L'Eterno è giusto in tutte le sue vie
e benigno in tutte le sue opere.
L'Eterno è vicino a tutti quelli che lo invocano,
a tutti quelli che lo invocano in verità.
Salmo 145:17-18

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Predicazioni
Una grande gioia

ATTI 2

  1. Quelli dunque i quali accettarono la sua parola furono battezzati; e in quel giorno furono aggiunte a loro circa tremila persone.
  2. Ed erano perseveranti nell'attendere all'insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere.
  3. E ogni anima era presa da timore; e molti prodigi e segni eran fatti dagli apostoli.
  4. E tutti quelli che credevano erano insieme, ed avevano ogni cosa in comune;
  5. e vendevano le possessioni ed i beni, e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno.
  6. E tutti i giorni, essendo di pari consentimento assidui al tempio, e rompendo il pane nelle case, prendevano il loro cibo assieme con gioia e semplicità di cuore,
  7. lodando Iddio, e avendo il favore di tutto il popolo. E il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che erano sulla via della salvezza.

ATTI 4

  1. E la moltitudine di coloro che avevano creduto, era d'un sol cuore e d'un'anima sola; né v'era chi dicesse sua alcuna delle cose che possedeva, ma tutto era comune tra loro.
  2. E gli apostoli con gran potenza rendevano testimonianza della risurrezione del Signor Gesù; e gran grazia era sopra tutti loro.
  3. Poiché non v'era alcun bisognoso fra loro; perché tutti coloro che possedevano poderi o case li vendevano, portavano il prezzo delle cose vendute,
  4. e lo mettevano ai piedi degli apostoli; poi, era distribuito a ciascuno, secondo il bisogno.

LUCA 2

  1. Or in quella medesima contrada vi erano dei pastori che stavano nei campi e facevano di notte la guardia al loro gregge.
  2. E un angelo del Signore si presentò ad essi e la gloria del Signore risplendé intorno a loro, e temettero di gran timore.
  3. E l'angelo disse loro: Non temete, perché ecco, vi reco il buon annuncio di una grande gioia che tutto il popolo avrà:
  4. Oggi, nella città di Davide, v'è nato un salvatore, che è Cristo, il Signore.

MATTEO 2

  1. Or essendo Gesù nato in Betlemme di Giudea, ai dì del re Erode, ecco dei magi d'Oriente arrivarono in Gerusalemme, dicendo:
  2. Dov'è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo veduto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo.
  3. Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.
  4. E radunati tutti i capi sacerdoti, s'informò da loro dove il Cristo doveva nascere.
  5. Ed essi gli dissero: In Betlemme di Giudea; poiché così è scritto per mezzo del profeta:
  6. E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei punto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un Principe, che pascerà il mio popolo Israele.
  7. Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s'informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparita;
  8. e mandandoli a Betlemme, disse loro: Andate e domandate diligentemente del fanciullino; e quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo.
  9. Essi dunque, udito il re, partirono; ed ecco la stella che avevano veduta in Oriente, andava dinanzi a loro, finché, giunta al luogo dov'era il fanciullino, vi si fermò sopra.
  10. Ed essi, veduta la stella, si rallegrarono di grandissima gioia.
  11. Ed entrati nella casa, videro il fanciullino con Maria sua madre; e prostratisi, lo adorarono; ed aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra.
  12. Poi, essendo stati divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, per altra via tornarono al loro paese.

ATTI 8

  1. Coloro dunque che erano stati dispersi se ne andarono di luogo in luogo, annunziando la Parola. E Filippo, disceso nella città di Samaria, vi predicò il Cristo.
  2. E le folle di pari consentimento prestavano attenzione alle cose dette da Filippo, udendo e vedendo i miracoli che egli faceva.
  3. Poiché gli spiriti immondi uscivano da molti che li avevano, gridando con gran voce; e molti paralitici e molti zoppi erano guariti.
  4. E vi fu grande gioia in quella città.

ATTI 13

  1. Ma Paolo e Barnaba dissero loro francamente: Era necessario che a voi per i primi si annunziasse la parola di Dio; ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco, noi ci volgiamo ai Gentili.
  2. Perché così ci ha ordinato il Signore, dicendo: Io ti ho posto per esser luce dei Gentili, affinché tu sia strumento di salvezza fino alle estremità della terra.
  3. E i Gentili, udendo queste cose, si rallegravano e glorificavano la parola di Dio; e tutti quelli che erano ordinati a vita eterna, credettero.
  4. E la parola del Signore si spandeva per tutto il paese.
  5. Ma i Giudei istigarono le donne pie e ragguardevoli e i principali uomini della città, e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba, e li scacciarono dai loro confini.
  6. Ma essi, scossa la polvere dei loro piedi contro loro, se ne vennero ad Iconio.
  7. E i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.

ROMANI 15

  1. Or l'Iddio della pazienza e della consolazione vi dia d'avere fra voi un medesimo sentimento secondo Cristo Gesù,
  2. affinché di un solo animo e di una stessa bocca glorifichiate Iddio, il Padre del nostro Signor Gesù Cristo.
  3. Perciò accoglietevi gli uni gli altri, siccome anche Cristo ha accolto noi per la gloria di Dio;
  4. poiché io dico che Cristo è stato fatto ministro dei circoncisi, a dimostrazione della veracità di Dio, per confermare le promesse fatte ai padri;
  5. mentre i Gentili hanno da glorificare Dio per la sua misericordia, secondo che è scritto: Per questo ti celebrerò fra i Gentili e salmeggerò al tuo nome.
  6. Ed è detto ancora: Rallegratevi, o Gentili, col suo popolo.
  7. E altrove: Gentili, lodate tutti il Signore, e tutti i popoli lo celebrino.
  8. E di nuovo Isaia dice: Vi sarà la radice di Iesse, e Colui che sorgerà a governare i Gentili; in lui spereranno i Gentili.
  9. Or l'Iddio della speranza vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nel vostro credere, onde abbondiate nella speranza, mediante la potenza dello Spirito Santo.


    Marcello Cicchese
    maggio 2016

L'interesse di Cristo
FILIPPESI, cap. 1

  1. Soltanto, comportatevi in modo degno del vangelo di Cristo, affinché, sia che io venga a vedervi sia che io resti lontano, senta dire di voi che state fermi in uno stesso spirito, combattendo insieme con un medesimo animo per la fede del vangelo, 
  2. per nulla spaventati dagli avversari. Questo per loro è una prova evidente di perdizione; ma per voi di salvezza; e ciò da parte di Dio. 
  3. Perché vi è stata concessa la grazia, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in lui, ma anche di soffrire per lui, 
  4. sostenendo voi pure la stessa lotta che mi avete veduto sostenere e nella quale ora sentite dire che io mi trovo.

FILIPPESI, cap. 2

  1. Se dunque v'è qualche incoraggiamento in Cristo, se vi è qualche conforto d'amore, se vi è qualche comunione di Spirito, se vi è qualche tenerezza di affetto e qualche compassione, 
  2. rendete perfetta la mia gioia, avendo un medesimo pensare, un medesimo amore, essendo di un animo solo e di un unico sentimento
  3. Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a se stesso, 
  4. cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri. 
  5. Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, 
  6. il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, 
  7. ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; 
  8. trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. 
  9. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, 
  10. affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, 
  11. e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre.
  12. Così, miei cari, voi che foste sempre ubbidienti, non solo come quando ero presente, ma molto più adesso che sono assente, adoperatevi al compimento della vostra salvezza con timore e tremore; 
  13. infatti è Dio che produce in voi il volere e l'agire, secondo il suo disegno benevolo. 
  14. Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute
  15. perché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale risplendete come astri nel mondo, 
  16. tenendo alta la parola di vita, in modo che nel giorno di Cristo io possa vantarmi di non aver corso invano, né invano faticato. 
  17. Ma se anche vengo offerto in libazione sul sacrificio e sul servizio della vostra fede, ne gioisco e me ne rallegro con tutti voi; 
  18. e nello stesso modo gioitene anche voi e rallegratevene con me.


Marcello Cicchese
novembre 2006

Salmo 92
Salmo 92
    Canto per il giorno del sabato.
  1. Buona cosa è celebrare l'Eterno,
    e salmeggiare al tuo nome, o Altissimo;
  2. proclamare la mattina la tua benignità,
    e la tua fedeltà ogni notte,
  3. sul decacordo e sul saltèro,
    con l'accordo solenne dell'arpa!
  4. Poiché, o Eterno, tu m'hai rallegrato col tuo operare;
    io celebro con giubilo le opere delle tue mani.
  5. Come son grandi le tue opere, o Eterno!
    I tuoi pensieri sono immensamente profondi.

  6. L'uomo insensato non conosce
    e il pazzo non intende questo:
  7. che gli empi germoglian come l'erba
    e gli operatori d'iniquità fioriscono, per esser distrutti in perpetuo.
  8. Ma tu, o Eterno, siedi per sempre in alto.
  9. Poiché, ecco, i tuoi nemici, o Eterno,
    ecco, i tuoi nemici periranno,
    tutti gli operatori d'iniquità saranno dispersi.

  10. Ma tu mi dai la forza del bufalo;
    io son unto d'olio fresco.
  11. L'occhio mio si compiace nel veder la sorte di quelli che m'insidiano,
    le mie orecchie nell'udire quel che avviene ai malvagi
    che si levano contro di me.
  12. Il giusto fiorirà come la palma,
    crescerà come il cedro sul Libano.
  13. Quelli che son piantati nella casa dell'Eterno
    fioriranno nei cortili del nostro Dio.
  14. Porteranno ancora del frutto nella vecchiaia;
    saranno pieni di vigore e verdeggianti,
  15. per annunziare che l'Eterno è giusto;
    egli è la mia ròcca, e non v'è ingiustizia in lui.

Marcello Cicchese
gennaio 2017

Saggezza che viene da Dio
PROVERBI 2
  1. Figlio mio, se ricevi le mie parole e serbi con cura i miei comandamenti,
  2. prestando orecchio alla saggezza e inclinando il cuore all'intelligenza;
  3. sì, se chiami il discernimento e rivolgi la tua voce all'intelligenza,
  4. se la cerchi come l'argento e ti dai a scavarla come un tesoro,
  5. allora comprenderai il timore del Signore e troverai la scienza di Dio.
  6. Il Signore infatti dà la saggezza; dalla sua bocca provengono la scienza e l'intelligenza.
  7. Egli tiene in serbo per gli uomini retti un aiuto potente, uno scudo per quelli che camminano nell'integrità,
  8. allo scopo di proteggere i sentieri della giustizia e di custodire la via dei suoi fedeli.
  9. Allora comprenderai la giustizia, l'equità, la rettitudine, tutte le vie del bene.
  10. Perché la saggezza ti entrerà nel cuore, la scienza sarà la delizia dell'anima tua,
  11. la riflessione veglierà su di te, l'intelligenza ti proteggerà;
  12. essa ti scamperà così dalla via malvagia, dalla gente che parla di cose perverse,
  13. da quelli che lasciano i sentieri della rettitudine per camminare nelle vie delle tenebre,
  14. che godono a fare il male e si compiacciono delle perversità del malvagio,
  15. i cui sentieri sono contorti e percorrono vie tortuose.
  16. Ti salverà dalla donna adultera, dalla infedele che usa parole seducenti,
  17. che ha abbandonato il compagno della sua gioventù e ha dimenticato il patto del suo Dio.
  18. Infatti la sua casa pende verso la morte, e i suoi sentieri conducono ai defunti.
  19. Nessuno di quelli che vanno da lei ne ritorna, nessuno riprende i sentieri della vita.
  20. Così camminerai per la via dei buoni e rimarrai nei sentieri dei giusti.
  21. Gli uomini retti infatti abiteranno la terra, quelli che sono integri vi rimarranno;
  22. ma gli empi saranno sterminati dalla terra, gli sleali ne saranno estirpati.

Marcello Cicchese
aprile 2009

Sovranità e grazia di Dio
ROMANI 8
  1. Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno.
GENESI 6
  1. Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo.
  2. Il Signore si pentì d'aver fatto l'uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo.
  3. E il Signore disse: «Io sterminerò dalla faccia della terra l'uomo che ho creato: dall'uomo al bestiame, ai rettili, agli uccelli dei cieli; perché mi pento di averli fatti».
  4. Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore.
GENESI 12
  1. Il Signore disse ad Abramo: «Va' via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti mostrerò;
  2. io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione.
  3. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra».
ESODO 3
  1. Il Signore disse: «Ho visto, ho visto l'afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; infatti conosco i suoi affanni.
  2. Sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani e per farlo salire da quel paese in un paese buono e spazioso, in un paese nel quale scorre il latte e il miele, nel luogo dove sono i Cananei, gli Ittiti, gli Amorei, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei.
  3. E ora, ecco, le grida dei figli d'Israele sono giunte a me; e ho anche visto l'oppressione con cui gli Egiziani li fanno soffrire.
  4. Or dunque va'; io ti mando dal faraone perché tu faccia uscire dall'Egitto il mio popolo, i figli d'Israele».
ESODO 6
  1. Il Signore disse a Mosè: «Ora vedrai quello che farò al faraone; perché, forzato da una mano potente, li lascerà andare: anzi, forzato da una mano potente, li scaccerà dal suo paese».
  2. Dio parlò a Mosè e gli disse: «Io sono il Signore.
  3. Io apparvi ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe, come il Dio onnipotente; ma non fui conosciuto da loro con il mio nome di Signore.
  4. Stabilii pure il mio patto con loro, per dar loro il paese di Canaan, il paese nel quale soggiornavano come forestieri.
  5. Ho anche udito i gemiti dei figli d'Israele che gli Egiziani tengono in schiavitù e mi sono ricordato del mio patto.
  6. Perciò, di' ai figli d'Israele: "Io sono il Signore; quindi vi sottrarrò ai duri lavori di cui vi gravano gli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi salverò con braccio steso e con grandi atti di giudizio.
DEUTERONOMIO 8
  1. Abbiate cura di mettere in pratica tutti i comandamenti che oggi vi do, affinché viviate, moltiplichiate ed entriate in possesso del paese che il Signore giurò di dare ai vostri padri.
  2. Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, il tuo Dio, ti ha fatto fare in questi quarant'anni nel deserto per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandamenti.
  3. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per insegnarti che l'uomo non vive soltanto di pane, ma che vive di tutto quello che procede dalla bocca del Signore.
  1. Nel deserto ti ha nutrito di manna che i tuoi padri non avevano mai conosciuta, per umiliarti e per provarti, per farti, alla fine, del bene.

Marcello Cicchese
gennaio 2008

Preghiera sacerdotale 1

    GIOVANNI 17

  1. Queste cose disse Gesù; poi levati gli occhi al cielo, disse: Padre, l'ora è venuta; glorifica il tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te, 
  2. poiché gli hai data potestà sopra ogni carne, affinché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dato. 
  3. E questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. 
  4. Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l'opera che tu mi hai data a fare. 
  5. Ed ora, o Padre, glorificami tu presso te stesso della gloria che avevo presso di te avanti che il mondo fosse. 
  6. Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi, e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola. 
  7. Ora hanno conosciuto che tutte le cose che tu mi hai date, vengono da te; 
  8. poiché le parole che tu mi hai date, le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute, e hanno veramente conosciuto ch'io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato. 
  9. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dato, perché sono tuoi; 
  10. e tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie; ed io sono glorificato in loro. 
  11. Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, conservali nel tuo nome, essi che tu mi hai dati, affinché siano uno, come noi. 
  12. Mentre io ero con loro, io li conservavo nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi, e nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta. 
  13. Ma ora io vengo a te; e dico queste cose nel mondo, affinché abbiano compiuta in se stessi la mia allegrezza. 
  14. Io ho dato loro la tua parola; e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  15. Io non ti prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. 
  16. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  17. Santificali nella verità: la tua parola è verità.
  18. Come tu hai mandato me nel mondo, anch'io ho mandato loro nel mondo. 
  19. E per loro io santifico me stesso, affinché anch'essi siano santificati in verità.
  20. Io non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: 
  21. che siano tutti uno; che come tu, o Padre, sei in me, ed io sono in te, anch'essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato.
  22. E io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno come noi siamo uno; 
  23. io in loro, e tu in me; affinché siano perfetti nell'unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me.
  24. Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché veggano la mia gloria che tu mi hai data; poiché tu mi hai amato avanti la fondazione del mondo.
  25. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato; 
  26. ed io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l'amore del quale tu mi hai amato sia in loro, ed io in loro.

    ATTI 10

  1. Voi sapete quello che è avvenuto per tutta la Giudea cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni: 
  2. vale a dire, la storia di Gesù di Nazaret; come Dio l'ha unto di Spirito Santo e di potenza; e come egli è andato attorno facendo del bene, e guarendo tutti coloro che erano sotto il dominio del diavolo, perché Dio era con lui. 
  3. E noi siamo testimoni di tutte le cose ch'egli ha fatte nel paese dei Giudei e in Gerusalemme; ed essi l'hanno ucciso, appendendolo ad un legno. 
  4. Esso ha Dio risuscitato il terzo giorno, e ha fatto sì ch'egli si manifestasse 
  5. non a tutto il popolo, ma ai testimoni che erano prima stati scelti da Dio; cioè a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti.


Marcello Cicchese
agosto 2017

Preghiera sacerdotale 2

    GIOVANNI 17

  1. Queste cose disse Gesù; poi levati gli occhi al cielo, disse: Padre, l'ora è venuta; glorifica il tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te, 
  2. poiché gli hai data potestà sopra ogni carne, affinché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dato. 
  3. E questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. 
  4. Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l'opera che tu mi hai data a fare. 
  5. Ed ora, o Padre, glorificami tu presso te stesso della gloria che avevo presso di te avanti che il mondo fosse. 
  6. Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi, e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola. 
  7. Ora hanno conosciuto che tutte le cose che tu mi hai date, vengono da te; 
  8. poiché le parole che tu mi hai date, le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute, e hanno veramente conosciuto ch'io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato. 
  9. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dato, perché sono tuoi; 
  10. e tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie; ed io sono glorificato in loro. 
  11. Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, conservali nel tuo nome, essi che tu mi hai dati, affinché siano uno, come noi. 
  12. Mentre io ero con loro, io li conservavo nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi, e nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta. 
  13. Ma ora io vengo a te; e dico queste cose nel mondo, affinché abbiano compiuta in se stessi la mia allegrezza. 
  14. Io ho dato loro la tua parola; e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  15. Io non ti prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. 
  16. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  17. Santificali nella verità: la tua parola è verità.
  18. Come tu hai mandato me nel mondo, anch'io ho mandato loro nel mondo. 
  19. E per loro io santifico me stesso, affinché anch'essi siano santificati in verità.
  20. Io non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: 
  21. che siano tutti uno; che come tu, o Padre, sei in me, ed io sono in te, anch'essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato.
  22. E io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno come noi siamo uno; 
  23. io in loro, e tu in me; affinché siano perfetti nell'unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me.
  24. Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché veggano la mia gloria che tu mi hai data; poiché tu mi hai amato avanti la fondazione del mondo.
  25. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato; 
  26. ed io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l'amore del quale tu mi hai amato sia in loro, ed io in loro.


Marcello Cicchese
ottobre 2017

Un sabato sacro
ESODO 31
  1. L'Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo:
  2. 'Quanto a te, parla ai figli d'Israele e di' loro: Badate bene d'osservare i miei sabati, perché il sabato è un segno fra me e voi per tutte le vostre generazioni, affinché conosciate che io sono l'Eterno che vi santifica.
  3. Osserverete dunque il sabato, perché è per voi un giorno santo; chi lo profanerà dovrà essere messo a morte; chiunque farà in esso qualche lavoro sarà sterminato di fra il suo popolo.
  4. Si lavorerà sei giorni; ma il settimo giorno è un sabato di solenne riposo, sacro all'Eterno; chiunque farà qualche lavoro nel giorno del sabato dovrà esser messo a morte.
  5. I figli d'Israele quindi osserveranno il sabato, celebrandolo di generazione in generazione come un patto perpetuo.
  6. Esso è un segno perpetuo fra me e i figli d'Israele; poiché in sei giorni l'Eterno fece i cieli e la terra, e il settimo giorno cessò di lavorare, e si riposò'.
  7. Quando l'Eterno ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli dette le due tavole della testimonianza, tavole di pietra, scritte col dito di Dio.

Marcello Cicchese
maggio 2017

Benedizione a domicilio?
GENESI 12
  1. Il Signore disse ad Abramo: «Va' via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti mostrerò;
  2. io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione.
  3. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra».
  4. Abramo partì, come il Signore gli aveva detto, e Lot andò con lui. Abramo aveva settantacinque anni quando partì da Caran.
  5. Abramo prese Sarai sua moglie e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che possedevano e le persone che avevano acquistate in Caran, e partirono verso il paese di Canaan.
  6. Giunsero così nella terra di Canaan, e Abramo attraversò il paese fino alla località di Sichem, fino alla quercia di More. In quel tempo i Cananei erano nel paese.
  7. Il Signore apparve ad Abramo e disse: «Io darò questo paese alla tua discendenza». Lì Abramo costruì un altare al Signore che gli era apparso.
  8. Di là si spostò verso la montagna a oriente di Betel, e piantò le sue tende, avendo Betel a occidente e Ai ad oriente; lì costruì un altare al Signore e invocò il nome del Signore.

MARCO 10
  1. Mentre Gesù usciva per la via, un tale accorse e, inginocchiatosi davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?»
  2. Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio.
  3. Tu sai i comandamenti: "Non uccidere; non commettere adulterio; non rubare; non dire falsa testimonianza; non frodare nessuno; onora tuo padre e tua madre"».
  4. Ed egli rispose: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia gioventù».
  5. Gesù, guardatolo, l'amò e gli disse: «Una cosa ti manca! Va', vendi tutto ciò che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi».
  6. Ma egli, rattristato da quella parola, se ne andò dolente, perché aveva molti beni.
  7. Gesù, guardatosi attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno delle ricchezze entreranno nel regno di Dio!»
  8. I discepoli si stupirono di queste sue parole. E Gesù replicò loro: «Figlioli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio!
  9. È più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio».
  10. Ed essi sempre più stupiti dicevano tra di loro: «Chi dunque può essere salvato?»
  11. Gesù fissò lo sguardo su di loro e disse: «Agli uomini è impossibile, ma non a Dio; perché ogni cosa è possibile a Dio».
  12. Pietro gli disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito».
  13. Gesù rispose: «In verità vi dico che non vi è nessuno che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli, o campi, per amor mio e per amor del vangelo,
  14. il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto: case, fratelli, sorelle, madri, figli, campi, insieme a persecuzioni e, nel secolo a venire, la vita eterna.
  15. Ma molti primi saranno ultimi e molti ultimi primi».

PROVERBI 10
  1. Quel che fa ricchi è la benedizione dell'Eterno e il tormento che uno si dà non le aggiunge nulla.

Marcello Cicchese
giugno 2006


Salmo 56
Salmo 56
  1. Abbi pietà di me, o Dio, poiché gli uomini anelano a divorarmi; mi tormentano con una guerra di tutti i giorni;
  2. i miei nemici anelano del continuo a divorarmi, poiché sono molti quelli che m'assalgono con superbia.
  3. Nel giorno in cui temerò, io confiderò in te.
  4. Con l'aiuto di Dio celebrerò la sua parola; in Dio confido, e non temerò; che mi può fare il mortale?
  5. Torcono del continuo le mie parole; tutti i lor pensieri son vòlti a farmi del male.
  6. Si radunano, stanno in agguato, spiano i miei passi, come gente che vuole la mia vita.
  7. Rendi loro secondo la loro iniquità! O Dio, abbatti i popoli nella tua ira!
  8. Tu conti i passi della mia vita errante; raccogli le mie lacrime negli otri tuoi; non sono esse nel tuo registro?
  9. Nel giorno che io griderò, i miei nemici indietreggeranno. Questo io so: che Dio è per me.
  10. Con l'aiuto di Dio celebrerò la sua parola; con l'aiuto dell'Eterno celebrerò la sua parola.
  11. In Dio confido e non temerò; che mi può fare l'uomo?
  12. Tengo presenti i voti che t'ho fatti, o Dio; io t'offrirò sacrifizi di lode;
  13. poiché tu hai riscosso l'anima mia dalla morte, hai guardato i miei piedi da caduta, affinché io cammini, al cospetto di Dio, nella luce de' viventi.

Marcello Cicchese
agosto 2016

Una lampada al piede
Salmo 119
  1. La tua parola è una lampada al mio piede e una luce sul mio sentiero.
  2. Ho giurato, e lo manterrò, di osservare i tuoi giusti giudizi.
  3. Io sono molto afflitto; Signore, rinnova la mia vita secondo la tua parola.
  4. Signore, gradisci le offerte volontarie delle mie labbra e insegnami i tuoi giudizi.
  5. La mia vita è sempre in pericolo, ma io non dimentico la tua legge.
  6. Gli empi mi hanno teso dei lacci, ma io non mi sono allontanato dai tuoi precetti.
  7. Le tue testimonianze sono la mia eredità per sempre, esse sono la gioia del mio cuore.
  8. Ho messo il mio impegno a praticare i tuoi statuti, sempre, sino alla fine.

Marcello Cicchese
gennaio 2008

Il peggiore dei profeti
MATTEO

Capitolo 12
  1. Allora alcuni degli scribi e dei Farisei presero a dirgli: Maestro, noi vorremmo vederti operare un segno.
  2. Ma egli rispose loro: Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno; e segno non le sarà dato, tranne il segno del profeta Giona.
  3. Poiché, come Giona stette nel ventre del pesce tre giorni e tre notti, così starà il Figliuol dell'uomo nel cuor della terra tre giorni e tre notti.
  4. I Niniviti risorgeranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno, perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco qui vi è più che Giona!

GIONA

Capitolo 1
  1. La parola dell'Eterno fu rivolta a Giona, figliuolo di Amittai, in questi termini:
  2. 'Lèvati, va' a Ninive, la gran città, e predica contro di lei; perché la loro malvagità è salita nel mio cospetto'.
  3. Ma Giona si levò per fuggirsene a Tarsis, lungi dal cospetto dell'Eterno; e scese a Giaffa, dove trovò una nave che andava a Tarsis; e, pagato il prezzo del suo passaggio, s'imbarcò per andare con quei della nave a Tarsis, lungi dal cospetto dell'Eterno.
  4. Ma l'Eterno scatenò un gran vento sul mare, e vi fu sul mare una forte tempesta, sì che la nave minacciava di sfasciarsi.
  5. I marinai ebbero paura, e ognuno gridò al suo dio e gettarono a mare le mercanzie ch'erano a bordo, per alleggerire la nave; ma Giona era sceso nel fondo della nave, s'era coricato, e dormiva profondamente.
  6. Il capitano gli si avvicinò, e gli disse: 'Che fai tu qui a dormire? Lèvati, invoca il tuo dio! Forse Dio si darà pensiero di noi, e non periremo'.
  7. Poi dissero l'uno all'altro: 'Venite, tiriamo a sorte, per sapere a cagione di chi ci capita questa disgrazia'. Tirarono a sorte, e la sorte cadde su Giona.
  8. Allora essi gli dissero: 'Dicci dunque a cagione di chi ci capita questa disgrazia! Qual è la tua occupazione? donde vieni? qual è il tuo paese? e a che popolo appartieni?'
  9. Egli rispose loro: 'Sono Ebreo, e temo l'Eterno, l'Iddio del cielo, che ha fatto il mare e la terra ferma'.
  10. Allora quegli uomini furon presi da grande spavento, e gli dissero: 'Perché hai fatto questo?' Poiché quegli uomini sapevano ch'egli fuggiva lungi dal cospetto dell'Eterno, giacché egli avea dichiarato loro la cosa.
  11. E quelli gli dissero: 'Che ti dobbiam fare perché il mare si calmi per noi?' Poiché il mare si faceva sempre più tempestoso.
  12. Egli rispose loro: 'Pigliatemi e gettatemi in mare, e il mare si calmerà per voi; perché io so che questa forte tempesta vi piomba addosso per cagion mia'.
  13. Nondimeno quegli uomini davan forte nei remi per ripigliar terra; ma non potevano, perché il mare si faceva sempre più tempestoso e minaccioso.
  14. Allora gridarono all'Eterno, e dissero: 'Deh, o Eterno, non lasciar che periamo per risparmiar la vita di quest'uomo, e non ci mettere addosso del sangue innocente; perché tu, o Eterno, hai fatto quel che ti è piaciuto'.
  15. Poi presero Giona e lo gettarono in mare; e la furia del mare si calmò.
  16. E quegli uomini furon presi da un gran timore dell'Eterno; offrirono un sacrifizio all'Eterno, e fecero dei voti.

Capitolo 4
  1. Ma Giona ne provò un gran dispiacere, e ne fu irritato; e pregò l'Eterno, dicendo:
  2. 'O Eterno, non è egli questo ch'io dicevo, mentr'ero ancora nel mio paese? Perciò m'affrettai a fuggirmene a Tarsis; perché sapevo che sei un Dio misericordioso, pietoso, lento all'ira, di gran benignità, e che ti penti del male minacciato.
  3. Or dunque, o Eterno, ti prego, riprenditi la mia vita; poiché per me val meglio morire che vivere'.
  4. E l'Eterno gli disse: 'Fai tu bene a irritarti così?'
  5. Poi Giona uscì dalla città, e si mise a sedere a oriente della città; si fece quivi una capanna, e vi sedette sotto, all'ombra, stando a vedere quello che succederebbe alla città.
  6. E Dio, l'Eterno, per guarirlo della sua irritazione, fece crescere un ricino, che montò su di sopra a Giona per fargli ombra al capo; e Giona provò una grandissima gioia a motivo di quel ricino.
  7. Ma l'indomani, allo spuntar dell'alba, Iddio fece venire un verme, il quale attaccò il ricino, ed esso si seccò.
  8. E come il sole fu levato, Iddio fece soffiare un vento soffocante d'oriente, e il sole picchiò sul capo di Giona, sì ch'egli venne meno, e chiese di morire, dicendo: 'Meglio è per me morire che vivere'.
  9. E Dio disse a Giona: 'Fai tu bene a irritarti così a motivo del ricino?' Egli rispose: 'Sì, faccio bene a irritarmi fino alla morte'.
  10. E l'Eterno disse: 'Tu hai pietà del ricino per il quale non hai faticato, e che non hai fatto crescere, che è nato in una notte e in una notte è perito:
  11. e io non avrei pietà di Ninive, la gran città, nella quale si trovano più di centoventimila persone che non sanno distinguere la loro destra dalla loro sinistra, e tanta quantità di bestiame?'

Marcello Cicchese
febbraio 2015

Salmo 27
Salmo 27
  1. Il Signore è la mia luce e la mia salvezza; di chi temerò?
    Il Signore è il baluardo della mia vita; di chi avrò paura?
  2. Quando i malvagi, che mi sono avversari e nemici, mi hanno assalito per divorarmi, essi stessi hanno vacillato e sono caduti.
  3. Se un esercito si accampasse contro di me, il mio cuore non avrebbe paura; se infuriasse la battaglia contro di me, anche allora sarei fiducioso.
  4. Una cosa ho chiesto al Signore, e quella ricerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore, e meditare nel suo tempio.
  5. Poich'egli mi nasconderà nella sua tenda in giorno di sventura, mi custodirà nel luogo più segreto della sua dimora, mi porterà in alto sopra una roccia.
  6. E ora la mia testa s'innalza sui miei nemici che mi circondano. Offrirò nella sua dimora sacrifici con gioia; canterò e salmeggerò al Signore.

  7. O Signore, ascolta la mia voce quando t'invoco; abbi pietà di me, e rispondimi.
  8. Il mio cuore mi dice da parte tua: «Cercate il mio volto!»
    Io cerco il tuo volto, o Signore.
  9. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo;tu sei stato il mio aiuto; non lasciarmi, non abbandonarmi, o Dio della mia salvezza!
  10. Qualora mio padre e mia madre m'abbandonino, il Signore mi accoglierà.
  11. O Signore, insegnami la tua via, guidami per un sentiero diritto, a causa dei miei nemici.
  12. Non darmi in balìa dei miei nemici; perché sono sorti contro di me falsi testimoni, gente che respira violenza.
  13. Ah, se non avessi avuto fede di veder la bontà del Signore sulla terra dei viventi!
  14. Spera nel Signore! Sii forte, il tuo cuore si rinfranchi; sì, spera nel Signore!

Marcello Cicchese
dicembre 2007

Il Re dei Giudei
Il Re dei Giudei

Dalla Sacra Scrittura

MATTEO 2
  1. Or essendo Gesù nato in Betleem di Giudea, ai dì del re Erode, ecco dei magi d'Oriente arrivarono in Gerusalemme, dicendo:
  2. Dov'è il re de' Giudei che è nato? Poiché noi abbiam veduto la sua stella in Oriente e siam venuti per adorarlo.
  3. Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.
  4. E radunati tutti i capi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informò da loro dove il Cristo doveva nascere.
  5. Ed essi gli dissero: In Betleem di Giudea; poiché così è scritto per mezzo del profeta:
  6. E tu, Betleem, terra di Giuda, non sei punto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un Principe, che pascerà il mio popolo Israele.
  7. Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s'informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparita;
  8. e mandandoli a Betleem, disse loro: Andate e domandate diligentemente del fanciullino; e quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo.
  9. Essi dunque, udito il re, partirono; ed ecco la stella che avevano veduta in Oriente, andava dinanzi a loro, finché, giunta al luogo dov'era il fanciullino, vi si fermò sopra.
  10. Ed essi, veduta la stella, si rallegrarono di grandissima allegrezza.
  11. Ed entrati nella casa, videro il fanciullino con Maria sua madre; e prostratisi, lo adorarono; ed aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra.
  12. Poi, essendo stati divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, per altra via tornarono al loro paese.
GIOVANNI 18
  1. Poi, da Caiàfa, menarono Gesù nel pretorio. Era mattina, ed essi non entrarono nel pretorio per non contaminarsi e così poter mangiare la pasqua.
  2. Pilato dunque uscì fuori verso di loro, e domandò: Quale accusa portate contro quest'uomo?
  3. Essi risposero e gli dissero: Se costui non fosse un malfattore, non te lo avremmo dato nelle mani.
  4. Pilato quindi disse loro: Pigliatelo voi, e giudicatelo secondo la vostra legge. I Giudei gli dissero: A noi non è lecito far morire alcuno.
  5. E ciò affinché si adempisse la parola che Gesù aveva detta, significando di qual morte doveva morire.
  6. Pilato dunque rientrò nel pretorio; chiamò Gesù e gli disse: Sei tu il Re dei Giudei?
  7. Gesù gli rispose: Dici tu questo di tuo, oppure altri te l'hanno detto di me?
  8. Pilato gli rispose: Son io forse giudeo? La tua nazione e i capi sacerdoti t'hanno messo nelle mie mani; che hai fatto?
  9. Gesù rispose: il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perch'io non fossi dato in mano dei Giudei; ma ora il mio regno non è di qui.
  10. Allora Pilato gli disse: Ma dunque, sei tu re? Gesù rispose: Tu lo dici; io sono re; io sono nato per questo, e per questo son venuto nel mondo, per testimoniare della verità. Chiunque è per la verità ascolta la mia voce.
  11. Pilato gli disse: Che cos'è verità? E detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei, e disse loro: Io non trovo alcuna colpa in lui.
  12. Ma voi avete l'usanza ch'io vi liberi uno per la Pasqua; volete dunque che vi liberi il Re de' Giudei?
  13. Allora gridaron di nuovo: Non costui, ma Barabba! Or Barabba era un ladrone.
Marcello Cicchese
ottobre 2019

Come cerva che assetata
Marcello Cicchese
gennaio 2008

Vanità delle vanità
Vanità delle vanità, tutto è vanità

Dalla Sacra Scrittura

ECCLESIASTE 1
  1. Parole dell'Ecclesiaste, figlio di Davide, re di Gerusalemme.
  2. Vanità delle vanità, dice l'Ecclesiaste, vanità delle vanità, tutto è vanità.
  3. Che profitto ha l'uomo di tutta la fatica che sostiene sotto il sole?
  4. Una generazione se ne va, un'altra viene, e la terra sussiste per sempre.
  5. Anche il sole sorge, poi tramonta, e si affretta verso il luogo da cui sorgerà di nuovo.
  6. Il vento soffia verso il mezzogiorno, poi gira verso settentrione; va girando, girando continuamente, per ricominciare gli stessi giri.
  7. Tutti i fiumi corrono al mare, eppure il mare non si riempie; al luogo dove i fiumi si dirigono, continuano a dirigersi sempre.
  8. Ogni cosa è in travaglio, più di quanto l'uomo possa dire; l'occhio non si sazia mai di vedere e l'orecchio non è mai stanco di udire.
  9. Ciò che è stato è quel che sarà; ciò che si è fatto è quel che si farà; non c'è nulla di nuovo sotto il sole.
  10. C'è forse qualcosa di cui si possa dire: «Guarda, questo è nuovo?» Quella cosa esisteva già nei secoli che ci hanno preceduto.
  11. Non rimane memoria delle cose d'altri tempi; così di quanto succederà in seguito non rimarrà memoria fra quelli che verranno più tardi.
  12. Io, l'Ecclesiaste, sono stato re d'Israele a Gerusalemme,
  13. e ho applicato il cuore a cercare e a investigare con saggezza tutto ciò che si fa sotto il cielo: occupazione penosa, che Dio ha data ai figli degli uomini perché vi si affatichino.
  14. Io ho visto tutto ciò che si fa sotto il sole: ed ecco tutto è vanità, è un correre dietro al vento.
  15. Ciò che è storto non può essere raddrizzato, ciò che manca non può essere contato.
  16. Io ho detto, parlando in cuor mio: «Ecco io ho acquistato maggiore saggezza di tutti quelli che hanno regnato prima di me a Gerusalemme; sì, il mio cuore ha posseduto molta saggezza e molta scienza».
  17. Ho applicato il cuore a conoscere la saggezza, e a conoscere la follia e la stoltezza; ho riconosciuto che anche questo è un correre dietro al vento.
  18. Infatti, dov'è molta saggezza c'è molto affanno, e chi accresce la sua scienza accresce il suo dolore.

ECCLESIASTE 2
  1. Io ho detto in cuor mio: «Andiamo! Ti voglio mettere alla prova con la gioia, e tu godrai il piacere!» Ed ecco che anche questo è vanità.
  2. Io ho detto del riso: «É una follia»; e della gioia: «A che giova?»
  1. Perciò ho odiato la vita, perché tutto quello che si fa sotto il sole mi è divenuto odioso, poiché tutto è vanità, un correre dietro al vento.

ECCLESIASTE 12
  1. Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso: Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto dell'uomo.

1 PIETRO 1
  1. E se invocate come Padre colui che giudica senza favoritismi, secondo l'opera di ciascuno, comportatevi con timore durante il tempo del vostro soggiorno terreno;
  2. sapendo che non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vano modo di vivere tramandatovi dai vostri padri,
  3. ma con il prezioso sangue di Cristo, come quello di un agnello senza difetto né macchia.
  4. Già designato prima della creazione del mondo, egli è stato manifestato negli ultimi tempi per voi;
  5. per mezzo di lui credete in Dio che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria affinché la vostra fede e la vostra speranza fossero in Dio.
  6. Avendo purificato le anime vostre con l'ubbidienza alla verità per giungere a un sincero amor fraterno, amatevi intensamente a vicenda di vero cuore,
  7. perché siete stati rigenerati non da seme corruttibile, ma incorruttibile, cioè mediante la parola vivente e permanente di Dio.
  8. Infatti, «ogni carne è come l'erba, e ogni sua gloria come il fiore dell'erba. L'erba diventa secca e il fiore cade;
  9. ma la parola del Signore rimane in eterno». E questa è la parola della buona notizia che vi è stata annunziata.

1 CORINZI 15
  1. Quando poi questo corruttibile avrà rivestito incorruttibilità e questo mortale avrà rivestito immortalità, allora sarà adempiuta la parola che è scritta: «La morte è stata sommersa nella vittoria».
  2. «O morte, dov'è la tua vittoria? O morte, dov'è il tuo dardo?»
  3. Ora il dardo della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge;
  4. ma ringraziato sia Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo.
  5. Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, sempre abbondanti nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.
Marcello Cicchese
8 ottobre 2006

La prova della fede
La prova della fede

Dalla Sacra Scrittura

GIACOMO 1
  1. Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù che sono disperse nel mondo: salute.
  2. Fratelli miei, considerate una grande gioia quando venite a trovarvi in prove svariate,
  3. sapendo che la prova della vostra fede produce costanza.
  4. E la costanza compia pienamente l'opera sua in voi, perché siate perfetti e completi, di nulla mancanti.
  5. Se poi qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio che dona a tutti generosamente senza rinfacciare, e gli sarà data.
  6. Ma la chieda con fede, senza dubitare; perché chi dubita rassomiglia a un'onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là.
  7. Un tale uomo non pensi di ricevere qualcosa dal Signore,
  8. perché è di animo doppio, instabile in tutte le sue vie.
  9. Il fratello di umile condizione sia fiero della sua elevazione;
  10. e il ricco, della sua umiliazione, perché passerà come il fiore dell'erba.
  11. Infatti il sole sorge con il suo calore ardente e fa seccare l'erba, e il suo fiore cade e la sua bella apparenza svanisce; anche il ricco appassirà così nelle sue imprese.
  12. Beato l'uomo che sopporta la prova; perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita, che il Signore ha promessa a quelli che lo amano.
Marcello Cicchese
1 ottobre 2006

L’enigma Gesù
L’enigma Gesù

Dalla Sacra Scrittura

MARCO 15
  1. E venuta l'ora sesta, si fecero tenebre per tutto il paese, fino all'ora nona.
  2. E all'ora nona, Gesù gridò con gran voce: Eloì, Eloì, lamà sabactanì? il che, interpretato, vuol dire: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
  3. E alcuni degli astanti, udito ciò, dicevano: Ecco, chiama Elia!
  4. E uno di loro corse, e inzuppata d'aceto una spugna, e postala in cima ad una canna, gli diè da bere dicendo: Aspettate, vediamo se Elia viene a trarlo giù.
  5. E Gesù, gettato un gran grido, rendé lo spirito.
  1. Ed essendo già sera (poiché era Preparazione, cioè la vigilia del sabato),
  2. venne Giuseppe d'Arimatea, consigliere onorato, il quale aspettava anch'egli il Regno di Dio; e, preso ardire, si presentò a Pilato e domandò il corpo di Gesù.
  3. Pilato si meravigliò ch'egli fosse già morto; e chiamato a sé il centurione, gli domandò se era morto da molto tempo;
  4. e saputolo dal centurione, donò il corpo a Giuseppe.
  5. E questi, comprato un panno lino e tratto Gesù giù di croce, l'involse nel panno e lo pose in una tomba scavata nella roccia, e rotolò una pietra contro l'apertura del sepolcro.
ATTI 1
  1. Nel mio primo libro, o Teofilo, parlai di tutto quel che Gesù prese e a fare e ad insegnare,
  2. fino al giorno che fu assunto in cielo, dopo aver dato per lo Spirito Santo dei comandamenti agli apostoli che avea scelto.
  3. Ai quali anche, dopo ch'ebbe sofferto, si presentò vivente con molte prove, facendosi veder da loro per quaranta giorni, e ragionando delle cose relative al regno di Dio.

  4. E trovandosi con essi, ordinò loro di non dipartirsi da Gerusalemme, ma di aspettarvi il compimento della promessa del Padre, la quale, egli disse, avete udita da me.
  5. Poiché Giovanni Battista battezzò sì con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo tra non molti giorni.
  6. Quelli dunque che erano radunati, gli domandarono: Signore, è egli in questo tempo che ristabilirai il regno ad Israele?
  7. Egli rispose loro: Non sta a voi di sapere i tempi o i momenti che il Padre ha riserbato alla sua propria autorità.
  8. Ma voi riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni e in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all'estremità della terra.

  9. E dette queste cose, mentre essi guardavano, fu elevato; e una nuvola, accogliendolo, lo tolse d'innanzi agli occhi loro.
  10. E come essi aveano gli occhi fissi in cielo, mentr'egli se ne andava, ecco che due uomini in vesti bianche si presentarono loro e dissero:
  11. Uomini Galilei, perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù che è stato tolto da voi ed assunto dal cielo, verrà nella medesima maniera che l'avete veduto andare in cielo.

  12. Allora essi tornarono a Gerusalemme dal monte chiamato dell'Uliveto, il quale è vicino a Gerusalemme, non distandone che un cammin di sabato.
  13. E come furono entrati, salirono nella sala di sopra ove solevano trattenersi Pietro e Giovanni e Giacomo e Andrea, Filippo e Toma, Bartolomeo e Matteo, Giacomo d'Alfeo, e Simone lo Zelota, e Giuda di Giacomo.
  14. Tutti costoro perseveravano di pari consentimento nella preghiera, con le donne, e con Maria, madre di Gesù, e coi fratelli di lui.
Marcello Cicchese
dicembre 2019

Salmi 124, 129
Salmo 124
  1. Se non fosse stato l'Eterno
    che fu per noi,
    lo dica pure ora Israele,
  2. se non fosse stato l'Eterno
    che fu per noi,
    quando gli uomini si levarono
    contro noi,
  3. allora ci avrebbero inghiottiti tutti vivi, quando l'ira loro
    ardeva contro noi;
  4. allora le acque ci avrebbero sommerso, il torrente sarebbe passato sull'anima nostra;
  5. allora le acque orgogliose sarebbero passate sull'anima nostra.
  6. Benedetto sia l'Eterno
    che non ci ha dato in preda ai loro denti!
  7. L'anima nostra è scampata,
    come un uccello dal laccio degli uccellatori;
    il laccio è stato rotto, e noi siamo scampati.
  8. Il nostro aiuto è nel nome dell'Eterno,
    che ha fatto il cielo e la terra.

Salmo 129
  1. Molte volte m'hanno oppresso dalla mia giovinezza!
    Lo dica pure Israele:
  2. Molte volte m'hanno oppresso dalla mia giovinezza;
    eppure, non hanno potuto vincermi.
  3. Degli aratori hanno arato sul mio dorso,
    v'hanno tracciato i loro lunghi solchi.
  4. L'Eterno è giusto;
    egli ha tagliato le funi degli empi.
  5. Siano confusi e voltin le spalle
    tutti quelli che odiano Sion!
  6. Siano come l'erba dei tetti,
    che secca prima di crescere!
  7. Non se n'empie la mano il mietitore,
    né le braccia chi lega i covoni;
  8. e i passanti non dicono:
    La benedizione dell'Eterno sia sopra voi;
    noi vi benediciamo nel nome dell'Eterno!
Marcello Cicchese
31 maggio 2015

Dio con gli uomini
Dio abiterà con gli uomini

Dalla Sacra Scrittura

Apocalisse 21:1-3
  1. Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, poiché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi, e il mare non c'era più.
  2. E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scendere giù dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.
  3. E udii una gran voce dal trono, che diceva: «Ecco il tabernacolo (skene) di Dio con gli uomini! Egli abiterà (skenao) con loro, ed essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà loro Dio."
Esodo 25
  1. E mi facciano un santuario perch'io abiti (shachan) in mezzo a loro.
  2. Me lo farete in tutto e per tutto secondo il modello del tabernacolo (mishchan) e secondo il modello di tutti i suoi arredi, che io sto per mostrarti.
Esodo 29
  1. Sarà un olocausto perpetuo offerto dai vostri discendenti, all'ingresso della tenda di convegno, davanti all'Eterno, dove io v'incontrerò per parlare qui con te.
  2. E là io mi troverò coi figli d'Israele; e la tenda sarà santificata dalla mia gloria.
  3. E santificherò la tenda di convegno e l'altare; anche Aaronne e i suoi figliuoli santificherò, perché mi esercitino l'ufficio di sacerdoti.
  4. E abiterò (shachan) in mezzo ai figli d'Israele e sarò il loro Dio.
  5. Ed essi conosceranno che io sono l'Eterno, l'Iddio loro, che li ho tratti dal paese d'Egitto per abitare (shachan) tra loro. Io sono l'Eterno, l'Iddio loro.
Giovanni 1
  1. E la Parola è stata fatta carne ed ha abitato (skenao) per un tempo fra noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come quella dell'Unigenito venuto da presso al Padre.
Luca 17
  1. Il regno di Dio non viene in modo da attirare gli sguardi; né si dirà:
  2. "Eccolo qui", o "eccolo là"; perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi.
Giovanni 1
  1. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, ma il mondo non l'ha conosciuto.
  2. È venuto in casa sua, e i suoi non l'hanno ricevuto:
  3. ma a tutti quelli che l'hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio; a quelli, cioè, che credono nel suo nome.
Matteo 18
  1. Poiché dovunque due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro.
1 Corinzi 3
  1. Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?
  2. Se uno guasta il tempio di Dio, Dio guasterà lui; poiché il tempio di Dio è santo; e questo tempio siete voi.
Giovanni 14
  1. Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me!
  2. Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che vado a prepararvi un luogo?
  3. Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi".
Marcello Cicchese
novembre 2016

Io vi darò riposo
  «Io vi darò riposo»

  Matteo 11:28-30
  Venite a me, voi tutti
  che siete travagliati ed aggravati,
  e io vi darò riposo.
  Prendete su voi il mio giogo
  ed imparate da me,
  perch'io sono mansueto ed umile di cuore;
  e voi troverete riposo alle anime vostre;
  poiché il mio giogo è dolce
  e il mio carico è leggero.

Marcello Cicchese
ottobre 2015

Tempi difficili
Negli ultimi giorni
verranno tempi difficili


Seconda lettera di Paolo a Timoteo

Capitolo 3
  1. Or sappi questo: che negli ultimi giorni verranno dei tempi difficili;
  2. perché gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanagloriosi, superbi, bestemmiatori, disubbidienti ai genitori, ingrati, irreligiosi,
  3. senza affezione naturale, mancatori di fede, calunniatori, intemperanti, spietati, senza amore per il bene,
  4. traditori, temerari, gonfi, amanti del piacere anziché di Dio,
  5. avendo le forme della pietà, ma avendone rinnegata la potenza.
  6. Anche costoro schiva! Poiché del numero di costoro sono quelli che s'insinuano nelle case e cattivano donnicciuole cariche di peccati, e agitate da varie cupidigie,
  7. che imparano sempre e non possono mai pervenire alla conoscenza della verità.
  8. E come Jannè e Iambrè contrastarono a Mosè, così anche costoro contrastano alla verità: uomini corrotti di mente, riprovati quanto alla fede.
  9. Ma non andranno più oltre, perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti, come fu quella di quegli uomini.
  10. Quanto a te, tu hai tenuto dietro al mio insegnamento, alla mia condotta, ai miei propositi, alla mia fede, alla mia pazienza, al mio amore, alla mia costanza,
  11. alle mie persecuzioni, alle mie sofferenze, a quel che mi avvenne ad Antiochia, ad Iconio ed a Listra. Sai quali persecuzioni ho sopportato; e il Signore mi ha liberato da tutte.
  12. E d'altronde tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati;
  13. mentre i malvagi e gli impostori andranno di male in peggio, seducendo ed essendo sedotti.
  14. Ma tu persevera nelle cose che hai imparate e delle quali sei stato accertato, sapendo da chi le hai imparate,
  15. e che fin da fanciullo hai avuto conoscenza degli Scritti sacri, i quali possono renderti savio a salute mediante la fede che è in Cristo Gesù.
  16. Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile ad insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia,
  17. affinché l'uomo di Dio sia compiuto, appieno fornito per ogni opera buona.

Capitolo 4
  1. Io te ne scongiuro nel cospetto di Dio e di Cristo Gesù che ha da giudicare i vivi e i morti, e per la sua apparizione e per il suo regno:
  2. Predica la Parola, insisti a tempo e fuor di tempo, riprendi, sgrida, esorta con grande pazienza e sempre istruendo.
  3. Perché verrà il tempo che non sopporteranno la sana dottrina; ma per prurito d'udire si accumuleranno dottori secondo le loro proprie voglie
  4. e distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole.
  5. Ma tu sii vigilante in ogni cosa, soffri afflizioni, fa' l'opera d'evangelista, compi tutti i doveri del tuo ministero.
Marcello Cicchese
luglio 2015

Il libro di Giobbe
Giobbe: una questione di giustizia

La figura di Giobbe viene di solito messa in relazione con il problema della sofferenza. Dallo studio del libro su cui si basa la seguente predicazione emerge invece che l’angoscioso tormento in cui si dibatte Giobbe non è dovuto all’inesplicabilità del problema della sofferenza, ma al crollo di un pilastro che aveva sostenuto fino a quel momento la sua vita: la fede nella giustizia di Dio. Le “buone parole” con cui i suoi amici cercano di metterlo sulla buona strada lo spingono sempre di più sul ciglio di un baratro in cui corre il rischio di cadere e perdersi definitivamente: il pensiero di essere più giusto di Dio.

Marcello Cicchese
novembre 2018

Testo delle letture

1.6 Or accadde un giorno, che i figli di Dio vennero a presentarsi davanti all'Eterno, e Satana venne anch'egli in mezzo a loro.
   7 E l'Eterno disse a Satana: 'Da dove vieni?' E Satana rispose all'Eterno: 'Dal percorrere la terra e dal passeggiar per essa'.
   8 E l'Eterno disse a Satana: 'Hai tu notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Iddio e fugga il male'.
   9 E Satana rispose all'Eterno: 'È egli forse per nulla che Giobbe teme Iddio?
 10 Non l'hai tu circondato d'un riparo, lui, la sua casa, e tutto quello che possiede? Tu hai benedetto l'opera delle sue mani, e il suo bestiame ricopre tutto il paese.
 11 Ma stendi un po' la tua mano, tocca quanto egli possiede, e vedrai se non ti rinnega in faccia'.
 12 E l'Eterno disse a Satana: 'Ebbene! tutto quello che possiede è in tuo potere; soltanto, non stender la mano sulla sua persona'. - E Satana si ritirò dalla presenza dell'Eterno.


1.20 Allora Giobbe si alzò e si stracciò il mantello e si rase il capo e si prostrò a terra e adorò e disse:
   21 'Nudo sono uscito dal seno di mia madre, e nudo tornerò in seno della terra; l'Eterno ha dato, l'Eterno ha tolto; sia benedetto il nome dell'Eterno'.
   22 In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di mal fatto.


2.E l'Eterno disse a Satana:
   3 'Hai tu notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Iddio e fugga il male. Egli si mantiene saldo nella sua integrità benché tu m'abbia incitato contro di lui per rovinarlo senza alcun motivo'.
   4 E Satana rispose all'Eterno: 'Pelle per pelle! L'uomo dà tutto quel che possiede per la sua vita;
   5 ma stendi un po' la tua mano, toccagli le ossa e la carne, e vedrai se non ti rinnega in faccia'.
   6 E l'Eterno disse a Satana: 'Ebbene esso è in tuo potere; soltanto, rispetta la sua vita'.
   7 E Satana si ritirò dalla presenza dell'Eterno e colpì Giobbe d'un'ulcera maligna dalla pianta de' piedi al sommo del capo; e Giobbe prese un còccio per grattarsi, e stava seduto nella cenere.
   8 E sua moglie gli disse: 'Ancora stai saldo nella tua integrità?
   9 Ma lascia stare Iddio, e muori!'
10 E Giobbe a lei: 'Tu parli da donna insensata! Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuteremmo d'accettare il male?' - In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra.


3.1 Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il giorno della sua nascita.
   2 E prese a dire così:
   3 «Perisca il giorno ch'io nacqui e la notte che disse: 'È concepito un maschio!'
   4 Quel giorno si converta in tenebre, non se ne curi Iddio dall'alto, né splenda sovr'esso raggio di luce!
   5 Se lo riprendano le tenebre e l'ombra di morte, resti sovr'esso una fitta nuvola, le eclissi lo riempiano di paura!


3.11 Perché non morii nel seno di mia madre? Perché non spirai appena uscito dalle sue viscere?
   12 Perché trovai delle ginocchia per ricevermi e delle mammelle da poppare?
   20 Perché dar la luce all'infelice e la vita a chi ha l'anima nell'amarezza,
   23 Perché dar vita a un uomo la cui via è oscura, e che Dio ha stretto in un cerchio?


9.20 Fossi pur giusto, la mia bocca stessa mi condannerebbe; fossi pure integro, essa mi farebbe dichiarar perverso.
   21 Integro! Sì, lo sono! di me non mi preme, io disprezzo la vita!
   22 Per me è tutt'uno! perciò dico: 'Egli distrugge ugualmente l'integro ed il malvagio.
   23 Se un flagello, a un tratto, semina la morte, egli ride dello sgomento degli innocenti.
   24 La terra è data in balìa dei malvagi; egli vela gli occhi ai giudici di essa; se non è lui, chi è dunque'?


13.7 Volete dunque difendere Iddio parlando iniquamente?


19.5 Ma se proprio volete insuperbire contro di me e rimproverarmi la vergogna in cui mi trovo,
    6 allora sappiatelo: chi m'ha fatto torto e m'ha avvolto nelle sue reti è Dio.
    7 Ecco, io grido: 'Violenza!' e nessuno risponde; imploro aiuto, ma non c'è giustizia!


24.12 Sale dalle città il gemito dei morenti; l'anima de' feriti implora aiuto, e Dio non si cura di codeste infamie!

24.22 Iddio con la sua forza prolunga i giorni dei prepotenti, i quali risorgono, quand'ormai disperavano della vita.

24.25 Se così non è, chi mi smentirà, chi annienterà il mio dire?


27.5 Lungi da me l'idea di darvi ragione! Fino all'ultimo respiro non mi lascerò togliere la mia integrità.
    6 Ho preso a difendere la mia giustizia e non cederò; il cuore non mi rimprovera uno solo dei miei giorni.


31.35 Oh, avessi pure chi m'ascoltasse!... ecco qua la mia firma! l'Onnipotente mi risponda! Scriva l'avversario mio la sua querela,
    36 ed io la porterò attaccata alla mia spalla, me la cingerò come un diadema!
    37 Gli renderò conto di tutti i miei passi, a lui mi avvicinerò come un principe!


1.6 Or avvenne un giorno, che i figli di Dio vennero a presentarsi davanti all'Eterno, e Satana venne anch'egli in mezzo a loro.


16.19 Già fin d'ora, ecco, il mio Testimonio è in cielo, il mio Garante è nei luoghi altissimi.
    20 Gli amici mi deridono, ma a Dio si volgon piangenti gli occhi miei;
    21 sostenga egli le ragioni dell'uomo presso Dio, le ragioni del figlio dell'uomo contro i suoi compagni!


19.25 Ma io so che il mio Vendicatore vive, e che alla fine si leverà sulla polvere.
    26 E quando, dopo la mia pelle, sarà distrutto questo corpo, senza la mia carne, vedrò Iddio.
    27 Io lo vedrò a me favorevole; lo contempleranno gli occhi miei, non quelli d'un altro... il cuore, dalla brama, mi si strugge in seno!


9.32 Dio non è un uomo come me, perch'io gli risponda e che possiam comparire in giudizio assieme.
  33 Non c'è fra noi un arbitro, che posi la mano su tutti e due!


42.7 Dopo che ebbe rivolto questi discorsi a Giobbe, l'Eterno disse a Elifaz di Teman: 'L'ira mia è accesa contro te e contro i tuoi due amici, perché non avete parlato di me secondo la verità, come ha fatto il mio servo Giobbe.


32.1 Quei tre uomini cessarono di rispondere a Giobbe perché egli si credeva giusto.
     2 Allora l'ira di Elihu, figliuolo di Barakeel il Buzita, della tribù di Ram, s'accese:
     3 s'accese contro Giobbe, perché riteneva giusto se stesso anziché Dio; s'accese anche contro i tre amici di lui perché non avean trovato che rispondere, sebbene condannassero Giobbe.


32.13 Non avete dunque ragione di dire: 'Abbiam trovato la sapienza! Dio soltanto lo farà cedere; non l'uomo!'
 14 Egli non ha diretto i suoi discorsi contro a me, ed io non gli risponderò colle vostre parole.


33.1 Ma pure, ascolta, o Giobbe, il mio dire, porgi orecchio a tutte le mie parole!
   2 Ecco, apro la bocca, la lingua parla sotto il mio palato.
   3 Nelle mie parole è la rettitudine del mio cuore; e le mie labbra diran sinceramente quello che so.
   4 Lo spirito di Dio mi ha creato, e il soffio dell'Onnipotente mi dà la vita.
   5 Se puoi, rispondimi; prepara le tue ragioni, fatti avanti!
   6 Ecco, io sono uguale a te davanti a Dio; anch'io, fui tratto dall'argilla.
   7 Spavento di me non potrà quindi sgomentarti, e il peso della mia autorità non ti potrà schiacciare.
   8 Davanti a me tu dunque hai detto (e ho bene udito il suono delle tue parole):
   9 'Io sono puro, senza peccato; sono innocente, non c'è iniquità in me;
 10 ma Dio trova contro me degli appigli ostili, mi tiene per suo nemico;
 11 mi mette i piedi nei ceppi, spia tutti i miei movimenti'.
 12 E io ti rispondo: In questo non hai ragione; giacché Dio è più grande dell'uomo.
 13 Perché contendi con lui? poich'egli non rende conto d'alcuno dei suoi atti.
 14 Iddio parla, bensì, una volta ed anche due, ma l'uomo non ci bada;
 15 parla per via di sogni, di visioni notturne, quando un sonno profondo cade sui mortali, quando sui loro letti essi giacciono assopiti;
 16 allora egli apre i loro orecchi e dà loro in segreto degli ammonimenti,
 17 per distoglier l'uomo dal suo modo d'agire e tener lungi da lui la superbia;
 18 per salvargli l'anima dalla fossa, la vita dal dardo mortale.
 19 L'uomo è anche ammonito sul suo letto, dal dolore, dall'agitazione incessante delle sue ossa;
 20 quand'egli ha in avversione il pane, e l'anima sua schifa i cibi più squisiti;
 21 la carne gli si consuma, e sparisce, mentre le ossa, prima invisibili, gli escon fuori,
 22 l'anima sua si avvicina alla fossa, e la sua vita a quelli che danno la morte.
 23 Ma se, presso a lui, v'è un angelo, un interprete, uno solo fra i mille, che mostri all'uomo il suo dovere,
 24 Iddio ha pietà di lui e dice: 'Risparmialo, che non scenda nella fossa! Ho trovato il suo riscatto'.
 25 Allora la sua carne divien fresca più di quella d'un bimbo; egli torna ai giorni della sua giovinezza;
 26 implora Dio, e Dio gli è propizio; gli dà di contemplare il suo volto con giubilo, e lo considera di nuovo come giusto.
 27 Ed egli va cantando fra la gente e dice: 'Avevo peccato, pervertito la giustizia, e non sono stato punito come meritavo.
 28 Iddio ha riscattato l'anima mia, onde non scendesse nella fossa e la mia vita si schiude alla luce!'
 29 Ecco, tutto questo Iddio lo fa due, tre volte, all'uomo,
 30 per ritrarre l'anima di lui dalla fossa, perché su di lei splenda la luce della vita.
 31 Sta' attento, Giobbe, dammi ascolto; taci, ed io parlerò.
 32 Se hai qualcosa da dire, rispondi, parla, ché io vorrei poterti dar ragione. 33 Se no, tu dammi ascolto, taci, e t'insegnerò la saviezza».


34.29 Quando Iddio dà requie chi lo condannerà? Chi potrà contemplarlo quando nasconde il suo volto a una nazione ovvero a un individuo,
 30 per impedire all'empio di regnare, per allontanar dal popolo le insidie?
 31 Quell'empio ha egli detto a Dio: 'Io porto la mia pena, non farò più il male,
 32 mostrami tu quel che non so vedere; se ho agito perversamente, non lo farò più'?
 33 Dovrà forse Iddio render la giustizia a modo tuo, che tu lo critichi? Ti dirà forse: 'Scegli tu, non io, quello che sai, dillo'?
 34 La gente assennata e ogni uomo savio che m'ascolta, mi diranno:
 35 'Giobbe parla senza giudizio, le sue parole sono senza intendimento'.
 36 Ebbene, sia Giobbe provato sino alla fine! poiché le sue risposte son quelle degli iniqui, 37 poiché aggiunge al peccato suo la ribellione, batte le mani in mezzo a noi, e moltiplica le sue parole contro Dio».


35.9 Si grida per le molte oppressioni, si levano lamenti per la violenza dei grandi;
 10 ma nessuno dice: 'Dov'è Dio, il mio creatore, che nella notte concede canti di gioia,
 11 che ci fa più intelligenti delle bestie de' campi e più savi degli uccelli del cielo?'
 12 Si grida, sì, ma egli non risponde, a motivo della superbia dei malvagi.
 13 Certo, Dio non dà ascolto a lamenti vani; l'Onnipotente non ne fa nessun conto.
 14 E tu, quando dici che non lo scorgi, la causa tua gli sta dinanzi; sappilo aspettare!
 15 Ma ora, perché la sua ira non punisce, perch'egli non prende rigorosa conoscenza delle trasgressioni,
 16 Giobbe apre vanamente le labbra e accumula parole senza conoscimento».


36.8 Se gli uomini son talora stretti da catene, se son presi nei legami dell'afflizione,
   9 Dio fa lor conoscere la lor condotta, le loro trasgressioni, giacché si sono insuperbiti;
 10 egli apre così i loro orecchi a' suoi ammonimenti, e li esorta ad abbandonare il male.
 11 Se l'ascoltano, se si sottomettono, finiscono i loro giorni nel benessere, e gli anni loro nella gioia;
 12 ma, se non l'ascoltano, periscono trafitti da' suoi dardi, muoiono per mancanza d'intendimento.
 13 Gli empi di cuore s'abbandonano alla collera, non implorano Iddio quand'egli li incatena;
 14 così muoiono nel fiore degli anni, e la loro vita finisce come quella dei dissoluti;
 15 ma Dio libera l'afflitto mediante l'afflizione, e gli apre gli orecchi mediante la sventura.
 16 Te pure ti vuole trarre dalle fauci della distretta, al largo, dove non è più angustia, e coprire la tua mensa tranquilla di cibi succulenti.
 17 Ma, se giudichi le vie di Dio come fanno gli empi, il giudizio e la sentenza di lui ti piomberanno addosso.
 18 Bada che la collera non ti trasporti alla bestemmia, e la grandezza del riscatto non t'induca a fuorviare!


37.1 A tale spettacolo il cuor mi trema e balza fuor del suo luogo.
   2 Udite, udite il fragore della sua voce, il rombo che esce dalla sua bocca!
   3 Egli lo lancia sotto tutti i cieli e il suo lampo guizza fino ai lembi della terra.
   4 Dopo il lampo, una voce rugge; egli tuona con la sua voce maestosa; e quando s'ode la voce, il fulmine non è già più nella sua mano.
   5 Iddio tuona con la sua voce maravigliosamente; grandi cose egli fa che noi non intendiamo.


38.1 Allora l'Eterno rispose a Giobbe dal seno della tempesta, e disse:
   2 «Chi è costui che oscura i miei disegni con parole prive di senno?»


42.1 Allora Giobbe rispose all'Eterno e disse:
   2 «Io riconosco che tu puoi tutto, e che nulla può impedirti d'eseguire un tuo disegno.
   3 Chi è colui che senza intendimento offusca il tuo disegno?... Sì, ne ho parlato; ma non lo capivo; son cose per me troppo maravigliose ed io non le conosco.
   4 Deh, ascoltami, io parlerò; io ti farò delle domande e tu insegnami!
   5 Il mio orecchio aveva sentito parlare di te ma ora l'occhio mio t'ha veduto.
   6 Perciò mi ritratto, mi pento sulla polvere e sulla cenere».


42.12 E l'Eterno benedì gli ultimi anni di Giobbe più de' primi.


42.16 Giobbe, dopo questo, visse centoquarant'anni, e vide i suoi figli e i figli dei suoi figli, fino alla quarta generazione.
    17 Poi Giobbe morì vecchio e sazio di giorni.

Il lebbroso purificato
Il lebbroso purificato
  1. Ed avvenne che, trovandosi egli in una di quelle città, ecco un uomo pieno di lebbra, il quale, veduto Gesù e gettatosi con la faccia a terra, lo pregò dicendo: Signore, se tu vuoi, tu puoi purificarmi.
  2. Ed egli, stesa la mano, lo toccò dicendo: Lo voglio, sii purificato. E in quell'istante la lebbra sparì da lui.
  3. E Gesù gli comandò di non dirlo a nessuno: Ma va', gli disse, mostrati al sacerdote ed offri per la tua purificazione quel che ha prescritto Mosè; e ciò serva loro di testimonianza.
  4. Però la fama di lui si spandeva sempre più; e molte turbe si adunavano per udirlo ed essere guarite delle loro infermità.
  5. Ma egli si ritirava nei luoghi deserti e pregava.
Marcello Cicchese
novembre 2015

Io vi lascio pace
Io vi lascio pace

Giovanni 14:27
  Io vi lascio pace; vi do la mia pace.
  Io non vi do come il mondo dà.
  Il vostro cuore non sia turbato e non si sgomenti.

Giovanni 16:33
  Vi ho detto queste cose, affinché abbiate pace in me.
  Nel mondo avrete tribolazione;
  ma fatevi animo, io ho vinto il mondo.

Matteo 11:28-30
  Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati,
  e io vi darò riposo.
  Prendete su voi il mio giogo ed imparate da me,
  perch'io sono mansueto ed umile di cuore;
  e voi troverete riposo alle anime vostre;
  poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero.

Marcello Cicchese
febbraio 2016

Salmo 62
Salmo 62
  1. Solo in Dio l'anima mia s'acqueta;
    da lui viene la mia salvezza.
  2. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza,
    il mio alto ricetto; io non sarò grandemente smosso.
  3. Fino a quando vi avventerete sopra un uomo
    e cercherete tutti insieme di abbatterlo
    come una parete che pende,
    come un muricciuolo che cede?
  4. Essi non pensano che a farlo cadere dalla sua altezza;
    prendono piacere nella menzogna;
    benedicono con la bocca,
    ma internamente maledicono. Sela.
  5. Anima mia, acquétati in Dio solo,
    poiché da lui viene la mia speranza.
  6. Egli solo è la mia ròcca e la mia salvezza;
    egli è il mio alto ricetto; io non sarò smosso.
  7. In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;
    la mia forte ròcca e il mio rifugio sono in Dio.
  8. Confida in lui ogni tempo, o popolo;
    espandi il tuo cuore nel suo cospetto;
    Dio è il nostro rifugio. Sela.
  9. Gli uomini del volgo non sono che vanità,
    e i nobili non sono che menzogna;
    messi sulla bilancia vanno su,
    tutti assieme sono più leggeri della vanità.
  10. Non confidate nell'oppressione,
    e non mettete vane speranze nella rapina;
    se le ricchezze abbondano, non vi mettete il cuore.
  11. Dio ha parlato una volta,
    due volte ho udito questo:
    Che la potenza appartiene a Dio;
  12. e a te pure, o Signore, appartiene la misericordia;
    perché tu renderai a ciascuno secondo le sue opere.
Marcello Cicchese
agosto 2017

Salmo 22
Salmo 22
  1. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Perché te ne stai lontano, senza soccorrermi, senza dare ascolto alle parole del mio gemito?
  2. Dio mio, io grido di giorno, e tu non rispondi; di notte ancora, e non ho posa alcuna.
  3. Eppure tu sei il Santo, che siedi circondato dalle lodi d'Israele.
  4. I nostri padri confidarono in te; e tu li liberasti.
  5. Gridarono a te, e furono salvati; confidarono in te, e non furono confusi.
  6. Ma io sono un verme e non un uomo; il vituperio degli uomini, e lo sprezzato dal popolo.
  7. Chiunque mi vede si fa beffe di me; allunga il labbro, scuote il capo, dicendo:
  8. Ei si rimette nell'Eterno; lo liberi dunque; lo salvi, poiché lo gradisce!
  9. Sì, tu sei quello che m'hai tratto dal seno materno; m'hai fatto riposar fidente sulle mammelle di mia madre.
  10. A te fui affidato fin dalla mia nascita, tu sei il mio Dio fin dal seno di mia madre.
  11. Non t'allontanare da me, perché l'angoscia è vicina, e non v'è alcuno che m'aiuti.

  12. Grandi tori m'han circondato; potenti tori di Basan m'hanno attorniato;
  13. apron la loro gola contro a me, come un leone rapace e ruggente.
  14. Io son come acqua che si sparge, e tutte le mie ossa si sconnettono; il mio cuore è come la cera, si strugge in mezzo alle mie viscere.
  15. Il mio vigore s'inaridisce come terra cotta, e la lingua mi s'attacca al palato; tu m'hai posto nella polvere della morte.
  16. Poiché cani m'han circondato; uno stuolo di malfattori m'ha attorniato; m'hanno forato le mani e i piedi.
  17. Posso contare tutte le mie ossa. Essi mi guardano e m'osservano;
  18. spartiscon fra loro i miei vestimenti e tirano a sorte la mia veste.
  19. Tu dunque, o Eterno, non allontanarti, tu che sei la mia forza, t'affretta a soccorrermi.
  20. Libera l'anima mia dalla spada, l'unica mia, dalla zampa del cane;
  21. salvami dalla gola del leone. Tu mi risponderai liberandomi dalle corna dei bufali.

