In verità tu sei un Dio che ti nascondi, o Dio d'Israele, o Salvatore! Saranno svergognati, sì, tutti quanti confusi, se n'andranno tutti assieme coperti di vergogna i fabbricanti di idoli; ma Israele sarà salvato dall'Eterno d'una salvezza eterna, voi non sarete svergognati né confusi, mai più in eterno.
Isaia 45:15-17

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Salmo 92
Salmo 92
    Canto per il giorno del sabato.
  1. Buona cosa è celebrare l'Eterno,
    e salmeggiare al tuo nome, o Altissimo;
  2. proclamare la mattina la tua benignità,
    e la tua fedeltà ogni notte,
  3. sul decacordo e sul saltèro,
    con l'accordo solenne dell'arpa!
  4. Poiché, o Eterno, tu m'hai rallegrato col tuo operare;
    io celebro con giubilo le opere delle tue mani.
  5. Come son grandi le tue opere, o Eterno!
    I tuoi pensieri sono immensamente profondi.

  6. L'uomo insensato non conosce
    e il pazzo non intende questo:
  7. che gli empi germoglian come l'erba
    e gli operatori d'iniquità fioriscono, per esser distrutti in perpetuo.
  8. Ma tu, o Eterno, siedi per sempre in alto.
  9. Poiché, ecco, i tuoi nemici, o Eterno,
    ecco, i tuoi nemici periranno,
    tutti gli operatori d'iniquità saranno dispersi.

  10. Ma tu mi dai la forza del bufalo;
    io son unto d'olio fresco.
  11. L'occhio mio si compiace nel veder la sorte di quelli che m'insidiano,
    le mie orecchie nell'udire quel che avviene ai malvagi
    che si levano contro di me.
  12. Il giusto fiorirà come la palma,
    crescerà come il cedro sul Libano.
  13. Quelli che son piantati nella casa dell'Eterno
    fioriranno nei cortili del nostro Dio.
  14. Porteranno ancora del frutto nella vecchiaia;
    saranno pieni di vigore e verdeggianti,
  15. per annunziare che l'Eterno è giusto;
    egli è la mia ròcca, e non v'è ingiustizia in lui.

Marcello Cicchese
gennaio 2017

Saggezza che viene da Dio
PROVERBI 2
  1. Figlio mio, se ricevi le mie parole e serbi con cura i miei comandamenti,
  2. prestando orecchio alla saggezza e inclinando il cuore all'intelligenza;
  3. sì, se chiami il discernimento e rivolgi la tua voce all'intelligenza,
  4. se la cerchi come l'argento e ti dai a scavarla come un tesoro,
  5. allora comprenderai il timore del Signore e troverai la scienza di Dio.
  6. Il Signore infatti dà la saggezza; dalla sua bocca provengono la scienza e l'intelligenza.
  7. Egli tiene in serbo per gli uomini retti un aiuto potente, uno scudo per quelli che camminano nell'integrità,
  8. allo scopo di proteggere i sentieri della giustizia e di custodire la via dei suoi fedeli.
  9. Allora comprenderai la giustizia, l'equità, la rettitudine, tutte le vie del bene.
  10. Perché la saggezza ti entrerà nel cuore, la scienza sarà la delizia dell'anima tua,
  11. la riflessione veglierà su di te, l'intelligenza ti proteggerà;
  12. essa ti scamperà così dalla via malvagia, dalla gente che parla di cose perverse,
  13. da quelli che lasciano i sentieri della rettitudine per camminare nelle vie delle tenebre,
  14. che godono a fare il male e si compiacciono delle perversità del malvagio,
  15. i cui sentieri sono contorti e percorrono vie tortuose.
  16. Ti salverà dalla donna adultera, dalla infedele che usa parole seducenti,
  17. che ha abbandonato il compagno della sua gioventù e ha dimenticato il patto del suo Dio.
  18. Infatti la sua casa pende verso la morte, e i suoi sentieri conducono ai defunti.
  19. Nessuno di quelli che vanno da lei ne ritorna, nessuno riprende i sentieri della vita.
  20. Così camminerai per la via dei buoni e rimarrai nei sentieri dei giusti.
  21. Gli uomini retti infatti abiteranno la terra, quelli che sono integri vi rimarranno;
  22. ma gli empi saranno sterminati dalla terra, gli sleali ne saranno estirpati.

Marcello Cicchese
aprile 2009

Sovranità e grazia di Dio
ROMANI 8
  1. Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno.
GENESI 6
  1. Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo.
  2. Il Signore si pentì d'aver fatto l'uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo.
  3. E il Signore disse: «Io sterminerò dalla faccia della terra l'uomo che ho creato: dall'uomo al bestiame, ai rettili, agli uccelli dei cieli; perché mi pento di averli fatti».
  4. Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore.
GENESI 12
  1. Il Signore disse ad Abramo: «Va' via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti mostrerò;
  2. io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione.
  3. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra».
ESODO 3
  1. Il Signore disse: «Ho visto, ho visto l'afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; infatti conosco i suoi affanni.
  2. Sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani e per farlo salire da quel paese in un paese buono e spazioso, in un paese nel quale scorre il latte e il miele, nel luogo dove sono i Cananei, gli Ittiti, gli Amorei, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei.
  3. E ora, ecco, le grida dei figli d'Israele sono giunte a me; e ho anche visto l'oppressione con cui gli Egiziani li fanno soffrire.
  4. Or dunque va'; io ti mando dal faraone perché tu faccia uscire dall'Egitto il mio popolo, i figli d'Israele».
ESODO 6
  1. Il Signore disse a Mosè: «Ora vedrai quello che farò al faraone; perché, forzato da una mano potente, li lascerà andare: anzi, forzato da una mano potente, li scaccerà dal suo paese».
  2. Dio parlò a Mosè e gli disse: «Io sono il Signore.
  3. Io apparvi ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe, come il Dio onnipotente; ma non fui conosciuto da loro con il mio nome di Signore.
  4. Stabilii pure il mio patto con loro, per dar loro il paese di Canaan, il paese nel quale soggiornavano come forestieri.
  5. Ho anche udito i gemiti dei figli d'Israele che gli Egiziani tengono in schiavitù e mi sono ricordato del mio patto.
  6. Perciò, di' ai figli d'Israele: "Io sono il Signore; quindi vi sottrarrò ai duri lavori di cui vi gravano gli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi salverò con braccio steso e con grandi atti di giudizio.
DEUTERONOMIO 8
  1. Abbiate cura di mettere in pratica tutti i comandamenti che oggi vi do, affinché viviate, moltiplichiate ed entriate in possesso del paese che il Signore giurò di dare ai vostri padri.
  2. Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, il tuo Dio, ti ha fatto fare in questi quarant'anni nel deserto per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandamenti.
  3. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per insegnarti che l'uomo non vive soltanto di pane, ma che vive di tutto quello che procede dalla bocca del Signore.
  1. Nel deserto ti ha nutrito di manna che i tuoi padri non avevano mai conosciuta, per umiliarti e per provarti, per farti, alla fine, del bene.

Marcello Cicchese
gennaio 2008

Preghiera sacerdotale 1

    GIOVANNI 17

  1. Queste cose disse Gesù; poi levati gli occhi al cielo, disse: Padre, l'ora è venuta; glorifica il tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te, 
  2. poiché gli hai data potestà sopra ogni carne, affinché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dato. 
  3. E questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. 
  4. Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l'opera che tu mi hai data a fare. 
  5. Ed ora, o Padre, glorificami tu presso te stesso della gloria che avevo presso di te avanti che il mondo fosse. 
  6. Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi, e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola. 
  7. Ora hanno conosciuto che tutte le cose che tu mi hai date, vengono da te; 
  8. poiché le parole che tu mi hai date, le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute, e hanno veramente conosciuto ch'io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato. 
  9. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dato, perché sono tuoi; 
  10. e tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie; ed io sono glorificato in loro. 
  11. Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, conservali nel tuo nome, essi che tu mi hai dati, affinché siano uno, come noi. 
  12. Mentre io ero con loro, io li conservavo nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi, e nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta. 
  13. Ma ora io vengo a te; e dico queste cose nel mondo, affinché abbiano compiuta in se stessi la mia allegrezza. 
  14. Io ho dato loro la tua parola; e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  15. Io non ti prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. 
  16. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  17. Santificali nella verità: la tua parola è verità.
  18. Come tu hai mandato me nel mondo, anch'io ho mandato loro nel mondo. 
  19. E per loro io santifico me stesso, affinché anch'essi siano santificati in verità.
  20. Io non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: 
  21. che siano tutti uno; che come tu, o Padre, sei in me, ed io sono in te, anch'essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato.
  22. E io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno come noi siamo uno; 
  23. io in loro, e tu in me; affinché siano perfetti nell'unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me.
  24. Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché veggano la mia gloria che tu mi hai data; poiché tu mi hai amato avanti la fondazione del mondo.
  25. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato; 
  26. ed io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l'amore del quale tu mi hai amato sia in loro, ed io in loro.

    ATTI 10

  1. Voi sapete quello che è avvenuto per tutta la Giudea cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni: 
  2. vale a dire, la storia di Gesù di Nazaret; come Dio l'ha unto di Spirito Santo e di potenza; e come egli è andato attorno facendo del bene, e guarendo tutti coloro che erano sotto il dominio del diavolo, perché Dio era con lui. 
  3. E noi siamo testimoni di tutte le cose ch'egli ha fatte nel paese dei Giudei e in Gerusalemme; ed essi l'hanno ucciso, appendendolo ad un legno. 
  4. Esso ha Dio risuscitato il terzo giorno, e ha fatto sì ch'egli si manifestasse 
  5. non a tutto il popolo, ma ai testimoni che erano prima stati scelti da Dio; cioè a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti.


Marcello Cicchese
agosto 2017

Preghiera sacerdotale 2

    GIOVANNI 17

  1. Queste cose disse Gesù; poi levati gli occhi al cielo, disse: Padre, l'ora è venuta; glorifica il tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te, 
  2. poiché gli hai data potestà sopra ogni carne, affinché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dato. 
  3. E questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. 
  4. Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l'opera che tu mi hai data a fare. 
  5. Ed ora, o Padre, glorificami tu presso te stesso della gloria che avevo presso di te avanti che il mondo fosse. 
  6. Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi, e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola. 
  7. Ora hanno conosciuto che tutte le cose che tu mi hai date, vengono da te; 
  8. poiché le parole che tu mi hai date, le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute, e hanno veramente conosciuto ch'io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato. 
  9. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dato, perché sono tuoi; 
  10. e tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie; ed io sono glorificato in loro. 
  11. Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, conservali nel tuo nome, essi che tu mi hai dati, affinché siano uno, come noi. 
  12. Mentre io ero con loro, io li conservavo nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi, e nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta. 
  13. Ma ora io vengo a te; e dico queste cose nel mondo, affinché abbiano compiuta in se stessi la mia allegrezza. 
  14. Io ho dato loro la tua parola; e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  15. Io non ti prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. 
  16. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  17. Santificali nella verità: la tua parola è verità.
  18. Come tu hai mandato me nel mondo, anch'io ho mandato loro nel mondo. 
  19. E per loro io santifico me stesso, affinché anch'essi siano santificati in verità.
  20. Io non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: 
  21. che siano tutti uno; che come tu, o Padre, sei in me, ed io sono in te, anch'essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato.
  22. E io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno come noi siamo uno; 
  23. io in loro, e tu in me; affinché siano perfetti nell'unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me.
  24. Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché veggano la mia gloria che tu mi hai data; poiché tu mi hai amato avanti la fondazione del mondo.
  25. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato; 
  26. ed io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l'amore del quale tu mi hai amato sia in loro, ed io in loro.


Marcello Cicchese
ottobre 2017

Un sabato sacro
ESODO 31
  1. L'Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo:
  2. 'Quanto a te, parla ai figli d'Israele e di' loro: Badate bene d'osservare i miei sabati, perché il sabato è un segno fra me e voi per tutte le vostre generazioni, affinché conosciate che io sono l'Eterno che vi santifica.
  3. Osserverete dunque il sabato, perché è per voi un giorno santo; chi lo profanerà dovrà essere messo a morte; chiunque farà in esso qualche lavoro sarà sterminato di fra il suo popolo.
  4. Si lavorerà sei giorni; ma il settimo giorno è un sabato di solenne riposo, sacro all'Eterno; chiunque farà qualche lavoro nel giorno del sabato dovrà esser messo a morte.
  5. I figli d'Israele quindi osserveranno il sabato, celebrandolo di generazione in generazione come un patto perpetuo.
  6. Esso è un segno perpetuo fra me e i figli d'Israele; poiché in sei giorni l'Eterno fece i cieli e la terra, e il settimo giorno cessò di lavorare, e si riposò'.
  7. Quando l'Eterno ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli dette le due tavole della testimonianza, tavole di pietra, scritte col dito di Dio.

Marcello Cicchese
maggio 2017

Benedizione a domicilio?
GENESI 12
  1. Il Signore disse ad Abramo: «Va' via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti mostrerò;
  2. io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione.
  3. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra».
  4. Abramo partì, come il Signore gli aveva detto, e Lot andò con lui. Abramo aveva settantacinque anni quando partì da Caran.
  5. Abramo prese Sarai sua moglie e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che possedevano e le persone che avevano acquistate in Caran, e partirono verso il paese di Canaan.
  6. Giunsero così nella terra di Canaan, e Abramo attraversò il paese fino alla località di Sichem, fino alla quercia di More. In quel tempo i Cananei erano nel paese.
  7. Il Signore apparve ad Abramo e disse: «Io darò questo paese alla tua discendenza». Lì Abramo costruì un altare al Signore che gli era apparso.
  8. Di là si spostò verso la montagna a oriente di Betel, e piantò le sue tende, avendo Betel a occidente e Ai ad oriente; lì costruì un altare al Signore e invocò il nome del Signore.

MARCO 10
  1. Mentre Gesù usciva per la via, un tale accorse e, inginocchiatosi davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?»
  2. Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio.
  3. Tu sai i comandamenti: "Non uccidere; non commettere adulterio; non rubare; non dire falsa testimonianza; non frodare nessuno; onora tuo padre e tua madre"».
  4. Ed egli rispose: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia gioventù».
  5. Gesù, guardatolo, l'amò e gli disse: «Una cosa ti manca! Va', vendi tutto ciò che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi».
  6. Ma egli, rattristato da quella parola, se ne andò dolente, perché aveva molti beni.
  7. Gesù, guardatosi attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno delle ricchezze entreranno nel regno di Dio!»
  8. I discepoli si stupirono di queste sue parole. E Gesù replicò loro: «Figlioli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio!
  9. È più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio».
  10. Ed essi sempre più stupiti dicevano tra di loro: «Chi dunque può essere salvato?»
  11. Gesù fissò lo sguardo su di loro e disse: «Agli uomini è impossibile, ma non a Dio; perché ogni cosa è possibile a Dio».
  12. Pietro gli disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito».
  13. Gesù rispose: «In verità vi dico che non vi è nessuno che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli, o campi, per amor mio e per amor del vangelo,
  14. il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto: case, fratelli, sorelle, madri, figli, campi, insieme a persecuzioni e, nel secolo a venire, la vita eterna.
  15. Ma molti primi saranno ultimi e molti ultimi primi».

PROVERBI 10
  1. Quel che fa ricchi è la benedizione dell'Eterno e il tormento che uno si dà non le aggiunge nulla.

Marcello Cicchese
giugno 2006


Salmo 56
Salmo 56
  1. Abbi pietà di me, o Dio, poiché gli uomini anelano a divorarmi; mi tormentano con una guerra di tutti i giorni;
  2. i miei nemici anelano del continuo a divorarmi, poiché sono molti quelli che m'assalgono con superbia.
  3. Nel giorno in cui temerò, io confiderò in te.
  4. Con l'aiuto di Dio celebrerò la sua parola; in Dio confido, e non temerò; che mi può fare il mortale?
  5. Torcono del continuo le mie parole; tutti i lor pensieri son vòlti a farmi del male.
  6. Si radunano, stanno in agguato, spiano i miei passi, come gente che vuole la mia vita.
  7. Rendi loro secondo la loro iniquità! O Dio, abbatti i popoli nella tua ira!
  8. Tu conti i passi della mia vita errante; raccogli le mie lacrime negli otri tuoi; non sono esse nel tuo registro?
  9. Nel giorno che io griderò, i miei nemici indietreggeranno. Questo io so: che Dio è per me.
  10. Con l'aiuto di Dio celebrerò la sua parola; con l'aiuto dell'Eterno celebrerò la sua parola.
  11. In Dio confido e non temerò; che mi può fare l'uomo?
  12. Tengo presenti i voti che t'ho fatti, o Dio; io t'offrirò sacrifizi di lode;
  13. poiché tu hai riscosso l'anima mia dalla morte, hai guardato i miei piedi da caduta, affinché io cammini, al cospetto di Dio, nella luce de' viventi.

Marcello Cicchese
agosto 2016

Una lampada al piede
Salmo 119
  1. La tua parola è una lampada al mio piede e una luce sul mio sentiero.
  2. Ho giurato, e lo manterrò, di osservare i tuoi giusti giudizi.
  3. Io sono molto afflitto; Signore, rinnova la mia vita secondo la tua parola.
  4. Signore, gradisci le offerte volontarie delle mie labbra e insegnami i tuoi giudizi.
  5. La mia vita è sempre in pericolo, ma io non dimentico la tua legge.
  6. Gli empi mi hanno teso dei lacci, ma io non mi sono allontanato dai tuoi precetti.
  7. Le tue testimonianze sono la mia eredità per sempre, esse sono la gioia del mio cuore.
  8. Ho messo il mio impegno a praticare i tuoi statuti, sempre, sino alla fine.

Marcello Cicchese
gennaio 2008

Il peggiore dei profeti
MATTEO

Capitolo 12
  1. Allora alcuni degli scribi e dei Farisei presero a dirgli: Maestro, noi vorremmo vederti operare un segno.
  2. Ma egli rispose loro: Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno; e segno non le sarà dato, tranne il segno del profeta Giona.
  3. Poiché, come Giona stette nel ventre del pesce tre giorni e tre notti, così starà il Figliuol dell'uomo nel cuor della terra tre giorni e tre notti.
  4. I Niniviti risorgeranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno, perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco qui vi è più che Giona!

GIONA

Capitolo 1
  1. La parola dell'Eterno fu rivolta a Giona, figliuolo di Amittai, in questi termini:
  2. 'Lèvati, va' a Ninive, la gran città, e predica contro di lei; perché la loro malvagità è salita nel mio cospetto'.
  3. Ma Giona si levò per fuggirsene a Tarsis, lungi dal cospetto dell'Eterno; e scese a Giaffa, dove trovò una nave che andava a Tarsis; e, pagato il prezzo del suo passaggio, s'imbarcò per andare con quei della nave a Tarsis, lungi dal cospetto dell'Eterno.
  4. Ma l'Eterno scatenò un gran vento sul mare, e vi fu sul mare una forte tempesta, sì che la nave minacciava di sfasciarsi.
  5. I marinai ebbero paura, e ognuno gridò al suo dio e gettarono a mare le mercanzie ch'erano a bordo, per alleggerire la nave; ma Giona era sceso nel fondo della nave, s'era coricato, e dormiva profondamente.
  6. Il capitano gli si avvicinò, e gli disse: 'Che fai tu qui a dormire? Lèvati, invoca il tuo dio! Forse Dio si darà pensiero di noi, e non periremo'.
  7. Poi dissero l'uno all'altro: 'Venite, tiriamo a sorte, per sapere a cagione di chi ci capita questa disgrazia'. Tirarono a sorte, e la sorte cadde su Giona.
  8. Allora essi gli dissero: 'Dicci dunque a cagione di chi ci capita questa disgrazia! Qual è la tua occupazione? donde vieni? qual è il tuo paese? e a che popolo appartieni?'
  9. Egli rispose loro: 'Sono Ebreo, e temo l'Eterno, l'Iddio del cielo, che ha fatto il mare e la terra ferma'.
  10. Allora quegli uomini furon presi da grande spavento, e gli dissero: 'Perché hai fatto questo?' Poiché quegli uomini sapevano ch'egli fuggiva lungi dal cospetto dell'Eterno, giacché egli avea dichiarato loro la cosa.
  11. E quelli gli dissero: 'Che ti dobbiam fare perché il mare si calmi per noi?' Poiché il mare si faceva sempre più tempestoso.
  12. Egli rispose loro: 'Pigliatemi e gettatemi in mare, e il mare si calmerà per voi; perché io so che questa forte tempesta vi piomba addosso per cagion mia'.
  13. Nondimeno quegli uomini davan forte nei remi per ripigliar terra; ma non potevano, perché il mare si faceva sempre più tempestoso e minaccioso.
  14. Allora gridarono all'Eterno, e dissero: 'Deh, o Eterno, non lasciar che periamo per risparmiar la vita di quest'uomo, e non ci mettere addosso del sangue innocente; perché tu, o Eterno, hai fatto quel che ti è piaciuto'.
  15. Poi presero Giona e lo gettarono in mare; e la furia del mare si calmò.
  16. E quegli uomini furon presi da un gran timore dell'Eterno; offrirono un sacrifizio all'Eterno, e fecero dei voti.

Capitolo 4
  1. Ma Giona ne provò un gran dispiacere, e ne fu irritato; e pregò l'Eterno, dicendo:
  2. 'O Eterno, non è egli questo ch'io dicevo, mentr'ero ancora nel mio paese? Perciò m'affrettai a fuggirmene a Tarsis; perché sapevo che sei un Dio misericordioso, pietoso, lento all'ira, di gran benignità, e che ti penti del male minacciato.
  3. Or dunque, o Eterno, ti prego, riprenditi la mia vita; poiché per me val meglio morire che vivere'.
  4. E l'Eterno gli disse: 'Fai tu bene a irritarti così?'
  5. Poi Giona uscì dalla città, e si mise a sedere a oriente della città; si fece quivi una capanna, e vi sedette sotto, all'ombra, stando a vedere quello che succederebbe alla città.
  6. E Dio, l'Eterno, per guarirlo della sua irritazione, fece crescere un ricino, che montò su di sopra a Giona per fargli ombra al capo; e Giona provò una grandissima gioia a motivo di quel ricino.
  7. Ma l'indomani, allo spuntar dell'alba, Iddio fece venire un verme, il quale attaccò il ricino, ed esso si seccò.
  8. E come il sole fu levato, Iddio fece soffiare un vento soffocante d'oriente, e il sole picchiò sul capo di Giona, sì ch'egli venne meno, e chiese di morire, dicendo: 'Meglio è per me morire che vivere'.
  9. E Dio disse a Giona: 'Fai tu bene a irritarti così a motivo del ricino?' Egli rispose: 'Sì, faccio bene a irritarmi fino alla morte'.
  10. E l'Eterno disse: 'Tu hai pietà del ricino per il quale non hai faticato, e che non hai fatto crescere, che è nato in una notte e in una notte è perito:
  11. e io non avrei pietà di Ninive, la gran città, nella quale si trovano più di centoventimila persone che non sanno distinguere la loro destra dalla loro sinistra, e tanta quantità di bestiame?'

Marcello Cicchese
febbraio 2015

Salmo 27
Salmo 27
  1. Il Signore è la mia luce e la mia salvezza; di chi temerò?
    Il Signore è il baluardo della mia vita; di chi avrò paura?
  2. Quando i malvagi, che mi sono avversari e nemici, mi hanno assalito per divorarmi, essi stessi hanno vacillato e sono caduti.
  3. Se un esercito si accampasse contro di me, il mio cuore non avrebbe paura; se infuriasse la battaglia contro di me, anche allora sarei fiducioso.
  4. Una cosa ho chiesto al Signore, e quella ricerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore, e meditare nel suo tempio.
  5. Poich'egli mi nasconderà nella sua tenda in giorno di sventura, mi custodirà nel luogo più segreto della sua dimora, mi porterà in alto sopra una roccia.
  6. E ora la mia testa s'innalza sui miei nemici che mi circondano. Offrirò nella sua dimora sacrifici con gioia; canterò e salmeggerò al Signore.

  7. O Signore, ascolta la mia voce quando t'invoco; abbi pietà di me, e rispondimi.
  8. Il mio cuore mi dice da parte tua: «Cercate il mio volto!»
    Io cerco il tuo volto, o Signore.
  9. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo;tu sei stato il mio aiuto; non lasciarmi, non abbandonarmi, o Dio della mia salvezza!
  10. Qualora mio padre e mia madre m'abbandonino, il Signore mi accoglierà.
  11. O Signore, insegnami la tua via, guidami per un sentiero diritto, a causa dei miei nemici.
  12. Non darmi in balìa dei miei nemici; perché sono sorti contro di me falsi testimoni, gente che respira violenza.
  13. Ah, se non avessi avuto fede di veder la bontà del Signore sulla terra dei viventi!
  14. Spera nel Signore! Sii forte, il tuo cuore si rinfranchi; sì, spera nel Signore!

Marcello Cicchese
dicembre 2007

Il Re dei Giudei
Il Re dei Giudei

Dalla Sacra Scrittura

MATTEO 2
  1. Or essendo Gesù nato in Betleem di Giudea, ai dì del re Erode, ecco dei magi d'Oriente arrivarono in Gerusalemme, dicendo:
  2. Dov'è il re de' Giudei che è nato? Poiché noi abbiam veduto la sua stella in Oriente e siam venuti per adorarlo.
  3. Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.
  4. E radunati tutti i capi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informò da loro dove il Cristo doveva nascere.
  5. Ed essi gli dissero: In Betleem di Giudea; poiché così è scritto per mezzo del profeta:
  6. E tu, Betleem, terra di Giuda, non sei punto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un Principe, che pascerà il mio popolo Israele.
  7. Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s'informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparita;
  8. e mandandoli a Betleem, disse loro: Andate e domandate diligentemente del fanciullino; e quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo.
  9. Essi dunque, udito il re, partirono; ed ecco la stella che avevano veduta in Oriente, andava dinanzi a loro, finché, giunta al luogo dov'era il fanciullino, vi si fermò sopra.
  10. Ed essi, veduta la stella, si rallegrarono di grandissima allegrezza.
  11. Ed entrati nella casa, videro il fanciullino con Maria sua madre; e prostratisi, lo adorarono; ed aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra.
  12. Poi, essendo stati divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, per altra via tornarono al loro paese.
GIOVANNI 18
  1. Poi, da Caiàfa, menarono Gesù nel pretorio. Era mattina, ed essi non entrarono nel pretorio per non contaminarsi e così poter mangiare la pasqua.
  2. Pilato dunque uscì fuori verso di loro, e domandò: Quale accusa portate contro quest'uomo?
  3. Essi risposero e gli dissero: Se costui non fosse un malfattore, non te lo avremmo dato nelle mani.
  4. Pilato quindi disse loro: Pigliatelo voi, e giudicatelo secondo la vostra legge. I Giudei gli dissero: A noi non è lecito far morire alcuno.
  5. E ciò affinché si adempisse la parola che Gesù aveva detta, significando di qual morte doveva morire.
  6. Pilato dunque rientrò nel pretorio; chiamò Gesù e gli disse: Sei tu il Re dei Giudei?
  7. Gesù gli rispose: Dici tu questo di tuo, oppure altri te l'hanno detto di me?
  8. Pilato gli rispose: Son io forse giudeo? La tua nazione e i capi sacerdoti t'hanno messo nelle mie mani; che hai fatto?
  9. Gesù rispose: il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perch'io non fossi dato in mano dei Giudei; ma ora il mio regno non è di qui.
  10. Allora Pilato gli disse: Ma dunque, sei tu re? Gesù rispose: Tu lo dici; io sono re; io sono nato per questo, e per questo son venuto nel mondo, per testimoniare della verità. Chiunque è per la verità ascolta la mia voce.
  11. Pilato gli disse: Che cos'è verità? E detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei, e disse loro: Io non trovo alcuna colpa in lui.
  12. Ma voi avete l'usanza ch'io vi liberi uno per la Pasqua; volete dunque che vi liberi il Re de' Giudei?
  13. Allora gridaron di nuovo: Non costui, ma Barabba! Or Barabba era un ladrone.
Marcello Cicchese
ottobre 2019

Come cerva che assetata
Marcello Cicchese
gennaio 2008

Vanità delle vanità
Vanità delle vanità, tutto è vanità

Dalla Sacra Scrittura

ECCLESIASTE 1
  1. Parole dell'Ecclesiaste, figlio di Davide, re di Gerusalemme.
  2. Vanità delle vanità, dice l'Ecclesiaste, vanità delle vanità, tutto è vanità.
  3. Che profitto ha l'uomo di tutta la fatica che sostiene sotto il sole?
  4. Una generazione se ne va, un'altra viene, e la terra sussiste per sempre.
  5. Anche il sole sorge, poi tramonta, e si affretta verso il luogo da cui sorgerà di nuovo.
  6. Il vento soffia verso il mezzogiorno, poi gira verso settentrione; va girando, girando continuamente, per ricominciare gli stessi giri.
  7. Tutti i fiumi corrono al mare, eppure il mare non si riempie; al luogo dove i fiumi si dirigono, continuano a dirigersi sempre.
  8. Ogni cosa è in travaglio, più di quanto l'uomo possa dire; l'occhio non si sazia mai di vedere e l'orecchio non è mai stanco di udire.
  9. Ciò che è stato è quel che sarà; ciò che si è fatto è quel che si farà; non c'è nulla di nuovo sotto il sole.
  10. C'è forse qualcosa di cui si possa dire: «Guarda, questo è nuovo?» Quella cosa esisteva già nei secoli che ci hanno preceduto.
  11. Non rimane memoria delle cose d'altri tempi; così di quanto succederà in seguito non rimarrà memoria fra quelli che verranno più tardi.
  12. Io, l'Ecclesiaste, sono stato re d'Israele a Gerusalemme,
  13. e ho applicato il cuore a cercare e a investigare con saggezza tutto ciò che si fa sotto il cielo: occupazione penosa, che Dio ha data ai figli degli uomini perché vi si affatichino.
  14. Io ho visto tutto ciò che si fa sotto il sole: ed ecco tutto è vanità, è un correre dietro al vento.
  15. Ciò che è storto non può essere raddrizzato, ciò che manca non può essere contato.
  16. Io ho detto, parlando in cuor mio: «Ecco io ho acquistato maggiore saggezza di tutti quelli che hanno regnato prima di me a Gerusalemme; sì, il mio cuore ha posseduto molta saggezza e molta scienza».
  17. Ho applicato il cuore a conoscere la saggezza, e a conoscere la follia e la stoltezza; ho riconosciuto che anche questo è un correre dietro al vento.
  18. Infatti, dov'è molta saggezza c'è molto affanno, e chi accresce la sua scienza accresce il suo dolore.

ECCLESIASTE 2
  1. Io ho detto in cuor mio: «Andiamo! Ti voglio mettere alla prova con la gioia, e tu godrai il piacere!» Ed ecco che anche questo è vanità.
  2. Io ho detto del riso: «É una follia»; e della gioia: «A che giova?»
  1. Perciò ho odiato la vita, perché tutto quello che si fa sotto il sole mi è divenuto odioso, poiché tutto è vanità, un correre dietro al vento.

ECCLESIASTE 12
  1. Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso: Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto dell'uomo.

1 PIETRO 1
  1. E se invocate come Padre colui che giudica senza favoritismi, secondo l'opera di ciascuno, comportatevi con timore durante il tempo del vostro soggiorno terreno;
  2. sapendo che non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vano modo di vivere tramandatovi dai vostri padri,
  3. ma con il prezioso sangue di Cristo, come quello di un agnello senza difetto né macchia.
  4. Già designato prima della creazione del mondo, egli è stato manifestato negli ultimi tempi per voi;
  5. per mezzo di lui credete in Dio che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria affinché la vostra fede e la vostra speranza fossero in Dio.
  6. Avendo purificato le anime vostre con l'ubbidienza alla verità per giungere a un sincero amor fraterno, amatevi intensamente a vicenda di vero cuore,
  7. perché siete stati rigenerati non da seme corruttibile, ma incorruttibile, cioè mediante la parola vivente e permanente di Dio.
  8. Infatti, «ogni carne è come l'erba, e ogni sua gloria come il fiore dell'erba. L'erba diventa secca e il fiore cade;
  9. ma la parola del Signore rimane in eterno». E questa è la parola della buona notizia che vi è stata annunziata.

1 CORINZI 15
  1. Quando poi questo corruttibile avrà rivestito incorruttibilità e questo mortale avrà rivestito immortalità, allora sarà adempiuta la parola che è scritta: «La morte è stata sommersa nella vittoria».
  2. «O morte, dov'è la tua vittoria? O morte, dov'è il tuo dardo?»
  3. Ora il dardo della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge;
  4. ma ringraziato sia Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo.
  5. Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, sempre abbondanti nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.
Marcello Cicchese
8 ottobre 2006

La prova della fede
La prova della fede

Dalla Sacra Scrittura

GIACOMO 1
  1. Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù che sono disperse nel mondo: salute.
  2. Fratelli miei, considerate una grande gioia quando venite a trovarvi in prove svariate,
  3. sapendo che la prova della vostra fede produce costanza.
  4. E la costanza compia pienamente l'opera sua in voi, perché siate perfetti e completi, di nulla mancanti.
  5. Se poi qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio che dona a tutti generosamente senza rinfacciare, e gli sarà data.
  6. Ma la chieda con fede, senza dubitare; perché chi dubita rassomiglia a un'onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là.
  7. Un tale uomo non pensi di ricevere qualcosa dal Signore,
  8. perché è di animo doppio, instabile in tutte le sue vie.
  9. Il fratello di umile condizione sia fiero della sua elevazione;
  10. e il ricco, della sua umiliazione, perché passerà come il fiore dell'erba.
  11. Infatti il sole sorge con il suo calore ardente e fa seccare l'erba, e il suo fiore cade e la sua bella apparenza svanisce; anche il ricco appassirà così nelle sue imprese.
  12. Beato l'uomo che sopporta la prova; perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita, che il Signore ha promessa a quelli che lo amano.
Marcello Cicchese
1 ottobre 2006

L’enigma Gesù
L’enigma Gesù

Dalla Sacra Scrittura

MARCO 15
  1. E venuta l'ora sesta, si fecero tenebre per tutto il paese, fino all'ora nona.
  2. E all'ora nona, Gesù gridò con gran voce: Eloì, Eloì, lamà sabactanì? il che, interpretato, vuol dire: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
  3. E alcuni degli astanti, udito ciò, dicevano: Ecco, chiama Elia!
  4. E uno di loro corse, e inzuppata d'aceto una spugna, e postala in cima ad una canna, gli diè da bere dicendo: Aspettate, vediamo se Elia viene a trarlo giù.
  5. E Gesù, gettato un gran grido, rendé lo spirito.
  1. Ed essendo già sera (poiché era Preparazione, cioè la vigilia del sabato),
  2. venne Giuseppe d'Arimatea, consigliere onorato, il quale aspettava anch'egli il Regno di Dio; e, preso ardire, si presentò a Pilato e domandò il corpo di Gesù.
  3. Pilato si meravigliò ch'egli fosse già morto; e chiamato a sé il centurione, gli domandò se era morto da molto tempo;
  4. e saputolo dal centurione, donò il corpo a Giuseppe.
  5. E questi, comprato un panno lino e tratto Gesù giù di croce, l'involse nel panno e lo pose in una tomba scavata nella roccia, e rotolò una pietra contro l'apertura del sepolcro.
ATTI 1
  1. Nel mio primo libro, o Teofilo, parlai di tutto quel che Gesù prese e a fare e ad insegnare,
  2. fino al giorno che fu assunto in cielo, dopo aver dato per lo Spirito Santo dei comandamenti agli apostoli che avea scelto.
  3. Ai quali anche, dopo ch'ebbe sofferto, si presentò vivente con molte prove, facendosi veder da loro per quaranta giorni, e ragionando delle cose relative al regno di Dio.

  4. E trovandosi con essi, ordinò loro di non dipartirsi da Gerusalemme, ma di aspettarvi il compimento della promessa del Padre, la quale, egli disse, avete udita da me.
  5. Poiché Giovanni Battista battezzò sì con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo tra non molti giorni.
  6. Quelli dunque che erano radunati, gli domandarono: Signore, è egli in questo tempo che ristabilirai il regno ad Israele?
  7. Egli rispose loro: Non sta a voi di sapere i tempi o i momenti che il Padre ha riserbato alla sua propria autorità.
  8. Ma voi riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni e in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all'estremità della terra.

  9. E dette queste cose, mentre essi guardavano, fu elevato; e una nuvola, accogliendolo, lo tolse d'innanzi agli occhi loro.
  10. E come essi aveano gli occhi fissi in cielo, mentr'egli se ne andava, ecco che due uomini in vesti bianche si presentarono loro e dissero:
  11. Uomini Galilei, perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù che è stato tolto da voi ed assunto dal cielo, verrà nella medesima maniera che l'avete veduto andare in cielo.

  12. Allora essi tornarono a Gerusalemme dal monte chiamato dell'Uliveto, il quale è vicino a Gerusalemme, non distandone che un cammin di sabato.
  13. E come furono entrati, salirono nella sala di sopra ove solevano trattenersi Pietro e Giovanni e Giacomo e Andrea, Filippo e Toma, Bartolomeo e Matteo, Giacomo d'Alfeo, e Simone lo Zelota, e Giuda di Giacomo.
  14. Tutti costoro perseveravano di pari consentimento nella preghiera, con le donne, e con Maria, madre di Gesù, e coi fratelli di lui.
Marcello Cicchese
dicembre 2019

Salmi 124, 129
Salmo 124
  1. Se non fosse stato l'Eterno
    che fu per noi,
    lo dica pure ora Israele,
  2. se non fosse stato l'Eterno
    che fu per noi,
    quando gli uomini si levarono
    contro noi,
  3. allora ci avrebbero inghiottiti tutti vivi, quando l'ira loro
    ardeva contro noi;
  4. allora le acque ci avrebbero sommerso, il torrente sarebbe passato sull'anima nostra;
  5. allora le acque orgogliose sarebbero passate sull'anima nostra.
  6. Benedetto sia l'Eterno
    che non ci ha dato in preda ai loro denti!
  7. L'anima nostra è scampata,
    come un uccello dal laccio degli uccellatori;
    il laccio è stato rotto, e noi siamo scampati.
  8. Il nostro aiuto è nel nome dell'Eterno,
    che ha fatto il cielo e la terra.

Salmo 129
  1. Molte volte m'hanno oppresso dalla mia giovinezza!
    Lo dica pure Israele:
  2. Molte volte m'hanno oppresso dalla mia giovinezza;
    eppure, non hanno potuto vincermi.
  3. Degli aratori hanno arato sul mio dorso,
    v'hanno tracciato i loro lunghi solchi.
  4. L'Eterno è giusto;
    egli ha tagliato le funi degli empi.
  5. Siano confusi e voltin le spalle
    tutti quelli che odiano Sion!
  6. Siano come l'erba dei tetti,
    che secca prima di crescere!
  7. Non se n'empie la mano il mietitore,
    né le braccia chi lega i covoni;
  8. e i passanti non dicono:
    La benedizione dell'Eterno sia sopra voi;
    noi vi benediciamo nel nome dell'Eterno!
Marcello Cicchese
31 maggio 2015

Dio con gli uomini
Dio abiterà con gli uomini

Dalla Sacra Scrittura

Apocalisse 21:1-3
  1. Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, poiché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi, e il mare non c'era più.
  2. E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scendere giù dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.
  3. E udii una gran voce dal trono, che diceva: «Ecco il tabernacolo (skene) di Dio con gli uomini! Egli abiterà (skenao) con loro, ed essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà loro Dio."
Esodo 25
  1. E mi facciano un santuario perch'io abiti (shachan) in mezzo a loro.
  2. Me lo farete in tutto e per tutto secondo il modello del tabernacolo (mishchan) e secondo il modello di tutti i suoi arredi, che io sto per mostrarti.
Esodo 29
  1. Sarà un olocausto perpetuo offerto dai vostri discendenti, all'ingresso della tenda di convegno, davanti all'Eterno, dove io v'incontrerò per parlare qui con te.
  2. E là io mi troverò coi figli d'Israele; e la tenda sarà santificata dalla mia gloria.
  3. E santificherò la tenda di convegno e l'altare; anche Aaronne e i suoi figliuoli santificherò, perché mi esercitino l'ufficio di sacerdoti.
  4. E abiterò (shachan) in mezzo ai figli d'Israele e sarò il loro Dio.
  5. Ed essi conosceranno che io sono l'Eterno, l'Iddio loro, che li ho tratti dal paese d'Egitto per abitare (shachan) tra loro. Io sono l'Eterno, l'Iddio loro.
Giovanni 1
  1. E la Parola è stata fatta carne ed ha abitato (skenao) per un tempo fra noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come quella dell'Unigenito venuto da presso al Padre.
Luca 17
  1. Il regno di Dio non viene in modo da attirare gli sguardi; né si dirà:
  2. "Eccolo qui", o "eccolo là"; perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi.
Giovanni 1
  1. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, ma il mondo non l'ha conosciuto.
  2. È venuto in casa sua, e i suoi non l'hanno ricevuto:
  3. ma a tutti quelli che l'hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio; a quelli, cioè, che credono nel suo nome.
Matteo 18
  1. Poiché dovunque due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro.
1 Corinzi 3
  1. Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?
  2. Se uno guasta il tempio di Dio, Dio guasterà lui; poiché il tempio di Dio è santo; e questo tempio siete voi.
Giovanni 14
  1. Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me!
  2. Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che vado a prepararvi un luogo?
  3. Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi".
Marcello Cicchese
novembre 2016

Io vi darò riposo
  «Io vi darò riposo»

  Matteo 11:28-30
  Venite a me, voi tutti
  che siete travagliati ed aggravati,
  e io vi darò riposo.
  Prendete su voi il mio giogo
  ed imparate da me,
  perch'io sono mansueto ed umile di cuore;
  e voi troverete riposo alle anime vostre;
  poiché il mio giogo è dolce
  e il mio carico è leggero.

Marcello Cicchese
ottobre 2015

Tempi difficili
Negli ultimi giorni
verranno tempi difficili


Seconda lettera di Paolo a Timoteo

Capitolo 3
  1. Or sappi questo: che negli ultimi giorni verranno dei tempi difficili;
  2. perché gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanagloriosi, superbi, bestemmiatori, disubbidienti ai genitori, ingrati, irreligiosi,
  3. senza affezione naturale, mancatori di fede, calunniatori, intemperanti, spietati, senza amore per il bene,
  4. traditori, temerari, gonfi, amanti del piacere anziché di Dio,
  5. avendo le forme della pietà, ma avendone rinnegata la potenza.
  6. Anche costoro schiva! Poiché del numero di costoro sono quelli che s'insinuano nelle case e cattivano donnicciuole cariche di peccati, e agitate da varie cupidigie,
  7. che imparano sempre e non possono mai pervenire alla conoscenza della verità.
  8. E come Jannè e Iambrè contrastarono a Mosè, così anche costoro contrastano alla verità: uomini corrotti di mente, riprovati quanto alla fede.
  9. Ma non andranno più oltre, perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti, come fu quella di quegli uomini.
  10. Quanto a te, tu hai tenuto dietro al mio insegnamento, alla mia condotta, ai miei propositi, alla mia fede, alla mia pazienza, al mio amore, alla mia costanza,
  11. alle mie persecuzioni, alle mie sofferenze, a quel che mi avvenne ad Antiochia, ad Iconio ed a Listra. Sai quali persecuzioni ho sopportato; e il Signore mi ha liberato da tutte.
  12. E d'altronde tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati;
  13. mentre i malvagi e gli impostori andranno di male in peggio, seducendo ed essendo sedotti.
  14. Ma tu persevera nelle cose che hai imparate e delle quali sei stato accertato, sapendo da chi le hai imparate,
  15. e che fin da fanciullo hai avuto conoscenza degli Scritti sacri, i quali possono renderti savio a salute mediante la fede che è in Cristo Gesù.
  16. Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile ad insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia,
  17. affinché l'uomo di Dio sia compiuto, appieno fornito per ogni opera buona.

Capitolo 4
  1. Io te ne scongiuro nel cospetto di Dio e di Cristo Gesù che ha da giudicare i vivi e i morti, e per la sua apparizione e per il suo regno:
  2. Predica la Parola, insisti a tempo e fuor di tempo, riprendi, sgrida, esorta con grande pazienza e sempre istruendo.
  3. Perché verrà il tempo che non sopporteranno la sana dottrina; ma per prurito d'udire si accumuleranno dottori secondo le loro proprie voglie
  4. e distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole.
  5. Ma tu sii vigilante in ogni cosa, soffri afflizioni, fa' l'opera d'evangelista, compi tutti i doveri del tuo ministero.
Marcello Cicchese
luglio 2015

Il libro di Giobbe
Giobbe: una questione di giustizia

La figura di Giobbe viene di solito messa in relazione con il problema della sofferenza. Dallo studio del libro su cui si basa la seguente predicazione emerge invece che l’angoscioso tormento in cui si dibatte Giobbe non è dovuto all’inesplicabilità del problema della sofferenza, ma al crollo di un pilastro che aveva sostenuto fino a quel momento la sua vita: la fede nella giustizia di Dio. Le “buone parole” con cui i suoi amici cercano di metterlo sulla buona strada lo spingono sempre di più sul ciglio di un baratro in cui corre il rischio di cadere e perdersi definitivamente: il pensiero di essere più giusto di Dio.

Marcello Cicchese
novembre 2018

Testo delle letture

1.6 Or accadde un giorno, che i figli di Dio vennero a presentarsi davanti all'Eterno, e Satana venne anch'egli in mezzo a loro.
   7 E l'Eterno disse a Satana: 'Da dove vieni?' E Satana rispose all'Eterno: 'Dal percorrere la terra e dal passeggiar per essa'.
   8 E l'Eterno disse a Satana: 'Hai tu notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Iddio e fugga il male'.
   9 E Satana rispose all'Eterno: 'È egli forse per nulla che Giobbe teme Iddio?
 10 Non l'hai tu circondato d'un riparo, lui, la sua casa, e tutto quello che possiede? Tu hai benedetto l'opera delle sue mani, e il suo bestiame ricopre tutto il paese.
 11 Ma stendi un po' la tua mano, tocca quanto egli possiede, e vedrai se non ti rinnega in faccia'.
 12 E l'Eterno disse a Satana: 'Ebbene! tutto quello che possiede è in tuo potere; soltanto, non stender la mano sulla sua persona'. - E Satana si ritirò dalla presenza dell'Eterno.


1.20 Allora Giobbe si alzò e si stracciò il mantello e si rase il capo e si prostrò a terra e adorò e disse:
   21 'Nudo sono uscito dal seno di mia madre, e nudo tornerò in seno della terra; l'Eterno ha dato, l'Eterno ha tolto; sia benedetto il nome dell'Eterno'.
   22 In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di mal fatto.


2.E l'Eterno disse a Satana:
   3 'Hai tu notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Iddio e fugga il male. Egli si mantiene saldo nella sua integrità benché tu m'abbia incitato contro di lui per rovinarlo senza alcun motivo'.
   4 E Satana rispose all'Eterno: 'Pelle per pelle! L'uomo dà tutto quel che possiede per la sua vita;
   5 ma stendi un po' la tua mano, toccagli le ossa e la carne, e vedrai se non ti rinnega in faccia'.
   6 E l'Eterno disse a Satana: 'Ebbene esso è in tuo potere; soltanto, rispetta la sua vita'.
   7 E Satana si ritirò dalla presenza dell'Eterno e colpì Giobbe d'un'ulcera maligna dalla pianta de' piedi al sommo del capo; e Giobbe prese un còccio per grattarsi, e stava seduto nella cenere.
   8 E sua moglie gli disse: 'Ancora stai saldo nella tua integrità?
   9 Ma lascia stare Iddio, e muori!'
10 E Giobbe a lei: 'Tu parli da donna insensata! Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuteremmo d'accettare il male?' - In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra.


3.1 Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il giorno della sua nascita.
   2 E prese a dire così:
   3 «Perisca il giorno ch'io nacqui e la notte che disse: 'È concepito un maschio!'
   4 Quel giorno si converta in tenebre, non se ne curi Iddio dall'alto, né splenda sovr'esso raggio di luce!
   5 Se lo riprendano le tenebre e l'ombra di morte, resti sovr'esso una fitta nuvola, le eclissi lo riempiano di paura!


3.11 Perché non morii nel seno di mia madre? Perché non spirai appena uscito dalle sue viscere?
   12 Perché trovai delle ginocchia per ricevermi e delle mammelle da poppare?
   20 Perché dar la luce all'infelice e la vita a chi ha l'anima nell'amarezza,
   23 Perché dar vita a un uomo la cui via è oscura, e che Dio ha stretto in un cerchio?


9.20 Fossi pur giusto, la mia bocca stessa mi condannerebbe; fossi pure integro, essa mi farebbe dichiarar perverso.
   21 Integro! Sì, lo sono! di me non mi preme, io disprezzo la vita!
   22 Per me è tutt'uno! perciò dico: 'Egli distrugge ugualmente l'integro ed il malvagio.
   23 Se un flagello, a un tratto, semina la morte, egli ride dello sgomento degli innocenti.
   24 La terra è data in balìa dei malvagi; egli vela gli occhi ai giudici di essa; se non è lui, chi è dunque'?


13.7 Volete dunque difendere Iddio parlando iniquamente?


19.5 Ma se proprio volete insuperbire contro di me e rimproverarmi la vergogna in cui mi trovo,
    6 allora sappiatelo: chi m'ha fatto torto e m'ha avvolto nelle sue reti è Dio.
    7 Ecco, io grido: 'Violenza!' e nessuno risponde; imploro aiuto, ma non c'è giustizia!


24.12 Sale dalle città il gemito dei morenti; l'anima de' feriti implora aiuto, e Dio non si cura di codeste infamie!

24.22 Iddio con la sua forza prolunga i giorni dei prepotenti, i quali risorgono, quand'ormai disperavano della vita.

24.25 Se così non è, chi mi smentirà, chi annienterà il mio dire?


27.5 Lungi da me l'idea di darvi ragione! Fino all'ultimo respiro non mi lascerò togliere la mia integrità.
    6 Ho preso a difendere la mia giustizia e non cederò; il cuore non mi rimprovera uno solo dei miei giorni.


31.35 Oh, avessi pure chi m'ascoltasse!... ecco qua la mia firma! l'Onnipotente mi risponda! Scriva l'avversario mio la sua querela,
    36 ed io la porterò attaccata alla mia spalla, me la cingerò come un diadema!
    37 Gli renderò conto di tutti i miei passi, a lui mi avvicinerò come un principe!


1.6 Or avvenne un giorno, che i figli di Dio vennero a presentarsi davanti all'Eterno, e Satana venne anch'egli in mezzo a loro.


16.19 Già fin d'ora, ecco, il mio Testimonio è in cielo, il mio Garante è nei luoghi altissimi.
    20 Gli amici mi deridono, ma a Dio si volgon piangenti gli occhi miei;
    21 sostenga egli le ragioni dell'uomo presso Dio, le ragioni del figlio dell'uomo contro i suoi compagni!


19.25 Ma io so che il mio Vendicatore vive, e che alla fine si leverà sulla polvere.
    26 E quando, dopo la mia pelle, sarà distrutto questo corpo, senza la mia carne, vedrò Iddio.
    27 Io lo vedrò a me favorevole; lo contempleranno gli occhi miei, non quelli d'un altro... il cuore, dalla brama, mi si strugge in seno!


9.32 Dio non è un uomo come me, perch'io gli risponda e che possiam comparire in giudizio assieme.
  33 Non c'è fra noi un arbitro, che posi la mano su tutti e due!


42.7 Dopo che ebbe rivolto questi discorsi a Giobbe, l'Eterno disse a Elifaz di Teman: 'L'ira mia è accesa contro te e contro i tuoi due amici, perché non avete parlato di me secondo la verità, come ha fatto il mio servo Giobbe.


32.1 Quei tre uomini cessarono di rispondere a Giobbe perché egli si credeva giusto.
     2 Allora l'ira di Elihu, figliuolo di Barakeel il Buzita, della tribù di Ram, s'accese:
     3 s'accese contro Giobbe, perché riteneva giusto se stesso anziché Dio; s'accese anche contro i tre amici di lui perché non avean trovato che rispondere, sebbene condannassero Giobbe.


32.13 Non avete dunque ragione di dire: 'Abbiam trovato la sapienza! Dio soltanto lo farà cedere; non l'uomo!'
 14 Egli non ha diretto i suoi discorsi contro a me, ed io non gli risponderò colle vostre parole.


33.1 Ma pure, ascolta, o Giobbe, il mio dire, porgi orecchio a tutte le mie parole!
   2 Ecco, apro la bocca, la lingua parla sotto il mio palato.
   3 Nelle mie parole è la rettitudine del mio cuore; e le mie labbra diran sinceramente quello che so.
   4 Lo spirito di Dio mi ha creato, e il soffio dell'Onnipotente mi dà la vita.
   5 Se puoi, rispondimi; prepara le tue ragioni, fatti avanti!
   6 Ecco, io sono uguale a te davanti a Dio; anch'io, fui tratto dall'argilla.
   7 Spavento di me non potrà quindi sgomentarti, e il peso della mia autorità non ti potrà schiacciare.
   8 Davanti a me tu dunque hai detto (e ho bene udito il suono delle tue parole):
   9 'Io sono puro, senza peccato; sono innocente, non c'è iniquità in me;
 10 ma Dio trova contro me degli appigli ostili, mi tiene per suo nemico;
 11 mi mette i piedi nei ceppi, spia tutti i miei movimenti'.
 12 E io ti rispondo: In questo non hai ragione; giacché Dio è più grande dell'uomo.
 13 Perché contendi con lui? poich'egli non rende conto d'alcuno dei suoi atti.
 14 Iddio parla, bensì, una volta ed anche due, ma l'uomo non ci bada;
 15 parla per via di sogni, di visioni notturne, quando un sonno profondo cade sui mortali, quando sui loro letti essi giacciono assopiti;
 16 allora egli apre i loro orecchi e dà loro in segreto degli ammonimenti,
 17 per distoglier l'uomo dal suo modo d'agire e tener lungi da lui la superbia;
 18 per salvargli l'anima dalla fossa, la vita dal dardo mortale.
 19 L'uomo è anche ammonito sul suo letto, dal dolore, dall'agitazione incessante delle sue ossa;
 20 quand'egli ha in avversione il pane, e l'anima sua schifa i cibi più squisiti;
 21 la carne gli si consuma, e sparisce, mentre le ossa, prima invisibili, gli escon fuori,
 22 l'anima sua si avvicina alla fossa, e la sua vita a quelli che danno la morte.
 23 Ma se, presso a lui, v'è un angelo, un interprete, uno solo fra i mille, che mostri all'uomo il suo dovere,
 24 Iddio ha pietà di lui e dice: 'Risparmialo, che non scenda nella fossa! Ho trovato il suo riscatto'.
 25 Allora la sua carne divien fresca più di quella d'un bimbo; egli torna ai giorni della sua giovinezza;
 26 implora Dio, e Dio gli è propizio; gli dà di contemplare il suo volto con giubilo, e lo considera di nuovo come giusto.
 27 Ed egli va cantando fra la gente e dice: 'Avevo peccato, pervertito la giustizia, e non sono stato punito come meritavo.
 28 Iddio ha riscattato l'anima mia, onde non scendesse nella fossa e la mia vita si schiude alla luce!'
 29 Ecco, tutto questo Iddio lo fa due, tre volte, all'uomo,
 30 per ritrarre l'anima di lui dalla fossa, perché su di lei splenda la luce della vita.
 31 Sta' attento, Giobbe, dammi ascolto; taci, ed io parlerò.
 32 Se hai qualcosa da dire, rispondi, parla, ché io vorrei poterti dar ragione. 33 Se no, tu dammi ascolto, taci, e t'insegnerò la saviezza».


34.29 Quando Iddio dà requie chi lo condannerà? Chi potrà contemplarlo quando nasconde il suo volto a una nazione ovvero a un individuo,
 30 per impedire all'empio di regnare, per allontanar dal popolo le insidie?
 31 Quell'empio ha egli detto a Dio: 'Io porto la mia pena, non farò più il male,
 32 mostrami tu quel che non so vedere; se ho agito perversamente, non lo farò più'?
 33 Dovrà forse Iddio render la giustizia a modo tuo, che tu lo critichi? Ti dirà forse: 'Scegli tu, non io, quello che sai, dillo'?
 34 La gente assennata e ogni uomo savio che m'ascolta, mi diranno:
 35 'Giobbe parla senza giudizio, le sue parole sono senza intendimento'.
 36 Ebbene, sia Giobbe provato sino alla fine! poiché le sue risposte son quelle degli iniqui, 37 poiché aggiunge al peccato suo la ribellione, batte le mani in mezzo a noi, e moltiplica le sue parole contro Dio».


35.9 Si grida per le molte oppressioni, si levano lamenti per la violenza dei grandi;
 10 ma nessuno dice: 'Dov'è Dio, il mio creatore, che nella notte concede canti di gioia,
 11 che ci fa più intelligenti delle bestie de' campi e più savi degli uccelli del cielo?'
 12 Si grida, sì, ma egli non risponde, a motivo della superbia dei malvagi.
 13 Certo, Dio non dà ascolto a lamenti vani; l'Onnipotente non ne fa nessun conto.
 14 E tu, quando dici che non lo scorgi, la causa tua gli sta dinanzi; sappilo aspettare!
 15 Ma ora, perché la sua ira non punisce, perch'egli non prende rigorosa conoscenza delle trasgressioni,
 16 Giobbe apre vanamente le labbra e accumula parole senza conoscimento».


36.8 Se gli uomini son talora stretti da catene, se son presi nei legami dell'afflizione,
   9 Dio fa lor conoscere la lor condotta, le loro trasgressioni, giacché si sono insuperbiti;
 10 egli apre così i loro orecchi a' suoi ammonimenti, e li esorta ad abbandonare il male.
 11 Se l'ascoltano, se si sottomettono, finiscono i loro giorni nel benessere, e gli anni loro nella gioia;
 12 ma, se non l'ascoltano, periscono trafitti da' suoi dardi, muoiono per mancanza d'intendimento.
 13 Gli empi di cuore s'abbandonano alla collera, non implorano Iddio quand'egli li incatena;
 14 così muoiono nel fiore degli anni, e la loro vita finisce come quella dei dissoluti;
 15 ma Dio libera l'afflitto mediante l'afflizione, e gli apre gli orecchi mediante la sventura.
 16 Te pure ti vuole trarre dalle fauci della distretta, al largo, dove non è più angustia, e coprire la tua mensa tranquilla di cibi succulenti.
 17 Ma, se giudichi le vie di Dio come fanno gli empi, il giudizio e la sentenza di lui ti piomberanno addosso.
 18 Bada che la collera non ti trasporti alla bestemmia, e la grandezza del riscatto non t'induca a fuorviare!


37.1 A tale spettacolo il cuor mi trema e balza fuor del suo luogo.
   2 Udite, udite il fragore della sua voce, il rombo che esce dalla sua bocca!
   3 Egli lo lancia sotto tutti i cieli e il suo lampo guizza fino ai lembi della terra.
   4 Dopo il lampo, una voce rugge; egli tuona con la sua voce maestosa; e quando s'ode la voce, il fulmine non è già più nella sua mano.
   5 Iddio tuona con la sua voce maravigliosamente; grandi cose egli fa che noi non intendiamo.


38.1 Allora l'Eterno rispose a Giobbe dal seno della tempesta, e disse:
   2 «Chi è costui che oscura i miei disegni con parole prive di senno?»


42.1 Allora Giobbe rispose all'Eterno e disse:
   2 «Io riconosco che tu puoi tutto, e che nulla può impedirti d'eseguire un tuo disegno.
   3 Chi è colui che senza intendimento offusca il tuo disegno?... Sì, ne ho parlato; ma non lo capivo; son cose per me troppo maravigliose ed io non le conosco.
   4 Deh, ascoltami, io parlerò; io ti farò delle domande e tu insegnami!
   5 Il mio orecchio aveva sentito parlare di te ma ora l'occhio mio t'ha veduto.
   6 Perciò mi ritratto, mi pento sulla polvere e sulla cenere».


42.12 E l'Eterno benedì gli ultimi anni di Giobbe più de' primi.


42.16 Giobbe, dopo questo, visse centoquarant'anni, e vide i suoi figli e i figli dei suoi figli, fino alla quarta generazione.
    17 Poi Giobbe morì vecchio e sazio di giorni.

Il lebbroso purificato
Il lebbroso purificato
  1. Ed avvenne che, trovandosi egli in una di quelle città, ecco un uomo pieno di lebbra, il quale, veduto Gesù e gettatosi con la faccia a terra, lo pregò dicendo: Signore, se tu vuoi, tu puoi purificarmi.
  2. Ed egli, stesa la mano, lo toccò dicendo: Lo voglio, sii purificato. E in quell'istante la lebbra sparì da lui.
  3. E Gesù gli comandò di non dirlo a nessuno: Ma va', gli disse, mostrati al sacerdote ed offri per la tua purificazione quel che ha prescritto Mosè; e ciò serva loro di testimonianza.
  4. Però la fama di lui si spandeva sempre più; e molte turbe si adunavano per udirlo ed essere guarite delle loro infermità.
  5. Ma egli si ritirava nei luoghi deserti e pregava.
Marcello Cicchese
novembre 2015

Io vi lascio pace
Io vi lascio pace

Giovanni 14:27
  Io vi lascio pace; vi do la mia pace.
  Io non vi do come il mondo dà.
  Il vostro cuore non sia turbato e non si sgomenti.

Giovanni 16:33
  Vi ho detto queste cose, affinché abbiate pace in me.
  Nel mondo avrete tribolazione;
  ma fatevi animo, io ho vinto il mondo.

Matteo 11:28-30
  Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati,
  e io vi darò riposo.
  Prendete su voi il mio giogo ed imparate da me,
  perch'io sono mansueto ed umile di cuore;
  e voi troverete riposo alle anime vostre;
  poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero.

Marcello Cicchese
febbraio 2016

Salmo 62
Salmo 62
  1. Solo in Dio l'anima mia s'acqueta;
    da lui viene la mia salvezza.
  2. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza,
    il mio alto ricetto; io non sarò grandemente smosso.
  3. Fino a quando vi avventerete sopra un uomo
    e cercherete tutti insieme di abbatterlo
    come una parete che pende,
    come un muricciuolo che cede?
  4. Essi non pensano che a farlo cadere dalla sua altezza;
    prendono piacere nella menzogna;
    benedicono con la bocca,
    ma internamente maledicono. Sela.
  5. Anima mia, acquétati in Dio solo,
    poiché da lui viene la mia speranza.
  6. Egli solo è la mia ròcca e la mia salvezza;
    egli è il mio alto ricetto; io non sarò smosso.
  7. In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;
    la mia forte ròcca e il mio rifugio sono in Dio.
  8. Confida in lui ogni tempo, o popolo;
    espandi il tuo cuore nel suo cospetto;
    Dio è il nostro rifugio. Sela.
  9. Gli uomini del volgo non sono che vanità,
    e i nobili non sono che menzogna;
    messi sulla bilancia vanno su,
    tutti assieme sono più leggeri della vanità.
  10. Non confidate nell'oppressione,
    e non mettete vane speranze nella rapina;
    se le ricchezze abbondano, non vi mettete il cuore.
  11. Dio ha parlato una volta,
    due volte ho udito questo:
    Che la potenza appartiene a Dio;
  12. e a te pure, o Signore, appartiene la misericordia;
    perché tu renderai a ciascuno secondo le sue opere.
Marcello Cicchese
agosto 2017

Salmo 22
Salmo 22
  1. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Perché te ne stai lontano, senza soccorrermi, senza dare ascolto alle parole del mio gemito?
  2. Dio mio, io grido di giorno, e tu non rispondi; di notte ancora, e non ho posa alcuna.
  3. Eppure tu sei il Santo, che siedi circondato dalle lodi d'Israele.
  4. I nostri padri confidarono in te; e tu li liberasti.
  5. Gridarono a te, e furono salvati; confidarono in te, e non furono confusi.
  6. Ma io sono un verme e non un uomo; il vituperio degli uomini, e lo sprezzato dal popolo.
  7. Chiunque mi vede si fa beffe di me; allunga il labbro, scuote il capo, dicendo:
  8. Ei si rimette nell'Eterno; lo liberi dunque; lo salvi, poiché lo gradisce!
  9. Sì, tu sei quello che m'hai tratto dal seno materno; m'hai fatto riposar fidente sulle mammelle di mia madre.
  10. A te fui affidato fin dalla mia nascita, tu sei il mio Dio fin dal seno di mia madre.
  11. Non t'allontanare da me, perché l'angoscia è vicina, e non v'è alcuno che m'aiuti.

  12. Grandi tori m'han circondato; potenti tori di Basan m'hanno attorniato;
  13. apron la loro gola contro a me, come un leone rapace e ruggente.
  14. Io son come acqua che si sparge, e tutte le mie ossa si sconnettono; il mio cuore è come la cera, si strugge in mezzo alle mie viscere.
  15. Il mio vigore s'inaridisce come terra cotta, e la lingua mi s'attacca al palato; tu m'hai posto nella polvere della morte.
  16. Poiché cani m'han circondato; uno stuolo di malfattori m'ha attorniato; m'hanno forato le mani e i piedi.
  17. Posso contare tutte le mie ossa. Essi mi guardano e m'osservano;
  18. spartiscon fra loro i miei vestimenti e tirano a sorte la mia veste.
  19. Tu dunque, o Eterno, non allontanarti, tu che sei la mia forza, t'affretta a soccorrermi.
  20. Libera l'anima mia dalla spada, l'unica mia, dalla zampa del cane;
  21. salvami dalla gola del leone. Tu mi risponderai liberandomi dalle corna dei bufali.

  22. Io annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all'assemblea.
  23. O voi che temete l'Eterno, lodatelo! Glorificatelo voi, tutta la progenie di Giacobbe, e voi tutta la progenie d'Israele, abbiate timor di lui!
  24. Poich'egli non ha sprezzata né disdegnata l'afflizione dell'afflitto, e non ha nascosta la sua faccia da lui; ma quand'ha gridato a lui, ei l'ha esaudito.
  25. Tu sei l'argomento della mia lode nella grande assemblea; io adempirò i miei voti in presenza di quelli che ti temono.
  26. Gli umili mangeranno e saranno saziati; quei che cercano l'Eterno lo loderanno; il loro cuore vivrà in perpetuo.
  27. Tutte le estremità della terra si ricorderan dell'Eterno e si convertiranno a lui; e tutte le famiglie delle nazioni adoreranno nel tuo cospetto.
  28. Poiché all'Eterno appartiene il regno, ed egli signoreggia sulle nazioni.
  29. Tutti gli opulenti della terra mangeranno e adoreranno; tutti quelli che scendon nella polvere e non posson mantenersi in vita s'inginocchieranno dinanzi a lui.
  30. La posterità lo servirà; si parlerà del Signore alla ventura generazione.
  31. 31 Essi verranno e proclameranno la sua giustizia, e al popolo che nascerà diranno come egli ha operato.
Marcello Cicchese
settembre 2016

L'intoppo
L’intoppo che fa cadere nell’iniquità

Ezechiele 7:1-4
  1. E la parola dell'Eterno mi fu rivolta in questi termini:
  2. 'E tu, figlio d'uomo, così parla il Signore, l'Eterno, riguardo al paese d'Israele: La fine! la fine viene sulle quattro estremità del paese!
  3. Ora ti sovrasta la fine, e io manderò contro di te la mia ira, ti giudicherò secondo la tua condotta, e ti farò ricadere addosso tutte le tue abominazioni.
  4. E l'occhio mio non ti risparmierà, io sarò senza pietà, ti farò ricadere addosso tutta la tua condotta e le tue abominazioni saranno in mezzo a te; e voi conoscerete che io sono l'Eterno.

Ezechiele 8:1-13
  1. E il sesto anno, il quinto giorno del sesto mese, avvenne che, come io stavo seduto in casa mia e gli anziani di Giuda erano seduti in mia presenza, la mano del Signore, dell'Eterno, cadde quivi su me.
  2. Io guardai, ed ecco una figura d'uomo, che aveva l'aspetto del fuoco; dai fianchi in giù pareva di fuoco; e dai fianchi in su aveva un aspetto risplendente, come di terso rame.
  3. Egli stese una forma di mano, e mi prese per una ciocca de' miei capelli; e lo spirito mi sollevò fra terra e cielo, e mi trasportò in visioni divine a Gerusalemme, all'ingresso della porta interna che guarda verso il settentrione, dov'era posto l'idolo della gelosia, che eccita a gelosia.
  4. Ed ecco che quivi era la gloria dell'Iddio d'Israele, come nella visione che avevo avuta nella valle.
  5. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, alza ora gli occhi verso il settentrione'. Ed io alzai gli occhi verso il settentrione, ed ecco che al settentrione della porta dell'altare, all'ingresso, stava quell'idolo della gelosia.
  6. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, vedi tu quello che costoro fanno? le grandi abominazioni che la casa d'Israele commette qui, perché io m'allontani dal mio santuario? Ma tu vedrai ancora altre più grandi abominazioni'.
  7. Ed egli mi condusse all'ingresso del cortile. Io guardai, ed ecco un buco nel muro.
  8. Allora egli mi disse: 'Figlio d'uomo, adesso fora il muro'. E quand'io ebbi forato il muro, ecco una porta.
  9. Ed egli mi disse: 'Entra, e guarda le scellerate abominazioni che costoro commettono qui'.
  10. Io entrai, e guardai: ed ecco ogni sorta di figure di rettili e di bestie abominevoli, e tutti gl'idoli della casa d'Israele dipinti sul muro attorno;
  11. e settanta fra gli anziani della casa d'Israele, in mezzo ai quali era Jaazania, figlio di Shafan, stavano in piedi davanti a quelli, avendo ciascuno un turibolo in mano, dal quale saliva il profumo d'una nuvola d'incenso.
  12. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, hai tu visto quello che gli anziani della casa d'Israele fanno nelle tenebre, ciascuno nelle camere riservate alle sue immagini? poiché dicono: - L'Eterno non ci vede, l'Eterno ha abbandonato il paese'.
  13. Poi mi disse: 'Tu vedrai ancora altre più grandi abominazioni che costoro commettono'.

Ezechiele 14:1-11
  1. Or vennero a me alcuni degli anziani d'Israele, e si sedettero davanti a me.
  2. E la parola dell'Eterno mi fu rivolta in questi termini:
  3. 'Figlio d'uomo, questi uomini hanno innalzato i loro idoli nel loro cuore, e si sono messi davanti l'intoppo che li fa cadere nella loro iniquità; come potrei io esser consultato da costoro?
  4. Perciò parla e di' loro: Così dice il Signore, l'Eterno: Chiunque della casa d'Israele innalza i suoi idoli nel suo cuore e pone davanti a sé l'intoppo che lo fa cadere nella sua iniquità, e poi viene al profeta, io, l'Eterno, gli risponderò come si merita per la moltitudine dei suoi idoli,
  5. affin di prendere per il loro cuore quelli della casa d'Israele che si sono alienati da me tutti quanti per i loro idoli.
  6. Perciò di' alla casa d'Israele: Così parla il Signore, l'Eterno: Tornate, ritraetevi dai vostri idoli, stornate le vostre facce da tutte le vostre abominazioni.
  7. Poiché, a chiunque della casa d'Israele o degli stranieri che soggiornano in Israele si separa da me, innalza i suoi idoli nel suo cuore e pone davanti a sé l'intoppo che lo fa cadere nella sua iniquità e poi viene al profeta per consultarmi per suo mezzo, risponderò io, l'Eterno, da me stesso.
  8. Io volgerò la mia faccia contro a quell'uomo, ne farò un segno e un proverbio, e lo sterminerò di mezzo al mio popolo; e voi conoscerete che io sono l'Eterno.
  9. E se il profeta si lascia sedurre e dice qualche parola, io, l'Eterno, sono quegli che avrò sedotto il profeta; e stenderò la mia mano contro di lui, e lo distruggerò di mezzo al mio popolo d'Israele.
  10. E ambedue porteranno la pena della loro iniquità: la pena del profeta sarà pari alla pena di colui che lo consulta,
  11. affinché quelli della casa d'Israele non vadano più errando lungi da me, e non si contaminino più con tutte le loro trasgressioni, e siano invece mio popolo, e io sia il loro Dio, dice il Signore, l'Eterno'.
Marcello Cicchese
ottobre 2016

Salmo 125
Salmo 125
    Canto dei pellegrinaggi.
  1. Quelli che confidano nell'Eterno
    sono come il monte di Sion, che non può essere smosso,
    ma dimora in perpetuo.
  2. Gerusalemme è circondata dai monti;
    e così l'Eterno circonda il suo popolo,
    da ora in perpetuo.
  3. Poiché lo scettro dell'empietà
    non rimarrà sulla eredità dei giusti,
    affinché i giusti non mettano mano all'iniquità.
  4. O Eterno, fa' del bene a quelli che sono buoni,
    e a quelli che sono retti nel loro cuore.
  5. Ma quanto a quelli che deviano per le loro vie tortuose,
    l'Eterno li farà andare con gli operatori d'iniquità.
    Pace sia sopra Israele.
Marcello Cicchese
luglio 2017

La pazienza dl Dio
La pazienza di Dio e la nostra speranza
Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? Ma se speriamo ciò che non vediamo, noi l'aspettiamo con pazienza (Romani 8.25).

Marcello Cicchese
settembre 2017

Salmo 23
Salmo 23
  1. L'Eterno è il mio pastore, nulla mi manca.
  2. Egli mi fa giacere in verdeggianti paschi, mi guida lungo le acque chete.
  3. Egli mi ristora l'anima, mi conduce per sentieri di giustizia, per amore del suo nome.
  4. Quand'anche camminassi nella valle dell'ombra della morte, io non temerei male alcuno, perché tu sei con me; il tuo bastone e la tua verga sono quelli che mi consolano.
  5. Tu apparecchi davanti a me la mensa al cospetto dei miei nemici; tu ungi il mio capo con olio; la mia coppa trabocca.
  6. Certo, beni e benignità m'accompagneranno tutti i giorni della mia vita; ed io abiterò nella casa dell'Eterno per lunghi giorni.
Marcello Cicchese
settembre 2017

Il corpo dell'umiliazione
Il corpo della nostra umiliazione
Siate miei imitatori, fratelli, e riguardate a coloro che camminano secondo l'esempio che avete in noi. Perché molti camminano (ve l'ho detto spesso e ve lo dico anche ora piangendo), da nemici della croce di Cristo; la fine dei quali è la perdizione, il cui dio è il ventre, e la cui gloria è in quel che torna a loro vergogna; gente che ha l'animo alle cose della terra. Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli, da dove anche aspettiamo come Salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasformerà il corpo della nostra umiliazione rendendolo conforme al corpo della sua gloria, in virtù della potenza per la quale egli può anche sottoporsi ogni cosa.
Filippesi 3:17-21
Marcello Cicchese
giugno 2016

Una mente rinnovata
Il rinnovamento della mente
Vi esorto dunque, fratelli, per le compassioni di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, accettevole a Dio, il che è il vostro culto spirituale. e non vi conformate a questo secolo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza qual sia la volontà di Dio, la buona, accettevole e perfetta volontà.
Romani 12:1-2
Marcello Cicchese
gennaio 2017

Salmo 90
Salmo 90
  1. Preghiera di Mosè, uomo di Dio.
    O Signore, tu sei stato per noi un rifugio
    di generazione in generazione.
  2. Prima che i monti fossero nati
    e che tu avessi formato la terra e il mondo,
    da eternità a eternità tu sei Dio.
  3. Tu fai tornare i mortali in polvere
    e dici: Ritornate, o figli degli uomini.
  4. Perché mille anni, agli occhi tuoi,
    sono come il giorno d'ieri quand'è passato,
    e come una veglia nella notte.
  5. Tu li porti via come una piena; sono come un sogno.
    Son come l'erba che verdeggia la mattina;
  6. la mattina essa fiorisce e verdeggia,
    la sera è segata e si secca.
  7. Poiché noi siamo consumati dalla tua ira,
    e siamo atterriti per il tuo sdegno.
  8. Tu metti le nostre iniquità davanti a te,
    e i nostri peccati occulti, alla luce della tua faccia.
  9. Tutti i nostri giorni spariscono per il tuo sdegno;
    noi finiamo gli anni nostri come un soffio.
  10. I giorni dei nostri anni arrivano a settant'anni;
    o, per i più forti, a ottant'anni;
    e quel che ne fa l'orgoglio, non è che travaglio e vanità;
    perché passa presto, e noi ce ne voliamo via.
  11. Chi conosce la forza della tua ira
    e il tuo sdegno secondo il timore che t'è dovuto?
  12. Insegnaci dunque a così contare i nostri giorni,
    che acquistiamo un cuore saggio.
  13. Ritorna, o Eterno; fino a quando?
    e muoviti a pietà dei tuoi servitori.
  14. Saziaci al mattino della tua benignità,
    e noi giubileremo, ci rallegreremo tutti i giorni nostri.
  15. Rallegraci in proporzione dei giorni che ci hai afflitti,
    e degli anni che abbiamo sentito il male.
  16. Apparisca l'opera tua a pro dei tuoi servitori,
    e la tua gloria sui loro figli.
  17. La grazia del Signore Dio nostro sia sopra noi,
    e rendi stabile l'opera delle nostre mani;
    sì, l'opera delle nostre mani rendila stabile.

Marcello Cicchese
31 dicembre 2017

Dal Salmo 119
Salmo 119
  1. L'anima mia è attaccata alla polvere;
    vivificami secondo la tua parola.
  2. Io ti ho narrato le mie vie e tu m'hai risposto;
    insegnami i tuoi statuti.
  3. Fammi intendere la via dei tuoi precetti,
    ed io mediterò le tue meraviglie.
  4. L'anima mia, dal dolore, si strugge in lacrime;
    rialzami secondo la tua parola.
  5. Tieni lontana da me la via della menzogna,
    e, nella tua grazia, fammi intendere la tua legge,
  6. io ho scelto la via della fedeltà,
    mi son posto i tuoi giudizi dinanzi agli occhi.
  7. Io mi tengo attaccato alle tue testimonianze;
    o Eterno, non lasciare che io sia confuso.
  8. Io correrò per la via dei tuoi comandamenti,
    quando m'avrai allargato il cuore.

Marcello Cicchese
19 luglio 2018

Il giorno del riposo
Il giorno del riposo

Ricordati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa' in essi ogni opera tua; ma il settimo giorno è giorno di riposo, sacro all'Eterno, che è l'Iddio tuo; non fare in esso lavoro alcuno, né tu, né il tuo figlio, né la tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né il forestiero che è dentro alle tue porte; poiché in sei giorni l'Eterno fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò l'Eterno ha benedetto il giorno del riposo e l'ha santificato.

Esodo 20:8-11

Marcello Cicchese
dicembre 2014

Perché siete così ansiosi?
«Perché siete così ansiosi?»

Dal Vangelo di Matteo

CAPITOLO 6
  1. Nessuno può servire a due padroni; perché o odierà l'uno ed amerà l'altro, o si atterrà all'uno e sprezzerà l'altro. Voi non potete servire a Dio ed a Mammona.
  2. Perciò vi dico: Non siate con ansiosi per la vita vostra di quel che mangerete o di quel che berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito?
  3. Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutrisce. Non siete voi assai più di loro?
  4. E chi di voi può con la sua sollecitudine aggiungere alla sua statura anche un cubito?
  5. E intorno al vestire, perché siete con ansietà solleciti? Considerate come crescono i gigli della campagna; essi non faticano e non filano;
  6. eppure io vi dico che nemmeno Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro.
  7. Or se Dio riveste in questa maniera l'erba de' campi che oggi è e domani è gettata nel forno, non vestirà Egli molto più voi, o gente di poca fede?
  8. Non siate dunque con ansiosi, dicendo: Che mangeremo? che berremo? o di che ci vestiremo?
  9. Poiché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; e il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose.
  10. Ma cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno sopraggiunte. 34 Non siate dunque con ansietà solleciti del domani; perché il domani sarà sollecito di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno.
Marcello Cicchese
dicembre 2015



Un palestinese rivela quello che imparano gli arabi nelle scuole di Gerusalemme

Le scuole palestinesi, per lo più finanziate dalla comunità internazionale, sono il motore che mantiene vivo il conflitto israelo-palestinese. Una testimonianza alla Knesset espone le palesi violazioni di politici ed educatori palestinesi. Il mondo sta ascoltando?

di Ryan Jones

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GERUSALEMME - Un giovane palestinese di Gerusalemme Est è apparso domenica davanti alla Commissione per l'Istruzione della Knesset per denunciare l'incitamento al terrorismo anti-israeliano insegnato nelle scuole della capitale israeliana.
  Il giovane, chiamato solo "E" e con il volto coperto per la sua sicurezza, è stato portato alla Knesset dall'attivista cristiano arabo israeliano Yoseph Haddad.
  Haddad ha iniziato criticando il membro anti-Israele della Knesset Ahmad Tibi, che ha lasciato la riunione della commissione prima che E potesse dire la sua.
  "È un peccato che il deputato Ahmad Tibi se ne sia andato prima di avere l'opportunità di ascoltare una voce davvero coraggiosa da Gerusalemme Est, ma sapevo che l'avrebbe fatto, sapevo che non avrebbe accettato", ha detto Haddad.
  E ha raccontato di essere stato "educato in una scuola che insegnava il curriculum palestinese dalla prima elementare al diploma. Fin dall'inizio mi è stato insegnato che non esiste uno Stato di Israele. Ho imparato che siamo palestinesi e che viviamo sotto occupazione. Non ci è stato insegnato l'ebraico perché ci è stato detto che l'occupazione era solo temporanea. Quindi ci è stato detto che non dobbiamo imparare l'ebraico, che non dobbiamo interagire con loro [gli ebrei], ma che dobbiamo odiarli".
  Ha poi spiegato perché così tanti bambini arabi palestinesi sono coinvolti nella violenza e nel terrorismo: "Ci hanno insegnato fin dalla prima elementare a odiare gli ebrei, e poi all'età di 10 anni che non è sbagliato uccidere un ebreo, che avremo 72 vergini e andremo in paradiso. Questo è ciò che ci è stato insegnato nella scuola palestinese".
  Ha osservato che "alcuni degli insegnanti erano terroristi che avevano scontato la pena in prigione. E ora molte delle persone con cui sono cresciuto a scuola sono in prigione per le stesse ragioni".
  Nelson Mandela una volta disse: "L'istruzione è l'arma più potente che si possa usare per cambiare il mondo".
  Parlava nel contesto dell'educazione alla pace e alla coesistenza, a cui la leadership palestinese si è impegnata nei cosiddetti "accordi di Oslo".
  Ma l'osservazione di Mandela suggerisce anche che l'educazione può essere usata per alimentare e distruggere il conflitto, e questa, come ha dimostrato E, è la strada scelta dai palestinesi.

La questione ora è se il mondo sta ascoltando o no

I mediatori di pace occidentali, come l'amministrazione Biden, esprimono regolarmente quanto siano "profondamente turbati" [ved. video] dall'insediamento ebraico nel cuore della Bibbia, dipingendolo come il principale ostacolo alla pace. Ma che dire dell'odioso indottrinamento dei bambini che perpetua il conflitto? Non è forse preoccupante almeno quanto un po' di case ebraiche?

(israel heute, 12 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Italia-Israele, la visita di Eli Cohen e il futuro dell’ambasciata a Roma

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Il filo diretto tra Roma e Gerusalemme continua a rafforzarsi. Con novità importanti sia sul fronte della cooperazione tra i due Stati sia su quello delle nomine delle rappresentanze diplomatiche.
  Sul primo punto, la ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini, in missione in questi giorni in Israele, ha parlato di “nuove sinergie che saranno avviate nel prossimo futuro” e soprattutto ha dato un orizzonte temporale all’atteso vertice intergovernativo tra i due paesi. Un incontro preannunciato a marzo dal Premier Benjamin Netanyahu nella sua visita a Roma e che dovrebbe tenersi il prossimo ottobre, secondo quanto comunicato dal ministero dell’Università e della Ricerca. Un passaggio importante per consolidare le intese pregresse e per avviare nuove cooperazioni, considerando che l’ultimo appuntamento di questa portata era stato organizzato nel 2012 alla Farnesina. Intanto i vertici delle due diplomazie torneranno a parlarsi di persona a breve: il ministro degli Esteri Eli Cohen, attualmente in Serbia, è infatti atteso a Roma per una due giorni di incontri con i rappresentanti del governo italiano e della Santa Sede. Tanti i punti in agenda e, in prospettiva, anche la scelta del successore dell’attuale ambasciatore d’Israele Alon Bar. Cohen ha già presentato la sua proposta. Per l’incarico vorrebbe Benny Kasriel, dal 1992 sindaco di Ma’ale Adumin, insediamento a Est di Gerusalemme. Lo aveva annunciato in primavera e lo ha confermato in una recente intervista con il sito d’informazione Makor Rishon. Ma per il via libera definitivo serve ancora l’approvazione governativa.
  Kasriel, figlio di genitori immigrati dall’Iran, è un politico del Likud di lunga data. Laureatosi in Studi internazionale all’Università Ebraica, ha conseguito un master in studi sul Medio Oriente contemporaneo all’Università di Tel Aviv. Dopo aver lavorato nel ministero dell’Edilizia e aver ottenuto incarichi di vertice in importanti imprese di costruzione israeliane, è diventato sindaco di Ma’ale Adumim nei primi anni Novanta. Un periodo in cui Benjamin Netanyahu iniziava la sua ascesa politica. Kasriel, come riportato in un colloquio con il sito Al-Monitor, è stato tra i primi a puntare proprio su Netanyahu, sostenendone la candidatura alla guida del Likud. Un ruolo ottenuto nel 1993 a cui seguì, tre anni dopo, la vittoria elettorale e la conquista per la prima volta della premiership israeliana.
  In questi anni Kasriel, mantenendo il suo sostegno a Netanyahu, non ha però lesinato critiche al leader del Likud. Nel 2020, intervistato dal conservatore Israel Hayom in merito all’elezione di Joe Biden alla Casa Bianca e del futuro degli insediamenti in Cisgiordania, aveva espresso alcune preoccupazioni riguardo alla presidenza democratica. Ma soprattutto si era rivolto al Premier Netanyahu. “A volte mi sembra che stia giocando con noi. Non è plausibile che io stia aspettando da più di un anno l’approvazione del Primo Ministro per aggiungere un piano a 16 case esistenti qui a Ma’ale Adumim – le sue parole -. Non un insediamento lontano, anche se anche loro hanno dei diritti. Non ha senso che io abbia bisogno dell’approvazione dell’Ufficio del Primo Ministro per un piano di costruzione di un’industria, o di una scuola, o per aggiungere stanze, o per costruire balconi”. In quell’occasione Kasriel si era detto deluso dalle politiche del Premier. “Sono cose che non hanno nulla a che fare con gli americani o i palestinesi. Mi aspettavo di più da Netanyahu. Anche i 700 nuovi appartamenti che stiamo costruendo ora, dopo un decennio di blocco delle costruzioni, li stiamo costruendo in condizioni di prossimità all’interno della città”. Al di là di queste posizioni, il sostegno e le attestazioni di stima nei confronti del leader del Likud non sono mancate. Anche nel corso di un recente incontro con il Premier (nell’immagine).
  Rispetto alla situazione degli insediamenti in Cisgiordania, Kasriel ad Al-Monitor aveva esplicitato la sua posizione: “Chiunque conceda la Valle del Giordano non sopravviverà nel Likud. La mia linea rossa è la Giudea e la Samaria, non sono disposto a concedere nemmeno un centimetro”.
  Nel corso del suo trentennale mandato di sindaco non sono poi mancate le polemiche. Una delle quali ha coinvolto il mondo haredi (ultraortodosso). Tra il 2017 e il 2019 diverse manifestazioni sono state infatti organizzate da movimenti di questo settore della società davanti al municipio di Ma’ale Adumim. L’accusa rivolta a Kasriel è stata quella di non voler istituire in città scuole per i bambini haredi, che così dovevano recarsi a Gerusalemme. Alcuni media locali attribuirono al primo cittadino la frase: “La nostra città non diventerà Beit Shemesh”. Quest’ultima è composta da una larga maggioranza haredi (secondo stime del 2020 il 95 per cento dei bambini sotto i 3 anni a Beit Shemesh è ultraortodosso).
  Dal settore religioso sono poi arrivate di recente altre critiche a Kasriel. Il sito KikarHaShabat a inizio anno non ha gradito la posizione del sindaco sulle aperture delle iniziative commerciali di Shabbat. Un tema delicato in Israele. “Chi vuole aprire la propria attività durante lo Shabbat, lo faccia per favore”, aveva detto Kasriel in un’intervista con una radio locale. Secondo il sito, voce di una parte del mondo haredi israeliano, il regolamento comunale vieterebbe questa possibilità. Oltre le polemiche, Kasriel in questi anni ha comunque goduto di un sostegno trasversale e ha formato giunte in passato anche con membri del partito centrista Kachol Lavan. Rispetto alla sua possibile nomina ad ambasciatore, aveva detto di essere lusingato per la scelta del ministro Cohen.

(moked, 12 luglio 2023)

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La giustizia spacca Israele. C'è il primo sì alla riforma. E in piazza è "resistenza"

di Chiara Clausi

Anche ieri in decine di migliaia hanno manifestato in Israele contro la riforma giudiziaria del governo di Benjamin Netanyahu. Decine di fermi, strade bloccate, cariche della polizia, scontri, 8 feriti e 73 persone arrestate. Tutte le principali città sono state coinvolte: Tel Aviv, Haifa e Gerusalemme. La Kaplan Street di Tel Aviv è diventata rapidamente il fulcro. Qui la polizia ha dispiegato cannoni ad acqua nel tentativo di disperdere la folla. Gli organizzatori lo hanno chiamato «giorno della resistenza» e hanno invitato i cittadini «a salvaguardare la democrazia israeliana». I manifestanti alzavano striscioni con su scritto: «Vietato l'ingresso a una dittatura» o «Insieme saremo vittoriosi» e sventolavano la bandiera nazionale bianca e azzurra. A Tel Aviv, un video mostrava un poliziotto a cavallo che buttava a terra un manifestante, mentre più a nord, a Herzliya, i dimostranti bruciavano pneumatici nel mezzo di un incrocio prima di essere rimossi dalla polizia. Altri cantavano cori di protesta e battevano su tamburi. Nel frattempo, un gruppo di veterani di guerra si radunavano all'interno di un terminal dell'aeroporto internazionale Ben Gurion, vestiti come personaggi incappucciati di rosso del romanzo distopico e della serie tivù «The Handmaid's Tale» («Il racconto dell'ancella») e salutavano chi entrava nel Paese. In migliaia poi si sono riuniti al Terminal 3, l'hub principale, e alcuni si sono lamentati di essere stati accerchiati dalla polizia.
  Il caos è scoppiato lunedì notte quando la Knesset, il Parlamento dello Stato ebraico, ha approvato, con 64 voti contro 56, in prima lettura (su 3), la modifica della «clausola di ragionevolezza» che limita le capacità della Corte Suprema di intervenire. La misura mira a cancellare appunto la possibilità per la magistratura di pronunciarsi sulla «ragionevolezza» delle decisioni del governo. In un video postato su Facebook, Netanyahu ha cercato di rassicurare i cittadini: la legge «non è la fine della democrazia, ma rafforzerà la democrazia». Per gli organizzatori delle proteste invece ora «solo il popolo può salvare Israele».
  Le riforme hanno polarizzato il Paese e scatenato manifestazioni di massa da più di sei mesi. Il disegno di legge fa parte di un pacchetto di riforme che vuole ridimensionare il potere della magistratura. Ma secondo l'esecutivo in carica i tribunali esercitano troppe interferenze nella politica. Chi critica la riforma afferma invece che i piani del governo rappresentano una grave minaccia per il sistema democratico del Paese. Intanto sono state scene drammatiche quelle viste all'interno del palazzo del parlamento a Gerusalemme, poco prima che i parlamentari votassero il disegno di legge. I manifestanti hanno cercato di incollarsi al pavimento all'ingresso della camera prima di essere trascinati via dalle guardie.
  Ma il caos non si è arrestato. Sono state indette manifestazioni anche davanti alla residenza del presidente Isaac Herzog a Gerusalemme, al ministero della Difesa israeliano a Tel Aviv e al consolato americano. Ma c'è di più. Ora centinaia di riservisti - la spina dorsale dell'esercito israeliano - hanno minacciato di smettere di presentarsi in servizio per protestare contro la riforma. Ieri anche quelli dell'agenzia di sicurezza interna israeliana Shin Bet e il servizio di intelligence del Mossad hanno detto che ne avrebbero seguito l'esempio. Il capo di stato maggiore dell'esercito però ha intimato che i riservisti non hanno il diritto di rifiutarsi di presentarsi, e l'esercito ha fatto sapere che agirà contro chiunque li segua.

(il Giornale, 12 luglio 2023)


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Giorno di Resistenza, Israele in strada contro la riforma della giustizia

Arresti e tafferugli con la polizia durante le nuove proteste per l'approvazione in prima lettura della legge che limiterà la clausola di ragionevolezza a favore dei giudici sulle decisioni del governo.

di Michele Giorgio

GERUSALEMME - Oltre settanta arresti, tafferugli con la polizia, blocchi stradali a Tel Aviv come ad Haifa e una manifestazione con diecimila persone agli ingressi dell’aeroporto internazionale «Ben Gurion». È solo un bilancio parziale del «Giorno di Resistenza» che ha toccato ogni angolo del paese contro la riforma giudiziaria intrapresa dal governo Netanyahu. In serata erano previsti altri raduni con decine di migliaia di manifestanti a via Kaplan a Tel Aviv. «Di fronte a una coalizione dittatoriale, solo il popolo può salvare Israele» esortano gli organizzatori delle proteste. Eppure, anche questa ennesima dimostrazione di forza del movimento contro la riforma giudiziaria avviata a inizio anno dal governo non sfiora il premier Netanyahu e la maggioranza formata da partiti di estrema destra religiosa.
  Le oltre cento manifestazioni tenute ieri hanno fatto seguito all’approvazione alla Knesset in prima lettura (su tre) – 64 voti a favore e 56 contro – della limitazione della cosiddetta «Clausola di ragionevolezza». Dovesse essere approvata in via definitiva, come è probabile, la nuova legge eroderà le prerogative del potere giudiziario rispetto all’esecutivo. Sino ad oggi la Corte suprema è stata in grado di intervenire su provvedimenti del governo o di singoli ministri. Potere che i due teorici della riforma, il ministro della giustizia Yariv Levin e il capo della commissione costituzionale Simha Rothman, intendono ridurre al minimo, con l’appoggio del premier Netanyahu che continua a recitare un ruolo ambiguo. Da un lato lascia trapelare una sua presunta intenzione di attuare una riforma giudiziaria più contenuta rispetto al progetto iniziale, come ha detto giorni fa al Wall Street Journal. Dall’altro non compie passi significativi in quella direzione, il negoziato con l’opposizione è quasi fermo al palo. Il premier si limita a rassicurare l’opinione pubblica. In un video postato sui social, ha affermato che la nuova legge sulla «Clausola della ragionevolezza» non rappresenterà «la fine della democrazia, piuttosto rafforzerà la democrazia». I diritti dei tribunali e dei cittadini israeliani, ha garantito, «non saranno in alcun modo violati…La Corte suprema continuerà a monitorare la legalità delle decisioni e delle nomine del governo». Le cose non stanno così, spiegano gli oppositori della riforma, a cominciare dagli ex primi ministri Yair Lapid ed Ehud Barak.
  La riforma giudiziaria, intanto, pesa sempre di più sulle prestazioni dell’economia israeliana, a cominciare dall’hi-tech, settore al centro ieri dei colloqui a Tel Aviv tra la ministra dell’università Anna Maria Bernini e il suo omologo israeliano della scienza e della tecnologia Ofir Akunis. L’hi-tech fornisce circa un quarto delle entrate fiscali israeliane e rappresenta circa la metà delle esportazioni: gli investimenti nel settore sono diminuiti più drasticamente che in altri paesi, secondo i calcoli dell’Autorità per l’innovazione nella prima metà dell’anno. Israele inoltre non sta partecipando alla ripresa globale dell’alta tecnologia frutto dell’entusiasmo per le nuove opportunità create dal boom dell’intelligenza artificiale. Senza dimenticare l’indebolimento dello shekel nei confronti del dollaro e dell’euro. Secondo i calcoli della Banca d’Israele, il calo della valuta dell’1% comporta un aumento di 0,1-0,2 punti percentuali dell’inflazione in un paese dove il costo della vita è già tra i più alti nel mondo occidentale. Queste e altre insidie per l’economia israeliana significheranno in futuro una perdita media di oltre 50.000 shekel, quasi 13 mila euro per ogni famiglia.

(il manifesto, 12 luglio 2023)


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Cosa c’è nel nuovo decreto legge definito “di ragionevolezza”?

Un breve riassunto per ricordare in modo semplice a chi non conosce la situazione, perché si manifesta in Israele

di Sarah G. Frankl

Il governo nazionalista religioso di Netanyahu ha lanciato il suo piano di revisione giudiziaria a gennaio, subito dopo aver prestato giuramento. Ma con il crescente allarme tra gli alleati occidentali di Israele, l’aumento dei disordini e il calo della valuta dello shekel, alla fine di marzo Netanyahu ha sospeso la proposta di legge per consentire colloqui con i partiti di opposizione.
  Questi sono falliti tre mesi dopo e Netanyahu ha rilanciato la sua riforma, eliminando alcune delle modifiche originariamente proposte, come una clausola che avrebbe consentito al parlamento di annullare una sentenza del tribunale, mentre procedeva con altre.
  Si tratta di un emendamento che limiterebbe la capacità della Corte Suprema di annullare le decisioni prese dal governo, dai ministri e dai funzionari eletti, privando i giudici del potere di ritenere tali decisioni “irragionevoli”. I fautori affermano che ciò consentirebbe una governance più efficace pur lasciando alla corte altri standard di controllo giurisdizionale, come la proporzionalità. I critici affermano che senza controlli ed equilibri basati sulla costituzione (che ricordiamo, in Israele non esiste), ciò aprirebbe la porta alla corruzione e agli abusi di potere.

• Qual è il problema del governo con la giustizia?
  Molti nella coalizione di governo vedono la Corte come di sinistra, elitaria e troppo interventista nella sfera politica, spesso anteponendo i diritti delle minoranze agli interessi nazionali e assumendo un’autorità che dovrebbe essere solo nelle mani di funzionari eletti.

• Perché tanti israeliani protestano?
  Credono che la democrazia sia in pericolo. Molti temono che anche se il Premier sostiene la sua innocenza in un processo per corruzione, Netanyahu e il suo governo di estrema destra limiteranno l’indipendenza giudiziaria, con gravi ricadute diplomatiche ed economiche. I sondaggi hanno dimostrato che la revisione è impopolare presso la maggior parte degli israeliani, che sono principalmente preoccupati per l’aumento del costo della vita e per i problemi di sicurezza.

• Perché i cambiamenti proposti suscitano così tanta preoccupazione?
  I “controlli e contrappesi” democratici di Israele sono relativamente fragili. Non ha costituzione, ma solo “leggi fondamentali” intese a salvaguardare i suoi fondamenti democratici. Nella Knesset a camera unica il governo detiene una maggioranza di 64-56 seggi. L’ufficio del presidente è in gran parte cerimoniale, quindi la Corte Suprema è vista come un baluardo della democrazia che protegge i diritti civili e lo stato di diritto. Gli Stati Uniti hanno esortato Netanyahu a cercare un ampio accordo sulle riforme giudiziarie e a mantenere la magistratura indipendente.

• Sono previsti altri interventi?
  È poco chiaro. Netanyahu ha indicato di volere modifiche al modo in cui vengono scelti i giudici, ma non necessariamente quelle già predisposte in un altro disegno di legge che attende una lettura finale della Knesset. Sono state avanzate proposte, comprese modifiche alle posizioni dei consulenti legali. I legislatori dell’opposizione affermano che la sua coalizione sta cercando di effettuare una revisione frammentaria che ridurrà gradualmente l’indipendenza dei tribunali, una legge alla volta. La coalizione afferma che sta perseguendo le riforme della giustizia in modo responsabile.

(Rights Reporter, 12 luglio 2023)

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Asse Italia-Israele contro le fitopatie nel Mediterraneo

Nei giorni scorsi un workshop internazionale bilaterale organizzato dalla Tel Aviv University con la collaborazione di UniCt. Le produzioni possono essere salvate grazie al miglioramento genetico.

di Chiara Borzi

TEL AVIV – La presenza di fitopatie (malattia delle piante) nel Mediterraneo, a minaccia delle produzioni di qualità che mettono al centro degli scambi economici anche la Sicilia, richiede un’azione di sorveglianza continua e rilancia il ruolo delle collaborazioni accademiche che studiano il fenomeno. Il workshop bilaterale italo-israeliano organizzato alla Tel Aviv University “Cibo sano da piante in salute: la gestione delle malattie delle colture mediterranee in un ambiente che cambia”, in collaborazione con il Di3A (Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente) dell’Università di Catania, ha ribadito l’importanza delle partnership internazionali.
  “I workshop con Paesi affini per geografia e produzione – ha dichiarato a margine dell’evento la professoressa Alessandra Gentile, promotrice del workshop, docente ordinaria di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree dell’Ateneo catanese – sono fondamentali. La partnership scientifica con le istituzioni di ricerca israeliane è iniziata oltre quarant’anni fa ed è ancora attiva. A eccezione della parziale condizione desertica dello stato d’Israele, le colture presenti nei due Paesi che hanno organizzato il workshop sono simili e per questo condividiamo il sapere che nasce dall’aver studiato e affrontato le varie fitopatie e i sistemi colturali comuni”.
  “L’Italia – ha aggiunto – che è stata devastata dalla Xylella in olivo, ha permesso a Israele di beneficiare della propria esperienza nella battaglia alla Xylella, che Israele sta combattendo sul mandorlo. Lo scambio anche di germoplasma, di varietà coltivate nei due Paesi può contribuire a valutare il comportamento nei due ambienti nei confronti delle malattie. Il workshop italo-israeliano è stato voluto fortemente dall’ambasciata italiana in Israele, ma anche dalla Camera di Commercio Italia-Israele, nonché dall’Università di Tel Aviv nella figura del professore Guido Sessa, scienziato di grande riferimento per le tematiche affrontate nel corso dell’incontro”.
  Le produzioni, comprese quelle di qualità, possono essere salvate dalle fitopatie grazie allo studio di tecniche di miglioramento genetico. Questo tema è stato centrale nel workshop di Tel Aviv: “Abbiamo affrontato – ha evidenziato la docente catanese – il tema del miglioramento genetico delle principali colture agrumicole come limone, arance, pomodori e anche frumento. Grazie al supporto degli studi di biologia molecolare e delle Tea (Tecniche di evoluzione assistita) siamo in grado di intervenire per generare specie resistenti alle principali malattie delle piante, che stanno causando perdite dei raccolti – ha evidenziato la docente catanese. La qualità della produzione italiana e della produzione siciliana è altissima e questi studi scientifici contribuiscono sia al mantenimento di standard elevati che ad agire per il raggiungimento dell’obiettivo europeo di riduzione dell’uso dei fitofarmaci in agricoltura. Siamo in una fase particolarmente avanzata di conoscenza e il Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente dell’Università di Catania è protagonista attraverso la partecipazione a diversi progetti europei e nazionali dedicati alle colture mediterranee”.
  L’approdo a nuove conoscenze che permettono di garantire la produzione delle colture di eccellenza nel Mediterraneo, come limoni o arance, è fondamentale considerata l’emergenza ancora in corso in specie come il limone. Le malattie delle piante rappresentano infatti una sfida importante per l’agricoltura e la produzione alimentare a livello globale e in particolare nell’area mediterranea, rappresentando ogni anno circa il 10% della perdita di raccolto.

Ma qual è lo stato dell’arte in Sicilia?
  “Porto un esempio calzante – ha spiegato la professoressa Gentile – che ha assunto una certa importanza negli ultimi anni: l’Italia è il decimo produttore di limoni a livello mondiale e il 90 per cento della produzione italiana è concentrata in Sicilia. Nell’ultimo trentennio la produzione siciliana si è ridotta del trentacinque per cento. La perdita di produzione e l’abbandono dei limoneti sono fenomeni continui e crescenti. Le superfici vengono abbandonate anche a causa della recrudescenza del Malsecco, una grave malattia fungina, che in alcuni ambienti, come nella riviera dei limoni (tratto da Catania a Messina), porta all’ abbandono dei territori o alla riconversione della coltura, sostituendo il limone con altre specie subtropicali, quali l’avocado. C’è da registrare un grande impegno delle istituzioni scientifiche siciliane per cercare di mantenere i livelli di produzione del limone accettabili e cercare di contrastare la diffusione del Malsecco”.
  “Un discorso diverso – ha sottolineato – è da fare per le arance. I produttori sono riusciti a superare le problematiche connesse alla presenza del virus della Tristeza, grazie alla sostituzione del portinnesto, ma vivono una grande preoccupazione a causa della presenza, in altri paesi agrumicoli, di una malattia nota con il nome Greening. Quest’ultima, non è ancora presente in Europa, ma ha causato perdite ingenti di produzione negli Stati Uniti, in Cina, in Brasile. Alcuni vettori, insetti, responsabili della trasmissione dell’agente patogeno, sono stati trovati in Spagna e Israele. Sia il cambiamento climatico, che porta le specie a spostarsi, che lo stesso trasporto globale delle merci, sono fattori che naturalmente agevolano la diffusione degli insetti vettori”.
  “L’Università di Catania – ha concluso Gentile – è molto impegnata su questo fronte con precisi progetti europei e lavora da tempo in stretta collaborazione con il Crea”.

(QdS, 12 luglio 2023)

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La BBC si scusa per aver affermato che l’IDF “è felice di uccidere bambini”

di David Fiorentini

La BBC si è scusata dopo che la conduttrice Anjana Gadgil ha affermato in un’intervista con l’ex primo ministro Naftali Bennett che “le forze israeliane sono felici di uccidere bambini” durante la recente operazione militare a Jenin.
  Un portavoce di BBC News ha riconosciuto che il linguaggio utilizzato da Gadgil “non era formulato adeguatamente ed era inappropriato”.
  Durante l’intervista su BBC World News, Gadgil aveva cercato di contestare l’affermazione dell’ex premier secondo cui le morti palestinesi conseguenti all’azione militare riguardavano “giovani terroristi”.
  “È davvero quello che l’esercito si era prefissato di fare? Uccidere persone tra i 16 e i 18 anni?” aveva interrogato la conduttrice. “Al contrario”, ha risposto Bennett. “In realtà, tutte le 11 persone morte erano militanti. Se ci sono giovani terroristi che decidono di impugnare le armi, è loro responsabilità”.
  Bennett ha poi sottolineato che negli ultimi anni più di 50 cittadini israeliani sono stati uccisi da terroristi provenienti dal campo di Jenin, definendo la città un “epicentro del terrorismo”. A quel punto, Gadgil ha replicato a Bennett: “Terroristi, ma bambini. Le forze israeliane sono felici di uccidere bambini.”
  Il Board of Deputies of British Jews ha immediatamente commentato lo scambio, condannandolo fermamente: “Siamo sconvolti dai commenti fatti da una conduttrice della BBC durante un’intervista con l’ex primo ministro israeliano Naftali Bennett. Questo rappresenta chiaramente una violazione delle linee guida della Corporation e contatteremo il Direttore Generale per protestare con il massimo vigore”.
  In una dichiarazione, un portavoce della BBC ha affermato: “BBC News ha ricevuto commenti e reclami riguardanti un’intervista a Naftali Bennett trasmessa sul canale BBC News riguardante i recenti eventi in Cisgiordania e in Israele. I reclami sollevati riguardano domande specifiche riguardanti la morte di giovani nel campo profughi di Jenin. Su tutte le piattaforme della BBC, inclusa la nostra rete di notizie, questi eventi sono stati trattati in modo imparziale e deciso. Le Nazioni Unite hanno sollevato la questione dell’impatto dell’operazione a Jenin sui bambini e i giovani. Nonostante questo fosse un argomento legittimo da affrontare nell’intervista, ci scusiamo per il fatto che il linguaggio utilizzato in questa serie di domande non sia stato formulato adeguatamente ed era inappropriato.”
  Troppo poco e troppo tardi per Bennett, che dopo il programma ha rilasciato un’intervista al Jewish Chronicle: “Il pubblico affida ai media il compito di fornire un giornalismo equo, obiettivo e imparziale. Se non riescono a svolgere questo compito cruciale, devono essere pronti a fronteggiare le conseguenze di essere chiamati e tenuti responsabili. Suggerire che Israele sia ‘felice di uccidere bambini’ non ha alcun fondamento nella realtà e diffondere questa idea a milioni di persone mette in discussione l’imparzialità della BBC. È compito dei media internazionali riportare responsabilmente i fatti riguardanti il Medio Oriente, poiché altrimenti diventano parte del problema.”

(Bet Magazine Mosaico, 12 luglio 2023)

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Volontari puliscono e restaurano i cimiteri ebraici europei

di Michelle Zarfati

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Questa settimana una delegazione ebraica di volontari provenienti da tutto il mondo si è recata in Polonia e in Serbia per preservare il patrimonio ebraico europeo. I partecipanti si sono concentrati sul ripristino dei cimiteri ebraici, un progetto portato avanti da WeKibbutz e dall'Organizzazione Shalom Corps.
  In Polonia il gruppo ha incontrato l'atleta dei Giochi Olimpici Dariusz Popiela, che ha dedicato la sua vita a ripristinare e preservare la memoria degli ebrei in Polonia dopo la Shoah. Il lavoro di pulizia e restauro dei cimiteri ha incluso attività di pittura, giardinaggio e allestimento di percorsi specifici per permettere al pubblico di visitare il cimitero.
  I volontari hanno visitato il cimitero di Pancevo in Serbia, luogo simbolo della comunità ebraica locale profanato molte volte nel corso della sua storia. Al suo interno è custodita la tomba della prima vittima ebrea dei nazisti nei Balcani, Alexander Hacker.
  La delegazione ha anche incontrato gli ebrei presenti oggi nelle città e ha visitato le piccole comunità ebraiche ancora esistenti sul territorio. Il gruppo ha partecipato a numerose attività culturali ed educative con i giovani ebrei locali. In Serbia, la delegazione ha preso anche parte ai Maccabiah Games, l'annuale evento sportivo ebraico dei Balcani, dove alcuni membri del gruppo hanno gareggiato nella corsa, nel calcio, nel basket e negli scacchi.
  "Come terza generazione di sopravvissuti alla Shoah, preservare l'identità ebraica e agire per conto del popolo ebraico sarà sempre importante per me. - ha detto Lahav Efrat, 38 anni, residente nel kibbutz HaOgen - Sono felice di aver avuto l'opportunità di fermarmi un attimo e di donare me stesso agli altri. Pensare che ho vissuto questo viaggio con mia madre non fa che rafforzare la mia identità ebraica. Siamo qui per ricordare e preservare il nostro passato e il nostro futuro".
  “Il passato ebraico in Europa non smette mai di sorprendere. - ha detto Shiri Madar, CEO di WeKibbutz - Dopo aver fondato Netaim, comprendendo che ci sono molte comunità ebraiche che hanno bisogno di aiuto, abbiamo scoperto questa piccola comunità nei Balcani che chiedeva a gran voce una connessione ebraica e culturale con Israele e oggi siamo qui”.

(Shalom, 12 luglio 2023)

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Israele. I manifestanti annunciano ‘’proteste senza precedenti’’

di Luca Spizzichino

Gli organizzatori delle manifestazioni contro la riforma giudiziaria hanno dichiarato che oggi ci sarà una "protesta senza precedenti" in tutto lo Stato Ebraico. Il motivo, spiegano, è il disegno di legge sullo standard di ragionevolezza, che è stato approvato ieri dalla Knesset. Ieri sera dei manifestanti contrari alla riforma hanno tentato di irrompere nell'edificio mentre il parlamento israeliano era in sessione.
  La giornata di protesta inizia al mattino presso il tribunale distrettuale di Haifa e in altre località del paese. Le manifestazioni in aeroporto si svolgeranno al Terminal 3 a partire dalle 16:00. Alle 18:30, i manifestanti si raduneranno davanti alla residenza del presidente a Gerusalemme e alla filiale dell'ambasciata degli Stati Uniti a Tel Aviv. I manifestanti si raduneranno poi alle 20.30 allo svincolo di Kaplan e in altri importanti centri di traffico.
  Josh Drill, portavoce del movimento di protesta nazionale, e Nadav Salzberger, leader del movimento di protesta studentesco, hanno spiegato ieri al Jerusalem Post il motivo delle proteste. “Non vogliamo che tutte le autostrade vengano bloccate. Non vogliamo che l'aeroporto internazionale Ben-Gurion venga bloccato. Vogliamo che le persone continuino a lavorare", ha affermato Drill. Nadav Salzberger, leader del Movimento di protesta studentesco, ha affermato che le manifestazioni saranno completamente differenti rispetto a quelle passate. “Quello a cui miriamo è fermare davvero il Paese. Bloccare le strade per andare all'aeroporto e bloccarlo per marciare sulle strade di diverse città in tutto Israele", ha detto.
  Sebbene gli organizzatori delle proteste abbiano assicurato che non influenzeranno il traffico da e per l’aeroporto, la scorsa settimana i manifestanti hanno invaso Ben Gurion, provocando scontri con la polizia e causando notevoli disagi ai viaggiatori, che hanno visto i loro voli posticipati, se non persino cancellati.

(Shalom, 11 luglio 2023)

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La strategia del fondo israeliano Ariel in Italia: "Food, moda e Spazio, abbiamo investito in molte startup"

Il family office israeliano-statunitense Arieli Capital mira a espandere la sua presenza in Italia, investendo in startup nei settori foodtech, agritech e spaziale. Pianifica un'iniziativa legata al fashion tech a Milano e una piattaforma spaziale con l'Esa.

di Giulia Cimpanelli

Arieli Capital, il fondo di family office israeliano-statunitense specializzato negli investimenti in startup ad alto potenziale, sta guardando da tempo all'Italia come un importante terreno di sviluppo per la sua visione di innovazione: “Abbiamo già investito in diverse startup italiane e, in collaborazione con l'Agenzia Ice, abbiamo lanciato alcuni programmi di accelerazione per startup italiane, coinvolgendo più di venti aziende e generando un valore economico di oltre 10 milioni di euro – racconta Or Haviv, partner di Arieli Capital - . Ora vogliamo rafforzare la nostra presenza qui e abbiamo intenzione di aprire un’iniziativa legata al fashion tech a Milano entro la prima metà del 2024”. Haviv ha annunciato che entro il 2024 aprirà anche una sede a Milano dedicata a questa promettente area di intersezione tra moda e tecnologia.
  Durante l’evento Food Retail & Tech: insights for the future organizzato dal think tank Appetite for Disruption, che ha riunito leader del settore, innovatori e investitori del food retail, Arieli Capital ha lanciato una vera e propria chiamata per soluzioni innovative nel campo del food tech e dell'agritech. Or Haviv, partner di Arieli, ha evidenziato l'importanza dell'Italia come bacino di talenti e innovazione. Ha sottolineato il fatto che il settore alimentare è una componente cardine dell'economia italiana.

• Gli investimenti del fondo in startup italiane: "Le incoraggiamo a superare la paura del fallimento"
  Arieli Capital ha una vasta esperienza negli investimenti in startup italiane e ha evidenziato alcuni dei successi passati. "Abbiamo investito in diverse startup italiane, soprattutto nel settore healthcare, ma abbiamo anche guardato ad altri settori come il travel e l'agricoltura – ha dichiarato -. Siamo interessati a crescere insieme alle aziende in cui investiamo e a lavorare su future fasi di finanziamento per creare valore aggiunto".
  Ma cosa manca nel sistema dell’impresa innovativa italiana per competere con gli altri grandi sistemi dell’innovazione del mondo? “Un aspetto interessante della strategia di Arieli è l'approccio che prendiamo nell'incoraggiare le startup a superare la paura del fallimento – ha detto -. In Israele, se non sei fallito almeno due volte prima dei 30 anni, non sei considerato abbastanza ambizioso. È fondamentale che gli imprenditori italiani abbraccino il rischio e adottino una mentalità più orientata alla crescita."
  Arieli Capital è noto per la sua mentalità di investitore a lungo termine e per il suo interesse non solo nel fornire capitali, ma anche nel fornire valore aggiunto alle startup in cui investe. Haviv ha affermato che il fondo cerca di creare partnership solide e durature con le imprese, lavorando a stretto contatto con loro.

• Il foodtech in Israele: "Affrontare il cambiamento climatico e assicurare il cibo del futuro"
  Singolare è che a interessarsi al foodtech italiano sia un fondo nato tra Usa e Israele e partecipato in gran parte da israeliani. In Israele, infatti, foodtech e agritech sono particolarmente avanzati. Il deserto di Negev, situato nel sud di Israele, è noto per la sua aridità e avversità ambientale. Tuttavia, proprio in questo ambiente ostile, si trova un luogo di grande innovazione e ricerca nel campo della Foodtech: il Regional Ramat Negev Research and Development Center.
  “Il Regional Ramat Negev – commenta Haviv - è un centro di ricerca attivo dagli anni ‘70 che ha saputo sfruttare le sfide climatiche del deserto per sviluppare soluzioni innovative nel settore alimentare e agricolo. L'obiettivo principale di questo centro è quello di trovare modi per affrontare il cambiamento climatico e garantire la sicurezza alimentare in un futuro sostenibile”.
  Il centro si è specializzato in agricoltura di precisione e utilizza tecnologie avanzate come l'intelligenza artificiale, l'Internet delle cose (IoT) e il machine learning per ottimizzare la produzione agricola. In Israele, insomma, riescono a coltivare fragole e pomodori nel deserto. Ma non è finita. Nel paese ci sono scale up che stampano carne sintetica e che sono già in grado di scalare il meccanismo: “In un minuto si possono produrre tonnellate di carne – spiega – le implicazioni sono enormi, – aggiunge il partner di Arieli Capital -. Il Regional Ramat Negev è un esempio tangibile di come la Foodtech possa svolgere un ruolo cruciale nella creazione di un futuro più sostenibile per l'umanità. Le soluzioni innovative sviluppate in questo centro di ricerca possono essere applicate non solo nel deserto di Negev ma anche in altre regioni del mondo, contribuendo a combattere l'insicurezza alimentare e a proteggere l'ambiente”. A contribuire fortemente allo sviluppo dell’innovazione israeliana è il settore pubblico. Basti pensare che Il 70% del budget del ministero dell'Agricoltura (sostenitore di Agrisrael 4.0 insieme a quello dell'Economia, degli Affari esteri e all'Israel Export Institute) è destinato all'innovazione.

• Il ruolo della propensione al rischio. Gli investimenti nel settore spaziale
  In Italia c'è ancora una certa avversione al rischio tra gli investitori. Ciò può essere attribuito in parte alla cultura imprenditoriale italiana, che spesso privilegia la stabilità e la cautela rispetto al rischio imprenditoriale. Nonostante ciò, il settore food è un pilastro fondamentale dell'economia italiana e sta attirando l'attenzione di imprenditori e investitori che vedono un grande potenziale di crescita e innovazione in questo settore.
  “Oltre alla mancata propensione al rischio – aggiunge Haviv -. Sarebbero importanti maggiori sforzi istituzionali”. In Italia, la mancanza di finanziamenti è spesso un ostacolo per le startup. Arieli Family Office, invece, ha sottolineato come lavorino con piccoli ecosistemi in tutto il mondo, come la Slovenia, le Filippine e altri, e come sia importante comprendere le diverse culture e sfide di ogni ecosistema. In Israele, ad esempio, il governo ha creato piattaforme per ridurre il rischio degli investitori e ha istituito incubatori che attraggono capitali internazionali.
  Nell’ambito dei settori in cui il family office investe – tutti correlati al benessere umano e alla sostenibilità – c’è quello spaziale, che Arieli Capital ha iniziato a scandagliare anche in Italia: “Crediamo che la nuova frontiera dell’umanità sia lo spazio – conclude il partner -. Abbiamo già investito nel settore in Europa e, entro il prossimo anno, svilupperemo una piattaforma per startup early stage con l’Esa. C’è un collo di bottiglia nella validazione di tecnologie spaziali: per questa ragione stiamo costruendo con l’Agenzia spaziale europea una validation platform per sostenere le startup in early stage. La lanceremo entro l’inizio del prossimo anno”.

