fu intercettato e attaccato dagli arabi. Dopo uno scontro durato un giorno intero, tutti i 35 membri dell’Haganah, ormai senza munizioni, furono uccisi e mutilati. Alla fine della guerra, i loro corpi furono seppelliti nel cimitero del Monte Hertzl, a Gerusalemme.
  Oltre alla bussola, rinvenuti alcuni bossoli di mitragliatrice Bren. Secondo gli archeologi, uno di questi proiettili ha colpito la bussola, appartenuta probabilmente al comandante del battaglione Danny Mass o a uno dei due combattenti Yitzhak Halevi o Yitzhak Zevuloni.
  "Questo studio archeologico è diverso da qualsiasi altro - ha detto Eyal Marko dell'IAA, autore della scoperta insieme a Rafael Lewis dell'Ashkelon Academic College e dell'Università di Haifa. "Sebbene siano passati 75 anni dal massacro dei 35 uomini, qui ci sono i loro volti e i loro nomi. – hanno spiegato gli studiosi, come riporta il JNS - C'è una familiarità quasi personale con ognuno dei combattenti. Proviamo a fare la ricerca nel modo più scientifico possibile ma è molto difficile staccarsi dall'aspetto emotivo”.
  Il direttore dell'IAA Eli Eskosido ha aggiunto che “la toccante ricerca riconduce a momenti agghiaccianti della battaglia dei ‘Lamed-Heh’ e mostra che l'archeologia può essere utilizzata come strumento per comprendere eventi storici non solo del lontano passato ma anche di quello più recente”.
  In ricordo delle vittime della battaglia, nell'agosto del 1949, un gruppo di ex membri dell’unità d'élite Palmach (acronimo di “battaglioni d’assalto”) dell'Haganah ha fondato il kibbutz Netiv HaLamed-Heh, nella Valle di Elah.

(Shalom, 1 maggio 2023)

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