  22. Io annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all'assemblea.
  23. O voi che temete l'Eterno, lodatelo! Glorificatelo voi, tutta la progenie di Giacobbe, e voi tutta la progenie d'Israele, abbiate timor di lui!
  24. Poich'egli non ha sprezzata né disdegnata l'afflizione dell'afflitto, e non ha nascosta la sua faccia da lui; ma quand'ha gridato a lui, ei l'ha esaudito.
  25. Tu sei l'argomento della mia lode nella grande assemblea; io adempirò i miei voti in presenza di quelli che ti temono.
  26. Gli umili mangeranno e saranno saziati; quei che cercano l'Eterno lo loderanno; il loro cuore vivrà in perpetuo.
  27. Tutte le estremità della terra si ricorderan dell'Eterno e si convertiranno a lui; e tutte le famiglie delle nazioni adoreranno nel tuo cospetto.
  28. Poiché all'Eterno appartiene il regno, ed egli signoreggia sulle nazioni.
  29. Tutti gli opulenti della terra mangeranno e adoreranno; tutti quelli che scendon nella polvere e non posson mantenersi in vita s'inginocchieranno dinanzi a lui.
  30. La posterità lo servirà; si parlerà del Signore alla ventura generazione.
  31. 31 Essi verranno e proclameranno la sua giustizia, e al popolo che nascerà diranno come egli ha operato.
Marcello Cicchese
settembre 2016

L'intoppo
L’intoppo che fa cadere nell’iniquità

Ezechiele 7:1-4
  1. E la parola dell'Eterno mi fu rivolta in questi termini:
  2. 'E tu, figlio d'uomo, così parla il Signore, l'Eterno, riguardo al paese d'Israele: La fine! la fine viene sulle quattro estremità del paese!
  3. Ora ti sovrasta la fine, e io manderò contro di te la mia ira, ti giudicherò secondo la tua condotta, e ti farò ricadere addosso tutte le tue abominazioni.
  4. E l'occhio mio non ti risparmierà, io sarò senza pietà, ti farò ricadere addosso tutta la tua condotta e le tue abominazioni saranno in mezzo a te; e voi conoscerete che io sono l'Eterno.

Ezechiele 8:1-13
  1. E il sesto anno, il quinto giorno del sesto mese, avvenne che, come io stavo seduto in casa mia e gli anziani di Giuda erano seduti in mia presenza, la mano del Signore, dell'Eterno, cadde quivi su me.
  2. Io guardai, ed ecco una figura d'uomo, che aveva l'aspetto del fuoco; dai fianchi in giù pareva di fuoco; e dai fianchi in su aveva un aspetto risplendente, come di terso rame.
  3. Egli stese una forma di mano, e mi prese per una ciocca de' miei capelli; e lo spirito mi sollevò fra terra e cielo, e mi trasportò in visioni divine a Gerusalemme, all'ingresso della porta interna che guarda verso il settentrione, dov'era posto l'idolo della gelosia, che eccita a gelosia.
  4. Ed ecco che quivi era la gloria dell'Iddio d'Israele, come nella visione che avevo avuta nella valle.
  5. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, alza ora gli occhi verso il settentrione'. Ed io alzai gli occhi verso il settentrione, ed ecco che al settentrione della porta dell'altare, all'ingresso, stava quell'idolo della gelosia.
  6. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, vedi tu quello che costoro fanno? le grandi abominazioni che la casa d'Israele commette qui, perché io m'allontani dal mio santuario? Ma tu vedrai ancora altre più grandi abominazioni'.
  7. Ed egli mi condusse all'ingresso del cortile. Io guardai, ed ecco un buco nel muro.
  8. Allora egli mi disse: 'Figlio d'uomo, adesso fora il muro'. E quand'io ebbi forato il muro, ecco una porta.
  9. Ed egli mi disse: 'Entra, e guarda le scellerate abominazioni che costoro commettono qui'.
  10. Io entrai, e guardai: ed ecco ogni sorta di figure di rettili e di bestie abominevoli, e tutti gl'idoli della casa d'Israele dipinti sul muro attorno;
  11. e settanta fra gli anziani della casa d'Israele, in mezzo ai quali era Jaazania, figlio di Shafan, stavano in piedi davanti a quelli, avendo ciascuno un turibolo in mano, dal quale saliva il profumo d'una nuvola d'incenso.
  12. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, hai tu visto quello che gli anziani della casa d'Israele fanno nelle tenebre, ciascuno nelle camere riservate alle sue immagini? poiché dicono: - L'Eterno non ci vede, l'Eterno ha abbandonato il paese'.
  13. Poi mi disse: 'Tu vedrai ancora altre più grandi abominazioni che costoro commettono'.

Ezechiele 14:1-11
  1. Or vennero a me alcuni degli anziani d'Israele, e si sedettero davanti a me.
  2. E la parola dell'Eterno mi fu rivolta in questi termini:
  3. 'Figlio d'uomo, questi uomini hanno innalzato i loro idoli nel loro cuore, e si sono messi davanti l'intoppo che li fa cadere nella loro iniquità; come potrei io esser consultato da costoro?
  4. Perciò parla e di' loro: Così dice il Signore, l'Eterno: Chiunque della casa d'Israele innalza i suoi idoli nel suo cuore e pone davanti a sé l'intoppo che lo fa cadere nella sua iniquità, e poi viene al profeta, io, l'Eterno, gli risponderò come si merita per la moltitudine dei suoi idoli,
  5. affin di prendere per il loro cuore quelli della casa d'Israele che si sono alienati da me tutti quanti per i loro idoli.
  6. Perciò di' alla casa d'Israele: Così parla il Signore, l'Eterno: Tornate, ritraetevi dai vostri idoli, stornate le vostre facce da tutte le vostre abominazioni.
  7. Poiché, a chiunque della casa d'Israele o degli stranieri che soggiornano in Israele si separa da me, innalza i suoi idoli nel suo cuore e pone davanti a sé l'intoppo che lo fa cadere nella sua iniquità e poi viene al profeta per consultarmi per suo mezzo, risponderò io, l'Eterno, da me stesso.
  8. Io volgerò la mia faccia contro a quell'uomo, ne farò un segno e un proverbio, e lo sterminerò di mezzo al mio popolo; e voi conoscerete che io sono l'Eterno.
  9. E se il profeta si lascia sedurre e dice qualche parola, io, l'Eterno, sono quegli che avrò sedotto il profeta; e stenderò la mia mano contro di lui, e lo distruggerò di mezzo al mio popolo d'Israele.
  10. E ambedue porteranno la pena della loro iniquità: la pena del profeta sarà pari alla pena di colui che lo consulta,
  11. affinché quelli della casa d'Israele non vadano più errando lungi da me, e non si contaminino più con tutte le loro trasgressioni, e siano invece mio popolo, e io sia il loro Dio, dice il Signore, l'Eterno'.
Marcello Cicchese
ottobre 2016

Salmo 125
Salmo 125
    Canto dei pellegrinaggi.
  1. Quelli che confidano nell'Eterno
    sono come il monte di Sion, che non può essere smosso,
    ma dimora in perpetuo.
  2. Gerusalemme è circondata dai monti;
    e così l'Eterno circonda il suo popolo,
    da ora in perpetuo.
  3. Poiché lo scettro dell'empietà
    non rimarrà sulla eredità dei giusti,
    affinché i giusti non mettano mano all'iniquità.
  4. O Eterno, fa' del bene a quelli che sono buoni,
    e a quelli che sono retti nel loro cuore.
  5. Ma quanto a quelli che deviano per le loro vie tortuose,
    l'Eterno li farà andare con gli operatori d'iniquità.
    Pace sia sopra Israele.
Marcello Cicchese
luglio 2017

La pazienza dl Dio
La pazienza di Dio e la nostra speranza
Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? Ma se speriamo ciò che non vediamo, noi l'aspettiamo con pazienza (Romani 8.25).

Marcello Cicchese
settembre 2017

Salmo 23
Salmo 23
  1. L'Eterno è il mio pastore, nulla mi manca.
  2. Egli mi fa giacere in verdeggianti paschi, mi guida lungo le acque chete.
  3. Egli mi ristora l'anima, mi conduce per sentieri di giustizia, per amore del suo nome.
  4. Quand'anche camminassi nella valle dell'ombra della morte, io non temerei male alcuno, perché tu sei con me; il tuo bastone e la tua verga sono quelli che mi consolano.
  5. Tu apparecchi davanti a me la mensa al cospetto dei miei nemici; tu ungi il mio capo con olio; la mia coppa trabocca.
  6. Certo, beni e benignità m'accompagneranno tutti i giorni della mia vita; ed io abiterò nella casa dell'Eterno per lunghi giorni.
Marcello Cicchese
settembre 2017

Il corpo dell'umiliazione
Il corpo della nostra umiliazione
Siate miei imitatori, fratelli, e riguardate a coloro che camminano secondo l'esempio che avete in noi. Perché molti camminano (ve l'ho detto spesso e ve lo dico anche ora piangendo), da nemici della croce di Cristo; la fine dei quali è la perdizione, il cui dio è il ventre, e la cui gloria è in quel che torna a loro vergogna; gente che ha l'animo alle cose della terra. Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli, da dove anche aspettiamo come Salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasformerà il corpo della nostra umiliazione rendendolo conforme al corpo della sua gloria, in virtù della potenza per la quale egli può anche sottoporsi ogni cosa.
Filippesi 3:17-21
Marcello Cicchese
giugno 2016

Una mente rinnovata
Il rinnovamento della mente
Vi esorto dunque, fratelli, per le compassioni di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, accettevole a Dio, il che è il vostro culto spirituale. e non vi conformate a questo secolo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza qual sia la volontà di Dio, la buona, accettevole e perfetta volontà.
Romani 12:1-2
Marcello Cicchese
gennaio 2017

Salmo 90
Salmo 90
  1. Preghiera di Mosè, uomo di Dio.
    O Signore, tu sei stato per noi un rifugio
    di generazione in generazione.
  2. Prima che i monti fossero nati
    e che tu avessi formato la terra e il mondo,
    da eternità a eternità tu sei Dio.
  3. Tu fai tornare i mortali in polvere
    e dici: Ritornate, o figli degli uomini.
  4. Perché mille anni, agli occhi tuoi,
    sono come il giorno d'ieri quand'è passato,
    e come una veglia nella notte.
  5. Tu li porti via come una piena; sono come un sogno.
    Son come l'erba che verdeggia la mattina;
  6. la mattina essa fiorisce e verdeggia,
    la sera è segata e si secca.
  7. Poiché noi siamo consumati dalla tua ira,
    e siamo atterriti per il tuo sdegno.
  8. Tu metti le nostre iniquità davanti a te,
    e i nostri peccati occulti, alla luce della tua faccia.
  9. Tutti i nostri giorni spariscono per il tuo sdegno;
    noi finiamo gli anni nostri come un soffio.
  10. I giorni dei nostri anni arrivano a settant'anni;
    o, per i più forti, a ottant'anni;
    e quel che ne fa l'orgoglio, non è che travaglio e vanità;
    perché passa presto, e noi ce ne voliamo via.
  11. Chi conosce la forza della tua ira
    e il tuo sdegno secondo il timore che t'è dovuto?
  12. Insegnaci dunque a così contare i nostri giorni,
    che acquistiamo un cuore saggio.
  13. Ritorna, o Eterno; fino a quando?
    e muoviti a pietà dei tuoi servitori.
  14. Saziaci al mattino della tua benignità,
    e noi giubileremo, ci rallegreremo tutti i giorni nostri.
  15. Rallegraci in proporzione dei giorni che ci hai afflitti,
    e degli anni che abbiamo sentito il male.
  16. Apparisca l'opera tua a pro dei tuoi servitori,
    e la tua gloria sui loro figli.
  17. La grazia del Signore Dio nostro sia sopra noi,
    e rendi stabile l'opera delle nostre mani;
    sì, l'opera delle nostre mani rendila stabile.

Marcello Cicchese
31 dicembre 2017

Dal Salmo 119
Salmo 119
  1. L'anima mia è attaccata alla polvere;
    vivificami secondo la tua parola.
  2. Io ti ho narrato le mie vie e tu m'hai risposto;
    insegnami i tuoi statuti.
  3. Fammi intendere la via dei tuoi precetti,
    ed io mediterò le tue meraviglie.
  4. L'anima mia, dal dolore, si strugge in lacrime;
    rialzami secondo la tua parola.
  5. Tieni lontana da me la via della menzogna,
    e, nella tua grazia, fammi intendere la tua legge,
  6. io ho scelto la via della fedeltà,
    mi son posto i tuoi giudizi dinanzi agli occhi.
  7. Io mi tengo attaccato alle tue testimonianze;
    o Eterno, non lasciare che io sia confuso.
  8. Io correrò per la via dei tuoi comandamenti,
    quando m'avrai allargato il cuore.

Marcello Cicchese
19 luglio 2018

Il giorno del riposo
Il giorno del riposo

Ricordati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa' in essi ogni opera tua; ma il settimo giorno è giorno di riposo, sacro all'Eterno, che è l'Iddio tuo; non fare in esso lavoro alcuno, né tu, né il tuo figlio, né la tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né il forestiero che è dentro alle tue porte; poiché in sei giorni l'Eterno fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò l'Eterno ha benedetto il giorno del riposo e l'ha santificato.

Esodo 20:8-11

Marcello Cicchese
dicembre 2014

Perché siete così ansiosi?
«Perché siete così ansiosi?»

Dal Vangelo di Matteo

CAPITOLO 6
  1. Nessuno può servire a due padroni; perché o odierà l'uno ed amerà l'altro, o si atterrà all'uno e sprezzerà l'altro. Voi non potete servire a Dio ed a Mammona.
  2. Perciò vi dico: Non siate con ansiosi per la vita vostra di quel che mangerete o di quel che berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito?
  3. Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutrisce. Non siete voi assai più di loro?
  4. E chi di voi può con la sua sollecitudine aggiungere alla sua statura anche un cubito?
  5. E intorno al vestire, perché siete con ansietà solleciti? Considerate come crescono i gigli della campagna; essi non faticano e non filano;
  6. eppure io vi dico che nemmeno Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro.
  7. Or se Dio riveste in questa maniera l'erba de' campi che oggi è e domani è gettata nel forno, non vestirà Egli molto più voi, o gente di poca fede?
  8. Non siate dunque con ansiosi, dicendo: Che mangeremo? che berremo? o di che ci vestiremo?
  9. Poiché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; e il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose.
  10. Ma cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno sopraggiunte. 34 Non siate dunque con ansietà solleciti del domani; perché il domani sarà sollecito di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno.
Marcello Cicchese
dicembre 2015



Accordo con l'Arabia Saudita: treno ad alta velocità verso la pace o trappola?

Sta prendendo forma un accordo di normalizzazione tra lo Stato ebraico e la culla dell'Islam.

di Stan Goodenough

GERUSALEMME - È sembrata quasi un’aggiunta, la dichiarazione del Primo Ministro Benjamin Netanyahu di domenica, alla fine di un annuncio ufficiale sui piani di un progetto di treno ad alta velocità che attraverserà tutto Israele. La linea, che dovrebbe costare 100 miliardi di shekel, collegherebbe la città settentrionale di Kiryat Sh'mona con il porto di Eilat, sul Mar Rosso, 400 km più a sud. Netanyahu ha aggiunto che "in futuro potrà collegare Israele con l'Arabia Saudita e la Penisola Arabica".
  "Stiamo lavorando anche su questo", ha detto al suo governo.
  In una successiva conferenza stampa, per spiegare il piano il primo ministro si è limitato al progetto in Israele e non ha alluso a un'estensione all'Arabia.
  Tuttavia, la sua "aggiunta" ha aumentato le speculazioni sulla possibilità di una svolta negli sforzi per far entrare l'Arabia Saudita nell'Accordo di Abraham.
  Questo fa seguito a una settimana di notizie provenienti da Washington - insieme a una raffica di attività diplomatiche - che fanno intravedere un’amministrazione sempre più ansiosa (alcuni dicono disperata) di ottenere un accordo di normalizzazione tra Gerusalemme e Riyad prima di novembre.
  Secondo la Reuters, venerdì il presidente Joe Biden ha detto ai sostenitori che potrebbe esserci una "convergenza" di interessi tra i due Paesi.
  Gli sforzi in questa direzione vanno avanti da mesi.
  A maggio, il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Jake Sullivan ha incontrato a Gedda il principe ereditario saudita e de facto uomo forte  Mohammed Bin Salman (MBS). Gli analisti hanno dichiarato che "la Casa Bianca vuole spingere diplomaticamente per un accordo di pace tra Arabia Saudita e Israele nei prossimi sei o sette mesi prima della campagna presidenziale".
  Giovedì scorso, il giorno prima del messaggio di "convergenza" di Biden, Sullivan era di nuovo in Arabia Saudita per avere ulteriori colloqui con MBS.
  È chiaro che gli sforzi si stanno intensificando, ma quale forma potrebbero assumere e quali pericoli comportano per Israele?
  Netanyahu ha dichiarato che la normalizzazione delle relazioni con l'Arabia Saudita è uno dei principali obiettivi del suo governo, ma dai membri considerati estremisti del suo gabinetto il raggiungimento di questo obiettivo è considerato improbabile .
  C'è chi dice che farebbe quasi di tutto pur di costruire un baluardo contro l'Iran che si sta muovendo verso la realizzazione di armi nucleari. Persone a lui vicine dicono che il primo ministro "va a dormire pensando all'Iran e si sveglia pensando all'Iran".
  Questa è una cosa che effettivamente lo preoccupa, ma Netanyahu è anche consapevole della minaccia esistenziale per Israele rappresentata dai tentativi di creare uno Stato palestinese sugli altipiani di Samaria e Giudea.
  Ha cercato, con iniziale successo, di separare il cosiddetto veto palestinese dagli sforzi di pace con gli Emirati Arabi Uniti e altri firmatari degli Accordi di Abramo, tra cui Bahrein e Marocco.
  Ma la storia è diversa con l'Arabia Saudita - culla dell'Islam, epicentro della dottrina sunnita e meta del Hajj per i pellegrini sunniti e sciiti.
  Sabato il New York Times, citando un "funzionario israeliano senza nome", ha riferito che Riyadh sarebbe disposta a parlare di un accordo solo se Israele facesse "concessioni significative" e intraprendesse "azioni sul campo" verso la creazione di uno Stato palestinese.
  Come riportato dal Times of Israel, "l'Arabia Saudita non si accontenterebbe della promessa di Netanyahu di non annettere la Cisgiordania".
  Secondo il Times of Israel, tali richieste a Netanyahu, se venissero rispettate, farebbero probabilmente cadere il suo governo, e molti ritengono che sia proprio questo l'obiettivo della Casa Bianca.
  Tra gli ultimi sviluppi che fanno pensare sia a un disgelo in Oriente sia a una spinta da parte dell'Occidente, c’è il consenso dell'Arabia Saudita a far entrare per la prima volta rappresentanti del governo israeliano nel regno in occasione della riunione del Comitato per il Patrimonio Mondiale del prossimo settembre.
  Il 20 luglio, la Commissione per le Relazioni Estere del Senato ha introdotto la legge sull'integrazione e la normalizzazione regionale, che mira a rafforzare gli accordi di Abraham.
  Questo disegno di legge mira ad attuare le "priorità politiche" dell'Israel Policy Forum di estrema sinistra dell'ex ambasciatore statunitense in Israele, Martin Indyk, per "espandere l'integrazione regionale di Israele".
  L'Israele che vogliono vedere integrato è uno Stato liberale progressista, non uno Stato ebraico.
  Secondo quanto riportato, lunedì i democratici di Capitol Hill avrebbero presentato una proposta di legge con la quale gli Stati Uniti darebbero ufficialmente sostegno al movimento estremista antidemocratico in Israele nel tentativo di rovesciare il governo di Netanyahu.
  Con un governo di sinistra a Gerusalemme e un secondo mandato per Biden, nel caso ottenesse la rielezione, è chiaro che  l'agenda liberal-progressista degli Stati Uniti per il Medio Oriente sembrerebbe più realizzabile con l’obiettivo di uno Stato palestinese in primo piano.
  Altri esperti sono di parere diverso: per il sovrano saudita de facto, il principe ereditario Mohammed bin Salman (MBS), ricevere massicci aiuti militari dagli Stati Uniti in cambio di un accordo con Israele è una priorità assoluta, ed è pronto a "gettare i palestinesi sotto il bus". Questa direzione porta più verso un'alleanza anti-Iran.
  Come si evolverà la situazione? In base ai dati storici, potremmo scoprire il risultato prima di quanto pensiamo.
  Nel ripercorrere la storia della restaurazione di Israele nell'ultimo secolo, noi credenti della Bibbia dobbiamo renderci conto che le cose non sono sempre come appaiono, che non vanno come ci aspettiamo o desideriamo. Le Sue vie non sono le nostre vie. Tuttavia, preghiamo per il governo di Gerusalemme, affinché rimanga vigile e proceda con cautela; affinché non si lasci sedurre, né da un senso di forza politica né da speranze e promesse di pace.
  "La testa del serpente sta in Arabia".

(israel heute, 1 agosto 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Ecco Act News, il canale made in Israel dove le notizie saranno prodotte dall’IA

di Luca Spizzichino

È stato creato in Israele il primo canale di notizie completamente alimentato dall'intelligenza artificiale. Si chiama ACT News ed è presente sui principali social networks, in particolare Tik Tok e Instagram.
  Questo nuovo progetto editoriale, lanciato ad inizio aprile, è condotto dalla giornalista israeliana Miri Michaeli. Nei giorni scorsi inoltre si è aggiunto anche Amit Segal, noto giornalista e analista politico di Channel 12, il cui avatar generato dall'intelligenza artificiale fornirà informazioni in più lingue.
  In questa prima fase le voci di Segal e Michaeli generate dall'intelligenza artificiale suonano nettamente diverse da quelle delle loro controparti nella vita reale, ma lo spettatore occasionale può facilmente scambiare i video per registrazioni reali. L'iniziativa - che attualmente ha circa 20.000 follower e ha raggiunto "circa 40 milioni di visualizzazioni in tutto il mondo" - è stata ideata da Michaeli e dal consulente politico Moshe Klughaft.
  Il tema dell’uso dell'intelligenza artificiale nelle redazioni è stato dibattuto molto negli ultimi mesi, con diversi giornalisti che hanno espresso preoccupazione per l'accuratezza, la trasparenza e l'etica alla base della presentazione di tali contenuti come prodotti dall'uomo.
  Tuttavia, in ACT News i testi generati dall'intelligenza artificiale passeranno al vaglio di Segal e Michaeli prima di farli pronunciare ai loro avatar, così da "garantire accuratezza e credibilità". Questo passaggio rende il modello non dissimile da quello in cui un reporter o un editore junior scrive sceneggiature per un conduttore senior da leggere in onda.
  Fino ad ora, hanno affermato i creatori, i video pubblicati sui social erano stati prodotti in modo tradizionale, ma andando avanti tutte le clip avranno sia i testi che verranno pronunciati che gli avatar completamente generati dall'intelligenza artificiale.
  "Come ogni startup, il nostro progetto è nato da un'esigenza personale", ha affermato Michaeli in una nota. “Il mio sogno è sempre stato quello di poter fare reportage da due postazioni contemporaneamente, fornire un'analisi approfondita e filmare un reportage contemporaneamente. Oggi offriamo questa possibilità ai giornalisti di tutto il mondo”.
  Ad aprile, Michaeli ha scritto su Instagram che lei e Klughaft erano motivati a lanciare l'iniziativa a causa della "frustrazione per il modo in cui siamo presentati nel mondo, nonché per un enorme amore per questo paese". La nuova versione della rete, lanciata ufficialmente domenica, si concentrerà invece "su notizie positive, mostrando eventi edificanti da tutto il mondo". La società offrirà clip di notizie in otto lingue. Un account TikTok in ebraico è stato lanciato il mese scorso.
  "Non sono sicuro che il mondo possa gestire due Amit Segal, forse anche uno è troppo", ha twittato il giornalista domenica insieme a una clip della sua apparizione inaugurale. "In ogni caso, sono felice di lanciare il mio avatar su ACT News questa mattina con alcune nuove analisi." Per chiarire, ha aggiunto: “Non l'ho filmato o registrato, e vorrei che il mio inglese suonasse così. Ho appena inserito il testo nel sistema ACT News e il resto è successo da solo”.
  In un comunicato stampa, ACT News ha affermato di aver già completato un round di investimenti per un valore di 7,5 milioni di dollari e che dovrebbe lanciare presto un secondo round. La rete ha affermato di essere in trattative per aggiungere versioni AI di conduttori di notizie statunitensi e britannici, nonché per aggiungere ulteriori personalità israeliane.

(Shalom, 1 agosto 2023)
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Israele sempre all'avanguardia sul piano tecnologico. Ma in molti casi (come questo) la cosa non è affatto consolante. M.C.

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Il Museo d’Israele è la migliore istituzione culturale del Paese

Un importante riconoscimento per il Museo d’Israele di Gerusalemme: il Globes Brand Index, pubblicato da Globes, il quotidiano finanziario in lingua ebraica ha, per la prima volta, classificato il Museo d’Israele tra i suoi 100 migliori marchi in Israele. Questo elenco include tutte le aziende, le imprese, le start-up e le istituzioni in Israele, che sono classificate secondo un elenco empirico di criteri. “Ancora più entusiasmante, – dice  Isaac Molho, Presidente del Consiglio di amministrazione –  una nuova categoria nell’Index, Istituzioni Culturali, che include musei, teatri, compagnie di danza e orchestre, ha classificato il Museo d’Israele come la migliore istituzione culturale del paese. Globes ha notato che il Museo di Israele ha ricevuto il punteggio più alto, superando i suoi concorrenti di Tel Aviv”. Globes ha inoltre notato che il Museo di Gerusalemme è accreditato di un doppio risultato: essere l’unico tra tutte le istituzioni culturali in Israele a far parte di entrambi gli elenchi, oltre ad essere incluso nell’elenco dei Globes del secolo.
  Globes ha sottolineato  che, nonostante le sfide degli ultimi anni, come la pandemia di COVID-19, il Museo di Israele mantiene ancora il suo posto come museo principale e più grande di Israele, con collezioni straordinariamente ricche, dalla judaica e dall’archeologia all’arte israeliana e internazionale, oltre a possedere un fascino internazionale grazie alla sua posizione e alle mostre innovative.
  “Anche se questa notizia – conclude  Isaac Molho – potrebbe non sorprendere la nostra devota ‘famiglia’ locale e internazionale del Museo di Israele, che ha sempre saputo che il nostro amato Museo è la principale istituzione culturale in Israele, ci dà grande orgoglio essere così riconosciuti da un tale rispettabile ente”. R.E.

(Bet Magazine Mosaico, 1 agosto 2023)

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I campi estivi dei palestinesi per uccidere gli ebrei

Quest'estate, più di 100 mila ragazzini palestinesi della Striscia di Gaza parteciperanno ai campi estivi gestiti da Hamas e dalla Jihad Islamica. I campi insegnano ai giovani come combattere Israele e gli ebrei, e forniscono un addestramento militare con esercitazioni pratiche con coltelli e armi da fuoco, combattimenti corpo a corpo, ed esercitazioni di marcia e a piedi.

di Bassam Tawil

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Mentre gli scolari e gli alunni di tutto il mondo si godono le vacanze estive praticando attività sportive e ricreative, ai ragazzini palestinesi viene insegnato come combattere Israele e gli ebrei e vengono addestrati a farlo.
  L'indottrinamento e il lavaggio del cervello di questi giovanissimi non sono una novità. I leader palestinesi hanno coltivato l'odio verso Israele e gli ebrei di generazione in generazione. Questo incitamento ha luogo da decenni negli asili palestinesi, nelle scuole, nelle università, nelle moschee, nei media e persino nei cruciverba. È questo il motivo per cui i sondaggi dell'opinione pubblica continuano ovviamente a mostrare, non a caso, che i palestinesi avallano opinioni radicali e sostengono il terrorismo contro Israele.
  Da più di un decennio, i gruppi terroristici della Jihad Islamica palestinese e di Hamas, appoggiati dall'Iran, organizzano campi estivi per migliaia di scolari e alunni di tutta la Striscia di Gaza. Questi campi fungono da cornice per inculcare un'ideologia estremista che glorifica il jihad (la guerra santa), il terrorismo e la lotta armata contro Israele con l'obiettivo di "liberare la Palestina dal fiume [Giordano] al Mar [Mediterraneo]".
  I campi forniscono altresì un addestramento militare con esercitazioni pratiche che prevedono l'uso di coltelli e armi da fuoco, combattimenti corpo a corpo, ed esercitazioni di marcia e a piedi. I ragazzini simulano scene di combattimento e di cattura di soldati israeliani o il lancio di razzi contro Israele.
  Il reclutamento e l'iscrizione ai campi estivi vengono effettuati attraverso i siti web e i social media di Hamas e della Jihas Islamica Palestinese (JIP) e presso gli stand gestiti dai membri delle due organizzazioni, allestiti all'interno delle moschee e in altri luoghi pubblici della Striscia di Gaza. Alti funzionari di Hamas e della JIP partecipano regolarmente alle cerimonie di apertura e di consegna dei diplomi, tenendo dei discorsi.
  L'8 luglio scorso, Hamas ha inaugurato i suoi campi estivi per il 2023, a cui partecipano più di 100 mila giovanissimi, maschi e femmine. I campi estivi di quest'anno si svolgono all'insegna dello slogan "Scudo di Gerusalemme", il che implica che il gruppo terroristico intende utilizzare i minori nella lotta contro Israele. I bambini vengono addestrati a compiere attacchi terroristici e a fare da scudi umani nel jihad contro Israele. Viene loro insegnato che vengono reclutati per prendere parte alla battaglia finalizzata a "liberare" Gerusalemme. Inutile dire che i palestinesi non riconoscono i diritti e la storia degli ebrei a Gerusalemme.
  Nel giugno 2022, il primo ministro dell'Autorità Palestinese Mohammad Shtayyeh ha negato la presenza di ogni traccia della storia ebraica a Gerusalemme:

    "Siamo alla periferia della capitale eterna, la punta di diamante, il punto in cui s'incontrano cielo e terra, il fiore di tutte le città, l'oggetto del desiderio dei cuori dei credenti musulmani e cristiani che vi si recano per pregare nella Moschea di al-Aqsa e percorrere la Via Dolorosa per andare a pregare nella Chiesa del Santo Sepolcro, che fu testimone della stipula del Patto di Omar, nel quale il Califfo Omar prometteva al popolo di Iliya [che in arabo sta per Aelia Capitolina/Gerusalemme] che nessun musulmano avrebbe pregato nello loro chiesa. [Gerusalemme] ha vestigia cananee, romane, islamiche e cristiane come nessun'altra città".

Il capo del Comitato superiore per i campi estivi di Hamas, Khaled Abu Askar, ha dichiarato durante una conferenza stampa tenuta all'Asdaa Entertainment City, nei pressi di Khan Yunis, nella Striscia di Gaza:

    "Siamo qui oggi ad Asdaa City, che annovera la ricreazione di un certo numero di simboli di Gerusalemme per annunciare l'avvio dei nostri campi estivi, i cosiddetti campi intitolati 'Scudo di Gerusalemme'. Assicuriamo a tutti che la città di Gerusalemme, con i suoi luoghi santi, è la bussola di ogni palestinese libero e rispettabile".

Abu Askar ha affermato che Hamas ha a cuore le giovani generazioni ed è pronto a investire su di loro. Ha anche detto che i giovani palestinesi vengono sistematicamente presi di mira per minare le loro convinzioni, la loro condotta, i principi morali e il patriottismo. E chi incolpa di questo? Israele, ovviamente.
  "L'occupazione e i suoi collaboratori pompano enormi quantità di denaro e di sforzi per distogliere la generazione dalla loro appartenenza religiosa e alla loro terra d'origine", egli ha detto. Il funzionario di Hamas ha rilevato che il suo gruppo ha denominato i suoi campi 'Scudo di Gerusalemme' "per instillare il valore di Gerusalemme nei cuori dei giovani e il diritto dei palestinesi alla Città Santa, oltre a promuovere il ruolo nazionale della generazione della liberazione e accrescere la sua determinazione".
  Quando Hamas parla di "liberazione" esprime il suo desiderio di eliminare Israele, come recita lo Statuto del gruppo:

    "Art.11:
    Il Movimento di Resistenza Islamico crede che la terra di Palestina sia un sacro lascito (waqf), terra islamica affidata alle generazioni dell'Islam fino al giorno della resurrezione. Non è accettabile rinunciare ad alcuna parte di essa. Nessuno Stato arabo, né tutti gli Stati arabi nel loro insieme, nessun re o presidente, né tutti i re e presidenti messi insieme, nessuna organizzazione, né tutte le organizzazioni palestinesi o arabe unite hanno il diritto di disporre o di cedere anche un singolo pezzo di essa, perché la Palestina è terra islamica affidata alle generazioni dell'Islam sino al giorno del giudizio.
    Art.13:
    Le iniziative di pace, le cosiddette soluzioni pacifiche, le conferenze internazionali per risolvere il problema palestinese contraddicono tutte le credenze del Movimento di Resistenza Islamico. In verità, cedere qualunque parte della Palestina equivale a cedere una parte della religione. Il nazionalismo del Movimento di Resistenza Islamico è parte della sua religione, e insegna ai suoi membri ad aderire alla religione e innalzare la bandiera di Allah sulla loro patria mentre combattono il jihad. "Allah ha il predominio nei Suoi disegni, ma la maggior parte degli uomini non lo sa".

In un'altra cerimonia tenutasi nella Striscia di Gaza, il presidente del Comitato amministrativo di Rafah, Jum'a Hassanein, ha affermato che "questi campi [estivi] hanno lo scopo di formare la generazione della liberazione e della vittoria".
  Il direttore del campo estivo a Rafah, Muhammad Barhoum ha asserito che i campi fanno parte delle "attività di Hamas che si focalizzano sulla generazione [più giovane] per la sua importanza", come "la generazione della liberazione e della vittoria".

    "Come negli anni precedenti, i campi estivi si incentrano sulla familiarizzazione dei giovani con varie armi, tra cui gli AK-47, fucili da cecchino, lanciarazzi, mortai e mitragliatrici. I partecipanti ai campi si esercitano a montare e smontare le armi, a impugnarle e ad utilizzarle, e si addestrano anche alla guerra urbana e alla guerra nei tunnel. Alcune delle lezioni sono tenute da membri mascherati dell'ala armata di Hamas, le Brigate 'Izz Al-Din Al-Qassam, e alcune sono persino tenute nelle basi militari di Hamas. Un ragazzo di uno dei campi ha dato una dimostrazione della guerra nei tunnel dinanzi a Younis Al-Astal, un membro del Consiglio Legislativo Palestinese per conto di Hamas, il quale ha visitato i campi con altri funzionari di Hamas. In alcuni dei campi, le bandiere israeliane sono state adagiate a terra in modo che i partecipanti le calpestassero. I terroristi che hanno compiuto attacchi mortali contro gli israeliani vengono presentati ai campeggiatori come esempi, e i loro ritratti sono presenti nei campi e nelle attività del campo estivo".

Il portavoce di Hamas Abdel Latin Qanou ha dichiarato che i campi estivi organizzati quest'anno dal suo gruppo operante nella Striscia di Gaza rappresentano un importante passo nella formazione di questa generazione, inculcando negli animi dei giovani lo status di Gerusalemme e della Moschea di al-Aqsa, e collegandoli al loro "legittimo diritto al ritorno [in Israele] e alla liberazione". Secondo Qanou, il nome "Scudo di Gerusalemme" mira a preparare i bambini a "liberare Gerusalemme".
  In passato, la Jihad Islamica Palestinese ha organizzato campi estivi all'insegna dello slogan "Rivincita della Libertà", a cui hanno partecipato centinaia di ragazzini di età inferiore ai 17 anni.
  Darwish al-Gharabli, un leader della JIP, ha affermato quanto segue durante una cerimonia di consegna dei diplomi:

    "Questi campi formano una generazione in linea con la via del Jihad e della resistenza; credere in questa opzione, ritenere che la Palestina sia la questione principale e combattere gli ebrei è un atto di culto. Il nostro jihad contro tutto questo continua in tutte le arene. Assicuriamo al nostro nemico che questa generazione porterà la bandiera e resisterà con tutte le forze".

Nel 2021, l'ala armata di Hamas, le Brigate Izz al-din al-Qassam, ha organizzato campi estivi che si ispiravano allo slogan "Spada di Gerusalemme".
  Secondo il sito web delle Brigate Izz al-Din al-Qassam, "l'obiettivo dei campi è alimentare le fiamme del jihad tra la generazione della liberazione, instillare i valori islamici e preparare il tanto atteso esercito per la liberazione della Palestina".
  Il portavoce dei campi estivi di Hamas, Abu Bilal, ha affermato che i campi sono tenuti "per la convinzione nel ruolo dei giovani e per un senso di responsabilità nei confronti della generazione [più giovane]". E ha aggiunto che "i giovani sono [sempre] stati quelli che hanno portato avanti le operazioni armate, e sono stati il motore delle Intifada e delle rivolte".
  Questo vasto abuso su minori da parte dei palestinesi è ignorato dai media occidentali, dalle Nazioni Unite e dalla maggior parte dei politici. La prossima volta che i palestinesi si lamenteranno dei minori uccisi o feriti mentre compivano attacchi terroristici contro gli israeliani, sarebbe opportuno ricordare le scene dei bambini nei campi estivi della Striscia di Gaza, dove inizia il processo per trasformarli in combattenti.
  È ora che la comunità internazionale, e soprattutto le organizzazioni per i diritti umani, ritengano i leader palestinesi responsabili degli abusi insiti nell'addestrare i loro figli a diventare "martiri", nel jihad per uccidere gli ebrei e nel tentativo di distruggere l'unica nazione democratica della regione.
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Bassam Tawil è un arabo musulmano che vive in Medio Oriente.

(Gatestone Institute, 31 luglio 2023 - trad. di Angelita La Spada)

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Benny Kashriel, sindaco di Ma'ale Adumim, è stato scelto come nuovo ambasciatore in Italia

di Luca Spizzichino

Benny Kashriel
Il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen ha deciso domenica di nominare come nuovo ambasciatore d’Israele in Italia il sindaco di Ma'ale Adumim, Benny Kashriel. Lo riporta il canale Arutz 7.
  Originario di Ashkelon, Kashriel, 71 anni, è sindaco di Ma'ale Adumim dal 1992. Capo della fazione del Likud nella Federazione delle autorità locali, è anche membro del consiglio di amministrazione della Lotteria Nazionale e dei Servizi Economici del Governo Locale. In passato è stato anche capo del Consiglio di Yesha, organizzazione ombrello dei consigli municipali in Giudea e Samaria.
  "L'Italia è uno dei più grandi e importanti alleati di Israele in Europa. Le relazioni tra i Paesi si fanno ogni giorno più strette e più forti” ha dichiarato il ministro degli Esteri. “Benny Kashriel è stato sindaco di Ma'ale Adumim per 31 anni e ha portato la città a risultati senza precedenti e a una crescita incredibile. - ha aggiunto - Sono sicuro che la sua esperienza e le sue capacità uniche contribuiranno a far progredire la cooperazione tra le nazioni in materia di sicurezza e stabilità regionale, nonché di economia ed energia".
  "Sono pieno di apprezzamento per il lavoro del Ministro e per i risultati raggiunti in campo diplomatico. Non ho dubbi che la collaborazione tra di noi porterà risultati positivi per l'Italia, rafforzando i legami tra i paesi” ha affermato Kashriel.

(Shalom, 31 luglio 2023)

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Adempimento di una profezia biblica: avvistata una volpe sul Monte del Tempio

Nel giorno di Tisha BeAv, in cui gli ebrei piangono la distruzione del loro Tempio, un simbolo di redenzione è stato avvistato sul Monte del Tempio.

di Michael Selutin

FOTO
GERUSALEMME - Nel giorno di digiuno di questa settimana per commemorare la distruzione dei due Templi di Gerusalemme, una volpe è stata avvistata sul muro del Monte del Tempio, adempiendo a un'antica profezia sulle rovine del luogo sacro.
  Il filmato della volpe sul muro meridionale del Monte del Tempio è diventato virale sui social media dopo che l'animale è stato avvistato mercoledì sera.
  Utenti dei social media hanno osservato che la presenza della volpe sul luogo sacro nella notte di Tisha BeAv - il tradizionale giorno di digiuno ebraico che commemora la distruzione del Tempio di Re Salomone e del Secondo Tempio - realizza la profezia di Uria del Libro di Michea (3:12): "Perciò Sion sarà arata come un campo a causa tua, Gerusalemme diventerà un cumulo di pietre e il Monte del Tempio una collina boscosa! (dove ci sono le volpi)".
  Il Talmud babilonese riporta la seguente storia:

    Accadde che Rabban Gamliel, Rabbi Elazar ben Azariah, Rabbi Joshua e Rabbi Akiva salirono a Gerusalemme. Quando raggiunsero il Monte Scopus, si stracciarono le vesti. Quando raggiunsero il Monte del Tempio, videro una volpe che usciva dal Santo dei Santi. Gli altri cominciarono a piangere, Rabbi Akiva prese a ridere.
    Dissero a lui: "Perché ridi?".
    Egli disse a loro: "Perché piangete?".
    Dissero a lui: "Un luogo così santo, di cui si dice: 'Lo straniero che si avvicina morirà', e ora vi passano le volpi, e noi non dobbiamo piangere?".
    Egli disse loro: "Per questo io rido. Perché sta scritto: 'Porterò dei testimoni fedeli per me: Uria, il sacerdote, e Zaccaria, figlio di Jeberechia'. Qual è il legame tra Uria e Zaccaria? Uria visse al tempo del Primo Tempio e Zaccaria al tempo del Secondo Tempio! Ma la Torah fa dipendere la profezia di Zaccaria da quella di Uria. Di Uria è scritto: "Perciò Sion sarà arata come un campo a causa tua; [Gerusalemme diventerà una collina e il Monte del Tempio come le alture di una foresta]”. In Zaccaria è scritto: "Vecchi e donne siederanno ancora per le strade di Gerusalemme" (Zaccaria 8:4) [la città sarà in pace]".
    "Finché la profezia di Uria non si era avverata, temevo che non si sarebbe avverata neppure quella di Zaccaria. Ma ora che la profezia di Uria si è compiuta, è certo che si compirà anche quella di Zaccaria".
    A queste parole gli risposero: "Akiva, ci hai consolati! Akiva, ci hai consolati!".

Oggi stiamo ancora aspettando il compimento della profezia di Zaccaria, ma siamo già più vicini ad esso di quanto lo fosse Rabbi Akiva circa 2000 anni fa. Gerusalemme è tornata in mano agli ebrei, ma la pace è ancora lontana.

(israel heute, 31 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Vertice dei gruppi palestinesi in Egitto: «approfittare del caos in Israele»

I gruppi del terrore palestinese si riuniscono in Egitto per decidere una strategia comune volta ad approfittare delle forti divisioni interne in Israele.

Il leader di Hamas Ismail Haniyeh ha invitato ieri (domenica) a «cogliere la finestra di opportunità che si è aperta a causa della fortissima divisione interna senza precedenti di cui soffre Israele, delle relazioni internazionali tese e di una resistenza crescente a cui è sottoposto lo Stato Ebraico».
  Haniyeh ha parlato durante un incontro di mediazione tra le varie fazioni palestinesi tenutosi a El-Alamein, in Egitto, sotto gli auspici del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha partecipato all’incontro, mentre la Jihad Islamica e il PFLP hanno deciso di boicottare l’incontro.
  Secondo l’agenzia di stampa palestinese WAFA, l’incontro si è sviluppato intorno ai modi per “ripristinare l’unità nazionale e porre fine alla divisione alla luce delle grandi sfide che la causa palestinese deve affrontare e che mirano a liquidare il progetto nazionale palestinese”.
  Oggi (lunedì), Abbas dovrebbe incontrare il presidente Sisi, per discutere «gli ultimi sviluppi in Palestina e gli sforzi compiuti per far avanzare il processo di pace e porre fine all’occupazione israeliana». (dove il “processo di pace” si riferisce alla riconciliazione intra-palestinese, non alla pace con Israele).
  Un funzionario palestinese, che ha parlato a condizione di anonimato, ha detto che i colloqui mirano a «porre fine alle divisioni [tra le fazioni] in preparazione di un governo palestinese unificato e delle elezioni presidenziali e generali».
  Egypt Today riporta che Abbas ha detto che i palestinesi sono pronti a tenere le elezioni il prima possibile, a condizione che i residenti di Gerusalemme possano votare. Non è chiaro se Israele permetterà ai palestinesi che vivono a Gerusalemme Est, la maggior parte dei quali sono residenti israeliani (non cittadini), di votare.
  Va detto che la leadership palestinese per anni ha ripetutamente usato la scusa di Gerusalemme per non tenere le elezioni o per rinviarle indefinitamente, l’ultima volta nel 2021.
  Le elezioni palestinesi si sono tenute l’ultima volta nel 2006 e i loro risultati hanno portato all’inasprimento delle tensioni tra le fazioni palestinesi e, in ultima analisi, alla conquista della Striscia di Gaza da parte di Hamas e all’instaurazione de facto di due regimi palestinesi.

(Rights Reporter, 31 luglio 2023)

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Israele accelera l’esportazione di gas naturale verso l’Europa

Il Ministero dell’Energia israeliano ha recentemente annunciato che nove società, tra cui cinque nuove al mercato israeliano, hanno manifestato interesse nell’ottenere le licenze per l’esplorazione di giacimenti di gas naturale al largo delle coste di Israele. Questa notizia rappresenta un passo significativo per il Paese, portandolo verso l’indipendenza energetica e una maggiore sicurezza nel settore energetico, soprattutto in un contesto di crisi come quella scatenata dal conflitto russo-ucraino.
  Le nove società coinvolte nella gara provengono da quattro gruppi distinti, e hanno presentato un totale di sei proposte, mettendo in luce la crescente attrattiva dell’industria del gas naturale in Israele. L’importanza di tali operazioni è indiscutibile, poiché la nazione, fino a poco tempo fa, era fortemente dipendente dall’approvvigionamento energetico estero, ma ora sta diventando un attore sempre più rilevante nel panorama energetico regionale.

(Money Premium, 31 luglio 2023)

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Kenya e Israele istituiranno la “Foresta di Zion” nella contea di Machakos

di Cristiano Volpi

Il Kenya inaugurerà la sua prima “Foresta di Sion” nella contea di Machakos a settembre per celebrare il 75° anniversario di Israele e i 60 anni di relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Il progetto, frutto della collaborazione tra l’Ufficio della First Lady del Kenya Mama Rachel Ruto, il Keren Kayemeth LeIsrael – Fondo Nazionale Ebraico, il Servizio Forestale del Kenya e il Governo della Contea di Machakos, dovrebbe includere un minimo di 5.000 alberi, ha spiegato Yahel Margovsky-Lotem, diplomatica e moglie dell’ambasciatore di Israele in Kenya Michael Lotem.
  “I kenioti sono persone molto religiose, per lo più cristiani, e per loro Sion ha un significato molto importante”, ha dichiarato al Jerusalem Post.
  L’idea della foresta è nata da Margovsky-Lotem e si allinea con la visione della first lady di piantare 15 miliardi di alberi in Kenya entro il 2032 per contribuire a combattere il cambiamento climatico e rivitalizzare il territorio del Paese.
  Il Paese sta collaborando con il KKL-JNF, il cui direttore delle relazioni internazionali, Karine Bolton, ha dichiarato che l’organizzazione invierà un team in Kenya a giugno per lavorare con il servizio forestale locale e determinare quali alberi piantare inizialmente. Il KKL invierà una delegazione in Kenya in estate. Il Presidente del Kenya William Ruto e sua moglie sono stati in Israele all’inizio del mese per incontri ufficiali. Durante il viaggio, Ruto ha piantato un albero nel Boschetto delle Nazioni. Lui e sua moglie hanno anche incontrato il personale del KKL-JNF per discutere i loro progetti.
  “Vorrebbero che fossimo coinvolti, anche per aiutarli a scegliere le specie che vogliono piantare e per fornire consulenze sulle tecniche di impianto e di coltivazione”, ha detto Bolton.
  Al momento, il piano prevede di piantare specie indigene e alcuni “alberi biblici””, ha detto Margovsky-Lotem, sottolineando che l’appezzamento di terreno che il gruppo ha ricevuto nella contea di Machakos è di 15 acri, e si aspetta che alla fine vengano piantati più di 5.000 alberi.
  Yahel Margovsky-Lotem pianta un albero fuori dall’ufficio del Commissario della Contea di Machakos. (credito: Ambasciata d’Israele a Nairobi) “Ho proposto l’idea della Zion Forest alla first lady perché è molto attiva nel campo del cambiamento climatico” attraverso la sua organizzazione no-profit Mama Doing Good, ha spiegato.
  Già prima che la First Lady Ruto entrasse in carica, aveva fondato l’organizzazione incentrata su tre pilastri: il cambiamento climatico, l’emancipazione delle donne e dei giovani e la diplomazia.
  Il Kenya, come Israele, ha un clima semi-arido che rende difficile la coltivazione. Nel 2017, il Kenya e il KKL-JNF hanno firmato un memorandum d’intesa per lavorare su iniziative di crescita, ma le iniziative congiunte devono ancora progredire ufficialmente.
  “Siamo entrambi estremamente interessati a rilanciare il MOU e a vedere se possiamo unirci”, ha detto Bolton. Per esempio, il KKL-JNF potrebbe fornire al Kenya un piano di sviluppo delle capacità, trasferimenti di tecniche e idee su come piantare alberi in modo che sopravvivano e riabilitino il paesaggio, come ha fatto l’organizzazione in Israele.
  “Gli ambienti semi-aridi rappresentano una sfida enorme”, ha spiegato Bolton. “Molti Paesi hanno avviato iniziative di piantumazione massiccia, ma spesso gli alberi non sopravvivono… Per riabilitare il paesaggio, quindi, bisogna considerare la biodiversità, la salute del suolo, le specie, il modo in cui si progetta il terreno per catturare quanta più acqua possibile e altro ancora”.
  Bolton è stato in Kenya e ha detto che gran parte di esso assomiglia al Negev.
  Israele ha collaborato privatamente con i kenioti su iniziative ambientali, come un’iniziativa di agricoltura del deserto tra l’Istituto Arava e una chiesa keniota che ha insegnato alle comunità locali come gestire i bacini idrici, raccogliere semi e coltivare alberi.
  Il successo del progetto Zion Forest, tuttavia, non si misurerà solo con la piantumazione di alberi. Sarà importante anche la capacità di integrare la comunità locale e i giovani nel progetto e di costruire la resilienza al clima, ha detto Margovsky-Lotem.
  “Le comunità locali sono considerate agenti influenti del cambiamento. L’obiettivo finale è far sì che la foresta serva da base per programmi educativi e di formazione per una maggiore consapevolezza ambientale”, ha concluso. “Nella nostra visione, la Zion Forest diventerà un polo regionale di eccellenza ambientale”.

(AFRICA24.IT, 31 luglio 2023)

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Così prospera l’antisemitismo sotto il naso dell’Unione europea

Un’inchiesta su quello che succede nelle scuole di Bruxelles dovrebbe suonare la sveglia anche per chi pensa che riguardi solo gli ebrei

Scrive l’Express (6/6)

Qualche tempo fa sono stata contattata, in qualità di membro della Rete di ricerca contro il razzismo e l’antisemitismo, da Fadila Maaroufi, fondatrice del Café Laïque di Bruxelles, praticamente l’unica persona in Belgio che combatte l’Islam radicale e l’odio antiebraico e che conduce questa lotta a rischio della sua vita” scrive la linguista Yana Grinshpun, nata in Unione Sovietica e che oggi insegna a Parigi. “Maaroufi mi ha fornito le testimonianze di diverse famiglie ebree che, abbandonate dalle istituzioni, ignorate dai media, messe a tacere dal consenso politico, si sono rivolte a lei per trovare conforto e rifugio. Sarebbe ironico se non fosse tragico”. Grinshpun ha avuto modo di raccogliere le testimonianze di queste famiglie. “I loro racconti, supportati dai documenti ufficiali delle istituzioni che li abbandonano apertamente, non fanno presagire ottimismo sul futuro degli ebrei in Belgio, ma anche sulla sorte di agnostici, atei e altri laici che non osano più aprire bocca per paura di perdere il lavoro ed essere oggetto di campagne diffamatorie sui social da parte degli islamisti e dei loro alleati di sinistra”.
  “I genitori di Claude hanno trovato una scuola aconfessionale in un bel quartiere di Bruxelles, dove la ‘diversità sociale’ è garantita. La stragrande maggioranza degli studenti è di fede musulmana. Non appena gli studenti scoprono che Claude è ebreo, ‘lo sporco ebreo’ è aggredito. I genitori si lamentano, anche Claude, ma la scuola la deve considerare un’espressione normale. Gli studenti gli dicono in presenza dell’insegnante: ‘Ti convertiremo, figlio del diavolo, miscredente, brucerai all’inferno’. Claude risponde: ‘La religione è una stronzata’. Viene sanzionato dalla scuola ed espulso. I genitori finiscono per portarlo via dalla scuola, perché temono per la sua integrità fisica e psicologica”.
  Poi un’altra testimonianza: “In un’altra scuola belga, un ragazzo ebreo viene ‘convertito’ dai compagni di classe. Gli intenditori sanno che l’Islam è una religione inclusiva, destinata a tutti e qualsiasi ebreo sarebbe musulmano senza saperlo. L’elegante soluzione l’ha trovata un caritatevole allievo, il quale, per risparmiare al compagno di classe l’inferno promesso agli ebrei, lo ‘convertì’ in un musulmano, pronunciando al suo posto le parole della shahada (professione di fede).
  Il problema è che non si tratta di coesistenza di ‘religioni’, ma di sottomissione alle istanze islamiche attraverso la paura. I belgi non conoscono la battuta armena: ‘preserviamo i nostri ebrei!’, perché dopo gli ebrei viene sempre il turno degli altri e la storia lo ha dimostrato”. Conclude Grinshpun: “Gli ebrei soffocano e l’establishment incoraggia e rafforza questo soffocamento perché è ‘islamofobo’ nel senso etimologico, cioè ha paura dell’Islam. In quale altro modo spiegare che le istituzioni belghe tacciono sul disinibito antisemitismo islamico? Nella lingua belga, ‘rispettare’ significa tacere, non criticare. Il Belgio è il paese del silenzio consensuale. E questo sta iniziando a diffondersi ovunque. Cosa aspettano le istituzioni? Che tutti gli ebrei lascino la loro terra per paura di essere attaccati, come nei paesi arabi per tredici secoli? Che si convertano all’Islam, attraverso la magia di un rito decretato da uno studente musulmano? Forse accadrà, gli ebrei se ne andranno, una Maaroufi non basterà a sostenerli, ma i belgi saranno i prossimi della lista”.

Il Foglio, 31 luglio 2023)

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Il leader di Hamas invita a ”approfittare della divisione interna di Israele”

Secondo il leader di Hamas, i palestinesi si trovano attualmente in una "fase eccezionale" della lotta contro il nemico.

"Attualmente abbiamo un'opportunità che dobbiamo sfruttare per prendere decisioni, perché l'occupazione soffre di una divisione interna senza precedenti, di tensioni nelle sue relazioni internazionali e dell'incapacità di piegare la volontà del popolo palestinese e la crescente resistenza dei militanti", ha dichiarato il capo dell'ufficio politico del movimento terroristico palestinese Hamas, Ismail Haniyeh, durante una riunione delle fazioni palestinesi in Egitto.
  Secondo il leader di Hamas, i palestinesi si trovano attualmente in una "fase eccezionale" della lotta contro il nemico. "Dobbiamo adottare misure straordinarie per combattere le politiche di Israele e frenare gli estremisti nel governo", ha affermato, sostenendo che "il processo di pace ha raggiunto un'impasse". "Israele ha tratto vantaggio negli ultimi trent'anni, trasformando la nostra terra in ghetti e cantoni. Gli insediamenti hanno inghiottito la maggior parte della terra in Cisgiordania", ha insistito.
  Inoltre, Haniyeh ha sottolineato di aver appoggiato la richiesta dell'organizzazione del Jihad islamico di rilasciare i suoi membri arrestati per le loro attività contro Israele o sulla base della loro affiliazione politica, specificando che si tratta di una richiesta di tutte le fazioni palestinesi.
  Il presidente dell'Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, è arrivato sabato ad Al-Alamein, in Egitto, per partecipare domenica a una riunione delle fazioni palestinesi.

(i24, 30 luglio 2023)

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‘’La democrazia israeliana non è in pericolo’’

Intervista a Fiamma Nirenstein

di Luca Spizzichino

Con l’approvazione da parte della Knesset, in seconda e terza lettura, del disegno di legge sugli standard di ragionevolezza, ossia il primo frammento della tanto discussa riforma giudiziaria, si sono intensificate le proteste in tutta Israele. Per fare chiarezza su ciò che sta accadendo nello Stato Ebraico, Shalom ha intervistato la giornalista e scrittrice Fiamma Nirenstein.
  «Non credo che la sostanza del contendere, cioè la riforma giudiziaria, sia in sé per sé quello scontro che pretende di essere, cioè uno scontro sulla democrazia. - ha affermato Nirenstein - Non vedo la democrazia israeliana in pericolo».
  «L’idea che la Corte Suprema debba restare fondamentale e importantissima è giusta. Ma il diritto di intervenire sulle leggi votate dal Parlamento secondo un criterio soggettivo, quello della cosiddetta “ragionevolezza”, è sbagliato: infatti ciò che è ragionevole per te, può non esserlo per me e viceversa. Proposte di modifica erano arrivate in passato anche da Yair Lapid, Benny Gantz, Gideon Sa'ar, Avigdor Lieberman», gli stessi che ora attaccano la riforma. «L’idea per cui la piramide giudiziaria israeliana dovrebbe avere il diritto di cancellare le leggi secondo un criterio di “ragionevolezza”, non esiste in nessun'altra parte del mondo» ha aggiunto.
  «Una volta cancellato questo criterio, la Corte Suprema ha comunque poteri vastissimi, infatti esistono molte altre ragioni per cui una legge, se impugnata e denunciata, può essere cancellata» ha spiegato Nirenstein, che ha sottolineato come lo stesso organo giudiziario stia valutando addirittura la possibilità di cancellare lo stralcio legge appena votato.
  Parlando delle proteste, la giornalista ne ha sottolineato la particolare veemenza: «A me sembra non l'antagonismo nei confronti di una legge, ma una furiosa negazione della legittimità di un Governo che ha 64 seggi in un Parlamento di 120». Secondo Nirenstein, l’insofferenza di chi si oppone al governo è dovuta al grande scontro che caratterizza tutto il mondo occidentale dal secondo dopoguerra fino al giorno d'oggi, «uno scontro mortale fra destra e sinistra che si serve di parametri eccessivi dal punto di vista della narrazione, per esempio come quando la sinistra accusa la destra di essere “fascista” e di volere uno stato autoritario».
  «Se si guarda ai sette mesi di enormi dimostrazioni di piazza, che hanno bloccato autostrade, ospedali e l’aeroporto, e all’atteggiamento di praticamente tutti gli organi di informazione, non vedo segni di repressione nella società israeliana».
  Sebbene molti media facciano intendere che Netanyahu abbia rifiutato tutti i compromessi sulla riforma, la giornalista ha spiegato a Shalom come in realtà siano stati «modificati in parecchi punti sostanziali e la parte di legge appena votata è stata sospesa fino a novembre, quando, il primo ministro ha affermato, verrà ripresa in mano la questione in un clima di maggiore unità». «Questo evidentemente sottintende che ci sono trattative in corso».
  Se ci si chiede perché comunque il governo abbia voluto procedere fino a questa votazione, che ha ancora una volta suscitato tanto rifiuto, Nirenstein dice che la risposta va cercata nel rapporto tra il Paese e l’esercito: «Il governo continua ad andare avanti con la riforma perché non può cedere al rifiuto a servire da parte di un numero non rilevante, ma significativo, di riservisti e soprattutto di piloti, essenziali alla sicurezza del Paese». «Se Netanyahu avesse ceduto al ricatto - ha detto Nirenstein - si sarebbe accettato il principio che il potere militare ha un ruolo determinante rispetto al principio che il potere civile, ossia quello del parlamento, che deve essere sempre al primo posto». Cioè è stato affermato che l’esercito dipende dal popolo d’Israele e non lo governa.
  Oltre a ciò, continua Nirenstein, «mettere l'esercito in difficoltà è una cosa a cui veramente bisognerebbe stare molto attenti, perché si mette in gioco la vita di un Paese e dell’intero popolo ebraico, che dipende prima di tutto dalla capacità di Israele di difendersi dai suoi nemici» ha aggiunto.
  «I piloti, per esempio, oltre ad essere pronti a qualsiasi attacco che possa provenire da acerrimi nemici, come l’Iran, Hamas o Hezbollah. Ogni giorno impediscono alle armi iraniane di raggiungere in Siria e finire nelle mani di Hezbollah. E proprio in questi giorni i terroristi libanesi hanno svolto esercitazioni sul confine israeliano, mentre si moltiplicano gli attacchi terroristici palestinesi. Tutto questo non deve essere dimenticato. Per il popolo ebraico l’unità è una questione di vita o di morte».
  Nonostante tutto quello che sta accadendo in Israele, Fiamma Nirenstein vede nelle immagini dove i manifestanti, pro e contro la riforma, si scambiano un saluto sulle scale mobili della stazione centrale di Gerusalemme, come l’essenza dello Stato d’Israele. «Siamo il piccolo, fortissimo, resistente popolo ebraico, che perseguitato da 3.000 anni, è riuscito comunque a portare al successo la più grande delle sue imprese, rifondare e far prosperare lo Stato ebraico» ha concluso.

(Shalom, 30 luglio 2023)

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Netanyahu non esclude collegamenti ferroviari con Arabia Saudita

TEL AVIV - Israele progetta una forte estensione della propria rete ferroviaria e ritiene che in futuro essa potrebbe servire anche ad assicurare collegamenti con l'Arabia Saudita.

Lo ha detto oggi il premier Benyamin Netanyahu nel corso del consiglio dei ministri, secondo la radio pubblica Kan.
  "Abbiamo varato - ha detto - un progetto denominato 'Israele unito' che collegherà con una ferrovia Kiryat Shmona (Galilea nord, ndr) a Eilat (Mar Rosso).
  In futuro potremo inoltrare carichi di merci ai nostri porti affacciati sul Mar Mediterraneo, e potremo inoltre collegare Israele con ferrovie dirette all'Arabia Saudita e alla penisola araba''. Netanyahu ha rilasciato queste dichiarazioni mentre l'amministrazione Biden sta lavorando ad un pacchetto di intese fra Usa e Arabia Saudita che, secondo i media, potrebbero includere anche una normalizzazione delle relazioni fra Arabia Saudita ed Israele, nel contesto degli Accordi di Abramo.

(ANSAmed, 30 luglio 2023)

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Usa, Arabia Saudita, Israele e palestinesi: per Biden l’ipotesi di un accordo a quattro in Medio Oriente

Il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan e Brett McGurk, il più alto funzionario della Casa Bianca che si occupa di politiche mediorientali, sono in Arabia Saudita per sondare l’eventualità di un’intesa a quattro

di Thomas L. Friedman

Per le centinaia di migliaia di difensori della democrazia israeliana che hanno cercato di impedire il golpe giuridico del Primo ministro Benjamin Netanyahu di lunedì il fatto che la Corte Suprema israeliana è stata espropriata dei suoi massimi poteri per tenere a freno il ramo esecutivo di sicuro è una sconfitta cocente. Lo capisco, ma non dispero. Non del tutto. Un aiuto potrebbe arrivare dai colloqui tra Stati Uniti e Arabia Saudita. Sì, avete letto bene.
  La settimana scorsa, quando ho intervistato il presidente nello Studio Ovale, ho scritto che Biden sollecitava Netanyahu a non imporre la riforma giudiziaria senza neanche una parvenza di consenso da parte della nazione. In ogni caso, non abbiamo parlato soltanto di questo. Il presidente è combattuto dall’idea di cogliere l’occasione di lanciare un patto per la sicurezza reciproca tra Stati Uniti e Arabia Saudita che comporti la normalizzazione delle relazioni tra sauditi e israeliani, fermo restando che Israele faccia delle concessioni ai palestinesi tali da preservare la possibilità della soluzione dei due stati.

• La missione in Arabia Saudita
  Dopo i colloqui dei giorni scorsi – tra Biden, il suo consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, il segretario di Stato Antony Blinken e Brett McGurk, il più alto funzionario della Casa Bianca che si occupa di politiche mediorientali –, il presidente ha inviato Sullivan e McGurk in Arabia Saudita, dove sono arrivati giovedì, per sondare l’eventualità di un’intesa a quattro di qualche tipo tra Stati Uniti, Arabia Saudita, Israele e Palestina.
  Il presidente non ha ancora deciso se procedere in questo senso, ma ha dato il via libera al suo team per verificare presso il Principe della Corona saudita Mohammed bin Salman la possibilità di un accordo, e capirne il costo. Concludere un patto multinazionale di questo tipo richiederebbe tempo e sarebbe difficile e complesso, anche nel caso in cui Biden decidesse di agire subito al livello successivo. Adesso, però, i contatti esplorativi procedono spediti – molto più di quanto io immaginassi – e ciò è importante per due motivi.

• Una pace tra Israele e l’Arabia Saudita
  Prima di tutto, un accordo di sicurezza tra Stati Uniti e Arabia Saudita in grado di garantire la normalizzazione delle relazioni tra Arabia Saudita e Stato ebraico – e di intaccare allo stesso tempo quelle tra Arabia Saudita e Cina – sarebbe un vero e proprio punto di svolta per il Medio Oriente, ancora più importante del trattato di pace di Camp David tra Egitto e Israele. La pace tra Israele e Arabia Saudita, la custode delle due città più sante dell’Islam, la Mecca e Medina, spianerebbe infatti la strada alla pace tra Israele e tutto il mondo musulmano, compresi alcuni Paesi di primo piano come l’Indonesia e forse addirittura il Pakistan. Si tratterebbe di un risultato molto significativo che Biden lascerebbe dietro di sé in politica estera.
  In secondo luogo, se gli Stati Uniti riuscissero a dar vita a un’alleanza per la sicurezza con l’Arabia Saudita – a patto che questa normalizzi i rapporti con Israele e che a sua volta Israele faccia concessioni significative ai palestinesi – la coalizione di Netanyahu al governo, formata da suprematisti ebrei ed estremisti religiosi, una buona volta dovrebbe rispondere alla seguente domanda: è possibile annettere la Cisgiordania oppure fare pace con l’Arabia Saudita e tutto il mondo musulmano, ma non è possibile fare entrambe le cose. Quale scegliamo?
  Beh, al tavolo di gabinetto di Netanyahu non si avvierebbe così una discussione interessante? Mi piacerebbe proprio vedere il ministro delle Finanze di destra di Israele, Bezalel Smotrich, che va in televisione e spiega al popolo israeliano i motivi per i quali Israele avrebbe interesse ad annettere la Cisgiordania e i suoi 2,9 milioni di abitanti palestinesi – per sempre – ma non l’avrebbe a normalizzare le relazioni con l’Arabia Saudita e il resto del mondo musulmano. Un accordo di pace tra sauditi e israeliani potrebbe diminuire drasticamente i contrasti tra musulmani ed ebrei sorti più di un secolo fa con l’inizio del conflitto tra ebrei e palestinesi.
  Prima di far scegliere al governo estremista israeliano tra annessione o normalizzazione, però, molte persone dovrebbero giungere a un accordo su molte cose.

• Cosa vogliono i sauditi
  Detto ciò, Jake Sullivan oggi non è a Riad in veste di turista. I sauditi vogliono ottenere tre cose importantissime da Washington: un trattato di difesa reciproco in stile Nato che imponga agli Stati Uniti di soccorrere l’Arabia Saudita in caso di attacco (molto presumibilmente dall’Iran); un programma nucleare a scopi civili, monitorato dagli Stati Uniti; e la facoltà di acquistare armi statunitensi più sofisticate, come il sistema di difesa missilistico antibalistico Terminal High Altitude Area Defense, particolarmente utili per i sauditi nei confronti dell’arsenale israeliano in continuo incremento di missili a medio e lungo raggio.

• Cosa vogliono gli americani
  Tra le cose che gli Stati Uniti vogliono ottenere dai Sauditi ci sono la fine dei combattimenti nello Yemen, dove nel corso dell’anno passato per fortuna il conflitto ha perso di intensità; un importante pacchetto di aiuti alle istituzioni palestinesi in Cisgiordania come ancora non si è visto; limiti significativi al rapporto sempre più stretto tra Arabia Saudita e Cina.
  Per esempio, gli Stati Uniti non sono rimasti soddisfatti quando l’anno scorso l’Arabia Saudita ha preso in considerazione l’idea del renminbi cinese al posto del dollaro statunitense per fissare il prezzo di alcune vendite di petrolio alla Cina. Tenuto conto del peso economico di Cina e Arabia Saudita, infatti, con il passare del tempo questa decisione avrebbe un impatto molto negativo sul dollaro americano e sul suo ruolo di principale valuta mondiale. Ecco, quella eventualità dovrebbe essere scongiurata. Gli Stati Uniti desiderano anche che i sauditi riducano i loro rapporti con i colossi cinesi dell’hi-tech come Huawei, i cui dispositivi per le telecomunicazioni più recenti sono vietati negli Usa.
  Si tratterebbe della prima volta che un accordo di sicurezza reciproca viene sottoscritto dagli Stati Uniti con un governo non democratico da quando il presidente Dwight Esenhower ne firmò uno con la Corea del Sud pre-democratica nel 1953, e sarebbe indispensabile l’approvazione del Senato.
  Altrettanto importante, comunque, è che cosa chiederebbero i sauditi a Israele per salvaguardare la prospettiva della soluzione dei due stati, proprio come gli Emirati Arabi Uniti chiesero a Netanyahu di rinunciare a qualsiasi tipo di annessione della Cisgiordania in cambio dei loro Accordi di Abramo.
  Le autorità saudite non prestano particolare attenzione ai palestinesi e non sono competenti in fatto di complessità del processo di pace.

• Il nodo palestinese
  Nel caso in cui giungesse a un accordo senza una significativa componente palestinese, invece, lo staff di Biden assesterebbe un colpo mortale sia al movimento democratico israeliano – concedendo a Netanyahu un bonus geopolitico enorme e gratuito, proprio quando ha appena fatto qualcosa di così antidemocratico – sia alla soluzione dei due stati, perno portante di tutta la diplomazia degli Stati Uniti in Medio Oriente.
  Non credo che Biden farà una cosa del genere. Scatenerebbe una ribellione nella base progressista del suo partito e renderebbe pressoché impossibile la ratifica del trattato.
  “Per il presidente Biden sarà abbastanza complicato far sì che il Congresso degli Stati Uniti accetti un accordo di questo tipo”, mi ha detto il senatore Chris Van Hollen, rappresentante democratico del Maryland nel Comitato per le Relazioni estere del Senato e nella Sottocommissione della Camera per le operazioni estere che finanzia il Dipartimento di Stato. “Ti posso assicurare, in ogni caso, che tra i democratici ci sarà uno zoccolo duro considerevole di oppositori che respingeranno qualsiasi proposta che non includa clausole apprezzabili, chiaramente definite e attuabili volte a tutelare la soluzione dei due stati e soddisfare l’istanza del presidente Biden stesso che palestinesi e israeliani godano di libertà e dignità in ugual misura. Si tratta di fondamenti basilari in qualsiasi accordo sostenibile di pace in Medio Oriente.”
  Io credo che, come minimo, sauditi e americani potrebbero e dovrebbero esigere quattro cose da Netanyahu in cambio di qualcosa di così prezioso come la normalizzazione e gli scambi commerciali con lo stato arabo musulmano più importante: L’impegno formale a non annettere la Cisgiordania. Mai. Nessuna nuova colonia o espansione in Cisgiordania fuori dagli insediamenti già esistenti. Nessuna legalizzazione di avamposti di insediamenti ebraici non programmati. Il trasferimento di parte del popoloso territorio palestinese dall’Area C in Cisgiordania (al momento sotto il pieno controllo di Israele) alle Aree A e B (sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese) – come previsto dagli Accordi di Oslo. In cambio, l’Autorità Nazionale Palestinese dovrebbe sottoscrivere l’accordo di pace dell’Arabia Saudita con Israele.
  A dire la verità, oggi l’Autorità Nazionale Palestinese non si trova in una posizione tale da poter intavolare colloqui di pace con Israele. È sottosopra. I palestinesi devono rinnovare il loro governo, ma nel frattempo i ministri di estrema destra del gabinetto israeliano stanno cercando di assimilare quanto più territorio possibile della Cisgiordania il più rapidamente possibile.
  È indispensabile che questo cessi immediatamente, ma senza che il Dipartimento di Stato debba agitare il dito indice per far capire quanto gli Stati Uniti sono “gravemente preoccupati” per gli insediamenti israeliani. Sarebbe meglio un’importante iniziativa strategica imperniata su qualcosa di significativo per tutti, a esclusione dei fanatici di tutte le parti in causa.
  Ripeto: un accordo, di qualsiasi tipo sia, richiederà mesi di difficili negoziati tra Stati Uniti, Arabia Saudita, Israele e Autorità Nazionale Palestinese. Nel migliore dei casi, si tratterà di una scommessa azzardata.
  Se però Biden deciderà di provarci, se gli Stati Uniti riusciranno a mettere a punto un accordo che possa essere di enorme interesse strategico per l’America, di enorme interesse strategico per Israele, di enorme interesse strategico per l’Arabia Saudita (ammettendola nel club più che esclusivo dei Paesi sotto l’ombrello protettivo degli Stati Uniti), se riusciranno a rilanciare le speranze palestinesi di una soluzione con due stati, si tratterà di un trattato molto molto importante.
  Se poi, così facendo, si dovesse costringere Netanyahu a lasciar perdere gli estremisti del suo governo e a fare causa comune con il centrosinistra e il centrodestra di Israele, il nuovo trattato non sarebbe anche la ciliegina sulla torta?