(La Stampa, 11 luglio 2023)

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' Finalmente sarà inaugurata la prima tramvia di Tel Aviv

di David Fiorentini

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Dopo vari ritardi, la metropolitana leggera di Tel Aviv finalmente inizierà a funzionare questo mese, come annunciato dal Ministero dei Trasporti. In un comunicato è stato confermato che tutte le necessarie misure di sicurezza sono state finalmente completate, e la Linea Rossa sarà inaugurata a breve.
  Ideata per essere inaugurata nell’ottobre 2021, la tanto attesa tramvia coprirà il tragitto da Petah Tikva a Bat Yam, attraverso Tel Aviv, Bnei Brak e Ramat Gan, con metà del percorso che si svilupperà sottoterra in una rete di tunnel.
  Il costo totale per la costruzione della Linea Rossa è giunto a circa 18,7 miliardi di NIS (4,7 miliardi di euro), in particolare a fronte dei numerosi problemi legati al sistema di segnalazione e al freno di emergenza, che hanno causato una grande frustrazione tra i cittadini.
  “Sono felice che presto si realizzerà il primo passo per risolvere il problema del traffico nell’area metropolitana di Tel Aviv”, ha dichiarato il ministro dei Trasporti Miri Regev dalla Georgia, dove si trovava in visita ufficiale. “Se non ci saranno problemi particolari, presto i cittadini di Israele potranno godere della linea”.
  La prima tramvia di Gerusalemme, invece, anche questa chiamata Linea Rossa, è stata già inaugurata nel lontano 2011 dopo una serie di simili ritardi ed è diventata da allora una caratteristica peculiare della capitale, utilizzata da residenti ebrei, musulmani e cristiani, oltre che da migliaia di turisti.
  Sia a Tel Aviv che a Gerusalemme sono state programmate nuove linee per espandere ulteriormente la rete di trasporti pubblici.

(Bet Magazine Mosaico, 10 luglio 2023)

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Azerbaigian: sventato attentato ad ambasciata israeliana

I Guardiani della rivoluzione islamica sempre pronti a pagare qualche "esterno”

BAKU – Un cittadino afghano di nome Pavzan Musa Khan è stato arrestato dai servizi di sicurezza dell’Azerbaigian perché sospettato di pianificare un attacco terroristico contro un’ambasciata straniera, che si ritiene essere la missione israeliana.
  Il Servizio di sicurezza dello Stato dell’Azerbaigian ha rilasciato una dichiarazione in cui si afferma che Khan avrebbe cospirato con altre persone per compiere atti di terrorismo nel territorio dell’Azerbaigian.
  Questi atti avrebbero comportato l’uso di cariche esplosive e di armi, con l’intenzione di causare danni a persone e ingenti danni alle proprietà.
  L’obiettivo finale era destabilizzare il Paese, seminare il panico tra la popolazione e influenzare i processi decisionali delle autorità statali e delle organizzazioni internazionali.
  Le indagini sul caso hanno rivelato che Khan ha osservato meticolosamente l’area in cui si trovano le missioni diplomatiche e avrebbe preso contatto con persone potenzialmente coinvolte nell’attacco. Inoltre, ha cercato assistenza per procurarsi armi ed esplosivi per il previsto atto terroristico.
  Il 23enne di nazionalità afghana è stato arrestato sul posto e le autorità stanno attualmente intraprendendo complesse e complete misure operative e legali per identificare e arrestare qualsiasi altro individuo che possa essere stato coinvolto nella pianificazione dell’atto terroristico.
  Sebbene il rapporto non specifichi esplicitamente quale ambasciata fosse l’obiettivo previsto, le fotografie diffuse dal servizio di sicurezza suggeriscono che Musa Khan abbia sorvegliato il complesso alberghiero Hyatt Regency di Baku, dove si trova l’ambasciata israeliana, sollevando il sospetto che l’ambasciata israeliana possa essere stata il bersaglio previsto.
  Il presidente israeliano Issac Herzog ha visitato Baku lo scorso maggio sotto stretta sorveglianza, nel timore che il vicino Iran potesse tentare di disturbare la visita. La visita nel Paese musulmano sciita, che mantiene legami strategici con lo Stato di Israele, è avvenuta dopo l’inaugurazione della sua ambasciata nel Paese.

(Rights Reporter, 11 luglio 2023)

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In Israele ciclo di prove positive per il sistema David’s Sling

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Circa due mesi dopo il successo dell’avvio operativo dell’Operazione Scudo e Freccia, l’Aeronautica Militare, la Direzione del Ministero della Difesa e la compagnia Rafael hanno completato con successo una serie rivoluzionaria di addestramento ed esperimenti nel sud di Israele, che includevano intercettazioni riuscite del sistema David’Sling in una serie di scenari complessi e impegnativi, di fronte a minacce avanzate, che ampliano le capacità del sistema e le migliorano in modo significativo in modo significativo gli strati di difesa aerea dello Stato di Israele.
  La Direzione del Ministero della Difesa, l’Aeronautica Militare e la compagnia Rafael hanno portato a termine con successo una rivoluzionaria Alla serie di esercitazioni effettuate con l’avanzato sistema di difesa ‘David’s Sling’, progettato per intercettare minacce avanzate, inclusi missili balistici, missili da crociera, aerei e droni, hanno partecipato anche Israel Aerospace Industires (IAI) ed Elbit Systems. Nel corso delle esercitazioni, le capacità esistenti del sistema David’s Sling sono state testate in una serie di scenari impegnativi, che dimostrano le capacità del sistema d’arma durante un conflitto. Il successo del modello è un’altra importante pietra miliare nell’accettazione operativa del sistema nell’Aeronautica Militare, contro la varietà di minacce nelle varie arene di combattimento dell’IDF.
  All’attività hanno partecipato alti rappresentanti della MDA americana Missile Defense Agency, partner insieme al Wall Directorate delle Forze di Difesa Israeliane nello sviluppo e nella produzione del sistema David Sling.
  Il sistema David Sling è uno strato centrale di difesa nel sistema di difesa aerea nazionale, che comprende anche i sistemi Arrow, Iron Dome e Naval Iron Dome, il cui sviluppo è guidato dal Ministero della Difesa attraverso la Direzione del Muro della Difesa Ministero.
  L’azienda Rafael è il principale sviluppatore del sistema di difesa David’s Sling. IAI sviluppa, attraverso la divisione Elta, il radar MMR, Elbit Systems sviluppa il sistema di comando e controllo del sistema David’s Sling mentre è di pertinenza di Rafael il missile intercettore.

(Ares-Osservatorio Difesa, 10 luglio 2023)

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Metaverso e metà Decalogo

di Rav Riccardo Di Segni

Il momento in cui l’uomo imparò a usare il fuoco rappresenta una delle svolte decisive nella storia dell’umanità. Il mito greco di Prometeo interpreta la vicenda come un furto agli dei che per questo dettero una terribile punizione al colpevole. Al contrario, nella haggadà, la narrazione rabbinica, il controllo del fuoco è un dono fatto da Hashem ad Adamo quando fu colto dal terrore rimanendo al buio alla fine dello shabbat della creazione. Questo rapporto positivo lo sottolineiamo ritualmente ogni settimana nella cerimonia della havdalà quando recitiamo una specifica benedizione davanti a una fiamma accesa che ci illumina. Quello del fuoco è un esempio notevole di come la cultura ebraica si rapporti positivamente con i prodotti tecnologici. Il fuoco come ogni altra invenzione o scoperta può essere terribilmente pericoloso e distruttivo ma anche assolutamente utile. È un equilibrio difficile che bisogna gestire ma che non deve significare il rifiuto a priori e totale.
  Queste considerazioni valgono come una premessa essenziale nel momento in cui, a distanza di tempo sempre più avvicinata, dobbiamo confrontarci con l’impatto di nuove tecnologie che cambiano completamente il nostro modo di vivere. Dopo le recenti rivoluzioni digitali, internet e l’arrivo dei telefonini è ora la volta dell’intelligenza artificiale e di una sua espansione particolare, il metaverso. Nessuno si sogni di poter fermare l’evoluzione della tecnologia, a meno che questa non sia completamente distruttiva e autodistruttiva. Altrimenti la novità entrerà nelle nostre vite e dovremo non solo abituarci ma molto presto non ne potremo fare a meno. Tale è la rapidità di immissione nelle vite e nei mercati di questi avanzamenti, che tutte le persone che dovrebbero controllarne lo sviluppo (politici, eticisti, giuristi, addetti alla sicurezza generale e sanitaria, e gli stessi tecnici creatori) saranno molto più lenti a capire di che si tratta per poter imporre delle regole e dei limiti, arriveranno tardi. Questo perché gli investimenti e gli interessi economici sono tali da coinvolgere molte più persone e molto più intensamente di quanto lo siano numericamente e nella loro forza quelli che dovrebbero essere i controllori.
  Se ci spostiamo sul campo più specifico dell’etica ebraica potremmo però già da ora individuare le criticità che dovrebbero mettere in allarme il pubblico e non solo quello ebraico. L’etica ebraica non è limitata agli ebrei, ma ha dei valori da proporre (mai imporre) a tutti.
  Proprio in termini più universali ho pensato che una guida ad alcuni concetti essenziali potrebbe derivare da alcuni dei 10 comandamenti, secondo il canone ebraico e il modo rabbinico di interpretarli.
Secondo comandamento: non farti alcuna immagine. Non solo è proibito inchinarsi agli idoli ma anche farsi delle immagini, anche se non si adorano. È noto come l’interpretazione di queste regole sia molto diversa nei vari mondi religiosi. La tradizione ebraica intende questo comando come una via di mezzo tra l’aniconismo assoluto dell’Islam e il permesso totale del Cattolicesimo. Per quanto riguarda le immagini, per i rabbini, il divieto principale è per quelle umane complete tridimensionali. Trasportando questi concetti al metaverso si aprono prospettive interessanti. Il  metaverso crea una realtà virtuale tridimensionale, riproduzioni di qualcosa che c’è o immagini di qualcosa che non c’è. Sono virtuali ma appaiono reali, le possiamo vedere e sentire e persino toccare. In che modo il comandamento biblico, nello spirito e nella pratica può essere riferito a situazioni come queste del tutto nuove? Forse in una stretta prospettiva giuridica si potrà dire che la realtà virtuale è esclusa dal divieto, ma la sfida concettuale rimane: perché è proibito farsi delle immagini?
Quarto comandamento: il Sabato. L’osservanza pratica della regola impone l’astensione da ogni atto con il quale si modifica l’ambiente e si dimostra la nostra capacità di dominarlo. Ad esempio è proibito ogni lavoro di produzione alimentare, dall’aratura dei campi all’impasto della farina fino alla cottura del pane; i lavori stessi e quelli che a loro somigliano. Questo significa tra l’altro che è proibito usare, attivandolo durante il Sabato, qualsiasi sistema tecnologico, da una penna per scrivere a una lampadina da accendere o spegnere, dal computer al telefonino. Non è un caso, richiamando le prime righe di questa nota, che la Torà proibisca esplicitamente di accendere il fuoco di Sabato (Esodo 35:3). Il messaggio essenziale è che noi abbiamo il permesso e anche il dovere di intervenire sulla realtà. Ma non è un permesso illimitato. Vale per sei giorni, il settimo ci fermiamo. Gli strumenti tecnologici sono nostre creature, al nostro servizio. Non dobbiamo diventare schiavi delle nostre creazioni. Almeno per un giorno a settimana dobbiamo recuperare la nostra natura spirituale. Non potremo quindi accedere agli strumenti del  metaverso nel giorno di sabato e questo sarà già un messaggio di liberazione.
Ottavo  comandamento: non rubare. Per i rabbini non significa solo rubare dei beni, ma in primo luogo le persone, rapirle. Che c’entra questo con il metaverso? Tra le sue potenzialità c’è il controllo totale delle persone che lo usano. Oggi se facciamo una ricerca su internet su un posto turistico veniamo bombardati per giorni da pubblicità riferite al quel sito. Con il metaverso sarà tutto più totalizzante, ogni nostra reazione, dal battito cardiaco al battere le ciglia sarà monitorizzata, analizzata e classificata. Non ci saranno più segreti sui nostri pensieri e le nostre emozioni. Saremo rubati, rapiti, a scopo commerciale prima, e poi politico.
Settimo comandamento: non commettere adulterio. Tecnicamente la norma proibisce l’adulterio ma più generalmente si tratta di un comando a seguire un comportamento sessuale corretto. Anche qua, che c’entra il metaverso? Uno dei suoi lati più oscuri e problematici è la possibilità che offre, mediante gli accessori “indossabili” che servono ora a usarlo (visori, guanti, camicie ecc.), di provare sensazioni fisiche visive e tattili. Immaginate l’impatto sessuale. Non è più il film pornografico o la bambola di gomma. È l’immersione in un sesso virtuale che potrebbe essere ancora più appagante di quello reale, e molto più comodo, dato che il rapporto con un altro ha sempre un costo sociale. Solo che in questo modo, aldilà di qualsiasi considerazione morale sulle scelte sessuali, si toglierà al sesso la sua funzione fondamentale di confronto e comunicazione interumana, a favore di un isolamento deresponsabilizzato.
Sesto comandamento: non uccidere. Il metaverso può creare, peggio di una droga, dipendenza, asocialità, perdita di controllo morale, perdita di distinzione tra reale e virtuale, istigazione alla violenza singola e di gruppo. Soprattutto per i più indifesi e coloro che hanno poche esperienze di vita, come possono essere bambini e adolescenti. I social, oggi, per alimentarsi di pubblicità, hanno bisogno di coinvolgere sempre più persone, e uno dei modi per farlo è alimentare dibattiti divisivi e provocatori. Siamo testimoni nel nostro piccolo comunitario come sia facile abboccare a questo amo e quanta violenza gratuita e incontrollata si scateni. Ma questo ora è solo l’inizio. Dopo sarà semplicemente moltiplicato.
Ce n’è abbastanza per creare un minimo di allarme e indurre alla vigilanza. Pensateci bene, il prossimo anno, prima di regalarvi un visore o di farlo come regalo di bar-bat mitzwà.

(Shalom, 7 luglio 2023)

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Una squadra israeliana gareggerà alla FIFA-e World Cup in Arabia Saudita

di Luca Spizzichino

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Una squadra di giocatori israeliani è atterrata venerdì scorso in Arabia Saudita per prendere parte alla Coppa del Mondo del videogioco FIFA, che si terrà dal 16 al 19 luglio a Riyadh.
  La FIFAe World Cup si tiene ogni anno e vede i partecipanti affrontarsi nell'ultima versione del videogioco di calcio. Quest'anno è la prima volta che l'Arabia Saudita ospita l'evento. Tre membri della squadra, il loro allenatore e il vicedirettore sono entrati nel paese attraverso gli Emirati Arabi Uniti con i loro passaporti israeliani per l'evento, secondo quanto riferito dall’emittente israeliana Kan.
  Zvika Kosman, manager della squadra, ha detto a Kan di aver lavorato con la FIFA per assicurarsi che i sauditi permettessero alla squadra di entrare nel Paese. Le autorità saudite hanno scritto una lettera sottolineando che tutti i partecipanti sarebbero stati ammessi nel Paese, senza specificare gli israeliani.
  "Il processo è stato semplice e veloce, tutti qui sono gentili", ha detto Roi Feldman, uno dei giocatori israeliani, ai giornalisti del canale israeliano durante il fine settimana. I giocatori avranno una bandiera israeliana sulla maglia.
  La squadra, per motivi di sicurezza, non mostrerà apertamente la propria identità israeliana al di fuori del torneo. "Saremo in hotel e nel luogo in cui giocheremo, ma non andremo in giro", ha detto a Kan Yuval Blei, un altro giocatore. Secondo il Jerusalem Post, prima di ogni partita suonerà l’Hatikvah, l’inno dello Stato d’Israele, e la bandiera israeliana verrà esposta alla cerimonia di apertura di domenica prossima. La sicurezza della delegazione israeliana sarà assicurata dalle autorità locali e da una società privata.

(Shalom, 10 luglio 2023)

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La scelta di Netanyahu: collaborare con Abu Mazen o affossarlo definitivamente

di Alfredo De Girolamo

Dopo gli eventi di Jenin, il dilemma stringente del premier israeliano Benjamin Netanyahu è decidere se collaborare con Abu Mazen o affossare definitivamente la controparte palestinese. Scrive il giornalista Herb Keinon: "A livello strategico, Israele deve definire le sue intenzioni. Se il portavoce dell'IDF ha chiarito che il bersaglio dell'operazione "Casa e Giardino" era quello di colpire l'infrastruttura terroristica senza occupare e rimanere a Jenin, un simile obiettivo diplomatico non è stato articolato".
  La prima opzione in gioco può essere attuata solo garantendo la piena funzionalità dell'Autorità nazionale palestinese (ANP). Per farlo il leader del Likud ha però bisogno di avere alle spalle un governo di larghe intese che dia concessioni concrete ai palestinesi e non, un esecutivo in mano a frange di estremisti nazionalisti come l'attuale maggioranza della Knesset. Se invece l'obiettivo strategico di Netanyahu è rendere inconsistente il ruolo della cricca degli eredi di Arafat allora, deve prepararsi materialmente a colmare il vuoto di potere che si creerà il giorno dopo il collasso del regime. Nel qual caso la battaglia di Jenin, costata all'esercito di Tzahal un ingente spiegamento di forze in campo, è un'avvisaglia di quanto potrebbe accadere a breve su larga scala, in tutta la Cisgiordania. Dove oramai il palazzo presidenziale della Muqata non è in grado di mantenere il controllo della sicurezza nelle città periferiche del nord: debolissimo di fronte alla presenza di gruppi terroristici generazionali, vittima della violenza vandalica dei coloni e soverchiato dai continui raid dell'IDF nei campi profughi.
  Così Kobi Michael e Ori Wertman sul The Jerusalem Post: "Oggi sembra che l'Autorità Palestinese, sotto la guida di Mahmoud Abbas, si trovi nella sua situazione peggiore dai tempi della Seconda Intifada e ha imboccato un percorso che potrebbe portare al suo dissolvimento". Il declino di Abu Mazen è principalmente il frutto di dinamiche interne: poca democrazia, lotta tra le fazioni per il potere, corruzione dilagante e l'occupazione. Disaffezione e malcontento diffuso sono certificati dai rilevamenti raccolti dal Palestinian Center for Policy and Survey Research (PCPSR). La fiducia dell'opinione pubblica nell'ANP è ai minimi storici ed anche la popolarità del rais, a chiederne le dimissioni sono 8 palestinesi su 10. Il 67% è comunque certo che non saranno indette elezioni generali, per il momento. Ma se accadesse il più accreditato al successo resta Marwan Barghouti, che intanto sta scontando l’ergastolo in un carcere israeliano. La percezione di vivere in un sistema corrotto sfiora il 90% dei palestinesi. Mentre, il 74% ritiene che la soluzione a due stati sia un processo irrealizzabile, a causa dell'espansione degli insediamenti. Inoltre, c'è la convinzione che sia prossimo lo scoppio di una terza Intifada. Il 71% si dice favorevole alla formazione dei nuovi gruppi armati, e persino che la polizia di Ramallah non ha alcun diritto di arrestarli (86%).
  Sul fronte israeliano, il sondaggio di Israeli Voice Index mostra che la tendenza prevalente tra il pubblico è di diffidenza nei confronti del governo di Netanyahu, e la gente è poco ottimista sul futuro. Non convincono lotta a crimine e terrorismo. Particolarmente criticata dagli intervistati la mancata gestione del caro vita e in generale le politiche economiche dell'esecutivo più a destra della storia di questo paese. Per quanto riguarda il giudizio sull'operato del primo ministro in carica Netanyahu, resta positivo solo tra i suoi elettori. Che tuttavia non gli perdonano la riforma della giustizia. Per Alon Pinkas storica firma di Haaretz: "Benjamin Netanyahu e il suo governo estremista spingono a pieno ritmo un'agenda legislativa gravemente antidemocratica, ma il primo ministro israeliano ha fatalmente sottovalutato il movimento di protesta". È evidente come la classe politica al governo, palestinese o israeliana, sia sempre più lontana dalla realtà.

(L'HuffPost, 10 luglio 2023)

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Biden smorza gli entusiasmi su un accordo Israele-Arabia Saudita

di Emanuele Rossi

Israele e Arabia Saudita sono molto lontani da un accordo di normalizzazione che preveda un trattato di difesa e un programma nucleare civile da parte degli Stati Uniti, ha dichiarato il presidente americano, Joe Biden, in un’intervista alla Cnn trasmessa domenica. Le parole di Biden segnano un momento all’interno del tema “Gerusalemme-Riad”.

• NARRAZIONI E INTERESSI
  Da mesi si parla con insistenza di una possibile normalizzazione israelo-saudita: si sa che le due parti sono disposte a questa mossa storica e che Washington ne sarebbe ben contenta (perché sarebbe un passaggio che completerebbe gli Accordi di Abramo e aiuterebbe a mantenere ordinato il Medio Oriente, consentendo così agli americani di continuare con la strategia di ritirata dalla regione).
  E però, si evidenziano anche alcune vulnerabilità. Su tutte, la non disponibilità saudita a procedere con un così grande investimento di carattere geostrategico ed ideologico insieme a un governo come quello attuale di Benjamin Netanyahu, caratterizzato attualmente da posizioni estremiste nei confronti del dossier palestinese. Il regno saudita è protettore dei luoghi sacri dell’Islam — con tutto il portato socio-culturale e politico-strategico che questo comporta — e non vuole esporsi mentre le istanze palestinesi vengono costantemente contratte dagli israeliani. Per quanto pragmatica possa essere la visione del factotum ed erede al trono Mohammed bin Salman, esistono limiti (per altro difficili da oltrepassare finché il sovrano Re Salman resterà in vita).
  La scorsa settimana la furia dell’opinione pubblica è cresciuta nel mondo arabo dopo una delle più grandi operazioni militari di Israele nella Cisgiordania occupata degli ultimi anni, un raid nel campo profughi di Jenin, una roccaforte dei militanti palestinesi.  Martedì scorso, l’Arabia Saudita si è unita ad altre nazioni della Lega Araba nel condannare il raid, che ha ucciso 12 palestinesi. Anche prima delle ultime violenze, Riad ha affermato che la normalizzazione non è possibile fino a quando non saranno affrontati gli obiettivi di statualità palestinese (la cosiddetta “soluzione a due stati” che da anni ricorre senza risultati come forma risolutiva della diatriba).
  Il governo religioso-nazionalista israeliano ha riconosciuto una battuta d’arresto negli sforzi di normalizzazione in seguito alle censure saudite sulle sue politiche nei confronti dei palestinesi. Il ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen, ha dimostrato consapevolezza del quadro esprimendo una nota di speranza domenica sulla rara partecipazione di una delegazione israeliana a un torneo di videogiochi di calcio ospitato da Riad durante il fine settimana. Tuttavia gli organizzatori sauditi hanno fatto sapere che la presenza degli israeliani non è legata a processi di diplomatici, ma semplicemente perché è stato concesso a tutti coloro che volevano iscriversi di partecipare.

• COSA C’È SUL PIATTO?
  I funzionari statunitensi stanno negoziando nel tentativo di raggiungere un accordo di normalizzazione. i due Paesi sono disponibili, come detto, ma servirà tempo. Sono d’altronde fonti e analisti di vario tipo a suggerire da un po’ che ancora ci siano distanze. “Siamo molto lontani. Abbiamo molto di cui parlare”, ha detto Biden in un’intervista a “Fareed Zakaria’s GPS” confermando il contesto attorno a quello che potrebbe essere un passaggio storico per la regione mediorientale.
  Tra le varie cose, oltre a posizioni di carattere più politico, ci sono anche i tempi più pratici da definire. Riad vuole il nucleare (intanto civile) e sta chiedendo assistenza tecnica agli Stati Uniti  — oltre che a Russia e Cina. Vorrebbe mettere un impianto sul tavolo delle trattative incrociate, ma non sarà facile. Il mese scorso, il ministro dell’Energia israeliano, Israel Katz del Likud,  ha per esempio espresso la sua opposizione all’idea che l’Arabia Saudita sviluppi un programma nucleare civile nell’ambito di un’eventuale mediazione statunitense per la creazione di relazioni tra i due Paesi.
  C’è diffidenza perché a Gerusalemme si teme di perdere la prerogativa di essere unica potenza atomica della regione (sebbene il nucleare israeliano sia coperto da ambiguità strategica). Biden, parlando con Zakharia, ha sottolineato la decisione dell’Arabia Saudita, alla vigilia della sua visita nel regno la scorsa estate, di concedere il passaggio nel proprio spazio aereo a tutti i vettori, aprendo la strada a un maggior numero di sorvoli da e per Israele. Ha anche sottolineato gli sforzi per un cessate il fuoco permanente nello Yemen, un conflitto che ha ucciso decine di migliaia di persone e che è stato ampiamente visto come una guerra per procura tra Arabia Saudita e Iran.
  “Stiamo facendo progressi nella regione. E dipende dalla condotta e da ciò che ci viene chiesto per il riconoscimento di Israele” ha detto Biden nell’intervista. Ancora: “Francamente, non credo che abbiano molti problemi con Israele. Ma se [mi chiedete se] noi forniremo o meno un mezzo che permetta [ai sauditi] di avere un’energia nucleare civile e/o di essere un garante della loro sicurezza, questo penso che sia un po’ lontano”. Israele ha dichiarato di aspettarsi di essere consultato da Washington su un accordo tra Stati Uniti e Arabia Saudita che riguardi la sua sicurezza nazionale.
  Citando precedenti come l’Iraq e la Libia, gli israeliani temono da tempo che vicini potenzialmente ostili possano utilizzare l’energia nucleare civile e altri progetti sviluppati nell’ambito del Trattato di Non Proliferazione del 1970 come copertura per la produzione clandestina di bombe. Da una parte il dossier palestinese, dall’altra la questione nucleare saudita, frenano quello che per diverse volte è stato dato come un accordo già fatto. Biden conferma gli scetticismi.

(Formiche.net, 10 luglio 2023)

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Manifestazioni in Israele contro la riforma giudiziaria. Cosa sta succedendo?

Mentre il Ministro Amsalem (Likud) chiede l'arresto dei leader della protesta, migliaia di riservisti si ritrovano sotto casa del Ministro della Difesa per chiedere di nuovo un suo intervento

Il ministro della Cooperazione regionale David Amsalem ha chiesto sabato l’arresto dei leader della protesta contro la riforma giudiziaria, l’interrogatorio dell’ex primo ministro Ehud Barak e la destituzione del procuratore generale Gali Baharav-Miara.
  Amsalem, un avvocato del Likud che ricopre anche una carica presso ministero della Giustizia e come incaricato del collegamento tra il governo e la Knesset, ha denunciato durante un’intervista a Channel 12 che i leader delle proteste hanno causato “disordini di massa” nel Paese negli ultimi sei mesi, mentre il capo della polizia del distretto di Tel Aviv, Amichai Eshed, si è rifiutato di affrontare la questione.
  L’annuncio delle dimissioni di Eshed questa settimana, in cui si affermava che sarebbe stato trasferito dal ruolo a causa dell’avversione dei politici per il suo approccio morbido nei confronti dei manifestanti, ha portato a una serie di proteste di massa spontanee e al blocco dell’autostrada Ayalon a Tel Aviv per diverse ore.
  “Non c’è intelligence, non ci sono arresti nelle notti [delle proteste], non ci sono indagini su [l’ex capo della Corte Suprema] Aharon Barak o Ehud Barak. State male? Protestate, proprio come hanno fatto le persone fin dalla creazione dello Stato. Ma perché fare disordini? È illegalità“, ha detto, aggiungendo: “Ehud Barak, a mio parere, avrebbe dovuto essere nella stanza degli interrogatori già da qualche tempo”.
  “Non c’è persona nel Paese che non lo pensi, compreso lui stesso. Ma sa che nessuno lo farà perché è al di sopra della legge“, ha affermato Amsalem.
  Giovedì Barak, che ha esortato alla “disobbedienza civile non violenta” per cercare di bloccare la revisione giudiziaria proposta dalla coalizione, ha dichiarato in un’intervista televisiva che i piloti e alcuni altri soldati d’élite dovrebbero rifiutarsi di continuare a prestare servizio nell’IDF se una proposta di legge attualmente avanzata dalla coalizione diventasse legge.
  Il disegno di legge, che sarà presentato lunedì in prima lettura, impedirebbe alla magistratura di utilizzare la dottrina della “ragionevolezza” per rivedere le decisioni prese dal gabinetto, dai ministri del governo e da altri funzionari eletti non specificati.
  Secondo un rapporto del mese scorso, è stata istituita una task force speciale per indagare se Barak e altri leader delle proteste possano essere accusati di incitamento per i commenti che incitano alle proteste antigovernative.
  “Non c’è pace nel disordine. Qui c’è anarchia. C’è una sfida allo stato di diritto qui, quindi i manifestanti devono essere dispersi“, ha detto Amsalem, chiedendo una mano più dura contro i dimostranti.
  Il ministro si è anche scagliato contro Baharav-Miara, affermando che avrebbe dovuto lasciare l’incarico non appena il primo ministro Benjamin Netanyahu avesse istituito un nuovo governo il 29 dicembre.
  “Non è degna di questa posizione e non lo è mai stata, ha detto Amsalem. “Penso che se avesse avuto un po’ di rispetto per se stessa, avrebbe restituito le chiavi e sarebbe andata a casa“.
  Il procuratore generale si è scontrato con i ministri su diverse questioni. Recentemente, Netanyahu, il ministro della Giustizia Yariv Levin e il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir hanno rimproverato Baharav-Miara e altri alti funzionari delle forze dell’ordine per la loro gestione delle proteste in corso contro la riforma giudiziaria.
  Amsalem ha giustificato una proposta per limitare i poteri dei consulenti legali del governo, sostenendo che dalla creazione dello Stato, al partito di destra Likud non è stato permesso di governare quando è stato eletto.
  “Il Likud non può nominare funzionari [del ministero] e non può prendere decisioni. Ho cercato di nominare un direttore generale per tre mesi e mezzo, ma [il vice procuratore generale] Gil Limon non me lo ha permesso“, ha detto, riferendosi alle difficoltà incontrate da Amsalem nel nominare Moshe Swissa al ruolo di vertice del ministero della Cooperazione regionale, a causa di precedenti infrazioni disciplinari.
  “Non ci sono funzionari che hanno opinioni di destra. Non ci sono Likudniks. Più della metà del Paese è composta da likuddisti“, ha accusato, promuovendo un’argomentazione comune dei membri del governo secondo cui i burocrati del Paese non sono rappresentativi dell’opinione pubblica di destra. Ma mente sapendo di mentire perché non è vero che metà del Paese ha votato per il Likud. Il partito ha ottenuto il 23% dei voti alle ultime elezioni.
  Amsalem è stato un convinto sostenitore della drastica revisione del sistema giudiziario prevista dal governo. Ad aprile ha chiesto l’incriminazione della presidente della Corte Suprema Esther Hayut per la sua opposizione al controverso piano, sollecitando anche indagini contro i leader del movimento di protesta.

• MANIFESTAZIONE DAVANTI ALL'ABITAZIONE DEL MINISTRO DELLA DIFESA
  Diverse migliaia di manifestanti si sono riuniti sabato sera davanti alla casa del Ministro della Difesa Yoav Gallant per una manifestazione notturna organizzata dai riservisti dell’esercito contro la riforma giudiziaria.
  La manifestazione, svoltasi dalle 22.00 alle 3.00 nella città settentrionale di Amikam, è sembrata la prima di questo tipo da parte degli attivisti contrari alla riforma, che hanno recentemente intensificato i loro sforzi mentre il governo si appresta ad avanzare nei prossimi giorni la prima parte di un pacchetto legislativo volto a limitare radicalmente il sistema giudiziario del Paese.
  Il gruppo di protesta contro la revisione, “Brothers in Arms”, ha dichiarato in un comunicato che “capi di stato maggiore e generali dell’IDF di tutti i tempi, comandanti del Mossad, comandanti dello Shin Bet e della polizia” hanno partecipato alla manifestazione notturna.
  “Insieme riporremo le nostre speranze nel ministro della Difesa, che ha già dimostrato che, sulla sua coscienza, non permetterà che venga danneggiata la sicurezza di Israele e che la nazione venga fatta a pezzi“, ha aggiunto il gruppo di protesta.
  A fine marzo, Gallant aveva chiesto di sospendere la revisione giudiziaria, citando un “pericolo tangibile” per la sicurezza dello Stato, mentre centinaia di riservisti militari minacciavano di non presentarsi più in servizio per protestare contro la controversa legislazione.
  Gallant è stato il primo membro del governo a chiedere pubblicamente di fermare la revisione, e il primo ministro Benjamin Netanyahu ha risposto annunciando la sua decisione di licenziarlo il giorno successivo. Questa mossa ha provocato proteste spontanee di un’intensità e di una portata mai viste durante i primi tre mesi di manifestazioni, che apparentemente hanno portato alla decisione del premier di ascoltare l’appello di Gallant il giorno successivo e di tenere colloqui con l’opposizione per raggiungere un compromesso sulla riforma giudiziaria.
  Ma i negoziati si sono interrotti il mese scorso, portando la coalizione ad annunciare che avrebbe iniziato ad avanzare unilateralmente parti della revisione. Lunedì la coalizione dovrebbe far passare in prima lettura alla Knesset un disegno di legge che elimina la possibilità per i tribunali di pronunciarsi sulla “ragionevolezza” delle decisioni governative.
  Durante la protesta notturna davanti all’abitazione di Gallant, gli oratori hanno invitato il ministro della Difesa ad opporsi ancora una volta ai piani dei suoi colleghi legislatori della coalizione, come aveva fatto tre mesi fa.
  “La spaccatura della società è più profonda che mai e il colpo di stato [del governo] distruggerà l’esercito del popolo“, ha dichiarato l’ex capo dello Shin Bet Ami Ayalon.
  “Le ho scritto in passato perché speravo che lei fosse lo stesso coraggioso comandante che ho nominato al comando dell’unità di ricognizione navale Shayetet“, ha continuato Ayalon. “Lei deve il suo ministero a noi e alle centinaia di migliaia di persone che sono scese in piazza. In passato ha scelto la lealtà alla sicurezza di Israele piuttosto che la lealtà a Netanyahu e ci aspettiamo che lo faccia di nuovo“.
  L’ex capo di stato maggiore dell’IDF e ministro della Difesa del Likud, Moshe Ya’alon, ha dichiarato nel suo discorso di vergognarsi di Gallant e di altri membri del suo ex partito. “Conosco anche Nir Barkat e Avi Dichter che erano miei subordinati nell’esercito. Come fate a non vergognarvi di lasciare che Benjamin Netanyahu ci porti alla distruzione?“, ha chiesto.
  Rivolgendosi a Gallant, il Magg. Gen. (Ris.) dell’IDF Noam Tibon ha detto che il ministro della Difesa era ben consapevole dei danni che la revisione stava causando. È per questo che il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden non è disposto a incontrare Netanyahu.
  “Sapete che per prepararsi alla sfida iraniana, l’IDF deve essere al meglio, e che i piloti e i riservisti non voleranno o combatteranno per una dittatura“, ha avvertito.
  Alla manifestazione è intervenuto anche l’ex generale dell’IDF Amal Assad, attivista sociale di spicco della comunità drusa.
  “Yoav, sono venuto qui per ricordarti che io e te siamo fratelli“, ha esordito. “Quando sei venuto a sostituirmi come generale di brigata per la regione di Jenin, ti ho detto che fino ad allora pensavo che non ci fossero più persone coraggiose come me, ma tu hai distrutto la mia percezione“.
  “Oggi sono qui, insieme ai Fratelli in armi, per chiedervi ancora una volta di ascoltare la vostra coscienza. Prendete una decisione coraggiosa e fermate la follia“, ha detto Assad.
  Un cartello srotolato durante la protesta recitava: “Il processo legislativo dovrebbe essere fermato”, citando una frase del discorso di Gallant del 25 marzo.

(Rights Reporter, 10 luglio 2023)

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Gli Ebrei in Calabria, incontro al Parco Archeologico Archeoderi

La Calabria tutta è fiera del proprio passato e ama ricordare e celebrare le civiltà e i popoli che ne hanno scolpito il volto, dalla lontana Preistoria al Periodo greco-ellenistico, all’Età romana, al Popolo del Libro (Am HaSefer) che ha fatto dell’insegnamento della Torah lo strumento della sua identità e una fonte inesauribile di saggezza per tutte le Genti. L’Associazione Bova Life, grazie alla ormai consolidata collaborazione scientifica con il professore Louis Godart, archeologo e filologo di fama mondiale, membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei e già consigliere per la Conservazione del Patrimonio Artistico alla Presidenza della Repubblica Italiana, organizza il 12 luglio un incontro centrato sulla presenza degli Ebrei in Calabria.
  Faranno gli onori di casa la dottoressa Elena Trunfio, direttrice del Museo e Parco Archeologico Archeoderi, l’onorevole Saverio Zavettieri, sindaco di Bova Marina, e il dottor Luca Micheletta, segretario generale di Bova Life. Modererà l’incontro il dottor Giorgio Neri, giornalista dell’Ansa.
  Oltre alla relazione di Godart, dal titolo “Il Libro e il Popolo che scommette sulle radici dell’anima”, interverrà il professore Pasquale Casile, storico, ricercatore grecista e vice presidente dell’Associazione Culturale Magna Grecia Pieve Emanuele, con una relazione su “La sinagoga di Bova Marina, il tempio del giudaismo italogreco. Tracce millenarie di ebraismo nel greco bovese. Indagine linguistica".
  Il Convegno si terrà mercoledì 12 luglio, alle ore 17,30, al Parco Archeologico Archeoderi di Bova Marina, e avrà come ospite principale il dottor Guido Coen, Consigliere delle comunità ebraiche italiane. Registrazioni per partecipare a questo link.

(Reggio Today, 10 luglio 2023)

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Il programma degli ambientalisti: Il suicidio dell'Europa

Beyond Growth è il raduno ideologico annuale degli ambientalisti europei. Cosa viene in mente alla maggior parte della gente quando esamina il report della conferenza Beyond Growth? Il Parlamento Europeo. La correlazione tra le proposte radicali della Beyond Growth e il Parlamento Europeo si presenta come assolutamente naturale: se il Parlamento Europeo vuole un ambientalismo radicale, come potrebbe opporsi a ciò un piccolo elettore locale? Nella foto: il Parlamento Europeo a Bruxelles

di Drieu Godefridi*

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Dobbiamo riconoscere che gli ambientalisti europei, e l'estrema Sinistra in generale, hanno un'invidiabile capacità di comunicazione. Mentre i movimenti conservatori sono ancora troppo spesso rappresentati da quelle che sembrano caricature politiche disumanizzate, gli ambientalisti europei, a parte un'isterica Greta Thunberg, si sono dati volti freschi e simpatici di portavoce che parlano dei peggiori orrori in modo accattivante, pacato ed eloquente.
  Prendiamo, ad esempio, la conferenza Beyond Growth 2023 da poco conclusasi a Bruxelles, in Belgio. Beyond Growth è il raduno ideologico annuale degli ambientalisti europei e delle loro innumerevoli staffette nel mondo delle organizzazioni teoricamente "non governative" (ONG), finanziate dal governo.
  Beyond Growth non si riunisce nei salotti di un albergo prestigioso o di qualche dimora di campagna, ma lo fa direttamente negli edifici del Parlamento Europeo. Questo non accade per caso: quando la stampa punta accuratamente l'attenzione sulla conferenza Beyond Growth, diffonde le immagini di persone che parlano e che stanno sedute nei confortevoli banchi dell'emiciclo del Parlamento Europeo. Cosa viene in mente alla maggior parte della gente quando esamina il report della conferenza Beyond Growth? Il Parlamento Europeo. La correlazione tra le proposte radicali della Beyond Growth e il Parlamento Europeo si presenta come assolutamente naturale: se il Parlamento Europeo vuole un ambientalismo radicale, come potrebbe opporsi a ciò un piccolo elettore locale?
  La protagonista dell'ultima conferenza è stata l'attivista belga fiamminga Anuna De Wever, una dei giovani leader ambientalisti.
  Dovete leggere e ascoltare quello che dicono questi attivisti. La maggior parte di loro annuncia cosa farà, se raggiungesse il potere. Qui di seguito le "proposte" dell'affascinante e sorridente De Wever:

  1. "Dobbiamo ridistribuire la ricchezza", esordisce la De Wever. A chi e come? Nessun dettaglio. Questo è da un secolo il tema ricorrente di ogni stravagante discorso europeo che si rispetti. Sarebbe fuori luogo suggerire di avviare la ridistribuzione della ricchezza con gli stipendi e il patrimonio degli eurodeputati Verdi?
  2. "Cancellare il debito climatico": nella mente degli attivisti ambientalisti, i Paesi del "Nord globale", che hanno subito un notevole sviluppo, hanno un obbligo ecologico nei confronti del "Sud globale". Anche se il capitalismo occidentale ha salvato il maggior numero di persone dalla povertà nella storia del mondo, l'Occidente ha anche creato verosimilmente le maggiori emissioni di gas serra. Inoltre, l'Europa e gli Stati Uniti continuano a "sfruttare" e "colonizzare" molte regioni del "Sud globale" attraverso le loro multinazionali, esaurendo sistematicamente le risorse naturali. Va quindi cancellato il "debito" nei confronti del "Sud", anche se questo "debito" potrebbe non avere nulla a che fare con il clima.
  3. Introduciamo subito, anche domani, un "reddito universale di base". Si può immaginare l'entusiasmo di Cina, Russia, Giappone, Stati Uniti e Cuba all'idea di introdurre un reddito universale comune, che ovviamente è probabilmente concepibile solo attraverso l'istituzione di un governo mondiale "universale": una mera formalità.
  4. L'Occidente deve crollare. In effetti, l'Occidente è malvagio. La prova sta nel fatto che è "ricco". Pertanto, l'Occidente deve essere punito, facendogli subire un crollo, una "decrescita", mentre altri Paesi non occidentali continueranno ovviamente a crescere.
  5. I servizi pubblici universali devono essere incrementati (raddoppiati? Triplicati?) Come si provvederà a finanziare tutto questo, in un contesto di declino? Questi dettagli non sono specificati.

"Tutto questo", continua la De Wever, ricevendo un grande applauso, "sarà ovviamente possibile solo se distruggiamo (...) la supremazia bianca".
  La supremazia bianca? Cosa c'entra la supremazia bianca con l'economia, ci si potrebbe chiedere? Parrebbe che nella mente di molti ambientalisti crescita economica e supremazia bianca siano effettivamente sinonimi. Dopotutto, il ragionamento sembra filare, fu l'Occidente che nel 1776 con Adam Smith "inventò" la crescita economica, e l'Occidente all'epoca era in gran parte bianco, quindi, distruggendo la supremazia bianca distruggiamo l'idea stessa di crescita economica.
  Gli ambientalisti sembrano nutrire una sorta di pensiero magico, vedendo due realtà dello stesso insieme: "bianchezza" e capitalismo, per poi postulare un nesso causale tra di loro.
  Se, come affermava Adam Smith, la crescita economica per tutti è la chiave per uscire dalla povertà, con l'obiettivo di rendere i poveri più ricchi e non i ricchi più poveri, allora, distruggere la crescita non sembra essere un modello economico in grado di essere molto di aiuto. Peggio ancora, ora ci si trova di fronte a quelle scelte fastidiose come, ad esempio, incoraggiare la crescita consentendo alle persone che abitano nei Paesi poveri di utilizzare combustibili fossili (carbone, petrolio e gas naturale) o trascinare queste persone ancora di più nella povertà, negando loro i combustibili fossili.
  Questo strano gulasch di residui marxisti, imperialismo, decolonizzazione e Teoria critica della razza mal digerita, crea un programma che difficilmente unirà la maggioranza degli europei. Al programma è anche stato dato un nome: Imminente Suicidio Europeo. Se l'Europa si impegna nella "decrescita" economica, come vogliono i Verdi, questa "decrescita" implica la distruzione di interi settori delle economie europee e occidentali. "Decrescita" e distruzione economica sono sinonimi perfetti. "Decrescita" significa limitare le attività economiche o tassarle in modo talmente penalizzante da farle cessare di esistere.
  Questi sostenitori dell'ambiente rappresentano il 10 per cento dei seggi nell'Europarlamento e sembrano in procinto di essere sradicati in molti Paesi membri dell'UE. Poco importa, perché l'Unione Europea non democratica, non eletta, non trasparente e non responsabile offre loro una risorsa: nelle istituzioni dell'UE, gli ambientalisti sono ovunque. Ad esempio, la "Green 10", è una coalizione delle dieci più grandi organizzazioni e reti ambientaliste attive a livello europeo. Esse operano per garantire che l'UE dia priorità al clima, all'ambiente locale, alla biodiversità e alla salute umana all'interno e all'esterno dei suoi confini. Per diffondere le loro idee, queste ONG non elette sono generosamente finanziate dalle stesse istituzioni dell'Unione Europea.
  Il problema fondamentale di Beyond Growth è che la "decrescita", ciò che accadrà dopo, non è mai definita. Se i marxisti, e prima di loro i socialisti, tra cui i nazionalsocialisti tedeschi, hanno sempre cercato di definire una teoria economica, progetti concreti e la distruzione di ciò che esiste, gli ambientalisti non si sono mai presi la briga di farlo. Oppure spingere l'Europa nella morsa della dipendenza energetica russa è l'obiettivo principale degli ambientalisti?
  È comprensibile questa riluttanza a parlare del "mondo come sarà dopo". Nel contesto di un'Europa indebitata fino al collo e che già tassa i cittadini solo per pagare gli interessi sul debito, ridurre la produzione economica significa affrontare la questione di chi sarà lasciato a morire per primo. L'assistenza sanitaria, ad esempio, è già stata razionata e sembra incentrarsi sempre più sulla riduzione dei costi piuttosto che sull'erogazione di servizi, come pure su un eccesso di burocrazia amministrativa anziché essere finalizzata a investire nell'assunzione di un maggior numero di medici, in cure migliori e in trattamenti terapeutici più tempestivi dei pazienti.
  Cosa accadrebbe se ci fosse la "decrescita"? Come, ad esempio, possiamo immaginare una diminuzione obbligatoria dell'attività economica senza sottoporre alcuna innovazione tecnologica al controllo di una "agenzia amministrativa"? L'UE sognata dagli ambientalisti inizia a somigliare a una versione di Atlas Shrugged (La rivolta di Atlante, N.d.T.): un Paese distopico in cui le imprese private patiscono, sotto leggi, normative e burocrazie sempre più ostiche. Forse i Verdi dovrebbero riflettere sul messaggio del libro: nonostante i tentativi dello Stato di schiavizzare le menti con la forza, le persone emergono vittoriose nel loro impegno a favore della libertà. La mente umana è la forza che muove il mondo, non la coercizione.
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* Drieu Godefridi è giurista (Université Saint-Louis de Louvain), filosofo (Università Saint-Louis de Louvain) e dottore in teoria del diritto (Paris IV-Sorbonne). È autore di The Green Reich.

(Gatestone Institute, 9 luglio 2023 - trad. di Angelita La Spada)

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Una grande gioia

Dalla Sacra Scrittura

ATTI 2

  1. Quelli dunque i quali accettarono la sua parola furono battezzati; e in quel giorno furono aggiunte a loro circa tremila persone.
  2. Ed erano perseveranti nell'attendere all'insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere.
  3. E ogni anima era presa da timore; e molti prodigi e segni eran fatti dagli apostoli.
  4. E tutti quelli che credevano erano insieme, ed avevano ogni cosa in comune;
  5. e vendevano le possessioni ed i beni, e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno.
  6. E tutti i giorni, essendo di pari consentimento assidui al tempio, e rompendo il pane nelle case, prendevano il loro cibo assieme con gioia e semplicità di cuore,
  7. lodando Iddio, e avendo il favore di tutto il popolo. E il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che erano sulla via della salvezza.

ATTI 4

  1. E la moltitudine di coloro che avevano creduto, era d'un sol cuore e d'un'anima sola; né v'era chi dicesse sua alcuna delle cose che possedeva, ma tutto era comune tra loro.
  2. E gli apostoli con gran potenza rendevano testimonianza della risurrezione del Signor Gesù; e gran grazia era sopra tutti loro.
  3. Poiché non v'era alcun bisognoso fra loro; perché tutti coloro che possedevano poderi o case li vendevano, portavano il prezzo delle cose vendute,
  4. e lo mettevano ai piedi degli apostoli; poi, era distribuito a ciascuno, secondo il bisogno.

LUCA 2

  1. Or in quella medesima contrada vi erano dei pastori che stavano nei campi e facevano di notte la guardia al loro gregge.
  2. E un angelo del Signore si presentò ad essi e la gloria del Signore risplendé intorno a loro, e temettero di gran timore.
  3. E l'angelo disse loro: Non temete, perché ecco, vi reco il buon annuncio di una grande gioia che tutto il popolo avrà:
  4. Oggi, nella città di Davide, v'è nato un salvatore, che è Cristo, il Signore.

MATTEO 2

  1. Or essendo Gesù nato in Betlemme di Giudea, ai dì del re Erode, ecco dei magi d'Oriente arrivarono in Gerusalemme, dicendo:
  2. Dov'è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo veduto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo.
  3. Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.
  4. E radunati tutti i capi sacerdoti, s'informò da loro dove il Cristo doveva nascere.
  5. Ed essi gli dissero: In Betlemme di Giudea; poiché così è scritto per mezzo del profeta:
  6. E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei punto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un Principe, che pascerà il mio popolo Israele.
  7. Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s'informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparita;
  8. e mandandoli a Betlemme, disse loro: Andate e domandate diligentemente del fanciullino; e quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo.
  9. Essi dunque, udito il re, partirono; ed ecco la stella che avevano veduta in Oriente, andava dinanzi a loro, finché, giunta al luogo dov'era il fanciullino, vi si fermò sopra.
  10. Ed essi, veduta la stella, si rallegrarono di grandissima gioia.
  11. Ed entrati nella casa, videro il fanciullino con Maria sua madre; e prostratisi, lo adorarono; ed aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra.
  12. Poi, essendo stati divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, per altra via tornarono al loro paese.

ATTI 8

  1. Coloro dunque che erano stati dispersi se ne andarono di luogo in luogo, annunziando la Parola. E Filippo, disceso nella città di Samaria, vi predicò il Cristo.
  2. E le folle di pari consentimento prestavano attenzione alle cose dette da Filippo, udendo e vedendo i miracoli che egli faceva.
  3. Poiché gli spiriti immondi uscivano da molti che li avevano, gridando con gran voce; e molti paralitici e molti zoppi erano guariti.
  4. E vi fu grande gioia in quella città.

ATTI 13

  1. Ma Paolo e Barnaba dissero loro francamente: Era necessario che a voi per i primi si annunziasse la parola di Dio; ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco, noi ci volgiamo ai Gentili.
  2. Perché così ci ha ordinato il Signore, dicendo: Io ti ho posto per esser luce dei Gentili, affinché tu sia strumento di salvezza fino alle estremità della terra.
  3. E i Gentili, udendo queste cose, si rallegravano e glorificavano la parola di Dio; e tutti quelli che erano ordinati a vita eterna, credettero.
  4. E la parola del Signore si spandeva per tutto il paese.
  5. Ma i Giudei istigarono le donne pie e ragguardevoli e i principali uomini della città, e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba, e li scacciarono dai loro confini.
  6. Ma essi, scossa la polvere dei loro piedi contro loro, se ne vennero ad Iconio.
  7. E i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.

ROMANI 15

  1. Or l'Iddio della pazienza e della consolazione vi dia d'avere fra voi un medesimo sentimento secondo Cristo Gesù,
  2. affinché di un solo animo e di una stessa bocca glorifichiate Iddio, il Padre del nostro Signor Gesù Cristo.
  3. Perciò accoglietevi gli uni gli altri, siccome anche Cristo ha accolto noi per la gloria di Dio;
  4. poiché io dico che Cristo è stato fatto ministro dei circoncisi, a dimostrazione della veracità di Dio, per confermare le promesse fatte ai padri;
  5. mentre i Gentili hanno da glorificare Dio per la sua misericordia, secondo che è scritto: Per questo ti celebrerò fra i Gentili e salmeggerò al tuo nome.
  6. Ed è detto ancora: Rallegratevi, o Gentili, col suo popolo.
  7. E altrove: Gentili, lodate tutti il Signore, e tutti i popoli lo celebrino.
  8. E di nuovo Isaia dice: Vi sarà la radice di Iesse, e Colui che sorgerà a governare i Gentili; in lui spereranno i Gentili.
  9. Or l'Iddio della speranza vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nel vostro credere, onde abbondiate nella speranza, mediante la potenza dello Spirito Santo.

    PREDICAZIONE

    Marcello Cicchese
    maggio 2016



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Israele considera il sostegno economico dell’Autorità Palestinese per prevenirne il collasso

Le autorità israeliane temono la caduta dell’Autorità Palestinese, che potrebbe creare un vuoto di potere in Cisgiordania

Il governo israeliano prenderà in considerazione domenica misure per sostenere l’Autorità palestinese (AP) e prevenirne il possibile collasso, secondo Canale 13. Tra le iniziative, la creazione di una zona industriale a Tarqumiyah, cittadina palestinese a nord-ovest di Hebron, e lo sfruttamento del giacimento di gas “Marine” al largo di Gaza.
  Nell’incontro di domenica verrà evidenziata una serie di vantaggi economici più limitati, come lo scaglionamento dei pagamenti del debito, l’estensione dell’orario di apertura del valico di Allenby e il rilascio di passaporti biometrici.
  Gli alti funzionari dell’AP potrebbero anche vedere ripristinati i loro privilegi VIP, revocati a gennaio in seguito al loro sostegno a una risoluzione anti-israeliana alle Nazioni Unite. Questi colloqui arrivano sulla scia delle raccomandazioni della difesa a Benjamin Netanyahu, il primo ministro, di rafforzare l’AP per evitare un deterioramento della situazione in Cisgiordania.
  Le autorità israeliane temono la caduta dell’Autorità Palestinese, che rischierebbe di creare un vuoto di potere in Cisgiordania, aprendo la porta a gruppi terroristici, una situazione simile a quella di Gaza dove Hamas prese il potere con la forza nel 2007.
  Il mese scorso, il canale Can 11 ha rivelato che l’Autorità palestinese sta valutando la possibilità di dichiararsi finanziariamente fallita a causa della difficile situazione finanziaria che sta affrontando. Questa iniziativa comporterebbe la chiusura dei suoi uffici e la perdita di stabilità nei territori sotto il suo controllo.
  Questa crisi finanziaria si spiega principalmente con le detrazioni mensili effettuate da Israele sulle tasse riscosse per l’Autorità Palestinese, dovute ai pagamenti alle famiglie dei terroristi, nonché con la costante riduzione degli aiuti internazionali. Inoltre, l’AP ha gradualmente perso il controllo della Cisgiordania settentrionale, consentendo ai gruppi terroristici di guadagnare terreno, portando Israele a svolgere operazioni regolari a seguito di attacchi terroristici mortali nella regione.

(dayFRitalian, 8 luglio 2023)
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Come lucidamente spiega Caroline Glick in un suo articolo pubblicato ieri, secondo un’indagine demoscopica, il 50% dei palestinesi ritengono che sia loro interesse smantellare l’Autorità Palestinese, il 63% ritiene che Abbas dovrebbe dimettersi, e il 71% supporta le azioni terroristiche che si svolgono in Samaria.
La situazione attuale sembra indicare che due terzi degli attentati siano stati effettuati dalle forze di sicurezza di Fatah armate ed istruite dagli USA. Inoltre i comandanti militari IDF della Samaria, anche per via dei loro frequenti incontri coi generali americani, sono allineati sulle posizioni dell’Amministrazione Americana più che su quelle del governo Netanyahu e non vedono in Abbas un nemico di Israele. Emanuel Segre Amar

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Corsa della Pace Mediorientale

Un nuovo appuntamento nel calendario UCI fra Israele, Bahrain e Emirati Arabi a partire dal 2024

di Francesco Mitola

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Il calendario internazionale UCI delle gare su strada tende ad allungarsi sempre di più, tanto che la stagione 2024 potrebbe arricchirsi di un nuovo appuntamento. Si sta infatti lavorando alla creazione di una nuova competizione, che prenderebbe posto nella seconda metà del mese di ottobre e che avrebbe come fondamento la collaborazione fra diverse realtà della zona del Medio Oriente. Con la spinta di alcune squadre professionistiche, infatti, nel 2024 dovrebbe disputarsi la prima edizione di quella che al momento viene chiamata Corsa della Pace Mediorientale, che non ha alcun legame con la Corsa della Pace che si svolge da anni nella Mitteleuropa e che è dedicata ai più giovani
  L’idea, secondo quel che riporta CyclingNews, è quella di allestire un appuntamento agonistico che si svolga sulle strade di Israele, Bahrain ed Emirati Arabi, che sono peraltro le “case” rispettivamente di Israel-Premier Tech, Bahrain Victorious e UAE Team Emirates. Sulla “formula” della competizione non ci sono ancora particolari dettagli, ma quel che si dice è che la Corsa della Pace Mediorientale dovrebbe servire anche da “trampolino” per la cerimonia di consegna dei premi UCI di fine stagione. I giorni di corsa sarebbero tre, con una giornata di riposo-trasferimento. Le squadre invitate all’evento sarebbero 20, composte da 5 corridori cadauna.
  Uno dei promotori del nuovo progetto sarebbe Sylvan Adams, patron della formazione Professional Israel-Premier Tech. Da quel che filtra, il progetto dovrebbe poi ulteriormente allargarsi nel 2025, quando verrebbe coinvolta anche l’Arabia Saudita. Da lì arriva peraltro il marchio Neom, che dovrebbe legarsi a quella che ora è la Jumbo-Visma. 

(CyclingPro.Net, 8 luglio 2023)

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La moda israeliana arriva a Milano grazie al Milano Fashion Tour

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La delegazione di 6 truccatori israeliani del Milano Fashion Tour è arrivata a Milano per acquisire esperienza internazionale, apprendendo nuovi suggerimenti e tendenze della moda dei principali truccatori italiani. Le delegazioni del Milano Fashion Tour includono truccatori israeliani di diversa estrazione-religiosi, laici, arabi ed ebrei-che arrivano a Milano per creare il loro portfolio con modelle professioniste e fotografi di fama internazionale.
  La prima delegazione è arrivata nel 2019, un anno prima che scoppiasse la pandemia da Covid 19. L’ultima delegazione da Israele è stata in Italia dal 13 al 18 novembre 2022; durante queste giornata ha organizzato una sfilata di moda a Palazzo Turati con Nina Moric.
  Ma è soprattutto a Shon Balaish, personaggio famoso in Israele, che appare spesso nei notiziari e sulle copertine delle principali riviste., che si deve la creazione di questo progetto, che ha portato in Italia e a Milano, la moda israeliana; Shon, laurea in giurisprudenza e agente immobiliare certificato, cresciuto in modo ultra religioso, con studi in una Yeshiva ortodossa, è diventato contro ogni previsione, un modello internazionale di successo senza compromettere i suoi valori.
  Durante le sue numerose attività Shon continua a perseguire la sua più grande passione, aiutare e guidare gli altri a realizzare i loro sogni. Oggi Shon Balaish e Sigal Man possiedono una delle principali società di produzione in Israele e sono noti per la creazione di eventi di lusso con enfasi sull’alto stile, ogni evento una creazione unica.
  Hanno prodotto centinaia di eventi, ma Shon è noto anche come volontario e donatore di una varietà di enti di beneficenza che aiutano i bambini malati e le loro famiglie e da diversi anni ha creato un marchio moda che porta il suo nome.
  Il 23 marzo sono state scelte tutte le modelle per la sfilata opzionandole dalle migliori agenzie di Milano che hanno sotto contratto anche le top model. “I membri della nostra delegazione lavorano sui loro portfolio con modelli di spicco assunti dalle agenzie di Milano, che vengono fotografati dai migliori fotografi italiani, come Umberto Buglione per L’Officiel e il fotografo di moda Maurizio Montani”-dicono i responsabili-“le fotografie di questi protfolio vengono presentati a una sfilata di moda che organizziamo per i nostri truccatori. La nostra azienda organizza tutti gli accordi per questo progetto, inclusi voli, trasferimenti, hotel, corsi di perfezionamento presso un rinomato studio di Milano e casting di modelli. Non pretendiamo di rappresentare in alcun modo la settimana della moda italiana, è un concetto completamente diverso, che mette in risalto solo il trucco e in particolare il lavoro svolto dalla nostra delegazione israeliana”.
  Il prossimo progetto del Milano Fashion Tour prevederà l’arrivo a Milano il 2 luglio, con master class presso multiset studio con il make up artist italiani Raffaele Schioppo, nuove tendenze nel fashion make up, inclusa una dimostrazione del suo lavoro su una modella.
  Ad ogni truccatore israeliano verrà assegnato un modello per sperimentare cio’ che ha appreso e i modelli verranno fotografati dal fotografo di moda Umberto Buglione per i loro portfolio
  Non mancherà lo shopping a Milano, il 4 luglio, poi, un bus privato porterà la delegazione insieme alle modelle da Milano allo studio di Maurizio Montani a verso la nuova. Lì verrà girata una campagna di make up per un look da red carpet e uno da moda estiva.
  Il 5 luglio seguirà una master class mattutina con il truccatore Federico Terni, poi, pratica e servizio fotografico.
  Successivamente i truccatori israeliani si prepareranno alla sfilata a Palazzo Visconti organizzata appositamente per la delegazione, per presentare le loro competenze sulle modelle scelte per la sfilata. “Per questa quinta delegazione avremo bisogno di oltre 100 modelli diversi per tutto il progetto, poiché abbiamo deciso di utilizzare modelli diversi ogni giorno per offrire un’esperienza diversa ai nostri truccatori”-aggiungono i responsabili del Milano Fashion Tour-“come accennato in precedenza, questo progetto non è in alcun modo legato alla settimana della moda né intende provocare una falsa rappresentazione del nostro concetto”.

(politicamentecorretto, 8 luglio 2023)

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Alta Tensione in Medio Oriente: Israele Attacca Nablus dopo l’offensiva a  Jenin

di Marco Paganelli

Dopo la battaglia avviata da Benjamin Netanyahu a Jenin presentata all’opinione pubblica come il più grande evento militare nell’area dell’ultimo ventennio, la risposta di Hamas mediante il recente attentato a Tel Aviv, la rappresaglia tramite i lanci di razzi da Gaza  a cui sono seguiti i raid compiuti dai jet con la Stella di David, non si ferma la violenza in Medio oriente. Israele ha lanciato un’operazione anti terrorismo a Nablus. Due palestinesi sono rimasti feriti e altrettanti uccisi,dagli organi di sicurezza dello Stato ebraico, durante il tentativo di arrestare alcuni uomini accusati di aver esploso colpi di armi da fuoco contro un’auto della polizia. L’azione, volta a stanare i responsabili, ha generato una sparatoria in cui sono rimaste ferite due persone e altrettante hanno perso la vita. Queste ultime erano sospettate di aver compiuto azioni ostili nei confronti di una piccola comunità di samaritani vicino all’insediamento ebraico di Har Bracha in Cisgiordania.

• Tensione anche in Libano
  La situazione rimane tesa però anche in Libano. Un paio di razzi sarebbero stati lanciati, senza alcuna rivendicazione, dal Paese dei cedri verso l’alleato americano di sempre. Gli organi di informazione in loco hanno puntualizzato che i vettori non avrebbero raggiunto gli obiettivi previsti, cadendo così in aree agricole e disabitate. L’unica certezza è che il nemico sionista ha scatenato, a stretto giro, la rappresaglia indirizzando l’artiglieria verso il sito della presunta provenienza del vettore.

• La dichiarazione del ministro della Difesa israeliano
  Agiremo ”contro qualsiasi violazione della sovranità e sfida alla nostra presenza”, ha assicurato il ministro della Difesa israeliano. La reazione di Hezbollah non si è lasciata attendere. Il partito  vicino all’Iran ha denunciato infatti “l’occupazione” di una porzione di territorio conteso lungo la cosiddetta Linea Blu che separa la nazione filo sciita da quella tutelata da Washington. L’invito a combattere contro quest’ultima è stato rivolto dalla milizia appoggiata dai Pasdaran.

• I rischi derivanti da uno scontro in Medio Oriente
  Un eventuale scontro nella zona incendierebbe l’intera regione con potenziali conseguenze catastrofiche a livello economico. Una possibile guerra contro la Repubblica Islamica provocherebbe sicuramente un balzo dei prezzi del petrolio con potenziali conseguenze negative sull’inflazione a livello globale. Teheran ha anche grande rilevanza in termini geopolitici, dal momento che gode della protezione di Paesi come la Siria, ma soprattutto di Russia e Cina. Mosca e Pechino non esiterebbero a utilizzare qualsiasi opzione per tutelare gli interessi del proprio alleato e scontrarsi con gli Stati Uniti, ovvero il loro principale rivale nell’arena globale.

(byoblu, 7 luglio 2023)

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Israele: parte il progetto per un cavo elettrico sottomarino che potrà collegarsi con le reti elettriche in Europa e nel Golfo

di Luca Spizzichino

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Israele sta sviluppando un cavo elettrico sottomarino al fine di rispondere alla crescente domanda energetica nel centro e nord del Paese, nonché connettere la rete elettrica nazionale a quella europea e dei Paesi nella regione del Golfo.
  Martedì scorso il Consiglio nazionale per la pianificazione e l'edilizia ha deciso di iniziare con l’impostazione e la costruzione del cavo elettrico sottomarino di 150 chilometri (93 miglia) che correrà lungo la costa mediterranea di Israele, da Ashkelon a sud fino a Haifa a nord. Il cavo elettrico sottomarino trasmetterà l'elettricità generata principalmente dai campi di energia solare nel sud dello Stato ebraico alle aree di domanda nelle città del centro e del nord.
  Secondo il progetto, ci sarà anche la possibilità di collegare la rete elettrica israeliana alle reti elettriche in Europa, attraverso Cipro e la Grecia, così come l'opzione di collegamento ai paesi del Golfo attraverso la Giordania e l'Egitto: così ha affermato il ministero dell’Energia e delle Infrastrutture israeliano. Il collegamento del cavo sottomarino a Paesi come l'Egitto aprirebbe la possibilità di avere un backup per la rete locale in caso di carenza di energia, e consentirebbe l'esportazione di elettricità verde prodotta in Israele.
  Il progetto fa parte di una visione più ampia del ministro dell'Energia e delle Infrastrutture Israel Katz di trasformare Israele in una potenza energetica e un ponte energetico che colleghi Oriente e Occidente.
  “Accolgo con favore il primo passo verso la realizzazione di un cavo elettrico sottomarino lungo la costa israeliana – un rivoluzionario progetto transfrontaliero che farà avanzare la rete elettrica israeliana e aiuterà Israele a diventare una potenza energetica”, ha affermato il ministro Katz in una nota. “Il cavo è una parte significativa del Piano nazionale per l'energia e le infrastrutture che presenterò nelle prossime settimane, per migliorare l'affidabilità del sistema elettrico, accelerare la diffusione delle energie rinnovabili e collegare la rete elettrica di Israele a Europa, Egitto, Giordania e Stati del Golfo, un passo che contribuirà alla stabilità regionale” ha aggiunto.
  Le recenti ondate di caldo che hanno portato a interruzioni di corrente nel Paese, mentre la rete elettrica fatica a soddisfare la domanda soffocante. Quindi la sicurezza e l'indipendenza energetica sono diventati un tema di primaria importanza per il governo.
  Il piano per il cavo elettrico sottomarino arriva dopo la visita in Francia del ministro Katz a giugno, dove ha visitato l'interconnessione elettrica sottomarina IFA-2 che corre sotto la Manica tra la Francia e il Regno Unito. Sempre il mese scorso il gruppo energetico statale EAPC (Europe Asia Pipeline Co.) ha annunciato di aver raggiunto un accordo con il governo israeliano per costruire un cavo in fibra ottica di 254 chilometri (158 miglia) tra il Mediterraneo e il Mar Rosso come parte di un progetto nazionale per trasformare Israele in un hub di comunicazione e corridoio per la trasmissione di dati in Medio Oriente, collegando l'Europa agli stati del Golfo e all'Asia.

(Shalom, 7 luglio 2023)

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“Tsurkov, rapita perché israeliana. Riteniamo l’Iraq responsabile”

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Elizabeth Tsurkov, ricercatrice esperta di Medio Oriente con cittadinanza israeliana e russa, si trovava a Bagdad per fare ricerca nel suo campo. Dottoranda all’Università di Princeton, il 19 marzo scorso aveva fatto sapere alla rivista con cui collaborava – il New Lines Magazine – di voler rientrare negli Stati Uniti. “Ci ha detto che ne aveva abbastanza di fare ricerca sul campo in Medio Oriente e che voleva tornare all’Università di Princeton per scrivere la sua tesi di dottorato. ‘Niente più lavoro sul campo’, aveva detto. – raccontano i colleghi del New Lines Magazine – Eravamo sollevati. Non volevamo che rimanesse in un Iraq sempre più dominato dalle milizie filo-iraniane. Poco più di una settimana dopo abbiamo appreso dalle nostre fonti che una milizia filo-iraniana l’aveva rapita a Baghdad, dove stava facendo ricerca. Da allora non abbiamo più avuto sue notizie”. Da mesi Tsurkov, 36 anni, è infatti nelle mani del gruppo Kataib Hezbollah, una milizia irachena legata all’Iran. Lo ha confermato nelle scorse ore al New York Times l’ufficio del Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. “Elizabeth Tsurkov è ancora viva e riteniamo l’Iraq responsabile della sua sicurezza e del suo benessere”, la posizione del governo di Gerusalemme.
  “È un’accademica che ha visitato l’Iraq con il suo passaporto russo, di sua iniziativa, per lavorare al suo dottorato e alla sua ricerca accademica per conto dell’Università di Princeton negli Stati Uniti”. Tsurkov è entrata nel paese usando il passaporto russo, considerando che Israele e Iraq non hanno relazioni diplomatiche e che il secondo considera il primo un paese ostile. Una fonte di Haaretz ha affermato che chi ha rapito la ricercatrice probabilmente sapeva che fosse una cittadina israeliana.
  E, aggiunge Yedioth Ahronoth, i funzionari israeliani ritengono che il caso non sarà risolto nel prossimo futuro. “Non ci si aspetta un rilascio immediato, ed è improbabile che Israele si impegni in negoziati diretti o in pagamenti per il rilascio di Tsurkov, come ha fatto in precedenti casi di rapimenti israeliani”.
  L’organizzazione che l’ha rapita, Kataib Hezbollah, non è direttamente affiliata al famigerato movimento terroristico libanese, ma è strettamente collegato alle Guardie rivoluzionarie iraniane. Gli Stati Uniti l’hanno ufficialmente designata come organizzazione terroristica e la ritiene responsabile del lancio di razzi contro una sua base in Iraq nel 2019. Un attacco, sottolinea il New York Times, che ha contribuito l’allora amministrazione americana a decidere per l’eliminazione di Qassim Suleimani, il capo della Forza Quds iraniana, braccio internazionale delle Guardie rivoluzionarie.
  Sempre secondo il quotidiano americano, proprio i legami tra Kataib Hezbollah e il regime di Teheran fanno temere per un possibile trasferimento di Tsurkov in Iran. “Se il suo rapimento dovesse risultare più direttamente collegato all’Iran, si tratterebbe di una grave escalation in una lunga guerra ombra tra Israele, la stessa Iran e i suoi alleati in tutto il Medio Oriente”, scrive il New York Times. Le fonti di Yedioth Ahronoth e Haaretz sembrano escludere questo trasferimento. Inoltre fanno sapere che le condizioni della ricercatrice sono “buone, nonostante sia tenuta prigioniera”.
  Tsurkov è nata nel 1986 a San Pietroburgo. È figlia di due dissidenti politici che furono imprigionati dalle autorità sovietiche per aver lavorato al fianco di Natan Sharansky, il celebre dissidente che lottò per il diritto degli ebrei dell’Urss di emigrare in Israele. I Tsurkov fecero l’aliyah nel 1990 ed Elizabeth, dopo il servizio militare, dal 2006 al 2008 ha lavorato come assistente proprio di Sharansky. “La conosco da molti anni. È chiaro che non è una spia dell’America, della Russia o di Israele, ed è impegnata soprattutto nella ricerca accademica”, le parole di Sharansky sulla vicenda del rapimento. Nel suo percorso di studi in scienze politiche Tsurkov si è focalizzata sul Medio Oriente. Dalla Siria all’Iraq, che ha visitato dieci volte in passato.

(moked, 6 luglio 2023)

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Razzi di Hezbollah sul confine. E Israele colpisce due villaggi

Tensioni crescenti sul Golan conteso. Dopo il blitz militare a Jenin, la provocazione delle milizie sciite

di Chiara Clausi

Ieri la situazione alla frontiera tra Israele e Libano è diventata incandescente e si è rischiato che il conflitto degenerasse. Al mattino due razzi sono stati lanciati verso lo Stato ebraico. Uno si è schiantato in territorio libanese e l'altro vicino al villaggio conteso di Ghajar, che si trova a cavallo del confine tra il Libano e le alture del Golan annesse da Israele. Tsahal ha risposto con attacchi di artiglieria. Per il momento non ci sono state rivendicazioni. In precedenza si era riferito di un solo razzo esploso dal sud del Libano verso Israele, nel settore orientale della Linea Blu di demarcazione. Lo scontro a fuoco arriva il giorno dopo che l'esercito israeliano ha completato un'importante operazione nel campo profughi di Jenin nel nord della Cisgiordania che ha causato la morte di 12 palestinesi oltre a quella di un soldato israeliano. Non è la prima volta che i militanti palestinesi in Libano intervengono contro lo Stato ebraico. Ad aprile, Tsahal ha effettuato attacchi aerei su obiettivi che si diceva appartenessero ad Hamas nel sud del Libano, dopo che più di 30 razzi erano stati lanciati da lì verso il territorio israeliano. È stata la più grande azione di questo tipo dalla guerra del 2006.
  Ieri in reazione più di 15 proiettili israeliani hanno colpito la periferia dei villaggi libanesi di Kfar Shouba e Halta. La forza di pace delle Nazioni Unite in Libano, Unifil, ha esortato tutte le parti a «esercitare moderazione ed evitare qualsiasi azione che possa causare un'ulteriore escalation». L'incidente è avvenuto nel mezzo di tensioni crescenti al confine, dopo che Hezbollah ha allestito due tende all'interno del territorio israeliano il mese scorso. L'area del Monte Dov dove sono state montate, nota anche come le fattorie di Shebaa, fu conquistata da Israele e strappata alla Siria durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967 e successivamente annessa di fatto insieme alle alture del Golan. Il governo del Paese dei cedri afferma che l'area appartiene al Libano. Intanto Hezbollah ha evacuato una delle due tende domenica, ma non c'è stata alcuna conferma da parte dell'organizzazione. Ciò è avvenuto anche a causa della crescente pressione internazionale. Hezbollah non ha commentato il lancio di razzi. Ma ha rilasciato una dichiarazione in cui condanna le «gravi misure» recentemente prese dalle forze israeliane a Ghajar, tra cui «l'erezione di un filo spinato e la costruzione di un muro di cemento che circonda l'intero villaggio».
  Israele e Hezbollah hanno combattuto una guerra durata un mese nel 2006 e la tensione è sempre alta. La scorsa settimana, il gruppo militante sciita ha affermato di aver abbattuto un drone israeliano che sorvolava un villaggio nel sud del Libano. L'organizzazione alleata dell'Iran è stata a lungo il più potente avversario di Israele ai confini, con un arsenale stimato di quasi 150 mila razzi e missili che possono raggiungere qualsiasi parte dello Stato ebraico.

(il Giornale, 7 luglio 2023)

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Cisgiordania, l'esercito israeliano uccide due terroristi palestinesi

Due terroristi palestinesi armati sono stati uccisi e altri tre sono stati arrestati in scontri con le forze israeliane a Nablus venerdì, secondo quanto riportato da testimoni sul posto.
  Secondo la Radio dell’Esercito, i due palestinesi uccisi sarebbero stati responsabili di un attacco con armi da fuoco avvenuto all’inizio della settimana contro una piccola comunità samaritana in Cisgiordania, vicino all’insediamento ebraico di Har Bracha. Nell’attentato non sono stati riportati feriti.
  Gli scontri arrivano un giorno dopo che il sergente maggiore Shilo Yosef Amir, 22 anni, è stato ucciso da un uomo armato palestinese vicino all’insediamento di Kedumim. Hamas ha rivendicato la responsabilità dell’attacco.
  Le Brigate Izz ad-Din al-Qassam hanno dichiarato che l’uccisione di Amir è stata una risposta all’operazione israeliana a Jenin e alle recenti violenze dei coloni contro i palestinesi in Cisgiordania.
  Durante l’operazione dell’IDF a Jenin, 12 uomini armati palestinesi sono stati uccisi insieme a un soldato israeliano, il sergente di prima classe David Yehuda Yitzhak dell’unità di commando Egoz.
  Nell’ultimo anno, uomini armati palestinesi hanno ripetutamente preso di mira le postazioni militari, le truppe che operano lungo la barriera di sicurezza della Cisgiordania, gli insediamenti israeliani e i civili lungo le strade.
  La tensione tra israeliani e palestinesi è sempre stata alta in tutta la Cisgiordania nell’ultimo anno e mezzo, con l’esercito che ha effettuato incursioni quasi ogni giorno e con una serie di attacchi terroristici palestinesi, anche mortali.
  Dall’inizio di quest’anno, gli attacchi palestinesi in Israele e in Cisgiordania hanno ucciso 25 persone, compresa la sparatoria di giovedì.

(Rights Reporter, 7 luglio 2023)

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   L'ambasciatore d'Israele a Napoli: «Patto Napoli-Israele»

«Napoli è una città speciale, si vede subito che ha una marcia in più»

di Giuseppe Crimaldi

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«Napoli è una città speciale, si vede subito che ha una marcia in più, e la Campania è una regione meravigliosa e ricca di risorse e di opportunità produttive». L'ambasciatore d'Israele in Italia, Alon Bar, ha appena concluso la visita di due giorni nel capoluogo campano e si dice soddisfatto: in quarantott'ore ha avuto un giro vorticoso di incontri con rappresentanti delle istituzioni, del mondo imprenditoriale, accademico e culturale, con i rappresentanti dell'associazionismo.

- Ambasciatore, tracciamo un bilancio degli incontri avuti a Napoli.
  «Sono veramente soddisfatto. Dagli incontri che si sono succeduti sono emersi spunti di reciproco interesse ad un interscambio che rafforza l'amicizia tra le nostre due nazioni. Israele è molto interessata a sviluppare la rete di collaborazione sui piani industriali, commerciali, accademici e di ricerca, per non parlare delle possibilità di ampia collaborazione nel settore della cultura».

- Partiamo dall'incontro con il presidente della Regione, Vincenzo De Luca.
  «Un incontro sicuramente costruttivo. Con il governatore abbiamo discusso di diversi argomenti, ma soprattutto di nuove tecnologie da dedicare al settore dell'agricoltura, che è molto forte nella vostra regione, di risorse idriche e di aerospaziale. Tutte opportunità che contiamo di sfruttare. Ho ricordato che già lo scorso anno il governo israeliano volle puntare sulla città di Napoli per organizzare presso il polo universitario di San Giovanni a Teduccio un convegno di alto profilo, insieme con Confagricoltura e l'Università Federico II, interamente dedicato all'agritech. Fu un vero successo, perché - oltre alla partecipazione di molti ministri - da quelle giornate di incontri si sono sviluppate relazioni tra aziende e start up israeliane e imprese italiane, con un reciproco beneficio».

- E per il prossimo futuro cosa dobbiamo aspettarci?
  «Abbiamo prospettato al presidente De Luca la possibilità di organizzare per il prossimo anno un altro grande meeting in collaborazione con la Regione Campania dedicato all'acqua e alle tecnologie di altissima innovazione che sfruttano i nano-satelliti per ridurre lo spreco delle risorse idriche: De Luca ha dato la sua disponibilità a chiudere in tempi rapidi questo accordo, spiegandoci che la Campania continua purtroppo ad avere un grave handicap in termini di perdita di acqua».

- Ci parli degli altri incontri avuti a Napoli.
  «Con il sindaco Manfredi abbiamo avuto un lungo e cordiale colloquio. Manfredi, quando era presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane, ha sempre avuto ottimi rapporti con Israele. Ho incontrato anche i rettori Lorito, della Federico II, e Tottoli dell'Orientale: anche sul piano accademico la tradizione dei rapporti con le vostre università è robusta e duratura, ma noi vogliamo svilupparla ulteriormente».

- Un vero tour de force, il suo. Ha avuto altri contatti?
  «Con il presidente dell'Autorità Portuale, Andrea Annunziata, si è discusso di cybersicurezza. Il presidente è molto attento a queste tematiche e abbiamo spazio per accordi di cooperazione. Poi ho conosciuto i vertici del Museo Madre, un incontro stimolante e foriero di collaborazioni che coinvolgeranno in esposizioni anche qui a Napoli di artisti israeliani. Tra l'altro ho potuto constatare che il Madre è un museo bellissimo! E, a proposito di cultura, non poteva mancare una tappa al vostro giornale, testata storica del Sud. L'incontro con il direttore Francesco de Core è stata un'altra ottima occasione di confronto sui temi dell'attualità nazionale e internazionale». 

(Il Mattino, 7 luglio 2023)

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Parashà di Pinechàs: la preghiera per le cose belle della vita

di Donato Grosser

L’ultima parte di questa parashà tratta l’argomento dei korbanòt, le offerte, che si dovevano portare al Bet Ha-Mikdàsh. Questa sezione inizia con il korbàn tamìd, l’offerta quotidiana da portare alla mattina e al pomeriggio, e prosegue elencando i korbanòt da portare nei sabati e nei yamìm tovìm, nei giorni festivi.   
            Nella Torà è scritto in cosa consisteva l’offerta quotidiana: “Preparerai un agnello al mattino e il secondo agnello il pomeriggio. Ci sarà anche un decimo di efà di fior di farina, come minchà (offerta farinacea), intrisa in un quarto di hin di olio vergine.[...]. La libazione per ogni agnello, quale libazione di vino all’Eterno, sarà di  un quarto di hin. Il secondo agnello lo preparerai  al pomeriggio, con una minchà uguale a quella del mattino e così pure per la sua libazione ...” (Bemidbàr, 28: 4-8). 
            R. Joseeph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (p. 224), scrive che i Maestri istituirono le tefillòt di Shachrìt e di Minchà, una la mattina, l’altra al pomeriggio, in corrispondenza al korbàn tamìd. Il termine minchà per la tefillà del pomeriggio appare per la prima volta nei Tehillìm (Salmi, 141:2). Re Davide nella sua tefillà disse: “La mia tefillà stia nel tuo cospetto come il ketòret (profumo), l’elevazione delle mie mani come minchàt ‘arev, (l’offerta della sera)”. 
            In modo simile quando il navì (profeta) Elia, presentò un korbàn sul Monte Carmelo, durante la disputa con i sacerdoti del Ba’al, fece in modo che l’offerta avesse luogo nell’ora dell’offerta del korbàn tamìd del pomeriggio (I Re, 18:36). 
            Il Nachmanide (Girona, 1194-1270, Acco), citato da r. Soloveitchik, si domanda per quale motivo la tefillà del pomeriggio è denominata minchà. Infatti il termine minchà si riferisce all’offerta farinacea che accompagnava il korbàn tamìd
            R. Soloveitchik spiega che il tema principale della tefillà di shachrìt è il debito che l’uomo ha nei confronti del Creatore per la sua esistenza; per il semplice fatto che di mattina ci svegliamo e riprendiamo le nostri funzioni mentali e fisiche. Questo tipo di ringraziamento viene espresso con le parole: “Mio Dio, l’anima che mi hai dato è pura...”. 
            Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) nel Mishnè Torà (Hilkhòt Tefillà, 6:4) scrive che dopo l’alba è proibito mangiare o fare alcun lavoro prima di aver recitato la tefillà di shachrìtR. Israel Belsky (New York, 1938-2016) commentò che non bisogna fare alcun lavoro prima di avere recitato le berakhòt del mattino che, come disse r. Ya’akov Kamenetzky (Lituania, 1891, 1886, Baltimora) comprendono già parte della tefillà. 
            R. Soloveitchik aggiunge, che in contrasto alla tefillà della mattina, nella tefillà di minchà, del pomeriggio, chiediamo che tutto quello che è bello nella nostra vita possa continuare. Non preghiamo semplicemente per le nostre prime necessità, ma per le cose belle della vita, rappresentate dalla libagione di vino che accompagna l’offerta farinacea (minchà). La tefillà del pomeriggio prende quindi il suo nome da questa offerta. Quando si va a lavorare, non lo si fa solo per le necessità di base ma si vuole anche migliorare il proprio standard di vita. Per questo i maestri (T.B., Berakhòt, 6b) insegnano che bisogna stare attenti riguardo alla tefillà di minchà perché la tefillà del navì Elia venne esaudita proprio nel pomeriggio.  Ringraziare il Creatore per le belle cose della vita è altrettanto importante quanto riconoscere che è il Creatore che ci dà il minimo necessario per vivere.

(Shalom, 7 luglio 2023)
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Parashà della settimana: Pinehas (Fineas)

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Monaco: ritrovati resti di una sinagoga distrutta dai nazisti

di Nathan Greppi

A Monaco di Baviera sono stati recentemente ritrovati i resti di una sinagoga distrutta su ordine di Hitler nel giugno 1938. Degli operai edili hanno ritrovato i resti durante dei lavori sul fondo del vicino fiume Isar, rinvenendo le colonne portanti della sinagoga e una lastra di pietra con incisi i Dieci Comandamenti.
  Secondo la BBC, la comunità ebraica locale ha espresso una certa soddisfazione nel sapere del ritrovamento. Prima della Seconda Guerra Mondiale, era uno dei luoghi più importanti per l’ebraismo bavarese. Dopo la guerra, molte rovine del tempio, così come di altri edifici semidistrutti dai bombardamenti, furono riutilizzate per un totale di 150 tonnellate di detriti per costruire una diga sul fiume, e sul sito dove un tempo sorgeva la sinagoga vennero poi edificati dei grandi magazzini.
  Charlotte Knobloch, nata a Monaco e già presidente del Consiglio Centrale degli Ebrei di Germania (equivalente tedesco dell’UCEI italiana), ha espresso la propria felicità per il ritrovamento, in quanto da bambina pregava anche lei nella stessa sinagoga. “Queste pietre fanno parte della storia ebraica di Monaco”, ha detto al quotidiano locale Münchner Merkur. “Non immaginavo che questi resti fossero sopravvissuti, tantomeno che li avremmo rivisti”.
  Le autorità locali hanno detto che i resti della sinagoga verranno presto restituiti alla comunità ebraica.
  Stando ai dati del demografo Sergio Della Pergola e del World Jewish Congress, le ultime statistiche indicano che in Germania attualmente vivono circa 100.000 ebrei, dei quali circa 9.000 a Monaco di Baviera, facendone la seconda più grande comunità ebraica tedesca dopo Berlino.

(Bet Magazine Mosaico, 6 luglio 2023)

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Vaccini Covid, "74% dei decessi dovuti alle reazioni avverse, esaminate 325 autopsie": lo studio su Lancet rimosso in meno di 24h dalla pubblicazione

Lo studio che faceva luce sull'enorme mole di decessi dopo la messa in commercio del vaccino anti-Covid è scomparso dal sito della prestigiosa rivista medica in men che non si dica.

Uno studio importantissimo pubblicato su Lancet che aveva il ruolo di far luce sull'enorme numero di decessi scaturiti dopo la messa in commercio del vaccino Covid è durato 24 ore. Lo studio, una pre-stampa che era in attesa di revisione tra pari, è stato scritto dal famoso cardiologo Dr. Peter McCullough, dall'epidemiologo di Yale Dr. Harvey Risch e dai loro colleghi della Wellness Company ed è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista medica. Ma ha avuto vita breve.
  325 autopsie esaminate, buona parte dei quali con una media dell'età tra i 70 anni e vaccinati con Pfizer. Il 74% di questi morti per reazioni avverse da vaccino Covid. Era quello che gli studiosi cercavano di spiegare in maniera dettagliata cercando di fare luce su una vicenda che per tanto tempo è rimasta nascosta.
  Tuttavia, meno di 24 ore dopo, lo studio è stato rimosso ed è apparsa una nota che affermava: "Questo preprint è stato rimosso  perché le conclusioni dello studio non sono supportate dalla metodologia dello studio". Sebbene lo studio non abbia subito alcuna parte del processo di revisione tra pari, la nota implica che non rispettava i "criteri di selezione".
  Senza ulteriori dettagli da parte dello staff di Lancet che ha rimosso il documento, è difficile sapere quale sostanza abbia realmente l'affermazione secondo cui le conclusioni non sono supportate dalla metodologia. Molti autori che hanno scritto questo lavoro sono laureati ed affermati presso le migliori università del mondo quindi è difficile immaginare che la metodologia della loro revisione fosse davvero così scadente da giustificare la rimozione allo screening iniziale piuttosto che essere soggetta a una valutazione critica completa.
  Il web si è chiaramente già schierato dopo la notizia della rimozione, parlando a tutti gli effetti di "censura".

(IL GIORNALE D'ITALIA, 6 luglio 2023)

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In risposta a razzo, Israele colpisce in Libano

Portavoce militare: 'In zona dove è avvenuto il lancio' 

In risposta al lancio di un razzo dal Libano, Israele sta colpendo ora la zona da cui è partito il colpo che si trova in territorio libanese.
Lo ha fatto sapere il portavoce militare che ha confermato il lancio del razzo dal Libano "esploso nelle adiacenze del confine in territorio israeliano"
L’esplosione è avvenuta nei pressi della cittadina di Ghajar nel nord del Paese.

(ANSA, 6 luglio 2023)

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L’IDF ritira le truppe da Jenin, un bilancio dell’operazione di antiterrorismo

di David Fiorentini

A 44 ore dall’inizio della più vasta operazione di antiterrorismo in Cisgiordania degli ultimi 20 anni, le forze di difesa israeliane si ritirano dalla città di Jenin. Situata nel nord del West Bank, con una popolazione di circa 50 mila persone di cui 10 mila residenti nell’adiacente campo profughi, secondo gli Accordi di Oslo ricade nella giurisdizione della cosiddetta Area A, per cui sotto controllo militare e civile dell’Autorità Nazionale Palestinese.
  Tuttavia, fin dai tempi della Seconda Intifada (2000-2005), l’ondata di terrore palestinese che causò la morte di oltre mille civili israeliani, Jenin fu identificata come il caposaldo logistico di numerose cellule. Da allora, l’IDF ha stretto delle pragmatiche cooperazioni con le forze dell’ordine dell’ANP mirate a contenere e sradicare i movimenti fondamentalisti islamici presenti sul territorio gestito dall’Autorità Palestinese.
  Nonostante gli intensi sforzi di intelligence, oggi a Jenin sono operativi almeno tre gruppi terroristici, Hamas, la Jihad Islamica Palestinese (PIJ), e le più recenti Brigate Jenin. Riempiendo il vuoto di potere lasciato dalla vetusta classe dirigente palestinese e sfruttando le infrastrutture locali, i vari movimenti hanno riscosso sempre più supporto tra la popolazione cittadina, guadagnando seguaci e reclutando adepti.

• Mesi e mesi di terrore insostenibile
   Come detto, la località di Jenin appare spesso tra le carte dell’IDF e dello Shin Bet, il servizio di intelligence interno di Israele, per cui è risaputo che la città sia un centro nevralgico di attività sospette.
  Nondimeno, negli ultimi mesi ha fatto le prime pagine dei giornali a seguito della lunga serie di attentati che hanno colpito la quotidianità israeliana, sia in aree di confine sia nel pieno centro di Tel Aviv, togliendo la vita a 24 israeliani e generando forti tensioni. Solo nello scorso anno, quasi 50 attentati con arma da fuoco sono stati eseguiti da residenti di Jenin, e almeno 19 terroristi si sono nascosti nella cittadina palestinese per evitare la cattura e l’arresto.
  Una serie impressionante, che ha spinto l’IDF a incrementare le manovre fino ad avviare la più estesa risposta degli ultimi anni.

• L’operazione “Bait VaGan” (Casa e Giardino)
  Lanciata nella notte tra il 2 e il 3 luglio, l’operazione “Bait VeGan”, che richiama il nome biblico di Jenin, Ein Ganim, ha coinvolto oltre mille militari israeliani con l’obiettivo di smantellare quanto più possibile della rete terroristica cisgiordana.
  Durante le 44 ore in cui l’esercito israeliano è stato attivo nella città palestinese, sono stati interrogati oltre 300 sospettati, di cui 30 sono stati prelevati per ulteriori sospetti e circa 300 ordigni sono stati fatti brillare. Per di più, sono stati scovati 8 magazzini di armamenti, 6 laboratori per la produzione di esplosivi e 3 “sale da guerra” da cui comandanti palestinesi osservavano le forze israeliane.
  Ufficiali dell’esercito ritengono che la maggior parte dei brigatisti sia riuscita a fuggire dalle proprie abitazioni. Tuttavia, ciò ha ridotto gli scontri a fuoco, facilitando la celerità delle divisioni israeliane.
  Nel corso delle operazioni sono stati impiegati elicotteri, droni e i bulldozer corazzati D9, funzionali a contrastare eventuali mine posizionate ai bordi delle strade. Alcune, infatti, sono state scoperte nei pressi di ospedali e moschee, in zone densamente abitate, mettendo a repentaglio la sicurezza anche dei civili.
  In quasi due giorni di scontri incessanti, secondo le fonti sanitarie palestinesi sono state uccise 12 persone, ferite oltre 100 e circa 4000 persone sono state costrette a evacuare le proprie abitazioni. Il portavoce dell’IDF Contrammiraglio Daniel Hagari ha invece affermato che le vittime sono state 18, tutte coinvolte in attività che ponevano una minaccia alla sicurezza nazionale, ma che a causa dell’alta densità abitativa vari civili sono rimasti feriti nel fuoco incrociato. Hagari ha inoltre negato le accuse di aver forzato la popolazione locale ad abbandonare Jenin.
  Dal lato israeliano, ha perso la vita un militare, il ventitreenne Sergente David Yehuda Yitzhak dell’unità Egoz, proprio al principio della manovre di messa in sicurezza funzionali all’evacuazione della città.
  Nel complesso Bait VeGan ha dato dimostrazione della risolutezza israeliana nel contrasto alla violenza palestinese, ma alti officiali israeliani hanno già affermato che ulteriori attività seguiranno nelle prossime settimane per completare il lavoro intrapreso in questi giorni, auspicando di smembrare il sistema alla base della recente ondata di attacchi palestinesi.

• Le reazioni all’operazione in Israele
  Come spesso accade, in tempi difficili la politica mette da parte le divergenze e mira al bene comune. Il leader dell’opposizione Yair Lapid ha espresso il pieno appoggio alla missione e al diritto di Israele di difendersi, così come l’ex ministro della Difesa Benny Gantz.
  D’altro canto, in alcune aree dello Stato si sono verificati degli scontri con la polizia in protesta alla campagna israeliana, in particolare a Haifa dove sono stati arrestati 7 manifestanti o a Tel Aviv dove due membri arabi-israeliani della Knesset, Ayman Odeh e Ofer Cassif del partito arabo Hadash-Ta’al, hanno denunciato pubblicamente “l’occupazione criminale” israeliana.

• L’attentato a Tel Aviv
  Il 4 luglio a Tel Aviv un’auto lanciata sulle persone che aspettavano l’autobus alla fermata ha causato 8 feriti. Hamas ha lodato l’attacco terroristico a Tel Aviv, descrivendolo come “una eroica vendetta per Jenin”.  Il capo della polizia Yaacov Shabtai racconta ai giornalisti la dinamica dell’attacco: l’attentatore è arrivato a bordo di un furgone ed ha centrato una fermata di un autobus. Subito dopo ha cominciato ad accoltellare i passanti. L’aggressore è stato fermato dall’intervento di un civile israeliano armato, che gli ha sparato uccidendolo sul colpo.

(Bet Magazine Mosaico, 6 luglio 2023)

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Intollerabile antisemitismo della BBC che alimenta odio verso Israele

“Le forze israeliane sono felici di uccidere i bambini”, ha detto un conduttore della BBC a Naftali Bennett in un’intervista in cui l’ex primo ministro ha difeso l’operazione israeliana a Jenin.
  L’intervista è stata condotta dalla conduttrice Anjana Gadgil ed è stata pubblicata mercoledì sul canale YouTube di Bennett.
  I militari israeliani la chiamano “operazione militare”, ma ora sappiamo che sono stati uccisi dei giovani, quattro dei quali sotto i 18 anni. È davvero questo l’obiettivo dei militari? Uccidere persone tra i 16 e i 18 anni?”.
  “Al contrario”, ha risposto Bennett. “In realtà, tutte le 11 persone morte lì sono militanti. Il fatto che ci siano giovani terroristi che decidono di impugnare le armi è una loro responsabilità”.
  L’ex leader ha poi spiegato che molti degli attacchi terroristici dell’ultimo anno, che hanno causato decine di morti tra i civili israeliani, sono stati perpetrati da persone provenienti da Jenin e addestrate a Jenin: “Jenin è diventata un epicentro del terrore”, ha detto. “Tutti i palestinesi uccisi erano terroristi in questo caso”.
  Questa affermazione della BBC priva di fondamento non solo distorce la realtà sul campo, ma equivale anche a un pericoloso incitamento e a una gravissima diffamazione, alimentando la già crescente ondata di antisemitismo in tutto il mondo.
  L’International Legal Forum, una rete globale di avvocati che combattono l’antisemitismo e il terrore, ha espresso totale sgomento e shock per il comportamento di Gadgil. In una lettera aperta indirizzata al direttore generale della BBC, Tim Davie, alla professoressa Dame Elan Closs Stephens, presidente in carica del Consiglio di amministrazione della BBC, e a Deborah Turness, amministratore delegato di BBC News and Current Affairs, ILF ha sottolineato la natura falsa e fuorviante della dichiarazione di Gadgil.
  Hanno sottolineato che le forze israeliane prendono rigorosamente di mira elementi terroristici, combattenti e infrastrutture militari a Jenin, un focolaio di terrore negli ultimi anni.
  L’ILF ha sottolineato che alcuni combattenti palestinesi, tra cui individui di soli 17 anni, sono stati cinicamente reclutati da gruppi terroristici, il che costituisce una grave violazione del diritto internazionale.
  L’ILF ha esortato la BBC a rispettare la sua missione di fornire notizie e informazioni imparziali e ha chiesto all’emittente scuse pubbliche immediate e inequivocabili. L’ILF ha inoltre chiesto che vengano presi provvedimenti adeguati nei confronti di Gadgil per la sua inaccettabile condotta.
  La BBC ha risposto alla lettera dell’EJA con una dichiarazione in cui si scusava per il modo in cui erano state poste le domande: “Abbiamo ricevuto commenti e lamentele in merito a un’intervista con l’ex primo ministro israeliano Naftali Bennett sui recenti eventi in Cisgiordania e Israele”, si legge nel comunicato.
  “Sebbene questo fosse un argomento legittimo da esaminare nel corso dell’intervista, ci scusiamo per il fatto che il linguaggio usato in questa linea di domande non era formulato bene ed era inappropriato”.

• La storia della BBC tra pregiudizi anti-israeliani, diffamazione antisemita e antisemitismo
  Questo incidente arriva sulla scia di un’indagine trasversale avviata dal Parlamento britannico lo scorso dicembre sui pregiudizi della BBC nei confronti di Israele. Con le preoccupazioni sollevate circa i pregiudizi sistemici e istituzionali nei confronti di Israele, casi come la falsa affermazione di Gadgil sottolineano ulteriormente la necessità di un’azione correttiva urgente.
  Anche il rabbino Menachem Margolin, presidente dell’Associazione Ebraica Europea (EJA), ha espresso la sua costernazione in una lettera indirizzata al direttore generale della BBC. Ha criticato l’affermazione di Gadgil come una palese falsità, carica di emotività e che ricorda in modo inquietante la storica diffamazione del sangue che ha afflitto le comunità ebraiche per secoli.
   Margolin ha sottolineato che le forze armate israeliane adottano misure straordinarie per evitare vittime tra i civili e che tali accuse infondate minano la correttezza giornalistica e il codice di condotta della BBC.
  Sia l’ILF che l’EJA hanno invitato la BBC a ritrattare la falsa dichiarazione e a rimproverare prontamente Gadgil.

(Rights Reporter, 6 luglio 2023)

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Pranzo "fai da te" ad Amalfi, turisti cucinano col fornellino tra i vicoli

Indignati, i cittadini hanno segnalato alla polizia municipale, ma i due sono andati via prima dell’intervento degli agenti.

di Gianpiero Di Filippo

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Due turisti sono stati avvistati mentre cucinavano con un fornellino in strada, ad Amalfi.
La scena, immortalata dagli smartphone intorno alle 14,30, nella Salita San Nicola dei Greci, ha scatenato l'indignazione dei cittadini, che, sconcertati, hanno segnalato alla polizia municipale. Ma i due sono andati via prima dell'intervento degli agenti.
Amalfi è una città nota per la sua cucina locale, che si basa su ingredienti freschi e genuini provenienti dal mare e dalle colline circostanti. Cucinare in strada con un fornellino portatile, oltre che essere un comportamento inappropriato, può essere vista come un affronto a questa tradizione culinaria e a tutto ciò che rappresenta.
Ci sta non voler spendere troppo per mangiare, ma non è necessario recarsi al ristorante: nei vicoli si trovano tante attività di ristoro che offrono street food a prezzi abbordabili.

(il Vescovado, 5 luglio 2023)


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Amalfi, i turisti che cucinavano tra i vicoli erano ebrei: non avevano trovato cibo "kosher"

Un lettore ha riconosciuto la coppia, opportunamente oscurata in volto nel nostro articolo, dall’abbigliamento. Ci ha raccontato che qualche ora prima i due avevano chiesto informazioni proprio a lui, su dove poter acquistare un fornellino e del cibo kosher.

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Dopo l'articolo in cui mostravamo la scena insolita di due turisti intenti a cucinare tra i vicoli di Amalfi con tanto di fornellino, arrivano i retroscena.
  Un lettore ha riconosciuto la coppia, opportunamente oscurata in volto nel nostro articolo, dall'abbigliamento. Ci ha raccontato che qualche ora prima i due avevano chiesto informazioni proprio a lui, su dove poter acquistare un fornellino e del cibo kosher.
  I due, infatti, di stanza presso un b&b di Sorrento, erano ebrei e, secondo le regole religiose che dominano la nutrizione del popolo ebraico osservante, potevano consumare soltanto cibo "kosher", ossia ‘idoneo'.
  Secondo la "Kasherut" (l'idoneità di un cibo a essere consumato dal popolo ebraico secondo le regole alimentari stabilite nella Torah), gli ebrei osservanti possono mangiare:

  • gli animali ruminanti che hanno lo zoccolo spaccato in due parti. La mucca, il vitello, la pecora, la capra sono ammessi; il coniglio, il maiale, il cammello o il cavallo sono vietati, cose come i rettili e gli insetti;
  • i volatili da cortile, come le galline. Sono invece vietati i rapaci;
  • i pesci che hanno sia pinne che squame; sono vietati l'anguilla, i frutti di mare, il caviale, i pesci gatto, la coda di rospo e altri ancora.

Inoltre, carne e latticini non possono essere consumati nello stesso pasto, né cucinati o lavorati insieme; per questo motivo, le famiglie possiedono in genere set di pentole e servizi di piatti diversi per i due tipi di alimenti. Carne e pesce possono essere consumati nello stesso pasto, ma prima di passare dall'uno all'altro bisogna sciacquarsi la bocca con un po' di vino. La Torah vieta il consumo di sangue, per cui anche la macellazione segue un rituale ebraico. E, ancora, non si utilizzano tagli di carne che sono attraversati dal nervo sciatico. Anche latte e formaggi devono essere sempre controllati da un rabbino. Quanto alla frutta, non è possibile mangiare un frutto prodotto da un albero nei suoi primi tre anni di vita. Per quanto riguarda pane e lievitati, essi non possono essere consumati durante la Pasqua Ebraica. Infine, per cucinare cibo kosher non si possono usare utensili utilizzati per preparare cibo non kosher.
  I requisiti per ottenere il marchio Kosher sono numerosi e i controlli rigorosi. Il negozio più vicino alle nostre zone che rivende prodotti "idonei" si trova a Roma e spedisce fino ad Amalfi, all'occorrenza.
  L'hotel più vicino fornito di un ristorante kosher è il Capri Tiberio Palace, mentre in Costiera Amalfitana gli alberghi di lusso sono organizzati per gestire quest'esigenza, previa comunicazione da parte degli ospiti.

(il Vescovado, 6 luglio 2023)

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Esaurita la controffensiva. La lotta continua

L’Ucraina ha annunciato un cambiamento radicale della sua strategia. Lo ha annunciato ieri Il segretario del Consiglio per la sicurezza e la difesa nazionale Oleksiy Danilov, il quale ha detto che da ieri la priorità delle forze ucraine non è più la riconquista del territorio perduto, quanto degradare le forze russe, sia in termini di uomini che di mezzi. Una “guerra di distruzione equivale a una guerra per conquistare chilometri”, ha detto Danilov.
  Lo riporta, tra gli altri, anche l’Institute of Study of War, che, a commento di questa svolta, riferisce le parole del presidente del comitato militare della NATO, l’ammiraglio Rob Bauer, secondo il quale le forze ucraine “non dovrebbero subire critiche o pressioni per la lentezza delle operazioni”.

• La controffensiva sfinita
  Lo stesso Bauer ha anche escluso che i sospirati F-16 possano arrivare a Kiev nel corso della controffensiva, che quindi dovrà continuare senza copertura aerea (anche se i velivoli promessi non sarebbero comunque sufficienti per assolvere tale compito).
  L’annuncio di Danilov, apparentemente anodino, è clamoroso. Di fatto, ha detto che la controffensiva è fallita. Tutti i proclami sulla riconquista dei territori perduti fatti da ucraini e alleati in un anno e mezzo di guerra si sono rivelati per quel che erano: vuota sicumera.
  D’altronde, i russi non cedono e gli ucraini non sfondano come invece avevano assicurato quasi tutti i politici, gli analisti, i cronisti d’Occidente. E per non dover ammettere la sconfitta, Kiev ha annunciato un cambio di programma: ora si tratta solo di uccidere i russi – in obbedienza ai diktat neocon dichiarati esplicitamente dal senatore Lindsey Graham – e di distruggere più armamenti possibile del nemico.
  Il punto è che tale strategia non tiene conto che a morire come mosche sono gli ucraini, come sempre accade nel corso di un attacco, e di un attacco peraltro nel quale i difensori hanno più armi, possono colpire più lontano e soprattutto hanno il controllo completo dei cieli.

• The Show Must Go On
  Una scelta suicida quella di continuare la guerra. Ma a decidere non sono gli ucraini, quanto la loro leadership e soprattutto gli sponsor internazionali, i quali non vogliono mollare la presa e rinunciare alla loro guerra infinita fino all’ultimo ucraino.
  The Show Must Go On è forse la più bella canzone dei Queen, scritta per raccontare l’ultimo tratto di vita di Freddy Mercury. Ci sembra una degna colonna sonora di quanto si sta consumando a Kiev e dintorni.
  A meno di incidenti di percorso – vedi alla voce Zaporizhzhia – si andrà avanti così fino al vertice di Vilnius dell’11 luglio, nel quale si deciderà il da farsi. Le pressioni per continuare l’ingaggio contro la Russia non recedono, ma la disfatta dei falchi che urgono in tal senso è talmente palese che si potrebbero aprire spazi per le trattative.
  Da ultimo, si può notare che gli analisti, i cronisti, i politici di cui sopra, che hanno sbagliato tutto, con errori la cui portata è di tragica evidenza, continuano imperterriti a pontificare e a dettare la linea. Tale il meccanismo perverso delle guerre infinite, tale la tragedia in cui versa l’Occidente.

(piccole note, 5 luglio 2023)
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Notevole: "la priorità delle forze ucraine non è più la riconquista del territorio perduto, quanto degradare le forze russe". Non si tratta dunque di difendere la sacralità della terra patria, la democrazia, la libertà, e tanto meno la vita dei cittadini ucraini, ma di "degradare le forze russe". Che è appunto quello che voleva fin dall'inizio la Nato a trazione anglo americana. M.C.

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Raid israeliano su Gaza in risposta ad attacchi terroristici. Fine dell'operazione di Jenin

di Sarah G. Frankl

Nella notte appena passata aerei da guerra israeliani hanno colpito a Gaza un’officina sotterranea di armi utilizzata dall’unità chimica del gruppo terroristico di Hamas e un sito per la lavorazione di componenti di razzi. Lo ha reso noto l’esercito israeliano con un comunicato emesso intorno alle 05,30.
  L’attacco israeliano a Gaza è arrivato dopo che nella notte scorsa dalla Striscia erano stati lanciati diversi razzi contro obiettivi civili nel sud di Israele.
  Il sistema di difesa aerea Iron Dome è riuscito ad abbattere cinque razzi lanciati verso la città di Sderot e le aree vicine.
  I media palestinesi hanno riferito che gli aerei israeliani hanno colpito siti ad al-Baydar, a ovest di Gaza City, e Beit Lahiyeh, nella Striscia settentrionale. Diverse case ad al-Baydar sono state danneggiate, secondo i rapporti palestinesi.
  L’IDF era già stato in allerta per il potenziale lancio di razzi da Gaza in risposta alla operazione di Jenin, con le autorità che lunedì hanno annullato un grande concerto nella città meridionale di Sderot, sebbene non siano state emesse altre precauzioni.

• Fine dell'operazione di Jenin
  Nel frattempo le truppe israeliani si sono ritirate da Jenin e durante le operazioni di ritiro un militare israeliano è stato ucciso durante un attacco terroristico palestinese.
  Il bilancio della operazione di Jenin è di almeno 18 terroristi palestinesi uccisi, un numero imprecisato di feriti e di arresti con la Jihad Islamica palestinese, finanziata ed armata dall’Iran, che ha visto compromessa la sua presenza in Giudea e Samaria (Cisgiordania).
  Nella operazione di Jenin, la più grande degli ultimi anni in Giudea e Samaria, sono stati impiegati oltre mille soldati, aerei, elicotteri e mezzi blindati.
  Ieri un terrorista di Hamas ha lanciato la sua auto contro un’affollata fermata dell’autobus di Tel Aviv e subito dopo ha iniziato ad accoltellare persone, ferendone otto, tra cui una donna incinta che avrebbe perso il suo bambino. L’aggressore è stato ucciso da un passante armato.
  Hamas ha rivendicato l’atto terroristico e ha detto che l’attacco è stato una vendetta per l’offensiva israeliana a Jenin.

(Rights Reporter, 5 luglio 2023)

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Attentato a Tel Aviv: sette feriti, di cui quattro gravi

di Luca Spizzichino

Sette persone sono rimaste ferite, quattro delle quali gravemente, in un attacco terroristico avvenuto martedì pomeriggio nel nord di Tel Aviv.
  Abed al-Wahab Khalaila, membro del gruppo terroristico di Hamas, si è schiantato con il suo camioncino contro i pedoni a una fermata dell'autobus a Pinchas Rosen Street; successivamente è sceso e ha accoltellato i passanti e le persone che erano sedute fuori in un bar vicino. Il terrorista, che secondo lo Shin Bet non aveva un permesso per entrare in Israele, è stato ucciso poco dopo da un civile armato.
  Hamas, che ha esultato per la “prima risposta” all’operazione antiterrorismo che vede Israele impegnata a Jenin, non ha tuttavia rivendicato la responsabilità dell'attacco.
  Le quattro vittime ferite gravemente sono state trasportate agli ospedali Ichilov e Beilinson. Una donna incinta, le cui condizioni sono state definite dall'ospedale molto gravi, ha subito un intervento chirurgico mentre i medici lavoravano per stabilizzare le sue condizioni. Mentre un uomo di 30 anni, che è stato pugnalato allo stomaco, provocando gravi ferite, è stato portato d'urgenza all'ospedale di Beilinson.
  L’attentato è stato ripreso integralmente dalle telecamere di sicurezza, che hanno chiarito la dinamica. Il terrorista si è dapprima schiantato contro i pedoni a una fermata dell'autobus e successivamente ha iniziato ad accoltellare i passanti e le persone che erano sedute fuori in un bar nelle vicinanze. In un altro videoclip, circolato sui social media, si vede invece l'uomo armato, con un casco da motociclista, che ha sparato più volte all'aggressore con una pistola e gli ha strappato il coltello dalla mano.
  “Ho parcheggiato la mia moto alla fermata dell'autobus. Mentre stavo per partire, ho sentito un forte rumore. Ho pensato che fosse un incidente stradale” ha detto alla polizia il signore che ha neutralizzato l’attentatore. “Il terrorista mi ha inseguito. - ha aggiunto - Gli ho sparato ed è caduto. Mi tremavano le gambe. Stavo pregando che il proiettile fosse partito, perché se non lo avesse fatto sarei morto".
  Il presidente israeliano Isaac Herzog ha commentato l'attacco terroristico a Tel Aviv, durante il suo discorso di martedì sera in occasione del 70° anniversario del consiglio regionale di Hatzor HaGlilit. "Il grave attacco poche ore fa a Tel Aviv è un'ulteriore prova della necessità dell'attuale operazione dell'IDF a Jenin per sradicare il terrorismo", ha detto Herzog. “Il terrore non vincerà mai”.
  “A nome dell'intera nazione, prego per la pronta e completa guarigione dei feriti, e invio la mia forza e il mio sostegno ai nostri soldati, ai loro comandanti e a tutti i servizi di sicurezza e di intelligence nelle loro azioni decisive contro i nostri nemici ovunque essi si trovino” ha concluso.
  "Chiunque pensi che un simile attacco ci dissuaderà dal continuare la nostra lotta al terrorismo si sbaglia. - ha dichiarato il premier Benjamin Netanyahu nel pomeriggio - Semplicemente non conosce lo spirito dello Stato di Israele, non conosce il nostro governo, i nostri cittadini e i nostri soldati".
  “Continueremo finché sarà necessario a sradicare il terrorismo, non permetteremo a Jenin di tornare ad essere una roccaforte per il terrorismo" ha aggiunto spiegando come l’operazione a Jenin non sarà un evento unico.

(Shalom, 5 luglio 2023)

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È una nuova escalation contro i civili. E Israele agisce solo per "autodifesa"

Nel Paese 200 attentati da inizio anno. Ecco perché anche la sinistra approva l'azione anti-terrorismo dell'esercito a Jenin.

di Fiamma Nirenstein 

Israele è di nuovo oggetto di un severo scrutinio mediatico. Jenin è l'epitome di quello che viene considerato uno degli episodi di scontro violento fra due parti: Israele e i palestinesi. Come in uno stadio di dimensioni mondiali, ci sono due grandi tifoserie, ma nel campo dei media quella che tiene per i palestinesi è certamente la maggiore. La ragione si capisce: le forze israeliane sono meglio armate e, quando agiscono, i morti palestinesi sono in numero maggiore. Inoltre, poiché il governo di Bibi Netanyahu, un leader moderato oggi alla testa di una coalizione in cui siedono due ministri di estrema destra, non ha fiducia in un accordo con i palestinesi, questo viene vissuto come un rifiuto israeliano della questione. Ma non si ricorda che Netanyahu, che non ha mai delegittimato l'idea di due stati, da lui anzi sostenuta, ha tentato a lungo di formare la sua coalizione con Benny Gantz, ex ministro della difesa: il rifiuto è stato netto e questo lo ha spinto a formare una coalizione in cui i rapporti non sono facili.
  Ciò, tuttavia, non c'entra con la lotta al terrorismo: qui, anche la sinistra è allineata con l'operazione contro i terroristi di Jenin, a partire da Yair Lapid. Per tutti è pura autodifesa, una scelta non politica, ma pratica e indispensabile. Anche in Israele, come in ogni democrazia, in primis devi salvare la vita dei tuoi cittadini. Dall'inizio dell'anno, la crescita esponenziale degli attacchi terroristici contro i civili israeliani, 28 morti che rapportati ai numeri italiani corrispondono a 168 persone circa, ha fatto sì che ogni volta si cercasse di fermare la frana, senza risultati. Duecento attentati, di cui 50 a fuoco in sei mesi, tutti dalla Cisgiordania, con centro a Jenin, e non da Gaza, hanno imposto l'operazione.
  Fra i palestinesi è cambiato il ritmo e il sistema: un'escalation di armamenti, di sprint ideologico, di gruppi vecchi e nuovi ha invaso il terreno coprendolo di vittime da Tel Aviv alla Cisgiordania. E Israele ha agito contro il terrore con l'esercito. Ma non è uno scontro fra due forze contrapposte: si capisce dal video dell'attacco a Tel Aviv, i ragazzi seduti tranquilli in un bar del centro investiti da una macchina e pugnalati; o nelle settimane scorse, due fratellini che aspettano l'autobus falciati, come una madre con le due figlie in auto.
  L'idea strategica del terrorismo attuale, supportato come non mai dall'Iran e spostato da Gaza alla Cisgiordania, è che la sorpresa da ogni parte prosciugherà la vita d'Israele nella paura e nel dolore. Il consenso è grande: il 71% dei palestinesi supporta i gruppi terroristici, il 70% è contro l'idea di due stati, il 52 contro il 21 preferisce la resistenza armata ai negoziati. L'esercito israeliano dunque non aveva altra scelta che entrare a Jenin, epicentro del nuovo terrore, da cui, novità strategica, sono partiti anche missili, ad arrestare terroristi asserragliati in una fortezza. L'esercito sa che i soldati possono compiere errori e uccidere civili, quindi ha programmato a fondo: non è un caso che fino a ieri abbia ucciso 9 persone tutte armate.
  La strategia dei gruppi di Jenin, Jihad Islamica, Hamas, gruppetti autonomi, è divenuta molto più internazionale, l'Iran incita e arma da quando Qasem Suleimani e poi l'ayatollah Khamenai decisero che i palestinesi entrassero nel fronte formato da Libano e Siria. L'esercito si è preparato a fondo per quella fortezza densa di armi, cunicoli, sotterranei, esplosivi per ogni dove. Entrando, ha distrutto, rovinato, fatto saltare per aria mura che celavano depositi di esplosivo. Difficile la domanda su cosa accadrà domani: forse, se Abu Mazen si deciderà a cedere lo scettro e la politica, il cui fulcro sono gli stipendi ai terroristi e l'incitamento, qualche porta si potrebbe riaprire. Ma il raìs sembra preferire la strada legata agli stereotipi che hanno sempre scelto il «no» come risposta.

(il Giornale, 5 luglio 2023)

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Netanyahu vola in Cina: un asse che non piace a Washington

Sarà il suo sesto viaggio internazionale, da quando, nel dicembre del 2022, è ritornato alla guida del governo israeliano. Benjamin Netanyahu volerà in Cina durante questo mese di luglio. La visita avviene poche settimane dopo quella del leader palestinese Abu Mazen, che è stato accolto con tutti gli onori in un incontro con il presidente cinese Xi Jinping e con il primo ministro Li Qiang.
  L'annuncio che Netanyahu abbia accettato l'invito del presidente Xi non è stato accolto in modo favorevole né alla Casa Bianca, né tanto meno tra i cittadini israeliani. Ma anche gli analisti politici, giornalisti e soprattutto i vertici militari, non vedono di buon occhio questo viaggio in Cina, in un momento di tensione in tutta l'area mediorientale. Va detto infatti che un recente rapporto del Pew Research Center rivela che tra gli israeliani l'87% ha un'opinione favorevole degli Stati Uniti, mentre solo il 12% un parere negativo. «L'attuale visione di Israele degli Stati Uniti è la più positiva dal 2000», ha twittato Israel Nitzan, console generale ad interim del Consolato generale di Israele a New York, a proposito del sondaggio
  Non è la prima volta, però, che Netanyahu incontra Xi Jinping. L'ultimo incontro ufficiale tra i due risale al 2017. Con questo invito, però, il presidente della Repubblica Popolare Cinese scende massicciamente in campo nell'area mediorientale e si propone come mediatore di storici conflitti, tra cui quello arabo-israeliano, approfittando dei buoni rapporti che Pechino intrattiene con l'Autorità palestinese. Ma anche per trarre vantaggio dalle attuali relazioni intricate tra Tel Aviv e gli Usa, con l’obiettivo di instaurare nuove opportunità diplomatiche con Israele. È evidente, infatti, che il presidente Xi, ricevendo prima Abu Mazen e poi Benjamin Netanyahu, voglia dimostrare di poter contribuire più degli Stati Uniti d'America alla stabilizzazione della regione. Tentativo, questo, molto difficile visto l'appoggio incondizionato della Cina alle rivendicazioni dei palestinesi. 
  Alcuni anni fa il grande Paese asiatico aveva tentato una mediazione tra israeliani e palestinesi. Già nel lontano 2002 Pechino aveva provato di instaurare un dialogo tra le parti, e nel 2017 aveva anche ospitato un incontro nel quale si proponeva la "soluzione dei due Stati"; proposta, questa, che è stata riformulata nel corso della recente visita di Abu Mazen e che potrà essere ripresentata in occasione di una conferenza di pace "su larga scala, più autorevole e influente".  Che la "soluzione dei due Stati" sia per Xi Jinping l’unica percorribile lo dimostra il fatto, che lo scorso mese di maggio, il governo cinese con una nota aveva invitato Israele a non proseguire nell’occupazione di altro territorio palestinese, riferendosi in particolare ai nuovi insediamenti illegali ai quali Netanyahu aveva dato il via libera.
  Xi ha offerto ad Abu Mazen il pieno sostegno della Repubblica Popolare Cinese sia in materia di difesa, che di sviluppo economico. Proposta, questa, che rientrerebbe nel progetto della costruzione di un nuovo ordine internazionale, in contrapposizione a quello guidato dagli Stati Uniti d'America. La Cina sta approfittando, per diventare punto di riferimento, anche della normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Iran e Arabia Saudita; l’accordo infatti è stato siglato davanti al capo della diplomazia cinese, Wang Yi, nelle stesse ore in cui Xi Jinping veniva confermato presidente della Repubblica Popolare per la terza volta. Con queste iniziative diplomatiche Pechino vuole inserirsi negli spazi geopolitici lasciati liberi dagli Stati Uniti, mostrandosi così intenzionato a contribuire alla stabilità del Medio Oriente e guadagnare la fiducia degli altri paesi mediorientali.
  Ovviamente gli Usa non apprezzano questo attivismo della Cina e sono molto critici in merito alla politica, sia interna che estera, del primo ministro Netanyahu. Al punto che sono trascorsi ormai sei mesi da quando è stato rieletto premier, ma non ha ancora ricevuto alcun invito ufficiale dalla Casa Bianca. Anzi, lo scorso mese di marzo, fonti americane hanno fatto trapelare che Netanyahu non sarebbe stato invitato negli Usa a breve termine. A più riprese, sia il portavoce della Casa Bianca, che Antony Blinken, segretario di Stato dell'Amministrazione di Joe Biden, hanno invitato Netanyahu a bloccare la costruzione di nuovi alloggi in territorio palestinese. Decisione, tra l’altro, presa in un momento di forte tensione tra israeliani e palestinesi.
  L'amministrazione Biden è molto preoccupata per l'intensificarsi delle violenze nei territori occupati, mentre, in Israele, proseguono le manifestazioni di piazza per bloccare l'approvazione della riforma della giustizia, fortemente voluta dalla compagine governativa. Gli Stati Uniti e le Nazioni Unite hanno definito il piano un atto illegale e un ostacolo per il raggiungimento della pace. Anche il Regno Unito, il Canada e l'Australia hanno invitato Israele a revocare la decisione di approvare la costruzione di 5.700 unità abitative aggiuntive per i coloni ebrei in Cisgiordania, e si sono detti «gravemente preoccupati». È quanto emerso in una dichiarazione congiunta rilasciata dai ministeri degli Esteri dei tre Paesi, condannando la «continua espansione degli insediamenti» che è stata descritta come «un ostacolo alla pace e agli sforzi per raggiungere una soluzione negoziata a due Stati». Ad oggi, più di 700.000 coloni israeliani vivono nei territori occupati della Cisgiordania e a Gerusalemme Est.
  Proseguono nel frattempo le proteste dei cittadini ebrei contro la riforma della giustizia voluta dal governo Netanyahu e in discussione alla Knesset. Almeno 130 mila persone si sono radunate lo scorso sabato sera a Kaplan Street, a Tel Aviv, mentre gli organizzatori delle manifestazioni hanno parlato di circa 286 mila partecipanti in tutto il Paese. Alcuni manifestanti hanno bloccato l’autostrada Ayalon in direzione sud e la polizia ha arrestato due persone per disturbo dell’ordine pubblico.

(Nuova Bussola Quotidiana, 5 luglio 2023)

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Un tank per raccontare l’epopea dei pionieri

Capolavori: Il carro armato di Assaf Inbari. Un caso letterario. Un romanzo già entrato nel mito. Che narra lo scontro con le truppe siriane a Degania visto da cinque eroi

di Roberta Ascarelli

Era il 20 maggio 1948. Sei giorni prima David Ben-Gurion aveva proclamato a Tel Aviv la nascita dello Stato d’Israele ed era scoppiata una guerra impari e pericolosa. Ma a Nord, nella valle di Kinneret, i carri armati siriani che avanzavano indisturbati vengono fermati alle porte di Degania, un piccolo insediamento agricolo ricco di storia e di ideologia, da alcuni soldati e da un centinaio di coloni equipaggiati con qualche molotov, poche granate e la volontà di resistere ad ogni costo.
  Un carro armato viene colpito, i nemici sorpresi e intimoriti si ritirano precipitosamente lasciando alle loro spalle una scocca carbonizzata e una fitta tessitura di narrazioni.
  Leggende, ricordi, personaggi e documenti di quest’evento creano la struttura dell’ultimo romanzo di Assaf Inbari Ha tank del 2018, vincitore nel 2020 del premio Agnon per “aver combinato il successo letterario con una prospettiva chiara sui valori centrali dell’ethos sionista e sui temi della società israeliana”, e ora pubblicato da Giuntina per la ottima traduzione di Alessandra Shomroni (Il carro armato, 274 pp., 20 euro).
  Lo spirito del racconto è lo stesso che domina la avvincente saga del suo primo romanzo, Verso casa (Giuntina, 2020) che si svolge sullo sfondo di un altro kibbutz, quello di Beth Afikim: “circondato da una recinzione di filo spinato […] furono scavati dei fossati di comunicazione; si fecero scorte di cibo e benzina e un ponte di botti fu costruito sul Giordano come via di fuga. ‘Se avremo uno stato, quanto tempo gli dai?’ – chiese Clara Galili a Zvi Brenner. ‘Se ci sarà. Che duri due settimane – ma almeno ci sarà’”.
  Simile anche la struttura del testo che si muove ambiziosa sul confine tra individualità e coralità, sacrificando a volte alla visione di insieme le sfaccettature dei personaggi principali ma anche della piccola folla di figure ‘minori’, descritte spesso con una distanza appena mitigata dalla cifra di una affettuosa ironia.
  La struttura è però più ambiziosa e meno ‘collettiva’ di Verso casa anche se non viene meno la fitta tessitura delle voci e la infinita carrellata di personaggi legati, in questo caso, a quel relitto di carro armato e al kibbutz che lo contiene: un oggetto fortemente simbolico per una letteratura che deve, secondo l’autore, plasmare nuovi miti e generare nuovi racconti. “Ma la narrazione stessa, – scriveva Inbari in un saggio teorico sulla letteratura israeliana nel 2010 – l’insieme storico in cui queste scene sono intarsiate, non è ‘verità storica’, così come non è falsità. È letteratura e il suo scopo, come quello di ogni opera d’arte, non è informativo ma spirituale, legato ai valori, all’estetica e alle emozioni”.
  Tra realtà e finzione, romanzo storico e progetto identitario Inbari descrive le fragili esistenze dei cinque uomini che ritengono di aver avuto un ruolo decisivo in quello scontro – Baruch Bar Lev, Shlomo Anschel, David Zarchia, Shalom Hochbaum e Itzhak Eshet -. Sono persone comuni, deluse dal declino degli antichi ideali e dalla loro opaca quotidianità che trovano un senso e una cittadinanza nel ricordo di quell’imprevista prodezza. Ognuno conserva ricordi diversi dello stesso evento storico; ognuno è convinto di essere colui che ha fermato il carro armato, cambiando così il corso della guerra.
  Alla vicenda della loro vita, ben delimitata in singoli capitoli a sottolineare diversità e distanza, ma anche a sperimentare il legame tra i frammenti e una auspicata visione di insieme, fa da contrappunto la recente storia di Israele che tutti unisce, e il ripetersi degli interrogativi sul significato e sulle prospettive di quella storia: “Se sì, chi è l’eroe? – scrive Inbari – È la persona che ha fermato il carro armato, chiunque essa sia, o forse c’è più di un eroe, o più di un modo di intendere l’eroismo?”.
  Nei resoconti ufficiali (e alcuni malignano, per motivi politici), l’eroe di Degania è solo Shalom Hochbaum un colono sopravvissuto alla Shoah che era giunto al kibbutz Degania per iniziare una nuova vita con un nome ebraicizzato, un lavoro umilissimo e poche speranze. Ma quando il kibbutz decide di impossessarsi di quella vittoria cancellando gli “estranei”, Shalom è invitato a ripetere più e più volte ai tanti visitatori la sua narrazione: con coraggio, aveva lanciato una molotov che era rotolata sotto il carro armato e lo aveva distrutto, mentre i nemici, terrorizzati da questa inattesa resistenza, si erano dati alla fuga.
  Fino alla sua morte, avvenuta nel 1976, Hochbaum ripete la sua versione. Ma anche gli altri protagonisti del romanzo (e dello scontro) pensano che, nella battaglia di quel giorno fatale, siano stati loro a distruggere il carro armato.
  David Zarchia, militare prossimo alla pensione, racconta le sue gesta nella Guerra di indipendenza solo al figlio Shabi, un giovane gracile, insicuro e facilmente impressionabile, per dargli un po’ di coraggio. Ytzhak Eshet “era rimasto fermo al momento del passato […] quando aveva fermato il carro armato siriano a Degania Alef”, e, nella sua oscura vita di impiegato, il colpo sferrato con un Piat contro il mezzo dei siriani rappresenta una potente consolazione. Anche Shlomo Anshel, meticoloso autista di autobus e aspirante cecchino, era convinto di aver centrato il bersaglio con la sua arma anticarro. Infine Baruch Bar Lev il più interessante tra gli aspiranti eroi, soldato, attaché in Uganda, uno dei protagonisti della vicenda di Entebbe, racconta in due modi diversi la sua storia: la narra – afferma – sia come ‘epopea israeliana’ con un protagonista “che già a dieci anni cavalcava armato per difendere una fattoria isolata” ma anche come un’‘epopea ebraica’, quella di “un astuto lituano che aveva teso un tranello a un siriano” spalancando ai carri armati le porte del kibbutz e preparando così l’ imboscata. In mancanza di una tribuna e di un pubblico, le loro versioni rimangono a lungo sconosciute. Ma, improvvisamente, tra interviste, convegni, inchieste giornalistiche che indagano non tanto la storia del carro armato, quanto le storie che il carro armato ha lasciato dietro di sé, la verità si fa lentamente strada coinvolgendo ancora altri personaggi e delineando così una vicenda collettiva con molti partecipanti e un comune successo.
  Anche su questa tardiva ricerca che getta nuova luce sui fatti del 20 maggio a Degania, Inbari si sofferma nel romanzo con il piacere del giallista e con una dolente immedesimazione nelle fragili esistenze di uomini che hanno trovato un senso e una cittadinanza in quel successo imprevisto e, per lunghi anni, segreto.
  Quello che rimane è un riuscito esperimento narrativo e, soprattutto, un inno alla speranza: “Questo Stato non è sorto dai miracoli, -scrive – ed è importante per noi incidere nei nostri cuori che non è con un miracolo che ne assicureremo l’esistenza negli anni a venire. […] La nostra generazione di pionieri si è ribellata contro il tradizionale fatalismo ebraico, è tornata alla storia e ha mutato la sua direzione”.

(Bet Magazine Mosaico, 5 luglio 2023)

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Israele: riforma giudiziaria, alla Knesset un passo avanti

Un emendamento approvato in commissione, l'opposizione insorge

All'indomani di una accesa manifestazione all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv di protesta contro la riforma giudiziaria elaborata dal governo Netanyahu, oggi alla Knesset la coalizione ha compiuto un significativo passo in avanti verso la sua realizzazione. In un dibattito caratterizzato da grande nervosismo, il presidente della commissione per le questioni costituzionali Simcha Rothman (Sionismo religioso) ha ottenuto la approvazione dell'emendamento della cosiddetta 'Clausola della ragionevolezza' che limiterà le prerogative del potere giudiziario a beneficio dell'esecutivo.
  La sua formula è stata approvata con 9 voti a favore e 4 contrari dopo che Rothman aveva espulso dall'aula cinque deputati della opposizione.
  Secondo la radio pubblica Kan il vice dell'Avvocato generale di Stato, Gil Limon, ha espresso preoccupazione per le ripercussioni di questa iniziativa del governo, se fosse approvata dalla Knesset. "In uno paese democratico - ha detto Limon - tutti devono sentirsi sottoposti allo stato di diritto, anche il governo ed i ministri". Il testo elaborato da Rothman - secondo cui la Corte Suprema non potrà annullare decisioni governative anche se ritenute dai giudici "irragionevoli in maniera estrema" - dovrà essere votato adesso in prima lettura, per poi passare in una commissione per una nuova discussione e per una eventuale revisione.

(ANSAmed, 4 luglio 2023)

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Il raid israeliano a Jenin: "Esplosivi e casse di armi. È la fortezza del terrore"

Blitz in Cisgiordania: uccisi 9 palestinesi, in tremila via dal campo profughi. Hamas e Jihad: vendetta

di Fiamma Nirenstein

Ieri a Jenin le forze israeliane hanno lanciato un attacco militare di cui adesso parla tutto il mondo come di una crudele sorpresa nei confronti dei palestinesi: in quella che è stata definita la maggiore impresa antiterrorismo dal tempo della seconda intifada, 9 sono stati uccisi, 8 in scontri armati e uno in circostanze ancora non definite. «Un massacro, interverremo per fermarlo» è intervenuto il leader della Jihad islamica. E dopo l'operazione militare israeliana sono circa tremila i palestinesi che hanno lasciato il campo profughi di Jenin.
  Sono passati 22 anni da quando, a Pasqua 2002, dopo un eccidio di 20 israeliani in un ristorante, ci fu la battaglia di Jenin in cui furono uccisi 50 palestinesi e 23 soldati. Avventurandosi sul campo di battaglia, dentro la cittadina, solo l'auto di qualcuno esperto ti evitava di calpestare le trappole esplosive. Anche ieri ne sono state trovate con casse di armi, proiettili, esplosivo. Jenin ieri, e Jenin oggi. Oggi il governo e l'esercito hanno deciso che ormai era inevitabile quest'intervento. Le attività di Jenin rendevano letteralmente impossibile ai cittadini israeliani viaggiare nell'area, ai ragazzini aspettare l'autobus e andare a scuola. La cittadina è la santabarbara e il campo training dei terroristi più determinati; qui già nel 1935 fu ucciso dalle forze britanniche il capo islamico padre di Hamas, il guerriero Itz a din al Qassam, da cui il nome dei missili Qassam.
  Da qui sono usciti, ultimi della fila, i terroristi che hanno compiuto 50 attacchi a fuoco negli ultimi sei mesi, e un totale di 200 attacchi nell'inizio del 2022. Dal settembre dell'anno scorso 19 terroristi hanno cercato e trovato asilo a Jenin, dall'inizio dell'anno 28 israeliani fra cui donne, bambini, civili seduti al ristorante, sono stati uccisi. L'autodifesa di Israele, in un non gradito ma indispensabile tentativo di contenere la piaga, è costata la vita a 120 palestinesi, arresti e incursioni ne sono stati la causa.
  Nel frattempo c'è stata una grande iniezione di denaro e aiuti da parte dell'Iran: i finanziamenti alla Jihad Islamica e a gruppi che si riferiscono a Fatah sono aumentati. L'impegno per il terrorismo islamico antisraeliano era limitato a Gaza e agli hezbollah: adesso le migliaia di armi che sono state sequestrate a Jenin, le dozzine di congegni esplosivi di alta qualità e anche il lancio nei giorni scorsi di un missile non da Gaza ma dal territorio dell'Ap sono un segnale dell'allargarsi della minaccia all'West Bank. Jenin è la fortezza del terrorismo, ed è ormai ben organizzata, casa per casa, nascondiglio delle armi e dell'esplosivo: esistono meccanismi di allarme che avvertono in lontananza dell'arrivo dell'esercito, all'ingresso della cittadina congegni esplosivi bloccano i nemici. La Jihad islamica è rimasta il numero uno in città, come ai tempi della Seconda Intifada, mentre il 20% dei cittadini si identifica con Hamas, ed esistono anche gruppi autonomi come la Brigata Jenin che vengono esaltati e promossi grazie a video Tik Tok in cui sparano agli insediamenti e ai soldati. La scelta di ieri ha già causato promesse di vendetta oltre che alla reazione mondiale, molto consueta, di disapprovazione, che di fatto accetta la versione palestinese di un'intrusione violenta priva di significato; ma non è affatto così. Israele tenta di fare qualcosa di significativo contro un'ondata incontenibile di violenza.
  La scelta di agire è stata presa anche dopo una consultazione dieci giorni fa, con gli Usa. E prima di entrare nella cittadina un messaggio è stato diffuso. «Stiamo per entrare per effettuare arresti: state a casa e proteggete la vostra famiglia». Durante la notte scorsa le truppe israeliane hanno sequestrato addirittura missili e chiuso gallerie sotterranee ad uso bellico. Per ora quello che si vede è che nel campo minato della politica israeliana, questa impresa è l'unica cosa su cui tutte le parti sono d'accordo. Anche Yair Lapid, il grande antagonista di Netanyahu, mentre infuriano le manifestazioni contro la riforma giudiziaria, che hanno investito anche l'aeroporto Ben Gurion (l'unica porta di Israele verso l'estero) ha dichiarato il suo accordo con l'impresa di Jenin.

(il Giornale, 4 luglio 2023)


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L’esercito israeliano è entrato a Jenin. Le ragioni di una difficile e importante operazione

di Ugo Volli

• L’operazione in corso
  La si attendeva da tempo, ora finalmente è cominciata: una grande operazione di polizia e forze militari per ripulire Jenin dalle infrastrutture del terrorismo è partita ieri e si prevede che duri per ancora un giorno o due. Davanti ai militari delle forze scelte sono entrati in città dei bulldozer per togliere dal percorso le bombe nascoste con cui i terroristi avevano provocato danni abbastanza gravi ai blindati di un’operazione più limitata di qualche giorno fa. Dall’alto l’operazione è assistita da elicotteri. L’obiettivo è eliminare depositi di armi, fabbriche di bombe, posti di coordinamento. di informazione e di arroccamento dei terroristi, di cui già diversi sono stati distrutti; ma anche neutralizzare le loro forze, che a Jenin contano parecchie centinaia di terroristi inquadrati, e soprattutto i loro capi. Si tratta di un’operazione difficile e rischiosa, che dev’essere condotta in una città di circa 40 mila abitanti dalle strade strette e tortuose, sostanzialmente priva di controllo statale. Vi sono in città numerosi poliziotti dell’Autorità Palestinese che però non rispondono se non ai capi terroristi. La popolazione sembra sostanzialmente consenziente e solidale con la lotta armata contro Israele e i terroristi si annidano nella case civili, nelle moschee e nelle scuole; ma le truppe israeliane sono impegnate ad attenersi alle leggi internazionali e fanno tutto il possibile per colpire solo i terroristi inquadrati ed armati, senza coinvolgere i civili.

• Come si è arrivati a questo punto
  Il terrorismo palestinese è in crescita continua da alcuni anni. All’inizio, tre anni fa, sembrava che ci fosse una “intifada dei coltelli”, intrapresa da “lupi solitari” con “mezzi artigianali” come le pietre, i coltelli da cucina o magari le automobili usate per investire apposta gli israeliani; poi gradualmente si è realizzato che queste operazioni non erano spontanee, ma frutto di incitamento. Dai coltelli si è passati alle bombe molotov, poi all’uso sempre più frequente delle armi da fuoco. Negli ultimi mesi, anche grazie all’effetto dell’indebolimento di Israele dovuto alle manifestazioni antigovernative e all’incitamento a rifiutare il servizio militare di riserva, sono emersi veri e propri reparti militari terroristi, bene armati anche con mitra rubati nelle basi militari israeliane e con bombe costruite su istruzioni provenienti in definitiva dall’Iran. Molti dei loro membri sono stati addestrati come “poliziotti” dall’Autorità Palestinese e magari dai suoi istruttori americani. Di recente proprio da Jenin sono stati addirittura lanciati dei razzi diretti a Gerusalemme. Questi sono caduti nei territori amministrati dall’Autorità Palestinese, ma è apparso chiarissimo il tentativo di riprodurre la dinamica delle basi terroriste che è stata sviluppata nella striscia di Gaza da Hamas, dopo il ritiro deciso da Sharon nel 2005. Non era possibile per Israele lasciar crescere un secondo bubbone terrorista e dunque si è deciso che non bastava più la tattica delle piccole operazioni di arresto notturno dei terroristi, eseguita nei mesi scorsi con grande dedizione e coraggio dalle forze speciali israeliane e che era necessaria un’operazione più vasta e radicale. Si tratta comunque di un’operazione intermedia.

• Perché Jenin
  Le basi operative della nuova ondata terroristica sono prevalentemente collocate in Samaria, per esempio a Huwara e Nablus, ma certamente l’epicentro è a Jenin, una città all’estremo nord del territorio dell’Autorità Palestinese, a una quindicina di chilometri da Afula e Beut Shean. Già durante il mandato britannico la cittadina era una roccaforte dell’estremismo; durante la guerra di Indipendenza essa ospitò i militari iracheni; poi vi fu costruito un campo profughi (che in realtà oggi è un normale quartiere di case in muratura che ospita un terzo della popolazione). Di qui partirono numerosi attacchi durante il periodo di disordini noto come “seconda intifada”: almeno 28 attentatori suicidi partirono da quel campo negli anni fra il 2000 e il 2002, con 31 attacchi che fecero più di 120 vittime. Israele fu costretto a riconquistarlo nell’aprile 2002 con una difficile campagna casa per casa, in cui furono uccisi 23 soldati israeliani e 52 terroristi. La battaglia, che durò parecchi giorni, fu anche il pretesto di una campagna internazionale di diffamazione e disinformazione, che cercò di far passere l’idea che si trattasse di una strage che aveva distrutto la città. Ora la situazione sembra in parte ripetersi ed è già cominciata una campagna di odio contro Israele.

• Ciò che è in gioco
  Come ha dichiarato il portavoce dello stato maggiore, Israele non ha assolutamente in progetto di riconquistare Jenin o di distruggere il campo da cui partono i terroristi. Israele non è interessato a governare i palestinesi, è ben contento della loro autonomia, al solo patto che essa non sia lo scudo del terrorismo. Se gli arabi che sono cittadini dell’Autorità Palestinese, e in particolare quelli di Jenin, Huwara, Nablus facessero quello che fa la popolazione di tutto il mondo, cioè lavorassero, producessero, pensassero al futuro loro e delle loro famiglie, non vi sarebbe alcun conflitto. Il problema è che ormai una quota consistente della popolazione palestinese di sesso maschile ed età giovanile si dedica non alla vita normale ma all’addestramento militare e all’attività terroristica, grazie all’incitamento continuo dei media e della scuola dell’Autorità Palestinese e ai finanziamenti e agli armamenti iraniani, spesso canalizzati da Hamas. Lo Stato di Israele vuole solo che la violenza cessi e ha il compito istituzionale di difendere i propri cittadini. Vuol farlo, per ovvie ragioni giuridiche, diplomatiche, militari ed economiche, col minimo dispendio di violenza e di vite umane. Questa è la linea seguita anche in questa operazione. Essa sarà una vittoria non in dipendenza del numero di terroristi uccisi e catturati, ma della calma che sarà raggiunta. Naturalmente l’interesse di Hamas, della Jihad islamica, di Fatah (e sullo sfondo dell’Iran) è l’opposto: la guerra, l’agitazione, l’insicurezza di Israele. Per questo dobbiamo aspettarci nuovi interventi terroristici, razzi da Gaza e dal nord di Israele, martellamento propagandistico. Ma la lucidità e la forza dell’esercito e del governo di Israele guidato da un esperto come Netanyahu sapranno prevalere su questi tentativi di rilancio.

(Shalom, 4 luglio 2023)


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Per Iran ed Hezbollah l’operazione israeliana di Jenin è una fortuna

di Seth J. Frantzman 

L’Iran ha cercato di potenziare la Jihad islamica palestinese in Cisgiordania per creare maggiori tensioni con Israele avvicinandosi a Gerusalemme e nel contempo trarne benefici nella regione attraverso le iniziative diplomatiche in vari Paesi.
  Nell’ultimo anno, ha cercato sempre più di fornire armi alle organizzazioni terroristiche in Cisgiordania e spera che il gruppo della Jihad Islamica Palestinese (PIJ) possa ritagliarsi una zona di controllo che minacci Israele.
  Le attività dei gruppi sostenuti dall’Iran, come PIJ e Hamas, sono vantaggiose per l’Iran perché danno a Teheran un modo per aumentare la sua “unità” di fronti contro Israele.
  Ciò significa che può aggiungere Jenin ad altre aree, come Gaza, il Libano meridionale e la zona di confine del Golan, dove l’Iran svolge attività e sostiene minacce.
  Nella visione a lungo termine, Teheran potrebbe credere di poter creare a Jenin condizioni simili a quelle che ha creato nel Libano meridionale e poi a Gaza negli anni ’90 e nei primi anni 2000. Per ora Teheran e Hezbollah sembrano monitorare la situazione.
  L’unificazione dei fronti, un concetto che l’Iran ha menzionato negli ultimi mesi, è un modo in cui l’Iran trae vantaggio. Ciò significa riunire le minacce di Hamas, Hezbollah, PIJ e altri in vari luoghi. Tuttavia, se i suoi tentacoli in Cisgiordania vengono ridotti, potrebbe perdere uno di questi fronti. In ogni caso, l’Iran probabilmente calcola che il beneficio valga il rischio.
  Ad esempio, l’obiettivo è quello di insediarsi tra i civili e aumentare il rischio per le operazioni israeliane. Ciò significa anche che l’Iran può far leva su questo per scopi diplomatici. L’Iran gestisce una rete diplomatica nel Golfo e spera che queste tensioni possano danneggiare i legami di Israele con il Golfo. L’Iran lo dice apertamente, e articoli recenti suggeriscono che spera di poter unire i Paesi musulmani contro Israele.

• L’Iran cerca di utilizzare nuove tattiche
  Dopo aver visto per anni droni e missili abbattuti dalle difese israeliane, l’Iran ha cercato di far utilizzare alle sue forze per procura, come la PIJ, ordigni esplosivi. La prefigurazione di ciò si è avuta a marzo con un incidente nei pressi dello svincolo di Megiddo.
  Nei propri media, l’Iran è stato un po’ circospetto sull’operazione di Jenin. L’Iran non si sta ancora vantando. Sta monitorando l’operazione israeliana e questo potrebbe far pensare che sia stato colto di sorpresa. I proxy iraniani della Jihad islamica vogliono chiaramente affermare di non essere stati colti di sorpresa e i media iraniani pro-regime come Tasnim li supportano in questo.
  L’Iran ha anche visto come la Jihad islamica sia generalmente isolata. Israele ha lanciato Shield and Arrow a maggio contro la PIJ a Gaza senza che però Hamas intervenisse. L’Iran ha spesso cercato di dettare il ritmo delle minacce a Israele senza per ora riuscirci.
  Tuttavia si può pensare anche che l’Iran intenda muoversi lentamente, come fa di solito nella regione. Ciò significa una combinazione della strategia iraniana a forma di piovra in tutta la regione, con una sorta di tentativo di circondare Israele con le sue minacce.
  L’Iran combina tutto ciò con i suoi successi diplomatici nelle relazioni con l’Arabia Saudita, con l’avvicinamento all’Egitto e al Golfo, nonché con i suoi legami strategici con la Russia e con la Cina. L’Iran si vanta apertamente di questi legami. Ecco perché deve soppesare i suoi legami diplomatici con la sua risposta a quanto sta accadendo a Jenin.
  Nel frattempo Hezbollah, libero da vincoli diplomatici, ha minacciato Israele sulla scia dell’operazione di Jenin, affermando nel notiziario iraniano Tasnim News che Israele “si pentirà” dell’operazione. L’Iran vuole sottolineare, attraverso i suoi media e altri media filo-iraniani come Al-Mayadeen, che Israele è stato condannato nella regione e che Jenin continuerà a “resistere” e a essere un “grattacapo” per Israele. Mentre i media filo-iraniani possono sottolineare le possibilità che questa operazione possa “infiammare” Gaza, l’altro contesto è che l’Iran sta monitorando.
  L’Iran ha la motivazione di creare una crisi in Cisgiordania. Cerca di portare armi e denaro per sostenere la Jihad islamica. La Guida Suprema dell’Iran ha recentemente ospitato a Teheran i leader della Jihad islamica. Il contesto, quindi, è che l’Iran conosce molto bene la situazione attuale. Cerca di far percolare lentamente la Jihad islamica per creare tensioni.
  Allo stesso tempo, vede dei vantaggi nella regione, utilizzando un gruppo per procura relativamente piccolo per creare cicli praticamente mensili di conflitto di basso livello con Israele. Poi misura questo conflitto per vedere se è vantaggioso. Il regime iraniano sostiene di trarne beneficio. Vorrebbe spostare l’attenzione di Israele più vicino alla Cisgiordania, e quindi lontano dalla regione in generale.
  In sostanza, l’Iran vorrebbe riportare indietro le lancette dell’orologio all’anno 2000, all’incirca all’epoca della Seconda Intifada, quando Israele aveva lasciato il Libano e l’Iran stava per mettere Hezbollah sotto steroidi. L’Iran ne ha approfittato per portare alla guerra del 2006 e il ritiro di Israele da Gaza ha portato al conflitto del 2008-2009 a Gaza. L’Iran ha poi cercato di mettere sotto steroidi anche Hamas con tecnologia missilistica e altro supporto.
  Ora l’Iran potrebbe pensare di avere una ricetta simile per la Cisgiordania. 

(Rights Reporter, 4 luglio 2023)

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Al via i JCC Maccabi Games a Haifa, il più grande evento sportivo giovanile ebraico al mondo

di David Fiorentini

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Più di mille atleti adolescenti ebrei da tutto il globo si riuniranno a Haifa per partecipare ai JCC Maccabi Games, il più grande evento sportivo giovanile ebraico al mondo. Un evento mirato a rafforzare il legame con le rispettive comunità e con Israele attraverso lo sport.
  La competizione annuale, mirata a rafforzare il legame tra la diaspora e Israele tramite lo sport, torna nello Stato ebraico per la prima volta in oltre un decennio e solo per la seconda volta nella sua storia quarantennale, in occasione del 75º anniversario di Israele.
  Solitamente, i giochi si svolgono in Nord America e coinvolgono principalmente delegazioni da USA, Canada e Messico, oltre a un piccolo numero di delegazioni dal resto del mondo.
  Quest’anno, invece, saranno 74 le delegazioni partecipanti, che rappresenteranno 10 paesi. Tra questi, un gruppo di ragazzi dall’Ucraina e, per la prima volta, sull’onda degli Accordi di Abramo, anche dal Marocco.
  “I JCC Maccabi Games ci uniscono attraverso la competizione, la forza di volontà e un profondo incontro con il più ampio mondo ebraico”, afferma Doron Krakow, presidente e CEO della JCC Association. “Tornare in Israele come parte della celebrazione del 75º anniversario del paese e del perpetuo compimento del sogno del movimento sionista moderno è motivo di enorme orgoglio per tutti noi.”
  Parole di grande soddisfazione, a cui fanno eco quelle del CEO di Maccabi Israele, Naor Galili, che sottolinea il grande momento per lo sport ebraico: “Maccabi Israele è orgoglioso di essere partner nelle attività internazionali della Maccabi World Union e della JCC Association. Oltre ai JCC Maccabi Games qui in Israele, che includeranno circa 300 atleti israeliani, circa 200 atleti israeliani rappresenteranno il nostro paese ai Giochi Panamericani Maccabi a Buenos Aires, in Argentina, mentre 40 atleti gareggeranno per Israele ai JCC Maccabi Games a Fort Lauderdale, in Florida, più avanti questa estate. Maccabi Israele è onorato di far parte della famiglia Maccabi globale e continueremo a partecipare a tutti gli eventi Maccabi, per il bene dell’ebraismo e per la celebrazione dello Stato di Israele nel mondo.”
  Infine, durante la Cerimonia di Apertura, come da consuetudine fin dalle prime edizioni del torneo più di quarant’anni fa, saranno onorate e ricordate le vittime del massacro di Monaco ‘72 in un commovente tributo.

(Bet Magazine Mosaico, 4 luglio 2023)

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Apre in Canada il Museo dell’Olocausto di Toronto per combattere l’antisemitismo

di Niccolò Lucarelli

Il Toronto Holocaust Museum
Inaugurato lo scorso 9 giugno 2023, il Toronto Holocaust Museum nasce per volontà della Azrieli Foudnation, che ha stanziato 12 milioni di dollari. Da parte sua, il governo canadese ha donato 2.522.558 dollari allo United Jewish Appeal of Greater Toronto per finanziare il Museo dell’Olocausto di Toronto. “Il nostro governo sta dalla parte delle comunità ebraiche in Canada e in tutto il mondo”, ha dichiarato Pablo Rodriguez, ministro del patrimonio canadese. “Ci impegniamo a sostenere i valori della diversità e dell’inclusione, nonché a combattere l’antisemitismo e la discriminazione in tutte le sue forme. Siamo orgogliosi di sostenere l’Appello Ebraico Unito del nuovo museo della Grande Toronto, che promuoverà l’educazione all’Olocausto, combatterà l’antisemitismo e contribuirà a costruire un Canada più inclusivo”.

• IL TORONTO HOLOCAUST MUSEUM
   I metodi di educazione sulla tragedia dell’Olocausto stanno cambiando e stiamo intraprendendo azioni coraggiose per affrontare le sfide del XXI Secolo, utilizzando gli strumenti che la tecnologia più avanzata ci mette a disposizione, e siamo orgogliosi di essere i principali donatori per il Toronto Holocaust Museum, offrendo ai canadesi un nuovo programma visionario”, ha dichiarato Naomi Azrieli, CEO della Azrieli Foundation. Il Museo è un’emanazione del Sarah and Chaim Neuberger Holocaust Education Centre, fondato 36 anni fa con la missione assicurare che le testimonianze e l’eredità morale dei sopravvissuti non vengano mai dimenticate. L’edificio di 1.000 metri quadrati presenta una tecnologia all’avanguardia e approcci innovativi all’educazione sull’Olocausto, e stimola i visitatori a guardare alla Shoah in maniera critica e a stabilire collegamenti fra questa, l’antisemitismo contemporaneo, gli eventi mondiali e il Canada di oggi. “Il museo è un ambiente tecnologicamente immersivo; quindi ci sono 11 postazioni video di testimonianze, in modo da poter ascoltare direttamente la voce dei sopravvissuti. Ci sono anche mappe geografiche interattive per spiegare al pubblico quanti ebrei in quanti Paesi hanno subito l’Olocausto”, ha spiegato Dara Solomon, direttrice del Museo.

• IL RITORNO DELL’ANTISEMITISMO IN CANADA
  Purtroppo molti canadesi hanno una conoscenza molto limitata della tragedia dell’Olocausto. La Azrieli Foundation, un’organizzazione senza scopo di lucro che lavora alla sensibilizzazione in materia, in collaborazione con la Conference on Jewish Material Claims Against Germany, ha commissionato nel 2018 uno studio a livello nazionale, da cui è emerso che il 22% delle persone fra i 18 e i 34 anni non avevano sentito parlare del genocidio e più della metà degli intervistati non conosceva l’entità di quanto accaduto o quanti ebrei furono uccisi. E ancora, la deputazione canadese della loggia internazionale ebraica B’nai Brith ha documentato nel 2022 un aumento del 733% degli atti di violenza contro cittadini canadesi di religione ebraica, con una media di otto casi segnalati ogni giorno. A questi atti incivili si aggiungono i commenti razzisti che appaiono sul web, compresi quelli esternati dal rapper Kanye West; parole che spingono i leader della comunità ebraica canadese a chiedere un miglioramento nell’educazione contro l’odio e la discriminazione nei confronti degli ebrei. Alla luce di questa sconfortante situazione, il museo è quindi uno strumento molto prezioso per combattere il ritorno dell’antisemitismo.

(Artribune, 4 luglio 2023)

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Israele. Ricercatori sviluppano un nuovo metodo per indurre le cellule tumorali a “suicidarsi”

I ricercatori israeliani hanno sviluppato un metodo che fa sì che le cellule tumorali producano tossine e quindi “suicidino”. E’ quanto si legge in una nota dell’Università di Tel Aviv (TAU) nel centro di Israele.
  In uno studio pubblicato sulla rivista Theranostics, i ricercatori della TAU “per la prima volta al mondo” hanno codificato una tossina prodotta dai batteri in molecole di RNA messaggero (mRNA) e hanno consegnato queste particelle direttamente alle cellule tumorali, afferma la dichiarazione.
  Di conseguenza, le cellule tumorali hanno prodotto la stessa tossina come se fossero i batteri stessi e, alla fine, la tossina autoprodotta uccide le cellule tumorali con una percentuale di successo fino al 60%.
  L’idea era di fornire molecole di mRNA sicure codificate per una tossina batterica direttamente alle cellule tumorali, a differenza dei trattamenti chemioterapici, che non sono selettivi e uccidono anche le cellule sane.
  Negli esperimenti, il team ha prima codificato le informazioni genetiche della proteina tossica prodotta dai batteri pseudomonas in molecole di mRNA.
  Queste molecole sono state quindi confezionate in nanoparticelle lipidiche e rivestite con anticorpi per garantire che le istruzioni della “ricetta” per produrre la tossina raggiungessero le cellule tumorali.
  Le particelle sono state iniettate nei tumori di topi con cancro della pelle al melanoma e, dopo un’iniezione, dal 44 al 60 percento delle cellule tumorali sono scomparse.
  I ricercatori hanno notato che il nuovo metodo può essere utilizzato con molti batteri anaerobici che secernono tossine, in particolare quelli che vivono nel terreno, e può trattare molti tipi di cancro.
  Inoltre, le cellule tumorali non possono sviluppare resistenza al metodo come spesso accade con la chemioterapia perché è sempre possibile utilizzare una tossina naturale diversa, hanno concluso.

(Agenpress, 4 luglio 2023)

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Le isole Fiji apriranno per la prima volta un’ambasciata in Israele

di David Fiorentini

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Per la prima volta nella loro storia, le isole Fiji apriranno un’ambasciata in Israele, diventando la 98ª nazione a farlo.
  La decisione del governo fijiano, che ha riscosso un ampio sostegno politico, mira a mantenere e migliorare le relazioni con Israele. Finora, come afferma il Primo Ministro Sitiveni Rabuka, Fiji ha mantenuto “relazioni amichevoli con lo Stato di Israele, attraverso la cooperazione bilaterale in materia di pace e sicurezza, nonché in settori come l’agricoltura”. Per questo motivo, sulla scia di questi ottimi presupposti, è finalmente arrivato il momento per compiere un passo così significativo.
  “Congratulazioni al governo di Fiji per l’importante decisione che rafforzerà e approfondirà le relazioni tra i due paesi”, ha esordito a JNS il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen. “Fiji ha dimostrato negli ultimi anni di essere un vero amico di Israele anche nell’arena internazionale. L’apertura dell’ambasciata di Fiji ci avvicina all’obiettivo che ci siamo posti di avere 100 ambasciate in Israele”.
  Questa notizia segue l’annuncio di Papua Nuova Guinea a febbraio della sua intenzione di aprire un’ambasciata a Gerusalemme. Il processo dovrebbe iniziare già nei prossimi mesi, a partire dall’annuncio delle nuove manovre incluse nel bilancio nazionale 2023-2024.

(Bet Magazine Mosaico, 3 luglio 2023)

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Cisgiordania, Israele conduce la più grande operazione contro il terrorismo palestinese: uccisi 7 sospetti

Jenin è uno dei fortini del terrore palestinese, per lungo tempo sfuggito al controllo delle Forze di Difesa israeliane. Con dieci attacchi aerei e oltre mille unità di terra dispiegate in tutta la città Israele ha portato a termine la più grande operazione anti-terrorismo in Palestina.

di Diego Demurtas

Le Forze di Difesa israeliane hanno portato a termine, questa notte e nelle prime ore del mattino, una maxi-operazione in cui sono stati uccisi 7 sospetti terroristi palestinesi a Jenin. L’intervento dei militari sarebbe il più grande dalla Seconda Intifada: dieci attacchi aerei e forze di terra dispiegate in tutta la città della Cisgiordania settentrionale. Il portavoce del Comando militare, Daniel Hagari, ha dichiarato di recente che le operazioni si starebbero concentrando a Jenin, ma c’è un’alta probabilità che vengano espanse alla Samaria, terra rivendicata da Israele. La regione sta subendo un’escalation di violenze da mesi, alimentate dalla morte di alcuni jiadhisti e dall’edificazione di un villaggio israeliano nel West Bank occupato.

• L’operazione
  Finora i sospetti terroristi uccisi sarebbero 7, mentre i feriti sarebbero dozzine. Un militare israeliano è stato ferito e trasportato urgentemente in ospedale. L’obiettivo delle Forze di Difesa sarebbe quello di sradicare le cellule del terrore a Jenin. Come riportato da The Jerusalem Post, Daniel Hagari aveva ipotizzato un’operazione su vasta scala e distribuita su più giorni, se non settimane. I soldati israeliani hanno trovato e confiscato un lanciarazzi e distrutto un complesso identificato come laboratorio di produzione e stoccaggio di esplosivi. L’IDF di Tel Aviv ha chiarito che le operazioni non sono rivolte contro l’Autorità Palestinese ma contro i gruppi terroristici che stanziano e operano da Jenin e dalla Cisgiordania settentrionale. Sui social sono circolate notizie circa un attacco israeliano al Freedom Theatre di Jenin. Il portavoce arabo dell’IDF, Avichay Adraee, ha smentito su Twitter la notizia pubblicando un video dove si può vedere l’edificio inquadrato dall’alto e non colpito dai militari israeliani.

• Jenin: roccaforte del terrore palestinese
  Jenin è uno dei fortini del terrore palestinese, per lungo tempo sfuggita al controllo delle Forze di Difesa israeliane. Negli ultimi mesi c’è stata una violenta escalation di scontri tra ebrei e palestinesi. Nella città troverebbero sede i gruppi di Hamas, della Jihad islamica, la Fossa dei Leoni, il Fronte popolare per la Palestina e simili. Secondo quanto dichiarato da Hagari, le operazioni dell’IDF sarebbero concentrate sull’eliminazione degli apparati terroristici che piano piano sono cresciuti a Jenin e andati fuori controllo. Sarebbero almeno 50 gli attentati partiti da gruppi con sede a Jenin. Secondo le stime delle autorità israeliane, il 25% della popolazione che risiede in città si identifica nella Jihad islamica, il 20% con Hamas. Dei 49mila residenti, 18mila stanziano nel campo profughi alla periferia della città, raggiunto da mille unità dell’IDF durante l’operazione di questa notte.

• Autorità Palestinese: “Il raid di Jenin non fermerà il terrore”
  Il portavoce dell’Autorità Palestinese, Abu Rudaineh, ha dichiarato che l’intervento israeliano non raggiungerà l’obiettivo sperato. “I gruppi non si arrenderanno e rimarranno su questa terra per affrontare l’aggressione“, sono le parole di Rudaineh riportate dai media locali. “Si tratta di un nuovo crimine contro il nostro popolo“, ha poi aggiunto il portavoce. Secondo alcune fonti di The Jerusalem Post, la Repubblica islamica dell’Iran avrebbe agenti in Cisgiordania incaricati di fornire supporto militare a diverse cellule, in particolare quelle stanziate a Jenin e Nablus.

(il Quotidiano Italiano, 3 luglio 2023)


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Israele, perché l’operazione a Jenin risolve il problema solo temporaneamente

di Avi Issacharoff

È molto improbabile che l’offensiva antiterrorismo dell’IDF a Jenin di lunedì fornisca una risposta necessaria alla recrudescenza della violenza nel nord della Cisgiordania e probabilmente agirà solo come una soluzione temporanea.
  Per ripulire l’area dalle cellule terroristiche servirebbero settimane o mesi nel migliore dei casi, ma senza che l’Autorità Palestinese intervenga per assumersi la responsabilità, tra non molto Israele potrebbe trovarsi a lanciare un’altra operazione.
  Questo è il nocciolo del problema per le forze di sicurezza, un problema che cresce di giorno in giorno. L’Autorità palestinese è assente nell’area. Non può e non vuole essere responsabile degli eventi in essa, permettendo all’Iran e ai suoi proxy di intervenire per riempire il vuoto.
  Non si tratta più del noto standard operativo iraniano che limita il suo coinvolgimento al finanziamento dei militanti locali. L’Iran ha fornito finanziamenti ai gruppi terroristici palestinesi fin dalla fondazione della Jihad islamica palestinese e poi delle organizzazioni terroristiche di Hamas. Teheran ha saputo rifornire questi gruppi di denaro e spesso ha fornito addestramento ai loro membri, al fine di sostenere gli attacchi contro Israele.
  Ma negli ultimi mesi c’è stato un cambiamento. L’Iran ha deciso di aumentare la pressione su Israele, forse in risposta alle presunte operazioni israeliane sul suolo iraniano e agli attacchi contro obiettivi iraniani in Siria.
  Teheran ha visto che solo uno sforzo concentrato per lanciare attacchi terroristici contro gli israeliani può portare a un cambiamento, al contrario degli attacchi terroristici internazionali che si traducono solo in titoli di giornale, e ha quindi optato per un’offensiva.
  Negli ultimi mesi sono stati evidenti i segni sul terreno che indicano il coinvolgimento iraniano in attacchi terroristici volti a destabilizzare la Cisgiordania. Non c’è un unico comandante in questo sforzo, a differenza di quanto accadeva in passato quando la forza Quds del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane aveva preso il comando delle operazioni palestinesi. Ora più organizzazioni iraniane si contendono il primato, fornendo fondi, ma anche armi ed esplosivi, nonché intelligence e tecnologia.
  Per lo più vengono contrabbandati attraverso il confine tra Libano e Israele, grazie a trafficanti di droga che nascondono materiale esplosivo tra i loro prodotti. A volte vengono effettuate operazioni di contrabbando più consistenti.
  Il contrabbando è avvenuto anche attraverso il confine siriano con Israele, ma le misure di sicurezza dell’IDF sono più difficili da aggirare, poiché i civili si avvicinano raramente alla frontiera e l’esercito siriano ha finora evitato di fornire assistenza a tali sforzi, probabilmente comprendendo la potenziale risposta israeliana.
  Recentemente sono stati compiuti tentativi di contrabbando attraverso il confine giordano, principalmente dove si incontrano i confini di Israele, Giordania e Siria. Un agente iraniano che non riesce a trasportare armi attraverso il Libano può tentare la sorte in Siria e, se anche questo fallisce, può tentare anche il confine giordano.
  I funzionari di sicurezza israeliani temono che i droni possano essere utilizzati per contrabbandare armi in Cisgiordania. Questo sarebbe un metodo poco costoso, ma comporterebbe solo piccole spedizioni di armi, anche se letali, a causa delle restrizioni per il peso.
  L’ordigno esplosivo fatto esplodere vicino a Meggido lo scorso marzo è stato realizzato con la piena consapevolezza del gruppo terroristico Hezbollah, sostenuto dall’Iran, in Libano e, secondo i funzionari, è stato approvato dallo stesso leader di Hezbollah Hassan Nasrallah.
  Sebbene si tratti di un apparente sviluppo degli sforzi per attaccare gli israeliani, i funzionari hanno affermato che Nasrallah non è interessato a una guerra totale con Israele. La sua idea è piuttosto che un ordigno esplosivo sul ciglio della strada in Israele non provocherebbe un’offensiva israeliana e che, se questa venisse lanciata, sarebbe limitata a un certo numero di giorni, data la sua capacità di colpire efficacemente il fronte interno di Israele con i suoi missili. Spera inoltre che, poiché la missione è stata affidata a un terrorista palestinese, Israele non sia in grado di risalire a lui.
  Perché Nasrallah ha approvato l’operazione, tanto per cominciare? La risposta è la sua probabile capitolazione alle pressioni iraniane per unirsi agli sforzi nella lotta contro Israele.
  Anche quella che è stata considerata la recente provocazione di Hezbollah, l’installazione di tende in territorio israeliano, sembra essere un fallimento. Probabilmente non si è trattato di un’operazione pianificata a Beirut, ma piuttosto di un errore di localizzazione sul terreno che sia Israele che il Libano hanno cercato di risolvere pacificamente.
  Ora, l’arena palestinese intorno a noi è diventata il terreno di gioco preferito dell’Iran. Finché l’Autorità palestinese rimarrà assente a Jenin, Nablus e simili e finché Israele eviterà di prendere il controllo di quelle aree in modo permanente, potrebbe non esserci una soluzione a lungo termine alle sfide di sicurezza in quelle zone.

(Rights Reporter, 3 luglio 2023)

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Ecco come Israele espanderà la flotta di F-35

Israele acquisterà altri aerei da combattimento F-35 dagli Stati Uniti. Gerusalemme ha già effettuato ordini per 50 jet, di cui 36 operativi. Il nuovo ordine espande la flotta del 50% e comporterà la creazione di un terzo squadrone di F-35. 

di Chiara Rossi

Gerusalemme ha dato il via libera all’acquisto di 25 caccia multiruolo F-35 dagli Stati Uniti con un accordo del valore di circa tre miliardi di dollari. Lo ha annunciato il ministero della Difesa israeliano in un comunicato, spiegando che il ministro Yoav Gallant ha approvato la raccomandazione proposta dal capo di Stato maggiore delle Forze di difesa israeliane, generale Herzi Halevi, dal direttore generale del ministero, Eyal Zamir, e dal capo dell’Aeronautica militare, Tomer Bar.
  Prodotto dalla Lockheed Martin Corp, l’F-35 è il caccia di quinta generazione Jsf che Israele ha adottato nella versione personalizzata “Adir”. Il paese è anche l’unico del Medio Oriente a farli volare. L’acquisto da 3 miliardi di dollari, che porta la flotta israeliana di jet F-35 da 50 a 75, dovrebbe essere finalizzato nei prossimi mesi, ha affermato il ministero.
  Gli ultimi tre cacciabombardieri con caratteristiche stealth F-35i “Adir” sono atterrati proprio lo scorso novembre alla base aerea di Nevatim, nel Negev. Gli aerei sono entrati a far parte dello squadrone “Golden Eagle.

(Start Magazine, 3 luglio 2023)

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La metropolitana leggera di Tel Aviv sarà inaugurata questo mese

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Dopo anni di ritardi, la prima linea della metropolitana leggera di Tel Aviv dovrebbe entrare in funzione entro la fine del mese, ha annunciato ieri il Ministero dei Trasporti.
  La linea rossa, lunga 24 km. collega la città costiera di Bat Yam, appena a sud di Tel Aviv, con Petach Tikvah, a est di Tel Aviv, ha ottenuto il via libera dopo che sono state concesse tutte le autorizzazioni di sicurezza in sospeso. Originariamente previsto per l’inizio dell’attività quasi due anni fa, il progetto da quasi 19 miliardi di NIS (5 miliardi di dollari) è stato ripetutamente ostacolato da malfunzionamenti, tra cui, in modo particolare, quello della segnaletica e della frenatura di emergenza.
  La linea comprende 33 stazioni e va da Bat Yam attraverso Jaffa, Tel Aviv, Bnei Brak e Ramat Gan fino a Petah Tikvah in entrambe le direzioni. Metà del percorso passa attraverso un tunnel sotterraneo. “Sono lieta che presto ci sarà un primo passo per risolvere la congestione di Tel Aviv, quando la linea rossa circolerà “, ha dichiarato il Ministro dei Trasporti Miri Regev in una dichiarazione scritta rilasciata dalla Repubblica di Georgia, dove si trova in visita ufficiale. “Se non ci saranno problemi particolari, presto i cittadini di Israele potranno usufruire della linea”.
  Ha aggiunto che altre due linee di metropolitana leggera sono in costruzione. L’inaugurazione della linea rossa dovrebbe includere un periodo di libera circolazione, anche se la durata del periodo è ancora in discussione. Regev è stata ripetutamente messa sotto accusa per i ritardi nell’avvio del programma di trasporto di punta della città, noto in ebraico come Dankal: la data di inizio annunciata in precedenza, poco dopo il Giorno dell’Indipendenza a fine aprile, è passata senza che la linea fosse in funzione.
  Il treno è stato sottoposto a corse di prova senza passeggeri per mesi, con le festività nazionali e musulmane di primavera che hanno aumentato i ritardi, frustrando i residenti di Tel Aviv che spesso lo guardano passare mentre erano bloccati nel traffico della città congestionata. La prima gara d’appalto per la linea ferroviaria è stata pubblicata quasi due decenni fa, mentre il Primo Ministro Golda Meir ha ventilato l’idea di una linea metropolitana per Tel Aviv mezzo secolo fa.

(Israele 360°, 3 luglio 2023)

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La nazionale israeliana U21 è nella storia: semifinalista agli europei e qualificata alle Olimpiadi di Parigi

di Luca Spizzichino

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La nazionale di calcio israeliana continua a far sognare. Dopo essersi classificata terza ai Mondiali Under 20, che si sono tenuti in Argentina, la nazionale Under 21, guidata dal commissario tecnico Guy Luzon, vuole scrivere anche lei la storia cercando di raggiungere la finale agli Europei di categoria, che si stanno giocando in Georgia e Romania.
  Per farlo dovrà battere mercoledì alle 18 la nazionale inglese, che ha battuto ai quarti di finale il Portogallo. Un risultato, quest’ultimo, che ha permesso ad Israele di qualificarsi direttamente alle Olimpiadi di Parigi nel 2024. L’ultima apparizione risale a 46 anni fa, alle Olimpiadi di Montreal del 1976.
  Israele ha raggiunto questi storici traguardi dopo aver battuto la Georgia alla lotteria dei calci di rigore, dove ad essere decisivo è stato il portiere Daniel Peretz, eletto uomo del match. Il portiere del Maccabi Tel Aviv ha neutralizzato gli attacchi georgiani nel corso dei 120 minuti regolamentari ed ha parato uno dei due rigori sbagliati dai padroni di casa.
  “È in questi momenti che bisogna mostrare fiducia, impegno e sicurezza nei propri mezzi. E noi abbiamo dimostrato di avere tutto questo, soprattutto con le nostre qualità nel primo tempo e con il carattere nel secondo tempo. – le parole a fine gara del ct Luzon – Credo che ci siamo guadagnati il diritto di essere qui e sono molto orgoglioso della mia squadra”.
  “Congratulazioni per l’incredibile vittoria!” il messaggio del presidente d’Israele Isaac Herzog, che si è complimentato per la “determinazione e la forza di volontà” dimostrata dai giovani giocatori.

(Shalom, 3 luglio 2023)


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Talenti ebrei e gol arabi, Israele brilla: è già ai Giochi

Dopo la semifinale ai Mondiali Under 20 la nazionale sotto la Stella di David tra le migliori quattro anche all’Europeo Under 21, risultato che vale la qualificazione alle Olimpiadi del prossimo anno.

di Franco Vanni

Israele è una fabbrica di giovani talenti del pallone. Se ne sta accorgendo tutto il mondo e soprattutto l’Europa, di cui lo Stato fa parte dal punto di vista calcistico, tanto nelle competizioni per club quanto in quelle fra nazionali. In meno di un mese, ha raggiunto la semifinale del Mondiale Under 20, vincendo poi la finalina per il terzo posto contro la Corea del Sud e ora è in semifinale anche all’Europeo Under 21. Dove, dopo avere eliminato la Georgia, incontrerà l’Inghilterra. E proprio grazie alla vittoria degli inglesi con il Portogallo, la nazionale sotto la Stella di David ha la certezza di partecipare alle prossime Olimpiadi, come non succedeva dal 1976, quando a Montréal arrivò ai quarti. Stesso piazzamento ottenne nel 1968, a Città del Messico.
  A far parlare in Israele è soprattutto l’Under 20, amatissima, ma oggetto della polemica dell’estrema destra, per la presenza e il ruolo dei calciatori arabo-israeliani. Una circostanza che l’allenatore Ofir Haim sottolinea invece con orgoglio, ripetendo di volere «unire questo meraviglioso Paese». Lo ha detto anche dopo avere battuto il Brasile ai quarti. Decisivi, nella storica vittoria per 3-2 in rimonta, sono stati i gol di Anan Khalaili e Hamza Shibli, che hanno festeggiato prostrandosi nel rito islamico del Ringraziamento.
  Se il calcio giovanile in Israele è arrivato a questo punto, è soprattutto grazie agli investimenti nei vivai fatti nell’ultimo decennio dai club più ricchi: Maccabi Haifa, Hapoel Be’er Sheva e Maccabi Tel Aviv. A sentire i dirigenti, il riferimento è sempre quello: «Guardiamo alla Premier League». Vale per gli stadi di proprietà come per i moderni centri di allenamento. Ma basterà a riportare la nazionale maggiore ai fasti del 1970, quando per la prima e unica volta riuscì a qualificarsi a un Mondiale? Intervistato dalla radio pubblica tedesca "Deutsche Welle”, Iddo Nevo, ricercatore in Storia dello Sport all’Università ebraica di Gerusalemme, gela gli animi: «È bello avere squadre giovanili di successo, ma il livello del calcio israeliano resta mediocre. Se più ragazzini cominceranno a giocare, gli effetti li vedremo fra 20 anni, non ora».

(la Repubblica, 3 luglio 2023)

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Il Grande Sconosciuto

Anche nel mondo cristiano, il nostro Signore Gesù Cristo è ancora il Grande Sconosciuto.

di Wilm Malgo (1922-1992)

I discepoli spesso reagivano in modo incosciente al Signore, ai suoi fini e alle sue modalità. Una volta il Signore chiese: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo!» (Giovanni 14:9). Notiamo questa incomprensione anche tra i discepoli di Gesù oggi.
  Persino Israele non ha compreso il Signore nel periodo in cui ha camminato su questa terra.

    «Poi Gesù, giunto nei dintorni di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «Chi dice la gente che sia il Figlio dell'uomo?» Essi risposero: «Alcuni dicono Giovanni il battista; altri, Elia; altri, Geremia o uno dei profeti». Ed egli disse loro: «E voi, chi dite che io sia?» Simon Pietro rispose: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Gesù, replicando, disse: «Tu sei beato, Simone, figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli» (Matteo 16: 13-17).

Detto questo, lo stesso Pietro che qualche tempo dopo, quella notte in quel fatidico episodio del rinnegamento, alla domanda se egli appartenesse a Gesù rispose: «Non conosco quell'uomo di cui parlate» (Marco 14: 71).
  Pietro conosceva il Signore, ma intimamente non lo conosceva davvero, altrimenti non avrebbe potuto rinnegarlo.
  Anche noi possiamo rinnegarLo con il nostro atteggiamento, mostrando incomprensione verso i suoi insegnamenti. Ma poiché Gesù Cristo è il Figlio diletto di Dio, è anche la rivelazione dell'amore di Dio stesso; infatti: Dio è amore. Pertanto, la conoscenza e l'amore di Cristo Gesù sono qualcosa di più importante nella vita di un credente. Paolo ha pregato a questo proposito e noi siamo in grado di comprendere «con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità dell'amore di Cristo e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio»  (Efesini 3: 18-19).
  Pochi credenti sono immersi nella pienezza di Dio, e questo avviene perché non crescono nella conoscenza dell'amore di Cristo. Il vero progresso cristiano consiste nella crescita e nella realizzazione del Suo amore. Il processo impone l'abnegazione.
  Più rinnego me stesso approvando la persona di Gesù Cristo, più realizzo con crescente stupore chi, cosa e come Lui è.

    «Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Matteo 16:24).

Il Signore ci dice: "Se vuoi essere mio discepolo, devi cedere il diritto su te stesso". Se eseguiamo questo trasferimento di diritto, non avremo più la presunzione di riuscire da soli ad avere cura, in modo prioritario, delle nostre condizioni di vita, perché se non lo facciamo, questo bloccherà il nostro rapporto con Gesù. Lui non deve essere solo abbastanza per noi, Lui deve essere tutto!
  Chiunque lo riconosca in modo sempre più profondo sarà disponubile a rinnegare Se stesso.
  Molti credenti si chiedono: "Come posso essere fedele al Signore Gesù Cristo e allo stesso tempo vivere ancora nel mondo?”.
  Colui che conosce Gesù realmente si domanda invece: "Come posso separarmi dal mondo per servirlo ancora meglio?" E' una questione di conoscenza. Chi lo conosce brucia per Lui. Chi lo conosce è dominato da una passione e si chiede continuamente: "Come posso servire meglio il mio Salvatore?" Semplicemente segue Gesù! Nessuno si illuda di poter seguire Gesù con riserve e restrizioni. A quelli che erano entusiasti di Lui, il nostro Signore disse in modo sobrio:

    «E chi non porta la sua croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo» (Luca 14:27).

Ha detto alla gente di calcolare i costi e per fare ciò ha usato l'immagine di colui che costruisce:

    «Chi di voi, infatti, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolare la spesa per vedere se ha abbastanza per poterla finire?» (Luca 14:28).

Ha anche preso come riferimento l'immagine della guerra:

    «Oppure quale re, che vuole tirare fuori a fare la guerra contro un altro re, non siede in anticipo e di comunicare se egli è in grado di diecimila incontro che rispetto con ventimila si avvicina a lui?» (Luca 14:31).

Forse il nostro Signore Gesù vuole scoraggiarci con queste argomentazioni? No! Al contrario ci vuole incoraggiare! E' la dimostrazione che Gesù Cristo ha qualcosa da dare che è ad un livello completamente diverso da quello in cui il nostro pensiero si è impigliato. È meraviglioso andare con Lui, specialmente se consideriamo l'intero prezzo dell'eredità. Il Signore Gesù è così diverso da noi. Lui è incomparabile. Egli infrange ogni scala umana. Qualcuno ha scritto una volta come titolo di un'esposizione: "Gesù, tu sei diverso":

  • Tu sei stato a pro dell'adultera - quando tutti si sono allontanati da lei.
  • Ti sei rivolto al pubblico - quando tutti erano oltraggiati da lui.
  • Hai chiamato i bambini a te - quando tutti volevano mandarli via.
  • Hai perdonato Pietro - quando ti ha rinnegato.
  • Hai elogiato la vedova - quando è stata trascurata da tutti.
  • Hai cacciato il diavolo - quando tutti gli altri erano affascinati da lui.
  • Hai chiamato Paolo nella successione - quando tutti lo temevano come persecutore.
  • Sei fuggito dalla gloria - quando tutti volevano farti re.
  • Hai amato i poveri - quando era necessaria tutta la ricchezza.
  • Hai guarito i malati - quando sono stati abbandonati dagli altri.
  • Sei stato zitto - quando ti hanno denunciato ingiustamente, deriso e frustato.
  • Sei morto sulla croce - e tutti hanno celebrato la loro Pasqua piamente.
  • Hai preso la colpa su di te - quando tutti si sono lavate le mani e hanno proclamato la loro innocenza.
  • Sei risorto dalla morte - quando tutti pensavano già che tutto fosse finito.
  • Signore Gesù, ti ringrazio di essere il mio Signore.

La verità è una persona, la Verità è Gesù Cristo! La verità è una cosa diversa da quella che solitamente intendiamo.

    «Dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni» (Atti 14:22).

Il nostro atteggiamento nei confronti delle tribolazioni è quindi cruciale. Qui dobbiamo imparare da Gesù.
  Ricordiamo i discepoli di Emmaus (Luca 24:13-35).
  Erano pieni di tristezza e scioccati dalla terribile sorte che era capitata al loro Signore. Lui era morto (Luca 24:26). Ma poi il Signore Gesù è risorto, si è unito a questi tristi discepoli e ha detto:

    «Non doveva il Cristo soffrire tutto ciò ed entrare nella sua gloria?»

Noi non riusciamo a cogliere le connessioni della tribolazione e della gloria. Ma Gesù Sì! Lui sapeva che sarebbe stato crocifisso e che solo in questo modo avrebbe riconciliato il mondo con Dio. Sapeva della Sua terribile sofferenza. Ma guardò oltre:

    «Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l'infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio» (Ebrei 12:2).

Gesù è così diverso da noi! Si è comportato in modo così diverso nella sofferenza e nella tribolazione. Proprio quando ha sofferto di più, era il momento in cui era più vicino alla sua gloria. Chi coglie questo confessa con Paolo:

    «Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? … Ma, in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati» (Romani 8:35, 37.)

Dio ci guida attraverso il “calore” dell'afflizione, in modo che la nostra fede sia temperata, rafforzata e provata, come l'oro puro nel fuoco.

    «… tu sei stato una fortezza per il povero, una fortezza per l'indifeso nella sua angoscia, un rifugio contro la tempesta, un'ombra contro l’arsura» (Isaia 25:4).

Poiché si rivela nella tribolazione, crea un santo impulso nei nostri cuori. «Essi, nell'angoscia ti hanno cercato;» (Isaia 26:16 ). Nella fornace della tribolazione, tutta l'inerzia spirituale viene bruciata. Allora non siamo così diversi da Gesù, allora diventiamo più simili a Lui.
  Sono proprio queste cose: tribolazioni, paure, preghiere apparentemente non ascoltate, a cui poi viene data una risposta che risvegliano una gioia superiore in noi. Non sono cose contro le quali dobbiamo combattere, ma per mezzo di Lui siamo più che vincitori in tutte queste cose. Non a dispetto di loro, ma per mezzo di loro. Paolo ha formulato una verità meravigliosa quando dice: «Sono pieno di consolazione, sovrabbondo di gioia in ogni nostra tribolazione.» (2 Corinzi 7:4)
  La nostra gioia incrollabile non è fondata su qualcosa di transitorio, ma sull'amore irremovibile ed eterno di Dio. Le nostre esperienze di vita, siano esse terribili o forse monotone, non hanno il potere di attaccare l'amore di Dio in Gesù Cristo, Al contrario, fanno sì che quel meraviglioso amore si riversi in noi e allo stesso tempo pianti la sua gloria in noi; perché l'amore di Dio è l'essenza di Dio stesso.
  Vogliamo ora comprendere il mistero della nostra tribolazione e volgere i nostri occhi verso un circuito meraviglioso:

    «mediante il quale abbiamo anche avuto, per la fede, l'accesso a questa grazia nella quale stiamo fermi; e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio; non solo, ma ci gloriamo anche nelle afflizioni, sapendo che l'afflizione produce pazienza, la pazienza esperienza, e l'esperienza speranza. Or la speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato» (Romani 5:2-5).

Soprattutto nella nostra tribolazione, andiamo passo dopo passo, in mezzo alla miseria dell'esistenza, «con grande costanza nelle afflizioni, nelle necessità, nelle angustie» (2 Corinzi 6:4), anche nelle delusioni, anche quando non riusciamo a comprendere il nostro Signore.
  Alla fine, ogni credente deve condividere ciò che Gesù è diventato. Lui, Dio stesso, divenne uomo. E l'essenza di questa incarnazione è stato il suo abbandono, lo svuotamento di se stesso, la sua gloria. E questo deve essere tangibile in noi quotidianamente e realmente. Cristo deve prendere forma in noi. La cosa più importante, nel nostro lungo viaggio, per il Signore è la fedeltà, cioè la devozione fedele e perseverante nell'invisibile. Possiamo mantenere intatta la nostra vita spirituale solo guardando a Gesù. I credenti hanno come destino quello di essere grandi, ma il passaggio attraverso la tribolazione spesso ci conduce "giù", e questo significa che dobbiamo combattere. Fondamentalmente, la lotta della fede è l'affermazione della vittoria di Gesù per mezzo della sofferenza. Perciò il Signore ha detto: «Con la vostra costanza salverete le vostre vite» (Luca 21: 19).
  Possa avvenire anche nella nostra vita che Gesù Cristo sia il Grande Sconosciuto, completamente diverso da noi, ma che ci insegna a diventare come Lui. Egli ci conduce attraverso la tribolazione, attraverso la sofferenza alla gloria. Come dice l'apostolo Paolo:

    «Perché la nostra momentanea, leggera afflizione ci produce un sempre più grande, smisurato peso eterno di gloria, mentre abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono; poiché le cose che si vedono sono per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne» (2 Corinzi 4:17-18).

(Chiamata di Mezzanotte, set/ott 2018)



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Due anni fa il green pass ci stravolgeva la vita e l'idea stessa di libertà

Il 1° luglio 2021, con la scusa di fermare i contagi, agli italiani è stato imposto il vaccino. E chi ha osato dire di no è stato discriminato. Un modello di controllo che le istituzioni stanno allargando ad altri settori.

di Massimo De' Manzoni

Esattamente due anni fa, 1 luglio 2021, l'Italia scivolava quasi senza accorgersi nell'incubo del green pass. La (sorprendentemente scarsa) resistenza dei cittadini era stata già adeguatamente fiaccata da una serie di provvedimenti cervellotici quanto inauditi: lockdown, coprifuoco, zone rosse, autocertificazioni, mascherine  all'aperto, didattica a distanza, stupidi divieti di ogni genere conditi da delazioni, sospetti, anche rabbia, però scaricata verso il vicino, il compagno di sventura, anziché contro le autorità. Le quali quindi, con il terreno così ben preparato, diedero l'ulteriore giro di vite, camuffandolo però da «apertura». Con l'ormai acquisita complicità di quasi tutti gli organi di informazione, un dispositivo ideato dall'Unione europea apparentemente per facilitare i viaggi fu trasformato in uno strumento di controllo in stile cinese. In pratica veniva istituito un obbligo di vaccinazione senza neppure prendersi la responsabilità di stabilirlo, se non per particolari categorie di cittadini: personale medico, forze dell'ordine, insegnanti e, in seguito, ultracinquantenni. Tutti gli altri erano teoricamente liberi di scegliere se farsi l'iniezione oppure no. In pratica, fu subito chiaro che senza il green pass (rilasciato in seguito appunto alla puntura oppure, per un certo periodo, a tamponi un giorno sì e l'altro no) la vita quotidiana sarebbe diventata un percorso a ostacoli. E presto si scoprì anche che il governo aveva in serbo stadi successivi sempre più dittatoriali.
  «Il green pass è una misura con la quale i cittadini possono continuare a svolgere attività con la garanzia di trovarsi tra persone che non sono contagiose», mentì soavemente a reti tv unificate l'allora presidente del Consiglio, Mario Draghi. «È una misura che dà serenità, non che toglie serenità: il green pass non è un arbitrio, ma una condizione per tenere aperte le attività economiche. Invito tutti gli italiani a vaccinarsi e a farlo subito. L'appello a non vaccinarsi è un appello a morire, sostanzialmente. Non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire: non ti vaccini, ti ammali, contagi, qualcuno muore».
  Un'impressionante sequela di bugie insufflate dal leggendario Comitato tecnico scientifico (senza neppure, si scoprirà poi, l'attenuante della inconsapevolezza) che furono accettate come Vangelo dalla stampa compatta, con l'unica eccezione del giornale che tenete tra le mani. Volenti o nolenti, gli italiani corsero in massa nei centri vaccinali, a firmare una sbalorditiva liberatoria in cui si facevano carico di tutte le conseguenze di un farmaco sperimentale, che il produttore stesso dichiarava essere ignote, e a farsi iniettare il suddetto farmaco anche se nel frattempo si cominciava a capire che mancava clamorosamente il primo scopo per il quale si fanno i vaccini: impedire il contagio. Ho scritto «si cominciava a capire» ma è meglio dire «intuire», empiricamente, venendo a sapere di casi specifici, perché in realtà il sistema mediatico e le virostar da esso create continuavano imperterriti a cantare le lodi del Pfizer salvatore. Certezze e cori che non si incrinarono neppure quando si scoprì che, ooops, la seconda dose non bastava. E neppure la terza, perché anche con tre ci si poteva beccare il Covid e persino ricorrere alle «inesistenti» cure alternative pur di salvarsi la pelle (vero professor Galli?). Eppure lo spartito non cambiava. Anzi: le lodi per la medicina miracolosa si facevano sempre più sperticate e il biasimo per chi osava anche solo dubitare sempre più aspro, fino a sfociare nell'insulto e nella minaccia.
  Malgrado tutto ciò, c'erano tuttavia delle sacche di resistenza. Dei cittadini che non ne volevano sapere di fare le cavie gratis per un esperimento scientifico. Per Speranza & C., per i quali le percentuali di persone vaccinate erano diventate una specie di droga, era inaccettabile: come si permettevano questi ingrati di rovinare la loro esaltante progressione? Come era possibile che dopo la cavalcata trionfale («60%, no 70, superato l'80! ») non ci si potesse più bullare in tv annunciando nuovi record: go, 100, 110% di popolazione vaccinata? Che ne penseranno gli altri Paesi della Terra, per i quali siamo «un esempio», secondo le ispirate parole di bisConte? Intollerabile. Ma, oplà, ecco il rimedio: il super green pass! Uno strumento infernale senza il quale diventava impossibile persino lavorare nella «Repubblica fondata sul lavoro» come recita la «Costituzione più bella del mondo». Era troppo persino per una parte dei mitissimi cittadini italiani e qualcuno scendeva in piazza a protestare? Niente paura: polizia in assetto anti sommossa, manganelli e idranti e vi facciamo passare la voglia. E ringraziate che non abbiamo raccolto la proposta dell'illuminato ex sindacalista Giuliano Cazzola e non abbiamo sparato sui manifestanti alla Bava Beccaris come invocava lui. E del resto, con il clima che l'informazione del terrore aveva creato non ci sarebbe stato neppure da meravigliarsi: probabilmente la carneficina dei «no vax» sarebbe stata applaudita dal 70% della popolazione. E temo sia una stima prudente.
  Seguirono vessazioni sempre più raffinate e sempre meno giustificabili dal punto di vista scientifico - in ironico contrappunto con le continue ciance «seguiamo la scienza», «ce lo dicono gli scienziati», «le evidenze scientifiche» - soprattutto alla luce di quanto stava avvenendo ovunque (Cina esclusa a causa della folle politica zero Covid): la variante Omicron, molto contagiosa ma poco letale, si stava rivelando il vero vaccino, permettendo alla popolazione di avvicinarsi a quella immunità di gregge disastrosamente mancata con i farmaci sperimentali. Alla fine persino Pechino si convinse e da un giorno all'altro fece saltare tutte le severissime misure di prevenzione a base di tracciamenti capillari e lockdown feroci, permettendo a Omicron di circolare tra il suo miliardo e mezzo di abitanti. Le nostre virostar profetizzarono subito una spaventosa ecatombe, con decine di milioni di vittime. Ancora una volta le loro previsioni si rivelarono totalmente sbagliate. Ma ancora una volta ciò non scalfi la narrazione: l'Italia si era salvata grazie alla vaccinazione di massa e il green pass era stato uno strumento indispensabile per raggiungerla. Decine e decine di nazioni con percentuali di vaccinati bassissime (anche meno del 30%) avevano avuto in proporzione meno morti di noi? Irrilevante. Gli italiani dovevano accendere un cero a San Draghi e adorare la salvifica tessera verde come una reliquia, chi non lo faceva era un «no vax» e come tale non degno di interlocuzione. Un subumano.
  Intanto in effetti il mondo guardava all'Italia. Non per i motivi di cui blaterava Roberto Speranza nel salottino compiacente di Fabio Fazio, ma con un misto di perplessità e interessata curiosità per quello che Washington Post e New York Times definirono «un esperimento sociale senza precedenti in un Paese occidentale». Se fosse riuscito, questo sì era un esempio che si poteva seguire nell'obiettivo dei governanti di tenere sotto controllo i governati. E difatti il green pass è appena diventato eterno nell'Unione europea, primo laboratorio planetario per la privazione di libertà individuali senza abdicare allo status formale di democrazia: doveva scadere ieri e invece non solo è stato prorogato ma è stata firmata un'intesa con l'Onu per estenderlo a tutto il pianeta. A quanti e quali vaccini dovremo sottoporci in futuro per avere il passaporto verde in regola e poter quindi avere il diritto di spostarci a piacimento? Lo scopriremo presto. Così come scopriremo quante altre «materie» confluiranno nel tesserino elettronico che ci trasforma da cittadini in identità digitali. Sicuramente - è stato detto in chiaro - la questione ambientale, ma si sta discutendo anche di quella fiscale, con all'orizzonte l'euro digitale. Insomma, grazie al green pass si ribaltano i concetti: tu non sei più un uomo libero fino a quando intervengono limitazioni straordinarie, ma la tua libertà è condizionata all'adempimento di una serie di doveri che di volta in volta ti verranno imposti. Nel nome del bene comune, ovviamente. Proprio come con il Covid. Esperimento riuscito perfettamente: agli italiani chi muove le leve del potere dovrebbe fare un monumento. Alla loro arrendevolezza. Con menzione speciale per i giornalisti trombettieri e i medici che in gran parte sapevano e rimasero muti. Prosit.

(La Verità, 1 luglio 2023)

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Il governo israeliano proporrà una versione più morbida della riforma della giustizia

Lo ha annunciato Netanyahu in un'intervista al Wall Street Journal, ma un compromesso con l'opposizione sembra ancora lontano.

Giovedì, in un’intervista al Wall Street Journal, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato che proporrà una versione più morbida della controversa riforma della giustizia che qualche mese fa aveva innescato manifestazioni di protesta in tutto il paese, e commenti preoccupati di varie organizzazioni internazionali per i diritti umani. In seguito alle proteste la discussione della riforma era stata interrotta e dovrebbe riprendere nelle prossime settimane, dopo la pausa estiva del parlamento israeliano.
  Netanyahu ha annunciato che la nuova versione della riforma non conterrà più la possibilità che il parlamento possa ribaltare un voto della Corte Suprema con un voto a maggioranza semplice (che in forme simili si ritrova soltanto nei paesi autoritari). Il quotidiano israeliano Haaretz l’aveva definita «il punto più controverso della riforma».
  Parlando col Wall Street Journal Netanyahu ha anche aggiunto che saranno modificati i piani per riformare la commissione che nomina i giudici della Corte Suprema, altro punto molto contestato negli ultimi mesi. Netanyahu però non ha fornito ulteriori dettagli a riguardo.
  La riforma della giustizia sottrae alcuni poteri alla Corte suprema per affidarli al governo. Per i manifestanti e le opposizioni è un pericolo per la democrazia israeliana, perché elimina importanti contrappesi al potere del governo in carica. Oltre a indebolire la Corte suprema, la riforma darebbe maggiori garanzie alla figura del primo ministro (che non rischierebbe più di essere rimosso a causa dei procedimenti giudiziari a suo carico) e affiderebbe alcuni poteri ai tribunali rabbinici (cioè i tribunali religiosi ebraici), che potrebbero gestire certi procedimenti civili.
  Ormai da mesi Netanyahu sta cercando di negoziare con l’opposizione per capire se la riforma può essere sostenuta almeno in parte anche da membri esterni alla maggioranza di governo, per garantirle maggiore legittimità politica. Finora i tentativi sono falliti, e anche l’annuncio al Wall Street Journal non sembra essere stato accolto positivamente: né dalla maggioranza né dall’opposizione.
  Diversi membri della maggioranza – compresi alcuni parlamentari del Likud, il partito di Netanyahu – hanno detto che continueranno a sostenere la riforma nella sua versione originale, mentre i partiti di opposizione si sono detti molto scettici sulla possibilità di raggiungere un compromesso.

(il Post, 1 luglio 2023)

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Israele teme i traffici di armi dall’Ucraina e vende i carri Merkava a Cipro e Marocco

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Armi anticarro di fabbricazione occidentale sono state trovate ai “confini di Israele”. Lo ha rivelato il premier Benyamin Netanyahu in una intervista al Jerusalem Post nella quale ha motivato le ragioni della politica di Israele nei confronti degli aiuti militari a Kiev.
  “Ora troviamo ai nostri confini armi occidentali anticarro” – (nella foto sotto armi anti-tank occidentali cadute in mano alle truppe russe in Ucraina) – ha detto il 23 giugno il primo ministro israeliano. “Temiamo anche che qualsiasi sistema dato all’Ucraina possa essere usato contro di noi, perché potrebbe cadere nelle mani dell’Iran ed essere usato contro di noi: quindi dobbiamo stare molto attenti. Questa non è una possibilità teorica”
  Secondo Netanyahu, Israele “si trova in una situazione particolare, diversa da, per esempio, Polonia, Germania, Francia o qualsiasi altro paese occidentale che sta aiutando l’Ucraina.
  Prima di tutto – ha spiegato – abbiamo uno stretto confine militare con la Russia. I nostri piloti stanno volando proprio accanto ai piloti russi nei cieli della Siria. E penso che sia importante mantenere la nostra libertà di azione contro i tentativi dell’Iran di posizionarsi militarmente sul nostro confine settentrionale”.
  Il premier israeliano – dopo aver detto di voler che il conflitto finisca e con esso “l’orribile perdita di vite umane” – ha poi sottolineato che Israele si può trovare “nella posizione di aiutare a porre fine a questo conflitto”. “Non sono sicuro che accadrà. Potrebbe essere del tutto ipotetico, ma – ha concluso – potrebbe accadere”.
  Le dichiarazioni del premier israeliano sono rimbalzate a Mosca dove La comparsa di armi occidentali fornite all’Ucraina Kiev vicino ai confini di Israele è stata definita una “minaccia molto, molto urgente”, dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov.
  “Abbiamo già parlato di questa minaccia e del fatto che le armi occidentali fornite all’Ucraina vengono già vendute da vari gruppi criminali in Europa e così via”, ha aggiunto Peskov, “si tratta di un processo inevitabile”. “Più tali armi vengono fornite all’Ucraina, in un luogo in cui non è possibile garantire la sicurezza, più tutto questo, ovviamente, porta maggiori minacce per la sicurezza regionale e, in un contesto più ampio, globale”, ha sottolineato Peskov.
  Il traffico gestito da ucraini delle armi fornite dall’Occidente per combattere la Russia (che Analisi Difesa aveva evidenziato per prima come grave rischio per la sicurezza internazionale fin dall’11 marzo 2022) sembra aver contribuito anche a scongiurare le ipotesi che Israele potesse vendere a un paese europeo non meglio precisato circa 300 carri Merkava 2/3 posti in riserva da Tsahal e che avrebbero potuto, secondo indiscrezioni, finire a Kiev.
  Invece la prima esportazione di carri armati israeliani sembra riguardare Cipro e Marocco che con i Merkava rimpiazzeranno tank di diverso tipo ceduti all’Ucraina.
  Israele sarebbe infatti in trattative per vendere i Merkava 2/3 a Cipro dove sostituiranno i 41 carri armati T-80U consegnati all’esercito ucraino e al Marocco (si parla di 200 esemplari) per sostituire i carri armati T-72B acquistati a suo tempo in Bielorussia e che  nei mesi scorsi sono stati in parte ammodernati in Repubblica Ceca prima di venire inviati all’Ucraina.
  Una fornitura controversa e contestata dal Marocco che ha reso noto di non aver autorizzato la cessione all’Ucraina di 14  T-72 acquistati presso la società ceca Excalibur da Stati Uniti e Olanda mentre si trovavano in Repubblica Ceca per revisione e manutenzione. Nel gennaio scorso diverse fonti riportarono che l’intera flotta di 90/120 carri T-72 marocchini sarebbero stati ceduti a Kiev dopo la revisione.
  La notizia è stata resa nota da alcuni media che avevano evidenziato le crescenti forniture militari israeliane a Rabat  che includono missili antiaerei e munizioni circuitanti: i Merkava verrebbero ceduti con l’impegno a non rivenderli né donarli ad altre nazioni.
  Anche in seguito al riacutizzarsi della crisi con l’Algeria, il Marocco sta potenziando e ammodernando le sue forze armate: l’ultima acquisizione, in Francia, riguarda i veicoli 4×4 Sherpa equipaggiati con il sistema di difesa aerea a corto raggio Atlas RC basato sul missile MBDA Mistral 3 (nella foto sopra).
  Il capo della direzione per la cooperazione internazionale presso il ministero della Difesa israeliano, Yair Kulas, ha dichiarato ieri che Israele è in trattativa per vendere i carri armati Merkava usati a due paesi, uno dei quali europeo. Il responsabile israeliano ha spiegato che “molti paesi europei stanno cercando di rinnovare rapidamente i mezzi dopo aver donato miliardi di dollari in armi all’Ucraina. Ci sono due possibili paesi con i quali stiamo conducendo trattative avanzate per la vendita di carri armati Mervaka. Mi è proibito nominarli, ma uno di questi è nel continente europeo”, ha affermato Kulas.
  In maggio il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha visitato Cipro incontrando il suo omologo Michalis Giorgallas.

(Analisi Difesa, 1 luglio 2023)

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Ucraina, Russia, Usa e Cina: per Netanyahu la priorità è la sicurezza d’Israele

Un tema che da qualche tempo interroga Kiev e una parte della politica israeliana riguarda i timori da parte dello Stato ebraico nel fornire sistemi d’arma all’Ucraina. Inoltre, Israele deve ponderare le sue decisioni verso Mosca anche per la gestione delle operazioni militari in Siria.

di Lorenzo Vita

Sul fronte geopolitico, quella del primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, è una complessa partita a scacchi. Le ultime dichiarazioni rilasciate al quotidiano Wall Street Journal confermano i timori da parte dello Stato ebraico nel fornire sistemi d’arma all’Ucraina. Un tema che da qualche tempo interroga Kiev e una parte della politica israeliana, ma che Netanyahu ha motivato con ragioni strategiche. La prima riguarda la paura che le tecnologie usate sul campo di battaglia possano finire nelle mani dell’Iran tramite i russi. Preoccuperebbe in particolare l’eventuale trasferimento del sistema Iron Dome, la “cupola di ferro” che protegge gli israeliani dagli attacchi missilistici, e che per Netanyahu è essenziale che gli iraniani non lo ottengano né per loro né per i propri “proxies”. Pochi giorni prima, lo stesso premier aveva rilasciato un’altra intervista in cui aveva affermato che delle armi anticarro occidentali erano state ritrovate ai confini di Israele. E anche in quel caso, Netanyahu aveva sottolineato le medesime preoccupazioni sulle armi occidentali date a Kiev. Un timore che si unisce anche un altro elemento che contraddistingue la politica estera israeliana.
  Al netto di una nota partnership con la Russia (ma lo stesso vale per quanto riguarda i rapporti con l’Ucraina), Israele deve ponderare le sue decisioni verso Mosca anche per la gestione delle operazioni militari in Siria. Lo Stato ebraico da molto tempo colpisce in territorio siriano per distruggere postazioni di Hezbollah o legate ai Pasdaran iraniani. E tutto questo, data la presenza militare russa a Hmeimim e non solo, non può avvenire senza una sorta di placet del Cremlino. Le esigenze di sicurezza restano quindi una priorità dell’agenda Netanyahu anche su un tema così delicato come la guerra in Ucraina. E sono elementi che provocano anche dei malintesi, tanto con Kiev quanto con Washington. L’ambasciatore ucraino in Israele, Yevgen Korniychuk, è stato convocato per un incontro al ministero degli Esteri israeliano dopo le critiche rivolte nei confronti della politica del governo, considerata troppo tiepida con la Russia. Allo stesso tempo, va però sottolineato che nei giorni scorsi il sito israeliano Ynet aveva dato notizia dell’arrivo a Gerusalemme del vicecapo di Stato maggiore di Kiev, Yevhen Heorhiyovych Moisiuk, per discutere della fornitura di sistemi di allerta per gli attacchi. E lo stesso Netanyahu, secondo Korniychuk, avrebbe pensato a un viaggio in Ucraina per incontrare il presidente Volodymyr Zelensky.
  Sul fronte di Washington, invece, se il dossier Russia incide inevitabilmente nei rapporti, altri temi hanno in questi mesi raffreddato l’alleanza – mai messa in discussione – tra i due Paesi. Dall’entourage di Netanyahu, da tempo si sottolinea una certa perplessità riguardo il fatto che il presidente degli Stati Uniti non abbia ancora invitato il premier del Likud alla Casa Bianca dopo la rielezione. Al contrario, il presidente israeliano Isaac Herzog sarà negli Usa il 19 luglio. Una questione che molti osservatori hanno collegato con una diffidenza da parte della presidenza Usa, da tempo preoccupata della riforma della giustizia ma anche delle politiche israeliane nella regione. A questo si aggiunge il nodo iraniano.
  Le amministrazioni dem per Netanyahu rappresentano il timore che possa essere ristabilito un accordo sul nucleare iraniano che il premier, fortemente critico, crede che non debba essere riesumato. I media avevano parlato della possibilità di un “accordo” tra Washington e Teheran, anche se non reso pubblico, e che gli Usa hanno poi smentito. È chiaro però che i dubbi irrigidiscano la posizione di Israele. A conferma di questa fase difficile dei rapporti, vi sarebbe poi, secondo alcuni analisti, la decisione del premier israeliano di recarsi in Cina. La conferma del viaggio alla corte di Xi Jinping sembra essere un messaggio anche nei confronti di Biden, che da tempo guarda con sospetto le mosse di Pechino in Medio Oriente.

(il Riformista, 1 luglio 2023)

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Il Mossad svela operazione anti-terrorismo a Cipro

In un video la confessione del killer iraniano che doveva colpire un uomo d’affari

di Alessandro Cavaglià

Nuovo clamoroso capitolo della guerra segreta sotterranea che da decenni vede impegnati Israele e Iran in tutto il Medio Oriente e oltre. Il Mossad ha rivelato i dettagli di una operazione di sicurezza con la quale agenti dell’Agenzia hanno rintracciato e interrogato in Iran un killer legato ai pasdaran, che intendeva colpire obiettivi israeliani a Cipro. Con una particolare operazione trasparenza, il servizio di Gerusalemme ha reso pubblico il filmato della confessione del terrorista Yousef Shahbazi Abbasalilo. Al momento non si conosce la sorte dell’uomo dopo l’interrogatorio. Gli 007 israeliani hanno svolto un lavoro di grande successo, penetrando in profondità l’apparato di sicurezza del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (IRGC).

• OMBRA
  Il giornalista Yaakov Katz, autore del libro “Israel vs. Iran: The Shadow War”, ha detto alla BBC: “Quando un’operazione come questa diventa pubblica è inevitabile da un lato il grande imbarazzo per Teheran e dall’altro lato appare in tutta evidenza la forza dell’Agenzia di intelligence israeliana”. La scoperta del complotto iraniano aveva portato la scorsa settimana a una serie di arresti a Cipro. La polizia cipriota ha annunciato di aver identificato una squadra terroristica a Limassol. Il nucleo di fiancheggiatori di Abbasalilo, rientrato in gran fretta in Iran dopo il fallimento della missione, era composto da pakistani ed elementi locali. In una nota diffusa dall’Ufficio del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, si afferma che “il Mossad continuerà ad agire con determinazione per prevenire attacchi contro ebrei e israeliani in tutto il mondo. Lo Stato d’Israele opera utilizzando un’ampia varietà di metodi e in ogni luogo per proteggere ebrei e israeliani e continuerà ad agire per distruggere il terrorismo iraniano ovunque alzi la testa, anche sul suolo iraniano”.

• OBIETTIVI
  Un alto funzionario dell’Agenzia ha commentato: “Raggiungeremo chiunque pianifichi attacchi terroristici contro gli ebrei, ovunque si trovino”. Nell’interrogatorio a cui è stato sottoposto da parte di agenti israeliani, Abbasalilo ha fornito dettagli sull’attacco pianificato contro un uomo d’affari israeliano. Secondo la rete televisiva israeliana Channel 12 tra gli obiettivi a Cipro c’erano anche una Chabad House, centro di diffusione dell’ebraismo ortodosso Chabad-Lubavitch, oltre a hotel e luoghi di intrattenimento frequentati da turisti israeliani. L’iraniano ha anche rivelato il ruolo di ufficiali pasdaran dietro il complotto, i metodi operativi, le armi e i mezzi di comunicazione utilizzati. Secondo fonti israeliane dietro il complotto ci sarebbe il dipartimento di intelligence estera dell’IRGC. Negli ultimi due anni gli 007 di Gerusalemme hanno sventato numerosi attacchi terroristici contro israeliani a Cipro, in Turchia, in Georgia e in Grecia. Si tratta di operazioni coperte dal massimo riserbo, ma proprio l’efficienza e l’efficacia del Mossad nella lotta al terrorismo di marca iraniana avrebbe portato lo scorso anno alla sostituzione del capo dell’intelligence dell’IRGC.

(in20righe, 30 giugno 2023)

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Europei Under 21: Israele vola ai quarti di finale

di Jacqueline Sermoneta

FOTO
Vittoria a sorpresa per la nazionale israeliana agli Europei Under 21. I ragazzi del ct Guy Luzon hanno battuto mercoledì scorso la Repubblica Ceca 1-0, qualificandosi ai quarti di finale.
  Omri Gandelman ha segnato all'82’ minuto su assist di Oscar Gloukh, assicurando così alla squadra il secondo posto nella classifica finale del Gruppo C, che vede l'Inghilterra in testa dopo aver sconfitto la Germania 2-0.
  Il risultato porta dunque gli israeliani alla fase a eliminazione diretta, dove affronteranno la Georgia.
  "Una nuova grande sorpresa negli Europei Under 21. - scrive il quotidiano spagnolo Marca - Israele è passato ai quarti di finale dopo una fantastica partita. Gandelman ha realizzato il sogno con un gol vincente".
  La UEFA ha nominato Oscar Gloukh "Player of the match", il migliore in campo nell'importante vittoria contro i cechi grazie alla sua "capacità tecnica, supervisione e creatività. Le azioni più significative sono partite da lui. Anche quando era difficile superare la difesa avversaria, ha continuato a provarci fino all’assist della vittoria".
  Come riporta Ynet, anche i media cechi hanno elogiato la squadra israeliana: "Israele è stato più attivo e determinato fin dall'inizio della partita. L'esperienza e la fortuna hanno deciso gli ultimi minuti del match".
  Gli israeliani affronteranno i padroni di casa a Tbilisi il 1° luglio alle ore 18. Una partita importante che permetterà alla squadra vincitrice di accedere alla semifinale e di staccare il pass per le Olimpiadi di Parigi 2024.

(Shalom, 30 giugno 2023)

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La TV israeliana trasmette per la prima volta nei Paesi arabi

Due serie israeliane del canale "Kan" saranno presto trasmesse nei Paesi arabi. È la prima volta che i diritti televisivi vengono venduti al mondo arabo.

GERUSALEMME - Per la prima volta delle produzioni televisive israeliane sono state vendute per essere trasmesse nei Paesi arabi. Lo ha annunciato martedì il canale televisivo israeliano "Kan".
  I diritti della serie di documentari "Cassandra's Prophecy" sono stati acquistati dall'emittente saudita "MBC". Presto gli spettatori interessati potranno vedere la serie in Medio Oriente e Nord Africa.
  La serie è un documentario su una rete dell'organizzazione terroristica libanese Hezbollah e dell'Iran, che ricicla denaro e contrabbanda droga. Le autorità israeliane, compreso il servizio di intelligence straniero Mossad, stanno cercando di fermare la rete.
  La serie è una coproduzione israelo-tedesca-canadese. Non sorprende quindi che venga presto trasmessa dalla ZDF tedesca e dalla CBC canadese, oltre che dal canale francese "Arte".
  Kan" ha venduto i diritti della serie drammatica "Special" anche al canale turco "Kanal D". Per la prima volta gli spettatori turchi potranno vedere in televisione una serie drammatica originale israeliana. "Special" tratta dei bisogni speciali dei giovani affetti da autismo. La serie potrà essere vista in Turchia in prima serata a partire dal 4 luglio.
  Il responsabile del programma educativo di "Kan", Omer Manor, è soddisfatto della vendita dei diritti televisivi al mondo arabo: "Siamo orgogliosi di rendere il programma disponibile ai giovani spettatori in più parti del mondo".

(Israelnetz, 30 giugno 2023)

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Daniel Ellsberg, l'Impero americano e la guerra ucraina

Daniel Ellsberg,
Edward Snowden
Julian Assange
Il 16 giugno è morto Daniel Ellsberg, ormai ignoto ai più, ma entrato alla storia per aver passato ai media americani documenti segreti sulla guerra del Vietnam, che nel 1971 rivelarono al mondo le menzogne profuse da Washington sul conflitto, aprendo la via alla sua risoluzione.
  I documenti segreti, infatti, iniziarono a essere pubblicati sul New York Times e poi sul Washington Post, nonostante le immani pressioni per metterli a tacere. Lo stesso Ellsberg ebbe a subire pressioni fortissime; contro il lui l’amministrazione Nixon arrivò a brandire l’Espionage Act, ma a salvarlo arrivò il Watergate che precipitò Nixon nell’inferno della storia (l’unico presidente Usa a pagare per i suoi errori, peraltro meno gravi di tanti suoi omologhi).
  Alla sua morte, i media Usa lo hanno celebrato come un eroe americano. Il paradosso è che gli stessi giornali trattano come traditori Julian Assange, Edward Sowden e di altri che hanno ripercorso le orme di Ellsberg, rivelando al mondo le menzogne propalate dagli gli Stati Uniti nelle più recenti avventure imperialiste.
  Peraltro, lo stesso Ellsberg aveva speso parole di elogio per Assange e Snowden, ma non c’è traccia di tutto ciò nei suoi necrologi. Ne scrive Ryan McMaker su  Consortium News il 28 giugno: “Sostenere gli Ellsberg dei giorni nostri – come anche Assange, Snowden, Reality Winner, Chelsea Manning e Jack Texeira – richiede un certo grado di pensiero indipendente, scetticismo e disprezzo per i regimi. Questo è il motivo per cui così pochi giornalisti nei media importanti supportano questi leaker moderni. Farlo potrebbe mettere in pericolo le posizioni dei giornalisti presso gli organi di potere all’interno dei media mainstream. Inoltre, la maggior parte dei giornalisti dei media importanti è dalla parte del regime. Non hanno alcun interesse a minarlo”.

• Ellsberg e la manipolazione dell’opinione pubblica
  Riportiamo alcune considerazioni di Ellsberg tratte dal libro War Made Invisible: How America Hides the Human Toll of its Military Machine di Norman Solomon, riportate su The Intercept.
  Guardando a ritroso, al modo con cui gli americani si sono relazionati alle vittime di guerra, Ellsberg non era ottimista, infatti diceva: “È doveroso rilevare […] che l’opinione pubblica non mostra nessuna reale preoccupazione per il numero di persone che uccidiamo in queste guerre. Al massimo ci si preoccupa delle vittime americane, soprattutto se sono troppe”.
  “Sopporterà, in modo quasi sorprendente, anche un livello molto alto di vittime americane, soprattutto se le cose stanno andando bene e se il presidente può rivendicare un successo […]. Ma sulle persone che vengono uccise nelle nostre guerre, i media non si fanno nessuna domanda, né l’opinione pubblica chiede qualcosa su di loro ai media, e quando qualcosa viene rivelato, in un modo o nell’altro, in maniera occasionale, nulla cambia”.
  Ciò che viene nascosto agli americani “è che sono cittadini di un impero, sono al centro di un impero che si sente in diritto di decidere chi governa altri paesi, e se tali governi non sono graditi a causa delle loro interazioni con gli interessi corporativi [degli Stati Uniti] o perché rifiutano di concederci basi” militari o altro, “ci sentiamo assolutamente nel giusto e siamo capaci di rimuoverli attraverso i regime-change”.
  “Praticamente ogni presidente ci dice, o ci rassicura, che siamo un popolo che ama davvero la pace, particolarmente cauto prima di iniziare una guerra, anzi riluttante, forse addirittura troppo in certi casi, ma più che determinato una volta che siamo intervenuti, e che ci vuole tanto per farci accettare l’idea di andare in guerra, che questo non è il nostro status normale. Ciò ovviamente stride con il fatto che siamo stati in guerra quasi sempre…”
  “Che ci sia un inganno, che l’opinione pubblica sia evidentemente fuorviata, fin dall’inizio del gioco, nell’approccio alla guerra, così che sia convinta ad accettare e poi a sostenere una guerra, è la realtà. Quanto peso hanno i media nell’ingannare l’opinione pubblica e quanto è difficile ingannarla? Da ex insider direi che non è poi così difficile ingannarla”.

• Ellsberg e l’Ucraina
  Così chiudiamo con la lezione di Ellsberg sulla guerra ucraina: “Non l’hanno provocata né gli Stati Uniti né la Russia da sole: ci sono persone nel mondo che vogliono la Guerra fredda, che trovano che sia meglio governare il mondo avendo antagonisti come Cina o Russia, così da poterci convincere del perché dobbiamo fare tutto ciò essi che vogliono”.
  E ancora: “Zelensky e Putin avevano essenzialmente fatto un accordo, erano molto vicini a un accordo, che prevedeva il ritorno allo status quo prebellico in Crimea e nel Donbass, si erano accordati anche in relazione alla NATO e a tutto il resto, ma gli Stati Uniti e gli inglesi, nel caso specifico Boris Johnson, sono andati [da Zelensky] e gli hanno detto: ‘Non siamo pronti per questo. Vogliamo che la guerra continui. Non accetteremo la trattativa’”.
  “Direi che è stato un crimine contro l’umanità. E, in tutta serietà, dico che l’idea che era necessario che delle persone di entrambe le parti venissero uccise allo scopo di ‘indebolire i russi’ [sul punto cita esplicitamente il Segretario alla Difesa Lloyd Austin] non a beneficio degli ucraini, ma per una strategia geopolitica complessiva, era [e resta ndr] malvagia ”.
  Questo j’accuse di Ellsberg contro quanti stanno alimentando la guerra ucraina ovviamente non è stato riportato dai media mainstream quando lo hanno celebrato post mortem. E, sempre per restare a quanto ha detto l’ex insider sulle interessate amnesie dei media e sul disinteresse riguardo le vittime altrui, val la pena annotare che il numero delle vittime che l’esercito ucraino registra al fronte è uno dei segreti meglio custoditi di questo conflitto.
  L’ecatombe che si sta consumando in assalti senza scopo e senza esito , al solo scopo di proseguire questa guerra per procura contro la Russia, sarebbe uno shock terribile per l’opinione pubblica occidentale. Potrebbe suscitare domande scomode sulla necessità di procrastinare i negoziati e sull’asserita eroicità della leadership ucraina. Da cui l’inconfessabile segreto.

(piccole note, 30 giugno 2023)

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Operazione del Mossad in Iran: catturato il terrorista di Cipro

Con una operazione in territorio iraniano il Mossad è andato a prendere "sul posto" il terrorista incaricato di compiere attentati contro cittadini israeliani a Cipro.

L’agenzia di spionaggio israeliana Mossad ha annunciato giovedì di aver catturato, nel corso di un’operazione speciale in territorio iraniano, il terrorista iraniano inviato a guidare un progetto di attacco terroristico contro obiettivi israeliani a Cipro.
  Il Mossad ha indicato l’uomo come Yousef Shahbazi Abbasalilo e ha pubblicato un video del suo interrogatorio da parte dei suoi agenti, in cui ha confessato il complotto e ha fornito dettagli su di esso.
  L’agenzia ha dichiarato che Abbasalilo ha ricevuto le armi per l’attacco da alti funzionari del Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche (IRGC) e le istruzioni per la sua attuazione. L’agenzia di spionaggio ha dichiarato che il piano prevedeva di colpire uomini d’affari israeliani nella piccola nazione insulare.
  Durante l’interrogatorio, Abbasalilo ha raccontato di aver seguito un obiettivo e di aver aspettato l’occasione per ucciderlo, ma ha detto che alla fine la polizia ha scoperto il complotto ed è stato costretto a fuggire in Iran.
  Le informazioni ottenute da Abbasalilo hanno portato allo smantellamento del resto della cellula terroristica da parte delle forze di sicurezza cipriote, ha dichiarato il Mossad. Tra i terroristi c’erano iraniani, pakistani e locali.
  Abbasalilo ha indicato il suo referente come Hassan Shoushtari Zadeh, una figura nota e di alto livello nel Foreign Intelligence Branch delle IRGC.
  Nel video, Abbasalilo ha detto che Shoushtari Zadeh ha discusso con lui di ciò che aveva intenzione di fare a Cipro. Gli ha detto: “Devi entrare a Cipro Nord, dove abbiamo alcune persone che possono mandarti da lì a Cipro Sud”.
  Poi continua: “Mi ha detto lui stesso: ‘Mi fido dei [pakistani] e del loro gruppo, hanno svolto un’attività molto importante per me'”.
  “Ho risposto: ‘Se è possibile, porterò a termine questa missione immediatamente’. Lui mi ha risposto: ‘Aspetta, non è ancora possibile, perché ci sono poliziotti che ti stanno cercando'”.
  Abbasalilo ha detto di aver seppellito l’arma ricevuta sotto un cespuglio e alla fine “ho ricevuto il mio obiettivo tramite un’interfaccia WhatsApp che ho ricevuto dall’organizzazione di intelligence IRGC”.
  “Ho ricevuto una foto dal signor Shoushtari e il percorso GPS per raggiungere la casa dove vive”.
  Abbasalilo ha quindi iniziato a seguire il suo obiettivo da lontano, scattando fotografie e preparandosi per l’assassinio.
  Il piano era di uccidere l’obiettivo alla prima occasione possibile lungo la strada nel caso in quel momento non ci fosse stato nessuno.
  Ma i suoi responsabili hanno scoperto che la polizia lo stava cercando e gli hanno ordinato di nascondere l’arma, sbarazzarsi di tutto l’equipaggiamento e tornare in Iran.
  Non è stato chiarito cosa ne sia stato di Abbasalilo dopo l’interrogatorio.
  Negli ultimi anni sono stati sventati diversi tentativi iraniani di uccidere israeliani a Cipro, in Turchia, Georgia e Grecia. Ci è stato riferito che altri attentati sono stati sventati senza che la questione arrivasse ai media.
  Nella sua dichiarazione, il Mossad ha affermato che “continuerà ad agire con decisione per prevenire danni agli ebrei e agli israeliani in tutto il mondo”.
  Lunedì, Channel 12 ha riferito che gli obiettivi del complotto cipriota includevano un imprenditore immobiliare israeliano e una casa Chabad, oltre ad alberghi e luoghi di intrattenimento frequentati da turisti israeliani. Questa informazione non è stata confermata dal Mossad.
  L’agenzia ha anche affermato che nei giorni scorsi i servizi segreti greci hanno arrestato sette cittadini pakistani che erano stati reclutati dall’Iran per compiere attentati nel Paese. Non è stato chiarito se anche loro fossero legati al complotto di Cipro.
  Il rapporto ha sottolineato la stretta collaborazione tra il Mossad e i servizi di intelligence di Grecia, Cipro e Stati Uniti.
  Il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche dell’Iran è una branca dell’esercito iraniano considerata un’organizzazione terroristica da diversi Paesi, tra cui gli Stati Uniti.
  I media ciprioti hanno affermato che i presunti attentatori dello sventato complotto stavano usando la parte settentrionale dell’isola occupata dalla Turchia come punto di sosta per il potenziale attacco e che i servizi segreti ciprioti avevano seguito da vicino la cellula per diversi mesi.
  L’Ufficio del Primo Ministro israeliano ha rilasciato una dichiarazione stampa domenica in cui si legge che: “Lo Stato di Israele opera utilizzando un’ampia varietà di metodi in ogni luogo per proteggere gli ebrei e gli israeliani, e continuerà ad agire per distruggere il terrorismo iraniano ovunque alzi la testa, anche in territorio iraniano”.
  Il Consiglio di sicurezza nazionale israeliano ha avvertito all’inizio di quest’anno che Cipro e la Grecia sono Paesi in cui l’Iran potrebbe prendere di mira ebrei e israeliani. I Paesi sono destinazioni popolari per i turisti israeliani, oltre ad avere comunità di espatriati relativamente consistenti.
  A marzo, la polizia greca ha arrestato due cittadini pakistani che avrebbero pianificato attacchi terroristici di massa per conto dell’Iran contro obiettivi israeliani ed ebraici in Grecia. Il Mossad, che ha aiutato le indagini greche, ha dichiarato in un comunicato che i due facevano parte di una rete terroristica iraniana.
  Un funzionario del governo greco ha dichiarato che uno degli obiettivi era un ristorante kosher nel centro di Atene, che fa parte di una Chabad House della capitale. Altri rapporti indicavano che l’obiettivo era la stessa Casa Chabad.
  Nell’ottobre 2021, Israele ha reso noto che un complotto iraniano contro uomini d’affari israeliani a Cipro era stato sventato. Secondo quanto riportato, il sicario era di origine azera ed era arrivato a Cipro con un volo dalla Russia, utilizzando un passaporto russo. Cipro ha accusato sei persone del complotto, tra cui il principale sospettato e tre cittadini pakistani.
  A novembre, i funzionari di sicurezza georgiani hanno sventato il tentativo di un cittadino pakistano di uccidere un israeliano in Georgia su ordine di un agente iraniano.
  La scorsa estate, le forze turche hanno sventato un tentativo di uccidere israeliani a Istanbul da parte di agenti iraniani, arrestando tre uomini. Un mese prima, il Mossad e le sue controparti locali avevano sventato tre attacchi iraniani contro civili israeliani a Istanbul. L’Iran ha negato le accuse.
  Iran e Israele sono impegnati in una guerra ombra che dura da decenni in tutto il Medio Oriente e oltre.

(Rights Reporter, 30 giugno 2023)

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I cloud informatici al padiglione israeliano alla 18° Biennale di architettura

di Aldo Premoli

La porta serrata del Padiglione Israeliano
Molto politically correct la 18° Biennale Architettura di Venezia, che allinea centinaia di progetti per lo più collegati da un’impostazione postcolonialista che la curatrice Lesley Lokko ha dettato con piglio inflessibile. Ai Giardini i padiglioni nazionali conservano, tuttavia, una loro autonomia espositiva che non contrasta ma nemmeno necessariamente risulta così allineata a questo indirizzo.
   Tra questi, quello di Israele presenta un’esposizione non facile ma di grande attualità. Il padiglione in realtà è inaccessibile: disegnato nel 1952 dall’architetto Ze’ev Rechter con ampie vetrate sul fronte, è ora sigillato.
Modello in cemento vuoto della centrale telefonica di Afula, 2023
All’esterno concede solo un titolo (Cloud-to-ground, il termine scientifico che indica un fulmine che colpisce la terra), un pannello esplicativo, un secondo pannello contenete le didascalie dei cinque piccoli “plastici” sistemati nello spazio antistante un finto ingresso. Le cinque sculture di cemento riproducono alcuni edifici costruiti un tempo su territorio israeliano per ospitare centrali telefoniche cittadine, ma ora vuoti e destinati alla demolizione. Ognuna di loro emette un suono che rende manifesto lo spazio negativo occupato da queste costruzioni ormai inutili.
  Anche l’ingresso serrato sostiene un’opera: si tratta del disegno di un data center costruito in Israele per servire sia Google che Amazon. Un cloud denominato un poco minacciosamente Nimbus (′nuvola temporalesca′), che nasce in competizione con sforzi simili fatti dai nemici di sempre, in Egitto e Arabia Saudita.
A Passageway Genealogy, fotoincisione, 2023
E proprio questo è il senso di questa proposta espositiva che indaga la natura dei cloud, l’hardware della quarta rivoluzione industriale. Il progresso tecnologico in questo caso nei suoi aspetti fisici riflette anche lo spostamento dei poteri. Perché è il possesso di infrastrutture all’avanguardia il nuovo strumento di ogni sovranità. Un paese senza infrastrutture adeguate è destinato a soccombere: e questo dovrebbe far riflettere tutti, israeliani o non.
  Mentre ci affidiamo sempre di più a strutture informatiche, il volume dei data center si sta espandendo: si tratta di una crescita esponenziale anche fisicamente impattante sull’ambiente che contraddice l’eufemismo evocato dal vocabolo soffice di "nuvola".
;C’è un ultimo elemento posto esterno al cubo serrato proposto in questa mostra. Si tratta di una fotoincisione che sovrappone varie rotte per sottolineare lo stato di costante ri-colonizzazione da parte delle forze commerciali globali, ottenuto tramite il possesso di infrastrutture invece che con la conquista territoriale degli spazi del pianeta.
Oren Eldar e Edith Kofsky, Laying of the Blue-Raman Cable, 2023
Da quando è stato fondato nel 1948 lo Stato di Israele è un’isola in fragile equilibrio tra stati nemici. Equilibrio che potrebbe essere nuovamente scosso non dall’avanzata di carri armati, ma dal Blue-Raman, un cavo di fibra ottica con cui Google sta attraversando il deserto progettato per aggirare l′Egitto lungo il percorso che dall′India all′Europa fa rivivere antiche rotte commerciali.
  Se è vero che le principali rotte commerciali sono rimaste quasi invariate nel corso dei secoli, quello che è cambiato sono i governanti che le hanno usate, la tecnologia nel cui nome sono state lastricate e le tracce che hanno lasciato o lasceranno.

(L'HuffPost, 30 giugno 2023)

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Apre a Berlino il più grande centro ebraico della Germania dalla fine della seconda guerra mondiale

di Michael Soncin

Il 25 giugno 2023 a Berlino è stato inaugurato dai Chabad il più grande centro ebraico in Germania dal termine della Seconda Guerra Mondiale. La cerimonia ha visto la partecipazione di personalità della diplomazia e leader da tutto il mondo.
  Come spiega Toby Axelrod sul Jewish Telegraphic Agency, il Pears Jewish Campus copre una superfice di oltre 7000 metri quadri, ed è costato 47,5 milioni di euro. Unico nel suo genere perché tra i più grandi al mondo, sarà gestito dalla comunità dei Chabad-Lubavitch della città berlinese.
  Per il prossimo anno scolastico, tutti gli alunni della comunità che sono all’incirca 550 si trasferiranno in questo nuovo edificio, che ha al suo interno un campo da basket al coperto, uno studio musicale ed una gastronomia kosher, oltre ad una palestra che può prestarsi in certe occasioni a sala conferenze o cinema. Una costruzione che si sviluppa su 7 piani in completa armonia con il panorama architettonico della capitale tedesca. È stato definito come uno zaffiro, per la forma circolare che ricorda una gemma e per il colore dei suoi mattoni smaltati di blu.
  «È molto bello, è un luogo di scambio. Ci sono milioni di tedeschi che non sanno nemmeno chi siano gli ebrei. Intendiamo quindi creare consapevolezza di che cosa sia la vita ebraica. Non si tratta solo di combattere l’antisemitismo. Il tutto deve essere collegato alla positività, attraverso una vita ebraica gioiosa, vivace e orientata al futuro». A dirlo è stato Rav Yehuda Teichtal, direttore del centro Chabad.
  Parlando di numeri, secondo i dati del Consiglio Centrale degli Ebrei in Germania, 90.000 sono gli ebrei membri delle varie congregazioni, mentre altri 100.000 che si identificano come tali, non risultano iscritti a nessun ente.
  Nel 1996 quando Teichtal arrivò in Germania gli ebrei del movimento Chabad erano giusto un paio, oggi hanno 20 comunità in tutto il paese.

• “Portare luce nell’oscurità”
  È stato proprio lui due decenni fa ad inaugurare in Germania la tradizione di accendere i lumi in occasione della festività di Hanukkah, collocando una grande Menorah davanti la porta di Brandeburgo, proprio lì, dove negli anni bui vi erano infisse le bandiere col simbolo del nazismo.
  Rav Teichtal ha molto caro il concetto del tikkun olam. La dimostrazione è la raccolta fondi intrapresa per sostenere le nuove scuole ebraiche nella città, finanziate anche dalla Comunità Ebraica di Berlino e dalla Fondazione Ronald S. Lauder.
  Ci saranno anche attività previste per gli adulti e persone di ogni credo. Il nuovo centro è frutto di donazioni di differente provenienza, sia pubbliche che private, pur portando il nome della Pears Foundation, il principale finanziatore, che ha sede in Gran Bretagna.
  Incisive le parole di Rav Menachem Margolin, a capo dell’Associazione Ebraica Europea, che venerdì scorso da Bruxelles ha definito il nuovo centro: «Un grande esempio della rinascita della vita ebraica in Europa, in Germania e a Berlino in particolare». Ha però sottolineato che «il più grande pericolo per quella rinascita viene dalle politiche che minacciano la libertà religiosa, compresi i diritti di eseguire la circoncisione rituale e di eseguire la macellazione kosher».