(la Repubblica, 30 luglio 2023)

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Sui social spopola la “leggenda dell’ebreo che sparava alle nuvole” di Ceriano Laghetto

In questi giorni di precipitazioni e devastazioni, in molti si sono ricordati di questa leggenda, legata al Frutteto di Ceriano Laghetto, un tempo di proprietà della famiglia Wischkin, dal 2008 rilevato da un gruppo di imprenditori trentini.

di Tommaso Guidotti

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Che fine ha fatto l’ebreo che spara alle nuvole? Sembra una domanda da romanzo, invece è un quesito posto su uno dei gruppi Facebook che animano la vita social del territorio saronnese. L’ha posto una partecipante a “Sei di Saronno Se…”, scatenando una serie di commenti, foto e ricordi di un’epoca non lontanissima, ma ammantata di leggenda. 
  Leggenda che parte dal nome dell’autore degli “spari” contro le nuvole: l’ebreo. Così era chiamato nel territorio saronnese il proprietario del Frutteto di Ceriano Laghetto, di proprietà della famiglia Wischkin, poi nel 2008 l’area è stata rilevata da un gruppo di imprenditori trentini che si sono messi all’opera per il rinnovo e il potenziamento degli impianti frutticoli (vengono coltivate diverse varietà di mele e pere). Il Frutteto di Ceriano Laghetto oggi si estende per circa 80 ettari all’interno del Parco delle Groane e al suo interno, oltre alla vendita e alla produzione di frutta, vengono organizzati eventi aperti alla popolazione per la raccolta delle mele, visite guidate e tanto altro.
  Ma torniamo alla “leggenda”: su chi fosse l’”ebreo” non ci sono certezze, forse uno dei Wischkin, forse uno dei gestori del frutteto, incaricati dalla famiglia proprietaria di curare le loro piante di frutta. Qualcuno sostiene fosse un uomo di religione ebraica sfuggito alla cattura dei fascisti che si era nascosto in un primo tempo a Cogliate poi a Ceriano Laghetto. L’appellativo, usato non in termini sprezzanti e senza nessun intento razzista, era diffuso in tutto il territorio per identificare chi, quando il cielo si rabbuiava, sparava verso le nuvole, utilizzando una tecnica diffusa in diverse zone del Paese per evitare che la grandine rovinasse i raccolti: da Saronno a Rovellasca si sentiva il suono sordo dei “cannoni” e tutti subito lo identificavano: “ecco l’ebreo che spara”.
  In questi giorni di grande devastazione, con chicchi di ghiaccio grandi come palle da tennis che sono caduti in quantità impressionante, con una violenza mai vista prima, in molti hanno ripensato a quei boati. Chiariamo subito un punto: scientificamente non ha fondamento la tecnica dello sparo usato per “spaccare” le nuvole ed evitare la caduta della grandine. Questi cannoni sono visibili ancora al Frutteto i Ceriano Laghetto (erano tre quelli attivi) e alla Polveriera di Solaro, conservati per mostrare questo retaggio del passato agricolo della zona. I colpi di artiglieria, sparati da un cannone a cono rovesciato rivolto verso il cielo, venivano sparati a salve durante i temporali, provocando un’onda d’urto verso l’alto per spaccare le nuvole e impedire la formazione di celle. Come detto, non ci sono evidenze scientifiche sulla reale efficacia di questa pratica (come ad esempio il suono continuato delle campane, utilizzato per lo stesso motivo), ormai in disuso, ma il post sui colpi sparati da Ceriano Laghetto ha risvegliato i ricordi di tantissimi.

(Saronno News, 26 luglio 2023)

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Il salmista ignoto (2)

di Marcello Cicchese

L'ignoto autore del salmo 119, che per comodità abbiamo chiamato Ariel, nel suo scritto dà espressione a un insieme di considerazioni, riflessioni, interrogativi, timori, preghiere che gli provengono dal suo fermo proposito di continuare a vivere sulla terra in uno stretto rapporto di ubbidiente fede col suo Signore che è nel cielo.
  A un certo punto si rivolge a Dio e dice:

    Io sono straniero sulla terra;
    non nascondermi i tuoi comandamenti
    (19).

Sorprende che Ariel si consideri straniero sulla terra, perché tutto fa pensare che egli stia muovendosi su quella terra che è la patria dei comandamenti di Dio: Israele. Sono i suoi abitanti che gli pongono problemi:

    Si avvicinano a me quelli che vanno dietro all'infamia:
    essi sono lontani dalla tua legge
    (150).

E' una questione di vicinanza e lontananza. In un certo senso siamo vicini - pensa Ariel - perché apparteniamo alla stessa famiglia spirituale. Si avvicinano a me, ma restano lontani dalla legge di Dio. E questa è un'infamia, perché non si avvicinano per camminare insieme a me "secondo la legge dell'Eterno" (v.1), ma per trascinare anche me lontano da quella legge.
  Le difficoltà di Ariel coi suoi simili non sono di generica moralità, ma riguardano il valore che ha in sé la legge di Dio e il posto che occupa nella considerazione degli uomini. I superbi e gli empi che egli incontra nel suo percorso, e con cui si scontra, non sono valutati e giudicati per la gravità dei loro peccati,  per ingiustizie e violenze che possano aver commesso, ma tutto si concentra nel rapporto che essi mantengono con il bene unico e prezioso della legge di Dio. Non solo non la osservano, ma più che questo la ignorano, la disprezzano, e deridono chi vuole attenersi ad essa con scrupolo e gratitudine verso il Legislatore.
  Ariel, al primo posto tra quelli che vengono derisi, osserva, soffre e piange. Piange non per quello che gli fanno, ma per come viene trattata la legge di Dio:

    Rivi di lacrime mi scendono dagli occhi,
    perché la tua legge non è osservata
    (136).

La gravità dell'inosservanza della legge sta nel fatto che essa è un bene prezioso negletto e calpestato proprio da coloro a cui Dio l'ha consegnato. Perché i nemici di Ariel non sono pagani ignoranti, ma esponenti autorevoli del popolo della legge. La loro azione dunque è un tradimento. E questo è orribile:

    Io ho visto i traditori e ne ho provato orrore;
    perché non osservano la tua parola
    (158).

L'orrore esprime un sentimento di ripugnanza di fronte  a un modo di agire innaturale, contro natura, contrario alla natura del popolo di Dio.
  All'orrore si aggiunge una furente indignazione. Sì, Ariel oltre a piangere può essere anche furioso:

    Un'ira ardente mi prende a causa degli empi
    che abbandonano la tua legge
    (53).

Abbandonano, si badi bene. Abbandonare la moglie non è come non avere una moglie: lo stesso si può dire della legge di Dio. Non è dunque un sentimento di tenera compassione quello che prova Ariel verso quegli empi, perché essi hanno ricevuto la legge di Dio, ma l'hanno ignorata, calpestata e abbandonata. E nel tentativo di giustificare se stessi adesso si avvicinano con comportamenti ambigui,  percorrendo tortuosi sentieri di menzogna. Di qui la sua forte azione di rigetto:

    Io odio gli uomini dal cuore doppio,
    ma amo la tua legge
    (113);
    Odio e detesto la menzogna,
    ma amo la tua legge (163).

    Perciò ritengo giusti tutti i tuoi precetti,
    e odio ogni sentiero di menzogna
    (128).

Detestare i bugiardi e gli imbroglioni è cosa tutto sommato normale per ogni persona onesta, ma perché accostare ogni volta al vizio altrui la propria virtù? Eppure è così che agisce Ariel: a fronte di tortuosi comportamenti di uomini infedeli alla legge e menzogneri ribadisce ogni volta la sua integrale dirittura:

    Io ho scelto la via della fedeltà,
    mi sono posto i tuoi giudizi davanti agli occhi
    (30);

ed è sicuro che i suoi avversari non potranno coglierlo in fallo:

    Non sarò svergognato
    quando considererò tutti i tuoi comandamenti
    (6).

Sorge allora una domanda: ma se Ariel vuol essere un pio israelita fedele alla legge di Dio in tutto, che motivo ha di continuare a confrontarsi con quelli che invece a quella legge non ci pensano proprio e deridono  chi come lui lo vuole fare? Se quelli dimenticano le parole di Dio e abbandonano la legge, in fondo sono fatti loro, penserà qualcuno.  Non sarà che Ariel è come quelli a cui Isaia rimprovera di dire agli altri: "Fatti in là, non ti accostare, perché io sono più santo di te" (Isaia 65:5)?
  L'obiezione è seria, perché proprio questa è la reazione, soprattutto fra i credenti, che si avrebbe davanti a chi volesse sbandierare la sua fedeltà a Dio con parole simili a quelle di Ariel.
  Qualcosa dunque fa pensare che il centro del messaggio non può consistere in una spinta a imitare il salmista in tutto e per tutto. La chiave di lettura dev'essere un'altra.
  Un versetto può servire a metterci sulla strada:

    Il mio zelo mi consuma
    perché i miei nemici hanno dimenticato le tue parole
    (139).

Qualcosa di simile si trova in un altro salmo:

    Lo zelo per la tua casa mi divora
    gli insulti di chi ti oltraggia sono caduti su di me
    (Salmo 69:9).

Lo zelo di Ariel lo consuma; quello di Davide lo divora.
  Lo zelo di Davide ha come oggetto la casa di Dio; quello di Ariel la legge di Dio.
  Tutti e due incontrano ostacoli e si scontrano con nemici interni al popolo.
  Davide è riconosciuto da tutti come servo dell'Eterno, con tutto quello che questa espressione significa; Ariel si rivolge a Dio presentandosi ripetutamente (ben 13 volte) come tuo servo.
  Anche se l'espressione tuo servo è usata spesso come forma di cortesia anche in altre culture, in questo contesto il significato più adatto è quello letterale: il salmista si rivolge a Dio non come un qualsiasi pio israelita, ma come un servo dell'Eterno chiamato a svolgere un incarico che gli è stato affidato.
  Dovrà essere il testo stesso a far intuire qual è l'incarico, ma che di questo si tratti può essere avvalorato da due versetti:

    Mantieni la parola data al tuo servo,
    che inculca il tuo timore
    (38);
    Ricordati della parola detta al tuo servo;
    su di essa mi hai fatto sperare
    (49).

Ciò di cui qui si parla non è un ordine generale rivolto a tutti, ma una precisa parola data o una parola detta allo specifico servo dell'Eterno che ha scritto questo salmo e noi abbiamo chiamato Ariel.
  Questo può spiegare lo zelo che Ariel mette nello svolgere il suo incarico, perché per lui è un impegno che certamente lo onora, ma d'altra parte gli procura innumerevoli nemici e lo spinge a rivolgere preghiere appassionate al suo Signore.
  Ariel dichiara in modo chiaro di avere un rapporto personale con Dio:

    Tu hai fatto del bene al tuo servo,
    o Eterno, secondo la tua parola
    (65);

e ardisce chiedere a Dio di continuare a fargli del bene, affinché possa continuare a svolgere nel modo migliore il suo incarico:

    Fa' del bene al tuo servo
    perché io viva e osservi la tua parola 
    (17).

L'incarico assegnato al salmista potrebbe consistere nel dover essere in mezzo al popolo la presenza personificata della parola di Dio nella forma di un servo dell'Eterno che da una parte assume su di sé il peso della perfetta osservanza di quella parola e dall'altra svolge il compito di ricordarla incessantemente agli altri col suo esempio, i suoi inviti, le sue riprensioni. Incarico arduo, indubbiamente. Si direbbe impossibile. Eppure il salmista sembra esserci riuscito, stando alle ripetute dichiarazioni di fedeltà riportate nel numero precedente, tra cui ne ricordiamo qui soltanto alcune a mo' di esempio:

    io ho osservato le tue testimonianze;
    non ho abbandonato i tuoi precetti;
    ho fatto ciò che è retto e giusto;
    ho osservato i tuoi precetti e le tue testimonianze;
    ho messo in pratica i suoi comandamenti.

Si può discutere caso per caso se i verbi usati in queste dichiarazioni siano da intendere al passato (ho osservato) o al presente (osservo) o al futuro (osserverò), ma in ogni caso sono espressioni così insistentemente ripetute che non si può evitare di indicarne un significato coerente e ragionevole, traendone le dovute conseguenze sul piano dell'interpretazione.
  C'è un passaggio in particolare che merita speciale attenzione: il versetto 44. Ne riportiamo qui alcune traduzioni in italiano:

    Osserverò sempre la tua legge, per l'eternità (NR, R20).
    Osserverò la tua legge del continuo, per sempre (ND, D).
    Osserverò la tua legge del continuo, in sempiterno (R06).
    Osserverò la tua legge sempre, in perpetuo e ne' secoli de' secoli (Ricci).
    Osserverò sempre la tua legge, nei secoli e nei secoli dei secoli (Tintori).
    Custodirò la tua legge per sempre, nei secoli, in eterno (CEI).

Le traduzioni più soddisfacenti sono le tre ultime (cattoliche). Tutte comunque cercano di rendere il valore temporale della promessa di fedeltà del salmista, che non dichiara soltanto la risolutezza della sua osservanza alla legge di Dio, ma ne sottolinea anche la durata nel tempo.
  Riportiamo allora il testo originale:

    ואשמרה תורתך תמיד לעולם ועד

e la traduzione CEI;

    Custodirò (ואשמרה) la tua legge (תורתך) per sempre (תמיד), nei secoli (לעולם), e in eterno (ועד),

Questa traduzione rende al meglio il testo perché traduce singolarmente i tre termini del versetto che indicano la progressione temporale.
  Il termine לעולם (leolam), tradotto con nei secoli, è particolarmente interessante perché l'espressione עולם הבא (olam habà) indica in ambito ebraico il Regno di Dio che viene. Ha dunque un valore escatologico.
  L'ignoto salmista dichiara dunque che lui sarà fedele alla legge di Dio per sempre, nei secoli dei secoli e in eterno.
  Alla sorpresa che può generare una dichiarazione così ardita si aggiunge il fatto che in tutto il salmo non è presente alcuna confessione di peccato, alcuna espressione di pentimento.
  Chi è dunque costui? Non si sa. Il salmista è ignoto. E' mai esistito? Esisterà un giorno? Domande a cui ebrei e cristiani possono cercare di dare una risposta. Nel seguito proveremo a proporne una.

(2. continua)
(Notizie su Israele, 30 luglio 2023)


 

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Nasrallah minaccia Israele in caso di attacco al Libano e a Hezbollah

Il leader di Hezbollah ha dichiarato che "il Libano è sotto attacco" al suo confine meridionale e ha avvertito i leader israeliani di "guardarsi da qualsiasi follia".

Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha avvertito sabato i leader israeliani di "guardarsi da qualsiasi follia" nell'attaccare il Libano o il gruppo terroristico sostenuto dall'Iran, che "sarà pronto, senza esitazione, a rispondere".
   In un discorso televisivo per commemorare l'Ashoura, un giorno sacro di lutto osservato principalmente dai musulmani sciiti, Nasrallah ha affermato che "il Libano è sotto attacco" al suo confine meridionale.
"Il nemico sta ancora occupando parte della nostra terra... e parla sfacciatamente delle provocazioni della resistenza ai confini", ha detto.
All'inizio di questa settimana, membri armati di Hezbollah in uniforme completa hanno pattugliato il confine israelo-libanese vicino a Moshav Dovev, nell'Alta Galilea. L'esercito israeliano è stato inviato sul posto per prevenire qualsiasi incidente, in un contesto particolarmente delicato a seguito dei recenti eventi al confine e dell'attuale crisi politica in Israele. Quest'ultimo incidente si inserisce in un contesto di crescente tensione al confine tra Israele e Hezbollah, segnata in particolare dalla recente diffusione di un video del gruppo terroristico che simula un attacco allo Stato ebraico.
   L'avamposto installato da Hezbollah da marzo sul Monte Dov in territorio israeliano è una delle provocazioni. All'inizio di luglio, i funzionari di sicurezza israeliani hanno confermato che gli uomini del gruppo sciita avevano smantellato una delle due tende installate lì, ma che il numero di uomini armati all'interno non era cambiato.

(i24, 29 luglio 2023)

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L'intelligence militare israeliana mette in guardia Benjamin Netanyahu

La probabilità di un'escalation è aumentata drasticamente a causa del disaccordo sulle riforme giudiziarie.

di Aviel Schneider

GERUSALEMME - "I nemici vedono un'opportunità storica nella crisi di Israele", ha avvertito l'agenzia di intelligence militare israeliana Aman al primo ministro Benjamin Netanyahu. Negli ultimi mesi, l'Aman ha inviato quattro lettere personali di avvertimento a Netanyahu, in cui l'unità di intelligence ha espresso le gravi conseguenze per la sicurezza a causa della spaccatura nel popolo . La lettera afferma che i nemici vedono un'opportunità storica per cambiare una volta per tutte la situazione strategica in Medio Oriente a seguito dell'enorme crisi di Israele.
  Alti ufficiali dell'intelligence militare avvertono che il danno non è solo immediato, ma ha anche conseguenze a lungo termine. Secondo l'analisi di Aman, nemici come l'Iran e Hezbollah dividono il deterrente israeliano in quattro pilastri, tutti indeboliti dalla disunione popolare.

  1. La forza dell'esercito di difesa israeliano.
  2. L'alleanza con gli americani.
  3. La forte economia.
  4. L’unità del popolo.

Questo è un momento magnifico per attaccare e distruggere Israele. I nemici sono in agguato per aspettare il momento opportuno e su questo l'intelligence militare israeliana ha fonti attendibili.
  Come riportato in precedenza, la leadership di Hamas si è incontrata con il regime degli ayatollah a Teheran e ha discusso del momento migliore per attaccare Israele. Si è deciso di rimandare l'attacco per la semplice ragione che era troppo presto e che un attacco avrebbe unito il popolo di Israele in questo momento. La spaccatura tra il popolo deve approfondirsi, solo allora varrà la pena di attaccare. Inoltre, l'intervista dell'ex Primo Ministro Ehud Olmert ai media britannici ha fatto notizia: "Israele sta entrando in una guerra civile", ha detto. Alcune ore dopo l'approvazione da parte della Knesset della revoca dei criteri di adeguatezza, e all'ombra di enormi manifestazioni in tutto il Paese, l'ex primo ministro israeliano Olmert ha dichiarato: "Ci sarà una disobbedienza civile, con tutte le possibili conseguenze per la stabilità del Paese e la capacità del governo di gestire il Paese". A suo avviso, il governo nazionalista di destra guidato da Benjamin Netanyahu non è legittimo.
  I nemici di Israele stanno pazientemente osservando gli sviluppi di Israele e colpiranno quando sarà il momento.  Il 58% degli israeliani teme una guerra civile nel Paese. Questo secondo un sondaggio di Maariv. Solo il 38% degli israeliani non teme una guerra fratricida. Un altro 4% non lo sa. Come è stato spesso sottolineato, una guerra fratricida è sulla bocca di tutti, indipendentemente dall'appartenenza politica. Questo pericolo aleggia nell'aria come mai prima d'ora, soffiando come il vento oltre i confini dei Paesi arabi.
  La crisi politica di Israele nei confronti dell'America è considerata estremamente grave agli occhi dei nemici di Israele. Per quanto riguarda la competenza dell'esercito, Aman vede l'Iran e Hezbollah monitorare da vicino la crisi del sistema delle riserve e i danni ai sistemi vitali dell'esercito israeliano. L'"estate del 2023" in Israele, come il nemico vede la situazione di Israele, costituisce un punto di debolezza storico. Se prima si parlava solo di un attacco tattico di deterrenza contro Israele, oggi l'intelligence militare di Aman è più inquieta. I nemici vedono un possibile round di guerra perché, a loro avviso, c'è stata una significativa erosione della deterrenza di base in Israele.
  Oltre alle lettere di avvertimento al Primo Ministro israeliano, il Capo di Stato Maggiore Herzi Halevi ha incontrato Netanyahu e gli ha presentato informazioni e prove concrete a sostegno dell'analisi dell'intelligence militare Aman. L'intelligence stima che l'Iran e Hezbollah siano seduti sulla barricata e stiano lasciando dissanguare Israele dall'interno. La probabilità di un'escalation è aumentata drasticamente a causa del disaccordo sulle riforme legali, e questo deve essere sotto gli occhi dell'apparato di sicurezza israeliano. Questo spiega, tra l'altro, perché la maggior parte degli ex capi dell'intelligence del Mossad, dello Shin Bet, della polizia e del Capo di Stato Maggiore hanno avvertito il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu di fermare le riforme legali, perché questo rovinerà la strategia di deterrenza di Israele e metterà così a rischio l'esistenza di Israele.
  Ma dall'altra parte, ministri, pubblicisti e politici di destra vedono in questo una sorta di colpo di stato militare. Generali che spaventano inutilmente la popolazione per fermare il governo nazionalista di destra e le sue riforme legali. Ecco perché gli avvertimenti dell'intelligence militare israeliana non vengono presi sul serio dalla coalizione. Scopriremo chi ha ragione in futuro, ma nel frattempo i nemici di Israele sono in agguato e questo deve essere preso sul serio.

(israel heute, 29 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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In Israele quasi un terzo degli abitanti si dice pronto a lasciare il Paese a causa del governo

Da quando lunedì 24 luglio il parlamento israeliano ha votato un provvedimento faro della riforma giudiziaria voluta dal governo, quasi il 30% degli abitanti ha intenzione di lasciare Israele. Per questo, molti di loro si avvalgono dei servizi di avvocati specializzati nell’ottenimento di passaporti europei.
  Bandiera israeliana in mano, instancabile, Inbal si unisce ai suoi amici in un’altra manifestazione contro il governo e la sua riforma della giustizia. Erano ancora in migliaia a sfilare giovedì 27 luglio a Tel Aviv, nonostante il voto di lunedì di un provvedimento faro di riforma giudiziaria, molto controverso, portato dal premier israeliano. Secondo un sondaggio, il giorno dopo questo voto, il 28% degli israeliani ha intenzione di lasciare il proprio Paese, preoccupato per la politica attuale.
  Per Inbal e la sua famiglia la decisione è stata presa anche prima. “La notte delle elezioni, il 1° novembre, abbiamo visto i risultati e quello stesso giorno la mia famiglia ha preso la decisione di richiedere un passaporto straniero”. Questa partenza è “un’uscita di emergenza” per lei, che teme una deriva autoritaria e un Israele sempre meno laico, mentre l’attuale governo è il più religioso della storia del Paese.
  Per prepararsi a queste partenze, chi ne è sprovvisto deve munirsi di passaporto straniero. Yoshua Pex, avvocato specializzato in domande di naturalizzazione, conferma l’aumento di queste domande negli ultimi mesi,
Dalle ultime elezioni, è molto chiaro. Abbiamo visto un aumento delle ricerche di passaporti stranieri e un aumento delle domande. Israele è un paese di immigrati. Molti ebrei sono venuti dall’Europa, quindi ci sono molti interessati Alcuni non si qualificano nemmeno, ma ci provano lo stesso”.
  Mentre si stima che circa un milione di israeliani possiedano passaporti stranieri, l’autorità per la popolazione e l’immigrazione afferma di non conoscere i dati sulle partenze. Ma sui social network la tendenza è chiara: sempre più gruppi di israeliani si aiutano a vicenda per prepararsi al trasloco. Ophir, che lavora nell’alta tecnologia, non vede un possibile futuro in Israele.
  “Io e il mio compagno ci siamo sposati non molto tempo fa e abbiamo deciso che non avremmo assolutamente continuato la nostra vita qui”.
  “Abbiamo fatto tutto secondo le regole, siamo andati a scuola, abbiamo prestato servizio nell’esercito, abbiamo studiato, abbiamo trovato lavoro, nutriamo l’economia e finiamo con un governo che ci mette i bastoni tra le ruote e possiamo vedere che è non andrà bene. Tutti i nostri piani stanno andando a rotoli”, deplora il giovane israeliano. Lei e suo marito sono riusciti a ottenere un passaporto europeo e, come molti israeliani, hanno scelto il Portogallo.
  Ma alcune partenze destano più preoccupazione di altre. Dall’approvazione della prima legge di riforma giudiziaria, 3.000 medici si sono uniti a un gruppo WhatsApp per discutere di opportunità professionali all’estero. Il direttore generale del ministero della Salute ha tenuto una riunione d’urgenza sperando di convincerli a restare.

(dayFRitalian, 29 luglio 2023)

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Israele e la Cina. Test per Netanyahu in vista della visita a Washington (e Pechino)

Netanyahu gioca con la Cina. Foto con il libro di Xi anticipando un probabile viaggio a Pechino (prima o dopo della visita alla Casa Bianca?)

di Emanuele Rossi

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, insiste che a settembre andrà alla Casa Bianca, ma non solo Joe Biden non ha mai fornito una data per l’invito a Washington “entro l’anno”, ma le recenti vicende potrebbero aver ulteriormente raffreddato i rapporti. Non c’è solo la mossa sulla riforma della giustizia. A pochi giorni dal voto parlamentare che ha creato caos in Israele e che Washington aveva apertamente chiesto di evitare, Netanyahu si è fatto fotografare con l’ambasciatore cinese Cai Run mentre teneva in mano “Governare la Cina”, il libro manifesto del leader cinese Xi Jinping.
  Il combinato disposto non è stato apprezzato a Washington. Non perché gli americani non sapessero della testardaggine di Bibi (e delle sue necessità riguardo alla riforma della giustizia o delle azioni aggressive sui territori occupati palestinesi). Ma perché quella foto e quel sorriso beffardo sono sembrati a mezzo mondo una provocazione contro gli Stati Uniti — che vedono la Cina come potenza rivale. Sarebbe interessante sapere se ciò avrà avuto effetti sul mood dei colloqui che in questi giorni funzionari senior dell’amministrazione Biden terranno con le controparti saudite — e con l’erede al trono Mohammed bin Salman.
  Netanyahu sta cercando la sponda statunitense per normalizzare le relazioni con Riad. Gli americani tanto quanto i sauditi sono assolutamente d’accordo in linea generale, ma le questioni legate alla Palestina e le mosse radicali del governo israeliano stanno un po’ rallentando il processo. Si scrive “rallentando” perché una normalizzazione tra Riad e Gerusalemme rientra nei desiderata strategici di tutti e tre gli attori ed è il flusso degli eventi a renderla pressoché certa in futuro. Tuttavia gli eventi possono cambiare e quel futuro potrebbe allontanarsi anche per via della Cina — oppure avvicinarsi.
  Pechino ha già fatto da mediatore finale nel lungo e complicato processo di distensione tra Iran e Arabia Saudita: potrebbe fare altrettanto anche con Israele? Il rapporto con la Cina è parte del dialogo tra americani, sauditi e israeliani. Washington tiene sotto stretta osservazione le relazioni con il rivale sistemico globale, in particolare se toccano materie delicate (tecnologie, difesa, investimenti infrastrutturali), e soprattutto se coinvolgono alleati chiave come Israele e Arabia Saudita.
  La ragione di queste attenzioni le ha recentemente spiegate il professore della Fudan University Sun Degang, direttore del Center for Middle East Studies di una delle più prestigiose università cinesi. “In mezzo a grandi cambiamenti mai visti in un secolo, i paesi del Medio Oriente ‘guardano a est’, mentre i paesi asiatici ‘si dirigono a ovest’. Entrambe le parti stanno sviluppando rapporti di cooperazione sempre più stretti e pragmatici”.  Questo incrocio è particolarmente preoccupante per Washington perché teme di perdere contatto con una regione dalla quale vorrebbe in teoria ridurre il coinvolgimento, ma pretenderebbe di avere un totale controllo da remoto.
  Mentre possono sufficientemente fidarsi degli attori amici — come il giapponese Fumio Kishida (recentemente in tour nel Golfo) o i vietnamiti (che da poco hanno firmato un accordo di libero scambio con Israele che per gli Usa va sotto l’etichetta friendshoring) — gli americani temono che le collaborazioni che i Paesi mediorientali mettono in piedi con la Cina non solo sostituiscano quelle statunitensi, ma che in qualche modo vengano messe a repentaglio le basi della loro presenza nella regione: per esempio, pensano che la diffusione di sistemi 5G (o 6G) cinesi possa permettere alle intelligence di Pechino di acquisire informazioni a detrimento degli interessi americani.
  Per esempio, le preoccupazioni degli Stati Uniti sulla possibilità che tecnologie americane-israeliane raggiungano la Cina, per il potenziale controllo cinese delle infrastrutture vitali di Israele e per l’acquisizione di aziende innovative israeliane da parte di imprese controllate dalla Cina, sono state rese note a Israele in modo bipartisan, non solo nelle visite dei funzionari delle ultime due amministrazioni (caratterizzati da colori politici diversi e approccio diversi con Israele). Anche nel discorso del presidente repubblicano della Camera dei Rappresentanti, Kevin McCarthy, il primo maggio scorso, c’è stato un riferimento a queste preoccupazioni. McCarthy ha esortato Israele a rafforzare la sua supervisione sugli investimenti stranieri.
  In un recente saggio per il Jerusalem Strategic Tribune, pubblicazione boutique che si occupa di affari mediorientali con occhio israelo-centrico, il direttore Eran Lerman ha delineato l’agenda cinese di Netanyahu. Cosa porta il primo ministro israeliano a “liberarsi dalla morsa di una politica interna corrosiva e di rivendicare ancora una volta un posto sulla scena globale?” si chiede Lerman, ex direttore per gli affari internazionali al Consiglio di sicurezza nazionale israeliano.
  Punto primo, “chiarire la percezione della minaccia di Israele se l’Iran continuerà a progredire verso una capacità nucleare militare”, poi “riaffermare il reciproco interesse per la stabilità regionale, compreso il sostegno alla sopravvivenza economica di attori chiave come l’Egitto”, e poi “discutere di cooperazione tecnologica, dalla medicina all’agricoltura”. Questi sono gli obiettivi che porteranno Netanyahu a Pechino nei prossimi mesi, ma secondo Lerman, al di là delle foto e dei messaggi velenosi, si muoverà in misura molto più limitata e accorta rispetto alle visite a Pechino del 2013 e del 2017, “quando Israele sperava ancora di attirare grandi investimenti cinesi in infrastrutture e alta tecnologia, il cui entusiasmo si è poi spento da entrambe le parti”.

(Formiche.net, 29 luglio 2023)

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Israele: Yoav Gallant vuole un governo di unità nazionale senza i partiti religiosi sionisti

Il ministro della Difesa vuole un governo che includa il partito di unità nazionale di Benny Gantz

Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, del partito Likud, afferma che ‘Israele ha bisogno di un governo di unità nazionale’ e intende ‘lavorare per esso, anche se questo significa dimettersi dal suo incarico’”, ha riportato venerdì il quotidiano. Yediot Aharonot.
  Per uscire dalla crisi, Gallant vuole un governo che includa il partito di Unità nazionale di Benny Gantz e il partito Yesh Atid di Yair Lapid, insieme a Likud e Benjamin Netanyahu, in modo da avere voti sufficienti per operare senza il sionismo religioso di estrema destra e Otzma Yehudit feste.
  “Vista l’attuale situazione nei settori della difesa, della sanità, della giustizia, dei rapporti con il governo americano, e visto quanto sta accadendo nelle nostre strade, questo è il massimo da intraprendere”, ha indicato il quotidiano, che sembra sostenere l’approccio del Ministro della Difesa. Secondo Yediot Aharonot Gallant avrebbe sollevato l’idea con il capo del CENTCOM (Comando centrale americano): “Alcuni membri del governo stanno pensando di salire sulla Tour Eiffel in questo momento, quando ci porteranno tutti alla Torre di Pisa”, avrebbe ha lanciato il ministro.
  Venerdì scorso, Yoav Gallant aveva già indicato di voler “con tutti i mezzi” promuovere un “ampio consenso” sul disegno di legge sulla ragionevolezza, che mira a impedire alla Corte Suprema di ribaltare una decisione governativa e che è stata approvata lunedì dalla Knesset.
  In una colonna dal titolo evocativo del 25 luglio, anche il presidente del World Jewish Congress, Ronald Lauder, invoca la formazione di un governo di unità nazionale: “Ci sono solo tre uomini che possono realizzare questa unità: Benjamin Netanyahu, Yair Lapid e Benny Gantz. Sulle loro spalle, questi tre leader portano una responsabilità storica. Pertanto, nonostante questo voto, devono sedersi immediatamente per discutere francamente della situazione allarmante della nazione. E devono superare i loro interessi personali e le loro differenze politiche per essere in grado di formare un governo di emergenza forte e stabile”.
  L’aiutante dell’ex primo ministro Benjamin Netanyahu parla delle minacce “esistenziali” a Israele dall’inizio della crisi: “Il futuro di Israele è in bilico. L’unico stato del popolo ebraico affronta un pericolo esistenziale imminente. Una combinazione senza precedenti di minacce esterne e interne ha portato Israele sull’orlo”.

(dayFRitalian, 29 luglio 2023)

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Messico. “Ebrea bulgara”: l’ex presidente contro la candidata alle presidenziali

Claudia Sheinbaum
Vicente Fox, presidente del Messico fra il 2000 à 2006, populista di destra, ha definito la candidata alle elezioni presidenziali 2024 Claudia Sheinbaum ‘ebrea bulgara’. I genitori di Claudia Sheinbaum sono originari della Lituania e della Bulgaria.
  Fox ha anche attaccato l’attuale presidente Andrés Manuel López Obrador e il governo attuale come “dei pigri che non c’entrano niente con il governo”, secondo il Los Angeles Times. Lo riporta i24News.
  L’ex presidente si è in seguito scusato, dicendo di “avere un grande rispetto per la comunità ebraica”. Ma il Los Angeles Times riporta che non è la prima volta che la Sheinbaum viene trattata da “straniera” dagli avversari politici e che in risposta ha voluto pubblicare su Twitter il suo atto di nascita (messicano).
  Claudia Sheinbaum, un fisico esperto, è diventata il primo sindaco ebreo di Città del Messico nel 2018 e da allora la sua popolarità è in aumento. Si è affermata come la principale concorrente di Lopez Obrador per la nomina del suo partito alla presidenza del prossimo anno. La signora Sheinbaum, che secondo i sondaggi ha forti possibilità di vincere, diventerebbe la prima donna e la prima ebrea a guidare il Messico, se eletta.

(Bet Magazine Mosaico, 28 luglio 2023)

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Israele, le aziende tech stanno scappando

In Israele, Wix e Wiz sono l’emblema delle aziende di successo. Fondata nel 2010, Wiz è una piattaforma per costruire siti web, oltre che una delle società tecnologiche più note del paese e tra quelle con valutazione più alta del settore. Wiz invece è una società di cybersicurezza molto quotata: lanciata un decennio dopo Wix, ha raggiunto una valutazione di 10 miliardi di dollari nel giro di due anni, quasi la metà del tempo impiegato da aziende come Uber e Snapchat.
  Oggi però le due società stanno imboccando strade diverse: Wix sta aumentando il suo impegno in Israele, mentre Wiz sta tagliando i ponti con il paese.
  Negli ultimi sette mesi, Israele è attraversato da una crisi politica. A gennaio, Benjamin Netanyahu – arrivato al suo sesto mandato come primo ministro e sostenuto da una coalizione che comprende partiti di estrema destra – ha presentato un disegno di legge che punta a indebolire i poteri della Corte suprema israeliana. I sostenitori dell’iniziativa sostengono che è necessaria per evitare le ingerenze politiche del massimo tribunale israeliano. I critici sostengono che la riforma indebolirebbe la democrazia israeliana garantendo al governo un potere incontrollato. Nonostante le grandi proteste, questa settimana i legislatori israeliani hanno approvato la prima parte della riforma giudiziaria.
  Il conflitto è percepito in modo particolarmente accentuato nella “Startup Nation“, il nome con cui è stato ribattezzato l’influente settore tecnologico israeliano. In Israele molti lavoratori tech hanno partecipato alle proteste contro la riforma giudiziaria e i dirigenti delle aziende hanno espresso apertamente i loro timori per i possibili effetti sulla stabilità economica e sociale del paese. Prima del voto sul disegno di legge, circa 200 aziende tecnologiche si erano impegnate ad aderire alle proteste. All’indomani del voto, un gruppo chiamato Movimento di protesta hi-tech Protest ha comprato degli spazi pubblicitari su almeno quattro diversi giornali, oscurandone le prime pagine per sottolineare il “giorno nero per la democrazia“.
  “L’industria israeliana dell’alta tecnologia è molto coinvolta, molto impegnata in ciò che sta accadendo“, afferma Merav Bahat, amministratore delegato della società di sicurezza informatica Dazz, che racconta di sostenere i dipendenti che si sono assentati dal lavoro per scioperare o partecipare alle proteste.

• Tra opposizione e fuga
  I dati pubblicati nello scorso fine settimana da Start-Up Nation Central, un’organizzazione no-profit che promuove la tecnologia israeliana all’estero, mostrano che quasi il 70 per cento delle startup israeliane si sta adoperando per allontanarsi dal proprio paese, ritirando denaro o spostando la propria sede legale.

(World Magazine, 28 luglio 2023)

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L'insediamento cristiano di Nes Ammim in Israele compie 60 anni

Migliaia di volontari hanno vissuto e lavorato nell'insediamento di Nes Ammim, in Israele. Il villaggio è dedicato alla riconciliazione tra ebrei e cristiani, israeliani e tedeschi, ebrei e arabi. È stato fondato 60 anni fa.

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DÜSSELDORF / HAIFA - Una leggera brezza soffia dal Mediterraneo nell'insediamento cristiano di Nes Ammim, nel nord di Israele. Anja Mendouga si scosta una ciocca di capelli dal viso con un rapido gesto della mano. "C'è molto più sole qui che in Germania, mi mette davvero di buon umore", dice e ride. Alle sue spalle, le palme ondeggiano.
  La 35enne di Stoccarda lavora nel team di gestione di Nes Ammim dalla scorsa estate. Per decenni, il villaggio è stato un luogo popolare per i volontari provenienti dall'Europa e dagli Stati Uniti che vogliono vivere, imparare e lavorare in "Terra Santa" per un po'. Quest'anno festeggia il suo 60° anniversario, essendo stato fondato nella primavera del 1963.

• Idea di un protestante olandese
  Un villaggio cristiano in Israele: questa era l'idea del medico olandese Johan Pilon negli anni Cinquanta. Il protestante convinto era inorridito dall'omicidio di massa tedesco di sei milioni di ebrei, l'Olocausto. L'antisemitismo europeo, secondo la sua diagnosi, aveva una delle sue radici nel cristianesimo. Pilon voleva dimostrare che c'era un'altra strada: i cristiani dovevano conoscere l'ebraismo in Israele e diventare così sensibili alle molte forme di antisemitismo.
  Il medico ha trovato sostenitori nei Paesi Bassi, in Germania e in Svizzera. Con l'aiuto di donazioni, fu acquistato per un milione di franchi svizzeri un chilometro quadrato di terreno a nord di Haifa: il nucleo di Nes Ammim, in italiano "Segno per i popoli". I primi coloni arrivarono nel 1963, una coppia di svizzeri. Vivevano in un autobus dismesso che si trova ancora al centro del villaggio. Come museo, racconta i sei decenni in cui il villaggio è cresciuto fino a diventare un centro di incontro ecumenico: con un albergo turistico e numerose case per i volontari.
  E con un giardino che non ha eguali, con bouganville in fiore e cespugli di oleandro. Frank Böhm, tra gli altri, ne è oggi il responsabile. Il 76enne ha già vissuto con la sua famiglia a Nes Ammim 35 anni fa. Ora è tornato come "volontario senior". Indossando pantaloni da lavoro marroni e bretelle rosse, taglia le siepi o mantiene i sentieri in buone condizioni. L'educatore religioso in pensione di Heidelberg vuole aiutare il villaggio a rimettersi in piedi dopo la crisi del covid. "Ho la sensazione di essere necessario qui. Il villaggio è diventato un pezzo di casa per me".

• Non smettere di lavorare contro l'antisemitismo".
  Anche Anja Mendouga sente uno stretto legame con Israele. "Il fascino di Israele è il mix tra un Paese occidentale e i numerosi riferimenti storici e religiosi", afferma la specialista in informatica. Particolarmente toccante: il contatto con i sopravvissuti all'Olocausto e i loro discendenti. "La maggior parte delle persone che si incontrano qui sono state colpite personalmente. Questo è per me un appello ogni volta: non dobbiamo smettere di lavorare contro tutte le forme di antisemitismo e di estremismo".
  Anche la sua visione del cristianesimo è cambiata. "Gesù era un ebreo", dice nella videochiamata. "E possiamo capirlo davvero solo se siamo disposti a imparare dall'ebraismo invece di metterci sopra, come purtroppo è accaduto troppo spesso nella storia". Parla di "apertura degli occhi" perché ha sperimentato molte sorprese in Israele.
  Peter Noack si è sentito allo stesso modo. È rimasto così affascinato dal suo servizio di volontariato e da Israele che ora è presidente dell'Associazione tedesca Nes Ammim con sede a Düsseldorf. "Nes Ammim è un buon posto per esplorare il Paese e conoscerne le molteplici sfaccettature", dice il 31enne studioso di islamistica, che ha prestato servizio volontario nel villaggio per un anno dopo il diploma di scuola superiore. Un programma di studio aiuta i volontari a capire il Paese, aggiunge. "E mettiamo anche a disposizione delle auto".
  Una cosa, però, al momento gli crea problemi: dopo la crisi del covid, le autorità israeliane hanno esitato a rilasciare visti di volontariato per Nes Ammim. Al momento, quindi, ci sono solo pochi volontari nel villaggio, che lavorano nell'hotel e nel giardino. "È come se fosse ancora chiuso", dice Noack. Non può che interrogarsi sui motivi, ma è fiducioso che il problema possa essere risolto.

• Il rabbino temeva la stazione missionaria
  Non è la prima volta che Nes Ammim deve affrontare l'opposizione. Già 60 anni fa c'erano venti contrari: un rabbino temeva allora che l'insediamento diventasse una stazione di missione per convertire gli ebrei al cristianesimo. In seguito, è diventato un partner stretto nella conversazione ebraico-cristiana. Qualche anno dopo, ci furono proteste da parte dei sopravvissuti all'Olocausto: erano contrari al trasferimento a Nes Ammim di tedeschi provenienti dalla "terra dei carnefici". Ma anche in questo caso si sviluppò la fiducia.
  All'inizio del nuovo millennio, il villaggio era alle prese con problemi economici. Un vivaio di rose e una falegnameria, marchi di fabbrica di Nes Ammim per decenni, dovettero essere chiusi. Più volte il villaggio è stato sull'orlo della bancarotta.
  Era quindi chiaro che l'insediamento avrebbe dovuto riorientarsi. È nata l'idea di un villaggio di dialogo: i proprietari hanno venduto appezzamenti di terreno a famiglie ebree e arabe che ora appartengono saldamente al villaggio. Oggi Nes Ammim, con i suoi 400 abitanti, sta economicamente meglio che mai.
  Il 60° anniversario viene celebrato in diversi Paesi in date diverse. In Germania, la cerimonia è prevista per il 23/24 settembre presso la Haus Villigst di Schwerte.

(israelnetz, 28 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Vaetchannàn. Non è mai troppo tardi per affidarsi alla tefillà

di Ishai Richetti

Nella Parashà di Vaetchanan, Moshè racconta le sue infruttuose suppliche a D-o di revocare il decreto che gli proibiva di entrare nella terra di Canaan: E in quel momento supplicai D-o, dicendo: “Mio Signore, D-o, hai cominciato a mostrare al tuo servo la Tua grandezza e la Tua mano forte… Lasciami ora attraversare e vedere la terra buona che è dall’altra parte del Giordano, questo buon monte e il Libano». Ma Dio si è adirato contro a causa vostra e non mi ha ascoltato; e D-o mi ha detto: “È troppo per te! Non continuare a parlarMi di questo argomento. Sali in cima alla rupe e alza gli occhi a occidente, a settentrione, a meridione e a oriente e guarda con i tuoi occhi, perché tu non attraverserai questo Giordano».
  La tragedia del destino di Moshe, il fulcro su cui ruota l’intero libro di Devarim, continua ad essere fonte di domande. Questo leader umile, che ha pazientemente e scrupolosamente portato il popolo ebraico al confine dei propri sogni, per mandato divino non realizzerà quei sogni con loro. Perché D-o rifiuta le suppliche di Moshe? Il peccato di Moshe è così grande che gli si deve negare il perdono? Le porte della preghiera e del pentimento sono veramente chiuse al nostro leader più grande? In tal caso, che speranza abbiamo che D-o ascolti le nostre preghiere?
  I Chachamim si sforzano di capire quale sia l’esatto peccato di Moshe e Aharon sulla scena di Mei Meriva, dove Moshe colpisce la roccia invece che parlarle e dove D-o emette il Suo decreto riguardante il destino di questi grandi leader. Le possibilità suggerite per il fallimento di Moshe e Aharon includono deviazione dalle istruzioni di D-o, rabbia ingiustificata contro il popolo, assunzione di credito per un miracolo divino e altro . Qualunque sia il catalizzatore del verdetto di D-o, tuttavia, perché quel verdetto non può essere annullato ora?
  Numerose fonti rabbiniche suggeriscono che D-o, piuttosto che essere riluttante, non possa perdonare Moshe, basandosi sull’uso del termine lachen (quindi) nel versetto che riguarda Mei Meriva. Secondo la tradizione midrashica, la presenza di questo termine indica che è stato pronunciato un giuramento. Sulla scena di Mei Meriva, D-o in realtà giura che Moshe e Aharon non entreranno in Eretz Israel e questo giuramento divino, una volta prestato, non può essere abrogato. Basandosi su questo approccio, il Sifre suggerisce che la supplica di Moshe si basa su un fraintendimento della portata del voto di D-o. Una volta che Moshe vede che gli è stato permesso di partecipare alle battaglie per la conquista della Transgiordania, presume che il giuramento divino che decretava il suo destino sia stato abrogato e che ora gli sarà permesso di partecipare anche alla conquista di Eretz Canaan, ma D-o lo informa che il voto rimane in vigore e che l’ingresso di Moshe rimane proibito. I Chachamim, basandosi sul Midrash notano che le parole rav lecha possono essere interpretate nel senso di “[Moshe,] tu hai un maestro”.Di fronte al rifiuto delle sue suppliche, Moshe argomenta: Maestro dell’universo, per favore liberati dal Tuo voto, come hai liberato me dai miei voti, in passato. D-o risponde: Moshe, rav lecha, hai un maestro, qualcuno sopra di te che può liberarti dai tuoi voti. Io, invece, non ho padrone. Nessuno, quindi, può annullare i voti che prendo su di Me.
  Muovendosi in una direzione diversa, lo Sforno e il Kli Yakar sostengono che Moshe vuole impedire, attraverso la sua presenza imponente e il coinvolgimento personale nella conquista di Eretz Canaan, ogni possibilità di un eventuale esilio del popolo ebraico. Il piano di Moshe, tuttavia, va contro le intenzioni di D-o che sa che, in futuro, gli ebrei saranno destinati a peccare e che il loro ultimo esilio sarà inevitabile e necessario. Assicura Moshe quindi che la conquista di Eretz Canaan avverrà solo dopo la morte di Moshe, sotto la guida più debole di Yehoshua. Di conseguenza, il possesso continuato della Terra d’Israele non sarà assicurato, ma rimarrà per sempre dipendente dai meriti del popolo ebraico.
  Combinando aspetti degli approcci dell’Abravanel, da un lato, e dello Sforno e del Kli Yakar, dall’altro, il Malbim fa un’affermazione rivoluzionaria. Il decreto di D-o riguardo a Moshe non è affatto il risultato di alcun peccato da parte di questo grande leader, è invece segnato dai fallimenti del popolo ebraico. Secondo il piano originale di D-o, gli ebrei dovevano conquistare la terra di Canaan sotto la continua guida di Moshe. Lo stesso coinvolgimento di Moshe avrebbe portato a una miracolosa catena di eventi. Nessuna battaglia fisica sarebbe stata combattuta, poiché D-o avrebbe miracolosamente distrutto i nemici prima del loro arrivo. Moshe avrebbe supervisionato la costruzione di un Bet haMikdash destinato a rimanere in funzione in perpetuo e l’era messianica sarebbe stata raggiunta. La realizzazione di questi miracoli, tuttavia, rimase dipendente dalla continua fede del popolo in D-o. Quando gli ebrei, attraverso il peccato degli esploratori, si dimostrano indegni dell’intervento soprannaturale di D-o, D-o non ha altra scelta che assicurarsi che Moshe non entri In Eretz Israel e decreta che la generazione dell’Esodo perirà nel deserto, escludendo dal decreto solo Yehoshua e Calev. Da parte loro, Moshe e Aharon condivideranno il destino del resto della loro generazione. Resta però un’ultima possibilità di riscatto. Se la prossima generazione, la generazione che matura nel deserto, può dimostrare la forza del suo impegno verso D-o, il decreto che sigilla il destino di Moshe e Aharon può ancora essere invertito. Questi grandi leader saranno in grado di guidare il popolo ebraico alla conquista di Eretz Israel. Queste speranze però vengono deluse sulla scena di Mei Meriva dove, mentre “si radunano contro Moshe e Aharon”, il popolo ebraico si dimostra indegno della fiducia di D-o. Moshe, inoltre, colpito dal tumulto, perde l’opportunità di santificare pienamente il nome di D-o parlando alla roccia. Di conseguenza, il decreto originale contro Moshe e Aharon viene confermato ed elevato allo status di giuramento divino che non può essere successivamente annullato. Moshe e Aharon periranno “per amore” e “a causa” del popolo.
  Un ultimo approccio alla tesi secondo cui le preghiere di Moshe sono respinte “per il bene del popolo” può essere offerto reinterpretando, ancora una volta, gli eventi di Mei Meriva. La prima generazione di ebrei con cui Moshe ha a che fare, la generazione dell’Esodo, si relaziona a D-o solo attraverso l’emozione primitiva della paura. Quando, poco dopo l’Esodo, questa generazione si trova senz’acqua a Refidim, D-o comanda a Moshe di parlare al popolo nell’unica lingua che capiranno. Colpisci la roccia, comanda, in modo che gli ebrei riconoscano il potere celeste. Può essere che Moshe, in questi momenti critici, cerchi di sottrarsi alla responsabilità dei propri fallimenti passati? Perché D-o avrebbe rifiutato le suppliche di Moshe “per amore degli Israeliti” o “a causa degli Israeliti”?
  Questo enigma è risolto, sostiene l’Abravanel, se accettiamo la sua affermazione secondo cui gli eventi di Mei Meriva non determinano veramente il destino di Aharon e Moshe. L’Abravanel sostiene, contrariamente all’apparente evidenza del testo, che questi grandi leader sono in realtà puniti per peccati precedenti: Aharon per il suo coinvolgimento nel peccato del vitello d’oro e Moshe per la sua partecipazione al peccato degli esploratori. In ciascuno di questi casi, le azioni di questi grandi leader sono guidate da buone intenzioni ma contribuiscono inavvertitamente ai disastri nazionali che ne derivano. Quarant’anni dopo, a Mei Meriva, Moshe si trova di fronte a una generazione che è arrivata a relazionarsi con D-o attraverso la dimensione più matura dell’amore. D-o quindi ordina a Moshe: prendi il bastone. Mostra alle persone che puoi usarlo, ma che deliberatamente non lo farai. Parla alla roccia e, così facendo, “parla” al popolo. Dimostra loro, in questo momento critico, che il potere dell’amore è infinitamente più forte del potere della forza bruta. Moshe fallisce nella sua missione: Di fronte alle lamentele degli ebrei, torna a Refidim, vede davanti a sé gli ebrei di un tempo. In quell’istante, mentre Moshe solleva il suo bastone per colpire la roccia, non riesce a passare con la sua gente da una generazione all’altra. Questo fallimento segna il suo destino. Lui e Aharon (che non si muove per fermare suo fratello) rimarranno per sempre parte della loro generazione, destinati a perire nel deserto senza entrare in Eretz Israel, “per il bene del popolo”. Una nuova generazione ha bisogno di un nuovo leader, uno che sarà in grado di passare con il suo popolo nella marcia verso un futuro glorioso.
  Le interpretazioni di cui sopra, tuttavia, creano un’apertura per una domanda potente. Se il destino di Moshe è segnato “per il bene della nazione”, perché la sua leadership comprometterebbe in qualche modo il destino del popolo ebraico, perché non può entrare nel paese come un uomo comune? Questo umile leader ha già chiesto a D-o di nominare un successore al suo posto e, su comando di D-o, ha nominato pubblicamente Yehoshua come successore. Sicuramente Moshe ora accetterebbe di partecipare alla conquista di Eretz Canaan sotto la guida del suo fidato studente. Perché D-o rifiuta? La Mechilta immagina una conversazione in cui questo argomento, tra gli altri, viene effettivamente sollevato da Moshe: Maestro dell’universo, quando inizialmente hai decretato il mio destino, hai affermato: “Pertanto non porterai questa congregazione sulla terra …” Poiché io non posso portare il popolo ebraico nel paese come un re, per favore permettimi di entrare con loro come un cittadino comune. La risposta di D-o, continua il Midrash, è breve e va al punto: Un re non può entrare [nel paese] come un cittadino comune. Elaborando questo approccio midrashico, l’Abravanel suggerisce che la risposta di D-o a Moshe in questa Parasha, “Rav lecha, è troppo per te…”, può essere interpretata come una domanda retorica. Rav lecha? Sarebbe davvero appropriato, D-o chiede a Moshe, che Yehoshua insegni mentre tu ti siedi e guardi? Sarebbe davvero appropriato che Yehoshua fosse il tuo insegnante (rav) e maestro? Salito alla grandezza della leadership, Moshe non può ora scendere dalle sue altezze.
  Questo quadro evidenzia le potenti sfide che spesso emergono nei momenti di transizione e cambiamento personale. Quando un individuo deve allontanarsi da una specifica arena della vita e permettere a qualcun altro di “prendere il suo posto”, le domande spesso abbondano. Cosa devo lasciare andare? Come mi sentirò quando farà le cose in modo diverso? Posso restare o devo andarmene? Di quanto spazio ha bisogno il mio successore? Attraverso gli occhi dei Chachamim, osserviamo Moshe lottare con queste domande dopo oltre quarant’anni di straordinari investimenti e sacrifici personali. Mentre lo fa, vengono alla luce anche le nostre potenziali lotte.
  Il Talmud capovolge le nostre assunzioni riguardanti la narrazione iniziale di Parashat Va’etchanan. Secondo il Talmud, il testo non enfatizza il rifiuto di D-o delle preghiere di Moshe, ma, piuttosto, la Sua accettazione di quelle preghiere – almeno in parte: Il potere della preghiera è più grande del potere delle buone azioni, poiché nessuno era più grande di Moshe nelle buone azioni, eppure gli fu data risposta solo attraverso la preghiera. Come riferisce il testo: “Non continuare a parlarMi di questa questione. Sali in cima alla montagna [e alza gli occhi]…” Qui, quindi, c’è una visione molto diversa dei risultati del dialogo tra D-o e Moshe. Dopo tutto, le preghiere di Moshe vengono esaudite. Anche se Moshe non potrà entrare in Canaan, gli sarà permesso di vedere il paese da lontano. A volte le risposte che D-o fornisce alle nostre preghiere sono dipinte in sfumature di grigio, piuttosto che in bianco o nero.

• Questi insegnamenti ci portano dei messaggi importanti.
  La nostra parola è il nostro legame. Il suggerimento che D-o possa essere vincolato dalle restrizioni dei Suoi stessi voti sottolinea la serietà con cui dovremmo considerare i nostri impegni verbali. Se D-o non può sciogliere i propri voti, quanto dobbiamo stare attenti ad adempiere agli obblighi verbali che ci assumiamo?
  Non tutto dipende da noi. La tesi secondo cui il destino di Moshe è decretato, almeno in parte, per il bene degli altri ci sensibilizza sul fatto che il destino di un individuo è determinato non solo dai suoi bisogni ma anche dalle esigenze degli altri. Questa idea è sottolineata durante l’Alleanza tra le parti sancita da D-o con Avraham all’alba della storia ebraica. Predicendo l’eventuale ritorno dei discendenti di Avraham nel paese di Canaan, D-o afferma: “E la quarta generazione tornerà qui, poiché l’iniquità degli Emorei non sarà completa fino ad allora”. Non potrai acquisire la terra di Canaan finché gli abitanti indigeni non meriteranno di perderla. Ci sono momenti in cui ciò che è “meglio” per noi non è “meglio” per chi ci circonda. D-o, mentre determina i nostri destini, terrà conto nelle dei nostri bisogni e diritti come di quelli degli altri.
  Non è mai troppo tardi per pregare. L’affermazione che Moshe cambia la mente di D-o attraverso la preghiera segna questo episodio come una delle numerose occasioni nel testo in cui le preghiere di Moshe sembrano influenzare i giudizi di D-o. Questo, tuttavia, mette in luce un problema filosofico fondamentale. Come può un D-o essere spinto a “cambiare idea” a causa dalle parole dell’uomo? Qual è il meccanismo con cui funziona la preghiera?
  Secondo i Chachamim, le radici di questa possibilità possono essere ricondotte alle promesse iniziali di D-o ad Avraham: “E tu sarai una benedizione” Il Midrash interpreta questa frase nel senso: “Le benedizioni sono date nelle tue mani. Finora erano nelle Mie mani. Ho benedetto Adamo e Noè. Da questo momento in poi, tu benedirai chi vuoi”. Concedendo all’uomo il potere di benedire, D-o limita deliberatamente il proprio potere. Come parte di un accordo di partenariato con l’umanità, D-o rispetterà le parole pronunciate dall’uomo e le terrà in considerazione quando prenderà le Sue decisioni. L’uomo acquista così il potere della benedizione e della preghiera. D-o stesso concede efficacia alle nostre preghiere, sia per noi stessi che per il benessere degli altri. I Chachamim suggeriscono che l’efficacia della preghiera e del pentimento nell’influenzare i giudizi di D-o può essere vista da una prospettiva completamente diversa. La preghiera trasforma il supplicante. Un individuo che si impegna nella preghiera sincera e nel vero pentimento emerge come una persona diversa da quella che era prima. In questo senso, non è D-o ad aver cambiato idea, ma è l’uomo ad aver cambiato se stesso. La preghiera rimane, per l’ebreo, uno strumento che non perde mai la sua potenziale efficacia. “Anche se una spada affilata è sul suo collo”, sostiene il Talmud, “un individuo non dovrebbe mai astenersi dal [chiedere la misericordia di D-o]”.
  Mentre riconosciamo che la risposta di D-o alle nostre richieste potrebbe, a volte, essere no, le toccanti suppliche di Moshe all’inizio della Parashà di Vaetchanan ci ricordano che non è mai troppo tardi per pregare.

(Kolòt, 28 luglio 2023)
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Parashà della settimana: Vaetchanan (Io supplicai)

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Presto un treno ad alta velocità che collegherà Kiryat Shmona a Eilat?

Il progetto, avviato da Benjamin Netanyahu e Miri Regev, dovrebbe migliorare la qualità della vita, gli spostamenti e le opportunità per i residenti entro il 2040.

Domenica il governo israeliano dovrebbe approvare un piano per promuovere un progetto di collegamento delle principali città israeliane attraverso una rete ferroviaria ad alta velocità, da Kiryat Shmona a nord a Eilat a sud. Secondo il progetto avviato dal Primo Ministro Benjamin Netanyahu e dal Ministro dei Trasporti Miri Regev, il treno che collegherà queste città dovrebbe essere in grado di raggiungere velocità fino a 250 km/h e consentirà di popolare e sviluppare il Paese, migliorando la qualità della vita, gli spostamenti e le opportunità per i suoi abitanti entro il 2040.

(i24, 28 luglio 2023)

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Ritrovata rara moneta nel deserto della Giudea risalente alla prima rivolta contro i romani

di Michelle Zarfati

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Un mezzo shekel d'argento, risalente a duemila anni e con sopra l'iscrizione ebraica "Santa Gerusalemme", è stato scoperto nel deserto della Giudea. A rivelarlo l'Autorità per le Antichità di Israele - IAA.
  La rara moneta, datata 66/67 dell’era volgare, riporta ai tempi della prima rivolta ebraica contro i romani. Scoperta all'ingresso di una grotta vicino a Ein Gedi, il ritrovamento fa parte di un'operazione di rilevamento delle grotte, che l'IAA sta gestendo in collaborazione con il Ministero del Patrimonio israeliano. Recentemente, come parte dell'indagine, i ricercatori della IAA avevano raggiunto una sezione di una scogliera lungo uno dei torrenti nell'area di Ein Gedi; così i ricercatori hanno notato la moneta che sporgeva dal terreno all'ingresso di una delle grotte sulla scogliera.
  Yaniv David Levy, ricercatore del Dipartimento Monete della IAA, ha spiegato: “È possibile vedere un'iscrizione scritta in ebraico che reca la frase Santa Gerusalemme”. Il ricercatore ha anche notato che la moneta Gedi presenta tre melograni al centro della moneta, "un simbolo familiare sulla sterlina israeliana, usato dallo Stato di Israele fino al 1980". Sull’altro lato appare un calice, mentre sopra è incisa la lettera ebraica alef, che indica il primo anno della ribellione, così come l'iscrizione "Hatzi Shekel" [mezzo shekel], che indica il valore della moneta. Il calice era un simbolo tipico delle monete usate dalla popolazione ebraica nel tardo periodo del Secondo Tempio. Queste monete furono coniate nei valori di "shekel" e "mezzo shekel" durante la prima ribellione contro i romani, che ebbe luogo nella Terra di Israele dall’anno 66 al 70. Questa ribellione si concluse con la distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme.
  È interessante notare che, in conformità con il comandamento biblico che vieta agli ebrei la possibilità di rappresentare immagini, gli ebrei incisero simboli presi dal mondo delle piante sulle loro monete, oltre a motivi ispirati da oggetti religiosi.
  Si presume che le monete siano state coniate a Gerusalemme, e forse anche nello stesso complesso del Tempio. Con queste monete, i ribelli scelsero di usare l'antica scrittura ebraica che era comune centinaia di anni prima - durante il periodo del Primo Tempio - e non la scrittura greca che era usata nei giorni del Secondo Tempio.
  "Le monete del primo anno della rivolta, come questa moneta che è stata scoperta nel deserto della Giudea, sono rare", ha detto Levy. “Durante il periodo del Secondo Tempio, i pellegrini pagavano una tassa di mezzo shekel al Tempio. Quando scoppiò la rivolta, i ribelli emisero queste monete sostitutive che recavano le iscrizioni "Israel shekel", "half shekel" e "quarter shekel". Sembra che il culto del Tempio sia continuato anche durante la ribellione, e queste monete siano state utilizzate anche dai ribelli per questo scopo”.
  "Trovare una moneta d'argento del genere nel primo anno di uno scavo archeologico è un evento raro in Israele in generale, e nel deserto della Giudea in particolare" ha detto il ricercatore a Amir Granor.
  La scoperta dimostra l'importanza di esaminare l'intero deserto della Giudea "sistematicamente e professionalmente", ha aggiunto. "Ogni elemento scoperto aggiunge ulteriori informazioni sulla storia del nostro Paese".
  Se l'indagine non fosse stata effettuata, ha continuato, la moneta sarebbe caduta nelle mani dei ladri di antichità e sarebbe state venduta al miglior offerente.
  "L'entusiasmante scoperta porta alla luce ulteriori prove dei profondi e indiscutibili legami tra il popolo ebraico, Gerusalemme e la Terra d'Israele" ha detto Il ministro dell'eredità Rabbi Amihai Eliyahu.
  “La moneta è una prova diretta e tangibile della ribellione ebraica contro i romani, un periodo turbolento nella vita del nostro popolo di duemila anni fa, durante il quale l'estremismo e la discordia hanno diviso il popolo e portato alla distruzione. Siamo tornati qui dopo duemila anni di desiderio, e la città di Gerusalemme è tornata ad essere la nostra capitale, ma le dispute non sono finite. Trovare questa moneta ricorda il nostro passato e ci spiega perché dobbiamo lottare” ha aggiunto il direttore della IAA Eli Escusido.

(Shalom, 27 luglio 2023)

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Perché non ci sarà una guerra civile in Israele

Perché la destra non minaccia mai di rovesciare la scacchiera e abbandonare il gioco.

di Jerome M. Marcus

Israeliani di destra organizzano una manifestazione di massa a Tel Aviv a sostegno della riforma giudiziaria
I lettori della stampa tradizionale israeliana vedono ogni giorno una valanga di articoli e pubblicità che annunciano che il Paese è sull'orlo di una guerra civile, incolpando poi le proposte di riforma giudiziaria della destra per averci portato a questo punto. Ma non siamo arrivati a tanto.
  Si potrebbe far notare che l'affermazione di causalità è notoriamente falsa, perché le proteste sono state pianificate prima ancora che le proposte di riforma giudiziaria fossero pubblicate. In questo senso, i sostenitori delle proteste non sono diversi dal leader dell'OLP Yasser Arafat, che sosteneva che la Seconda Intifada fosse stata "causata" dalla visita di Ariel Sharon al Monte del Tempio nel settembre 2000. In realtà, sappiamo che il programma di terrore era stato pianificato in anticipo. La visita di Sharon è stata semplicemente usata come giustificazione per il terrore.
  Vorrei tuttavia richiamare l'attenzione su un altro punto, più fondamentale: la sinistra e la destra in Israele non giocano con le stesse regole.
  La sinistra, ben consigliata da costose società di pubbliche relazioni, ha usato la bandiera israeliana come propaganda, giustificando l'intensità della sua opposizione alla riforma giudiziaria con l'antica massima אין לנו ארץ אחרת - "Non abbiamo un altro Paese" - per dimostrare l'incrollabile impegno dei suoi sostenitori verso Israele. Allo stesso tempo, i leader delle proteste - un gruppo appartenente all'élite laica, ricca e high-tech - hanno invitato a emigrare o ad appoggiarsi ad altri Paesi. Minacciano di andare in altri Paesi, di trasferire i loro soldi o le loro attività in altri Paesi, di mandarvi i loro figli. E chiedono di togliere a Israele la capacità di difendersi se le loro idee politiche non saranno vincolanti per tutti.
  L'esempio più recente è una dichiarazione pubblicata il 20 luglio da Nadav Argaman, ex capo dello Shabak (l'FBI israeliano), secondo cui l'approvazione di una legge che proibisce ai tribunali di rovesciare le leggi approvate dalla Knesset solo perché la maggioranza di una commissione giudiziaria ritiene la legge inappropriata è una violazione del contratto solenne tra i soldati e lo Stato. Pertanto, il giuramento del soldato di obbedire agli ordini e difendere il Paese non è più valido.
  Una simile dichiarazione da parte di un uomo del genere potrebbe far tremare per il futuro di Israele. Ma è proprio questo l'obiettivo. Proprio come l'ondata di articoli su centinaia di soldati della riserva che dicono che non si presenteranno in servizio quando saranno chiamati. Si potrebbe pensare che la maggior parte dei combattenti chiave lascerà il Paese indifeso se le loro richieste non saranno soddisfatte.
  Questo è falso, come dimostrano gli eventi recenti e meno recenti, come anche quelli accaduti qualche tempo fa. E la forza trainante di questi eventi è un fatto politicamente scorretto che va affrontato: la sinistra e la destra non giocano con le stesse regole.
  Anche se il rifiuto di alcuni soldati di prestare servizio è stato ampiamente pubblicizzato da una stampa compiacente, esso è ridimensionato da decine di migliaia di altri soldati che ne sanno di più.
  Le lettere che per un giorno - un giorno solo - sono circolate tra i riservisti, in cui si prometteva di non rifiutare mai gli ordini, sono state firmate da più di 80.000 persone. In 24 ore. Per quanto ne so, queste lettere non sono state menzionate in nessun giornale o sito web israeliano ad alta tiratura.
  Ma questo impegno nei confronti della struttura di comando e del principio più basilare della democrazia - il controllo civile dell'esercito - fa parte di un fatto culturale più ampio: se il governo israeliano non fa quello che vuole la destra, questa non minaccia mai di rovesciare la scacchiera e abbandonare il gioco.
  Come erano impegnati nelle comunità ebraiche di Gaza, i leader della destra erano impegnati nello Stato di Israele. E sapevano che la sarvanut - rifiuto di obbedire agli ordini, anche a quelli che si pensa violino i profondi principi religiosi sulla santità della Terra d'Israele - avrebbe portato a una guerra civile che avrebbe potuto distruggere lo Stato. Perciò non si sono rifiutati, né hanno incoraggiato il rifiuto. Le poche figure marginali che hanno propagandato pubblicamente il rifiuto sono state liquidate come antipatriottiche. E queste persone furono ignorate.
  Possiamo andare ancora più indietro nel tempo. Nel 1944, il Lehi di destra assassinò un funzionario britannico in Egitto. In quello che divenne noto come il periodo "Sisson", le forze britanniche si unirono al Palmach di David Ben-Gurion per rastrellare e torturare gli avversari dell'Irgun di Menachem Begin.
  Gli uomini di Begin volevano vendicarsi del Palmach.
  Ma Begin si rifiutò di permetterlo perché sapeva che la rappresaglia avrebbe portato alla guerra civile. I suoi uomini gli obbedirono. Quindi non ci fu alcuna rappresaglia.
  Lo stesso profondo attaccamento allo Stato ebraico portò Begin a ordinare ai suoi uomini sull'Altalena di non rispondere al fuoco quando i soldati di Ben-Gurion spararono sulla nave nel bel mezzo di una disputa su chi dovesse avere il controllo delle armi a bordo. Era in gioco lo stesso principio, che poi fu messo in pratica: Se si spara, la guerra civile è vicina. Così i destri non risposero al fuoco.
  Così è stato allora, così è oggi e così sarà domani. La destra non risponderà al fuoco della sinistra.
  A differenza delle manifestazioni minacciose, se non violente, della sinistra, la destra non sta cercando di disturbare la gestione del Paese. Non solo non stanno cercando di paralizzare l'esercito o di usare l'esercito per piegare il resto del Paese alla loro volontà. Il fatto importante è che non stanno cercando di paralizzare il Paese. Non paralizzano l'aeroporto o i servizi ferroviari; non gridano contro i loro avversari politici nei ristoranti e non disturbano la loro vita privata o lo Shabbat.
  Le persone di destra non faranno nemmeno un'altra cosa di cui le persone di sinistra parlano e talvolta fanno: andarsene. Mentre marcia al ritmo di אין לנו ארץ אחרת, la sinistra è arrivata a sostenere una campagna di boicottaggio BDS contro il proprio Paese. Hanno chiesto il ritiro dei fondi di investimento e l'emigrazione di quelli che considerano i cittadini più preziosi di Israele - loro stessi - se vengono approvate leggi con cui sono fondamentalmente in disaccordo. Los Angeles, New York, Berlino sono i luoghi dove gli israeliani di questo tipo vanno. In realtà hanno anche altri Paesi. O almeno pensano di averli.
  Quelli di destra non li hanno e non credo che li avranno mai. Quando le persone di destra dicono אין לנו ארץ אחרת, sanno che è vero. Non minacciano di lasciare il partito perché le sue politiche non sono quelle prevalenti, e non se ne vanno per questo motivo. Dopo tutto, la destra è stata la parte perdente della politica per i primi tre decenni di esistenza del Paese. Ma non c'era nessun movimento di sostenitori di Jabotinsky o di Haredim che minacciasse di andarsene... da nessuna parte. Erano impegnati nel Paese (e nelle loro famiglie), ed è per questo che ora sono la maggioranza.
  Quindi la destra non sta lottando come la sinistra, sia per questo profondo impegno sia perché la destra sa di non doverlo fare. Questo è vero anche perché la destra è più numerosa della sinistra e perché questo divario demografico non potrà che aumentare nei prossimi anni, dato che il tasso di natalità delle famiglie religiose e tradizionali supera quello delle famiglie laiche.
  È anche inutile, perché la logica della posizione della sinistra è chiara e sarà seguita: se si ritiene che il proprio obbligo nei confronti dello Stato è condizionato - prometto di servire solo finché il governo non fa nessuna cosa di cui sono fondamentalmente in disaccordo - allora se i cittadini ritengono davvero che tale obbligo sia venuto meno, vorranno andarsene e se ne andranno. Questo è quello che dice la sinistra, e non ci sono dubbi che almeno alcuni di loro lo pensino davvero.
  Quindi se ne andranno. Forse qualcuno sentirà la loro mancanza, ma contrariamente alla valutazione che questi notabili fanno della loro importanza, lo Stato sopravviverà.
  C’è però un'alternativa: rinsaviranno e si renderanno conto che avevano ragione quando dicevano che non abbiamo altro Paese all'infuori di questo. Rimarranno. Si renderanno conto di dover adempiere ai loro obblighi nei confronti del Paese. Vivranno come persone libere in comunità che condividono i loro valori e parteciperanno al processo politico qui, come fanno le minoranze in ogni democrazia.
  Naturalmente, c'è anche una terza possibilità: gli israeliani che partono per pascoli presumibilmente più verdi potrebbero presto scoprire che quei pascoli non sono poi così idilliaci. Forse andranno a mangiare sushi a Los Angeles o in un supermercato di Parigi e si ricorderanno perché i loro nonni hanno ritenuto necessario fondare uno Stato ebraico.
  Allora capiranno che avevano ragione quando dicevano che non abbiamo un altro Paese.