(Bet Magazine Mosaico, 30 giugno 2023)

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Parashot di Chukkàt e Balàk

di Donato Grosser

Parashà di Chukkàt Le guerre che potevano essere evitate

Dopo quasi quarant’anni nel deserto era arrivato il momento di entrare nella Terra Promessa. Il popolo si trovava a Kadèsh, al confine sud-occidentale del paese. La via più diretta passava attraverso il territorio di Edòm, i discendenti di Esaù.  L’Eterno aveva proibito al Moshè di condurre il popolo di forza nel territorio degli edomiti con queste parole: “Comanda al popolo dicendo: Voi state per passare i confini dei vostri fratelli, figli di Esaù, che dimorano in Se’ir; essi avranno paura di voi; state quindi bene in guardia; non fate loro guerra, poiché del loro paese io non vi darò neppure quanto ne può calcare un piede; poiché ho dato il monte di Se’ir a Esaù, come sua proprietà” (Devarìm, 2:4-5).
              Il Re di Edòm negò loro il permesso di passaggio. Fu quindi necessario fare un lungo giro tornando a nord dalla Transgiordania e chiedere al re Sichòn il permesso di passaggio per raggiungere il fiume Giordano ed entrare nella Terra di Canaan. Pertanto: “Israele mandò ambasciatori a Sichòn, re degli Emorei, per dirgli:  Lasciami passare per il tuo paese; noi non devieremo per i campi, né per le vigne, non berremo l'acqua dei pozzi; seguiremo la via regia finché abbiamo oltrepassato i tuoi confini” (Bemidbàr, 21: 21-22).  Sichòn rifiutò di concedere il passaggio e uscì sul campo di battaglia con tutto l’esercito per combattere contro Israele. Il risultato fu devastante: “Israele lo sconfisse passandolo a fil di spada, e conquistò il suo paese dall’Arnòn fino al Yabbòk, sino ai confini dei figli di ‘Ammòn (ibid., 24). Successivamente fu ‘Og, re del Bashàn che scese in campo contro Israele. Anche loro furono sconfitti: “E gli israeliti sconfissero lui, i suoi figli e tutto il suo popolo, sino a che non gli rimase più anima viva; e conquistarono il suo paese (ibid., 35).
              R. Naftali Tzvi Yehuda Berlin (Belarus, 1816-1893, Varsavia) nel suo commento Ha’amèk Davàr fa notare che quando Moshè chiese a Edòm il permesso di passaggio attraverso il suo territorio, lo fece dicendo: “Lasciaci per favore passare per il tuo paese, noi non passeremo né per campi né per vigne e non berremo l’acqua dei pozzi; seguiremo la strada pubblica senza deviare né a destra né a sinistra finché abbiamo oltrepassato i tuoi confini” (ibid., 20:17). Nella richiesta a Sichòn non fu chiesto per favore. Fecero sapere a Sichòn che dovevano passare per il suo territorio e se avesse concesso il permesso non sarebbe stato necessario combattere. Moshè non aveva alcun desiderio di conquistare la Transgiordania, un territorio al di fuori della Terra d’Israele. Così avrebbe fatto re David circa quattrocento anni dopo: aveva conquistato la Siria prima di completare la conquista della terra d’Israele e per questo era stato criticato. 
              R. Berlin commenta che quando Moshè prima della sua morte riassunse gli eventi passati ai figli d’Israele, aggiungendo le sue ammonizioni, disse loro: “Fu allora che c’impossessammo di questo paese; io detti ai Rubeniti e ai Gaditi il territorio che si parte da ‘Aro’er, presso la valle dell’Arnòn, e la metà della contrada montuosa di Gil’ad con le sue città” (Devarìm, 3:12). Si trattava questa di un’ammonizione velata. Se le tribù di Reuvèn e di Gad non avessero preso possesso dei rispettivi territori in Transgiordania, non sarebbero stati esiliati per primi dal re d’Assiria. Moshè aveva già ammonito le due tribù dicendo che se non avessero combattuto con i loro fratelli per la conquista della Terra d’Israele avrebbero peccato (Bemidbàr, 32:23). E l’esilio per mano dell’Assiria arrivò proprio per non aver abitato in Eretz Israel al di qua del Giordano dove la kedushà del paese li avrebbe protetti. 
              Tutto questo fu causato dal peccato degli esploratori. Se  trentotto anni prima fossero andati direttamente in Eretz Israel da Kadèsh Barnea’ , il Re di Edòm non avrebbe negato loro il permesso di passaggio, grazie al fatto che i generali di Edòm avevano il terrore degli israeliti, avendo sentito la notizia del passaggio del Mar Rosso e della distruzione dell’esercito egiziano. Così avrebbero conquistato la Terra d’Israele e l’avrebbero divisa tra le dodici tribù. Anche l’esilio e altre disgrazie sarebbero stati evitati.    
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Parashà della settimana: Chukat (Decreto)

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Parashà di Balàk Israele e l’umanità

Dopo aver sconfitto Sichòn e ‘Og, i due re della Transgiordania, gli israeliti erano pronti a fare  preparativi per attraversare il fiume Giordano e andare alla conquista della Terra Promessa. Le cose però non andarono come programmato a causa dell’intervento dei moabiti.  La parashà racconta quello che fece Balàk, re di Moàv: “Balàk, figlio di Tzippòr, vide quello che Israele aveva fatto agli Emorei. E Moàv ebbe grande paura di questo popolo, che era così numeroso; Moàv fu preso da spavento di fronte agli Israeliti. Quindi Moàv disse agli anziani di Midiàn: «Ora questa moltitudine divorerà quanto è intorno a noi, come il bue divora l'erba dei campi»“(Bemidbàr, 22:2-4).
              Rashì (Troyes, 1040-1105) commenta che Balàk disse: “Questi due re, sui quali facevamo affidamento, non sono stati in grado di resistere di fronte agli israeliti. A maggior ragione cosa potremmo fare noi?”. 
              R. Joseph Pacifici (Firenze, 1928-2021, Modiin Illit) in Hearòt ve-He’aròt (p. 176) commenta che Balàk fu impressionato dal fatto che le battaglie degli israeliti erano state vinte in modo sovrannaturale. Questo fu il motivo per cui decise di chiamare Bil’am per maledirli. In verità è probabile che Balàk non avesse motivo di temere il popolo d’Israele. Infatti nella Torà è scritto: “E l’Eterno mi disse: ‘Non attaccare Moàv e non gli muover guerra, poiché io non ti darò nulla da possedere nel suo paese, giacché ho dato ‘Ar ai figliuoli di Lot, [Moàv discendeva da Lot] come loro proprietà” (Devarìm, 2:9). L’Eterno aveva quindi proibito al popolo d’Israele di fare guerra a Moàv. Ed è difficile pensare che Balàk non ne fosse al corrente. Il motivo per cui Balak decise di agire contro Israele è che non poteva tollerare il successo d’Israele e lo  disturbava il fatto che vi fosse un nazione più potente della sua. 
              Questo è anche il motivo per cui il patriarca Ya’akòv disse ai figli di non farsi notare e di evitare di generare invidia presso i vicini (Bereshìt, 42:1). Questo consiglio fu seguito per centinaia di anni in vari paesi dove le autorità comunitarie emisero  leggi suntuarie. Si trattava di dispositivi legislativi con lo scopo di limitare il consumo legato all'ostentazione del lusso. Quando il patriarca Ya’akòv disse ai figli di non farsi notare, voleva dire che in un periodo di carestia, quando tutti andavano a cercare derrate in Egitto, non era opportuno farsi vedere come se tutto fosse a posto. Era pertanto opportuno che anche essi andassero  in Egitto dove vi era grano in vendita, anche se per il momento avevano cibo in sufficienza.       
              Rashì fa notare la stranezza del fatto che in questo frangente Moàv si rivolse agli anziani di Midiàn. Egli commenta che Moàv e Midiàn si odiavano da sempre. Questo è testimoniato dal fatto che nella Torà è scritto che Midiàn venne a fare guerra contro Moàv (Bereshìt, 36:35). Edòm venne in difesa di Moàv e Midiàn venne sconfitto. Midiàn e Moàv fecero la pace ai tempi di Bil’am per allearsi contro Israele. Moàv pensò di rivolgersi a Midiàn perché vide le miracolose vittorie di Israele. E sapendo che Moshè, il leader degli israeliti, dopo essere fuggito dall’Egitto, aveva passato molti anni a Midiàn, decise di chiedere a Midiàn informazioni su Moshè. Midiàn rispose che la forza di Moshè era nella sua parola. Ricevuta questa informazione Moàv decise che era opportuno cercare di sconfiggere Moshè e il suo popolo con la parola. Cosi ingaggiò Bil’am per maledirli. 
              R. Pacifici, citando Rashì, osserva da qui si impara che la nostra forza consiste nella parola, come è scritto: “La voce è la voce di Ya’akòv, e le mani sono le maini di Esau” (Bereshìt, 27:22).  Da questo versetto i maestri nel trattato Gittìn (57b) insegnano che nessuna preghiera è efficace nel mondo a meno che qualche membro della discendenza di Ya’akòv non abbia una parte in essa. 
              R. Pacifici aggiunge che tra le nazioni del mondo vi sono sempre discordie. Tuttavia quando si tratta di odiare Israele dimenticano le discordie e diventano alleati.
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Parashà della settimana: Balak

(Shalom, 30 giugno 2023)

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Netanyahu fa retromarcia sulla riforma della giustizia

Al Wall Street Journal il primo ministro dichiara di voler rivedere la parte più controversa del documento che aveva scatenato le proteste di piazza.

di Rossella Tercatin

GERUSALEMME – Retromarcia del primo ministro Benjamin Netanyahu su uno dei capisaldi della sua controversa riforma della giustizia: la clausola che consentirebbe alla Knesset di approvare le leggi bocciate dalla Corte Suprema non è più parte del progetto. Ad annunciarlo lo stesso Netanyahu in un’intervista al Wall Street Journal. “È fuori”, ha dichiarato il premier. “Io presto attenzione a ciò che pensa l’opinione pubblica”.
  Sin dai primissimi giorni dell’entrata in carica del nuovo governo alla fine di dicembre, la riforma della giustizia è stata presentata come la priorità dell’esecutivo, una priorità condivisa da tutte le forze di coalizione, il Likud di Netanyahu, i partiti ultra-ortodossi Shas e United Torah Judaism, e le forze dell’estrema destra religiosa-nazionalista Partito Sionista Religioso, Potere Ebraico e Noam.
  Al cuore del progetto, l’obiettivo di limitare i poteri della Corte Suprema, attraverso la modifica della composizione della commissione incaricata di selezionare i giudici di ogni livello per conferire la maggioranza dei suoi membri alle forze di governo e appunto, il sostanziale svuotamento della possibilità del tribunale di bocciare le leggi perché ritenute in contrasto le Leggi fondamentali che in Israele fungono da costituzione informale.
  E tuttavia, man mano che la maggioranza procedeva spedita con l’iter legislativo della riforma, il Paese si è ritrovato percorso da proteste senza precedenti, che hanno portato in piazza ogni settimana decine e talvolta centinaia di migliaia di persone, contro un piano che è stato descritto da molti esperti, a partire dalla presidente della Corte Suprema Esther Hayut e dai leader dell’opposizione, come una minaccia alla democrazia. A prendere posizione contro la riforma sono stati anche due settori che normalmente in Israele si tengono fuori dal dibattito politico, le industrie high-tech, motore dell’economia del Paese, e l’esercito, istituzione simbolo e tra le più rispettare in Israele.
  Lo scorso marzo, proprio la richiesta del ministro della Difesa Yoav Gallant di fermare il cammino della riforma a favore di un compromesso – alla luce del diffuso malcontento tra veterani e ufficiali, specialmente nelle unità di élite – ne aveva causato il brusco licenziamento da parte di Netanyahu. Nelle 24 ore successive centinaia di israeliani erano scesi in piazza per protestare, e le principali aziende e sindacati avevano proclamato uno sciopero generale, serrando i servizi fondamentali del Paese.
  Da quel momento il premier ha cambiato approccio, aprendo ai negoziati con l’opposizione e procedendo con più cautela, con una tendenza a posticipare le decisioni sulla materia.
  Tra le altre cose nel corso dei mesi, è stata presa in considerazione l’ipotesi di richiedere non più una maggioranza semplice dei 120 parlamentari della Knesset ma una maggioranza qualificata al fine di approvare una legge bocciata dalla Corte Suprema. Nell’intervista al Wall Street Journal, Netanyahu ha spiegato che anche quest’idea è stata scartata.
  “Subito dopo che la proposta originale è stata avanzata, ho detto che l'idea di una clausola con cui la Knesset potesse annullare le decisioni della Corte Suprema con una maggioranza semplice andava buttata via”, ha detto il premier, che incalzato dall’intervistatore sulla possibilità che la proposta tornasse con una super-maggioranza ha risposto di no.
  Allo stesso tempo, Netanyahu ha criticato l’atteggiamento dell’opposizione, accusandola di non essere disponibile al minimo compromesso. “Sicuramente abbiamo cercato un ampio consenso, possibilmente con un accordo formale con l'opposizione”, ha detto al Wall Street Journal. “Ma quello che abbiamo scoperto dopo aver congelato la riforma per un mese e due mesi e tre mesi è che l'opposizione è sotto tali pressioni politiche che non poteva accettare il minimo compromesso, incluse proposte che i suoi stessi leader avevano sostenuto prima di andare all'opposizione”.
  Se un accordo non verrà raggiunto, Netanyahu ha spiegato che sarà lo stesso governo a presentare un nuovo progetto, senza entrare in troppi dettagli. “È chiaro che il modo di selezionare i giudici non seguirà la struttura attuale, ma neppure la proposta originale della riforma”, le parole del primo ministro.

(la Repubblica, 29 giugno 2023)

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Un Presidente per cambiare

Victor Fadlun è il nuovo presidente della Comunità ebraica di Roma, eletto da Dor va Dor e Ha Bait. Dopo avere accettato con riserva, ha davanti il primo ostacolo della sua presidenza: formare la Giunta superando i veti di Per Israele.

Se è vero che per ogni ebreo la Torà è, o dovrebbe essere, un testo di continuo insegnamento, allora forse ieri sera sono stati molti a riflettere sulla parashà letta lo scorso shabbat, in cui lo scontro fra Korach e Mosè descrive bene cosa separa la cattiva politica da quella buona.
  L’elezione per il nuovo presidente della Comunità ebraica di Roma non ha tradito le attese, anche se forse è ancora presto per dire se ha confermato le speranze che la maggior parte degli elettori hanno espresso nel voto dello scorso 18 giugno.
  Victor Fadlun è il nuovo presidente della Comunità. È un presidente che entrerà nella storia di una delle più antiche comunità della diaspora, non solo per la sua biografia personale – quella di un ebreo di origini libiche, la cui famiglia è arrivata in Italia fuggendo dal suo paese e che dal nulla, come molti altri insieme a lui, ha costruito una nuova vita in Europa – ma anche per la comunità, che dopo circa vent’anni ha consegnato la responsabilità della sua gestione a una nuova classe dirigente.
  È stato un voto che ha messo bene in luce le dinamiche che già erano emerse nella campagna elettorale e che ora chiedono di essere riconosciute e governate, rompendo l’immobilismo e l’autoreferenzialità di chi negli ultimi anni ha pensato di poter gestire la Comunità ebraica di Roma in modo spesso unidirezionale e autocentrato. Spetta dunque a Fadlun il compito di guidare la Comunità nei prossimi quattro anni. Non sarà, a detta di tutti gli intervenuti ieri – l’unico punto su cui le liste si sono mostrate d’accordo – un’impresa facile, perché i problemi messi sotto il tappeto negli ultimi anni ormai non possono più essere ignorati o peggio nascosti. Questo forse spiega anche la drammaticità politica di quel che è accaduto ieri sera al momento della dichiarazione di voto.
   Per Israele, che doveva scegliere fra una collaborazione sincera e trasparente o la strada del tirare il più possibile la corda per saggiare la resistenza del nuovo presidente, ha scelto di percorrere quest’ultima strada fino in fondo. Nonostante l’apertura di Dor va Dor a una gestione il più possibile collegiale – con un discorso pacato e aperto al confronto, l’esatto contrario delle parole che avevamo ascoltato all’insediamento del consiglio 4 anni fa –, e il sostegno franco offerto da Daniele Regard per Ha Bait al fine di realizzare un programma che veda al primo posto l’attenzione per i giovani, il welfare, la scuola, Per Israele si è mostrata recalcitrante oltre ogni limite, dichiarandosi ostile ad accettare la sconfitta del 18 giugno e rivendicando addirittura una parità di assessori (certa politica alla fine si traduce sempre in posti da occupare), nonostante fosse passata da 14 seggi a 10, e Dor Va Dor invece da 4 a 10, e un maggior numero di preferenze.
  Si trattava oggettivamente di una proposta irricevibile. Il voto di soli 10 giorni fa è un segno troppo chiaro per consentire ancora di giocare una partita di poker, puntando a prendere il banco senza avere carte buone in mano. Il risultato è stato così che si è andati alla conta, con Per Israele che ha addirittura pensato di sfidare Dor va Dor e Ha Bait per la presidenza.
  In effetti, i presenti non hanno potuto fare a meno di interrogarsi sul perché di una scelta politicamente suicida. Perché anche se si era rifiutata l’offerta equilibrata di Victor Fadlun – formare una giunta con 3 assessori Dor Va Dor (oltre al presidente), 3 Per Israele, 2 Ha Bait – se Per Israele avesse davvero voluto mostrarsi volenterosa nella ricerca di un accordo, avrebbe potuto scegliere di votare scheda bianca, o perlomeno un candidato di bandiera. Al contrario, ha scelto di opporre al vincitore delle elezioni la propria candidata presidente, Antonella Di Castro, la quale incomprensibilmente ha accettato che la sua lista la sacrificasse in una conta che l’ha vista sonoramente sconfitta 16 a 9.
  A quel punto soltanto lo sforzo del presidente Fadlun di tentare ancora di raggiungere un accordo per una coalizione la più ampia possibile ha impedito di formare direttamente la Giunta. Poco importa, ai fini dell’analisi del voto. Quel che è chiaro, infatti, è che da ieri sera la Comunità ebraica di Roma ha un nuovo presidente e una nuova maggioranza, formata da Dor va Dor e Ha Bait. Una maggioranza del tutto autosufficiente e che, se lo vorrà, sarà in grado di affrontare con onestà, impegno, trasparenza e amore per la Comunità tutti gli impegni che si troverà davanti. Per imboccare questa strada manca però ancora un ultimo tassello.
  Fadlun, infatti, si è riservato di accettare la sua nomina a presidente a un’ulteriore tentativo di accordo con Per Israele. Si tratta di una scelta nobile, un sincero impegno per avviare la consiliatura sulla base della maggiore collegialità possibile. Tuttavia, se anche noi volessimo partecipare alla gara di fornire consigli non richiesti a chi ha assunto la responsabilità di governare la Comunità, allora suggeriremmo di seguire non una, ma due stelle polari.
  La prima è quella di farsi guidare esclusivamente dall’interesse per la Comunità ebraica di Roma e i suoi iscritti, che attraverso il voto hanno espresso il desiderio di cambiare pagina dopo ha una lunga gestione fatta di luci e di ombre. La seconda stella polare è quella di avere coraggio, dote che certo non manca nella biografia del neopresidente. Avere coraggio significa, oggi, non farsi ingabbiare in trattative estenuanti al limite del ricatto politico, e offrire ancora una volta la possibilità di un accordo equo e giusto, dopo il quale però questa Comunità ha diritto di veder nascere una nuova giunta che affronti con impegno e determinazione il cammino che ha davanti.
  Da sempre, fra Mosè e Korach, gli ebrei non hanno dubbio da che parte stare.

(Riflessi Menorah, 29 giugno 2023)

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Israele, lite nel governo. “Perdiamo legittimità internazionale”

Il ministro della Difesa Yoav Gallant e il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir si scontrano sulla violenza dei coloni durante un incontro a porte chiuse; Gallant: "Non possiamo comportarci come i nostri nemici. Non si può dire che gli arabi lo fanno, quindi è permesso anche a noi".

di Itamar Eichner

Martedì sera, durante una riunione di funzionari di sicurezza di alto livello, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha sottolineato: “Stiamo perdendo legittimità nella comunità internazionale e non possiamo permetterlo. Dobbiamo fare qualcosa per evitarlo“.
  I suoi commenti sono giunti durante una riunione dell’ultimo minuto convocata da Netanyahu, dal Ministro della Difesa Yoav Gallant e dal Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, alla quale hanno partecipato il capo dello Shin Bet Ronen Bar e altri funzionari della sicurezza, per discutere il tema delle rivolte dei coloni in Cisgiordania.
  Ben-Gvir ha protestato contro la crescente preoccupazione per le rivolte ebraiche, definite dall’establishment della sicurezza come terrorismo nazionalista. Ha detto che “il momento clou sono i colloqui di scuse di oggi con l’Autorità Palestinese”, riferendosi alle telefonate del Presidente Isaac Herzog al Presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas e di Gallant al Ministro degli Affari Civili dell’Autorità Palestinese Hussein al-Sheikh. “Un terrorista condannato che ha trascorso 10 anni in prigione, e noi chiamiamo per scusarci con lui e accarezzarlo? Dobbiamo forse scusarci con coloro che pagano gli stipendi ai terroristi?” ha detto Ben-Gvir.
  Gallant, che ha parlato con Sheikh dopo i disordini e si è scusato, ha risposto con rabbia a Ben-Gvir: “Non possiamo comportarci come i nostri nemici. Non si può dire gli arabi lo fanno, quindi anche noi lo facciamo“.
  Durante la discussione, i rappresentanti dell’establishment della difesa hanno attaccato duramente le parole del ministro degli Insediamenti Orit Strock, che ha paragonato i capi dell’establishment della difesa al Gruppo Wagner in Russia, che è arrivato vicino a organizzare un colpo di stato in Russia. Hanno detto che, anche se Strock si è scusata, le sue parole hanno causato grandi danni e hanno portato i comandanti e i soldati di alto livello dell’IDF a subire violente molestie da parte degli ebrei israeliani.
  “Le dichiarazioni contro i soldati dell’IDF sono molto più gravi della condanna delle dichiarazioni, che non sono sufficienti“, ha sottolineato il Capo di Stato Maggiore dell’IDF Herzi Halevi.
  Gallant ha citato le parole del capo dello Shin Bet in una conversazione a porte chiuse, in cui ha detto: “Questo è un attacco non a chi è ebreo, ma a ciò che è ebreo“. Gallant ha anche suggerito che il governo condanni, in una dichiarazione ufficiale firmata da tutti i ministri, la violenza o la delegittimazione di soldati e ufficiali dell’IDF.
  “C’è un rischio diretto per i coloni di fronte agli attacchi di vendetta palestinesi che ci costringono a distogliere le forze da altri teatri. C’è il timore reale che i palestinesi vengano danneggiati dai rivoltosi (ebrei) che entrano nei villaggi, come è già successo in passato. Abbiamo paura del linciaggio degli ebrei“, ha detto Bar.
  Durante la discussione di martedì sera, tutti i capi dell’establishment della sicurezza hanno affermato che occorre fare tutto il possibile per prevenire gli attacchi e la delegittimazione delle attività dell’IDF in Cisgiordania e per condannare la violenza degli estremisti contro i palestinesi. Hanno detto a Ben-Gvir che ogni dichiarazione come quella di Stock è grave. “Le condanne non hanno lo stesso effetto delle dichiarazioni stesse“, hanno detto, aggiungendo che “le azioni a cui stiamo assistendo negli ultimi giorni sono state fatte a causa della vendetta dei ministri, e le condanne e le scuse non hanno alcun effetto“.
  Ben-Gvir, da parte sua, ha detto: “Sapete perfettamente che mi oppongo al comportamento visto nei confronti del generale di brigata, e abbiamo visto che tutta la destra si oppone, ma non raccontiamoci storie. Per un’intera settimana ho chiesto di convocare una discussione in Consiglio dei Ministri su quattro persone uccise e non c’è stata risposta fino a quando non hanno urlato contro il generale di brigata, cosa sbagliata ovviamente, e nel giro di un giorno siamo qui in una discussione urgente”. 
  “Da una settimana sento parlare dai capi dell’establishment della sicurezza della ‘grave violenza dei coloni’ e del fatto che non dobbiamo arrenderci e piegarci di fronte a loro, ma io chiedo – dove è scomparsa questa determinazione quando si tratta di alcuni dei drusi, quando sparano e attaccano improvvisamente, è lecito arrendersi?“, ha detto Ben-Gvir, riferendosi alle proteste della comunità drusa nel nord contro la costruzione di una turbina eolica nel Golan. 
  “E dov’è scomparsa la stessa determinazione di fronte agli anarchici che stamattina hanno dato fuoco a dei pneumatici davanti al Ministero della Giustizia? Perché stanno aspettando? Che gli brucino la casa? Perché non c’è una discussione urgente su questo tema con il capo dello Shin Bet e il Commissario? E perché lo Shin Bet indaga sui giovani della collina che sono stati coinvolti in crimini di proprietà ed emette arresti amministrativi contro di loro, ma nei crimini e negli omicidi nella società araba lo Shin Bet si rifiuta di indagare e di effettuare arresti amministrativi?” ha detto ancora Ben Gvir.
  “Sento continuamente parlare di Turmus Aya e Ateret, e naturalmente mi oppongo alle azioni che sono state fatte lì, ma cerchiamo di essere creativi“, ha aggiunto. “Quelli che vengono uccisi qui sono i coloni e il terrorismo che deve essere sradicato è a Jenin, non ad Ateret“.
  Dopo l’attacco mortale a Eli, centinaia di coloni della Cisgiordania hanno inscenato violenti disordini, incendiando case, auto e campi e lanciando pietre contro i palestinesi. Lunedì, i rivoltosi hanno bruciato le colture agricole in un’area di sei dunam nel villaggio di Turmus Aya, in Cisgiordania. Sabato, decine di coloni hanno affrontato i palestinesi vicino al villaggio di Umm Safa, a nord di Ramallah, e hanno lanciato pietre. Pochi minuti dopo, decine di coloni sono entrati nel villaggio, hanno bruciato almeno due case e incendiato due veicoli e un camion appartenenti ai palestinesi.
  Martedì mattina, nel suo colloquio con Sheikh, Gallant ha detto che, a proposito dei violenti disordini nei villaggi palestinesi, l’establishment della sicurezza “prende seriamente in considerazione la violenza usata da elementi estremisti contro i cittadini palestinesi”. Ha sottolineato durante la conversazione che “lo Stato di Israele lavorerà per portare i colpevoli davanti alla giustizia”.
  Herzog, nel suo colloquio con Abbas, ha sottolineato l’importanza di una lotta decisa e vigorosa contro il terrorismo, l’incitamento e l’odio, e ha evidenziato il terribile costo e il dolore che il terrorismo provoca nelle famiglie colpite e nell’intera società israeliana.

(Rights Reporter, 29 giugno 2023)

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Israele ha rifiutato di trasferire il sistema iron Dome in Ucraina

Israele non permetterà agli Stati Uniti di trasferire il sistema di difesa missilistica Iron Dome a Kiev perché teme possesso dell’Iran, ha detto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. “Se questo sistema cade nelle mani dell’Iran, milioni di israeliani rimarranno indifesi e in pericolo”, ha detto Neta Journal. Allo stesso tempo, ha respinto ancora una volta gli appelli dell’Occidente a unirsi alla fornitura di armi all'Ucraina.
  “Abbiamo preoccupazioni che non credo abbia nessuno degli alleati occidentali dell’Ucraina”, ha detto il primo ministro israeliano.
  Netanyahu ha affermato la scorsa settimana che l’Iran è riuscito a impossessarsi di armi anticarro che i paesi occidentali avevano precedentemente fornito a Kiev. Ha anche osservato che Israele non può sostenere l’Ucraina a causa degli stretti legami con la Russia.
  “Abbiamo uno stretto confine militare con la Russia. I nostri piloti volano al fianco dei piloti russi nei cieli della Siria. E penso che sia importante mantenere la nostra libertà di azione contro i tentativi dell’Iran di stabilirsi militarmente sul nostro confine settentrionale”, ha spiegato.
  Allo stesso tempo, come ha scritto Haaretz con riferimento a fonti informate, Israele sta negoziando segretamente la vendita di carri armati Merkava Mark III a Cipro, che sarà in grado di trasferire i carri armati T-80 di fabbricazione sovietica in Ucraina dopo il loro acquisto.
  Tuttavia, le autorità cipriote negano ufficialmente che nel caso in cui vengano ricevuti carri armati israeliani, i T-80 sovietici vengano consegnati a Kiev. Il presidente del Paese, Nikos Christodoulidis, ha dichiarato di non voler fare nulla che possa indebolire l'esercito cipriota di fronte alla minaccia turca.
  L’Iron Dome è un sistema di difesa missilistica sviluppato dalla società israeliana Rafael. È in servizio con l’esercito israeliano dal 2011. Il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky, sullo sfondo di massicci attacchi missilistici contro la Russia, ha chiesto alle autorità israeliane di cambiare posizione sulla fornitura di sistemi di difesa aerea a Kiev.
  Netanyahu è diventato primo ministro israeliano per la terza volta alla fine di dicembre. A gennaio, Tel Aviv ha respinto una richiesta degli Stati Uniti di trasferire i vecchi missili antiaerei Hawk a Kiev, sottolineando che non avrebbe abbandonato la sua politica precedentemente annunciata nei confronti del conflitto militare in Ucraina.

(Stella d'Italia News 29 giugno 2023)
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L'appoggio alla viscida politica imperiale degli Stati Uniti fa più male che bene a Israele. M.C.

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Anche Israele ha il suo Pantheon. A crearlo è stata Madre Natura

Un meraviglioso Pantheon naturale, completamente scavato nella roccia: nel Parco Nazionale di Beit Guvrin-Maresha ci sono delle grotte incantevoli.

Sappiamo benissimo che gli esseri umani hanno creato, nel corso della loro storia, moltissime suggestive strutture d’incredibile bellezza. Ancora oggi rimaniamo incantati dalle misteriose piramidi, dalla magnificenza del Taj Mahal e dall’imponenza della Muraglia Cinese. Ma se vi dicessimo che i monumenti più belli sono, invece, quelli a opera di Madre Natura? Se non ci credete, pensate al Parco Nazionale di Beit Guvrin-Maresha, dove è possibile rimanere a bocca aperta di fronte a un Pantheon totalmente naturale.
  Non è un caso che questo sito, che si trova in Israele,  sia stato riconosciuto dall’UNESCO come Patrimonio dell’Umanità: comprende, infatti, una fitta di rete di grotte, per lo più a forma di campana, che sembrano anche essere tutte collegate tra loro per mezzo di svariati cunicoli sotterranei.

• La storia di Beit Guvrin

Per capire meglio la storia di questo luogo incantevole, bisogna fare un piccolo passo indietro. Beit Guvrin, come abbiamo detto, si trova in Israele, precisamente a 13 chilometri da Kiryat Gat. Il parco nazionale è di immensa importanza perché comprende anche i resti di due città antiche, ossia Maresha e Bayt Jibrin, la prima risalente al X secolo a.C. e la seconda all’epoca romana. Le due città non sono strettamente legate alle grotte, ma la loro presenza ha portato sul luogo diversi archeologi che le hanno scoperte.
  Si è così potuto scoprire che le grotte, che si trovano precisamente nella parte est del parco, si sono formate per una naturale erosione sin dagli inizi della preistoria. Proprio alla preistoria, per altro, risalgono le prime tracce di abitazioni e insediamenti. Con la nascita delle città, le grotte sono state usate come siti funerari. Ciò è evidente da alcuni dipinti presenti all’ingresso di una delle grotte più grandi, proprio quella che è stata paragonata al nostro Pantheon Romano: Cerbero, che custodisce l’ingresso agli inferi, e una fenice, che simboleggia la rinascita.

• Il Pantheon naturale e le altre grotte

In generale, l’enorme grotta paragonata al Pantheon e molte altre grotte che si trovano all’interno del parco sono opera di Madre Natura. Alcune, però, sono state a lungo utilizzate come vere e proprie abitazioni rupestri e al loro interno è possibile notare l’impronta umana, con scavi più o meno abbozzati che servivano a rendere più comodi gli ambienti. Molto più interessanti e chiaramente antropici sono invece i cunicoli, che sono stati realizzati per collegare le grotte e non solo.
  Sono state realizzate delle scale (molto primitive, ovviamente) che scendono in profondità e che conducono a delle specie di magazzini e dei pozzi dove, probabilmente, venivano conservati cibi e dove si estraeva l’acqua. Nei secoli a venire, altre grotte sono state modificate dagli esseri umani. Come mai? Perché molti blocchi di pietra venivano estratti per lavori di costruzione. Le grotte sono infatti costituite da pietre calcaree, per altro morbide e di colore beige, che erano perfette per edificare.

• Visitare Beit Guvrin

Oggi, tutte le grotte sono accessibili e anche le città antiche sono facilmente visitabili. Ammirare sia le caverne che i resti degli insediamenti umani è davvero un’esperienza unica e caldamente raccomandata. Com’è intuibile dal nostro racconto, in particolare le grotte hanno un fascino incantevole: sono pacifiche, silenziose e, in qualche modo, anche fortemente spirituali.
  Per accedervi basta seguire tutte le indicazioni presenti all’ingresso del Parco Nazionale e, nei mesi estivi, è anche possibile usufruire di alcune navette che accorciano i tempi di percorrenza del parco. Non serve nemmeno prenotare: basta semplicemente andare sul posto per accedere alla vasta aerea, che non è mai particolarmente affollata.

(SiViaggia, 29 giugno 2023)

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Gal Gadot riceverà la stella sulla Walk of Fame

di Jacqueline Sermoneta

Gal Gadot
Splenderà una nuova stella sulla celebre Walk of Fame di Hollywood. Sarà quella di Gal Gadot, la prima attrice israeliana a ricevere l’ambito riconoscimento sul viale delle star a Los Angeles.
  “È incredibile. Sono così grata, riconoscente e onorata. – ha detto Gadot in un video pubblicato su Instagram - Ringrazio molto la Camera di Commercio di Hollywood per avermi scelta. Sono entusiasta di far parte della Walk of Fame ‘Class 2024’. Questo premio mi stimolerà ancora di più a fare ciò che amo così tanto”. L’attrice nel video ha spiegato, inoltre, di aver appreso la notizia da suo marito Jaron Varsano. Lo riporta il JNS.
  Il nome della 38enne attrice israeliana, nota sulla scena internazionale per il ruolo di Wonder Woman, è stato annunciato insieme a quello di altre 30 celebrità del mondo dell’intrattenimento, che riceveranno la stella sulla Walk of Fame il prossimo anno, fra le quali Chris Pine, co-protagonista di Gadot in “Wonder Woman”, Chadwick Boseman, Michelle Yeoh, Def Leppard, Gwen Stefani, Andre Young “Dr Dree”, Otis Redding, Ken Jeong, Christina Ricci, Brandy Norwood, Maggie Gyllenhaal e Kerry Washington.
  Il mese scorso, in occasione delle celebrazioni del 75esimo anniversario della fondazione dello Stato d’Israele, Gal Gadot ha ricevuto anche un premio dall’Israeli-American Council e dal Consolato israeliano di Los Angeles. “Israele è il mio cuore e la mia casa - ha affermato l’attrice in quell’evento - Siamo tutti profondamente orgogliosi della nostra patria ebraica. Questa celebrazione è una testimonianza della nostra unità, della nostra forza”.
  Ad agosto su Netflix arriverà lo spy thriller “Heart of Stone” con Gadot come protagonista e poi a marzo 2024 uscirà nelle sale il remake in chiave live action di “Biancaneve”, in cui l’attrice interpreterà il ruolo della regina cattiva Grimilde.

(Shalom, 29 giugno 2023)

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“Arabi d’Israele e violenza, un’emergenza nazionale”

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Il problema del terrorismo palestinese è all’ordine del giorno per Israele, ma non è l’unica violenza che preoccupa le autorità. Da tempo infatti quella interna alla minoranza araba viene definita come una vera e propria emergenza sociale. Da inizio anno sono 109 le persone uccise in questo settore che rappresenta il venti per cento della popolazione totale. “Questo fenomeno deve essere sradicato. È pericoloso e terribile. È contrario a ogni diritto umano di vivere in pace. Noi siamo qui per voi. Abbiamo affrontato questa guerra dall’inizio del nostro mandato. Questa è davvero una sfida enorme per Israele”, le parole del presidente del paese Isaac Herzog in un recente incontro con alcune donne arabe che hanno perso, a causa di violenza e criminalità, i propri cari in questi anni. “Non penso che si tratti di ebrei e arabi. È una questione nazionale israeliana su larga scala. – la valutazione di Herzog nel corso dell’incontro organizzato assieme alla moglie Michal – Basta ascoltarvi per capire quanto sia terribile. È necessario che chiunque abbia anche solo sfiorato l’idea di imbracciare un fucile ci pensi due volte, per non parlare di ciò che si deve fare a livello di istruzione, occupazione e welfare”.
  Funzionari e analisti attribuiscono gran parte della colpa della violenza all’assenza di attenzione da parte dello Stato, e in particolare all’attuale governo israeliano, accusato di non essere in grado o di non voler agire.
  Kifah Agbariyeh, residente a Umm al-Fahm, ha raccontato nell’incontro con Herzog che sette dei suoi parenti sono stati uccisi. “L’ultimo meno di un mese fa”. A uccidere “una delle organizzazioni criminali conosciute a Umm al-Fahm. La mia famiglia ha 28 orfani. Se siamo in un Paese democratico non sono forse una cittadina? Non è mio diritto essere al sicuro? Non sono protetta, signor Presidente”, le parole di Agbariyeh.
  Dal punto di vista governativo, dalla comunità araba molte dita sono puntate contro il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, accusato di disinteressarsi del problema. In queste settimane intanto il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha approvato la creazione di un comitato ministeriale, da lui presieduto, per contrastare violenza e criminalità nella società araba.

(moked, 28 giugno 2023)

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Una ONG israeliana trasporta i pazienti palestinesi negli ospedali in Israele

Nel 2022, sono stati rilasciati più di 110.000 permessi di attraversamento in Israele per cure mediche ai palestinesi della Cisgiordania e più di 17.000 permessi ai residenti di Gaza.

All'alba, sul valico di Rehan tra la Cisgiordania settentrionale e Israele, una lunga fila di lavoratori palestinesi viene fuori da un corridoio poco illuminato.
Mamoune Abou al-Roub esce dalla fila dei titolari di permessi medici e si dirige verso l'auto di Yael Noy, con il figlio Adam di 6 anni che sonnecchia tra le sue braccia. La destinazione: un ospedale vicino a Tel Aviv dove il bambino è in cura per un cancro agli occhi.
Yaël Noy fa parte di un gruppo di volontari israeliani dell'associazione Road to Recovery che ogni giorno accompagnano decine di palestinesi, per lo più bambini, dai punti di passaggio in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza agli ospedali israeliani per ricevere le cure non disponibili nei Territori palestinesi.
Questi trattamenti sono pagati dalle autorità palestinesi, cosa che non avviene per il trasporto da e verso gli ospedali. Il costo è proibitivo per molte famiglie.
L'associazione è stata creata per rispondere alle richieste di aiuto dei palestinesi appartenenti a un gruppo di famiglie palestinesi e israeliane colpite dal conflitto.
Secondo l'associazione, oggi essa conta circa mille membri attivi che aiutano quasi 3.000 pazienti ogni anno.

• Il linguaggio del cuore

Adam Abu al-Rob, un palestinese di sei anni recentemente colpito da un tumore agli occhi, viene preso in braccio da suo padre Mamoun mentre incontra la volontaria israeliana Yael Noy al checkpoint di Rehan, tra Israele e Cisgiordania, che lo porterà all'ospedale Sheba Tel Hashomer, vicino a Tel Aviv.
È meravigliosa, Yaël (...) È sempre felice, mi riempie il cuore", dice Abou al-Roub, 40 anni, in un ebraico stentato che ha imparato nei cantieri dove lavora in Israele.
Sul sedile posteriore dell'auto, il piccolo Adam si è addormentato, accoccolato contro il padre. Nello specchietto retrovisore, l'autista sorride al suo passeggero e scambia qualche parola con lui.
"La madre di Adam, Sabah, di solito lo accompagna. Lei non parla ebraico e io non parlo arabo. Quindi parliamo con il cuore", spiega.
"Questi viaggi sono un'opportunità per tutti i volontari di incontrare i palestinesi", aggiunge la signora Noy, che è diventata recentemente direttrice di Road to Recovery.
"Non li conosciamo, non li incontriamo mai. C'è un intero popolo che vive accanto a noi, sono i nostri vicini".
Nel 2022, sono stati rilasciati più di 110.000 permessi per entrare in Israele per cure mediche ai palestinesi della Cisgiordania, dove vivono quasi tre milioni di palestinesi, e più di 17.000 permessi ai residenti di Gaza, un territorio di oltre due milioni di persone controllato dal movimento terroristico islamico Hamas e soggetto a un blocco israelo-egiziano, secondo il Cogat, l'ente del Ministero della Difesa israeliano che supervisiona le attività civili nei Territori palestinesi.
Tuttavia, molti pazienti palestinesi non possono farsi curare in Israele, sia perché le autorità israeliane rifiutano di rilasciare loro un permesso di transito, sia perché le autorità palestinesi rifiutano di pagare le cure, spesso costose.
L'auto sfreccia sull'autostrada che costeggia il muro che separa Israele dalla Cisgiordania. Non potrei vivere qui se non facessi qualcosa per la dura e complicata realtà creata dall'occupazione", dice la signora Noy.
"È il minimo per rimanere un essere umano rispettabile".
Ma non tutti i volontari sono contrari alla presenza israeliana in Cisgiordania, sottolinea la signora, precisando che tra loro ci sono "coloni, religiosi e persone di destra".
Come Noam Ben Zvi, 72 anni, ufficiale dell'esercito israeliano in pensione, che ritiene che "anche se lasciamo la Cisgiordania, la guerra con gli arabi continuerà".
Ma questo non gli ha impedito di trasportare regolarmente un'adolescente da Jenin (nel nord della Cisgiordania) all'ospedale di Gerusalemme dove viene curata, aspettandola per diverse ore prima di riportarla al punto di passaggio, a quasi 150 chilometri di distanza.
"Amo Marie e suo padre. Non voglio che debbano restare per ore all'ospedale ad aspettare che un altro volontario li accompagni a casa", spiega.
Il trasporto dei pazienti è coordinato dalla parte palestinese da Naëm Abou Youssef, che funge anche da traduttore per i volontari israeliani.
"Quando ho scoperto quello che (l'associazione) stava facendo, non potevo credere che gli ebrei potessero fare cose del genere", dice il 50enne, che vive in un villaggio vicino a Qalqiliya, nel nord della Cisgiordania, in una zona dove gli scontri con i soldati israeliani sono frequenti.
Due dei suoi figli sono stati arrestati dall'esercito israeliano e trattenuti per diversi mesi senza alcuna accusa.
"La gente qui spesso conosce Israele solo per i soldati che fanno irruzione nelle loro case di notte, per l'occupazione, la paura, l'odio e la vendetta".
Alle 7 del mattino, la signora Noy lascia i suoi due passeggeri davanti al reparto pediatrico dello Sheba Medical Centre. Il signor Abu al-Roub si gira e le fa un ultimo saluto.
"La fine del conflitto può venire solo da un accordo politico", dice Yuval Roth, fondatore dell'associazione, "ma in questa realtà, ogni viaggio come questo è una piccola pace per un'ora".

(The Times of Israël, 28 giugno 2023 - - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Israele: sequestrati milioni di dollari in criptovalute destinati al movimento Hezbollah e alla Forza Quds

Il ministro della Difesa di Israele, Gallant, ha spiegato che “qualche giorno fa si è conclusa una vasta operazione senza precedenti, volta a svelare l’asse del finanziamento del terrorismo attraverso monete digitali”.

Le autorità dello Stato di Israele hanno sequestrato milioni di dollari in criptovalute appartenenti al movimento sciita libanese Hezbollah e alla Forza Quds, reparto del Corpo dei guardiani della Rivoluzione iraniana (Irgc), nel quadro di un’operazione di contrasto al riciclaggio di denaro. Lo ha annunciato, ieri, il ministro della Difesa di Israele, Yoav Gallant, secondo quanto riferisce il quotidiano israeliano “Jerusalem Post”. Gallant ha spiegato che “qualche giorno fa si è conclusa una vasta operazione senza precedenti, volta a svelare l’asse del finanziamento del terrorismo attraverso monete digitali”. “Per la prima volta è stata smantellata un’infrastruttura economica di tale portata di Hezbollah e della Forza Quds, che aveva l’obiettivo di trasferire milioni di dollari a terroristi”, ha aggiunto Gallant. “In quanto ministro della Difesa, ho emesso un decreto che autorizza l’accesso a questi fondi, la loro confisca e il loro trasferimento nelle casse dello Stato di Israele”, ha concluso.

(Nova News, 28 giugno 2023)

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Israele: preoccupa il futuro del settore hi-tech. Lo dice l’Israel Innovation Authority

di Giovanni Panzeri

 
 
 
I dati riportati nel report annuale dell’Israel Innovation Authority , il ramo del governo israeliano incaricato di dirigere lo sviluppo della ricerca e dell’industria tecnologica, descrivono il deciso calo dei finanziamenti dell’industria high tech, oltre il 70% in meno rispetto al 2022.-
  Una crisi prolungata potrebbe rendere necessario l’intervento del governo nel salvare un settore particolarmente sensibile alla psicologia dei mercati, essendo finanziato quasi interamente da privati.-
  Un settore, del resto, particolarmente importante per Israele visto che, nel corso dell’ultima decade, è diventato la punta di diamante della sua economia, costituendo il 18% del prodotto interno lordo e impiegando, direttamente o indirettamente, il 14% della forza lavoro salariata.-
  Il trend di declino è iniziato nella seconda parte del 2022, nel contesto di una generale recessione dei mercati globali causata dalla guerra in Ucraina e dal conseguente aumento dell’inflazione.-
  Tuttavia, mentre diversi mercati danno segni di ripresa, i primi dati del 2023 sembrano indicare un prolungamento della crisi dell’industria israeliana, forse causato dalla seria fase di tensioni interne e dalle preoccupazioni suscitate nel settore dal tentativo di riforma giudiziaria.-
  “Le tensioni globali degli ultimi 18 mesi, tra cui la guerra in Europa e le tensioni tra Cina e Stati Uniti, hanno causato cambiamenti radicali che hanno portato a un calo netto dei finanziatori disposti a fare investimenti ad alto rischio” spiega al Times of Israel Dror Bin, CEO dell’Israel Innovation Authority “e la situazione politica d’Israele non fa altro che aumentare le incertezze di imprenditori e investitori. Speriamo che questo periodo di instabilità politica passi presto, perché la situazione non è buona.”-
  Il report descrive inoltre il licenziamento di migliaia di dipendenti del settore, quasi 6000 dall’inizio dell’anno, e la netta diminuzione di posti di lavoro disponibili sottolineando come tutto ciò porterebbe a “un calo delle imposte sul reddito e ad una minore disponibilità da parte delle imprese high tech di spendere per servizi aggiuntivi. Il che porterà a sua volta ad un ulteriore calo di posti di lavoro disponibili e a tagli al personale delle aziende”.
  Il report tratta poi di altre problematiche, sottolineando lo scarso impiego di personale femminile nel settore, solo un terzo, il lento progresso nel tentativo di coinvolgere le comunità Arabe e Ultra Ortodosse, e il grosso divario tra il salario dei dipendenti dell’industria high tech e quello di chi lavora in altri settori.-
  Evidenzia infine le opportunità  rappresentate rispettivamente dall’introduzione della Generative AI e dallo sviluppo di tecnologie dedicate a cercare di limitare gli effetti della crisi climatica.-
  L’Israel Innovation Authority conclude il report raccomandando al governo la necessità di trovare nuovi mercati in cui esportare le conoscenze israeliane nel settore, di cercare di espandere l’industria high tech anche al di fuori dei principali centri urbani del paese coinvolgendo i gruppi meno rappresentati e, infine di avere un ruolo più attivo nell’incentivare gli imprenditori a creare start up.-
  “Il mondo per come lo conosciamo sta per essere radicalmente trasformato in tre grandi settori: la Generative AI, l’informatica e la comunicazione quantistica e l’innovazione nel campo della tecnologia climatica” spiega la presidente dell’Israel Innovation Authority, Ami Appelbaum, “ non possiamo permetterci di rimanere indietro, in nessuna di queste aree: è un periodo di profonda crisi politica e sociale ma, se agiremo con saggezza, anche di grandi opportunità”.

(Bet Magazine Mosaico, 28 giugno 2023)

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Israele e Marocco uniti per l'emergenza climatica

di Michelle Zarfati

Israele e Marocco uniti per un unico obiettivo: l’emergenza climatica. I due stati hanno pianificato infatti la firma di un memorandum d'intesa nei settori della protezione ambientale e del cambiamento climatico a seguito di una visita del ministro della protezione ambientale Idit Silman questo fine settimana a Rabat. Silman ha incontrato la sua controparte marocchina, il ministro della transizione energetica e dello sviluppo sostenibile Leila Benali per discutere le sfide ambientali condivise.
  L'accordo includerà un quadro per la cooperazione tra istituti di ricerca, imprenditori ed enti pubblici e privati nel campo dell'ambiente di entrambe le parti, ha condiviso il ministero della protezione ambientale in una nota. "Il rafforzamento delle relazioni tra i governi nel settore della protezione ambientale aggiungerà un altro livello della profonda connessione tra il popolo marocchino e quello israeliano", ha detto Silman, i cui genitori sono emigrati dal Marocco in Israele.
  "Marocco e Israele hanno sfide simili nel campo della gestione dei rifiuti, delle energie rinnovabili, della conservazione dell'ambiente marino e costiero e altro ancora, credo fermamente che creare un linguaggio professionale comune per quanto riguarda le questioni climatiche e della sostenibilità sia un obiettivo importante". La visita di Silman è la prima visita ufficiale di un ministro della protezione ambientale dalla firma degli accordi di Abramo. Tra gli argomenti discussi vi sono stati il cambiamento climatico, la conservazione della biodiversità e degli ecosistemi marini, la gestione dell'acqua e le questioni di desalinizzazione, la qualità dell'aria e la tecnologia e l'innovazione ambientale. Alla riunione erano presenti anche i direttori generali dei rispettivi ministeri e l'ambasciatore israeliano in Marocco. Silman ha concluso il meeting invitando Benali a visitare Israele quanto prima.

(Shalom, 28 giugno 2023)

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Commento alla Dichiarazione d’intenti per la lotta contro l’antisemitismo nel calcio

di Emanuele Calò

La dichiarazione  d’intenti di ieri per la lotta contro l’antisemitismo nel calcio assume una particolare valenza perché si discosta nettamente da una prassi ultra trentennale (posso rammentarlo perché ne scrissi sul Corriere dello Sport) fatta di strette di mano e pacche sulle spalle, seguite dal nulla. Un nulla sonoro quasi quanto i cori antisemiti, dove la parola ebreo diventa un insulto. Questa non è una novità: ogni volta che si scrive “di origine ebraica” riferendosi a un ebreo, lo si fa perché la parola “ebreo” è ritenuta offensiva.  Se per gente colta e preparata la parola “ebreo” è offensiva, perché meravigliarsi che la si usi nello sport per screditare l’avversario? Colpisce che siano dei cristiani a farlo, a meno che abbiano rimosso l’ebraismo di Gesù.
  Questa, però, è la volta buona, perché questa dichiarazione, anzitutto, è fatta da istanze non ebraiche, e questo vuol dire che l’antisemitismo talvolta non è sentito come un problema degli ebrei ma di chi non è ebreo. Mi rendo conto che è un ragionamento complesso (in Italia l’ha fatto Elena Loewenthal) ma questo va a merito di Giuseppe Pecoraro, subentrato a Milena Santerini come Coordinatore per la lotta all’antisemitismo.
  Nella dichiarazione d’intenti troviamo delle istruzioni precise, così come precisi sono i richiami normativi, con una precisazione che faremo appresso. In effetti, si prevede (ancorché col rinvio a un disciplinare) l’interruzione delle partite quando ‘partono’ i cori offensivi. Sennonché, l’art. 62 delle Norme Organizzative Interne F.I.G.C. già lo prevede:

  1. Prima dell’inizio della gara, il responsabile dell’ordine pubblico dello stadio, designato dal Ministero, anche su segnalazione dei Collaboratori della Procura federale, o, in loro assenza, del Delegato di Lega,ove rilevi uno o più striscioni esposti dai tifosi, cori, grida ed ogni altra manifestazione discriminatoria di cui al comma 3) costituenti fatto grave, ordina all’arbitro, anche per il tramite del quarto ufficiale di gara o dell’assistente dell’arbitro, di non iniziare la gara. In caso di assenza delle predette figure, il provvedimento viene assunto dall’arbitro.
  2. Il pubblico dovrà essere informato con l’impianto di amplificazione sonora od altro mezzo adeguato, sui motivi del mancato inizio e verrà immediatamente invitato a rimuovere lo striscione e/o a interrompere cori, grida ed ogni altra manifestazione discriminatoria di cui al comma 3) che hanno causato il provvedimento. L’arbitro darà inizio alla gara solo su ordine del responsabile dell’ordine pubblico dello stadio, designato dal Ministero dell’Interno o, in sua assenza, il provvedimento viene assunto dall’arbitro.
  3. Nel corso della gara, ove intervengano per la prima volta i fatti di cui al comma 6), l’arbitro, anche su segnalazione del responsabile dell’ordine pubblico dello stadio, designato dal Ministero dell’Interno o dei Collaboratori della Procura federale e, in assenza di quest’ultimi, del Delegato di Lega, dispone la interruzione temporanea della gara.
  4. L’arbitro comunica la interruzione temporanea della gara ai calciatori, i quali dovranno rimanere al centro del campo insieme agli ufficiali di gara. Il pubblico dovrà contemporaneamente essere informato con l’impianto di amplificazione sonora od altro mezzo adeguato, sui motivi che hanno determinato il provvedimento e verrà immediatamente invitato a rimuovere lo striscione e/o a interrompere cori, grida ed ogni altra manifestazione discriminatoria di cui al comma 3).
  5. Nel caso di prolungamento della interruzione temporanea, in considerazione delle condizioni climatiche ed ambientali, l’arbitro potrà insindacabilmente ordinare alle squadre di rientrare negli spogliatoi. La ripresa della gara potrà essere disposta esclusivamente dal responsabile dell’ordine pubblico di cui al comma 6) o, in sua assenza, dall’arbitro.
  6. Qualora il gioco riprenda dopo la interruzione temporanea di cui al comma 8 e si verifichino altri fatti previsti dal comma 6), il responsabile dell’ordine pubblico dello stadio, designato dal Ministero dell’Interno, anche su segnalazione dei Collaboratori della Procura federale e, in assenza di quest’ultimi, del Delegato di Lega, può ordinare all’arbitro, anche per il tramite del quarto ufficiale di gara o dell’assistente dell’arbitro, di sospendere la gara. In caso di assenza delle predette figure, il provvedimento viene assunto dall’arbitro.
  7. L’arbitro comunica la sospensione della gara ai calciatori, i quali dovranno rimanere al centro del campo insieme agli ufficiali di gara. Il pubblico dovrà contemporaneamente essere informato con l’impianto di amplificazione sonora od altro mezzo adeguato, sui motivi che hanno determinato il provvedimento e verrà immediatamente invitato a rimuovere lo striscione e/o a interrompere cori, grida ed ogni altra manifestazione discriminatoria di cui al comma 3).
  8. Nel caso di prolungamento della sospensione disposta dal responsabile dell’ordine pubblico dello stadio di cui al comma 6), in considerazione delle condizioni climatiche ed ambientali, l’arbitro potrà insindacabilmente ordinare alle squadre di rientrare negli spogliatoi. La ripresa della  gara potrà essere disposta esclusivamente dal responsabile dell’ordine pubblico di cui al comma 6) o, in sua assenza, dall’arbitro.
  9. Il non inizio, l’interruzione temporanea e la sospensione della gara non potranno prolungarsi oltre i 45 minuti, trascorsi i quali l’arbitro dichiarerà chiusa la gara, riferendo nel proprio rapporto i fatti verificatisi, e gli Organi di Giustizia Sportiva adotteranno le sanzioni previste dall’art. 10 del Codice di Giustizia Sportiva, ferma restando l’applicazione delle altre sanzioni previste dal codice di giustizia sportiva per tali fatti.

Cosa avrebbero potuto fare gli autori della Dichiarazione d’intenti? Chiedere che fossero attuate le norme sopra richiamate avrebbe potuto rinviare alle trattazioni sul principio di effettività della norma, con una dotta citazione di Hans Kelsen? Asserire che le previsioni normative sono state ignorate chiedendo le dimissioni dei responsabili? Io scrivo comodamente e non mi pongo i problemi pratici, il Prefetto Pecoraro sì, e per me non solo ha ragione, ma merita pure un plauso incondizionato. Tuttavia, quando udirò i cori antisemiti, rischio che lo steward, con sfoggio di cultura grazie ai phd ricevuti presso l’Ivy League, mi dica di attendere il disciplinare? Allora, diciamo:

  1. che il disciplinare  va fatto subito, magari, per sopperire a qualche buco/voragine, richiamandosi (come espediente per uscirne) al citato art. 62 e quindi affinandolo;
  2. che il rinvio va fatto all’intera definizione IHRA di antisemitismo, laddove il termine “intera” dovrebbe essere fatto tenendo a mente i soliti furbi, che potrebbero sorvolare sugli esempi, ovvero, il Vittorio Gassmann de “I soliti ignoti“, dove recita una cronaca giornalistica per far finta di essere stato allo stadio. Intera vuol dire: con gli esempi, altrimenti avremmo sostituito “un trou avec un autre“, e non mi dite che il francese non nobilita.
(Osservatorio di Enzo Sereni, 28 giugno 2023)

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Israele: riforma giudiziaria, la protesta si inasprisce

Dimostranti bloccano ministro Giustizia Levin a casa per 3 ore

TEL AVIV - Si inasprisce in Israele la protesta contro la riforma giudiziaria elaborata dal governo Netanyahu dopo che domenica alla Knesset sono riprese le consultazioni per il varo in tempi serrati di una sua prima parte.
  Stamane gruppi di dimostranti si sono raccolti a Modiin (ed est di Tel Aviv) vicino al condominio dove risiede il vicepremier e ministro della Giustizia Yariv Levin e hanno bloccato l'ingresso.
  Secondo i media hanno anche dato fuoco a pneumatici. Levin ha poi scritto su Facebook di essere rimasto bloccato in casa per circa 3 ore e ha accusato la polizia di essere intervenuta con grande ritardo. La radio pubblica Kan ha riferito di testimonianze secondo le quali gli agenti avrebbero fatto ricorso a gas lacrimogeni per disperdere i dimostranti, sette dei quali sono stati fermati.
  Altri incidenti sono avvenuti la scorsa notte vicino ad un commissariato di polizia a Petach Tikwa (presso Tel Aviv) dopo il fermo di uno degli organizzatori delle proteste. Si è organizzata una protesta che è stata disturbata da sostenitori della riforma. Uno di questi ha urtato con la sua automobile una dimostrante che si trovava su una sedie a rotelle. Un altro ha estratto minacciosamente una pistola. La polizia ha avviato accertamenti.

(ANSAmed, 27 giugno 2023)

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Fare del male a persone innocenti "non è il nostro linguaggio", dice un importante rabbino religioso-sionista

Il rabbino Yaakov Medan, anziano educatore dell'insediamento di Alon Shvut, condanna la recente violenza degli estremisti ebrei, che secondo lui è stata provocata dall'ondata di attentati terroristici.

di Jeremy Sharon

Rabbi Yaakov Medan
Il rabbino Yaakov Medan, figura di spicco della comunità religioso-sionista, ha condannato i recenti disordini e attacchi contro villaggi palestinesi da parte di estremisti ebrei, definendo tale comportamento "illegittimo". Medan, decano della prestigiosa Har Etzion Yeshiva nell'insediamento di Alon Shvut, in Cisgiordania, ha affermato che tali attacchi "non rientrano nella nostra lingua o nei nostri valori" e ha condannato in particolare la distruzione di libri, che sembra siano copie del Corano, avvenuta nel villaggio palestinese di Urif alcuni giorni fa. Il rabbino ha aggiunto che i disordini ebraici distolgono anche l'attenzione e le risorse dei servizi di sicurezza dall'affrontare il terrorismo palestinese e dovrebbero quindi cessare immediatamente.
  Nell'ultima settimana, estremisti ebrei hanno attaccato diversi villaggi palestinesi nel nord della Cisgiordania, incendiando case, veicoli e campi agricoli e, in alcuni casi, sparando ai residenti con fucili d'assalto, anche a Turmus Ayya, Urif e Umm Safa.
  Questi incidenti hanno seguito l'attacco terroristico fuori dall'insediamento di Eli, in cui quattro israeliani sono stati uccisi quando due uomini armati palestinesi hanno aperto il fuoco su persone che stavano mangiando in un ristorante vicino a una stazione di servizio.
  I disordini sono stati condannati dai politici, compresi alcuni della coalizione di destra, ma non c'è stata una chiara condanna da parte dei leader degli insediamenti o delle figure religiose.
  La Yeshiva di Har Etzion è stata considerata un'istituzione relativamente moderata, dal punto di vista politico e religioso, grazie alle prospettive dei suoi fondatori, anche se lo stesso Medan ha forti opinioni di destra, si è opposto agli accordi di Oslo e ha appoggiato partiti di destra.
  "Dobbiamo fare tutto, ma proprio tutto, per fermare questi disordini", ha dichiarato Medan al Times of Israel.
  "Non facciamo del male a chi ha la presunzione di innocenza. Attacchiamo solo gli assassini e coloro che li aiutano, e questo viene fatto dallo Stato di Israele e dalle forze di sicurezza, e non da ogni persona in modo privato", ha detto. "Entrare nei villaggi arabi, bruciare le case, le auto, i campi deve essere totalmente denunciato, perché non fa parte del nostro linguaggio danneggiare la proprietà di persone che hanno la presunzione di innocenza".
  Medan ha notato che Michal Shir, deputato di Yesh Atid, ha minacciato domenica in un'udienza del comitato della Knesset che gli oppositori al programma di revisione giudiziaria del governo avrebbero "incendiato le strade" se fossero state approvate leggi che danneggiano la democrazia israeliana.
  "Il linguaggio di Michal Shir e dei suoi sostenitori da un lato, e di coloro che appiccano incendi nei villaggi arabi dall'altro, non è il linguaggio delle persone della Torah, di coloro che amano Dio e di coloro che amano la terra", ha dichiarato. Il rabbino ha anche affrontato l'incidente di mercoledì, in cui un rivoltoso mascherato a Urif è stato visto strappare pagine di quello che si diceva essere un Corano e spargerle per la strada.
  "Dobbiamo denunciare totalmente coloro che denigrano e bruciano i libri sacri, come abbiamo visto fare da chi ha distrutto un Corano", ha detto Medan.
  Ma ha anche detto che fermare le rivolte ebraiche è importante per non ostacolare il lavoro dell'esercito e dei servizi di sicurezza.
  "Dobbiamo fare tutto il possibile per sostenere i servizi di sicurezza ed essere al loro fianco nel loro sforzo di sradicare i terroristi e i loro sostenitori, e questa è la nostra unica missione in questo momento: sostenerli e non fare cose che li ostacolino", ha detto il rabbino, sottolineando che l'IDF e gli altri servizi di sicurezza sono costretti a dedicare risorse significative per contrastare la minaccia della violenza estremista ebraica.
  Alla domanda sul perché questi incidenti si siano intensificati e siano aumentati di gravità negli ultimi mesi, Medan ha detto di ritenere che queste azioni derivano dal fatto che alcuni abitanti degli insediamenti sono rimasti scioccati dai recenti attacchi terroristici e da quello che hanno detto essere il loro disappunto per il modo in cui le forze di sicurezza sono "rimaste indietro" rispetto alla situazione della sicurezza sul campo.
  "Non si possono scindere questi eventi dal disagio di cui soffre la gente, dovuto al fatto che negli ultimi sei mesi 28 persone sono state uccise in attacchi terroristici e molte altre ferite, alcune delle quali in modo irreversibile", ha affermato.
  "È anche impossibile separarlo dal fatto che i manifestanti di sinistra bloccano le strade e fanno disordini a loro piacimento con la copertura della polizia e nessuno osa fare loro nulla", ha detto riferendosi alle proteste contro il programma di revisione giudiziaria del governo. "Ma questo modo di fare è illegittimo e dobbiamo fermarlo a tutti i costi".

(The Times of Israel, 27 giugno 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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“Due paesi con cui Israele non ha legami dovrebbero partecipare al forum del Negev” (Eli Cohen)

Eli Cohen
Rinviata la seconda edizione del “Negev Forum”, che si sarebbe dovuto svolgere in Marocco a metà luglio. Il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen ha affermato che due paesi che non hanno rapporti diplomatici con Gerusalemme parteciperanno al Forum del Negev del mese prossimo, che il Marocco, paese ospitante, ha rinviato a causa dell’espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania e della violenza anti-palestinese da parte degli estremisti.
  Il signor Cohen si aspetta che entrambi i paesi – di cui non fa il nome – siano presenti quando il forum si terrà finalmente, potenzialmente a settembre. “Sono felice di poter dire che siamo in contatto con un certo numero di paesi con i quali non abbiamo ancora legami, al fine di estendere gli accordi di Abramo”, ha detto alla commissione per gli affari esteri e difesa della Knesset, riferendosi a Stati Uniti- accordi di normalizzazione sostenuti.
  Questo forum è stato creato nel 2022 per promuovere la cooperazione multilaterale in settori quali salute, economia, cambiamento climatico, acqua e sicurezza.
  Il ministro degli Esteri marocchino Nasser Bourita ha comunque auspicato che il Forum del Negev “possa svolgersi all’inizio dell’anno scolastico qui in Marocco” in un contesto più “favorevole”, senza precisare una data.

(dayFRitalian, 27 giugno 2023)

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Viaggiare in USA senza visto

Sessantacinque senatori incitano Blinken ad estendere l’esenzione a Israele

di David Fiorentini

“Scriviamo per esprimere il nostro sostegno agli sforzi per includere Israele nel Programma di Esenzione dal Visto (VWP) e per incoraggiare sia il Dipartimento di Stato che il Dipartimento della Sicurezza Interna a dare priorità al completamento dell’adesione di Israele entro quest’anno.” Così esordisce la lettera firmata da 65 senatori statunitensi, annunciando la loro risoluzione di rafforzare i legami tra Israele e gli Stati Uniti.
  “Circa 450000 israeliani viaggiano annualmente verso gli USA, e tale numero aumenta ogni anno. Con 93 voli diretti settimanali da Israele agli aeroporti americani, c’è già una significativa domanda di viaggi. Pertanto, la partecipazione di Israele al VWP aumenterebbe notevolmente le potenzialità sia per il turismo che per i viaggi d’affari.” continua il comunicato bipartisan.
  Questo ampliamento consentirebbe ai cittadini israeliani di essere esenti dall’obbligo di richiedere un visto di viaggio per visite fino a 90 giorni.
  “Israele è un alleato chiave degli Stati Uniti e un partner commerciale. L’esonero del requisito di visto per gli israeliani che visitano l’America riflette questi solidi legami e approfondirà le relazioni bilaterali, a beneficio reciproco di entrambi i paesi”, ha dichiarato l’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC), applaudendo l’iniziativa di Capitol Hill.
  Entrando nel merito della questione, negli ultimi anni Israele ha compiuto due passi significativi per poter accedere al tanto ambito Programma di Esenzione dal Visto (VWP). In primis, si è ridotto sensibilmente il tasso di rifiuto dei visti, ossia la percentuale di viaggiatori verso gli USA cui viene negato l’ingresso a causa di timori di abuso del visto, come il prolungamento illecito del soggiorno o la ricerca di occupazione illegale, il quale è sceso al di sotto della soglia del 3%. In secondo luogo, il governo israeliano ha introdotto nuove misure volte ad agevolare la condivisione di intelligence con gli altri paesi membri del programma.
  Tuttavia, la questione della reciprocità rappresenta ancora un ostacolo significativo. Affinché Israele possa beneficiare dell’esenzione dal visto, questa deve applicarsi a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro origine etnica o religiosa. Al momento, Israele richiede permessi speciali per gli americani che detengono documenti di identità palestinesi, creando una disparità che solleva preoccupazioni. Di conseguenza, diversi esponenti del Partito Democratico si sono uniti a gruppi arabo-americani nel richiedere che l’ingresso di Israele nel programma sia vincolato all’eliminazione delle restrizioni imposte ai cittadini americani di origine palestinese.
  Questa condizione rappresenta un punto cruciale visto che allo stesso tempo deve tenere conto delle particolari condizioni geopolitiche regionali che rendono inevitabili certe normative per garantire la sicurezza nazionale.

(Bet Magazine Mosaico, 27 giugno 2023)

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Altre migliaia di fucili d’assalto Micro Tavor per le Forze Armate Israeliane

IWI Micro Tavor
Il Ministero della Difesa di Israele ha comunicato di aver in corso l’acquisto di migliaia di fucili d’assalto Micro Tavor per l’IDF.
  Infatti, l’ufficio responsabile dell’approvvigionamento del Ministero della Difesa d’Israele acquisterà 2.800 fucili Micro Tavor prodotti dalla società israeliana Israel Weapons Works (IWI) dal gruppo SK, per circa 10,5 milioni di NIS.
  Le nuove armi saranno fornite in via prioritaria alle Brigate di Fanteria, Nahal, Golani e Givati.
  Il micro fucile Tabor, al servizio della formazione di combattimento regolare e di riserva dell’IDF dal 2006, è un fucile d’assalto sulla piattaforma bullpup (in cui la cartuccia si trova dietro il meccanismo di scatto); trattasi di un’arma ergonomica e corta in grado di fornire una grande precisione e consente al soldato di mantenere un alto livello di fuoco e di precisione di tiro in un’area urbana senza rivelarsi.
  Nei prossimi mesi IWI allestirà i fucili oggetto di questo ordine nel nuovo stabilimento in fase di completamento a Kiryat Gat.
  Il Micro Tavor (IWI X95) è la versione 5,56×45 mm del Tavor camerato in 7,62×51 mm; oltre il 5,56×45 mm l’arma è disponibile in 5,45×39 mm e 9×19 mm.
  L’arma può essere dotata di vari tipi di mirini per operazioni diurne e notturne, puntatori laser, torce e lanciagranate da 40×46 mm.
  Il Micro Tavor in 5,56×45 mm è disponibile con canna da 16,5″ (419 mm) o da 15″ (330 mm), raggiunge una lunghezza totale di 670 mm con la canna da 16,5″, ha un peso di 3,3-3,4 kg (solo l’arma) ed è in grado di sostenere un rateo di fuoco di 750-950 colpi al minuto.

(Ares Osservatorio Difesa, 27 giugno 2023)

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"Hava Nagila" ritorna in voga come inno ebraico

di Michelle Zarfati

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Dalle località di villeggiatura ebraiche ai vivaci locali notturni: l'indimenticabile interpretazione di "Hava Nagila" di Harry Belafonte continua ad affascinare il pubblico di tutto il mondo e innesca una rinascita culturale in un'era di crescente antisemitismo. Nell'autobiografia pubblicata da Harry Belafonte nel 2011, il musicista americano ha rivelato che suo nonno paterno era un ebreo olandese, e forse proprio questo ha intensificato il suo legame con l'ebraismo. Belafonte si è infatti esibito in pezzi scritti da ebrei, spesso eseguiti in luoghi di villeggiatura ebraici come nelle Catskill. Sembra infatti che grazie a lui "Hava Naghila" sia divenuto un punto fermo nella playlist di ogni DJ.
  La canzone di Belafonte ha trovato la sua strada nel mainstream americano dopo che gli influencer l'hanno ascoltata e utilizzata in luoghi di vacanza e feste. "Diamo ai nostri DJ un elenco di canzoni che vorremmo inserire nel loro set, e questa è una delle più gettonate", ha detto Kylie Monagan, una delle proprietarie di Calissa, un ristorante greco a Water Mill, NY, che ospita grandi DJ e artisti come Samantha Ronson e Wyclef Jean.
  "Abbiamo fatto delle ricerche viaggiando nel Mediterraneo, e abbiamo notato che moltissimi club e ristoranti suonavano questa canzone, l'abbiamo amata", ha detto in un'intervista al New York Times. La canzone è stata scritta nel 1918 da Abraham Zvi Idelsohn, un compositore che credeva che il popolo ebraico avesse bisogno di nuova musica in un momento in cui il sionismo e la spinta per una patria ebraica stavano guadagnando forza. La canzone è ispirata alle preghiere ebraiche ed è stata combinata con le melodie chassidiche.

(Shalom, 27 giugno 2023)

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L’antisemitismo e l’approccio (scarso) dei media italiani. Parla Noemi Di Segni

L’antisemitismo e l’approccio (scarso) dei media italiani. Parla Di Segni di Antisemitismo, anti-giudaismo e ostilità diffusa verso Israele. Il quadro dell’informazione italiana tratteggiato dalla presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha tinte piuttosto fosche. In generale, nella parte strutturata del giornalismo italiano emerge un orientamento ideologico.

di Federico Di Bisceglie

L’informazione nei media italiani resta intrisa di antisemitismo, declinato nelle diverse formule. Per non parlare delle imprecisioni e delle (colpevoli) omissioni di chi approccia in modo ideologico e a senso unico il conflitto israelo-palestinese. Il tutto condito da una serie di imprecisioni, anche terminologiche oltre che concettuali, da far rabbrividire. Tutto questo porta a dire che ci sia ancora “tantissimo lavoro da fare” per riuscire a ottenere un’informazione che affronti le questioni legate in particolare a Israele, ma più in generale all’antisemitismo e all’antigiudaismo.
  Questo è il quadro – ben poco lusinghiero – tratteggiato da Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in una conversazione con Formiche.net a seguito dell’evento “85 anni dalle leggi razziali: lotta all’antisemitismo nei media italiani. Seminario per giornalisti”, organizzato dall’Ambasciata d’Israele in Italia nei giorni scorsi.

- Presidente Di Segni, che cosa rende l’informazione italiana così lacunosa e talvolta dannosa nell’affrontare i problemi legati all’antisemitismo e a Israele?
  Ci sono due piani. Il primo è quello legato alla chiarezza terminologica, che spesso manca nell’affrontare certe questioni. Prima di tutto occorrerebbe far luce su cosa in effetti significhi antisemitismo e anti-giudaismo. Dunque innanzitutto penso che il primo problema sia la scarsa capacità di classificare e riconoscere questi fenomeni. Il secondo piano di discussione è quello legato a Israele.

- Ecco, ciò che accade in Israele è spesso viziato da un orientamento ideologico ostile allo Stato Ebraico, in particolare nella narrazione del conflitto israelo-palestinese. 
  Sì e su questo mi preme sottolineare un concetto: chi mette in discussione la legittimità dell’esistenza dello Stato d’Israele è un antisemita. Non esiste una distinzione tra chi è anti-israeliano e antisemita. Israele rappresenta la nostra terra, la nostra storia, la nostra tradizione. Israele è l’ebraismo e viceversa.

- Come valuta l’atteggiamento dei giornalisti italiani su queste tematiche?
  Molti giornalisti scelgono di raccontare in maniera distorta ciò che accade in Israele, deformando la realtà. Oppure, c’è chi decide di omettere certi particolari o certe circostanze che invece sarebbero fondamentali per inquadrare i fenomeni nella loro complessità. C’è, insomma, un approccio selettivo al tema israeliano, figlio di una relativizzazione assoluta e abbastanza trasversale. Chi è ostile a Israele lo può sbandierare ai quattro venti, mentre chi ne prende le parti deve sempre avere qualche forma di scrupolo. Per non parlare dell’informazione disintermediata: Internet e i social in questo senso sono diventati i megafoni delle peggio nefandezze, in particolare contro Israele.

- Riscontra una matrice politica nell’approccio relativistico nei confronti di Israele?
  Ritengo sia un modus operandi fuorviante e profondamente sbagliato, abbastanza diffuso purtroppo. Nella parte giornalistica italiana strutturata, riscontro un totale appiattimento in favore della causa palestinese, senza che però tutto ciò che accade – molto complesso – venga sviscerato in maniera oggettiva. Tanto per intenderci: non basta copiare ciò che scrive Haaretz per comprendere la complessità di ciò che accade in Eretz Israel.

- Come è percepita l’informazione italiana in Israele?
  Molto negativamente. C’è la giusta convinzione che, per lo più, le informazioni non tratteggino la realtà per come è ma che sia un’informazione sostanzialmente distorta. Ed è per questo che, come Ucei, abbiamo organizzato un corso di formazione per giornalisti proprio per tentare di invertire questa rotta.

(Formiche.net, 26 giugno 2023)

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Benjamin Netanyahu: "Abbiamo bisogno dell'Autorità palestinese"

"Lavora bene dove può, il che è vantaggioso per noi. Non è quindi nel nostro interesse che crolli".

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato che il suo governo è pronto per il "dopo Mahmud Abbas", il presidente dell'Autorità Palestinese, che sarebbe malato e molto debole. Ha inoltre sottolineato l'importanza di moderare l'aspirazione dei palestinesi ad avere uno Stato indipendente. Netanyahu ha rilasciato queste dichiarazioni durante una riunione a porte chiuse del Comitato per gli Affari Esteri e la Difesa, secondo quanto riportato dall'emittente pubblica Kan.
  "Siamo pronti per il dopo Abu Mazen (il nome di guerra di Mahmoud Abbas). Abbiamo bisogno dell'Autorità palestinese, non possiamo permettere che collassi", ha dichiarato Benjamin Netanyahu ai membri della commissione sulle relazioni di Israele con l'Autorità palestinese.
  "Siamo pronti ad aiutare finanziariamente l'Autorità Palestinese perché abbiamo interesse che continui a funzionare. Lavora efficacemente dove può, il che è vantaggioso per noi. Quindi non è nel nostro interesse che crolli", ha aggiunto il Primo Ministro israeliano.
  Riguardo all'ambizione dei palestinesi di avere uno Stato indipendente, Benjamin Netanyahu ha dichiarato inequivocabilmente: "La loro ambizione di avere uno Stato deve essere repressa".

(i24News, 26 giugno 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Israele convoca l'ambasciatore ucraino per aver condannato il suo atteggiamento nei confronti della Russia

Il ministero degli Esteri israeliano convocherà l'ambasciatore ucraino Yevgeny Kornichuk per esprimere la sua protesta per i commenti da lui espressi in merito alla posizione del Paese ebraico sul conflitto in Ucraina e sui suoi rapporti con la Russia, ha annunciato, ieri, il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen, citato dalla stampa locale.
  Denunciando le dichiarazioni di Kiev, Cohen ha sottolineato che "nonostante la complessità con la Russia, Israele è stato con l'Ucraina dall'inizio della guerra fino ad oggi", sostenendo "pubblicamente" la sua integrità territoriale e la sua sovranità.
  In tal senso, ha sottolineato  che il suo Paese ha inviato aiuti umanitari all'Ucraina "senza precedenti", precisando che il suo valore quest'anno supererà gli 80 milioni di shekel (22 milioni di dollari) dello scorso anno. Ha anche ricordato che un sistema di allerta aerea israeliano è in fase di verifica a Kiev. 
  L'ambasciata ucraina in Israele ha accusato, ieri, il governo del Paese ebraico sul suo account Twitter di aver optato per una "stretta cooperazione" con la Russia, invece di sostenere Kiev fornendole attrezzature militari.
  "Ciò è dimostrato da una serie piuttosto controversa di eventi che hanno avuto luogo nella prima metà del 2023, in coincidenza con la quasi assenza di assistenza umanitaria israeliana all'Ucraina", si legge nella dichiarazione. Tra questi avvenimenti, l'Ambasciata sottolinea “la fallimentare  visita ” del ministro Cohen a Kiev a febbraio, nonché “una serie di interviste” ai media del premier israeliano Benjamin Netanyahu.
  Netanyahu  aveva dichiarato  ai giornalisti questa settimana che alcune delle armi fornite all'Ucraina dall'Occidente  stanno arrivando ai confini del suo paese. Oltre a sottolineare che ci sono preoccupazioni che se Tel Aviv consegnasse sistemi di difesa a Kiev, potrebbero "cadere nelle mani dell'Iran" e successivamente essere usati contro Israele.

• Kiev: "inerzia" e "demagogia verbale" 
  Secondo la legazione ucraina, "tutte le dichiarazioni rilevanti" fatte da Netanyahu erano volte a " giustificare la completa inerzia" di Tel Aviv nel fornire armi a Kiev. "Inizialmente, gli argomenti si sono concentrati sulle relazioni speciali di Israele con la Russia in Siria", ma ultimamente "sono state introdotte ipotesi completamente fittizie e speculative ", ha affermato.
  L'Ambasciata rimprovera al governo israeliano di aver "condotto con successo due tornate di trattative politiche ad alto livello" con la Russia negli ultimi mesi. Si rammarica inoltre di non aver aderito alle sanzioni antirusse imposte dai Paesi "democratici" dell’Occidente, e di aver anzi incrementato gli scambi bilaterali con Mosca.
  Tutti questi fattori mostrano che la "neutralità" di Israele non è altro che "demagogia verbale” per nascondere la "chiara posizione filo-russa" che ha assunto, ha proseguito. Tuttavia, ha esortato il governo israeliano a mettersi dalla "parte giusta della storia" e fornire armi all'Ucraina.

(l'AntiDiplomatico, 26 giugno 2023)

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"Un posto sotto questo cielo" (Longanesi) di Daniele Scalise

di Michelle Zarfati

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Siamo a Bologna, è il 23 giugno 1858 e due guardie pontificie si presentano alla porta della famiglia Mortara. Hanno un mandato della Santa Inquisizione: Momolo e Marianna Mortara dovranno consegnare loro il piccolo Edgardo. Le guardie affermano che anni prima il bambino è stato battezzato dalla domestica, pertanto non è ritenuto ebreo e hanno l’ordine di portarlo via. Così la vita della famiglia Mortara viene completamente spezzata. I genitori non accettano questa situazione inizialmente, chiedono spiegazioni e aiuto. Ma purtroppo non c'è nulla da fare, sono costretti a lasciare andare loro figlio, un bambino di soli sette anni.
  Questa vicenda, che si inserisce nel doloroso capitolo delle conversioni forzate a cui gli ebrei sono stati costretti per secoli, finisce per destare scalpore in un’opinione pubblica che si stava evolvendo verso la società liberale; tuttavia, anche questo nuovo contesto non smuove il papa Pio IX, che resta irremovibile: il piccolo Edgardo appartiene alla Chiesa. Queste sono le vicende, realmente accadute, che ci racconta Daniele Scalise nel suo romanzo "Un posto sotto questo cielo", una narrazione vibrante e toccante di una complessa pagina di Storia.

(Shalom, 26 giugno 2023)
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Il caso Mortara

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Israele dichiara di aver sventato un attacco iraniano contro gli israeliani a Cipro

Il governo israeliano ha confermato domenica che è stato sventato un complotto iraniano per compiere un attacco contro gli israeliani a Cipro.
  L'ufficio del Primo Ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha rilasciato una dichiarazione in cui ha espresso soddisfazione per il fatto che "l'attacco pianificato contro obiettivi israeliani" è stato impedito, aggiungendo che lo Stato ebraico "utilizza un'ampia varietà di metodi in tutto il mondo per proteggere gli ebrei e gli israeliani e continuerà ad agire per minare il terrorismo iraniano ovunque esso emerga".
  Secondo i media ciprioti, un attacco del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche iraniane (IRGC) contro israeliani ed ebrei a Cipro è stato sventato grazie al coordinamento tra le agenzie di sicurezza cipriote, statunitensi e israeliane.

(French.CHINA.ORG.CN, 26 giugno 2023)

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Se Israele scomparisse

La fine dello Stato ebraico sarebbe la fine di tutti i problemi, pensano i suoi detrattori. E gli estremisti di Fatah preferiscono il fucile al ramoscello d’ulivo

La morte risolve tutti i problemi – si narra che abbia detto Stalin – Niente uomini, niente problemi’. Oggi un numero significativo di persone influenti sta applicando questa logica al conflitto israelo-palestinese. La formulazione è tanto semplice, quanto efficace e criminale: “Niente Israele, niente più problemi”. Così si apre l’articolo di Clifford May su Israel Hayom.
  “I governanti iraniani proclamano apertamente le loro intenzioni genocide. ‘Non arretreremo di fronte all’annientamento di Israele, nemmeno di un millimetro’, ha promesso il generale Abolfazl Shekarchi, portavoce delle forze armate del regime. Hezbollah e Jihad Islamica Palestinese, i tirapiedi di Teheran, hanno lo stesso obiettivo, così come Hamas, l’organizzazione terroristica che controlla la striscia Gaza (anch’essa generosamente sostenuta dal regime islamista). Abu Mazen, il presidente dell’Autorità Palestinese che governa in Cisgiordania, è più guardingo. Non invoca direttamente l’uccisione degli ebrei israeliani, ma elargisce ricompense economiche ai terroristi palestinesi che uccidono ebrei israeliani, e vitalizi alle loro famiglie.
  “Fatima Mousa Mohammed, la dottoranda chiamata il mese scorso a tenere il discorso ufficiale alla cerimonia delle lauree in Giurisprudenza della City University di New York, ha coperto Israele di calunnie per poi esortare alla ‘lotta contro il capitalismo, il razzismo, l’imperialismo e il sionismo in tutto il mondo’. Sui social network aveva auspicato che ‘ogni sionista bruci nella fossa più rovente dell’inferno’. Tanto per essere chiari: prima della costituzione di Israele nel 1948, sionista era chi sosteneva il diritto all’autodeterminazione degli ebrei in una parte della loro patria storica. Dopo il 1948, sionista è chi difende il diritto di Israele a continuare a esistere. L’antisionismo è ormai diffuso nei campus americani. La signora Mohammed lo esprime in modo rozzo. Altri usano un linguaggio più erudito. Ad esempio, quattro affermati professori – Michael Barnett, Nathan Brown, Marc Lynch e Shibley Telhami – hanno pubblicato un saggio sul numero di maggio/giugno di Foreign Affairs, la prestigiosa rivista del Council on Foreign Relations. La tesi del saggio è stata ben sintetizzata da Elliott Abrams, senior fellow di Studi mediorientali presso il Council on Foreign Relations di Washington, con queste parole: ‘Mentre Israele compie 75 anni, Foreign Affairs pubblica un appello per eliminarlo’. Per raggiungere questo obiettivo, i quattro professori vorrebbero che gli Stati Uniti esercitassero forti pressioni su Israele affinché concedesse la cittadinanza a tutti gli arabi palestinesi di Gaza e Cisgiordania. In questo modo gli ebrei diventerebbero una minoranza all’interno di Israele, costretti verosimilmente a vivere sotto il dominio di Hamas o dell’Autorità Palestinese. Cosa ne sarebbe di loro a quel punto? La questione non sembra minimamente interessare gli autori del saggio.
  “Circa il 20 per cento dei cittadini israeliani sono arabi. Un recente sondaggio dell’Israel Democracy Institute ha rilevato che il 77 per cento di loro ‘si sente parte di Israele e ne condivide i problemi’. Quella percentuale è andata aumentando negli ultimi anni. Israele ha realizzato la piena eguaglianza per tutte le sue minoranze? No. Ma quale paese l’ha mai realizzata? Gli arabi israeliani godono di più diritti e libertà delle minoranze non arabe e non musulmane (e anche delle maggioranze arabe e musulmane) di ognuno degli oltre 20 stati che si definiscono arabi e degli oltre 50 che si definiscono musulmani. Gli arabi israeliani sono medici, infermieri, avvocati, giudici, agenti di polizia, imprenditori, politici. Alcuni prestano servizio volontario nell’esercito israeliano. Questi dati di fatto dovrebbero bastare per chiarire come mai l’accusa a Israele di essere uno ‘stato di apartheid’ è semplicemente ridicola. Ma bisogna tenere conto di un commento fatto da Mohammed El-Kurd, corrispondente della rivista The Nation nonché una delle 100 persone più influenti al mondo secondo la rivista Time. Durante l’ultima Settimana degli scrittori di Adelaide, ha ammesso che lui definisce Israele ‘apartheid’ non perché ritenga che il termine sia esatto, ma perché gli serve per imprimere ‘uno slittamento culturale nel modo in cui le persone approcciano e parlano della Palestina … Finché è in atto un discorso in cui il cattivo è chiaramente raffigurato, penso che vada bene’.
  “Forse per questo stesso motivo, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite e il Consiglio Onu per i diritti umani condannano Israele più di tutti gli altri paesi messi insieme, mentre i regimi che minacciano gli israeliani di genocidio non vengono né denunciati né sanzionati. Al contrario, la settimana scorsa i membri dell’Onu hanno eletto per acclamazione la Repubblica Islamica d’Iran come vicepresidente della 78esima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, nonché a una posizione di leadership nella Commissione dell’Assemblea generale per il disarmo e la sicurezza internazionale. Gran bella vittoria per un regime che persegue un programma illegale di armi nucleari, esporta terrorismo, semina devastazione nei suoi vicini mediorientali e opprime ferocemente la sua stessa popolazione.
  “Sorgono spontanee alcune domande. Perché gli autoproclamati campioni della ‘causa palestinese’ non fanno alcuna pressione su Hamas e Autorità Palestinese affinché garantiscano più diritti e libertà ai palestinesi di Gaza e Cisgiordania? Perché ignorano il fatto che, se cessassero gli attacchi missilistici e gli attentati terroristi da Gaza e Cisgiordania, cesserebbero anche i contrattacchi da Israele? Perché non criticano mai i capi palestinesi per aver rifiutato le proposte di soluzione a due stati del 1937, 1947, 2000, 2001 e 2008, né ricordano che i capi palestinesi continuano a rifiutare anche solo l’ipotesi che uno stato palestinese (che ovviamente si definirebbe arabo e musulmano) possa coesistere accanto a uno stato che si definisce ebraico, anziché sostituire e cancellare lo stato ebraico? ‘Non vogliamo il ramoscello d’ulivo – ha dichiarato di recente un portavoce dell’ala militare di Fatah, la fazione più importante all’interno dell’Autorità Palestinese – Vogliamo il fucile per combattere il nemico di Allah e nostro nemico’. Pensate che costui poserebbe il fucile se gli israeliani si ritirassero dalla Cisgiordania (presa alla Giordania dopo che la Giordania aveva attaccato Israele nel 1967)? La maggior parte degli israeliani non lo pensa, giacché nel 2005 si sono ritirati dalla striscia di Gaza (presa all’Egitto in quella stessa guerra difensiva) nella speranza di favorire un processo di pace, e conoscono fin troppo bene i risultati disastrosi di quell’esperimento.
  “Nel XX secolo coloro che cercavano di eliminare gli ebrei si definivano antisemiti. Nel XXI secolo coloro che cercano di eliminare lo stato ebraico si definiscono ‘paladini della giustizia sociale’, ricercatori e operatori di pace. Ma sono definizioni che non possono più essere prese sul serio”.

Il Foglio, 26 giugno 2023)

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Israele vola verso il record: ora l'obiettivo è di 25 milioni di arrivi

Prima parte dell’anno all’insegna dello sprint per il turismo in Israele. Il Paese, che vede sempre il mercato italiano nella top five degli arrivi, nei primi 5 mesi dell’anno ha fatto registrare un incremento del 4 per cento sul record assoluto e per la fine dell’anno ora si punta a superare i 25 milioni di visitatori.
  Attualmente, si legge su Travelmole, Israele ha già raggiunto quota 9,2 milioni e per giugno si prevede di aggiungere altri 2,2 milioni, per poi arrivare al picco di luglio e settembre.
  La netta crescita è stata favorita dall’aumento dei voli, con l’apertura, per la prima volta, a Marocco, Emirati Arabi e Bahrain. Inoltre sono arrivati nuovi collegamenti su Turchia, Tokyo, Dublino, Nigeria e Cape Town.

(TTGItalia, 26 giugno 2023)

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Spirale di violenza in Cisgiordania

Attacchi terroristici, raid militari e scontri tra coloni e residenti

di Anna Balestrieri

Quattro israeliani sono stati uccisi e altri quattro sono rimasti feriti nell’attacco di martedì 20 giugno ad Eli, Cisgiordania. I terroristi, identificati come Mohand Shahada e Khaled Sabah, sono entrati in un ristorante di una stazione di servizio e hanno ucciso quattro persone. Uno dei tiratori, Shahada, è stato colpito e ucciso da un civile armato, mentre Sabah è fuggito, ma è stato successivamente localizzato e ucciso dalle forze di sicurezza israeliane.
  Questa sparatoria segue una serie di violenti incidenti in Cisgiordania negli ultimi giorni, tra cui un raid dell’esercito israeliano a Jenin in cui sei palestinesi sono stati uccisi e sette soldati dell’IDF sono rimasti feriti.
  La situazione rimane tesa e si stanno prendendo misure di sicurezza, compreso il rafforzamento delle truppe nell’area. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato che tutte le opzioni sono sul tavolo e Israele continuerà a combattere il terrorismo. L’attacco ha incancrenito la tensione già alle stelle nell’area da qualche mese. Il ministro della Difesa Yoav Gallant terrà una valutazione sullo stato della sicurezza e il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir ha chiesto un’ampia operazione militare e la ripresa degli omicidi mirati in Cisgiordania. Ci sono state anche richieste per l’imposizione della pena di morte a coloro che sono stati condannati per terrorismo contro cittadini israeliani.
  La sparatoria di martedì fa seguito a una serie di violenze in Cisgiordania nelle settimane precedenti.
  Il 13 giugno i militari israeliani alla ricerca del militante palestinese Issam al-Salaj hanno fatto irruzione nel campo profughi di Balata, circondando un condominio di cemento. I militanti palestinesi hanno aperto il fuoco e lanciato ordigni esplosivi e pietre contro le truppe. Un diciannovenne, Fares Hashash, è stato ucciso. L’esercito israeliano ha ferito, secondo la Mezzaluna Rossa palestinese, altri otto palestinesi, uno dei quali in gravi condizioni. Le forze di sicurezza israeliane si sono ritirate dal campo due ore dopo senza effettuare alcun arresto. Celebrazioni spontanee sono scoppiate nel quartiere colpito mentre i militari israeliani battevano in ritirata. Il presunto obiettivo del raid è stato inneggiato e portato in trionfo da una folla di uomini armati che inneggiavano “Allah haAkbar”!
  Nello stesso giorno della sparatoria ad Eli, un ventenne palestinese è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco in scontri con l’esercito israeliano nella città di Husan, vicino a Betlemme.
  Lunedì 20 giugno le forze di difesa israeliane hanno condotto un raid nella città di Jenin, nel nord della Cisgiordania, dove sei palestinesi sono stati uccisi e sette soldati dell’IDF sono rimasti feriti.
  Secondo l’esercito israeliano, le truppe erano entrate a Jenin per arrestare due sospetti, tra cui il figlio di un alto funzionario di Hamas in Cisgiordania, Jamal Abu al-Hija, al momento detenuto in Israele. Dopo che i sospetti sono stati arrestati, una bomba sul ciglio della strada ha preso di mira veicoli militari israeliani, mettendone fuori uso uno e spingendo gli elicotteri dell’esercito ad aprire il fuoco per evacuare le forze israeliane. L’operazione ha evocato negli abitanti di Jenin i ricordi delle incursioni delle forze di difesa israeliane (IDF) durante la seconda intifada. Haaretz ha confermato che il dispiegamento di elicotteri da combattimento di lunedì in Cisgiordania non si era verificato dalla seconda intifada nei primi anni 2000.
  Il raid ha avuto luogo nel quartiere di Algabriyat, dove le truppe israeliane hanno preso il controllo dell’area e hanno appostato cecchini negli edifici. Due palestinesi sono stati arrestati, tra cui un ex prigioniero speciale e il figlio di un leader di Hamas. Anche i giornalisti che coprivano il raid sono stati presi di mira con colpi di arma da fuoco.
  Giovedì 22 giugno un filmato ha immortalato coloni israeliani mascherati vandalizzare una moschea nel villaggio di Urif in Cisgiordania, paese natale dei due terroristi responsabili dell’attacco a fuoco nell’insediamento di Eli. Uno dei coloni, con un cane al guinzaglio, viene ripreso mentre fa a pezzi il Corano strappandone le pagine nelle immediate vicinanze della moschea. I coloni, entrati nel villaggio dall’insediamento di Yitzhar, avrebbero anche appiccato il fuoco a una scuola e tentato di appiccare il fuoco a delle case e ad una moschea.
  Il sindaco di Urif ha affermato che hanno anche sabotato ed interrotto la corrente nel villaggio, causando disagi ai residenti. Ha criticato la revoca dei permessi di ingresso a chi ha lo stesso cognome dei terroristi, considerandola una punizione collettiva, in particolare in un villaggio in cui esistono solo tre grandi famiglie e l’omonimia è la prassi. Un simile incidente ha visto coloni appiccare il fuoco a case e veicoli nel villaggio palestinese di Turmus Aya.
  Nell’evidente contraddizione tra gli sforzi per eliminare il terrorismo e l’espansione degli insediamenti in Cisgiordania, spicca la dichiarazione del deputato Simcha Rothman, che ha paragonato le rappresaglie squadriste dei coloni su cittadini innocenti ed inermi alle azioni dei manifestanti anti-riforma, equiparandone la legittimità in forma di protesta.
  In seguito agli incidenti di Urif e Turmus Ayya, sono scoppiati scontri tra forze di sicurezza e palestinesi e una persona sarebbe stata uccisa a colpi di arma da fuoco. L’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele Tom Nides ha condannato la recente violenza dei coloni e ha affermato che gli Stati Uniti non rimarranno a guardare, esortando Israele e le sue agenzie di sicurezza a prendere le misure necessarie per prevenire tali violenze.
  Anche il ministero degli Esteri turco e il ministro egiziano per la religione hanno condannato la furia dei coloni, in particolare l’attacco al Corano, chiedendo che gli autori siano assicurati alla giustizia.
  Hamas ha elogiato le azioni di Shahada ma non ha rivendicato la responsabilità dell’attacco. Hanno fatto riferimento alla sparatoria come una risposta a quelli che percepiscono come crimini israeliani, compresi i recenti eventi al campo profughi di Jenin e alla moschea di Al-Aqsa.
  È di sabato 24 giugno, la notizia di una retata di dozzine di coloni, con identiche modalità operative, nel villaggio palestinese di Umm Safa, vicino a Ramallah. Secondo i testimoni, l’esercito israeliano avrebbe protetto gli assalitori senza contrastare la loro furia distruttrice. Il portavoce dell’IDF, al contrario, ha condannato esplicitamente le azioni dei coloni come “crimini nazionalisti”, affermando di aver arrestato uno dei partecipanti.

(Bet Magazine Mosaico, 25 giugno 2023)

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L'interesse di Cristo

Dalla Sacra Scrittura

FILIPPESI, cap. 1

  1. Soltanto, comportatevi in modo degno del vangelo di Cristo, affinché, sia che io venga a vedervi sia che io resti lontano, senta dire di voi che state fermi in uno stesso spirito, combattendo insieme con un medesimo animo per la fede del vangelo, 
  2. per nulla spaventati dagli avversari. Questo per loro è una prova evidente di perdizione; ma per voi di salvezza; e ciò da parte di Dio. 
  3. Perché vi è stata concessa la grazia, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in lui, ma anche di soffrire per lui, 
  4. sostenendo voi pure la stessa lotta che mi avete veduto sostenere e nella quale ora sentite dire che io mi trovo.

FILIPPESI, cap. 2

  1. Se dunque v'è qualche incoraggiamento in Cristo, se vi è qualche conforto d'amore, se vi è qualche comunione di Spirito, se vi è qualche tenerezza di affetto e qualche compassione, 
  2. rendete perfetta la mia gioia, avendo un medesimo pensare, un medesimo amore, essendo di un animo solo e di un unico sentimento
  3. Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a se stesso, 
  4. cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri. 
  5. Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, 
  6. il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, 
  7. ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; 
  8. trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. 
  9. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, 
  10. affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, 
  11. e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre.
  12. Così, miei cari, voi che foste sempre ubbidienti, non solo come quando ero presente, ma molto più adesso che sono assente, adoperatevi al compimento della vostra salvezza con timore e tremore; 
  13. infatti è Dio che produce in voi il volere e l'agire, secondo il suo disegno benevolo. 
  14. Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute
  15. perché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale risplendete come astri nel mondo, 
  16. tenendo alta la parola di vita, in modo che nel giorno di Cristo io possa vantarmi di non aver corso invano, né invano faticato. 
  17. Ma se anche vengo offerto in libazione sul sacrificio e sul servizio della vostra fede, ne gioisco e me ne rallegro con tutti voi; 
  18. e nello stesso modo gioitene anche voi e rallegratevene con me.

PREDICAZIONE

Marcello Cicchese
novembre 2006




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"Netanyahu, ai confini trovate armi anti tank occidentali"

Netanyahu: «Ai confini di Israele trovate armi anticarro occidentali»

TEL AVIV - Armi anti tank di fabbricazione occidentale sono state trovate ai "confini di Israele". Lo ha rivelato il premier Benyamin Netanyahu in una intervista al Jerusalem Post nella quale ha motivato le ragioni della politica di Israele nei confronti degli aiuti militari a Kiev. "Temiamo - spiegato - che qualsiasi sistema dato all'Ucraina sia usato contro di noi perché potrebbe cadere nelle mani dell'Iran. E a proposito, questa non è una possibilità teorica. In realtà è successo con le armi anticarro occidentali che ora troviamo ai nostri confini. Quindi dobbiamo stare molto attenti".
  Secondo Netanyahu, Israele "si trova in una situazione particolare, diversa da, per esempio, Polonia, Germania, Francia o qualsiasi altro paese occidentale che sta aiutando l'Ucraina". "Prima di tutto - ha spiegato - abbiamo uno stretto confine militare con la Russia. I nostri piloti stanno volando proprio accanto ai piloti russi nei cieli della Siria. E penso che sia importante mantenere la nostra libertà di azione contro i tentativi dell'Iran di posizionarsi militarmente sul nostro confine settentrionale". Il premier israeliano - dopo aver detto di voler che il conflitto finisca e con esso "l'orribile perdita di vite umane" - ha poi sottolineato che Israele si può trovare "nella posizione di aiutare a porre fine a questo conflitto". "Non sono sicuro che accadrà. Potrebbe essere del tutto ipotetico, ma - ha concluso - potrebbe accadere".

(ANSAmed, 24 giugno 2023)


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Netanyahu: le armi occidentali fornite all’Ucraina sono già “ai confini di Israele”

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha riconosciuto che alcune armi fornite dall’Occidente all’Ucraina sono state trovate lungo le linee di confine del suo paese.
  In un’intervista pubblicata il 22 giugno dal The Jerusalem Post , il leader israeliano ha spiegato alcuni dei motivi per cui Tel Aviv ha rifiutato di sostenere militarmente il governo di Volodimir Zelenski.
  Uno di questi motivi, ha detto, è il timore che le armi occidentali mettano a rischio la sicurezza nazionale di Israele.
  “Siamo preoccupati che qualsiasi sistema che consegniamo all’Ucraina possa essere usato contro di noi, in quanto potrebbe cadere nelle mani dell’Iran ed essere usato contro di noi. E comunque, non è una possibilità teorica. In realtà è successo con i sistemi anti-carro occidentali, armi che ora troviamo nei nostri confini. Quindi dobbiamo stare molto attenti a questo riguardo”, ha detto Netanyahu.
  Secondo il primo ministro, Israele non cambierà la sua posizione neutrale riguardo all’operazione militare di Mosca in Ucraina.
  “Israele si trova in una situazione particolare, diversa dalla Polonia, dalla Germania, dalla Francia o da qualsiasi altro paese occidentale che sta aiutando l’Ucraina. Prima di tutto, abbiamo uno stretto confine militare con la Russia. I nostri piloti stanno volando proprio accanto ai piloti russi nei cieli sopra la Siria. E penso che sia importante mantenere la nostra libertà di azione di fronte ai tentativi dell’Iran di posizionarsi militarmente sul nostro confine settentrionale”, ha affermato.Il giornalista Seymour Hersh afferma che l’Occidente sa che le armi spedite a Kiev finiscono sul mercato nero
  Tuttavia, Netanyahu non ha escluso la possibilità che, a un certo punto, il suo Paese trovi un modo per “aiutare a porre fine a questo conflitto”.
  “Non sono sicuro che accadrà. Potrebbe essere del tutto ipotetico, ma potrebbe accadere”, ha detto.
  “Bisogna essere molto prudenti negli affari internazionali. C’è simpatia, c’è aiuto per la protezione civile. Ma penso che dobbiamo tracciare il limite con attenzione e la gente lo capisce. Devo dire che la maggior parte dei capi di governo dei paesi occidentali, quando glielo spiego, sostanzialmente annuiscono e sono d’accordo”, ha aggiunto.
  Il 16 giugno, l’agenzia di stampa Walla ha riferito che Kiev ha richiesto forniture di sistemi di difesa aerea e antimissile , come l’Iron Dome, da Israele . Tuttavia, queste richieste sono state respinte dalle autorità israeliane a causa dei timori di Tel Aviv che le sue tecnologie segrete potessero cadere nelle mani dell’Iran.

(Controinformazione, 23 giugno 2023)

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Israele: centinaia di drusi protestano contro il governo

"Con il sangue e il fuoco, abbiamo riscattato le alture del Golan", hanno scandito i partecipanti

Centinaia di membri della comunità drusa si sono riuniti questo venerdì sera nel villaggio di Yassif per manifestare contro la politica del governo, dopo che il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir ha ordinato la ripresa dei lavori di infrastruttura per la costruzione di turbine nelle piantagioni agricole vicino agli insediamenti della regione. "Abbiamo riacquistato le alture del Golan con il sangue e il fuoco", hanno cantato i partecipanti in segno di protesta.
  Yasser Ghadban, capo del consiglio di Kisra-Sumei, ha criticato il capo del governo Benjamin Netanyahu nel suo discorso. "Sta mandando Ben Gvir a dichiarare guerra alla comunità drusa, siamo pronti alla guerra", ha detto. "Le decisioni del governo sono razziste e la politica del ministro Ben Gvir è un fallimento", hanno aggiunto i manifestanti. "Non accettiamo istruzioni da nessuno, nemmeno da Ben Gvir. Qualsiasi tentativo di minare il legame dei drusi con il sito riceverà una risposta immediata dalla comunità", ha dichiarato il leader spirituale della comunità drusa, lo sceicco Mwapak Tarif.
  Se non otterremo una risposta alle nostre richieste, la comunità drusa si troverà in una posizione mai raggiunta prima". Tutto questo sotto il dettato della legge che ci permette di manifestare, ovviamente lontano dalla violenza che la nostra religione condanna, ma ogni attacco a uno dei nostri nel Golan è un attacco all'onore della comunità drusa", ha detto.
  Martedì scorso, le forze di polizia sono arrivate per mettere in sicurezza la costruzione di turbine eoliche nel nord delle Alture del Golan. Il loro arrivo ha scatenato una rivolta e scontri durati per ore tra la polizia e gli abitanti drusi, che sostenevano che le turbine eoliche venivano costruite su terreni agricoli. Le violenze diffuse, tra cui munizioni vere, lanci di pietre e bombe molotov, hanno portato a un incontro congiunto tra il Primo Ministro Netanyahu e lo sceicco Tarif.
  L'azienda responsabile dei lavori è stata incaricata di congelarli, ma il ministro Ben Gvir ha disapprovato la decisione e ha ordinato di riprendere i lavori fino alla Festa del Sacrificio. L'azienda Energix ha minacciato di intraprendere un'azione legale contro lo Stato "se il progetto non andrà avanti". Durante una discussione interna, il capo della polizia Shabtai si è detto favorevole a fermare i lavori fino a dopo la Festa del Sacrificio della prossima settimana. Il ministro Ben Gvir, invece, si è opposto e ha affermato che si tratta di "una ricompensa per i lanciatori di pietre e i rivoltosi". "Contrariamente a notizie errate, la polizia israeliana non ha ordinato l'arresto dei lavori di costruzione delle turbine eoliche sulle Alture del Golan, una decisione che può essere presa solo a livello politico", ha dichiarato la polizia.

(i24, 23 giugno 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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“Un governo Cer che esprima la volontà degli elettori”

Intervista ad Antonella Di Castro, candidata presidente di Per Israele

di Ariela Piattelli

Antonella Di Castro
Un governo della Comunità Ebraica di Roma che rispecchi quanto espresso dagli elettori, anche in termini di proporzioni. Così Antonella Di Castro, candidata presidente di Per Israele, che con uno scarto di 51 voti rispetto alla lista Dor va Dor è la seconda lista più votata alle elezioni del 18 giugno, vede la composizione della nuova leadership della Cer.

- Antonella Di Castro, la lista Per Israele avrà nel nuovo Consiglio Cer 10 seggi, come Dor va Dor, mentre Ha Bait ne avrà 7. Come interpreta il risultato elettorale?
  È un risultato molto chiaro. La lista Per Israele ha raggiunto il 36%, dunque 10 seggi, lo stesso numero della lista Dor va Dor. Abbiamo avuto un ampio consenso determinato dalla spinta di rinnovamento proposto agli elettori, espresso sia nei contenuti sia dalle formazione dei candidati (nuove professionalità, giovani e donne) scelte tutte premiate dal voto  con la relativa elezione. Per Israele è la lista che nel nuovo consiglio porterà 5 donne e 3 giovani under 35 a contribuire al futuro della nostra comunità, questo lo consideriamo un risultato eccellente per tutti noi. Una grande fiducia alla nostra lista è stata espressa anche alla consulta, organo fondamentale per la gestione Cer, che di fatto vede Per Israele la lista più votata.

- Victor Fadlun, il candidato presidente della lista Dor Va Dor, che ha ottenuto il maggior numero di voti, auspica ad un governo di larghe intese. Lei è d’accordo con questa visione?
  È doveroso riconoscere a tutti i candidati eletti il diritto di avere un ruolo nel nuovo governo, rispecchiando l’espressione del voto. Ognuno con la sua visione, nel rispetto dei principi di ciascuna lista. Cercheremo condivisione senza abdicare ai valori che appartengono alla nostra comunità perché crediamo che siano proprio questi ad aver garantito la continuità della presenza ebraica a Roma. Dunque consenso a larghe intese con rappresentatività su base proporzionale.

- Come state affrontando la fase della formazione del nuovo governo Cer?
  Il criterio si basa sulla volontà di formare un governo capace di far crescere la Comunità in ogni ambito, non solo di “portarla avanti”. Credo  che il rispetto dei valori sia fondamentale per questa crescita, assieme alla scelta delle competenze che possano affrontare le sfide di oggi. D’altra parte questo ci chiede una buona parte degli elettori, che ha scelto di votare Per Israele: continuità in termini di valori e anche innovazione. Quindi questa è la direzione in cui ci muoviamo, senza dimenticare il ruolo fondamentale del Rabbino Capo e avendo chiaro che la nostra comunità è prima di tutto un ente morale.

- Per Israele, Dor va Dor e Ha Bait hanno visioni differenti su molti temi. State cercando punti d’incontro?
  Vogliamo garantire che il prossimo governo rispecchi l’espressione del voto degli elettori, è importante farlo nelle giuste proporzioni. Certamente la costruzione del nuovo governo deve partire dalla ricerca di un terreno comune su cui lavorare. In ogni caso non possiamo dimenticare che se le competenze sono importanti, queste non rappresentano l’unica visione, ci sono le idee e i principi condivisi con i nostri elettori.

(Shalom, 23 giugno 2023)

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Alpine arriva in Israele

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ROMA - Alpine ha aperto il suo primo showroom in Israele, presso il Freesbe Center a Rishon LetZion nei pressi di Tel Aviv. " Siamo orgogliosi di presentare finalmente Alpine, la mitica Marca sportiva francese, ai clienti israeliani. Sono certo che gli appassionati di auto sportive apprezzeranno questa linea di prodotti originale, ricca di storia e dal comportamento unico su strada come su pista" ha spiegato Roy Schory, Direttore Generale delle Marche Renault e Dacia presso Freesbe.
  Alpine è senza dubbio l'incarnazione delle auto alla francese, fondata su tante vittorie nel mondo delle gare. E' una marca con una forte eredità e un track record incredibile. E' anche uno stabilimento di esperti altamente qualificati che producono l'A110 a Dieppe, in Francia. Alpine è il fiore all'occhiello del Gruppo Renault nel motorsport, che consente di tradurre il know-how e l'eccellenza della Formula 1, dell'Endurance e degli ex team di Renault Sport in modelli adatti non solo per la pista, ma anche per la strada.
  "Siamo contenti di aprire, per la prima volta in Israele, il nostro 144° punto vendita Alpine nel mondo e di proporre al suo interno tutta la gamma A110. E', oltretutto, un Paese promettente per sostenere l'ingresso di Alpine nel settore dei veicoli elettrici e i suoi obiettivi ambiziosi di crescita ed espansione internazionale" ha spiegato Emmanuel Al Nawakil. Direttore Vendite, Reti e Lanci di Alpine.
  Dal 2021 e con il piano strategico Renaulution, Alpine si è affermata come una Marca dedicata alle auto sportive innovative, autentiche ed esclusive. La Marca entra nell'era dei veicoli elettrici con l'arrivo del suo dream garage composto da 3 auto: la city car sportiva A290, il Crossover GT di segmento C e la rivisitazione della mitica A110. Alpine ha, inoltre, ribadito i suoi obiettivi ambiziosi di espansione sui mercati internazionali in nuovi territori facendo leva su una gamma di prodotti ampliata.

(Italpress, 23 giugno 2023)

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Operazione israeliana a Nablus: arrestati quattro palestinesi

Negli scontri due palestinesi sono rimasti feriti e decine hanno accusato sintomi da soffocamento

All’alba di questa mattina, le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno effettuato un’incursione nei quartieri orientali di Nablus, in Cisgiordania, dove hanno arrestato quattro cittadini palestinesi. Lo hanno riferito “fonti della sicurezza” dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) all’agenzia di stampa “Wafa”.
  Due palestinesi sono rimasti feriti e decine hanno accusato sintomi da soffocamento, negli scontri esplosi tra le Idf e gruppi di giovani palestinesi che hanno tentato di impedire loro l’accesso alla città. Ieri sera, invece, un palestinese era stato ferito negli scontri con i militari israeliani, in prossimità dell’accesso principale alla città di Deir Dibwan, a est di Ramallah, che poco prima era stata oggetto di un tentativo di attacco da parte di “coloni”.
  Secondo quanto riferito dal corrispondente di “Wafa”, gruppi di giovani palestinesi hanno impedito loro di entrare in città. Nella stessa serata di ieri, secondo l’agenzia di stampa “Maan”, un palestinese è stato ferito alla testa da proiettili di gomma, mentre altri tre sono stati colpiti da pietre, durante gli scontri con un gruppo di “coloni israeliani”, nel villaggio di Jalloud, a sud di Nablus. Poco prima, infatti, “decine di coloni, sotto la protezione delle Idf, avevano assaltato le abitazioni alla periferia del villaggio”. Episodi simili, inoltre, sono avvenuti in altri villaggi della Cisgiordania, dove, secondo “Wafa”, gli attacchi sono compiuti da “estremisti israeliani”.
  Come riferito dal quotidiano israeliano “The Times of Israel”, il portavoce delle Idf, Daniel Hagari, ha dichiarato ieri che i militari israeliani “non sono riusciti a impedire” simili attacchi, definiti “molto gravi”. Hagari, dunque, ha criticato tali episodi che “creano terrore e tensioni e trascinano la popolazione nella paura e la spingono verso l’estremismo, impedendo alle Idf di combattere il terrorismo con le loro operazioni ordinarie”.

(Nova News, 23 giugno 2023)

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Nelle carte desecretata la verità su Ustica: «Fu una bomba nel bagno»

Da circa sei mesi i documenti sul disastro sono consultabili. Chi li ha letti, come Giovanardi, è sicuro: tutto porta alla pista della vendetta palestinese.

di Francesco Borgonovo

QUANDO E DOVE

Il disastro è avvenuto alle 20.59 del 27 giugno 1980 nel Mar Tirreno meridionale, tra le isole italiane di Ponza e Ustica.
LE VITTIME

Morirono 77 passeggeri e 4 membri dell'equipaggio, per un totale di 81 persone.

LE IPOTESI

In molti hanno sostenuto che il Dc9 si sia trovato sulla linea di fuoco durante un combattimento aereo.

I FATTI

I periti chiariscono: è stata una bomba piazzata nella toilette del velivolo


«Come mai tutti hanno fatto film, libri e serie tv su Ustica e fino a sei mesi fa nessuno ha mai visto una carta relativa al caso?» Carlo Giovanardi è ancora più determinato del solito. Fra pochi giorni, il 27 giugno, ricorre l'anniversario della strage di Ustica a cui l'inossidabile democristiano modenese dedica da tempo molte fatiche. Ma quest'anno c'è una novità: per la prima volta alle commemorazioni parteciperà ufficialmente l'Associazione per le verità sul disastro aereo di Ustica presieduta da Giuliana Cavazza (figlia di una vittima) e Flavia Bartolucci. Il loro gruppo è stato riconosciuto dal governo Draghi, che a quanto pare ha fatto anche qualcosa di buono, anzi di molto buono. Perché, sei mesi fa circa, ha tolto finalmente ogni forma di segreto sui documenti relativi a uno dei più grandi misteri italiani.
   O, meglio, su un caso che - sostiene Giovanardi - non è più così tanto misterioso. «Dal punto di vista tecnico», dice, «non c'è alcun dubbio. Quanto accaduto è indiscutibile: una bomba è esplosa nella toilette di bordo dell'aereo, ci sono 1.400 pagine di perizia che lo dimostrano. Il problema, semmai, è sapere chi ha messo la bomba. Quindi chi ha fatto libri, sceneggiati eccetera li ha fatti senza sapere nulla. I giornalisti italiani per 40 anni hanno parlato di qualcosa che era segreto e di cui dunque non potevano sapere niente. La verità è che 11 fra i maggiori periti del mondo hanno stabilito - con una certezza del 100% - che l'aereo è stato abbattuto da un'esplosione nella toilette».
   Queste dichiarazioni Giovanardi le ha ripetute nei giorni scorsi in qualche intervista, suscitando le ire dell'Associazione parenti delle vittime della strage di Ustica guidata da Daria Bonfietti, che da sempre sostiene posizioni molto diverse. «Bisognerà pur dire una volta per tutte a Giovanardi e ai sostenitori della bomba come causa dell'abbattimento del Dc9 Itavia nei cieli di Ustica che è la magistratura il riferimento per le sue tesi e per le prove. E’ la magistratura che deve essere convinta, che deve accettare le ricostruzioni», ha detto la Bonfietti un paio di giorni fa. A darle man forte ci ha pensato il deputato Pd Andrea De Maria, secondo cui quelle di Giovanardi sarebbero «tesi infondate». Per Daniele Osnato, avvocato che rappresenta un gruppo di familiari delle vittime della strage, Giovanardi racconterebbe «fandonie». L'ex esponente dell'Ude, tuttavia, prosegue granitico. «Fino a otto anni fa, su quei documenti relativi a Ustica era posto il segreto di Stato, dunque non li potevano vedere nemmeno i magistrati. Poi, tolto il segreto, sono stati classificati segreti e segretissimi, quindi vi poteva accedere solo chi, come me, ha fatto parte della commissione d'inchiesta sul caso Moro. In quanto parlamentare, io quelle carte ho potuto vederle e prendere nota. Tre anni fa venni chiamato a Roma dal governo Conte. Mi hanno fatto incontrare il capo dei servizi e il capo di gabinetto di Conte, che minacciò di avviare un procedimento penale nei miei confronti se avessi resi noto il contenuto delle carte. Poi scrissero alla signora Cavazza che per questioni di interesse nazionale nemmeno i parenti delle vittime potevano rendere pubblici i documenti».
Il relitto del Dc9 Itavia affondato nel Tirreno il 27 giugno 1980'

Proprio ieri Giuliana Cavazza e Flavia Bartolucci sono tornate sull'argomento, rispondendo alle accuse di Daria Bonfietti e degli esponenti Pd. «Dovremmo condividere l'obbiettivo della verità per Ustica e non esiste un monopolio del dolore», hanno scritto. «Vogliamo rassicurare la presidente Bonfietti di aver segnalato l'importanza delle carte ai magistrati inquirenti, con in quali siamo naturalmente in contatto, nella speranza di aiutarli a individuare i responsabili materiali e i mandanti della strage». Ebbene, anche secondo Cavazza e Bartolucci le carte recentemente desecretate sono fondamentali per comprendere che cosa sia davvero successo a Ustica.
   «Dal punto di vista tecnico», precisa Giovanardi, «questi documenti non dicono nulla che già non si sapesse, perché la commissione di indagine nel processo penale aveva già appurato la verità. La Bonfietti e Osnato continuano a parlare dell'ordinanza del giudice Priore con cui si è dato il via, a suo tempo, al procedimento penale». Solo che - come rimarcano Cavazza e Bartolucci «l'ordinanza di rinvio a giudizio del giudice istruttore delle carte Priore è stata smentita in ogni grado di giudizio, fino alla Cassazione. Non è pertanto possibile pretendere di adottarla per minimizzare l'importanza delle carte recentemente desecretate». Giovanardi, dal canto suo, rincara la dose: «Quell'ordinanza di Priore ha lo stesso valore dell'atto con cui fu rinviato a giudizio Enzo Tortora: nessuno. Nella sentenza penale su Ustica l'ipotesi che l'aereo sia stato abbattuto dopo una battaglia aerea è presentata come roba di fantascienza. Bonfieschi e gli altri continuano a richiamare non la sentenza definitiva che ha assolto i generali italiani, ma l'atto di inizio del processo. Quanto al processo civile, non si è mai interessato delle cause dell'abbattimento. Anche in virtù di alcuni errori commessi durante il procedimento, ha preso per buona una tesi ma senza svolgere alcun approfondimento».
   Ma che cosa c'è nelle carte desecretate di così importante? Beh, tra le altre cose c'è il carteggio tra il governo italiano dell'epoca e la nostra ambasciata a Beirut. In particolare ci sono le comunicazioni del capo centro del Sismi, il colonnello Giovannone, che tirano in ballo il noto caso dei missili di Ortona. Nella notte tra il 7 e l’8 novembre 1979 nella città abruzzese furono fermati alcuni militanti di Autonomia operaia che trasportavano due missili terra-aria spalleggiabili. A seguito di quella vicenda fini in carcere anche Abu Anzeh Saleh, cittadino giordano e referente italiano del Fronte popolare di liberazione della Palestina. Ebbene, stando alle comunicazioni del colonnello Giovannone, i palestinesi avevano più volte minacciato ritorsioni nel caso in cui Saleh non fosse stato liberato. Dal loro punto di vista erano nel giusto. In seguito a quello che fu denominato «lodo Moro», l'Italia aveva concesso ai palestinesi libertà di movimento sul territorio nazionale, in cambio di protezione dagli attentati.
   «Volevano che Saleh fosse liberato, altrimenti ci avrebbero colpito», ricostruisce Giovanardi, spiegando che nel dossier Ustica le segnalazioni in questo senso sono numerose. Giovannone inviò dispacci sempre più allarmati. «Il 12 maggio 1980», dice Giovanardi, «si fa presente che il 18 sarebbe scaduto l'ultimatum per la risposta da parte delle autorità italiane alla richiesta del Fronte di scarcerare Saleh. In caso di risposta negativa la maggioranza della dirigenza e la base del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina dichiarava che avrebbero ripreso, dopo sette anni, la propria libertà d'azione nei confronti dell'Italia e dei suoi interessi, con operazioni che avrebbero potuto anche colpire innocenti». Questo, in buona sostanza, sarebbe il segreto di Ustica. L'Italia, rifiutando di liberare Saleh, avrebbe contravvenuto agli accordi presi con i palestinesi - il cosiddetto lodo Moro» - suscitando una risposta violenta: l'attentato al Dc9. Questa ricostruzione toglie di mezzo le ipotesi sugli interventi americani e francesi, e soprattutto leverebbe responsabilità ai militari italiani che nel corso degli anni sono stati coinvolti nella vicenda. Qualcuno potrebbe dire: ma se era tutto scritto lì, perché mantenere il segreto per anni? La risposta potrebbe essere fin troppo semplice: ammettere l'esistenza di accordi con i palestinesi significherebbe ammettere di aver concesso a gruppi combattenti di agire liberamente per attaccare Israele, che è nostro alleato (almeno in teoria). Meglio creare l'ennesimo mistero che rivelare verità non troppo onorevoli.

(La Verità, 23 giugno 2023)

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Fotografia delle manifestazioni contro la riforma giudiziaria in Israele vince il primo premio al Drone Photo Aawards

FOTO
Il fotografo israeliano Or Adar ha vinto il premio Photographer of the Year nella competizione internazionale Drone Photo Awards per la sua immagine aerea chiamata Must Resist, che cattura migliaia di manifestanti per le strade di Tel Aviv contro la riforma giudiziaria voluta dal governo Nethanyahu. Lo riporta il sito di Haaretz.
  I Drone Awards sono un concorso internazionale di fotografia aerea e video che si tiene ogni anno con il preciso scopo di mettere in mostra il lavoro fotografico separato dalla fotografia tradizionale. È un progetto di Siena Awards dedicato a un genere fotografico diverso rispetto alla fotografia tradizionale. Il premio fotografico è aperto ai video ed alle immagini aeree riprese da droni, velivoli ad ala fissa, elicotteri, veicoli aerei senza pilota, mongolfiere, dirigibili, aquiloni e paracadute.
  Per vincere il titolo, l’immagine di Adar ha ricevuto il punteggio più alto da una giuria, tra le candidature a nove diverse categorie. La fotografia di Adar, insieme ai vincitori della categoria, sarà esposta a Siena per tutto il mese di novembre.
  La fotografia cattura solo una delle 24 settimane di proteste contro il piano del governo israeliano di revisione del sistema giudiziario del paese, che propone di trasferire maggiori poteri al governo e allontanare la Corte Suprema sia nelle decisioni legislative che nelle nomine giudiziarie.

(Bet Magazine Mosaico, 23 giugno 2023)

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Israele all’attacco per il Tour, ma non c’e’ posto per Froome

di Francesca Monzone

D’accordo, i problemi fisici e una prestazione che non è mai tornata su livelli accettabili, ma l’esclusione di un quattro volte vincitore dalla formazione del Tour de France fa sempre scalpore: Là Israele – Premier Tech Chris Froom per la Grande Boucle 2023. L’anno scorso il britannico era stato costretto al ritiro alla 18a tappa causa covid e l’anno precedente, al rientro dopo il terribile incidente del 2019, aveva chiuso al 133° posto.
  La formazione israeliana ha infatti deciso di schierarsi al via del Tour de France con una squadra poliedrica che andrà ancora una volta alla ricerca delle vittorie di tappa.
  «Ci presenteremo con una squadra pronta a correre in maniera aggressiva e con l’obiettivo principale di puntare alla vittoria di tappa – ha detto il direttore sportivo Rik Verbrugghe -: sappiamo tutti quanto sia difficile vincere una tappa al Tour, ma credo che ognuno dei nostri otto corridori ha quello che serve per raggiungere l’impresa. Mi piacerebbe vedere la squadra correre con lo stesso atteggiamento ed entusiasmo che abbiamo avuto all’ultimo Giro d’Italia. Se ci riusciremo, penso che faremo una grande gara».
   Michael Woods e Dylan Teuns saranno i protagonisti delle tappe di montagna, mentre i vincitori di tappa dell’anno scorso . Simon Clarke e Hugo Houle avranno il compito di fare la differenza nelle tappe percorse insieme. Corbin Forte farà il suo debutto al Tour e potrà contare sul supporto di Guillaume Bovino per arrivi rapidi.
  Dopo la sua vittoria a La Route d’Occitanie la scorsa settimana, lo stesso Michael Woods è ansioso di correre e si dice fiducioso di poter fare bene subito alla Grand Depart nei Paesi Baschi.
  La formazione completa di Israel Premier Tech è composta da: Guillaume Boivin (CAN), Simon Clarke (AUS), Hugo Houle (CAN), Krists Neilands (LAT), Nick Schultz (AUS), Corbin Strong (NZL), Dylan Teuns (BEL) , Michael Woods (CAN).

(ITALY 24, 23 giugno 2023)

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Israele non ha bisogno di operazioni di vasta portata in Cisgiordania, ma di una migliore intelligence

di Yossi Yehoshua

L’orribile attacco terroristico avvenuto martedì nell’insediamento di Eli non dovrebbe sorprendere il Primo Ministro Benjamin Netanyahu o il Ministro della Difesa Yoav Gallant.
  È passato un po’ di tempo da quando l’IDF ha presentato la sua valutazione secondo cui due aree sono particolarmente volatili in Israele nel 2023: il fronte settentrionale a causa dell’Iran e di Hezbollah, e la Cisgiordania a causa del terrorismo palestinese.
  Mentre la questione iraniana è stata ampiamente affrontata, l’attacco di martedì richiede un focus sulla Cisgiordania per far luce sulle complessità dell’area. L’attacco di Eli è stato il più grave dall’inizio dell’anno nelle aree della Cisgiordania.
  Da gennaio 2023, il numero di vittime di attacchi terroristici è di 28 israeliani, rispetto ai 20 dello stesso periodo dell’anno scorso. Anche il numero di allarmi terroristici è più alto rispetto all’anno scorso, anche se non così alto come durante la seconda Intifada.
  Tuttavia, è chiaro che i terroristi della regione operano con maggiore sicurezza e notevole audacia.
  Ciò è stato evidente nell’operazione contro le forze dell’IDF a Jenin (in cui sono stati uccisi sei militanti palestinesi) e nella risposta di Hamas all’attacco a Eli, che è stato pre-pianificato e organizzato, portato a termine spontaneamente da pochi individui, come il gruppo terroristico palestinese Lion’s Den.
  Questi sviluppi impongono a Israele di rivedere la sua politica, in particolare nei confronti di Hamas a Gaza. Yahya Sinwar e Mohammed Deif alimentano il terrore in Cisgiordania mentre a Gaza godono della calma e di una serie di concessioni israeliane senza precedenti.
  È nell’interesse di Israele migliorare la situazione economica della Striscia di Gaza, assumere più lavoratori e creare un meccanismo di pressione interna per dissuadere Hamas dall’iniziare un altro ciclo di combattimenti.
  Nel frattempo, però, l’organizzazione terroristica si preoccupa di incoraggiare gli attacchi nei territori palestinesi, godendo della pace, e si aspetta un’azione israeliana che indebolisca l’Autorità palestinese.
  Questa valutazione è stata presentata ad alti funzionari israeliani, ma anche l’esercito, lo Shin Bet e le forze di sicurezza sono responsabili delle operazioni a Gaza.
  La seconda questione che si pone, soprattutto nei media e tra alcuni ministri di destra, è quella di una vasta operazione nel nord della Cisgiordania. Va detto che anche il Comando centrale dell’IDF ritiene che tale operazione debba essere limitata e di breve durata in un’area specifica e definita.
  Se la gente conta su un’altra operazione sul tipo di Defensive Shield, dovrebbe dimenticarsene. Allo stesso modo, l’IDF e lo Shin Bet sono convinti che i terroristi si trovino nei campi profughi di Nablus e Jenin, mentre altri tre milioni di palestinesi non sono interessati alla guerra ma a migliorare la loro situazione sociale ed economica.
  Per questi motivi, in questa fase, i funzionari della sicurezza sono d’accordo con Netanyahu e Gallant, che non sono interessati a un’operazione. A ciò si aggiungono le pressioni americane per evitare un’escalation simile, dato che anche la lotta contro l’accordo nucleare iraniano sta prendendo piede.
  Pertanto, lo sforzo principale è attualmente concentrato sul tentativo di trovare una soluzione intermedia che permetta al governo di raffreddare la situazione di instabilità. Tale soluzione potrebbe però non essere sufficiente, vista la volatilità e l’aggressività degli attivisti della destra politica.
  Dopo l’uccisione mirata, mercoledì, di un commando di terroristi che aveva sferrato un attacco al valico di frontiera di Jalame ed era responsabile di altri attentati, cosa possiamo aspettarci d’ora in poi? Non ci sarà un’operazione. Le forze saranno rafforzate e ci saranno più arresti. Perché ciò avvenga, è necessaria una migliore intelligence, a partire da oggi, che avrebbe potuto prevenire l’attacco e l’esplosione che ha coinvolto le forze dell’IDF a Jenin.
  Infine, tutto torna a ciò che i militari continuano a ripetere: la leadership politica non può chiudere gli occhi di fronte alla disintegrazione dell’Autorità Palestinese, che è più debole che mai. La cattiva notizia è che la fine del regno di Mansour Abbas si sta avvicinando e Israele deve prepararsi.

(Rights Reporter, 22 giugno 2023)

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Parashà di Kòrach: la prova del ketòret

di Donato Grosser

Nel trattato Sanhedrin (110a) è raccontato che Yosef nascose tre tesori in Egitto: uno fu scoperto da Kòrach, che diventò immensamente ricco; il secondo fu scoperto dall’imperatore Antonino e il terzo è ancora lì e verrà scoperto nel futuro. 
            R. Mordekhai Hakohen (Safed, 1523-1598, Aleppo) in Siftè Kohèn esamina come avvenne che Kòrach scoprì questo tesoro. A tale scopo egli cita il versetto dove  il Santo Benedetto disse a Moshè: “Comunica al popolo che ogni uomo chieda al proprio compagno e ogni donna alla propria compagna  oggetti d’argento e oggetti d’oro” (Shemòt, 11:2). Questo ordine si riferiva solo alle tribù d’Israele che erano state asservite in Egitto; quello che avrebbero ricevuto sarebbe stato un pagamento per il lavoro di tanti anni.  I leviti erano esclusi da questa ricompensa perché la loro tribù non era stata soggetta alla schiavitù. Nell’inaugurazione del Mishkàn i leviti non offrirono vassoi e altri oggetti d’argento come le altre tribù perché erano poveri. Oltre a non avere chiesto nulla agli egiziani prima dell’uscita dall’Egitto, i leviti non approfittarono neppure del bottino trovato al Mar Rosso quando l’esercito egiziano affondò nel mare lasciando galleggiare a riva una quantità di oggetti di valore.
            Kòrach, anche lui della tribù di Levi, dopo aver visto cosa avevano preso gli israeliti delle altre tribù, divenne invidioso e fece di tutto per arricchirsi. Fu così che il Santo Benedetto gli fece scoprire il tesoro di Yosef perché come insegnarono i maestri, “nella strada che una persona vuole percorrere lo fanno andare” (T.B., Makkòt, 10a).   
            Fu così che Kòrach, con la sua reputazione di uomo ricco fu capace di convincere un gran numero di notabili delle tribù a seguirlo nella ribellione contro Moshè ed Aharon.  La ribellione di Kòrach era basata sulla sua idea che nel popolo d’Israele sono tutti uguali: “Si adunarono contro Moshè e contro Aharon e dissero loro: Basta! tutta la comunità sono tutti kedoshìm, e l’Eterno è in mezzo a loro; perché vi elevate sopra la congrega dell’Eterno?’ (Bemidbàr, 16:3). Secondo i rivoltosi tutti avevano diritto ad aspirare ad essere Kohen Gadol.
            R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993) in Mesoras Harav (p. 130) commenta che nessuno poteva negare la prima asserzione di Kòrach che tutta la comunità fosse composta da kedoshìm. Errò però quando disse che tutti erano uguali e quindi la leadership di  Moshè e di Aharon non aveva giustificazioni. R. Soloveitchik aggiunge che in Israele non vi è solo la kedushà che deriva dall’essere parte del popolo. Vi è anche una kedushà individuale. A tale scopo cita un’affermazione dei maestri nel trattato Berakhòt(58a) che dicono: “Come gli individui sono fisicamente differenti, così le loro idee sono differenti”. E così pure, aggiunge r. Soloveitchik, ognuno di essi ha un diverso livello di kedushà.  Non tutti sono uguali. [I kohanìmhanno più kedushà dei leviti e i leviti, più degli israeliti].
            La risposta di Moshè fu la seguente: “Fate questo: prendete degli incensieri, tu, Kòrach, e tutta la gente che è con te;  e domani mettetevi del fuoco, e ponetevi su del ketòret (profumo) dinanzi all’Eterno; e colui che l’Eterno avrà scelto sarà kadòsh. Basta, figliuoli di Levi!’ (Bemidbar, 16: 6-7).
            Qual era lo scopo di usare il ketòret per fare capire che non tutti erano uguali? Lo spiega  r. Daniel Terni (Ancona, 1740-1814, Firenze)  nella sua opera Shem ‘Olàm. Il  ketòret era composto da undici spezie. Vi era anche la chelbenà (galbanum) il cui odore era spiacevole. Da qui i maestri insegnarono che come il galbano, anche se spiacevole, fa parte del ketòret, nelle nostre tefillòt e nei digiuni pubblici bisogna aggregare anche i peccatori. Kòrach sosteneva invece che tutti i membri della comunità erano kedoshìm.  Moshè sapeva che si viene puniti se si fa il ketòret senza tutte le spezie. Per questo disse loro di offrire il ketòret. Se avessero messo il galbano avrebbero ammesso che non tutti sono kedoshìm e che vi sono diversi livelli di kedushà in Israele e che quindi Aharon meritava di essere Kohen Gadol. Se non avessero messo il galbano nel ketòret,insistendo che tutti sono ugualmente kedoshìm, avrebbero commesso un peccato e sarebbero morti. E così fu: “Un fuoco uscì dall’Eterno e divorò i duecentocinquanta uomini che avevano offerto il ketòret”(ibid., 16:35). 

(Bet Magazine Mosaico, 23 giugno 2023)
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Parashà della settimana: Corach (Core)

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Jenin, roccaforte del terrore iraniano vicino ad Afula

Ispirata da Hezbollah in Libano e a Gaza, si sta formando una roccaforte del terrore nel nord della Samaria.

di Aviel Schneider

GERUSALEMME - Quello che è accaduto l'altro ieri nella città palestinese di Jenin non è solo un altro sanguinoso conflitto tra le forze armate israeliane e i terroristi palestinesi. Il campo profughi di Jenin è diventato un avamposto dell'asse iraniano dietro la linea nemica, cioè dentro Israele. Come tale, Israele deve combattere questa base del terrore nel cuore del Paese. E si trova a soli dieci chilometri a sud di Afula, sul Monte Tabor.
  "Tutte le opzioni sono aperte", ha dichiarato ieri il capo del governo israeliano Benjamin Netanyahu dopo il sanguinoso attacco terroristico vicino all'insediamento ebraico di Eli in Samaria. Non ha detto cosa intendesse esattamente, ma tutti sanno che le forze di sicurezza israeliane nel nord della Samaria dovranno intervenire con nuove tattiche.
  È in programma una grande operazione a Jenin e Nablus. 28 israeliani sono stati uccisi da terroristi palestinesi in un centinaio di attacchi terroristici dall'inizio dell'anno. 300 attentati pianificati sono stati sventati, secondo fonti di sicurezza israeliane, e il servizio di sicurezza israeliano, lo Shin Bet, avverte di 180 possibili attacchi terroristici. Anche se l'esercito israeliano lancia un'operazione contro le basi terroristiche iraniane a Jenin, il numero di singoli attacchi terroristici e di incursioni come quella di ieri nel cuore biblico della Giudea e della Samaria aumenterà. Per certi versi, l'Autorità palestinese di Ramallah potrebbe calmare gli animi da parte palestinese, ma la coalizione nazional-religiosa di Israele a Gerusalemme non collabora con Ramallah.
  La realtà della Samaria settentrionale sta cambiando sotto i nostri occhi. Se in passato l'ingresso delle forze di sicurezza israeliane a Jenin veniva accolto con poco fuoco e resistenza, oggi le forze israeliane devono affrontare grandi ordigni esplosivi improvvisati e altre imboscate. La resistenza palestinese e le sue capacità tattiche contro i soldati israeliani a Jenin sono aumentate drasticamente. Diversi mesi fa abbiamo avvertito sul nostro canale Telegram che le tattiche di Israele devono adattarsi alla scena di TikTok. Ogni giorno siamo inondati di video e filmati TikTok di come e dove i soldati israeliani si muovono nei villaggi o nelle città palestinesi, con le jeep o a piedi.

(israel heute, 22 giugno 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Estate da record per l’aeroporto Ben Gurion

Oltre 5,5 milioni di passeggeri transiteranno nell’aeroporto Ben Gurion nei mesi di luglio e agosto. È quanto emerge dai dati diffusi dal ministero israeliano dei Trasporti. A luglio sono attesi 2,7 milioni di passeggeri su voli internazionali, con un incremento del 4% rispetto al 2019, mentre nel mese di agosto il numero previsto è di 2,8 milioni.
  L’Autorità Aeroportuale Israeliana ha in programma un incremento del personale e il potenziamento di tutte le procedure: dai controlli di sicurezza all’imbarco sull’aereo, all’inserimento di addetti dedicati allo smistamento bagagli e alla gestione di eventuali malfunzionamenti. Lo riporta il JNS.
  Nelle sale d’attesa sarà attivata anche una “sorveglianza per le famiglie”. I funzionari aeroportuali agevoleranno i controlli di sicurezza: le famiglie con bambini avranno la possibilità di mandare una sola persona ai banchi check-in, mentre gli altri familiari potranno attendere in una sala del terminal.
  I passeggeri con solo bagaglio a mano, che si sono pre-registrati al volo (check-in online) con compagnie che lo consentono, avranno un percorso rapido.
  Per ridurre le code ai banchi check-in e per la spedizione del bagaglio sono state installate postazioni self-service innovative, che consentono al passeggero di etichettare autonomamente il proprio bagaglio da stiva e spedirlo rapidamente in aereo senza alcuna attesa.

(Shalom, 22 giugno 2023)

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Ritorno a Selvino: cronaca di una tre giorni all’insegna della memoria v

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L’11 maggio a Los Angeles, il Simon Wiesenthal Center, organizzazione ebraica internazionale per i diritti umani, ha conferito una Medaglia al Valore alla storia dei “Bambini di Selvino”, i più di 800 giovani ebrei, orfani, scampati alla Shoah, che ritornarono alla vita nella ex colonia fascista di Sciesopoli, edificio costruito negli anni ’30 proprio a Selvino.
  A ricevere la medaglia Yoav Amitai, Ilana e Ben Sarner, nipoti di Moshe Zeiri, il soldato della Brigata Ebraica che divenne direttore a Sciesopoli; Ben Sarner ha dichiarato che il premio “…riconosce il grande lavoro di suo nonno che, nei tre anni successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale, salvò, riabilitò e restituì l’umanità a oltre 800 bambini, orfani che avevano visto le loro famiglie decimate durante le atrocità della Shoah…”
  Pochi giorni prima la madre di Ben, Nitza Sarner Zeiri, era a Selvino insieme ad altri 4 “Bambini” per ricordare i 75 anni dalla partenza degli ultimi orfani e dei loro istruttori da Sciesopoli Ebraica.
  Infatti dal 5 al 9 maggio si sono susseguiti nel paese in provincia di Bergamo (ma non solo lì), per i circa 70 ospiti provenienti da Israele, U.S.A, Canada e nazioni europee, incontri, eventi, conferenze, concerti, proiezioni per celebrare appunto questo anniversario.
  Dopo la prima visita a Sciesopoli (però dall’esterno, a cancello chiuso) e la Kabbalat Shabbat di venerdì, c’è stata sabato la visita alla Città Alta di Bergamo durante la quale è avvenuto l’emozionante incontro con il dottor Fabio Pezzoli, Direttore sanitario dell’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo, che ha voluto ringraziare l’associazione “Children of Selvino” per la donazione, fatta durante il periodo dell’emergenza Covid, di più di 8 mila euro all’ospedale, testimonianza del forte ed indissolubile legame con questa parte della Lombardia.
  Domenica 7 è stata la giornata più importante di questo incontro; ad inizio mattina era prevista la visita al Mu.Me.SE. il Museo Memoriale di Sciesopoli Ebraica, inaugurato, all’interno dell’edificio del Comune, nell’autunno 2019 e che pochissimi degli ospiti avevano già avuto modo di vedere; ma nella piazza c’è stata prima una sorpresa: i bambini delle scuole di Selvino hanno atteso Nitza Zeiri e gli altri 4 “Bambini” (Moshe Aran, Israel Droblas, Zvi Pelts Dotan e Michael Weisbach) per regalare le loro canzoni ed alcuni piccoli doni; è stato un momento molto commovente, sorrisi e lacrime si sono alternati sui volti di molte persone.
  La visita al museo, introdotta dall’architetto Andrea Costa che l’ha progettato inseme alla collega Giovanna Latis, sembrava non terminare mai; tutti hanno voluto vedere le foto e leggere le didascalie e soprattutto i nomi incisi nelle sei steli di legno presenti al centro della sala del museo, sono i nomi di più di 600 tra bambini ed istruttori presenti a Sciesopoli in quegli anni.
  Subito dopo, nella Sala Consiliare, il sindaco Diego Bertocchi e la consigliera comunale delegata a Sciesopoli Virginia Magoni, hanno consegnato ai 5 “Bambini” presenti la cittadinanza onoraria di Selvino che era stata deliberata nel gennaio 2021, mentre un’ultima pergamena incorniciata è stata consegnata a Miriam Bisk, presidente dell’associazione Children of Selvino. Quindi è stata donata al museo la bandiera del movimento giovanile di Gordonia che sventolava sul pennone di Sciesopoli. Un altro prezioso e significativo dono fatto al Museo: la traduzione in italiano delle lettere scritte da Moshe Zeiri alla moglie Yehudit dal 1943 al 1946, un’anteprima assoluta di un volume ancora inedito; un’opera realizzata dall’associazione con la collaborazione dell’archivista Bernardino Pasinelli e la traduzione di Chiara Camarda.
  La giornata non poteva avere un epilogo migliore, nel pomeriggio, con il ritorno a Sciesopoli: ancora una volta si sono aperti i cancelli della colonia e ad attendere gli ospiti musica e danze con il Corpo Bandistico Musicale La Montanara di Selvino ed i ragazzi dell’Hashomer Hatzair di Milano.
  Lunedì c’è stata invece l’interessante visita al Museo della Stampa di Soncino, dove venne stampata nel 1488 la prima Bibbia Ebraica completa; qui, con l’aiuto del direttore del museo Beppe Cavalli e dell’artista israeliana Yael Sonino Levi, sono state realizzate, grazie ad una lastra d’incisione appositamente preparata, alcune stampe raffiguranti la facciata di Sciesopoli.
  Martedì sera era prevista la partenza della maggioranza degli ospiti per Israele ma prima di raggiungere Malpensa c’è stato il tempo per 2 momenti intensi ed emozionanti: al mattino la posa, nel Parco del Castello di Selvino (a poche centinaia di metri da Sciesopoli) di sei alberi, sei carpini, per ricordare la visita dei 5 “Bambini” ed Anna Sternfeld Pavia, membro della Comunità Ebraica di Milano, grande amica di tutti i “Bambini di Selvino”, recentemente scomparsa; nel pomeriggio la visita al Memoriale della Shoah di Milano.
  Da ricordare infine, durante questi giorni, i momenti musicali regalati dalla appassionante voce di Delilah Gutman e dai suoi musicisti; la stimolante conferenza di Federica Di Padova sui campi profughi italiani per Jewish Displaced Persons; i racconti avvincenti di Orli Bach, la nipote di Yehuda Arazi, responsabile dell’Aliyah Bet in Italia dal 1945 al 1948; ed infine la commovente proiezione della rappresentazione teatrale “Una stella dall’Italia verso Israele” (alla presenza della regista Patrizia Sacchelli) che racconta la storia di Eugenia Cohen che a Pandino fu salvata dalla deportazione e che poi divenne una istruttrice a Sciesopoli, dove si sposò con il soldato della Brigata Ebraica Reuven Donat.
  Per concludere non resta da dire che la Medaglia al Valore conferita dal Simon Wiesenthal Center al paese di Selvino, ora si trova al Museo Memoriale di Sciesopoli Ebraica.

(Bet Magazine Mosaico, 22 giugno 2023)

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Israele a sostegno della candidatura saudita per Expo 2030

L’Arabia Saudita punta ad organizzare Expo 2030 (DR)

Israele avrebbe mostrato sostegno alla candidatura dell’Arabia Saudita a ospitare Expo 2030, nell’ambito dei colloqui volti a convincere il Regno ad accettare la normalizzazione dei legami con Tel Aviv, si apprende da Monitoraggio del Medio Oriente.
  In occasione della visita in Francia del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, è stato organizzato un ricevimento nella capitale, Parigi, per lanciare la candidatura saudita a questa mostra internazionale che si svolge ogni cinque anni. La prossima edizione è prevista per Osaka, in Giappone, nel 2025, e la città ospitante dell’Expo 2030 sarà annunciata a novembre.
  Secondo il canale televisivo israeliano Kan, il giorno prima di questo ricevimento, organizzato dalla Commissione reale per la città di Riyadh, sarebbe stato invitato all’evento un delegato israeliano, la cui identità non è stata rivelata. Anche se ancora da confermare ufficialmente, l’invito ha acceso la speculazione che Israele possa sostenere l’offerta dell’Arabia Saudita per Expo 2030 in cambio di un accordo di normalizzazione tra Riyadh e Tel Aviv.
  Negli ultimi mesi Stati Uniti e Israele hanno intensificato gli sforzi per convincere l’Arabia Saudita a normalizzare i rapporti con lo Stato ebraico, sull’esempio di altri Paesi arabi come Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan e Marocco, che lo hanno fatto per ultimi quattro anni.
  Tuttavia, finora Riyadh ha resistito a questi sforzi, insistendo sulla necessità di istituire uno stato palestinese indipendente prima di prendere in considerazione qualsiasi normalizzazione con Israele.
  Nonostante i numerosi tentativi di influenzare la posizione del Regno con diverse offerte, nonché le presunte condizioni poste dal governo saudita ai governi israeliano e statunitense, quest’ultimo sembra mantenere una posizione ferma. Il ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan, ha ribadito questo mese che la normalizzazione porta solo ” benefici limitati in assenza di uno stato palestinese.
  Va ricordato che il principe ereditario Mohammed bin Salman ha annunciato la candidatura dell’Arabia Saudita per ospitare Expo 2030 nell’ottobre 2022. Il Regno ha poi presentato la sua candidatura ufficiale a dicembre al Bureau International des Expositions (BIE), l’organizzazione responsabile della mostra. Cinque paesi, tra cui Arabia Saudita, Italia, Corea del Sud, Russia e Ucraina, sono in lizza per ospitare l’evento.

(dayFRitalian, 22 giugno 2023)

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Strage di Ustica, Giovanardi chiama in causa il Lodo Moro. “L’aereo esplose per una bomba a bordo"

Si consiglia di ascoltare con grande attenzione le parole dell’ex senatore Carlo Giovanardi in questo video. Sono di enorme importanzaa e gravità per tutti gli italiani, e modo in particolare per gli ebrei e per tutti coloro che amano Israele. NsI

A distanza di quarant'anni dalla strage aerea di Ustica che portò alla morte di 81 persone, l'ex senatore Carlo Giovanardi interrogato da Francesco Borgonovo ribadisce la sua posizione favorevole nei confronti dell'ipotesi di attentato legato alla caduta del DC9 nelle acque del Mar Tirreno. Giovanardi motiva così la sua posizione nei confronti della tragedia: "Essendo parte della commissione di inchiesta per il caso Moro ho avuto la possibilità di consultare i documenti e le perizie riguardanti la strage di Ustica che per quarant'anni, fino a sei mesi fa, sono stati coperti da segreto di Stato e di conseguenza non accessibili. Come si evince dalle carte, undici tra i più grandi periti al mondo del settore dichiararono che l'incidente fu causato dall'esplosione di una toilette di bordo. Verrebbe spontaneo, dunque, chiedersi chi installò la toilette."

(Radio Radio, 21 giugno 2023)

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Medio Oriente, uccisi 4 israeliani, Hamas festeggia. In Cisgiordania rischio escalation

L’attentato dopo la battaglia di Jenin. Netanyahu non esclude un’azione su larga scala

di Rossella Tercatin

GERUSALEMME — Quattro israeliani morti, incluso un liceale, altrettanti feriti. È il bilancio dell’ultimo attentato palestinese contro un ristorante israeliano in Cisgiordania presso l’insediamento di Eli.
  Con il rischio concreto – solo un giorno dopo i gravi scontri tra esercito di Gerusalemme e miliziani a Jenin – che la situazione degeneri ulteriormente, in un momento in cui anche la tensione politica rimane alta, con l’annuncio da parte di Israele della costruzione di 4mila nuove abitazioni negli insediamenti che ha suscitato la condanna internazionale, e in particolare quella americana.
  È pomeriggio quando i due terroristi, in seguito identificati come Muhannad Faleh e Khaled Sabah, affiliati di Hamas - raggiungono l’area dell’attentato e cominciano a sparare con fucili d’assalto contro i clienti di Hummus Eliyahu, filiale di una popolare catena di fast food.
  I due poi si concentrano sugli automobilisti alla pompa di benzina adiacente. Poco dopo, un civile armato riesce a uccidere Faleh, mentre Sabah si dà alla fuga e i militari israeliani scatenano una massiccia caccia all’uomo, che si conclude un paio d’ore dopo con l’eliminazione dell’attentatore nella cittadina palestinese di Tubas.
  Tre delle quattro vittime israeliane sono state identificate come Elisha Anteman, 17 anni, Harel Masood, 21 anni e Ofer Fayerman, 64 anni.

(la Repubblica, 21 giugno 2023)


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Quattro coloni uccisi in Cisgiordania. Israele manda gli elicotteri a Jenin

di Giulio Meotti

ROMA -“Ci sarà fauda” (caos in arabo), aveva annunciato a gennaio Mohammad Sabbagh, uno dei capi del campo profughi di Jenin che durante la Prima Intifada dal 1987 al 1993 ha pugnalato a morte un soldato israeliano e scontato 23 anni in una prigione israeliana. “Questo è l’inizio”. Terroristi palestinesi ieri hanno aperto il fuoco contro una stazione di servizio in Cisgiordania, uccidendo quattro israeliani e ferendone altri quattro, vicino all’insediamento ebraico di Eli. Altissima la tensione tra Israele e i palestinesi, con i militari di Tsahal che effettuano quasi ogni giorno incursioni in Cisgiordania, in mezzo a una serie di letali attacchi terroristici palestinesi. Lunedì sei palestinesi sono stati uccisi e cento feriti in scontri a fuoco a Jenin. Otto soldati israeliani hanno riportato ferite negli scontri dopo che è esplosa una bomba sul ciglio della strada. Dall’inizio dell’anno, gli attacchi palestinesi in Israele e in Cisgiordania hanno ucciso 24 israeliani. Un elicottero israeliano Apache ha colpito Jenin. E’ la prima volta dal culmine della Seconda Intifada palestinese, vent’anni fa, che l’esercito israeliano ha utilizzato elicotteri d’attacco nella città palestinese da cui, secondo le autorità israeliane, provengono almeno 23 dei 60 attentatori che hanno attaccato Israele. A gennaio, un raid israeliano a Jenin era finito con dieci palestinesi uccisi. Hussein al Sheikh, ministro degli Affari civili dell’Autorità palestinese, ieri ha chiesto alla leadership palestinese di prendere “decisioni senza precedenti” (senza elaborare). Il Jihad islamico ha rivendicato due dei morti di Jenin come suoi membri. Il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha risposto: “Useremo tutti gli strumenti a nostra disposizione e colpiremo i terroristi ovunque si trovino”. Unità di paracadutisti d’élite sono entrati a Burkin nel nord della Samaria e nel campo profughi di Jenin per arrestare membri di Hamas e del Jihad islamico. Negli scontri a Jenin sono state usate armi costruite dai palestinesi, comprese bombe e razzi che secondo l’esercito israeliano sono stati creati secondo le istruzioni specifiche di Hamas.
  “L’operazione di Jenin sarà considerata una pietra miliare per l’esercito non solo per il tempo impiegato (è stata l’operazione offensiva più lunga intrapresa dalla Seconda intifada), ma anche per l’introduzione di potenti Ied di 40 chili che trasformano l’area in qualcosa che ricorda il sud del Libano degli anni Novanta”, ha scritto Yossi Yehoshua, corrispondente militare per il quotidiano israeliano Yediot Ahronot. Mustafa Ibrahim, analista politico palestinese affiliato del Jihad islamico, ha elogiato i terroristi di Jenin. Il fatto che l’esercito israeliano abbia dovuto usare gli elicotteri per soccorrere i suoi soldati e i suoi veicoli “ha messo in imbarazzo” l’establishment della sicurezza israeliano. Sicuramente, scrive Khaled Abu Toameh sul Jerusalem Post, sono “immagini che danno l’impressione che l’operazione antiterrorismo israeliana, iniziata diversi mesi fa, non sia riuscita a sradicare i gruppi armati. Danno anche l’impressione che alcune parti della Cisgiordania, in particolare Jenin, stiano iniziando ad assomigliare alla Striscia di Gaza e al Libano”. E poi c’è l’Iran, primo finanziatore di Hamas e del Jihad islamico e che secondo gli esperti di sicurezza israeliani vuole “incendiare la Cisgiordania” (le Guardie rivoluzionarie iraniane forniscono tra i cento e i centocinquanta milioni di dollari al Jihad palestinese). Ieri il ministro Gallant ha detto che in tutti i 75 anni di vita di Israele la sua popolazione civile potrebbe affrontare le sfide più disastrose di sempre da una potenziale guerra con l’Iran. Si stima che Hezbollah abbia accumulato tra i 130 mila e i 150 mila razzi, la cui gittata più significativa può raggiungere qualsiasi parte di Israele. Senza contare la minaccia da Gaza.

Il Foglio, 21 giugno 2023)

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Ventisette paesi (fra cui l’Italia) condannano la Commissione Onu d’Inchiesta su Israele

I membri del COI su Israele: Chris Sidoti, Navi Pillay e Miloon Kothari
Martedì 20 giugno gli Stati Uniti e altri 26 paesi hanno condannato la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite (COI) su Israele per la sua portata illimitata, la sua durata illimitata e i suoi pregiudizi contro Israele. Fra gli altri paesi che hanno partecipato alla dichiarazione congiunta l’Italia, il Regno Unito, l’Ungheria, il Kenya, la Bulgaria, la Polonia e Israele. Lo riporta il sito Algemeiner. 
  Intervenendo a una riunione del Consiglio dei diritti umani a Ginevra, l’ambasciatore statunitense Michèle Taylor ha rilasciato una dichiarazione congiunta contraria al COI, creato in risposta a una serie di conflitti tra Israele e palestinesi nel maggio 2021.
  “La risoluzione S-30/1 ha stabilito un COI di mandato a tempo indeterminato senza clausola di caducità, data di scadenza o chiare limitazioni connesse all’escalation nel maggio 2021″, ha affermato Taylor. “Riteniamo che la natura di questo COI sia un’ulteriore dimostrazione dell’attenzione sproporzionata e di lunga data prestata a Israele nel Consiglio, e dobbiamo fermarla”.
  Il COI, che è l’indagine di più alto livello che può essere ordinata dal Consiglio per i diritti umani, è stato istituito nel maggio 2021 a seguito di un’ondata di violenza mortale tra israeliani e palestinesi all’inizio del mese per indagare su “tutte le presunte violazioni del diritto internazionale umanitario e tutte le presunte violazioni e abusi del diritto internazionale sui diritti umani” in Israele, Cisgiordania e Striscia di Gaza. È incaricato di esaminare “tutte le cause alla radice delle tensioni ricorrenti, dell’instabilità e del protrarsi del conflitto, comprese la discriminazione sistematica e la repressione basate sull’identità nazionale, etnica, razziale o religiosa”.
  Il primo COI a tempo indeterminato è presieduto dall’ex capo dei diritti delle Nazioni Unite Navi Pillay del Sud Africa, con Miloon Kothari dell’India e Chris Sidoti dell’Australia come gli altri due che conducono l’indagine.

(Bet Magazine Mosaico, 21 giugno 2023)

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“Larghe intese per la crescita della comunità”

Intervista a Victor Fadlun

 di Ariela Piattelli

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Potrebbe configurarsi un governo di larghe intese, quello che immagina Victor Fadlun per i prossimi 4 anni di consiliatura della Comunità Ebraica di Roma. Fadlun, candidato presidente per Dor Vador, la lista che ha ottenuto il maggior numero di voti della Comunità ebraica della Capitale, punta ad una formazione di una nuova leadership che coinvolga le diverse anime degli Ebrei di Roma.

- Victor Fadlun, avete vinto le elezioni della Comunità Ebraica di Roma, con 51 voti in più. Di fatto adesso entrano in Consiglio 10 candidati eletti di Dor Vador, 10 di Per Israele e 7 di Ha Bait. Come considera questo dato?
  Noi non rappresentiamo una realtà “storica” come le altre liste. È la seconda volta che Dor Vador si presenta alle elezioni, quindi siamo una realtà in crescita. Nell’ultimo governo avevamo 4 consiglieri, in questo ne avremo più del doppio. Il voto espresso dagli elettori indica la volontà diffusa nella nostra comunità di cambiare passo, mettendo in gioco professionalità e competenze. C’è una palese apertura al cambiamento verso nuove istanze di professionalità nella gestione della Cer. Credo che gli elettori abbiano premiato la nostra capacità di ascolto, in cui anche tra posizioni distanti si arriva ad un rispettoso dissenso e non ad uno scontro. Vogliamo rispettare e ascoltare tutti.

- Adesso affrontate la sfida di formare il governo della Comunità. Come pensate di procedere?
  Bisogna procedere parlando con tutti in modo rispettoso ed inclusivo, tenendo conto della storia e della tradizione della Cer e mettendo a disposizione le migliori competenze. Ma il dato di scarsa affluenza è causato da molte ragioni, forse più dal fatto che le persone vogliono sentirsi partecipi alla nostra comunità, essere incluse. In questo senso andiamo avanti, sempre avendo chiari i nostri principi.

 - A quali principi fa riferimento?
  Ghemilut hasadim e aiuto degli ebrei in difficoltà, anzitutto. E poi siamo una comunità ortodossa e proprio per questo dobbiamo abbracciare tutte le persone che ne fanno parte. A volte scopriamo che le cose che ci uniscono sono più di quelle che ci dividono. Comunque per me il valore più importante rimane la crescita di questa Comunità, nel rispetto dei suoi valori. Abbiamo tutti voglia e diritto di riscoprire l’entusiasmo di farne parte attiva. Un altro valore, come abbiamo sempre ribadito, è Israele, nostro punto di riferimento assoluto e garanzia che certi episodi tragici mai torneranno. Crediamo che anche restando saldi nei nostri valori si possa avere un dialogo rispettoso con chi ha idee diverse da noi. Guardiamo all’altro con umiltà, non siamo giudici, c'è un solo Giudice per tutti noi.

- Nella delicata fase di formazione del governo, come metterete in gioco questi valori?
  Dobbiamo dare una svolta di miglioramento alla Comunità e per farlo immagino un governo con competenze e capacità, nel rispetto di ciascun ruolo e perseguendo l'unità, senza porsi con supponenza. Spesso mi sono sentito dire “Non hai capito, adesso ti spiego” invece vorrei che tra noi tutti ci rivolgessimo “Scusami, io la penserei in questo modo, ti va di ascoltarmi?”. È un approccio diverso, possiamo pensare in questa direzione.

(Shalom, 21 giugno 2023)

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Toh, crolla la fiducia nella scienza trasformata in dogma

Sondaggio Usa: nel 2022 gli «esperti» hanno perso credibilità. Alcuni, dopo i flop, fischiettano. Altri, invece, pontificano ancora.

di Alessandro Rico

Ci dovremmo meravigliare? Dovremmo dare la colpa ai complottisti? Dovremmo fare come Matteo Bassetti, il quale, in un post sulla decisione del governo belga di distruggere 6 milioni di dosi di vaccino, se l'è presa con i no vax, anziché con i contratti capestro siglati dall'Ue? Puntiamo il dito su chi crede nelle scie chimiche, oppure ci lasciamo sfiorare dal sospetto che i «competenti», negli anni della pandemia, abbiano dato il peggio di sé? E che se la gente, adesso, ne diffida, la responsabilità è anzitutto la loro?
  Nel 2022 è crollata la fiducia nella scienza. Lo certifica, negli Usa, un sondaggio di Associated press-Norc center for public affairs research, che monitora le opinioni degli americani dal 1972 e ha intervistato un campione di oltre 3.500 persone. Il risultato dell'indagine è che gli adulti che dichiarano di nutrire «molta fiducia» nella comunità scientifica sono passati dal 48% del 2018 al 39% del 2021. La politicizzazione del Covid non ha aiutato. L'ostilità verso i cervelloni ricalca l'affiliazione partitica dei cittadini statunitensi: tra i repubblicani, solo il 26% dà credito agli esperti. E con ogni probabilità, la situazione Oltreoceano è simile a quella di qualunque altra nazione occidentale, Italia compresa.
  La reazione più scontata, oltre che la più arrogante, è appunto quella alla Bassetti: il problema sono i cretini che si curano con la curcuma. Al contrario, bisognerebbe considerare l'ipotesi che la rottura tra scienziati e società dipenda dal pessimo esempio offerto dai primi in questo triennio. A cominciare dalle zuffe mediatiche tra medici; passando per la spudoratezza con la quale i tecnici hanno offerto, ad amministratori insipienti, comode foglie di fico per decisioni scellerate; arrivando all'invereconda spocchia con la quale sono riusciti ad affermare tutto e il suo contrario. Non solo: i luminari ai quali ci saremmo dovuti mettere in mano hanno sostenuto una sfilza di sciocchezze, spacciate per dogmi, senza nemmeno premurarsi di chiedere scusa, una volta che le corbellerie sono venute a galla. La lista delle scempiaggini è lunga: i vaccini che proteggevano dal contagio e non avevano effetti collaterali; il Covid incurabile; il green pass che consentiva di tenere aperte le attività. Anzi, non sarà un caso se il sondaggione americano ha registrato certi risultati nell'anno in cui sono state scoperchiate le menzogne pandemiche.
  Dinanzi alla clamorosa débàcle dello sciocco positivismo in voga tra le élite - quelle di: «Lo dice Lascienza ... » - le mosse dei diretti interessati sono di due tipi: c'è chi fischietta e chi pretende di continuare a impartire lezioni. Alla prima categoria appartiene Fabrizio Pregliasco, virostar in disarmo scongelata, con inopinato atto di misericordia, da Adnkronos, che gli ha chiesto un commento sugli esami di maturità. «La speranza», ha berciato il professore, è che, durante la pandemia, «i ragazzi abbiano compreso che la scienza va avanti per tentativi, per errori e successive approssimazioni. Forse qualcuno ha sperato che la scienza potesse dare soluzioni immediate a un problema nuovo». Ma guarda: pensa che scemo, chi s'aspettava il miracolo in provetta. A bocce ferme, apprendiamo che la conoscenza scientifica procede «per tentativi ed errori» - sono stati più gli errori dei tentativi, ma va bene così.
   Pregliasco, dunque, fa finta di niente. Abbassa la cresta. Riscopre l'umiltà. Peccato solo che, nelle fasi cruciali del periodo Covid, lui e i suoi colleghi si siano comportati come se avessero la verità in tasca. Ogni parere veniva presentato in maniera apodittica, definitiva, fino a che, senza soluzione di continuità, si passava alla verità successiva. I vaccini ci salveranno, ma forse non bastano; se non bastano, è perché ne servono di più; mascherine no, mascherine sì; ibuprofene no, ibuprofene sì. È stata la sicumera dei dottori catodici, è stata la gara a spararla più grossa pur di comparire, è stata la collezione di insulti ai sani che osavano rifiutare un farmaco, definiti «sorci», o invitati a pagarsi il ricovero in ospedale, è stato il susseguirsi di prediche e ritrattazioni a incrinare il rapporto con gli scienziati. Se davvero la scienza non ha soluzioni prèt à-porter, in base a cosa essa ha giustificato i lockdown e l'esclusione dal consesso civile dei non vaccinati? Comodo, ora, nascondersi dietro la fallibilità dell'intelletto umano.
  Peraltro, alla faccia dei tentativi, degli errori e delle approssimazioni, tuttora, il posto del dibattito fondato su argomenti solidi lo occupa la censura. L'ultimo caso riguarda l'articolo di Silvana De Mari sui rischi della tecnologia a mRna, uscito sulla Verità e bandito da Linkedin, con il solito pretesto della lotta alle bufale. E’ la banalità degli algoritmi, sì. Ma è pure lo strascico di una filosofia: lo scopo dei media non è informare, bensì indottrinare. L'oggetto del giornalismo non sono i fatti, è la propaganda al servizio dei governi. Quelli progressisti.
  E’ una linea che qualcuno non vuole mollare. Prendete Anthony Fauci, esponente di quel secondo tipo cui accennavamo sopra: lo scienziato che pontifica dopo aver accumulato fiaschi. Ricevuto in pompa magna ai Lincei, ha avuto il coraggio di difendere ancora la teoria del Covid zero (la pandemia non è finita finché ci saranno contagiati) e di tuffarsi nella moda verde, con l'invito a prenderci cura delle foreste, per evitare il salto di specie dei patogeni. Già, come se il coronavirus dipendesse dal climate change e non da un incidente nel laboratorio. Laboratorio finanziato pure grazie a Fauci, e incidente che, all'inizio, era la ridicola ossessione di Donald Trump, mentre ormai affolla rapporti di intelligence e quotidiani. Ieri, il Wall Street Journal ha confermato che almeno uno dei primi tre ricercatori infettati riceveva denaro direttamente dagli Stati Uniti.
  Insomma, se c'è una scienza che quei signori conoscono a menadito, è quella di rigirare le frittate. E noi ci dobbiamo anche fidare?

(La Verità, 21 giugno 2023)

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La Conferenza dei Rabbini europei si trasferisce da Londra in Germania

Sono ormai trascorsi 67 anni dall'istituzione della Conferenza dei Rabbini europei, alleanza di leader ebrei che si uniscono per sostenere e proteggere, attraverso l'influenza politica, le comunità ebraiche in tutta Europa.
  Aveva la sua storica sede a Londra, ma a causa della Brexit l'organizzazione ne ha dovuta cercare una nuova: ora, la ricerca è terminata ed è da poco iniziato il processo di trasferimento in Germania, a Monaco di Baviera.
  "Ci sono state molte perplessità - dice Shimon Cohen, membro londinese della Conferenza, che spiega la logica alla base della mossa - era ben chiaro che Londra non era più il posto giusto per l'influenza sulla politica europea, dobbiamo avere sede in un'area dell'Ue".
  Il mese scorso, il presidente della Baviera, Markus Soder, è stato premiato dalla Conferenza dei Rabbini europei per aver confermato l'invito iniziale a trasferirsi a Monaco.

• Motivazioni contrastanti
  La Conferenza si è formata a Londra poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, ora da una prospettiva puramente pratica è stata presa la decisione di trasferirsi in Europa: per molti non si tratta solo di un'influenza politica, ma anche di una decisione emotiva.
  "Perché? - si domanda Il rabbino capo Goldschmidt - perché la distruzione degli ebrei europei è iniziata in Europa, è lì che Hitler ha fatto il suo 'golpe', quindi è simbolico il fatto che stiamo tornando a Monaco, con il sostegno del governo, e siamo in procinto di ricostruire l'ebraismo europeo".
  La città dove Adolf Hitler iniziò la sua ascesa al potere, molto tempo fa capitale del movimento nazista, ora è sede di un fiorente ed influente movimento ebraico.

(euronews, 20 giugno 2023)

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Quattro israeliani morti e 4 feriti in un attacco in Cisgiordania. Hamas: “Risposta all’occupazione”

La sparatoria avvenuta vicino una stazione di rifornimento nell’insediamento ebraico di Eli. Pur non rivendicandone la responsabilità le fazioni di Hamas e della Jihad islamica hanno lodato l'attacco.

Almeno 4 israeliani sono stati uccisi e altri 4 feriti, di cui uno grave, in un attacco ad una stazione di servizio nell'insediamento ebraico di Eli, vicino Nablus, in Cisgiordania.
  Secondo il portavoce militare, "i terroristi hanno aperto il fuoco vicino la stazione di rifornimento ed uno di questi è stato neutralizzato sul posto. I soldati sono all'inseguimento di altri sospetti".
  "La reazione è stata rapida contro i crimini dell'occupazione nel campo profughi di Jenin e l'assalto ad Al-Aqsa", ha detto Hamas, che ha poi fatto sapere che l’uomo responsabile dell’attacco faceva parte della sua ala militare. "Questa è una risposta naturale all'escalation e ai crimini dell'occupazione contro il popolo palestinese", ha affermato la Jihad islamica subito dopo l’attacco.
  I militari israeliani hanno ordinato ai residenti della comunità di rimanere nelle loro case e di chiudere a chiave porte e finestre fino a nuovo avviso. Poco dopo la sparatoria, l'esercito ha attivato un allarme per possibili infiltrazioni terroristiche a Eli.
  La sparatoria segue una serie di violenze che sono avvenute in Cisgiordania negli ultimi due giorni. Questa mattina un 20enne palestinese è rimasto ucciso negli scontri con Israele vicino alla città di Betlemme, nel centro della Cisgiordania.
  Gli scontri, secondo quanto riporta il Times of Israel, sono avvenuti alla fine di una giornata particolarmente violenta: la mattina ha visto cinque palestinesi uccisi a colpi d'arma da fuoco e otto soldati israeliani feriti in una battaglia a Jenin la mattina, e la sera altri due soldati sono rimasti feriti in un presunto attacco con auto speronamento a ovest di Jenin, con due sospetti palestinesi colpiti e feriti.

(la Repubblica, 20 giugno 2023)

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Cisgiordania, la dichiarazione di guerra del padrino di Jenin: "Servono attacchi suicidi"

Parla Jamal Zubeidi, il leader che controlla la città: "Lottiamo per l'indipendenza, Hamas pensa al potere”.

di Francesca Borri

JENIN - L'icona di Jenin è Abdallah Abu Tin. La lapide in sua memoria è all'entrata dell'ospedale in cui ha servito tutta la vita. È morto a ottobre: mentre combatteva con le Brigate al-Aqsa. Tipo Batman. Medico di giorno, giustiziere di notte. A Jenin combattono tutti. Anche quelli che hanno tutto. E hanno tutto da perdere. Per Israele, Jenin è il pericolo numero uno. Perché è a venti minuti dalla Linea Verde. Dal confine. E quindi è perfetta per infiltrarsi: e andare a sparare a Tel Aviv. Ma soprattutto perché con i palestinesi divisi tra Fatah e Hamas, e sempre più gli uni contro gli altri, Jenin invece è il feudo degli Zubeidi, una famiglia che più che una famiglia è una dinastia. E che è unita. "Fatah, Hamas, Pflp, Jihad. Qui ognuno ha le sue idee. Ma alla fine, l'obiettivo è uno ed è lo stesso per tutti: vincere".
  Parola di Jamal Zubeidi, il capostipite. O come dicono a Jenin, don Jamal: come don Vito Corleone. Come il Padrino. Ha iniziato al fianco di Yasser Arafat, è del 1956. Ha iniziato all'inizio. Con l'Olp. Quando i palestinesi cominciarono ad attaccare dai Paesi vicini. "E sono stati gli anni migliori. Gli anni in cui abbiamo capito che il nostro destino dipende dalle nostre forze, che la libertà va conquistata: che non arriva dagli altri. Che si tratti dei Paesi arabi, come allora, o come ora, di Fatah o Hamas. O di Hezbollah. O dell'Iran", dice. Non abbiamo che noi stessi, dice. Noi stessi e la volontà di Dio.
  Jenin è sotto il suo controllo. Ed è per questo che è ancora vivo: per Israele, e per l'Autorità Palestinese, che insieme a Israele è responsabile della sicurezza, è l'uomo con cui mediare. Quando a dicembre è morto suo figlio Naim, ha cercato la tregua. Come don Vito con Sonny. Ma non ha più senso discutere, dice. "Il governatore mi ha appena chiesto per l'ennesima volta di fermare tutto. Ma in cambio di cosa? Se consegni le armi, hai un posto in polizia. O in Israele. E che significa? L'occupazione non è un problema individuale. E né è una questione economica: è una questione politica. Voglio una strategia sugli insediamenti. Su Gaza. Su Gerusalemme. Non so altrove, ma a Jenin non si combatte per l'auto nuova: si combatte per l'indipendenza", dice. "Per una vita nuova". E qual è la strategia più efficace?, chiedo. Non ha dubbi. "Gli attentati suicidi".
  Sono l'unica cosa che influenza Israele, dice. L'unica che Israele teme. "Ma Hamas è contraria. Perché durante la Seconda Intifada, Israele reagì assassinando i suoi leader uno a uno. E per ora, la sua priorità è il post-Abbas: è vincere le elezioni. Per questo non ha risposto all'ultima operazione su Gaza. O alle ultime incursioni nella moschea di al-Aqsa. Perché la sua priorità è il potere. Ormai sono tutti uguali. Ma sono stato chiaro: non mi importa. A Jenin sto io. E decido io".
  Non ha cambiato opinione neppure ora che i raid di Israele si sono intensificati. Ai muri di casa Zubeidi le foto dei morti, o come si dice qui, dei martiri, sono sempre di più. Più che una casa, sembra la cappella di un cimitero. Il primo a sinistra è Zakariya: che dopo un master in Diritto internazionale a Ramallah, è rientrato a Jenin per avviare questa Terza Intifada dopo avere guidato la Seconda sulle orme del fratello Taha, ucciso dopo avere guidato la Prima sulle orme dello zio Ziad, fondatore delle Brigate al-Aqsa, e architetto del ritorno alla resistenza armata dopo gli Accordi di Oslo. Zakariya è in carcere, adesso. Ed è stato sostituito da suo fratello Daoud. Che invece è stato ucciso, ed è stato a sua volta sostituito da un altro fratello. Jibril. Che ora è in carcere. E ha passato il testimone a un altro fratello ancora. Abed.
  Ma al centro, la foto d'onore è quella di Nidal. Aveva vent'anni. Cosa ricorda di quella sera?, domando a sua madre, Nassra. Sorella di Jamal. "Ho brindato". Andò a farsi esplodere a Binyamina. Vestito con il vestito elegante della domenica. Morirono sei israeliani. Dice: "Ho brindato sei volte". Il governatore Ibrahim Ramadan è categorico: non rischierà i suoi uomini. Non si opporrà a Israele. "Ero qui durante la Seconda Intifada. Quando Jenin è finita in macerie. E a costo di essere bollato come un traditore, sarò irremovibile. Perché se anche avessimo gli Rpg, invece degli M16, e fossimo capaci di fermare i carrarmati, gli israeliani verrebbero con gli F35. E se avessimo gli F35, verrebbero con il nucleare", dice. Con gli israeliani, dice, chi sceglie le armi sceglie la morte. "Che poi è esattamente quello che vogliono: eliminarci".
  Ma a Ahmad al-Qassam non interessa. Il suo nome è una leggenda, qui. E non solo perché è un veterano del Libano, di Beirut, dell'attentato del 1983 all'ambasciata degli Stati Uniti, che è ancora oggi quello in cui la Cia ha avuto più morti: è il nipote di Izzedin al-Qassam. Il primo dei guerriglieri. Ucciso a Jenin nel 1935 mentre combatteva contro l'Impero Britannico. Dopo tutta una vita a combattere il colonialismo su ogni fronte possibile. Per questo i razzi di Hamas si chiamano Qassam. "Israele è più forte, certo. Non c'è confronto", dice. "Ma tutto è transitorio. Sono il nipote di uno che ha sfidato gli inglesi con una baionetta quando gli inglesi erano padroni di mezzo mondo. E ora, invece, cosa sono? Non sono più niente", dice. "E anche Israele sparirà: è questa la lezione di Jenin. Fai la tua parte. Senza paura. Fai la tua parte, perché hai dalla tua parte la storia". È un sostenitore dello Stato unico. Con pari diritti?, dico. "Senza ebrei".
  A tradurre è Younis, che è stato a lungo funzionario di una agenzia internazionale. Immagino sia amaro per te, dico. Dopo tutto l'impegno per i bambini di Jenin. Perché avessero un futuro diverso. E ora tutti che vogliono diventare martiri, dico. Mi dice: "Sono straordinari".

(la Repubblica, 20 giugno 2023)

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La Comunità Ebraica di Vercelli ospita il Coro Col Hakolot

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Prosegue il progetto Ogni giorno è Memoria della Comunità Ebraica Vercellese con un appuntamento musicale a cura del Coro Col Hakolot. Domenica 25 giugno, alle 16.30, in Sinagoga, si terrà il concerto Il cammino della speranza, con un repertorio di composizioni ebraiche fortemente evocativo e indissolubilmente legato alla tradizione ebraica.
  Il Coro Col Hakolot, che in ebraico significa Tutte le Voci, è già stato ospite della Comunità Ebraica di Vercelli in passato. Il repertorio del coro include brani di musica popolare ebraica polifonica che vengono eseguiti in lingua ebraica, yiddish e ladina. A questi si sono aggiunti canti di autori italiani, legati comunque alla tradizione ebraica.
  Il coro si esibisce spesso in manifestazioni musicali sia all’interno che al di fuori delle Comunità Ebraiche, come in occasione della Giornata della cultura ebraica o la Giornata della memoria e di concerti per la pace allo scopo di promuovere il dialogo interculturale e religioso, richiamando l’attenzione di un vasto pubblico.
  A Vercelli l’esibizione si legherà non solo alla Festa della Musica del 21 giugno, ma anche al progetto Ogni giorno è Memoria volto a ripristinare la memoria del deportati vercellesi. Questa importante azione di valorizzazione del passato comune è sostenuta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Vercelli e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Torino.
  L’ingresso al concerto che si terrà domenica 25 giugno all’interno della Sinagoga di Vercelli (via Foa 56-58) è libero e gratuito. 

(TG Vercelli.it, 20 giugno 2023)

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Presentato al Museo Ebraico di Roma il catalogo “Case di vita. Sinagoghe e cimiteri in Italia"

In collaborazione con il Meis

di Michelle Zarfati

Il Museo Ebraico di Roma ieri ha ospitato la presentazione del catalogo della mostra “Case di vita. Sinagoghe e cimiteri in Italia", allestita dal Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah-MEIS di Ferrara. L’esposizione a cura di Andrea Morpurgo e Amedeo Spagnoletto, è un approfondimento originale che porta alla riflessione sull’aspetto architettonico, ma anche sociale delle sinagoghe e dei cimiteri ebraici.
  Un viaggio lungo duemila anni riconduce, passo dopo passo, verso la storia delle sinagoghe e dei cimiteri ebraici italiani. Partendo dalle prime tracce archeologiche, l'esposizione si sposta restituendo ai visitatori i grandi progetti architettonici di oggi. Al centro del percorso espositivo, con un ruolo centrale, tutte le vicende dell’ebraismo italiano vissute attraverso i luoghi simbolo dell'ebraismo italiano: sinagoghe e cimiteri. Luoghi densi di storia e impregnati di cultura, in cui si intrecciano le storie e gli usi e costumi degli ebrei italiani. La mostra porta alla luce documenti provenienti dagli archivi statali e dalle comunità ebraiche, oggetti che si tramandano di famiglia in famiglia e importanti prestiti.
  Un ruolo speciale è dedicato al patrimonio ereditario della Comunità Ebraica di Roma e la sua storia bimillenaria. La sinagoga di Ostia antica, le catacombe un vero unicum nel patrimonio archeologico ebraico-italiano, tenendo però anche in considerazione le opere artistiche più moderne.
  La conversazione è stata introdotta dal Direttore del Museo Ebraico di Roma Olga Melasecchi e da Davide Spagnoletto, Architetto e storico dell'arte. Sono intervenuti durante il talk i curatori della mostra Andrea Morpurgo, Architetto, Amedeo Spagnoletto, Direttore del MEIS, e il pubblico presente in sala.
  Durante l'evento sono stati raccontati gli oggetti esposti all’interno della mostra, i temi e gli interessanti contribuiti dei curatori e da numerosi storici dell’architettura e dell’architettura ebraica.

(Shalom, 20 giugno 2023)

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«Quanti silenzi su obbligo vaccinale e danni»

La scrittrice, premiata alla festa di «Tempi» per il suo libro sulla pandemia: «Conosco tre persone vittime di effetti avversi pesanti ma invece di studiarne le cause si cerca di fingere che tutto sia andato nel migliore dei modi. L'Italia ha vissuto una guerra civile»

di Maurizio Caverzan

«Una scrittrice polimorfa, in grado di esprimersi n varie forme letterarie». Così monsignor Massimo Camisasca, vescovo emerito di Reggio Emilia-Guastalla, e suo amico di lunga data, ha definito qualche giorno fa Susanna Tamaro. Si era a Caorle, alla festa organizzata da Tempi per riflettere sul tema «Chiamare le cose con il loro nome», e l'autrice di Va' dove di porta il cuore e di un'altra quarantina di libri, tra romanzi, saggi e favole per bambini, era stata invitata per ritirare il premio intitolato a Luigi Amicone, fondatore e storico direttore della rivista. Un premio assegnato dalla giuria presieduta da Giuliano Ferrara all'ultimo libro, Tornare umani, edito da Solferino, riflessione critica ad ampio raggio sugli anni vissuti nello scacco della pandemia da Covid-19. Ma anche un premio a tutta l'opera della scrittrice triestina che vive in Umbria, cuore geografico d'Italia, «dove anch'io ho una casa», ha raccontato monsignor Camisasca, «e così ci siamo frequentati nella terra di Francesco e di Benedetto, dove si è snodata tre quarti della storia del cristianesimo mondiale». E dove Tamaro ha scelto di stare «per dedicarsi a pensare anche per chi non vuole o non può farlo, assorbito dalle incombenze quotidiane o sommerso dal rumore che avvolge a tutti i livelli la società contemporanea». E’ lì, nella collina vicino Orvieto, che è maturata nella scrittrice quella che potremmo chiamare dimensione sapienziale, uno sguardo lucido e profondo sulle vicende del nostro tempo. Uno sguardo anche sanamente distaccato, in forza del quale le capita di assumere posizioni di denuncia, come in questa intervista.

- Susanna Tamaro, come ha accolto il premio a Tornare umani, un libro forse un po' divisivo?
  «Con grande gioia perché mi è costato molta fatica per la delicatezza dell'argomento».

- Che accoglienza ha avuto al momento della pubblicazione?
  « Un'accoglienza ottima da parte dei lettori dai quali continua a essere apprezzato perché è un libro esente da qualsiasi forma di fanatismo. E che si pone domande importanti su quello che abbiamo vissuto in questi anni».

- Invece i grandi giornali e i media in generale come l'hanno trattato?
  «Non ha avuto un'accoglienza particolarmente benevola, forse perché non è un grande romanzo o per l'argomento trattato che allora era abbastanza esplosivo: la gestione della pandemia».

- Eppure è stato pubblicato da Solferino, marchio di proprietà di Urbano Cairo, editore anche del Corriere della Sera.
  «E questo è un bel segno perché vuol dire che c'è un editore che crede in un autore e investe su di lui».

- Perché secondo lei è un libro importante?
  «Perché abbiamo passato due anni di follia totale, soggiogati da due fanatismi contrapposti. Ma le persone normali, che non parteggiavano per nessuna delle due parti, a un certo punto hanno cominciato a farsi delle domande e a cercare delle risposte. Che, però, dalla narrazione ufficiale non arrivavano e non sono arrivate».

- In particolare?
  «Tutte la questioni relative all'obbligo vaccinale e ai danni del vaccino. Una cosa impensabile in un Paese democratico. E poi la sproporzione dell'allarme mediatico. Si è creato terrore in modo irresponsabile per due o tre anni».

- Però la gente moriva.
  «Innanzitutto, va detto che per malattia si muore. E si muore anche se non si è curati o si è curati male. È chiaro che una malattia virale importante come il Covid non si può lasciarla agire nel corpo, stando a vedere che cosa succede. La vigile attesa è una tecnica che viene usata soprattutto per monitorare forme tumorali in persone anziane, per capire il rischio o il beneficio di un'eventuale operazione. Come si può applicare questo principio a una malattia che è virulenta? E chiaro che se si lascia un virus agire, poi quando si interviene è molto più difficile debellarlo».

- Questo libro ha anticipato alcuni dei dibattiti seguiti nei mesi successivi?
  «In qualche modo quando leggevo le cronache delle indagini di Bergamo ci ritrovavo le stesse cose che avevo scritto semplicemente osservando la realtà».

- Secondo lei si stenta a parlare in modo trasparente di ciò che è accaduto nella fase acuta della pandemia?
  «In Italia abbiamo vissuto una guerra civile che, invece di aprire un dialogo, avviando un tentativo di guarire la memoria dalle ferite ancora aperte, ci si invita a fingere che tutto sia andato nel migliore dei modi».

- Una forma di censura dolce?
  «C'è una volontà di non affrontare l'argomento. Negli altri Paesi europei non è così. La situazione è diversa».

- Lei ha evidenze concrete che richiederebbero una maggiore disponibilità ad affrontare questi temi? Situazioni, casi e vicende problematiche?
  «Certo. Dato che vivo in un paese vedo la realtà concreta e non quella raccontata dai numeri dei telegiornali. Allora posso dire che
  vivo con otto persone che conosco da decine di anni. Bene, tre di loro sono state vittime di eventi avversi molto importanti. Non solo, questi eventi non sono stati segnalati anche per la scarsa sensibilità mostrata di fronte alle persone colpite. Persone la cui vita è drammaticamente cambiata».

- Secondo lei, con la motivazione della pandemia e da allora in poi, si tende a espandere il controllo sulla vita quotidiana dei cittadini.
  «Assolutamente sì. Un fatto che mi irrita profondamente è la legge sulla privacy. I bambini non possono più fare le foto di fine anno scolastico per la privacy, ma questo sistema di controllo conosce anche il colore delle calze che indossiamo la mattina».

- Le vittime di questi eventi avversi sono invisibili per la comunicazione mainstream?
  «Non solo. Siccome questi danni da vaccino sono situazioni nuove, il sistema sanitario non è n possesso
  degli strumenti per capire di che cosa si tratta. In Germania, per esempio, già da diversi mesi sono state create équipe mediche che lavorano per capire come curare questi effetti avversi. Pericarditi, miocarditi, infarti fulminanti, paralisi e anche danni cerebrali, compresi certi casi di demenza improvvisa esplosi dopo quattro dosi vaccinali. Situazioni con cui sono personalmente venuta a contatto e che hanno colpito anche persone con cui vivo».

- Delle conseguenze negative della vaccinazione massiccia si parlava poco anche prima della morte di Silvio Berlusconi che ha monopolizzato i media negli ultimi giorni.
  «Adesso lo si fa ancora meno».

- Ha pensato di scrivere sull'argomento? C'è qualcosa che l'ha disturbata e qualcos'altro che invece le è piaciuto nei giorni scorsi?
  «No. Dall'esplosione dell'epidemia ho smesso di leggere i giornali e anche di guardare la televisione».

- Una scelta molto radicale.
  «Quando è troppo è troppo. Dalla guerra in Ucraina ho chiuso tutto. Il male è male, la morte è morte. È tutto una follia».

- Il suo rapporto con i giornali e i giornalisti è divenuto più diffidente dopo l'intervista che ha concesso in occasione del Salone del Libro di Torino a proposito della letteratura nelle scuole?
  « Già da 30 anni diffido dei mass media. Tutta la vita sono stata vittima di giornalisti che si approfittano della mia ingenuità e del mio parlare libero. Mi hanno fatto dire tutto e il contrario di tutto secondo ciò che faceva comodo a loro. Anche in quell'occasione c'è stata una manipolazione del titolo del giornale. La parola odio non l'ho mai usata. Posso aver detto che la scuola fa odiare la letteratura ai ragazzi. Ma è la verità e dobbiamo capire perché».

- Basta poco per cadere in qualche trappola?
  «Purtroppo il punto d'arrivo finale di questa situazione è che le persone più sensibili sceglieranno il silenzio».

- Se fosse una professoressa di lettere delle scuole superiori come, in poche parole, proverebbe ad attrarre gli studenti alla lettura?
  «Facendo capire che la letteratura è qualcosa che riguarda profondamente il cuore dell'uomo e la sua capacità di comprendersi e comprendere».

- A proposito di persone sensibili che scelgono il silenzio, conosceva i romanzi di Cormac McCarthy?
  « Ho letto La strada e visto i film tratti dalle sue opere».

- Sta lavorando a qualcosa, un nuovo saggio o romanzo?
  « Dopo la fatica di Tornare umani, sto finendo di lavorare a un romanzo che uscirà in autunno».

- Nessuna anticipazione?
  «Non voglio spoilerare niente. Sarà una grande sorpresa».

(La Verità, 20 giugno 2023)

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Ben 35 atleti israeliani lottano per l’oro agli Special Olympics World Games 2023

di Pietro Baragiola

Sono ufficialmente iniziati gli Special Olympics World Games, l’evento mondiale durante il quale migliaia di atleti con disabilità mentali si sfideranno dal 17 al 25 giugno in 24 tipologie di sport diversi per promuovere l’inclusività.
  Quest’anno ben 35 atleti israeliani sono stati ammessi per rappresentare lo stato ebraico e dovranno competere contro gli altri 7000 sfidanti provenienti da circa 170 paesi per portare a casa la tanto ambita medaglia d’oro.
  “Siamo oltremodo contenti e motivati!” afferma Sharon Levy-Blanga, CEO della sede israeliana di Special Olympics che, dopo 30 anni di attività, è stata ufficialmente riconosciuta dal Ministero israeliano della Cultura e degli Sport come un’ufficiale federazione sportiva.
  “È la prima volta nelle vite dei nostri campioni che vengono riconosciuti per quello che sono: come atleti e non solo come persone disabili” spiega Levy-Blanga, orgogliosa.

- LA NASCITA DEGLI SPECIAL OLYMPICS WORLD GAMES
  Gli Special Olympics World Games hanno raggiunto oggi la loro 16esima edizione e, dopo un lungo processo di selezione iniziato nel 2017, si svolgeranno per la prima volta in Germania, nella città di Berlino.
  A differenza delle Paralimpiadi dove competono atleti con disabilità fisiche e motorie, gli Special Olympics World Games ospitano sportivi con disabilità mentali anche molto severe: sindrome di Down, autismo, ritardi cognitivi e ADHD (disturbo da deficit dell’attenzione).
   Nel 1960 le persone affette da questo tipo di disabilità vivevano nell’ombra della società, nascoste in case ed istituzioni, senza la possibilità di andare a scuola, lavorare e vivere una vita normale. Nessuno poteva immaginare che potessero acquisire talenti sportivi o beneficiare da esercizio e allenamento costante.
   Tutto cambiò nel 1968 quando, grazie alla visione rivoluzionaria di Eunice Kennedy Shriver (sorella dell’ex-presidente americano), 1000 atleti provenienti dagli Stati Uniti e dal Canada entrarono nello stadio Soldier Field di Chicago dando il via ai primi Special Olympics World Games. L’obiettivo chiave era di mettere in luce non le disabilità degli sportivi in gara bensì le loro abilità fuori dal comune e il loro valore nella società.
  Questo evento fu un punto di svolta che portò alla nascita dell’iniziativa Special Olympics, volta a promuovere le capacità delle persone affette da disabilità mentali attraverso percorsi di formazione svolti nelle sue sedi in tutti i paesi del mondo.
  Oggi Special Olympics è la più grande organizzazione sportiva mondiale rivolta a persone affette da disabilità mentali, includendo oltre 5 milioni di atleti da 174 paesi, e riconosciuta ufficialmente dal Comitato Olimpico Internazionale (IOC).

- GLI ATLETI ISRAELIANI
  Durante la scorsa edizione degli Special Olympics World Games, tenuta nel 2019 ad Abu Dhabi, Israele ha vinto ben 19 medaglie, di cui 4 ori, e Levy-Blanga è convinta che la nuova delegazione otterrà risultati ancora più importanti.
  Tra i 35 sportivi israeliani che quest’anno si cimenteranno in 7 discipline distinte (atletica, judo, nuoto, ciclismo, ping pong, calcio e bowling) vi sono alcuni ex-medaglieri, come i campioni di nuoto Avital Naveh (oro nei 100 metri individuali misti e bronzo nei 100 metri dorso) e Gilad Kalishov (bronzo nei 50 metri stile libero). Molti di questi atleti arrivano a Berlino con sete di rivincita, come Judoka Levav Barkan, la campionessa israeliana di bowling, vincitrice della medaglia d’argento ad Abu Dhabi e oggi pronta a combattere per il primo posto.
  La caratteristica che però unisce i concorrenti di questo grande evento sportivo è che molti di loro, se non tutti, hanno provato sulla propria pelle le discriminazioni per la loro condizione mentale e, ciononostante, hanno trovato la forza di raggiungere risultati incredibili. Per la squadra israeliana un esempio di ciò è rappresentato dalla 34enne Pazit Rubens che, come raccontato dal fratello Hanan in un’intervista al magazine The Jerusalem Report, da bambina era stata rifiutata da un gruppo di danza perché l’istruttore temeva che la sua condizione non l’avrebbe tenuta al passo con gli altri allievi. In seguito, grazie all’incoraggiamento di un maestro di ping-pong che la invitò a cimentarsi nel nuovo sport, Pazit dimostrò un’attitudine naturale per il tennis da tavolo, arrivando a vincere la medaglia d’oro a Kiel nel 2018 e a rappresentare Israele negli Special Olympics World Games del 2023.
  I giochi di quest’anno segnano inoltre un’importante svolta storica per lo Stato d’Israele che, per la prima volta, ha fatto partecipare una squadra di calcio femminile. La sua allenatrice è l’ex-calciatrice professionista Silvi Jan che si ritiene fiera di condividere la propria esperienza con le giovani atlete per guidarle alla vittoria.

- VITTORIE UNITE
  “Non siamo più noi e loro: si tratta di lavorare insieme e vincere come una coppia unita” spiega Levy-Blanga durante un’intervista a The Times of Israel quanto, tra le varie discipline presenti nelle Special Olympics World Games, siano soprattutto i giochi unificati a promuovere l’inclusività.
  Gli sport unificati sono competizioni che mettono nella stessa squadra persone con e senza disabilità per raggiungere insieme la tanto agognata medaglia d’oro.
  Tra gli esempi più giovani, orgoglio della delegazione israeliana, troviamo la coppia composta dalla tennista Sonia Yanushuk di soli 19 anni e dal 16enne Lior Reyach, campioni indiscussi dei giochi di Budapest dello scorso anno.
  “Se eravamo abituati a pensare che eravamo noi a fornire un servizio alle persone disabili, stiamo rigirando le carte e dimostrando che sono loro, invece, a dare un servizio a noi” afferma Levy-Blanga.
  Un grande passo in avanti verso una maggiore inclusività è stato raggiunto quest’anno con la nuova legislazione emanata dal Ministro della Cultura e dello Sport di Israele, Miki Zohar, che ha riconosciuto la Special Olympics come una federazione sportiva al pari del Comitato Olimpico e Paralimpico. Questo riconoscimento si accompagna ad un sostegno economico di 500.000 NIS (nuovo shekel israeliano), pari a 140.000 dollari.
  Secondo Levy-Blanga il supporto del governo darà una spinta ulteriore verso il riconoscimento del ruolo che questi atleti hanno nella società israeliana.
  Gli Special Olympics World Games non mostrano dunque solo lo sport puro e semplice ma rappresentano la lotta per i diritti umani. Levy-Blanga sottolinea che ogni atleta con la sua partecipazione sta valorizzando i propri diritti ad essere assunto, a studiare, ad avere una vita normale e che ogni associazione sportiva sia in grado di dargli il benvenuto: “questo è il messaggio più grande che li guiderà a casa, vincitori”.

(Bet Magazine Mosaico, 19 giugno 2023)

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Israele sta testando le varietà di uva più resistenti al cambiamento climatico

di Caterina Pucci

Nel deserto del Negev, a pochi chilometri dalla Striscia di Gaza, scienziati ed enologi lavorano per capire se e come l’uva da vino può crescere in condizioni estreme. Da almeno una decina di anni, Israele testa l’uva che resiste al cambiamento climatico, per creare una viticoltura in grado di adattarsi alle condizioni più avverse e sfruttare le risorse a disposizione nel modo più efficiente possibile.
  Lo ha ribadito Aaron Fait, professore della Ben Gurion University del Negev (Israele), intervenuto al convegno “L’agricoltura nel XXI secolo tra Italia, Usa e Israele“, ospitato a Roma lo scorso 16 giugno. L’evento, organizzato dal magistrato Stefano Amore, in collaborazione con l’Accademia nazionale di Agricoltura e il Cufa dell’Arma dei Carabinieri, ha visto la partecipazione, tra gli altri, del ministro per gli Affari economici e scientifici Ambasciata di Israele, Raphael Singer e il presidente del Crea Carlo Gaudio.

• Il deserto: un laboratorio per testare gli effetti dei cambiamenti climatici sulla vite
  “Da anni portiamo avanti un grosso progetto di viticoltura nel deserto israeliano del Negev, formidabile laboratorio in cui testare sulla vite gli effetti che i cambiamenti climatici hanno o potranno avere sui vigneti di zone non desertiche dove preservare la qualità delle uve sta diventando difficile – ha spiegato Fait durante il convegno – Queste sperimentazioni permettono di ottenere modelli per anticipare quella che sarà la condizione in Europa tra 20 o 30 anni. A oggi, ad esempio, osserviamo una riduzione di rese, in particolare su alcune varietà, che ci porta a prevedere la perdita fino al 60% della produzione a fronte di un incremento di temperatura di 2° C”.

• Le uve bianche resistono all’aumento delle temperature più delle rosse
  Nel corso del progetto si stanno valutando gli effetti di temperature dei grappoli anche oltre i 45°C su una trentina di varietà diffuse in tutto il mondo, dal Cabernet al Merlot a vari Moscati, per valutare la risposta a condizioni climatiche estreme.
  “Tra le evidenze è emerso che le varietà a bacca bianca si adattano meglio all’aumento delle temperature per la loro maturazione più veloce rispetto a quelle a bacca rossa”, ha aggiunto il professore, precisando che “sarà inevitabile l’utilizzo dell’acqua riciclata per l’agricoltura, che in Israele è pari all’80%, al 40% in Spagna mentre in Italia è quasi zero. Tra l’Italia e Israele – conclude – si sta aprendo uno dei tanti ponti per la ricerca scientifica soprattutto per i cambiamenti climatici, due paesi molto simili come struttura del terreno e del clima; d’altra parte Israele ha un’esperienza di decenni nell’efficienza dell’agricoltura e nello specifico della viticoltura.

• L’uva bianca del Negev, un cultivar dal passato antichissimo
  I viticoltori del deserto israeliano del Negev coltivano varietà d’uva moderne come il Pinot Nero e lo Chardonnay, ma un nuovo studio dimostra che le sabbie della regione ospitavano un tempo cultivar molto diverse, reliquie degne di nota sia per il passato che per il futuro.
  Come riportato dal sito britannico Decanter, uno studio pubblicato nei Proceedings of the National Academy of Sciences ha confrontato le informazioni genetiche di una manciata di vinaccioli provenienti dai resti di un monastero bizantino con centinaia di cultivar moderne e di uve selvatiche e da tavola provenienti da Israele e non solo.

“L’altopiano del Negev ha una storia interessante ancora non raccontata”, ha dichiarato Guy Bar-Oz, archeologo dell’Università di Haifa, che negli ultimi sei anni ha effettuato scavi di insediamenti bizantini nel deserto. Secondo i nuovi dati genetici, uno dei vinaccioli del Negev risaliva all’ottavo secolo e probabilmente proveniva da un’uva bianca.
  Se i resti archeologici confermeranno la scoperta, potrebbe trattarsi della prima uva bianca documentata in tutto il mondo – anche se lo studio osserva che lavori precedenti hanno suggerito che il colore bianco di alcune varietà ha origini multiple.

• Il vino di Gaza e l’antenato della Malvasia
  È possibile che quest’uva possa anche rispondere a un assillante mistero storico che circonda l’identità del famoso vinum Gazetum, o vino di Gaza, di epoca bizantina. Secondo Bar-Oz, ci sono riferimenti storici che parlano di questo vino bianco dolce, il vino di Gaza. Prodotto nel Negev e spedito attraverso il porto di Gaza, raggiungeva le coste del Mediterraneo e le tavole dei sovrani in Germania, Francia e Gran Bretagna.
  Bar-Oz e il suo team hanno scoperto che un’altra uva antica era un antenato di una varietà rossa moderna chiamata Asswad Karech nel vicino Libano. Coltivata sull’isola di Creta, a più di mille chilometri di distanza, una progenie dell’Asswad Karech serviva a produrre un altro vino storico, la Malvasia, famosa nel Medioevo e prodotta ancora oggi sull’isola.
“Le uve che si coltivano nella regione del Negev oggi sono varietà europee, perché le viti originarie si sono perdute nel tempo. Ma dopo questo ritrovamento il nostro obiettivo è quello di provare a ricreare quel vino antico, e forse riusciremo a riprodurne il gusto e il sapore, e capire cosa lo rendesse così pregiato”, ha commentato il professor Guy Bar-Oz, direttore dello scavo per l’ateneo israeliano.

• Recuperare antiche varietà perdute per rispondere alla crisi climatica
  “Le varietà europee di uva che si coltivano oggi richiedono grandi quantità d’acqua, e anche in queste zone aride, in qualche modo, con la tecnologia, si riesce a provvedere, cosa che difficilmente poteva accadere 1.500 anni fa. E forse il segreto della qualità di questo vino era nelle caratteristiche di un uva che, con il giusto metodo, riusciva a dare buoni risultati anche in condizioni di aridità” prosegue Bar-Oz.
  Il segreto del Negev fa gola a molti produttori in zone come la Napa Valley, in California, dove l’accesso alle risorse idriche sta diventando una questione critica.
  “Il Negev è un’area che riceve circa 100 millimetri di pioggia in un anno buono, con forti fluttuazioni tra le stagioni”, ha detto Bar-Oz. Tuttavia, la viticoltura è stata molto fiorente in quest’area nel corso dei secoli.
  Secondo lo studio, i parenti stretti delle “uve archeologiche” dei giorni nostri potrebbero fornire una piattaforma per studi futuri sulla resistenza della vite a tali condizioni.
  Gli studi in corso nel Negev non sono preziose solo per la comprensione del nostro passato. I ricercatori sostengono che il loro lavoro possa essere rilevante anche per far fronte alle sfide climatiche di oggi, come in forma diversa sta avvenendo in Messico con la riscoperta dell’uva misión. Se le comunità del deserto sapevano come progettare notevoli sistemi di irrigazione, era altrettanto vitale per loro selezionare le giuste cultivar di vite, in quello che è un clima insolitamente estremo per la Vitis vinifera.

(I Grandi Vini, 19 giugno 2023)

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Spie italiane e del Mossad sul Lago Maggiore. Cosa è successo veramente?

di Ze’ev Abrahami

Il poliziotto locale della città di Stresa guarda nervosamente di lato, forse temendo che qualcuno ci senta. “Nessuno dice di non parlare”, chiarisce, “ma è chiaro che, dopo aver saputo chi è e dopo che la polizia ha sgomberato ogni prova dalla zona in pochi minuti, è meglio non disturbare”.
  Ma è chiaro che a due settimane dal misterioso affondamento del battello turistico Gooduria tutti si occupano di “questo”. Stresa, vicino alla sponda occidentale del Lago Maggiore, dove è affondato il battello, è il tipo di città che ha automaticamente il termine “pittoresco” legato al suo nome.
  Domenica di due settimane fa, al ristorante Il Verbano, ha cenato un gruppo che sembrava un qualsiasi gruppo di turisti. Nelle foto sembra una festa di compleanno o di laurea. Poi sono tornati in barca. Durante il viaggio, a poche centinaia di metri dalla riva, si scatenò improvvisamente una tempesta che rovesciò la barca e la fece affondare. Due italiani, un russo e un israeliano sono morti. Si scoprì poi che tutti i membri del gruppo erano ufficiali dei servizi segreti, e l’israeliano morto fu identificato come un “pensionato del Mossad” che era ancora impiegato nelle riserve.
  La tempesta mediatica si è abbattuta con la stessa rapidità della tempesta che ha affondato la nave: in un sol colpo Stresa e tutto il Lago Maggiore sono diventati una meta turistica ambita, teatro di una guerra segreta condotta dalle organizzazioni di intelligence di tutto il mondo.
  Nel frattempo, “non è finita”. Il poliziotto locale dice che l’attività clandestina continua. “Qui ci sono strade bloccate, molte cose vengono confiscate per l’identificazione forense, e ogni sera arrivano sul luogo del disastro barche con enormi torce elettriche e sommozzatori che scendono sul fondo”.

• A cosa servono i sommozzatori?
  “Gli israeliani hanno dichiarato di aver perso i loro documenti nel naufragio, ma molte persone pensano che ciò che è andato perduto siano stati faldoni e valigie di documenti. Un compleanno è l’ultima cosa che è successa su questa nave”.
  Il 28 maggio era domenica, la festa di Pentecoste, la versione cristiana di Shavuot. Un lungo fine settimana. L’estate si risvegliava dal suo lungo sonno primaverile e il Maggiore, il secondo lago più grande d’Italia, e tutti i paesi intorno ad esso, prendevano vita. La gente nuotava nel lago e nelle piscine, faceva picnic, i chioschi dei gelati offrivano la loro merce ai bambini, le birre venivano versate in enormi boccali sui tavoli all’aperto. Gli abitanti del luogo e i turisti noleggiavano ogni imbarcazione possibile per navigare sul lago. Vicino alle banchine, gru mobili si occupavano di calare con cura barche di tutte le dimensioni, ad uso dei vacanzieri. I meteorologi hanno emesso un avviso di “codice giallo” per il resto della giornata – cioè si prevede tempo burrascoso – ma cosa capiscono i meteorologi quando c’è una bella giornata per navigare?
  Nella tarda mattinata, un gruppo di 13 israeliani, uomini e donne, è arrivato in auto a noleggio dagli hotel vicino all’aeroporto di Milano al cantiere navale Piccaluga nella città di Lisanza, nella parte sud-orientale del lago. Lì si sono uniti a otto italiani. Tutti sono saliti a bordo della barca, chiamata Gooduria (un gioco di parole in italiano con la parola “piacere”). L’imbarcazione, lunga 16 metri, ha già circa 40 anni, ma di recente è stata sottoposta a una ristrutturazione che le ha permesso di imbarcare 15 passeggeri anziché 11. Ora i 21 passeggeri, e con loro lo skipper e sua moglie, iniziano il viaggio verso nord. In jeans, scarpe da ginnastica, maglietta o polo, assomigliano facilmente a decine di migliaia di altre persone. Il motivo ufficiale della crociera è una festa di compleanno per uno dei membri dell’equipaggio; a posteriori si sa che se c’è qualcosa in cui questo gruppo è un campione, è assimilarsi alla folla e trovare ragioni ufficiali per la loro vera attività.
  Dopo un’ora scarsa, si fermano e gettano l’ancora per visitare l’Isola dei Pescatori, la più piccola delle Isole Borromee nel Lago Maggiore. Si fa un giro lì, poi si va a festeggiare al ristorante Il Verbano, un ristorante di lusso dello chef Marco Sacco, che lo definisce “esclusivo e intimo, dove il tempo si ferma”.
  Non sto esagerando. Questa settimana, quando ho ripercorso il tragitto del gruppo di agenti segreti, ho raggiunto anche la piccola isola su cui si trova il ristorante. È un arcipelago bellissimo e verde, a circa 300 metri dalla spiaggia. La sua superficie è di 400×100 metri. Numero di residenti permanenti: 25. Il reddito principale proviene dalla pesca, soprattutto per i ristoranti locali dell’isola, visitati ogni anno da centinaia di migliaia di turisti.
  Il gruppo di israeliani e italiani di quella domenica non era diverso dagli altri turisti: anche loro hanno mangiato il pesce locale. Questa settimana ho cercato di parlare con i dipendenti del ristorante, dopo aver preso un appuntamento telefonico con il direttore ed essere stato invitato sul posto. Ma quando hanno saputo di cosa chiedevo, si sono tappati la bocca e hanno annunciato che non avrebbero detto una parola. Dato che i camerieri italiani non sono famosi per il loro silenzio, dall’esterno sembra che siano in apprensione o che abbiano ricevuto un avvertimento da qualcuno.
  Fuori dal ristorante, ogni 20 minuti circa, piccole imbarcazioni andavano e venivano dall’isola. Circa 40 turisti per barca, cinque euro a testa per ogni tratta. Sette o otto minuti di navigazione per arrivare qui, sette o otto minuti per tornare. Affari. Quando ho iniziato a girare l’isola, sono arrivato a un punto che domina la funivia che sale al Mottarone. Qui, con la dolorosa esattezza di due anni meno una settimana, una famiglia israeliana ha iniziato la sua giornata – finché la funivia non è crollata. I cinque membri della famiglia Biran che si trovavano nella funivia sono rimasti uccisi, insieme ad altri nove turisti. L’unico sopravvissuto è il giovane Eitan Biran.
  Due anni dopo, meno di una settimana, arriva qui anche il team italo-israeliano. La barca getta l’ancora accanto al molo, sale sulla passerella e sale sull’isola. Alla loro destra si trovano il ristorante e l’hotel che porta lo stesso nome. Poco dopo le 17.15, prima ancora che arrivino al piatto principale, il meteorologo aumenta il suo allarme sul tempo. La maggior parte delle imbarcazioni del lago torna a riva, ma non Gooduria. Salpa di nuovo alla fine del pasto, tra le 18.00 e le 19.00. Alla loro destra si vedono le magnifiche Alpi.
  Anche martedì di questa settimana, quando siamo arrivati sull’isola, il meteorologo ha dato un avviso di “codice giallo”, che significa che il tempo sta per cambiare. È proprio quello che è successo: le nuvole pesanti sono scese a visitare e baciare le cime degli alberi. La pioggia è caduta e i venti hanno soffiato. Una tempesta molto più forte è riuscita ad affondare il Gooduria, ma Marco lo spagnolo ha detto che i nostri non avrebbero avuto problemi a navigare.
  “È stato un errore dello skipper”, dice a proposito dell’incidente. “Un bravo skipper se ne sarebbe tirato fuori, e uno skipper come me non si mette mai in una situazione del genere”. Ho suggerito che avremmo potuto aspettare un po’, finché il lago e i venti non si fossero calmati; lui mi ha chiesto di non preoccuparmi, mi ha lanciato dei sacchetti per il vomito e mi ha offerto un giubbotto di salvataggio. “Se avesse insistito perché tutti ne indossassero uno durante la crociera, nessuno sarebbe morto”, dice.
  Quella domenica, alle 19:20, davanti alle spiagge di Varazze e alla città di Sesto Calende, l’avvertimento del meteorologo è diventato realtà. Fino a quel momento il cielo era azzurro e il mare piatto, ma all’improvviso il cielo è diventato grigio, le nuvole pesanti hanno riversato una pioggia terribile e i venti alla velocità di circa 70 chilometri all’ora hanno fatto infuriare le onde.
  “Quella domenica ero seduto al settimo piano, nello Sky Bar dell’Hotel La Palma”, racconta il poliziotto locale. “Era una giornata perfetta. Sole piacevole, temperatura elevata. E all’improvviso, in 30 secondi, tutto si è capovolto. Un uragano davanti ai nostri occhi. Ma non c’erano più imbarcazioni sul lago quando è successo”.
  Il Gooduria trema a destra e a sinistra. La moglie dello skipper, che non sa nuotare, inizia a urlare istericamente e a pregare in russo. Anche una donna italiana del gruppo ha un attacco di panico ed entrambe vengono portate sottocoperta. “Nel giro di 30 secondi ci ha colpito un’apocalisse”, ha detto lo skipper Claudio Carminati, “la barca è affondata e siamo finiti tutti in acqua”.
  Le due donne calate nella pancia della barca annegano immediatamente. Un altro uomo italiano affonda sul fondo del lago, senza vita. Un uomo israeliano cerca con tutte le sue forze di salvare altri due passeggeri. Ci riesce, poi muore e il suo corpo galleggia sulla superficie dell’acqua. Gli altri presenti nuotano per 150 metri fino alla riva, oppure vengono avvistati dalle poche barche rimaste nel lago e accorrono in loro aiuto. I loro uomini li raggiungono con i remi e altri aiuti di salvataggio.
  Alessandro, 30 anni, era uno dei soccorritori. Stava navigando in barca con un amico, vicino a Sesto Calende. Altri due amici stavano navigando accanto a loro in un’altra barca.
  “Stavamo già tornando a casa quando è iniziata una tempesta come non ne avevamo mai viste”, ricorda. “Abbiamo 30 anni e l’acqua fa parte della nostra vita da 25 anni. Viviamo per questo e pensavamo di aver visto tutto. Ma non abbiamo mai visto nulla di simile. Sembrava di navigare in una nuvola. Poi sono iniziate le grida e le urla che ci sono giunte dalle vicinanze. Non sembrava normale. E proprio in quel momento uno stormo di gabbiani è passato sopra di noi e abbiamo pensato che fossero loro la fonte delle urla, ma le urla non si sono fermate. Urla terribili, di persone che imploravano per la loro vita. Abbiamo raggiunto la zona ed era una scena da film catastrofico: frammenti di alberi e sedie che galleggiavano sulla superficie dell’acqua, e tra loro persone che cercavano di lottare per la propria vita. Abbiamo iniziato a gettare in acqua tutto il possibile perché cercassero di galleggiare, abbiamo iniziato a mandare loro i remi che avevamo per trascinarli verso la barca e salvarli. Li abbiamo caricati e abbiamo continuato la missione di salvataggio. L’altra barca è andata a chiedere aiuto alle forze di soccorso. E quando non c’era più nessuno da caricare”.
  Sulla spiaggia, bagnati ed esausti, i sopravvissuti sono stati interrogati dalle forze di sicurezza. Gli israeliani hanno sostenuto che tutti i loro documenti erano andati perduti nell’affondamento. Insieme agli italiani, sono stati evacuati negli ospedali di Boracay. In meno di un giorno sono stati dimessi e miracolosamente tutti i loro documenti di ricovero sono scomparsi. Così sono scomparsi anche tutti i documenti di registrazione degli israeliani nell’hotel. In meno di un giorno sono stati tutti rilasciati. Gli israeliani non si sono nemmeno preoccupati di restituire le loro auto a noleggio. Un aereo destinato alle missioni speciali li riporta a Tel Aviv.
  I media italiani annunciano che quattro persone sono morte annegate: Claudio Alonzi, 62 anni; Tiziana Barnovi, 53 anni; un israeliano di 50 anni e la russa Vanya Buzkova, moglie dello skipper della barca, Carminati. Solo un mese fa avevano fondato una società chiamata Love Lake, che offre colazioni e gite in barca sul lago.
  Questa storia, per quanto tragica, sarebbe stata sicuramente raccontata per qualche ora, per poi scomparire nel flusso delle notizie dei media italiani. Ma poi c’è un colpo di scena: si scopre che gli otto italiani e i 13 israeliani lavorano, o hanno lavorato, per i servizi segreti di sicurezza dei loro Paesi. L’israeliano era un ufficiale dell’intelligence del Mossad e il capo della missione, un uomo molto attivo nelle attività operative e che negli ultimi tempi si occupava soprattutto dei rapporti con le agenzie di intelligence straniere. La Repubblica intitola la vicenda agli “007”, il Corriere della Sera incorona l’evento con il nome di “summit del Lago Maggiore”, e gli italiani cominciano a chiedersi cosa sia successo davvero.
  “Siamo diventati un centro di spionaggio internazionale?”. Si è chiesto questa settimana Giovanni Bozzi, sindaco della città di Sesto Calende, sulle cui rive è affondata la barca. Ebbene, le persone con cui abbiamo parlato questa settimana lungo le sponde del Lago Maggiore hanno avuto una risposta inequivocabile: sì.
  Il paesaggio intorno al lago è davvero pieno di James Bond, ma non è questo il motivo per cui l’area del Maggiore è diventata improvvisamente una vivace scena di intelligence internazionale, intrighi e cospirazioni.
  Questa regione, nell’Italia settentrionale, si trova a un crocevia che è diventato critico negli ultimi anni. È molto vicina al confine meridionale della Svizzera e a quello orientale della Francia. La Svizzera è sempre stata un rifugio per banche segrete e società di paglia di ogni tipo. La Francia è una delle mete preferite dagli oligarchi russi, spesso legati ai lati oscuri dei regimi del mondo. L’Italia in generale, e il nord in particolare, è un centro globale per aziende e startup ad alta tecnologia che si occupano e producono prodotti, sistemi, software per l’industria spaziale e aeronautica, e soprattutto componenti per uso civile che possono essere utilizzati anche per scopi militari, compresi i componenti per i droni.
  Dopo l’invasione russa dell’Ucraina e l’inasprimento dei legami militari tra Iran e Russia, lo spionaggio internazionale nella regione ha ingranato la marcia più alta. Molti oligarchi si sono trasferiti sulla sponda orientale del Piemonte, a Verbania, in Italia. Altri, la cui residenza è in Francia, possono raggiungerla in poche ore. Hanno utilizzato banche in Svizzera, un Paese che non aveva ancora sentito parlare di una legge antiriciclaggio che non poteva essere piegata per superare l’embargo economico occidentale, hanno acquistato costosi immobili e costruito un hotel a sette stelle. In breve tempo, anche i russi iniziarono a mediare e a impegnarsi nella vendita di droni iraniani all’esercito russo. Allo stesso tempo, sempre più agenti iraniani venivano in Italia per fiutare l’acquisto di tecnologie e componenti per i loro progetti di armamento.
  “Qui ci sono decine di aziende italiane all’avanguardia. Siamo una parte molto significativa dell’industria e delle esportazioni italiane”, mi dice un dipendente di una di queste aziende tecnologiche italiane, nella zona industriale della vicina Lombardia. “Quindi, comprensibilmente e chiaramente, c’è molto spionaggio industriale qui, non siamo innocenti. Ma negli ultimi mesi si è intensificato a livelli che non conoscevamo. Ci sono hackeraggi, sorveglianze, dispositivi di ascolto impiantati. Prima c’era una normale distribuzione di persone che volevano reclutare per le aziende; ora tutte le aziende cercano solo combattenti nell’arena cibernetica. Non è normale”.
  Che cosa hanno fatto gli agenti israeliani e su che cosa hanno collaborato con gli agenti italiani? Ci sono molte teorie che girano sul lago. Spiare i russi è un’ipotesi. Ma un’ipotesi molto più concreta è che, alla luce degli allarmanti e costanti progressi degli iraniani nel progetto nucleare, abbiano collaborato contro i funzionari e gli agenti iraniani che si aggirano in Italia, soprattutto in questa regione, alla ricerca di tecnologie da acquistare per il loro Paese e per approfondire i legami economici tra le aziende italiane e il regime iraniano.
  “Può darsi che sia tutto vero, che siano solo andati in barca insieme e abbiano festeggiato un compleanno e che qui non ci sia nessuna storia alla James Bond, ma solo una barca con delle persone a bordo finita nel posto sbagliato al momento sbagliato”, mi dice il poliziotto locale. “Ma qui ci sono troppe coincidenze e troppe circostanze, e a me e ai miei amici sembra un’operazione, o una crociera della vittoria per un’operazione che si è conclusa con successo”.

• Di quale operazione sta parlando?
  “La spiegazione è che sono riusciti a impedire che gli iraniani mettessero le mani su armi avanzate o che impedissero loro accesso ad armi strategiche o la proliferazione di armi non convenzionali. Non posso confermare o verificare nulla di quello che dico, perché è ancora una spy story, ma è così che appare agli esperti di sicurezza qui presenti”.
  “Le ho già detto che non siamo innocenti”, dice un operaio di una delle industrie della difesa nella regione industriale della Lombardia, una delle province più ricche d’Italia. “Chiunque lavori qui, ogni manager, ogni programmatore e ogni receptionist sa esattamente su cosa sta lavorando. Non mentiamo a noi stessi. Posso dire che lavoro nella programmazione per un’azienda aerospaziale, ma è solo un bel nome per un’industria di armi. E possiamo dire che produciamo solo prodotti e tecnologie per uso civile, ma è chiaro che non è tutta la verità. Stiamo contribuendo alla produzione di questa o quella arma, alcune delle quali, alla fine, raggiungeranno anche Paesi e autorità che non sostengo né mi fido”.

• E come si convive con questa situazione?
  “Il mio governo non mi ha ancora detto che è vietato, e non mi ha detto che smetterà di fare affari con l’Iran. E ora sento che un’agenzia che appartiene al mio governo è membro di un’agenzia di un altro governo, e sta cercando di impedire qualcosa che non è vietato. Spero che gli israeliani abbiano dato all’Italia una buona ricompensa per questa assurdità. Quindi, continuo a venire in ufficio ogni giorno e a fare il mio lavoro, senza pensare troppo a ciò che significa.
  “D’altra parte, anch’io vivo qui e capisco che la gente ha paura di quello che ci sarà qui e di quello che potrebbe accadere, anche a causa dei nuovi residenti russi. E so di essere parte del problema. E personalmente, ve l’ho già detto, c’erano molte preoccupazioni riguardo allo spionaggio qui. Ora, quando la questione è esplosa con il disastro, tutto è diventato più formale, ufficiale. Non si tratta più di speculazioni. C’era un gruppo di persone del Mossad che si è unito all’intelligence locale, e sapete cosa fanno insieme. Sono spie. Non è una cosa che ti fa dormire bene la notte”.
  Le esportazioni italiane verso l’Iran sono state pari a 532 milioni di euro nel 2021, l’ultimo anno per il quale esistono dati validi. “L’Italia dei governi precedenti era un’Italia che si comprava assicurazioni di qua e di là”, mi spiega un accademico italiano che fa parte di un think tank sulla sicurezza a Roma. “Era anche al fianco di Israele nella lotta al terrorismo, e teneva d’occhio anche il commercio delle industrie italiane con il regime iraniano”.

• E ora?
  “Il cambio di governo in Italia ha cambiato completamente il quadro. Potrà condannare Israele sulla questione palestinese, ma in modo molto più debole. Allo stesso tempo, adotterà misure molto più drastiche per prevenire, o almeno non essere partner di armi nucleari e terrorismo islamico. Questo è un punto molto forte, e si tratta di una questione che riceve un’attenzione molto significativa nell’amministrazione, anche a causa della crisi dei rifugiati. Per gli italiani, questa è una situazione in cui non possono che trarre vantaggio: stanno anche cercando di fermare la bomba iraniana e, nel frattempo, stanno studiando il lavoro di spionaggio in una delle migliori scuole del mondo”.

• Ma si tratta pur sempre di mezzo miliardo di euro di entrate all’anno, non è una cifra trascurabile.
  “Credo che l’Italia imparerà a fare affari per vie traverse e per interposta persona. Ma non è un’entrata che può facilmente trascurare. È un po’ una prova di carattere, come per tutti i Paesi occidentali: Cosa si è disposti a pagare per stare dalla parte giusta delle cose”.
  All’esterno dell’impianto tecnologico, mentre parlo con l’impiegato, decine e forse centinaia di dipendenti, la maggior parte dei quali fino alla metà del quarto decennio, si riversano intorno a noi dagli uffici delle aziende. Sono usciti per fare una pausa o per pranzare. Alcuni hanno finito il turno e sono tornati a casa in auto. Sembrano proprio persone che lavorano nell’high-tech: scarpe da ginnastica, maglietta o polo e jeans, lo stesso abbigliamento indossato dai passeggeri della nave del disastro. L’italiano ha cercato di spiegarmi qualche proverbio italiano. Non ho capito bene, ma lo tradurrò approssimativamente: chi va a letto con i componenti del reattore nucleare in Iran, non deve sorprendersi se al mattino si sveglia quando una nave spia naviga davanti a casa sua.
  Tutti qui – almeno quelli che sono disposti a parlare – hanno una teoria o una spiegazione per quello che è successo a Majora. Anche per Paolo, un altro skipper del porto da cui è salpato il gruppo. “Prima di tutto, tutti sanno che il capitano che li ha presi non è un capitano che si assume per una crociera, né lo è la sua barca”, spiega. “Lo si assume perché è un uomo di logistica. Organizza le cose. Non fa domande, porta 23 persone quando ne sono ammesse solo 15. E sua moglie parlava russo, il che significa che non è possibile fare una crociera. E sua moglie parla russo, il che è un grande vantaggio per le spie”.
  “Ora, c’è anche il percorso che hanno fatto sulla via del ritorno. Avrebbero dovuto tornare indietro da dove erano venuti, e così avrebbero evitato i venti e il tempo pazzesco. Ma hanno percorso qualche chilometro in più verso Ispra. Ispra è la sede dell’Euratom – una delle più grandi aziende al mondo in materia di scorie radioattive e uno dei più grandi laboratori al mondo per la sperimentazione e la ricerca sull’uso dell’energia atomica – e lo skipper si è vantato per tutta la settimana di aver prenotato una crociera con un gruppo di scienziati dell’Euratom per lunedì, il giorno dopo il naufragio. E sono abbastanza sicuro che non avrebbero dovuto essere soli in crociera. A mio parere, le agenzie volevano un luogo completamente privato, per poter scambiare informazioni e documenti, e lui glielo ha fornito”.
  Il capitano della Gooduria è ora sospettato di aver causato la morte per negligenza e di aver navigato con troppe persone. La causa sostiene che a causa del peso aggiuntivo era più difficile per lui governare l’imbarcazione in caso di tempesta.
  Il morto israeliano è stato portato ad Ashkelon per la sepoltura, alla quale ha partecipato anche l’attuale capo del Mossad, David Barnea, che ha reso omaggio. I media italiani lo hanno identificato come Erez Shimoni, anche se molti sono convinti che si tratti di un nome falso. Tutti i sopravvissuti israeliani hanno fornito la stessa versione dei fatti al momento del disastro. “Tutto era perfetto”, ha scritto la stampa locale dopo che sono stati resi noti i dettagli del caso e l’identità delle persone sulla barca, “tranne la festa di chiusura”.
  La procura italiana sta sì indagando sul disastro, raccogliendo ogni brandello di informazione, attivando i reparti della scientifica e portando i sommozzatori sul luogo del naufragio, ma ha già chiarito che intende indagare solo sul naufragio in sé e sulle morti che ne sono derivate, e non indagherà sui rapporti tra le persone che erano sulla barca e su quello che stavano facendo.
  Questo lascia il poliziotto locale con molte domande: “Quando ho sentito l’ordine delle cose, come sono accadute e chi era coinvolto, ho iniziato a chiedermi: Chi è rimasto nel lago? Una barca, una sola? Chi viene da Milano – e ha navigato fino all’isola per festeggiare il compleanno di uno dei membri dell’equipaggio? Questo non è un posto per il compleanno di uno dei membri dello staff, questo è un posto dove si viene a festeggiare qualcosa di veramente grande. Un gruppo così numeroso, a questi prezzi, con uno staff che per tutta la vita ha imparato a vivere all’ombra della vita? Si viene in un posto come questo per festeggiare qualcosa di molto più grande di un compleanno. Molto più grande”.
  Quanto grande? Forse non lo sapremo mai. Ma probabilmente abbastanza grande da destare preoccupazione.
  “So che si tratta di una catastrofe personale e nazionale”, mi dice un membro del consiglio di amministrazione del porto turistico, “ma è anche una catastrofe per noi che lavoriamo nell’industria del turismo del Lago Maggiore. Prima c’è stata la pandemia di coronavirus che non ha avuto precedenti in tutto il mondo; poi c’è stato il disastro della funivia. Tra i suoi morti c’era anche una famiglia israeliana; e ora questo. Non è una buona cosa per il nostro turismo”.
  Non state esagerando un po’? La gente sarà impegnata per un’altra settimana e tra due settimane non ci saranno abbastanza barche per i turisti.
  “Lei pensa? Pensaci bene. C’è un notiziario mondiale che parla di spie israeliane e italiane che lavorano insieme e che hanno avuto un incidente. Quanto tempo pensi che gli iraniani e gli americani, gli inglesi e i tedeschi verranno qui per cercare di capire perché il Mossad era qui? Quanto tempo pensa che passerà prima che i russi comincino ad avvelenare la gente qui? Vi dico che questo è un duro colpo per noi”.

(Rights Reporter, 19 giugno 2023)

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«Lascio la sanità, non la riconosco più»

Il primario di Novara, pioniere delle cure precoci contro il Covid: «La scienza alla fine mi ha dato ragione, eppure il sistema mi ha isolato. La pandemia è finita non grazie ai vaccini, ma perché il virus è mutato»

di Angela Camuso

«Non è più il mio mondo ... ». Con questa frase inizia il messaggio che il professor Pietro Luigi Garavelli, primario infettivologo dell'ospedale di Novara, sta inviando in questi giorni ai suoi contatti telefonici per annunciare la sua imminente uscita di scena dalla sanità pubblica, avendo deciso di andare in pensione con sei anni di anticipo. «Ho svuotato il mio studio di Novara. Dal 31 luglio inizierò il percorso che mi porterà alla pensione ... » scrive oggi, anche se in realtà lo aveva deciso - e preannunciato - poco meno di due anni fa, all'indomani della bufera mediatica e dell'azione disciplinare che subì a causa di un suo intervento pubblico in una piazza di Alessandria, durante una manifestazione no Greenpass (ma etichettata come no vax), in occasione della quale Garavelli fece affermazioni sui vaccini anti Covid che non erano in linea con quelle che il governo stava divulgando.
  Garavelli disse, in quell'occasione, che quei vaccini che venivano propagandati dalle autorità come unica soluzione salvifica per uscire dalla pandemia in realtà non lo erano e così, lui che fu il primario più giovane d'Italia (a soli 38 anni); lui che ha pubblicato ben 300 lavori scientifici, di cui 119 indicizzati; lui che è stato insignito di prestigiosi riconoscimenti a livello internazionale; lui che ha coniato anche il nome di una malattia parassitaria (la blastocistosi): lui che è stato pure revisore della rivista The Lancet; lui che insomma ha un curriculum che per scriverlo non basterebbe questa pagina, fini alla gogna e fu punito da parte dell'ospedale di Novara con la sanzione disciplinare della «censura». Censura che il prof ha rispettato, senza pero rinnegare quanto detto. Anzi. La sua uscita di scena volontaria appare piuttosto una denuncia implicita contro la censura appunto, subita, anche se lui, sia chiaro questo non lo dice, visto che fin quando non sarà andato in pensione è ancora dipendente pubblico e dunque soggetto alle regole che gli impone l'azienda sanitaria di Novara, alla quale infatti il professore ha chiesto l'autorizzazione per questa intervista. Autorizzazione che è stata accordata.

- Professore, che significa quella frase: «Non è più il mio mondo»?
  «Non è più il mio mondo perché non è più il mondo di mio papà, medico condotto che era disponibile h24 e 365 giorni l'anno. Adesso il medico è un dipendente pubblico che è stato burocratizzato. Io credevo in tante cose ma la medicina è cambiata. Io credevo innanzitutto nell'assoluto valore della scienza; credevo nel dibattito scientifico; credevo nel sistema sanitario pubblico. Io sono cresciuto cosi, ma le ultime vicende personali mi hanno reso più agnostico, più ... triste, perché dato che col tempo la scienza mi ha dato ragione, io mi sarei aspettato che qualcuno mi desse un buffetto dicendo: "Hai avuto ragione". E invece tristemente non ho mai sentito nessuno. È rimasta l'immagine di me che arringavo la folla in una piazza di Alessandria con un megafono, senza che si sia saputo quello che in realtà avevo detto, cioè cose vere. Per questo lascio, con profonda amarezza. Per questo ho scritto "Non è più il mio mondo"».

- Ecco, professore, ma perché lei è stato diffamato? Quando lei disse certe cose, due anni fa, le disse già all'epoca in nome della scienza ...
  « Io ho sempre cercato di spiegare l'andamento della pandemia con le mie conoscenze scientifiche».

- Invece si continua, nell'opinione comune, a sostenere che le autorità abbiano preso decisioni in nome della «Scienza» e ora che molte di queste decisioni si sono mostrate errate, qualcuno sostiene che la «Scienza» abbia sbagliato.
  «Io ho seguito la mia linea. E voglio parlare solo di quello che ho fatto e cioè: insieme ad altri a livello italiano e a livello internazionale, ho sostenuto l'utilità delle cure precoci le quali, all'epoca, si facevano con l'utilizzo dei farmaci che avevamo già a disposizione e mi riferisco all'idrossiclorochina, all'ivermectina, all'azitrornicina eccetera, che non erano costruiti sul Sars-Cov-z ma funzionavano, mentre adesso ci sono dei farmaci specifici proposti dal mercato - e mi riferisco al Molnupiravir, al Paxlovid e al Remdesivir - che sono degli antivirali disegnati su Sars-Cov-z, che sono sostenuti da tutta la comunità scientifica perché essendo farmaci specifici nessuno si può tirare indietro. Tuttavia anche questi nuovi farmaci funzionano solo se impiegati precocemente. Tanto più una malattia come questa viene curata precocemente tanto più è possibile guarire e questo è un concetto generale di tutte le malattie infettive. Noi abbiamo fatto le cure domiciliari nell'ambito di un protocollo che all'epoca fu approvato dall'assessorato alla Sanità della Regione Piemonte e fu fatto uno studio che ha dimostrato che riducevano sensibilmente le ospedalizzazioni. Io ne ho parlato al Senato; l'assessore regionale alla Sanità ne ha parlato più volte alla conferenza Stato-Regioni ... Ma non voglio entrare in polemica con coloro che hanno seguito un'altra via. Io ho seguito la mia via, la mia coscienza e quello che sapevo e ora il tempo mi dà ragione. Questo sia sulle cure sia sui vaccini. lo sui vaccini ho sempre sostenuto la necessità di avere vaccini aggiornati perché il virus muta e supera i vaccini. Il virus è la lepre dove il vaccino è la tartaruga».

- Quindi non è vero che siamo usciti dalla pandemia grazie ai vaccini. ..
  «Senta ... Questo virus vuole sopravvivere, come tutti i microrganismi. I virus tendono, nella loro evoluzione darwiniana, a modificare le loro caratteristiche attenuando la loro aggressività e questa è una grande lezione di biologia. Poi, c'è la tendenza del sistema immunitario dell'uomo che si rafforza man mano che affronta nuove patologie, perché anche da paucisintomatico inizia a sviluppare una risposta immunitaria specifica e aspecifica».

- E questo si sapeva già...
  «Ovviamente».

- E a proposito degli effetti collaterali?
  «Io non li vedo perché non è questo il mio lavoro, ma su questo tema suggerisco di ascoltare quanto sostiene il professor Ciro Isidoro, professore ordinario di patologia generale, che è un grande esperto sia sull'efficacia di questi vaccini anti Covid a mRna sia sulle problematiche che possono causare. Isidoro ne ha parlato all'International Covid Summit di Bruxelles. È stata una delle relazioni più interessanti, perché lui parla con cognizione di causa. Il tema invece su cui vorrei intervenire, essendo sindacalista, è il futuro della sanità pubblica, perché c'è il problema dell'effettiva accessibilità delle cure, in generale, per tutte le patologie. Avere i farmaci a disposizione non  è la stessa cosa di poterne veramente usufruire. In una sanità dove non ci sono più investimenti in termini economici, dove non sono stati programmati gli organici medici e infermieristici, l'accessibilità delle cure sta diventando sempre più difficile. Il Covid è stato l'epifenomeno di una crisi profonda della sanità italiana. Il Covid ha accelerato e fatto vedere le magagne della sanità».

- Professore, questo suo addio alla professione di medico ci fa tornare alla mente un altro addio, tragico e probabilmente causato da motivazioni simili alle sue ... Mi riferisco al caso di Giuseppe De Donno ...
  «Io alcuni strascichi li ho ancora. Ad esempio sono diventato un po' più insonne ... non so se riesco a rendere l'idea. Io ho avuto vicino la mia famiglia».

- Mi sta dicendo che anche lei ha subito psicologicamente in maniera forte gli attacchi che le sono stati fatti?
  «Guardi, io in realtà li subisco ancora di più adesso, perché c'è la rabbia dovuta al fatto che io ho avuto ragione e nessuno delle istituzioni me lo ha riconosciuto. Avrebbero potuto dirmi: "Avevi ragione, è capitato così, capiscici ...". Invece silenzio assoluto».

- Eh ma se le istituzioni ammettessero che lei aveva ragione ciò vorrebbe dire che esse avevano torto. Vorrebbe dire ammettere che a causa della negazione dell'efficacia delle cure precoci c’è stata una colpa rispetto a tantissime morti che si potevano evitare.
  «Per questo può comprendere perché voglio tornare a casa, nel "mio mondo". Me ne sto tra le mie colline. Io ho aderito all'Unci, Unione nazionale dei cavalieri italiani, perché  è un modo per ricordare l'unica cosa bella che ho ricevuto: mi hanno nominato Cavaliere per il mio impegno contro il Covid. E poi mi sono portato avanti. Ad Alessandria ho fondato il "Lions Club Alessandria Valmadonna Valle delle Grazie", per dedicarmi al volontariato. Ad esempio abbiamo raccolto tantissimi finanziamenti prima per i terremotati della Turchia e della Siria, adesso per gli alluvionati della Romagna. Inoltre proseguirò nella mia attività sindacale presso l'Ugs di cui sono consigliere nazionale, per continuare a servire la società civile in una sanità de-finanziata e depotenziata. Questo sarà il mio obiettivo quando lascerò l'ospedale, oltre a quello ancor più importante di stare vicino alle mie figlie, che sono cresciute con un padre tanto, troppo assente. Devo proteggerle dalla deriva di questa società fatua, che mi fa paura.»

(La Verità, 19 giugno 2023)
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Il commentatore di questi articoli ha una basilare e motivata antipatia per quella pseudoscienza chiamata “psicologia”, ma ogni tanto trova interessante verificare le formulazioni con cui questa esoterica disciplina definisce situazioni di comportamento morale o sociale che la Bibbia, e in certa misura anche un sano buon senso popolare, presenta e descrive già da secoli. La nominata pseudoscienza presenterebbe allora i sintomi e le conseguenti azioni vergognose dell’immorale atteggiamento di quei colleghi del professor Gavarelli come un particolare caso di dissonanza cognitiva, quella che in linguaggio popolare si chiama coscienza sporca:
    “L’individuo cerca automaticamente di eliminare o ridurre il disagio psicologico che essa comporta (ad esempio riduzione dell'autostima); il che può portare all'attivazione di vari processi elaborativi, che permettono di compensare la dissonanza (e ripristinare l'autostima). E per risolvere (o almeno attenuare) il disagio provocato dal conflitto delle proprie azioni con le regole morali, è tipico il ricorso del soggetto alle cosiddette tecniche di neutralizzazione, espedienti di varia natura, tutti tendenti a escludere o affievolire la responsabilità morale individuale, negandone o attenuandone l'illiceità attraverso una ridefinizione del senso del proprio agire. Ad esempio, la posizione dell'accusato può essere "alleggerita" attribuendo alla vittima in tutto o in parte la responsabilità di quanto accaduto (colpevolizzazione della vittima), oppure sminuendo la portata della trasgressione attraverso una ridefinizione eufemistica del senso delle azioni compiute.”
Perfetto. Un’altra soluzione potrebbe essere l’acquisto di nuova coscienza: "Chi volesse comprà quarche coscienza, ne troverà de tutti li colori…". M.C.