(israel heute, 27 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Solo contro Israele

Zitti sull’invasione russa, gli antropologi americani boicottano lo stato ebraico.

di Giulio Meotti

ROMA - Nel 1982 l’American Anthropological Association approvò una risoluzione che condannava l’invasione israeliana del Libano. Dov’era la condanna del trattamento riservato dall’Unione sovietica agli ungheresi, ai cecoslovacchi o agli afghani? Dove la loro voce sulla brutale repressione cinese dei tibetani o di altre minoranze etniche? E il trattamento riservato dalla Romania agli zingari? Questa settimana l’American Anthropological Association ha votato in modo schiacciante per una risoluzione che chiede un boicottaggio accademico completo delle istituzioni universitarie israeliane (71 per cento di voti a favore). Nell’annunciare i risultati, l’organizzazione ha affermato che alle istituzioni israeliane sarà impedito di essere elencate nei materiali pubblicati, partecipare alle scuole di specializzazione e alle conferenze. L’American Anthropological Association, fondata nel 1902 e con sede ad Arlington, in Virginia, è la prima grande associazione professionale accademica ad appoggiare il movimento di boicottaggio d’Israele da quando lo fece la Middle East Studies Association. In precedenza aveva preso in considerazione il boicottaggio delle università israeliane, ma l’idea era stata respinta nel novembre 2015, quando una misura simile a quella di quest’anno è stata sconfitta con un margine di 39 voti. La nuova risoluzione definisce Israele un “regime di apartheid dal fiume Giordano al Mediterraneo”. Dunque se ne contesta l’esistenza pre e post 1967.
  Nell’ultimo anno peraltro c’è stato solo un comunicato dell’American Anthropological Association contro l’invasione russa dell’Ucraina. Nessun boicottaggio. I campioni del boicottaggio non hanno mai trovato il tempo di lanciare campagne contro la purga turca. Tutta l’ira va riservata all’unica democrazia del medio oriente. Una doppia morale emersa dalle parole di Curtis Marez, il presidente della American Studies Association. Quando gli è stato chiesto il motivo per cui la sua organizzazione stesse attaccando soltanto Israele e non, per esempio, la Cina o l’Arabia Saudita, Marez ha risposto: “Uno deve cominciare da qualche parte”. E da dove iniziare (e finire), se non dallo stato ebraico?

Il Foglio, 27 luglio 2023)

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Bielorussia: in vendita un’ex sinagoga per 21.000 euro

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Un’ex sinagoga nella città di Dziatlava (Dyatlovo), in Bielorussia,  a lungo utilizzata come stazione dei vigili del fuoco, sarà venduta all’asta il 10 agosto. Il prezzo richiesto, che include un garage costruito negli anni ’70, è l’equivalente di circa €21.000. Lo riporta il sito del Jewish Heritage Europe
  La sinagoga risale al 1880, quando la città, a metà strada tra Minsk e Bialystok, in Polonia, era uno shtetl con oltre il 75% di popolazione ebraica. L’edificio ha funzionato come sinagoga fino al 1939 ed è diventata una stazione dei pompieri dopo la Seconda guerra mondiale.
  Praticamente nulla rimane ad indicare l’uso originario dell’edificio, e la descrizione della vendita non fa menzione dell’uso originario dell’edificio e anzi afferma che risale al 1930. Ma il materiale pubblicato sul sito web del Center for Jewish Art racconta una storia diversa, affermando che la sinagoga fu costruita nel 1884 e ricostruita dopo un incendio nel 1899. L’edificio è stato esaminato nel 2002 da Vladimir Pervishin e Vladimir Starostin e include disegni misurati e una descrizione dettagliata, con fotografie, delle sue condizioni in quel momento.

(Bet Magazine Mosaico, 27 luglio 2023)

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Coltivare la memoria a Tish’à Beav

di Ariel Di Porto

Nel corso dell’anno nel Tempio Maggiore di Roma ci sono due momenti inconfondibili. Lo caratterizzano in modo segnato, ciascuno a modo proprio. Hosha’annà rabbà e Tish’à Beav sono impressi nella mente di ogni frequentatore del Tempio. A livello emozionale questi due momenti si trovano agli antipodi: se la gioia incontenibile di Hosh’annà rabbà ricorda, per quanto possibile, quella proverbiale del Santuario di Gerusalemme, l’intensità del lutto della sera di Tish’à beAv non è da meno. Gli stranieri in visita al Tempio spesso riconoscono di non avere mai visto un Tish’à beAv così triste. Sarete portati a dire che gli ebrei romani furono testimoni di quanto avvenne quasi duemila anni fa, e si tratta quindi di un atto dovuto. È possibile che sia così; questa idea deve però essere delineata in un modo più preciso. Non si tratta, infatti, solo di una commemorazione storica, c’è un elemento esperienziale, che è fondamentale per l’esistenza ebraica.
  Rav Sacks considera l’ebraismo una religione della memoria. Ricordare è un obbligo religioso, e questo è maggiormente percepibile nelle settimane fra il 17 di Tammuz e il 9 di Av. Il 9 di Av, com’è risaputo, ricorda la distruzione dei due Santuari di Yerushalaim, il primo distrutto dai Babilonesi nel 586 a.e.v., il secondo dai romani nel 70 d.e.v. La memoria di queste tragedie è ben presente nel sentire e nel vivere ebraici. In ogni matrimonio ebraico lo sposo dichiara: se ti dimenticherò, o Gerusalemme, si paralizzi la mia destra (Sl. 137,5). Ogni volta che viene edificata una nuova casa o struttura, una parte non viene intonacata a memoria della distruzione del tempio. All’inizio del XIX secolo lo storico Chateaubriand, visitando Gerusalemme, fu preso dall’emozione quando vide per la prima volta l’esigua comunità locale, che aspettava pazientemente il mashiach. Notando come questa piccola nazione fosse sopravvissuta, mentre i grandi imperi che tentavano di distruggerla fossero svaniti, disse: se c’è qualcosa tra le nazioni del mondo contrassegnato con il marchio del miracoloso, questo è, secondo noi, quel miracolo.
  Ci si deve chiedere, tuttavia, se è davvero giusto ricordare. Questa domanda deve essere posta anche in relazione alla Shoah. In fondo, se ci pensiamo, tanti conflitti dipendono dal ricordo di ingiustizie che risalgono a molto tempo fa. Se ce ne dimenticassimo, il mondo sarebbe senz’altro più pacifico. E allora, perché ricordare? Rav Sacks ritiene che la storia e la memoria siano profondamente diverse. La storia è la storia di qualcun altro. La memoria vuole invece dire qualcosa su di me. Vuole insegnarmi qualcosa sulla mia provenienza e sulla narrazione di cui faccio parte. Dobbiamo sì ricordare il passato, ma non dobbiamo permettergli di imprigionarci, dobbiamo renderlo una fonte di speranza e non di frustrazione. Questa concezione della memoria è quantomai preziosa nella società contemporanea. Si tratta di un vecchio adagio della filosofia, posto già da Platone, che rifletteva nel Fedro sull’inutilità del libro. La memorizzazione su supporti esterni, oggi spinta alle sue estreme conseguenze, sta atrofizzando la nostra memoria. Quanti numeri di telefono conosciamo a memoria? I nostri figli imparano a memoria le poesie? Conoscono i percorsi che hanno condotto alle grandi conquiste delle quali ci vantiamo, ad esempio la libertà, la dignità umana e la giustizia? Il Novecento, con le sue terribili e ripetute tragedie, ce lo ha insegnato. Tutte queste acquisizioni, se non siamo più che vigili, rischiano di svanire in men che non si dica. Per questo siamo tenuti a coltivare la nostra memoria. Ne va della nostra stessa identità.

(Shalom, 26 luglio 2023)

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La nuova legge sul “principio di ragionevolezza”. Ragioni e prospettive

di Ugo Volli

• Le conseguenze del voto
  La legge che limita l’uso del cosiddetto “principio di ragionevolezza” (“Ilat hasvirut”) nelle motivazioni dei provvedimenti giudiziari è stata approvata definitivamente dal parlamento israeliano l’altro ieri e non vi sono state conseguenze drammatiche che molti temevano. Si è svolto uno sciopero dei medici; un gruppo di avversari della riforma ha comprato tutte le prime pagine dei quotidiani principali e le ha fatto uscire tutte listate a lutto, completamente nere; vi sono state le solite manifestazioni pro e contro la riforma con qualche incidente minore non grave; non sono mancate le dichiarazione bellicose di qualche ex primo ministro: in questo caso Ehud Olmert che ha annunciato l’inizio della guerra civile. La coalizione di governo, naturalmente ha esaltato la vittoria ottenuta facendo passare un pezzo importante del suo programma.

• I poteri della Corte Suprema
  In realtà anche queste reazioni limitate sono eccessive, perché sul piano pratico poco cambia nel sistema giudiziario israeliano. È bene sapere innanzitutto che la Corte Suprema può essere interpellata con una petizione da chiunque trovi che una legge, un provvedimento amministrativo, una nomina o anche una mancata azione di qualunque autorità sia sbagliata o ingiusta. La Corte Suprema può abolire una legge (incluse le “leggi fondamentali” che in Israele regolano le materie che altrove sono oggetto della Costituzione) o una decisione amministrativa, può annullare una nomina (anche quella di un ministro o del primo ministro e infatti a settembre ci sarà un giudizio sulla possibilità di Netanyahu di continuare a ricoprire il ruolo per cui ha avuto la fiducia della Knesset) o anche imporre un’azione al governo o all’amministrazione pubblica. Per farlo, naturalmente, deve mettere una sentenza motivata.

• Che cos’è il principio di ragionevolezza
  Contrariamente a quel che avviene in quasi tutti i paesi democratici, però, la Corte israeliana non ha bisogno di motivare la propria decisione con l’applicazione di una legge. Può semplicemente sostenere che ciò che annulla, proibisce, ecc. non è “ragionevole” o “opportuno”. Naturalmente basta guardare la storia o la geografia per vedere che non esiste nulla di oggettivo nell’idea che qualcosa sia ragionevole o non lo sia. Basta vedere il modo in cui oggi tanti stati europei considerano irragionevoli le pratiche ebraiche in materia di macellazione degli animali e addirittura di circoncisione. Il che non significa che non si possa parlare di ragionevolezza e opportunità di molte scelte. Ma è importante sapere che si tratta di discussioni etiche e politiche, che comportano naturalmente divergenze di opinione, le quali in democrazia si risolvono col principio maggioritario: chi nelle elezioni ottiene più voti decide - fatti salvi i diritti fondamentali delle minoranze.

• Non si tratta di una rivoluzione
  La legge approvata impedisce alla Corte Suprema e agli altri tribunali di motivare le proprie decisioni con questo principio, proprio perché opinabile e politico. Fa parte dei principi della democrazia il fatto che i tribunali debbano applicare le leggi e non scriverle, perché questo compito spetta al parlamento. D’altro canto la richiesta di motivare le sentenze in termini di leggi e non di “ragionevolezza”, cioè di opinioni, non elimina affatto l’autonomia della magistratura, né rende insindacabili le scelte politiche, innanzitutto perché parlamento e governo devono renderne conto ai detentori della sovranità, cioè gli elettori; e poi perché non impedisce affatto ai giudici di fare il loro lavoro cioè di applicare la legge. Quindi nella riforma appena approvata non è affatto in gioco la democrazia e neppure la separazione dei poteri. D’altro canto la nuova legge non è affatto decisiva. Come ha detto l’ex presidente della Corte Suprema Aaron Barak, che negli anni Ottanta è stato l’iniziatore dell’interventismo politico della Corte e anche l’inventore dell’“Ilat hasvirut”, questo è solo uno strumento. Se la Corte è ben decisa a bloccare una decisione politica o amministrativa o al contrario a obbligarla, può trovare altri strumenti nelle leggi fondamentali, come per esempio il “principio di eguaglianza”.

• La riforma non è terminata
  Dunque la legge appena approvata non è il tassello decisivo del progetto di riforma della maggioranza, che mira a riequilibrare i poteri dello stato. Lo sarebbero molto di più la riforma del comitato di nomina dei giudici, che attribuisce alla Corte un potere decisivo sulla nomina dei nuovi giudici, inclusi i propri stessi membri, che non si ritrova in quasi nessun sistema democratico. O il principio per cui la Knesset possa superare con un voto l’annullamento di una legge deciso dalla Corte. Queste parti della riforma hanno già superato l’esame preliminare della Knesset, ma Netanyahu ha deciso di attendere fino alla sessione invernale prima di decidere se portarle avanti, per dar tempo alla trattativa con l’opposizione. Per ora quel che conta è che il sistema politico israeliano ha ricominciato a funzionare regolarmente, con la maggioranza che lavora in parlamento per trasformare il proprio programma in leggi. La speranza è che questo processo continui a essere pacifico e non sia sfruttato da chi è disposto a tutto pur di far cadere il governo e prendere il potere.

(Shalom, 26 luglio 2023)

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Meir Litvak: "Isolamento diplomatico, minacce esterne, crisi economica. Ecco cosa rischia Israele"

Parla il docente di Storia del Medio Oriente dell'Università di Tel Aviv: "La democrazia non è finita, ma è il primo step di un processo pericoloso. Non credo a cosa dice Netanyahu, non tiene i suoi partner. Questa convergenza di crisi metterà in difficoltà il governo, bisogna capire se prima o dopo aver pagato un prezzo molto alto”.

di Nadia Boffa

Meir Litvak, esperto di Medio Oriente, presidente del dipartimento di Storia del Medio Oriente all'Università di Tel Aviv e ricercatore associato presso l'Alliance Center for Iranian Studies dell'Università di Tel Aviv, analizza che cosa ne sarà di Israele all’indomani dell’approvazione definitiva alla Knesset della prima parte della riforma della giustizia. Due giorni fa è passata infatti al Parlamento l’abolizione della 'clausola di ragionevolezza', la legge fortemente voluta dal governo di Benjamin Netanyahu che impedirà ai giudici di esprimersi sulle decisioni prese dall’esecutivo.

- Professore, che cosa sta succedendo ad Israele?
  Direi che oggi siamo nel mezzo della peggiore crisi politica e costituzionale della storia israeliana, nonché una delle peggiori crisi sociali e culturali nella storia di Israele. È uno dei momenti più difficili nella storia di questo Paese dalla sua nascita nel 1948. 

- Ieri tutti i principali quotidiani israeliani sono usciti con una prima pagina in nero, in segno di lutto. Si è chiusa l’era della democrazia in Israele?
  No, la democrazia non è ancora finita. Questo però è il primo step di un processo che può portare alla trasformazione di Israele in un governo autoritario o in qualcosa di simile a ciò che possiamo definire democrazia illiberale, sul modello di Ungheria, Polonia e Turchia, che hanno alcuni elementi democratici, ma anche dittatoriali. Dunque si può sicuramente dire che questo è il primo passo verso una riduzione della democrazia e una trasformazione dello Stato.

- Lei l’aveva detto in un’intervista ad Huffpost dello scorso maggio: "Israele sta diventando sempre più simile alla Turchia"…
  Sì, potrebbe darsi che sia così. Ma direi che ci sono diverse differenze tra i due Paesi. La prima è che in Israele si può avere uno spettacolare movimento di resistenza popolare, qualcosa che non si vede in Turchia. In secondo luogo, al contrario della Turchia, Israele ha diversi altri problemi, che il governo sta esacerbando. L’approvazione della modifica alla clausola di ragionevolezza porterà il governo israeliano ad affrontare differenti e gravi crisi.

- Che cosa intende?
  Per prima cosa la situazione in Cisgiordania e Gaza peggiorerà. Poi potrebbe esserci una potenziale minaccia dal Libano. Quel che è successo avrà effetti anche sui rapporti con gli Stati Uniti. Avrà insomma tante ramificazioni incredibilmente negative. E avrà effetti anche sulla situazione economica. Penso che questa convergenza di crisi metterà il governo in una situazione veramente complicata in futuro. E nel futuro più immediato, o più a lungo termine, penso che potrà cambiare il corso del governo. La vera domanda è: tutto ciò accadrà prima o dopo che avremo pagato un prezzo molto alto?

- Moody's ieri ha messo in guardia sulle “gravi conseguenze economiche” che dopo il voto si potrebbero registrare in Israele…
  Ieri siamo stati informati che la moneta israeliana, lo Shekel, dopo l’approvazione della legge, sta perdendo molto valore rispetto al dollaro. Questo significa una forte crescita dell’inflazione. Se declassano il rating del credito, ciò avrà inevitabilmente diverse implicazioni economiche. E un'eventuale crisi economica potrebbe anche far cambiare il corso del governo, farlo cadere. Non lo so, non ne sono sicuro, ma penso possa succedere.

- Hassan Nasrallah, il capo di Hezbollah, ha detto che lo stato ebraico un tempo era visto come una potenza regionale, ma "la sua fiducia, consapevolezza e autostima si sono deteriorate a causa della crisi dettata dalla riforma giudiziaria”. La crisi interna ad Israele può avere ripercussioni anche sulla sua posizione in Medio Oriente e sui rapporti con i nemici della Regione, ad esempio l’Iran?
  Assolutamente sì. Ed è un punto importante. L’approvazione di questa legge ha pesanti ripercussioni in tutti gli ambiti, all’interno, ma anche all’esterno del Paese. Guardiamo alla storia del conflitto arabo-israeliano. C’è voluto un bel po’ di tempo perché gli Stati arabi accettassero che Israele era lì per esistere più a lungo di quanto loro avessero programmato.  A loro non è mai piaciuta questa cosa, ovviamente, ma l’hanno accettata. Adesso, per la prima volta in tantissimi anni, gli Stati arabi affermano: “Israele sta per disintegrarsi, potrebbe sparire”. È uno sviluppo che se continua, sarà molto pericoloso. Porterà probabilmente Hezbollah e Hamas a compiere più facilmente azioni contro Israele, porterà sicuramente l’Iran ad essere più sicuro, più confidente nelle sue potenzialità. E ancora - ed è ugualmente grave - renderà più fragili i legami con quei Paesi con cui negli scorsi anni Israele ha siglato accordi di pace e che invece ora potrebbero cambiare attitudine nei confronti del nostro Paese. Ripeto, gli sviluppi saranno tutti negativi, sia internamente allo Stato d’Israele, sia riguardo la sua posizione in Medio Oriente.

- Secondo lei, dopo l’approvazione di questa prima parte della riforma, Netanyahu è davvero interessato a riaprire i negoziati con l’opposizione?
  Mi lasci dire due cose. Non credo ad una parola di quello che dice Netanyahu. Bibi forse pensa di aver ottenuto il primo risultato e ora cerca di fermarsi un attimo per placare gli animi prima che si prosegua sulla riforma. Ma già ieri abbiamo visto i suoi partner della coalizione di governo estremisti avanzare richieste sempre più folli. Se queste richieste verranno accettate allora si arriverà ad una protesta ancora più grande. Netanyahu si trova imprigionato tra la riconciliazione con l’opposizione e le piazze e la pace con i partner della coalizione. Non può fare entrambe le cose, non può tenere i piedi in due scarpe. Io penso che lui sia un bugiardo, non credo a niente di quello che dice. Non penso che riaprirà un compromesso vero. Ma bisogna vedere, forse sarà forzato a farlo e ciò dipenderà anche dalla reazione degli Usa o di alcuni Paesi europei. È molto presto per definire con certezza che cosa succederà.

- A proposito, Israele secondo lei corre il rischio di essere isolato diplomaticamente? Dopo gli Stati Uniti anche la Germania negli scorsi giorni è intervenuta, come mai fatto in precedenza, per chiedere che la riforma della giustizia fosse bloccata…
  Sicuramente questo passo che è stato effettuato ci renderà più isolati di prima. Analizziamo la situazione. Noi abbiamo un solo vero alleato, protettore, che sono gli Usa. Tra i Paesi europei alcuni sono amici, ma non abbiamo mai avuto relazioni strette con nessuno di loro come con gli Usa. In Germania c’è una grossa differenza tra opinione pubblica e governo, nel senso che l’opinione pubblica è molto meno amichevole con gli ebrei rispetto al governo che invece lo è ancora. Sicuramente i rapporti tra Israele, Paesi europei e Usa saranno più complicati dopo l’approvazione del disegno di legge e Israele diventerà più isolato diplomaticamente. Ricordiamoci che anche altre azioni compiute dal governo in altri settori ci stanno isolando. Ad esempio le decisioni che riguardano la Cisgiordania, con Bezalel Smotrich, leader del partito religioso sionista, che sostiene l’annessione a Israele della Cisgiordania e l’espansione degli insediamenti. Questo metterà non solo l’opinione pubblica contro Israele, ma anche i Paesi europei e gli Usa. La coalizione di governo sta accumulando nemici, critiche da parte di tutto il mondo. E questo porterà, alla fine, inevitabilmente ad una collisione.

- Ha detto che questo voto avrà effetti anche sulla situazione in Cisgiordania. In che modo?
  Una delle più forti lamentele dei colonizzatori è che la Corte suprema ha bloccato negli anni gli insediamenti israeliani, quando invece loro volevano estenderli. Adesso l’obiettivo del governo e dei colonizzatori è neutralizzare la Corte Suprema, in modo da fare tutto ciò che vogliono in Cisgiordania. Ciò significa una maggiore pressione contro i palestinesi, meno diritti: la situazione arriverà così ad esplodere. Ne sono sicuro perché già negli ultimi quattro mesi si è registrata una forte escalation della tensione in quell’area. Quotidianamente ci sono stati attacchi con vittime palestinesi. Un numero sempre maggiore di militari israeliani viene ucciso ogni giorno. Qualche giorno fa Smotrich ha rivelato il piano di aumentare l’autorità di Israele in Cisgiordania, questa sarà una delle maggiori crisi conseguenti a questo voto.

- Quale impatto il passaggio della riforma avrà sull’esercito, l’Idf, con i riservisti che sono già in protesta?
  L’esercito è sotto lo Stato, il comando dell’esercito è sotto lo Stato. La domanda è un’altra. Immaginiamo che domani la Corte Suprema promulghi una sentenza contro il governo. E questo creerà dei problemi con la conseguenza che il governo possa diffidare la Corte Suprema. A quel punto i membri dell’esercito e il Mossad avranno un dilemma: dobbiamo obbedire alla Corte o a Netanyahu? Loro hanno accennato che in quel caso obbedirebbero alla Corte Suprema. E non al premier. Nascerà una crisi costituzionale da questa ribellione. Finora il comando delle armi non si è ancora ribellato, è ancora leale, alla Legge, allo Stato. Lo ripeto: alla Legge, allo Stato, non a Netanyahu. Vediamo se arriveranno a diffidare il premier, ad assumersi questo rischio. Quando ci sono comunque centinaia di migliaia di persone che sono riservisti nell’esercito che dicono che non svolgeranno il loro compito di riservisti volontari, questo sicuramente va ad indebolire l’esercito. E a fare il gioco di Hezbollah, Hamas, e l’Iran. Sarà più facile per loro compiere azioni contro Israele.

- Lei pensa che la Corte Suprema possa respingere la legge approvata dalla Knesset come chiedono l’opposizione e altri movimenti pro-democrazia?
  Non so assolutamente se abbia l’autorità per farlo, non so se lo farà. Penso ci siano diverse possibilità, perché ci sono giudici conservatori che possono supportare il governo, altri che possono avere paura del governo. Oppure al contrario lo farà. Non lo si può dire ora.

- Dopo il voto di due giorni fa la protesta pro-democrazia si è ancora più estesa. È possibile che nei prossimi giorni diventi sempre più ampia e che assuma anche un ruolo politico?
  Ieri e oggi ci sono state meno proteste. Dobbiamo aspettare la giornata di sabato, quando è prevista una grande manifestazione, per capire come si evolverà la protesta. Vedremo cosa succederà. Vedremo anche cosa deciderà di fare il movimento dei riservisti dentro l’esercito. Per ora il governo è stabile. La grande domanda a cui non so dare risposta è: come questo governo affronterà la serie di crisi con cui si interfaccerà? Crisi economica, di sicurezza, sociale, culturale. Ripeto: a quel punto il governo collasserà. Anche se non so quando accadrà.

- L’ex primo ministro Ehud Olmert ha avvertito che Israele si sta avviando verso una "guerra civile”. Lei pensa che sia così?
  No, non ci sarà una guerra civile. Non sarà come la Spagna. È una crisi profonda, quella israeliana è una società fortemente polarizzata. C’è una forte instabilità, ma non arriverà ad esserci una guerra civile.

- Il cofondatore del Times of Israel David Horovitz, poco prima del voto, ha scritto che Netanyahu, approvando la legge, sarebbe andato “non solo contro la democrazia, ma contro i valori etici ebraici”. È così? E questo comporterà uno scollamento sempre più ampio tra istituzioni e popolo?
  Prima di tutto sì, confermo, Netanyahu è andato contro i valori ebraici. Il problema è che il popolo ebraico è diviso. Una larga parte della società supporta ancora Bibi: ultra-ortodossi, colonizzatori, la classe medio-bassa. C’è una società profondamente divisa. Quindi non si può dire che ci sia il governo contro la popolazione, anche se sembra così. Sfortunatamente il governo è supportato da un segmento molto ampio della società. Ma io credo che Netanyahu farà tornare Israele indietro nella storia. Bibi sarà ricordato, se non come distruttore di Israele, come il peggior primo ministro della storia d’Israele. Sempre se riuscirà a uscire da questa serie di crisi in futuro.

(L'HuffPost, 26 luglio 2023)

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L'altra “soluzione a due Stati”: Israele e Giudea

Quello che una volta era considerato una fantasticheria degli ultraliberali che vivono nello Stato ebraico, ora sta guadagnando terreno sulla scia della riforma giudiziaria.

di Ryan Jones

GERUSALEMME - A prima vista gli attuali disordini in Israele riguardano la riforma giudiziaria, le tensioni tra i diversi rami del governo e la politica di destra e sinistra. Ma sotto la superficie si tratta di religione: se Israele sia uno Stato ebraico e democratico o uno Stato democratico in cui la maggioranza è ebrea.
  Questo si vede nelle crescenti proteste e attacchi agli ebrei religiosi da parte di coloro che sembrerebbero occuparsi solo della riforma giudiziaria e di "salvare la democrazia". Per loro, un sistema religioso dominato dai rabbini è un anatema per la democrazia.
  Ma i rabbini non se ne vanno. Ecco perché un numero crescente di israeliani laici dice che se ne andranno allora.
  No, non all'estero. In realtà, non hanno alcuna intenzione di trasferirsi. Piuttosto, propongono una nuova soluzione a due Stati: Israele e Giudea.
  Il Movimento di Secessione (תנועת ההיפרדות) ha reagito lunedì all'approvazione della legge sulla "ragionevolezza" esortando i suoi sostenitori a "non arrabbiarsi. Quello che ora sta avvenendo porterà solo più sostenitori e accelererà la nostra visione".
  E qual è questa visione? Secondo un tweet del movimento, nei prossimi 20-30 anni Israele dovrebbe dividersi in due Stati : uno Stato democratico laico di Israele e uno Stato autoritario religioso della Giudea.
  Secondo l'autore del tweet, "sapremo di essere sulla strada giusta quando la parte conservatrice/fascista proibirà di parlare di [secessione] e la definirà un tradimento". Per inciso, nella maggior parte delle democrazie occidentali è considerato tradimento promuovere la secessione.
  Per ora, il movimento ha incoraggiato i suoi sostenitori a "commercializzare la visione, a guadagnare sostenitori e accumulare forza per le prossime elezioni in modo da poter vincere e poi attivare gradualmente il piano ".
  Normalmente, tali affermazioni sarebbero considerate marginali. Ma nelle attuali circostanze  assumono un tono più serio.
  Per mesi il quotidiano di sinistra Haaretz ha accusato il Primo Ministro Benjamin Netanyahu di servire "lo Stato di Giudea" più che lo Stato di Israele. E lo dicono sul serio. Considerano già gli ebrei nazional-religiosi, soprattutto i "coloni" che vivono in Giudea e Samaria, come una nazione separata e nemica dell'Israele "democratico".
  Martedì, il conduttore del notiziario di Canale 13 Sivan Cohen Saban ha twittato che il movimento separatista "ha guadagnato migliaia di sostenitori negli ultimi giorni".
  Sulla pagina Facebook del movimento si legge che l'obiettivo è quello di "promuovere l'idea che lo Stato di Israele debba dividersi in una federazione o in due Stati separati, in modo che ogni gruppo di popolazione possa vivere secondo i propri valori".
  A dire il vero, il numero di persone coinvolte in questo movimento è ancora molto piccolo, e nessun politico dei partiti consolidati si farebbe coinvolgere oggi in un progetto del genere. Ma l'idea è sul tavolo, e questo è già di per sé un motivo di preoccupazione e un invito a ripensare alle divisioni storiche di Israele e alle terribili conseguenze che ne sono derivate.

(israel heute, 26 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Acqua dall’aria: la soluzione tech per la carenza idrica

di Angelo Vitolo

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“L’acqua è vita”. Roby Dagan è un imprenditore italo-israeliano che conosce bene il valore di questa risorsa. “Negli anni ’70 – ricorda e racconta – in ogni corridoio della scuola che frequentavo a Tel Aviv era affisso un manifesto che raffigurava un grande rubinetto. Da tenere chiuso con cura, per non sprecare nemmeno una goccia di acqua, dentro e fuori le nostre case”. Un insegnamento e un monito che Degan ha messo al centro del suo fare impresa, delle idee cui ha finora lavorato. Prima, però, è stato ufficiale dei carristi nell’Esercito israeliano, partecipando nel 1982 alla guerra del Libano nell’operazione Shalom HaGalil. Anche lì conoscendo il ruolo dell’acqua: dalle alture del Golan, la fonte di un terzo del fabbisogno di acqua di Israele che rifornisce anche il Libano, la Giordania e la Siria. Una guerra non a caso definita negli atlanti della geopolitica come un idroconflitto.
  Alla fine degli anni ’90 proseguendo all’inizio di questo secolo, da country manager del gruppo francese Veolia-Vivendi, leader mondiale del trattamento acque, la partecipazione ad una gara per la costruzione dell’impianto (attualmente, ancora uno dei più grandi al mondo) di desalinizzazione di Ashkelon.
  Oggi, per Dagan, una nuova stagione di impegno, proponendo anche al nostro Paese una soluzione che supera pure il ciclo della desalinizzazione, per creare acqua dall’aria. Una tecnologia avanzata, nata da una startup israeliana nella quale hanno nel corso degli anni creduto anche investitori stranieri. Arrivata ora ad essere fornitore di queste soluzioni già utilizzate e distribuite in decine di Paesi al mondo, player riconosciuto del tech per l’acqua potabile atmosferica. Una tecnologia illustrata in questi anni a molti dei Grandi della Terra e che ora Dagan sta presentando qui in Italia ai rappresentanti delle istituzioni, nazionali e regionali, impegnate ad affrontare le emergenze di ogni tipo e ogni situazione nella quale il valore dell’acqua sia tra quelli primari da assicurare alle popolazioni. Con macchine che possono produrre da 30 a 6mila litri di acqua potabile di alta qualità al giorno, anche in assenza di energia elettrica per consentirne il funzionamento, perché dotate di pannelli solari. Opportunità, però, anche domestica e quindi alla portata di famiglie e imprese che credono nella lotta allo spreco. Un’acqua che, in tutto il mondo, è stato calcolato costare al litro un valore pari ai nostri 7 centesimi, un terzo del costo dell’acqua desalinizzata, peraltro non immediatamente potabile.
  “Questa tecnologia – dice Dagan – è un’opzione di futuro per tutti. Anche per l’industria, ove per esempio lo sviluppo di microchip necessita sempre più di acqua purissima. O nell’automotive, che sta studiando ipotesi di veicoli che consentiranno di fruire in ogni momento dell’ acqua potabile di Watergen solo premendo un pulsante”.
  La più vera e importante frontiera di questa tecnologia, però, è quella della garanzia di acqua potabile per tutti sulla Terra. “Oggi nel mondo – riflette Dagan – 2 miliardi di persone non dispongono di acqua potabile sicura. E si stima che all’acqua contaminata bevuta siano ascrivibili l’80% delle malattie che le colpiscono, mentre 1,7 milioni di bambini sopra i 5 anni ne muoiono ogni anno. Siamo di fronte al calcolo che ipotizza nel 2025 il 50% della popolazione mondiale in scarsità idrica. E al dato che registra che ogni minuto siano gettate sul pianeta 1 milione di bottiglie di plastica, il 91% delle quali non riciclate”.

(L'identità, 26 luglio 2023)

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Vaccini anti-Covid, documento riservato: “Pfizer sapeva di tutti gli effetti avversi”

di Lorenzo Poli

Negli ultimi mesi sono stati rilasciati i documenti di farmacovigilanza di Pfizer richiesti dall’autorità di regolamentazione dei farmaci dell’Unione Europea, l’Agenzia Europea per i Medicinali, i quali dimostrano che Pfizer sapeva fin dall’inizio di un alto livello di effetti avversi.
  Un documento dell’agosto 2022 mostra che la società aveva già osservato il seguente ambito di danno da vaccino:

  • 351 segnalazioni di casi individuali di eventi avversi contenenti 1.597.673 eventi;
  • Un terzo degli eventi avversi è stato classificato come grave, ben al di sopra dello standard per i segnali di sicurezza solitamente fissato al 15%;
  • Le donne hanno riportato eventi avversi a un tasso tre volte superiore a quello degli uomini;
  • Il 60% dei casi è stato segnalato con “esito sconosciuto” o “non recuperato”, quindi molte delle lesioni non erano transitorie;
  • Il maggior numero di casi si è verificato nella fascia di età 31-50 anni e il 92% non presentava alcuna comorbidità, il che rende molto probabile che sia stato il vaccino a causare lesioni così diffuse e improvvise.

Nell’agosto 2022, un lavoro in “pre print” del Professor Peter Doshi[1] – che si basa sui dati degli studi clinici randomizzati di fase III controllati con placebo, consegnati alla FDA per l’autorizzazione al commercio dei vaccini mRna Covid-19 Pfizer e Moderna, raccogliendo sia le segnalazioni di tutti gli “serious adverse events” (SAE) che quelle relative agli “serious adverse events of special interest” (AESI)[2] – ha riportato che, con Pfizer, si sono registrati 67,5 eventi avversi gravi ogni 10.000 soggetti nel gruppo che aveva ricevuto il vaccino, contro 49,5 del placebo, quindi un Rischio Relativo (RR) pari a 1,36 (IC 1.31-1.83), ovvero un 36% in più statisticamente significativo di SAE nei vaccinati. Per Moderna si sono registrati 136 SAE nel gruppo vaccino contro 129 nel placebo, con RR pari a 1,05, che non ha raggiunto la significatività statistica.
  Per quanto riguarda gli eventi avversi gravi di particolare interesse (serious AESI), sono ancora più inquietanti i rischi per chi ha ricevuto il vaccino rispetto al placebo: per Pfizer se ne sono registrati 27,7/10.000 nel gruppo vaccino e 17,6/10.000 nel placebo; per Moderna rispettivamente 57,3/10.000 e 32,3/10.000. “Si tratta quindi un incremento del rischio di eventi avversi gravi – specie a carico del sistema cardiovascolare e della coagulazione – per i vaccinati con Pfizer del +57% e del +36% con Moderna” – affermava l’oncologa Patrizia Gentilini[3], membro della Commissione Medico-Scientifica Indipendente (CMSi).
  Facendo un bilancio complessivo “costi-benefici” dei vaccini e sul loro ruolo nella riduzione dei ricoveri totali, possiamo dire che è totalmente negativa. “Nella sperimentazione con Moderna l’eccesso di rischio per eventi avversi gravi di speciale interesse (serious Aesi) nei vaccinati è stato pari a 15,1/10.000, superando di gran lunga la riduzione del rischio di ricoveri per Covid rispetto al placebo (6,1/10.000). Anche per Pfizer il bilancio è negativo: l’eccesso di rischio di serious Aesi per i vaccinati è stato di 10,1/10.000, contro una riduzione del rischio di ricovero per Covid-19 pari a 2,3/10.000 rispetto al placebo. In conclusione quindi con i vaccini anti-Covid non solo non c’è riduzione del contagio, ma il rischio di ricovero per eventi avversi gravi supera nettamente il minor rischio di ospedalizzazione per Covid-19 – scriveva Gentilini.
  Questi numeri da soli suggeriscono non solo il fallimento qualitativo delle politiche pandemiche, ma anche la totale antiscientificità con cui sono state implementate le strategie vaccinali. Ciò dovrebbe portare a rimuovere immediatamente le protezioni di responsabilità dai produttori e portare ad indagare sull’irresponsabilità istituzionale dei governi e dei Ministeri della Salute, più impegnati a salvaguardare gli interessi delle case farmaceutiche, piuttosto che il diritto alla salute.
  È imbarazzante il mantenimento del sistema di “farmacovigilanza passiva” di AIFA sui vaccini anti-Covid che sottostima gli effetti avversi.
  Il rapporto del 26 giugno 2022, riportava infatti 100 eventi avversi, di cui solo 18 gravi, ogni 100.000 dosi e minori effetti dopo la seconda dose rispetto alla prima, ovvero l’opposto di quanto registrato negli studi randomizzati e in sistemi di sorveglianza attiva. Di contro il sistema di farmacovigilanza attivo presente negli Usa v-safe pubblicato il 28 ottobre 2021 riportava per i 2 vaccini a mRNA, per 100.000 dosi somministrate: 68.600 reazioni locali e 52.700 sistemiche dopo la prima dose e 71.700 reazioni locali e 70.800 sistemiche dopo la seconda dose. “Prendendo in esame solo le reazioni gravi (“severe”/con impatto sulla salute), si registrano fra prime e seconde dosi ben 21.000 eventi/100.000 dosi, numeri lontani anni luce dai 18 eventi avversi gravi riportati da Aifa. Possiamo pensare che queste differenze siano ascrivibili a caratteristiche genetiche tali da garantire una “fibra” particolarmente resistente al popolo italico, o piuttosto riconoscere che siamo di fronte ad una sottovalutazione clamorosa della situazione?” – scriveva Gentilini, proponendo il documento della Commissione Medico-Scientifica indipendente in cui si analizza il caso.
  Un documento più recente diffuso dalle istituzioni europee è ancora più devastante, perché scompone gli 1,6 milioni di eventi avversi osservati da Pfizer per categoria e sottocategoria di malessere e infortunio.
  Il documento di Pfizer riservato di 393 pagine, datato 19 agosto 2022, mostra che Pfizer ha osservato oltre 10.000 categorie di diagnosi, molte delle quali molto gravi e molto rare oltre a scoprire che:

  • Pfizer era a conoscenza di 73.542 casi di 264 categorie di disturbi vascolari da vaccino. Molti di loro sono condizioni rare.
  • C’erano centinaia di categorie di disturbi del sistema nervoso, per un totale di 696.508 casi.
  • Ci sono stati 61.518 eventi avversi da oltre 100 categorie di disturbi oculari, il che è insolito per un danno da vaccino.
  • Allo stesso modo, ci sono stati oltre 47.000 disturbi dell’orecchio, inclusi quasi 16.000 casi di acufene, che persino i ricercatori della Mayo Clinic hanno osservato come un effetto collaterale comune ma spesso devastante all’inizio.
  • Ci sono stati circa 225.000 casi di disturbi della pelle e dei tessuti.
  • Ci sono stati circa 190.000 casi di disturbi respiratori.
  • In modo inquietante, ci sono stati oltre 178.000 casi di disturbi riproduttivi o al seno, inclusi disturbi che non ti aspetteresti, come 506 casi di disfunzione erettile negli uomini.
  • In modo molto inquietante, sono stati osservati oltre 77.000 disturbi psichiatrici dopo le iniezioni, dando credito alla ricerca del Dr. Peter McCullough che osserva casi di studio che mostrano psicosi correlata alla vaccinazione.
  • Ci sono stati 3.711 casi di tumori benigni e maligni
  • 127.000 disturbi cardiaci, che coprivano la gamma di circa 270 categorie di danni cardiaci, inclusi molti disturbi rari, oltre alla miocardite.
  • oltre 100.000 disturbi del sangue e linfatici, per entrambi i quali esiste una vasta letteratura che li collega alla proteina spike.

Quando si legge ciò che Pfizer sapeva all’inizio giustapposto a studi indipendenti, è chiaro che nessuno avrebbe potuto scambiare la maggior parte di questi eventi avversi per semplici disturbi accidentali.
  Di seguito è riportato un elenco di 3.129 casi di studio che registrano danni da vaccino in ogni sistema di organi osservati in questo documento Pfizer.
  Ciò che è così sconcertante è che ci sono centinaia di disturbi neurologici molto rari che riflettono qualcosa di così sistematicamente sbagliato nelle iniezioni, una realtà che chiaramente non interessava né i produttori né i regolatori. Uno dei famigerati casi di danno da vaccino è stato Maddie de Garay, un’adolescente dell’Ohio che è diventata disabile a vita subito dopo aver partecipato alla sperimentazione clinica Pfizer, a causa di una rara diagnosi di polineuropatia demielinizzante infiammatoria cronica (68 casi riconosciuti fino ad ora post-vaccino anti-Covid).
  Fino ad oggi, la FDA continua a etichettare il vaccino anti-Covid di Pfizer come “sicuro ed efficace”. Fino ad oggi, l’etichetta indica che l’iniezione è un vaccino completamente protettivo e non menziona tutti questi effetti collaterali, come richiesto dalla legge.
  Recentemente, Peter Doshi, direttore del British Medical Journal, ha scritto una lettera alla FDA chiedendo che l’agenzia aggiorni la sua etichettatura per riflettere la realtà di ciò che abbiamo appreso sui colpi. In particolare, ha chiesto di includere i seguenti effetti collaterali sull’etichetta: sindrome infiammatoria multisistemica nei bambini, embolia polmonare, morte cardiaca improvvisa, disturbi neuropatici e autonomici, diminuzione della concentrazione di spermatozoi, sanguinamento mestruale abbondante e rilevamento dell’mRNA del vaccino nel latte materno. La relazione causale di tutti questi eventi avversi con il vaccino è supportata da ricerche sostanziali, sondaggi e sistemi di segnalazione degli eventi avversi.
  La FDA ha negato la relazione causale tra uno qualsiasi di questi effetti collaterali e le iniezioni di COVID. Anche per quanto riguarda la richiesta che i funzionari chiariscano sull’etichetta che i vaccini non interrompono la trasmissione, la FDA ha risposto: “Non siamo convinti che ci sia un malinteso diffuso al riguardo”.

(AsSIS, 24 luglio 2023)

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Il sì alla riforma. Netanyahu fa esplodere ancora Israele

Primo via libera alla Knesset. Accuse incrociate. Ma il Paese resta paralizzato: idranti sulla folla

di Fiamma Nirenstein

Dittatura, fascismo, vergogna, insopportabile egoismo politico, rischio per la vita dello Stato d'Israele. E questo è per Netanyahu da parte dell'opposizione. E dall'altra parte: estremismo irresponsabile, incitamento, anarchia, distruzione dei servizi indispensabili, rifiuto a servire mentre Israele è assediata. Ancora, dopo 7 mesi di scontro micidiale, queste sono le accuse nel giorno in cui, 64 voti a zero (l'opposizione si è dileguata in segno di disprezzo), è stato votato alla Knesset il capitolo della riforma della giustizia sulla «ragionevolezza».
  Finora la Corte Suprema poteva cancellare qualsiasi legge, in assenza del parametro della Costituzione, che non esiste, purché le apparisse «irragionevole». L'evidente arbitrarietà di questo criterio, per altro vigente solo dagli anni '90, è stata sollevata da ogni parte politica: avevano chiesto una riforma Yair Lapid, Benny Gantz, Gideon Sa'ar, Avigdor Lieberman. Tutti personaggi che oggi gridano al fascismo: Lapid ha detto che siamo di fronte a «una tragedia da fermare». Netanyahu, appena dimesso dall'ospedale per una simbolica operazione di pacemaker , ha detto che «non c'è nessuna intenzione di ferire la democrazia, al contrario, si vuole rafforzarla; la Corte - ha detto - seguiterà a monitorare la legalità delle decisioni del governo... con proporzionalità, giustizia, uguaglianza». Intanto però le manifestazioni bloccano le strade e le attività, il potentissimo sindacato, l'Istadrut, medita lo sciopero generale, la gente per le strade grida disperata «democrazia» come ne fosse stata privata: ma le manifestazioni, gli scioperi, il blocco di attività economiche, mediche, degli spostamenti, avvengono col minimo di disturbo, i canali tv e radiofonici e i giornali, sono schierati quasi tutti contro la riforma. Questo, già da febbraio. La polizia cerca di contenere al minimo (per esempio ha sbloccato le strade ai membri del parlamento che andavano a votare) l'attività, anche se si è fatto uso dei cannoni ad acqua davanti alla Knesset. Dagli Stati Uniti e da altre parti del mondo, si fa sentire il proprio disappunto perché non si è giunti a un accordo, ma si fa cadere tutta la responsabilità sul governo, che invece ha spezzettato la riforma così da rimandarne una parte e che per altro ha dietro di sé la volontà di una maggioranza molto larga, che non può essere ignorata. D'altra parte, l'opposizione è mossa da una leadership che sogna di scardinare il governo e destituire Netanyahu, e che agisce palesemente per questo fine.
  Insomma, lo scontro che lacera in queste ore Israele e lo blocca eccitando purtroppo i suoi nemici, spezza il cuore di questo stato democratico situato nell'ingorgo dei Paesi arabi, ma non riguarda solo il Medio Oriente: si assiste qui, con lo scontro sulla riforma della giustizia, che dal febbraio ha bloccato il traffico, l'aeroporto, gli ospedali, ha stravolto l'esercito, alla parossistica furia di cui anche l'Italia ha avuto qualche assaggio. Quando la destra vince e fa politica, c'è un mondo di brave persone radicato in famiglie che hanno costruito il mondo moderno, che non può sopportare che si rompa la strada liberalsocialista scelta nel dopoguerra. Israele ha fra i suoi migliori scienziati, coltivatori, guerrieri i figli di quei kibbutz che sulla scia dei Ben Gurion hanno scelto la strada post socialista. Netanyahu, portando da destra prosperità e sicurezza, ha creato una frattura conoscitiva e politica che non gli viene perdonata, e che adesso è incarnata da un governo di cui fa parte anche una componente religiosa in genere marginale, di origine sefardita. Bibi siede al potere da un decennio, interrotto solo nel breve lasso del governo Bennett e Lapid: la sua presenza era stata mitigata da accordi con forze di sinistra, ma esse poi lo hanno rifiutato. Adesso viene radicalmente contestato, identificato con un'aspirazione autocratica mai in realtà espressa. E Israele è spaccato in due, con le bandiere con le stella di David brandite da ambedue le parti, ma con le stesse canzoni, le stesse dure esperienze di vita. Adesso la nuova legge verrà proposta per la cancellazione al Bagaz, la Corte Suprema, che è quella che si è fieramente opposta alla riforma, e si apre un altro difficilissimo capitolo.

(il Giornale, 25 luglio 2023)

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I due Israele

La riforma di Netanyahu e la politica del risentimento fra le anime dello stato ebraico

di Giulio Meotti

ROMA - Mentre crollavano gli ultimi tentativi di compromesso, la Knesset votava la tanto contestata riforma giudiziaria. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu dopo essere uscito dall’ospedale per un pacemaker dichiarava: “In una vera democrazia, la mano decisiva non è quella che tiene un’arma, ma quella che mette la scheda elettorale nell’urna”. Il riferimento è ai militari che, in segno di protesta con la riforma, hanno rifiutato la riserva, il cuore dell’esercito israeliano. “Questo è un momento di emergenza”, diceva intanto il presidente Isaac Herzog.
  Il disegno di legge limiterà la capacità della Corte suprema di annullare le decisioni del governo sulla base della “ragionevolezza”, che secondo la coalizione di “Bibi” è un concetto troppo nebuloso e consente ai tribunali di annullare la volontà dei funzionari eletti per motivi ideologici e politici. Ma è solo il primo atto legislativo di una radicale revisione giudiziaria volta a indebolire la magistratura e dare al governo di turno maggiore influenza sulla nomina dei giudici. Se ne riparla a settembre, dopo le festività ebraiche. Intanto “Bibi” incassa anche il sostegno del ministro della Difesa, Yoav Gallant, e di dissidenti come Yuri Edelstein.
  Decine di migliaia di israeliani hanno protestato in questi giorni, contro e a favore della riforma, fino a bloccare l’entrata della Knesset. Quasi il 70 per cento delle startup israeliane starebbe adottando misure per ritirare denaro e spostare parti delle proprie attività al di fuori del paese, secondo un sondaggio di Start-Up Nation Central. Oltre mille membri dell’aeronautica, tra cui centinaia di piloti di caccia, come centinaia di membri di commando d’élite e unità di intelligence, hanno dichiarato ai propri comandanti che non si presenteranno in servizio se la legge sarà approvata.
  Nello scontro sulla riforma emerge tutta la politica del risentimento fra il “primo” e il “secondo” Israele. Il giornalista di Haaretz, Uri Misgav, dopo aver appreso che i piloti stavano minacciando di abbandonare la riserva ha detto: “I piloti se ne andranno. Con chi rimarrete? Shlomo Karhi?”. Karhi è il ministro delle Comunicazioni. E’ il primo di diciotto fratelli. Suo padre è un rabbino. Lui era studente della yeshivah e ha prestato servizio in un’unità di combattimento. E padre di sette figli. Ha conseguito un dottorato in Ingegneria e pubblicato ricerche in matematica applicata e informatica su riviste accademiche. Karhi è un ebreo religioso mizrahi, pelle scura, kippah e marcato accento sefardita.
  Medici, professori universitari, piloti, capitani d’industria, ex giudici della Corte suprema e procuratori generali, ex capi dei servizi segreti sono i blocchi di potere che si oppongono a queste riforme e sono tutti feudi della “prima Israele” ashkenazita di origine europea, contro cui si scaglia la seconda Israele, che Matti Friedman in un libro chiama “Mizrahi Nation”.
  Il padre di Yair Lapid, l’ex ministro della Giustizia Yosef (Tommy) Lapid, aveva notoriamente etichettato la cultura Mizrahi (sefardita e mediorientale) come inferiore: “Non abbiamo occupato la città araba di Tulkarem, Tulkarem ci ha occupato”. Israele è una società di immigrati. E negli anni successivi alla fondazione nel 1948, gli immigrati Mizrahi erano in grave svantaggio sotto molti aspetti. La maggior parte di loro proveniva da società agrarie, spesso poco istruiti, estranei alle reti economiche e culturali israeliane. Di conseguenza, gli elettori Mizrahi accorsero verso il Likud di Menachem Begin, molto più ospitale nei confronti della religione e della tradizione, molto più aggressivo in politica estera e molto più impegnato in un’economia di libero mercato che avrebbe avvantaggiato gli immigrati. Dopo lo choc della guerra dello Yom Kippur, che indebolì la fiducia del pubblico nel Partito laburista da sempre al governo, il Likud vinse le elezioni del 1977 grazie ai Mizrahi.
  I giudici della Corte suprema provengono da sempre da ambienti ashkenaziti, come i piloti dell’aeronautica militare – che hanno guidato la protesta contro il governo – sono l’epitome dell’élite ashkenazita. Una icona della cultura israeliana, Joshua Sobol, durante la campagna elettorale contro Netanyahu, ha definito gli ebrei religiosi “stupidi che baciano le mezuzah”. La mezuzah è l’astuccio che contiene il rotolo di pergamena montato sugli stipiti delle case. Di contro c’è il popolo del rabbino Ovadia Yosef, che non risparmiava attacchi feroci alla Corte suprema (“non tiene conto dell’essere umano, le interessa solo il potere”).
  Non importa che anche a livello di leadership, il Likud rimanga dominato da un’aristocrazia ashkenazita di destra, come lo stesso ministro della Giustizia artefice della riforma, Yariv Levin. I blocchi pro e anti Netanyahu rappresentano un grande divario sociale, economico e culturale (sebbene i matrimoni in Israele siano per un terzo misti). Secondo l’ultima ripartizione postelettorale pubblicata dal sito di sinistra Davar, i partiti della coalizione di destra hanno il voto degli elettori della metà inferiore socio-economica di Israele. I partiti ortodossi degli ebrei più poveri, il Likud e il sionismo religioso della classe medio-bassa. Al contrario, i partiti dell’opposizione –Yesh Atid, Labour e il Partito di unità nazionale – sono i partiti degli israeliani ricchi. Yesh Atid di Lapid da solo ha il 40 per cento della più alta fascia socio-economica. Allo stesso modo, Labour e Meretz di sinistra hanno i migliori risultati nei segmenti socio-economici più alti. La magistratura è dunque, agli occhi della destra, l’ultimo ostacolo che si frappone al rovesciamento del “vecchio ordine” e al completamento della rivoluzione iniziata da Begin, in quello che fu il primo trasferimento politico di potere in Israele. Intanto c’è stato un aumento del numero di membri della Knesset mizrahi, i cui genitori sono arrivati da stati islamici, e anche del numero di ministri mizrahi. Su 32 ministri, 19 sono mizrahi, il 60 per cento. Se si guarda alla Knesset com’era negli anni Novanta, capiamo l’entità del cambiamento. E la politica del risentimento.

Il Foglio, 25 luglio 2023)

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Il 25 luglio e la grande illusione degli ebrei italiani

di Elisabetta Fiorito

È la notte tra il 24 e il 25 luglio 1943. Gli alleati sono sbarcati in Sicilia e sono entrati a Palermo, Roma è stata bombardata il 19 a San Lorenzo. In una drammatica seduta del Gran Consiglio del fascismo, Mussolini venne messo in minoranza e nel pomeriggio del 25, dopo aver incontrato il re ed essere stato informato del nome del suo successore, il maresciallo Pietro Badoglio, viene arrestato. La gente si riversa in piazza, pensa erroneamente che la fine della guerra sia dietro l’angolo. Pochi danno importanza al proclama che ribadisce la continuazione del conflitto accanto all’alleato tedesco. Anche gli ebrei della Capitale, colpiti dalle leggi razziali del 1938, guardano dopo anni con ottimismo al futuro.
  I tedeschi sono ancora alleati e fino a quel momento nessuno li ha toccati. A Berlino, però, non si fidano della fedeltà italiana e iniziano a guardare con sospetto la situazione nella penisola. Seguono mesi drammatici, fino all’armistizio dell’8 settembre e alla deportazione del 16 ottobre, mesi in cui se si fosse agito diversamente, si sarebbero potute salvare molte vite. Tutto è scritto in un saggio di Gabriella Yael Franzone, coordinatrice del Dipartimento Beni e Attività Culturali della Comunità Ebraica di Roma, “La legislazione riparatoria e lo stato giuridico degli ebrei nell’Italia repubblicana. Note sull’abrogazione delle norme antiebraiche”.
  Nei mesi successivi al crollo del fascismo, a Roma non accade nulla. Soltanto in Sicilia, arriva un primo testo che mira a eliminare le leggi della vergogna, che viene pubblicato sulla Gazzetta n. 1 del governo militare alleato dei territori occupati. Si tratta del proclama n. 7 che abroga qualsiasi legge operante discriminazione contro qualsiasi persona per motivi legati a razza, colore della pelle, fede.
  Nei giorni successivi al 25 luglio, il governo Badoglio procede all’abrogazione di buona parte della legislazione fascista, ma nei 45 giorni fino all’8 settembre non viene presa nessuna misura significativa in favore degli ebrei per limitare i danni fatti o per arginare i rischi che si potevano prospettare. “Viene lasciata persino in vita la stragrande parte delle norme antiebraiche – racconta Gabriella Yael Franzone - e con essa persino la Direzione generale della demografia e la razza, la famigerata “Demorazza” istituita presso il Ministero dell’Interno. Presidente del tribunale della razza era Gaetano Azzariti, che viene nominato Ministro della Giustizia proprio del primo governo Badoglio e poi, dal 1957 al 1961, Presidente della Corte costituzionale della Repubblica: una continuità di apparato che desta perplessità”.
  Non manca poi l’intromissione della chiesa con la figura del gesuita Piero Tacchi Venturi che nell’agosto 1943 chiede al governo Badoglio il riconoscimento dei matrimoni misti avvenuti dopo l’ottobre del ’38, fino allora considerati illegittimi. Padre Tacchi Venturi sottolinea che nella legislazione razziale ci sono misure anche meritevoli di conferma “secondo i principi e le tradizioni della chiesa cattolica”.
  “La questione della cancellazione delle registrazioni anagrafiche degli ebrei presso le questure e i comuni non viene minimamente affrontata da Badoglio. Pietro Calamandrei (fondatore del partito d’Azione ndr) nel suo diario a inizio agosto ’43 si pone il problema - spiega Gabriella Yael Franzone. “Calamandrei ritiene che le leggi antiebraiche, ingiuste e vergognose, vadano abrogate anche solo per la loro immoralità; ma annota che nessuno parla, in quel momento, di una loro abrogazione, né – men che meno – si attiva per attuarla. Calamandrei ne trae la conclusione che molti di coloro che apparentemente si rallegravano della caduta del fascismo, in realtà fossero rimasti fascisti, filofascisti o filonazisti. Pochissimi, dopo il 25 luglio chiedono apertamente l’eliminazione della normativa razzista; i soli a farlo sono due filosofi, Antonio Banfi e Guido De Ruggiero, e lo storico del diritto Vincenzo Arangio Ruiz”.
  Arriviamo al 16 ottobre e alle conseguenze della mancata abrogazione. “Al momento in cui si dovette organizzare la deportazione degli ebrei si avevano liste, elenchi tratti dalle dichiarazioni di razza presso il ministero dell’interno, presso le questure e le prefetture. E questo agevolò il trasferimento. Gli studi effettuati sembrano confermare l’ipotesi che in realtà i nazisti abbiamo utilizzato la documentazione del ministero dell’Interno: gli ebrei che avevano cambiato domicilio e lo avevano comunicato – perché obbligati a farlo dalla normativa vigente – alla Pubblica amministrazione, ma non anche agli uffici della Comunità ebraica, sono stati infatti prelevati dai nazisti al loro nuovo indirizzo e non a quello che sarebbe risultato dagli elenchi comunitari”.

(Shalom, 25 luglio 2023)

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La Knesset approva la prima fase della riforma giudiziaria

di Luca Spizzichino

In un clima estremamente teso, sia dentro che fuori la Knesset, lunedì pomeriggio il parlamento israeliano ha approvato, con 64 voti a favore, in seconda e terza lettura il disegno di legge sugli standard di ragionevolezza. Si tratta del primo importante provvedimento che viene approvato nell'ambito della riforma giudiziaria. Durante le votazioni i parlamentari dell’opposizione hanno lasciato l’aula in segno di protesta.
  Il voto è stato preceduto da trenta ore di infuocato dibattito e da alcuni tentativi falliti di raggiungere un compromesso con l'opposizione. Fino all’ultimo infatti i ministri Bezalel Smotrich e Yoav Gallant hanno cercato di trovare un accordo, nonostante la dura opposizione dei ministri Yariv Levin e Itamar Ben Gvir, spingendo anche per ritardare di oltre sei mesi la normativa per le nomine giudiziarie. Il primo ministro Netanyahu ha valutato seriamente l'idea, lasciando il plenum più volte per discuterne con diversi ministri. Le trattative sono fallite con una dichiarazione alla stampa del leader dell’Opposizione Yair Lapid.
  "Stiamo seguendo con estrema attenzione l'evoluzione della situazione in Israele rispetto al voto avvenuto poche ore fa alla Knesset sulla limitazione della cosiddetta causa di ragionevolezza e le opinioni preoccupate di vertici militari e autorevoli esponenti sulla sostenibilità del Paese” ha affermato la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni in una nota. “Il varo di riforme che riguardano le questioni strutturali ed essenziali da parte di un governo eletto democraticamente e legittimato a promuovere iniziative importanti per il futuro del Paese richiede confronto ampio e pacatezza” si legge ancora nella nota. "La sicurezza, l'unità del Paese e la sua capacità di continuare a guidare innovazione e sviluppo nell'intera regione mediorientale e internazionale sono le direttrici essenziali e continueremo a sostenere Israele come Stato che esprime valori ebraici da 75 anni" ha dichiarato la presidente Di Segni.

(Shalom, 24 luglio 2023)

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Israele, auto investe manifestanti: ci sono feriti

Il conducente, poi arrestato, ha accelerato per investire deliberatamente un gruppo di manifestanti riuniti per protestare contro la riforma della giustizia
  Una persona alla guida di un'auto ha accelerato per investire deliberatamente un gruppo di manifestanti riuniti per protestare contro la riforma della giustizia in Israele, colpendo alcuni di loro. Lo riferisce il Jerusalem Post, secondo cui si contano tre feriti. L'incidente, secondo quanto riferito dai media locali, è avvenuto sulla strada 531 nei pressi di Kfar Saba, nella parte centrale di Israele. Ynet news parla di quattro feriti lievi.
  La polizia israeliana ha poi reso noto di aver arrestato il presunto conducente. "Un residente di una delle comunità della regione di Sharon è stato arrestato perché sospettato di aver colpito dei manifestanti sulla superstrada 531", ha riferito la polizia, citata da Haaretz. "Dopo una rapida indagine, la polizia ha arrestato il proprietario di un veicolo, è un ventenne", ha proseguito la polizia, aggiungendo che le indagini sono in corso.

(Adnkronos, 24 luglio 2023)

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Giornata della Cultura Ebraica: Firenze Capofila in Italia

Il prossimo 10 settembre torna l’appuntamento con la Giornata europea della Cultura Ebraica. Firenze ospiterà anche l’evento inaugurale: a partire dalle ore 10.30, nel giardino della Sinagoga di Firenze, in via Farini 6, alla presenza di Autorità nazionali e locali.

Domenica 10 settembre 2023 torna l’appuntamento con la Giornata Europea della Cultura Ebraica, iniziativa alla quale partecipano trenta Paesi europei, e coordinata e promossa nel nostro Paese dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
  La manifestazione, che apre alla cittadinanza le porte di Sinagoghe, musei e altri siti ebraici, invitando ad approfondire la conoscenza di ebrei ed ebraismo, si svolgerà quest’anno in Italia in ben 101 località, distribuite in sedici regioni, da nord a sud alle isole.

Quest’anno è stato scelto un tema inedito: la bellezza.
  Un’occasione per far conoscere e valorizzare il patrimonio storico, architettonico, artistico e archeologico ebraico in Italia, e per riflettere sulle peculiari espressioni del bello da un punto di vista ebraico: le antiche e storiche sinagoghe e i tanti siti ebraici italiani, il pensiero, la filosofia e la tradizione ebraica. Ma anche la musica, l’arte, la letteratura, le specialità culinarie, al fine di presentare sotto molteplici declinazioni l’anima dello Stato d’Israele.
  Firenze, patria del Rinascimento e da secoli simbolo di bellezza, farà da Capofila all’esperienza italiana: il capoluogo toscano, infatti, offrirà ai visitatori un programma fitto di eventi, che animeranno l’incantevole Sinagoga in stile moresco e altri luoghi della città. Il prossimo 10 settembre, a partire dalle ore 10.30, nel giardino della Sinagoga di Firenze, in via Farini 6, si terrà l’inaugurazione ufficiale e nazionale della manifestazione alla presenza di Autorità nazionali e locali.
  La Giornata Europea della Cultura Ebraica è un appuntamento culturale ormai consolidato, e, nel nostro Paese, vanta il primato di edizione più ampia e riuscita in Europa secondo l’Aapj, l’associazione europea per la preservazione del patrimonio ebraico .
  “Grazie alla virtuosa e fattiva collaborazione tra Comunità Ebraiche, Comuni, Enti locali e Associazioni attive sul territorio, e a un patrimonio storico-culturale di sicuro interesse, ogni anno si dà vita a una manifestazione diffusa in modo capillare in gran parte della penisola, che accoglie decine di migliaia di visitatori”.

(Controradio, 24 luglio 2023)

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Netanyahu ha un pacemaker. Che cosa significa?

Domenica mattina il Primo Ministro si è fatto impiantare un piccolo dispositivo di stimolazione cardiaca alimentato a batteria per impedire al suo cuore di battere troppo lentamente.

di Renee Ghert-Zand

Agenti di polizia all'ingresso del pronto soccorso dell'ospedale Sheba di Ramat Gan dopo il ricovero di Benjamin Netanyahu.
I professori Roy Beinart (d.) e Eyal Nof all'ospedale Sheba il 23 luglio 2023.
I medici dello Sheba Hospital hanno impiantato un pacemaker al Primo Ministro Benjamin Netanyahu sabato sera. Era stato ricoverato sabato sera dopo che un allarme trasmesso dal monitor cardiaco interno di cui era stato dotato una settimana fa aveva indicato un blocco cardiaco transitorio, cioè un problema nel sistema di conduzione elettrica del cuore.
Un pacemaker è un piccolo dispositivo alimentato a batteria che impedisce al cuore di battere troppo lentamente. Viene posizionato chirurgicamente sotto la pelle, vicino alla clavicola.
I pacemaker vengono prescritti quando il sistema di conduzione elettrica del cuore di una persona causa battiti lenti o irregolari, o in caso di insufficienza cardiaca.
I problemi al sistema di conduzione del cuore sono generalmente dovuti a danni al muscolo cardiaco, a fattori genetici o agli effetti di alcuni farmaci.
  Dopo il primo ricovero della settimana scorsa, l'ospedale aveva assicurato a Netanyahu che tutti i test effettuati su di lui andavano bene e che l'impianto sottocutaneo del "monitor cardiaco impiantabile" (ILR) era solo una "normale" precauzione.
  Tuttavia, in una dichiarazione video rilasciata dallo Sheba domenica mattina, è stato rivelato che il Primo Ministro ha una storia di problemi di conduzione cardiaca. L'ospedale ha anche detto che Netanyahu era svenuto lo scorso fine settimana, un'informazione che l'Ufficio del Primo Ministro non aveva rivelato.
  Nonostante i protocolli richiedano ai primi ministri di pubblicare un rapporto annuale sulla loro salute, Benjamin Netanyahu non ne pubblica uno dal 2016.
  Non è stato possibile obbligarlo legalmente a condividere queste informazioni sulla salute, poiché i protocolli non sono stati prescritti dalla legge.
  "Il Primo Ministro è venuto all'ospedale Sheba la scorsa settimana perché era svenuto. E poiché aveva un disturbo della conduzione che conoscevamo da molti anni, abbiamo deciso di effettuare uno studio elettrofisiologico, che è un tipo di cateterismo che valuta il sistema di conduzione", ha dichiarato domenica il professor Roi Beinart, direttore del Centro Davidai per i disturbi dell'aritmia e del pacing dell'ospedale Sheba.
  Il professor Beinart ha detto che il cateterismo è andato bene e che tutti i risultati erano buoni, e che è stata presa la decisione di impiantare l'ILR per monitorare costantemente la salute del cuore del Primo Ministro.
  "I dati che abbiamo ricevuto ieri sera dal monitor suggeriscono un blocco atrioventricolare transitorio, che giustifica l'impianto urgente di un pacemaker", ha aggiunto.
  Esistono diversi tipi di pacemaker, ma i medici di Sheba non hanno specificato quale sia stato impiantato. [...]
  L'inserimento chirurgico del dispositivo richiede generalmente da una a due ore e viene effettuato sotto sedazione, ma non in anestesia generale, il che significa che il paziente è generalmente intontito ma sveglio durante la procedura.
  Tuttavia, l'operazione di Netanyahu ha comportato un'anestesia generale, che lo ha portato a nominare il suo Ministro della Giustizia, Yariv Levin, come Primo Ministro ad interim.
  L'operazione viene eseguita in ospedale o in regime ambulatoriale e la convalescenza dura diversi giorni. In seguito, ai portatori di pacemaker si consiglia di portare con sé una scheda di registrazione del pacemaker e di evitare i campi magnetici.
  Sebbene uno studio tedesco del 2019 indichi che è possibile volare senza complicazioni dopo soli due giorni dall'inserimento del pacemaker , il servizio sanitario nazionale britannico (NHS) raccomanda di attendere almeno sei settimane, o fino al primo appuntamento di controllo post-operatorio.
  Netanyahu ha quindi annunciato il rinvio delle visite previste a Cipro e in Turchia nei prossimi giorni.

(Times of Israël, 24 luglio 2023 - trad. e adattamento www.ilvangelo-israele.it)


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Netanyahu evita i manifestanti

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è arrivato alla Knesset, il Parlamento israeliano, dopo essere stato dimesso questa mattina dall’ospedale. Lo rende noto Channel 12 spiegando che Netanyahu ha utilizzato un ingresso di emergenza e in questo modo ha evitato i manifestanti che si sono riuniti davanti alla Knesset per contestare la riforma della giustizia voluta dalla coalizione di governo.
  Entrato nel suo ufficio dopo aver evitato le domande dei giornalisti, il premier israeliano si sta incontrando con il ministro della Giustizia Yariv Levin e il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich.

(Adnkronos, 24 luglio 2023)

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La guerra dell’Iran a Israele

Gli ultimi attacchi terroristici palestinesi non sono una nuova intifada ma un’operazione militare a tenaglia del regime di Teheran, scrive Dan Diker

E’invalsa la tendenza in occidente a classificare tutti gli attacchi terroristici palestinesi contro Israele come ‘intifada’”, scrive Dan Diker su Israel Hayom. “Il termine deriva dalle violenze di massa che si scatenarono nel dicembre 1987 nelle città arabe palestinesi in Giudea e Samaria (Cisgiordania). Inizialmente innescata dalla rivendicazione degli arabi del posto per una maggiore libertà socio-economica e un migliore tenore di vita, nel giro di pochi mesi quell’intifada fu cooptata dal capo dell’Olp (Organizzazione per la l iberazione della Palestina) che aveva sede a Tunisi, Yasser Arafat, come una prosecuzione della sua pluri-decennale guerra totale contro l’esistenza dello stato ebraico e democratico, l’obiettivo esplicitamente dichiarato nella Carta dell’Olp del 1964/68. Il brand ‘intifada’ era destinato a restare scolpito nella percezione e nel lessico dei mass-media internazionali. Come tale, venne indebitamente applicato anche alla successiva campagna di terrorismo stragista suicida condotta da Hamas, Fatah e Jihad Islamica Palestinese soprattutto negli anni 2001-2004, definita appunto ‘seconda intifada’. Quella campagna era nota ai suoi protagonisti come ‘intifada al-Aqsa’, a indicare una guerra islamica incentrata sulla centenaria accusa palestinese secondo cui gli ebrei profanerebbero la moschea di al-Aqsa, una calunnia già brandita negli anni Venti dal primo leader clericale palestinese, Haj Amin al-Husseini.
  Oggi, nel 2023, la natura di quest’ultima ondata di terrorismo palestinese originato nelle città di Jenin e Nablus in Samaria dovrebbe essere molto più facile da identificare, visto che la Guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, ha apertamente esortato a esportare la rivoluzione islamica del regime khomeinista nelle colline della Cisgiordania settentrionale. Questa non è un’intifada. E’ una premeditata operazione militare a tenaglia del regime iraniano, che ora viene condotta dalle colline della Samaria settentrionale. Oggi l’Iran accerchia Israele su tre lati. Da Gaza, nel sud, i gregari del corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche, Hamas e Jihad islamica palestinese, possono attaccare Israele con decine di migliaia di razzi e tunnel terroristici. Dai paesi confinanti a nord, Libano e Siria, la forza Quds del corpo delle Guardie rivoluzionarie e l’esercito terrorista iraniano per procura Hezbollah dispongono di circa 180.000 razzi e missili puntati contro le città israeliane. Di recente Hezbollah ha persino creato degli avamposti sul versate israeliano del confine internazionale fra Libano e Israele. Adesso il regime iraniano è riuscito a portare la sua guerra contro Israele, che dura da 44 anni, fin sulle colline di Samaria che si affacciano sull’aeroporto internazionale Ben Gurion e sulle principali città israeliane lungo la costa mediterranea.
  Le prove sono schiaccianti. Nella settimana di metà giugno, la dirigenza di Hamas e Jihad islamica palestinese si è recata in visita a Teheran per un incontro con la forza Quds, il braccio per le attività all’estero delle Guardie rivoluzionarie islamiche, per discutere delle recenti operazioni delle Forze di difesa israeliane a Gaza e coordinare le attività armate contro Israele, portando avanti la strategia multi-fronti ideata dal comandante delle Guardie rivoluzionarie Qassem Soleimani, che è stato ucciso da un attacco di droni statunitensi nel 2020 ma la cui eredità strategica permane. Questi incontri ad alto livello hanno coinciso con un’ondata di attacchi terroristici in Giudea e Samaria, alcuni compiuti direttamente da Hamas e Jihad islamica palestinese. Ciò ha incoraggiato l’Iran, che cerca di fare di Giudea e Samaria un ulteriore campo di battaglia nella sua escalation aggressiva contro Israele. Il recente attentato terroristico che ha ucciso quattro israeliani alle porte della comunità ebraica di Eli, in Samaria, è solo l’ultimo assalto sostenuto dall’Iran. Dall’inizio di quest’anno sono una trentina gli israeliani che sono stati assassinati in attacchi terroristici sostenuti dall’Iran.
  La campagna terroristica iraniana non si svolge nel vuoto. Il contesto storico è importante. Sin dal 1979, i capi iraniani hanno etichettato Israele come ‘il piccolo Satana’ e si sono votati alla sua distruzione. Il regime iraniano non ha mai abbandonato questo obiettivo. Da anni le Guardie rivoluzionarie dirigono e riforniscono di armi Hamas e Jihad islamica. Le navi cariche di armi iraniane Karine A (2002), Calipso (2003) e Klos (2014), inviate per rifornire Olp e Hamas a Gaza con migliaia di tonnellate di armi, sono state presto dimenticate dalla comunità internazionale. Fino a poco tempo fa, le Guardie rivoluzionarie del regime iraniano e la sua forza Quds per l’esportazione del terrorismo concentravano principalmente la loro presenza nella striscia di Gaza, dove i loro agenti in loco sono attivi sin dalla guerra antiterrorismo del 2014 nell’assistere Hamas nella produzione di droni e razzi. Fu Soleimani a suggerire a Hamas la campagna della Grande Marcia del Ritorno del 2018-2019, organizzata investendo migliaia di dollari per pagare gli adolescenti di Gaza che si lanciavano verso la barriera di confine tra Gaza e Israele esponendosi a fuoco di difesa israeliano. Gli agenti delle Guardie rivoluzionarie iraniane sono coinvolti anche nella costruzione dei tunnel di Hamas, pensati per infiltrarsi in Israele e uccidere o prendere in ostaggio israeliani. Significativamente, l’Iran vede l’eventuale tracollo del governo laico dell’Autorità palestinese, dominato da Fatah, come un’opportunità per avventarsi sulla Samaria. Recenti sondaggi palestinesi rispecchiano il sostegno di cui godono le milizie terroristiche locali sostenute dall’Iran, come la ‘Fossa dei leoni’, in quanto diretta conseguenza della frustrazione pubblica nei confronti dell’Autorità palestinese profondamente corrotta. Siccome è improbabile che emerga un chiaro successore del vecchio Abu Mazen, la sua uscita di scena scatenerà il caos tra questi gruppi armati che si contenderanno il controllo (facendo anche a gara a chi si può vantare d’essere più militante nel terrorismo contro Israele), e l’Iran sfrutterà il vuoto di potere a proprio vantaggio.
  L’attività iraniana nel nord della Samaria è il chiaro segnale che le forze terroristiche iraniane sono penetrate nel territorio e rappresentano una minaccia strategica per Israele. I dirigenti delle Guardie rivoluzionarie hanno garantito al capo della Jihad islamica palestinese, Ziyad al-Nakhalah, che l’Iran farà arrivare altre armi in Giudea e Samaria attraverso la Giordania e che la Jihad islamica riceverà ulteriore sostegno finanziario. L’Iran ha anche esortato a creare impianti per la produzione di razzi nel nord della Cisgiordania. Nakhalah ha apertamente celebrato l’incrollabile sostegno dell’Iran ai palestinesi dicendo: ‘Nessun altro paese al mondo prende una posizione così esplicita’ che ‘attesta il sostegno di Teheran alle fazioni della resistenza palestinese’ e ‘mette in risalto i forti legami tra Jihad islamica, Hamas e Repubblica islamica’. Il 17 giugno Nakhalah ha incontrato anche Mohammad Baqer Qalibaf, presidente del Majlis (parlamento iraniano). Dal canto suo, il capo di Hamas Ismail Haniyeh ha incontrato la Guida suprema Khamenei e il presidente iraniano Ebrahim Raisi. Nell’occasione, Haniyeh ha dichiarato che l’attacco terroristico di giugno a Eli, costato la vita a quattro innocenti, era ‘solo l’inizio’ di una rinnovata campagna contro Israele. A Teheran è andato anche il vice di Haniyeh, Saleh al-Arouri, capo dell’ala militare di Hamas in Giudea e Samaria, responsabile di quell’attentato. In Iran, l’esponente di Hamas Osama Hamdan ha menzionato l’importante ruolo degli arabi israeliani nella battaglia contro Israele, evidenziato dalle violenze scoppiate durante l’operazione antiterrorismo delle Forze di difesa israeliane a Gaza nel maggio 2021. Hamdan ha detto che Giudea e la Samaria stanno entrando in una nuova fase di ‘resistenza’, riferendosi alla creazione in Samaria ad opera dell’Iran di 20 o 30 nuovi ‘battaglioni’ di 2.000 miliziani che puntano a diffondersi nella regione intorno a Ramallah (la capitale di fatto dell’Autorità palestinese di Abu Mazen ndr).
  Come ha ricordato l’analista di intelligence Micky Segal in una recente analisi del Jerusalem Center for Public Affairs, Khamenei ha ribadito l’importanza di Giudea e Samaria affermando che ‘se Gaza è il centro della resistenza, il punto che metterà in ginocchio il nemico è la Cisgiordania’. Khamenei, che spesso si incontra con i palestinesi della Jihad islamica, ha dichiarato: ‘La forza crescente dei gruppi di resistenza in Cisgiordania è la chiave che può mettere in ginocchio il nemico sionista, ed è fondamentale che proseguiamo su questa strada’”.

Il Foglio, 24 luglio 2023)

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Milano: Italia e Israele vincenti ai Mondiali di Ginnastica ritmica

di Nathan Greppi

La squadra israeliana di ginnastica ritmica ha recentemente vinto una medaglia d’argento la notte di sabato 22 luglio alla Coppa del Mondo 2023 di ginnastica ritmica, che quella sera faceva tappa al Mediolanum Forum di Assago, appena fuori Milano. Mentre l’Italia si è aggiudicata la medaglia d’oro, arrivando al primo posto a livello mondiale.
  Come riporta il Times of Israel, in precedenza il gruppo israeliano aveva vinto altre medaglie a questa edizione: nella gara a squadre a marzo vinse la medaglia d’oro ad Atene, cui sono seguite delle medaglie d’argento tra marzo e aprile a Sofia e a Baku (rispettivamente in Bulgaria e in Azerbaijan). Inoltre, a maggio, sempre a Baku presero parte anche ai Campionati Europei di ginnastica ritmica, vincendo un oro e tre argenti.
  Attualmente, nella Coppa del Mondo l’Italia è al primo posto per numero di medaglie vinte (17 ori, 12 argenti e 5 bronzi), seguita da Bulgaria e Germania, mentre Israele è quarta in classifica (5 ori e 8 argenti).
  Per quanto riguarda le performance individuali, ha vinto svariate medaglie l’italiana Sofia Raffaeli, mentre all’israeliana Adi Asya Katz è andata una medaglia d’argento durante la tappa a Sofia.
  In anni recenti, Israele ha ottenuto diversi premi importanti per la ginnastica ritmica, quali una medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tokyo nel 2021, vinta a livello individuale dalla ginnasta Linoy Ashram, e altri due ori ai Giochi Mondiali di Birmingham nel 2022.

(Bet Magazine Mosaico, 24 luglio 2023)

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Hanno demolito un tempio ebraico centenario e c’è disaccordo sulla cura dei pezzi sacri

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La scorsa settimana è stato demolito un tempio ebraico centenario situato in via Oncativo nella città di Córdoba. Questa azione fa parte del lavoro per ampliare Avenida Maipú. Alcuni pezzi sacri sono stati lasciati sotto le macerie per essere trasferiti in altra sede nei prossimi giorni. Lasciare questi oggetti così importanti allo scoperto provocò indignazione tra alcuni ebrei.
  Tuttavia, a partire da questa domenica a mezzogiorno, nell’area è stato installato un controllo di polizia per proteggere il patrimonio storico.
  “C’è stata una piccola mancanza di intelligence tra la società che ha effettuato la distruzione, ma tutto è già risolto. Il posto ha la custodia della polizia. Sia la provincia che il comune e l’ente si sono messi al lavoro e sono riusciti a mettere in salvo tutti gli oggetti sacri. Tutto è protetto e il trasferimento degli oggetti è già in programma», ha spiegato Adrián Ganzburg, presidente di Daia, cioè il rappresentante politico della comunità ebraica.
  Il Comune di Córdoba aveva espropriato il tempio un anno e mezzo fa. Il luogo non fu più utilizzato per scopi religiosi per 10 anni. I pezzi sacri saranno trasferiti e custoditi in un’altra sede ebraica in via Sarmiento in città.
  “Quando quei pezzi sono stati demoliti, sono stati nascosti, per così dire, in fondo alle macerie. Erano naturalmente protetti perché hanno un peso e proprio per questo non si sono potuti muovere subito. Gli specialisti calcolano che per ottenere questi oggetti occorrono circa 12 persone più un mulo”, ha commentato Gustavo Guelbert, vicepresidente della Sefardite Israelite Union. I pezzi corrispondono a un lampadario a sette bracci e alle tavole di Mosè, cioè i 10 comandamenti. Questa simbologia ha un sentimento profondo e una grande importanza per gli ebrei.

(IT ESEuro, 24 luglio 2023)

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La complessa strategia di Golda Meir

di Luca Spizzichino

Per decenni Golda Meir è stata considerata la "Iron Lady" che ha perso ogni occasione per trovare la pace con l’Egitto e la principale responsabile per ciò che accadde durante la Guerra dello Yom Kippur. Ma fu lei la sola responsabile di quanto accadde nell’autunno del 1973? Diverse ricerche, riportate sul magazine di Yedioth Achronot e basate su informazioni recentemente declassificate, gettano una luce completamente nuova sull'eredità Golda Meir.
  I primi segnali di un pericolo imminente proveniente dalla Siria arrivarono un giorno prima della vigilia di Rosh Hashanà, il 25 settembre 1973. Il primo ministro israeliano incontrò segretamente il re di Giordania Hussein bin Talal nel quartier generale del Mossad. Non era la prima volta che i due si incontravano. Dopo la devastante sconfitta subita dalla Giordania nella Guerra dei Sei Giorni, re Hussein cambiò il suo approccio strategico e fu disposto a tutto pur di evitare un'altra guerra con Israele, compreso il mantenimento di contatti segreti con la sua leadership. Gli incontri tra Golda e Hussein furono più di dodici, tutti supervisionati dallo Shin Bet e tenuti sotto un pesante mantello di segretezza.
  "Hussein era in una posizione precaria", spiega Moshe Shwardi, un ricercatore di intelligence e sicurezza che ha studiato a fondo la guerra dello Yom Kippur. "Da un lato c’era il presidente dell'Egitto Sadat, che voleva riconquistare i territori occupati nella Guerra dei Sei Giorni, mentre a nord c'era la Siria, che voleva l'esercito giordano per la propria difesa e soppressione. Ma Hussein voleva preservare il suo regno. Pertanto, era disposto a collaborare con Israele".
  La sera del 25 settembre re Hussein condivise le sue preoccupazioni con Golda Meir, dopo un incontro avuto due settimane prima al Cairo con Sadat e il presidente della Siria Hafez al-Assad, durante il quale si discusse della possibilità di una guerra con Israele. Pochi giorni dopo, il re giordano incontrò il re Faisal dell'Arabia Saudita, al quale trasmise informazioni simili.
  Re Hussein fornì a Meir informazioni sensibili da una fonte altamente affidabile in Siria, indicando che stava per accadere qualcosa di drammatico. Il primo ministro israeliano dovette prendere sul serio le implicazioni. "È possibile che i siriani inizino qualcosa senza il coinvolgimento degli egiziani?" chiese a re Hussein, che rispose: "Non credo. Credo che collaboreranno". Questo momento è stato impresso nella memoria di Reuven Hazak, che in quel momento sedeva dall'altra parte dello specchio unidirezionale.
  Secondo la testimonianza fatta da Reuven Hazak, allora capo dell'unità operativa dello Shin Bet e successivamente vicedirettore dell'agenzia, a Shwardi, sembrava che un ufficiale dell'intelligence, seduto accanto a Hazak, fosse rimasto sorpreso dalle parole di Hussein. "Ricordo che saltò dal suo posto e disse: 'Guerra!'". Zizi Kanizar della direzione dell'intelligence dell'IDF e Golda Meir giunsero alla stessa conclusione.
  "Quando l'incontro finì e Hussein se ne andò, entrai nella stanza dove era seduta Golda, e Lev Kadar (il suo assistente personale e confidente) si unì a lei", ha raccontato Hazak nella sua testimonianza.
  La testimonianza di Hazak fornisce quindi un’indicazione di cosa Golda Meir pensasse stesse per accadere. Tuttavia, gli esperti dell'intelligence minimizzarono l'avvertimento di re Hussein. Le consultazioni militari, i funzionari dell'intelligence stimarono che le capacità offensive della Siria fossero destinate, nel peggiore dei casi, a un'operazione limitata. La connessione critica di Hussein tra i preparativi siriani e la cooperazione egiziana venne completamente omessa dalle discussioni dell'intelligence.
  "Un avviso di intelligence, dal momento in cui viene ricevuto dalla fonte fino a quando non raggiunge gli utenti finali, è come un cubetto di ghiaccio sotto il sole", ha riassunto Shwardi. "Molti cubetti di ghiaccio si sono sciolti tra Rosh Hashanah e Yom Kippur del 1973."
  Le scelte di Golda Meir furono quindi condizionate dalle valutazioni errate dell'intelligence israeliana nell'autunno del 1973. Meir, nonostante ciò, venne indicata come la principale responsabile di quanto accadde in quei giorni e venne attaccata per aver rifiutato ripetutamente la "mano tesa per la pace" di Sadat. Tuttavia, grazie ai documenti desecretati, si è scoperto che negli anni che hanno preceduto la guerra, Golda Meir cercò di contattare Sadat, offrendogli di impegnarsi in negoziati di pace segreti, ovunque e a qualsiasi livello volesse. Ma il presidente egiziano respinse per 15 volte le proposte.
  Shaul Rachavi, uno dei nipoti di Golda Meir e una delle poche persone nel Paese che ha avuto conoscenza in tempo reale degli incontri Golda-Hussein, è uno che osserva con entusiasmo questa rinascita di Golda. “Negli ultimi anni vengono pubblicati sempre più documenti ufficiali che dimostrano che aveva ragione. Aveva di fronte persone con un ricco background di sicurezza, come il capo di stato maggiore durante la Guerra dei sei giorni Moshe Dayan, l'ex capo di stato maggiore Haim Bar-Lev e il comandante dell'IDF Yigal Allon, che la rassicurarono del fatto che l'IDF fosse ben preparato a respingere qualsiasi attacco. Non si è mai perdonata per non aver ascoltato il suo cuore”.

(Shalom, 24 luglio 2023)

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Netanyahu: “Domattina raggiungerò i miei amici alla Knesset”

“Continuerò i miei sforzi per completare la riforma e per farlo con il consenso”

Il primo ministro dello Stato di Israele, Benjamin Netanyahu, ha annunciato che domani mattina “raggiungerà i suoi amici alla Knesset”, il Parlamento israeliano, e di “continuare i suoi sforzi per completare la riforma e per farlo con il consenso”. Lo ha dichiarato lo stesso Netanyahu, in un videomessaggio diffuso via Twitter, come riferisce il quotidiano israeliano “The Times of Israel”. Rinviate, invece, le visite a Cipro e in Turchia, in programma, rispettivamente per il 25 e il 28 luglio prossimi. Secondo i medici che gli hanno impiantato il pacemaker, infatti, il premier israeliano ha subito un “arresto cardiaco transitorio”, potenzialmente pericoloso per la sua vita. Irregolarità nel ritmo delle pulsazioni cardiache, inoltre, erano state rilevate già durante il suo ultimo ricovero, la scorsa settimana. Oggi, intanto, alla Knesset si è tenuta una nuova discussione tra le forze politiche sulla riforma della giustizia proposta da Netanyahu.
  Il presidente del Partito di unità nazionale, Benny Gantz, ha esortato la coalizione di governo a fermare la proposta di legge e a procedere solo attraverso il consenso e gli accordi tra i partiti. “Un accordo parziale o la ‘ragionevolezza’ non risolverebbero la crisi se il progetto di legge è solo il primo passo di una rivoluzione più grande che investe il modo in cui Israele è governato”. La Federazione generale del lavoro, Histadrut, il principale sindacato del Paese, ha annunciato intanto di aver inviato una proposta al premier, che limiterebbe la portata del principio di “ragionevolezza”. I tribunali, di conseguenza, non potrebbero annullare decisioni del governo in base a tale criterio se queste riguardano “questioni politiche” e sono state approvate dal Consiglio dei ministri. Inoltre, ai giudici sarebbe impedito di intromettersi sulla nomina di ministri e viceministri. “Tutte le altre decisioni dei ministri continueranno a essere sottoposte a revisione giudiziaria, incluso il criterio di ragionevolezza”, sostiene Histadrut, aggiungendo che i cambiamenti non entreranno in vigore fino a quando non verrà formato un nuovo governo dopo le prossime elezioni. La proposta prevede inoltre di riprendere i colloqui tra i rappresentanti della coalizione e dell’opposizione per raggiungere un accordo “sulle altre questioni”. La proposta di Histadrut, tuttavia, è stata respinta sia dal partito di Netanyahu, Likud, sia dal Partito laburista, sia dai principali organizzatori delle proteste, che hanno rifiutato qualsiasi “compromesso per il quale Israele diventi alla fine una dittatura”.
  Continuano intanto le proteste nel Paese, in particolare a Gerusalemme, dove i manifestanti, che si erano accampati con le tende nel parco Sacher, vicino alla Knesset, hanno effettuato una preghiera collettiva per l’unità presso il Muro del pianto. A Tel Aviv, invece, è previsto per le 18 di oggi un raduno a Kaplan Street dei sostenitori del progetto di riforma del sistema giudiziario. Tra i principali relatori ci saranno il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, il ministro dell’Istruzione, Yoav Kisch, e il ministro della Cooperazione regionale, David Amsalem. Per il ministro della giustizia, Yariv Levin, invece, è previsto un intervento in videoconferenza dalla Knesset.

(Agenzia Nova, 23 luglio 2023)

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Ecco il segreto dell’esercito israeliano

Un testimone di eccezione ci parla di ciò che rende forte Tzahal: lo spirito di sacrificio e di solidarietà attorno ai giovani soldati di Giacomo Kahn

Giuramento e ultima marcia delle nuove leve paracadutiste
Fin dalla preistoria l’uomo collabora con i suoi simili quando si tratta di trovare risposte ai bisogni primari: ricerca del cibo, un tetto sotto cui ripararsi, difendersi dai predatori o dai nemici, necessità di socialità e di riproduzione.
  Più in generale i membri di una comunità, di un’associazione, di un’intera nazione si sentono uniti e collaborano fra loro solo se hanno tutti un medesimo obiettivo, un comune traguardo, consapevoli che il benessere del singolo si realizza solo necessariamente attraverso il benessere di tutti gli altri.
  Tutto bene fino a quando si parla di benessere. Ma cosa succede e che fine fa il principio della solidarietà e della collaborazione quando per garantire la maggioranza, si richiede ai singoli anche la disponibilità al sacrificio o alla rinuncia? E’ solo in queste situazioni che emerge la vera ed intrinseca natura di una società, da una parte ci sono quelle altruiste e dall’altra le società egoiste e individualiste. Le prime sanno affrontare le sfide e le crisi; le seconde sono destinate prima o poi alla sicura disgregazione.
  Tra questi due estremi, solidarietà e individualismo, come si colloca in generale la popolazione israeliana? Il senso del sacrificio e della rinuncia personale trovano ancora una ragione d’essere o prevale l’individualismo? Cosa percepisce l’osservatore esterno della natura morale ed etica della società israeliana?
   Agli occhi di un qualsiasi turista quei ragazzi che animano le notti chiassose e festaiole di Tel Aviv, che cercano il divertimento e il disimpegno giocando sulle spiagge, non sembrano diversi dai loro coetanei che abitano nei paesi occidentali.
  Solo però quando si cambia prospettiva, quando si visita il Paese non più da turista, si possono vivere esperienze fuori dall’ordinario che dimostrano che la società israeliana è diversa da tutte le altre.
  Una di queste esperienze, che coinvolge i ragazzi e i loro genitori, è il servizio militare, tanto più quando si tratta di un chayal boded – un soldato senza famiglia – generalmente proveniente dall’estero, ma vi sono anche ragazzi israeliani senza famiglia o espulsi dalle famiglie haredì per la scelta di volersi arruolare.
  Questi chayalim bodedim trovano strutture, accoglienza e sostegno grazie a diverse organizzazioni che danno loro un appartamento, risolvono i problemi burocratici, li inseriscono in reti familiari che offrono cibo e li invitano per shabbat. L’obiettivo è quello di non far sentire solo o isolato il ragazzo lungo tutto l’arco del servizio militare che può avere momenti di crisi o di scoramento.
  In generale però questi ragazzi, proprio perché ‘soli’, hanno fortissime motivazioni e sono quindi straordinariamente forti nel superare le sfide e le difficoltà che diventano enormi quando si aspira a diventare kravì – un soldato combattente. Le difficoltà e le sfide iniziano fin dalla fase di selezione, attraverso test colloqui e prove fisiche, per poi proseguire lungo tutto il periodo dell’addestramento per circa otto mesi, con esercitazioni di tiro, marce forzate, combattimento corpo a corpo, lanci con il paracadute, orientamenti e movimenti di notte.
  L’addestramento si conclude con una marcia di 50 km, portando addosso un terzo del proprio peso (25/30 kg.), che termina a Gerusalemme dove si tiene la cerimonia di consegna del berretto di combattente. E’ una festa popolare con migliaia di persone che accompagnano i soldati negli ultimi chilometri della loro marcia, con le famiglie che si riuniscono sotto l’insegna del battaglione dei loro ragazzi. Qui si scopre la vera anima dell’esercito di Israele: non ci sono soldati professionisti, è un esercito di popolo formato da benestanti e da poveri, da ebrei e da non ebrei, da religiosi e da non religiosi, da drusi, da ucraini, da francesi, da sud africani, da americani, da israelo-giapponesi, e anche da qualche italiano.
  Ma cosa si festeggia? Se ci si ferma a pensare non ci sarebbe nulla da festeggiare. Con la fine dell’addestramento questi ragazzi per anni saranno destinati nelle zone più a rischio del Paese e a loro verrà richiesto una capacità operativa particolare. Non era un gioco durante l’addestramento di guerra (purtroppo un ragazzo del battaglione di mio figlio è stato mortalmente colpito) e non lo sarà tanto più per tutto il periodo della ferma e per il periodo dei richiami.
  Eppure noi festeggiamo. Perché un uomo individualista, un egoista che pensa solo al suo destino è destinato a scomparire, mentre noi aspiriamo all’eternità. Solo grazie a questi ragazzi Israele rimarrà per l’eternità.

(Riflessi Meorah, 17 luglio 2023)

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Nessuno ha aperto la breccia, l’errore della controffensiva ucraina (e della Nato)

Kiev non ha preparato reparti e mezzi di genieri d'assalto. L'opposto di quello che avvenne nel D-Day settantanove anni fa.

di Gianluca Di Feo

Prima del D-Day, gli Alleati spesero mesi per inventare strumenti in grado di scardinare le fortificazioni tedesche. Crearono i “Crocodile” e gli “Avre“ : tank britannici modello Churchill con lanciafiamme per espugnare i bunker e super-mortai per sbriciolare gli ostacoli in cemento. E i “Crab”: carri americani Sherman modificati per aprire un passaggio nei campi minati, grazie a flagelli meccanici che letteralmente frustavano il terreno con catene d’acciaio. Nelle spiagge dello sbarco questi veicoli corazzati sembravano proprio enormi granchi, impegnati a stritolare i capisaldi del Terzo Reich. Il generale Percy Hobart aveva allestito un’intera divisione con centinaia di queste macchine, così insolite da venire chiamate “le follie di Hobart”: erano gli attrezzi che servivano a scassinare il Vallo Atlantico realizzato dal feldmaresciallo Rommel per tenere l’Europa sotto il dominio nazista. E nonostante questo dispendio di tecnologie, ci vollero 84 giorni per sconfiggere le armate germaniche in Normandia.
  Esattamente 79 anni dopo, lo scorso 6 giugno, le brigate ucraine hanno cominciato la grande controffensiva senza premurarsi di avere qualcosa di simile. Hanno dimenticato la lezione di storia militare più antica: per espugnare una fortezza bisogna aprire una breccia, compito affidato ai genieri d’assalto o - nella tradizione italiana - al genio guastatori. Ricordate la terribile scena iniziale di “Salvate il soldato Ryan”? In mezzo alle raffiche e alla carneficina, una squadra di questi specialisti creava un passaggio nel muro di filo spinato ed eliminava il nido di mitragliatrici: il varco che permetteva ai fanti americani di uscire dal mattatoio di Omaha Beach. Invece i generali di Kiev hanno scatenato l’attacco della linea difensiva più agguerrita dell’era moderna privi di reparti e di mezzi per superare le barriere russe. I giganteschi Leopard 2 sono stati immobilizzati dalle mine, i cingolati Bradley donati dagli Usa hanno terminato la corsa davanti al tiro incrociato delle postazioni nemiche e non c’era nessuno che si occupasse di creare un varco. Non c’erano neppure i tank muniti di gru per rimorchiare i blindati danneggiati: decine di prodigi della tecnologia occidentale restano da settimane abbandonati nei prati, sotto il fuoco dei cannoni di Mosca.
  I comandanti ucraini infatti hanno completamente ignorato l’importanza dei genieri d’assalto, che nel cuore dei combattimenti gettano ponti sui torrenti, aprono varchi nei campi minati, fanno saltare in aria i fortini, portano via i mezzi colpiti prima che l’artiglieria li distrugga. Kiev non ha schierato nessuno di questi sistemi, spingendo le colonne corazzate verso le trappole piazzate dagli invasori lungo tutta la linea fortificata che blocca la marcia verso la Crimea.
  I risultati si vedono: la controffensiva non avanza da 48 giorni. Per avere un termine di paragone, la prima battaglia di El Alamein è durata 19 giorni; la seconda 26; quella delle Ardenne si è conclusa in 42 e l’enorme scontro di Kursk tra tedeschi e sovietici si è chiusa dopo 52 giorni: quasi lo stesso tempo perso dagli ucraini senza intaccare le muraglie issate dal Cremlino.
  Forse l’alto comando ucraino non aveva alternative: l’addestramento di un geniere d’assalto richiede molto più dei tre mesi di corso che hanno formato le nuove brigate di Kiev. Sono soldati molto speciali che devono avere competenze da ingegneri in esplosivi, meccanica, geologia unite a un senso tattico tale da permettergli di individuare le soluzioni nel caos delle sparatorie. “Aprire una breccia è la più difficile delle operazioni combinate - ha scritto il generale australiano Mike Ryan commentando la situazione della controffensiva -. Non soltanto tutte le unità sul campo devono muoversi insieme in una serie di azioni strettamente coordinate, ma devono anche ingannare il nemico e impedirgli di capire dove e quando colpiranno. E fare tutto ciò sotto il fuoco”.
  In più questi reparti hanno bisogno di veicoli “pioniere” speciali: tank con gru che sollevano 30 tonnellate, altri con vomeri e rulli d’acciaio che spazzano via le mine o che lanciano razzi particolari - chiamati le vipere - per aprire un passaggio nei campi cosparsi di ordigni.
  La colpa è anche della Nato, che non si è preoccupata di fornirli. Ma gli eserciti occidentali sono molto gelosi di queste dotazioni. L’Italia, ad esempio, ha mandato in pensione da vent’anni tutti i carri armati Leopard 1, tranne le versioni che trainano, sminano, gettano ponti: per tutti queste è stato appena finanziato un ulteriore programma di modernizzazione. E solo dopo il vertice di Vilnius, Germania e Svezia hanno donato una manciata di “tank pioniere” all’Ucraina, immediatamente trasferiti in prima linea. Ma la lezione che arriva dal campo di battaglia è drammatica e tutti i comandi atlantici stanno rivedendo le tattiche. Nei due decenni di missioni di pace, ai genieri guastatori era stato affidato il compito di eliminare gli Ied, gli ordigni artigianali dei miliziani jihadisti: ora si recuperano dai magazzini i veicoli parcheggiati alla fine della Guerra Fredda, aggiornandone l’uso con le informazioni raccolte dai droni.
  Quello che è stato provato nelle esercitazioni condotte in Sardegna a maggio dalla task force d’intervento rapido della Nato e dal Comando di Vertice Interforze italiano: l’attività dei guastatori è tornata al centro della manovra d’assalto. Chissà che nelle prossime settimane questo non avvenga pure nella pianura tra il Dnipro e il Mar d’Azov.
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Alcuni commenti all’articolo riportati sullo stesso giornale:

Nella impossibilità di continuare a sostenere la disastrosa idea del "armare l'Ucraina significa sconfiggere la Russia" e dopo 1 anno e mezzo di tributi inimmaginabili in termine di vite umane (ed economiche per gli Italiani), questo giornale deve iniziare prudentemente a rassegnarsi al fatto che seguitare a fare la guerra alla Russia perché Biden ha bisogno di essere rieletto non è una mossa felice. Non mancano naturalmente i commentatori che, registrando questo "cambio di rotta", lo attribuiscono ad una improvvisa genuflessione alla propaganda putiniana. Imbarazzante.

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Gli alleati sbarcarono il 6 giugno ed aprirono le prime brecce in agosto con enormi perdite e con enorme dispendio di mezzi. Nulla di paragonabile alla situazione odierna.
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Ma infatti Nato e fascisti Ucraini sono da paragonare con la Wehrmacht (di cui simboli le divise Ucraine sono ampiamente decorate) che nelle steppe orientali, contro l'Armata Rossa, subirono la sconfitta che cambio il corso della guerra ....
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"La guerra e' una cosa troppo seria per lasciarla ai generali" diceva Clemenceau! Strategie sballate, aiuti militari e tecnologie inadatti a superare ostacoli ignorati o sottovalutati da comandanti incapaci! Ed intanto, giovani soldati muoiono o rimangono menomati, in attesa che bombe a grappolo inesplose continuino poi l'opera coi civili.
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Cosa si aspetta a "convincere" Zelinsky che la sua vittoria fino alla liberazione della Crimea e' pura utopia e che e' ora si inizino trattative sulla base di qualche rinuncia fatta in nome della CONVENIENZA che regola le cose del mondo? Onore, giustizia, Patria, concetti astratti di cui cinicamente si serve chi vede nella prosecuzione del conflitto una, fonte di vantaggi, materiali o politici che siano. Immagino ora l'ira dei guerrieri da salotto, degli strateghi dello "armiamoci e partite",, dei fautori della guarra ad oltranza, ma con la pelle altrui.

(la Repubblica, 23 luglio 2023)

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Non solo di virus si può morire

Riflessione sui lunghi mesi in cui la pandemia ha imposto il distacco sociale

di Giuse Alemanno

Non so voi, gentili lettori, ma io saltuariamente ripenso a quello che ci è capitato. Non riesco a dimenticare i lunghi mesi in cui la pandemia ha imposto il distacco sociale. È stato un brutto periodo, con drammatiche conseguenze. Non ultima, dannosa quasi quanto il virus, la progressiva perdita di fiducia nell’informazione. Soprattutto quando si è caratterizzata nella contrapposizione infuocata tra chi era favorevole e chi era contrario alle vaccinazioni.
  La posizione maggioritaria era quella dei ‘favorevoli’, ma i contrari han battagliato alla selvaggia in tutti i modi possibili. Ragione, torto … vallo a capire! Anche perché, a distanza di tempo, iniziano a filtrare le prime ammissioni relative all’incerta sicurezza di alcuni vaccini, sdoganando l’ira di coloro che - forse con troppo semplicismo - sono stati etichettati con sufficienza ‘complottisti’ o ‘no vax’. Eppure non si è trattato mai di uno sparuto gruppo di fanatici. Per niente!
  Tali prese di posizione tenaci non riguardano, inoltre, solo i rimedi anticovid. Negli Stati Uniti, per esempio, ‘The sound of freedom’, l’ultimo film di Mel Gibson – una delle star di Hollywood più conosciute al mondo - sta spaccando i botteghini con una storia che pare scoperchi i segreti indicibili di lobbies esecrande: tratta di bambini, satanismo, traffico d’organi, sfruttamento sessuale e tutto il peggio che si possa immaginare. Figurarsi che ‘The sound of freedom’ sta superando gli incassi dell’ultimo ‘Mission: impossible’.
  Ma anche nel caso del film di Gibson si sprecano le polemiche: denuncia epocale o mistificazione cinematografica? Esigenza di giustizia o becera operazione di marketing? Ci fosse una informazione efficace e capillare, si potrebbe giungere a una risposta. Invece nisba. Così continueremo a convivere con teorie contrapposte, perdendoci la testa. Come con i vaccini. Come la già scalpitante campagna elettorale per le future elezioni regionali pugliesi. Uguale.
  Non va bene. Da questa umile colonna domenicale giunge, così, una richiesta: se, maledettamente, dovessimo cascare in un’altra pandemia o in un’altra campagna elettorale di qualsiasi natura, fosse pure quella che osanna il vicesottopostoaggiunto alla pigiatura del bottone dell’ascensore in uso al maggiordomo del segretario del prossimo presidente della regione Puglia, desidero che l’informazione sia immune da retro pensieri, illazioni e sospetti. Perché di virus e di lobby si può morire, di comunicazione inquinata … pure!

(La Gazzetta del Mezzogiorno, 23 luglio 2023)

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Il salmista ignoto

Un magistrale virtuosista della parola di Dio.

di Marcello Cicchese

Il salmo 119 è il più lungo e il più strano di tutti i salmi. È unico. Chi per la prima volta avesse la pazienza di leggerlo di continuo tutto, dall'inizio alla fine, potrebbe forse arrivare alla conclusione che si tratta di un abile virtuosismo letterario. L'autore - così sembra - prende sette termini di significato affine (parola, legge, comandamenti, precetti, statuti, giudizi, testimonianze), le collega tra loro in un insieme di frasi abilmente intrecciate e di significato simile, ottenendo alla fine una composizione di un certo interesse letterario, ma apparentemente povera di contenuto.
  La formalità dell'opera potrebbe essere sottolineata da come si presenta il testo: ventidue strofe corrispondenti alle ventidue lettere dell'alfabeto ebraico, in cui ogni versetto comincia con la lettera della strofa in cui si trova. Un'indubbia abilità letteraria.
  Quanto al contenuto, l'incredulo potrebbe concludere che si dicono sempre le stesse cose, e che il testo non ha né capo né coda, e che continuando con quello stile si potrebbe andare avanti all'infinito.
  A quest'ultima osservazione si potrebbe rispondere subito facendo osservare che l'opera non può essere allungata per il semplice fatto che non ci sono altre lettere ebraiche da usare per aggiungere altre strofe. Ventidue sono le lettere ebraiche e ventidue devono rimanere le strofe. Non manca alcuna lettera all'abbecedario di Dio.
  L'apparente virtuosismo del salmo potrebbe farne venire in mente un altro a cui si potrebbe accostare, non letterario ma musicale: L'Arte della fuga di Johann Sebastian Bach. Qualcuno che avesse la pazienza di ascoltare per intero, di continuo, per quasi un'ora e mezza, questo capolavoro di Bach al pianoforte, potrebbe forse concludere che secondo lui è sempre la stessa musica, più volte ripetuta e con poche variazioni. In realtà le cose non stanno così: le variazioni che si susseguono sono come fini ricami artisticamente pensati e magistralmente disposti in un ordito musicale fortemente strutturato. In quella partitura, scritta negli ultimi anni della sua vita, Bach ha messo in rilievo la ricchezza della struttura musicale che sta alla base del contrappunto, e anche, secondo studiosi del grande musicista, ha voluto esprimere quello che sta alla base del suo personale modo di intendere e vivere la musica: in altre parole Bach ha espresso se stesso come musico. Qualcosa del genere si potrebbe dire del virtuosista del salmo 119.
  Quanto alla reazione che questo salmo può provocare in un credente, si può dire che può mettere in imbarazzo sia ebrei sia cristiani.
  Il salmo è ebreo che più ebreo non si può. E' formalmente intraducibile, perché come si potrebbe rendere in altra lingua il "virtuosismo letterario" dell'acrostico? Considerato il valore che in ambito ebraico si attribuisce al testo scritto, e in particolare ad ogni singola lettera, è inevitabile che ogni traduzione in altra lingua sia destinata a far perdere per strada pezzi di significato che il testo potrebbe contenere. Quanto al tema, non potrebbe essere più ebraico: la Torà, presentata in una molteplicità di formulazioni variamente intrecciate.
  D'altra parte, questo testo così tanto ebreo è privo di essenziali riferimenti alla storia del popolo ebraico: non vi si nomina mai Israele né alcun personaggio della sua storia; non si parla di tempio, né di tabernacolo sacerdoti sacrifici. Si parla ripetutamente di precetti, ma non si dice mai in quale modo concreto si potrebbe metterli in pratica. Non dico tutti, ma almeno uno, almeno il sacro Shabbat, che tanta discussione ha provocato e provoca ancora tra gli ebrei. E invece niente: il Sabato non è neppure nominato.
  L'imbarazzo dei cristiani invece è diverso. Abituati a non tenere in gran conto "la legge fatta di comandamenti in forma di precetti" (Efesini 2:15), che l'apostolo Paolo presenta come un "muro di separazione" che Gesù ha abolito nel suo corpo (Efesini 2:14), i cristiani possono rimanere perplessi davanti ad un'esaltazione così appassionata della legge ebraica. Come considerare questo salmo? Come inserirlo nella presentazione del piano di salvezza di Dio? Se i riferimenti alla legge presenti nel testo sono da intendere come un generico invito a tenere in gran conto la parola di Dio nel suo significato più ampio, dove si troverà un fedele cristiano che in tutta onestà potrebbe ripetere in preghiera le ardite espressioni con cui il salmista si rivolge a Dio:

    io ho osservato le tue testimonianze (22),
    io osserverò sempre la tua legge (44),
    io non devìo dalla tua legge (51),
    io non ho dimenticato la tua legge (61),
    io osservo i tuoi precetti con tutto il cuore (69),
    io non ho abbandonato i tuoi precetti (87),
    ho giurato e lo manterrò di osservare i tuoi giusti giudizi (106),
    io non mi sono sviato dai tuoi precetti (110),
    io osserverò i comandamenti del mio Dio (115),
    io ho fatto ciò che è retto e giusto (121),
    io non dimentico i tuoi precetti (141),
    osserverò i tuoi statuti (145),
    osserverò le tue testimonianze (146),
    non ho dimenticato la tua legge (153),
    non devìo dalle tue testimonianze (157),
    ho messo in pratica i tuoi comandamenti (166),
    ho osservato i tuoi precetti e le tue testimonianze (167),
    ho scelto i tuoi precetti (173),
    non dimentico i tuoi comandamenti (176).

Ma chi è costui? vien voglia di dire. Ed è proprio questa la domanda che potrebbe mettere in imbarazzo sia ebrei sia cristiani.
  Comincio allora col raccontare il mio imbarazzo di cristiano.
  Fin da giovane ho capito che la Bibbia o si capisce con tutto se stesso o non si capisce. Nel mio tragitto di fede abbastanza presto mi sono sentito attratto dal salmo 119, e forse proprio per riuscire a spiegarmi il motivo di questa attrazione ho cominciato a studiarlo più a fondo.
  In seguito ho esposto i risultati del mio studio in due "campi" evangelici estivi a cui sono stato invitato come oratore. Per chi fosse interessato, ne metto qui a disposizione gli appunti.
  Come risulta anche da questi appunti, la chiave di lettura del salmo, considerato come parte della letteratura sapienziale, è esortativa: il credente è invitato a prendere esempio dal salmista, a osservare la realtà con i suoi occhi e a rapportarsi a Dio con le sue parole.
  A conferma del fatto che la Bibbia o si capisce con tutto se stesso o non si capisce, è a partire da fatti di vita personale che ho cominciato a vedere il salmo sotto una nuova luce.
  Nello sciagurato periodo degli arresti domiciliari improvvidamente imposti ai cittadini dalle nostre autorità durante il covid, nel nostro quotidiano culto familiare avevamo deciso di leggere le ventidue strofe del salmo 119, una al giorno. E così abbiamo fatto. Finito il covid, per qualche imprecisato motivo dopo qualche tempo abbiamo ripreso la lettura giornaliera di questo salmo, strofa per strofa. Ai miei familiari avevo fatto una breve introduzione di questo tipo: questo è un salmo che non ha particolari riferimenti storici o cultuali a Israele, né si rivolge a Dio con espressioni per noi irripetibili come nei salmi imprecatori, quindi le sue parole possono aiutarci a formulare le nostre preghiere e lodi a Dio nel timoroso rispetto della sua parola.
  Ma è proprio il sincero desiderio di usare in preghiera le parole di questo salmo che alla fine mi ha costretto a chiedermi: ma chi è che può pregare il Signore in questo modo?
  L'interesse per il salmo allora ha cambiato forma: dal devozionale è passato allo storico. L'attenzione è andata oltre l'aspetto devoto delle parole usate dal salmista per concentrarsi sulla persona di chi le pronuncia. Ed è arrivata la domanda: chi è l'autore?
  Le congetture in letteratura non mancano. Nelle 340 pagine dedicate al salmo 119 nel suo commentario "The Treasury of David", Charles H. Spurgeon non ha dubbi: l'autore è senz'altro Davide. E sottolinea la sua convinzione con una frase ad effetto: "Non possiamo lasciare questo salmo in mano al nemico: è bottino di Davide". Altri invece ipotizzano che l'autore sia Ezechiele, o Esdra, o un anonimo ebreo postesilico. Lo spazio temporale delle congetture quindi è molto ampio, e anche per questo forse è meglio rinunciare a fare ipotesi e tenere presente che nella Bibbia anche i silenzi parlano.
  Non si tratta dunque di soddisfare una curiosità, ma di riflettere sulla posizione che questa persona occupa nel suo rapporto con Dio e col suo popolo. Per semplicità narrativa, nel seguito a questo autore ignoto daremo un nome fittizio: Ariel.
  Diremo allora che Ariel è senz'altro un pio israelita, ma certamente non è uno qualsiasi. I suoi pensieri non sono diretti soltanto al Dio che è nei cieli, ma anche agli uomini che si muovono intorno a lui sulla terra. Ariel medita sugli statuti di Dio, ma è spinto a farlo in modo particolare quando si trova in difficoltà in mezzo agli uomini. Ariel ha dei nemici, e non sono nemici qualsiasi:

    Anche quando i principi si siedono e parlano contro di me,
    il tuo servo medita i tuoi statuti (23).

Ariel dunque non è uno sconosciuto ai potenti della terra: i principi sanno chi è, e su di lui non fanno soltanto pettegolezzi, ma siedono e parlano contro di lui; il che significa che lo prendono in considerazione e nella sede adatta, là dove siedono le persone autorevoli, parlano (cioè prendono decisioni) contro di lui.
  E che fa Ariel come reazione? lui medita. E che cosa medita? gli statuti di Dio. Indubbiamente strana, come reazione. Per meditare gli statuti di Dio - potrebbe dire un credente ebreo o cristiano - c'è sempre tempo, ma in una situazione dove si fanno strada menzogna e ingiustizia bisogna pur prendersi la responsabilità di dire o fare qualcosa. Sarà anche così, ma per Ariel la prima cosa da fare non è reagire a quello che gli uomini fanno, ma riflettere su quello che Dio ha detto. Anche in altre simili circostanze Ariel persevera nello stesso atteggiamento: ad ogni frecciata che gli arriva in orizzontale dagli uomini, lui risponde alzando gli occhi in verticale verso Dio.

    I principi mi hanno perseguitato senza ragione,
    ma il mio cuore ha timore delle tue parole
    (161).

I nemici parlano contro di lui e mentono spudoratamente:

    I superbi hanno ordito menzogne contro di me,
    ma io osservo i tuoi precetti con tutto il cuore
    (69).
    Siano confusi i superbi, perché, mentendo, pervertono la mia causa;
    ma io medito i tuoi precetti
    (78).

I nemici deridono. Probabilmente gli dicono: ma non ti accorgi di quanto sei ridicolo? Quand'è che abbandonerai la tua maniaca puntigliosa osservanza della legge? Ma Ariel non demorde:

    I superbi mi coprono di scherno,
    ma io non devìo dalla tua legge
    (51).

I nemici allora cercano di colpirlo per vie traverse:

    I superbi mi hanno scavato delle fosse;
    essi, che non agiscono secondo la tua legge
    (85).
    Gli empi mi hanno teso dei lacci,
    ma io non mi sono sviato dai tuoi precetti
    (110).
    I lacci degli empi mi hanno avvinghiato,
    ma io non ho dimenticato la tua legge
    (61)

Gli empi sono disturbati dal fatto che Ariel non si comporta come loro. Quando non si scontrano apertamente con lui, gli tendono trappole, tentano di "avvinghiarlo", cioè di spingerlo in una situazione in cui di lui si potrebbe dire che è un trasgressore della legge come tutti, come loro. Ariel rivolge gli occhi al cielo e rassicura il Signore:"ma io non ho dimenticato la tua legge", io non mi sono sviato dai tuoi precetti".
  Gli empi però non scherzano, anche loro sono tenaci: aspettano l'occasione buona per farla finita con quel molesto implicito accusatore dei loro costumi:

    Gli empi mi hanno aspettato per farmi perire,
    ma io considero le tue testimonianze
    (95).
    Mi hanno fatto quasi sparire dalla terra;
    ma io non ho abbandonato i tuoi precetti
    . (87).

Non è un bel vivere, quello di Ariel: sapere che qualcuno s'interessa a te, ti conosce, ti studia, cercando il momento adatto per colpirti a morte non è piacevole. Ma lui reagisce considerando le testimonianze di Dio, che vanno intese come formule di garanzia della Sua giustizia, potenza e fedeltà. Da queste testimonianze Ariel si sente protetto, perché da esse si ricava la certezza che le questioni di giustizia sono stabilmente assicurate fin dall'origine.
  Ma chi l'ha detto, che sono assicurate? l'ha detto Dio. Ma è proprio vero? ci sono testimoni, Dio stesso è testimone: è testimone di Se stesso.
  Ecco perché Ariel dice: "ma io considero le tue testimonianze". E non solo le considera, ma le ama:

    Tu togli via come schiuma tutti gli empi dalla terra;
    perciò amo le tue testimonianze (119).

Ariel ama le testimonianze che rivelano quello che Dio farà agli empi che sono sulla terra. Gli empi dunque non sono da temere, e tanto meno da invidiare. Infatti:

    La salvezza è lontana dagli empi,
    perché non cercano i tuoi statuti
    (155).

E quando i nemici si fanno avanti con malizia cercando di seminare dubbi in Ariel, lui sa come superarli in fatto di intelligence, e dice al Signore:

    I tuoi comandamenti mi rendono più saggio dei miei nemici;
    perché sono sempre con me.

    Ho maggiore comprensione di tutti i miei maestri,
    perché le tue testimonianze sono la mia meditazione
    (98-99).

Le testimonianze a cui Ariel si riferisce possono essere considerate "comandamenti con promessa". Se all'inizio del salmo dice: "Beati quelli che osservano le sue testimonianze" (2), è perché sa che nell'osservanza della volontà di Dio è contenuta una promessa di beatitudine.
  Ariel dunque può essere deriso, oppresso, ma non è depresso. Al contrario: è gioioso. Non perde tempo a soppesare le minacce e le derisioni dei nemici, ma da queste è invogliato a considerare con sempre maggiore impegno le testimonianze del suo Signore. E allora gioisce.

    Gioisco seguendo le tue testimonianze,
    come se possedessi tutte le ricchezze
    (14).
    Le tue testimonianze sono la mia eredità per sempre,
    perché sono la gioia del mio cuore
    (111).
    Sì, le tue testimonianze sono il mio diletto;
    esse sono i miei consiglieri
    (24).

Ariel dunque ha un rapporto con Dio di devota e totale sottomissione alla sua legge, e trova la forza di resistere alle angherie dei suoi nemici applicandosi sempre più convintamente e con gioia alla considerazione attenta e appassionata della parola di Dio in tutte le sue espressioni.
  Non si pensi però che Ariel è uno di quelli che si rifugiano nell'intimo del privato per sfuggire alle brutture del pubblico. Vedremo in seguito che Ariel è capace di fare considerazioni non soltanto sulla legge di Dio, ma anche sugli uomini che si muovono intorno a lui. E anche con parole forti.

(1. continua)
(Notizie su Israele, 23 luglio 2023)


 

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Israele, migliaia in marcia verso la Knesset contro la riforma della giustizia

29esima settimana di proteste e ultima tappa della marcia, disperato tentativo di fermare la modifica voluta dal governo Netanyahu: oggi il tratto finale del corteo che attraverserà Gerusalemme.

Decine di migliaia di persone stanno marciando verso la Knesset, il Parlamento israeliano, nel tentativo di fermare la riforma della giustizia voluta dal governo del premier Benjamin Netanyahu per limitare il potere dei magistrati. E’ l’ultima tappa della marcia e l’ultimo disperato tentativo di fermare la riforma, con il tratto finale del corteo che attraverserà Gerusalemme. Numerosi i rallentamenti del traffico, come scrive il Times of Israel. ”Non c’è dubbio che questo è un momento storico, la quantità di partecipanti qui è incredibile. Ogni persona è venuta da un luogo diverso, preoccupata per il destino del Paese”, ha detto al sito di Ynet un manifestante di Tel Aviv, Guy Shahar.
  Una volta arrivati davanti alla Knesset, gli organizzatori hanno in programma di allestire tende a Gan Sacher e rimanere lì per un periodo di tempo indefinito. Tutto questo mentre la coalizione di governo si prepara a trasformare in legge il divieto ai tribunali di annullare le decisioni governative e ministeriali in base alla loro “ragionevolezza”. Oltre alla grande protesta di stasera davanti alla Knesset, coloro che si oppongono alla legge dovrebbero riunirsi davanti alla residenza del primo ministro Netanyahu a Gerusalemme, così come a Kaplan Street a Tel Aviv. Questa è la 29esima settimana di proteste a livello nazionale contro la riforma giudiziaria sotto lo slogan “Non lasceremo che (Netanyahu, ndr) distrugga la nostra casa”.

(Radio Colonna, 22 luglio 2023)

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Una carriera da favola col pallone

È un altro grande passo nell'ancor breve carriera di Manor Solomon. Con il passaggio al Tottenham Hotspur, per il calciatore israeliano si aprono molte nuove porte. Fino ad ora il suo percorso è stato sempre in crescita.

di Valerie Wolf

Manor Solomon
Si guarda intorno allo stadio del Tottenham Hotspur con incredulità e quasi stupore. Sopra di lui c'è un enorme schermo con la sua immagine e la scritta in inglese "Welcome Manor Solomon". Una troupe che lo accompagna riprende i primi momenti del suo arrivo. Quando gli viene chiesta la sua prima impressione, le uniche parole che gli vengono sulle labbra sono "incredibile" e "indescrivibile". Il giovane israeliano è visibilmente colpito.
  Solo pochi giorni fa, il calciatore 23enne ha firmato un contratto di cinque anni con il Tottenham Hotspur, club della Premier League inglese. Dopo che le voci si sono moltiplicate, il club ha finalmente annunciato la conclusione del contratto martedì della scorsa settimana. Solomon si unisce al club in trasferimento gratuito dal club ucraino Shakhtar Donetsk.
  La scorsa stagione ha giocato in prestito per il Fulham FC, che ha concluso la stagione al 10° posto in classifica. Con il trasferimento agli "Spurs", come viene spesso chiamato il club ricco di tradizione, l'ala dribblatrice compie un altro grande passo nella sua ancora giovane carriera.

• Da Israele alla Champions League
  Solomon è nato e cresciuto nella città israeliana di Kfar Saba, a circa 15 chilometri a nord-est di Tel Aviv. All'età di cinque anni sognava già di diventare un calciatore professionista. Figlio di un insegnante e di una maestra, viene sostenuto attivamente dai genitori.
  All'età di 17 anni ha fatto il suo debutto da professionista per il vicino club di prima divisione Maccabi Petach Tikva. In un totale di 73 presenze, segna otto gol e sei assist. Durante la pausa invernale della stagione 2018/2019, Solomon si trasferisce allo Shakhtar Donetsk, che partecipa alla Champions League ucraina. Lasciare la famiglia e i genitori è stato molto difficile per lui, come racconta nella sua prima intervista a "Spursplay", la piattaforma cinematografica di proprietà del Tottenham.
  Ma il passo verso l'Europa paga. Nello stesso anno vince il campionato con lo Shakhtar e la Coppa d'Ucraina, paragonabile alla DFB Cup tedesca. Nella finale contro l'Inhulez Petrowe, segna l'ultimo gol della serata e il suo primo per il Donetsk pochi minuti dopo essere entrato come sostituto. E ne sono seguiti altri. Ha segnato un gol molto speciale nella partita di Champions League contro l'Atalanta di Bergamo. È diventato così il più giovane israeliano a segnare in questa competizione.
  Anche i responsabili della nazionale israeliana si sono convinti presto del talento del giovane giocatore. Dopo essere passato per tutti i settori giovanili, Solomon ha debuttato nella squadra maschile nel 2018 sotto la guida dell'allora allenatore Andreas Herzog. Nella partita di Nations League contro la Scozia, un torneo organizzato dalla federazione calcistica europea UEFA, ha segnato per la prima volta per il suo Paese nel 2020. Sui social media ha scritto: "È stato molto divertente segnare il mio primo gol con la maglia della nazionale”.

• Addio dall'Ucraina a causa della guerra
  Dopo un totale di 106 partite competitive, 22 gol e nove assist, Solomon si trasferirà in prestito al Fulham FC nella Premier League inglese nell'estate del 2022. Questo trasferimento è reso possibile da un regolamento speciale dell'associazione calcistica mondiale FIFA, che consente a giocatori e allenatori attivi in Ucraina e Russia di lasciare in anticipo i propri club.
  Anche in questo caso, la guerra in Ucraina sta lasciando il segno. Dopo la sospensione del gioco all'inizio della guerra, il gioco è ora ripreso, accompagnato da nuove regole. La vicinanza a un rifugio antiaereo fa ora parte del regolamento.
  Per Solomon, il cambiamento significa una grande opportunità nonostante le circostanze difficili: con il Fulham FC, ha la possibilità di mettersi alla prova in quello che è attualmente il miglior campionato del mondo. Nonostante sia temporaneamente rallentato da un infortunio al ginocchio, riesce a segnare cinque gol in 24 presenze. La sua abilità nel dribbling - la capacità di tenere il pallone vicino al piede - e la sua velocità sono particolarmente sorprendenti. Non sorprende quindi che il Fulham FC sia intenzionato a tenerlo e che anche gli Spurs abbiano manifestato interesse.

• Il secondo israeliano del Tottenham
  Dopo Ronny Rosenthal, Solomon è il secondo israeliano a giocare nel Tottenham. L'ormai 59enne ha collezionato 94 presenze e otto gol nei suoi tre anni e mezzo a Londra. Con il suo precedente club, il Liverpool FC, si è addirittura laureato campione d'Inghilterra nel 1990.  Il giovane Solomon dovrebbe avere in serbo una carriera altrettanto ricca di successi, se non addirittura di più.
  Per la sua prima stagione con i finalisti della Champions League 2019, vuole mostrarsi nel miglior modo possibile e sostenere la squadra con tutte le sue forze. Con il nuovo allenatore, Ange Postecoglou, l'obiettivo è quello di tornare a giocare un calcio d'attacco attraente e appassionante. Uno stile che dovrebbe adattarsi molto bene a Solomon. Ma le richieste e le aspettative sono alte, e lui ne è consapevole.
  Per il giovane israeliano, che compirà 24 anni lunedì prossimo, questa nuova sfida è un grande sogno che si realizza. Solo qualche anno fa, non l'avrebbe ritenuto possibile. Resta ora da vedere quanto lontano lo porterà il suo percorso.

(israelnetz, 21 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Archeologia, la grotta di Teomim a Gerusalemme probabile luogo di riti magici 1.700 anni fa

di Ilaria Ester Ramazzotti

Le lampade ad olio trovate nella grotta di Teomim
Gli esploratori britannici avevano mappato per la prima volta la grotta di Teomim, una grande grotta carsica sulle colline di Gerusalemme, nel 1873. Ma è stato solo nell’ultimo decennio, quando gli archeologi hanno iniziato a esplorare altre camere interne del sito, che è stata scoperta una serie di oggetti curiosi, come pezzi di tre teschi umani, 120 lampade a olio e ceramiche antiche (oltre ad armi risalenti all’età del Bronzo), tutti accuratamente immagazzinati e nascosti in profondità nelle fessure della roccia. Gli esperti ritengono oggi che il misterioso luogo possa essere stato dedicato alla pratica della negromanzia durante il periodo tardo-romano, intorno al 300 d.C. Secondo un articolo pubblicato questa settimana sulla Harvard Theological Review, la grotta di Teomim vicino a Beit Shemesh potrebbe in particolare essere stata considerata un portale per gli inferi e utilizzata per la magia rituale circa 1.700 anni fa.
  “L’intera area ha subito una trasformazione radicale dopo la fine della rivolta di Bar Kokhba – ha spiegato al Times of Israel Boaz Zissu, archeologo dell’Università Bar Ilan che studia la grotta dal 2009 insieme a Eitan Klein dell’Autorità israeliana per le antichità -.  In precedenza, questa era un’area ebraica, poi vi sono entrati […] coloni pagani romani”.

• Teomim, una grotta dalle proprietà curative e luogo di antichi riti magici
  Il 17 ottobre 1873, nell’ambito della loro ricerca Survey of Western Palestine, gli esploratori britannici si sono addentrati nella grotta carsica che gli abitanti del luogo chiamavano Mŭghâret Umm et Tûeimîn o “la grotta della madre dei gemelli”, rilevando che gli abitanti del luogo attribuivano proprietà curative all’acqua sorgiva che vi sgorgava. Il nome “madre dei gemelli” era infatti scaturito da una leggenda locale che narrava di una donna che aveva dato alla luce due gemelli dopo aver bevuto quell’acqua per curare la sua sterilità.
  Quando Boaz Zissu e gli altri esploratori israeliani, partire dal 2009, sono entrati in alcune camere interne della grotta, vi avevano in primis rinvenuto delle monete d’argento e d’oro lasciate all’epoca della rivolta di Bar Kokhba. Poi, si susseguirono altre strane scoperte, tra cui lampade a olio incastrate in fessure nella roccia, che gli antichi utilizzatori estraevano con un lungo gancio di metallo. “A un certo punto abbiamo capito la logica degli antichi e dove mettevano le lampade e abbiamo iniziato così a rinvenirne altre – ha aggiunto Boaz Zissu sempre al Times of Israel -. Le persone che hanno nascosto queste lampade a olio hanno là immagazzinato anche altri manufatti molto più antichi, come armi dell’età del bronzo, teste d’ascia e punte di lancia”.
  Gli antichi credenti pagani, secondo le loro antiche usanze, istituivano santuari o oracoli dei morti in grotte che avevano una serie di caratteristiche specifiche, tra cui una fonte d’acqua naturale e un pozzo profondo, perché pensavano che conducesse agli inferi e che i defunti lo potessero utilizzare per risalire in superficie e comunicare. Secondo alcune fonti storiche e archeologiche, esisteva un oracolo dei morti vicino a quasi tutte le città del mondo greco-romano. Anche la grotta di Teomim mostra al suo interno un pozzo naturale di 21 metri e una sorgente. Un tempo, l’acqua che vi sgorgava veniva raccolta in una vasca scavata nella roccia e, secondo la tradizione pagana, possedeva proprietà terapeutiche.
  “Fin dai primi giorni dell’esplorazione era chiaro che la grotta aveva un qualche tipo di significato religioso o magico – ha sottolineato l’archeologo Zissu -. Abbiamo allora pensato che facesse parte di un santuario o che fosse collegata a qualche tipo di rituale legato al mondo sotterraneo e che forse era legata alla storia di Persefone, regina degli Inferi nella mitologia greca e romana, spesso venerata nelle grotte”. Ma uno dei problemi nell’identificazione e della comprensione delle pratiche magiche in archeologia è che spesso la magia veniva praticata in segreto e non veniva documentata. “In alcuni periodi l’usanza fu dichiarata illegale – ha spiegato Eitan Klein dell’Autorità israeliana per le antichità -. In ogni caso, le autorità la consideravano negativamente”. Tuttavia, ha chiosato Boaz Zissu, non avremo mai la certezza: “È solo un’idea, una suggestione”, un’ipotesi. “Non abbiamo la prova definitiva che si tratti di questo”.
  Ci sono anche prove che gli antichi ebrei praticassero la negromanzia, tra cui un teschio che un collezionista di nome Shlomo Moussaieff aveva acquistato sul mercato delle antichità, che riporta un giuramento ebraico scritto in aramaico, probabilmente un incantesimo contro un demone. I rabbini del Talmud di Gerusalemme e babilonese tuttavia, come noto, condannano l’uso di “evocare i morti per mezzo di indovini e di chi consulta un teschio”. (Sanhedrin 65b).

(Bet Magazine Mosaico, 21 luglio 2023)

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Cento modellini dell'arca di Noè verranno esposti in Israele

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Dopo oltre due anni di ricerche in tutto il mondo, il rabbino Nathan Slifkin ha raccolto una collezione di cento modellini dell'arca di Noè, che saranno esposti al Museo Biblico di Storia Naturale di Beit Shemesh, in una mostra chiamata “The Ark of the Ark”.
  "Alcuni degli oggetti sono stati trovati in siti di vendita online come eBay, mentre altri in siti Internet e da persone disposte a vendere dalle loro collezioni private", ha spiegato Slifkin. "Cercavo oggetti speciali, ma ho trovato interessante il fatto che in tutti i paesi, l'enfasi dell’arca di Noè fosse sugli animali insieme a particolari riferimenti culturali. Ad esempio, un artista in Perù ha posto l'accento su un lama, mentre in Israele, sono maggiormente evidenziati gli animali biblici", ha aggiunto.
  Una degli esemplari più particolari trovati da Slifkin è proveniente dalla Cina. “Noah e sua moglie avevano gli occhi a mandorla ed erano circondati da panda, tigri e bufali d'acqua asiatici. - ha raccontato al sito di notizie israeliano - Quella era un'arca unica che era stata scolpita a mano da un'artista la cui famiglia era riluttante a vendere. Solo dopo che abbiamo detto loro che sarebbe stato esposto in un museo in Israele hanno accettato".
  Spilkin ha sottolineato come i costi delle arche differissero da un posto all'altro. I più costosi erano valutati intorno ai mille dollari.

(Shalom, 21 luglio 2023)

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Gli Stati Uniti stanno perdendo Israele

Israele potrebbe riconsiderare il valore che ha l’essere troppo legato a un alleato inaffidabile e spesso volubile.

di Lawrence Solomon

GERUSALEMME - I mantra "le relazioni tra Stati Uniti e Israele sono solide come una roccia" e "gli Stati Uniti coprono le spalle a Israele" - così spesso sbandierati da entrambi i Paesi - potrebbero starsi logorando in Israele.
  Con gli Stati Uniti che corteggiano l'Iran e si ritirano dal loro ruolo dominante in Medio Oriente, la Cina che entra nella regione per riempire il vuoto e la Russia che consolida la sua presenza negli Stati sunniti e sciiti, Israele comprensibilmente gioca sul sicuro. Intrattiene relazioni diplomatiche sia con la Russia che con la Cina, i principali rivali degli Stati Uniti, e mantiene un'alleanza con l'industria della difesa indiana.
  Israele sa che gli americani non l'hanno mai sostenuto veramente. Durante la guerra d'indipendenza israeliana del 1947-1948, gli Stati Uniti imposero un embargo sulle armi per impedire a Israele di difendersi dagli eserciti arabi pesantemente armati che invasero il Paese. Nella Guerra di Suez del 1956, gli Stati Uniti costrinsero Israele a ritirarsi dal Sinai e dalla Striscia di Gaza dopo aver sconfitto l'Egitto.
  Nella Guerra dei Sei Giorni del 1967, gli Stati Uniti fecero pressione su Israele affinché fermasse la sua avanzata su Damasco. Nella Guerra dello Yom Kippur del 1973, gli Stati Uniti ritardarono le forniture a Israele per paura delle critiche arabe. Il conflitto del 2014 tra Israele e Gaza, in cui gli Stati Uniti hanno temporaneamente interrotto la fornitura di armi, ha dimostrato ancora una volta che Israele non può contare sulle forniture statunitensi in tempo di guerra.
  Gli Stati Uniti si sono opposti alla distruzione da parte di Israele del reattore nucleare iracheno nel 1981 e di quello siriano nel 2007, e ora stanno aiutando l'Iran ad acquisire armi nucleari.
  Nel corso dei decenni, ogni volta che Israele si è difeso dagli attacchi dei suoi vicini, gli Stati Uniti sono intervenuti per costringere Israele a ritirarsi. Questo ha impedito vittorie decisive che avrebbero potuto evitare guerre future e portare ad accordi di pace duraturi.
  L'affermazione che Israele possa sempre contare sull'aiuto militare americano è una finzione che entrambi i Paesi vogliono mantenere. Gli Stati Uniti lo fanno per rassicurare la popolazione ebraica interna. Israele lo fa per far sì che i suoi nemici vedano Israele molto più forte.
  Israele apprezza il sostegno americano ma - contrariamente a quanto si crede - non ne ha bisogno.
  "Israele sa come cavarsela da solo di fronte a qualsiasi sfida alla sicurezza", ha dichiarato di recente il Capo di Stato Maggiore dell'IDF Herzl Halevi alla Radio dell'Esercito. "È positivo che gli Stati Uniti siano al nostro fianco, ma non è assolutamente necessario". Anche l'ex ministro della Difesa israeliano Moshe Arens ha messo in dubbio l'importanza degli aiuti statunitensi.
  Il sostegno americano, che comprende circa 4 miliardi di dollari all'anno in aiuti militari, è un'arma a doppio taglio, in parte perché ha dei vincoli. Israele deve spendere la maggior parte del denaro per le armi statunitensi, che non sempre offrono un buon rapporto qualità-prezzo. Peggio ancora, le sovvenzioni inducono molti americani a credere che Israele debba rendere conto agli Stati Uniti, dando ai critici di Israele l'opportunità di intromettersi negli affari israeliani.
  In realtà, Israele ha meno bisogno degli Stati Uniti e gli Stati Uniti hanno più bisogno di Israele di quanto molti critici vogliano credere. Mentre l'IDF potrebbe cavarsela senza le sovvenzioni statunitensi, le capacità dell'esercito americano in Medio Oriente sarebbero gravemente ostacolate senza le risorse israeliane.
  Il generale George Keegan, ex capo dell'intelligence dell'aeronautica statunitense, una volta ha detto che l'intelligence che Israele fornisce agli Stati Uniti è equivalente a quella fornita da cinque CIA.
  Il generale Alexander Haig e l'ammiraglio Elmo Zumwalt hanno dichiarato: "Israele è la più grande portaerei statunitense che non richiede soldati americani a bordo, non può essere affondata ed è dislocata in una regione estremamente critica - tra Europa, Asia e Africa, e tra Mediterraneo, Mar Rosso, Oceano Indiano e Golfo Persico. Questo eviterà agli Stati Uniti di costruire, dispiegare e mantenere alcune altre vere portaerei e ulteriori divisioni di terra, che costerebbero ai contribuenti americani circa 15 miliardi di dollari all'anno".
  I governi degli Stati Uniti sono stati spesso molto autoritari nelle loro relazioni con Israele, ma l'amministrazione Biden è stata particolarmente ostile, riflettendo la crescente ostilità della sinistra progressista americana nei confronti di Israele. Ha definito il governo israeliano estremista, ha rimproverato Israele su ogni tipo di questione e ha rifiutato di invitare il Primo Ministro Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca.
  Le relazioni tra America e Israele sono tutt'altro che "solide". Se nel 2024 verrà eletto un governo repubblicano, è probabile che le relazioni siano ricucite. Se dovesse essere eletto Biden o un democratico progressista, Israele potrebbe riconsiderare l'utilità di essere troppo legato a un alleato inaffidabile e spesso volubile. In questo caso, gli Stati Uniti perderebbero probabilmente la loro più grande base all'estero.

(israel heute, 21 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Olimpiadi di matematica e di fisica: undici medaglie per gli studenti israeliani

di Jacqueline Sermoneta

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Ottimo risultato per le squadre israeliane che hanno partecipato alla 64esima edizione delle Olimpiadi Internazionali di Matematica (IMO) e alla 53esima edizione delle Olimpiadi Internazionali di Fisica, svolte rispettivamente a Chiba e a Tokyo, in Giappone. Tutti i giovani partecipanti tornano a casa con una medaglia al collo.
  Nella competizione di matematica 618 studenti delle scuole superiori di 112 diverse nazionalità si sono sfidati a colpi di problemi di matematica combinatoria, geometria e algebra. Nel team israeliano si è particolarmente distinto Itamar Nir di Rehovot che ha vinto l’oro, Ofer Bogoslavsky, Avner Spira e Assaf Yacouel hanno conquistato la medaglia d’argento, Yotam Amir e Ori Frankel quella di bronzo.
  Analogo successo nelle Olimpiadi di Fisica per i cinque membri della squadra israeliana che si sono aggiudicati la medaglia d’argento. In questa competizione 387 studenti, provenienti da 82 Paesi, si sono affrontati in gare teoriche e sperimentali.
  "Senza dubbio questo è un ottimo risultato, sembra che il Giappone sia il nostro portafortuna. - ha detto Gilad Cohen, ambasciatore israeliano nel Paese del Sol Levante - Attraverso questi traguardi rafforziamo i legami tra le nostre nazioni. La fonte della nostra forza qui deriva dagli obiettivi raggiunti in matematica, fisica, scienza e tecnologia”.
  In un tweet Cohen ha affermato: "Questi giovani studenti delle scuole superiori sono l’esempio delle menti brillanti che crescono nella nostra nazione. Grazie a loro oggi abbiamo un Paese leader e innovativo".