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I professionisti dell’abuso odiano la famiglia

Chi cerca qualcosa già con l'idea di quel che troverà, alla fine adatterà la realtà alle sue aspettative. E’ il caso di quegli psicologi e assistenti sociali che, mossi dall'ideologia, hanno convinto molti bambini di essere stati molestati dai genitori.

di Silvana De Mari

«Chi cerca trova». La innegabile frase ha due significati. Il primo, più ovvio, è che quando hai perso qualcosa, se lo cerchi con convinzione, prima o poi lo trovi. Essendo un'esperta in caos, posso testimoniare che è quasi sempre vero. Il secondo significato è invece vero sempre: chi cerca trova e trova sempre, perché è lui che proietta quello che sta cercando. I funzionari del Kgb trovavano sempre i controrivoluzionari, i Khmer Rossi trovavano sempre i borghesi, Enrico VIII trovava sempre gli amanti delle mogli considerate infedeli: chi dispone di carnefici di qualità trova sempre quello che cerca. Si tratta quindi del Principio della profezia che si autoavvera.
  Gli accurati ricercatori del fascismo, quelli che sono assolutamente certi di vivere in un Paese insopportabilmente fascista, vedono il saluto romano persino nel gesto obbligatorio di omaggio al tricolore con il braccio teso e alzato dei militari che sfilano il 2 giugno. La caccia al fascismo è basata sul principio isterico della legge del tutto o nulla. Perché abbia valore, qualsiasi cosa deve essere integralmente perfetta. Essere una nazione antifascista non vuol dire che non ci sia nemmeno una persona che nel suo cuore rimpiange il duce e il ventennio, esattamente come, se una nazione condanna l'omicidio, non vuol dire che non ce ne sia nemmeno uno. Il fascismo, e chi lo cerca lo trova, però è fondamentale per queste persone per giustificare la propria esistenza, non essendo state capaci di trovare un'altra linea direttiva se non combattendo qualcosa che è già stato vinto da altri più di mezzo secolo fa. Se il fascismo italiano è a loro insopportabile, il nazismo ucraino invece affonda nella loro totale tolleranza, per non parlare di quello palestinese. Grande tenerezza mi ispira sempre la giornalista palestinese Rula Jebreal: qualcuno dovrebbe ricordarle, mentre si slancia nella sua eterna caccia ai fascisti italiani, che il suo popolo è stato titolare insieme ai bosniaci di una divisione SS, la 13a, la bosniaco palestinese, personalmente fondata dal Gran Mufti di Gerusalemme, e che tuttora nel popolo c'è chi continua con entusiasmo a professare il nazismo. Sia i miliziani di Hamas sia quelli di Hezbollah salutano con il braccio teso. Il leader di Hamas Fathi Hammad ha esortato a uccidere tutti gli ebrei del mondo, e un principio analogo è contenuto nello statuto dell'associazione. La signora RulaJebreal con lodevole generosità ha lasciato il suo Paese a venire a insegnare l'antifascismo a noi. Ringraziamo commossi, ma io credo che se tornasse al Paese suo, avrebbe un bel po' di lavoro da fare. 
  Sono però assistenti sociali e psicologi quelli che eccellono nell'arte del cercare e trovare. Loro cercano gli abusi. Al minimo dubbio, noi leviamo il bambino, prima di sera. Sono queste le terrificanti parole di Federica Anghinolfi, la regina dei servizi sociali di Bibbiano, nella sua audizione al Senato. E’ sufficiente che il bambino disegni Casper, il fantasmino, che qualcuno scambia per un pene, che, prima che il sole tramonti, senza la minima indagine, senza il minimo dubbio, una famiglia venga distrutta insieme all'equilibrio della psiche di un bambino. 
  Nelle prime 12 ore del lunghissimo periodo in cui le assistenti sociali impediscono al bambino di vedere il genitore per il suo bene, il bambino piange ininterrottamente, poi smette per rassegnazione passiva, si è spezzato. Per il suo bene è messo in una casa famiglia, che sono posti statali con cibo statale, mobili dell'Ikea già sfondati a calci dai precedenti utenti. Se nella casa famiglia ci sono bambini più grandi e che vengono da ambienti molto pirotecnici come campi nomadi e quartieri di spaccio, il bambino subisce abusi che vanno dal bullismo all'abuso sessuale, ma ci hanno assicurato a Bibbiano che, se esercitato da un minorenne, l'abuso sessuale non vale, non fa male, non lascia segni. 
  Chi cerca trova vale anche per gli psicologi che cercano l'abuso. Claudio Foti è un professionista del centro Hansel e Gretel di Moncalieri, specializzato nell’abuso: non suona bene, inevitabilmente non cercano la verità, ma l'abuso, della cui esistenza sono inconsciamente certi. Perché nella Bassa Modenese e a Bibbiano sono stati arruolati professionisti del Piemonte? In Emilia Romagna non hanno psicologi capaci, evidentemente, se, moltiplicando i costi, occorre farli arrivare dal Piemonte. Claudio Foti non ha la laurea in psicologia. È laureato in lettere, una laurea molto brillante, presa con 110 e lode, a un' età un po' canonica, a 27 anni. Dopo la laurea ha cominciato a lavorare nell'ambiente della psicologia. Solo negli anni Novanta è stata strutturata in Italia la pratica della psicologia, stabilendo che era necessaria la laurea in psicologia e solo quella, ed eventualmente la successiva specializzazione in psicoterapia. Per evitare però di creare disoccupati o comunque persone infelici, lo Stato che è buono ha stabilito che coloro che già esercitavano la psicologia in qualche maniera fossero nominati psicologi anche senza laurea, e questo vuol dire che la laurea in psicologia evidentemente non ha valore, se averla o non averla è la stessa cosa. 
  Claudio Foti è laureato in lettere, è un esperto in narrazioni. E diventato lo psicologo (anzi il non psicologo) più famoso in Italia per quanto riguarda l'abuso. E’ lui che ha tenuto i corsi a magistrati e assistenti sociali. Scusate, ma tra i laureati in psicologia non ce ne era nessuno più bravo o almeno altrettanto bravo? Cercare un trauma e un abuso è dannatamente pericoloso, perché chi cerca, trova. Il dialogo con chi potrebbe aver subito un abuso deve essere fatto con una correttezza e una prudenza estreme, senza mai proporre un'idea perché c'è il rischio di creare una falsa memoria. Creare una falsa memoria è facilissimo. I genitori che «dimenticano» i bambini sul sedile posteriore in realtà non li dimenticano. Hanno immaginato il momento in cui li consegneranno all'asilo quell'immagine è diventata una falsa memoria, loro si sono convinti di aver portato all'asilo il bambino che in realtà si è addormentato sul seggiolino. Immaginate come è facile per un terapeuta incauto che fa una domanda diretta come «papà ti ha fatto del male?», o qualcosa di simile. La tecnica Emdr, una buona tecnica per la desensibilizzazione del trauma, è particolarmente pericolosa. Durante l'esecuzione della tecnica il terapeuta deve restare rigidamente in silenzio. Se parla, se propone immagini, può creare una falsa memoria che il soggetto non è più in grado di riconoscere come falsa. A Reggio Emilia le false memorie sono state oggettivizzate, qualcuno (uno psicologo? Un assistente sociale?) ha modificato il disegno di un bambino, raffigurante un adulto e appunto un bambino, così da simulare il disegno di un'aggressione. 
  Foti piace tanto perché rappresenta la tendenza europea. Nella Comunità europea l'odio contro la famiglia è totale: la definizione di famiglia è semplicemente «luogo dove il bambino e protetto». In Germania esiste l'istituzione dello Jugendamt, che costituisce il terzo genitore, infinitamente più importante dei primi due. Non è un ufficio di protezione della gioventù, ma l'ufficio del controllo statale totale. Inoltre i tedeschi non hanno veramente mai abbandonato il concetto di essere la razza superiore. I genitori non tedeschi, per esempio italiani, di bambini nati in Germania hanno torto a prescindere, in quanto non tedeschi, e sono costretti a cedere i loro figli alla struttura tedesca, con l'incredibile complicità dei giudici italiani che stanno avallando questo scempio. L'imperdibile libro di Marinella Colombo Non vi lascerò soli è importantissimo perché spiega quello che sarà anche il destino dell'Italia se non combattiamo per fermare questa deriva.

(La Verità, 19 giugno 2023)
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La psicologia è una falsa scienza che non smette di fare danni in tutti i campi. Anche in campo cristiano evangelico, dove è più dannosa del metodo di interpretazione storico-critico, perché più estesa, più popolare e quindi più insidiosa. M.C.

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Panoramica sul Millennio

Riportiamo uno studio pubblicato qualche anno fa su “Chiamata di Mezzanotte”, ringraziando l’autore per il notevole lavoro che certamente ha fatto per raccogliere e ordinare sinteticamente i punti essenziali di un argomento biblico di enorme importanza e molto trascurato negli ultimi anni. Si sa bene che su questo tema in campo evangelico ci sono posizioni diverse, ma sarà bene avvertire che quella qui presentata non è la stramba pensata di un visionario dell’ultim’ora, ma riassume una posizione già presente in libri e saggi biblici fin dagli inizi del secolo scorso, e anche prima. Riportiamo qui di seguito la parte conclusiva dello studio e alleghiamo in fondo l’intero articolo in pdf.


di Paolo Tallone

Perché si parla poco del Millennio?
  Come Mosè, un vero credente in Cristo ha giustamente lo sguardo rivolto verso il cielo, perché è da lì che tornerà il suo Signore e perché è lì che passerà l'eternità.
  Ma non si può negare che generalmente del Millennio se ne parla brevemente solo quando si studia l'Apocalisse e, personalmente, non ho mai sentito uno studio specifico su questo tema. Perché?
  Penso che il fatto che durante quel periodo Israele avrà un ruolo privilegiato e che il Regno sarà indubbiamente situato nel suo stato e in questa Gerusalemme terrestre, purtroppo, incomprensibilmente, mette a disagio alcuni credenti che sono influenzati da insegnamenti sbagliati.
  Se ne parla poco a causa di una certa confusione nel comprendere le profezie e il loro ordine cronologico; perché si trascura l'aspetto storico della salvezza fissando tutta l'attenzione sull'aspetto individuale della conversione.
  Anche quando si parla di Millennio, non sempre si sottolinea che questo rappresenta il compimento del Regno Messianico promesso a Israele, descritto abbondantemente nell'Antico Testamento.
  Vi è anche il fatto che non tutti leggono Apocalisse 20 in modo letterale e cronologicamente successivo al capitolo 19, come personalmente credo sia corretto fare, che poi è la posizione premillenarista, cioè di chi crede che la seconda venuta di Cristo preceda il regno fisico del Millennio.
  Vi sono anche i postmillenaristi che credono che i mille anni rappresentino il periodo di trionfo dell'Evangelo il quale anticipa la seconda venuta di Cristo, e gli amillenaristi, che credono che il Regno milleniale di Cristo non sia qualcosa di fisico ma di spirituale nel cuore dei credenti.

Quali sono per noi i risvolti pratici riguardo al Millennio?
  Il Regno millenario è come l'anticamera dei nuovi cieli e della nuova terra; è l'adempimento delle promesse riferite al Regno sulla terra; è la conclusione prima del giudizio universale; è la dimostrazione di ciò che è possibile stabilire quando Israele e l'umanità nel suo complesso si sottometteranno alla signoria del Signore Gesù Cristo. Comprendere bene che cos'è il Millennio serve per:
  • Avere una corretta visione di ciò che ci aspetta ed essere così incoraggiati
  • Avere una corretta visione riguardo a Israele e all'amore che Dio ha per questo popolo.
Per questa ragione anche noi dobbiamo amare gli Ebrei e dobbiamo portare loro il Vangelo di Yeshua HaMashiach, affinché i chiamati tra loro si convertano e si salvino ... e quindi affrettare la Sua venuta!
  Serve per condurci in santità e pietà perché l'Eterno è Dio della storia e il Suo Cristo regnerà su questa terra con noi, anche se per un tempo, e comunque non così corto. Quale privilegio!
  • Perché viviamo in tempi difficili e altri più tremendi stanno per arrivare. Se vogliamo regnare con il Re dobbiamo vegliare sul nostro cuore, vegliare nelle nostre assemblee, consacrarci per essere dei vasi nobili al servizio del Maestro.
Fratelli e sorelle, ci deve confortare la certezza che presto regneremo con Cristo Gesù in una terra risanata con un corpo incorruttibile, glorioso, potente, spirituale, celeste, immortale. Ci dobbiamo rallegrare per l'imminente Regno millenario, per il fatto che Israele tornerà al Dio dei suoi padri, perché vedremo e serviremo Gesù Cristo, vedremo la gloria dell'Eterno nel Tempio, e perché quando il Millennio finirà, vivremo nei nuovi cieli e nuova terra al cospetto del nostro Dio per l'eternità! Marana-tha! Vieni presto Signore Gesù! Amen!

- Panoramica sul Millennio

(Chiamata di Mezzanotte, luglio/agosto 2019)


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Il ministro marocchino Abdelouafi Lafti incontra il suo omologo israeliano, Moshe Arbel

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Come ha rivelato La scrivania il ministro dell’Interno del Marocco Abdelouafi Laftit ha incontrato questo venerdì presso la sede del ministero a Rabat il suo omologo israeliano degli interni, anche lui a capo del Dipartimento della salute dello Stato ebraico, Moshe Arbel.
  Questo incontro fa parte del rafforzamento delle relazioni tra il Regno del Marocco e lo Stato di Israele, che hanno compiuto progressi significativi dalla firma nel dicembre 2020 della dichiarazione tripartita (Marocco-USA-Israele).
  Nel corso di tale incontro, Laftit ha avuto uno scambio di opinioni con il suo omologo israeliano. Questo incontro è stato anche l’occasione per affrontare questioni bilaterali di interesse comune ed esaminare modi per rafforzare la cooperazione tra i due Paesi, conclude il documento.
  Va notato che questa è la seconda visita di un ministro degli interni israeliano in Marocco. Ayelet Shaked, il predecessore di Moshe Arbel, aveva incontrato Nasser Bourita e Laftit durante una visita ufficiale nel luglio 2022, per aprire le discussioni su un accordo per inviare manodopera marocchina in Israele, a conferma delle informazioni rivelate da La scrivania.

(dayFRitalian, 17 giugno 2023)

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Israele in pressing sull’Occidente per fermare il programma nucleare dell’Iran

Netanyahu ha ribadito l'opposizione di Israele a un ritorno all'accordo nucleare originale del 2015 e ha sottolineato che il Paese sta facendo grandi sforzi per cercare di fermare l'Iran.

Nonostante il recente riavvicinamento dell’Iran all’Arabia Saudita e le voci sulla ripresa dei negoziati internazionali sul programma nucleare iraniano, resta alta tensione in Medio Oriente per la crescente tensione tra Teheran e Israele. Una fonte politica di spicco a Tel Aviv citata dal quotidiano panarabo edito a Londra “Asharq al Awsat”, di proprietà saudita, afferma che i politici e i leader militari israeliani “continueranno a esercitare pressioni sui paesi occidentali” per quanto concerne in dossier iraniano. Le parole del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, espresse durante una sessione del Comitato per gli affari esteri e la Difesa nella Knesset, lasciano ben poco spazio a dubbi: il governo israeliano non si fida che l’Iran rispetterà un eventuale accordo sulla natura pacifica del suo programma nucleare. Netanyahu avverte che Israele monitorerà attentamente l’attività nucleare dell’Iran e combatterà questa minaccia.
  Una fonte ha rivelato al sito web israeliano “Walla” che il programma nucleare iraniano è stato il tema più importante posto dagli ufficiali israeliani durante gli incontri con gli statunitensi. Le stesse fonti riferiscono che gli argomenti al centro degli incontri del presidente israeliano, Isaac Herzog, con il presidente statunitense Joe Biden il prossimo luglio e del ministro della Difesa Yoav Gallant con il capo del Pentagono, Lloyd Austin, in Belgio, verteranno su un unico tema: “Iran, Iran e Iran”. E la questione iraniana dominerà anche i colloqui tra Gallant e gli omologhi provenienti da Francia, Italia, Romania e Ungheria durante il Salone Internazionale dell’Aeronautica di Parigi.
  Secondo “Walla”, il ministro della Difesa israeliana chiederà nuovamente al collega statunitense Austin di accelerare la consegna degli aerei da rifornimento Boeing KC-46 Pegasus, acquistati da Israele lo scorso anno. Israele, infatti, ha bisogno di aerei da rifornimento per prepararsi a un possibile attacco all’Iran. Gallant ha discusso in precedenza con Netanyahu e alti funzionari della sicurezza della necessità di mantenere la superiorità militare di Israele nel Medio Oriente, in particolare nel confronto con l’Iran. Da parte sua, Netanyahu ha chiarito che la posizione di Israele sulla possibile ripresa dei negoziati dell’occidente sul programma nucleare iraniano è chiara: “Non saremo vincolati da nessun accordo con l’Iran e continueremo a difenderci”.
  Netanyahu ha ribadito l’opposizione di Israele a un ritorno all’accordo nucleare originale del 2015 e ha sottolineato che Israele sta facendo grandi sforzi per cercare di fermare l’Iran. Il “New York Times” ha recentemente riferito che gli Stati Uniti e l’Iran sono vicini alla firma di una “intesa”, secondo la quale Teheran si impegnerebbe a non arricchire l’uranio oltre il livello attuale del 60 per cento di purezza. In cambio, Washington potrebbe rilasciare parte dei fondi congelati. Da parte sua, Teheran cesserebbe anche gli attacchi contro i militari statunitensi in Siria e Iraq tramite i suoi alleati regionali, intensificando potenzialmente la cooperazione con gli ispettori nucleari internazionali e astenendosi dalla vendita di missili balistici alla Russia.
  Nel frattempo, Israele sta compiendo manovre militari sempre più evidenti. Rafael Advanced Defense Systems, una delle principali società di tecnologia della difesa israeliana, ha sviluppato un avanzato sistema d’intercettazione missilistica chiamato “Sky Sonic”, descritto come la risposta difensiva innovativa alla crescente minaccia dei missili ipersonici. Il sistema sarà ufficialmente presentato per la prima volta la prossima settimana al padiglione dell’azienda al Salone dell’Aeronautica di Parigi, una delle più grandi mostre aerospaziali del mondo. Il nuovo sistema rappresenta una risposta alla parata militare dei Guardiani rivoluzionarie iraniani (i cosiddetti Pasdaran) alla presenza del presidente Ebrahim Raisi, che ha incluso la presentazione di Fattah, il primo missile ipersonico dell’Iran.

(Nova News, 17 giugno 2023)

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Putin interviene al Forum economico internazionale di San Pietroburgo

Il presidente russo Vladimir Putin intervistato al Forum economico internazionale di San Pietroburgo ha ricordato lo sterminio degli ebrei nella Seconda guerra mondiale. “L’Olocausto  è stato lo sterminio di 6 milioni di ebrei, e un milione e mezzo sono stati sterminati in Ucraina, prima di tutto per mano dei Banderiti”, specificando che il riferimento è ai seguaci del nazionalista Stepan Bandera, alleatisi con Hitler contro l’Unione Sovietica.
  Infine Putin,  dopo aver fatto vedere una serie di video agghiaccianti sui massacri in Ucraina,  ha affermato che proprio Bandera e i suoi seguaci oggi sono “gli eroi dell’Ucraina” e coloro che “le autorità ucraine oggi proteggono”. “Abbiamo l’obbligo di combattere contro questi – ha proseguito Putin -. La Russia è stata la parte che ha sofferto di più nella lotta contro il nazismo. Non dimenticheremo mai questo. “Abbiamo tutto il diritto – ha concluso il presidente russo – di ritenere che uno dei nostri obiettivi chiave in Ucraina è la denazificazione”.

(Fatti & Avvenimenti, 17 giugno 2023)


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Mosca: "Le proposte di pace di alcuni paesi potrebbero funzionare"

Putin attacca Zelensky: "Un disonore per gli ebrei"

Le proposte di pace di alcuni Paesi sul conflitto in Ucraina contengono idee che potrebbero funzionare. A riferirlo è la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, all'agenzia di stampa Tass durante il Forum economico che si sta svolgendo a San Pietroburgo. "Certo che ci sono", ha risposto la portavoce rispondendo alla domanda sulla possibilità di idee concrete sulle proposte di pace.
  "Ribadisco che siamo grati a tutti i Paesi, tutti gli Stati e le figure pubbliche, perché molte proposte sono state presentate personalmente da personaggi pubblici internazionali - ha aggiunto -. Siamo grati a tutti quelli che stanno parlando della pace, che stanno facendo proposte e che si stanno rendendo disponibili per questo".
  Nel forum è intervenuto anche il presidente russo Vladimir Putin. "La controffensiva ucraina - dichiara - non ha alcuna chance di successo. "Le forze di Kiev in questo momento attaccano in alcune aree, hanno perso diversi carri armati, i combattimenti continuano ma non hanno alcuna possibilità", ha aggiunto come riporta Tass.
  "Ho amici ebrei che mi dicono che Zelensky non è un ebreo, ma un disonore per gli ebrei", ha detto ancora Putin. "La Russia può distruggere qualsiasi edificio nel centro di Kiev ma non lo fa per determinate ragioni", ha aggiunto, spiegando anche che alcune armi nucleari russe sono già state consegnate alla Bielorussia e il resto verranno trasferite entro la fine dell'anno.
  Durante il suo intervento il presidente russo ha chiesto di rispettare un minuto di silenzio in memoria di Silvio Berlusconi.

(Rtv, 17 giugno 2023)

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Al via il Pitigliani Kolno’a Festival – Ebraismo e Israele nel Cinema

Torna dal 19 al 22 giugno 2023 a Roma, a  ingresso gratuito fino a esaurimento posti, il  Pitigliani Kolno’a Festival – Ebraismo e Israele nel Cinema, giunto alla  sedicesima edizione, dedicato alla cinematografia israeliana e di argomento ebraico. Il festival si tiene in due location: dal 19 al 21 giugno alla  Casa del Cinema mentre la serata finale, il  22 giugno, al  Centro Ebraico Italiano Il Pitigliani.

Prodotto dal  Centro Ebraico Italiano Il Pitigliani e diretto da  Ariela Piattelli Lirit Mash, il  PKF2023 propone, come sempre, un variegato assaggio dell’ultima produzione israeliana.

Con quattro film, tutti in anteprima italiana, il PKF2023 offre uno sguardo su aspetti diversi quanto importanti della società israeliana. Dalla convivenza alla memoria degli eventi della storia contemporanea d’Israele, alle difficoltà dei giovani emarginati. Quattro film che permettono allo spettatore di conoscere i temi che il cinema israeliano oggi affronta, dei diversi linguaggi scelti dai registi, che continuano a raccontare un Paese e la sua cultura anche con la leggerezza della commedia.

La PRIMA SERATA - Il festival apre il 19, alle 21.30 con Matchmaking di Erez Tadmor, un film che rappresenta, scegliendo il genere della commedia, un affresco sul mondo dei giovani ebrei ortodossi di Gerusalemme che cercano, con l’aiuto dei sensali, l’amore della vita: un film dove si incontrano e si scontrano mondi diversi in quello che è già un microcosmo e in cui anche un fidanzamento può diventare un affare di stato. Sarà presente il regista.

La SECONDA SERATA, sarà dedicata alla regista di Savoy, Zohar Wagner, che saluterà il pubblico da Israele. La docu-fiction racconta la storia di Kochava Levy, una giovane donna di origine yemenita che ha fatto da mediatrice tra i terroristi e l’IDF mentre era tenuta in ostaggio a Tel Aviv durante la notte del micidiale attacco terroristico all’Hotel Savoy del 1975. Nel corso di una notte, si trasformò in un’eroina senza paura. Il film intreccia rari materiali d’archivio che non sono mai stati diffusi e scene di fiction rievocative della notte dell’attacco.

Durante la TERZA SERATA verrà consegnato il premio alla carriera a Erez Tadmor. Seguirà la proiezione di Children of Nobody lungometraggio drammatico ispirato ad una storia vera.
Vivendo ai margini della società israeliana, alcuni ragazzi problematici devono unirsi per salvare il rifugio per giovani a rischio che li ha tenuti lontani dalla strada. Per generazioni, la direttrice Margalit (Tiki Dayan) ha fornito un rifugio amorevole alle vittime dell’abbandono e della violenza in una casa malandata alla periferia di Tel Aviv. Tocca al braccio destro Jackie (Roy Assaf) tenere la casa lontana dagli immobiliaristi corrotti, placando anche i controlli di un assistente sociale per evitare la tragedia.Con l’amore severo del “fratello maggiore” Jackie, i ragazzi devono ora essere responsabili delle proprie vite e salvare il loro rifugio da un destino terribile.

Il festival si chiuderà al  Centro Ebraico Italiano Il Pitigliani con la proiezione di Paris Boutique di Marco Carmel. Una commedia degli errori e una storia di amicizia tra due donne in un momento critico della loro vita.
Louise, un avvocato di religione ebraica, arriva da Parigi per concludere un importante affare immobiliare. Si affida a Neta, un’autista e astuta eroina di Mahane Yehuda, che intuisce subito l’opportunità economica e decide di restare al fianco di Louise ad ogni costo. Quando le due visitano la Città Vecchia, scoprono un legame segreto tra una donna ultraortodossa e un uomo di religione cristiana, che comunicano attraverso note nascoste nelle scanalature del Muro del Pianto. Nel tentativo di risolvere il mistero, Louise e Neta seguono l’enigmatica coppia attraverso gli stretti vicoli della città. 

Erez Tadmor – Premio alla carriera Pkf2023
Nato in Israele nel 1974, Erez Tadmor è sceneggiatore, regista e produttore. Si è laureato alla “Camera Obscurs Film School” di Tel -Aviv. Il suo primo cortometraggio “Moosh” ha vinto premi in più di 40 festival in tutto il mondo inclusi Houston, Palm springs e molti altri.
Tra i film che ha diretto e di cui ha curato anche la sceneggiatura ricordiamo Magic Men, A Matter of  Size, The Art of Waiting e Homeport.

Il PKF2023 è realizzato con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Roma, con il contributo della Fondazione Museo della Shoah, in collaborazione con il  MEIS – Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah e l’Ambasciata di Israele in Italia.

I film, tutti in lingua originale iniziano alle 21.30. Sono ad ingresso libero fino ad esaurimento posti. E’ consigliata la prenotazione sul sito www.pitiglianikolnoafestival.it

(ildogville.it, 17 giugno 2023)

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Parashà di Shelàkh: Esploratori e spie

di Donato Grosser

In questa parashà viene raccontato cosa avvenne prima, durante e dopo il viaggio dei dodici rappresentanti delle tribù d’Israele inviati da Moshè, su richiesta del popolo, per esplorare la terra di Canaan. Al loro ritorno, dopo quaranta giorni, essi vennero da Moshè e da Aharon e da tutta l’assemblea d’Israele: “Gli raccontarono e dissero: Siamo arrivati nel paese  dove ci avevi mandato ed esso è davvero un paese stillante latte e miele come puoi vedere dai suoi frutti.  Tuttavia (efes) il popolo che abita nel paese è aggressivo, le città sono vaste  e  fortificate. Inoltre abbiano visto lì anche i discendenti dei giganti. ‘Amalèk abita nel meridione, i chittiti, i gebusiti e gli emorei abitano nella regione montana e i canaaniti abitano sulla costa e lungo il Giordano” (Bemidbàr, 13: 27-29).
   R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (p. 103) fa notare  che tutti i commentatori si domandano quale sia stato il peccato degli esploratori. Infatti Moshè era stato molto esplicito nelle sue istruzioni e aveva detto loro: “Andate a nord verso il Nèghev e continuate a nord verso la regione montagnosa; osservate il paese e il popolo che vi abita, se è forte o debole, se è poco o molto numeroso, e se il territorio nel quale abita è buono o meno, e se  le città dove risiedono sono aperte o fortificate (ibid., 17-19).  Per quale motivo le parole degli esploratori generarono un panico nel popolo che rifiutò di continuare la marcia verso la Terra Promessa? Alla fine il rapporto era conforme alle istruzioni ricevute da Moshè! 
   Il Nachmanide (Girona, 1194-1270, Acco) suggerisce che il peccato degli esploratori era stato di aver aggiunto una parola che cambiava il significato del rapporto. Essi dissero “efes” (tuttavia). Senza quella parola  la storia del popolo d’Israele sarebbe stata differente, Moshè non aveva chiesto agli esploratori di dare un’opinione sulla probabilità  di sconfiggere gli abitanti di Canaan. Moshè aveva chiesto solo una descrizione del paese. 
   Nel libro di Yehoshua’ (cap. 2)  è raccontato che Yehoshua’ prima di attraversare il Giordano, inviò due spie a vedere la città di Gerico e il territorio circostante.  
   R. Leibush Wisser, detto Malbim (Ucraina, 1809-1879) nel suo commento domanda per quale motivo Yehoshua’ inviò delle spie a Gerico senza temere che il risultato della missione sarebbe stato tragico come quello degli esploratori inviati da Moshè. Il Malbim risponde offrendo diverse motivazioni: 1. Gli esploratori di Moshè furono inviati a richiesta del popolo e, quando diedero un rapporto negativo sul paese, il popolo prestò loro fede. 2. Moshè li aveva mandati dal deserto di Paràn che era lontano dal confine della Terra di Canaan e il popolo aveva dei dubbi sulla qualità del paese e sulla possibilità di conquistarlo. Yehoshua’ invece mandò le due spie dal confine del paese, senza alcun dubbio sulla conquista, cercando solo di sapere da quale direzione fosse più facile conquistare la città.  3. Moshè aveva mandato dodici rappresentanti, uno per tribù, a esplorare; Yehoshua’ mandò due uomini per spiare. L’esploratore va per descrivere il territorio e gli abitanti; le spie vanno per cercare i punti deboli del paese. La necessità  di mandare un rappresentante per tribù fu alla base del fallimento della missione. Per spiare due esperti del mestiere sarebbero stati sufficienti. 4. Yehoshua’ mandò le due spie in segreto. Nessun altro sapeva della missione. 
   Che le due spie fossero esperte del mestiere lo conferma il fatto che entrati a Gerico andarono nel salone della “locandiera” Rachav. In un locale del genere era difficile che fossero riconosciuti come israeliti perché nessuno pensava che degli israeliti andassero in un posto simile. Inoltre il salone di Rachàv era il luogo più adatto per scoprire i segreti del paese perché  Rachàv aveva rapporti con tutti i ministri della città che le raccontavano liberamente i segreti del posto. Al loro ritorno le due spie tornarono non solo con informazioni sulla città e sul territorio circostante ma furono anche in grado di dare un rapporto sullo stato d’animo degli abitanti di Canaan: “E dissero a Yehoshua’: “L’Eterno ci ha dato in mano tutto il paese e tutti gli abitanti del paese si stanno dissolvendo davanti a noi” (Yehoshua’, 2:24).

(Shalom, 16 giugno 2023)
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Parashà della settimana: Shlach (Manda)

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Nucleare, tra Usa e Iran un negoziato segreto. Mezzo sì anche da Israele

Il patto prevede lo stop all’arricchimento dell’uranio in cambio di sanzioni più leggere

di Paolo Mastrolilli

NEW YORK -  Il dialogo diplomatico tra Usa e Iran è ripreso, sottotraccia, per negoziare un accordo informale che prevenga la crisi nucleare. Non l'intesa Jcpoa firmata da Obama, ma un cessate il fuoco politico momentaneo, che secondo il Times of Israel anche il premier dello Stato ebraico Netanyahu accetterebbe. Lo rivelano New York Times e Wall Street Journal, che ne hanno parlato con almeno tre funzionari israeliani, un iraniano e un americano.
  Da quando Trump è uscito dal Jcpoa la situazione è costantemente peggiorata. Libera dai limiti imposti dall'accordo, la Repubblica islamica ha purificato 114,1 chili di uranio al 60%, secondo i dati dell'Aiea. Questo materiale non ha alcun uso civile, ma per costruire un'atomica serve arrivare al 90%. Le stime variano sul tempo che separa ancora Teheran dall'arma nucleare, tra 6 mesi e due anni, però il capo degli Stati Maggiori Riuniti Milley ha fatto sapere di aver preparato i piani per la risposta militare, nel caso gli ayatollah salissero al 90%. Curiosità aggiuntiva, alcuni di questi piani erano tra i documenti segreti che Trump si era portato a Bedminster.
  All'inizio del mandato Biden ha cercato di resuscitare il Jcpoa, ma Teheran non ha negoziato in buona fede. Washington ora è impegnata con la guerra in Ucraina e la sfida cinese, e non vorrebbe aggiungerci un conflitto in Medio Oriente. Perciò ha ripreso il dialogo, attraverso l'inviato per l'Iran Robert Malley, che alla fine dell'anno scorso ha incontrato l'ambasciatore all'Onu Amir Saeid Iravani, e il coordinatore della Casa Bianca per il Medio Oriente Brett McGurk, andato in Oman per discutere col negoziatore nucleare Ali Bagheri Kani. Mercoledì il leader supremo Khamenei ha indirettamente confermato i contatti, dicendo che potrebbe appoggiare un accordo con gli occidentali, se l'infrastruttura atomica del Paese restasse intatta.
  In base al patto l'Iran si impegnerebbe a non arricchire l'uranio sopra il 60%, fermerebbe gli attacchi dei suoi alleati contro gli americani in Siria e Iraq, allargherebbe la collaborazione con gli ispettori dell'Aiea, e non venderebbe missili balistici alla Russia. Incerto invece sarebbe il destino dei droni consegnati a Putin. In cambio, gli Usa eviterebbero di imporre nuove sanzioni, smetterebbero di sequestrare le petroliere iraniane che esportano greggio, non chiederebbero a Onu e Aiea risoluzioni punitive. Inoltre Washington ha già autorizzato l'Iraq a pagare 2,76 miliardi di dollari di debito che aveva con l'Iran per forniture di energia, e potrebbe sbloccare altri 7 miliardi dovuti dalla Corea del Sud. I soldi andrebbero in una banca del Qatar, e potrebbero essere usati solo per rimborsare debiti di Teheran all'estero o ricevere forniture umanitarie come cibo e medicine. Non sarebbe un trattato formale, che non verrebbe mai approvato dal Congresso, e avrebbe una durata limitata nel tempo. Biden verrebbe accusato di pagare il regime che aiuta Putin a bombardare i civili in Ucraina, ma eviterebbe il rischio dell'escalation nucleare e un conflitto peggiore in Medio Oriente.
  Secondo il Times of Israel, Netanyahu ne ha parlato con alcuni parlamentari, dicendo che potrebbe accettare questo "mini accordo". L'ex inviato Usa per il Medio Oriente Dennis Ross ha commentato che servirebbe a guadagnare tempo, ma non all'infinito, perché Teheran sta già potenziando le difese delle infrastrutture nucleari.

(la Repubblica, 16 giugno 2023)


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Biden colleziona errori. Tesse in segreto l'intesa sul nucleare con l'Iran

Il "Nyt": Washington a caccia di un accordo informale. I rischi di trattare con Teheran

di Fiamma Nirenstein

Da tempo, specie dal ritiro dall'Afghanistan e dalla visita di Biden in Arabia Saudita, si poteva intuire quello che il New York Times ha presentato come una rivelazione mercoledì: l'amministrazione Biden ha negoziato con Teheran in segreto un limite del programma nucleare compensato da un poderoso rilascio di fondi all'Iran e la restituzione di alcuni prigionieri americani. Lo scopo di quello che il Nyt chiama «un cessate il fuoco politico» è impedire un'escalation nell'arricchimento dell'uranio ormai a livelli altissimi, e di contenerlo al 60%, perché non raggiunga il livello della bomba, il 90%.
  Gli Usa si sono affrettati a smentire le tre fonti, americana, israeliana e iraniana, della notizia. Biden sembra impressionato dalla abilità e dalla guasconeria con cui l'Iran sfida l'Occidente, si allea platealmente con il suo peggior nemico attuale, la Russia, gli fornisce una delle armi più di successo nel conflitto con l'Ucraina, i droni, che hanno seminato morte e distruzione. L'Iran con la salvaguardia russa continua nella sponsorizzazione della Siria di Assad (che è tornato nella Lega Araba) per mano dei suoi migliori «proxy» gli Hezbollah: è solo di ieri una delle tante incursioni aeree di Israele su svariati depositi iraniani di armi destinati ai suoi. E la distruzione di Israele e l'odio antiamericano sono sempre spudoratamente sulla copertina degli Ayatollah. L'Iran ha anche vantato l'inaugurazione di missili ipersonici, la sua capacità di raggiungere Israele e l'Occidente. Khamenei ha annunciato mercoledì che è pronto a un accordo se si mantengono intatte le strutture nucleari. E di questo si tratta: solo di promesse degli Ayatollah.
  Robert Malley l'inviato speciale per l'Iran è sembrato molto ansioso di coronare col successo gli incontri con Amir Saeid Iravani, incaricato per l'Iran, e Ali Bagheri Kani, il negoziatore ufficiale. Secondo le rivelazioni correnti, giganteschi fondi bloccati verrebbero scongelati, per esempio 7 miliardi fermi in Sud Corea dopo l'acquisto di petrolio; 2 miliardi e 76 milioni in debiti di energia fermi in Iraq sarebbero già partiti. I capitali serviranno, si può immaginare, a finanziare Hezbollah e Hamas come nel passato oltre che per il regime delle Guardie della Rivoluzione. Ma le fonti sostengono che sarebbero destinati a usi umanitari, gestiti dal Qatar e comunque riscatteranno i prigionieri americani.
  L'Iran, in ottima salute nella sua veste di alleato della Russia, per il quale la Cina ha mediato l'accordo con l'Arabia Saudita, è oggi forte, e potrebbe, forse si teme a Washington, arrivare alla bomba mentre le centrali diventano strutture inarrivabili da un attacco. Netanyahu ha già detto che, quali che siano gli accordi americani, Israele farà quello che deve per evitare la bomba iraniana. Il suo aver definito il progetto «mini deal» e non «accordo» lascia pensare a un momento di osservazione sapendo che ci vogliono 12 giorni per arrivare al 90% fatidico. Il governo di cui fidarsi è un persecutore spietato di omosessuali e donne, un fautore implacabile della pena di morte e del carcere duro.
  L'accordo con gli Usa non disegna una situazione di equilibrio, ma al contrario aumenta la tensione dell'Arabia Saudita e dei Paesi del Golfo, fa scorrere denaro nelle vene dell'alleanza antioccidentale, conduce a una corsa agli armamenti. È difficile vedere i vantaggi della scelta dell'amministrazione Biden. Difficile disegnare in Medio Oriente la pace universale. Più facile avvicinare una nuova guerra.

(il Giornale, 16 giugno 2023)
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Che anche Biden possa fare errori forse a qualcuno dà fastidio. In una Rassegna Stampa l'articolo di Fiamma Nirenstein è presentato addirittura con omissione del titolo. Sarà una dimenticanza, ma in ogni caso può avere significato perché effettivamente è fastidioso per chi ama Israele dover ammettere che "il più grande amico di Israele" tratta in segreto col più grande nemico di Israele per arrivare a firmare un accordo che sa benissimo essere contrario agli interessi e all'espressa volontà di Israele. Che razza di amico è Biden, e lo Stato che presiede, per lo Stato d'Israele? A Biden, insieme al suo governo, interessa ben poco lo Stato d'Israele quando si tratta di sostenere e difendere i suoi propri interessi, che sono quelli di mantenere a tutti i costi il suo predominio finanziario e militare sul resto del mondo. La Russia è stata vista dagli Usa come un ostacolo minaccioso al mantenimento di questo predominio e alla fine si è pensato che la scintilla Ucraina fosse il momento giusto per accelerare il crollo di questo impedimento. Si dirà che quella della Russia è stata un'aggressione, e questo è senz'altro vero, ma quello che hanno fatto gli americani in Corea, Iraq, Afganistan, che cos'era? In ogni caso, non è stato forse un "errore" esasperare lo scontro in atto cercando di coinvolgere quanti più attori possibili, tra cui in modo particolare Israele? E' convenuto a Israele rovinare le sue vantaggiose relazioni con la Russia e favorire di fatto il suo più grande nemico Iran per non contrastare il suo "più grande amico" Stati Uniti? Le mosse di Biden sono "errori" perché sono esecuzioni di un politica moralmente errata in tutti i sensi. Ha commesso e sta commettendo ancora un enorme "errore" di peso mondiale boicottando ogni tentativo di arrivare a un compromesso con la Russia.
Riporto di seguito un articolo pubblicato sul nostro sito il 7 febbraio 2023. M.C.


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Bennett: quando Usa e GB hanno fatto saltare l'accordo Mosca-Kiev

Due giorni fa l'ex premier di Israele, Naftali Bennett, ha rilasciato un'intervista ad un giornalista in cui ha dichiarato che l'Occidente ha scartato possibili soluzioni del conflitto Mosca-Kiev e ha deliberatamente scelto di far continuare la guerra dell'Ucraina contro la Russia. La cosa avrebbe dovuto essere esplosiva, avrebbe dovuto provocare reazioni accese di approvazione o rigetto, ma nulla di tutto questo è successo. Il video in cui compare l'intervista è in ebraico, ma dai siti ebraici in Italia, o da quelli che sostengono Israele e in molti casi presentano traduzioni di video interessanti, non è uscito nessuno che offrisse la traduzione e il commento di questa esplosiva intervista. Niente. Silenzio. Su ciò che disturba la comune narrazione ufficiale tutto tace. Stile covid 19. Abbiamo trovato qualcosa in un sito dal titolo significativo: "Piccole note". Sì, perché per i giornaloni queste sono noterelle di poco conto, la presenza di Zelensky a Sanremo, quella sì che è una notizia importante da analizzare e commentare nei minimi particolari . NsI

Nei primi giorni di guerra, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno “bloccato” la mediazione tra Russia e Ucraina ad opera di Naftali Bennet che stava portando frutti. A rivelarlo è stato lo stesso ex primo ministro israeliano in un’intervista su YouTube.
  Pochi ricorderanno, ma va ricordato per la Storia, che il  4 marzo 2022, agli inizi della guerra, Bennett si era recato in Russia per incontrare Vladimir Putin, visita che aveva lo scopo di trovare una soluzione al conflitto. Un viaggio sollecitato dallo stesso Putin, come rivela nell’intervista.

• LA MEDIAZIONE DI BENNET
  La mediazione aveva trovato terreno favorevole, ricorda Bennet, dal momento che le parti avevano accettato ampi compromessi. Putin aveva accettato di abbandonare l’idea di “denazificare” l’Ucraina, cioè di eliminare la leadership al governo e lo stesso Zelensky, e di disarmare l’esercito di Kiev. E aveva promesso che l’invasione si sarebbe fermata se la controparte avesse rinunciato alla richiesta di aderire alla Nato, richiesta che, come ricorda Bennet, ha innescato l’invasione.
  Bennet ricorda come Zelensky avesse accolto la mano tesa di Putin, accettando di ritirare tale richiesta. Non solo, l’ex premier israeliano spiega che aveva trovato un modo di risolvere anche il problema delle garanzie che tanto preoccupavano Kiev, che aveva timore di un accordo che non le garantisse di evitare un’invasione futura.
  Zelensky, nello specifico, voleva garanzie americane, ma Bennet gli aveva replicato: “Cerchi garanzie dall’America dopo che si è ritirata dall’Afghanistan?”. E così gli aveva proposto quello che ha definito il modello israeliano: Israele, aveva spiegato, sa che non riceverebbe alcun aiuto in caso di invasione, così ha creato un esercito in grado di dissuadere i nemici. Un’ipotesi che l’Ucraina aveva recepito.
  Certo, nel riarmo c’era il nodo dei missili a lungo raggio, continua Bennet, che la Russia evidentemente temeva. Ma sul punto, l’ex premier israeliano fa un cenno significativo, spiegando di aver detto agli ucraini “non ti servono i missili d’assalto”… insomma, bastava che nel riarmo di Kiev non fossero compresi missili a lunga gittata (per inciso, sono quelli che adesso vuole inviare la Nato).
  Per inciso, Bennet spiega che sia Zelensky che Putin erano stati entrambi “pragmatici”, aggiungendo che non c’era nulla di “messianico” nello zar russo (tale messianicità è stata declinata in vari modi dalla narrativa ufficiale; tale narrazione ha reso ancora più arduo adire alle vie diplomatiche, non essendo possibile trattare con un esaltato),
  La mediazione israeliana doveva ovviamente essere supportata dall’Occidente, così Bennet ricorda di aver fatto partecipi dei colloqui i leader in questione, alcuni incontrandoli, altri contattandoli. E ricorda come Francia e Germania si fossero mostrati “pragmatici”, mentre la linea di Boris Johnson era più “aggressiva”. Gli Usa, per parte loro, si barcamenavano tra le due posizioni.
  Ma alla fine, ricorda Bennet, in Occidente è prevalsa la linea dura. Si decise cioè di “continuare a colpire Putin e non [negoziare]”. Tale decisione, secondo Bennet, è stata “legittima”, ma è ovvio che non poteva dire diversamente, dal momento si tratta di rivelazioni già fin troppo pesanti, che gravano Stati Uniti e Gran Bretagna di tragiche responsabilità. Inutile aggiungere peso a peso.
  La parole di Bennet, fonte autorevole e non di parte, chiariscono in via definitiva che la guerra poteva finire subito, con un bilancio di un migliaio di morti, forse meno, e con l’Ucraina in possesso di una parte dei territori oggi occupati dai russi, parte dei quali, se non tutti (e altri ancora) probabilmente rimarranno sotto il controllo di Mosca a titolo definitivo. Milioni di sfollati, centinaia di migliaia di morti, un Paese totalmente devastato… tutto per “punire” Putin… per “indebolire” la Russia.
  Ricordiamo come, nonostante il fallimento della mediazione di Bennet, i negoziati tra Russia e Kiev furono comunque portati avanti, nonostante mille difficoltà, arenandosi dopo il fatale viaggio di Boris Johnson a Kiev, quando il premier britannico disse a Zelensky che l’Occidente non avrebbe supportato un’intesa con Mosca.
  Interessante anche l’accenno di Bennet sugli avvenimenti di Bucha, quando spiega che con l’emergere di quella vicenda capì che non c’era più alcuna possibilità per la pace. Anche di questo abbiamo scritto, spiegando come gli asseriti orrori di Bucha furono una messinscena creata ad arte per rendere impossibile il negoziato.

• REGIME-CHANGE ALLA DIFESA UCRAINA
  Intanto da Kiev arriva l’annuncio della destituzione del potente ministro della Difesa. Al suo posto andrà Kyrylo Budanov, che abbiamo citato su Piccolenote perché recentemente aveva rilasciato un’intervista al Wall Street Journal nella quale raccontava l’uccisione a sangue freddo di Denis Keerev da parte della SBU.
  Keerev stava partecipando ai negoziati con la Russia al momento del suo omicidio, ufficialmente presentato come non intenzionale (sarebbe stato ucciso perché ha resistito all’arresto) e fu fatto passare per una spia russa. Nell’intervista al WSJ Budanov dice invece che Keerev fu ucciso deliberatamente, aggiungendo che non era affatto una spia, anzi era un patriota. E, per confermare la sua affermazione, Budanov ha ricordato che è stato seppellito con un funerale di Stato.
  Il fatto che prima di essere nominato a un incarico tanto delicato Budanov abbia concesso un’intervista al WSJ nella quale ha apertamente criticato la Sicurezza ucraina, risulta di grande interesse.
  Di certo, c’è la necessità di rimettere mano ai meccanismi dell’esercito ucraino, che Zelensky sta mandando al macello, come dimostra in maniera plastica l’ordine di tenere a tutti i costi Bakmut nonostante sia ormai indifendibile (tanto che anche gli americani gli avevano chiesto di ritirare le truppe).
  Da notare che la notizia arriva dopo la bufera suscitata dal quotidiano svizzero Neue Zürcher Zeitung, che riferiva di una proposta di pace pervenuta a Mosca dagli Stati Uniti che ha avuto come focus la visita a Kiev del Capo della Cia William Burns. Gli Usa avrebbero offerto il 20% dell’Ucraina in cambio di un accordo. La notizia è stata smentita da tutte le parti interessate, ma ha un evidente fondo di verità, come dimostra la visita di Burns. Washington e Mosca Hanno iniziato a parlare.
  Ma è prematuro fare previsioni. In attesa di capire meglio se e come cambierà qualcosa sul piano militare, ci limitiamo a riferire un tweet di M. K. Bhadrakumar (acuto analista di Indian Punchline), che ha destato la nostra curiosità.
  “Notizie esplosive da Kiev! Sostituito il ministro della Difesa Reznikov (ex ufficiale dell’aeronautica sovietica); lo sostituisce l’astro nascente Kyrylo Budanov, a capo dell’Intelligence militare (e beniamino degli americani); ciò consente al Pentagono un ruolo pratico nella gestione della guerra. Dove finirà Zelenskyj?”
  Vuoi vedere che hanno invitato Zelensky a Sanremo pensando di ospitare una stella senza accorgersi che si tratta di una stella cadente? Nell’incertezza, forse era meglio soprassedere (soprattutto per altre e più importanti ragioni).
  D’altronde l’ambito della politica estera italiana (di certo interpellata sull’invito), come anche quella interna, da tempo registra deficit di lucidità. Forse lo hanno capito solo adesso, o forse il ragazzo è in difficoltà, perché il giorno dopo la notizia di cui sopra si è saputo che piuttosto che apparire, come usa fare a mo’ di Madonna, Zelensky invierà un messaggio, in stile Medjugorje.

(Piccole Note, 7 febbraio 2023)

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La Germania si affida ad Israele per la difesa aerea con Arrow 3

di Jean Valjean

La commissione per il bilancio del Bundestag ha sbloccato mercoledì una prima tranche di 560 milioni di euro per l’acquisto del sistema di difesa aerea Arrow-3 di fabbricazione israeliana, mentre il governo tedesco cerca di modernizzare le proprie forze armate nell’ambito di un fondo di 100 miliardi di euro approvato dal cancelliere Olaf Scholz e dal Parlamento tedesco lo scorso anno.
  La spesa della Germania per il sistema Arrow-3, progettato per intercettare missili balistici, dovrebbe raggiungere i 4 miliardi di euro. Mercoledì la commissione ha anche approvato circa 950 milioni di euro per l’acquisto di sei sistemi di difesa aerea IRIS-T-SLM di fabbricazione tedesca. La Germania deve praticamente ricostruire il proprio sistema di difesa aerea, come del resto dovrebbe fare l’Italia.
  Arrow è un sistema anti-aereo e anti-missile avanzato, sviluppato dal 2017, con capacità di raggiungere velocità ipersonica e funziona anche anti-artiglieria. L’evoluzione Arrow 4, attualmente in fase di test, sarà in grado di intercettare anche i missili ipersonici.
  “Con l’acquisto dell’IRIS-T SLM tedesco e l’acquisizione dell’Arrow israeliano, stiamo portando avanti due importanti progetti del patrimonio speciale della Bundeswehr che contribuiranno a costruire un ombrello protettivo in Germania”, ha dichiarato a POLITICO Karsten Klein, legislatore dei Liberi Democratici nella commissione.
  Il sistema Arrow-3 è sviluppato e prodotto dalle industrie aerospaziali israeliane in collaborazione con il gigante aerospaziale statunitense Boeing. Klein ha dichiarato che i sistemi di difesa aerea, combinati, avrebbero un raggio d’azione di 2.400 chilometri.
  Il sistema Arrow-3 è in uso in Israele dal 2017 come parte della rete di protezione Iron Dome. Secondo un documento visionato da POLITICO, Berlino punta a stipulare un contratto vincolante per il sistema Arrow-3 entro la fine del 2023, che potrebbe quindi essere operativo entro la fine del 2025.
  Nell’ambito dell’aumento della spesa per la difesa in Europa in seguito alla guerra della Russia contro l’Ucraina, le aziende aerospaziali temono che miliardi di euro vadano a contraenti esterni all’UE, tra cui Israele, Corea del Sud e Turchia.

(Scenari Economici, 16 giugno 2023)

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Israele, Teheran e la polveriera mediorientale. Gli scenari dell’Inss

Gli esperti di uno dei maggiori think tank israeliani, l’Institute for National Security Studies, hanno discusso a Roma della dimensione securitaria israeliana. Formiche.net ha partecipato all’evento, ecco i quattro temi principali che minacciano l’area della Terra Santa.

di Duccio Fioretti

Durante un incontro a Roma con gli esperti dell’israeliano Institute for National Security Studies (Inss), il tema centrale è stata la sfida iraniana: negli ultimi anni Teheran ha accresciuto la pressione esercitata sullo stato israeliano, rafforzando la sua presenza intorno ai confini soprattutto grazie ad un massiccio uso di proxies, gruppi paramilitari formalmente indipendenti ma sostenuti e finanziati dall’Iran.
  Si è partiti dal contestualizzare la situazione securitaria di Israele nel teatro medio-orientale. Le dinamiche geopolitiche nel mondo contemporaneo si muovono in modo molto più rapido rispetto agli anni passati, rendendo obsoleti i paradigmi finora validi. Una rapida occhiata alla situazione permette di inquadrare cosa significhi questo processo. Una parte importante della popolazione sta portando avanti proteste di piazza contro la riforma giudiziaria da oramai 24 settimane, le più lunghe mai registrate dalla nascita del Paese nel 1948. Nessuno si aspettava il verificarsi di un simile fenomeno, simbolo di vibrante democrazia. Ma le tensioni interne si sovrappongono a quelle esterne, rappresentate da minacce che Israele considera come esistenziali. E questa sovrapposizione rischia di rendere più difficile la corretta gestione di entrambe. In particolare, le tensioni tra Iran e Israele sono cresciute negli ultimi 10 anni, soprattutto a causa delle mosse del primo: mentre Tel Aviv non ha accresciuto la sua proiezione all’estero, Teheran si è spinto sempre più lontano rispetto ai suoi confini nazionali, appoggiandosi a gruppi e a milizie locali come la libanese Hezbollah, la yemenita Ansar Allah o l’irachena Organizzazione Badr.
  E oltre alla minaccia convenzionale, c’è anche quella atomica. Non è chiaro con certezza a quale stadio di sviluppo sia arrivato il programma nucleare iraniano, ma secondo alcune fonti attendibili, Teheran avrebbe le capacità per sviluppare un ordigno nucleare in 120 giorni. A quel punto non sarebbe più una questione di expertise tecnica, ma di volontà politica. Certo, l’Iran ha tutto il vantaggio di sfruttare questa sua presunta capacità per esercitare pressione politica, ma per Israele la minaccia è reale.
  Secondo gli esperti dell’Inss, ci sono quattro questioni chiave su cui Israele deve concentrarsi per garantire il mantenimento della propria sicurezza nazionale. In primis la situazione diplomatica. Limitatamente alla regione mediorientale, lo stato ebraico è al momento molto più isolato di prima: per questo motivo è necessario che continui il suo approccio di cooperazione con i propri vicini. Segue la questione palestinese: al momento, gli abitanti della Palestina non starebbero ricevendo le dovute attenzioni da parte delle loro autorità, che si interessano soltanto ad accrescere la tensione col governo israeliano. Di questo passo c’è l’eventualità che si opti per una One State Solution, che secondo l’Inss è in assoluto la soluzione peggiore.
  Il terzo punto riguarda i proxy di Teheran negli altri stati mediorientali, e specificamente la loro lealtà: quant’è grande il rischio che questi gruppi decidano di non rispettare più gli ordini dei loro sostenitori e di agire in totale autonomia, con il rischio che si verifichi un’escalation di violenza che veda coinvolte sia le Israeli Defence Forces (IDF) che i gruppi paramilitari sciiti? Infine, l’ultima questione evidenziata è quella del Libano. Beirut sta attraversando una profonda crisi economica e sociale, che rischia di far scivolare il controllo del paese nelle mani di Hezbollah e dell’Iran, a meno che l’Occidente non decida di intervenire con degli aiuti economici ad hoc.
  L’ultimo tema in ordine cronologico è stato quello della Siria, come esempio concreto dell’evoluzione delle dinamiche geopolitiche nel Vicino Oriente. Sin dallo scoppio della guerra civile, la Siria di Assad è sempre stata considerata come il pariah del sistema internazionale mediorientale; tuttavia, ultimamente Damasco si sta reintegrando sempre di più. Molti paesi non apprezzano il governo di Assad e le sue posizioni, ma esso garantisce una certa stabilità, e il suo ritorno nella politica regionale è simbolo della distensione ad oggi in corso in Medio Oriente. Seguire un approccio simile con Teheran potrebbe portare risultati simili?

(Formiche.net, 16 giugno 2023)

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La qualità di una leadership. La lezione dell’ebraismo

Intervista a rav Riccardo Shemuel Di Segni

di Daniele Toscano

Il tema della leadership ha profonde radici nell’ebraismo, con riferimenti sin dai tempi più remoti e numerosi riferimenti biblici. I valori e i principi a cui si deve fare riferimento sono costanti nel tempo e si possono adattare ai diversi contesti. Su questo tema Shalom ha intervistato Rav Riccardo Di Segni, Rabbino Capo di Roma.

- Quali strumenti ci offre l’ebraismo per affrontare le sfide che si rinnovano in ogni epoca? Quali sono i valori cardine che possono ispirare un leader secondo l’ebraismo?
  La tradizione ebraica ha affrontato questo problema fin dall’inizio della sua storia, e stiamo a circa 35 secoli fa. Volendo riassumere in poche parole essenziali, ciò che si richiede a un leader è coscienza dell’importanza del suo ruolo come prosecutore di una storia, custode e trasmettitore, responsabilità, dedizione, onestà, sensibilità, competenza, e un sano equilibrio tra il rispetto a lui dovuto come leader e il divieto che ha di montarsi la testa.

- C’è un passo o una citazione della Torà o del Talmud che possono rappresentare un punto di riferimento a questo proposito?
  Ce ne sono tanti. Ne cito solo uno, la richiesta di Moshè per individuare il suo successore: “che il Signore, Dio degli spiriti di ogni creatura, nomini una persona sopra alla comunità, che esca davanti a loro e che venga davanti a loro, che li faccia uscire e che li faccia venire, e che la comunità del Signore non sia come un gregge che non ha pastore” (Bemidbar [Numeri] 27, 17-18).

- La leadership nelle comunità ebraiche si divide tra i compiti “politici” di una dirigenza comunitaria e il ruolo spirituale del rabbinato: come devono essere interpretati i due diversi ruoli?
  Sono entrambi necessari e la divisione dei “poteri” è essenziale per una sana dialettica. Moshè ha incarnato in un’unica persona il ruolo di re, di sacerdote e di guida spirituale, ma questa fusione è durata poco. Poi c’è stato il periodo dei re, dei sacerdoti e dei profeti. Da molti secoli la polarizzazione è binaria, e spesso si sente la mancanza di una voce critica ispirata, “profetica”. Non si può negare che spesso invece della sana dialettica c’è uno scontro tra idee e programmi differenti, di tentativi di prevalenza. A volte giocano i caratteri, a volte le ideologie.

- Le peculiarità di questo attuale momento storico quali priorità pongono per una leadership ebraica rispetto ad altri periodi?
  Ogni momento della storia ebraica e ogni luogo ha i suoi problemi. Quello che è importante è capire le priorità e le urgenze ed essere sempre pronti a situazioni di emergenza. Purtroppo vedo che non c’è una coscienza forte delle priorità e dei modi di gestirla, e che si va appresso a influssi culturali esterni e estranei, che non ci aiutano.

- La Comunità di Roma si appresta ad andare al voto: a quali principi dovrebbe ispirarsi la prossima leadership comunitaria e come si deve lavorare per costruire la leadership del futuro, in un contesto di calo demografico generalizzato a cui la nostra comunità non fa eccezione?
  Il quadro elettorale, come appare dalle liste proposte, rivela un dato confortante, quello della disponibilità di volti nuovi e di giovani (anagraficamente o nello spirito) disposti a mettersi a disposizione. Questo vuol dire che si è creato almeno un bacino di volontariato se non proprio una scuola di leadership. Al di là e alla fine della campagna elettorale con le sue inevitabili polemiche –che spero siano virtuose e non distruttive - bisognerà mettere la nuova direzione comunitaria di fronte ai problemi reali, e quello demografico che lei cita è tra i più importanti, tanto grave quanto difficile da risolvere.

(Shalom, 16 giugno 2023)

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Israele ha annunciato la creazione di un sistema per intercettare i missili ipersonici SkySonic

La società di difesa israeliana Rafael ha affermato di lavorare da tre anni su un sistema di intercettazione missilistica ipersonica chiamato SkySonic. Il nuovo sviluppo sarà mostrato al salone aereo di Le Bourget la prossima settimana.
  Lo SkySonic è un missile intercettore in grado di distruggere bersagli a velocità fino a Mach 10. Ciò pone questo sistema alla pari con i più avanzati sistemi di difesa aerea del mondo, inclusa la capacità di resistere alle ultime minacce ipersoniche.
  L'interesse per le tecnologie ipersoniche nel mondo sta crescendo. Si noti che all'inizio di giugno l'Iran ha presentato il proprio missile ipersonico, affermando che è in grado di raggiungere velocità da 12 a 13 MAX. È stato in risposta a questo tipo di minaccia che è stato sviluppato il sistema israeliano SkySonic.
  Lo sviluppo e l'implementazione di sistemi di intercettazione di missili ipersonici è uno dei compiti chiave nel campo della difesa per molti paesi. Ciò è dovuto al fatto che i missili ipersonici hanno un'elevata velocità e manovrabilità, il che li rende difficili da intercettare.
  I dettagli sul sistema SkySonic non sono ancora stati resi noti, tuttavia, si prevede che ulteriori informazioni su questo promettente sviluppo saranno presentate al prossimo Le Bourget Air Show.

(AVIA.PRO, 15 giugno 2023)

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Le conclusioni dell’inchiesta militare sull’assassinio dei tre soldati israeliani nel Sinai

di Ugo Volli

Si è conclusa nei giorni scorsi l’inchiesta dell’esercito israeliano sull’attentato che durante la notte fra il 2 e il 3 giugno è costata la vita a tre soldati di Israele: Lia Ben-Nun, Uri Itzhak Ilouz e Ohad Dahan. Come si ricorderà, prima dell’alba un poliziotto egiziano ha superato la barriera di protezione che divide Israele dall’Egitto nel Sinai, ha sorpreso due soldati che stavano in una postazione di guardia e li ha uccisi. Il comando della brigata si è reso conto del problema solo alcune ore dopo, e ha iniziato una caccia all’uomo in cui il terrorista è riuscito a uccidere ancora un militare israeliano, prima di essere a sua volta eliminato. È stato un episodio molto grave, che ha colpito molto, non solo per il numero e la giovane età delle vittime, ma anche perché esso è avvenuto in una zona del paese che è sì percorsa dai contrabbandieri, ma in genere non è considerato troppo pericolosa sul piano militare, dato che la collaborazione di sicurezza fra Israele ed Egitto è essenziale per entrambi i Paesi.

• La dinamica dell’attentato
  Subito dopo l’attacco era difficile capire che cosa fosse realmente accaduto. Alcune cose sono emerse presto. L’episodio è stato un vero attentato, non il frutto di un malinteso durante l'inseguimento di contrabbandieri, come aveva preteso l’Egitto subito dopo i fatti e neppure il frutto di una complicità del poliziotto con i contrabbandieri, come altri avevano supposto. L’attentatore portava un Corano addosso ed era un integralista islamico. Per il “merito” di aver ucciso degli israeliani e per la sua posizione ideologica, è stato subito esaltato soprattutto da Hamas e dai suoi sostenitori. È entrato in Israele da un varco segreto della barriera di sicurezza, nascosto ma non sbarrato, che evidentemente conosceva per il suo lavoro. Ha sorpreso i soldati di guardia nella postazione israeliana che sorvegliava un altro tratto della barriera ed è riuscito a eliminarli. Almeno dai tempi del sequestro di Gilad Shalit in una torretta di sorveglianza ai confini di Gaza, l’esercito israeliano sa bene che queste posizioni apparentemente noiose e protette, ma indispensabili, possono essere particolarmente a rischio. Si è anche saputo che a due chilometri di distanza c’era un’altra postazione israeliana, che i soldati di guardia lì avevano sentito dei colpi, ma seguendo le istruzioni non erano intervenuti perché sono frequenti in quella zona tiri d’arma da fuoco da parte dei contrabbandieri. Infine il presidente egiziano Morsi ha avuto un colloquio con Netanyahu, esprimendo le sue condoglianze. Può sembrare un gesto ipocrita ma è importante per marcare la presa di distanza ufficiale dell’Egitto dal terrorismo antisraeliano. C’è stato anche un lavoro di coordinamento fra i comandanti israeliano ed egiziano del settore, per prevenire nuovi attacchi.

• L’inchiesta
  Come accade in tutti gli incidenti militari rilevanti, il capo di stato maggiore delle forze armate ha ordinato un’inchiesta interna, che si è svolta velocemente ma in maniera severa e approfondita. L’inchiesta non ha rilevato alcune responsabilità da parte dei soldati uccisi, che al momento dell’attentato stavano svolgendo la loro vigilanza secondo le istruzioni ricevute, come il terzo militare ucciso durante l’inseguimento dell’attentatore. Ha invece censurato disciplinarmente i loro ufficiali per tre livelli gerarchici (il comandante di divisione per omesso controllo, quello di brigata per non aver organizzato efficacemente la sorveglianza, quello della compagnia per l’inefficacia della reazione). La vigilanza al confine con l’Egitto sarà immediatamente riorganizzata, con turni di guardia più brevi e altre modalità operative che permetteranno ai militari israeliani un’autodifesa efficace. C’è stata dunque un’autocritica incisiva. Certamente ciò non rimedia al dolore per l’assassinio di due ragazzi e una ragazza colpevoli solo di difendere i confini del loro stato. Ma servirà a migliorare la sicurezza di Israele: imparare anche e soprattutto dagli episodi più tristi, senza nascondere gli errori, è la condizione dell’efficienza di una forza mitica ma certo non infallibile come l’esercito israeliano.

(Shalom, 15 giugno 2023)

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Oggi in Belgio incontro tra il Ministro della difesa israeliano e quello americano

Il Ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant incontrerà oggi (giovedì) in Belgio il suo omologo americano, il Segretario alla Difesa Lloyd Austin, dopo che il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha vietato ai suoi ministri di recarsi a Washington per affari ufficiali.
  Netanyahu non è ancora stato invitato alla Casa Bianca, dopo sei mesi di mandato, per incontrare il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che ha spiegato la sua decisione citando le preoccupazioni per la spinta del governo a rivedere il sistema giudiziario in un modo considerato da Washington come un attacco alla democrazia di Israele.
  Gallant e Austin discuteranno delle minacce poste dall’Iran, ma non è previsto che l’incontro si concentri sulle preoccupazioni israeliane in merito al fatto che l’amministrazione sia pronta a tornare sull’accordo nucleare iraniano del 2015. Secondo fonti che hanno familiarità con le posizioni del ministro della Difesa, Gallant non vuole “perdere tempo” sulla questione poiché gli Stati Uniti hanno già preso la loro decisione.
  Gli alti funzionari della difesa discuteranno del rafforzamento della cooperazione bilaterale in materia di sicurezza e delle future esercitazioni militari congiunte. Gallant presenterà inoltre ad Austin le prove del crescente coinvolgimento iraniano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Gallant esprimerà la posizione che la proiezione di forza americana nella regione è fondamentale per mettere in guardia l’Iran da un’opzione militare credibile in risposta al suo continuo sviluppo di armi nucleari.
  Nel corso dell’incontro, il ministro della Difesa solleverà la necessità di preservare il vantaggio militare di Israele in Medio Oriente e si aspetta di sentire dal suo omologo la posizione degli Stati Uniti sull’importanza di mantenere la calma sul fronte palestinese, come è stato espresso negli incontri passati.
  Dal Belgio Gallant dovrebbe recarsi a Parigi per incontri con altri ministri della Difesa.

(Rights Reporter, 15 giugno 2023)
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Israele si appoggia agli Stati Uniti per difendere la sua esistenza o lo stato americano strumentalizza lo stato israeliano (come tanti altri) per difendere il mantenimento della sua egemonia sul mondo? In ogni caso, questo traballante legame israeliano con gli Stati Uniti sembra che stia spostando sempre di più una parte del giustificato malumore contro lo stato americano verso una nuova ingiustificata ostilità contro Israele. M.C.

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L'80% dei palestinesi è insoddisfatto di Mahmoud Abbas

Se le elezioni si tenessero oggi, il 34% voterebbe per Hamas

Un nuovo sondaggio condotto dal Centro di ricerca palestinese con sede a Ramallah mostra che l'80% è insoddisfatto delle politiche del presidente dell'Autorità palestinese Mahmoud Abbas e chiede le sue dimissioni. Solo il 17% si è detto soddisfatto di Mahmoud Abbas e molti si sono rifiutati di commentare. Dal sondaggio è emerso anche che il 69% si è detto favorevole a nuove elezioni per la presidenza dell'Autorità Palestinese, mentre il 28% si è detto contrario.
  Secondo il sondaggio, il 35% ritiene che il rischio maggiore per l'esistenza del popolo palestinese sia il conflitto interno tra Hamas e Fatah dal 2007. Tuttavia, il 32% ha risposto che "l'occupazione israeliana" della Cisgiordania rappresenta la più grande minaccia per l'Autorità palestinese. Un altro 25% ritiene che la questione irrisolta dei rifugiati sia l'aspetto più pericoloso dell'esistenza palestinese.
  Alla domanda sul conflitto con Israele, il 71% degli intervistati ha espresso il proprio sostegno alla formazione di gruppi armati palestinesi non subordinati all'Autorità Palestinese e alle forze di sicurezza. Il 23% ha risposto di essere contrario. Il 55% ha dichiarato di temere che la formazione di questi gruppi armati possa effettivamente portare a conflitti interni con le forze di sicurezza, mentre il 41% ha risposto di non temere questi gruppi armati.
  Inoltre, circa la metà degli intervistati ha risposto che l'interesse dei palestinesi sta nel crollo o nello scioglimento dell'Autorità Palestinese, mentre il 46% ha risposto che è nell'interesse del popolo che l'Autorità Palestinese continui a esistere. In caso di nuove elezioni, il sondaggio prevede che Hamas otterrebbe il 34% dei voti, mentre Fatah solo il 31%.

(i24, 15 giugno 2023)

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Di Veroli, l'unico calciatore ebreo a giocare in serie A

Giovanni Di Veroli è stato uno sportivo, calciatore in un paese in cui il calcio ha da sempre raccontato le aspirazioni degli italiani, ed ebreo del ghetto romano, scampato per miracolo al rastrellamento del 16 ottobre del '43. La sua storia è raccontata nel libro "Una stella in campo.

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Giovanni Di Veroli, dalla persecuzione al calcio di serie A", scritto da Paolo Poponessi e Roberto Di Veroli e presentato al Collegio Romano dal ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano con la presidente della Comunità Ebraica di Roma, Ruth Dureghello e la presidente della Fondazione SS Lazio 1900, Gabriella Bascelli. Giovanni Di Veroli è un bambino ebreo nato a Roma, al Ghetto, vicino il Portico D'Ottavia, nel 1932 e la sua storia, come quelle della sua comunità, è specchio delle vicende di quegli anni: le leggi razziali, che fanno perdere il lavoro a suo padre, i trasferimenti, la nuova casa a Milano distrutta da un bombardamento, nuovi trasferimenti, nuovi bombardamenti, il rastrellamento del 16 ottobre da cui i Di Veroli scampano per miracolo, il ritorno al ghetto ormai depredato dai tedeschi, le difficoltà economiche, la sopravvivenza fatta di espedienti.
  Poi, alla fine della guerra i Di Veroli tornano a Milano su un camion della Brigata Ebraica. Il papà riprende a lavorare e Giovanni torna a giocare a calcio, fa un provino con l'Ambrosiana che va bene, ma il padre vuole di nuovo tornare a Roma. È il 1949. Giovanni inizia a giocare con una formazione ebraica romana, la Stella Azzurra, ma quando la Lazio apre la leva calcio partecipa. È poco più che un ragazzino, ma sta bene in campo e la Lazio lo prende. Inizia così la sua carriera partendo dalle minori poi fa il suo esordio nella massima serie nel 1952-53. L'avventura con la Lazio finisce nel 1958, in tempo però essere ancora nella rosa della squadra che vince la Coppa Italia.

(ANSA, 12 giugno 2023)

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Vaccino Covid, Bizzarri: "Ci avrei pensato 10 volte prima di vaccinare i pazienti oncologici. Proteina Spike potrà fare danni. Green Pass privo di razionalità scientifica"

L'oncologo Mariano Bizzarri: "La proteina spike potrà fare danni. Il vaccino non viene inattivato, come dichiarato da Big Pharma, e produce processi autoimmunitari. Il diritto all'oblio? Un'idiozia. Dato che chi è vaccinato può contagiare ed essere contagiato.

l professor Mariano Bizzarri, oncologo e docente presso il Dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università La Sapienza di Roma, ha parlato dei rischi e dei dubbi sui vaccini anti-Covid. Si è concentrato in particolare sui pazienti oncologici e sui bambini, spiegando come i brevi studi che hanno preceduto l'avvio delle vaccinazioni fossero inadeguati. Ha parlato delle poche certezze che c'erano e che ci sono ancora oggi e delle reazioni avverse. "La proteina spike potrà fare danni - ha precisato - . Il vaccino non viene inattivato, come dichiarato da Big Pharma, e produce processi autoimmunitari".

• Vaccino Covid, Bizzarri: "Ci avrei pensato 10 volte prima di vaccinare i pazienti oncologici
  "Ci avrei pensato non una, ma dieci volte prima di vaccinare un paziente oncologico, salvo rarissime condizioni. Soprattutto, precisiamo che non è un vaccino, ma una terapia genica, dato che fornisce informazioni specifiche, tramite mRNA, e che viene utilizzato per sintetizzare una proteina contro cui l’organismo produrrà una risposta anticorpale. Proprio perché considerato vaccino, non è stato necessario valutarne la cancerogenicità, e ciò complica la valutazione di eventuali effetti collaterali”. Così il professor Mariano Bizzarri, oncologo, docente presso il Dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università La Sapienza di Roma, biofisico, alla guida del System Biology Group Laboratory, già presidente del Consiglio Tecnico Scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana, all’agenzia di stampa Dire. L'esperto si è concentrato soprattutto sul complesso tema del rapporto tra cancro e vaccino, partendo da quanto accaduto durante la pandemia.
  Bizzarri ha sempre espresso la propria contrarietà alla vaccinazione di massa, soprattutto sulla popolazione più giovane e sui pazienti oncologici, riferendosi al cosiddetto vaccino mRNA, mentre ha sempre difeso l’utilità del vaccino tradizionale, basato sul virus “intero”, come quello realizzato in India o a Cuba. Sul fatto che possa esserci un legame tra il vaccino e il risveglio di tumori rilevato in diversi pazienti “sono cauto – ha detto –. Non ci sono studi né indicazioni statistiche. Potrebbe essere, ma bisogna studiare e avere dati, prima di sbilanciarsi in un senso o in un altro. In questi mesi è mancata la prudenza da parte degli scientisti di turno e non vorrei incorrere nel medesimo errore. Del resto, l’aumento certificato di casi di tumore nel corso della pandemia (circa 15mila casi nel 2022) potrebbe trovare altre e più complesse spiegazioni”.

• Vaccini Covid, tumori e recidive
  Negli ultimi mesi si è sentito molto parlare del ritorno di alcuni tumori in pazienti che erano guariti e di tumori che sembravano “silenti”, ma sono ricomparsi. “Può esserci il sentore di una slatentizzazione del cancro, ma è vago”, dice Bizzarri. “Il vaccino consente l’esposizione al sistema immunitario di un organismo a un patogeno trattato e mitigato. Se sviluppo un vaccino mRNA che codifica per un singolo target, ovvero la proteina Spike, e il virus la modifica successivamente a causa di una mutazione – come è accaduto –, il vaccino farà produrre bersagli non più espressi dal virus, che non verrà, quindi, riconosciuto dagli anticorpi. In compenso, la proteina Spike prodotta potrà fare danni. Il fatto, poi, che il vaccino non venga prontamente inattivato, come inizialmente dichiarato da Big Pharma, ma continui a essere presente e attivo (in una percentuale probabilmente non inferiore al 10% della popolazione), farà sì che lo stimolo a produrre Spike e anticorpi continui per mesi (6-9 settimane), con effetti dannosi, incluso l’attivazione di processi autoimmunitari”.
  “L’uomo di scienza deve essere prudente – sottolinea il professor  Bizzarri –, e io non discuto affatto la validità dei vaccini che costituiscono uno strumento importante della medicina. Ma contesto la validità di questo tipo di vaccino, basato sul mRNA e sulla politica, che ha preteso di vaccinare tutti, senza distinzioni, senza considerare i reali benefici attesi e le più che probabili ricadute su fasce di popolazioni affette da specifiche patologie. Non è un caso che io sia stato attaccato quando ho promosso nelle Marche – grazie al sostegno del presidente Francesco Acquaroli e dell’onorevole Mirco Carloni – un sensore per individuare il virus con analisi salivari al costo quasi simbolico di 1 euro. Invece di apprezzare l’innovazione, mi hanno criticato adducendo come scusa il fatto che un test economico potesse dissuadere le persone dal sottoporsi alla vaccinazione. Incredibile!".

• Vaccini mRNA anti-Covid nei bambini: i rischi e le reazioni avverse autoimmuni
  Il professor Bizzarri ha affrontato un altro delicato tema, quello del vaccino anti.Covid nei bambini. “Numerosi report scientifici hanno sottolineato che gli studi preventivi fatti, per esempio, sui bambini, fossero del tutto inadeguati. Questo vaccino – ha spiegato l’esperto – dà meno rischio agli anziani. Se dai una spinta al sistema immunitario di una persona anziana, più di tanto veloce non va. Ma sui ragazzi, dove il sistema immune funziona, in genere, perfettamente, una ‘spinta’ può far sì che il sistema vada ‘fuori strada’. E a vedere la frequenza di miocarditi da vaccino segnalate tra i giovani c’è da pensare che questo sia effettivamente avvenuto”.
  Va ricordato, poi, secondo Bizzarri, come “il tasso di mortalità del Covid al di sotto dei 70 anni sia stato paragonabile a quello dell’influenza. Al di sotto di quella soglia non c’era alcuna necessità di condurre una vaccinazione di massa, tanto più – come oggi riconosciuto da tutti, ma evidente sin dal 2021 – che il vaccino non protegge dal contagio: chi è vaccinato può diffondere la malattia come chi non ha ricevuto il vaccino. Questa semplice evidenza priva il Green Pass di qualsiasi razionalità. È stato solo una misura di controllo e coercizione, arbitraria e punitiva. Ma non ho visto studenti strapparsi le vesti e denunciare la limitazione delle loro libertà. A quel tempo nessuno ha piantato tende, ma hanno preferito comportarsi da pecoroni docili nelle mani del potere”.

• "Vigile attesa inutile"
  “Tutto questo – ha aggiunto Bizzarri – ha fatto dimenticare l’importanza delle terapie che già avevamo – antibiotici, anti-infiammatori, clorochina – e che, se fossero state utilizzate, avrebbero ridotto la mortalità del 90%, come ammesso dallo stesso professor Giuseppe Remuzzi, un alfiere della vaccinazione. Le indicazioni del Ministero sono state, al riguardo, fuorvianti e ridicole: Tachipirina e vigile attesa. Eppure – ha continuato Bizzarri –, se viene da me un paziente con tosse e febbre non ho bisogno che il ministro Speranza mi dica cosa fare. Adotterei le misure minime necessarie, che spesso sono quelle che ti salvano la vita. Se avessimo curato con Aspirina, antinfiammatori e antibiotici, avremmo ridotto la mortalità, senza aspettare che la malattia facesse il suo corso”.

• “Terapie mRNA anticancro? Siamo alla cartomanzia"
  Per Bizzarri è discutibile anche invocare l’uso delle terapie geniche a base di mRNA per combattere il cancro, perché, spiega il professore, non ci sono solide prove che ciò avvenga. “Come si possa prevedere che saranno pronte nel 2027 rileva della cartomanzia, non della scienza. Un farmaco non si costruisce con la tastiera del computer, come quelli basati sulle stringhe di mRNA. Né è sufficiente aver decodificato il genoma per trovare la soluzione alle malattie che affliggono l’umanità: occorrono sperimentazione, studi sugli animali e pazienza, non trucchi ingegneristici. Per decenni, per esempio, la medicina ha imposto la lobotomia (asportazione di una parte del lobo frontale del cervello) come cura per alcune patologie psichiatriche. Finalmente, dopo quasi un secolo, alla fine degli anni ’70, tale pratica ignobile (e inefficace) è stata proibita. Ma il caso ci ricorda come siano state adottate, anche nel passato recente, misure terapeutiche tutt’altro che fondate, promosse da una minoranza illuminata, a cui tanti si sono piegati senza esercitare alcun controllo critico”.

• Il diritto all’oblio
  “La malattia è parte della storia di ciascuna persona: acquisisce senso solo nella prospettiva della nostra esistenza. Ed essendo parte della nostra storia non può e non deve essere ‘dimenticata’, perché porta con sé un insegnamento inestimabile e irrinunciabile. Per questo il cosiddetto diritto all’oblio è un’idiozia che non vale neanche la pena commentare. Un paziente che ha affrontato e superato l’esperienza del cancro ne esce trasformato e più forte. Perché dovrebbe rinunciare a questa ricchezza?”, ha commentato Bizzarri a proposito delle recenti campagne di istituzioni e associazioni sul cosiddetto “diritto all’oblio”.
  “Nella storia di una persona, anche i momenti clinici dolorosi nel tempo diventano memoria preziosa. Non vorrei dimenticare i momenti in cui ho sofferto e mi sono rialzato. Questa idea del diritto all’oblio porta a cancellare elementi identitari che concorrono a definire la storia della persona. Se ho avuto il cancro e ho riportato una vittoria, sarò ben contento di ricordare anche momenti poco felici. Il fatto è che non esiste il diritto alla vita felice, ma il diritto a battersi per una vita felice. Ma niente può evitare a un individuo di affrontare drammi e difficoltà inevitabili. Dobbiamo attrezzarci per imparare a combattere, dato che un soldato che non ha mai combattuto non saprà farlo nel momento vero del bisogno. È questo il vero senso del termine ‘ascesi’: esercizio, dal greco. Questo trasforma il dolore – che è cieco e insopportabile quando privo di senso – in sofferenza, quando quel dolore viene interpretato e compreso nel suo significato medico e spirituale. Come una volta scrisse un mio paziente – ha raccontato Bizzarri –, ‘se non avessi avuto un cancro sarei morto da un pezzo’. La metafora mette bene in evidenza come non di rado la malattia risvegli una consapevolezza necessaria per l’individuo e lo riporti, in qualche modo, al centro di se stesso. E al centro c’è sempre la dignità della persona e il suo diritto a compiere scelte, tra cui quella di ricevere o meno un vaccino la cui efficacia e utilità è ben lungi dall’essere stata dimostrata. Non è forse una grave contraddizione, quella della nostra società, che da un lato si batte per il diritto a ricevere la ‘buona morte’ – l’eutanasia –, ma al tempo stesso nega alla persona il diritto a rifiutare un trattamento?

(Il Giornale d'Italia, 15 giugno 2023)

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Berlusconi e Israele

di Kishore Bombaci

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La morte di Silvio Berlusconi addolora per tanti motivi, molti dei quali sono noti e già oggetto di attenzione da parte dei media di tutto il mondo.

Berlusconi e Israele
  Ma c’è un motivo – che costituisce uno dei grandi meriti dell’ex Premier – che passa in sordina e che invece deve essere divulgato in modo chiaro e palese: Silvio Berlusconi era un sincero amico di Israele e tale è rimasto sino alla fine. Se prima di lui, i Governi della Prima Repubblica avevano adottato un atteggiamento ambiguo quando non palesemente filo-arabo, con Silvio Berlusconi, il nostro Paese finalmente ha mutato radicalmente il proprio posizionamento internazionale schierandosi senza tentennamenti con lo Stato di Israele.
  Insomma, come ha giustamente ricordato Ruth Dureghello “ a lui si deve il cambio di paradigma tra l’Italia e lo Stato Ebraico”.

Israele come punto di riferimento dei liberali, nelle parole di Silvio Berlusconi
  E la Dureghello ha pienamente ragione, poiché a differenza dei personaggi politici del passato (salvo qualche rara e preziosa eccezione), Berlusconi sapeva benissimo che sostenere Israele era sostenere la democrazia in un’area – quella mediorientale – in cui prevaleva e prevale una forma di stato autocratica e antitetica ai valori liberali di cui l’ex Premier era un fiero rappresentante. E, infatti, il sostegno non è mai mancato.
  Nel 2015 così si esprimeva: “La difesa di Israele oggi più che mai è la difesa delle ragioni della libertà, della democrazia, del pluralismo civile e religioso.” e nel 2018 “Considero Israele una parte della nostra cultura e della nostra civiltà, un faro di libertà e democrazia nel Medio Oriente”. Insomma, non si può in alcun modo negare la sincera amicizia che legava Berlusconi a Israele e tale amicizia non riguardava soltanto i profili geopolitici internazionali, ma si estendeva alla piena consapevolezza della dignità, del valore e dell’importanza del popolo ebraico. Per questo fu fiero oppositore di ogni forma di antisemitismo e negazionismo, oltre che avversario irriducibile dell’antisionismo.

Fiero avversario dell’antisemitismo
  Parlando della tragedia della Shoah e riprendendo l’espressione di Gianfranco Fini, Berlusconi la definì come il male assoluto su cui non vi può essere alcun fraintendimento. E proprio perché i germi che dettero origine a quella follia totalitaria sono ancora presenti nelle nostre società, il Cavaliere invitava a non abbassare mai la guardia e a essere sempre vigili. A tal proposito richiamava l’esperienza familiare della madre che salvò una ragazza ebrea destinata a essere inviata nei campi di sterminio. Insomma, una presa di posizione netta ferma e mai messa in discussione quella del leader di Forza Italia che non per niente fu il primo leader italiano a essere inviato a parlare innanzi alla Knesset.

“Israele, grazie di esistere!”
  In quell’occasione, fra le tante cose di pregio che ebbe a dire, spiccano senza dubbio queste parole «Noi liberali vi ringraziamo per il fatto stesso di esistere» .
  Un insegnamento dunque da non perdere e che deve costituire senza alcun ombra di dubbio parte costitutiva di un centrodestra che non può non dirsi orgogliosamente filo-israeliano.

(AdHoc News, 14 giugno 2023)

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Gli “Accordi di Abramo” trainano il commercio di armi fra Israele e mondo arabo

Dati del ministero della Difesa parlano di esportazioni per 12,5 miliardi di dollari. I partner dell’accordo rappresentano il 25% circa del totale. Il dato complessivo aumentato del 50% rispetto al triennio precedente. Asia e Pacifico il 30% del mercato, seguiti dall’Europa col 29%. 

GERUSALEMME - Gli “Accordi di Abramo” continuano a trainare le esportazioni israeliane di armi, con numeri da record fra le nazioni del Golfo e nel continente asiatico. Secondo i dati del ministero della Difesa, nel 2022 lo Stato ebraico ha venduto a nazioni estere prodotti per la difesa per un valore complessivo superiore ai 12,5 miliardi di dollari. Di questi, i partner arabi (Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco e Sudan) compresi nel patto siglato nel 2020 sotto l’egida statunitense e per volere dell’amministrazione repubblicana guidata dall’allora presidente Donald Trump, rappresentano circa un quarto del totale. Già lo scorso anno l’ex titolare della Difesa Benny Gantz esaltava il “valore militare” del patto con affari per tre miliardi. 
  Secondo gli ultimi dati elaborati dal ministero, il 2022 ha segnato un aumento pari al 50% rispetto ai tre anni precedenti e un raddoppio del volume complessivo rispetto al decennio precedente. I droni militari rappresentano il 25% delle esportazioni nello scorso anno, seguiti da missili, razzi o sistemi di difesa per un valore del 19% circa.
  Pur senza specificare i nomi, fonti del dicastero affermano che il 24% delle esportazioni nel settore sono andate verso Paesi partner degli “Accordi”, che vedono in prima fila gli Emirati e il Bahrein. Allargando lo studio ai continenti, l’Asia e il Pacifico hanno rappresentato il 30% del mercato, seguiti da Europa con il 29% e Nord America con l’11%.
  Lo scorso anno Israele ha inviato in Bahrein un alto ufficiale della marina e, secondo immagini satellitari, gli Eau hanno schierato sistemi di difesa aerea israeliani Barak, a conferma ulteriore di una solida partnership. La scorsa settimana l’inviato israeliano in Marocco ha dichiarato che Elbit Systems, una delle principali aziende tecnologiche nel settore della difesa, ha in programma l’apertura di due siti in Marocco, mentre il governo valuta il riconoscimento della sovranità di Rabat sul territorio conteso del Sahara occidentale.
  Il boom delle armi mostra come i legami siano progrediti tra Israele e gli Stati arabi, nonostante le recenti tensioni in Cisgiordania e la riluttanza delle nazioni del Golfo ad aderire a un gruppo di difesa sponsorizzato da Usa e Israele, ribattezzato “Nato del Medio Oriente”. Ad una escalation degli affari va di pari passo l’aumento delle tensioni, con un alto comandante militare israeliano giunto ad affermare che “vi è più possibilità di una guerra su larga scala che mai”, in particolare con lo storico nemico iraniano.
  I timori nelle alte sfere dello Stato ebraico sono andati crescendo di pari passo con la prospettiva di un rinnovato accordo nucleare fra Washington e Teheran sul nucleare iraniano. La settimana scorsa fonti di Middle East Eye avevano ipotizzato un “patto provvisorio” fra le parti, per congelare le attività nucleari della Repubblica islamica in cambio della revoca delle sanzioni e della possibilità di vendere petrolio. In parallelo vi sono gli sforzi diplomatici del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu nella prospettiva di una normalizzazione delle relazioni con Riyadh, sebbene il regno wahhabita abbia più volte condizionato l’ingresso negli accordi a una soluzione della questione palestinese. Resta la cautela dei sauditi nel concludere, anche perché il Paese ha da tempo abbandonato la sfera di influenza (esclusiva) degli Stati Uniti per stringere accordi e cooperazione - in campo economico, diplomatico e militare - con la Cina.

(AsiaNews, 14 giugno 2023)

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Israele e Diaspora: un confronto internazionale sui grandi temi

Per quattro giorni, con conclusione dei lavori in queste ore, l’American Jewish Committee (AJC) ha riunito a Tel Aviv 1500 persone provenienti da 60 paesi per dibattere i temi di maggior attualità e interesse per l’ebraismo e Israele. I delegati hanno potuto partecipare a varie sessioni di lavoro che hanno visto anzitutto la partecipazione di alcuni grandi protagonisti della vita politica israeliana: il premier Netanyahu invia in un video un messaggio di saluto, e di persona il capo dello Stato Herzog, il ministro per la Diaspora Chikli e i leader Lapid e Gantz. Tutti gli intervenuti hanno sottolineato la vitalità della democrazia israeliana, la delicatezza del momento politico istituzionale del paese, l’importanza che la diaspora faccia sentire la sua voce. Sostegno allo Stato d’Israele e attenzione al dibattito in corso sulle possibili riforme istituzionali è stato inoltre espresso da leader politici ed ambasciatori di diversi Paesi di tutto il mondo.
  Ma il forum è stata anche l’occasione per approfondire temi che riguardano l’ebraismo in generale: la lotta all’antisemitismo, con la partecipazione straordinaria dei principali leader mondiali che si occupano del problema, gli accordi di Abramo, le relazioni tra Usa, India e Israele, il rapporto tra Israele e la diaspora e tra Israele e l’Africa, oltre al conflitto mediorientale.
  Nella terza giornata di lavori sono state inoltre organizzate diverse gite a tema: innovazione tecnologica a servizio dell’agricoltura, arte, cultura, scienza, immigrazione e integrazione sociale, storia beduina, tradizione e modernità nella società haredi, attualità del sionismo. Tra i riconoscimenti che l’AJC ha voluto attribuire da segnalare quello ai giovani giuristi che contrastano l’antisemitismo e a una famiglia arabo israeliana che si è distinta nella difesa dello Stato d’Israele, perdendo molti dei suoi membri. L’AJC Global Forum, come evidenziato dai partecipanti, ha rappresentato un’opportunità straordinaria per creare relazioni internazionali tra associazioni, organismi e istituzioni ebraiche.
  Tra i presenti, hanno seguito i lavori congressuali il vicepresidente UCEI Milo Hasbani, l’assessore UCEI Davide Jona Falco, la presidente Ecjc Claudia Fellus, il sindaco di Pescara Carlo Masci e alcuni delegati dell’Unione Giovani Ebrei d’Italia, con il presidente David Fiorentini.

(moked, 14 giugno 2023)

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Sinagoga di Casale Monferrato: due appuntamenti

“La Bibbia illustrata di Paolo Novelli”, “Il fagotto e la tradizione ebraica”

Doppio appuntamenti domenica 18 giugno nel complesso Ebraico di Vicolo Salomone Olper a Casale Monferrato. Si comincia al mattino parlando di arti visive con l’inaugurazione, alle 11.30, della mostra La Bibbia illustrata di Paolo Novelli”, che viene presentata dal noto artista casalese (ma ormai conosciuto in tutto il mondo), insieme alla Curatrice del Museo dei Lumi Daria Carmi. La storia di queste tavole comincia nel 2007, quando Novelli realizzò per la Fondazione Casale Ebraica ETS una serie di illustrazioni su carta dedicate ai temi fondamentali della Bibbia ebraica.
  Ora le opere vengono nuovamente esposte al pubblico a distanza di sedici anni, in occasione dell’anniversario dell’inserimento del Monferrato nella Lista dei siti Patrimonio dell’Umanità insieme a Langhe e Roero avvenuta il 22 Giugno 2014. Sono dipinti che ritraggono i principali personaggi biblici: “Adamo ed Eva”, “Mosè divide le acque”, “L’arca di Noè” e recano in sé la domanda “Può un artista dichiaratamente ateo trattare temi religiosi senza sottovalutarli?”. Nel caso di Paolo Novelli la risposta è sì ed è lui stesso ad illustrarla: “Agisco nel rispetto della Sapienza antica e della millenaria tradizione religiosa del popolo ebraico; un popolo che per secoli è stato ingiustamente calunniato ed oppresso, come dimostra ampiamente il grande storico ebreo Hyam Maccoby.” La mostra sarà aperta fino al 3 Settembre.
  Il pomeriggio di domenica 18 giugno, alle 17, vede un altro appuntamento di “Musica nel complesso Ebraico”, la rassegna creata dal compositore Giulio Castagnoli che porta brani e autori legati alla tradizione di questo luogo. Questo terzo concerto del 2023 si intitola “Il fagotto e la tradizione ebraica” e ha per esecutori Erica Patrucco, violoncello, Franco Taulino, fagotto e lo stesso Giulio Castagnoli al clavicembalo.
  Il programma è estremamente originale e prevede anche una prima assoluta: si comincia con un autore barocco poco conosciuto Johann Ernst Galliard (1680 ca.- 1747) del quale ascolteremo la Sonata Prima per fagotto e continuo, si prosegue con Baldassarre Galuppi (1706 - 1785) e la Sonata Quinta in Do maggiore per clavicembalo solo, poi di Mozart (1756 -1791) l’Allegro dalla Sonata KV 292 per fagotto e violoncello e di Jacques Offenbach (nato Jakob Levy Eberst, 1819-1880) i Tre duetti per violoncello e fagotto.
  Conclude in concerto la prima esecuzione di Tre intonazioni ebraiche (2023) per fagotto, violoncello e clavicembalo dello stesso Castagnoli. Tre brani che usano come fonte i canti di tre luoghi dell’ebraismo: dalla Spagna sefardita arriva Sha’ar asher nisgar, dalla tradizione tedesca Castagnoli utilizza due versioni sovrapposte di Shofet kol haaretz e infine per rappresentare la tradizione degli ebrei monferrini il compositore usa il materiale di “Alenu lesabeach leadon hakol, canto raccolto dall’etnomusicologo Leo Levi da Florio Foa a Moncalvo, nel 1954.

(Il Monferrato, 14 giugno 2023)

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Israele, sommozzatori recuperano 120 kg di rifiuti dai fondali

di Jacqueline Sermoneta

Ha preso il via il programma “Clean Beach” in Israele. Il progetto, promosso dal Ministero della Protezione ambientale, ha l’obiettivo di contrastare l’accumulo dei rifiuti attraverso un’opera di pulizia dei fondali del Mar Mediterraneo e del Golfo di Eilat.
  Come riporta il Jerusalem Post, cinquantacinque sommozzatori hanno partecipato alle operazioni di bonifica. Grazie alle prime immersioni, svolte lo scorso 8 giugno a Givat Alya e a Jaffa in occasione della Giornata mondiale degli oceani, sono stati raccolti circa 120 chilogrammi di materiale come plastica, involucri alimentari monouso e lattine.
  “Ogni anno sosteniamo le immersioni per liberare i fondali dai rifiuti e cerchiamo di sensibilizzare per mantenere pulite le spiagge – ha detto Idit Silman, ministro della Protezione ambientale – I primi risultati mostrano ancora una volta ciò che già tutti sappiamo: i rifiuti di plastica che le persone lasciano inquinano non solo le spiagge ma il mare stesso”.
  La campagna di pulizia si svolgerà per tutto il mese di giugno e sarà coordinata dalla Sea Guard della Israel Diving Association in collaborazione con la Nature and Parks Authority. I dati raccolti dalle immersioni saranno utilizzati per comprendere la provenienza dei rifiuti e per trovare delle soluzioni, oltre che per sensibilizzare sul problema ambientale.
  Il 2023 segna il 18esimo anno del progetto. Secondo una recente ricerca dell’Università di Tel Aviv la costa israeliana è contaminata da oltre due tonnellate di microplastiche pericolose per l’ambiente e per la salute.

(Shalom, 14 giugno 2023)
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Molto bene naturalmente. Ma sembra che la sensibilità sul problema ambientale cresca in proporzione inversa alla sensibilità sul problema morale. Non solo in Israele naturalmente. M.C.

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L’economia mondiale sta cambiando e la Cina sta vincendo

Mentre la Cina sta vincendo la guerra economia con gli Stati Uniti e i Paesi BRICS superano il PIL totale del G7, si scopre un altro motivo per cui le sanzioni contro Russia, Iran e altri non funzionano.

di Richard Wolff*

Il 2020 ha segnato la parità tra il PIL totale del G7 (Stati Uniti e alleati) e il PIL totale del gruppo BRICS (Cina e alleati). Da allora, le economie dei BRICS sono cresciute più velocemente di quelle del G7. Ora un terzo della produzione mondiale totale proviene dai Paesi BRICS, mentre il G7 rappresenta meno del 30%.
  Al di là dell’ovvio simbolismo, questa differenza comporta reali conseguenze politiche, culturali ed economiche. Portare l’ucraino Zelenskyy a Hiroshima per parlare al G7 non è servito a distogliere l’attenzione del G7 dall’enorme questione globale: cosa sta crescendo nell’economia mondiale e cosa sta diminuendo.
  L’evidente fallimento della guerra delle sanzioni economiche contro la Russia offre un’ulteriore prova della forza relativa dell’alleanza dei BRICS. Questa alleanza ora può e offre alle nazioni delle alternative all’accomodamento delle richieste e delle pressioni del G7, un tempo egemone.
  Gli sforzi di quest’ultimo per isolare la Russia sembrano essersi rivelati un boomerang e hanno invece messo in luce il relativo isolamento del G7. Persino il presidente francese Macron si è chiesto ad alta voce se la Francia non stia puntando sul cavallo sbagliato nella corsa economica tra G7 e BRICS che si è svolta sotto la superficie della guerra in Ucraina. Forse i precursori di questa gara, meno sviluppati, hanno influenzato le fallimentari guerre terrestri degli Stati Uniti in Asia, dalla Corea al Vietnam, fino all’Afghanistan e all’Iraq.
  La Cina compete sempre più apertamente con gli Stati Uniti e i suoi alleati internazionali (FMI e Banca Mondiale) nei prestiti allo sviluppo del Sud globale. Il G7 attacca i cinesi, accusandoli di replicare i prestiti predatori per i quali il colonialismo era e il neocolonialismo del G7 è giustamente famigerato. Gli attacchi hanno avuto scarso effetto, vista la necessità di tali prestiti che spinge i Paesi in via di Sviluppo ad accogliere le politiche di prestito della Cina.
  Il tempo dirà se lo spostamento della collaborazione economica dal G7 alla Cina lascerà alle spalle secoli di prestiti predatori. Nel frattempo, i cambiamenti politici e culturali che accompagnano le attività economiche globali della Cina sono già evidenti: ad esempio, la neutralità delle nazioni africane nei confronti della guerra Ucraina-Russia nonostante le pressioni del G7.
  La de-dollarizzazione rappresenta un’altra dimensione degli ormai rapidi riallineamenti dell’economia mondiale. Dal 2000, la percentuale delle riserve valutarie delle banche centrali detenute in dollari si è dimezzata. Il declino continua. Ogni settimana arrivano notizie di paesi che tagliano i pagamenti commerciali e di investimento in dollari USA a favore di pagamenti in valuta propria o in valute diverse dal dollaro USA. L’Arabia Saudita sta chiudendo il sistema dei petrodollari che sosteneva in modo cruciale il dollaro americano come valuta globale preminente. La riduzione della dipendenza globale dal dollaro americano riduce anche i dollari disponibili per i prestiti al governo degli Stati Uniti per finanziare i suoi debiti. Gli effetti a lungo termine di questa situazione, soprattutto se si considera che il governo degli Stati Uniti ha un immenso deficit di bilancio, saranno probabilmente significativi.
  La Cina ha recentemente mediato il riavvicinamento tra i nemici Iran e Arabia Saudita. Fingere che questo processo di pace sia insignificante è un’illusione. La Cina può e probabilmente continuerà a fare la pace per due motivi fondamentali. In primo luogo, ha risorse (prestiti, accordi commerciali, investimenti) da impegnare per addolcire gli accordi tra avversari. In secondo luogo, l’incredibile crescita della Cina negli ultimi tre decenni è stata realizzata nell’ambito e per mezzo di un regime globale per lo più di pace. Le guerre di allora erano per lo più limitate a specifiche località asiatiche molto povere. Queste guerre hanno interrotto in minima parte il commercio mondiale e i flussi di capitale che hanno arricchito la Cina.
  La globalizzazione neoliberista ha avvantaggiato la Cina in modo sproporzionato. La Cina e i Paesi BRICS hanno quindi sostituito gli Stati Uniti come paladini del mantenimento di un regime globale di libero scambio e di circolazione dei capitali ampiamente definito. La risoluzione dei conflitti, soprattutto nel controverso Medio Oriente, consente alla Cina di promuovere l’economia mondiale pacifica in cui ha prosperato. Al contrario, il nazionalismo economico (guerre commerciali, politiche tariffarie, sanzioni mirate, ecc.) perseguito da Trump e Biden ha colpito la Cina come una minaccia e un pericolo. In reazione, la Cina è stata in grado di mobilitare molte altre nazioni per resistere e opporsi alle politiche degli Stati Uniti e del G7 in vari forum globali.
  La fonte della notevole crescita economica della Cina – e la chiave della sfida ora vinta dai Paesi BRICS al dominio economico globale del G7 – è stata il suo modello economico ibrido. La Cina si è distaccata dal modello sovietico non organizzando l’industria come un’impresa principalmente di proprietà statale e gestita dallo Stato. Si è distaccata dal modello statunitense non organizzando le industrie come imprese di proprietà e gestione privata. Ha invece organizzato un ibrido che combina imprese statali e private sotto la supervisione politica e il controllo finale del Partito Comunista Cinese. Questa struttura macroeconomica ibrida ha permesso alla crescita economica cinese di superare sia l’URSS che gli Stati Uniti. Sia le imprese private che quelle statali cinesi organizzano i loro posti di lavoro – il micro-livello dei loro sistemi produttivi – nelle strutture di datore di lavoro e dipendente esemplificate dalle imprese pubbliche sovietiche e da quelle private statunitensi. La Cina non si è distaccata da queste strutture microeconomiche.
  Se definiamo il capitalismo proprio come quella particolare struttura microeconomica (datore di lavoro-impiegato, lavoro salariato, ecc.), possiamo differenziarlo dalle strutture microeconomiche padrone-schiavo o signore-servo dei luoghi di lavoro schiavistici e feudali. Seguendo questa definizione, la Cina ha costruito un capitalismo ibrido tra Stato e privato, gestito da un partito comunista. Si tratta di una struttura di classe piuttosto originale e particolare, designata dall’autodescrizione della nazione come “socialismo con caratteristiche cinesi”. Questa struttura di classe ha dimostrato la sua superiorità rispetto all’URSS e al G7 in termini di tassi di crescita economica e di sviluppo tecnologico indipendente. La Cina è diventata il primo concorrente sistemico e globale che gli Stati Uniti hanno dovuto affrontare nell’ultimo secolo.
  Lenin una volta si riferì alla prima URSS come a un “capitalismo di Stato” sfidato dal compito di compiere un’ulteriore transizione verso il socialismo post-capitalista. Xi Jinping potrebbe riferirsi alla Cina di oggi come a un capitalismo ibrido Stato-più-privato, che si trova a dover affrontare il compito di navigare verso un vero e proprio socialismo post-capitalista. Ciò comporterebbe e richiederebbe una transizione dalla struttura del posto di lavoro del datore di lavoro al dipendente alla struttura microeconomica alternativa democratica: una comunità cooperativa sul posto di lavoro o un’impresa autogestita dai lavoratori. L’URSS non ha mai compiuto questa transizione. Seguono due domande chiave per la Cina: Può farlo? E lo farà?
  Anche gli Stati Uniti si trovano di fronte a due domande fondamentali. In primo luogo, per quanto tempo ancora la maggior parte dei leader statunitensi continuerà a negare il proprio declino economico e globale, agendo come se la posizione degli Stati Uniti non fosse cambiata dagli anni ’70 e ’80? In secondo luogo, come si può spiegare il comportamento di questi leader quando le grandi maggioranze americane riconoscono questi declini come tendenze in atto nel lungo periodo? Un sondaggio casuale del Pew Research Center, condotto tra gli americani tra il 27 marzo e il 2 aprile 2023, ha chiesto quale fosse la situazione degli Stati Uniti nel 2050 rispetto a quella attuale. Circa il 66% prevede che l’economia statunitense sarà più debole. Il 71% prevede che gli Stati Uniti saranno meno importanti nel mondo. Il 77% prevede che gli Stati Uniti saranno più divisi politicamente. L’81% prevede che il divario tra ricchi e poveri aumenterà. I cittadini percepiscono chiaramente ciò che i loro leader negano disperatamente. Questa differenza perseguita la politica degli Stati Uniti.
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* Richard Wolff è autore di Capitalism Hits the Fan e Capitalism's Crisis Deepens. È fondatore di Democracy at Work

(Rights Reporter, 14 giugno 2023)
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E' singolare la pubblicazione di un articolo come questo in un sito che ha sempre appoggiato con impeto la "guerra santa" della Nato a trazione Usa contro la diabolica Russia di Wladimir Putin. Adesso si scopre che "gli sforzi per isolare la Russia sembrano essersi rivelati un boomerang" e che "sotto la superficie della guerra in Ucraina" ci sia una guerra economica mondiale i cui effetti negativi gli Stati Uniti ora cercano di scaricare su altri stati dell'area occidentale. Dopo la disfatta nazista nella battaglia di Stalingrado la seconda guerra mondiale è durata altri due anni, aumentando a dismisura morti e macerie. Quanto durerà la battaglia di Kiev prima che la sconfitta degli Usa nella loro smania di governare il mondo diventi evidente, e morti e macerie continuino ad accumularsi? M.C.

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Mondiale U20, terzo posto per Israele

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La nazionale israeliana chiude la prima partecipazione al Mondiale Under 20 con uno storico terzo posto.
  Ad alzare la Coppa del Mondo è l’Uruguay, che ha battuto l’Italia 1-0 allo stadio ‘Diego Armando Maradona’ di La Plata, in Argentina. È il primo successo per la squadra uruguaiana dopo le finali perse nel 1997 e nel 2013.
  I ragazzi del ct Ofir Haim, dopo aver sconfitto il Brasile ai quarti, hanno subìto una battuta d’arresto, arrendendosi in semifinale all’Uruguay per 1-0.
  Nella ‘finalina’ contro i coreani, ad aprire le marcature è stato il centrocampista israeliano Ran Binyamin. Quattro minuti dopo è arrivato il pareggio del coreano Seung-Won Lee. A suggellare la vittoria, i gol firmati da Senior e Khalaili nel secondo tempo. Israele batte così la Corea del Sud 3-1.
  “Congratulazioni alla squadra di calcio giovanile israeliana per il risultato storico: il terzo posto al Mondiale! – ha commentato il presidente Isaac Herzog alla fine del match - Si è concluso un viaggio meraviglioso ed entusiasmante e siamo tutti orgogliosi di voi”.
  Il torneo si è svolto in Argentina dopo che l’Indonesia, inizialmente Paese ospitante, ha rifiutato la partecipazione della delegazione israeliana per motivi politici. La FIFA ha risposto cambiando sede ed escludendo la squadra di Giacarta dal Mondiale.

(Shalom, 13 giugno 2023)

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Marocco, Sahara occidentale. «Gerusalemme riconoscerà la sovranità di Rabat» sul territorio conteso

Secondo il presidente della Knesset israeliana

Il presidente della Knesset (il parlamento israeliano) Amir Ohana ha proseguito la sua visita ufficiale nel Regno nordafricano incontrando il suo omologo marocchino, Rachid Talbi El Alami. Egli gli avrebbe assicurato che le discussioni relative al riconoscimento da parte dello Stato ebraico della sovranità marocchina sul Sahara occidentale sono avviate e, inoltre, che «ritiene che Israele presto annuncerà la sua decisione in tal senso».
  Nel corso della sua visita, la prima visita di un presidente della Knesset al parlamento marocchino, Ohana ha dichiarato che «si tratta di un momento storico per me come presidente della Knesset e come figlio di marocchini. Sta sorgendo una nuova era nelle relazioni tra i nostri due Stati. La cooperazione politica, di sicurezza, civile e parlamentare è al suo apice.
  Questa storica visita e la firma di un memorandum d’intesa tra i parlamenti apre la strada all’approfondimento dei rapporti tra i due Paesi e alla conversione delle nostre rappresentanze in ambasciate».
  Dal canto suo El Alami ha replicato che «il Marocco è il primo stato musulmano che ha avuto il coraggio di invitare il presidente del parlamento israeliano», aggiungendo che: «La tua venuta è un grande onore per me, rappresenta un passo importante per il futuro della pace in Medio Oriente. Non è stato facile fare un invito del genere, ma la storia è scritta da persone coraggiose».

(Insidertrend, 13 giugno 2023)

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Hezbollah: se Israele commette errori entreremo in Galilea

“Hezbollah diventerà ogni giorno più forte finché esisterà Israele e la lotta continuerà fino all’annientamento di Israele”. Parole del capo del consiglio esecutivo di Hezbollah.  Più chiaro di così! NsI

In un’intervista al quotidiano iraniano Tasnim, il capo del consiglio esecutivo di Hezbollah, Sua Eminenza Sayyed Hashem Safieddine, ha fatto importanti osservazioni sulla situazione regionale e sulla lotta tra la Resistenza e l’entità israeliana.
  Sayyed Safieddine ha indicato una recente esercitazione che l’Unità Speciale di Radwan ha svolto il 25 maggio in occasione dell’anniversario della Giornata della Resistenza e della Liberazione, osservando che il Segretario Generale di Hezbollah, Sua Eminenza Sayyed Hassan Nasrallah, ha ripetutamente avvertito che “se Israele commette errori di calcolo, i nostri missili colpiranno Tel Aviv e l’Unità Radwan entrerà in Galilea”.
  “Il messaggio è chiaro: siamo sempre preparati per qualsiasi cosa di cui abbiamo parlato finora, che si tratti dell’Unità Radwan, dell’ingresso in Galilea o di un sogno grande e determinante. Non fa differenza. Questo è un messaggio serio e de facto, non una parola vuota”, ha aggiunto Sua Eminenza.
  Il funzionario di Hezbollah ha sottolineato che il gruppo della Resistenza è stato formato per distruggere l’entità israeliana, sottolineando che Hezbollah diventerà ogni giorno più forte finché esisterà Israele e la lotta continuerà fino all’annientamento di Israele.

• Conflitti interni in Israele
  Sua Eminenza ha anche commentato i conflitti interni e le crisi nei territori occupati, che Sayyed Nasrallah ha descritto come fratricidio sionista, e la possibilità dello scoppio di una guerra civile tra i sionisti. “La comunità israeliana è crollata dall’interno. Non hanno più leader storici. I loro attuali leader sono leader meschini noti per la corruzione e il furto. Alcuni hanno precedenti penali e altri finiranno in prigione”.
  Descrivendo questi sviluppi come parte della realtà dell’esistenza sociale al collasso del regime israeliano, il capo del Consiglio esecutivo di Hezbollah ha affermato che la realtà sul terreno porta i residenti dei territori occupati a concludere che hanno un governo transitorio e la loro residenza in quei territori sarebbe temporanea e di breve durata.

• Accordo di Pechino
  Ha anche parlato dell’accordo di Pechino sul ripristino delle relazioni tra Iran e Arabia Saudita, aggiungendo: “L’Iran era potente prima dell’accordo di Pechino, ed è più potente e forte dopo di esso. Il ripristino dei legami tra Iran e Arabia Saudita è nell’interesse del mondo islamico e arabo. Quello che è successo a Pechino va contro gli interessi degli Stati Uniti e di Israele”.
  Riguardo al recente avventurismo dell’entità israeliana in alcuni Paesi vicini all’Iran e alle sue relazioni esplicite con l’opposizione anti-iraniana, Sua Eminenza ha dichiarato: “Quando abbiamo visto che il figlio di Pahlavi era in Israele, abbiamo riso molto e ci siamo resi conto di quanto sia debole Israele. Penso che il popolo iraniano lo sappia meglio di me; è molto ridicolo quando un regime come Israele ospita il figlio di Pahlavi per usarlo. Perché, naturalmente, il lato debole ha bisogno di un lato forte per diventare forte, non di un lato molto più debole”.
  Ha anche sottolineato che le nazioni regionali sono ora diventate più consapevoli e si sono rese conto che il Paese che si sacrifica e si batte per le questioni del mondo musulmano e arabo è la Repubblica Islamica dell’Iran. “Quello che è successo negli ultimi 40 anni è che Israele ha cercato di nascondere e distorcere questa realtà. Ciò che gli Stati Uniti e Israele hanno fatto in questi anni è stato creare sedizione tra sunniti e sciiti, creare l’Isil e poi distorcere il volto dell’Iran affermando che l’Iran vuole dominare il mondo musulmano e mondo arabo. La natura di tutte queste distorsioni è diventata chiara alle nazioni regionali”.

• Hezbollah condanna i crimini americani
  Sayyed Safieddine ha denunciato il dollaro Usa e le sanzioni come strumenti dei crimini americani. Ha anche sottolineato il terrorismo economico del governo degli Stati Uniti contro le nazioni della regione, affermando che Washington commette un atto criminale quando usa il dollaro per imporre pressioni.
  “In precedenza, c’è stata una riunione del Congresso degli Stati Uniti sulla regione e il fulcro delle discussioni erano gli stretti e le acque della regione. Hanno sottolineato che devono mantenere queste aree sotto il loro controllo. Hanno detto che non permetteranno all’Iran di averli. Ecco perché fanno morire di fame il popolo dello Yemen, dell’Iraq e del Libano. Fanno la stessa cosa con i palestinesi a Gaza. Anche in Cisgiordania la situazione è spaventosa per la fornitura di generi alimentari di base”, ha dichiarato Safieddine.
  L’alto funzionario ha inoltre sottolineato che la soluzione ai problemi esistenti nel sistema politico libanese e alla crisi dell’elezione del presidente della Repubblica richiederebbe un compromesso libanese-libanese, additando l’interferenza delle ambasciate di alcuni governi stranieri come la causa principale del ritardo di un accordo tra i gruppi libanesi.

(l Faro sul Mondo, 13 giugno 2023)

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Una domanda europea elevata per le carote israeliane

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La domanda europea di carote di dimensioni più grandi provenienti da Israele è molto alta in questa stagione. Nel Paese manca ancora un mese e mezzo alla fine della campagna. Le nazioni dell'Europa meridionale stanno iniziando a raccogliere carote, ma hanno soprattutto ortaggi di dimensioni più piccole provenienti dal nuovo raccolto. Amir Porat, amministratore delegato di Gezer Shluhot, uno dei maggiori coltivatori ed esportatori di carote israeliani, afferma di essere felice di soddisfare la domanda insolitamente più alta dell'Europa.
  "Il 2023 è una stagione unica e a richiesta elevata, soprattutto da parte del mercato europeo. È diversa da quella dell'anno precedente. I produttori europei hanno iniziato a raccogliere soprattutto carote più piccole quest'anno, mentre la domanda di ortaggi grandi è ancora presente. Per quanto riguarda le carote di medie dimensioni, la produzione locale europea vedrà aumentare i volumi di settimana in settimana. Siccome l'Europa richiede principalmente carote di grandi dimensioni, in Israele la produzione terminerà tra circa quattro o sei settimane", spiega Porat.
  "Gezer Shluhot può fornire carote di buona qualità fino alla fine della campagna. Saremo il principale esportatore durante le ultime settimane, perché ci troviamo nella parte settentrionale di Israele, il che ci rende unici ed è ciò per cui siamo conosciuti. I produttori del sud di Israele hanno terminato la raccolta. Nel corso del prossimo mese, quando nel Paese terminerà la stagione delle carote, vedremo che verranno raccolte sempre più ortaggi europei locali".
  Porat è sollevato dal fatto che questa stagione si sia rivelata soddisfacente rispetto all'anno scorso, che descrive come una campagna negativa. "Nei prossimi mesi vedremo sempre più produzione locale europea che sostituirà le carote israeliane importate. Gezer Shluhot continuerà a fornire le proprie carote tardive, che crescono in terreni pesanti nella parte settentrionale di Israele, con dimensioni prevalentemente grandi e di ottima qualità", conclude Porat.

(FreshPlaza, 13 giugno 2023)

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Con lui il Paese cambiò la politica su Israele. La Knesset pianse per il suo intervento

Il ricordo di chi accompagnò Berlusconi nello storico viaggio del 2010 che rivoluzionò un rapporto fino ad allora ambiguo. Con un discorso memorabile

di Fiamma Nirenstein

Su un piccolo aereo al seguito del più grande cambiamento della politica italiana verso Israele, accompagnai Berlusconi nel suo viaggio verso la Knesset nel febbraio del 2010. Incontrammo le felicitazioni di Netanyahu e di Shimon Peres: non c'era differenza politica nel riconoscere che Berlusconi era un Europeo diverso, appassionato del popolo ebraico, rivoluzionario rispetto alla politica europea, sospettosa, filoaraba. Ero allora Vicepresidente della Commissione Esteri, nella breve vacanza dal mio lavoro di giornalista in cui sono stata membro del Parlamento italiano. Berlusconi cambiava la storia. L'intervento che preparò lo rilesse prima Giuliano Ferrara, inventore di una grande manifestazione di entusiasmo per Israele e poi lo rilessi anche io, e se racconto in prima persona è perché oggi purtroppo è il giorno adatto a commuoversi ricordando un attore così importante e discusso della politica italiana.
  Sugli ebrei e il loro Stato, dopo decenni di giravolte sospette da parte della Democrazia Cristiana andreottiana, e dopo gli atteggiamenti filopalestinesi da Guerra Fredda della sinistra italiana, compreso Bettino Craxi che fece pagare a Israele il suo distacco dalla sinistra italiana, Berlusconi fu illuminato dalla sua posizione di conservatore liberale e atlantista. Con Israele fu se stesso, sapeva che gli ebrei erano nati là, cosa avevano sofferto e che non avevano a che fare con nessuna accusa di colonialismo. La Knesset ascoltandolo aveva le lacrime agli occhi, finalmente un leader europeo fu capace di stabilire con precisione l'indispensabilità dello Stato Ebraico, la sua speranza che entrasse un giorno a far parte dell'Unione Europea (speranza su cui Marco Pannella insistette fino alla fine), la sua ammirazione: «Noi liberali vi ringraziamo per il fatto stesso di esistere» disse agli israeliani chiamandoli, come Giovanni Paolo, «fratelli maggiori».
  E sottolineò come Israele risultasse intollerabile ai fanatici, e quindi ai terroristi di tutto il mondo, proprio perché dimostrava che «esiste una possibilità di far vivere la democrazia anche fuori dei confini dell'Occidente». Berlusconi in quel viaggio e nella sua politica non si limitò a esclamazioni ma promise di ottenere «senza perdere tempo» e con «impegno quotidiano, sanzioni contro l'Iran che vuole l'atomica per distruggerlo». Questo era parlar chiaro. Berlusconi cambiò la strada dell'Italia invertendone la politica spinto dalla questione essenziale di un necessario fronte democratico e occidentale al tempo del terrorismo, e quindi decisamente filoamericano oltre che filoisraeliano. Berlusconi riuscì a mantenere un atteggiamento forte e dignitoso: l'Italia aveva combattuto a livello mondiale la sua lotta contro il terrorismo.
  Bush, Aznar, Blair e anche Putin, furono allora compagni di strada. L'Italia di Berlusconi tentava strade europee proprie, che evitassero lo scontro con l'asse Franco-tedesco ma ne fossero consapevoli; che nel mondo stringessero migliori patti con gli Stati Uniti anche sul terreno militare. Sgominare la prepotenza di Saddam Hussein e delle fonti di terrorismo, promuovendo la sicurezza del medio Oriente con un profondo accordo con l'unica democrazia, Israele, gli apparve una strada naturale. Fu nel suo periodo che Gianfranco Fini, uomo di destra e presidente della Camera, impegnandosi a porre fine all'eredità ideologica antiebraica, compì una visita storica a Gerusalemme inginocchiandosi al Museo della Shoah, Yad va Shem. Berlusconi fu accolto con stupore e amicizia: era il primo europeo che, pur andando a trovare Abu Mazen, ripeté la sua fede assoluta nella necessità che gli ebrei avessero il loro Stato. Ripeteva sovente, e ho l'onore di aver udito più volte questo racconto, come sua madre Rosa, avesse salvato a rischio della sua propria vita una ragazza ebrea in viaggio su un treno.
  Berlusconi amava raccontare, era un vulcano di idee. Durante i miei 5 anni alla Camera ho potuto formare col suo consenso la prima Commissione contro l'antisemitismo mai avuta dal Parlamento e il primo Comitato Interparlamentare fra Camera e Knesset. Ascoltava, incitava a mettere in pratica le idee, correva via, passava ad altro, a volte raccontava prima di andarsene una delle sue barzellette. Io lo pregavo rispettosamente di evitare quelle sugli ebrei, anche se erano certo innocenti. Non mi dava retta.