(Shalom, 21 luglio 2023)

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La Calabria Ebraica irrompe sulla tv francese

Un documentario dedicato integralmente alle mete ebraiche della Calabria [video a lato] sta riscontrando tantissimi consensi sul web. Il titolo è eloquente, ossia “En route vers le Judaisme d’Italie” (Torah-box.com) e dura circa 40 minuti. Rivolto alle comunità ebraiche di lingua francese sparse in tutto il mondo, non solo in Francia ma anche in Canada, Svizzera e Romania, questo documentario sta diventando un vero e proprio fenomeno virale su internet. Lo rende noto il giornalista e massmediologo Klaus Davi, promotore per conto di Calabria Film Commission e della Regione Calabria del progetto “Jewish Calabria” finalizzato a promuovere il turismo ebraico in Italia. Autore dell’inchiesta è il giornalista Isaac Eugenio De Giorgi che fin dall’inizio della trasmissione esorta i suoi oltre 200 mila followers a recarsi in Calabria. “E’ una regione con un rapporto molto forte e consolidato con lo Stato di Israele e gli ebrei. Qui la cultura dell’accoglienza è un diktat e praticamente nessun calabrese può dirsi non-ebreo visto che in passato le comunità erano insediate ovunque”, spiega l’autore.
  Durante i 40 minuti del documentario sfilano spettacolari immagini di Arena, Santa Maria del Cedro, Soriano, Vibo Valentia, Reggio Calabria, Belvedere Marittimo, Tarsia e Cosenza. Il giornalista, ad esempio, scandaglia il retaggio ebraico a Soriano mostrando gli artigiani che producono i dolci di mandorle seguendo le ricette ebraiche. Indaga i termini di matrice ebraica presenti nei vari idiomi calabresi in special modo ad Arena. E ancora ricorda la capillare presenza delle Giudecche ebraiche a Reggio Calabria, la culla mondiale degli incunaboli ebraici stampati a caratteri mobili. Non potevano mancare le capitali dell’ebraismo calabrese: Nicotera, culla di una Giudecca perfettamente conservata e Santa Maria del Cedro che produce, per l’appunto, il cedro che il giornalista francese definisce come ‘il frutto perfetto’, simbolo dell’incontro tra uomo e Dio. Immagini di raro lirismo che celebrano questo sincretismo perfetto, uno straordinario ‘spot’ rivolto agli oltre 20 milioni di ebrei sparsi per il mondo estremamente attaccati alle loro radici.
  “Una prova che con la nostra campagna abbiamo fatto centro, commenta il giornalista Klaus Davi, che poi annuncia “A settembre presenteremo i risultati del percorso denominato ‘Jewish Calabria’ che abbiamo iniziato nel maggio del 2022 proprio a Santa Maria del Cedro e che dopo quattro tappe si è concluso lo scorso 31 maggio a Bisignano”. E non poteva mancare una dichiarazione della signora Tina Russo D’amico, moglie del giudice catanzarese Pietro D’amico scomparso nel 2013, autore di numerosi e illuminanti saggi sulla cultura ebraica, la quale fa una clamorosa rivelazione: “Molti calabresi celebrano lo Shabbat nella intimità della propria casa. Sono i cosiddetti ‘marrani’ che costituiscono l’ossatura del giudaismo meridionale. Mio marito diceva sempre che sperava che un giorno un ragazzo o una ragazza leggesse i suoi libri perché il giudaismo in Calabria non può e non deve morire”.

(il Dispaccio, 21 luglio 2023)

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Istao, parte la nuova offerta formativa con uno sguardo al sistema sanitario israeliano

Con l’anno accademico 2022-2023 l’ISTAO ha rinnovato la propria offerta formativa ed ha organizzato per la prima volta un Master in Gestione e Programmazione dei Servizi Sanitari realizzato in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche

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ANCONA - Con l’anno accademico 2022-2023 l’ISTAO ha rinnovato la propria offerta formativa ed ha organizzato per la prima volta un Master in Gestione e Programmazione dei Servizi Sanitari realizzato in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche. Il percorso è durato 10 mesi e ha previsto 900 ore d’aula e un programma multidisciplinare molto innovativo elaborato attraverso il coinvolgimento di quasi 100 docenti (accademici, professionisti e manager) tra cui economisti, medici, ingegneri, giuristi, ed esperti della Sanità israeliana.  Il Master, di cui ad ottobre partirà la seconda edizione, ha previsto anche un focus sul Sistema Sanitario Israeliano, oggi all’avanguardia dal punto di vista tecnologico e organizzativo, si è concluso con uno Study Tour in Israele per comprendere, attraverso visite dirette, le peculiarità del modello e analizzarne i vari aspetti e i punti di forza. Lo Study Tour si è svolto dal 1° al 9 luglio, con la collaborazione dei docenti israeliani intervenuti durante l’anno, e ha previsto la partecipazione degli allievi, del Presidente dell’Istao e dei Coordinatori del Master.

• Perché Israele
  Israele, che ha un sistema sanitario pubblico considerato efficace, è fra i Paesi più innovatori al mondo ed è cuore pulsante dell’innovazione nel digital health; sede di centinaia di startup e aziende che promuovono innovazioni sull’analisi della salute, la telemedicina, le terapie sperimentali. 
  Per questo nel Master in Gestione e Programmazione dei Servizi Sanitari dell’ISTAO si è scelto di studiare un modello così avanzato ed efficiente.
  Israele ha oggi 9 milioni e mezzo di abitanti, 3 milioni in più rispetto al 2000, e continua a crescere ad un tasso di circa il 2% annuo, sia come conseguenza dell’indice di natalità (2,9 figli per donna nel 2020) sia come conseguenza dei flussi migratori. L’età media della popolazione è di 28 anni, contro i 49 dell’Italia. 
  Israele può vantare molti altri record oltre a quello demografico: la crescita esponenziale del PIL nell’ultimo trentennio (fino al raggiungimento di 522 miliardi di dollari nel 2022), il fortissimo incremento dell’export; la potenziata capacità di produrre fonti di energia internamente. A questo si aggiunga che oggi oltre il 40% del consumo di acqua proviene da impianti di desalinizzazione e questo ha permesso non solo di sfruttare al meglio tale risorsa pubblica a beneficio della popolazione, ma anche di sviluppare l’agricoltura e l’orticoltura e di rendere il territorio israeliano ricco di vegetazione di ogni tipo (Israele è l’unico Paese del Medio Oriente dove il deserto lascia il posto alla vegetazione). Lo Study Tour ha fatto base a Tel Aviv che ha una area metropolitana di circa 1,5 milioni di abitanti. Tel Aviv con i suoi dintorni è una citta multiculturale, molto aperta, dinamica, piena di giovani e fonte di attrazione per turisti di ogni parte. La città, sede di tutte le ambasciate, si affaccia su una baia sovrastata da alberghi di ogni categoria. La spiaggia pullula di locali, ristoranti e centri sportivi e anche con le alte temperature dei mesi estivi, ad ogni ora del giorno e della sera si possono vedere frotte di persone sul lungomare. Nonostante le notizie di attentati che riecheggiano frequentemente sulle pagine dei quotidiani internazionali, la città offre un senso di sicurezza e libertà, molto più delle grandi metropoli europee.

• Il Contact Center: il punto di partenza per ogni servizio sanitario
  Prima tappa dello Study è stato Acre, nel nord di Israele nei pressi di Haifa, dove il gruppo ISTAO ha visitato una delle sedi di Tik Shoov, il più grande Contact Center in Israele che gestisce oltre 300 milioni di chiamate ogni anno, di cui circa 50 milioni solo nel settore della sanità. Fondata nel 1996, conta oggi 16.000 addetti.  "Oggi in Israele ogni contatto con il mondo della sanità inizia proprio dal call center che ottimizza i flussi dei pazienti indirizzandoli, secondo necessità, alla rete medica, infermieristica o specialistica- si legge in una nota- si evitano ex-ante lunghe file negli ospedali e si risolvono rapidamente tramite uno dei numerosi canali messi a disposizione degli utenti (telefonata, videochiamata con un infermiere o un medico, chat istantanea tramite app, whatsapp, e-mail) molte delle problematiche dei pazienti. Il 96% dei chiamanti interagisce con il call center con un tempo medio di attesa di 45 secondi e una durata media della chiamata di 210 secondi. Il Call Center lavora 24 ore al giorno e collabora con tutte le strutture sanitarie. La particolarità del funzionamento del sistema sanitario israeliano è la possibilità di condividere, tramite avanzati e sicuri strumenti digitali, la documentazione medica di ogni paziente in modo che istantaneamente medici o professionisti sanitari possano accedere alle informazioni del paziente e formulare in tempi rapidi diagnosi, fornire risposte e indirizzare gli utenti alla struttura o all’esperto più adatto".

(Ancona Today, 21 luglio 2023)

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Parashat Devarim. Lo spirito rimane giovane se, come Mosè, condividiamo la nostra saggezza e diamo l’esempio

Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò

Il 27 marzo 2012, per celebrare il giubileo di diamante della Regina*, si è svolta a Buckingham Palace un’antica cerimonia. Diverse istituzioni hanno presentato discorsi leali alla regina, ringraziandola per il suo servizio alla nazione. Tra questi c’era il Consiglio dei deputati degli ebrei britannici. Il suo allora presidente, Vivian Wineman, incluse nel suo discorso la tradizionale benedizione ebraica in tali occasioni. Gli ha augurato di stare bene “fino a centoventi anni”.
  La regina era divertita e guardò con aria interrogativa il principe Filippo. Nessuno dei due aveva mai sentito l’espressione prima. Più tardi il Principe chiese cosa significassero quelle parole e noi spiegammo. Centoventi è indicato come il limite esterno di una normale vita umana in Genesi 6:3. Il numero è particolarmente associato a Mosè, di cui la Torà dice: “Mosè aveva centoventi anni quando morì, eppure i suoi occhi non erano offuscati e la sua forza non era diminuita”. (Deuteronomio 34:7)
  Insieme ad Abramo, uomo di personalità e circostanze molto diverse, Mosè è un modello di come invecchiare bene. Con la crescita della longevità umana, questo è diventato un problema significativo e stimolante per molti di noi. Come si invecchia e si rimane giovani?
  La ricerca più importante su questo argomento è il Grant Study, iniziato nel 1938, che ha tracciato per quasi ottant’anni la vita di 268 studenti di Harvard, cercando di capire quali caratteristiche – dal tipo di personalità, all’intelligenza, alla salute, alle abitudini e alle relazioni – contribuiscano alla fioritura umana. Per più di trent’anni, il progetto è stato diretto da George Vaillant (psichiatra americano, 1934-…) i cui libri Aging Well e Triumphs of Experience hanno esplorato questo affascinante argomento.
  Tra le molte dimensioni dell’invecchiamento di successo, Vaillant ne identifica due particolarmente rilevanti nel caso di Mosè. La prima è quella che chiama generatività, cioè prendersi cura della generazione successiva. Cita John Kotre (psicologo americano, 1940-…) che definisce come “investire la propria sostanza in forme di vita e di lavoro che sopravvivranno al sé”, possiamo impaludarci o decidere di restituire agli altri: alla comunità, alla società e alla generazione successiva. La generatività è spesso caratterizzata dall’intraprendere nuovi progetti, spesso volontari, o dall’apprendere nuove competenze. I suoi segni sono l’apertura e la cura.
  L’altra dimensione rilevante è quella che Vaillant chiama custode del significato. Con questo intende la saggezza che deriva dall’età, qualcosa che è spesso più apprezzato dalle società tradizionali rispetto a quelle moderne o postmoderne. Gli “anziani” menzionati nel Tanach sono persone apprezzate per la loro esperienza. “Chiedi a tuo padre e te lo dirà, ai tuoi anziani, e loro ti spiegheranno”, dice la Torà(Deuteronomio 32:7). “Non si trova la sapienza tra gli anziani? La lunga vita non porta la comprensione? dice il libro di Giobbe (12:12).
  Essere custode del significato sottintende trasmettere al futuro i valori del passato. L’età porta la riflessione e il distacco che ci permettono di fare un passo indietro e non essere trascinati dall’umore del momento o dalla moda passeggera o dalla follia della folla. Abbiamo bisogno di quella saggezza, specialmente in un’epoca frenetica come la nostra in cui un enorme successo può arrivare a persone ancora piuttosto giovani. Esamina le carriere di figure iconiche recenti come Bill Gates, Larry Page, Sergey Brin e Mark Zuckerberg e scoprirai che a un certo punto si sono rivolti a mentori più anziani che li hanno aiutati e guidati attraverso le rapide del loro successo. Asseh lecha rav, “Fatti un maestro” (Avot 1:6, 16) rimane un consiglio essenziale.
  Ciò che colpisce del libro di Devarim, ambientato interamente nell’ultimo mese di vita di Mosè, è come mostra il leader anziano ma ancora appassionato e motivato, rivolto ai compiti gemelli di generatività e custode del significato.
  Sarebbe stato facile per lui ritirarsi in un mondo interiore di reminiscenza, rievocando le conquiste di una vita straordinaria, scelto da Dio per essere la persona che ha condotto un intero popolo dalla schiavitù alla libertà e sull’orlo della Terra Promessa. In alternativa avrebbe potuto rimuginare sui suoi fallimenti, soprattutto sul fatto che non sarebbe mai entrato fisicamente nella terra in cui aveva trascorso quarant’anni alla guida della nazione. Ci sono persone – le abbiamo sicuramente incontrate tutti – che sono ossessionate dalla sensazione di non aver ottenuto il riconoscimento che meritavano o raggiunto il successo che sognavano da giovani.
  Mosè non fece nessuna di queste cose. Invece nei suoi ultimi giorni ha rivolto la sua attenzione alla generazione successiva e ha intrapreso un nuovo ruolo. Non più Mosè il liberatore e legislatore, ha assunto il compito per il quale è diventato noto alla tradizione: Moshe Rabbeinu, “Mosè nostro maestro”. È stato, per certi versi, il suo più grande successo.
  Disse ai giovani israeliti chi erano, da dove venivano e qual era il loro destino. Diede loro delle leggi, e lo fece in modo nuovo. Non c’era più enfasi sull’incontro Divino, come era stato in Shemot, o sui sacrifici come avvenne in Vayikra, ma piuttosto sulle leggi nel loro contesto sociale. Ha parlato di giustizia, di cura per i poveri, di considerazione per i lavoratori e di amore per lo straniero. Ha esposto i fondamenti della fede ebraica in modo più sistematico che in qualsiasi altro libro di Tanach. Ha parlato loro dell’amore di Dio per i loro antenati e li ha esortati a ricambiare quell’amore con tutto il loro cuore, anima e forza. Ha rinnovato l’alleanza, ricordando al popolo le benedizioni di cui avrebbero goduto se avessero mantenuto la fede in Dio, e le maledizioni che sarebbero cadute su di loro se non l’avessero fatto. Insegnò loro la grande cantica in Ha’azinu e diede alle tribù la sua benedizione sul letto di morte.
  Ha mostrato loro il significato della generatività, lasciando dietro di sé un’eredità che gli sarebbe sopravvissuta, e cosa significa essere un custode del significato, facendo appello a tutta la sua saggezza per riflettere sul passato e sul futuro, dando ai giovani il dono della sua lunga esperienza. A titolo di esempio personale, ha mostrato loro cosa significa invecchiare rimanendo giovani.
  Alla fine del libro, leggiamo che all’età di 120 anni, “l’occhio di Mosè non era offuscato e la sua energia naturale non era diminuita” (Deuteronomio 34:7). Pensavo che queste fossero semplicemente due descrizioni, finché non ho capito che la prima era la spiegazione della seconda. L’energia di Mosè non è diminuita perché il suo occhio non è stato offuscato, il che significa che non ha mai perso l’idealismo della sua giovinezza, la sua passione per la giustizia e per le responsabilità della libertà.
  È fin troppo facile abbandonare i tuoi ideali quando vedi quanto sia difficile cambiare anche la più piccola parte del mondo, ma quando lo fai diventi cinico, disilluso, sfiduciato. Questa è una specie di morte spirituale. Le persone che non si arrendono, che non si demotivano mai, che “non entrano dolcemente nella buona notte”, che vedono ancora un mondo di possibilità intorno a loro e incoraggiano e rafforzano coloro che verranno dopo di loro, conservano la loro energia spirituale intatta.
  Ci sono persone che lavorano al meglio da giovani. Felix Mendelssohn scrisse l’Ottetto all’età di 16 anni, e l’Ouverture per “Sogno di una notte di mezza estate” un anno dopo, i più grandi brani musicali mai scritti da una persona così giovane. Orson Welles aveva già raggiunto la grandezza in teatro e in radio quando ha realizzato, all’età di 26 anni, “Citizen Kane”, uno dei film più trasformativi della storia del cinema.
  Ma ci furono molti altri che continuavano a migliorare man mano che invecchiavano. Mozart e Beethoven erano entrambi bambini prodigio, eppure hanno scritto la loro più grande musica negli ultimi anni della loro vita. Claude Monet ha dipinto i suoi scintillanti paesaggi di ninfee nel suo giardino a Giverny quando aveva ottant’anni. Verdi ha scritto Falstaff all’età di 85 anni. Benjamin Franklin ha inventato la lente bifocale all’età di 78 anni. L’architetto Frank Lloyd Wright ha completato i progetti per il Museo Guggenheim a 92 anni. Michelangelo, Tiziano, Matisse e Picasso sono rimasti tutti creativi nel loro nono decennio. Judith Kerr, che arrivò in Gran Bretagna quando Hitler salì al potere nel 1933 e scrisse il classico per bambini “The Tiger who came to Tea”, ha recentemente vinto il suo primo premio letterario all’età di 93 anni. David Galenson nel suo “Old Masters and Young Geniuses” sostiene che coloro che sono gli innovatori concettuali fanno il loro lavoro migliore quando sono giovani, mentre gli innovatori sperimentali, che imparano per tentativi ed errori, migliorano con l’età.
  C’è qualcosa di commovente nel vedere Mosè, a quasi 120 anni, guardare avanti e indietro, condividere la sua saggezza con i giovani, insegnandoci che mentre il corpo può invecchiare, lo spirito può rimanere giovane ad me’ah ve’esrim, fino a 120, se manteniamo i nostri ideali, restituiamo alla comunità e condividiamo la nostra saggezza con coloro che verranno dopo di noi, ispirandoli a continuare ciò che non siamo riusciti a completare.

(Bet Magazine Mosaico, 21 luglio 2023)
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Parashà della settimana: Devarim (Parole)

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L'altra faccia della lotta per la riforma di cui nessuno parla

80.000 riservisti hanno pubblicato una lettera aperta contro il rifiuto di servire dei loro compagni.

GERUSALEMME - Se Israele scivolerà in una guerra civile, o se diventerà una dittatura, o se sarà sconfitto da Hezbollah mentre un governo di estrema destra cerca di prendere il potere totale, è una cosa di cui si discute. Tuttavia, la maggioranza concorda, soprattutto all'estero, sul fatto che Israele sta affrontando un problema esistenziale perché il governo sta mettendo gran parte dei suoi cittadini contro se stesso.
  Come spesso accade, tuttavia, la situazione è molto meno critica di quanto i media vogliano far credere.
  Questo è stato chiaramente dimostrato quando lunedì è stata lanciata una petizione online, firmata finora da 80.000 riservisti dell'esercito israeliano. In essa si legge:

    "Noi, ex militari o riservisti dell'IDF, siamo contrari ai rifiuti e siamo fedeli allo Stato di Israele in quanto Stato ebraico e democratico. Serviremo lo Stato di Israele perché è il nostro unico Stato - e lo proteggeremo ad ogni costo!".

Martedì, i medici israeliani hanno anche contrastato l'annunciata protesta di altri medici dopo che questi avevano minacciato di scioperare per la riforma giudiziaria.

    "500 medici hanno firmato una lettera che si oppone allo sciopero della sanità e chiede al capo dell'Associazione medica israeliana di 'fermare la follia'",
ha twittato il giornalista di N12 Inbar Twizer.

    "Ci scusiamo con l'opinione pubblica per il comportamento irresponsabile di alcuni nostri colleghi professionisti. Scioperare a causa di una posizione politica è contrario al giuramento di Ippocrate",

hanno scritto i medici.

Poiché alcuni settori della maggioranza silenziosa israeliana si sono rivolti all'opinione pubblica e hanno espresso chiaramente il loro sostegno al governo eletto, si stanno levando altre voci di questo tipo.
  Tre diverse unità dell'esercito hanno pubblicato lettere a sostegno dello Stato.
  130 ufficiali e soldati della Brigata di Ricerca, diplomati della Divisione di Intelligence dell'IDF, hanno scritto:

    "Noi, riservisti della Divisione di Ricerca, dichiariamo che serviremo il nostro Paese con amore e dedizione in ogni momento, al fine di proteggere lo Stato di Israele sotto qualsiasi governo. Non rifiuteremo alcun ordine e non imporremo alcuna condizione al nostro servizio volontario nella Riserva dell'IDF".

Anche i soldati delle Forze speciali dell'IDF hanno dichiarato:

    "Noi, i sottoscritti comandanti e ufficiali dell'unità speciale , abbiamo servito in ruoli complessi per molti anni. Abbiamo deciso infine di rompere il nostro silenzio e di farci avanti  per affermare l'ovvio: continueremo a presentarci come riservisti ogni volta che saremo chiamati".

I riservisti dell'unità di forze speciali Sajeret Matkal hanno dichiarato in una lettera al comandante della loro unità:

    "Se, Dio non voglia, ci fosse una carenza di personale, ci offriremo tutti volontari per compensarla con giorni di servizio extra della riserva".

Quindi la situazione in Israele non è così grave come a volte sembra. Se alcuni soldati o medici rinunciano al loro lavoro per le loro idee politiche, ce ne sono molti altri che sono disposti a fare di più per il Paese che amano.

(israel heute, 20 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Sventato attentato contro Israele: l’ultimo piano (fallito) dei pasdaran

di Valerio Chiapparino

Continua la guerra di ombre tra Israele e Iran in Medio Oriente. Secondo quanto reso noto dal Mossad, il servizio segreto israeliano, i suoi agenti avrebbero sventato a giugno un attentato organizzato da Teheran che prevedeva l’uccisione di cittadini dello Stato ebraico sull’isola di Cipro. 
  L’operazione resa pubblica dal Mossad e definita nel suo comunicato come una “missione coraggiosa” si è svolta in territorio iraniano ed ha portato all’arresto del capo della cellula Yousef Shahabazi Abbasalilu. In un video rilasciato dagli israeliani il sospettato parla in persiano e confessa di essere entrato nella Cipro del Nord sotto il controllo turco per poi attraversare il confine con il compito di uccidere almeno una persona, un uomo d’affari israeliano, nella parte sud dell’isola. Abbasalilu ammette inoltre di essere stato assoldato dai Guardiani della Rivoluzione Islamica (Irgc) sostenendo di aver ricevuto da loro foto e indirizzo dell’obiettivo. Le indicazioni fornite dall’arrestato sarebbero state inoltrate alle autorità cipriote che avrebbero quindi arrestato la maggior parte degli appartenenti alla cellula dell’iraniano. “Arriveremo ad ogni individuo che pianifica attacchi terroristici contro gli israeliani ovunque nel mondo, Iran incluso” ha fatto sapere il Mossad dopo l’audace operazione. 
  L’iraniano, secondo la versione degli 007 israeliani, sarebbe stato interrogato dal Mossad “in remoto” mentre la cattura sarebbe avvenuta per mano di agenti stranieri sul posto in Iran. La pratica di reclutare elementi locali è stata adottata dall’intelligence di Gerusalemme almeno in un’altra occasione con risultati però non altrettanto positivi. L’anno scorso degli agenti malesi a Kuala Lumpur rapirono per conto delle spie d’Israele uno studente palestinese di ingegneria sospettato di essere un collaboratore di Hamas e del suo braccio armato, le Brigate Qassam. In quel caso le forze di polizia malesi riuscirono ad interrompere l’interrogatorio, ad arrestare gli operativi e a liberare il palestinese. 
  Non stupisce la località del Mediterraneo in cui il regime degli Ayatollah intendeva colpire questa volta. Infatti, secondo un report del Consiglio di sicurezza nazionale israeliano i paesi a rischio di attacchi di Teheran contro obiettivi ebraici sono gli Emirati Arabi Uniti, la Georgia, l’Azerbaijan, la Turchia, il Bahrain e, appunto, Cipro, una destinazione a un’ora di aereo da Tel Aviv. La parte settentrionale dell’isola greca, come dimostra il piano appena sventato, è un’area particolarmente a rischio infiltrazioni a causa del suo incerto status internazionale. Nessun Paese, a parte la Turchia, riconosce infatti Cipro nord, la parte occupata da Ankara nel 1974 a spese della Grecia e dove stazionano ancora più di 35mila soldati turchi. Secondo successive ricostruzioni dei fatti sulle quali aleggiano alcune incongruenze, come accade nelle vicende di spionaggio, le stesse autorità turco-cipriote avrebbero rivendicato un ruolo primario nell’identificare Abbasalilu e deportarlo in Iran. 
  Non è la prima volta che Gerusalemme e Nicosia collaborano per fermare attacchi terroristici. Nel 2021 è stato arrestato un uomo con doppio passaporto russo-azerbaijano con la missione, anche questa affidata dai Pasdaran, di uccidere uomini d’affari sull’isola. Un altro piano sventato ha visto la polizia greca smantellare una cellula terroristica composta da due pachistani assoldati da un operativo con base in Iran. L’obiettivo in questo caso era una sinagoga e un ristorante nel centro di Atene ma l’attentato prevedeva anche la presa di ostaggi. Altri cittadini pakistani sono stati ingaggiati nel 2022 da Teheran per compiere un attentato ad Istanbul contro turisti e diplomatici israeliani, incluso un ex ambasciatore e sua moglie. In quell’occasione l’intelligence turca in concerto con quella israeliana era stata in grado di fermare dieci individui pronti ad agire camuffati da studenti e viaggiatori. A seguito del fiasco di Istanbul, il capo dell’intelligence dell’Irgc dal 2009, Hossein Taeb, è stato licenziato. 
  La serie di complotti, almeno quelli resi pubblici, mostra che l’ostilità iraniana nei confronti di Israele non accenna a diminuire. Secondo diversi analisti, la decisione da parte del Mossad di dare massima pubblicità all’ultima operazione cipriota sarebbe una risposta alle notizie sui colloqui indiretti tra Stati Uniti ed Iran sul programma nucleare degli Ayatollah. Oggetto degli accordi informali mediati dall’Oman e non soggetti alla ratifica del Congresso, dovrebbe essere la liberazione di tre cittadini americani detenuti in Iran con l’accusa di spionaggio in cambio della sospensione dell’arricchimento dell’uranio e dello sblocco di fondi iraniani congelati all’estero a causa delle sanzioni Usa. Un’altra chiave di lettura della pubblicità data al tentato attentato cipriota la fornisce il giornalista Yaakov Katz secondo cui l’interesse degli israeliani sarebbe quello di lanciare un duplice messaggio. Il primo è diretto alla comunità internazionale che pensa che Teheran sia impegnata “solo” con il suo programma nucleare e non anche a progettare omicidi su suolo europeo. Il secondo invece punta dritto al regime iraniano e a ricordare le superiori capacità dei servizi di intelligence del paese fondato da Ben Gurion. Sperando che questo effetto di deterrenza possa bastare per tenere a bada il nemico giurato.

(Inside Over, 20 luglio 2023)

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Francia, approvata una legge per facilitare la restituzione delle opere d’arte confiscate dai nazisti

di David Fiorentini

L’Assemblea Nazionale francese ha votato all’unanimità l’adozione di una nuova legge per consentire alle istituzioni pubbliche di restituire con facilità le opere sottratte dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale ai legittimi proprietari.
  In precedenza era necessaria l’approvazione di un disegno di legge ad hoc per la restituzione di ogni cimelio conservato presso una collezione pubblica. Adesso, ciascuna opera che rientrerà nei criteri definiti dalla mozione, potrà essere rilasciata senza questo macchinoso passaggio burocratico.
  Il Ministero della Cultura francese ha stimato intorno a 100 mila il numero di capolavori sequestrati nel contesto della persecuzione antisemita dal 1939 al 1945. Di questi, circa 60 mila furono trovati in Germania dopo la guerra e subito riportati in Francia, dove la maggior parte fu restituita ai proprietari o ai loro eredi.
  Tuttavia, ben 2200 opere furono trasferite invece nei musei statali, diventando beni “inalienabili” del patrimonio francese.
  “Spero che il 2023 sia un anno di progresso decisivo per le restituzioni”, ha dichiarato il ministra della Cultura, Rima Abdul Malak. L’approccio del suo paese al passato non deve essere “né di negazione e né di pentimento, ma di riconoscimento”.
  “La storia non può essere riscritta. Nulla può riparare alla tragedia della Shoah. Ma possiamo fare tutto il possibile per garantire che questi beni culturali possano essere restituiti ai legittimi eredi di coloro che ne sono stati privati… Lo dobbiamo alle vittime di ieri e ai loro eredi di oggi: restituire loro un frammento della storia familiare”.

(Bet Magazine Mosaico, 20 luglio 2023)

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La popolazione di Israele cresce: perché può diventare un problema per le istituzioni

La popolazione d’Israele, che attualmente conta 9 milioni di abitanti, dovrebbe raggiungere 13 milioni nel 2050, secondo le ultime proiezioni delle Nazioni Unite. A trainare questa crescita demografica sarà la componente ortodossa, destinata a costituire un terzo della popolazione del paese entro la metà del secolo. Questo potrebbe rappresentare un problema per le istituzioni israeliane.
  Infatti, gli ebrei ultraortodossi, ovvero gli Haredim, hanno un rapporto conflittuale con le istituzioni israeliane, come spiega neodemos.info e spesso sono esentati dalla leva militare.
  Gli Haredim si avvantaggiano di leggi israeliane ad hoc, che permettono a coloro che si dedicano allo studio della Torah di essere esonerati dalla leva militare ma di vedersi comunque riconosciuti dei sussidi statali, come riporta ancora il sito. Questo potrebbe generare maggiore tensione fra società civile israeliana e ultraortodossi, dal momento che le tasse vengono pagate in larga parte da ebrei laici e vengono impiegate anche per sostenere comunità semi-segregate in perenne crescita e poco attive economicamente come scriveva già nel 2019 Gol Kalev su foreignpolicy.com.

• I numeri della crescita
  Oggi la comunità Haredi (singolare di “Haredim”) conta 1 milione e 120 mila unità, ma si prevede che cresca con un tasso doppio rispetto a quello del resto della popolazione, come riporta The Israel Democracy Institute. Seppure in leggero calo rispetto ai decenni passati, i dati parlano di 7 figli per donna nella comunità ultraortodossa, più del doppio dei 3.1 della media israeliana.
  Questo trend significa che entro il 2050 la comunità Haredi diventerà più numerosa della popolazione araba del paese e che, poco dopo, un terzo degli Israeliani sarà Haredi.
  Una delle motivazioni di questi numeri è che gli ebrei Haredim cominciano ad avere figli già da molto giovani: il 45% delle nascite si concentra fra i 20 e i 30 anni d’età, quasi il doppio degli ebrei laici che nella stessa fascia d’età registrano il 25% delle nascite.
  Questi dati avevano destato l’attenzione del governo già nel 2017, quando un rapporto rilasciato del Consiglio economico nazionale aveva sottolineato la progressiva diminuzione del peso degli ebrei laici o non credenti e degli arabi cristiani con una fertilità media rispettivamente di 2,3 e 2 figli per donna.

• Il rapporto conflittuale con il sionismo
  La sempre maggiore percentuale di ebrei ultraortodossi in Israele rappresenta un rischio per le istituzioni, dal momento che quasi la totalità degli ebrei Haredim dichiara di votare per partiti come Shas (partito conservatore) ed Ebraismo della Torah Unito (ultraconservatore). Quest’ultimo è un partito non sionista tanto che non ha sostenuto le coalizioni di governo del partito nazional-liberale Likud guidato da Benjamin Netanyahu. Neodemos,info sottolinea come questo abbia avuto un ruolo importante nella crisi politica del Paese.
  A seconda delle varie correnti interne alla comunità, fra il 18% e il 45% degli Haredim non si identifica con lo Stato di Israele, mentre la maggior parte degli uomini Haredim dedica la propria vita allo studio della Torah e non ha un vero lavoro né istruzione superiore. Coloro che studiano lo fanno in scuole dedicate e intendono comunque lavorare nelle proprie comunità di origine, alimentando la tensione con il resto della società.
  I rapporti tra gli ultraortodossi e le istituzioni si sono ulteriormente inaspriti con la pandemia di Covid-19. Infatti, più del 60% degli Haredim ha dichiarato di fidarsi delle indicazioni date dai rabbini più che di quelle dei medici per combattere il virus. La comunità Haredi si è fortemente opposta alle misure restrittive. Non a caso, come dimostrano i dati rilasciati dal ministero della Salute tra gli over 60, il numero degli ultraortodossi morti per Covid-19 è stato quattro volte superiore a quello del resto della popolazione.

  Le prospettive future
  Nonostante l’intervento della Corte Costituzionale israeliana che ha dichiarato incostituzionale l’esenzione dalla leva per gli ebrei Haredim, tutt’ora una buona parte ne è ancora esclusa.
  Già nel 2019, tra le minoranze arabe e gli Haredim, 3 milioni di abitanti dello Stato di Israele erano sollevati dall’obbligo di leva (circa il 30% della popolazione totale).
  La crescita demografica degli ultraortodossi che procede a ritmo spedito potrebbe mettere in difficoltà Israele dal punto di vista della difesa, dal momento che l’esercito israeliano si basa sulla leva militare.
  Volgendo lo sguardo ai dati demografici dei Paesi confinanti si capisce come Israele rischi di essere inglobato: le Nazioni Unite prevedono che entro il 2030 l’Egitto dovrebbe raggiungere i 125 milioni di abitanti, l’Iraq 52 milioni, la Turchia quota 89 milioni, e la Siria 30 milioni. Numeri molto maggiori rispetto a quelli previsti per Israele che nel 2030 dovrebbe contare 10 milioni di abitanti. Dati ancora più allarmanti per le istituzioni israeliane se si considera che la crescita sarà trainata da comunità diffidenti verso l’establishment nazional-sionista.

(International Web Post, 20 luglio 2023)

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Israele: il quarto impianto di energia solare entra in funzione

Il governo ha dichiarato che la tariffa per l’elettricità generata dai pannelli fotovoltaici ad energia solare, applicata dall’operatore EDF Renewables sarà di soli 8 agorot per chilowattora.

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Il quarto impianto fotovoltaico israeliano ad Ashalim, nel deserto del Negev, è entrato in funzione e fornirà energia a un prezzo record e basso sul mercato dell’elettricità, ha annunciato il governo mercoledì.
  Il campo di pannelli fotovoltaici fornirà elettricità a 8 agorot (2,2 centesimi di euro) per kilowattora (1 kilowatt di energia sostenuta per un’ora), un prezzo significativamente più basso di qualsiasi altra centrale elettrica che genera elettricità dall’energia solare nel Paese. La tariffa si confronta con il prezzo di 40 agorot per kWh del primo impianto solare di Ashalim, che ha iniziato a produrre energia alla fine del 2017. Il governo ha dichiarato che il prezzo stabilito è più conveniente rispetto alla produzione di elettricità con combustibili fossili inquinanti e inferiore a progetti simili in tutto il mondo. In una dichiarazione congiunta, il Ministero delle Finanze, il Ministero dell’Energia e delle Infrastrutture e l’Autorità israeliana per l’energia elettrica hanno annunciato che la costruzione della quarta centrale solare di Ashalim è stata completata e che inizierà a pompare elettricità nella rete.
  “Il potenziale di energia rinnovabile del settore elettrico israeliano risiede attualmente soprattutto nei progetti solari”, ha dichiarato il Ragioniere generale Yali Rothenberg. “Le limitate risorse territoriali, la crisi climatica e gli obiettivi impegnativi nel campo delle energie rinnovabili richiedono la cooperazione tra i ministeri per promuovere i progetti e ottenere la certezza della loro realizzazione”. L’Ashalim Solar Park Ltd., guidata dalla filiale israeliana della società francese EDF Renewables e vincitrice della gara d’appalto governativa per la costruzione e la gestione dell’impianto solare fotovoltaico da 40 MW, ha completato i test di accettazione dell’impianto e ha ottenuto la licenza di produzione permanente per avviare il funzionamento commerciale.
  Gli impianti termosolari assorbono la luce del sole e la trasformano in calore prima di utilizzarla per la produzione di energia elettrica. L’impianto fotovoltaico (PV) – il preferito al giorno d’oggi – cattura i raggi solari e li converte direttamente in elettricità.
  Ashalim ha già due campi termosolari che producono 120 MW all’anno ciascuno e uno fotovoltaico che genera 30 MW all’anno. Insieme, le quattro stazioni di Ashalim – due centrali termosolari e due fotovoltaiche – forniranno elettricità per un totale di oltre 300 MW all’anno, ha dichiarato il governo. Il funzionamento delle fattorie solari in partnership pubblico-privata rientra nell’obiettivo del governo di generare il 30% dell’elettricità del Paese da fonti rinnovabili, cioè dall’energia solare, entro il 2030, rispetto al precedente obiettivo del 17%, mentre si cerca di eliminare gradualmente l’uso del carbone. Secondo il modello di partenariato pubblico-privato, lo sviluppatore è responsabile della pianificazione, del finanziamento, della costruzione e della gestione della centrale solare per un periodo di 25 anni, al termine del quale l’impianto sarà restituito allo Stato.
  “L’entrata in funzione dell’impianto è una pietra miliare significativa per l’avanzamento della produzione da energie rinnovabili, in linea con gli obiettivi del governo”, ha dichiarato Amir Shavit, presidente dell’Autorità per l’energia elettrica. “L’Autorità continuerà a promuovere la costruzione di impianti di produzione di energia elettrica puliti e competitivi”. Il governo ha dichiarato che sta attualmente portando avanti altri progetti, tra cui un complesso di fattorie solari ad Ashalim con una capacità di generazione fino a 100 MW e un complesso solare vicino alla città di Dimona con una capacità fino a 300 MW. Insieme, i progetti dovrebbero raggiungere una capacità di generazione totale di oltre 700 MW.
  All’inizio di questo mese, EDF Renewables ha dichiarato di aver completato un accordo di finanziamento con il Gruppo Harel per quasi 1 miliardo di NIS per sette dei suoi progetti di energia solare in Israele con una capacità totale di 189 MW.

(Israele 360°, 19 luglio 2023)

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Berlino era il top della moda. Poi arrivarono i nazisti e distrussero tutto

di Martina Biz

Quando si sente parlare di moda, a nessuno verrebbe mai in mente la capitale tedesca. Parigi, Milano, New York, sono le capitali che tutti associano all’alta moda. Tuttavia, non fu sempre così: prima dell’inizio della seconda guerra mondiale Berlino rappresentava un fiorente centro della moda riconosciuto a livello internazionale.
  Fu l’impiego delle macchine da cucire industriali a rappresentare un vero e proprio punto di svolta: nel giro di pochi decenni Berlino diventò un hub della moda prêt-à-porter

• L’arrivo della macchina da cucire a Berlino e il prêt-à-porter 
  Berlino iniziò a decollare nel campo della moda nella metà del 1800, quando per la prima volta arrivarono in Germania le macchine da cucire industriali. Esse rappresentarono una vera e propria svolta per la produzione tessile: si potevano realizzare vestiti in minor tempo e risparmiare denaro.
  Prima del 1900, gli abiti erano soltanto “su misura”, ossia il sarto realizzava ad hoc un abito per ciascun acquirente. Tuttavia, prima a Parigi, poi a Berlino, l’arrivo della macchina da cucire industriale cambiò totalmente il modo di produrre e concepire la produzione degli abiti, che infatti, di lì a pochi anni, divenne sempre più industrializzata e standardizzata.
  La meccanizzazione della produzione di abbigliamento, insieme anche alle materie tessili poco costose provenienti dalle colonie e al cambiamento radicale della moda in quegli anni, hanno dato vita ad un nuovo modo di produrre vestiti, rendendo l’industria tessile di Berlino una delle più importanti in Europa. 

• La produzione di abbigliamento in serie affonda le sue radici nel XVII secolo
  Berlino presentava anche delle condizioni storiche aggiuntive che favorirono lo sviluppo dell’industria di abbigliamento in serie. La produzione in serie di abbigliamento a Berlino nasce ben prima del 1800, quando si iniziarono a standardizzare le uniformi per l’esercito prussiano nel XVII secolo. Infatti, per poter soddisfare la grande richiesta di uniformi, le ditte corporative le producevano appunto su tagli standardizzati, non solo per risparmiare tempo e materiale, ma anche perché i soldati dovevano per forza soddisfare determinate dimensioni dal punto di vista fisico ed erano dunque tutti simili di corporatura.
  Oltre le uniformi, l’industria berlinese affonda le sue radici anche nella produzione in serie di biancheria intima in lino e cappotti. Negli anni venti dell’ottocento si iniziò a produrre la biancheria femminile in serie, non più su misura dalle scuole di cucito, ma realizzata secondo dimensioni standard, che venivano preferite dalle donne perché vestivano più morbide di quelle prodotte su misura dai sarti.

• Il commercio di abiti usati e confezionati era svolto principalmente dagli ebrei
  Con la crescente domanda di abbigliamento nelle città in crescita, aumentò anche la concorrenza tra i sarti e i commercianti. Gli ebrei non ne facevano parte poiché la maggior parte delle corporazioni commerciali tessili erano cristiane e nessuno poteva praticare sartoria se non i membri stessi della gilda.
  In Germania come in molti altri stati Europei, gli ebrei non erano ben visti dalla società. Le forti restrizioni che venivano loro imposte li rendevano sempre più emarginati e relegavano questi ultimi ai margini della società. Proprio questi ultimi, che non potevano prendere parte alle cooperazioni tessili cristiane, si dedicarono per lungo tempo al commercio di abiti usati e nel ‘800 ebbero l’idea di dar vita ad un commercio di abiti confezionati, abiti prêt-à-porter, non vincolato agli accordi sui prezzi e alle regole delle corporazioni.

• La moda Berlinese era riconosciuta a livello internazionale
  L’industria prêt-à-porter ebbe una fortuna impensata. Nei ruggenti anni ’20, Berlino era riconosciuta in tutta Europa come una delle capitali della moda, con ben 2.700 aziende prevalentemente di famiglie ebree. I nuovi imprenditori ebrei del settore furono lungimiranti. Sapevano che la classe media in Germania apprezzava la moda parigina, ma sapevano anche che la classe media non se la poteva permettere. Così iniziarono a commerciare capi d’abbigliamento eleganti ma a prezzi accessibili per le famiglie della classe media.
  La moda berlinese arrivò negli Stati Uniti, Paesi Bassi, Inghilterra Scandinavia ed Argentina. “Gli imprenditori ebrei avevano un’idea di ciò che piaceva alla gente e collegamenti internazionali con tutti i produttori di tessuti di alta qualità” afferma Uwe Westphal.

• L’ascesa al potere di Hitler sancì la fine della moda berlinese
  Con l’ascesa al potere di Hitler nel 1933, in particolar modo a seguito del boicottaggio contro i negozi ebraici il 1° aprile dello stesso anno, le imprese di proprietà ebraica subirono durissimi colpi. In particolare, il partito nazista aveva proibito di contrarre prestiti bancari agli imprenditori ebrei, che in questo modo non potevano più fare sfilate di moda.
  “Tutto ciò che era moda una volta è stato completamente distrutto. Soprattutto l’arte degli anni ’20: scuole di moda, architettura, Bauhaus, musica, industria cinematografica”, afferma sempre Westphal. Aggiunge sempre il critico “quello che trovo assurdo è che dal 1945 nessuno vuole ricordare i molti stilisti ebrei che hanno reso Berlino la capitale della moda per pochi anni”.

• Berlino ha inaugurato un memoriale a Hausvogteiplatz nel 2000
  La frustrazione di Westphal ha portato alla costruzione di un memoriale a Hausvogteiplatz, che venne poi inaugurato nel 2000 con un finanziamento del governo.
  Infine, il 7 settembre si terrà la prima sfilata di moda con stilisti ebrei e israeliani contemporanei. Secondo Westphal, l’ultima volta che c’era stata una sfilata di moda ebraica a Berlino era il 1939.

(Berlino Magazine, 17 luglio 2023)

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Israele è diventato a rischio

È attraversato da diverse e potenti tensioni che mettono in gioco Benjamin Netanyahu.

di Renato Mannheimer e Pasquale Pasquino

Nel settantacinquesimo anno dalla sua nascita, lo Stato di Israele sta attraversando uno dei momenti più difficili della sua storia. Almeno tre diversi conflitti scuotono la patria del popolo ebraico sopravvissuto alle antiche persecuzioni criminali, a quelle della follia nazista e oggi all'antisemitismo che riemerge sempre come un fiume carsico. Il vecchio conflitto con i palestinesi, in particolare in Cisgiordania; quello fra ebrei moderati e diversi gruppi di ebrei estremisti; quello infine, molto più recente, relativo alla riforma del potere giudiziario che il governo di Benjamin Netanyahu cerca di imporre e la cui maggioranza dipende dal sostegno di partiti ferocemente conservatori o radicalmente antipalestinesi che non tollerano fra l'altro il relativo controllo della Corte suprema nei confronti delle loro politiche. Vi sono legami fra i tre conflitti, e infatti il pubblico di essi spesso si sovrappone e si confonde, anche nelle motivazioni, ma è utile analizzarli separatamente per capirne le connessioni.
  Gli scontri fra gli ebrei che hanno occupato negli anni parte della Transgiordania si sono intensificati di recente in parte per l'indebolimento dell'Autorità palestinese che, insieme all'esercito israeliano, dovrebbe assicurare un minimo di ordine nei Territori. Questo conflitto si sovrappone a quello fra palestinesi di diversi gruppi più o meno radicali che, a loro volta, rappresentano una minaccia terrorista per lo stato di Israele – di qui il triste intervento dell'esercito di Tel Aviv nel campo profughi di Jenin infiltrato da terroristi. Tragicamente e cinicamente si potrebbe dire business as usual in quell'angolo del Medio Oriente. Anche se l'indebolimento dell'Autorità palestinese e il radicalismo di gruppi di occupanti israeliani dei Territori fa temere il peggio, fino al rischio di una terza Intifada, certamente sostenuta dal regime iraniano.
  Intanto la società israeliana - che convive non troppo male con una popolazione del 20% di cittadini non ebrei - è sempre più divisa, vedendo da un lato soprattutto i partiti di Lapid e Ganz e dall'altro il Likud che si è alleato con gli occupanti dei territori e alcuni gruppi ultraortodossi. (i religiosi stanno da tutte le parti perché ci sono tutte le specie di ebrei religiosi). Costoro, grazie alle loro prolifiche famiglie sono stati tollerati anche perché assicurano agli ebrei una maggioranza nella cittadinanza rispetto al passato timore di una possibile futura messa in minoranza da parte degli israeliani arabi. Ma la differenza dei loro costumi, la condizione delle donne, l'esenzione da molte tasse e soprattutto dal servizio militare per coloro dediti allo studio della religione hanno creato col tempo un solco profondo dentro la comunità ebraica, che sul lungo periodo rappresenta forse la maggiore minaccia alla sopravvivenza stessa dello stato.
  A questi due conflitti, dopo le ultime elezioni che hanno permesso a Netanyahu di ritornare alla testa del governo, grazie all'alleanza con i partiti di estrema destra, si è aggiunto un terzo fronte di scontro in certa misura inedito: quello fra il governo e il potere giudiziario, che il primo cerca di controllare, riducendone l'indipendenza. L'opposizione forte e costante di una parte cospicua della popolazione che persiste da moltissime settimane nei confronti della riforma, ha costretto il governo a sospendere la riforma dopo il fallimento di un tentativo di negoziati con l'opposizione promesso dal Presidente della repubblica Isaac Herzog. La strategia di Netanyahu, il quale è sotto processo per corruzione e che è personalmente interessato a indebolire i giudici, è quella del salame: dividere la riforma in pezzi e provare a farla passare un po' alla volta, pezzo (o fetta) per pezzo.
  In prima lettura è stata approvata dalla maggioranza della Knesset la norma che impedisce al giudiziario di censurare nomine governative di persone condannate dalla giustizia. La legge potrebbe essere approvata presto in seconda e terza lettura. E sarà allora la volta della norma che potrebbe permettere alla maggioranza politica di avere la maggioranza nella commissione che in Israele nomina di tutti i giudici – i quali a differenza che in Italia non accedono alle loro funzioni attraverso concorsi, ma con modalità più o meno simili a quelle che esistono in America per i giudici federali. Non è chiaro se il governo riuscirà ad imporre tutto il pacchetto della riforma ad una popolazione che sembra in larga parte ostile alla medesima e che testimonia di uno straordinario attaccamento allo stato di diritto contro lo strapotere della maggioranza eletta che, dai sondaggi, parrebbe forse non essere più essere la maggioranza nel paese. Anche se come in molti altri paesi i sondaggi in Israele non prevedono sempre i risultati elettorali.
  Negli ultimi giorni si è aggiunto un fronte si conflitto più grave e pericoloso, quello fra il governo di Netanyahu e i piloti dell'esercito popolare. Questi rappresentano in realtà la punta di diamante della difesa militare di Israele e la più importante garanzia della sua sicurezza. Senza l'aviazione il paese è estremamente indebolito. Attraversato da tutte queste tensioni, lo stato di Israele lotta per la sua dignità e per la sua sopravvivenza fra le democrazie liberali, delle quali dalla sua nascita nel 1948 ha fatto parte.

(ItaliaOggi, 19 luglio 2023)

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Messaggi contrastanti da Biden a Israele dopo l'incontro con il presidente Herzog?

Secondo il New York Times, Biden ha detto che le relazioni tra USA e Israele sono a rischio, ma i funzionari israeliani ritengono che si tratti di una fake news.

di Ryan Jones

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GERUSALEMME - Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha detto una cosa ai leader israeliani, ma poi avrebbe detto il contrario al New York Times. Foto di Haim Zach (GPO),
  Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha incontrato martedì alla Casa Bianca il Presidente israeliano Isaac Herzog. I resoconti ufficiali di entrambi i governi e l'apparizione congiunta dei due uomini alla stampa hanno suggerito che l'incontro è stato cordiale e amichevole e che Biden ha riaffermato il legame indissolubile tra Israele e gli Stati Uniti.
  Ma poi è emerso l'editorialista del New York Times Thomas Friedman, il quale ha affermato che Biden gli aveva detto il contrario, ovvero che riteneva che le relazioni tra Stati Uniti e Israele fossero in pericolo a causa, tra l'altro, dell'iniziativa legislativa di riforma giudiziaria di Israele.
  Qual è dunque la vera storia? Quale versione è corretta? Oppure Biden, noto per le sue gaffe pubbliche, ha davvero preso due posizioni opposte nel giro di poche ore?
  "Questa è un'amicizia che credo sia semplicemente indissolubile", ha detto Biden all'apertura dell'evento stampa congiunto con Herzog. "Come ho ribadito ieri in una conversazione telefonica con il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, l'impegno dell'America verso Israele è fermo e incrollabile".
  Herzog ha aggiunto di essere contento che Biden abbia ribadito a Netanyahu la forza delle relazioni tra Stati Uniti e Israele "perché ci sono alcuni nostri nemici che a volte vedono il fatto che abbiamo alcune differenze come un danno al nostro legame indissolubile".
  Herzog non si è reso conto che stava parlando soprattutto di Friedman, un inveterato odiatore di Netanyahu che da tempo cerca di creare un cuneo tra Washington e il primo ministro israeliano di più lunga data.
  Friedman ha intervistato Biden dopo la visita di Herzog alla Casa Bianca. Mentre i presidenti americano e israeliano non hanno parlato molto della controversa riforma giudiziaria israeliana, almeno non davanti alle telecamere, questo sembrava essere l'obiettivo principale di Friedman.
  Biden ha detto al giornalista del Times che Israele "ha bisogno di trovare un consenso su aree politiche controverse... Mi congratulo con la leadership israeliana per non aver affrettato le cose. Credo che il risultato migliore sia continuare a cercare il più ampio consenso possibile".
  Biden ha osservato che la "vivacità della democrazia israeliana" è il "cuore delle nostre relazioni bilaterali".
  In realtà, non è così. Vedi: Reagan, Blackstone e perché i cristiani americani sostengono davvero Israele.
  In qualche modo Friedman ha interpretato questo fatto nel senso che Biden teme per il futuro delle relazioni israelo-americane, contrariamente a quanto aveva appena detto ai leader israeliani.
  "In fondo sta chiedendo questo a Netanyahu e ai suoi sostenitori: se non vi accorgete che condividiamo questo valore democratico, sarà difficile sostenere per altri 75 anni la relazione speciale di cui Israele e l'America hanno goduto negli ultimi 75 anni", ha scritto Friedman, aggiungendo: "Messaggio agli israeliani di destra, sinistra e centro. Joe Biden potrebbe essere l'ultimo presidente democratico pro-Israele. Se ignorate le sue oneste preoccupazioni, questo è il vostro rischio".
  Quest'ultima parte potrebbe essere vera. Ma ha più a che fare con il fatto che il Partito Democratico americano si sta spostando sempre più a sinistra e si allontana da Israele che con quello che sta accadendo nello Stato ebraico.
  Funzionari del governo israeliano si sono scagliati contro Friedman e contro i media israeliani che riproducono tutto ciò che scrive come fosse verità evangelica.
  Il giornalista di Channel 12 News Amit Segal ha trasmesso un messaggio del consigliere per la sicurezza nazionale Tzachi Hanegbi in cui si legge: "La conversazione telefonica tra il presidente degli Stati Uniti e il primo ministro è stata, come descritto da entrambe le parti, "buona, cordiale e costruttiva". Le cose attribuite al Presidente nell'articolo del New York Times non sono state affatto dette durante la conversazione".
  Un'altra fonte politica senza nome ha detto a Segal: "Ciò che Friedman ha citato da Biden non è stato nemmeno lontanamente detto nella conversazione con Netanyahu. La questione della riforma è stata menzionata soltanto a margine della conversazione".
  E allora? Una fake news? Non sarebbe una cosa inusuale per il Times. O Biden stava solo dicendo al pubblico quello che pensava volessero sentire?

(israel heute, 19 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Israele: oltre 3.600 attacchi terroristici palestinesi nella prima metà del 2023

di Luca Spizzichino

Il report pubblicato da Rescuers Without Borders, associazione fondata nel 2000 con l'obiettivo di creare un'infrastruttura civile di risposta alle emergenze in Giudea e Samaria, nei primi sei mesi del 2023 ha registrato 3.640 attacchi terroristi di matrice palestinese, inclusi 2.118 casi di lancio di pietre, 799 attacchi con bombe molotov, 18 tentativi di accoltellamento e sei speronamenti. Inoltre, il numero di sparatorie ha già superato il totale dello scorso anno, con 101 casi di sparatorie contro i civili israeliani.
  I dati riportati dal servizio d’emergenza israeliano non includono gli attacchi al personale di sicurezza durante le operazioni antiterrorismo nei villaggi palestinesi.
  Da gennaio, 28 persone sono state uccise dal terrorismo palestinese, mentre 362 sono i feriti, ha affermato l’organizzazione. Tra le vittime, anche due israeliani morti per le ferite riportate in attentati avvenuti negli anni scorsi, come nel caso di Shimon Maatuf, morto a febbraio per le gravi ferite subite in un attacco terroristico nel 2022, e Chana Nachenberg, morta il mese scorso dopo essere stata in coma per 22 anni per le ferite riportate nell’attentato alla pizzeria Sbarro nel 2001.
  Rescuers Without Borders ha pubblicato il suo report semestrale in un periodo in cui si sta registrando un escalation negli attentati a Gerusalemme e nella regione di Giudea e Samaria.
  La settimana scorsa le forze di sicurezza israeliane hanno sventato un possibile attacco terroristico al checkpoint di Shuafat a nord-est di Gerusalemme, arrestando un ragazzo palestinese di 14 anni che aveva con sé un coltello. Lunedì, terroristi palestinesi hanno lanciato pietre contro i veicoli nel nord della Samaria, ferendo almeno quattro civili israeliani, tra cui una donna in fase avanzata di gravidanza. Almeno tre auto sono state prese di mira nell'attacco, che ha avuto luogo sulla Route 55 vicino a Ma'ale Shomron, hanno detto funzionari medici. Mentre il giorno prima, un israeliano è stato colpito e ferito gravemente, e le sue due figlie sono rimaste leggermente ferite, in una sparatoria vicino allo svincolo di Tekoa a Gush Etzion. Secondo l'IDF, il terrorista ha aperto il fuoco da un veicolo di passaggio su un'autostrada a circa 15 chilometri a sud di Gerusalemme.
  Dopo una caccia all'uomo durata ore, le forze di sicurezza hanno arrestato l’attentatore, che si era barricato all'interno di una moschea.

(Shalom, 19 luglio 2023)

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Gaza. Hamas paga gli stipendi ai dipendenti. Ma critiche e polemiche non cessano

di Michele Giorgio

Da forza di opposizione Hamas conquista consensi tra i palestinesi in Cisgiordania, a danno dell’Anp di Abu Mazen che, al contrario, continua a perdere sostegni. Eppure nella sua roccaforte Gaza dove è anche un apparato di governo, il movimento islamico è oggetto di critiche e contestazioni crescenti. Nonostante il ministero delle finanze di Hamas abbia annunciato che oggi pagherà gli stipendi a circa 50mila dipendenti pubblici, superando il ritardo causata dalla mancata (o sospesa) erogazione del sussidio mensile di circa 30 milioni di dollari che riceve dal Qatar – oltre alla diminuzione delle entrate fiscali e l’aumento delle spese – a Gaza le polemiche non si spengono per i continui ritardi nel pagamento degli stipendi ai dipendenti pubblici. Decine di migliaia di famiglie sono costrette da anni a ricevere mediamente solo 1200 shekel (circa 300 euro), ossia metà dello stipendio.
  Non è la prima crisi salariale che si registra a Gaza, lembo di terra senza una economia a causa dell’occupazione [Gaza non è occupata, nsi], dal 2006 soggetto a un blocco rigido da parte di Israele e teatro di offensive militari devastanti e sanguinose. Quest’ultima crisi però ha scatenato una quantità insolita di polemiche e critiche sui social media, espresse in alcuni casi anche da militanti di Hamas. Ammar Q. sul suo account Facebook ha commentato che «Se le autorità responsabili non sono in grado di erogare gli stipendi regolarmente, allora devono riconsiderare le loro politiche e il numero alto dei posti di lavoro nella pubblica amministrazione». Per l’insegnante Hussam S., il ritardo degli stipendi sarebbe «una manovra del governo per negare i diritti dei lavoratori». Muhammad S. facendo riferimento alle analoghe difficoltà dell’Anp in Cisgiordania, ha scritto che la crisi è «Il risultato di 16 anni di divisione (tra Gaza e Cisgiordania): due governi di incapaci che non sono in grado di pagare stipendi pieni o puntuali ai propri dipendenti».
  La maggior parte dei 2,3 milioni degli abitanti di Gaza vive in povertà. Il Qatar ha erogato centinaia di milioni di dollari dal 2014 per progetti infrastrutturali e oltre ai 30 milioni di dollari per il lavoro pubblico, inoltre copre con suoi fondi anche l’acquisto (in Israele) del carburante per la centrale elettrica.  Secondo alcune voci il  ritardo della donazione è frutto di pressioni qatariote su Hamas.  Doha intenderebbe ricordare ad Hamas che dipende dai suoi fondi e che pertanto deve restare calmo.
  Vero o falso che sia, dall’inizio del 2023 è iniziato il ritardo nel pagamento degli stipendi a Gaza. Non solo. Il debito di Hamas con le banche è cresciuto dopo l’ottenimento di un prestito da circa dieci milioni di dollari ricevuto dalla Banca nazionale islamica, mentre sale il prezzo della benzina egiziana che sino ad oggi ha permesso di tenere basso il costo dei trasporti a Gaza. Di recente il governo di Hamas ha anche dovuto acquistare medicinali e saldare debiti con aziende farmaceutiche per 50 milioni di shekel (oltre 12 milioni di euro). Il viceministro Awni Al Bashar ha invitato la comunità internazionale a cessare il boicottaggio.
  La popolazione intanto non è convinta che la crisi sia frutto solo del blocco israeliano e del ritardo delle donazioni qatariote. «Ogni mese decidono una nuova tassa» si lamenta Sabri K., un commerciante «paghiamo anche l’aria, dove finiscono tutti questi soldi?».

(Pagine Esteri, 19 luglio 2023)

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Svezia, l’attivista musulmano: “Non ho mai voluto bruciare la Torà, la libertà di espressione ha dei limiti”

“È contro il Corano bruciare e io non brucerò. Nessuno dovrebbe farlo”: è quanto ha dichiarato il ragazzo musulmano che aveva chiesto di bruciare un rotolo della Torah davanti all’ambasciata israeliana a Stoccolma. Lo riporta il Times of Israel.
  Come avevamo raccontato su questo sito, l’uomo, identificato come Ahmad Alush, 32 anni, aveva ricevuto il permesso dalle autorità svedesi di compiere l’atto, suscitando condanne diffuse e proteste da parte di Israele e gruppi ebraici, tra gli altri. Ma Alush è arrivato sabato fuori dalla missione diplomatica israeliana con in mano solo una copia del Corano e ha detto che non è mai stata sua intenzione bruciare libri sacri ebraici o cristiani, solo per protestare contro il recente rogo del Corano il mese scorso da un immigrato iracheno.
  “Questa è una risposta alle persone che bruciano il Corano. Voglio dimostrare che la libertà di espressione ha dei limiti che devono essere presi in considerazione – ha aggiunto -. Voglio dimostrare che dobbiamo rispettarci a vicenda, viviamo nella stessa società. Se io brucio la Torah, un altro la Bibbia, un altro il Corano, qui ci sarà la guerra. Quello che volevo dimostrare è che non è giusto farlo”.
  L’azione provocatoria del ragazzo ha avuto il merito di sollevare il tema del rispetto reciproco e soprattutto la spinosa questione di fino a dove ci si possa spingere in nome della libertà di espressione. La decisione della polizia svedese, sia nel caso del rogo del Corano che del permesso a quello della Torà, lascia grande amarezza e preoccupazione per il futuro. Se sono le stesse autorità a valicare il limite della convivenza pacifica, a cosa arriveremo?

(Bet Magazine Mosaico, 18 luglio 2023)
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Il religioso musulmano ha chiesto alla laica polizia svedese il permesso di bruciare in pubblico una Torah e l'ha ottenuto. Il religioso musulmano non ha bruciato la Torah, la laica polizia svedese l'avrebbe fatto. Quello che un'istituzione di autorità permette è, sul piano della responsabilità, come se l'avesse fatto. Complimenti al religioso musulmano, vergogna alla laica polizia svedese. M.C.

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Perché Israele riconosce la sovranità marocchina sul Sahara Occidentale

Secondo il professore marocchino Ajlaoui (Uni. Rabat), il riconoscimento israeliano della sovranità marocchina sul Sahara Occidentale faciliterà le relazioni bilaterali tra Gerusalemme e Rabat. La mossa del governo Netanyahu era attesa per dare approfondimento agli Accordi di Abramo.

di Massimiliano Boccolini e Emanuele Rossi

Re Mohammed VI del Marocco ha dichiarato che il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, gli ha annunciato che il suo Paese riconosce ufficialmente la sovranità marocchina sulla regione contesa del Sahara Occidentale.
  Il monarca nordafricano ha dichiarato che Netanyahu ha inviato una lettera che conferma la decisione dello Stato di Israele di “riconoscere la sovranità del Marocco sul territorio del Sahara occidentale”. L’ufficio dell’israeliano ha confermato che i due hanno parlato di recente.
  La dichiarazione ufficiale del regno ha aggiunto che la posizione sarà “riflessa in tutti gli atti e i documenti pertinenti del governo israeliano”, nonché “trasmessa alle Nazioni Unite, alle organizzazioni regionali e internazionali di cui Israele è membro e a tutti i Paesi con cui Israele mantiene relazioni diplomatiche”.
  Secondo la dichiarazione, Netanyahu ha anche informato il re marocchino che Israele sta valutando positivamente “l’apertura di un consolato nella città di Dakhla”, come parte della decisione. Dakhla, posta su una laguna tra il Sahara (occidentale) e l’Oceano Atlantico è una delle città simboliche della regione, importante sia dal punto di vista geostrategico che turistico.
  Il Sahara Occidentale è un territorio esteso oltre 260mila chilometri quadrati amministrativamente controllato dal Marocco, oggetto di passate rivendicazioni di Mauritania e Algeria, e soprattutto conteso dal movimento indipendentista del Polisario. Il gruppo, che negli anni Settanta cominciò la lotta armata per l’autodeterminazione del popolo sahrawi, è ancora oggi in scontro aperto con Rabat. In questi anni, riconoscimenti ufficiali sulla situazione del Western Sahara hanno prodotto scontri diplomatici con il Marocco e riacceso le tensioni del Paese con l’Algeria.
  Il Sahara occidentale è stato una colonia spagnola fino alla metà degli anni Settanta. Un accordo di cessate il fuoco del 1991 ha visto Rabat controllare l’80% del Sahara occidentale, mentre il resto è una zona cuscinetto controllata dalle forze Onu della missione Minurso. L’Algeria si è opposta alla rivendicazione del Sahara Occidentale da parte del Marocco e ne ha sostenuto l’indipendenza. Il Marocco ha offerto una limitata autonomia, ma ha affermato che il territorio deve rimanere sotto la sua sovranità. Il movimento Polisario, invece, chiede un referendum sull’indipendenza.
  “La decisione israeliana di riconoscere lo status marocchino del Sahara è una grande vittoria per Rabat, consolidando il sostegno internazionale all’integrità territoriale del regno”, commenta Moussaoui Ajlaoui, professore di Scienze politiche dell’Università di Rabat. “Rafforza inoltre le dinamiche molto favorevoli create grazie all’Impulso di Re Mohammed VI negli ultimi anni, aggiunge Alijaoui, che ricorda come nel giro di poco tempo Rabat abbia ottenuto il riconoscimento americano da parte dell’amministrazione Trump, il sostegno alla sovranità marocchina di oltre 15 Paesi europei, tra cui Germania, Spagna, Svizzera, Austria, e infine l’apertura di 28 consolati dei Paesi africani, arabi e latinoamericani nelle province sahariane.
  “Questa decisione faciliterà e incoraggerà gli investimenti israeliani e internazionali nelle province meridionali del Regno”, sostiene Alijaoui. La mossa era in parte attesa, rientrante nelle dinamiche collegate agli Accordi di Abramo, con cui Israele ha normalizzato le relazioni diplomatiche anche con il Marocco, creando un momento particolarmente favorevole a Rabat. Negli ultimi mesi, Israele e Marocco hanno moltiplicato i contatti diplomatici. Il consigliere per la sicurezza nazionale israeliano, Tzachi Hanegbi, ha visitato il Marocco a giugno, dove ha incontrato il ministro degli Esteri marocchino, Nasser Bourita. Dopo la visita, i media israeliani avevano già annunciato che Israele stava considerando di riconoscere la sovranità marocchina sul Sahara occidentale.
  Il riconoscimento di lunedì tuttavia rompe con la visione tradizionale di Israele sulla questione. Di norma, a causa del conflitto israelo-palestinese, Israele evita di prendere posizione sulle dispute territoriali in altre parti del mondo. Inoltre, il riconoscimento degli Stati Uniti nel 2020 ha generato la rabbia dell’Algeria, spingendola a bloccare la richiesta di Israele di entrare come osservatore nell’Unione Africana. “È bene sottolineare — aggiunge il professor Alijaoui — che Re Mohammed VI non ha cambiato la posizione a favore dei legittimi diritti del popolo palestinese, che il Sovrano ha elevato al rango di causa nazionale”.
  Il riconoscimento segue anche l’annullamento da parte del Marocco, il mese scorso, dei suoi piani per ospitare il Forum del Negev, il quadro guidato dagli Stati Uniti per promuovere l’integrazione regionale. Usa, Israele, Marocco, Emirati Arabi Uniti e altri Stati arabi avrebbero dovuto partecipare all’incontro di giugno, ma Rabat si è tirata indietro in risposta al piano di Israele di espandere gli insediamenti illegali in Cisgiordania.

(Shalom, 18 luglio 2023)

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Israele riconosce la sovranità del Marocco sul Sahara Occidentale

Israele ha riconosciuto ufficialmente la sovranità del Marocco sul Sahara Occidentale e potrebbe aprire un consolato nella città di Dakhla, che si trova in quella regione, ha annunciato l’Ufficio Reale del Regno. Lo riferisce con un lungo articolo il Jerusalem Post. Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha comunicato la decisione al Re Mohammed VI per iscritto, ha dichiarato l’Ufficio Reale. Nella lettera, Netanyahu ha dichiarato che Israele “riconoscerà la sovranità del Marocco sul territorio del Sahara occidentale”. Netanyahu “ha indicato che la posizione del suo Paese sarà “riflessa in tutti gli atti e i documenti pertinenti del governo israeliano””, ha precisato l’Ufficio reale. Netanyahu “ha anche sottolineato” che Israele informerà della decisione le Nazioni Unite, le organizzazioni regionali e internazionali e i Paesi con cui intrattiene relazioni diplomatiche.
  Il ministro degli Esteri Eli Cohen ha accolto con favore la decisione di Netanyahu. “Questo passo rafforzerà le relazioni tra i Paesi e i loro popoli” e favorirà la “continuazione della cooperazione per approfondire la pace e la stabilità regionale”, ha dichiarato Cohen. Il Fronte Polisario, sostenuto dall’Algeria, chiede uno Stato indipendente nel Sahara occidentale. La sovranità marocchina sul territorio non è riconosciuta da molti nella comunità internazionale. Gli Stati Uniti lo hanno fatto solo nel 2020, quando hanno mediato un accordo per normalizzare i legami tra Israele e il regno. Solo altri 28 Paesi – per lo più africani e arabi – hanno aperto consolati a Dakhla o nella città di Laayoune, in quello che il Marocco considera un sostegno tangibile al suo dominio sul Sahara occidentale, un territorio nell’Africa nord-occidentale. Il mese scorso, il presidente della Knesset Amir Ohana si era recato a Rabat e aveva parlato a sostegno del riconoscimento da parte di Israele del Sahara occidentale come territorio marocchino. L’annuncio della decisione di Israele sulla questione è arrivato poche ore dopo la nomina del col. Sharon Itach ad addetto militare in quel Paese. È la prima volta che Israele colloca un addetto militare in un Paese dell’Accordo di Abramo.
  I legami tra Israele e Marocco sono rimasti indietro rispetto a quelli dei paesi firmatari dell’Accordo di Abramo, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein. Nessuno dei due Paesi ha aperto un’ambasciata vera e propria e si affida invece a uffici di collegamento. Le tensioni con il Marocco sono state elevate a causa delle attività di insediamento israeliane. Rabat ha annullato per due volte una riunione del Forum del Negev, che comprende rappresentanti di Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Egitto, Israele e Stati Uniti.

(GEA, 18 luglio 2023)

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Trovato in Galilea un mosaico che mostra scene bibliche

di Michelle Zarfati

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Un mosaico mozzafiato, risalente a circa 1.600 anni fa, è stato scoperto durante gli scavi in un'antica sinagoga vicino al Mare di Galilea.
  Il mosaico è stato ritrovato da un team di archeologi guidati dal Prof. Jodi Magness dell'Università della Carolina del Nord a Chapel Hill, specializzato nell'archeologia di Israele e Giordania, con particolare attenzione ai periodi romano, bizantino e islamico.
  Il mosaico appena scoperto è costituito da un grande pannello con un'enigmatica iscrizione ebraica al centro, circondata da decorazioni floreali. Ai lati e sotto sono presenti dei fiori, e un'iscrizione aramaica che specifica i nomi di coloro che hanno contribuito alla costruzione dell'antica sinagoga o di coloro che hanno creato il mosaico. La corona floreale è circondata su entrambi i lati da leoni appoggiati alle zampe anteriori, che inseguono dei buoi. L'intero mosaico è adornato con illustrazioni di predatori che inseguono altri animali.
  Negli scavi sono state rivelate ulteriori sezioni del mosaico, precedentemente scoperte nel 2012 e nel 2013. Queste sezioni illustrano la figura del Sansone biblico e una rappresentazione di due coppie di volpi, con torce legate alla coda (che corrispondono alla descrizione nel Libro dei Giudici, Capitolo 15). La nuova scoperta mostra anche due guerrieri filistei.
  Inoltre, gli scavi dello scorso anno includevano un mosaico raffigurante figure chiave dei Giudici 4, tra cui Deborah la profetessa biblica, sotto una palma che fissa Barak figlio di Abinoam, dotato di uno scudo. Un'altra figura presentata è Yael, la moglie di Heber il Kenite, noto per aver ucciso Sisera comandante dell'esercito cananeo del re Jabin di Hazor.
  Secondo la credenza ebraica, durante quell'epoca, il re Jabin di Hazor regnò su Israele attraverso il suo esercito. In assenza di un leader in Israele, il popolo fu sottoposto all'oppressione dei loro nemici. Deborah la profetessa ricevette un comando da Dio di iniziare una guerra contro il re Jabin e Barak, figlio di Abinoam, sarebbe stato vittorioso nella battaglia che ebbe luogo nella valle di Jezreel.
  Esausto, Sisera fuggì a piedi e trovò rifugio nella tenda di Yael, la moglie di Heber il Kenite. Sisera chiese acqua a Yael, e invece gli diede il latte. Mentre dormiva, lei lo uccise trafiggendolo in testa con un picchetto da tenda. Infatti, le figure raffigurate nel mosaico rappresentano le prime descrizioni conosciute delle eroine bibliche Deborah e Yael.
  Il progetto archeologico, guidato dal Prof. Magness dal 2011, ha lasciato un'eredità unica di reperti con un significativo significato storico. Tra questi c'è un'iscrizione in ebraico circondata da figure umane, animali e creature mitologiche, tra cui una figura putto - un bambino maschio paffuto, di solito nudo e molto spesso alato, che nell'arte rappresenta il dio dell'amore (Eros nella mitologia greca e Cupido in quella romana).
  Inoltre, ci sono opere d'arte che documentano l'incontro tra Alessandro Magno e Geddote il Sommo Sacerdote - due delle spie inviate da Mosè per esplorare la terra di Canaan - che trasportano un bastone con un grappolo di uva (un riferimento al peccato delle spie nel Libro dei Numeri, capitolo 13), e un uomo con un animale accanto. Ci sono anche raffigurazioni di animali identificati da un'iscrizione aramaica come i quattro animali che rappresentano quattro regni (nel Libro di Daniele, capitolo 7), il sito biblico di Elim dove gli israeliti si accamparono durante le loro peregrinazioni nel deserto, vicino alle 12 sorgenti e alle 70 palme (come descritto nel Libro dell'Esodo, capitolo 15).

(Shalom, 18 luglio 2023)

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Palestinesi: preferiamo il terrorismo alla pace con Israele

L’amministrazione Biden ha ripreso gli sforzi per rilanciare i negoziati di pace israelo-palestinesi.

di Bassam Tawil (*)

Il 19 giugno, la sottosegretaria di Stato americana per gli Affari del Vicino Oriente Barbara Leaf è arrivata a Ramallah, la capitale de facto dell’Autorità Palestinese (Ap), e ha incontrato Hussein al-Sheikh, un alto funzionario palestinese che ricopre la carica di Segretario generale del Comitato Esecutivo dell’Olp.
   “La signora Barbara ha espresso la preoccupazione dell’amministrazione statunitense per la situazione della sicurezza [in Cisgiordania], ha parlato degli sforzi compiuti dagli Stati Uniti e degli intensi contatti in corso per riportare la calma, e ha esortato le due parti a tornare al tavolo dei negoziati”, ha dichiarato al-Sheikh dopo l’incontro.
   Alla vigilia dell’arrivo della Leaf a Ramallah, tuttavia, la maggioranza dei palestinesi ha nuovamente mostrato una chiara preferenza per il terrorismo contro Israele e gli ebrei. Ha anche espresso opposizione all’idea di una “soluzione dei due Stati”, spesso proposta dall’amministrazione Biden.
   Le opinioni dei palestinesi sono state rese note in un sondaggio d’opinione condotto dal Centro Palestinese di Ricerca Politica e d’Opinione (Psr) con sede a Ramallah, in occasione del 75° anniversario della “Nakba” (“Catastrofe”, il termine usato dai palestinesi per definire la costituzione dello Stato di Israele nel 1948, quando gli eserciti arabi iniziarono – per poi perderla – una guerra per impedire agli ebrei di avere un proprio Stato).
   I risultati del sondaggio, condotto tra il 7 e l’11 giugno, mostrano che l’amministrazione Biden e tutti coloro che continuano a parlare di rilancio del processo di pace tra Israele e i palestinesi vivono nell’illusione. Tali risultati indicano che la maggior parte dei palestinesi è più interessata a uccidere gli ebrei che a fare la pace con loro. I risultati, inoltre, mostrano che la maggior parte dei palestinesi vuole un successore del loro attuale leader, il presidente dell’Ap Mahmoud Abbas, che abbia legami con il terrorismo.
   Secondo il sondaggio, la più alta percentuale di palestinesi (il 24 per cento) ritiene che la nascita di gruppi terroristici islamisti estremisti come Hamas e la Jihad Islamica Palestinese (Jip) è stata “la cosa più positiva o migliore che sia accaduta al popolo palestinese dalla Nakba”. Un altro 21 per cento ha affermato che lo scoppio delle due rivolte o Intifada, nel 1987 e nel 2000, durante le quali più di mille ebrei furono uccisi e altre migliaia vennero feriti in attacchi terroristici, è stata la cosa migliore che sia accaduta al popolo palestinese dal 1948, mentre il 9 per cento ha asserito che la cosa più positiva è stata la nascita di Fatah e l’inizio della “lotta armata”. Ciò significa che la maggioranza dei palestinesi ritiene che i gruppi terroristici e l’uccisione degli ebrei, e non la costruzione di scuole e ospedali, siano il loro più grande successo degli ultimi settant’anni.
   Secondo il sondaggio, più della metà dei palestinesi preferisce una “lotta armata” (terrorismo) contro Israele ai negoziati.
   Il sostegno dell’opinione pubblica palestinese a vari gruppi terroristici che operano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza non deve sorprendere. L’unica cosa che sembra turbare l’opinione pubblica palestinese è la possibilità che le forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese di Mahmoud Abbas possano dare la caccia ai gruppi terroristici.
   Più del 71 per cento dei palestinesi si dice favorevole alla formazione di gruppi armati come Lions’ Den e il Battaglione Jenin, secondo i risultati del sondaggio. Si noti che questi gruppi armati sono stati coinvolti nell’ultimo anno in un gran numero di attacchi terroristici contro soldati e civili israeliani. Lions’Den, con sede a Nablus, e il Battaglione Jenin, con sede nel campo profughi di Jenin, hanno trasformato le zone settentrionali della Cisgiordania in un covo di terroristi. I terroristi armati di questi gruppi sono costantemente acclamati dai palestinesi come eroi e martiri.
   Questo culto dell’eroe spiegherebbe le ragioni per cui l’80 per cento dei palestinesi si dice contrario alla consegna dei membri dei gruppi armati e delle loro armi all’Autorità Palestinese. I palestinesi vogliono che i miliziani restino nelle strade e continuino i loro attacchi terroristici contro gli ebrei. La stragrande maggioranza (l’86 per cento) afferma che l’Ap non ha il diritto di arrestare membri di questi gruppi terroristici per impedire loro di compiere attacchi contro Israele. Questa tesi sembra essere uno dei motivi per cui Abbas è riluttante a ordinare alle sue forze di sicurezza di prendere seri provvedimenti contro questi gruppi terroristici e di sequestrare le loro armi. Abbas è senz’altro consapevole dell’ampio sostegno di cui godono i terroristi tra la popolazione palestinese. Indubbiamente, il presidente dell’Autorità Palestinese sa che se si opponesse ai terroristi, sarebbe accusato dalla sua popolazione di essere un traditore e un collaboratore di Israele. Abbas e l’Ap sono già oggetto di aspre critiche per aver condotto il coordinamento della sicurezza con le forze di sicurezza israeliane in Cisgiordania.
   All’inizio di quest’anno, Christiane Amanpour della Cnn ha dichiarato in televisione che “gli ultimi sondaggi condotti da parte palestinese indicano altresì che essi desiderano una soluzione pacifica dei due Stati”. L’ultimo sondaggio, come i precedenti, mostra che Amanpour ha mentito ai telespettatori.
   Secondo quest’ultimo sondaggio del Psr, il sostegno all’idea della “soluzione dei due Stati” è del 28 per cento e l’opposizione è del 70 per cento. Un sondaggio condotto dallo stesso istituto tre mesi prima aveva rilevato che il sostegno per la “soluzione dei due Stati” era solo del 27 per cento e l’opposizione del 71 per cento.
   Per quanto riguarda la scelta dei loro leader, i palestinesi hanno dimostrato ancora una volta di preferire un candidato che ha ucciso ebrei e vuole distruggere Israele a chiunque appaia eccessivamente moderato nei confronti dello Stato ebraico. I risultati del sondaggio hanno rivelato che Marwan Barghouti e Ismail Haniyeh sono più popolari dell’87enne Abbas e lo sconfiggerebbero se le elezioni presidenziali dell’AP si tenessero oggi. Perché? Barghouti, un leader della fazione al governo di Fatah, sta scontando cinque ergastoli per il ruolo avuto in una serie di attacchi terroristici contro gli israeliani due decenni fa. Haniyeh è il leader di Hamas, un gruppo islamista radicale che non crede nel diritto di esistere dello Stato di Israele e il cui statuto invoca apertamente il jihad (guerra santa) per eliminare Israele.
   È indicativo il fatto che mentre l’amministrazione Biden continua a coinvolgere Abbas e l’Autorità palestinese e a inviare i suoi alti diplomatici a incontrarli a Ramallah, la stragrande maggioranza dei palestinesi ha evidentemente perso fiducia nei propri leader. Secondo il sondaggio del Psr, l’80 per cento dell’opinione pubblica palestinese vuole che Abbas si dimetta. Ciò segna un aumento del due per cento rispetto al precedente sondaggio condotto tre mesi prima. Circa il 31 per cento dei palestinesi afferma che Hamas è il più meritevole di rappresentarli e guidarli, contro il 21 per cento che ritiene che lo sia Fatah, la fazione di Abbas. Secondo il 43 per cento degli intervistati, né Hamas né Fatah meritano di rappresentarli.
   Mentre l’amministrazione Biden sembra avere fiducia in Abbas e nella sua Autorità Palestinese, l’84 per cento dei palestinesi, a ragione (si veda quiqui e qui), ritiene che le istituzioni dell’Ap siano corrotte. Inoltre, il livello di insoddisfazione per l’operato di Abbas, secondo il sondaggio, si attesta all’80 per cento.
   I risultati dell’ultimo sondaggio palestinese mostrano che l’amministrazione Biden e l’Unione Europea, credendo di poter promuovere l’idea di una “soluzione dei due Stati” tra Israele e i palestinesi, continuano a illudersi. Gli americani e gli europei sembrano inconsapevoli dei sentimenti dell’opinione pubblica palestinese e preferiscono prestare attenzione soltanto a ciò che gli alti funzionari palestinesi dicono loro a porte chiuse, a Ramallah. I leader palestinesi mistificano chiaramente la realtà quando parlano del desiderio palestinese di raggiungere la pace e creare uno Stato palestinese a fianco di Israele. Dicono questo perché sperano di avere uno Stato in Cisgiordania che potrebbero utilizzare come trampolino di lancio per attaccare Israele. Ed è proprio ciò che fecero i palestinesi dopo che Israele si ritirò dalla Striscia di Gaza, nel 2005, consegnandola così all’Autorità Palestinese: iniziarono a lanciare razzi dalla Striscia di Gaza contro Israele.
   Un sondaggio dopo l’altro ha dimostrato che questi funzionari, tra cui Mahmoud Abbas, ora al 18° anno del suo mandato quadriennale, hanno perso la fiducia della maggior parte dei palestinesi e da anni non rappresentano le opinioni della maggioranza della popolazione palestinese.
   I funzionari degli Stati Uniti e dell’Ue renderebbero a se stessi un grande servizio se vedessero la realtà così com’è, ossia che la maggior parte dei palestinesi è contraria alla “soluzione dei due Stati” e sostiene con forza il terrorismo. La maggior parte dei palestinesi vuole indiscutibilmente essere rappresentata e governata da terroristi.
   I risultati del sondaggio d’opinione non sorprendono coloro che sono a conoscenza dello stato d’animo palestinese. La radicalizzazione è la diretta conseguenza di decenni di lavaggio del cervello e di istigazione contro Israele che avvengono senza sosta nelle moschee, attraverso i media, nelle scuole, nei campus universitari, nello sport, nei campi estivi e persino nei cruciverba. Ai palestinesi viene costantemente detto – falsamente – dai loro leader che, ad esempio, gli ebrei “prendono d’assalto“ e “profanano con i loro piedi sporchi“ la moschea di al-Aqsa, a Gerusalemme; gli ebrei israeliani “cercano di controllare il mondo“ e che gli ebrei avrebbero mandato topi nella Città Vecchia di Gerusalemme e cinghiali nei campi per cacciare gli arabi dalle loro case, anche se non è ancora chiaro come gli animali fossero addestrati a sapere quali case appartenessero agli arabi e quali agli ebrei.
   Se non altro, i risultati del sondaggio mostrano che gli americani e gli europei stanno perdendo tempo a cercare di convincere i palestinesi a tornare al tavolo dei negoziati con Israele.
   L’Ue o l’amministrazione Biden stanno esercitando pressioni su Abbas e sulla leadership palestinese per reprimere i gruppi terroristici e porre fine alla loro incessante istigazione contro Israele? No, piuttosto l’Unione Europea sta inviando attrezzature ai palestinesi per aiutarli a costruire illegalmente su terreni da negoziare. Gli Stati Uniti, da parte loro, non solo sostengono che la lotta al terrorismo equivalga moralmente a commettere atti terroristici, ma in barba al Congresso statunitense continuano a premiare la politica “dell’impiego” attuata da Mahmoud Abbas del “pagati per uccidere” con il denaro, bene fungibile per eccellenza, incoraggiando i palestinesi a uccidere gli ebrei.
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(*) Bassam Tawil è un arabo musulmano che vive in Medio Oriente.

(Gatestone Institute, 16 luglio 2023 - trad. di Angelita La Spada)

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L’America ebraica in subbuglio; grande attesa per la sentenza a carico di Robert Bowers, autore del massacro alla sinagoga di Pittsburgh

Al processo per la strage di Pittsburgh si attende la decisione finale che verrà emessa entro giovedì.  Pena di morte? O ergastolo? L’autore del massacro è un ex camionista cinquantenne, Robert Bowers, che il 27 ottobre 2018 fece irruzione nella sinagoga Tree of Life uccidendo undici persone.

di Roberto Zadik

Dopo cinque lunghi anni, il processo a carico dell’attentatore Robert Bowers, colpevole di aver ucciso undici persone in preghiera nella sinagoga Tree of Life di Pittsburgh, si sta avviando alla conclusione che, a quanto pare, ne prevederebbe la condanna a morte oppure l’ergastolo. Stando agli articoli di due importanti testate, il Jewish Telegraphic Agency (JTA) e il NY Times, giovedì scorso, il 13 luglio, i membri della giuria, composta da dodici persone, si sono riuniti arrivando alla condanna unanime di Bowers, cinquantenne ex camionista.
  La  valutazione di una serie di aggravanti  li spingerebbe a chiedere la pena capitale per l’autore di quella folle sparatoria in cui, il 27 ottobre 2018, egli ha sfogato il suo odio antisemita dopo aver fatto irruzione nell’edificio. Secondo i giurati ci sarebbero una serie di aggravanti e si sta decidendo, in queste ore, quale provvedimento applicare, escludendo qualsiasi possibilità di rilascio. Durante questa fase finale che  inizierà questa settimana, da lunedì 17 luglio, i giurati ascolteranno le testimonianze di una serie di soggetti coinvolti in quella strage, da quelli più strettamente colpiti, come i parenti delle vittime ed i feriti dai colpi di pistola di Bowers, fino a coloro che hanno assistito impotenti a quanto stava accadendo.
  Tutto dovrebbe concludersi in due o tre giorni con una serie di udienze in cui verranno interpellati circa sette testimoni. Accanto all’accusa ci sarà anche la difesa che esporrà una serie di attenuanti quali i problemi psichici dell’attentatore e le difficoltà della sua vita. Stando a quanto afferma il sito, la sentenza è prevista entro giovedì mattina e si sta valutando il grado di colpevolezza effettiva di Bowers che, a quanto pare, non avrebbe nessun rimorso riguardo a quanto compiuto; la difesa insisterebbe sulla sua schizofrenia e sulla mancanza di un reale intento omicida, elemento indispensabile per l’applicazione della pena capitale.
  Immediate le reazioni dei movimenti ebraici locali, come quella di Jeffrey Finkelstein, Ceo della Federazione ebraica di Pittsburgh, che ribadisce il movente antisemita del gesto che, come specifica, “non è certo questione di equilibrio mentale”. Fra i presenti in tribunale, davanti ai giurati, c’erano due dei poliziotti feriti durante l’attacco, i membri delle famiglie delle vittime e anche i famigliari di Bowers. Descrivendo meticolosamente anche gli stati d’animo della seduta, Kampeas, nel suo articolo, evidenzia l’atmosfera di calma apparente che regnava nella stanza e la freddezza dell’avvocato difensore dell’attentatore, Judy Clarke, nota penalista che “sembrava non provare alcuna emozione, compilando il suo quaderno con una serie di appunti e lo sguardo nascosto dagli occhiali da sole”.
  Il sito del New York Times, nell’articolo di Campbell Robertson, puntualizza la rarità dei processi per le stragi di massa perché la maggioranza delle volte l’attentatore viene ucciso dalle forze dell’ordine e riferisce che, solamente in pochi casi, gli autori di queste sparatorie che sono sopravvissuti sono stati poi condannati a morte; infatti a Charleston, nel 2015, un estremista di destra che aveva sparato su alcuni fedeli afroamericani, mentre entravano in chiesa, ha avuto l’ergastolo come anche il responsabile della sparatoria in Colorado del 2012 in cui morirono dodici persone. L’articolo approfondisce una serie di argomenti interessanti, come la contrapposizione di opinioni fra  i membri delle congregazioni ebraiche progressiste  New Life (Nuova vita) e Dor Chadash (Nuova generazione) che si oppongono duramente alla pena di morte per l’attentatore e le famiglie delle vittime che, invece, inneggiano alla pena capitale per Bowers. In questi giorni i membri di queste congregazioni avrebbero inviato una serie di lettere di protesta per “ragioni etiche e religiose” insistendo sulla gravità di una eventuale esecuzione mentre, al contrario, coloro che hanno perso i loro cari o sono rimasti feriti temono che le attenuanti possano essere “una facile via di uscita per un crimine che merita il massimo della pena” come afferma il testo.

• Cosa sta succedendo in New Jersey?
  Arrestato per minacce a luoghi ebraici il giovane Omar Alkattoul ora rischia cinque anni di carcere
  Contemporaneamente, in questi giorni, in New Jersey, secondo una notizia uscita sempre sul Jewish Telegraphic Agency e firmata da Julia Gergely, un ragazzo di 19 anni sarebbe in stato di arresto, dallo scorso novembre, sospettato di aver minacciato varie sinagoghe ed istituzioni ebraiche. Il giovane, di nome Omar Alkattoul, è stato giudicato responsabile di attacchi verbali, molto aggressivi, ai danni di sinagoghe e scuole ebraiche; inoltre le autorità investigative, come l’FBI, hanno identificato una serie di elementi preoccupanti quali il suo giuramento di fedeltà all’Isis ed il manifesto estremista, da lui pubblicato sui social, intitolato “Quando le spade si incrociano” in cui egli esprimeva tutto il suo odio antiebraico anche se non è chiaro se e quando egli volesse mettere in pratica le sue minacce. Le associazioni ebraiche hanno chiesto alle autorità di prendere precauzioni speciali contro questo giovane che, stando a quanto rivela l’articolo, rischia cinque anni di carcere. Nel testo viene evidenziato quanto sia un periodo estremamente teso per il mondo ebraico americano, dai commenti antisemiti del rapper Kanye West alle minacce di due uomini che, sul web, avevano annunciato l’intenzione di “sparare a una sinagoga” e che sono stati arrestati a New York.

(Bet Magazine Mosaico, 17 luglio 2023)

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Israele, destinazione per ogni viaggiatore, sarà sede della prossima convention Fto

Si terrà in Israele la prossima convention Fto. Sara Salansky, senior director overseas marketing department del Ministero del turismo d’Israele, ha così commentato l’annuncio dell’evento, programmato per gennaio 2024: «Siamo onorati di accogliere un’associazione tanto prestigiosa. Siamo certi che la nostra destinazione saprà sorprendere positivamente chi ancora non la conosce e rafforzare le tipologie di promozione in chi già la promuove, grazie ad un privilegiato momento di co-working».
  Israele sta vivendo un anno positivo sul fronte del turismo: in questi mesi, dopo un inizio promettente che ha rinforzato il dato positivo del 2022, i turisti stanno arrivando da tutto il mondo. In particolare dai mercati: americano, francese e tedesco e anche da quello italiano, che si posiziona al 5° posto. «Nel 2023 sono arrivati circa 85.000 italiani, un dato vicino a quello del 2019: contiamo di crescere ancora nei prossimi mesi e nel 2024 – sottolinea Kalanit Goren Perry, direttrice dell’Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo -. Israele ha realizzato un’importante campagna di sensibilizzazione, presentando mete marine come Eilat, nella parte sud del paese, e mettendo in primo piano il tema dello sport e dell’avventura. Significativo il ruolo del mondo cristiano e cattolico, con la crescita dei pellegrinaggi del 30% rispetto al 2019. Quest’anno è stato riaperto il Santo Sepolcro; sono accessibili anche importanti musei e il Governo ha fatto molti investimenti nelle infrastrutture proprio per arricchire l’esperienza del visitatore. Israele ha tanto da offrire, con un fascino che avvicina passato e futuro: dalla vacanza balneare estiva amata dagli italiani, al percorso religioso e di scoperta della storia antica».
  Momenti diversi da vivere in un’unica vacanza durante la quale visitare Gerusalemme, il centro storico di Giaffa e la giovane Tel Aviv e la sua movida. La città, nominata “La città bianca” dall’Unesco, ha ottenuto il 5° posto del Global Startup Ecosystem, offre musei e spettacoli e festival ed ha riaperto il museo della Torre di Davide. Nei dintorni si può scoprire il suggestivo castello crociato di Nimrod, costruito nel 1193 e collocato in uno splendido parco naturale. Partendo dalla capitale è poi possibile trascorrere qualche giorno al mare, assaporando la ricchezza della gastronomia locale, oppure organizzare interessanti city-break: perché l’Italia è a sole 4 ore di aereo da Israele, che è una destinazione davvero per tutti, ideale in ogni mese dell’anno.
  «I turisti vengono da tutta Italia – prosegue Goren -. Sta anche crescendo il numero delle famiglie e dei giovani, felici di scoprire una meta nuova e inaspettata». Forte l’attenzione alla sostenibilità e il rispetto per la natura che si declinano sia nell’offerta turistica che nella gastronomia. Nel deserto del Negev, per soddisfare la domanda luxury, sono nati l’Israel Hotel&Luxury Spa Resort Six Senses – una realtà immersa nel silenzio e nel fascino delle atmosfere del deserto – mentre il Beresheet Mitze Ramon Hotel, della catena Isrotel, è un resort dall’architettura unica, un efficiente servizio e le camere che si aprono sui 12,5 acri di spazi sabbiosi, con una piscina premiata per la sua bellezza.
  I collegamenti aerei registrano una significativa crescita rispetto al 2019, con più di 120 voli settimanali, anche diretti, operati da molte compagnie, tra cui El Al e Ita Airways in partenza da Fiumicino, Milano Malpensa e Bergamo, Catania, Venezia e Bologna. «Ospitare l’appuntamento annuale dell’Fto è un modo per stringere forti legami con l’industria turistica italiana. Quest’anno ricorre per noi un importante anniversario perché celebriamo i 50 anni della presenza in Italia come Ufficio del Turismo Israeliano – conclude Kalanit Goren – Intendiamo promuovere delle attività per festeggiare la ricorrenza e i legami tra Israele e l’Italia: una vicinanza molto più che istituzionale. Infine rinnoviamo il nostro impegno verso il trade: con diverse iniziative e con la partecipazione al prossimo Ttg con nuovi rappresentanti del turismo israeliano e la compagnia aerea El Al».

(TravelQuotidiano, 17 luglio 2023)

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Israele, riforma giudiziaria: cresce la protesta dei riservisti IDF. Convocata una riunione d’emergenza

Il Ministro della Difesa teme ripercussioni sulla sicurezza a causa nel crescente numero di riservisti delle forze d'elite che rifiutano il servizio volontario

Il Ministro della Difesa Yoav Gallant ha convocato domenica il Capo di Stato Maggiore e lo Stato Maggiore dell’IDF per una riunione d’emergenza per discutere del crescente numero di riservisti che hanno notificato all’esercito che non si sarebbero più offerti volontari per il servizio dopo la spinta del governo a cambiare il sistema giudiziario.
  Gallant e gli alti comandanti erano preoccupati che la preparazione dell’IDF alla guerra potesse essere compromessa. Dopo l’incontro, i funzionari hanno dichiarato che la questione potrebbe essere presentata al Primo Ministro Benjamin Netanyahu nei prossimi giorni per valutare ulteriormente la situazione.
  Fonti vicine al Capo di Stato Maggiore Herzi Halevi hanno detto che egli ha chiesto a Gallant di specificare se pensasse che l’esercito sarebbe stato a rischio. L’ufficio di Gallant ha negato la notizia, ma domenica si è tenuta una riunione d’emergenza per determinare la portata dei potenziali danni all’IDF.
  Da quando il ministro della Giustizia Yariv Levin ha annunciato l’intenzione del governo di legiferare una revisione giudiziaria che, secondo gli oppositori, indebolirebbe la posizione della Corte Suprema e di un ramo co-eguale e permetterebbe ai politici di operare senza controllo giudiziario, centinaia di migliaia di israeliani hanno manifestato in proteste di massa settimanali in tutto il Paese.
  A marzo, Gallant ha avvertito il Primo Ministro Benjamin Netanyahu che la sicurezza di Israele era messa a rischio dalla proposta di legge ed è stato prontamente licenziato, provocando un crescendo di proteste e portando i membri delle forze aeree, delle unità di combattimento d’élite, delle unità informatiche e di intelligence di Israele ad annunciare che si sarebbero rifiutati di servire un regime non democratico.
  Dopo le crescenti critiche internazionali, Netanyahu ha lasciato Gallant al suo posto, ha bloccato la legislazione e ha accettato di tenere colloqui con l’opposizione per trovare un ampio consenso. Ma dopo mesi senza un accordo, i colloqui sono stati interrotti e la legislazione è stata nuovamente portata avanti.
  L’IDF cita una lettera di 200 riservisti volontari che prestano servizio nell’unità d’élite Matkal, tutti identificabili per nome, come un rischio maggiore. Nella loro lettera, hanno affermato di sperare ancora che la legge possa essere fermata prima che siano costretti a compiere un passo così drastico come quello di rifiutarsi di servire il proprio Paese. Hanno affermato che la spinta della coalizione ad approvare la legge sta lacerando la società israeliana e distruggendo le fondamenta su cui è stata costruita. “Non possiamo stare a guardare e permettere tutto questo”, hanno detto. “Questa legislazione antidemocratica mina il metodo stesso di governo e la sicurezza della nazione, che si basa su un corpo unito e solidale”.
  Un articolo del New York Times di sabato ha citato alti funzionari delle agenzie di sicurezza israeliane che hanno ammesso, a porte chiuse, che il dispiegamento delle forze armate, in particolare l’aeronautica e la preparazione alla guerra, sono a rischio e che potrebbero essere aggravati dal pensionamento su larga scala del personale in servizio attivo.
  Un gruppo di 800 ex membri dello Shin Bet ha avvertito domenica, in una lettera, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu e il Ministro della Difesa Yoav Gallant che la legislazione della coalizione per la revisione del sistema giudiziario rappresenterà un pericolo reale per il Paese e la sua sicurezza ed esporrà i membri del servizio e dell’IDF ad accuse penali all’estero.

(Rights Reporter, 17 luglio 2023)

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Gasdotti. In Israele verrà realizzata una nuova pipeline per il giacimento Leviathan

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TEL AVIV - Il nuovo gasdotto di Energy, Chevron Mediterranean Limited e Ratio Energies aumenterà significativamente la capacità produttiva, da 12 a 14 miliardi di m3 all’anno
  Arriva un terzo gasdotto per Leviathan, il giacimento israeliano in mano a NewMed Energy, Chevron Mediterranean Limited (Cml) e Ratio Energies: i tre operatori hanno deciso di costruire la nuova pipeline che collegherà Leviathan alla sua piattaforma situata a dieci chilometri dalla costa israeliana. Il budget totale per il progetto è di circa 568 milioni di dollari.  

• L’AUMENTO DI PRODUZIONE
  Il nuovo gasdotto aumenterà significativamente la capacità produttiva di Leviathan, con il primo flusso previsto per la seconda metà del 2025. Si prevede un aumento da 12 a 14 miliardi di metri cubi all’anno. Scoperto nel 2010, questo giacimento mediterraneo, situato a circa 130 chilometri a ovest del porto israeliano di Haifa, contiene risorse sfruttabili stimate in circa 605 miliardi di m3 di gas naturale, secondo il consorzio israelo-americano che lo gestisce.

• IL PIÙ GRANDE GASDOTTO
  Si tratta del più grande giacimento di gas naturale offshore di Israele, che produce gas naturale anche nei giacimenti offshore di Tamar e Karish. “L’espansione della capacità produttiva ci permetterà di fornire più gas naturale al mercato locale e regionale e presto anche al mercato globale”, ha dichiarato Yossi Abu, amministratore delegato di NewMed Energy, che detiene i diritti di sfruttamento di oltre il 45% di Leviathan.  

• LEVIATHAN IN PILLOLE
  Scoperto nel 2010, Leviathan è il più grande giacimento di gas naturale del Mediterraneo, in virtù di 22,9 trilioni di piedi cubi di gas recuperabile: fornisce il mercato del gas israeliano, la Giordania e l’Egitto. Chevron e Ratio detengono rispettivamente il 39,66% e il 15% delle quote nel campo. Il nuovo gasdotto partirà a 10 km dalla città costiera di Dor, costruito dal consorzio Leviathan con l’israeliana NewMed Energy, l’operatore Chevron e Ratio Energies. I primi flussi di gas inizieranno nel 2025. Il giacimento di gas offshore si trova a circa 120 chilometri a ovest della città portuale di Haifa.
  Come osservato dal ceo di NewMed, Yossi Abu, l’espansione della capacità di produzione e la futura liquefazione tramite un impianto di liquefazione designato consentirà di fornire più gas naturale al mercato locale, regionale e molto presto anche globale. Infatti entro quattro anni il consorzio prevede di raddoppiare la produzione dal giacimento di Leviathan a 24bcmpa. Secondo i tre player i piani per aumentare la produzione annuale e le esportazioni nel 2025 per soddisfare la crescente domanda spingono il valore stimato del giacimento a 12,5 miliardi di dollari.

(E-gazette, 17 luglio 2023)

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Cosa accadeva duemila anni fa davanti al kotel? Ora grazie ad un’app è possibile scoprirlo

di Michelle Zarfati

Che aspetto avevano le famose colonne di rame di Boaz e Jachin? A partire da questa settimana, utilizzando un’app di realtà aumentata, sarà possibile ricostruire il Muro Occidentale come appariva più di duemila anni fa. Si potrà persino viaggiare nel tempo e visitare il sito dall'epoca del Secondo Tempio.
  L'applicazione di realtà aumentata consentirà ai visitatori del Muro Occidentale di scoprire cosa avrebbero visto se si fossero fermati nello stesso punto 2000 anni fa. L'applicazione, chiamata Kotel AR, è stata lanciata dalla Western Wall Heritage Foundation in collaborazione con l'Ufficio del Primo Ministro, in previsione dell'arrivo di milioni di turisti nel sito durante l'estate.
  L'applicazione incorpora un'innovativa tecnologia di realtà aumentata che riconosce ciò che viene visualizzato attraverso la fotocamera del dispositivo mobile, scansionando lo spazio nella piazza del Muro e leggendo le informazioni virtuali su di esso. In questo modo, gli utenti dell'applicazione osservano effettivamente la realtà fisica del sito insieme alla realtà virtuale in un colpo d'occhio.
  Nell'ambito del nuovo servizio, aperto gratuitamente al pubblico e disponibile per il download su dispositivi Android e Apple, il visitatore potrà scoprire l'immagine che avrebbe visto se fosse stato sul posto duemila anni fa.
  “Gli oltre 12 milioni di persone provenienti da tutto il Paese e dal resto del mondo che ogni anno visitano la piazza del Muro Occidentale potranno ora connettersi ancora di più con l'eredità e il passato del Tempio", scrive in una nota la Western Wall Heritage Foundation. La nuova applicazione di realtà aumentata "fornirà ai visitatori un'esperienza storica e affascinante che arricchirà ulteriormente la visita del Kotel insieme ad una varietà di tour e programmi educativi per tutta la famiglia".

(Shalom, 17 luglio 2023)
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La cosa non è affatto entusiasmante. Andiamo sempre di più (con Israele in testa?) verso la sostituzione della realtà con la finzione. E' il campo adatto per il proliferare della menzogna, a tutti i livelli. M.C.

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Israele sviluppa una nuova AI militare in grado di pianificare missioni e selezionare i bersagli migliori in pochi minuti

Le AI sono ormai in grado di svolgere un numero sempre più grande di compiti, che spaziano dal creare immagini partendo da descrizioni testuali allo scrivere righe di codice di programmazione in pochi secondi. In molti, soprattutto tra artisti e programmatori, si dichiarano preoccupati di perdere il lavoro a causa delle Intelligenze Artificiali, ma una recente conferenza a Ginevra sembra aver dato alcune rassicurazioni.
  Un’applicazione di queste nuove tecnologie in ambito militare però non si era ancora mai vista: è di poche ore fa la notizia che, secondo l’Israel Defence Force, le forze armate dello stato d’Israele, lo stato del Medio Oriente stia sperimentando l’Intelligenza Artificiale per ottimizzare le proprie strategie di guerra e scegliere con più dovizia i propri bersagli militari.
  La storia di Israele dall’anno della sua nascita, il 1948, è sempre stata estremamente travagliata, perché la sua presenza è sempre stata fortemente contestata dal mondo arabo, con tensioni che spesso sono sfociate in guerre e schermaglie militari, soprattutto con il popolo palestinese ivi presente. Israele ha sempre puntato molto sulla difesa del proprio territorio, e non a caso le sue forze armate sono considerate tra le più addestrate e preparate del pianeta.

• Come funziona la nuova AI militare israeliana
  Ovviamente non è stato divulgato con dovizia di particolari il preciso funzionamento dell’Intelligenza Artificiale israeliana, ma alcuni ufficiali dell’esercito hanno spiegato che esistono due modelli di AI militare, uno improntato alla raccolta dati per i bombardamenti aerei, un altro (chiamato Fire Factory) destinato al calcolo e all’ottimizzazione delle risorse militari, come il numero di munizioni, il dispiegamento di un dato numero di droni e altre informazioni simili.
  In ogni caso, le decisioni ultime spetteranno sempre agli esseri umani: l’AI sarà sempre controllata da un operatore umano, che deciderà l’approvazione o meno della strategia proposta dal software. Si afferma inoltre che, secondo chi ha creato l’algoritmo alla base dell’AI, con questa tecnologia si ridurranno enormemente le perdite umane.
  Da un lato, si può apprezzare il continuo sviluppo e la ricerca di nuove applicazioni di utilizzo per l’Intelligenza Artificiale, ma dall’altro lato non si può che rimanere spaventati e inorriditi dall’uso militare che ne si sta facendo. Al momento, questa tecnologia non è stata ancora soggetta a regolazioni internazionali, quindi esiste il rischio che si possa abusare di questa nuova, macabra funzionalità delle AI.

(DrCommodore, 17 luglio 2023)

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Netanyahu sotto osservazione dopo la disidratazione in ospedale

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stato portato sabato al centro medico Sheba di Ramat Gan dopo essersi sentito male.

GERUSALEMME - Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha trascorso la notte di domenica in ospedale sotto osservazione dopo essersi disidratato il giorno precedente, secondo l'Ufficio del Primo Ministro.
  Il 73enne Netanyahu ha diffuso un video dal Centro Medico Sheba di Ramat Gan, in cui dice: "Sono andato sul Mar di Galilea con mia moglie venerdì, sotto il sole, senza cappello, senza acqua. Non è stata una buona idea".
  "Vorrei innanzitutto ringraziare tutti voi per la vostra preoccupazione e le eccellenti équipe mediche qui a Sheba che mi hanno visitato. Grazie a Dio sto molto bene", ha continuato. "Ma ho una richiesta da farvi: siamo nel bel mezzo di un'ondata di caldo, quindi vi chiedo di passare meno tempo al sole, di bere più acqua e che tutti noi possiamo avere una buona settimana", ha aggiunto Netanyahu.
  In un comunicato congiunto di Sheba e dell'Ufficio del Primo Ministro si legge: "Il Primo Ministro ha trascorso ieri diverse ore al caldo sul Mare di Galilea. Oggi ha lamentato "leggere vertigini" e il suo medico gli ha consigliato di recarsi allo Sheba".
  Il comunicato aggiunge: "Gli esami iniziali hanno rivelato risultati normali, senza che sia stato rilevato nulla di insolito. La valutazione iniziale è di disidratazione. Su consiglio dei medici, il Primo Ministro sarà sottoposto a ulteriori esami di routine".
  Netanyahu è stato portato a Sheba dalla sua casa privata di Cesarea, dove ha trascorso il fine settimana.
  A causa del ricovero di Netanyahu, la riunione settimanale del Gabinetto, che normalmente si tiene la domenica, è stata rinviata a lunedì.
  Netanyahu non ha un successore designato che gli subentri automaticamente come primo ministro in caso di impossibilità a partecipare. Sebbene il ministro della Giustizia Yariv Levin detenga il titolo di vice primo ministro, i ministri dovrebbero votare un primo ministro ad interim.
  La regione del Mediterraneo orientale è nel mezzo di una ondata di calore iniziata mercoledì. Le temperature più alte in Israele sono state registrate a 38°-43 °C nella Valle del Giordano e nelle regioni meridionali di Israele.
  Il Ministero della Salute ha esortato gli anziani e i malati cronici a evitare il sole e ha invitato le persone a bere molta acqua per evitare disidratazione o colpi di calore. Le autorità hanno inoltre vietato l'accensione di fuochi nei luoghi pubblici e hanno messo in allerta speciale uno squadrone di aerei antincendio.

(israel heute, 16 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Israele guida la rivoluzione della medicina

di Luciano Bassani

La guerra porta dolore e distruzione per chi la combatte e per chi ne è coinvolto indirettamente.
  In Israele, dove lo stato di guerra è permanente e dove più che in altri Paesi l'effetto del terrorismo continua a lasciare le sue conseguenze, la medicina è divenuta una delle eccellenze mondiali anche per necessità. Dopo che il soldato Daletfu colpito al volto da una pallottola che gli causò gravi lesioni vicino al cervello, agli occhi e alla lingua, i chirurghi del Rambam hospital hanno ricostruito con successo la sua mascella utilizzando una innovativa tecnologia 3D. I medici sono abituati a ricostruire un lato del viso quando l'altro lato è sano e può essere utilizzato come guida, ma nel caso di Dalet ciò non è stato possibile e i medici del Rambam healthcare campus di Haifa hanno dovuto trovare un'altra soluzione. «Nella maggior parte dei casi, eseguiamo l'imaging del lato sano e utilizziamo quelle immagini per pianificare e riparare il lato ferito. Tuttavia, in questo caso, entrambe le parti sono rimaste ferite», ha detto al Times of Israel il professor Adi Rachmiel, direttore del dipartimento di chirurgia orale e maxillofacciale di Haifa.
  I medici hanno creato modelli 3D computerizzati della mascella e li hanno stampati per prepararsi al complesso intervento chirurgico. Hanno eseguito l'operazione e la mascella del soldato è ora pronta per un completo recupero. «Abbiamo utilizzato un nuovo metodo che ha portato a un'operazione rapida e sicura e a ottimi risultati», ha affermato Rachmiel. «Il suo viso tornerà vicino alla normalità, a eccezione di alcune cicatrici sulla pelle».
  La start up Beyeonics, con sede ad Haifa, ha prodotto cuffie digitali per chirurghi oculisti, ortopedici e neurochirurghi. Il sistema combina la realtà aumentata, l'imaging 3D e l'elaborazione di dati, ottenuti grazie all'intelligenza artificiale, supportando il processo decisionale del chirurgo. Robot chirurgici e cuffie digitali: queste sono solo alcune delle innovazioni sviluppate dalla tecnologia israeliana, dove robotica e intelligenza artificiale si combinano, creando una nuova realtà nel campo della medicina e della chirurgia. Lo sviluppo di nuove tecnologie in campo medico, in particolare in quello chirurgico, ha consentito non solo la massima precisione negli interventi ma anche ricoveri più brevi. L'azienda israeliana Human xtensions, per esempio, ha sviluppato un piccolo robot che permette al chirurgo di eseguire con la massima precisione operazioni molto complesse nella cavità addominale, in aree di difficile accesso. Israele, cuore pulsante dell'innovazione della salute digitale, è sede di oltre 450 start up e aziende che promuovono innovazioni personalizzate, come l' analisi della salute e la telemedicina. Investimenti che negli ultimi tre anni si aggirano attorno a 800 milioni di dollari e rappresentano la scintilla della rivoluzione nella medicina che da tempo si attende.

(La Verità, 16 luglio 2023)

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Ciclismo: Israele, Bahrain ed Emirati Arabi insieme nella ‘’Race for Peace’’

di Jacqueline Sermoneta

“La gara mostrerà come il ciclismo e lo sport in generale siano una forza positiva per unire i popoli e le nazioni, creare ponti e avere un mondo più pacifico”. Queste le parole del filantropo israelo-canadese Sylvan Adams, patron del team Professional Israel-premier Tech, promotore di un significativo evento sportivo: una gara ciclistica professionistica per celebrare la pace e gli Accordi di Abramo. Lo riporta il JNS.
  La competizione si svolgerà dal 18 al 22 ottobre 2024 (3 giorni di corsa e 2 di viaggio) in tre tappe - Israele, Bahrain ed Emirati Arabi Uniti – con un formato innovativo: si partirà da Tel Aviv con una gara ad eliminazione, poi si passerà al Criterium di Manama, in Bahrain, e terminerà con una cronoscalata in cima allo Jebel Hafeet negli Emirati.
  La prima edizione dell’evento si terrà poco prima della cerimonia di consegna dei premi UCI - Union Cycliste Internationale - di fine stagione e dovrebbe riunire tutti i più grandi nomi del ciclismo. Le squadre saranno 20, formate da 5 ciclisti l’una.
  Questo appuntamento agonistico vedrà gareggiare, tra le altre, le squadre Israel-Premier Tech, Baherien Victorius e UAE Team Emirates, e probabilmente, nel 2025 sarà coinvolta anche l’Arabia Saudita che sarebbe in trattativa con la Jumbo-Visma.
  Sylvan Adams è noto per le numerose iniziative promosse soprattutto in ambito sportivo e nel mondo dell’intrattenimento per rafforzare l’immagine dello Stato ebraico: ad esempio, ha portato Lionel Messi e la nazionale di calcio argentina per un’amichevole a Tel Aviv, Madonna all’Eurosong Contest e ha organizzato la finale della Supercoppa di Francia sempre nella città israeliana. È stato anche l’artefice della partenza del Giro d’Italia 2018 da Gerusalemme.

(Shalom, 16 luglio 2023)

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Ricerca scientifica e filantropia, l’omaggio dell’Università ebraica

Viviana Kasam
Fondatrice con Rita Levi-Montalcini dell’associazione no-profit BrainCircleItalia e animatrice di numerosi progetti incentrati sulle eccellenze della ricerca scientifica, con un’attenzione di riguardo allo sviluppo dei rapporti tra Italia e Israele, Viviana Kasam siede da tempo nel board dell’Università ebraica di Gerusalemme. Un impegno di lungo corso, segnato da varie iniziative dal respiro internazionale e premiato ora dall’ateneo con il conferimento del dottorato honoris causa in filosofia.
  Nella motivazione del riconoscimento, che le sarà assegnato nel giugno del prossimo anno, in risalto l’attività svolta sotto il cappello di BrainCircleItalia e un recente progetto sulle “emozioni” avviato nel nome della grande scienziata torinese, oltre all’azione filantropica di cui l’Università e i suoi studenti hanno beneficiato nel corso degli anni. “Sono molto orgogliosa. L’Università ebraica di Gerusalemme, prossima a festeggiare il centenario dalla sua inaugurazione, è la più grande e importante università d’Israele. E una delle 100 più importanti al mondo. Un punto di riferimento, nato nel segno di figure come Albert Einstein e Sigmund Freud”, commenta Kasam.
  Il rapporto con l’Università, autorità mondiale nel campo delle neuroscienze, è iniziato proprio con Brain Circle. Ed è proseguito, anche in ambito divulgativo, per far conoscere a un vasto pubblico “novità e ricerche di valore”. Nel comunicare a Kasam il riconoscimento il presidente dell’Università ebraica Asher Cohen e il rettore Tamir Sheafer sottolineano anche, oltre ai risultati, l’attitudine da lei dimostrata, “seguendo gli insegnamenti del padre”, alla tzedakah e alla promozione della cultura ebraica.

(moked, 16 luglio 2023)

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Chi era Joan Rivers, la ‘vera’ Mrs Maisel?

di Pietro Baragiola

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Dopo cinque stagioni, 20 Emmy awards e molto umorismo ebraico, la pluripremiata serie TV La fantastica signora Maisel ha raggiunto la sua epica conclusione mostrandoci la protagonista, Midge, coronare il suo sogno e diventare una delle comiche più celebri al mondo.
  Molti non sanno che, pur essendo un personaggio inventato, la signora Maisel, cercando di imporsi nel mondo maschilista della stand-up comedy grazie alle sue battute sprezzanti ed abiti scintillanti, è stata creata traendo ispirazione da una celebrità realmente esistita, emblema della comicità ebraica americana: Joan Rivers (nella foto in basso, sotto a Rachel Brosnahan, interprete di Midge Maisel).
  Nota per il suo accento newyorkese, la battuta pronta e quello spiccato senso dell’umorismo con cui trasformava drammi personali in sketch divertenti, Rivers, mancata nel 2014, fu una delle prime pioniere della stand-up comedy femminile, illuminando la strada per personalità del calibro di Whoopi Goldberg e Amy Schumer. “Il nostro non è un lavoro, ma una vocazione: rendiamo felici le persone” affermò Rivers.

• La carriera speculare di Joan Rivers e Midge Maisel
  Creata da Amy Sherman-Palladino, la serie ha debuttato su Amazon Prime nel 2017 portando gli spettatori nella versione scintillante e colorata del mondo della stand-up comedy newyorkese degli anni ’60. Protagonista è l’ebrea Midge Maisel (interpretata da una bravissima Rachel Brosnahan) che, dopo essere stata tradita dal marito, scopre il proprio talento come cabarettista. Le sue battute pungenti e fuori dagli schemi sono ispirate dalla leggendaria comica Joan Rivers, venuta a mancare nel 2014.
  Come Midge, Joan nacque a New York City da una famiglia di origine ebraica. Uno dei luoghi più importanti della sua carriera di comica fu lo storico Gaslight Café, il palco del Greenwich Village che negli anni ’60 fu punto di ritrovo dei nomi più importanti della stand-up comedy americana, da Woody Allen a George Carlin. È proprio al Gaslight Café che, nella serie, Midge fa il suo debutto sul palco per poi tornarci diverse volte ad affinare le proprie abilità, su consiglio dello straordinario comico ebreo e amante occasionale Lenny Bruce.
  Nel mondo reale Bruce fu anche uno dei principali motivatori e mentori di Joan Rivers. L’attrice dichiarò infatti che, dopo uno dei suoi primi fiaschi davanti al pubblico, Bruce le diede un biglietto con su scritto “Tu hai ragione, loro torto” e lei lo conservò per anni, leggendolo ogni volta che le cose si facevano difficili.
  Grazie alla sua determinazione, poco tempo dopo Joan fece il suo debutto al celebre Tonight Show condotto da Johnny Carson, diventando un volto famigliare nelle case di tutti gli americani: un’ascesa molto simile a quella di Midge dopo la sua partecipazione al Gordon Ford Show.
  Tra tutte le caratteristiche che legano le due comiche la principale consiste nella loro abilità di affrontare tragedie personali (il tradimento per Maisel e il suicidio del marito per Rivers), trovando conforto nel loro mestiere ed emergendone ancora più forti. Rivers in particolare passò alla storia per essere in grado di trasformare le sue disavventure in battute audaci: “Mio marito voleva essere cremato e allora gli ho detto che avrei sparso le sue ceneri da Neiman Marcus, così sarei andata a trovarlo tutti i giorni”.

• Le regine della stand-up comedy ebraica
  “Cosa prepara la madre ebrea per cena? Le prenotazioni”. Questa era l’immagine della tipica ebrea americana quando gli uomini controllavano il mondo del cabaret: materialiste e sfaticate, le donne erano il bersaglio principale degli sketch comici maschili. Fu Joan Rivers a riscrivere il copione con una comicità esilarante ed irriverente, ridendo di sé come donna e trasformando i crudeli stereotipi sulla femminilità ebrea in punti di forza stupendi.
  La sua carriera però non fu priva di intoppi, ed anzi venne ostacolata proprio da alcune comiche della comunità ebraica newyorkese, prima fra tutte Totie Fields. Fields era diventata celebre per i suoi sketch sulla cucina, il matrimonio e le pulizie ma, a differenza di Rivers, la sua comicità era considerata “comoda” poiché si assoggettava al patriarcato degli anni ’50 piuttosto che sfidarlo.
  Vedendo in Joan lo stereotipo della “perfetta principessina ebrea di buona famiglia”, Totie cercò in tutti i modi di ostacolare la carriera della rivale, denigrandola e diffondendo commenti negativi sui suoi spettacoli, con la convinzione di essere l’unica “comica ebrea”.
  “Totie era una combattente di strada, sprezzante contro chiunque entrasse nel suo territorio” spiegò Rivers che, nonostante i sabotaggi, si esibì a Broadway, al Carnegie Hall e diventò la prima donna a condurre un proprio talk show notturno.
  Totie invece si ammalò gravemente: il diabete le causò l’amputazione della gamba sinistra nel 1976 e l’anno successivo dovette rimuovere un tumore al seno. Ciononostante non si fermò mai e registrò nel 1978 uno speciale HBO intitolato Totie Returns che riscosse molto successo. Questa sua grande tenacia di fronte alla malattia la portò ad essere nominata “Entertainer of the Year” dall’American Guild of Variety Artists, convincendosi persino a seppellire la rivalità con Joan: dopo l’esibizione di Rivers al nuovo MGM Grand di Las Vegas, Fields si recò al camerino della rivale per informarla che era stata in platea e lo spettacolo le era molto piaciuto. “Totie era da sola, con cento chili in meno, zoppicante, cieca e coraggiosa, coraggiosa, coraggiosa” affermò Rivers.
  Questo gesto mise finalmente fine alla loro faida e le due rimasero amiche fino alla morte di Fields pochi mesi dopo, legate dalla convinzione di essere due donne che si erano fatte strada da sole in un business dominato da uomini.
  Il loro fantastico rapporto ispirò la rivalità tra Midge Maisel e Sophie Lennon (interpretata dalla magistrale Jane Lynch) in La fantastica signora Maisel.

• Casting e orgoglio ebraico
  Nonostante la figura di Midge Maisel abbia caratteri che la rendono unica rispetto a Joan Rivers, far interpretare la protagonista ad un’attrice non ebrea, specialmente in uno show concentrato sulla comicità ebraica, ha provocato numerose polemiche. La fantastica signora Maisel presenta diverse scelte di casting che hanno causato queste polemiche: Tony Shalhoub e Marin Hinkle (interpreti dei genitori ebrei di Midge) non sono di origine ebraica così come non lo è Luke Kirby (interprete del comico Lenny Bruce).
  Ciononostante è innegabile che Rachel Brosnahan interpreta in maniera magistrale l’ambiziosa Midge Maisel, vincendo tre Golden Globe per il ruolo ed esprimendo l’ebraismo della protagonista con grande gioia e serenità. Questo orgoglio per la propria identità ebraica era tipico di Joan Rivers che, oltre ad includere nel suo testamento diversi enti ebraici, ha sempre ritenuto che era diritto degli ebrei crearsi il proprio posto nel mondo, camminando sempre a testa alta: “Se Dio avesse voluto che ci piegassimo, avrebbe coperto la terra di diamanti”.

(Bet Magazine Mosaico, 16 luglio 2023)

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Dio è sionista?

di Reinhold Federolf

Per alcuni, questo è un tema provocatorio, allo stesso livello della domanda: «Il diavolo può essere salvato?» Ma la complessità del quesito non dovrebbe impedirci di conoscere meglio il Dio della Bibbia. « ... se non volete trovarvi a combattere anche contro Dio» (Atti 5:39).
  Che cosa significa «sionismo»? Il sionismo è il termine usato per descrivere un movimento politico moderno che si è prefisso l'obiettivo di riportare gli ebrei nella loro terra.
  Il movimento ha acquisito sempre più slancio verso la fine del XIX secolo, soprattutto a causa della discriminazione, della persecuzione e dello sterminio degli ebrei. Per alcuni anni, il terribile Olocausto costrinse i popoli a essere solidali con il rimpatrio degli ebrei nella terra dei loro padri.
  L'inno nazionale israeliano HaTikwa (Speranza) è una reinterpretazione positiva della visione di Ezechiele del campo delle ossa secche: «La nostra speranza è persa!» (Ezechiele 37:11). Il testo è tratto da un poema con 10 versi di Naphtali Herz Imber (1856-1909), nato in Ucraina. La sua poesia «Tìkvatenu» (Our Hope) divenne per la prima volta una nota canzone sionista. Quando la prima strofa fu eletta l'inno nazionale dello stato di Israele appena formato nel 1948, la parte riguardante il desiderio di tornare a Sion fu adattata.
  L'inno mette in chiaro che la preoccupazione del sionismo va al di là dell'aspetto puramente politico e comprende senza dubbio un anelito religioso: «Finché ci vive un'anima ebraica nel cuore ad est, in avanti, guarda con un occhio a Sion, a patto che la nostra speranza non sia persa. La speranza di avere dopo duemila anni, un popolo libero, nel nostro paese, nella terra di Sion a Gerusalemme!»
  Sionismo cristiano: una pericolosa eresia? Spesso nelle dichiarazioni si sentono frasi come: «i fondamentalisti ostacolano il processo di pace!» Oppure: «il comportamento di Israele rende difficile l'evangelizzazione tra i musulmani! Il sionismo è sinonimo di razzismo e politica dell'apartheid!» Queste dottrine, specialmente quando provengono da individui o gruppi cristiani, non devono restare senza risposta. La tesi difesa nel "conflitto" tra i cristiani è: «Non c'è la Terra Promessa nel Nuovo Testamento!» Il problema è che manca in molti ambienti la comprensione che il termine «Sion» esprime tutto ed è un termine che si ripete 167 volte nella Bibbia.
  Coloro che studiano attentamente i passaggi rilevanti concludono inevitabilmente che Sion era, è, e sarà di importanza basilare per il nostro Dio. Paolo cita in questo contesto il profeta Isaia e sottolinea che le parole del Vecchio Testamento predette molto tempo fa si compiranno nel futuro e tutto Israele sarà salvato, come è scritto in Isaia 59:20:

    «Un salvatore verrà per Sion e per quelli di Giacobbe che si convertiranno dalla loro rivolta», dice il Signore».

In questo verso è confermata la restaurazione di Giacobbe (il popolo di Israele), la terra promessa e la presenza di Dio nel Nuovo Testamento.
  La Bibbia «parla ebraico»: Gesù è chiamato il leone della tribù di Giuda, e il nostro futuro è ebreo. Pertanto, Paolo avverte in Romani prima di ogni esclusivismo pagano-cristiano:

    «Se alcuni rami sono stati troncati, mentre tu, che sei olivo selvatico, sei stato innestato al loro posto e sei diventato partecipe della radice e della linfa dell'olivo, non insuperbirti contro i rami; ma, se t'insuperbisci, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te» (Romani 11:17-18).

Qui diventa chiaro che Dio non ha affatto sostituito Israele con la Chiesa. Questa visione errata viene spesso espressa in ambienti cristiani dove non si ascolta mai una predicazione sull'argomento o si fa una preghiera in favore degli ebrei davanti al Dio di Israele. Tuttavia, l'assenza di peso dottrinale nei confronti di Israele causa disorientamento e incertezza provocando spesso tendenze antisemite.
  In particolare, gli ultimi capitoli dell' Apocalisse vietano l'internazionalizzazione della nuova Gerusalemme. Per esempio, ricordare che i nomi delle dodici tribù di Israele possono essere visti sopra le porte di perle della Gerusalemme celeste dovrebbe darci spunti di riflessione. Israele è particolarmente enfatizzato nel contesto dei nuovi cieli e della nuova terra:

    «Infatti, come i nuovi cieli e la nuova terra che io sto per creare rimarranno stabili davanti a me», dice il Signore, «così dureranno la vostra discendenza e il vostro nome» (Isaia 66:22).

C'è un altro riferimento che riguarda Sion nel Nuovo Testamento in Apocalisse: Gesù starà sul Monte Sion con 12.000 discendenti per ogni tribù di Israele.

    «Poi guardai e vidi l'Agnello che stava in piedi sul monte Sion e con lui erano centoquarantaquattromila persone che avevano il suo nome e il nome di suo Padre scritto sulla fronte» (Apocalisse 14:1).

Se in qualche modo interpretiamo questo allegoricamente o simbolicamente e lo riferiamo alla Chiesa, allora siamo tra coloro che portano via qualcosa (Apocalisse 22:19).
  Tutti i cristiani fedeli alla Bibbia concordano sul fatto che quando Gesù tornerà, sarà sul Monte degli Ulivi a Gerusalemme come detto in Atti 1:10-12:

    «E come essi avevano gli occhi fissi al cielo, mentre egli se ne andava, due uomini in vesti bianche si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù, che vi è stato tolto, ed è stato elevato in cielo, ritornerà nella medesima maniera in cui lo avete visto andare in cielo». Allora essi tornarono a Gerusalemme dal monte chiamato dell'Uliveto, che è vicino a Gerusalemme, non distandone che un cammin di sabato. »

Questo evento è descritto in dettaglio alla fine del libro di Zaccaria:

    «In quel giorno i suoi piedi si poseranno sul monte degli Ulivi, che sta di fronte a Gerusalemme, a oriente, e il monte degli Ulivi si spaccherà a metà, da oriente a occidente, tanto da formare una grande valle; metà del monte si ritirerà verso settentrione e l'altra metà verso il meridione. Voi fuggirete per la valle dei miei monti, poiché la valle dei monti si estenderà fino ad Asal; fuggirete come fuggiste per il terremoto ai giorni di Uzzia, re di Giuda; il Signore, il mio Dio, verrà e tutti i suoi santi con lui» (Zaccaria 14:4-5).

Questo annuncerà l'inizio del regno di Gesù, il Messia di Israele. Quindi ci sarà la restaurazione di tutte le cose (Atti 3:21), e il tempo promesso di ristoro e benedizione per Sion (Atti 3:19). Sarà meraviglioso!
  Dobbiamo stare attenti a non togliere e non aggiungere nulla alla Parola di Dio:

    «Io lo dichiaro a chiunque ode le parole della profezia di questo libro: se qualcuno vi aggiunge qualcosa, Dio aggiungerà ai suoi mali i flagelli descritti in questo libro; se qualcuno toglie qualcosa dalle parole del libro di questa profezia, Dio gli toglierà la sua parte dell'albero della vita e della santa città che sono descritti in questo libro» (Apocalisse 22:18-19).

Da questo avvertimento molto serio, sembra che Dio si aspetti che comprendiamo correttamente la rivelazione. Alcune affermazioni errate possono anche essere frutto dell'ignoranza conseguente alla mancanza di studio della Bibbia, ma ci può essere anche la manipolazione cosciente al fine di costruire un edificio teologico per giustificare il peccato o le tendenze settarie.

    «Perché, fratelli, non voglio che ignoriate questo mistero, affinché non siate presuntuosi; che cioè, un indurimento parziale s'è prodotto in Israele, finché sia entrata la pienezza dei Gentili» (Romani 11:25).

Questo è un versetto biblico centrale. In tre capitoli della lettera ai Romani, capitoli 9, 10 e 11, Paolo spiega l'argomento Israele ai non ebrei salvati. Egli non evidenzia la salvezza individuale durante l'attuale epoca della Chiesa, ma ciò che verrà dopo la Chiesa, cioè la salvezza di Israele! Paolo chiama la conclusione della Chiesa «abbondanza» o «pienezza dei Gentili». Con questa espressione si intende un numero concreto che solo Dio conosce nella sua onniscienza. La parola «finché» lampeggia qui come una spia rossa, specialmente per le chiese e le denominazioni che danno spazio alla teologia della sostituzione e non possono o non vogliono fare nulla con Israele!
  Questo «finché» appare anche in Matteo 23:37-39:

    «Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figliuoli, come la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta. Poiché vi dico che d'ora innanzi non mi vedrete più, finché diciate: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!».

Qui il Signore parla duramente contro il popolo di Israele. Oggi osserviamo a ritroso un periodo storico di quasi duemila anni di dispersione ebraica.
  Gesù lo annunciò anche altrove:

    «E cadranno sotto il taglio della spada, e saran menati in cattività fra tutte le genti; e Gerusalemme sarà calpestata dai Gentili, finché i tempi dei Gentili siano compiuti. » (Luca 21:24).

Il «verso» in queste due profezie di Gesù è chiaramente diretto a Israele, non alla Chiesa ed è innegabilmente vicino, perché queste profezie includono automaticamente la promessa della terra data al patriarca. Il ritorno degli ebrei nella terra dei padri è senza dubbio un grande segno per tutti noi! Se la pazienza di Dio con i Gentili è finita, la situazione a Gerusalemme cambierà sicuramente. Da una prospettiva biblica, viviamo oggi (almeno dalla fondazione di Israele nel 1948) in un periodo di transizione. E studiando la profezia biblica, sappiamo cosa accadrà dopo questa fase: la completa restaurazione di Israele!
  La domanda dei discepoli di Gesù, che erano preoccupati per Israele dimostra la sua ferma speranza del Regno Messianico della pace:

    «Quelli dunque che erano radunati, gli domandarono: Signore, è egli in questo tempo che ristabilirai il regno ad Israele? Egli rispose loro: Non sta a voi di sapere i tempi o i momenti che il Padre ha riserbato alla sua propria autorità. Ma voi riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su voi, e mi sarete testimoni e in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all'estremità della terra. E dette queste cose, mentr'essi guardavano, fu elevato; e una nuvola, accogliendolo, lo tolse d'innanzi agli occhi loro» (Atti 1:6-9).

Il contesto e la logica ci portano alla seguente conclusione: la risposta di Gesù alla tipica domanda nazionalista ebraica sulla restaurazione di Israele non è una negazione o un rifiuto. Il nostro Signore sottolinea chiaramente solo ciò che ora è una priorità nel programma di Dio: la proclamazione universale del Vangelo, chiamata anche periodo della Chiesa. Ciò che concerne Israele è stato chiaramente rinviato, ma in nessun modo revocato!
  Il diavolo conosce il significato di Sion?
  In Ezechiele scopriamo importanti rivelazioni e informazioni riguardanti Lucifero:

    «Eri un cherubino dalle ali distese, un protettore. Io t'avevo stabilito, tu stavi sul monte santo di Dio, camminavi in mezzo a pietre di fuoco» (Ezechiele 28:14).

La Bibbia luterana dice: «Ti ho posto sulla santa montagna di Dio». Senza dubbio, il cherubino caduto conosce la volontà chiaramente rivelata di Dio, poiché anche noi abbiamo letto della montagna di Dio:

    «Eppure, dirà, io ho stabilito il mio re sopra Sion, monte della mia santità» (Salmo 2:6) e: «Il Signore regnerà su di loro, sul monte Sion, da allora e per sempre» (Michea 4:7).

Poiché Satana ha come caratteristica quella di essere l'avversario, come tale lotta contro questo re con tutte le sue forze.

    «Nessuno vi tragga in errore in alcuna maniera; poiché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l'apostasia e non sia stato manifestato l'uomo del peccato, il figlio della perdizione, l'avversario, colui che s'innalza sopra tutto quello che è chiamato Dio od oggetto di culto; fino al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando se stesso e dicendo ch'egli è Dio» (2 Tessalonicesi 2:3-4).

Chiunque pensi che il riferimento è in qualche modo alla Chiesa, sminuirà di molto il conflitto cosmico. Questo riguarda l'attacco al centro del mondo! Dio permetterà un «piccolo» tempo in cui l'apparente Dio-uomo, l'Anticristo, si siederà nel tempio ricostruito a Gerusalemme. Poi, quando Gesù, il vero re divino apparirà, lo pseudo-Dio sarà esposto come un burattino di Satana al mondo:

    «E allora sarà manifestato l'empio, che il Signor Gesù distruggerà col soffio della sua bocca, e annienterà con l'apparizione della sua venuta». (2 Tessalonicesi 2:8).

Sì, il diavolo conosce il significato di Sion meglio di tutti i profeti e seguaci della teologia della sostituzione messi insieme! Alla prima venuta di Gesù, i demoni tremavano:

    «Ed ecco si misero a gridare: Che v'è fra noi e te, Figliuol di Dio? Sei tu venuto qua prima del tempo per tormentarci!» (Matteo 8:29).

Testimoniarono che Gesù era il Figlio di Dio, ed erano consapevoli esattamente quale fosse il loro destino. I sacerdoti e gli scribi, d'altra parte, semplicemente si rifiutarono di accettarlo e respinsero la salvezza offerta.
  Dio è un sionista? Come abbiamo accennato Sion non si limita a Gerusalemme o al monte Sion, ma abbraccia l'intero paese abitato da persone, come ribadito nei seguenti versi:

    «Ma Sion ha detto: 'L'Eterno m'ha abbandonata, il Signore m'ha dimenticata'. Una donna dimentica ella il bimbo che allatta, cessando d'aver pietà del frutto delle sue viscere? Quand'anche le madri dimenticassero, non io dimenticherò te. Ecco, io t'ho scolpita sulle palme delle mie mani; le tue mura mi stan del continuo davanti agli occhi. I tuoi figliuoli accorrono; i tuoi distruttori, i tuoi devastatori s'allontanano da te. Volgi lo sguardo all'intorno, e mira. Essi tutti si radunano, e vengono a te. Com'è vero ch'io vivo, dice l'Eterno, tu ti rivestirai d'essi come d'un ornamento, te ne cingerai come una sposa. Nelle tue rovine, ne' tuoi luoghi desolati, nel tuo paese distrutto, sarai ora troppo allo stretto per i tuoi abitanti; e quelli che ti divoravano s'allontaneranno da te» (Isaia 49: 14-19).

Dio ha promesso al suo popolo la raccolta dopo la dispersione, il ritorno alla terra dei padri:

    «Ecco, io li riconduco dal paese del settentrione, e li raccolgo dalle estremità della terra; fra loro sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e quella in doglie di parto: una gran moltitudine, che ritorna qua. Vengono piangenti; li conduco supplichevoli; li meno ai torrenti d'acqua, per una via diritta dove non inciamperanno; perché son diventato un padre per Israele, ed Efraim è il mio primogenito. O nazioni, ascoltate la parola dell'Eterno, e proclamatela alle isole lontane, e dite: 'Colui che ha disperso Israele lo raccoglie, e lo custodisce come un pastore il suo gregge'» ( Geremia 31:8-10).
    «Ed io ho messo le mie parole nella tua bocca, e t'ho coperto con l'ombra della mia mano per piantare de' cieli e fondare una terra, e per dire a Sion: 'Tu sei il mio popolo'» (Isaia 51:16).

Dio non è solo un sionista, ma prenderà parte anche all'aliyah (ritorno in Israele) e vivrà in Sion:

    «E voi saprete che io sono l'Eterno, il vostro Dio, che dimora in Sion, mio monte santo; e Gerusalemme sarà santa, e gli stranieri non vi passeranno più ... Ma Giuda sussisterà per sempre, e Gerusalemme, d'età in età; io vendicherò il loro sangue, non lo lascerò impunito; e l'Eterno dimorerà in Sion» (Gioele 3:17, 20-21).
    «Manda gridi di gioia, rallegrati, o figliuola di Sion! poiché ecco, io sto per venire, e abiterò in mezzo a te, dice il Signore ... Così parla il Signore: «Io torno a Sion e abiterò in mezzo a Gerusalemme; Gerusalemme si chiamerà la Città della fedeltà, il monte del Signore degli eserciti, Monte santo». (Zaccaria 2:10, 8:3 ).

Queste sono promesse forti che dimostrano l'amore di Dio per Israele!
  Particolarmente suggestivi in questo contesto sono i versi in cui Dio usa parole come «eterno» o «per sempre»: «Perché il Signore ha scelto Sion ed è come se vivesse lì.

    «Poiché il Signore ha scelto Sion, l'ha desiderata per sua dimora. Questo è il mio luogo di riposo in eterno; qui abiterò, perché l'ho desidererete» (Salmo 132:13-14).

E il Signore gli disse (al re Salomone):

    «Io ho esaudito la tua preghiera e la supplica che hai fatta davanti a me; ho santificato questa casa che tu hai costruita per mettervi il mio nome per sempre. I miei occhi e il mio cuore saranno lì per sempre» (1 Re 9:3).

Sfortunatamente, questi aspetti sono stati ampiamente trascurati o reinterpretati negli ultimi 2000 anni di storia della Chiesa. Ma Sion è il centro del mondo! Un giorno, il monte Sion, sarà la sede del Signore e vi si riverseranno persone provenienti da tutte le nazioni (Isaia 2:1-4). Persino i sopravvissuti dei popoli che si erano precedentemente stabiliti a Gerusalemme saliranno sul Monte Sion per adorare il vero Dio, il Dio di Israele (Atti 14:16). Sion è il luogo in cui il servo del Signore, come Agnello di Dio, ha tolto i peccati del mondo:

    «Io faccio avvicinare la mia giustizia; essa non è lontana, la mia salvezza non tarderà; io metterò la salvezza in Sion e la mia gloria sopra Israele» (Isaia 46:13).

Colui che accetta personalmente questa salvezza diventa un cittadino di Sion:

    «E si dirà in Sion: ‘Questi e quello sono nati in essa; e l'Altissimo la renderà stabile’. Il Signore farà il censimento e nel registrare i popoli dirà: «Questi è nato là». (Salmo 87:5-6).

Quindi il piano finale di Dio è:

    - per gli ebrei: «Essi conosceranno che io sono il Signore, il loro Dio, quando, dopo averli fatti deportare fra le nazioni, li avrò raccolti nel loro paese e non lascerò là più nessuno di essi» (Ezechiele 39:28).
      - per il paese: «Io li pianterò nella loro terra e non saranno mai più sradicati dalla terra che io ho dato loro», dice il Signore, il tuo Dio» (Amos 9:15).
      - per Gerusalemme: «Tutta la valle dei cadaveri e delle ceneri e tutti i campi fino al torrente Chidron, fino all'angolo della porta dei Cavalli verso oriente, saranno consacrati al Signore, e non saranno più sconvolti né distrutti, per sempre» (Geremia 31:40).

Queste sono le tre parti del sionismo - popolo, terra e Gerusalemme: Sion - confermato direttamente da Dio stesso! Tuttavia, il sionismo ha ancora una quarta componente, cioè la presenza di Dio in mezzo al suo popolo:

    «Il Signore regnerà su di loro, sul monte Sion, da allora e per sempre» (Michea 4:7).
    «Per amor di Sion io non tacerò, per amor di Gerusalemme io non mi darò posa, finché la sua giustizia non spunti come l'aurora, la sua salvezza come una fiaccola fiammeggiante. Allora le nazioni vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria; sarai chiamata con un nome nuovo, che la bocca del Signore pronuncerà; sarai una splendida corona in mano al Signore, un turbante regale nel palmo del tuo Dio. Non sarai chiamata più Abbandonata, la tua terra non sarà più detta Desolazione, ma tu sarai chiamata La mia delizia è in lei, e la tua terra Maritata; poiché il Signore si compiacerà in te, la tua terra avrà uno sposo. Come un giovane sposa una vergine, così i tuoi figli sposeranno te; come la sposa è la gioia dello sposo, così tu sarai la gioia del tuo Dio» (Isaia 62:1-5).

Oggi sperimentiamo una parte di queste grandi promesse, specialmente quando viaggiamo in Israele. Ma è anche riconoscibile come l'avversario inciti, usi e abusi contro Israele. Ciò non riguarda solo i vicini (in senso geografico) di Israele, ma le persone in tutto il mondo.
  Ecco perché dovremmo pregare, sostenere e difendere Israele:

    «Pregate per la pace di Gerusalemme! Quelli che ti amano vivano tranquilli!» (Salmo 122:6).

Quando preghiamo per la pace di Gerusalemme, stiamo in realtà pregando per la venuta del Principe della Pace, il divino Messia, perché solo Lui porterà la Vera Pace.

(Chiamata di Mezzanotte, mag/giu 2018)



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Israele: il ministro Cohen in Vaticano, ma nel Paese dilaga la protesta

Il ministro degli Esteri israeliano in visita in Vaticano. Prima visita dal 2011. In Israele, intanto, dilaga la protesta contro la riforma della giustizia. L'Ue emette una risoluzione sul principio "due popoli in due Stati".