(il Giornale, 13 giugno 2023)

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Da Israele a Boffalora sopra Ticino: un evento straordinario

di Anpi Magenta

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Un evento straordinario, sia per la sua tempistica organizzativa, dovuta a una richiesta “dell’ultimo minuto”, sia (soprattutto) per gli ospiti e il contenuto, ha avuto luogo il 6 giugno 2023, alle 17, presso Villa La Fagiana di Boffalora Sopra Ticino (MI), in Località Madonnina (Ponte del Ticino).
  Si è trattato di un incontro con un gruppo di israeliani, in Italia in un “viaggio della Memoria”, per una visita guidata a quello che fu il sito del Campo A per l’Aliyah Bet 1945-’48 di Boffalora Sopra Ticino (noto come “di Magenta”). Cioè del principale (per dirigenza e funzione) Campo-profughi ebrei sopravvissuti alla Shoah, esistente in quegli anni sul suolo nazionale, finalizzato alla loro partenza verso la Palestina mandataria.
  Un’operazione clandestina quella dell’Aliyah Bet: dal ’39 fino alla nascita di Israele, infatti, gli amministratori inglesi sbarrarono le porte della Palestina agli ebrei. L’Aliyah Bet del dopoguerra – da Germania, Austria e Italia – fu di 70.000 persone, di cui 25.000-30.000 solo dall’Italia, mentre altri 180.000 profughi ebrei partirono in modo ufficiale dai Campi UNRRA, per Canada, Stati Uniti o Inghilterra.
  A organizzare e a condurre l’iniziativa, l’ANPI di Magenta, che ha esteso l’invito alla partecipazione al Parco del Ticino e ai Comuni di Boffalora Sopra Ticino e di Magenta, oltre che ai rappresentanti del Percorso della Memoria Diffusa (ANPI Prov. Milano, Ass. Raggrupp. Divisioni Patrioti Alfredo Di Dio – Fivl, Ecoistituto Valle Ticino), gruppo promotore della stele alla Memoria del Campo A, inaugurata l’11 settembre 2022, e a quelli del Gruppo Ricerca Campo A Magenta 2014-2017 (ANPI Magenta fa parte di entrambi i gruppi).
  L’eccezionalità dell’incontro è stata la presenza, fra i diciassette visitatori da Israele, di alcuni eredi di questa Memoria, figli di militari che furono operativi nel Campo A. Inoltre, la partecipazione di Aldo Li Gobbi, figlio del Gen. Alberto Li Gobbi, ufficiale (allora Capitano) dell’esercito che dopo l’8 Settembre si unì alla Resistenza, e che nel dopoguerra fu parte attiva dell’operazione Aliyah Bet. E quella di Asher Diamant, figlio di una signora di Magenta e di un militare del Campo A.
  Con gli ospiti da Israele, un’interprete, che ha agevolato notevolmente il percorso di spiegazione.
  La visita, dopo i saluti e un’introduzione storica da parte del capogruppo, Col. Benny Michelsohn, Presidente della Commissione di Storia militare israeliana, ha avuto inizio negli spazi privati di Villa La Fagiana, aperti nell’occasione dal proprietario, che con la consueta cortesia e disponibilità verso l’ANPI ha fatto accoglienza.
  Il gruppo si è poi trasferito all’esterno, presso la stele, il cui testo a fronte in inglese è stato letto con attenzione dai visitatori.
  A conclusione, l’intervento di Elisabetta Bozzi, Vicepresidente dell’ANPI di Magenta che, a completamento del quadro storico, ha sottolineato il sostegno morale e fattivo del CLN all’operazione Aliyah Bet del dopoguerra, raccontando così l’intreccio di due storie di Resistenza. Esprimendo inoltre gratitudine alla Brigata Ebraica, per il contributo alla nostra Liberazione, e ricordandone i caduti seppelliti a Piangipane, nel Ravennate.
  Un opuscolo dall’emblematico titolo, Il Ponte, curato da ANPI Magenta in versione italiana e inglese, che oltre alla storia del Campo A riporta quella della Resistenza nel Magentino e del ponte napoleonico sovrastante il sito, è stato donato ai presenti.

(Bet Magazine Mosaico, 13 giugno 2023)

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Berlusconi morto, da Israele il commosso messaggio di Netanyahu : “Rip amico mio”

L'omaggio su Twitter del Primo Ministro Netanyahu dopo la morte del Presidente del Consiglio Berlusconi

di Ilaria Calabrò

Il Primo Ministro Netanyahu ha reso omaggio sul suo account Twitter ufficiale all’ex Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi:
    “Sono stato profondamente addolorato per la morte dell’ex Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi. Invio le mie condoglianze alla sua famiglia e a i cittadini italiani. Silvio è stato un grande amico d’Israele ed è stato sempre al nostro fianco. Riposa in Pace amico mio”.
(strettoweb, 12 giugno 2023)

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È morto Silvio Berlusconi, leader italiano amico degli ebrei e di Israele

di Ugo Volli

• Il pensiero di Berlusconi su Israele e il popolo ebraico
  “La difesa di Israele oggi più che mai è la difesa delle ragioni della libertà, della democrazia, del pluralismo civile e religioso.” (19 ottobre 2015) “Considero Israele una parte della nostra cultura e della nostra civiltà, un faro di libertà e democrazia nel Medio Oriente.” (8 gennaio 2018) "Siamo qui per testimoniare l'amore, la vicinanza e la volontà di collaborare. Il mio sogno è annoverare Israele tra i Paesi dell'Unione europea". “(4 febbraio 2010) "Non si può mettere in dubbio la nostra e la mia personale coerenza su un tema di straordinario valore morale e civile come l'amicizia con il popolo ebraico e lo Stato d'Israele. [... Da qui] la nostra radicale opposizione ad ogni forma di antisemitismo vecchio e nuovo, un pericolo che io stesso tante volte ho denunciato [perché la Shoà] è stato il male assoluto, sul quale non è tollerabile alcun revisionismo, negazionismo o sottovalutazione: su questi temi, e sulla nostra fermissima opposizione ad ogni intolleranza e ad ogni totalitarismo di destra come di sinistra, la nostra storia parla per noi. Ho imparato questo valore, il grande valore della libertà, da mio padre, esule in Svizzera per non essere arrestato dai nazifascisti, e da mia madre che, incinta, rischiò la vita per sottrarre a un soldato nazista una donna ebrea destinata ai campi di sterminio" (novembre 2019).

• Un amico sincero
  Sono queste alcune delle numerose dichiarazioni di amicizia che Berlusconi ha fatto durante la sua vita politica nei confronti di Israele e del popolo ebraico, che gli sono state riconosciute costantemente dall’ebraismo italiano e anche da Israele. Lo dice bene la dichiarazione della presidente della Comunità di Roma, Ruth Dureghello: “Sono addolorata per la morte di Silvio Berlusconi, un grande amico del popolo ebraico e Israele.” Al di là del compianto per un leader e per un uomo di cui si possono certamente discutere tanti episodi e atteggiamenti, ma non la sua costante difesa di Israele e degli ebrei contro ogni forma di antisemitismo, revisionismo o antisionismo, c’è un altro dato su cui riflettere, che Dureghello sintetizza molto efficacemente nella sua dichiarazione: “A lui si deve il cambio di paradigma tra l’Italia e lo Stato ebraico.”

• Il cambio di paradigma
  È vero, per quanto riguarda Israele c’è stata un’Italia prima di Berlusconi, in cui gli amici erano piccole forze politiche che vanno ricordate con onore: i repubblicani di La Malfa e Spadolini, i liberali di Malagodi, i radicali di Pannella e pochi altri. Ma la maggioranza (quasi tutti i democristiani e i comunisti, i socialisti non solo nella versione filoaraba di Craxi) erano forze politiche diffidenti nei confronti dello stato ebraico e ben disposte a patteggiare con i terroristi arabi anche al prezzo della loro impunità. La burocrazia, la diplomazia, buona parte degli apparati giudiziari, gli intellettuali seguivano la stessa impostazione. Fu Berlusconi a cambiare tutto, a schierare l’Italia a fianco di Israele. Anche alcuni sviluppi che non lo riguardano direttamente, come la svolta di Fini che si prolunga oggi fino a Salvini e Meloni, nascono dal suo esempio.

• Il riconoscimento di Israele
  Per questo quando Berlusconi arrivò a Gerusalemme in visita di stato nel 2010 egli fu il primo leader italiano ad essere invitato a parlare alla Knesset (il suo discorso si può ancora sentire qui) accolto con grandissimo calore sia dal primo ministro (che allora era già Netanyahu, il quale ricordò accogliendo l’ospite il merito di sua madre nel salvataggio di una ragazza ebrea) sia dal leader dell’opposizione (Tzipi Livni) e da tutta la stampa.

(Shalom, 12 giugno 2023)

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Intelligence israeliana: nasce Branch 54, la sezione dedicata alla guerra contro l’Iran

L'obiettivo dell'unità è quello di prepararsi a un potenziale conflitto tra Israele e Iran; la sua istituzione rappresenta un passo importante nella pianificazione strategica dell'esercito israeliano - la natura unica di tale conflitto richiede un approccio diverso rispetto alle operazioni militari precedenti.

È passato quasi un decennio dall’inizio del confronto militare diretto tra Israele e Iran. Recentemente, le Forze di Difesa Israeliane hanno iniziato a prepararsi alla possibilità di una guerra con il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC). In parole povere, l’intelligence dell’IDF sta completando i contorni di una guerra che nessuno immaginava sarebbe mai arrivata: la prima guerra Israele-Iran.
  Negli ultimi anni, la tensione tra Israele e Iran si è intensificata. Circa 10 droni sono stati lanciati verso Israele, l’ultimo dei quali è stato intercettato sopra la Valle di Hula, nel nord di Israele, circa due mesi fa. Inoltre, la Forza Quds dell’IRGC ha inviato più volte negli ultimi anni terroristi che hanno tentato di piazzare cariche esplosive contro le forze dell’IDF e terroristi di una delle loro unità hanno cercato di colpire turisti israeliani all’estero, principalmente in Turchia.
  L’aumento degli scontri diretti tra i due Paesi ha posto fine ad anni di ambiguità nella lotta per la regione. Tuttavia, lo stallo nel raggiungimento di un nuovo accordo nucleare tra l’Iran e le potenze mondiali, insieme alle valutazioni all’interno dell’establishment della sicurezza secondo cui la prossima guerra sarà un conflitto su più fronti, ha portato l’esercito israeliano a entrare in una fase di preparazione per una guerra diretta contro l’Iran, o almeno per diversi giorni di conflitto con le forze della Repubblica Islamica.
  “Si tratta di un significativo cambiamento di mentalità che l’IDF deve fare. Non è simile a una guerra contro Hezbollah o a un’operazione a Gaza contro Hamas o la Jihad islamica”, ha spiegato il tenente colonnello T., capo del dipartimento di ricerca della Branch 54, il nuovo ramo sull’Iran istituito presso la Direzione dell’intelligence militare. “È come informare un alto comandante dell’IDF che si addestra tutto il giorno per la guerra in Libano o a Gaza, e dirgli che questa volta è completamente diverso da quello che ha conosciuto finora”.
  Secondo T.: “Siamo responsabili di fornire ai militari l’infrastruttura di conoscenze sulle capacità militari iraniane e sui sistemi strategici sotto il loro controllo. Siamo impegnati nella ricerca degli elementi di controllo in Iran, dal livello superiore fino agli operatori in prima linea”.
  La nuova sezione è destinata ad essere il primo punto focale nei preparativi dell’IDF per uno scenario di ampio e palese confronto militare con l’esercito iraniano. In generale, il ramo si concentra sull’apprendimento dell’intelligence, in modo simile ai preparativi per un addestramento aggiornato basato sull’intelligence per il combattimento con Hezbollah e Hamas. Uno dei dipartimenti all’interno della sezione è considerato operativo e raccoglie informazioni sull’esercito regolare dell’IRGC.
  La sezione è composta da soli 30 soldati, non ha ancora un nome, ma è responsabile della preparazione dell’IDF per una guerra contro l’Iran, poiché ogni giorno gli agenti operativi sviscerano un altro strato dell’esercito iraniano, rivelando un’altra dottrina, un metodo di combattimento o una tecnica di addestramento del nemico.
  Nelle loro discussioni interne, sono ben consapevoli che non si tratta dello scenario che l’IDF praticherà nei prossimi mesi, come una guerra a due o più fronti. Si tratta di una guerra completamente diversa, che richiederà una grande resistenza da parte del pubblico israeliano, quasi come una guerra totale moderna.
  I capi del ramo provengono da un background di specializzazione palestinese. Uno di loro, il tenente colonnello Y., è a capo del dipartimento di targeting, una posizione che non lascia dubbi sul suo scopo nella preparazione di una possibile guerra.
  In tutto l’Iran ci sono migliaia di obiettivi militari che Israele potrebbe attaccare, ma il dipartimento di targeting ha il compito di individuare e designare gli obiettivi primari. “Analizziamo l’IRGC specificamente all’interno dell’Iran, non la Forza Quds”, ha descritto un ufficiale. “L’Iran è un Paese molto grande in termini di territorio e sanno che le nostre operazioni all’interno del loro territorio avranno delle conseguenze, ma è un gioco di esposizione reciproca”.
  “Ciò che stiamo raccogliendo e ricercando sull’IRGC influenza direttamente la costruzione del potere dell’IDF e il nuovo piano pluriennale delineato dal capo di stato maggiore, fungendo da bussola per modellare la forza dell’IDF nei prossimi anni”.
  Y. non ha ancora partecipato alle esercitazioni pratiche con le forze che guideranno la futura guerra contro l’esercito iraniano, come l’aviazione israeliana, ma sta già monitorando meticolosamente le capacità di inganno dell’esercito iraniano.
  “Ogni giorno raccogliamo più bersagli e obiettivi a un ritmo soddisfacente e impariamo a colpirli in modo efficace. Abbiamo già raddoppiato il numero di obiettivi in Iran, a prescindere dalle strutture nucleari. È molto diverso dalle operazioni tra le due guerre. Un confronto militare palese sarà una storia completamente diversa”, ha detto Y..
  La sezione ha già condotto diversi giochi di guerra e presentazioni di scenari con squadre di esperti, alcuni dei quali non sono più in servizio attivo. Insieme ai rappresentanti di spicco delle unità di intelligence come l’Unità 8200 e l’Unità 9900, e con l’assistenza significativa delle sue controparti americane, il ramo dell’intelligence completa la mappatura della guerra che nessuno avrebbe mai immaginato di realizzare: la prima guerra Israele-Iran.

(Rights Reporter, 12 giugno 2023)

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Mieloma multiplo: oncologi israeliani individuano un trattamento che aumenta le aspettative di vita

di Michael Soncin

In Israele presso l’Hadassah-University Medical Centre di Gerusalemme è stato sviluppato un trattamento antitumorale che allunga l’aspettativa di vita dei pazienti affetti da mieloma. I test sono stati effettuati su un campione di 74 persone affette da mieloma multiplo, un tipo di cancro raro che si sviluppa dalle cellule del midollo osseo, considerato ancora incurabile.
  «Se prima era fantascienza ora è realtà». A dirlo è Polina Stepensky, direttrice del dipartimento di immunoterapia e trapianto di midollo osseo, che ha sviluppato la cura assieme a Cyril Cohen, responsabile del laboratorio di immunologia e immunoterapia del cancro dell’Università Bar Ilan.
  The Jewish Chronicle riporta che risultati condotti a livello sperimentale hanno visto una remissione della patologia nell’88% dei pazienti.
  Il trattamento sviluppato a partire dal 2018, utilizzando la terapia CAR-T (Chimeric Antigen Receptor T-Cell), consiste nell’estrarre le cellule del sistema immunitario, per poi ingegnerizzarle geneticamente in modo che siano capaci di identificare le cellule tumorali e attaccarle.
  Va specificato che la terapia CAR-T in Israele era stata sperimentata per il linfoma, ma nei tempi recenti non era ancora stata utilizzata per il trattamento del mieloma.
  «Quando mi sono laureata – afferma Stepensky – in medicina nel 1998, la sopravvivenza di chi aveva il mieloma era di 2 anni, mentre ora è di oltre 10 e speriamo di aumentarla ancora di più. Ora i pazienti che hanno diabete conducono una vita normale, spero quindi che sia lo stesso per quelli con il mieloma».
  «Sappiamo di non poter curare il mieloma, ma di poterlo trasformare in una malattia cronica», ha successivamente aggiunto la dottoressa.
  Ali Rismani, ematologo dell’ospedale ha definito «promettenti» i risultati ottenuti, sebbene il trattamento non sia efficace per tutti, oltre a non essere adatto in certe persone specialmente in quelle molto anziane.
  «La CAR-T ci offre un’opzione di trattamento per i pazienti che hanno esaurito le terapie. Non è una procedura semplice, ma se funziona, e a seconda della CAR-T utilizzata, i pazienti possono prolungare le aspettative di vita per un paio d’anni e a volte di più», ha detto Rismani.
  Rupal Mistry, dottoressa, portavoce del Cancer Research Uk, ha dichiarato: «I risultati di questo studio in fase iniziale che utilizza la terapia cellulare CAR-T sono incoraggianti per le persone con mieloma multiplo avanzato. Sebbene sia necessario un ulteriore lavoro per confermare questi risultati entusiasmanti su scala più ampia, questa ricerca ci porta un passo più vicini alla possibilità di fornire opzioni di trattamento più efficaci alle persone affette da questa malattia».

(Bet Magazine Mosaico, 12 giugno 2023)

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Radar tattici multiruolo di DRS RADA Technologies per Israele

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Leonardo DRS, Inc. ha annunciato che la sua business unit DRS RADA Technologies è stata selezionata per fornire al Ministero della Difesa Israeliano radar mobili avanzati che forniscono capacità aggiuntive per difendersi da una serie di minacce regionali emergenti.
  La società produrrà e consegnerà i radar per supportare le attuali capacità di sorveglianza aerea e di allerta precoce delle forze di difesa israeliane (IDF).
  Questi sistemi avanzati sono collaudati in tutto l’IDF e con le forze militari alleate in tutto il mondo.
  L’unità aziendale DRS RADA Technologies (precedentemente nota come “RADA”) è un leader globale nello sviluppo di sistemi radar tattici altamente mobili.
  Sono ampiamente utilizzati nell’IDF, negli Stati Uniti e nelle forze armate alleate per proteggere veicoli e combattenti da una serie di minacce di fuoco ostile aeree e terrestri attuali ed emergenti.
  Le missioni per questi sistemi includono sistemi di protezione attiva; difesa aerea mobile a corto raggio; C-RAM (contro razzo, artiglieria, mortaio); missioni contro gli UAS; protezione delle infrastrutture critiche e sorveglianza delle frontiere.
  I radar saranno costruiti nel sito produttivo della business unit situato a Beit Shean, in Israele.

(Ares-Osservatorio Difesa, 12 giugno 2023)

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Un lunedì di prima mattina



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La Knesset lancia ‘’waze per i non vedenti’’

di Jacqueline Sermoneta

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Lanciato un innovativo sistema di audio guida che permette a ciechi e ipovedenti di orientarsi in autonomia nei locali della Knesset - il Parlamento israeliano.
L’iniziativa di solidarietà in favore delle persone con disabilità visive, avvenuta proprio in occasione del “Blind Day”, va a integrare le strutture e i servizi già presenti che rendono la Knesset uno dei parlamenti più accessibili al mondo.
  Sviluppato e prodotto dalla startup israeliana RighHear, l’app guida virtualmente i non vedenti in tutto l’edificio. "L’innovativo sistema, che contribuisce a rendere accessibile la Knesset, comprende un modulo di gestione e di controllo con circa 55 sensori operanti tramite Bluetooth, sparsi nei punti di interesse del complesso. – ha affermato Sharon Cohen, responsabile dei sistemi e delle applicazioni nella divisione tecnologia e informatica della Knesset - Attraverso la nuova app gratuita sul telefono dell'utente, le persone con disabilità visive possono orientarsi ovunque".
  Il sistema collega l’app mobile ai dispositivi wireless posizionati strategicamente in spazi pubblici e in punti di accessibilità. Fornisce, inoltre, descrizioni audio del luogo, che vengono trasmesse direttamente a smartphone o tablet. “Quando l’utente arriva in una zona di interesse, – ha detto Cohen - può richiedere assistenza o accedere a ulteriori informazioni dettagliate sulla sua posizione”.
  "La Knesset continuerà a lavorare per rendere i locali accessibili alle persone con disabilità e consentirà a tutti i visitatori di effettuare la visita nel modo migliore. - ha affermato il direttore generale della Knesset, Moshe Chico Edri. - Siamo orgogliosi di mostrare le iniziative tecnologiche che stiamo implementando con un impegno costante per il progresso e l'innovazione".

(Shalom, 11 giugno 2023)

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Neodiplomatici della Farnesina, a confronto con il mondo ebraico

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Una delegazione di neodiplomatici del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ha svolto quest’oggi alcuni incontri con l’ebraismo italiano e romano. Dalla Biblioteca Nazionale dell’Ebraismo Italiano al Tempio Maggiore cuore della vita religiosa e aggregativa, dal Museo ebraico alla Fondazione Museo della Shoah. Un utile confronto, organizzato dall’ambasciata d’Israele in Italia, per mettere a fuoco molteplici temi e sfide.
  Il primo incontro si è svolto nella sede della Biblioteca Nazionale dell’Ebraismo Italiano con la presidente UCEI Noemi Di Segni. I neodiplomatici, salutati in avvio dal consigliere politico e portavoce dell’ambasciata d’Israele Uri Zirinski, si sono poi recati nel quartiere ebraico.
  Ad accoglierli, all’interno del Tempio Maggiore, hanno trovato tra gli altri la presidente della Comunità ebraica Ruth Dureghello. Sosta successiva, dopo una visita al Museo ebraico, la targa in ricordo di Stefano Gaj Taché, il bambino di due anni rimasto ucciso nell’attacco palestinese al Tempio del 9 ottobre 1982. A fare memoria di quel giorno sono stati, oltre a Zirinski e Dureghello, anche l’assessore UCEI alle Politiche Educative Livia Ottolenghi e il presidente del Benè Berith Sandro Di Castro (testimone dell’attacco e tra i quaranta feriti). Ultima sosta alla Fondazione Museo della Shoah, con interventi della responsabile delle relazioni istituzionali Micaela Felicioni e dello storico Marco Caviglia. A chiudere il percorso una visita alla mostra sui campi di sterminio di Belzec, Sobibor e Treblinka allestita in questi mesi alla Casina dei Vallati.

(moked, 11 giugno 2023)

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Salmo 92
    Canto per il giorno del sabato.
  1. Buona cosa è celebrare l'Eterno,
    e salmeggiare al tuo nome, o Altissimo;
  2. proclamare la mattina la tua benignità,
    e la tua fedeltà ogni notte,
  3. sul decacordo e sul saltèro,
    con l'accordo solenne dell'arpa!
  4. Poiché, o Eterno, tu m'hai rallegrato col tuo operare;
    io celebro con giubilo le opere delle tue mani.
  5. Come son grandi le tue opere, o Eterno!
    I tuoi pensieri sono immensamente profondi.

  6. L'uomo insensato non conosce
    e il pazzo non intende questo:
  7. che gli empi germoglian come l'erba
    e gli operatori d'iniquità fioriscono, per esser distrutti in perpetuo.
  8. Ma tu, o Eterno, siedi per sempre in alto.
  9. Poiché, ecco, i tuoi nemici, o Eterno,
    ecco, i tuoi nemici periranno,
    tutti gli operatori d'iniquità saranno dispersi.

  10. Ma tu mi dai la forza del bufalo;
    io son unto d'olio fresco.
  11. L'occhio mio si compiace nel veder la sorte di quelli che m'insidiano,
    le mie orecchie nell'udire quel che avviene ai malvagi
    che si levano contro di me.
  12. Il giusto fiorirà come la palma,
    crescerà come il cedro sul Libano.
  13. Quelli che son piantati nella casa dell'Eterno
    fioriranno nei cortili del nostro Dio.
  14. Porteranno ancora del frutto nella vecchiaia;
    saranno pieni di vigore e verdeggianti,
  15. per annunziare che l'Eterno è giusto;
    egli è la mia ròcca, e non v'è ingiustizia in lui.
    PREDICAZIONE
Marcello Cicchese
gennaio 2017


 
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Libano – Tensioni lungo la linea di confine

BEIRUT- E’salita nuovamente la tensione ieri tra Libano e Israele a seguito delle rivendicazioni territoriali al confine delimitato dalla Linea Blu . I due paesi sono formalmente ancora in stato di belligeranza . Sono stati lanciati gas lacrimogeni da parte dell’esercito israeliano nei confronti di manifestanti libanesi radunatisi nei pressi delle colline di Kfar Shuba, una zona agricola controllata di fatto da Israele ma rivendicata dal Libano. La manifestazione sul lato libanese era stata indetta per solidarietà con un contadino libanese che ieri aveva tentato di fermare un bulldozer israeliano che procedeva su quello che il contadino considera il suo terreno.
  La missione Onu (Unifil) schierata nel sud del Libano è intervenuta in maniera massiccia per tentare di riportare la calma. Sul posto sono intervenuti anche i militari libanesi. Sul lato israeliano c’è stato un dispiegamento di mezzi militari e di soldati. Secondo la tv al Manar degli Hezbollah libanesi filo-iraniani, i manifestanti hanno lanciato pietre contro i soldati israeliani.

(CongedatiFolgore, 10 giugno 2023)

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Spy story sul Lago Maggiore: Italia in pericolo tra Mossad e servizi iraniani

di Riccardo Franciolli

La tragedia consumatasi sul Lago Maggiore, dove hanno perso la vita quattro persone, continua a destare parecchio interesse e suscitare non poche perplessità. In particolare, la decisione di rivelare alla stampa i nomi delle vittime – membri dei servizi segreti italiani e israeliani – potrebbe compromettere l'anonimato e la sicurezza di molti colleghi delle vittime.
  “I servizi segreti iraniani non dimenticano e hanno una memoria di ferro. Se è vero che, e ripeto se, dietro a quanto successo sul Lago Maggiore ci fosse una missione congiunta italo-israeliana contro il nemico di sempre di Israele, per impedirgli di acquistare componenti tecniche e le attrezzature per progetti nucleari e militari, allora l’Italia potrebbe diventare un bersaglio dell’Iran”. Così si esprime con noi un ex alto dirigente dell’intelligence italiana dopo le rivelazioni su quanto accaduto a fine maggio sulle rive del Lago Maggiore.

• FACCIAMO UN PASSO INDIETRO
  Un compleanno da festeggiare sul lago con gli amici. La traiettoria insolita della tempesta sul Lago Maggiore proveniente da Nord Est, raffiche discendenti che superano i 100 km/h. Una barca senza pescaggio sovraccarica che naufraga nella tempesta. Quattro morti tra cui un ex agente del Mossad, due membri dell’intelligence italiana e una donna di origini russe.
  Sembrava davvero l’inizio di una promettente ‘spy story’ ambientata a pochi passi dal confine italo-svizzero. Invece è la nuda cronaca di quanto successo il 28 maggio scorso. Lo skipper, di 60 anni, è ora indagato per omicidio e naufragio colposo dalla Procura di Busto Arsizio. Era lui a guidare la cosiddetta ‘house boat’, una sorta di piattaforma galleggiante, più che una barca, di 16 metri che navigava sul Lago oltre l'ora prevista per il rientro e che è stata affondata nella tempesta che si è scatenata con raffiche che hanno raggiunto anche i 100 chilometri all'ora.
  Tra le vittime nel naufragio, oltre alla moglie del proprietario del natante, una donna di nazionalità russa la cui nazionalità però non risulterebbe significativa, anche un uomo e una donna di 53 e 62 anni, membri dei servizi segreti italiani e un agente del Mossad, ufficialmente in pensione, di 53 anni. Dei tre agenti, si saprà quasi subito i loro nomi. Da qui l’indignazione all'interno dei servizi di intelligence italiana e israeliana. “Dare i nomi degli agenti è come indicare un bersaglio semplice da colpire”, aggiunge la nostra fonte.
  Per tutti è stato indicato l'annegamento come causa della morte, anche se non sono state fatte le autopsie. Altre 19 persone si sono salvate. Secondo la stampa, che ha visionato le relazioni dei carabinieri ai magistrati, 13 erano agenti del Mossad israeliano e altre otto persone erano agenti dell’Aise, il servizio segreto italiano per l'estero, facente parte del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica che ha compiti e attività di intelligence al di fuori del territorio nazionale italiano. 
  La gita sul lago, secondo la versione ufficiale, è stata organizzata per festeggiare il compleanno di uno dei componenti della gita. Non sono mancate ovviamente le ipotesi su cosa ci facesse una imbarcazione piena di agenti segreti sul Lago Maggiore. Si saprà in seguito che agenti italiani e israeliani si trovavano sul Lago Maggiore nell'ambito di un'operazione congiunta e, per celebrarne il successo, avevano organizzato il viaggio sulla Goduria, una nave di proprietà del Comandante Claudio Carminati, un fidato contatto dell'intelligence italiana. Non solo. La Goduria era già stata utilizzata per altre missioni e celebrazioni.
  La storia della festa di compleanno, infatti, da subito è sembrata poco credibile. Il fatto che Israele abbia inviato immediatamente il Bombardier executive, l’aereo delle missioni più segrete del Mossad per riportare a Tel Aviv i superstiti al naufragio - scrive ad esempio il ManifestoLink esterno - rivela l’importanza delle persone e della loro missione in Italia. 
  Ai funerali dell’ex agente israeliano c’era anche il capo del Mossad, che ha tenuto l’elogio funebre, e lo stesso ufficio del premier Benyamin Netanyahu ha diramato un comunicato per ricordare che la spia morta – senza citarne il nome – ha “dedicato la sua intera vita alla sicurezza dello Stato di Israele per decine di anni anche dopo essere andato in pensione”.
  Non solo. I superstiti sono stati portati al pronto soccorso e sono stati sentiti dai Carabinieri. Ma tutti sono rapidamente scomparsi: chi legge ‘spy story’ sa che queste operazioni in gergo militare si chiamano ‘esfiltrazioni'. Gli israeliani sono stati riportati nel loro Paese e anche gli italiani sembra abbiano subito lasciato immediatamente l’ospedale.

• NOMI E COGNOMI
  Di questa vicenda ciò che maggiormente sconcerta l’ambiente dell’intelligence, è però la pubblicazione sulla stampa dei nomi dei tre agenti - due italiani e un israeliano – morti nell’incidente. Come recita un articolo pubblicato sul sito Intelligence onlineLink esterno, “al di là dello shock iniziale causato dall'incidente, l'incidente ha suscitato molto risentimento all'interno dei servizi di Intelligence. Alfredo Mantovano, delegato per la Sicurezza della Repubblica, ha rivelato alla stampa i nomi delle vittime. La decisione affrettata, presa sotto la pressione delle circostanze, potrebbe compromettere l'anonimato e la sicurezza di molti colleghi delle vittime”.
  Anche in Israele la pubblicazione dei nomi delle vittime ha destato sorpresa e pone gli stessi problemi di sicurezza. “Le autorità italiane hanno cercato di riscattarsi – continua l’articolo su Intelligence online – organizzando una rapida operazione per proteggere le identità degli altri agenti israeliani presenti, prelevandoli in gran segreto dall’ospedale e presso il loro albergo per poterli allontanare velocemente dalla zona”.
  L’articolo e le preoccupazioni annesse sono pienamente condivisi dalla nostra fonte come, a suo dire, anche dai membri dei servizi ancora in attività. “Il diritto all’informazione è sacrosanto – insiste la nostra fonte – ma è da stupidi attirare gratuitamente l’interesse di servizi segreti stranieri su fatti e soprattutto nomi che dovevano restare assolutamente segreti”.
  A causa della “maldestra comunicazione dei nomi degli agenti, la sicurezza di colleghi è messa in grave pericolo: come ho già detto – continua la fonte – gli iraniani, se davvero sono coinvolti, come sembra sia il caso, non dimenticano facilmente e la loro memoria è proverbiale all’interno dell’ambiente. Non succederà niente oggi o domani ma presto o tardi, statene certi, otterranno la loro rivincita: l’Italia è il loro bersaglio e con la pubblicazione dei nomi sanno anche con chi prendersela”.
  Ora che la vicenda si dipana, le paure dell’ex alto dirigente dell’intelligence italiana, si fanno ancora più concrete: “In un paese come l’Iran, dove se bevi una Coca cola finisci dimenticato in un qualche carcere se sei fortunato, direi ai cittadini italiani che si trovano là di stare attenti. Basta un nulla per scomparire per sempre”.

(tvsvizzera, 10 giugno 2023)

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La mostra. Così gli ebrei trovarono cittadinanza con le sinagoghe e i cimiteri

Esposte al Museo italiano dell’ebraismo di Ferrara testimonianze dell'identità israelitica nelle architetture di alcune città italiane. Una storia che risale alle lotte per l’emancipazione.

di Maurizio Cecchetti

Moise del Conte, Sinagoga vecchia Livorno (1791) - Comunità Ebraica di Livorno
Alcune delle pagine più intense scritte sui cimiteri ebraici si devono a un polemista francese di idee anarco-socialiste, Bernard Lazare, che morì a trentotto anni nel 1903. Definito da Charles Péguy una sorta di profeta, mente tra le più lucide nella Francia dell’affaire Dreyfus, Lazare riscoprì le proprie radici ebraiche prendendo le parti del capitano francese ingiustamente accusato. In un suo saggio, Le fumier de Job, che venne pubblicato postumo nel 1928, Lazare rilegge il travaglio dell’ebreo che nella cristianità è considerato un “paria”. E rifiuta l’accusa di deicidio: «Il popolo ebraico non ha crocifisso Gesù: seguiva il fariseo errante; amava ascoltarlo, lo accompagnò, piangendo, ai piedi della croce sulla quale lo inchiodarono i romani, con un’iscrizione derisoria per gli ebrei» e arriva a dire che «Gesù è il fiore supremo dello spirito ebraico, l’emanazione più pura della coscienza di Israele».
  Lazare morì dopo aver dedicato molte pagine a smontare la cultura dell’antisemitismo, ma nel Letame di Giobbe, tradotto quasi vent’anni fa con una lunga introduzione di Stefano Levi della Torre, mi colpì il sentimento poetico e tragico con cui descrive i cimiteri di Praga, Worms, Cracovia, Toledo, Lemberg, dei quali coglie l’aspetto di terra desolata: quello di Praga ha per lui un volto tetro, mentre quello di Worms gli appare allegro, dove «le lapidi si ergono in un vasto prato luminoso; stanno ritte nell’erba folta, e leggendo le vecchie iscrizioni, guardando gli antichi simboli sempre nuovi, si cammina sui morti». La pagina dopo si apre, non per caso, sull’altro caposaldo dell’identità ebraica: le sinagoghe.
  Le sue pagine mi sono tornate in mente visitando a Ferrara, nelle sale del Meis, il Museo nazionale dell'ebraismo italiano e della Shoah, la mostra Case di vita, ovvero un approfondimento su “sinagoghe e cimiteri in Italia” (a cura di Andrea Morpurgo e Amedeo Spagnoletto, fino al 17 settembre), dove appunto si cerca di mettere in luce il modo di essere, lo stile di vita, degli ebrei qualche secolo prima e poi con l’emancipazione che maturò con le due rivoluzioni moderne, quella dei movimenti democratico-borghesi e quella industriale, col progredire della cultura dei diritti umani e sociali, che non bastò tuttavia ad allontanare lo spettro dell’antisemitismo, come si vide nella vicenda di Dreyfus, che dopo la sua conclusione positiva lasciò comunque strascichi di decenni, fino al periodo della persecuzione nazista che trovò in Francia molti sostenitori, si pensi a Brasillach, grande intellettuale che fece opera di delazione sui giornali denunciando tanti ebrei che si nascondevano, oppure, sebbene con diversa spietatezza, un compagno nel grande critico letterario Maurice Blanchot, i cui articoli antisemiti vennero tradotti e pubblicati anche in Italia vent’anni fa. E naturalmente non si può tacere di Céline o di Drieu La Rochelle. Qualcuno ha sostenuto che quest’odio degli ebrei trovi in Francia il suo terreno di cultura (sia pure con orizzonti diversi, non si deve dimenticare che persino in Simone Weil vi sono pagine dove manifesta in modo deciso il suo antigiudaismo).
Intagliatore fiorentino, modelloper il nuovo Tempio Israelitico di Firenze (1874-1882) - Meis Ferrara
La mostra di Ferrara testimonia proprio questo cammino di emancipazione e di costruzione sociale di una identità delle comunità ebraiche attraverso la fondazione e il riconoscimento dei cimiteri e delle sinagoghe. L’architettura e l’arte che la decora sono come una marcatura del territorio attraverso cui ottenere una cittadinanza come diritto a far parte e a contribuire alla vita dei luoghi in cui gli ebrei si sono insediati, dapprima tollerati (a volte guardati con risentimento, per la solita accusa di essere usurai, cioè prestatori di denaro, attività che il Terzo concilio Lateranense nel 1179 aveva condannato); oltre a subire per secoli l’accusa di deicidio. Come scrive Morpurgo nel catalogo (Sagep) le architetture che caratterizzano sinagoghe e cimiteri «sono importanti perché hanno storie da raccontare», quelle di chi le ha usate, quelle dei fatti di cui furono teatro, quelle della loro funzione identitaria nello sviluppo delle città. Tra i protagonisti l’architetto vercellese Marco Treves, figura chiave dell’ebraismo postunitario, di cui in mostra è esposto il ritratto dipinto da Ercole Olivetti, che ristrutturò la sinagoga di Pisa e costruì quella di Firenze (in mostra c’è il modello ligneo eseguito da un intagliatore intorno al 1880), progettò sempre nel capoluogo toscano il cimitero israelitico. Altra figura chiave fu Elia Levi Deveali, ritratto da Francesco Mensi, che finanziò il Tempio di Alessandria e varie altre opere di pubblica utilità, esponente di una famiglia di dotti e rabbini da varie generazioni.
  Le architetture, non avendo un chiaro stile ebraico da esibire, pescano di volta in volta da motivi arabo-moreschi, come a Vercelli, oppure dalla tradizione egizia, siriana, persino assira. Nel disegno acquerellato della Sinagoga vecchia di Livorno, si scoprono la ricchezza decorativa che fonde il passato con le nuove teorie settecentesche dell’architettura; stesso interesse desta la litografia a colori di Heronymus Hess, viaggiatore che ritrae una delle cinque “schole” romane. Schola era il nome con cui si definiva la sinagoga, che non era soltanto un luogo di culto, ma anche di formazione e identità politica. All’interno, il centro del culto andava all’Arca lignea, l’Aron ha-Qodesh, dove venivano custoditi i rotoli del Pentateuco. In mostra quella particolarmente pregevole della Sinagoga di Vercelli. Treves aveva partecipato anche alla commissione per la realizzazione del Tempio torinese, che non avendo portato a un esito fattivo vide affidata la commissione del progetto ad Alessandro Antonelli, il quale avviò i lavori ma per mancanza di fondi dovette sospenderli finché il comune di Torino non acquistò l’edificio portandolo a termine. Numerosi altri sono i disegni di progetto per i templi a Milano (di Luca Beltrami), Roma, Trieste, Genova, Bologna, per Correggio e Reggio Emilia, Gorizia, Livorno. Ogni progetto risente delle qualità estetiche della tradizione artistica italiana, e viene anche in parte smontata l’idea che l’ebraismo conosca soltanto modelli astratti. Un esempio palmare di ciò sono i bozzetti molto belli di Emanuele Luzzati per le vetrate della Sinagoga di Geno.
Emanuele Luzzati, bozzetto per le vetrate della Sinagoga di Genova (1959 circa) - Meis Ferrara
Le testimonianze sui cimiteri segnano la seconda parte della mostra, a cominciare dal dipinto di Magnasco su un funerale ebraico. Di grande interesse l’acquaforte di Antonio Verico che riproduce a volo d’uccello il Cimitero nuovo di Livorno, smantellato a metà Ottocento perché troppo vicino alla città. Tra i documenti suggestivi esposti la lapide funeraria ebraica proveniente da Trieste, la Colonna in marmo rosa di Mantova, entrambe settecentesche, i disegni per i cimiteri di Milano, Roma, Napoli, Trieste, Firenze, il bellissimo seggio rabbinico per l’Edicola di Pisa di Mario Quadrelli del 1896. In questo spazio, quello funebre, tutto è più austero e più triste. E una questione interna alla psicologia dell’ebreo. Ancora Lazare scrive che «l’ebreo teme l’unico castigo che esista per lui: la cessazione della vita, che egli ama; non ci sarà mai in lui quell’anelito cristiano alla morte che nasce dall’orrore per la vita…». In realtà, sappiamo bene che Cristo è venuto a promettere la resurrezione della carne. E la carne è il centro della paura dell’ebreo che pensa la morte come negazione della vita e non spera nella resurrezione.

(Avvenire, 10 giugno 2023)

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Federalberghi, Touring club, Fiavet: «Turismo ebraico volano straordinario per la Calabria»

A scendere in campo sono i rappresentanti più autorevoli delle filiere turistiche calabresi che hanno sposato in pieno la causa di “Jewish Calabria”, percorso itinerante audiovisivo voluto da Calabria Film Commission e dalla Regione Calabria per promuovere i primati mondiali di questa Regione nel settore dei Beni culturali ebraici, patrocinato dall’Ucei (Unione delle comunità ebraiche italiane).
  Secondo Giuseppe Zampino, presidente Fiavet Calabria: «La prima cosa che dovrebbe fare la Regione è inserire nel portale istituzionale la pagina facebook Movimento giudecche di Calabria, che dovrebbe essere pubblicizzata e conosciuta in maniera strategica a tutto il mondo ebraico. Noi cercheremo in tutti i casi di dare il giusto apporto alla promozione turistica calabrese ma non soltanto in Calabria, in tutta Italia. Come agenzia di viaggi e tour operator abbiamo circa 1000/1200 agenzie con noi associate e a loro volta tantissimi clienti. Sicuramente daremo voce alla cultura ebraica così diffusa fra i nostri borghi affinché la Calabria possa essere esportata e allo stesso tempo importata da quel turismo ebraico che è un turismo attento, colto, sensibile».
  Stessi toni entusiastici per Domenico Cappellano, console regionale per la Calabria del Touring club italiano: «Il turismo ebraico di oggi è solo apparentemente di nicchia. In realtà offre potenzialità enormi: se si riesce a intercettare la grande massa di persone che professano da una parte la religione ebraica ma dall’altra sono interessate al messaggio di sincretismo culturale che esprime la nostra regione per venire a vedere luoghi importanti come Reggio Calabria, dove è stato stampato il primo Commentario al Pentateuco, la Sinagoga di Bova Marina e gli altri centri minori ove si trovano le testimonianze ebraiche, inneschiamo un movimento turistico di dimensioni infinite, autorevole, cosmopolita».
  Si dicono pronti anche gli albergatori, dalle parole di Fabrizio D’Agostino, presidente di Federalberghi Calabria: «I 20 milioni di ebrei che ci sono nel mondo si caratterizzano per una grande apertura mentale e culturale e cercano proprio questi posti che rappresentano la loro storia. E proprio per questo motivo noi chiediamo alla Regione Calabria di trasformare queste nicchie di turismo in una rete turistica, perché è proprio attraverso questa comunicazione di rete che poi consente a noi albergatori di elaborare un’offerta sensibile e attenta. Ormai è finito il mondo dell’albergo che riceveva la telefonata per la prenotazione alberghiera. Ormai comandano i nostri device, che sono i nostri cellulari che, secondo una statistica, tocchiamo ben 8000 volte al giorno. Dobbiamo agire a livello tecnologico per attrarre un turismo di livello».
  Intanto la Calabria debutta sulle testate israeliane con dei mini video redazionali rivolti ai cittadini dello Stato di Israele, oltre 10 milioni di persone. I mini “video content” raccontano a un target interessato alcune eccellenze della cultura ebraica calabrese. In primis Bova Marina, poi Santa Maria del Cedro e quindi Nicotera. A questi video seguirà un’attività di promozione che coinvolgerà le più importanti testate ebraiche israeliane e quelle ebraiche diffuse nei Paesi della diaspora ebraica in primis Inghilterra, Francia, Germania, Stati Uniti, Canada.

(Calabria.Live, 10 giugno 2023)

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Così Cia e Mossad liquidarono “l’uomo senza volto”

di Marco Pizzorno

Il 12 febbraio 2008 a Damasco il capo delle operazioni globali del gruppo terroristico libanese Hezbollah fu eliminato grazie ad un’operazione congiunta del Mossad e della Cia. Il suo nome era Imad Mughnieh, meglio conosciuto come “l’uomo senza volto”, in quanto si sottopose a ben due interventi chirurgici per nascondere la sua vera identità. Figlio di un ortolano libanese, così come lo descrivono le fonti aperte, si racconta che il terrorista abbia cominciato la sua carriera nell’agenzia di sicurezza di Yasser Arafat, denominata “Forza 17”.
  Assoldato come cecchino, fu inviato lungo la famosa “linea verde”, nota per essere il confine che divideva i quartieri cristiani da quelli musulmani di Beirut. Le sue abilità gli permisero di fare velocemente carriera, tanto da accendere l’attenzione della Cia, che dovette addirittura richiedere un’approvazione speciale dell’amministrazione del Presidente George W. Bush, per poter mettere fine alla sua vita.
  Il leader nascente degli Hezbollah, infatti, nel 1983, fu coinvolto in un attentato che colpì l’ambasciata degli Stati Uniti a Beirut. Inoltre, gli si attribuiscono l’uccisione dell’agente William F. Buckley, avvenuto nel 1995, oltre all’attentato alle Khobar Towers, in Arabia Saudita nel 1996.
  La questione Mughniyeh si rivelò non affatto facile per gli Usa, infatti vide coinvolte alte sfere di Washington, tra le quali il Procuratore generale degli Stati Uniti, il Direttore dell’intelligence nazionale, il Consigliere per la sicurezza nazionale e l’Ufficio del consulente legale del dipartimento di Giustizia, i quali dovettero lavorare a stretto gomito per poter autorizzare la sua eliminazione.
  Quest’operazione congiunta di Cia e Mossad è ricordata tra le più straordinarie missioni dei servizi segreti. Il Washington Post riferisce che il team della Central Intelligence Agency, di stanza in territorio siriano, dovette lavorare più del normale nella costruzione dell’ordigno, che fu poi utilizzato per portare a termine la missione. Il Times of Israel, inoltre, descrive che il lavoro dei servizi segreti fu preparato nei minimi dettagli, perché gli ordini erano quelli di evitare, al massimo, i danni collaterali alla comunità locale. Infatti la bomba fu testata per ben 25 volte, prima di essere utilizzata, affinché la sua detonazione potesse essere ben controllata.
  Dall’analisi delle risorse aperte, però, si evince un particolare rilevante, ovvero che a far detonare l’esplosione che uccise Mughniyeh fu il Mossad e non gli americani. Proprio per questo motivo il gruppo terroristico additò l’intelligence israeliana come unica colpevole dell’accaduto ed attuò, successivamente, una serie di attentati per ritorsione in Bulgaria, Thailandia, India e Georgia.

• Un’operazione di strategia per la deterrenza?
  Mughnieh è considerata, dalle letterature editoriali, la mente libanese responsabile di più morti americane di qualsiasi altro individuo prima dell’11 settembre. Per questo motivo la sua storia ora è divenuta una serie televisiva intitolata “Ghosts of Beirut“. Tale progetto è definito una rivisitazione drammatica degli eventi accaduti tra il Libano dei primi anni Ottanta e l’Iraq del 2007. Il copione si sviluppa tra investigazioni giornalistiche e rapporti proprio tra Cia e Mossad. Il fine è stato quello di produrre un thriller di spionaggio, che le risorse aperte dettagliano come: “romanzato con verità al centro”. Per questa produzione è stata richiesta la collaborazione di un veterano del Corpo dei Marines con circa 34 anni di servizio clandestino nell’intelligence.
Secondo quanto riportato su MilitaryTimes, l’obbiettivo del cast è stato quello di mettere in primo piano il concetto di “martirio”. I rapporti dei servizi segreti, infatti, indicano che gli attentati suicidi erano il “punto centrale” delle operazioni terroristiche di Mughnieh. Le analisi, invece, portano alla luce come probabili psy-operations degli Hezbollah, in collaborazione con l’Iran, siano riuscite a sviluppare l’ideologia dello shahīd all’interno di gruppi terroristici islamici, in quanto il suicidio è proibito dal Corano.
  Si apprende dal trailer che la struttura della serie ha il fine preciso di ripercorrere un arco temporale di ben 25 anni, attraverso i quali le agenzie d’intelligence raccontano l’assassinio del terrorista e l’introspezione tra gli agenti della Cia ed il resto della comunità dell’intelligence.
  Gli analisti, ora, riflettono sulla straordinaria strategia di deterrenza che questa serie TV possa sviluppare. Infatti, “Ghosts of Beirut”, ripercorre l’atrocità del combattente “senza volto”, attraverso una continua escalation situazionale della politica regionale. Proprio questo sta aprendo il dibattito tra gli addetti ai lavori, impegnati a dirimere la questione di quale impatto questa produzione potrà avere verso le grandi masse, nel descrivere l’ascesa, e soprattutto “la caduta”, di coloro che aspirano a diventare protagonisti del terrorismo moderno.

(Inside Over, 10 giugno 2023)

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Lo confermano in Sud Corea le autopsie: i vaccini Covid uccidono improvvisamente

Alcune morti improvvise sono causate dai vaccini COVID-19, confermano le autopsie

di Zachary Stieber

Otto persone che sono morte improvvisamente dopo aver ricevuto un vaccino COVID-19 contro l’RNA messaggero (mRNA) sono morte a causa di un tipo di infiammazione cardiaca indotta dal vaccino chiamata miocardite, hanno detto le autorità sudcoreane dopo aver esaminato le autopsie.
  “La miocardite correlata al vaccino era l’unica possibile causa di morte”, ha detto il dottor Kye Hun Kim del Chonnam National University Hospital e altri ricercatori sudcoreani.
  Tutte le morti cardiache improvvise (SCD) si sono verificate in persone di età pari o inferiore a 45 anni, tra cui un uomo di 33 anni che è morto solo un giorno dopo aver ricevuto una seconda dose del vaccino di Moderna e una donna di 30 anni che è morta tre giorni dopo aver ricevuto una prima dose del vaccino di Pfizer.
  La miocardite non è stata sospettata come diagnosi clinica o causa di morte prima delle autopsie, hanno detto i ricercatori.
  Altri tredici decessi sono stati registrati tra coloro che hanno avuto miocardite dopo la vaccinazione COVID-19, ma non sono stati dettagliati i risultati dell’autopsia. Alcuni di coloro che sono morti avevano ricevuto il vaccino COVID-19 di AstraZeneca.
  I risultati mostrano la necessità di “un attento monitoraggio o avvertimento della SCD come complicanza potenzialmente fatale della vaccinazione COVID-19, specialmente negli individui di età inferiore ai 45 anni con vaccinazione mRNA”, secondo i ricercatori, che hanno riportato i risultati in uno studio pubblicato dall’European Heart Journal il 2 giugno. Lo studio è stato finanziato dal governo sudcoreano.
  Il dottor Andrew Bostom, un professore di medicina in pensione negli Stati Uniti che non è stato coinvolto nella ricerca, ha detto che i risultati sottolineano perché imporre e promuovere i vaccini per i più giovani è sbagliato.
  “Queste sono persone che apparentemente non avevano bisogno del vaccino”, ha detto Bostom a The Epoch Times dopo aver esaminato il documento. “Questo è ciò che aggiunge la beffa al danno”.
  Pfizer, Moderna e la Food and Drug Administration degli Stati Uniti non hanno risposto alle richieste di commento.

• RARO, MA GRAVE IN UN QUINTO DEI CASI
  L’insorgenza complessiva di miocardite dopo la vaccinazione COVID-19 era rara, secondo lo studio, anche se uno dei suoi limiti è che il numero reale potrebbe essere più alto.
  Su 44,2 milioni di persone che hanno ricevuto almeno una dose dei vaccini Pfizer, Moderna, Johnson & Johnson o AstraZeneca tra il 26 febbraio 2021 e il 31 dicembre 2021, 1.533 casi di sospetta miocardite sono stati segnalati all’Agenzia coreana per il controllo e la prevenzione delle malattie. Di questi, un comitato di esperti ha confermato 480 casi di miocardite indotta da vaccino.
  I casi si sono verificati principalmente nei maschi e nelle persone sotto i 40 anni. Tutti tranne 18 sono stati causati da un vaccino mRNA.
  Il tasso complessivo è stato di un caso ogni 100.000 persone vaccinate. I tassi più alti erano nei 12-17 anni, con 3,7 casi per 100.000 e 5,2 casi per 100.000 maschi.
  I numeri non sono stati suddivisi per tipo di vaccino ed età, il che significa che i tassi sono stati diluiti perché includevano destinatari di vaccini non mRNA. L’esclusione di colpi non mRNA ha portato alla stima di tassi più elevati in altri luoghi, come 75,9 casi per un milione di seconde dosi di Pfizer nei maschi americani di 16 e 17 anni.
  Sia questi numeri che le cifre coreane sono inclini a sottostimare. In Corea, le autorità hanno automaticamente escluso qualsiasi caso di miocardite sviluppato 43 giorni o più dopo la vaccinazione, nonché tutti i casi che includevano un test COVID-19 positivo, nonostante alcuni esperti affermino che ci sono prove più forti per la miocardite causata dal vaccino rispetto all’infiammazione cardiaca indotta da COVID-19.
  “Abbiamo bambini che si presentano, giovani adulti che si presentano con dolore al petto, e la maggior parte di loro finisce in ospedale per 24, 48, 72 ore e torna a casa. Ma ci mancano le persone che stanno morendo prima di arrivare in ospedale?” Il dottor Anish Koka, un cardiologo americano, ha detto a The Epoch Times dopo aver esaminato lo studio.
  “Ora, solo perché viviamo nel mondo reale e non vediamo valanghe di bambini morire, sappiamo che è un segnale raro, ma quanto è raro? Sta succedendo?” ha aggiunto. “Il nuovo studio mostra chiaramente che sta accadendo. Senza dubbio abbiamo avuto morti negli Stati Uniti post-vaccino che non sono state attribuite correttamente”.
  La miocardite è un noto effetto collaterale dei vaccini mRNA COVID-19 e può causare la morte, secondo precedenti ricerche e medici legali. I sintomi includevano dolore toracico, disturbi del sonno e febbre. Mentre molte persone che soffrono di miocardite dopo la vaccinazione vengono dimesse dall’ospedale entro un giorno o due, possono ancora soffrire di problemi a lungo termine.
  Il nuovo studio ha classificato 1 su 5 casi di miocardite indotta da vaccino come gravi. Questi casi riguardavano uno o più dei seguenti: ricovero in unità di terapia intensiva, miocardite fulminante, uso di ossigenazione extracorporea a membrana, trapianto di cuore e morte.
  “Un quinto dei casi è stato determinato per essere grave”, ha detto Bostom. “È inquietante”.

• SISTEMA DI REPORTING
  Il governo della Corea del Sud ha istituito un sistema di segnalazione per tutti gli eventi avversi a seguito della vaccinazione prima che i vaccini COVID-19 fossero lanciati, legandolo a un sistema di compensazione nazionale che paga le spese mediche relative agli eventi avversi.
  Il sistema fornisce anche un risarcimento alle persone che non possono stabilire la causalità di un vaccino, ma forniscono prove come l’associazione temporale o l’evento che si verifica subito dopo la vaccinazione. Le autorità concedono denaro anche alle persone che soffrono di effetti lievi.
  Più di 20.000 persone sono state risarcite attraverso il programma a partire da agosto 2022.
  Al contrario, il sistema negli Stati Uniti ha risarcito solo quattro persone a partire dal 1 ° maggio e ha respinto un numero i cui medici hanno diagnosticato loro lesioni da vaccino.
  Entrambi i paesi richiedono agli operatori sanitari di segnalare determinati eventi dopo la vaccinazione, come la miocardite, anche se non tutti i casi sono stati segnalati, almeno negli Stati Uniti.
  I funzionari statunitensi hanno esaminato le autopsie fatte su persone morte dopo aver ricevuto vaccini COVID-19, ma si sono rifiutati di rilasciarli. In un aggiornamento di febbraio, i funzionari hanno detto che avrebbero fornito alcune informazioni dai rapporti dell’autopsia, ma fino ad oggi non lo hanno fatto.

(spazio radio, 10 giugno 2023)

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Netanyahu: 'La normalizzazione delle relazioni con l'Arabia Saudita sarebbe un salto di qualità storico'

TEL AVIV - Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che un'eventuale normalizzazione delle relazioni con l'Arabia Saudita sarebbe un "salto di qualità storico"." L'Arabia Saudita è il Paese arabo più influente al mondo, non solo nel mondo arabo ma anche, credo, nel mondo musulmano", ha detto il premier, parlando a Sky News e sottolineando come le piene relazioni tra i due Paesi "potrebbero aiutarci a porre fine al conflitto israelo-palestinese".
  Da parte sua, il ministro degli Esteri saudita Faisal bin Farhan, parlando ieri nell'ambito della visita del segretario di Stato americano Antony Blinken, aveva fatto notare che proprio lo storico conflitto tra israeliani e palestinesi potrebbe limitare un riavvicinamento tra Riad, convinto sostenitore della costituzione dello Stato palestinese, e Tel Aviv.
  "Dobbiamo trovare una via per la pace attraverso una soluzione a due Stati. Senza la pace per il popolo palestinese, senza affrontare questa sfida, qualsiasi normalizzazione delle relazioni con Israele avrà benefici limitati", ha commentato Bin Farhan prima di aggiungere che gli Stati Uniti , grande alleato di Israele, "condividono una posizione simile sulla vicenda".

(Adnkronos, 9 giugno 2023)

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Gerusalemme apre il nuovo museo della Torre di David

Esperienza immersiva e interattività dopo tre anni di lavori

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MILANO – Un’esperienza totalmente immersiva e interattiva per addentrarsi nell’antica Gerusalemme. Dopo oltre un decennio di progettazione e tre anni di costruzione con un team multidisciplinare di archeologi, architetti, curatori, ricercatori, designer e creativi, ha aperto al pubblico il nuovo Museo della Torre di Davide di Gerusalemme nell’antica cittadella che per la prima volta nella sua storia è ora accessibile.
  L’antica cittadella della Torre di Davide, simbolo di Gerusalemme, situata tra la città vecchia e quella nuova, si trova in una posizione unica per raccontare la storia di una città unica al mondo. Con il suo nuovo percorso di visita – dal padiglione d’ingresso incassato della Porta di Giaffa, passando per le gallerie e il punto di osservazione della Torre Phasael, fino all’uscita nella Città Vecchia – il Museo della Torre di Davide di Gerusalemme diventa il perfetto punto di accesso per andare alla scoperta di Gerusalemme.
  La storia di Gerusalemme – di circa 4000 anni – e l’importanza della città per le tre maggiori religioni monoteiste sono raccontate attraverso diverse modalità interattive che rendono il visitatore partecipe del passato della città. Le 10 gallerie tematiche, completamente nuove, si trovano nascoste nelle antiche guardiole della struttura che circondano il cortile esterno, pieno di reperti archeologici risalenti a 2800 anni fa.
  Artefatti e modelli originali sono affiancati da esposizioni multimediali innovative e stimolanti. Il risultato è un’esperienza sensoriale che incoraggia il coinvolgimento attivo e permette ai visitatori di esplorare la storia di Gerusalemme in modo dinamico, stimolante e divertente.
  La parete multimediale interattiva di 12 metri, Sands of Time, che percorre tutta la galleria di ingresso, permette ai visitatori di scoprire autonomamente i 4000 anni di storia di Gerusalemme con un semplice tocco. Altri elementi di spicco sono l’animazione delle mappe del Medioevo, la scansione 3D di una veduta a volo d’uccello di un modello di Gerusalemme del XIX secolo, la proiezione interattiva su una cartina a mosaico, una copia della famosa mappa di Madaba e una sfera interattiva del mondo che, con un semplice tocco, misura la distanza tra diverse città del mondo e Gerusalemme.
  “Nessun altro museo può raccontare la storia di Gerusalemme in un ambiente così particolare, all’interno di questa cittadella, che è stata testimone di così tanti periodi significativi del passato della città – ha sottolineato Eilat Lieber, direttore e capo curatore del museo – Oltre alla conservazione delle mura e delle torri di questo antico sito, abbiamo sviluppato una mostra permanente del tutto inedita e una programmazione creativa che racconta la lunga, dinamica e complessa storia di Gerusalemme in maniera rispettosa, innovativa e coinvolgente”.

(MAGAZINE, 9 giugno 2023)

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Roma ebraica, la leadership che verrà

di Ariela Piattelli

Il 18 giugno gli ebrei di Roma andranno alle urne per scegliere chi guiderà la Comunità per i prossimi anni. Nei programmi delle tre liste di candidati che si propongono agli elettori come leader della collettività ci sono temi e valori importanti che attraversano e ricorrono in modo trasversale i progetti avanzati. Il miglioramento della scuola, il rafforzamento dei servizi, una buona amministrazione, il sostegno alle fasce più deboli, l’inclusione, il rapporto con le altre istituzioni, l’amore profuso per la collettività ebraica e per lo Stato d’Israele.
  Sono però le visioni differenti dei singoli gruppi a costituire le diverse identità delle liste e sta all’elettore comprendere quale tra queste visioni possa rappresentare un modello di gestione per affrontare le sfide che verranno. Alcune tra queste le conosciamo, ma, come ci ha insegnato la dura lezione della pandemia, non possiamo immaginare cosa c’è all’orizzonte e viviamo sempre in “un’epoca di grandi incertezze”. Le voci che abbiamo ascoltato in questo numero di Shalom Magazine spiegano che una leadership dell’ebraismo, assieme a tutte le qualità e i valori di cui è portatrice, deve essere preparata all’emergenza, saper scegliere in situazioni estreme e prendere decisioni non sempre popolari, dialogando con interlocutori talvolta difficili. Di esempi ne abbiamo, anche nella nostra storia recente. Sono proprio queste capacità gli indicatori che rivelano la misura e la tenuta di una leadership.
  Il periodo della campagna elettorale è sempre stato per la Comunità Ebraica di Roma un momento di grande confronto sui diversi temi e di ascolto per interpretare le necessità degli elettori. Si tratta di un lavoro necessario, ma che deve saper raccontare sempre le differenti visioni.
  Non conosciamo le sfide del futuro, ma possiamo decidere adesso quale è per ognuno di noi la visione che meglio può interpretare la nostra identità perché è la leadership, sia religiosa sia politica, che ha garantito oltre la sopravvivenza del nostro popolo per millenni, la partecipazione e il confronto con il mondo che ci circonda. In questo numero di Shalom Magazine il lettore troverà tutte le indicazioni e gli strumenti per il voto di domenica 18 giugno. Il nostro invito è di andare a votare, perché soltanto alle urne possiamo contribuire e scrivere il futuro della nostra Comunità e a delineare il nuovo volto della leadership che verrà.

(Shalom, 9 giugno 2023)

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Ritrovati in Israele misteriosi flauti in osso risalenti a 12mila anni fa

Ossa perforate trovate in Israele, potrebbero essere i più antichi strumenti a fiato della regione. I ricercatori suggeriscono che questi piccoli flauti potrebbero essere stati utilizzati per suonare musica, richiamare gli uccelli (in particolare i falchi) o comunicare a distanze brevi. Gli strumenti sono stati scoperti in un sito lacustre chiamato Eynan-Mallaha, che era abitato dai cacciatori-raccoglitori fino a circa 12.000 anni fa. I flauti, realizzati dalle ossa delle ali degli uccelli acquatici locali, mostrano segni di lavorazione umana e potrebbero essere stati utilizzati anche durante la caccia. Sebbene siano gli strumenti a fiato più antichi del Medio Oriente, in Germania sono stati trovati strumenti ancora più antichi fatti di osso e avorio.

(La Stampa, 9 giugno 2023)

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Il nuovo prefetto di Roma Lamberto Giannini in visita in comunità

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Il nuovo prefetto di Roma Lamberto Giannini è stato ricevuto presso la Comunità Ebraica di Roma per una visita di cortesia a pochi giorni dalla sua nuova nomina come prefetto della Capitale.
  Nell’occasione, Giannini ha incontrato il Rabbino Capo Riccardo Di Segni, la Presidente della Comunità Ruth Dureghello e altri componenti della Giunta.
  L’incontro ha sottolineato il rapporto ormai consolidato della Comunità Ebraica romana con le istituzioni cittadine e con le forze dell’ordine.
  Lo stesso Giannini ha evidenziato una volta di più il suo legame con il mondo ebraico: negli anni in cui è stato a capo della polizia, infatti, si è impegnato contro l’antisemitismo, ricevendo anche, a novembre 2021, il riconoscimento del King David Award dalla European Jewish Association, per il lavoro svolto con le forze dell’ordine a difesa dei luoghi ebraici in tutta Italia, oltre che nella lotta all’estremismo.
  Giannini è entrato in servizio nella Polizia di Stato nel 1989; nel 2021 è stato nominato al vertice della Polizia di Stato. Ricopre ufficialmente il ruolo di Prefetto della Capitale dall’11 maggio scorso.

(Shalom, 9 giugno 2023)

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Parashà di Beha’alotekhà: Quali sono i momenti di crisi?

di Donato Grosser

Questa parashà descrive la mitzvà data a Moshè di fabbricare due trombe d’argento. Lo scopo delle trombe era molteplice. Il primo motivo per dover disporre di due trombe d’argento è spiegato all’inizio del decimo capitolo dove è scritto: “L’Eterno parlò ancora a Moshè, dicendo: Fatti due trombe d’argento; le farai d’argento battuto; ti serviranno per convocare la comunità e per far partire gli accampamenti” (Bemidbàr, 10: 1-2). Più avanti viene introdotto un secondo motivo per le trombe: “Quando nel vostro paese andrete alla guerra contro il nemico che vi attaccherà, suonerete a lunghi e forti squilli con le trombe, e sarete ricordati dinanzi all’Eterno, al vostro Dio, e sarete salvati dai vostri nemici” (ibid., 9).
  Qual era lo scopo di suonare le trombe in caso di guerra? L’autore catalano del Sèfer Ha-Chinùkh (XIII sec.) scrive che nei momenti di crisi (et tzarà) il suono delle trombe serve a concentrarsi nel supplicare l’aiuto divino.
  R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (p. 72), scrive che  riguardo alla tefillà (preghiera) nei momenti di crisi vi è una differenza di opinione tra i nostri grandi maestri. La differenza consiste nel definire l’espressione “et tzarà”.
  Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) afferma che la tefillà  giornaliera è una mitzvà comandata dalla Torà. 
  Il Nachmanide (Girona, 1194-1270, Acco) afferma invece che l’obbligo di dire la tefillà ogni giorno è di origine rabbinica. È comandato dalla Torà solo nei momenti di crisi, come si impara da questa parashà.            
  R. Soloveitchik afferma che il Maimonide e il Nachmanide concordano che la tefillà ha significato solo se deriva da una senso di crisi (tzarà). Il Maimonide considerava la vita di ogni giorno una tzarà. Questa tzarà porta una persona sensibile ad avere un “feeling” di disperazione, a un cupo senso di mancanza di significato nella vita, di assurdità e di mancanza di tranquillità. La parola tzarà ha un significato che va al di là delle preoccupazioni che vengono dal di fuori. Questa parola suggerisce una condizione emozionale  e intellettuale nella quale l’essere umano vede sé stesso intrappolato in un universo vasto, desolato e senza speranza. Mentre il Nachmanide tratta solo di crisi esterne e di tzarà collettiva, il Maimonide considera tutta la vita una tzarà personale. La tzarà del Nachmanide è una crisi esterna che non dipende dall’essere umano. Emerge dall’ambiente esterno e solitamente appare all’improvviso. La situazione critica è visibile; la sentiamo e la soffriamo ansiosamente. Non è necessario essere introspettivi  per percepire questo tipo di crisi. Anche la persona più semplice la percepisce, sia essa causata dalla povertà, da malattie, da fame, da guerra o dalla morte. La profonda tzarà di cui tratta il Maimonide è chiaramente una situazione senza una soluzione. È una realtà esistenziale, una condizione dell’esistenza umana. 
  Un simile messaggio viene da ‘Olàt Reayà (p.13) l’opera che contiene gli insegnamenti di rav Avraham Yitzchak Kook (Griva-Lettonia, 1865-1935, Gerusalemme) sulla tefillà: “Per noi e per tutto il mondo, la tefillà è una totale necessità [...]. Desideriamo da noi stessi e dal mondo una perfezione che la ristretta realtà non ci può dare. E per questo ci troviamo in una grande crisi (tzarà ghedolà), la cui sofferenza ci può far perdere la testa e perdere l’attaccamento al Creatore. Ma prima che questo ostacolo possa concretizzarsi in noi, abbiamo la tefillà. In essa noi versiamo le nostre parole e ci eleviamo verso un mondo di una realtà perfetta. Così il nostro mondo interiore diventa anch’esso perfetto e troviamo la tranquillità”.

(Shalom, 9 giugno 2023)
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Parashà della settimana: Beha'alotecha (Far salire)

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Israele: primo test di ‘taxi volanti’ autonomi

di Jacqueline Sermoneta

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In arrivo una vera e propria rivoluzione nel trasporto aereo e nella mobilità urbana. È il taxi volante senza pilota. A tal scopo undici aziende, nell’ambito dell’Israel National Drone Iniziative – una partnership tra enti governativi e autorità per l’aviazione civile del Paese – hanno effettuato i primi test necessari per la messa a punto dei nuovi velivoli elettrici a decollo e atterraggio verticali ad uso autonomo (gli eVTOL, acronimo di electric vertical take-off and landing aircraft).
  "Il velivolo in fase di prova sarà in grado di evitare gli ingorghi stradali e decongestionare il trasporto, seguendo allo stesso tempo i sistemi di gestione del traffico aereo"ha affermato Orly Stern, Ceo delle Autostrade di Ayalon.
  L'obiettivo non è solo agevolare le aree molto trafficate, ma anche trasportare merci, fornendo servizi commerciali e pubblici in modo più efficiente, allo scopo di portare alle aziende israeliane un vantaggio competitivo globale.
  "Il progetto di collaborazione – ha detto Il ministro dei Trasporti Miri Regev – esamina tutti gli aspetti, inclusa la regolamentazione coinvolta nell'operazione commerciale dei droni, come strumento aggiuntivo per affrontare il traffico”.
  “Per noi è un mondo nuovo, appassionante e stimolante, con possibilità illimitate. - ha aggiunto Regev - Faremo di tutto affinché Israele continui a essere in prima linea nella ricerca e nello sviluppo mondiale su terra, aria e mare".
  Tra i veicoli aerei testati c'è Air Zero, progettato e prodotto in Israele, che può ospitare fino a due passeggeri, trasportare un carico massimo di 220 kg fino a una distanza di 160 Km.
  L’azienda Dronery Fly, filiale di Cando Drones, ha testato il velivolo EH216-S di Ehang,di produzione cinese, partito dalla piattaforma di Pal-Yam a Cesarea, che può trasportare due passeggeri, un carico di 220 kg, con un’autonomia di 35 km.
  Cando Drones ha condotto voli di consegna, voli notturni nella fascia costiera di Hadera in collaborazione con il comune e attività di monitoraggio del traffico.
  Finora Down Wind ha condotto il volo più lungo dell'iniziativa, aprendo una traiettoria di volo tra l'Hillel YaffeMedical Center e il Rambam Medical Center.
  Nei prossimi due anni, le aziende partecipanti all'iniziativa effettueranno voli di prova in tutto il Paese per una settimana al mese. I test si svolgeranno in uno spazio aereo controllato, copriranno distanze fino a 150 chilometri e trasporteranno carichi più pesanti. Le autostrade di Ayalon continueranno a fungere da sito pilota per il loro svolgimento.

(Shalom, 8 giugno 2023)

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«Cari amici di Israele»

Editoriale di "Nachrichten aus Israel"

di Fredi Winkler

In relazione alla prevista riforma giudiziaria in Israele, ci si dovrebbe innanzitutto chiedere: perché Israele non ha ancora una Legge fondamentale dopo 75 anni di esistenza dello Stato?
  In realtà, ogni Stato che fa parte dell'Organizzazione delle Nazioni Unite deve avere una Legge fondamentale. Anche Israele aveva promesso di redigere successivamente una Legge fondamentale dello Stato. Ma questo non è ancora avvenuto. Con la fondazione dello Stato è scoppiata la Guerra d'Indipendenza e la giovane nazione aveva altre preoccupazioni più importanti. Finita la guerra, è iniziata una grande ondata di immigrazione e Israele ha avuto di nuovo altre preoccupazioni più importanti.
  Poi, quando i problemi iniziali più essenziali erano stati risolti e si sarebbe potuto passare ai problemi amministrativi, iniziò la resistenza degli Stati arabi confinanti, che portò alla Guerra dei Sei Giorni e poi alla Guerra dello Yom Kippur. Dopo la guerra dello Yom Kippur, l'opposizione andò al potere per la prima volta. Israele continuò a essere preoccupato da problemi esistenziali, e la questione della Legge fondamentale fu nuovamente rimandata.
  Nel frattempo, però, la necessità di una Legge fondamentale è diventata sempre più urgente perché a causa di questa carenza la Corte Suprema aveva acquisito un potere eccessivo per i gusti di molti. Inoltre, il parlamento israeliano si basa su un sistema "unicamerale" e quindi non ha un vero strumento di controllo. La grande domanda ora è: come dovrebbe essere la Legge fondamentale dell'unico Stato ebraico al mondo? Dovrebbe essere simile a quella della maggior parte degli Stati del mondo o dovrebbe essere diversa?
  C'è chi pensa: Abbiamo una legge fondamentale, la "Torah", quella che Dio ha decretato per il popolo di Israele attraverso Mosè. Una futura legge fondamentale per Israele dovrebbe quindi basarsi principalmente sulla Torah?
  Nella Torah ci sono comandamenti difficili da adattare ai nostri tempi, come il sabato o l'anno giubilare. Su questi comandamenti le opinioni sono molto diverse e sarà difficile trovare un consenso. Inoltre, bisogna considerare che il 20% della popolazione non è ebrea e che anche gran parte della popolazione ebraica non osserva le norme e i regolamenti religiosi. Inoltre, il governo di Israele è criticato e ammonito da molti Stati a causa della riforma giudiziaria, anche dai suoi migliori amici come gli Stati Uniti.
  Probabilmente le cose continueranno come prima, cioè che questioni più urgenti e problemi più attuali continueranno a mettere in "secondo piano" la questione della Legge fondamentale.
  Di recente, il Ministro degli Esteri iraniano si è recato in Libano per visitare gli alleati, ovvero Hezbollah. In occasione della visita, ha colto l'occasione per guardare oltre il confine con Israele. Ha detto che lo Stato ebraico - a causa di tutto ciò che sta accadendo in Israele in questo momento - ha iniziato a disintegrarsi dall'interno. La fine dello Stato sionista è vicina, ha detto.
  Queste osservazioni devono essere prese sul serio da Israele, perché mostrano come i nemici esterni valutano e giudicano i problemi interni del Paese. Infatti, la maggior parte degli ex capi di stato maggiore e anche dei capi dell'intelligence mettono in guardia contro la riforma giudiziaria prevista, perché ha il potenziale di dividere il popolo e indebolire la volontà di Israele di difendersi. Ma possiamo essere certi che Dio tiene gli occhi aperti su quanto sta accadendo, perché dietro a tutto ciò che sta accadendo a Israele c'è il piano di Dio per il ritorno del Messia Gesù.

(Nachrichten aus Israel, giugno 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Il presidente della Liguria incontra l’ambasciatore israeliano in Italia Alon Bar

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GENOVA - Il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti ha ricevuto e incontrato l’ambasciatore di Israele in Italia Alon Bar, a cui ha donato la bandiera ufficiale di Regione Liguria.
  Al centro dell’incontro la cooperazione e i solidi e storici rapporti di amicizia e vicinanza tra Liguria e Israele, i temi della portualità e degli scambi commerciali tra realtà affacciate sul Mediterraneo, quelli dell’innovazione, dell’high tech e della cyber security, su cui Liguria e Israele hanno forti affinità.
  Oltre a questo la Liguria è stata la prima Regione italiana ad approvare un ordine del giorno in Consiglio regionale per chiedere l’adozione, da parte dell’Italia, della definizione operativa di antisemitismo sancita dall’Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto.

(Genova24, 8 giugno 2023)


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Il nuovo ambasciatore israeliano Alon Bar a Savona

Prima tappa in tribunale poi il saluto in Provincia

di Elena Romanato

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Si è presentato alla comunità Savonese, questa mattina, il nuovo ambasciatore di Israele in Italia Alon Bar. Dopo il saluto e l'intervento a Palazzo di giustizia, a Savona, l'ambasciatore Bar è andato in Provincia dove, nella sala consiliare di Palazzo Nervi ha rivolto i suoi saluti ai rappresentanti delle istituzioni ed enti locali del territorio. Tra i presenti il presidente della Provincia Pierangelo Olivieri e il consigliere regionale Angelo Vaccarezza.
  “Ringrazio gli amici dell'associazione Italia Israele  di Savona e la sua presidente Cristina Franco per l'impegno profuso in questi ultimi anni – ha detto l'ambasciatore Bar - per la conoscenza  e l'adozione del concetto di antisemitismo nelle principali istituzioni locali e nazionali”.
  Poi il riferimento ai buoni rapporti tra Italia e Israele, e l'importanza della cooperazione tra i due paesi nei temi di sicurezza, lotta al terrorismo, energia, ma anche turismo e cultura.
  “Affrontare in modo congiunto queste sfide – ha proseguito Alon Bar - sarà a beneficio di entrambi. E' importante non solo la collaborazione a livello nazionale ma anche regionale e locale. Ed è importante coltivare i rapporti di amicizia tra nazioni”.
  Il consigliere regionale Angelo Vaccarezza ha poi ricordato la poesia attribuita a Bertold Brecht ma in realtà parte di un sermone del pastore Niemoller per rimproverare l'inattività degli intellettuali tedeschi dopo l'ascesa al potere dei nazisti e sull'indifferenza per quanto succede al prossimo. “Siamo sicuri - ha detto Vaccarezza, che è anche presidente onorario dell'associazione - che noi non ci troviamo in questa situazione?”.
  Dopo l'intervento dell'ambasciatore Bar e delle istituzioni c'è stato un rinfresco a base di piatti israeliani preparati e serviti dagli studenti dell'istituto alberghiero  Migliorni di Finale Ligure ai quali l'ambasciatore israeliano fatto i suoi saluti e auguri per il loro futuro scolastico e professionale.
  Nella mattinata l'ambasciatore aveva già avuto modo di incontrare il presidente della Regione Giovanni Toti, il quale gli ha donato la bandiera ufficiale regionale.
  Al centro dell’incontro la cooperazione e i solidi e storici rapporti di amicizia e vicinanza tra Liguria e Israele, i temi della portualità e degli scambi commerciali tra realtà affacciate sul Mediterraneo, quelli dell’innovazione, dell’high tech e della cyber security, su cui Liguria e Israele hanno forti affinità.
  Oltre a questo va ricordato come la Liguria sia stata la prima regione italiana ad approvare un ordine del giorno in Consiglio Regionale per chiedere l'adozione, da parte dell'Italia, della definizione operativa di antisemitismo sancita dall'Alleanza Internazionale per la Memoria dell'Olocausto.

(Savona News, 8 giugno 2023)

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Finalmente dopo 23 anni vede la luce

Itsik Manger, "Le meravigliose avventure di Shmuel-Abe Abervo", ed. Belforte, 2003

di Barbara Mella

Finalmente, dopo 23 anni, vede la luce questo gioiello della letteratura yiddish, tradotto da Sigrid Sohn e da me: tanti ne sono occorsi prima di riuscire a trovare un editore.
Di che cosa si tratta, è presto detto: i bambini, come tutti sappiamo, prima di nascere sono degli angioletti e stanno in Paradiso. Quando arriva il momento di nascere, un angelo specificamente addetto a questo compito porta l’angioletto al confine fra il Paradiso e la terra, gli taglia le ali e gli dà un buffetto sul naso, e poi lo spedisce giù. La funzione del buffetto è quella di fargli dimenticare tutto ciò che ha visto, imparato e vissuto in Paradiso (è per questo che i bambini, quando nascono, non sanno niente e non sanno fare niente). Il nostro Shmuel-Abe, però, voce narrante e protagonista di questa storia, con uno stratagemma riesce a evitare il buffetto, e di conseguenza arriva giù con tutti i ricordi intatti, che provvede a raccontare. E così incontriamo angeli e gente comune, i santi Patriarchi coi loro difetti e le loro debolezze (santi sì, ma pur sempre uomini), ricchi e poveri, gente per bene e gente per male, sfruttati e sfruttatori (sì: il Paradiso, almeno per il momento, non è un Paradiso per tutti), re Davide che ancora non ha perso il vizio di correre dietro a tutte le donne che gli capitano a tiro… Un Paradiso, insomma, che non assomiglia per niente a quello che noi “conosciamo”, e non è facile credere a questo Paradiso che assomiglia molto più a uno stetl dell’Europa orientale che al luogo di beatitudine che aspetta i giusti dopo la morte; d’altra parte non possiamo dimenticare che noi, il “nostro” paradiso, lo immaginiamo, mentre lui ci è vissuto: perché dovremmo dunque credere più al nostro che al suo?
C’è un po’ di tutto, in questo libro: un vivo affresco della vita – molto spesso dura e piena di ingiustizie – dei villaggi ebraici dell’Europa orientale, denuncia sociale, poesie (Manger era soprattutto poeta, e anche in questo romanzo ci sono numerose poesie – e posso dire, con orgoglio, che la loro resa con metro, rime, e contenuto perfettamente fedele al testo originale, è interamente opera mia), e un infinito amore per quel mondo perduto tra le ceneri di Auschwitz.

(ilblogdibarbara, 8 giugno 2023)

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Direttore delle testate editoriali, il bando UCEI

Dopo le dimissioni del precedente direttore Guido Vitale

L’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha lanciato un bando, con scadenza al 16 giugno per la presentazione delle candidature, dedicato alla ricerca e selezione di un direttore per le testate editoriali UCEI. La figura ricercata, si annuncia, “ha una solida e comprovata esperienza nel campo del giornalismo e delle pubblicazioni editoriali, unita a una profonda conoscenza della cultura ebraica”. E ricoprirà “il ruolo di responsabile diretto della pianificazione e del coordinamento della comunicazione editoriale dell’Ente UCEI, nonché della gestione delle testate giornalistiche dell’Ente, inclusi notiziari, riviste e pubblicazioni online; avrà inoltre il compito di organizzare e garantire i servizi di rassegna stampa dei quotidiani e quelli dell’Ufficio Stampa UCEI”. Tra i compiti e responsabilità che vengono esplicitati:
  1. Definizione della strategia editoriale: sviluppare un piano strategico per le testate editoriali e giornalistiche dell’UCEI, stabilendo obiettivi e percorsi editoriali coerenti con la missione dell’Ente editore, sulla base delle linee guida da questo definite.
  2. Supervisione delle operazioni giornalistiche: assicurarsi che le pubblicazioni siano prodotte in modo tempestivo, accurato e rispettoso degli standard etici del giornalismo; supervisione delle attività di redazione, impaginazione, revisione e pubblicazione.
  3. Supervisione dei processi relativi alla stampa e alla distribuzione del giornale stampato; strategie degli abbonamenti.
  4. Gestione delle risorse umane: coordinare il personale contrattualizzato e i collaboratori volontari delle testate editoriali e giornalistiche, assegnando compiti, fornendo orientamenti, supervisionando il lavoro e valutando le prestazioni.
  5. Responsabilità del budget, delle risorse finanziarie e degli investimenti assegnati per garantire un’efficace operatività.
  6. Sviluppo delle relazioni con le testate giornalistiche, con i media nazionali, internazionali, comunitari e con altri partner chiave nel settore editoriale e giornalistico, assicurando sinergie e valorizzazione dell’apporto della comunicazione istituzionale UCEI al panorama italiano e internazionale.
  7. Raccordo interno: pianificare e svolgere l’attività sulla base di un efficace raccordo con la Presidenza, la Giunta e l’Assessorato alla Comunicazione dell’UCEI, sulla base di un approccio di reciproca consultazione e di valutazione dei percorsi intrapresi; raccordo con tutte le funzioni di comunicazione interna dell’Ente e con altri presidi e servizi di comunicazione esterna dedicati, favorendo sinergie e collaborazione con tutti gli uffici e le aree operative dell’Ente.
  8. Innovazione e adattamento: curare l’aggiornamento sulle tendenze nel campo dei media, esplorare nuovi formati e strategie di pubblicazione, adottare tecnologie innovative, implementare pratiche avanzate per migliorare la qualità e la rilevanza delle pubblicazioni”.
Il Bando

(moked, 6 giugno 2023)

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Ocse: “Israele ha un’economia solida, ma le tensioni politiche sono un rischio”

L’economia israeliana è destinata a crescere, ma a un ritmo ridotto quest’anno e il prossimo rispetto alle previsioni. A segnalarlo, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) nel suo report dedicato a dare un quadro della situazione globale e dei diversi paesi che ne fanno parte. In particolare si parla di una revisione al ribasso sul PIL che passa da una crescita del 3 per cento previsto per il 2023 al 2,9 e dal 3,4 al 3,3 nel 2024. Dati che testimoniano come Israele rappresenti una delle realtà più solide dell’Ocse, ma, evidenziano gli esperti dell’organizzazione, come allo stesso tempo il governo non possa sottovalutare alcune criticità.
  “L’intensificarsi degli incidenti di sicurezza e le continue tensioni politiche sulla riforma giudiziaria potrebbero aumentare la percezione del rischio, portare a un inasprimento delle condizioni finanziarie e pesare sul clima di fiducia delle imprese e sugli investimenti”, si legge ad esempio nel rapporto pubblicato in concomitanza con la visita a Parigi del ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich. Una presenza dovuta alla riunione del Consiglio dei ministri dell’Ocse. “Ringrazio l’organizzazione per la previsione di crescita positiva che ci è stata fornita. Non ho dubbi – il commento di Smotrich sul report – che la forza economica e la stabilità di Israele nelle acque turbolente dell’economia internazionale siano un’ancora significativa per il paese e per il mondo”.
  Rispetto agli avvertimenti sugli investimenti, gli esperti dell’Ocse rilevano come “la fiducia delle imprese si è indebolita, ma rimane positiva”, dall’altra parte “la raccolta di capitali da parte delle imprese high-tech è diminuita notevolmente rispetto ai livelli elevati del 2021 e dell’inizio del 2022”.
  Nelle sue raccomandazioni, il rapporto dell’OCSE dedica ampio spazio alle sfide demografiche di Israele. “Affrontare le sfide demografiche, legate alla quota crescente di gruppi di popolazione con un debole attaccamento al mercato del lavoro, è fondamentale per mantenere la crescita futura e la sostenibilità fiscale. Ciò richiederà la definizione di adeguati incentivi al lavoro, un migliore sostegno ai genitori che lavorano, anche attraverso l’espansione delle strutture di assistenza all’infanzia nelle aree poco servite, il miglioramento delle competenze in tutte le fasi del ciclo di apprendimento e la facilitazione della mobilità verso posti di lavoro e aziende ad alta produttività”.
  Tra i temi ovviamente quello dell’inflazione, che rappresenta una sfida globale. La Banca centrale del paese ha continuano in questi mesi a ritoccare verso l’alto il tasso d’interesse di riferimento (attualmente al 4,75 per cento) proprio come strategia per contenere l’inflazione. L’obiettivo è portarla al di sotto del 3 per cento, mentre negli ultimi mesi continua ad aggirarsi attorno al 5. “L’inflazione elevata peserà sulla crescita dei consumi privati e le esportazioni saranno frenate dalla moderata crescita della domanda dei partner commerciali”, la valutazione dell’Ocse. “Il mercato del lavoro si raffredderà leggermente con la moderazione della crescita”.
  Nelle sue raccomandazioni, il rapporto dedica poi ampio spazio al tema demografica israeliano. “Affrontare le sfide demografiche, legate alla quota crescente di gruppi di popolazione con un debole attaccamento al mercato del lavoro, è fondamentale per mantenere la crescita futura e la sostenibilità fiscale. Ciò richiederà la definizione di adeguati incentivi al lavoro, un migliore sostegno ai genitori che lavorano, anche attraverso l’espansione delle strutture di assistenza all’infanzia nelle aree poco servite, il miglioramento delle competenze in tutte le fasi del ciclo di apprendimento e la facilitazione della mobilità verso posti di lavoro e aziende ad alta produttività”.

(moked, 7 giugno 2023)

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Gli ebrei di Libia e il tema della cittadinanza, una questione ancora aperta

di Luca Spizzichino

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In occasione del 75esimo anniversario dei disordini del 1948, che diedero il via all’esodo degli ebrei dalla Libia, l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha organizzato un seminario di studio per approfondire dal punto di vista storico e giuridico il problema della cittadinanza degli ebrei libici. Presenti al seminario la presidente UCEI Noemi Di Segni, la presidente della Comunità Ebraica di Roma Ruth Dureghello e Davide Gerbi, presidente dell’Associazione Internazionale per la Commemorazione Ebrei di Libia e il Sostegno agli Accordi di Abramo.
  “È necessario fare chiarezza sulla condizione degli ebrei di Libia. Oggi siamo qui per approfondire la questione non solo dal punto di vista storico, ma anche dal punto giuridico, che si riflette ancora oggi” ha spiegato Saul Meghnagi, che ha introdotto i saluti istituzionali.
  “È fondamentale capire cosa è successo dal 1948 fino al 1967, e quali sono le criticità attuali della questione dello status giuridico degli ebrei di Libia” ha affermato la presidente UCEI Noemi Di Segni. “La Comunità è stata capace di accogliere e assistere gli ebrei libici, costruendo così un unicum nella vita comunitaria” ha detto la presidente Dureghello, che ha successivamente fatto una riflessione sullo status degli ebrei libici, che ancora oggi vivono di situazioni irrisolte dal punto di vista giuridico. “All’epoca venne addirittura istituito un comitato per gli ebrei di Libia, per ascoltare le loro istanze” ha ricordato.
  David Gerbi, ripercorrendo quella che fu la sua fuga da Tripoli nel 1967, ha parlato di tutti i beni sequestrati dalla Libia: non solo i cimiteri, le sinagoghe e gli immobili, ma anche tutta la documentazione, tra cui i certificati di nascita e di morte. Ha inoltre illustrato le iniziative portate avanti dalla sua associazione per la memoria di quanto accaduto alla comunità libica. Si è soffermato anche sugli sforzi del ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen sulla questione. “Grazie all’aiuto del governo israeliano, i dirigenti libici sembrano essere disposti ad aiutare” ha affermato.
  Successivamente il seminario si è diviso in due panel: il primo, moderato da Sira Fatucci, ha visto al tavolo come relatori la professoressa Chiara Renzo e il professor Alessandro Volterra.
  La professoressa Renzo è autrice di uno studio sull’argomento. Tra i temi trattati dalla professoressa, c'è stato il tema dell’accoglienza da parte del governo italiano durante l’esodo della comunità ebraica libica dopo il ‘67. Il professor Volterra invece ha posto il focus sul tema della cittadinanza e del razzismo coloniale. Ha inoltre raccontato la vicenda dei cittadini con passaporto britannico, che furono deportati e portati nel campo di Bergen Belsen. Successivamente furono liberati nel quadro di uno scambio di prigionieri tra inglesi e tedeschi. In quel caso, ha spiegato, “a prevalere non fu l’identità religiosa ma la cittadinanza”.
  La seconda parte del convegno, moderata da Saul Meghnagi, ha visto invece un approfondimento di tipo giuridico sulla questione della cittadinanza. A parlarne, l’assessore UCEI Davide Jona Falco e il vicepresidente Giulio Di Segni. Jona Falco ha trattato lo status degli ebrei italo-libici dopo il 1967, soffermandosi sui risultati raggiunti dalla Commissione di studio sotto la guida di Giovanni Canzio. Nel 2021 infatti, con la legge di Bilancio, sono state apportate alcune modifiche alla legge Terracini sulla presunzione di persecuzione. “Tuttavia, permangono problemi applicativi, soprattutto in un certo atteggiamento della pubblica amministrazione nel negare le benemerenze” ha affermato l’assessore UCEI.
  “Pochissimi ebrei libici hanno ottenuto in questi anni dei riconoscimenti a causa della persecuzione razziale. Eppure la persecuzione c’è stata ed è riconosciuta dagli storici” sottolinea il vicepresidente UCEI Giulio Di Segni. “L’UCEI continua a chiedere che sia fatta luce” ha dichiarato, sottolineando l’impegno delle istituzioni ebraiche a perseguire questa causa.

(Shalom, 7 giugno 2023)

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Reperti archeologici rubati e recuperati a Gerusalemme: ritrovato un tesoro di altissimo valore

Durante una fortunata ispezione, i detective del quartiere di Beit Hanina a Gerusalemme hanno ritrovato un tesoro di grandissimo valore: dei reperti che erano stati rubati da un sito archeologico.

di Caterina Damiano

Ciò che esisteva nel nostro passato è un mezzo estremamente importante per raccontarci, dipingere e tratteggiare storie lontane. I reperti archeologici non sono solo straordinari da vedere, ma hanno anche un grande potere, ossia quello di permetterci di ricostruire la storia. Purtroppo (e per fortuna), però, hanno anche un grande valore, cosa che porta spesso gruppi di malintenzionati a saccheggiare i siti d’ogni parte del mondo.
  Spesso, sfortunatamente, dopo il passaggio dei saccheggiatori, i reperti sottratti vengono immessi nel mercato illegale e, una volta venduti, vengono persi per sempre. Esistono però dei casi, come quello che recentemente ha interessato Gerusalemme, in cui questi tesori vengono recuperati e restituiti non solo agli istituti di competenza, ma anche e soprattutto all’intera umanità.

• LE AREE PREZIOSE INTORNO A GERUSALEMME
  Dunque, cos’è successo? Per chi non lo sapesse, intorno a Gerusalemme esistono molte, moltissime aree archeologiche. Negli ultimi cento anni (e più) Israele si è distinta per l’individuazione di diverse zone d’interesse storico, alcune più vicine alla città e altre più lontane, nascoste in ampi panorami desertici o tra quelli che apparentemente sembrano naturali accumuli rocciosi. Purtroppo, la verità è che un così vasto patrimonio archeologico richiederebbe un monitoraggio attento delle zone di valore, cosa che manca.
  Più volte l’istituto di tutela e ricerca Israel Antiquities Authority ha sottolineato il grave problema dei saccheggiatori e non solo: gli archeologi dell’istituto sono più volte intervenuti in prima persona, con il supporto delle forze dell’ordine. Ciò è accaduto anche questa volta, con la creazione di una task force formata dagli studiosi dell’Unità Prevenzione Furti dell’istituto e dai detective del Dipartimento di Polizia di Gerusalemme.

• IL FURTO E IL RITROVAMENTO
  La task force è stata creata in seguito ad alcuni avvenimenti, in particolare il ritrovamento di un tesoro nascosto in una grotta in Galilea che aveva evidenziato proprio la forte presenza di saccheggiatori in grado di trasportare fuori dalle aree archeologici anche materiali piuttosto pesanti. Dopo questa drammatica presa di coscienza, l’area intorno a Gerusalemme è diventata, oggetto di maggiori controlli, anche sui veicoli in transito.
  Ed è stato proprio il controllo su un veicolo che stava viaggiando intorno alla città a svelare la presenza del tesoro rubato. I detective del quartiere di Beit Hanina hanno infatti individuato un’automobile ritenuta sospetta per i suoi spostamenti e hanno deciso di fermare il conducente. Una volta aperto il portabagagli, eccoli lì: decine di antichi mattoni di argilla con impronte della decima legione romana, che distrusse Gerusalemme quasi 2000 anni fa.

• I MATTONI E LE NUOVE INDAGINI
  Dopo l’arresto del conducente, i mattoni sono stati portati al sicuro dagli archeologi dell’Israel Antiquities Authority. Gli studiosi hanno potuto constatare che oltre a recare, appunto, le impronte inconfondibili dei militari romani (che avevano costruito il loro campo militare a Gerusalemme dopo la distruzione del 70 d.C), i mattoni mostravano segni recentissimi di interventi umani, il che significa che non doveva essere passato molto dalla loro illecita rimozione da un sito archeologico.
  Purtroppo, non è ancora chiaro da dove siano stati sottratti. Secondo il dottor Amir Ganor, Direttore dell’Unità di Prevenzione Furti, i mattoni facevano sicuramente parte del marciapiede di un edificio pubblico. Nonostante le loro condizioni, rivelano molte informazioni utili sul periodo, ma per poter davvero scoprire tutto ciò che serve bisogna scoprire qual è davvero il sito da cui sono stati prelevati. Le indagini sono attualmente in corso e, frattanto, pare che verranno ulteriormente incrementate le attività di controllo.

(Tecnologia, 7 giugno 2023)

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Latte sintetico, Israele autorizza la produzione. Ma è allarme: «Non è cibo, più simile a un farmaco»

Dopo la carne arriva il latte senza mucche. Israele ha infatti autorizzato una startup locale di food-tech, la Remilk, ad iniziare la produzione di proteine di latte ottenuta attraverso un processo di fermentazione a base di lievito che le rende «chimicamente identiche» a quelle presenti nel latte e nei latticini di mucca.
  Secondo la startup il latte così prodotto è privo di lattosio, colesterolo, ormoni della crescita e antibiotici. All’inizio dell’anno le autorità di Singapore hanno autorizzato la vendita di questo genere di latte e – secondo quanto riporta la stampa locale – la Food and Drug Administration negli Stati Uniti ne ha già riconosciuto la sicurezza per il consumo alimentare Una nuova avanzata del cibo coltivato contro il quale, però, l’Italia torna a fare muro sia con il Governo che con le associazioni di categoria.

• L’ALLARME
  Al Tuttofood in Fiera Milano (2.500 brand da 46 Paesi e oltre 800 buyer da 86 Paesi) Coldiretti, Filiera Italia, Assica, Assolatte Unaitalia e Assocarni lanciano «la prima alleanza contro l’assalto del cibo sintetico alle tavole mondiali e a comparti strategici del vero Made in Italy agroalimentare, dalla carne ai salumi, dal latte ai formaggi. È «aberrante mettere a rischio la salute» ha detto il ministro dell’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste. «Ci batteremo anche in Europa perché non passi».
  «Abbiamo un ministro della Salute – ha proseguito – che ci ha dato una indicazione: il cibo sintetico non è sicuro, anzi, la potenzialità che possa essere dannoso esiste». Ma da Più Europa Giordano Masini della segreteria chiede di «sapere sia da Lollobrigida che da Schillaci su quali evidenze fondino questa spericolata affermazione».
  Intanto da Israele il premier Benyamin Netanyahu, che nei giorni scorsi ha visitato lo stabilimento della Remilk ha sottolineato che questa autorizzazione» è l’inizio di un balzo in avanti, è una pietra miliare in un’area in cui Israele è già un leader tecnologico». «Lo sviluppo di questa tecnologia – ha aggiunto – rafforzerà l’economia di Israele, la sua sicurezza alimentare, aiuterà ad affrontare i cambiamenti climatici e a sostenere il benessere degli animali».

• I NODI
  «L’apertura del mercato israeliano a prodotti latticini di origine non animale porterà Israele in prima linea nella ricerca mondiale e di sviluppo di food-tech», ha previsto la Remilk, che ha annunciato l’apertura della più grande sede di produzione di latte ottenuto con la fermentazione di precisione su un’area di quasi 70 mila metri quadrati in Danimarca, a Kalundborg, preparandosi a sbarcare sui mercati europei. Non è solo il cibo a base cellulare o a fermentazione a tenere banco. In primo piano nel settore alimentare del made in Italy anche le norme europee.
  L’allarme arriva dalla Coldiretti per il nuovo regolamento sugli imballaggi dell’Unione Europea, con l’addio alle confezioni monouso per frutta e verdura di peso inferiore a 1,5 chilogrammi. «Rischia – sostiene Coldiretti – di cancellare dagli scaffali dei supermercati l’insalata in busta, i cestini di fragole, le confezioni di pomodorini e le arance in rete ma anche le bottiglie magnum di vino con un effetto dirompente sulle abitudini di consumo degli italiani e sui bilanci delle aziende agroalimentari».

(Il Messaggero, 7 giugno 2023)
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Certi primati tecnologici di Israele in campo biologico cominciano ad essere davvero un po' inquietanti. Speriamo che non generino il fiorire di un nuovo sentimento anti-israeliano. M.C.

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La quinta edizione del memorial "Nonno Bruno il Giusto di San Saba"

Si è svolta nel Primo municipio di Roma la quinta edizione del premio "Nonno Bruno il Giusto di San Saba" dedicato a Bruno Fantera che difese gli ebrei durante l'occupazione nazifascista.

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Nel municipio I di Roma si è svolta la quinta edizione del premio “Nonno Bruno il Giusto di San Saba” che ha visto partecipare i bambini delle scuole del territorio.
La giornata si svolge in memoria di Bruno Fantera (scomparso nel 2017 all’età di 96 anni) che durante i mesi dell’occupazione nazifascista insieme a sua mare Esìfile nascose in casa la famiglia ebrea romana dei Moscati e aiutò altri perseguitati e prese a suo nome attività commerciali e conti bancari, puntualmente restituiti a seguito della liberazione. Per questo Bruno Fantera ricevette nella Sinagoga maggiore di Roma dallo Stato di Israele l’onorificenza di Giusto tra le Nazioni.
  Partendo dall’esempio di Bruno Fantera, esempio del fare del bene senza chiedere nulla in cambio, i bambini hanno dovuto raccontare con diversi tipi di elaborati, immagini, parole e altre tecniche, la lotta alla diseguaglianza e discriminazione.

(Roma Today, 7 giugno 2023)

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Commissione Europea e OMS hanno firmato l’accordo per il “Green pass globale”

di Giorgia Audiello

Il passaporto sanitario mondiale non è più una previsione da “complottisti”, ma realtà: ciò che era emergenziale – e che sarebbe quindi dovuto rimanere limitato al periodo pandemico – è diventato effettivamente ordinario, confermando il ruolo delle emergenze nell’accelerare la costruzione di nuovi assetti sociopolitici, sanitari e di sicurezza. Lo conferma il nuovo accordo firmato ieri tra l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) e la Commissione europea che prevede l’adozione del sistema di certificazione digitale Covid19 dell’Ue – il cosiddetto Green Pass – per costituire un sistema di controllo uniforme tra gli Stati membri dell’agenzia che dovrebbe contribuire a facilitare la mobilità globale e a proteggere i cittadini di tutto il mondo dalle minacce sanitarie attuali e future, comprese le pandemie. È noto, infatti, che da tempo le cassandre del potere internazionale avvisano il mondo di prepararsi a future – e forse più letali – pandemie, lanciandosi in previsioni che suscitano più di qualche interrogativo. Si tratta, in ogni caso, solo del primo elemento di quella che costituirà una rete globale di certificazione della salute digitale dell’OMS che è perfettamente in linea con i progetti di digitalizzazione totale della vita promossi dalla Commissione europea e dal World Economic Forum (WEF) di Davos. Del resto, L’Indipendente non aveva mancato di anticipare questo progetto già più di un anno fa, quando l’OMS stava già lavorando in questa direzione. Ora, dunque, si sta semplicemente assistendo alla concretizzazione di quell’iniziativa in tempi piuttosto rapidi.
  «La partnership è un passo importante per il piano d’azione digitale della strategia sanitaria globale dell’Ue. Utilizzando le migliori pratiche europee, contribuiamo agli standard sanitari digitali e all’interoperabilità a livello globale […]», ha affermato Stella Kyriakides, commissaria Ue per la Salute e la Sicurezza alimentare. Dunque, le certificazioni vaccinali non verranno meno con la fine della pandemia, ma continueranno a funzionare in modo efficace, creando le condizioni per monitorare capillarmente lo stato vaccinale dei cittadini, impedendo eventualmente a chi non fosse in regola con le inoculazioni ogni spostamento e qualunque altro diritto garantito dalla Costituzione. L’iniziativa si integra con il progetto europeo del portafoglio di identità digitale, pensato proprio in vista della digitalizzazione di tutti i dati, compresi quelli sanitari relativi alle vaccinazioni. Ne consegue un contesto di totale digitalizzazione della vita e della realtà a cui nessuno potrà sfuggire senza rimanere escluso dall’accesso ai principali servizi e dalla possibilità di viaggiare liberamente. Si tratta di un progetto che non nasce oggi, ma che i filantropi internazionali, la Commissione europea e il WEF portano avanti da diverso tempo: basti pensare che già nel 2020 Bill Gates aveva lanciato l’ID2020.
  Oggi, i progetti di Bill Gates e del WEF stanno per essere realizzati ad opera dell’OMS e della Commissione europea: l’iniziativa attuale fa seguito all’accordo del 30 novembre 2022 tra il commissario Kyriakides e il dottor Ghebreyesus per rafforzare la cooperazione strategica sulle questioni sanitarie globali. L’OMS adotterà a livello globale i certificati Covid 19 interoperabili – denominati «certificato digitale Ue Covid-19» o «Eu Dcc» – come primo passo verso la costruzione di una rete globale di certificazione sanitaria digitale. Questa iniziativa sarà già operativa a partire dal mese corrente – giugno 2023 – e mira ad essere sviluppata progressivamente nei prossimi mesi. «Basandosi sulla rete di certificazione digitale di grande successo dell’Ue, l’Oms mira a offrire a tutti gli Stati membri dell’Organizzazione sanitaria mondiale l’accesso a uno strumento sanitario digitale open-source, che si basa sui principi di equità, innovazione, trasparenza, protezione dei dati e privacy», ha affermato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms.
  Si tratta di un passo importante verso quella transizione digitale propugnata con forza dalla finanza mondiale, dai fautori del fanatismo ipertecnologico, dai cosiddetti filantropi e dal WEF e che costituisce una svolta determinante su un duplice piano, antropologico e sociopolitico: sul primo, infatti, contribuisce alla costruzione dell’“uomo nuovo digitale”, schiavo della tecnologia e della sua presunta “comodità”; sul secondo, la democrazia cede il passo alla tecnocrazia, in cui sarà la tecnica a dominare l’uomo e la realtà, riducendo al minimo la facoltà di libera scelta dei cittadini i cui dati e i cui movimenti saranno tracciabili e monitorabili in ogni momento. Il prossimo passo in questa direzione di cui ancora si parla poco potrebbe essere l’adozione di chip sottocutanei attraverso cui, grazie al 5G e all’Internet of Things (IoT), si prospetta la possibilità di fare digitalmente qualunque cosa, dagli acquisti all’aprire lo sportello della macchina e la porta di casa da remoto. Al momento, ciò che è certo è che la tecnologia adottata dall’Ue durante l’emergenza ha permesso l’instaurazione di un sistema sanitario globale che consiste in un certificato internazionale digitale di vaccinazione o profilassi senza il quale sarà difficile spostarsi. Allo stesso tempo, si assiste anche a una delle prime iniziative politiche globali, legittimate dalla “crisi sanitaria” e dal rischio di ulteriori pandemie, che convergono verso il progetto di governance globale promossa dal WEF e guidata dagli enti sovranazionali e dalle forze finanziarie globali.

(L'Indipendente, 6 giugno 2023)

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Egitto-Israele, telefonata tra Al Sisi e Netanyahu: il focus è sull’attacco al confine di sabato

Il presidente egiziano e il primo ministro israeliano hanno sottolineato l'importanza di un pieno coordinamento per chiarire tutte le circostanze dell'incidente.

Il presidente dell’Egitto, Abdel Fattah al Sisi, ha ricevuto oggi una telefonata dal primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu. Lo riferisce il portavoce ufficiale della presidenza della Repubblica, il consigliere Ahmed Fahmy, indicando che “la chiamata si è concentrata sulla sparatoria avvenuta sabato 3 giugno al confine egiziano-israeliano, che ha provocato la morte del personale di sicurezza del confine”. “Il presidente e il primo ministro israeliano hanno sottolineato l’importanza di un pieno coordinamento per chiarire tutte le circostanze dell’incidente e l’intenzione delle due parti di continuare a lavorare e coordinarsi nel contesto delle relazioni bilaterali e ad adoperarsi per raggiungere un accordo giusto e mantenere la stabilità nella regione”, ha concluso Fahmy.
  Il 3 giugno, un agente di polizia egiziano, Muhammad Salah, ha ucciso tre membri delle forze di difesa israeliane (Idf) nel deserto del Negev, nel sud di Israele, vicino al confine con l’Egitto, durante uno scontro a fuoco. Secondo le Idf, Salah si è infiltrato in Israele in precedenza, uccidendo due militari, un uomo e una donna, che si trovavano in una postazione di osservazione. Successivamente, il poliziotto egiziano e i militari israeliani hanno ingaggiato uno scontro a fuoco, conclusosi con l’uccisione dell’agente e di un altro componente delle Idf. Da parte sua, il ministero della Difesa egiziano ha subito confermato l’uccisione di un membro delle proprie forze di sicurezza in uno scontro a fuoco al confine tra Egitto e Israele.

(Nova News, 6 giugno 2023)

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Foca monaca avvistata sulla costa tra Israele e Palestina: è la prima volta

di Maria Grazia Filippi

Da Israele a Gaza, messaggera, forse, di pace. Yulia, un raro esemplare di foca monaca, era stata avvistata a largo della costa israeliana a metà maggio. Da allora, giorno per giorno, gli ispettori e i volontari dell'Ente Natura e Parchi israeliano l’hanno monitorata per evitare che i curiosi le si avvicinassero e nel frattempo hanno condiviso con altri studiosi le sue foto.
  Proprio dalle sue foto i ricercatori turchi dell'International Union for Conservation of Nature  hanno riconosciuto Julia come una foca che avevano già visto in passato: era stata avvistata in Turchia e Grecia e chiamata Tugra. Intanto Yulia, ormai una piccola star in grado di portare un po’ di leggerezza e di bellezza nelle giornate degli scontri tra Gaza e Israele, continuava placidamente ad alternare lunghe dormite sotto il sole a nuotate lungo brevi tratti di costa. Alla fine è riapparsa a Gaza, pieno territorio palestinese, segno che per lei i confini hanno poco senso. E che un animale può trasformarsi anche in un innocente messaggero di pace.
  La dottoressa Mia Elser, della Delphis Association, un'organizzazione con sede ad Ashdod che ricerca e protegge i mammiferi marini, ha detto che la foca monaca del Mediterraneo è uno dei 12 mammiferi più rari al mondo. Si pensa che ne rimangano circa 700, la maggior parte dei quali vive sulle coste di Grecia, Turchia e Cipro, mentre altre potrebbero vivere al largo della costa del Sahara occidentale e della Mauritania. «Il loro tasso di riproduzione — ha spiegato la dottoressa – prevede una nascita ogni due-tre anni. Il che vuol dire una probabilità di estinzione molto alta». Mia Elser sostiene anche che «negli ultimi anni ci sono stati centinaia di avvistamenti della rara foca nell'acqua» dando speranza che questi mammiferi possano un giorno tornare in Israele, anche se sulle sue coste non se ne vedono praticamene mai. Questa, in particolare, è stata chiamata Yulia da Muhammed, un ragazzino che era sulla spiaggia quando la foca è stata scoperta e ha aiutato i ricercatori di Delphis a impedire che altri bambini la infastidissero mentre riposava.
  Anche l'autorità per la natura e i parchi israeliana è rimasta sulla spiaggia tutta la notte per sorvegliare Yulia, cominciando poi a fornire aggiornamenti sulle sue condizioni e su i suoi spostamenti.  Aggiungendo però una serie di regole per evitare di infastidirla e di costringerla ad allontanarsi. «Prima di tutto: mantieni le distanze! Questo è un animale selvatico e non dovrebbe essere disturbato. Segnalaci sul sito:  o direttamente per telefono (050-3225227 – Mia), in modo che i ricercatori dell'associazione possano raggiungere il posto. Fotografare (a distanza e senza flash!) la foca. Si consiglia di girare sia in foto che in video. Se l'animale è sulla spiaggia, tieni lontano i cani (al guinzaglio), stai zitto e non puntare le torce verso l'animale».
  Anche a Gaza il suo arrivo sulle coste è stato segnalato con grande rispetto e curiosità. L'associazione dei pescatori – secondo quando riferito dalla televisione israeliana Canale 13 – ha subito fatto appello alla popolazione di non molestarla in alcun modo, in quanto si tratta di una specie molto rara in questa zona. Dopo averle concesso alcune ore di riposo sulla sabbia della Striscia, i pescatori l’avrebbero poi riaccompagnata in mare.
  Anche la Delphis Association conferma il suo arrivo a Gaza. «Secondo la pagina Facebook di Abdel Fatah Abd Rabo, professore di scienze ambientali e marine presso l'Università Islamica di Gaza, Julia gira sulle coste della Striscia da circa tre giorni. Un pescatore di Deir El Balah, al centro della striscia, lo aveva infatti contattato mercoledì scorso, sostenendo di aver visto la foca sulla spiaggia di sera, ma appena lei lo aveva notato, era tornata velocemente in mare e lui non aveva avuto modo di fotografarla».
  Un’altra segnalazione sarebbe arrivata ad Abd Rabo un paio di giorni dal pescatore Joseph Ashur, che ha visto Julia sulla costa di Rafih, nel sud della Striscia, a circa un chilometro dal confine con l'Egitto. «Ashur ha detto che quando si è avvicinato a una delle rocce ha sentito improvvisamente un respiro pesante. Si è girato per capire da dove veniva il suono, e poi ha visto la foca che riposava accanto a una roccia». Il confronto tra fotografie dei diversi esperti, israeliani e palestinesi, avrebbe confermato che si trattava proprio di Yulia.
  «Queste relazioni illustrano solo la necessità e l'importanza di creare uno spazio sicuro per le foche monache in Israele e dintorni – conclude Delphis Association che ha già individuato un contesto naturale locale l’area perfetta per l’accoglienza per le foche di passaggio – il primo obiettivo è ripristinare per Julia e i suoi amici le grotte naturali di Rosh Hanikra. Potremmo anche costruire – per la prima volta al mondo – una grotta artificiale che sarà utilizzata per le foche, permettendo loro di riposare nel lungo viaggio, e magari anche offrire loro un soggiorno permanente sulle spiagge di Israele».
  Gaza ha salutato l’arrivo di Yulia come un vero e proprio evento, segnalando che era la prima volta che una foca monaca veniva avvistata sulla sua costa. «Questo raro evento è la prima segnalazione del passaggio di una foca monaca mediterranea nelle acque marine palestinesi della Striscia di Gaza, ponendo fine a un dibattito decennale sulla presenza o meno di questo raro tipo di mammifero marino nel acque marine della Striscia di Gaza, come evidenziato da precedenti rapporti ambientali locali» spiega il professor Abd Rabo – Le foche monache mediterranee appartengono alla famiglia Phocidae e le stime attuali indicano che ce ne sono 700 o meno che vivono in tre o quattro sottopopolazioni isolate nel Mar Mediterraneo e nell'Oceano Atlantico nord-orientale. Possono raggiungere una lunghezza di oltre due metri e un peso medio di 300 chilogrammi. Di solito usano le grotte costiere per riprodursi e riposare, come quelle sulle spiagge di Grecia, Turchia, Cipro, Italia e alcuni altri paesi. La foca monaca mediterranea si nutre di una varietà di pesci e molluschi come polpi e calamari ed è minacciata dal degrado dell'habitat, dall'inquinamento, e dalla caccia».

(kodàmi, 6 giugno 2023)

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Italia-Israele, perché la strategia dei conservatori passa da Gerusalemme

In occasione della conferenza dell’Ecr Party non solo c’è stata un’ulteriore tappa di avvicinamento alle elezioni europee del prossimo anno, ma è stato fatto un passo verso il governo Netanyahu con la scelta della sede. Fidanza: “Gas, geopolitica e accordi di Abramo sono temi fondamentali su cui stiamo lavorando. C’è una tendenza ad accorciare le catene del valore e quindi riportare le produzioni in Europa”.

di Francesco De Palo

L’obiettivo è cucire, politiche, relazioni e progetti, per arrivare alle prossime elezioni europee con un bagaglio solido e foriero di iniziative in seno alle istituzioni europee. La tre giorni di conferenza dell’Ecr Party che si è conclusa ieri a Gerusalemme è un altro pezzetto di strada in Europa che i conservatori di Giorgia Meloni hanno inserito nel cronoprogramma che li condurrà alle urne del 2024, nella consapevolezza che al di là dei discorsi sulla futura commissione, i conservatori si portano avanti su temi primari come gas, geopolitica e accordi di Abramo.

• Geopolitica e cooperazione
  “Ci troviamo in un contesto geopolitico mutevole e instabile – dice a Formiche.net Carlo Fidanza, capodelegazione di Fratelli d’Italia-Ecr al Parlamento Europeo – nel quale l’Europa si è risvegliata debole dopo la doppia crisi rappresentata da pandemia e Ucraina. Ha capito, tardivamente, che si era privata della sua capacità di produrre gran parte delle cose che le servivano, come i principi attivi per i vaccini fino al grano per la nostra pasta, piuttosto che al litio per le batterie della transizione ecologica. E ce ne siamo accorti quando purtroppo i buoi erano scappati. Ora con questo quadro c’è una tendenza, anche se tardivamente condivisa, di accorciare le catene del valore e quindi riportare le produzioni in Europa”.
  In questo senso si inserisce il dialogo con Israele, player amico e affidabile sul piano della collocazione geopolitica con cui poter sviluppare insieme progetti: al primo posto l’energia con la partita italiana dell’hub energetico del Mediterraneo dopo lo sblocco dell’accordo Israele- Libano sulla zee. “Lì si aprono opportunità enorme che noi dobbiamo assolutamente intercettare e ciò passa naturalmente da un rapporto ulteriormente consolidato con Israele in vari ambiti come la gestione delle acque, la sicurezza, l’intelligence, la difesa e le tecnologie militari”.
  Il tutto senza tralasciare il tema degli accordi di Abramo che Tel Aviv vorrebbe “provare a estendere anche ad altri Paesi arabi con cui sta dialogando, al netto dei problemi interni sulla riforma della giustizia da un lato e le nuove tensioni con la parte palestinese dall’altro”.
  Altro tema sensibile su cui Ecr riflette con i colleghi israeliani quello dei flussi migratori, a poche ore dalla visita a Tunisi del premier Giorgia Meloni. “Vedo una partita su due livelli, in primis una discussione abbastanza surreale a Bruxelles sul patto migrazione. E’ una proposta della Commissione europea di quattro anni fa che giunge ora al negoziato, ma ancora con la vecchia logica della ridistribuzione e di un ruolo ancora molto gravoso per i Paesi di primo approdo come l’Italia”. Di contro, aggiunge, esiste un meccanismo di solidarietà e chi non lo applica subisce delle multe: “È la traduzione degli accordi di Malta dentro un testo ufficiale, mentre la questione vera per noi è quella che ha avviato Giorgia Meloni al Consiglio europeo straordinario di febbraio, ovvero la protezione delle frontiere esterne e la cooperazione con l’Africa per creare gli hotspot in territorio extra europeo dove effettuare la valutazione delle richieste di asilo”.

• Siccità e know how israeliano
  Perché Gerusalemme? Al momento in Ue nessuno ha trasferito la propria ambasciata a Gerusalemme, per cui l’evento vuole dare solidarietà alla questione, legittimando la rivendicazione di Israele. “Coloro che condividono la nostra opinione secondo cui Gerusalemme è la capitale eterna dello stato ebraico devono unire le forze”, ha detto il ministro israeliano Gila Gamliel, ministra dell’Intelligence e membro della Knesset per il Likud, a dimostrazione dell’attenzione manifestata dal Governo Netanyahu.
  Inoltre Gerusalemme è stata scelta anche per la strategicità di temi chiave, come ad esempio le nuove sfide agricole. Alla luce della scarsità delle risorse idriche e dell’aumento del riscaldamento globale il ruolo tecnologico israeliano in grado di bypassare una terra arida e brulla assume un peso specifico maggiore. Non solo dato dall’ingente sforzo umano ma anche il frutto di coraggiose innovazioni nella gestione dell’acqua e nei metodi agricoli che hanno permesso di affrontare queste sfide. Ciò secondo Ecr rappresenta un’occasione imperdibile di confronto e di collaborazione sia a livello governativo che industriale. La presenza di Ofir Akunis, ministro israeliano dell’innovazione va proprio in questa direzione.

• Vento conservatore
  Al panel “International cooperation: sharing best practices and solutions” è intervenuto anche il ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, secondo cui la vittoria elettorale di Fdi dello scorso settembre farà da apripista alle prossime elezioni europee, “così da determinare un cambiamento anche in Ue, il vento del conservatorismo che, sempre di più, sta soffiando in Europa nasce da valori e radici comuni e la ricchezza del mondo che vogliamo preservare sono le peculiarità delle tradizioni e delle culture”.
  Sulla comunità fra culture si è soffermato il segretario generale di Ecr Antonio Giordano secondo cui la scelta di organizzare il meeting a Gerusalemme nasce dalla consapevolezza che “le persone di destra sono solidali non quando c’è da condividere il potere, che è quello che succede sempre ai nostri avversari di sinistra, ma quando c’è bisogno di essere vicini ad amici che sono in difficoltà. Israele ha subìto – soprattutto nell’ultimo periodo – il solito trattamento riservato a noi persone di destra da moltissimo tempo, ultimamente in maniera molto più ossessiva, come è anche successo a Fratelli d’Italia”.

(Formiche.net, 6 giugno 2023)

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Intelligenza artificiale: Israele “potenza” mondiale, la Cina verso una stretta

Il governo israeliano si prepara a formulare una politica sull’intelligenza artificiale (AI), con la promessa che il Paese diventerà una potenza nel campo. Lo ha annunciato il primo ministro Benjamin Netanyahu dopo aver parlato con Elon Musk e Sam Altman, co-fondatore di OpenAI, responsabile di ChatGpt. “Nei prossimi giorni ho intenzione di riunire un think tank per discutere una politica nazionale sull’intelligenza artificiale sia in ambito civile, sia in quello della sicurezza”, ha detto il premier.
  “Proprio come stiamo trasformando Israele in una potenza informatica globale, così faremo anche nell’AI”, ha aggiunto Netanyahu, secondo una dichiarazione rilasciata dal suo ufficio. Il comunicato riferisce anche che durante la sua conversazione con Musk, il premier ha sottolineato “la necessità per i governi di comprendere sia le opportunità che i pericoli dell’intelligenza artificiale” e “ha espresso la sua opinione che Israele possa diventare un attore di importanza globale nel settore”.

• Verso una “cooperazione” con OpenAI
  Il colloquio con Altman, che è in Israele nell’ambito di un viaggio che proseguirà con tappe in Giordania, Qatar, Emirati Arabi Uniti, India e Corea del Sud, ha anche affrontato l’importante ruolo che Israele potrebbe svolgere nell’AI, nonché la potenziale “cooperazione” tra lo Stato ebraico e OpenAI.
Il co-fondatore di OpenAI ha anche tenuto un incontro con il presidente israeliano Isaac Herzog, durante il quale ha fatto riferimento all’importanza di lavorare per “mitigare gli enormi rischi” che la rapida crescita dell’intelligenza artificiale porta con sé. Inoltre, ha evidenziato la velocità con cui l’ecosistema tecnologico e imprenditoriale israeliano ha incorporato gli strumenti di intelligenza artificiale.

• L’annuncio di Musk: Cina verso una regolamentazione sull’AI
  Alti ufficiali cinesi, intanto, hanno parlato a Elon Musk di un piano per regolamentare l’intelligenza artificiale, durante la recente visita del miliardario statunitense nel Paese asiatico. La scorsa settimana il proprietario di Twitter e ceo di Tesla ha avuto incontri con alti ufficiali a Pechino e con funzionari a Shanghai: durante i colloqui si è parlato dei rischi dell’intelligenza artificiale – ha fatto sapere Musk – e della necessità di una supervisione o di una regolamentazione. Musk ha descritto i suoi incontri in Cina come “molto promettenti”. “Ho sottolineato che se esiste una super intelligenza digitale straordinariamente potente, sviluppata in Cina, in realtà è un rischio per la sovranità del governo cinese”, ha affermato. “E penso che abbiano preso a cuore questa preoccupazione”.
  Musk, i cui vasti interessi in Cina non sono ben visti a Washington, ha parlato dei suoi colloqui con funzionari cinesi durante il dibattito su Twitter con il candidato democratico alla presidenza Robert Kennedy Jr, nipote di John F. Kennedy.

• Unione Europea verso il “bollino” anti disinformazione
  Sul tema si appresta a muoversi anche l’Unione europea. La Commissione chiederà infatti ai rappresentanti di oltre quaranta organizzazioni che hanno aderito al codice di condotta dell’Ue contro la disinformazione, di creare un "bollino" per identificare i contenuti generati dall’intelligenza artificiale e limitare così la disinformazione. 

(CorCom, 6 giugno 2023)

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Il TuS Makkabi Berlin è la prima squadra ebraica a partecipare alla Coppa di Germania

di Luca Spizzichino

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Il TuS Makkabi Berlin sarà la prima squadra di calcio ebraica a partecipare alla Coppa di Germania, nota anche come DFB-Pokal. Il club, che gioca nella quinta divisione calcistica tedesca, sabato ha vinto la Coppa di Berlino battendo lo Sparta Lichtenberg, squadra di sesta divisione; il risultato del match disputato allo stadio Mommsen è stato di 3-1 dopo i tempi supplementari. Con questa vittoria, il Makkabi parteciperà al primo turno della Coppa di Germania, dove affronterà una squadra della prima o della seconda divisione della Bundesliga, la lega calcistica tedesca. Il sorteggio si svolgerà il 18 giugno e le partite del primo turno si giocheranno dall'11 al 14 agosto. Il club riceverà anche un significativo impulso finanziario dalla sua corsa alla coppa, in quanto è garantito che guadagnerà quasi 210.000 euro dalla sua partecipazione.
  La partita è stata vissuta a ritmi al cardiopalma. Dopo essere passato in svantaggio al 13' con un calcio di rigore, il Makkabi è riuscito a pareggiare al 51'. La partita è rimasta bloccata fino alla fine dei tempi regolamentari. Negli ultimi minuti dei supplementari, il Makkabi è riuscito a segnare due gol, suggellando così la vittoria e a scrivere la storia. Il capitano del Makkabi Doron Bruck ha espresso al Jerusalem Post la sua gioia e il suo orgoglio dopo la partita. “È qualcosa di storico per il club; è la prima volta che arriviamo così lontano. Soprattutto con la storia che abbiamo” racconta Bruck.
  Il TuS Makkabi Berlin è stato fondato nel 1970 dalla fusione di tre associazioni sportive ebraiche: Bar-Kochba Berlin (ginnastica e atletica), Hakoah Berlin (calcio) e Makkabi Berlin (boxe). Il club afferma di essere il successore del Bar-Kochba Berlin, fondato nel 1898 e diventato una delle più grandi organizzazioni ebraiche del mondo nel 1930 con oltre 40.000 membri provenienti da 24 paesi. Tuttavia, sotto il regime nazista, i club sportivi ebraici furono discriminati e alla fine banditi dalle competizioni. I club predecessori di Makkabi furono tra quelli che subirono persecuzioni e repressioni. Oggi, conta circa 500 membri ed è una delle più grandi associazioni Maccabi in Germania e promuove il dialogo e l'integrazione attraverso lo sport.
  Per commentare lo storico traguardo del TuS Makkabi, Shalom ha intervistato il presidente del Makkabi Deutschland Alon Meyer. “Il successo del Makkabi Berlin difficilmente può essere espresso a parole. Questa squadra unisce 17 nazioni diverse e simboleggia esattamente ciò che è il Maccabi: apertura e convivenza. La vittoria nella finale di coppa è il culmine di una stagione di incredibili successi” ha affermato Meyer, a capo del Maccabi tedesco da 10 anni.
  “La ciliegina sulla torta ora sarebbe trovare un avversario importante come l'FC Bayern Monaco in Coppa di Germania, un'opportunità per aumentare ulteriormente la nostra immagine. Il Maccabi fa di nuovo la storia, non possiamo essere più orgogliosi” ha aggiunto.
  La vittoria del TuS Makkabi Berlin è l’ultimo grande successo del Maccabi a livello nazionale. Una crescita esponenziale iniziata nel 2015, quando sono stati organizzati i Giochi Europei del Maccabi nella capitale tedesca. “Hanno rappresentato una pietra miliare nella storia del movimento Maccabi, ma anche nella vita ebraica in Germania e in Europa. Sono stati la scintilla iniziale per un nuovo percorso e una consapevolezza maggiore, un enorme afflusso di atleti e di sostenitori” ha spiegato. “Ora il Makkabi è affermato anche come attore sociale ed è coinvolto nella lotta all'antisemitismo e al razzismo nello sport” ha concluso Meyer.

(Shalom, 6 giugno 2023)

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Israele, niente Conference League per il Beitar Gerusalemme: la decisione della Federcalcio

di Marzia Bosco

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Il Beitar Gerusalemme non parteciperà alla Conference League, è questa la decisione presa dal Tribunale disciplinare della Federcalcio di Israele che ha escluso la possibilità dopo i gravi disordini, con danni alle strutture dello stadio, avvenuti nella finale della Coppa di Israele. Per festeggiare la vittoria sul Maccabi Natanya, i tifosi del Beitar avevano invaso il campo impedendo di fatto la cerimonia di premiazione e mettendo in pericolo l’incolumità del presidente israeliano, Isaac Herzog. 
  La tifoseria del Beitar è considerata una delle più turbolente e legata all’estrema destra israeliana. Il club è stato condannato anche ad un multa di circa 20mila euro e alla perdita di tre punti nel prossimo campionato. La decisione della Disciplinare ha stabilito anche che a giocare in Conference sia il Maccabi Netanya. La decisione è stata contestata con forza dal Beitar che l’ha definita “irragionevole e che nuoce al club” annunciando il ricorso e auspicando che “prevalga il buon senso il prima possibile, in modo da poterci preparare per l’obiettivo”.
  Anche il ministro dello sport, Miki Zohar, ha espresso la sua: “La punizione inflitta al Beitar non rappresenta valori sportivi. La squadra ha vinto la coppa e quindi merita di giocare in Europa”. 

(SportFace, 5 giugno 2023)

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Strage degli 007 sul lago Maggiore, i pranzi segreti del premier israeliano Netanyahu

Il locale che domenica 28 maggio aveva accolto il pranzo di fine missione degli agenti del Mossad con i colleghi italiani dell’Aise, poche ore prima della tragedia, in passato aveva ospitato anche il primo ministro di Tel Aviv.

di Andrea Galli

Gli arrivi in elicottero preceduti dalle bonifiche dei sommozzatori, la sosta per pranzare nel ristorante ma non per fermarsi a dormire nella locanda, certo rinunciando a uno dei più suggestivi tramonti d’Italia; una scelta ripetuta in passato, appena si è profilata l’occasione, quella del premier d’Israele Benjamin «Bibi» Netanyahu, negli anni fra i tanti ospiti segreti del ristorante stellato «Il Verbano» che domenica scorsa aveva accolto il pranzo di fine missione degli agenti del Mossad insieme ai colleghi italiani dell’Aise.
  Preludio, quella tavolata, quella strage a non meno di cento metri dalle coste opposte del lago, all’altezza di Sesto Calende, in provincia di Varese, avvenuta alle 19.20 a causa del maltempo, forse una tromba d’aria, di sicuro con impetuose raffiche di vento, sembra sui 70 chilometri orari se non più forti, che avevano rovesciato l’imbarcazione sulla quale viaggiavano gli agenti. Quattro i morti annegati nel lago Maggiore: Tiziana Barnobi e Claudio Alonzi, l’ex Mossad Erez Shimoni (non era la sua vera identità) e la moglie dello skipper Claudio Carminati, la russa Anya Bozhkova.
  Se ormai pare acclarato, come detto sopra, che non vi fosse nulla di «operativo» nel pranzo degli agenti al ristorante (in aggiunta frequentato da nomi influenti del centrodestra), bensì un’umana giornata di tranquillità dopo sessioni di lavoro, non era casuale la geografia. Punto primo, per i visitatori della zona l’isola dei Pescatori, che conta cinquanta abitanti, è una destinazione scontata; punto secondo, lo stesso Carminati, indagato per la strage dalla Procura di Busto Arsizio, rappresentava un contatto per i Servizi segreti, un solido appoggio essendo egli un uomo dagli infiniti agganci, anche ovviamente fra i commercianti; punto terzo, la medesima isola dei Pescatori, e la passione di Netanyahu lo conferma, da sempre suscita negli israeliani un fascino superiore al litorale da Stresa a Verbania, peraltro assai frequentato e vissuto, però mai come succede con i russi. Mai. Specie a Stresa.
  Ora, sarà forse impossibile scoprire quale fosse l’obiettivo vero degli agenti segreti. Permangono però, anche nelle analisi di esperti quali il giornalista e scrittore Yossi Melman — conviene ricordare che in Israele vige la censura — gli scenari che conducono all’eterna sfida con l’Iran per le componenti tecniche e le attrezzature dei progetti nucleari e militari. L’alta densità nella provincia di Varese di piccole, medie e grandi imprese di svariati settori strategici collima con questo scenario. Di nuovo Melman osserva la solidità, in tema di forniture, del rapporto tra l’Iran e la Russia. Sicché rieccoci a loro, i russi, e rieccoci a Stresa, località che sul Foglio Fabiana Giacomotti aveva così descritto nel 2021: «Appena insediata, la sindaca», ovvero Marcella Severino, «ha identificato una serie di concessioni a cittadini dell’est europeo senza storia ma molto denaro contante, che negli ultimi anni hanno usato per comprare ville e terreni».
  Ebbene, si aggiungano i recenti hotel, da rilanciare o da costruire da capo financo raggiungendo le 7 stelle, e le annesse realizzazioni di maestosi parchi — lecito desumere che saranno creazioni non per la comunità quanto per i futuri elitari clienti —; le presenze russe sono aumentate, in un composito elenco di putiniani, doppiogiochisti, spie, mogli e amanti di magnati con due mete: di là le banche di Lugano, di qui il quadrilatero della Moda. Una logistica pure scontata, non fosse che negli istituti di credito giacciono gli immensi capitali che consentono le operazioni immobiliari in Italia. Risulta infine questo elemento: da Como, i russi si stanno spostando a Stresa. Da un lago all’altro. Perché?

(Corriere della Sera, 5 giugno 2023)

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Israele scopre un nuovo giacimento di gas

di David Fiorentini

Il Ministero dell’Energia israeliano e la compagnia petrolifera greco-britannica Energian hanno ufficialmente annunciato la scoperta di un nuovo giacimento di gas naturale al largo delle coste israeliane.
  Secondo le prime stime, il campo contiene circa 68 miliardi di metri cubi di gas, un numero notevole se considerato che il fabbisogno annuale israeliano si attesta poco sotto i 13 miliardi di metri cubi.
  Il nuovo giacimento è stato denominato “Katlan”, che in ebraico significa “Orca”, e si classifica come la quarta scoperta più vasta al largo delle coste israeliane. Sul podio salgono le riserve di Leviathan con oltre 600 miliardi di m3, seguito da Tamar con 300 miliardi di m3 e Karish-Tanin con circa 100 miliardi di m3, anch’esso di proprietà di Energian.
  “Questa scoperta creerà un valore considerevole per tutti i nostri partner e aprirà nuove opportunità per il gas israeliano sia nel mercato locale che in quello regionale, contribuendo al benessere dell’economia israeliana nel suo complesso”, ha dichiarato Matthew Rigas, amministratore delegato di Energian.
  La joint venture greco-britannica ha già individuato due potenziali rotte di esportazione per il gas estratto da Katlan. Nel dicembre 2021, infatti, l’azienda aveva firmato un memorandum d’intesa con la Egyptian Natural Gas Holding Company (EGAS) per la vendita di una quantità media di 3 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno per un periodo di 10 anni. Inoltre, l’azienda sta valutando la possibilità di esplorare altri mercati di esportazione europei tramite nuovi gasdotti o partnership con Cipro ed Egitto.
  Una scoperta che ha ricevuto anche il plauso del ministro dell’Energia, Israel Katz, il quale ha sottolineato come “le riserve di Katlan, insieme alle già presenti in Israele, abbia trasformano il panorama dell’economia energetica locale, rendendo Israele una potenza energetica globale”.
  Dal reperimento delle prime riserve di gas naturale al largo delle coste israeliane nel 2004, lo Stato di Israele ha generato entrate pari a circa 5,35 miliardi di dollari, che sono stati convogliati nel settore del welfare. Solo nel 2022, Israele ha ricevuto 45,5 milioni di dollari in royalties dalle compagnie che operano nei suoi giacimenti offshore.

(Bet Magazine Mosaico, 5 giugno 2023)

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Egitto e Israele avviano colloqui urgenti sulla morte di soldati israeliani al confine

Tre soldati israeliani e un poliziotto egiziano sono rimasti uccisi in una sparatoria al confine tra i due stati. Ora Egitto e Israele sono costretti ad avviare negoziati urgenti, riporta Egypt Independent.

Secondo la pubblicazione, l'incidente al confine è stato il primo caso di scontro a fuoco mortale tra l'esercito egiziano e quello israeliano in più di un decennio. Un ufficiale di polizia egiziano, secondo la parte israeliana, ha attraversato il confine e ucciso due soldati israeliani che prestavano servizio in un posto di guardia. Poi il poliziotto è stato eliminato, ma un altro soldato israeliano è stato ucciso in risposta al fuoco.
  L'incidente è avvenuto vicino al checkpoint di confine di Nitzana, che si trova a 40 chilometri a sud-est del punto in cui convergono i confini di Israele, Egitto e Striscia di Gaza. La parte egiziana afferma che un agente di sicurezza ha inseguito i contrabbandieri, durante l'operazione, le forze dell'ordine egiziane hanno attraversato il confine israeliano e l'esercito israeliano ha aperto il fuoco su di loro.
  La parte israeliana denuncia anche il contrabbando di droga, solo nel senso che l'esercito israeliano ha impedito un tentativo di contrabbando di sostanze illegali. Secondo alcuni rapporti, nella sparatoria sarebbe stata coinvolta un'organizzazione precedentemente sconosciuta, lo Scudo d'Egitto. A questo proposito, la stampa israeliana sostiene che bisogna ricordare le minacce che giungono al Paese da questa direzione.
  Si noti che la penisola del Sinai è una regione molto problematica in termini di criminalità e traffico di droga. L'esercito e la polizia egiziani, al meglio delle loro capacità, stanno cercando di resistere all'attività criminale, ma a volte questo porta a tali incidenti. Tuttavia, difficilmente ci si dovrebbe aspettare che uno sfortunato incidente al confine porti a una sorta di escalation tra i due paesi vicini.

(Top War, 5 giugno 2023)

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L’IDF festeggia il suo 75° anniversario

di Jacqueline Sermoneta

“La sicurezza del popolo e della patria d’ora in poi sarà nelle mani di questo esercito”. Con queste parole il 26 maggio 1948 il Primo ministro David Ben-Gurion istituiva ufficialmente le IDF – Israel Defense Forces, in ebraico “Tzahal” (acronimo di Tzva HaHaganah leYisrael).
  “Sono passati 75 anni. - ha affermato il Capo di Stato Maggiore, il Tenente Generale Herzi Halevi, come riporta il Jerusalem Post – Israele è un Paese forte e in continuo sviluppo, e, come in tutte le società prospere, in esso avvengono molte trasformazioni. Anche le sfide per la sicurezza stanno cambiando e con loro l’IDF. – ha aggiunto – Ogni giorno i nostri nemici sono pronti a mettere in pericolo la superiorità del nostro esercito, che viene mantenuta tale grazie alla sua alta capacità di apprendimento, al suo costante cambiamento e alla sua abilità di adattarsi a mutevoli sfide”.
  “Il provvedimento che istituisce oggi l’IDF è stato firmato allora con il giuramento di coloro che indossavano l’uniforme per la difesa del Paese. – ha continuato Halevi - Lo stesso giuramento viene ancora oggi pronunciato dalle giovani reclute e trasmesso come filo conduttore di generazione in generazione. Continueremo e manterremo la promessa di dedicarci tutti alla difesa della patria e della libertà d’Israele e al mantenimento della sicurezza del Paese e dei suoi cittadini”.
  Per l’occasione gli edifici sono stati illuminati di verde ed è stato svelato per la prima volta il simbolo che verrà impresso su tutti i carri armati e i veicoli blindati: “lo scudo d’acciaio” rappresentato dalla Stella di David a indicare l'indipendenza, l' unità e la protezione, e l’acciaio come il coraggio, la determinazione e la lealtà.
  L’IDF fu istituito poche settimane dopo la fondazione d’Israele, attingendo le sue prime reclute dalle unità paramilitari già esistenti. Oggi si compone di tre rami principali - fanteria, aeronautica e marina - che operano sotto un comando unificato, guidato dal Capo di Stato maggiore nominato dal governo, su proposta del Primo ministro e del ministro della Difesa. All’interno dell’IDF donne e uomini prestano servizio fianco a fianco in tutti i ruoli. È inoltre considerato una delle istituzioni più importanti nella società per la sua influenza sull’economia e sulla politica del Paese.

(Shalom, 5 giugno 2023)

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“Io, arabo cristiano, amo Israele, l’unico paese mediorientale con valori liberali”

Nato in Libano, Fred Maroun spiega perché difende lo stato ebraico dai terroristi e dai suoi nemici (anche occidentali).

Scrive il Times of Israel (28/5)

Mi è stato chiesto perché amo Israele” scrive Fred Maroun sul Times of Israel. “Dopotutto, Israele è ancora in guerra con il mio paese natale, il Libano, di cui un tempo occupava una parte, per non parlare del persistente conflitto con i palestinesi. E’ una domanda a cui non è facile rispondere, non perché non mi venga in mente un motivo, ma perché i motivi sono tanti e difficili da spiegare.
  Provo risentimento verso Israele per la sua invasione del Libano (avvenuta quando vivevo ancora lì)? Forse un po’, ma non proprio. Si può mettere in dubbio quanto fosse inevitabile quell’invasione (molti israeliani certamente l’hanno fatto), ma l’invasione non sarebbe mai avvenuta se Israele non fosse stato continuamente attaccato da terroristi palestinesi che agivano dal territorio libanese.
  Anche la guerra di Israele con Hezbollah è principalmente colpa nostra, per via della nostra incapacità di disarmare Hezbollah e per avergli permesso di agire come uno stato all’interno di uno stato.
  Da arabo nato cristiano e oggi ateo, vedo Israele come un bastione della libertà e dei diritti umani circondato da un mare di tirannia. I cristiani godono di alcune libertà anche in Libano, ma il Libano è impantanato non solo in una corruzione politica di livello mondiale, ma anche nell’estremismo musulmano influenzato sia dall’Iran che dall’Arabia Saudita. Durante una processione, domenica 30 aprile a Haifa, in Israele, per celebrare la Vergine Maria, Fadi Talhamy, un cristiano israeliano, ha spiegato: ‘Si prova un sentimento di appartenenza, a conferma che non siamo stranieri, che siamo di qui: cittadini dello stato d’Israele, che amiamo e che ci dà non solo piena libertà di culto, ma risorse per esercitarla’.
  Amo Israele per aver avuto successo dove tanti altri avrebbero fallito. Non solo per aver resistito a numerosi attacchi arabi, ma anche per aver costruito una nazione democratica e di successo in una regione dove democrazia e progresso sono una rarità. Il successo di Israele mi fa sperare che a volte prevalga la parte giusta, contro ogni probabilità.
  Amo Israele per aver ridato agli ebrei la loro casa dopo che gli era stata rubata così tante volte.
  Amo Israele per il modo in cui combatte le guerre che è costretto a combattere, con uno standard etico più elevato di quello che qualsiasi altra nazione potrebbe reggere in circostanze simili. Israele non combatte mai le guerre volentieri, ma solo perché sente di non avere altra scelta. Cerchiamo di essere del tutto onesti su questo punto: se tutti nel mondo avessero nei confronti della guerra lo stesso atteggiamento che ha Israele, non ci sarebbero più guerre.
  Amo Israele perché è un paese mediorientale con valori liberali di tipo occidentale. Certo, Israele è tutt’altro che perfetto. Ma quale paese è perfetto? La verità è che le imperfezioni di Israele me lo fanno amare ancora di più”.

Il Foglio, 5 giugno 2023)

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Iran: il primo ministro di Israele si scaglia contro l’Agenzia internazionale per l’energia atomica

Netanyahu: "La resa dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) all'Iran è una macchia sulla sua condotta. Le scuse fornite dall'Iran non sono né credibili né possibili. Se l'Aiea diventa un'organizzazione politica, la sua supervisione in Iran e i suoi rapporti non hanno senso".

GERUSALEMME - La “resa dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) all’Iran è una macchia sulla sua condotta. Le scuse fornite dall’Iran non sono né credibili né possibili. Se l’Aiea diventa un’organizzazione politica, la sua supervisione in Iran e i suoi rapporti non hanno senso”. Lo ha detto oggi il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, durante la riunione settimanale del governo. Le dichiarazioni del capo dell’esecutivo israeliano si riferiscono alla decisione dell’Aiea di alcuni giorni fa di chiudere le indagini su un sito iraniano sospetto.
  Già il primo giugno Netanyahu ha promesso che Israele farà tutto il necessario per impedire all’Iran di avere armi nucleari, rivolgendosi sia “all’Iran che alla comunità internazionale”. In precedenza, il portavoce del ministero degli Esteri di Israele, Lior Haiat, ha definito la chiusura di un’indagine dell’Aiea su un sito iraniano sospetto “una questione di grande preoccupazione”. Per Haiat “le spiegazioni fornite dall’Iran per la presenza di materiale nucleare nel sito non sono affidabili o tecnicamente possibili”. “L’Iran continua a mentire all’Aiea e ad ingannare la comunità internazionale”, ha aggiunto.
  All’inizio di questa settimana, l’Aiea ha interrotto le sue indagini sulle tracce di uranio artificiale trovate a Marivan, circa 525 chilometri a sud-est di Teheran. Gli analisti avevano ripetutamente collegato Marivan al programma nucleare militare segreto dell’Iran e accusato la Repubblica islamica di aver condotto lì test ad alto potenziale esplosivo nei primi anni 2000. Haiat ha avvertito che la chiusura del caso “potrebbe avere conseguenze estremamente pericolose” e che invia un messaggio agli iraniani, ovvero che possono “continuare a ingannare la comunità internazionale nel loro cammino verso il raggiungimento di un programma nucleare militare completo”. Infine Haiat ha indicato che la decisione “danneggia gravemente la credibilità professionale dell’Aiea”.

(Nova News, 4 giugno 2023)

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Tre soldati israeliani uccisi in un attentato al confine egiziano

di Ugo Volli

• La dinamica dell’attentato
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Tre militari israeliani sono stati assassinati sabato nel Sinai, al confine con l’Egitto, a una ventina di chilometri a sudest della striscia di Gaza. I loro nomi sono Lia Ben-Nun, Uri Itzhak Ilouz e Ohad Dahan. La zona dove sono accaduti i fatti è molto isolata, desertica e montagnosa. Solo qualche passaggio interrompe la barriera di protezione che marca il confine. Ben-Nun e Iluz erano a guardia di uno di questi passaggi ma non si sono accorti delle intenzioni aggressive di un poliziotto egiziano che proveniva da oltre il confine, o semplicemente non l’hanno visto. L’ultimo loro contatto con la base è avvenuta alle 4,15 di mattina, ben prima dell’alba, ma il loro silenzio evidentemente non ha suscitato allarme per qualche ora. I soccorsi sono stati inviati solo alle 9 e hanno scoperto i loro corpi senza vita. Sono stati chiamati dei rinforzi, è scattata una caccia all’uomo, il poliziotto egiziano è stato individuato da un drone, ma ha avuto comunque modo, prima di essere eliminato, di affrontare e uccidere l’altro soldato Dahan e di ferire leggermente un altro soldato israeliano.

• Le cause possibili
  La prima ipotesi che viene in mente e ancora la più probabile è che si sia trattato di un attentato islamista da parte di un militare radicalizzato. Purtroppo vi sono diversi precedenti di soldati di paesi arabi ufficialmente in pace con Israele che compiono attentati; il caso più famoso e terribile accadde nel ‘97 sulle rive del Giordano, quando una sentinella giordana prese di mira un pullman di studentesse in gita scolastica, compiendo una strage. Ma vi è un’altra pista. La zona del Negev al confine con l’Egitto è un luogo di contrabbando (soprattutto di droga, ma anche di armi e di esseri umani) gestito da tribù beduine spesso legate all’Isis, incontrollabili anche per il governo egiziano. Nella stessa notte fra venerdì e sabato e nella stessa zona, verso le 2.30, era avvenuto un sequestro di droga, di valore consistente (circa mezzo milione di euro). L’Egitto sostiene che il suo poliziotto avrebbe sconfinato all’inseguimento di contrabbandieri e che così sarebbe nato lo scontro. È anche possibile che il militare fosse al soldo dei contrabbandieri, come spesso accade, e che l’omicidio sia stato una vendetta o il tentativo di un altro passaggio di merce sporca. C’è un’inchiesta bilaterale in corso per capire questa dinamica.

• Le relazioni con l’Egitto
  Israele ha chiesto spiegazioni all’Egitto, con cui è in vigore un trattato di pace ormai storico, dato che risale al 1979. Esso però non è mai cresciuto fino a diventare amicizia fra i due popoli o almeno serena convivenza. Il mantenimento di questo accordo è comunque fra le premesse fondamentali della strategia israeliana tanto nei confronti del nemico comune Iran, quanto dei terroristi di Gaza, che l’Egitto, almeno dopo la fine dell’esperimento islamista di Morsi, tiene ben sigillato per evitare un contagio di Hamas nel suo territorio. Certo esso non può essere messo in discussione per un incidente del genere, come non lo è stato in passato quando dal Sinai sono stati tirati razzi su Eilat. Ma è chiaro che Israele deve cambiare parzialmente atteggiamento e vigilare ora più attentamente il confine del Sinai, così difficile sul piano topografico e ambientale.

• La deterrenza da mantenere
  Vi sono evidentemente però anche lezioni che Israele deve trarre sulle proprie tattiche di controllo del territorio. Un crimine del genere, con il prezzo terribile di tre ragazzi in servizio militare uccisi è certamente stato facilitato da errori tattici che andranno corretti, perché esso non si deve ripetere. La sicurezza di Israele non si gioca certamente su episodi come questi, ma i terroristi sono sempre alla ricerca di punti deboli e di affermazioni simboliche. Bisogna prevedere la possibilità che vi sia emulazione, che altri assalti del genere siano tentati. È importante che anche in luoghi così isolati della frontiera Israele sappia difendere i suoi ragazzi e mantenere la deterrenza.

(Shalom, 4 giugno 2023)


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Israele, la soldatessa Lia uccisa a 19 anni da un militare egiziano

Nell’agguato alla frontiera morti anche l’aggressore e due uomini di Gerusalemme

di Rossella Tercatin

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GERUSALEMME - Lia Ben Nun aveva 19 anni e indossare l'uniforme dell'esercito israeliano da soldato combattente era sempre stato il suo sogno, come testimoniato da una delle sue insegnanti del liceo. Ed è proprio mentre prestava servizio di guardia sul confine tra Israele ed Egitto nell'Unità Bardelas, una delle squadre combattenti in cui uomini e donne servono insieme, che Lia è stata uccisa insieme al commilitone Ori Yitzhak Iluz. Ad assassinarli, una guardia di frontiera egiziana che ha poi eliminato un terzo militare dell'Idf - Ohad Dahan - prima di essere a sua volta colpita a morte, in uno degli incidenti più gravi dalla pace tra i due paesi siglata nel 1979 - sebbene i vertici politici e militari delle due nazioni abbiano ribadito che il legame è saldo.
  "Era un soldato incredibile, e doveva iniziare l'addestramento come comandante", ha dichiarato il superiore di Lia Shahaf Katz, "era il cuore dell'unità e ora sono tutti inconsolabili". Sin dalla fondazione di Israele nel 1948, il servizio di leva è obbligatorio sia per gli uomini sia per le donne. Negli ultimi anni, sono state create diverse unità combattenti miste stanziate soprattutto a controllarne i confini. La zona tra Egitto e Israele è spesso teatro di contrabbando di droghe, attività che le truppe di entrambe le nazioni cercano di contrastare. Secondo l'IDF, un'operazione anti-droga è stata realizzata verso le 2.30 della notte tra venerdì e sabato - con la confisca di narcotici per oltre 400mila dollari.
  Verso le quattro, Ben Nun e Iluz, di guardia in una postazione a circa tre chilometri di distanza, hanno riportato via radio che la situazione era tranquilla. Cinque ore dopo sono stati ritrovati morti e poco dopo il responsabile - che indossava l'uniforme egiziana - è stato identificato con un drone non lontano dal luogo dell'attacco. Nel conflitto a fuoco che ne è seguito oltre all'attentatore ha perso la vita Dahan. La versione del Cairo invece sostiene che sia il militare egiziano e sia quelli israeliani siano morti in uno scontro a fuoco durante l'operazione anti-droga. I vertici militari del Cairo hanno espresso le loro condoglianze alle vittime israeliane. L'indagine per capire la dinamica dell'accaduto - e se la guardia fosse affiliata a qualche gruppo terrorista - prosegue.

(la Repubblica, 4 giugno 2023)

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Incidente Egitto-Israele, Netanyahu: "Apriremo un'indagine"

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha promesso un'indagine sull'uccisione di tre soldati lungo il confine meridionale con l'Egitto in un incidente dai contorni ancora poco chiari, in cui è morto anche un agente egiziano. La stampa israeliana ha fatto emergere nuovi dettagli, scrive che l'agente egiziano sarebbe stato motivato dall'estremismo religioso, dall'altra parte l'Esercito del Cairo sostiene che l'ufficiale coinvolto avrebbe oltrepassato la frontiera nel tentativo di inseguire trafficanti di droga.
  E poche ore prima dello scontro a fuoco sarebbe avvenuto un'operazione contro un gruppo di narcotrafficanti, come spesso avviene sul poroso confine di oltre 200 km, tra Israele ed Egitto, lungo il quale corre una tecnologica barriera di separazione costruita inizialmente da Israele per bloccare l'afflusso di migranti dall'Africa dopo la rivoluzione del 2011 in Egitto il conseguente aumento delle attività di gruppi jihadisti sulla frontiera, la presenza dell'Esercito israeliano è stata rafforzata.
  Nell'ultimo anno sarebbe inoltre raddoppiato il contrabbando di droga nell'area e l'attività, spiegano i media israeliani, coinvolgerebbe gruppi terroristici. Dal Cairo le autorità hanno fatto sapere che stanno collaborando alle indagini su quanto accaduto sabato e non ci sarebbero in Israele timori di una possibile crisi diplomatica, la relazione con l'alleato egiziano resta infatti centrale, è stato il Cairo ad aver mediato poche settimane fa, e non per la prima volta, un cessate il fuoco dopo giorni di violenze tra le milizie armate del jihad islamico ed Esercito israeliano e secondo fonti di stampa araba l'Egitto starebbe lavorando a una tregua sul lungo periodo tra Israele e gruppi armati palestinesi.

(Sky Video, 4 giugno 2023)

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Così il Kafka uno e trino cercava una nuova teologia

di Marino Freschi 

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«Quando Kafka leggeva i suoi scritti agli amici, quell'umorismo diventava particolarmente manifesto. Ridemmo, per esempio, senza freno quando ci fece sentire il primo capitolo del Processo. Egli stesso rideva talmente che per qualche momento non era capace di continuare la lettura. Fatto abbastanza strano quando si pensi alla tremenda serietà di questo capitolo».
  Così Max Brod ricordava la lettura, nel 1914, del più famoso romanzo del suo amico, nel Café Arco di Praga, la loro città, dove - a differenza del Café Continental, per Brod «una delle roccaforti del germanesimo di Praga», o della Kavárna Union e Café Slavia completamente ceche - si praticava il bilinguismo con la presenza degli artisti figurativi del Gruppo degli Osma, degli Otto germanofoni e cechi insieme, ovvero: autentici boemi. Dovevano essere serate vivaci e celebri, al punto che non passarono inosservate a Karl Kraus che da Vienna li battezzò ironicamente gli «Arconauti». In realtà il riservato Doctor juris Franz Kafka, funzionario dell'Imperial-regio «Istituto per gli Infortuni sul lavoro», frequentava anche il Café Louvre, dove erano assidui i discepoli del filosofo Franz von Brentano e dove, nel suo anno a Praga nel 1911, bazzicava anche Albert Einstein, nonché l'iniziatore della psicologia della Gestalt, Christian von Ehrenfels, come pure Rudolf Steiner, il fondatore dell'antroposofia, quand'era nella capitale boema. Insomma Kafka così solitario non era, anzi era partecipe del grande dibattito intellettuale ed estetico del suo tempo, che in gran parte è anche il nostro. Certo, Praga gli stava stretta, come scriveva, non ancora ventenne, all'amico del cuore, Oskar Pollak, nel 1902: «Praga non molla... Questa mammina ha gli artigli. Bisogna adattarsi o... In due punti dovremmo appiccarle il fuoco, al Vyehrad e al Hradschin, e così sarebbe possibile liberarci... Pensaci un po' su fino carnevale». Sempre quell'ironia disperata, pur nel graffiante umorismo. Qualcheduno ce l'aveva fatta a lasciare Praga: Rilke, che se ne fuggì e per tutta la vita non ne volle sapere di tornare.
  Praga significava per Kafka la famiglia, il padre Hermann, robusto, autoritario, un self-made-man, una forza della natura, un provinciale che da un oscuro villaggio ceco si era affermato nell'elegante Primo Distretto, e la madre Julie Löwy, discendente di una famiglia di rabbini. Stranamente un perfetto matrimonio. In effetti Kafka in quella Praga ebraica, di rabbini e di mercanti, era proprio radicato con tutta la sua anima antica, come confessò al giovane ammiratore Gustav Janouch, che gli aveva chiesto se ricordava ancora l'antico ghetto: «Dentro di noi vivono ancora gli angoli bui, i passaggi misteriosi, le finestre cieche, i sudici cortili, le bettole rumorose e le locande chiuse. Oggi passeggiamo per le ampie vie della città ricostruita, ma i nostri passi e gli sguardi sono incerti. Dentro tremiamo ancora come nelle vecchie strade della miseria. Il nostro cuore non sa ancora nulla del risanamento effettuato. Il vecchio malsano quartiere ebraico dentro di noi è più reale della nuova città igienica intorno a noi. Svegli, camminiamo in un sogno: fantasmi noi stessi di tempi passati». La tensione della memoria allude al nucleo più autentico della concezione del mondo kafkiana: quella di una nuova teologia - per rifarsi al testo postumo di Roberto Calasso, L'animale della foresta (Adelphi) - espressa negli Aforismi di Zürau (Adelphi, sempre a cura di Calasso), in cui affiora potente l'intuizione: «L'uomo non può vivere senza una costante fiducia in qualcosa di indistruttibile dentro di sé, anche se quell'indistruttibile come pure quella fiducia possono rimanergli costantemente nascosti. Una delle possibilità di esprimersi, per tale rimanere nascosto, è la fede in un Dio personale».
  L'universo kafkiano non sempre è ingarbugliato in percorsi letterari indecifrabili. Sovente Kafka è di una straordinaria e lucente chiarezza, alla pari con i grandi mistici d'Occidente: «Non è necessario che tu esca di casa. Rimani al tuo tavolo e ascolta. Non ascoltare neppure, aspetta soltanto. Non aspettare neppure, resta in perfetto silenzio e solitudine. Il mondo ti si offrirà per essere smascherato, non ne può fare a meno, estasiato si torcerà davanti a te». Queste intuizioni sono il risultato di un lungo periodo di solitudine in un villaggio, in una casa assai modesta, quando ormai era stata diagnosticata la tubercolosi che lo avrebbe portato alla morte - dolorosa - il 3 giugno del 1924, a Kierling, in una clinica vicino Vienna, a soli 41 anni. Era nato, infatti, il 3 luglio 1883. In questi mesi la sua opera viene rivisitata con riedizioni come l'adelphiana Il messaggio dell'imperatore a cura di Anita Rho, nonché con una ragguardevole impresa de Il Saggiatore che propone nuove traduzioni dei capolavori kafkiani: Il disperso, a lungo noto con il fuorviante titolo datogli da Brod America. La traduttrice Silvia Albesano si rifà all'edizione critica del 1983. Ugualmente alla medesima edizione si ricollega la nuova versione de Il processo a cura di Valentina Tortelli, e così pure Il castello a cura di Alessandra Iadiciccio che riconosce i meriti della «vecchia (e stupenda) traduzione di Anita Rho». Avremo tempo per valutare e apprezzare queste nuove proposte traduttive che ci forniscono in un linguaggio senz'altro più aggiornato i romanzi kafkiani. Il Saggiatore ci offre anche una riedizione di Kafka. Una battaglia per l'esistenza di Klaus Wagenbach (tradotto nel 1968 da Ervino Pocar), che è uno dei più validi contributi per avvicinarsi alla vita e all'opera dell'autore praghese.
  Praghese, ma anche ebreo, ma anche tedesco: questa triplice identità costituisce il complesso intreccio della scrittura di Kafka, così incerta e insieme così eccezionalmente lucida. Kafka chi era? L'amico degli espressionisti del Café Arco, sodale di Brod, Werfel, Kubin. Il riservato funzionario austro-ungarico. Oppure l'ebreo occidentale, assimilato e acculturato, tormentato dall'insicurezza metafisica, che voleva tornare all'ebraismo, a quello vero degli ebrei orientali, come scriveva a Milena, la raffinata intellettuale, sua traduttrice in ceco, con cui visse un breve e trascinante amore, custodito in uno dei più appassionati epistolari: «Se mi avessero dato la possibilità di essere ciò che voglio, avrei voluto essere un ebreo orientale giovinetto». L'ultimo amore fu Dora Diamant, una giovane ebrea orientale, di una famiglia ortodossa. Solo con lei trovò il coraggio di emanciparsi dagli artigli di Praga, ma era ormai tardi, anche se lui ancora progettava di salire (secondo l'uso ebraico) in Palestina, di aprire con Dora un caffè, lui cameriere, lei cuoca sopraffina. E studiava, studiava l'ebraico e riempiva quaderni di vocaboli più che di racconti. Scrisse, ai primi di maggio 1924, al padre di Dora per chiedere, come prescrive la tradizione, il permesso di sposarla. Il pio uomo mostrò la richiesta al suo Rabbi della dinastia chassidica di Ger. Il Rabbi si espresse negativamente. La risposta raggiunse Kafka ormai allo stremo delle forze. Dora gli era accanto con un giovane medico, Robert Klopstock: erano la sua dolce e affettuosa famigliola. I nodi si scioglievano, i problemi della vita trovavano una soluzione: la scrittura si conciliava con il matrimonio, con la fondazione della famiglia secondo l'aspettativa della Legge.
  Ma era tardi per aprire un Caffè in Palestina. La situazione precipitò. Per i dolori alla trachea Kafka non poteva più parlare, scriveva bigliettini eppure curava le bozze del suo ultimo racconto: Josefine la cantante o il popolo dei topi, uno dei più sofferti e significativi. Un testo tra i più emblematici della modernità. Praghese, ebreo, ceco e tedesco, funzionario, scrittore, mistico, il suo mistero è la sua grandezza, fondata sull'indistruttibile, che è il suo messaggio e la nostra interrogazione.

(il Giornale, 2 giugno 2023)

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Dalla Miriam di Israele alle Miriam dei Vangeli (4)

di Gabriele Monacis

    “Ecco, io sono la serva del Signore; mi sia fatto secondo la tua parola” (Luca 1:38).

Queste sono le ultime parole che Miriam disse all’angelo Gabriele, prima che lui se ne andasse e dopo averle annunciato che lei sarebbe diventata la madre di Gesù, il quale sarà chiamato Figlio dell’Altissimo.
  Del personaggio di Miriam, viene spesso messa in risalto l’umiltà, anche a motivo di ciò che disse di se stessa: Io sono la serva del Signore. Parole, tra l’altro, che pronunciò dopo essere stata investita di un ruolo che toccò solo a lei nella storia, cioè diventare la madre del Messia. Un qualcosa che avrebbe potuto inorgoglirla non poco.
  Non c’è dubbio che Miriam sia un esempio di modestia e di umiltà davanti al Signore e davanti alle creature angeliche, come Gabriele che le stava davanti. “Mi sia fatto secondo la tua parola” dice Miriam all’angelo. In queste parole c’è l’esatto opposto della ribellione. C’è una totale accettazione del compito che si è ritrovata nelle mani da un momento all’altro, con una visione che va ben oltre le conseguenze immediate, anche traumatiche, che questo ruolo avrebbe potuto comportare: diventare madre prima di diventare moglie, per giunta senza l’intervento del futuro marito Giuseppe. Non c’è dubbio che con queste parole all’angelo Gabriele, Miriam mostra di accettare con fede sincera il futuro che Dio ha scelto per lei, con spirito di umiltà e servizio, un futuro che avrebbe potuto portarla ad essere abbandonata e oltraggiata dai suoi conterranei.
  Ma aldilà dell’umiltà di assoluta particolarità di questa donna, le parole di Miriam mostrano anche altro di lei, e cioè la sua notevole consapevolezza della storia della salvezza di Dio verso Israele. Infatti, volendo proseguire a leggere il dialogo tra l’angelo Gabriele e Miriam con la chiave di lettura della continuità storica e dell’adempimento delle promesse di Dio, l’espressione usata da Miriam “serva del Signore” riporta il lettore ad altri servi del Signore di cui si legge nell’Antico Testamento. L’elenco vede personaggi di rilievo lungo tutta la storia di Israele, partendo dai patriarchi per arrivare al ritorno di Israele a Gerusalemme dopo l’esilio a Babilonia.
  Dio chiama Abramo “mio servo” in Genesi 26:24, ma anche Giacobbe, in Ezechiele 28:25, è chiamato così. Il personaggio a cui il titolo “servo dell’Eterno” viene attribuito più volte è certamente Mosè, non solo nel Pentateuco, ma anche in diversi altri libri dell’Antico Testamento, come Giosuè, i libri dei Re e delle Cronache. Anche Giosuè eredita il titolo di “servo dell’Eterno”, oltre al ruolo di guida del popolo dopo la morte di Mosè (vedi Giosuè 24:29). L’elenco potrebbe continuare con Giobbe, Davide, il re Ezechia, Eliachim e Zorobabele, che guidò parte degli esiliati da Babilonia di ritorno a Gerusalemme. Dio chiama “mio servo” ognuno di questi personaggi, almeno una volta nella Scrittura.
  Pertanto, questo titolo al femminile che Miriam attribuisce a se stessa, non mostra soltanto la sua umiltà, ma la inserisce a pieno titolo nella linea della storia del popolo di Israele, dalle origini dei patriarchi fino al periodo post-esilico che precedette il tempo in cui visse Miriam. È verosimile che, aspettando che Dio portasse a compimento la salvezza di Israele dopo questo lungo percorso storico, Miriam riconobbe di essere stata scelta da Dio come un ulteriore tassello verso l’adempimento della Sua salvezza.
  Ma c’è un ulteriore porzione della Scrittura che lega a doppio filo Miriam con Israele, ancora grazie al titolo di “servo del Signore”: è il libro del profeta Isaia. Si prenda ad esempio il versetto di Isaia 44:21, in cui Dio si rivolge a Israele chiamandolo “suo servo” per ben due volte nello stesso versetto:

    “Ricordati di queste cose, o Giacobbe, o Israele, perché tu sei mio servo, io ti ho formato, tu sei il mio servo, o Israele, tu non sarai da me dimenticato”.

Nei capitoli del libro di Isaia cha vanno dal 41 al 53, Israele non è l’unico ad essere chiamato “il servo dell’Eterno”. Infatti, nel capitolo 49 si parla del servo dell’Eterno che sarà formato, fin dal grembo materno, per essere Suo servo, per ricondurgli Giacobbe e per raccogliere intorno a Lui Israele (Isaia 49:5).
  E nel versetto seguente l’Eterno aggiunge:

    “È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e per ricondurre gli scampati d'Israele; voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra”. (Isaia 49:6)

È evidente che in questi due versetti si parli innanzitutto di un uomo, di un individuo, visto che sarà formato nel grembo di sua madre. E questo individuo non può essere il popolo di Israele, visto che al servo dell’Eterno di cui si parla è affidato un compito nei confronti del popolo, cioè di ricondurre Giacobbe all’Eterno e raccogliere Israele intorno a Lui.
  Il titolo “servo dell’Eterno” in questi versetti va dunque attribuito al Messia, cioè a Colui che salva Israele e lo riconduce all’Eterno. Non solo. Questo servo dell’Eterno è luce delle nazioni e strumento di salvezza fino alle estremità della terra. L’opera di questo Servo dell’Eterno è dunque salvifica non soltanto per Israele, ma per tutte le nazioni. Questa è la portata dell’opera di salvezza del Servo del Signore. E Dio ha chiamato Miriam affinché dal suo grembo nascesse il Servo del Signore.
  L’animo di Miriam deve aver raggiunto il culmine della meraviglia proprio in questo momento della sua vita. Ma deve aver provato anche profonda gratitudine verso Dio, che ha deciso di mandare il Suo Servo proprio in quel momento storico, per realizzare la tanto attesa salvezza di Israele e del resto delle nazioni.
  Dopo l’incontro con l’angelo, Miriam si reca a casa di Zaccaria ed Elisabetta, mentre questa era ancora incinta di Giovanni Battista, forse per cercare in lei un po’ di sostegno e comprensione. Alla vista e al saluto di Miriam, ad Elisabetta sobbalzò il bambino in grembo ed esclamò:

    “Benedetta sei tu fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno! Come mai mi è dato che la madre del mio Signore venga da me? Poiché ecco, non appena la voce del tuo saluto mi è giunta agli orecchi, il bambino mi è balzato nel grembo per la gioia. Beata è colei che ha creduto che quanto le è stato detto da parte del Signore avrà compimento” (Luca 1:42-45).

Grazie alla fede di Miriam nella parola che Dio le ha rivolto, fu possibile l’adempimento in lei di questa parola. “Beata è colei che ha creduto che quanto le è stato detto da parte del Signore avrà compimento”, le dice Elisabetta, testimoniando che lo stupore di Miriam dopo l’incontro con l’angelo e il sentimento di riconoscenza verso Dio, non sono solo una sua esperienza privata di fede personale. Anzi, gli effetti di quell’incontro si sono già estesi a membri della famiglia di Miriam, come Zaccaria ed Elisabetta.
  In quei giorni a casa di Elisabetta, sua parente, con il cuore pieno di lode ed esaltazione verso il Dio dei suoi padri, Miriam pronunciò queste parole:

    “L'anima mia magnifica il Signore
    e lo spirito mio esulta in Dio, mio Salvatore,
    poiché egli ha riguardato alla bassezza della sua serva . Da ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata,
    poiché il Potente mi ha fatto grandi cose. Santo è il suo nome
    e la sua misericordia è di età in età per quelli che lo temono.
    Egli ha operato potentemente con il suo braccio, ha disperso quelli che erano superbi nei pensieri del loro cuore;
    ha detronizzato i potenti e ha innalzato gli umili;
    ha ricolmato di beni gli affamati e ha rimandato a mani vuote i ricchi.
    Ha soccorso Israele, suo servitore, ricordandosi della misericordia
    di cui aveva parlato ai nostri padri, verso Abraamo e verso la sua discendenza per sempre”.

    (Luca 1:46-55)

Anche in questo canto, il personaggio di Miriam si identifica con il popolo di Israele. Parlando dell’Eterno, Miriam dice nuovamente di essere “Sua serva” e Israele è “Suo servitore”. Con questa identificazione, Miriam afferma che ciò che Dio ha appena fatto in lei, un membro di Israele, è come se lo avesse fatto nell’intero Suo popolo. Attraverso Miriam, Dio ha adempiuto la Sua promessa di salvezza in Israele e per Israele.
  Con questo canto, sembra che Miriam voglia chiamare tutto Israele, e tutti quelli che temono il Signore, a lodarlo ed esaltarlo con lei, per essersi ricordato del Suo patto con Abramo e per essersi dimostrato misericordioso ancora una volta verso Israele.
  “Egli ha operato potentemente con il suo braccio” dice Miriam. E ancora: “ha detronizzato i potenti e ha innalzato gli umili”. Non sono forse queste parole un richiamo ad un altro evento della storia di Israele in cui Dio stese il Suo braccio per togliere potere ai potenti ed innalzare gli umili? Era il giorno in cui un’altra Miriam diceva ai figli di Israele:

    “Cantate all'Eterno, perché si è sommamente esaltato; ha precipitato in mare cavallo e cavaliere” (Esodo 15:21).

Israele cantò all’Eterno quando Egli gettò nel mar Rosso i cavalli e i cavalieri degli egiziani, nemici di Israele, che era appena uscito dalla terra d’Egitto. Dio fece morire gli egiziani nel mare, ma lasciò che tutto Israele lo attraversasse all’asciutto. Allora tutto il popolo vide la grande potenza che l'Eterno aveva dispiegata contro gli Egiziani; così il popolo temette l'Eterno e credette nell'Eterno e in Mosè suo servo (Esodo 14:31).
  Così i figli di Israele cantarono all’Eterno. E Miriam, sorella di Mosè e Aaronne, si mise alla guida delle donne di Israele con timpani e danze, rispondendo loro:

    Cantate all'Eterno, perché si è sommamente esaltato; ha precipitato in mare cavallo e cavaliere”.
Ecco. Il personaggio di Miriam, sorella di Mosè, è tornato dopo molti secoli. La Miriam che aiutò il piccolo Mosè a non annegare nelle acque del fiume Nilo, lo stesso Mosè che poi liberò Israele dagli egiziani; la Miriam che guidò Israele a lodare ed esaltare Dio, ecco, proprio quel personaggio torna nel Vangelo; anche se in un contesto storico e sociale completamente diverso, torna con lo stesso ruolo. Miriam, la madre di Gesù, ha infatti permesso che venisse al mondo Colui che è la salvezza non solo di Israele, ma anche delle altre nazioni; e ha anche intonato il canto sopra riportato, affinché tutto Israele si unisse a lei per lodare ed esaltare il Signore, che in Gesù il Messia, il servo dell’Eterno, ha adempiuto la Sua promessa.
  Ma a differenza di Miriam, sorella di Aaronne, la quale non riconobbe l’autorità che Dio aveva dato al Suo servo Mosè e diventò lebbrosa, la Miriam, madre di Gesù, dice di se stessa in totale sottomissione alla volontà di Dio: “Io sono la serva dell’Eterno, mi sia fatto secondo la parola dell’angelo”. E poi esulta con il suo canto, perché sa che la salvezza di Israele sta per arrivare grazie al Messia, il Servo dell’Eterno, che nascerà da lei.
  Ricordando proprio l’episodio della lebbra di sua sorella Miriam, Mosè fece un monito a Israele, un invito da prendere seriamente in quanto valido ancora oggi:
    "Ricordati di quello che l’Eterno, il tuo Dio, fece a Miriam, durante il viaggio, dopo che foste usciti dall’Egitto (Deuteronomio 24:9).
(4. fine)
(Notizie su Israele, 4 giugno 2023)



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Israele, tre soldati uccisi alla frontiera con l’Egitto. 

«È stato un poliziotto egiziano infiltratosi oltre confine». Incidente di frontiera tra i più gravi da quando i due Paesi hanno siglato il Trattato di pace. Ma i due eserciti assicurano collaborazione nelle indagini.

Tre soldati israeliani sono stati uccisi oggi, sabato 3 giugno, a ridosso del confine con l’Egitto. Ad aprire il fuoco contro due di essi nelle prime ore del mattino, e poi contro un terzo attorno alle 12, sarebbe stato un poliziotto egiziano, ha fatto sapere l’Esercito israeliano. Nel secondo scontro a fuoco l’assalitore stesso è stato ucciso dalle forze israeliane. L’assalto armato, avvenuto tra il Monte Sagi e il Monte Harif, nel deserto del Negev, è uno dei più gravi incidenti di confine tra Israele e Egitto da quando i due Paesi hanno firmato il Trattato di pace, nel 1979. Tel Aviv ha comunque assicurato che è in corso un’indagine per far pienamente luce su quanto accaduto «in piena collaborazione con l’esercito egiziano».

• La dinamica del doppio agguato
  A ricostruire pubblicamente quanto accaduto, dopo che le famiglie delle vittime erano state informate, è stato un portavoce militare israeliano. «Nelle prime ore del mattino due soldati dell’esercito, un uomo e una donna, sono stati uccisi da un assalitore che ha aperto il fuoco contro di loro mentre assicuravano una postazione militare al confine egiziano. Subito dopo altri soldati sono arrivati nell’area e vi hanno condotto ricerche. A mezzogiorno (ora locale), durante le ricerche, i soldati hanno identificato l’assalitore in territorio israeliano e uno scambio a fuoco si è sviluppato tra l’assalitore e i soldati. I soldati hanno sparato ed ucciso il sospetto. Durante lo scontro a fuoco, un soldato è stato ucciso e un sottufficiale è stato leggermente ferito». L’assalitore è un poliziotto egiziano, ha detto ancora il portavoce, e i soldati di Tzahal «continuano a perlustrare l’area per escludere la presenza di altri assalitori».

• Cosa è andato storto
  Mentre il premier Benjamin Netanyahu, ha fatto sapere il suo staff, «è costantemente aggiornato sulla situazione», sono in corso le indagini dell’Esercito israeliano coordinate con quelle del Cairo per capire come i due soldati di stanza al confine possano essere stati colti di sorpresa e freddati dall’assalitore. Come ha potuto in particolare colui che è descritto come un poliziotto egiziano infiltrarsi, armato, nel territorio israeliano e agire per ore indisturbato? Il portavoce di Tzahal Daniel Hagari ha detto che i due soldati uccisi per primi – un uomo e una donna – avevano preso servizio per il loro turno di guardia venerdì sera. Dopo che i due non hanno risposto agli appelli radio dei colleghi sabato mattina, un ufficiale li ha raggiunti e li ha trovati morti. Più tardi, rintracciato l’assalitore, il secondo scontro a fuoco mortale.

Libero, 3 giugno 2023)
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Purtroppo, come tutti sanno (ma pochi dicono) la pace tra Israele ed Egitto è una “pace fredda” che si tiene soprattutto grazie alla volontà di Al-Sisi (con Morsi era ben diverso). La maggior parte della popolazione continua a considerare gli ebrei dei nemici da uccidere, come viene insegnato loro nel Corano, in molte scuole e in molte moschee. Non a caso anche in Egitto girano indisturbati il Mein Kampf e i Protocolli dei Savi di Sion. Emanuel Segre Amar

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Bandiere Blu 2023: Israele è una perfetta meta green

di Francesca Spanò

Israele si riconferma come la destinazione giusta per chi vuole unire paesaggi mozzafiato alla sostenibilità e, anche stavolta, ha fatto incetta di Bandiere Blu. Sono, infatti, ben 56 le spiagge che hanno ottenuto il prestigioso riconoscimento, insieme a 3 porti turistici affacciati su Mar Rosso, Mar Mediterraneo e Mar Morto. Ad assegnarle è stata la Foundation for Enviromental Education (FEE), l’organo leader nel campo dell’educazione ambientale allo sviluppo sostenibile.

• Cosa sono e cosa rappresentano le Bandiere Blu?
  Vengono riconosciute dopo attenti controlli annuali e la selezione prevede il superamento di 6 criteri principali: qualità dell’acqua, educazione ambientale, responsabilità verso la fauna selvatica, gestione ambientale, sicurezza e servizi offerti e responsabilità sociale. L’obiettivo finale è quello di indirizzare le attività delle località costiere, soprattutto quelle turistiche, verso una gestione ecosostenibile del territorio.

• Quali sono i luoghi di Israele con le Bandiere Blu 2023?
  Kalanit Goren, Consigliere per gli Affari Turistici, Ambasciata d’Israele e direttrice Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo in Italia ha dichiarato:

    Sostenibilità, ospitalità e cura dell’ambiente sono da sempre pilastri fondamentali per Israele, che essendo un paese giovane è concepito con strutture ricettive moderne e all’avanguardia nel rispetto delle risorse del territorio. Inoltre Israele è un paese fortemente cosmopolita e nel tempo ha saputo rispondere alle esigenze culturali, alimentari e sociali di tutte le etnie che vi risiedono o che vengono in visita. Gran parte della ricerca della start up Nation è indirizzata proprio alla sostenibilità; si pensi che Israele è l’unico Paese al mondo che riesce a riutilizzare oltre il 70% delle acque reflue grazie ai sistemi di riciclo e depurazione delle acque nel deserto del Negev.

Le località balneari israeliane sono sempre molto gettonate per la loro bellezza, il mare cristallino e la sabbia finissima: i servizi che offrono ai visitatori sono unici e i panorami incontaminati sono capaci di emozionare. Ecco quali sono:

  • Galei Galil (Nahariya)
  • Argaman North, Argaman South (Akko)
  • Naot 2 (Kiryat Haim Center), Naot 3 (Kiryat Haim North), Bat Galim , Bat Galim 2, Carmel 1, Carmel 2, Zamir North, Zamir Center, Zamir South, Dado North, Dado Center, Dado South (Haifa)
  • Neve, Yam, Dor Center, Aquaduct (Hof Hacarme)
  • Tsanz (religioso) , Haonot Amphi, Herzl, Sironit A (nord), Sironit B (sud), Lagoon (Argaman), Poleg (Netanya)
  • Acadia nord, Acadia sud, Marina Herzliya (Herzliya)
  • Zuk nord, Zuk sud, Tel Baruch, Mezizim , Nordau , Hilton, Gordon, Frischmann, Bograshov, Gerusalemme, Aviv, Charles Clore, Givat Aliyah, Marina Tel Aviv, Porto di Giaffa (Tel Aviv-Giaffa)
((Travelglobe, 3 giugno 2023)

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Il silenzio scende sul naufragio della “barca delle spie” sul Lago Maggiore

“Sono un funzionario della Presidenza del Consiglio” e “Faccio parte di una delegazione governativa israeliana”. Questo si sono limitati a dichiarare gli agenti dei servizi segreti italiani e del Mossad testimoni del naufragio e che erano a bordo della ‘Gooduria’, la barca affondata nel Lago Maggiore.
  La Procura di Busto Arsizio riconvocherà nei prossimi giorni gli agenti italiani, quelli israeliani sono stati subito portati via con un volo speciale proveniente da Israele. L’obiettivo è ricostruire come e perché l’imbarcazione sia affondata durante una tromba d’aria. Gli 007 forniranno le loro versione sulla dinamica dei fatti mentre potrebbero decidere di non rispondere in maniera esaustiva a domande sul perché si trovassero a Sesto Calende, se solo per partecipare alla gita sul Lago Maggiore o per una riunione di lavoro tra servizi di intelligence.
  Che sulla vicenda stia già calando una rapidissima nebbia di copertura lo si desume dalla decisione di non effettuare le autopsie sui quattro cadaveri del naufragio. Il medico legale ha dichiarato che sono morti per ‘annegamento’ e che non presentano segni di lesioni e la Procura ha quindi ritenuto di non effettuare ulteriori accertamenti.
  Il New York Times fa parlare uno dei magistrati incaricati dell’indagine. “Non voglio che ci siano dubbi sul fatto che non abbiamo portato avanti le indagini fino in fondo”, ha detto il Procuratore capo di Busto Arsizio, il dott. Nocerino. “La barca e il suo contenuto sarebbero stati confiscati e posti sotto l’autorità giudiziaria”.
  A partire da mercoledì pomeriggio, la barca era stata trascinata vicino alla riva, ma è rimasta sott’acqua, dopo diversi tentativi infruttuosi di risalire in superficie con palloni aerostatici.
  La salma dell’agente cinquantenne del Mossad Shimoni Erez è stata riportata in Israele già mercoledì 31 maggio, come ha annunciato in una nota ufficiale del primo Ministro israeliano a nome dell’agenzia. “Il Mossad ha perso un caro amico, che ha dedicato la sua vita alla sicurezza dello Stato di Israele per decenni, anche dopo essere andato in pensione”.
  “Non era lì per una vacanza o una festa di compleanno. Non era una missione operativa, ma era legata al suo lavoro”, ha accennato il parlamentare israeliano ed ex vice capo del Mossad, Ram Ben Barak, in un’intervista alla radio pubblica israeliana. 
  La televisione israeliana “I-24 news” scrive che gli israeliani  potrebbero aver “monitorato i contatti tra aziende italiane e iraniane” impegnate a “trattare con componenti civili usati per i droni” che potrebbero essere usati nella guerra in Ucraina. Inoltre, l’area ospita un certo numero di ricchi ebrei italiani che hanno contatti regolari con politici locali e internazionali di alto livello, personaggi della cultura e altri personaggi degni di nota. Il rapporto suggerisce che gli agenti dell’intelligence potrebbero aver completato o intrapreso una missione relativa a entrambi i gruppi di figure residenti nell’area. “La rapida estradizione da parte delle agenzie di spionaggio italiane e israeliane che non fa che aumentare l’intrigo” riporta il servizio di I-24 News.
  Il problema è che in questa vicenda ci sono quattro morti. Silenziarla potrebbe fare troppo rumore.

(Contropiano, 3 giugno 2023)

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Qual è lo stato dell’ebraismo in Italia?

Fotografia di uno stallo, tra identità, identitarismo, conservazione e incoscienza storica

di Claudio Vercelli

Queste non sono noccioline. Ovvero, non costituiscono parole gratuite come neanche il classico “sasso lanciato nello stagno”, tanto per fare un po’ di scena, magari sul momento, per poi velocemente smontare baracca e burattini e tornare quindi nel silenzio. Di esercizi manieristi e coreografici, peraltro, sono lastricate le strade dell’incomprensione.
  Veniamo quindi al dunque. Qual è lo stato dell’ebraismo in Italia? Forse siamo in presenza di un paradosso. Oppure, pensandoci, tale non è, non almeno ad osservare le cose con uno sguardo un po’ meno superficiale di quello che, altrimenti, si è disposti ad offrire ad esse. Mentre l’ebraismo, a partire proprio da quello italiano, gode di un’attenzione mediatica, e di pubblico, che è andata crescendo dagli anni Ottanta in poi, non essendo solo la risultante dell’immagine di una «minoranza» bensì il calco storico e culturale di una più grande collettività – ossia, nel nostro caso, di un intero Paese, e quindi della sua stragrande maggioranza, composta da cristiani – la sua presenza demografica va ridimensionandosi, sempre più spesso racchiusa, così com’è, in classi di età avanzate. In parole spicciole, si parla di ebrei nel momento in cui la loro presenza va progressivamente rarefacendosi. C’è un qualche nesso tra l’una cosa (il rendere oggetto di attenzioni mediatiche una minoranza) e l’altra (il misurarne la consunzione numerica)? Evitiamo facili speculazioni così come banalizzazioni. Cerchiamo invece di capire perché una tale attenzione pubblica (beninteso, a volte non sempre benevola) si manifesti proprio in un tornante demografico invece decrescente. Certo: l’impatto culturale di un gruppo non lo si misura esclusivamente sul numero di elementi che lo compongono. Semmai conta il ruolo che storicamente ha esercitato. Tuttavia, ciò non basta per arrivare ad una qualche conclusione.
  Non c’è comunque solo questo aspetto. Si tratta anche d’altro, che pure non è per nulla estraneo alla trasformazione nella composizione della società ebraica peninsulare. La quale, comunque, continua a dare anche segni di vitalità, soprattutto nel Meridione d’Italia. A non pochi – infatti – il dibattito interno alle Comunità, e ai suoi organismi nazionali, pare essere spesso ingessato. Ossia, incapace di andare oltre non solo alle medesime posizioni già manifeste, quelle in qualche modo precostituite, ma ad un orizzonte, altrimenti disegnato a priori, dove chiunque non adotti schemi di pensiero e di espressione collaudati rischia non solo di essere frainteso bensì di subire un qualche scherno pubblico.
  Al limite, soprattutto quando si scade nel confronto virtuale – laddove le responsabilità sono e rimangono comunque sempre personali – di una sorta di gogna mediatica, tra irrisioni e vituperi, sarcasmi e rifiuti. La qual cosa, in sé, è ancora più incongrua dal momento che non esiste una “linea ufficiale” nell’ebraismo italiano, alla quale tutti dovrebbero allinearsi, se non per ciò che, del tutto legittimamente, costituisce il perimetro della difesa (e promozione) della sua continuità storica ed esistenziale.
  L’ebraismo non è un partito. Almeno su questo ultimo aspetto non si potrà che concordare. Raccoglie il pluralismo di coloro che ne sono parte come anche le influenze del dibattito che si svolge intorno ad esso. Dopo di che, è proprio sul modo in cui intendere il senso di quel “perimetro di difesa” che invece le posizioni non solo divergono (e fin qui poco o nulla di male) ma, troppo spesso, si contrappongono, fino alla censura reciproca. A tale riguardo esiste anche il fenomeno del «fuoco amico», che si esprime con un’intransigenza che rasenta l’intolleranza verso l’altrui opinione. Si tratta di un costume di comportamento che si associa a quel populismo comunicativo che è grande parte del tempo che stiamo vivendo. Al pari di certo revisionismo spicciolo, e di uno stile di condotta intellettuale che porta al rifiuto identitario di ogni forma di dialogo, un tale approccio, nel mentre disseziona ogni affermazione altrui – decontestualizzandola, privandola dei significati che la corroborano, trasformandola in materia di pura polemica – al medesimo tempo si erige a giudice implacabile di un’ortodossia culturale che non ammette repliche. Non sono mai il dibattito e l’analisi critica a dividere; semmai è il gusto dello scontro implacabile a fare appassire la vitalità che pure sussiste ma fatica a manifestarsi.
  Non di meno, mentre da una parte si chiede legittimamente a tutti gli italiani di comprendere e riconoscere le radici storiche e le ragioni civili di una minoranza, dall’altra si rischia di essere inesorabilmente intransigenti nel giudicare quelle posizioni che non traducano la comprensione in mera identificazione, ossia in un rapporto acritico, quindi aprioristico, non tanto con la propria storia di gruppo bensì con l’idea prevalente, a tratti immaginaria, che di essa si nutre. In una sorta di richiesta di allineamento, non si sa bene neanche rispetto a qualcosa che non sia, il più delle volte, pura ricostruzione in chiave di insindacabile mitografia. Si tratta, in quest’ultimo caso, di un meccanismo ideologico che assume ed indossa vesti tanto rilucenti quanto ingannevoli. Tali poiché abbaglianti, in grado di produrre incrostazioni che, nel corso del tempo, sono destinate a non fare più fluire la corrente dell’identità. In quanto quest’ultima non è mai un elemento fermo, fisso, immobile ma un muoversi nel tempo. Se non trova canali di scorrimento, è obbligata a divenire una sorta di anacronismo.
  In ciò che diciamo non c’è nessuna licenza poetica, né un gratuito filosofeggiare – tanto per capirci – bensì la consapevolezza che coloro i quali pensano, e quindi osservano, quanto è passato come se costituisse un tempo senza storia, rischiano di mummificare non solo ciò che fu ma anche, e soprattutto, il presente. Proprio ed altrui. Si scambia infatti troppo spesso la sclerosi per auto-protezione, la separazione per conservazione, il particolarismo per tradizione. E molto altro ancora.
  Liberarsi dalla necessità di nutrire il bisogno di illusioni è invece la premessa per non ingannarsi da sé. Poiché qualsiasi questione che rimandi alle idee diffuse, di senso comune, ha a che fare con quella condizione che chiamiamo con il nome di «potere»: è tale ciò che, avendo la forza di includere, può al medesimo tempo decidere di escludere, emarginando quanti non intendano sottomettersi ad esso. Da sempre è così. Non è una questione “ebraica”; si tratta di un fatto sociale, che attraversa tutti i gruppi storici. Un tale riscontro deve quindi indurre a non pensare che la preservazione di una storia collettiva debba sempre e comunque risolversi in coloro che esercitano, di volta in volta, una egemonia di comunicazione rispetto al gruppo di appartenenza. Non è una lotta tra persone, e men che meno tra schieramenti precostituiti, bensì un problema di equilibri e tolleranze tra le diverse parti. Equilibri, per capirci, che non evocano improbabili par condicio e, ancora meno, lottizzazioni di sorta. Semmai domandano di non utilizzare temi e problemi come terreni di dogmatismo e di scomunica.
  Proprio per tali ragioni, se la lotta contro l’antisemitismo deve essere patrimonio comune, per ebrei e (soprattutto) non ebrei, bisogna allora capire non solo cosa si stia chiedendo agli interlocutori ma anche che cosa possa essere offerto in chiave di apertura, scambio e condivisione. In quanto il rapporto, tra minoranze e maggioranza, non è mai univoco. Semmai biunivoco, richiamando un obbligo di restituzione: se tu mi ascolti, e cerchi di capirmi, al pari mi impegno a comprenderti. Anche nelle tue contraddizioni. Fermo restando un riscontro che, invece, a molti sfugge: l’ebraismo non si riduce esclusivamente al racconto delle sofferenze sopportate e ad un lacrimevole passaggio su questa terra. Non si può racchiudere e risolvere la sua dimensione storica solo ed esclusivamente nelle persecuzioni subite. Come invece piacerebbe a non pochi interlocutori. Altrimenti il sionismo, e lo stesso Stato d’Israele, non sarebbero mai esistiti. Su un tale piano inclinato, una riflessione rispetto al tema ricorrente della «memoria», sui suoi molti usi ma anche su alcuni abusi, ovvero sulle sue torsioni di significato, a questo punto si imporrebbe. In maniera laica e pacata.
  Sì, è vero: si continua a parlare degli ebrei soprattutto in rapporto alla Shoah. Ossia, di quella catastrofe collettiva che ha cercato di cancellarne la presenza planetaria. Lo stesso interesse per la cultura ebraica, e per la sua profonda presenza nella società dei gentili, viene spesso risolto in questa immedesimazione, a tratti quasi sentimentale ed affettiva. Non per questo, tuttavia, si deve assecondare una tale prassi, quand’anche da essa se ne possano trarre quei legittimi riscontri di tangibilità che, invece, non sono riconosciuti dal costituire una cultura e un insediamento complessi, fatti di continuità e discontinuità, di narrazioni e di interruzioni, di passaggi così come di incontri, commistioni, condivisioni. L’ebraismo è sopravvissuto al tempo (e nel tempo) proprio per questa sua capacità adattiva. Non è camaleontismo ma è pluralismo interno. Che a certuni piaccia o meno.
  Ed al riguardo, in un oramai non troppo recente numero di Moked, si era già avuto modo di scrivere: «c’è uno spettro che si aggira per l’Europa; non è quello del comunismo e neanche del fascismo bensì quel fantasma della libertà che è costituito dall’aggrapparsi al discorso sulla “identità”. Soprattutto quando quest’ultima è millantata per una qualche forma di diritto assoluto, inderogabile, non giudicabile (“io sono ciò che dichiaro di essere, punto e basta”) mentre nei fatti è invece un dovere imposto a terzi, in nessun modo negoziabile (”avete l’obbligo di piegarvi alla signoria del mio giudizio, altrimenti siete in fallo”).
  Come esiste una malattia dello Stato nazionale nell’età della sua crisi, ed è il sovranismo, così si dà una patologia del carattere individuale, e del pensiero di gruppo, che è l’identitarismo. Cerchiamo di capirci. […] L’identità, in sé, è un architrave fondamentale del modo in cui le persone intendono se stesse. […] L’identitarismo è invece la perversione del presupposto identitario, in quanto lo trasforma in un mero costrutto ideologico. E ciò avviene quando l’identità perde quel tratto non solo soggettivo, personale, quindi fluido, destinato a modificarsi nel tempo – per adattamento ai mutamenti dell’ambiente circostante – ma anche la sua natura di elemento di comunicazione. Fatto che si verifica tanto più nel momento in cui gli individui, tra di loro consorziati, si arroccano nella rivendicazione di uno spazio di gruppo completamente chiuso rispetto a qualsiasi influenza esterna: una sorta di recinto mentale, prima ancora che altro, ossia un confine d’acciaio che finge di potere prescindere da qualsiasi confronto con ciò che gli sta intorno. I fondamentalismi di ogni genere e risma, quindi non solo quelli religiosi, storicamente soddisfano un tale criterio di condotta. Ma per estensione sono anche altri gli atteggiamenti collettivi che ne rimangono interessati. Il tratto comune a tutti è il riferimento ad una qualche forma di paura da contaminazione: se mi confronto e mi “confondo” con ciò che è diverso da me, rischio di corrompermi. Ragion per cui mi rinserro in me stesso, nel mio gruppo di omologhi e rifiuto tutto quanto possa in qualche misura rimanere estraneo da ciò. […] L’identità, quindi, come tratto profondo, ascritto, [al pari di] un calco ineludibile e non trasformabile; non invece [elemento della] personalità, in quanto prodotto storico. I fondamentalismi, d’altro canto, da sempre cancellano la storia come racconto della trasformazione degli individui, delle comunità e delle società. Nell’età della globalizzazione, l’angoscia da omologazione così come il timore per un tempo a venire del quale non si colgono i lineamenti, possono produrre molti mostri. Soprattutto quelli che abitano i pensieri di chi non riesce a pensarsi».
  Ecco, forse bisogna ripartire anche da quest’ansia che, a volte, sembra essere lenita da una tentazione desecolarizzante, quand’anche, in fondo, ciò non segni ritorno alcuno alla religiosità ma, piuttosto, un vagare tra suggestioni di improbabili uniformità, laddove invece ciò che si ottiene è una crescente incoscienza di sé e della propria medesima storia.

(JoiMag, 28 maggio 2023)


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Disagio davanti a una fotografia

Come persona che da più di vent'anni pone l’attenzione e scrive su Israele, e di conseguenza segue dall’esterno quello che accade e si dice in ambito ebraico italiano, ho cominciato a leggere con interesse l’articolo che qui precede dal titolo “Qual è lo stato dell’ebraismo in Italia?” Alla fine della lettura ho provato quel senso di disagio che sempre  mi coglie quando leggo gli articoli di questo autore. E mi sono posto la solita domanda: ma alla fine, che ha detto? Mi dico che forse la risposta sintetica si trova nell’ultimo capoverso: “Ecco, forse bisogna ripartire anche da quest’ansia…”  Cerco allora di capire cos’è quest’ansia e vado al capoverso che precede, dove trovo scritto che nell’età della globalizzazione, l’angoscia da omologazione può produrre molti mostri. Volendo scoprire da dove vengono questi mostri, risalgo all’inizio del capoverso e trovo scritto che esiste una malattia dello Stato nazionale, che è il sovranismo, il quale nella sua forma patologica più acuta diventa identitarismo, che però si distingue dall’identità perché “l’identitarismo è la perversione del presupposto identitario, in quanto lo trasforma in un mero costrutto ideologico”. E per spiegare il meccanismo della trasformazione si aggiunge che  “ciò avviene quando l’identità perde quel tratto non solo soggettivo, personale, quindi fluido, destinato a modificarsi nel tempo”. E’ difficile a questo punto resistere alla tentazione di applicare al discorso il noto neologismo semantico di Ugo Tognazzi. Ma non sarebbe giusto. L’autore certamente ha voluto dire qualcosa. Già, ma che cosa? E’ difficile districarsi nel profluvio di “ismi” e concetti astratti di cui l’autore fa abbondante uso. A parte termini largamente usati in politica e letteratura come fascismo, comunismo, ebraismo, sionismo per indicare sommariamente fenomeni storici ormai noti, è difficile pensare di poter spiegare un’esistente situazione di fatto con un discorso infarcito di termini astratti e generici come pluralismo, pluralismo interno, populismo, populismo comunicativo, identitarismo, presupposto identitario, revisionismo, revisionismo spicciolo, sovranismo, dogmatismo, camaleontismo, meccanismo ideologico, globalizzazione, tentazione desecolarizzante, angoscia da omologazione. Ciascuno di questi termini ha una valenza semantica talmente ampia che a seconda di come li si usa  possono dare al discorso una varietà illimitata di significati. Non è vero dunque che chi scrive non voglia dire nulla, come avviene  nei personaggi di Tognazzi, ma l’eventuale significato di quello che l'autore vuol comunicare rimane oscuro, e si disperde tra i lettori in una molteplicità talmente vasta di interpretazioni che alla fine si equipara al nulla. Ha bisogno di questo l’ebraismo in Italia? M.C.

(Notizie su Israele, 3 giugno 2023)

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La mia “Hashomer Hatzair”

Si sono svolti anche in Israele i festeggiamenti per i 110 anni dell’HaShomer Hatzair. Angelica Edna Calo Livne ci spiega cosa rappresenta per l’intero paese.

di Angelica Edna Calo Livne

Giovani dell’HaShomer agli inizi dello Stato d’Israele
L’educazione informale è un’inestimabile occasione di crescita. Le arti, lo sport, i corsi di arricchimento sono un prezioso complemento alla storia, alla matematica e alle scienze che si imparano a scuola ma hanno un valore speciale perché sono stati scelti, desiderati e adattati alla propria personalità.
  Ma il movimento giovanile ha un ruolo ancora più potente nella vita di un giovane perché è gruppo, responsabilità, iniziativa, aiuto reciproco e empatia. È lo sviluppo naturale e il consolidamento delle soft skills di cui tanto si parla nel mondo moderno: le “abilità personali”, quelle competenze legate all’intelligenza emotiva e alle abilità naturali che ciascuno di noi possiede.
  Il movimento giovanile le scopre e le porta alla luce proprio come Michelangelo riusciva a far scaturire un angelo da un blocco di marmo. Nelle peulot – le attività e nei campeggi, nei seminari e in ogni incontro i ragazzi e le ragazze imparano ad interagire con i propri compagni, a risolvere i problemi e a gestire programmi e piani di lavoro scritti magistralmente da loro e sviluppano e mettono in pratica in un’aria gioiosa, ricca di energia e ispirazione tutte quelle competenze trasversali  essenziali nella nostra vita, valori che non si possono imparare nei libri o in google ma solo attraverso l’esempio personale.
Giovani dell’HaShomer Hatzair, oggi
Il movimento Hashomer Hatzair, la Giovane Guardia
, compie 110 anni e nel corso della sua storia ha raccolto con orgoglio storie di amicizia indistruttibile, di ideali realizzati, di timidezza trasformata il leadership, di rivolte verso l’oppressore nazista: erano i giovani madrichim e madrichot, le guide, che a Varsavia e a Vilna, in Polonia organizzarono, unirono, raccolsero tutte le loro forze per opporsi all’ingiustizia, al razzismo e alla ferocia. La Giovane Guardia vigila da 110 anni sui valori etici e umanistici che ragazzini/e di 12-13 anni possono imparare solo attraverso un gioco all’aperto, attraverso una gita nella natura, arrampicandosi su una corda e aiutando un compagno. Questo movimento educativo continua instancabilmente a dare all’inquietudine dell’adolescenza quel significato che cambia la vita per sempre, che insegna l’onestà profonda e la creatività senza confini e quella marcia in più necessaria per guardare al di là dei propri conflitti di ogni giorno per espandere lo sguardo verso la sofferenza, l’ingiustizia per inventare nuovi modi per agire, per essere coinvolti nella società circostante.
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L’Hashomer Hatzair è responsabilità verso il popolo d’Israele nella nostra terra e nel resto del mondo. Siamo sempre in prima fila con entusiasmo e determinazione, con kavvana’ – l’intenzione, per mantenere lo spirito che ci ha dato e continua a darci la forza di risollevarci. E vedere 235 ragazzi e ragazze a Firenze in camicia blu e laccio bianco, di età differente, intervenuti a festeggiare insieme la festa del Movimento, nonostante le passate restrizioni del covid, nonostante lo sciopero dei treni e la pioggia incessante, ha ricordato a tutti noi, ancora una volta, che siamo in shlichut costante, in missione, per opporci alla corruzione e all’estremismo ma soprattutto per vivere in pace con noi stessi e con i nostri vicini per trasformare il piccolo nostro mondo, la nostra terra d’Israele e questa umanità che ogni giorno sembra dimenticarsi del rispetto per l’altro, in una realtà più vivibile e serena.
  PAAM SHOMER TAMID SHOMER una volta shomer sempre shomer e lo dico, lo canto, lo danzo con orgoglio, insieme ai miei figli e ai miei nipotini perche’ ormai l’Hashomer Hatzair l’abbiamo nel DNA, è passata attraverso le generazioni, e non smetteremo mai di essere in “movimento”. E considero questo modo di vivere iniziato a 12 anni, poco dopo il mio bat mitzvà, una delle più grandi benedizioni che ho ricevuto nella vita!

(Riflessi Menorah, 31 maggio 2023)

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L'ultima vittima dell'attentato alla pizzeria sbarro del 2001 muore dopo 22 anni di coma

di Luca Spizzichino

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Chana Nachenberg è la sedicesima vittima dell’attentato al ristorante Sbarro a Gerusalemme, uno degli attacchi terroristici più sanguinosi della Seconda Intifada. La donna, rimasta in uno stato vegetativo per oltre 22 anni, è morta per le ferite riportate all'ospedale Ichilov di Tel Aviv.
  “Sua figlia, nostra nipote, oggi compie 24 anni e mezzo. Mia figlia avrebbe dovuto compiere 53 anni tra un mese. Sono passati 21 anni e nove mesi dall'attacco, per il quale mia figlia è rimasta priva di sensi, in coma, al Reuth [Rehabilitation] Hospital di Tel Aviv. Circa tre settimane fa, è stata ricoverata all'ospedale Ichilov, dove è morta questa sera”, ha detto il padre di Chan Nachenberg, Yitzhak, ai giornalisti.
  Il 9 agosto del 2001, proprio durante l’ora di punta e con la pizzeria colma di persone, Izz al-Din Shuheil al-Masri fece detonare una bomba nascosta in una custodia di chitarra all’interno del locale, uccidendo 15 civili, tra cui sette bambini, e ferendo oltre 130 persone. Quel giorno Nachenberg aveva 31 anni ed era lì con sua figlia Sarah, che all'epoca aveva tre anni, che rimase miracolosamente illesa. Il gruppo terroristico palestinese Hamas si è assunse la responsabilità dell'attacco.
  Tra le vittime c'erano anche due cittadini americani, tra cui il quindicenne Malki Roth, i cui genitori hanno condotto una campagna per ottenere l'estradizione negli Stati Uniti di Ahlam Tamimi, che scelse l'obiettivo e guidò lì l'attentatore.
  Tamimi venne arrestata settimane dopo l'attentato e condannata da Israele a 16 ergastoli con l'ordine del giudice di non essere mai rilasciata. Tuttavia, la terrorista è tornata in libertà in cambio del rilascio del soldato israeliano Gilad Shalit, catturato da Hamas nel 2005 e tenuto in ostaggio a Gaza.
  Dal suo rilascio in Giordania, non ha espresso rimorso e si è sempre detta soddisfatta dell'elevato numero di vittime, ed è ancora oggi in libertà nonostante le diverse richieste di estradizione inviate dalle autorità statunitensi ai giudici giordani.

(Shalom, 2 giugno 2023)


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«Il numero dei morti continuava a crescere, e tutti applaudivano»

Ecco alcuni estratti da un'intervista con la terrorista liberata di Hamas, Ahlam Tamimi, andata in onda su Al-Aqsa TV il 12 luglio 2012.

Intervistatore: 16 sionisti sono stati uccisi [nell'attentato suicida che lei ha contribuito a compiere]. Era il suono dell'esplosione...? E' stato molto forte.
Ahlam Tamimi: Il mujahid Abdallah Barghouti ha fatto un lavoro perfetto suonando la chitarra [contenente la bomba], e i risultati hanno stupito tutti, grazie ad Allah.
In seguito, quando ho preso l'autobus, i palestinesi intorno alla Porta di Damasco [a Gerusalemme] erano tutti sorridenti. Si poteva avvertire che erano tutti contenti. Quando sono arrivata sul bus, nessuno sapeva che ero io che avevo guidato [l'attentatore suicida all'obiettivo] ... Mi sentivo abbastanza strana, perché avevo lasciato [l'attentatore] 'Izz Al-Din dietro, ma dentro il bus tutti si congratulavano l'un l'altro. Nemmeno si conoscevano fra di loro, ma si scambiavano complimenti.
Mentre ero seduta sul bus, l'autista ha acceso la radio. Ma prima, lasciate che vi dica l'aumento graduale del numero di vittime. Mentre ero sul bus e tutti si congratulavano l'uno con l'altro, hanno detto alla radio che c'era stato un attacco di martirio al ristorante Sbarro, e che tre persone erano rimaste uccise. Devo ammettere che ero un po' delusa, perché avevo sperato in un risultato più grande. Eppure, quando hanno detto "tre morti" ho detto: "Allah sia lodato."

Intervistatore: Era una stazione radio israeliana o palestinese?
Ahlam Tamimi: La stazione era in lingua sionista, e l'autista traduceva per i passeggeri.
Due minuti più tardi alla radio hanno detto che il numero era salito a cinque. Volevo nascondere il mio sorriso, ma proprio non ci sono riuscita. Allah sia lodato, è stato fantastico. Poiché il numero di morti continuava a crescere, i passeggeri applaudivano. Non sapevano nemmeno che c'ero io in mezzo a loro.
Sulla via del ritorno [a Ramallah], abbiamo passato un posto di blocco della polizia palestinese, e i poliziotti ridevano. Uno di loro infilò la testa e disse: "Congratulazioni a tutti noi". Erano tutti contenti.

(Memri TV, agosto 2012 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Nasò. Guardare sé stessi da fuori

di Ishai Richetti

Nella Parashà di Nasò, riguardo il nazir, leggiamo: “Questa è la legge del nazir: Il giorno in cui la sua condizione di nazir sarà terminata, si recherà (letteralmente yavi oto – si porterà) all’ingresso della tenda del convegno” Nel contesto della discussione sulle leggi del nazir, la Torà istruisce il nazir su cosa fare quando ha completato il suo periodo di astinenza, che comprende il non bere vino e non tagliarsi i capelli. I commentatori notano l’insolita espressione usata nella Torà nel versetto citato “egli si porterà” (yavi oto). Sarebbe sembrato più logico scrivere semplicemente “egli verrà, o si recherà”. Nessun altro lo sta portando quindi, essendo che nella Torà non c’è nessuna parola superflua, ci deve essere un’allusione a qualcos’altro.
  Il Meshech Chochma spiega che il motivo per cui una persona si dichiara nazir è perché sente che i suoi desideri lo hanno sopraffatto e non ha più il controllo di se stesso, quindi teme, tra le altre cose, le conseguenze del bere troppo vino. Per riaffermare il controllo sulle sue passioni e sui suoi desideri, quindi, diventa un nazir e sceglie volontariamente di astenersi dal vino. Ma come può il nazir essere sicuro che il processo a cui si è sottoposto gli abbia permesso di raggiungere il suo scopo e di avere ripreso il controllo? Il Meshech Chochma risponde: “Quando guarda ai propri problemi come guarda alle azioni di altre persone.” Una persona che è schiavo di un desiderio non riesce a vedere se stesso in modo obiettivo e, d’altro canto, solo una persona che raggiunge certi livelli di obiettività su se stesso può essere cosciente di non essere più schiavo dei propri desideri.
  Rav Frand commenta: “A cosa si può paragonare questa faccenda? Diciamo che siamo in un ristorante o a un matrimonio e vediamo una persona in questo ristorante o al buffet che accumula cibo nel piatto. Notiamo che questa persona è molto sovrappeso e diciamo a noi stessi: “Non c’è da meravigliarsi che sia sovrappeso – guarda quanto cibo prende da questo buffet. Qualcuno può guardare questa persona e riconoscere immediatamente che ha un problema alimentare o ha qualche tipo di problema di cui non ha il controllo. Ma lo guardiamo in quel modo e lo giudichiamo perché, ovviamente, è qualcun altro”. Essere un nazir è un processo in base al quale qualcuno ha bisogno di controllarsi in modo tale da poter guardare la persona (se stesso) che era prima dell’inizio del suo diventare nazir e vedere se stesso come una persona completamente diversa. Rav Frand continua dicendo che questo processo è comune a tutte le persone che sono in grado di liberarsi dalla loro dipendenza.
  Ad esempio, un alcolista in recupero riconosce il suo vecchio sé quando vede qualcuno che soffre ancora della dipendenza della quale si è liberato: Nel mezzo del suo commento, il Meshech Chochma menziona una Baraita nel Trattato di Nedarim 9b in cui si parla di un Nazir. “(Rabbi) Shimon haTzaddik disse: In tutti i miei giorni come Kohen, non ho mai mangiato l’offerta per la colpa di un nazireo ritualmente impuro, tranne che in un’occasione. Una volta, un uomo in particolare che era un nazireo venne dal sud, e vidi che aveva degli occhi bellissimi ed era di bell’aspetto, e le frange dei suoi capelli erano raccolte in riccioli. Gli ho detto: Figlio mio, cosa hai visto che ti ha fatto decidere di distruggere questi tuoi bei capelli diventando un nazireo? Mi disse: Ero un pastore per mio padre nella mia città, sono andato ad attingere acqua dalla sorgente e, mentre la attingevo, ho guardato il mio riflesso nell’acqua e la mia inclinazione malvagia mi ha rapidamente sopraffatto e ha cercato di espellermi dal mondo. Mi sono detto: Malvagio! Perché ti vanti di un mondo che non è il tuo? Perché sei orgoglioso di qualcuno che alla fine sarà cibo nella tomba per i vermi, cioè il tuo corpo? Giuro sul servizio del Tempio che ti raderò per amore del Cielo. Shimon haTzaddik continua il racconto: Mi sono subito alzato e l’ho baciato sulla testa. Gli ho detto: Figlio mio, possano esserci altri che fanno voto di nazireato come te tra il popolo ebraico. Di te il versetto afferma: “Quando un uomo o una donna farà chiaramente voto, un voto di nazireato, di consacrarsi al Signore” (Bamidbar 6:2)”. C’è uno strano aspetto nel modo in cui viene raccontata questa storia – il nazir parla di sé in terza persona. Il Bei Chiya risponde, sulla base del Meshech Chochma, che la persona il cui racconto viene riportato nella Ghemara ha visto che era stata sopraffatta dalla sua inclinazione negativa ed è diventata una persona diversa. È stato in grado di vedere obiettivamente cosa stava succedendo, pertanto si riferisce a se stesso in terza persona.
  Questa idea non è limitata alle persone con gravi dipendenze o al nazir, ma è molto pertinente a molti aspetti della nostra vita. In un mondo come quello di oggi, è spesso difficile riuscire ad andare oltre l’apparenza, a valutare bene se stessi e gli altri, a giudicare in positivo, e alle volte, presi dalla frenesia, crediamo che quello che facciamo sia per il miglior interesse della nostra persona o degli altri. Spesso, invece di essere in grado di valutare razionalmente la situazione, usiamo le nostre passioni e i nostri desideri che però offuscano la nostra obiettività. Per contrastare questa inclinazione, bisogna essere in grado di fare un passo indietro e cercare di vedere le cose con razionalità. Questa è una sfida che ci accompagna per tutta la vita e che, per essere superata, richiede una combinazione di apprendimento della Tora, autovalutazione e crescita. Dobbiamo imparare a parlare in terza persona. Dobbiamo imparare a comprendere dove siano le nostre debolezze e trovare le forze di volerci migliorare per noi stessi ma anche per chi ci sta intorno

(Kolòt, 2 giugno 2023)
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Parashà della settimana: Nassò (Conta)

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Enorme tempesta di sabbia colpisce Egitto e Israele

Una potente tempesta di sabbia ha colpito Egitto e Israele, causando morti, feriti e danni materiali. Le autorità hanno chiuso porti e sentieri escursionistici a causa delle condizioni meteorologiche estreme e dell'elevato rischio di incendi.

Egitto e Israele hanno subito le conseguenze di una potente tempesta di sabbia giovedì, segnata da scarsa visibilità e forti venti, che ha provocato diversi morti e feriti, oltre a danni materiali.
  Nella capitale egiziana, Il Cairo, e in altre città vicine, la tempesta ha causato almeno quattro morti e cinque feriti. Il forte vento ha fatto cadere un gigantesco cartellone pubblicitario su alcune auto, uccidendo una persona e ferendone cinque; un altro cartellone è crollato in un paese vicino alla capitale, schiacciando una ragazza. Anche un uomo nella provincia di Menufiyah è stato ucciso quando una palma è caduta su di lui. La quarta persona è morta dopo aver perso l’equilibrio mentre guardava la tempesta da un balcone del quarto piano nella città di Suez.
  Forti venti e onde alte fino a 4 metri hanno costretto le autorità del Paese a chiudere i porti di Suez e Zaitiyat nel Mar Rosso. Le tempeste di sabbia hanno devastato anche il deserto dell’ovest del Paese, lungo la costa mediterranea, l’area del Grande Cairo, il delta del Nilo e le città del Canale di Suez. Il maltempo dovrebbe continuare fino a venerdì.
  Nelle prossime 48 ore le temperature potrebbero superare i 40 gradi Celsius in alcune zone del Paese. L’Egyptian Meteorological Authority (EMA) ha consigliato alla popolazione di evitare il contatto diretto con la luce solare, di indossare mascherine all’aperto e di bere acqua a sufficienza. Le tempeste di sabbia, note come ‘khamasin‘, sono comuni in Egitto in questo periodo dell’anno.

• DANNI E FERITI IN ISRAELE PER LA TEMPESTA "KHAMASIN"
  La tempesta di sabbia ha poi raggiunto Israele, dove ha provocato anche diversi feriti e danni materiali. Nella città di Hod HaSharon una palma è caduta su un’auto, ferendo una donna all’interno. A Tel Aviv anche un uomo di 68 anni è rimasto ferito a causa della caduta di un albero. I forti venti hanno causato il crollo di una gru, scontrandosi con un’altra gru, sebbene nessuno sia rimasto ferito nell’incidente.

• CONDIZIONI METEOROLOGICHE ESTREME
  I servizi meteorologici israeliani prevedono un’ondata di caldo senza precedenti, con temperature che potrebbero raggiungere i 47 gradi Celsius in alcune zone del Paese. A causa delle condizioni meteorologiche estreme e dell’elevato rischio di incendio, il Commissario dei vigili del fuoco e dei soccorsi, Eyal Casspi, ha firmato un’ordinanza che vieta i falò. L’autorità israeliana per la natura e i parchi ha anche temporaneamente chiuso tutti i sentieri escursionistici nelle riserve naturali e nei parchi nazionali nelle aree colpite.

(Travel Friend, 2 giugno 2023)

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Netanyahu: “Israele farà tutto il necessario per impedire all’Iran di avere armi nucleari”

Le dichiarazioni giungono dopo che ieri l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) ha chiuso le indagini su un sito sospetto

GERUSALEMME - Israele farà tutto il necessario per impedire all’Iran di avere armi nucleari. Lo ha detto oggi il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, in un videomessaggio, rivolgendosi sia “all’Iran che alla comunità internazionale”. Le dichiarazioni giungono dopo che ieri l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha chiuso le indagini su un sito sospetto. Inoltre, negli ultimi giorni sono circolate notizie secondo cui Israele temerebbe che gli Stati Uniti si stiano muovendo verso un nuovo accordo nucleare con Teheran, a cui Gerusalemme si oppone aspramente.
  In precedenza, il portavoce del ministero degli Esteri di Israele, Lior Haiat, ha definito la chiusura di un’indagine dell’Aiea su un sito iraniano sospetto “una questione di grande preoccupazione”. Per Haiat “le spiegazioni fornite dall’Iran per la presenza di materiale nucleare nel sito non sono affidabili o tecnicamente possibili”. “L’Iran continua a mentire all’Aiea e ad ingannare la comunità internazionale”, ha aggiunto. All’inizio di questa settimana, l’Aiea ha interrotto le sue indagini sulle tracce di uranio artificiale trovate a Marivan, circa 525 chilometri a sud-est di Teheran. Gli analisti avevano ripetutamente collegato Marivan al programma nucleare militare segreto dell’Iran e accusato la Repubblica islamica di aver condotto lì test ad alto potenziale esplosivo nei primi anni 2000.
  Haiat ha avvertito che la chiusura del caso “potrebbe avere conseguenze estremamente pericolose” e che invia un messaggio agli iraniani, ovvero che possono “continuare a ingannare la comunità internazionale nel loro cammino verso il raggiungimento di un programma nucleare militare completo”. Infine Haiat ha indicato che la decisione “danneggia gravemente la credibilità professionale dell’Aiea”.

(Nova News, 1 giugno 2023)

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Conte contro Israele: la grillina Ascari ospite degli amici di Hamas in Svezia

L’Olimpo della sinistra europea pro Palestina – e anti Israele – ha partecipato all’evento organizzato dalla “Conferenza Ue dei palestinesi” e celebrato nel fine settimana a Malmö, in Svezia. La notizia ha fatto eco anche in Italia soprattutto per la partecipazione della deputata pentastellata Stefania Ascari, accolta con calore alla kermesse dall’agenzia vicina ad Hamas, Quds news network.
  Inquietudine e polemiche si sono propagate dalle parole di David Lega deputato europeo svedese e membro della commissione Esteri e Diritti umani che ha dichiarato: “Sono davvero furioso”. La linea dei 5stelle è sempre stata ambigua nei confronti di Israele, posizione condivisa sin dalla nascita dell’allora Movimento sia dal padre padrone Beppe Grillo, sia da quello che fu il suo primo delfino, Alessandro Di Battista le cui orme, l’onorevole Ascari, ha sempre seguito. Secondo la deputata i palestinesi sono “vittime silenziose di un genocidio” e i territori contesi sono “un inferno sulla Terra”.
  La colpa? Ovviamente da addebitare a Israele, senza considerare tutte le parti in gioco come quella degli Stati arabi o del terrorismo di Hamas. Ascari era stata già al centro delle polemiche per aver portato a gennaio alla Camera Mohammad Hannoun, presidente di una controversa onlus finita sotto la lente dell’Antiriciclaggio per presunti legami con Hamas. Lo stesso Hannoun (come riporta Infopal) ha guidato la delegazione italiana capitanata da Ascari alla conferenza di Malmö guidata da Amin Abu Rashed, considerato da molti come emissario di Hamas in Europa.

(il Riformista, 1 giugno 2023)

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L'intelligence, la gita in barca, gli oligarchi russi: i dubbi sul naufragio del Lago Maggiore

si Andrea Muratore 

Il naufragio del Lago Maggiore di domenica 28 maggio si è tinto di "giallo" dopo che è emersa la presenza di un ampio numero di funzionari dell'intelligence italiana e israeliana sulla "Gooduria", l'imbarcazione naufragata nel tragico incidente dovuto ad avverse condizioni meteo in cui sono morte quattro persone. Tra cui due funzionari del Sistema informativo per la sicurezza della Repubblica che coordina l'intelligence italiana, un ex membro dei servizi segreti di Israele e una cittadina russa, compagna dello skipper dell'imbarcazione.

• Scenari d'intelligence
  E proprio lo skipper dell’imbarcazione, Claudio Carminati, al centro delle indagini per possibili omissioni securitarie che hanno portato alla tragedia per la tromba d'aria che ha capovolto l'imbarcazione domenica sera, è risultato essere un uomo su cui le agenzie di sicurezza italiane hanno più volte contato per operazioni logistiche e sostegno.
  Le fonti di Piazza Dante emerse sui media hanno portato alla ricostruzione precisa delle agenzie coinvolte: l'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise) italiana e il Mossad israeliano. Due apparati la cui rilevanza operativa è legata principalmente alle operazioni di teatro all'estero o, nel caso dell'Aise, alle attività di controspionaggio.
  C'è stata polemica per la repentina scomparsa degli operativi ricoverati dopo la tragedia dagli ospedali e dalle case di cura, ma ricordiamo che si tratta di una classica operazione dei servizi segreti per evitare che i "metadati" degli agenti, i loro contatti personali, le loro informazioni identificative e sanitarie, potessero essere acquisite da possibili agenti ostili tramite fuga di notizie. E questo si intreccia direttamente alla domanda chiave: cosa facevano gli agenti italiani e israeliani sulle sponde del Lago Maggiore? Proviamo a costruire alcuni scenari.

• Il triangolo Italia-Israele-Russia
  Il primo scenario è quello che vedrebbe gli agenti italiani e israeliani intenti a "pedinare" sulle sponde del Lago Maggiore, nella zona di Verbania, oligarchi russi e altri personaggi sospetti ritiratisi sulle placide rive del Lago Maggiore, lontani dai riflettori, dopo l'invasione dell'Ucraina. "Negli ultimi tempi sono aumentati gli arrivi di «pesanti» personaggi russi, focalizzati sulla riqualificazione e l’apertura di hotel, per loro ammissione con l’obiettivo dichiarato, sempre che non sia una semplice copertura, di spostare gli investimenti dal lago di Como a qui", nota il Corriere della Sera.
  L'ipotesi è sicuramente interessante, specie se si considera che Israele è un altro Paese in cui molti oligarchi hanno basi d'appoggio o seconde cittadinanze (si pensi al caso emblematico di Roman Abramovich). Dopo che l'attenzione si è concentrata a inizio guerra sul sequestro delle ville sul Lago di Como di oligarchi e magnati di vario livello, è possibile che, complici triangolazioni con la Svizzera in società di comodo, molti big della finanza russa riparati in Italia si siano spostati tra Varese e l'Ossola.
  Ma anche in questo caso la questione è troppo generica. Perché mai l'Aise e il Mossad avrebbero dovuto mettere in campo un così ampio schieramento di forze? Perché costruire uno scenario tanto complesso, con annessa riunione fuori porto in battello, per uno scambio informativo su oligarchi e imprenditori su cui altre agenzie, dalla Guardia di Finanza in giù, avranno sicuramente indagato con forza? Il nodo Russia può essere anche connesso alla presenza sulla barca di Anna Bozhkova, 50 anni, moglie dello skipper morta nella tragedia, probabilmente in funzione di interprete. Ma il "pedinamento" degli oligarchi non appare una soluzione soddisfacente per giustificare la grandezza della missione.

• Il nodo spionaggio industriale
  Mossad e Aise potrebbero aver concordato una missione congiunta per ovviare a un altro problema potenzialmente decisivo riguardante la presenza russa in Italia: lo spionaggio industriale. Le aree varesine da cui la "crociera delle spie" è partita e le confinanti regioni del Piemonte sono vicine a una zona chiave per la sicurezza industriale nazionale, in quanto terreno centrale per la produzione aeronautica.
  Tra Varese e Sesto Calende, ad esempio, Leonardo ha gli stabilimenti ex AgustaWestland in cui si producono elicotteri fondamentali sia per l'esportazione militare italiana che per l'equipaggiamento di forze alleate in tutto il mondo. Nel 2022 Leonardo ha siglato con Israele programmi di vendita di elicotteri prodotti negli stabilimenti americani ma pensati e progettati nel cuore italiano dell'azienda e nel 2023 ha siglato partnership per la creazione di start-up della Difesa con l'Israel Innovation Autorithy.
  Logico pensare che Mossad e Aise abbiano, complementariamente a questi accordi, aumentato l'impegno comune per la difesa delle proprietà intellettuali da qualsiasi minaccia, prima fra tutte quella russa. All'Aise - lo ricordiamo - compete sul suolo nazionale l'attività di controspionaggio a protezione degli interessi politici, militari, economici, scientifici e industriali italiani. Il Mossad, invece, ha una forte postura militare e una grande attenzione alle catene del valore della Difesa. Un fronte comune di intervento, dunque, potrebbe essere nello scambio informativo su possibili attività ambigue russe, magari connesse anche ai citati movimenti degli oligarchi, tra l'area di Varese e la provincia di Verbania ove si distribuiscono molte aziende della catena del valore, della subfornitura e della produzione di materiali strategici e componenti per la filiera aeronautica e degli elicotteri.
  A tal proposito, sarebbe interessante sapere quanti dei funzionari dell'Aise chiamati a partecipare al meeting sul Lago Maggiore fossero, al contempo, militari in passato in servizio e anche le aree di competenza degli stessi per capire quanto l'idea del controspionaggio industriale possa essere valida come tesi.

• Iran e antiterrorismo, il terzo scenario sull'incontro d'intelligence
  Un terzo scenario lascia invece pensare che il Lago Maggiore sia stato solo il luogo del rendez-vous e che in realtà il tema non riguardasse la Russia in senso stretto, quanto piuttosto una serie di scenari a tutto campo in cui Italia e Israele hanno comuni preoccupazioni securitarie. Pensiamo, ad esempio, all'Iran, Stato nei cui confronti in questa fase storica inaugurata dai governi Draghi e Meloni l'Italia si è schierata in una posizione fortemente critica. Decisamente più dura di quella mostrata in Europa da Paesi come Francia e Germania e allineata alle visioni di Stati Uniti, Regno Unito e della stessa Israele.
  Aise e Mossad potrebbero aver operato uno scambio informativo di documenti riguardanti l'Iran o, come ricorda il Corriere della Sera, le attività delle aziende nazionali nella Repubblica Islamica: "gli israeliani avrebbero interessi nel monitorare i contatti tra le ditte italiane e iraniane impegnate a trattare i componenti civili dei droni usati proprio nella guerra" russo-ucraina, acquistati da Mosca. L'Italia può aiutare Israele nella retro-ingegneria dei droni iraniani, mappare i movimenti sospetti di funzionari attorno all'ambasciata di Teheran in Via Nomentana a Roma, mappare l'attività informativa e di influenza di Teheran nel nostro Paese, fornire informazioni utili a coordinare con Tel Aviv il sostegno al principale gruppo di opposizione al governo legittimo dell'Iran, il Mek con base in Albania e forte sostegno da parte di Israele.

• La quarta ipotesi: il "buco" securitario
  Vi è poi un quarto scenario, che si può sovrapporre a ciascuno dei tre precedenti. E prende le mosse dal fatto che la vera missione non fosse legata alla "crociera" sul Lago Maggiore organizzata a fini di scambio informativo ma fosse precedente quella che si è rivelata un'occasione di diporto finita in tragedia. La missione congiunta potrebbe aver avuto un fronte operativo ben preciso a cui è seguita poi un'occasione di svago (si parla di un pranzo tra agenti) conclusasi con il naufragio.
  Ma in quest'ottica sarebbe da sottolineare una tematica fondamentale: la carenza della necessaria tutela securitaria a cui gli agenti coinvolti in operazioni dovrebbero essere sottoposti. La crociera nelle acque agitate del Lago Maggiore potrebbe essere anche stata una tragica scelta compiuta per leggerezza dagli operativi di Aise e Mossad, ma la buona norma della pratica dei servizi insegna che agli agenti è chiesto di non compiere alcuna mossa potenzialmente lesiva della propria incolumità nell'adempimento della sua missione. E anche strategicamente parlando la presenza di una ventina di agenti di due Paesi alleati su una sola imbarcazione la rende un obiettivo sensibile per minacce di ogni tipo, ivi comprese le tragedie dovute al clima mutevole a cui sembra che il naufragio debba iscriversi. Un dato fondamentale - da non sottovalutare - che rende ancora più complessa la corretta valutazione di uno scenario su cui l'immediata esfiltrazione dei superstiti ha posto un cono d'ombra proprio dei servizi d'intelligence di fronte a scenari di crisi di vario tipo, prevedibili o inattesi che siano, riguardanti i propri agenti in prima persona.

(il Giornale, 1 giugno 2023)

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«La Diaspora e Israele devono crescere insieme»

Intervista al nuovo Shaliach del KH, Eyal Avneri. Classe 1973, sposato con Hila Schlesinger, psicologa, e padre di Emilia e Gioia, è arrivato in Italia nel settembre 2022 con la sua famiglia allargata a cani e gatti. Gli obiettivi? Rafforzare il legame tra gli ebrei italiani e la Medinat Israel

di Ester Moscati

Eyal Avneri ha un curriculum eclettico e interessante, che racconta di un uomo di grandi risorse intellettuali e di alti valori, capace di mettersi in gioco e impegnarsi a fondo nei progetti che persegue. Parla perfettamente italiano (ha studiato a Roma) ed è un conversatore brillante.

- Quando è nato e dove? Ci racconta qualche cosa di lei?
  Sono nato a Tel Aviv il 17 marzo 1973, sono sposato con Hila Schlesinger, psicologa, e ho due meravigliose figlie, Emilia di 16 anni e Gioia di 14. Amo molto gli animali e ho due cani, fratelli, maschio e femmina che si chiamano Bono (come Bono degli U2) e Bianca. Abbiamo anche due gatti, anche loro fratello e sorella, che si chiamano Buffon e Pelma. Tutti cuccioli trovatelli, salvati dalla strada; il randagismo è un problema in Israele. Quando siamo venuti in Italia a settembre li abbiamo portati tutti con noi. Sono cresciuto a Tel Aviv, da ragazzo giocavo a basket e suonavo il basso in un gruppo. Poi mi sono appassionato anche di fotografia e durante il servizio militare sono stato fotografo per l’IDF impegnato nell’area del portavoce militare. Dopo i tre anni di leva mi sono trasferito a New York per sei mesi e poi sono tornato in Israele dove ho lavorato per EL AL per due anni e mezzo. Successivamente, mi sono trasferito a Roma nel 2000 per studiare disegno industriale presso l’ISIA, una scuola prestigiosa e molto selettiva, con difficilissimi test d’ingresso in italiano, perché non ci sono posti per stranieri. Per cui ho dovuto imparare molto bene l’italiano, la cultura, l’arte e acquisire in breve tempo le conoscenze che i ragazzi italiani assimilano al liceo. Per motivi di famiglia sono tornato in Israele e ho finito la mia formazione alla Bezalel Academy of Arts and Design a Gerusalemme.
  Dopo la laurea ho lavorato come regista e sono molto orgoglioso di un film in particolare, Little Peace of Mine (Shalom katan sheli) che ha vinto premi e riconoscimenti nel mondo e mi ha portato a conoscere il mio idolo, Bob De Niro, con cui ricordo ancora una piacevolissima serata a cena. In Israele ho finito il mio master universitario e ho iniziato a lavorare nel marketing tecnologico, e aprire mercati in diversi Paesi per le aziende con le quali lavoravo. Tutto questo fino al periodo della pandemia di Covid, che mi ha fatto riflettere molto. Alla vigilia dei cinquant’anni, mi sono chiesto che cosa potevo fare al di là della mia carriera professionale e della mia vita familiare. Cosa potevo fare di più per aiutare Israele. Per diverso tempo ho cercato un’idea per aiutare gli altri e il mio Paese in un modo diverso, allargando gli orizzonti.

- Come si è avvicinato al Keren Hayesod?
  Proprio in quel periodo ho ricevuto una chiamata dal KH, per partecipare a un progetto. Questo mi ha consentito di entrare in questo mondo. Non è per me un lavoro, la considero una missione alla quale mi sono preparato con esami, test, corsi… perché entrare a far parte della grande famiglia del KH non è una cosa semplice; richiede un percorso di formazione molto intenso e molto approfondito. Ho iniziato nel settembre del 2021 e nel settembre del 2022 sono arrivato con tutta la mia famiglia in Italia.

- Quali sono le sue aspettative? Che impressioni ha avuto delle Comunità italiane e in particolare di Milano?
  Il mio obiettivo è soprattutto quello di rafforzare il collegamento tra la diaspora e Israele; io penso che siamo una grande famiglia al di là delle divisioni politiche, sociali, di provenienza … in questo credo moltissimo perché è l’unica cosa che può aver fatto sì che per 3.500 anni siamo rimasti un popolo unito, nonostante tutte le vicissitudini in cui siamo stati coinvolti. Il mio pensiero in questa missione in Italia è focalizzato su come si può continuare a rafforzare questo legame, incrementarlo e migliorarlo sempre di più. Tramite l’Agenzia ebraica, il KH aiuta tutti coloro che vogliono fare l’Aliya in Israele a inserirsi nel Paese. Sosteniamo questa iniziativa e rafforziamo i legami in diverso modo; per esempio con i viaggi dei giovani in Israele, finanziando i ragazzi delle scuole ebraiche di Milano e di Roma che non possono sostenere le spese del viaggio. Questo perché tutti abbiano l’opportunità di conoscere meglio il paese. Ci tengo anche a dire che nel periodo della pandemia il KH, tramite l’Agenzia ebraica, ha dato alle Comunità italiane un milione di euro perché abbiamo visto e compreso bene le difficoltà che attraversava l’Italia, soprattutto nel primo periodo della pandemia e abbiamo voluto dare un aiuto concreto.
  Il mio secondo obiettivo è il rafforzamento di Israele e l’aiuto alla sua popolazione. Vorrei far comprendere agli ebrei italiani quanto sia importante e necessario per Israele il loro aiuto. Con le persone con cui parlo, mi sento spesso dire che Israele è forte, è un’assicurazione per il popolo ebraico, che può dare agli ebrei del mondo, non solo italiani ed europei, una difesa sia politica sia in termini di sicurezza contro l’antisemitismo; e questo è senz’altro vero, perché Israele consente agli ebrei di tutto il mondo di avere uno Stato autorevole che funziona da garanzia a diversi livelli. Però voglio sottolineare come questo aiuto debba essere reciproco. Ci sono molte similitudini tra l’Italia e Israele; comunità come Roma e Milano per esempio sono formate da ebrei di diverse provenienze, esattamente come Israele. E tutti questi ebrei, nonostante abbiano magari origini molto diverse, hanno valori comuni, valori che ci legano in quanto ebrei, molto specifici e molto forti. Per questi forti legami che ci uniscono voglio che sia molto chiaro che Israele ha bisogno degli ebrei del mondo, ha bisogno degli ebrei italiani, perché è vero che è un Paese forte, è vero che ci sono città come Tel Aviv che sono città ricche, all’avanguardia nel mondo… ma Tel Aviv rappresenta il 15% della società israeliana. Le periferie (e per “periferie” non intendo solo le piccole città, ma anche centri come Beer Sheva, per esempio) hanno delle vaste aree di povertà economica e di disagio sociale che vanno aiutate e sostenute. Il KH è in prima linea in questo. In Israele ci sono molti ragazzi che vanno aiutati non solo dal punto di vista economico, ma anche nel sostegno per uscire da traumi causati dalla guerra, dagli attentati; questo soprattutto nel sud di Israele dove ci sono città che vengono bombardate tutti i giorni da vent’anni. Ragazzi che sono cresciuti in questo contesto hanno un grandissimo bisogno di supporto.
  Ci sono poi gli anziani, spesso anche gli ultimi sopravvissuti alla Shoah, che versano in difficoltà economiche molto profonde. Per la sicurezza interna di Israele vengono spese delle somme ingentissime e l’80% della società israeliana è sostenuta solo da quel 15% di persone che grazie all’economia dell’high-tech all’avanguardia hanno risorse con cui devono sostenere tutto il resto della popolazione israeliana.
  Parlando con molte persone mi sono reso conto che in Italia non molti sanno che alla Knesset è stata varata una legge speciale per il Keren Hayesod: è l’unica organizzazione che Israele riconosce ufficialmente come partner nel sostegno dello Stato. Ci occupiamo dei cittadini israeliani dalla nascita fino alla vecchiaia, con tutta una serie di progetti.
  Di recente il KH Italia ha inaugurato una iniziativa focalizzata proprio sulle vittime del terrorismo che hanno subito danni fisici e danni psicologici. C’è un enorme bisogno di terapie post-trauma per aiutare le persone a recuperare. È un progetto molto importante che voglio portare avanti con la comunità italiana.

(Bet Magazine Mosaico, 1 giugno 2023)

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