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Era dal 2011 che un ministro degli Esteri di Israele non faceva visita in Vaticano. Giunto direttamente da Tel Aviv Eli Cohen ha incontrato, giovedì scorso, mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali del Vaticano. «Siamo impegnati a proteggere la sicurezza e l'onore dei cristiani in Israele, e continueremo a mostrare tolleranza zero per gli atti di violenza basati sull'odio» - ha detto Cohen - nel corso del colloquio con l'arcivescovo Gallagher. Anche il presidente Isaac Herzog ha recentemente condannato gli atti di intolleranza, sempre più frequenti in Israele, contro i cristiani.
  Prima di recarsi in Vaticano Eli Cohen ha avuto un colloquio con Antonio Tajani, ministro degli Esteri del governo Meloni. Il vicepremier ha espresso la solidarietà del popolo italiano per gli attacchi terroristici delle ultime settimane. «Questa nuova ondata di violenza è un’ulteriore prova dell’insostenibilità dello status quo e dell’assoluta necessità di rilanciare il processo di pace per evitare l’ennesima spirale distruttiva - ha detto il ministro Tajani – e riteniamo che tale processo di normalizzazione debba procedere in parallelo, sfruttando le possibili sinergie». Sempre giovedì, si è appresa la notizia che il primo ministro Giorgia Meloni, il prossimo mese di ottobre, sarà a Gerusalemme. Lo ha annunciato il ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini durante un incontro con il ministro israeliano per l'Innovazione, la Scienza e la Tecnologia Ofir Akunis.
  Intanto in Israele, proseguono le proteste contro la riforma della giustizia. Centinaia di persone si sono date appuntamento, lo scorso giovedì sera, davanti alle abitazioni del primo ministro Benjamin Netanyahu a Cesarea e a Gerusalemme, mentre un altro gruppo si è radunato davanti all'ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme. Anche l'Ordine degli avvocati minaccia una serrata e i piloti riservisti si rifiutano di presentarsi in caserma per gli addestramenti e rivolgono un invito al governo di bloccare l'iter parlamentare per modificare l'amministrazione giudiziaria.
  Nel frattempo, una petizione è stata inviata all'Alta Corte firmata dal gruppo di protesta Fortress of Democracy, guidato dall'ex capo di stato maggiore dell'IDF, le Forze di Difesa israeliane, Dan Halutz. Nel documento, si sottolinea che Netanyahu avrebbe violato l'accordo sul conflitto di interessi che aveva firmato durante il suo processo per corruzione e attualmente in corso. Il giudice Ruth Ronnen ha stabilito che la petizione sarà esaminata da un collegio di giudici, nel prossimo futuro, non stabilendo, però, il giorno dell'udienza. In una dichiarazione congiunta, i capi dei partiti della coalizione governativa attaccano la decisione dell'Alta Corte di esaminare una petizione che chiede la rimozione dall'incarico del primo ministro Benjamin Netanyahu. «Siamo rimasti scioccati dalla decisione dell'Alta Corte di accogliere la petizione - dicono i capi dei partiti di maggioranza - in particolare dopo che la Knesset ha approvato una legislazione che impedisce la rimozione di un primo ministro eletto democraticamente».
  Ma l’iter per la revisione della giustizia prosegue spedito. Uno degli ultimi atti approvati è stata l'elezione di un parlamentare dell'estrema destra, come componente della Commissione per la nomina dei giudici. Yitzhak Kroizer, parlamentare del partito Otzma Yehudit (Potere ebraico), ha ottenuto, nel corso della votazione a porte chiuse, 86 voti su 120.
  Intanto, il Parlamento Europeo durante l'ultima Plenaria ha ribadito «il sostegno dell'UE alla soluzione fondata sulla coesistenza di due Stati, quale unica soluzione al conflitto. Stato di Israele e Stato di Palestina devono convivere democraticamente fianco a fianco in condizioni di pace, sicurezza garantita, riconoscimento reciproco, sulla base dei confini del 1967, stabiliti dalla risoluzione 181 dell'ONU, con scambi equivalenti di territori definiti di comune accordo e con Gerusalemme quale capitale di entrambi gli Stati, sulla base dei parametri previsti nelle conclusioni del Consiglio Europeo del luglio 2014. Va appoggiato inoltre, in linea di principio, il riconoscimento dello Stato palestinese conformemente a tali parametri, nel pieno rispetto del diritto internazionale. L'UE ribadisce il suo impegno a favore della parità dei diritti di israeliani e i palestinesi».
  Nel documento si esprime inoltre «preoccupazione per l’incremento della violenza che caratterizza il conflitto israelo-palestinese dal 2022 e per il rischio di un'ulteriore escalation». Si chiede «la cessazione immediata di tutti gli atti di violenza tra israeliani e palestinesi, al fine di invertire questa spirale e intraprendere sforzi significativi al fine di riavviare i negoziati di pace; la violenza, il terrorismo e l'istigazione sono fondamentalmente incompatibili con una risoluzione pacifica del conflitto». 

(La Nuova Bussola Quotidiana, 15 luglio 2023)

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Mentre la tensione con Hezbollah cresce, Israele deve affrontare la crisi con la Svezia

di Letizia De Rosa

Le tensioni tra Israele e il gruppo militante Hezbollah stanno crescendo nei pressi del villaggio di Ghajar, situato lungo la frontiera tra Israele e Libano. Una situazione che preoccupa molto le autorità della regione ma anche quelle internazionali data la pericolosità della situazione.

L’astio già presente e radicato, è stato alimentato dalla costruzione di una recinzione da parte di Israele intorno alla parte settentrionale di Ghajar, che si trova nel territorio libanese. Il gruppo Hezbollah ha emesso avvertimenti ripetuti contro l’annessione della città da parte di Israele, definendola una mossa illegale e una violazione della sovranità del Libano.
  Quest’ultimo sviluppo ha portato ad un’escalation delle tensioni già presenti nell’area, dove Israele e Hezbollah si sono scontrati in passato. La rabbia è stata accentuata anche dal recente conflitto tra Israele e le milizie islamiche stanziate nella Striscia di Gaza.

• TENSIONE TRA ISRAELE E HEZBOLLAH AL CONFINE
  Il villaggio di Ghajar è diviso tra Israele e Libano dal 2000, quando Israele si è ritirata dal sud del Libano. La comunità di Ghajar è di etnia alawita, che è la stessa religione del presidente siriano Bashar al-Assad.
  L’area è stata oggetto di frequenti scontri tra Israele e Hezbollah, con il gruppo militante che ha lanciato attacchi contro le forze israeliane dalla zona. L’annessione di Ghajar da parte di Israele potrebbe portare ad un aumento della violenza nella regione, con conseguenze potenzialmente destabilizzanti per l’intero Medio Oriente.
  Le crescenti tensioni intorno al villaggio di Ghajar si aggiungono al già alto livello di nervosismo lungo il confine tra Israele e Libano.
  Nel 2006, Israele e Hezbollah con il sostegno dell’Iran hanno combattuto una guerra distruttiva di 34 giorni nella regione. Da allora le due parti hanno evitato una battaglia aperta, nonostante le frequenti fiammate di tensione. Entrambe le parti hanno costantemente affermato che un nuovo conflitto potrebbe scoppiare in qualsiasi momento.
  L’area attorno al confine tra Israele e Libano è stata oggetto di tensioni e conflitti per decenni. Hezbollah, considerato da Israele e dagli Stati Uniti un’organizzazione terroristica, ha una forte presenza nella regione e ha condotto numerosi attacchi contro le forze israeliane in passato.
  La situazione è stata ulteriormente fomentata dalla guerra civile in corso in Siria, che ha portato a un coinvolgimento sempre maggiore dell’Iran nella regione e ha aumentato le preoccupazioni per la sicurezza di Israele.
  La situazione intorno a Ghajar rappresenta un ulteriore motivo di preoccupazione per la stabilità della regione. La comunità internazionale ha espresso preoccupazione per l’escalation delle tensioni e ha chiesto a entrambe le parti di evitare qualsiasi azione che potrebbe portare a un conflitto aperto.
  La disputa sul villaggio di Ghajar, situato al confine tra Libano e Israele, sta diventando un ulteriore motivo di preoccupazione in mezzo a disordini più ampi nella regione.
  La Cisgiordania ha visto un aumento della violenza in questo mese, con una massiccia offensiva di due giorni da parte di Israele che ha preso di mira i gruppi terroristici palestinesi. Nel frattempo in Israele le mosse del governo di estrema destra per rivedere il sistema giudiziario hanno scatenato grandi proteste antigovernative.
  Il pastore libanese Ali Yassin Diab, che pascola le sue pecore e capre vicino alla recinzione di Ghajar ha dichiarato al Times of Israel che: : “Questa è terra libanese, non israeliana”. La divisione del villaggio tra Israele e Libano è un insieme insolito di decenni di conflitto tra Israele e i suoi vicini.
  Nel 2006 durante la guerra tra Israele e Hezbollah, le truppe israeliane si sono spostate nella parte settentrionale di Ghajar e l’hanno occupata. Successivamente è stata installata la recinzione intorno alla parte settentrionale del villaggio, impedendo alle persone di entrare dal Libano.
  Dopo la conclusione dei combattimenti le autorità israeliane hanno concordato il ritiro da Ghajar, la volontà era quella di  raggiungere un accordo con il quale veniva impedito a Hezbollah di occupare il villaggio. Il paese ospita circa 3.000 residenti e la maggioranza proviene da Israele, ovviamente sono presenti libanesi ma emerge che molti si identificano come siriani. Il villaggio è l’unico insediamento a maggioranza alawita in Israele.
  Il villaggio è stato diviso in due parti a seguito del ritiro israeliano nel 2000 come demarcazione della linea blu, con la zona a nord sotto il dominio libanese. Nel 2006 però Israele ha ripreso il controllo del villaggio, scatenando astio e scontri.
  Il villaggio di Ghajar è rimasto una zona militare chiusa per oltre due decenni, con la necessità di un permesso speciale per i non residenti che intendono entrare o uscire. A settembre le restrizioni all’accesso sono state revocate con la costruzione di una barriera a nord del villaggio per bloccare l’ingresso dal Libano.
  In passato l’accesso a Ghajar era stato limitato a causa della sua posizione strategica sul confine tra Israele e Libano, che lo ha reso vulnerabile a potenziali attacchi terroristici. La costruzione della barriera di sicurezza ha permesso però alle autorità israeliane di revocare le restrizioni, consentendo una maggiore libertà di movimento per i residenti e i visitatori del villaggio.
  Recentemente, Hezbollah ha allestito due tende nelle vicinanze del villaggio di Ghajar, in risposta alla costruzione di una recinzione di sicurezza da parte di Israele. Una delle tende è stata collocata nell’area di Shebaa Farms, che sia Israele che Libano rivendicano come proprio territorio. La situazione ha portato ad una denuncia di Israele alle Nazioni Unite, che sostiene che le tende si trovano a diverse decine di metri all’interno del territorio israeliano, mentre Hezbollah afferma che le tende sono in territorio libanese.
  Il comandante dell’UNIFIL ha inoltrato una richiesta israeliana al primo ministro provvisorio libanese e al presidente del parlamento di rimuovere le tende. Il Libano ha chiesto a Israele in risposta di ritirare le truppe che si trovavano nel territorio libanese di Ghajar.
  Il leader di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, ha sostenuto che Ghajar era stata isolata da Israele prima che Hezbollah montasse le sue tende. Nasrallah ha anche dichiarato che la terra di Ghajar non sarebbe lasciata ad Israele, né Shebaa Farms e Kfar Chouba, un’altra area di confine rivendicata da entrambi i Paesi.
  La situazione in Ghajar continua ad essere fonte di tensione tra Israele e Libano, mentre la comunità internazionale continua a cercare una soluzione pacifica e duratura alla questione del confine tra i due paesi.
  Oltre alle tensioni emerse al confine con il Libano, sono sopraggiunte problematiche diplomatiche tra Israele e Svezia dopo che è stata bruciata la bibbia ebraica.

• TENSIONE DIPLOMATICA TRA AUTORITÀ ISRAELIANE E SVEDESI
  Funzionari israeliani hanno espresso la loro indignazione venerdì dopo che la polizia locale di Stoccolma ha dato il via libera alla richiesta di consentire il rogo di una Bibbia fuori dall’ambasciata israeliana a Stoccolma il 15 luglio.
  La polizia aveva ricevuto una domanda da un individuo sulla trentina per bruciare una Bibbia ebraica e una cristiana come “un raduno simbolico per il bene della libertà di parola“. Non è stato chiaro se la persona intendesse bruciare una copia della Bibbia o un rotolo della Torah.
  La decisione della polizia svedese è stata vista come offensiva da funzionari israeliani, che l’hanno definita un “crimine d’odio“. La richiesta di bruciare una Bibbia arriva poche settimane dopo che sono avvenuti roghi del Corano nella stessa città. La decisione della polizia ha sollevato preoccupazioni sulla libertà di espressione e sulla necessità di evitare l’incitamento all’odio religioso.
  La decisione della polizia svedese di concedere il permesso di bruciare una Bibbia fuori dall’ambasciata israeliana a Stoccolma ha suscitato indignazione diffusa in Israele e nei gruppi ebraici.
  Il presidente Isaac Herzog ha definito l’atto come “puro odio” e ha condannato inequivocabilmente il permesso concesso in Svezia di bruciare libri sacri.
  Herzog ha sottolineato che:  “consentire la deturpazione di testi sacri non è un esercizio di libertà di espressione, ma è palese istigazione e atto di puro odio.” Ha chiesto all’intera comunità globale di unirsi nella condanna contro un azione che ha definito ripugnante.
  La situazione continua a essere fonte di tensione e preoccupazione per le autorità israeliane e per i gruppi ebraici, che chiedono alle autorità svedesi di agire per impedire l’evento. La vicenda mette in luce l’importanza di promuovere il rispetto e la tolleranza tra le diverse comunità religiose e culturali, e di evitare l’incitamento all’odio e alla violenza.
  Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha condannato la decisione della polizia svedese di concedere il permesso di bruciare una Bibbia fuori dall’ambasciata israeliana a Stoccolma come “una vergognosa decisione di danneggiare il sancta sanctorum del popolo ebraico“. Anche il ministro degli Esteri Eli Cohen ha espresso la sua indignazione e ha definito la decisione “un crimine d’odio e una provocazione che ha causato gravi danni al popolo ebraico e alla tradizione ebraica“.
  L’ambasciatore israeliano in Svezia, Ziv Nevo Kulman ha espresso la sua ferma condanna per l’evento, definendolo “un atto di odio e mancanza di rispetto che non ha nulla a che fare con la libertà di espressione“. La situazione continua a essere fonte di preoccupazione per le autorità israeliane e per i gruppi ebraici, che chiedono alle autorità svedesi di agire per impedire l’evento.
  Il ministro degli Esteri svedese Tobias Billström ha risposto alle richieste di Eli Cohen, affermando che il governo svedese non è autorizzato a violare il diritto costituzionale alla libertà di parola dei suoi cittadini, ma ha sottolineato gli sforzi del suo paese nella lotta all’antisemitismo.
  Nel frattempo, il deputato di United Torah Judaism Moshe Gafni ha chiamato il ministro degli Esteri Eli Cohen per sollecitare ulteriori azioni per cercare di fermare la tensione.
  La vicenda mette in evidenza la necessità di promuovere il rispetto e la tolleranza tra le diverse comunità religiose e culturali, e di evitare l’incitamento all’odio e alla violenza. In questo contesto, le autorità israeliane e svedesi avrebbero la responsabilità e l’ obbligo di lavorare insieme per prevenire atti di intolleranza e discriminazione.

(Nanopress, 15 luglio 2023)

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Israele e il doppio standard dell'”uso sproporzionato della forza”

di David Elber

Israele, immancabilmente, è accusato da numerosi rappresentanti ONU di “uso sproporzionato” della forza quando risponde con azioni militari ai continui e ripetuti attacchi terroristici da parte delle organizzazioni terroristiche palestinesi e da membri della stessa Autorità Palestinese.
  Un esempio recente si è avuto durante l’ultima operazione dell’esercito nell’area di Jenin ai primi di luglio. In questo caso lo stesso Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres, ha accusato Israele di «un “ovvio” eccessivo uso della forza». In pratica, per il Segretario Generale dell’ONU, Israele quando decide di operare militarmente in un “territorio ostile” come quello di Jenin o di Gaza violerebbe il diritto internazionale a prescindere, anche se nei fatti nessun civile è stato ucciso nei combattimenti (caso unico nella storia dei conflitti armati in territorio urbano densamente popolato). Prima di entrare nel merito dell’infondatezza di questa accusa abituale priva di ogni fondamento (nel diritto internazionale non esiste il principio di “proporzionalità” dell’uso della forza militare) oltre che di buon senso, è opportuno contestualizzare questo ultimo conflitto – uguale ai numerosissimi che si sono succeduti nel corso degli ultimi 15 anni – che contrappone lo Stato di Israele a bande di terroristi più o meno legittimate da gran parte della comunità internazionale (altro caso unico al mondo).
  Una prima osservazione da fare è che si è trattato dell’ennesimo episodio di guerra asimmetrica che contrappone uno Stato (Israele) ad organizzazioni terroristiche (Jihad Islamica e Hamas) che non tengono minimamente conto delle regole del diritto internazionale in materia di diritto umanitario. Ciò pone subito un importante interrogativo: perché l’ONU e gran parte della comunità internazionale finanzia direttamente (tramite l’UNRWA per esempio) o indirettamente delle organizzazioni terroristiche per poi accusare Israele quando si difende dalle stesse? Questi lauti finanziamenti contribuiscono all’acquisto di armi, equipaggiamento e indottrinamento all’odio antisemita per mezzo delle stesse scuole costruite e condotte da membri dell’ONU. Un altro aspetto di questa guerra asimmetrica è costituito dal fatto che Stati membri dell’ONU (come l’Iran) forniscono cospicue quantità di armi o soldi ai terroristi nella totale indifferenza di ONU, UE e USA. Altri Stati come l’Egitto e la Giordania permettono il loro transito verso Gaza o la Samaria e Giudea, nella medesima indifferenza internazionale. Questi Stati non sono mai stati sanzionati per l’appoggio logistico (anche se non ufficiale) fornito anche se formalmente sono in pace con Israele. A ciò va aggiunto che le organizzazioni terroristiche palestinesi, fiancheggiate dall’Autorità Palestinese, hanno centri operativi, depositi di armi e esplosivi, esclusivamente tra la popolazione civile che viene – suo malgrado – conseguentemente esposta alle azioni militari di Israele, anzi, viene utilizzata scientemente come scudo umano. Di questo aspetto non vi è mai traccia nei “rapporti” dei vari rappresentanti ONU che di volta in volta accusano Israele di “uso sproporzionato della forza”. Veniamo ora al significato di questo termine.
  Le norme internazionali sull’utilizzo della forza militare e le regole di ingaggio di un esercito sono disciplinate, principalmente, dalla Convenzione dell’Aia del 1907 e dalle Convenzioni di Ginevra. Esse non dicono quale sia “l’uso proporzionato della forza” (tanto è vero che il principio di “proporzionalità” non compare in nessun trattato internazionale), ma indicano in via generale quale sia l’uso della forza militare idoneo per la conquista di un obiettivo militare. Oppure, in merito alla popolazione civile, indicano – principalmente nel I protocollo alla IV Convenzione di Ginevra del 1977 – che è severamente vietato attaccare in “maniera indiscriminata” la popolazione civile. Va sottolineato che questo principio è definito all’Art. 51 (5) del suddetto protocollo. Per attacco indiscriminato si intende un attacco militare non su un obiettivo militare specifico ma su un’intera area urbana indipendentemente dal fatto che in essa ci siano chiare zone prive di obiettivi militari, cosa che Israele non ha mai fatto in nessuna delle sue operazioni militari. Allora perché Guterres ha dichiarato che Israele utilizza uno “sproporzionato” uso della forza, se tale principio non esiste nel diritto? Per meri scopi accusatori nei confronti dello Stato ebraico, che, in questo modo viene imputato di qualche violazione anche se di norme inesistenti. Israele, diviene così, immediatamente, colpevole a prescindere. Va sottolineato che l’accusa di “uso sproporzionato” della forza non è mai stata rivolta a nessun altro Stato al di fuori di Israele (neanche alla Russia per l’aggressione all’Ucraina).
  Una cosa, invece, è certa nella Convenzione dell’Aia o nelle Convenzioni di Ginevra: è fatto divieto assoluto di utilizzo di abitazioni civili, luoghi di culto o ospedali come luoghi di stoccaggio per armi e munizioni e tanto meno il loro utilizzo come basi operative per azioni armate. Cosa, ad esempio, mai evidenziata nei “rapporti” ONU. Come si può ben comprendere, Israele è costretto a operazioni militari dai terroristi palestinesi, che non rispettano nulla del diritto internazionale, in teatri urbani dove è praticamente impossibile intervenire senza causare vittime civili (cosa che è però riuscita a fare nell’ultima operazione militare).
  Cosa dice il diritto internazionale in merito alle vittime civili nei conflitti militari? Dice che è severamente vietato causare vittime civili solo quando i civili non costituiscono un chiaro obiettivo militare. Quando sono invece un obiettivo militare? Quando sono direttamente coinvolti negli obiettivi militari, come nel caso dei terroristi che li usano come scudi umani per proteggersi o proteggere i comandi o i depositi di armi. In questo caso la sola responsabilità di violazione del diritto internazionale ricade sulla parte – i terroristi palestinesi – che li espone ai pericoli del conflitto militare. Il compito dell’esercito israeliano è solo quello di non colpire deliberatamente abitazioni o strutture che non centrano nulla con i centri militari dei terroristi.
  Facciamo un esempio. Guterres e altri (numerosi) funzionari dell’ONU hanno accusato Israele di “uso sproporzionato” della forza militare perché hanno utilizzato elicotteri e droni a copertura dei soldati sul terreno. Questa è una colossale menzogna, perché un esercito può utilizzare i mezzi che ritiene opportuni per portare avanti un’azione militare (se non espressamente vietati nelle convenzioni come ad esempio i gas o le armi batteriologiche). Quindi, la discriminante per stabilire se c’è stato un “uso indiscriminato” di forza militare (e non un “uso sproporzionato”) non è dato dai mezzi militari che vengono utilizzati ma dal modo in cui tali mezzi vengono utilizzati. Se sono utilizzati unicamente per colpire degli obiettivi militari – anche in centri urbani – sono legittimi, se sono utilizzati per bombardare a casaccio per colpire edifici che nulla hanno a che fare con gli obiettivi militari allora si è in presenza di un “uso indiscriminato” della forza militare. Se la presenza degli obiettivi militari è tra la popolazione civile la violazione del diritto (e dell’etica) ricade unicamente su chi li ha installati lì non su chi li colpisce.
  Quando l’ONU decise l’operazione militare Restore Hope in Somalia nel 1992, la maggior parte dei combattimenti avvenne in centri urbani. Le truppe ONU utilizzarono anche mezzi pesanti e elicotteri da combattimento nei suddetti centri a protezione delle proprie truppe, che causarono centinaia di morti tra i civili ma nessuno – ad iniziare dall’ONU – disse che ci fu un “uso eccessivo” o “indiscriminato” della forza (in una sola operazione militare ci furono oltre mille morti civili). Quando la NATO bombardò i centri abitati da civili in Serbia con una massiccia campagna aerea nessuno disse che ci fu un “utilizzo sproporzionato” della forza, anzi, un procuratore del Tribunale Internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia, stabilì che i bombardamenti effettuati a protezione delle truppe fu pienamente legale (ci furono oltre 500 civili uccisi dai bombardamenti). Lo stesso si può dire delle invasioni di Iraq e Afghanistan. In pratica, questa “non regola” dovrebbe valere unicamente per Israele. Si può aggiungere che Guterres, al pari di diversi ministri europei, utilizzando la falsa accusa di “uso eccessivo” della forza pone Israele nell’impossibilità oggettiva di difendersi da questa accusa inesistente perché essa non esiste nel diritto, assumendo di fatto una valenza di uno stigma morale. Diverso sarebbe stato difendersi dall’accusa di “uso indiscriminato” della forza, cosa normata dal diritto e quindi verificabile e che avrebbe smascherato la malafede dell’accusatore di turno.
  A quanto detto fino ad ora, si può anche aggiungere che molti rappresentanti dell’ONU, al pari di quelli di vari governi, ritengono che essendo Hamas o la Jihad Islamica organizzazioni terroristiche non “devono” sottostare alle regole del diritto internazionale mentre Israele sì (cosa sostenuta anche dalla Corte di Giustizia Internazionale con parere consultivo del 2004 a proposito della barriera di sicurezza). Questo pone uno Stato legittimo (Israele) nell’impossibilità pratica di difendersi, come stabilito dalle leggi internazionali, perché qualsiasi azione da esso intrapreso potrà essere messa, sempre, in discussione, visto che la controparte non rispetta nessun principio umanitario nell’indifferenza generale. È quasi superfluo notare che questo atteggiamento è riservato unicamente ad Israele.
  Un’ ultima annotazione va fatta in merito al termine “civile”. Quando, un individuo è considerato tale per il diritto internazionale? In senso stretto quando non porta una divisa e non faccia parte di un esercito “riconosciuto” come tale o di una milizia disciplinata dall’Art. 1 della IV Convenzione dell’Aia. Quindi un terrorista armato è un civile o è un militare anche se non ha una divisa ma esegue “tecniche” di tipo militare? Se individui non appartenenti ad eserciti o milizie di tipo militare aiutano volontariamente dei terroristi o delle truppe regolari, sono un legittimo obiettivo militare? Questi quesiti non sono semplici da definire con chiarezza perché il diritto internazionale, con le leggi di guerra (oggi diventate diritto umanitario), contempla solo i casi di guerra tra Stati e con eserciti “regolari”. Le regole per i conflitti asimmetrici (Stati contro organizzazioni terroristiche paramilitari) non sono state disciplinate. Ufficialmente, per il diritto internazionale, organizzazioni terroristiche come Hamas o Hezbollah anche se controllano territori e li gestiscono al pari di Stati riconosciuti non rientrano completamente nella categoria degli eserciti.
  È chiaro che per questi e altri casi (talebani, Al-shabaab ecc.) è necessaria una implementazione delle regole del diritto internazionale in quanto, essi, posseggono tutti i requisiti statuali ma non rientrano ufficialmente nell’alveo delle sue regole. Questo è un vuoto che deve essere colmato perché sono una presenza con la quale bisogna fare i conti ogni giorno di più. Però una cosa è chiara: la poca chiarezza delle norme diventa uno strumento adatto ad attaccare unicamente Israele e mai i suoi nemici.

(L'informale, 14 luglio 2023)

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Per una collaborazione tra il nuovo museo della Shoah di Roma e il Meis di Ferrara

di Davide Nanni

È stato approvato dal Senato con 157 voti a favore, nessun contrario e nessun astenuto, il disegno di legge che istituisce il Museo della Shoah di Roma, città che ha pagato un prezzo altissimo durante l’occupazione nazi-fascista e visto deportare più di mille ebrei romani ad Auschwitz.
  I 18 carri bestiame della tradotta partita dopo il feroce rastrellamento del 16 ottobre 1943 sostarono anche alla stazione di Ferrara con il loro carico di dolore e vite spezzate, come ricorda una lapide posta al binario 1 nel 2005 su iniziativa dell’avv. Paolo Ravenna. A guerra finita ne torneranno a casa solo 16, nessuna donna e nessuno dei 207 bambini presenti sul convoglio.
  In Italia, è bene ricordarlo, gli ebrei deportati con l’attiva collaborazione delle autorità fasciste furono 7495, tra cui oltre un centinaio di cittadini ferraresi. Il Museo della Shoah di Roma, dunque, si unirà finalmente al circuito dei musei ebraici esistenti e al Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, istituito nel 2003 con sede a Ferrara, come ulteriore e importante presidio di memoria storica in un’epoca sempre più tristemente segnata da rigurgiti di odio razziale e antisemita. Non a caso la votazione della legge è stata unanime e seguita dal lungo applauso di tutti i senatori presenti in Aula.
  Il nuovo Museo romano potrà contare su importanti contributi statali e sarà gestito dall’omonima Fondazione: il nostro auspicio è che si rafforzi la collaborazione già in atto, continuativa e importante con il MEIS per promuovere eventi e progetti integrati di grande rilievo, che facciano di Ferrara un laboratorio permanente di studi ebraici nonché il punto di riferimento per un turismo qualificato dal respiro internazionale.
  Ricordiamo che la Regione Emilia-Romagna e tutte le Amministrazioni comunali che si sono susseguite dal 2003 ad oggi hanno fortemente sostenuto il MEIS e le sue attività. Inoltre, grazie ai fondi del PNRR, sarà finalmente possibile procedere alla completa digitalizzazione del patrimonio culturale presente nel complesso delle Sinagoghe cittadine e presso il cimitero della Comunità ebraica ferrarese. Azioni che confermano la volontà politica trasversale di valorizzare quel patrimonio materiale e immateriale che definisce profondamente l’identità storica di Ferrara, che è stata per secoli una delle città ebraiche più importanti d’Europa e continua ad esserlo.
  Il Partito Democratico si impegnerà sempre, in tutte le sedi istituzionali, per difendere e valorizzare questo patrimonio che potrà essere conosciuto sempre di più nel mondo solo se saranno coltivate nel tempo progettualità virtuose tra le Istituzioni locali, il MEIS e il nuovo Museo della Shoah di Roma.

(estense.com, 15 luglio 2023)

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La polizia svedese approva il rogo di una Torah davanti all'ambasciata israeliana

La condanna dallo stato ebraico: “un atto di odio ripugnante"

di Luca Spizzichino

La polizia svedese ha approvato la richiesta di organizzare un raduno pubblico per bruciare un rotolo della Torah davanti all'ambasciata israeliana. La richiesta, secondo i media svedesi, è arrivata da un uomo di 30 anni. Il rogo avverrebbe domani, sabato, davanti all'ambasciata a Stoccolma.
  La decisione da parte degli organi di sicurezza svedesi arriva un mese dopo il rogo del Corano fuori dalla moschea di Stoccolma, che ha portato, tra l'altro, a grandi proteste e all'assalto all'ambasciata svedese nella capitale dell'Iraq, Baghdad.
  L'ambasciatore israeliano in Svezia Ziv Nevo Kulman si è detto scioccato e inorridito da ulteriori richieste di roghi di libri sacri. "Questo è chiaramente un atto di odio che deve essere fermato", ha scritto su Twitter all'inizio di luglio.
  Anche il presidente israeliano Isaac Herzog ha rilasciato una dichiarazione in cui condanna la decisione presa dalla polizia svedese. “Condanno inequivocabilmente il permesso concesso in Svezia di bruciare libri sacri” ha affermato. “Consentire la deturpazione di testi sacri non è un esercizio di libertà di espressione, è palese istigazione e atto di puro odio. Il mondo intero deve unirsi nel condannare chiaramente questo atto ripugnante”.
  Il Rabbino capo Ashkenazita d’ Israele David Lau ha scritto una lettera aperta al primo ministro svedese Ulf Kristersson. "Sono rimasto inorridito nel sentire le intenzioni di un certo numero di civili residenti in Svezia, che intendono protestare di fronte all'ambasciata israeliana a Stoccolma, [in una] protesta che includerà il rogo di un Torah", si legge nella lettera. "La questione più grave è, secondo la stessa notizia, che la polizia svedese ha approvato una cosa così grave e orribile, ovviamente con il pretesto della 'libertà di espressione'. Alcuni mesi fa, i manifestanti in Svezia hanno bruciato un Corano davanti all'edificio dell'ambasciata turca. Questa di per sé è una cosa orribile e obbliga tutti a protestare con tutte le loro forze e a condannare una cosa del genere. Ma questo torto non giustifica un altro sbagliato; un atto spregevole non permette un altro atto spregevole” continua.
  "Vi invito a insistere con tutte le vostre forze affinché una cosa del genere non accada. La libertà di espressione non permette di fare tutto, e qualsiasi danno a ciò che è sacro per Israele non è espressione di libertà, ma di antisemitismo. Sono convinto che tutti sulla faccia di questo pianeta capiscano quanto siano gravi questi atti e li condannino", ha concluso rav Lau.
  Anche il Rabbino capo sefardita Rabbi Yitzhak Yosef ha inviato una lettera, in questo caso al re svedese Carl Gustaf XVI, esortandolo a far cambiare idea alle autorità. “Come persone di fede, crediamo fermamente che due torti non fanno una ragione. - si legge nella lettera - È imperativo sostenere i principi del rispetto e della dignità reciproci, anche di fronte a disaccordi o tensioni tra le comunità”.
  “Il popolo ebraico sta attualmente osservando un periodo di tre settimane segnato dalla tristezza, che porta al solenne giorno del 9 di Av, il giorno più triste del calendario ebraico. - prosegue - Questo giorno serve a ricordare l'incendio dei libri sacri nel tredicesimo secolo in Europa, che ha stabilito un tragico precedente per ulteriori atti atroci nel corso della storia”.
  “La libertà di espressione non dovrebbe mai servire da giustificazione per perpetrare atti di crudeltà o incitare all'odio. - si legge ancora - Vostra Altezza, faccio appello al vostro carattere nobile e alla vostra dedizione nel promuovere la pace e l'armonia tra tutti i popoli. Impedendo che questo evento si verifichi, mandereste un potente messaggio al mondo: la Svezia si oppone fermamente alla intolleranza religiosa e a tali atti, che non hanno posto in una società civile” conclude Rabbi Yitzhak Yosef.

(Shalom, 14 luglio 2023)

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Agritech, acqua e droni: così il futuro della ricerca italiana passa da Israele

All’indomani della visita a Tel Aviv del ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini, l’orizzonte appare chiaro: per il futuro della scienza lo Stato ebraico è un partner fondamentale.

di Rossella Tercatin

GERUSALEMME - Agri-tech e desalinizzazione, intelligenza artificiale e tecnologie quantistiche. All’indomani del viaggio in Israele del ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini, l’orizzonte appare chiaro: per il futuro della scienza italiana lo Stato ebraico si profila come un partner fondamentale.
  Per la formazione dei ricercatori della penisola in aree chiave come tecniche di coltivazione, irrigazione e monitoraggio dei campi – fondamentali per ripensare il settore nel XXI secolo. Per il know-how in termine di gestione delle risorse idriche, area in cui Israele, nazione semidesertica che è arrivata a riciclare il 90% delle sue acque reflue, oltre a contare su impianti di desalinizzazione tra i più avanzati al mondo.
  Ma anche per offrire alle università israeliane la possibilità di inviare a sua volta i loro esperti per essere formati in campi in cui i centri italiani rappresentano eccellenze mondiali, come quello delle onde gravitazionali e del super calcolo.
Italia e Israele sono storicamente legati da valori e priorità comuni, ma anche da solidi rapporti di collaborazione,” commenta Bernini. “In vista del vertice italo-israeliano previsto per il prossimo ottobre dobbiamo far conoscere il più possibile i nostri progetti, i nostri Centri di ricerca. Per dare una prospettiva di lungo periodo alla ricerca italiana servono sinergie forti. E quella con Israele è certamente una delle più virtuose.”
  L’internazionalizzazione dei Centri di ricerca – nell’ambito di High-Performance Computing, Big Data e Quantum Computing; Agri-Tech; Mobilità Sostenibile; Biodiversità; Terapia Genica e Farmaci basati su tecnologie RNA - è una delle priorità che ha portato il ministro in Israele. Per finanziarli sono già stati stanziati 4,5 miliardi di euro nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), che ne garantiscono la copertura finanziaria fino al 2026.
  Dopo di che sarà fondamentale la capacità degli istituti di camminare con le proprie gambe e in questo senso le collaborazioni internazionali possono rivelarsi fondamentali per partecipare con successo a bandi di ricerca a livello mondiale.
  “Puntiamo ad avere un legame sempre più forte nel settore dell'intelligenza artificiale, delle tecnologie quantistiche, dell'agri-tech e della gestione delle acque in un’ottica di sostenibilità e di gestione delle risorse,” ha sottolineato Bernini.
  “Sono gli ambiti più critici e seguiti sia dall’Italia che da Israele. Il domani della ricerca è soprattutto qui.” Durante il suo soggiorno in Israele il ministro ha visitato i suoi principali atenei impegnati in queste discipline, il Weizmann Institute of Science di Rehovot, la Tel Aviv University e la Ben Gurion University of the Negev, incontrando accademici e scienziati, compresi molti italiani, per ascoltare esperienze e progetti e favorire eventuali contatti con controparti italiane, magari con la creazione di corridoi preferenziali per lo scambio dei ricercatori.
  In Israele Bernini ha anche presenziato alla firma di un accordo tra l’azienda italiana H2C che vanta un’esperienza decennale nel campo delle infrastrutture energetiche e l’israeliana Gadfin, gruppo specializzato nello sviluppo di droni alimentati ad idrogeno.
  Il terreno per la visita era già stato preparato durante un incontro di Bernini a Roma con il Ministro della Scienza Ofir Akunis a maggio. I ministri si sono incontrati nuovamente a Tel Aviv. L’obiettivo è quello di arrivare alla chiusura di una cornice di collaborazione concreta per il vertice intergovernativo.
“Vogliamo intensificare e implementare l'Accordo di Cooperazione Industriale, Scientifica e Tecnologica tra Italia e Israele,” ha spiegato Bernini. “E soprattutto incentivare lo scambio di ricercatori e la creazione di progetti di ricerca comuni. È nella condivisione delle conoscenze la chiave del progresso.”

(la Repubblica, 14 luglio 2023)

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Mondo ebraico sotto shock, in Svezia vogliono bruciare anche la Torah. Israele protesta

Dopo il Corano, programmata per venerdì (con l'approvazione della polizia locale) una manifestazione in cui si prevede di bruciare un libro sacro

di Franca Giansoldati

Ad una settimana dall'agghiacciante rogo del Corano, in Svezia, a Stoccolma, è stata di nuovo programmata per venerdì (con l'approvazione della polizia locale) una manifestazione in cui si prevede di bruciare un libro sacro. Stavolta si tratta di una Torah che si prevede venga data alle fiamme proprio fuori dalla ambasciata israeliana.
  Il Congresso Ebraico Mondiale è sotto shock mentre lo Stato di Israele dopo avere condannato questo progetto «pieno di odio» ha protestato formalmente con le autorità svedesi.
  «Questo atto provocatorio e odioso non ha posto nella società civile e ci uniamo al Consiglio ufficiale delle comunità ebraiche svedesi nel condannarlo» ha commentato affranto il presidente Congresso Ebraico Mondiale, Ronald S. Lauder. «Il rogo dei nostri testi sacri ostracizza e ferisce la comunità ebraica svedese e tutti coloro che apprezzano il pluralismo e il multiculturalismo. I libri vanno letti e apprezzati, non bruciati». Dopo i recenti roghi del Corano in Svezia, il Congresso ebraico mondiale si è schierato con fermezza a fianco della comunità musulmana, affermando che gli incidenti emarginano le minoranze religiose e seminano solo divisioni.
  Papa, tensione con gli ebrei per l'interpretazione di San Paolo. «Alimenta germi antisemiti»
  L'ambasciatore israeliano in Svezia Ziv Nevo Kulman si è detto «scioccato ed atterrito alla prospettiva che siano bruciati altri libri in Svezia, siano il Corano, la Torah o altri testi sacri». «Questo è chiaramente un atto di odio che deve essere fermato».
  Il sito svedese Svt Nyheter che per primo ha riportato la notizia ha reso noto che «alla polizia erano state presentate tre nuove domande per bruciare scritture religiose». Una di queste - ha spiegato il sito «riguarda un Corano da bruciare fuori una Moschea Stoccolma», la seconda «è stata presentata da un uomo che vuole bruciare la Torah e la Bibbia davanti all'ambasciata israeliana», a quanto pare il prossimo 15 luglio. «La terza - ha proseguito il sito - domanda riguarda il rogo di 'testi religiosì nel centro di Helsingborg» una cittadina a sud della Svezia.

(Il Gazzettino, 14 luglio 2023)

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Il Sindaco di Trieste ha ricevuto delegazione israeliana del comune di Modi'In in visita Istituzionale nella nostra Regione

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TRIESTE - Questa mattina (14 luglio) il sindaco Roberto Dipiazza, il vicesindaco Serena Tonel, l'assessore alle politiche finanziarie Everest Bertoli e il direttore del dipartimento innovazione e servizi cittadino Lorenzo Bandelli, hanno incontrato una delegazione israeliana composta da rappresentanti politici e amministrativi del comune di Modi’in Maccabim Re' ut, città israeliana situata nel centro di Israele, a circa 35 chilometri a sud-est di Tel Aviv e 30 chilometri a ovest di Gerusalemme. in visita istituzionale in Friuli Venezia Giulia dal 12 al 16 luglio, per la promozione e l’avvio del progetto “Start Learning Cities Up”, promosso dalla Regione Fvg in collaborazione con ISIG, e di cui il Comune di Trieste è partner.
  La delegazione israeliana era composta dal sindaco Haim Bibas con la moglie Yafit Bibas, da Orna Mager (Direttrice del Centro Multidisciplinare cittadino) e da Rivi Cohen (componente del gruppo relativo al progetto "Start Learning Cities Up") ed erano accompagnati dall’assessore regionale al lavoro, formazione, istruzione, ricerca, università e famiglia Alessia Rosolen.
  Nel corso del cordiale incontro il sindaco Roberto Dipiazza ha evidenziato le principali caratteristiche geo-politiche ed economiche della città e del territorio di Trieste, in particolare riguardo alle strutture portuali, agli importanti traffici petroliferi, alla rilevante crescita del turismo e il progetto di rigenerazione urbana “Porto Vivo”.
  Il vicesindaco Serena Tonel ha illustrato, insieme al direttore del dipartimento innovazione e servizi cittadino Lorenzo Bandelli l'Urban Center di Trieste, l'hub dell'innovazione nel centro città, dove attualmente sono insediate 22 startup innovative afferenti ai settori BioHighTech e Digital HighTech,
  Il sindaco Haim Bibas, grazie ad un supporto video ha illustrato la sua città e lo sviluppo futuro del territorio; tra i temi dell’incontro bilaterale, le attività del progetto “Start Learning Cities Up” in cui è coinvolto il Comune di Trieste.
  Il sindaco Roberto Dipiazza alla fine dell'incontro ha consegnato ai componenti della delegazione un libro sulla città.

(Trieste Caffè, 14 luglio 2023)

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Tensione Israele-Hezbollah: uno studio israeliano prevede un attacco a breve

Funzionari locali del nord di Israele si sono lamentati con il governo perché non è stata data una risposta efficace alle provocazioni di Hezbollah. E intanto Nasrallah fa propaganda.

Uno studio pubblicato giovedì dall’Alma Research and Education Center, un’organizzazione senza scopo di lucro che si dedica alla ricerca delle sfide per la sicurezza ai confini settentrionali di Israele, ha affermato che c’è un preciso tentativo da parte del gruppo terroristico Hezbollah, con sede in Libano, di aumentare l’attrito e portare a un confronto regionale a partire dal confine con Israele. “Hezbollah lancerà un’offensiva diretta contro le truppe dell’IDF vicino al confine”, si legge nel rapporto.
  Il centro, che ha sede in Galilea, afferma che l’aumento della tensione è iniziato lo scorso giugno, quando i membri di Hezbollah hanno montato delle tende all’interno del territorio controllato da Israele, anche se alcuni fanno riferimento al lancio di razzi dal Libano, lo scorso aprile. Si è trattato del più intenso lancio di razzi attraverso il confine dalla fine della Seconda guerra del Libano del 2006. Sono 13 le località che il gruppo sostenuto dall’Iran sostiene essere territorio libanese occupato da Israele.
  Mercoledì, l’IDF ha usato misure non letali per allontanare agenti di Hezbollah che hanno incendiato arbusti vicino al confine e fatto esplodere mine. Sempre mercoledì, alcune persone sul lato libanese del confine hanno acceso fuochi d’artificio e sono state respinte dalle truppe dell’IDF e dalle forze dell’UNIFIL e dell’esercito libanese. Alcuni sono riusciti a distruggere le telecamere di sicurezza poste vicino al valico di frontiera di Fatmah, fuori dalla città settentrionale di Metula.
  Hezbollah ha cercato di interrompere gli sforzi dell’IDF per rafforzare le sue difese lungo il confine e ha attaccato le attrezzature pesanti utilizzate dalle forze israeliane. Le provocazioni degli operatori di Hezbollah sono state filmate e pubblicate sui social media e sono state considerate parte degli sforzi per preparare un confronto militare con Israele. Un portavoce militare ha dichiarato che i residenti del nord non hanno corso alcun pericolo a causa di questi atti di provocazione.
  I funzionari locali hanno criticato il governo per non aver risposto in modo più definitivo e i residenti locali hanno riferito che i comandanti dell’IDF hanno detto loro che avevano le mani legate per ordini di Gerusalemme. Il sindaco di Metula, David Azulai, ha detto che i suoi residenti sono stati abbandonati dal governo e che la deterrenza di Israele lungo il confine settentrionale è stata erosa.
  Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha dichiarato nella tarda serata di mercoledì che le tende piantate dai suoi agenti si trovavano in territorio libanese e che se Israele avesse avuto un esercito in grado di vincere, avrebbe agito con la forza. “Israele sa che qualsiasi azione non sarà accettata e il nostro popolo sa cosa deve fare se Israele cerca di rimuovere le tende”, ha dichiarato.
  Il Magg. Gen. Aharon Haliva ha dichiarato che l’esercito sta osservando le intenzioni di Nasrallah. “Faremo tutto ciò che è necessario per mantenere la calma lungo il confine”, ma ha messo in guardia Nasrallah dal valutare male le opzioni dell’IDF.

(Rights Reporter, 14 luglio 2023)

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Una svizzera fornisce aiuto in Israele

Zaini ricavati da vecchie vele: la svizzera Tabea Oppliger offre alle donne una via d'uscita dalla prostituzione forzata e la possibilità di reintegrarsi nel mondo del lavoro.

di Noëmi Gradwohl

Tabea Oppliger ha fondato KitePride insieme al marito nel 2018.
È stato un incontro carico di conseguenze: Tabea Oppliger stava passeggiando con la figlia di sei settimane nel quartiere a luci rosse di Zurigo, quando una donna le si è avvicinata. "Era chiaro che si trattava di una prostituta", racconta oggi. La sconosciuta ha chiesto: "Posso dare un bacio a sua figlia?".
  Oppliger ha acconsentito. "Quel bacio con il rossetto sulla fronte di mia figlia ha segnato anche il mio cuore". E l'ha spinta a passare all'azione.
  La donna oggi 45enne, massaggiatrice sportiva di formazione, si è offerta di massaggiare le prostitute. Si è resa conto di quanto il loro mestiere fosse stancante fisicamente e psicologicamente.

• Lavoro invece di compassione
  Durante quegli incontri, Oppliger sentiva ripetere sempre la stessa frase: "Non ho bisogno di compassione, ma di un lavoro". Tuttavia, solo chi ha concrete prospettive riesce a lasciare il mondo della prostituzione forzata. Per Oppliger era quindi chiaro che bisognava fare qualcosa per favorire il reinserimento di queste donne nel mercato del lavoro.
  Questo accadeva dieci anni fa. Oggi, Oppliger gestisce in Israele, insieme al marito Matthias, l'impresa sociale "KitePride", che è anche un progetto di upcycling (o riutilizzo creativo).
  Lo stabilimento di produzione si trova in un edificio industriale a sud di Tel Aviv. Su due piani, le collaboratrici cuciono borse, zaini e accessori a partire da vecchie vele e paracaduti.
  "Grazie", recitano le etichette sulle borse, "avete offerto un lavoro di riabilitazione alla persona che ha cucito questa borsa".
  KitePride impiega persone che sono riuscite a uscire dalla prostituzione. "Al momento, per noi lavorano 13 persone con questo trascorso", dice Tabea Oppliger.

• Alto tasso di successo
La maggior parte delle dipendenti proviene dall'Europa orientale, soprattutto da Ucraina e Russia. Oppliger ha fondato KitePride insieme al marito nel 2018. "Da allora, più di 35 persone sono state formate grazie a noi".
  All'inizio, due o tre persone sono tornate a prostituirsi. Ma tutte le altre sono rimaste, dice. "Abbiamo una percentuale di successo del 100%".

• Le donazioni sono necessarie

Tabea Oppliger stende una vecchia vela, che verrà poi trasformata in borse
L'azienda dipende in larga misura dalle donazioni di fondazioni ebraiche e soprattutto religiose. "Le entrate di KitePride coprono a malapena i costi di produzione", dice Oppliger.
  La cittadina svizzera si è presto resa conto che le opportunità offerte da KitePride non sono sufficienti. "Sono tante le ex vittime della tratta di esseri umani che hanno bisogno di un lavoro", afferma.
  Per aiutare un numero maggiore di ex vittime della prostituzione forzata, Oppliger ha lanciato quindi un progetto sociale. Durante i corsi, le partecipanti imparano ad affrontare le questioni quotidiane come pagare le bollette, candidarsi per un lavoro o conoscere propri diritti. L'obiettivo è di fare loro ritrovare un posto nella società. Per questo progetto, Oppliger riceve fondi anche dal Governo israeliano.

• Salvataggio prima che sia troppo tardi
  Tommy è una delle donne che hanno partecipato a questo secondo progetto. La 29enne israeliana ora lavora come cuoca, tra l'altro anche per la mensa di KitePride.
  "Avevo provato diverse volte a uscirne", racconta Tommy. Ma non ci è mai riuscita a causa di problemi finanziari. Solo grazie al sostegno di Tabea Oppliger si è sentita pronta a voltare pagina.
  Il fatto che l'espatriata svizzera si dia da fare per aiutare persone come Tommy è dovuto anche alla sua fede. Come suo marito, è cresciuta in una famiglia evangelica in Papua Nuova Guinea. I suoi genitori erano missionari.
  L'influenza della Chiesa libera è centrale per Oppliger e la fede è "un'ancora". "Sono cresciuta con l'idea che si vive l'amore per il prossimo per convinzione", dice.
  La donna non vuole, tuttavia, convertire nessuno. "In Israele il proselitismo è peraltro vietato, quindi, se lo facessi, dovrei lasciare il Paese".

• Il paradiso delle start-up in Israele

Oppliger ha fondato la sua impresa sociale in Israele e non nella sua patria perché "la Svizzera non è un luogo dove l'innovazione è ben accetta". "Credo che oggi starei ancora aspettando tutti i certificati necessari per essere presa sul serio", dice.
  La scelta di Israele è stata casuale. "Ma qui c'è una cultura delle start-up e un terreno fertile per le idee pionieristiche", afferma.
  Ma anche in Israele non tutto fila liscio, come Oppliger ha potuto constatare nel corso degli anni. "La burocrazia è eccessiva". Anche se ora parla correntemente l'ebraico, capire il sistema è difficile.
  Nel frattempo, il visto della famiglia è scaduto. Gli Oppliger hanno richiesto un permesso di soggiorno, ma stanno da mesi aspettando una decisione. Per cautelarsi, hanno assunto un manager per l'azienda, un israeliano, che se necessario potrà continuare a gestire il progetto in loco.
  Se la decisione del Ministero degli Interni sarà negativa, Tabea Oppliger farà invece la pendolare tra la Svizzera e Israele.

(SWI, 14 luglio 2023 - trad. Luigi Jorio)

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Parashà di Mass’è: l’influenza dell’ambiente sull’uomo

di Donato Grosser

Questo è il titolo di una derashà di rav Yosef Shalom Elyashiv su questa parashà. Nella parashà è raccontato che Moshè ricevette la mitzvà di designare sei città come luoghi  di rifugio per coloro che avevano commesso un omicidio non intenzionale (shoghèg). Queste città erano destinate ad essere abitate dai Leviti, la cui tribù non aveva ricevuto nessun territorio in Eretz Israel.  
            Colui che commetteva un omicidio doloso era passibile della pena di morte. Questo però solo a condizione che fosse stato avvertito da due testimoni che il delitto che stava per compiere lo rendeva passibile della pena di morte e costui ignorasse l’avvertimento. In pratica la pena di morte per omicidio era quasi impossibile.  
            Era però più frequente che venissero puniti coloro che avevano causato la morte di persone senza intenzione di farlo. Un esempio dato nella mishnà (Makkòt, 2:1) è quello di una persona che cala una botte e, per mancanza di attenzione, la botte cade e causa la morte di una persona. L’omicida, per proteggersi dai parenti della vittima, poteva trovare rifugio in una delle sei città  dei leviti. Si trattava di un domicilio coatto che si poteva lasciare per tornare a casa solo con la morte del Kohen Gadol. La fine del domicilio coatto avveniva non solo per la morte del Kohen Gadol in carica, ma anche di altri kohanim che avevano sostituito il Kohen Gadol pro-tempore quando il Kohen Gadol non era stato in grado di fare il servizio (Mishnà Makkòt, 2:6).
            R. ‘Ovadià Sforno (Cesena, 1475-1550, Bologna) commenta che dal momento che vi erano diversi livelli di delitti commessi senza intenzione, il periodo di domicilio coatto variava da persona a persona. Questo è il giudizio del Creatore che faceva sì che ognuno di questi rifugiati ricevesse la pena che si meritava. 
            Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) nel Mishnè Torà (Hilkhòt Shemità ve-Yovèl, 13:12) descrive la vita dei Leviti nelle loro città: “E perché Levi non ricevette un territorio in Eretz Israel, né il diritto alle spoglie di guerra con i suoi fratelli? Perché fu destinato al servizio divino e a insegnare le Sue rette vie e le Sue giuste leggi al pubblico”. Nel deserto i leviti rappresentavano poco meno del quattro percento del popolo. E anche quando si stabilirono in Eretz Israel la loro percentuale non fu certo superiore a un tredicesimo del popolo.  Non avevano terreni e venivano mantenuti con la decima del raccolto di tutte le altre tribù. In cambio di questo si dedicavano allo studio della Torà e all’insegnamento al popolo. Le città di rifugio offrivano quindi un ambiente spirituale.  
            R. Yosef Shalom Elyashiv (Lituania, 1910- 2012, Gerusalemme) In Divrè Aggadà (pp. 323-4)  osserva che questo tipo di omicidio poteva capitare perché chi l’aveva commesso non aveva sufficiente “Ahavàt Israel”, amore per il prossimo. La città di rifugio non doveva servire solo come protezione dalla famiglia della vittima, ma soprattutto a far fare teshuvà a coloro che avevano causato involontariamente la morte di altri.  A tale scopo le città dei leviti offrivano l’ambiente adatto.

(Shalom, 14 luglio 2023)
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Parashà della settimana: Massè (Viaggi)

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Il movimento di protesta non supera il "test di ragionevolezza” di Netanyahu

Se il Paese era così inorridito dalla riforma giudiziaria solo due mesi fa, perché le proteste attuali sono drasticamente più ridotte?

di Alex Traiman

GERUSALEMME - Lunedì sera, nell'ambito della riforma giudiziaria, la coalizione al governo di Israele ha approvato in prima lettura un disegno di legge che limiterebbe il potere della Corte Suprema di annullare le leggi o le azioni esecutive sulla base di un non meglio specificato criterio di "ragionevolezza".
  Come previsto, il movimento anti-riforma ha indetto una "giornata di sommosse" in tutto il Paese per protestare contro l'approvazione della legge. I manifestanti hanno bloccato le principali autostrade e il terminal internazionale dell'aeroporto Ben Gurion.
  L'approvazione della legge e le conseguenti proteste sono la parte più recente di una contesa che dura da mesi sulla composizione e sui poteri della Corte Suprema di Israele, la più forte istituzione di governo del Paese.

• PARTECIPAZIONE IN CALO
  E’ da notare in modo particolare che le recenti proteste contro la riforma sono state come dimensione una piccola frazione delle proteste precedenti. I media di sinistra - la maggior parte dei media israeliani - che prima vantavano stime massimaliste sulle dimensioni delle precedenti proteste, che contavano decine o centinaia di migliaia di persone, ora si limitano ad affermare che "masse" di manifestanti sono scese in piazza. Durante le proteste della scorsa settimana, quando alcune centinaia di persone hanno bloccato l'autostrada da Ayalon a Tel Aviv con un falò, i media hanno affermato che le proteste avevano prodotto scene simili a quelle di marzo. Invece di riprese aeree grandangolari, i media adesso utilizzano sempre più spesso primi piani dei manifestanti.
  Se il Paese era così inorridito dalla riforma giudiziaria solo due mesi fa, perché le proteste attuali sono molto più contenute?
  Le ragioni principali sono due: in primo luogo, la bozza di riforma presentata dal governo questa settimana sembra molto diversa da quella di qualche mese fa; in secondo luogo, le proteste attuali non sono affatto spontanee e la vera natura dei sostenitori del movimento di protesta e dei suoi organizzatori è venuta alla luce.

• UN’UNICA RIFORMA
  Il disegno di legge sulla ragionevolezza è solo una componente di un pacchetto di riforme giudiziarie molto più ampio proposto dal governo all'inizio di quest'anno.
   Il pacchetto complessivo di riforme proposto dalla coalizione del Primo Ministro Benjamin Netanyahu qualche mese fa comprendeva diversi elementi, tra cui: Modifiche al Comitato di selezione giudiziaria; limitazione dell'ambito dei casi fin dall’inizio “giustiziabili"; applicazione del principio di legittimazione ad agire per i querelanti; limitazione dei poteri legali del procuratore generale e dei consiglieri ministeriali; e una clausola controversa che consente alla Knesset di annullare le decisioni della Corte Suprema a maggioranza semplice.
  Sebbene molti israeliani ritenessero necessario un certo grado di riforma giudiziaria, il concetto di annullamento delle decisioni da parte della Knesset era una pastiglia avvelenata. Inoltre, il governo ha fatto un pessimo lavoro nello spiegare a un pubblico confuso le singole riforme che voleva attuare. Ne sono seguite proteste di massa, culminate in uno sciopero generale dei sindacati che ha temporaneamente bloccato il traffico aereo all'aeroporto Ben Gurion e altre infrastrutture chiave come banche e ospedali.
  Netanyahu non ha avuto altra scelta che eliminare il pacchetto di riforme dall'agenda legislativa.

• TRATTATIVE INSINCERE
  Su istigazione del presidente Isaac Herzog, Netanyahu ha accettato di negoziare con l'opposizione per raggiungere un ampio consenso su un pacchetto di riforme più moderato. Da allora, ha ripetutamente chiesto un compromesso e, insieme ad altri sostenitori della riforma giudiziaria, ha apertamente dichiarato che la controversa clausola di scavalcamento dovrebbe essere completamente rimossa dall'agenda.
  Secondo i media, la coalizione era disposta ad abbandonare molte delle riforme proposte a favore di un compromesso e i leader dell'opposizione erano disposti a riconoscere alcune riforme.
  Il concetto di riforma giudiziaria non è estraneo all'opposizione. Molti leader dell'opposizione, tra cui Yair Lapid, Benny Gantz, Gideon Sa'ar e Avigdor Liberman, si sono già espressi a favore di una riduzione dei poteri eccessivi del tribunale. Herzog riteneva che si potesse raggiungere un compromesso in cui la coalizione avrebbe raggiunto un certo grado di riforma giudiziaria mentre l'opposizione avrebbe potuto impedire alcuni degli aspetti più controversi.
  Tuttavia, è ormai chiaro che i leader dell'opposizione non sono interessati ad alcuna forma di consenso o compromesso. L'opposizione è decisa a rovesciare il governo stabile di destra di Netanyahu e ha poco interesse a concedere a Netanyahu anche una piccola vittoria politica. Né l'opposizione è più interessata a indebolire un tribunale che ha il potere di rovesciare le politiche con cui non è d'accordo.
  Pertanto, l'opposizione ha interrotto i negoziati proprio il giorno in cui il proprio candidato è stato eletto nel Comitato di selezione giudiziaria. Per quasi un mese, Netanyahu ha chiesto la ripresa dei negoziati. In assenza di negoziati, Netanyahu ha deciso di procedere con un unico elemento: limitare la capacità del tribunale di decidere sulla "ragionevolezza".
  Questa componente è stata scelta proprio perché la sua adozione sembra ragionevole alla maggioranza degli israeliani. Così, la stragrande maggioranza degli israeliani che hanno protestato a marzo è rimasta a casa da allora.

• LA CAMPAGNA ELETTORALE PIÙ COSTOSA DELLA STORIA DI ISRAELE
  Ma mentre la maggioranza dei manifestanti resta a casa, i più accaniti scendono in piazza settimana dopo settimana in quella che è già stata la campagna politica più costosa della storia di Israele. Ogni settimana i manifestanti si presentano con bandiere israeliane, grandi cartelli stampati, magliette e costumi. I nomi dei movimenti di protesta e i messaggi cambiano di settimana in settimana.
  Le proteste attuali sono chiaramente una continuazione delle stesse proteste anti-Netanyahu organizzate in cinque cicli elettorali consecutivi negli ultimi quattro anni. I leader delle proteste ripetono costantemente l'affermazione che Netanyahu sta conducendo il Paese verso una guerra civile - niente di più sbagliato - mentre invitano furiosamente alla disobbedienza civile di massa e cercano di adescare la polizia per disperdere con la forza le manifestazioni illegali. Invece di proteggere la nazione, la polizia israeliana, sovraccarica di lavoro, è costretta a gestire le proteste settimana dopo settimana.
  Nel frattempo, le proteste sono diventate più di un fastidio pubblico. Gli israeliani di ogni orientamento politico si sono stancati delle ripetute chiusure delle strade sulle principali autostrade e nelle città già affollate. Gli israeliani che amano viaggiare all'estero e i turisti che vogliono visitare lo Stato ebraico si oppongono con veemenza ai ripetuti assalti all'aeroporto Ben-Gurion da parte dei manifestanti.
  I manifestanti ora molestano ripetutamente ministri del governo e altri politici di destra, protestano fuori dalle loro case, intimidiscono coniugi e figli e disturbano quartieri residenziali altrimenti tranquilli.
  Ancora più gravi sono le minacce organizzate da riservisti di sinistra, piloti dell'aeronautica e soldati della sicurezza informatica che dichiarano di rifiutarsi di prestare servizio se le riforme giudiziarie andranno avanti. Finora i soldati di destra e di sinistra hanno sempre eseguito gli ordini, indipendentemente dal fatto che fossero d'accordo o meno. Politicizzare l'esercito - soprattutto quando non si tratta nemmeno di un'obiezione agli ordini che i soldati ricevono - è una linea rossa che quasi nessun israeliano è disposto a tollerare, soprattutto mentre la situazione della sicurezza nel Paese e nelle sue vicinanze continua a deteriorarsi.

• PRESSIONE ESTERNA
  Rendendosi conto che sta perdendo il dibattito interno e la presa su un elettorato prevalentemente di destra, l'opposizione sta cercando ogni possibile mezzo esterno per fare pressione sul governo Netanyahu. Questa settimana, il ministro della Diaspora Amichai Chikli ha accusato pubblicamente gli organizzatori delle proteste - gli ex primi ministri in disgrazia Ehud Barak e Yair Lapid - di collaborare con la Casa Bianca per denigrare i partner di coalizione di Netanyahu e fare pressione sul governo affinché rimuova la riforma giudiziaria dall'agenda.
  L'opposizione ha lavorato in modo analogo per far sì che i leader ebrei della diaspora criticassero il governo israeliano, facendo persino arrivare degli israeliani per protestare contro i ministri del governo durante la recente parata dell'Israel Day a New York. L'opposizione ha invitato gli uomini d'affari a ritirare i loro investimenti da Israele, mentre la comunità pro-Israele ha cercato di contrastare le iniziative BDS da parte degli attori anti-israeliani.

• CHE SUCCEDERÀ IN SEGUITO?
  Dopo la prima lettura del disegno di legge sulla ragionevolezza, sono ora in programma due letture finali. La palla è ora nel campo dell'opposizione che deve decidere se è pronta o no a rinnovare i negoziati e se sarà seria. Se la legge venisse approvata, ci si chiede se la Corte annullerebbe la legge, scatenando una crisi costituzionale in un Paese senza Costituzione.
  E la Corte annullerebbe la legge sulla "ragionevolezza" sulla base del principio stesso di ragionevolezza?
  Nel frattempo, i manifestanti continuano a mettere in guardia da quella che chiamano la "tirannia della maggioranza", ovvero un elettorato che ha chiaramente votato per le politiche che il governo sta cercando di promuovere. Per anni, Israele ha sofferto sotto la tirannia di una minoranza che ha dimostrato di essere disposta a fare qualsiasi cosa per rimuovere Netanyahu e i suoi fedeli alleati di destra dall'incarico - attualmente con il pretesto di opporsi alla riforma giudiziaria.

(israel heute, 13 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Israele punta su tecnologie che guardano al futuro

di Jacqueline Sermoneta

Consegne a domicilio robotizzate, bio-convergenza e sicurezza scolastica. Tre settori sui quali l’Autorità israeliana per l’innovazione (IIA) ha deciso di puntare con un’iniziativa che prevede un investimento di 40 milioni di NIS (11 milioni di dollari). Lo scopo del programma è quello di trovare startup in grado di sviluppare soluzioni tecnologiche innovative ad hoc e di creare il necessario quadro normativo.
  “Ci stiamo concentrando su aree che hanno un enorme potenziale di crescita, nelle quali le aziende israeliane hanno un relativo vantaggio come anche la possibilità di sviluppare prodotti innovativi che cambieranno il mondo”, ha spiegato Dror Bin, Ceo dell’IIA sul Times of Israel. Ciò implicherà anche la creazione di una “sandbox normativa”, uno spazio di sperimentazione dedicato alle soluzioni tecnologiche, in cui le aziende potranno testare la fattibilità del prodotto e creare un modello commerciale.
  Arrivare a una gestione robotizzata del ‘last mile’ delivery – la consegna ‘dell’ultimo miglio’, lo step finale del processo di consegna di un oggetto - è uno degli obiettivi. "Questa fase rappresenta oltre il 50% dei costi logistici totali. - ha affermato Sagi Dagan, vicepresidente della Divisione strategica dell'IIA - È diventata sempre più complessa e costosa dal 2020, trainata dall'impennata delle vendite di e-commerce e dei servizi di consegna a domicilio". L’utilizzo di robot autonomi permetterà di ottimizzare i tempi di trasporto, velocizzare il servizio, riuscendo a effettuare consegne senza i problemi di traffico, di parcheggio e limitando l’inquinamento.
  La seconda area su cui si investirà è la bio-convergenza - un'industria in crescita con una dimensione di mercato di 120 miliardi di dollari nel 2022 - che unisce la biologia e la medicina con l’ingegneria, la nanotecnologia e l’intelligenza artificiale per lo sviluppo di soluzioni innovative nel campo delle scienze della vita (come organi e tessuti stampati in 3D). Una sfida complessa non solo a livello tecnologico ma anche normativo.
  Il terzo obiettivo è quello di garantire la sicurezza nelle istituzioni educative. "La sicurezza delle scuole presenta delle difficoltà, legate principalmente all’utilizzo dell’intelligenza artificiale per creare un sistema adatto a un ambiente dove il livello di privacy è molto elevato" ha spiegato Dagan. Entro il 2030 si stima che questo campo avrà una crescita media annua del 19%.

(Shalom, 13 luglio 2023)

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Jerusalem International Film Festival 2023

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A Gerusalemme si alza il sipario sulla 40esima edizione del Jerusalem International Film Festival, inaugurato per la prima volta nel maggio del 1984. L’appuntamento cinematografico e culturale torna in cittàdal 13 al 23 luglio per presentare al pubblico le migliori tendenze in voga nel mondo del cinema.
  Il Jerusalem International Film Festival è diventato un importante palcoscenico che punta i riflettori sul meglio del cinema contemporaneo e allo stesso tempo un evento da non perdere per locali e turisti per assistere a centinaia di proiezioni, che hanno luogo nelle sale della Cinemateque e in altri spazi della città.
  Inoltre, durante le giornate del festival vengono organizzate monografiche dei leggendari maestri del cinema, incontri con i professionisti dell’industria cinematografica, workshop e concerti di musica dal vivo.
  Il programma del Festival sarà composto da innovative opere di avanguardia che riflettono su tematiche importanti e attuali come libertà, diritti umani, la storia e la tradizione del cinema. 
  Il film del premio Oscar Guy Nattiv, con Helen Mirren nel ruolo di protagonista, sarà la pellicola d’apertura.Golda, infatti, sarà proiettato durante l’evento inaugurale di apertura della kermesse che, come da tradizione, si terrà alla Sultan’s Pool il 13 luglio, alla presenza di 6.000 spettatori.
  Il film, presentato in anteprima mondiale al festival di Berlino di quest’anno, ci riporta indietro di 50 anni, alla guerra dello Yom Kippur del 1973, e segue alcuni giorni della vita del Primo Ministro israeliano Golda Meir – il quarto dalla fondazione dello Stato e la prima e unica donna ad aver ricoperto questa carica in Israele.
  Durante il festival, un’attenzione particolare sarà poi dedicata alle pellicole israeliane – lungometraggi in prima visione, documentari e cortometraggi – grazie a importarti riconoscimenti come l’Haggiag Family Awards, in grado di conferire autorevolezza e mettere in luce gli artisti e le pellicole più talentuose. 
  Il Jerusalem Film Festival si chiuderà poi con la proiezione del film Anatomy of a Fall, thriller francese diretto da Justine Triet che, presentato in anteprima mondiale al 76° Festival di Cannes, è stato molto apprezzato e ha vinto la Palma d’Oro 2023. Il film, interpretato da Sandra Hüller nel ruolo di una scrittrice che cerca di dimostrare la propria innocenza per la morte del marito, è un thriller procedurale di stampo hitchcockiano che crea un’eroina complessa e affascinante, mettendo in discussione le comuni convinzioni sulle relazioni e sulla verità.
  Roni Mahadav-Levin, direttore del Jerusalem Film Festival, ed Elad Samorzik, direttore artistico, commentano così il film di apertura Golda: 
  “Siamo lieti di aprire il festival di quest’anno con Golda di Guy Nattiv, una produzione internazionale impressionante e avvincente che offre uno sguardo sui giorni più cruciali della vita di una delle figure chiave della storia di Israele. L’interpretazione di Helen Mirren è elettrizzante e siamo certi che le migliaia di spettatori presenti alla Sultan’s Pool vivranno un’esperienza indimenticabile”.
  Nel corso degli anni, il Festival ha proiettato i debutti cinematografici di Wong Kar Wai, Tsai Ming-liang, John Sayles, Jim Jarmusch, Stephen Frears, Spike Lee, Quentin Tarantino, Nuri Bilge Ceylan e tanti altri, oggi maestri del cinema e personalità particolarmente apprezzate dal pubblico israeliano.
  La grande varietà di appuntamenti e la magica atmosfera che avvolge la città durante queste giornate ha gradualmente trasformato il Jerusalem Film Festival nel più importante raduno cinematografico di Israele. Apprezzato molto anche da registi e attori di fama mondiale, nel corso degli anni il Festival ha ospitato artisti quali Robert De Niro, Nanni Moretti, Roberto Benigni, Jane Birkin, Paul Cox, Kirk Douglas, Giuseppe Tornatore e molti altri ancora. 
  Per avere maggiori informazioni su tutti gli eventi e le esibizioni artistiche che andranno in scena durante il Jerusalem Film Festival è possibile consultare il sito web ufficiale della manifestazione.

(Viaggiare.net, 13 luglio 2023)

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Fondi Pnrr per la comunità ebraica. "Saranno digitalizzati beni e luoghi delle sinagoghe e del cimitero"

Un progetto elaborato in collaborazione con il Comune nel solco del protocollo d’intesa tra i due enti. L’obiettivo è lo studio e la catalogazione anche per entrare in circuiti di promozione internazionale.

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Qualcosa si muove all’ombra dei sette bracci. La Comunità Ebraica mette a segno un ‘colpo’ che ha qualcosa di unico: è riuscita ad aggiudicarsi, candidando un progetto elaborato in collaborazione con il Comune – nel solco del protocollo d’intesa tra i due enti – un finanziamento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). L’investimento sarà finalizzato alla digitalizzazione del patrimonio culturale del palazzo delle Sinagoghe, del Museo della Comunità ebraica e del Cimitero ebraico di Ferrara. L’importo in se – parliamo di 75 mila euro – non è particolarmente cospicuo.
  Rilevante è invece il fatto che sia stata la Comunità ebraica a partecipare a questo bando, intercettando le risorse europee. La gara era stata bandita dal Ministero della Cultura nell’ambito della ‘Transizione digitale organismi culturali e creativi’. I luoghi. La progettualità, resa possibile anche all’apporto professionale messo in campo da Intellera Consulting, prevede la realizzazione di sistemi digitalizzati dedicati riguardanti il Palazzo delle Sinagoghe di via Mazzini e il Cimitero Ebraico di Via delle Vigne, luoghi simbolo della vicenda ebraica a Ferrara. L’attività prevista per entrambi i complessi monumentali è la schedatura digitale di materiali, luoghi e architetture. Per il palazzo delle Sinagoghe e il Museo, l’obiettivo è quello di entrare nel circuito documentale di archiviazione così come l’ambito digitale consente, proponendo potenziali scambi e interazioni con tutte le realtà ebraiche sparse nel mondo: una vera e propria "biblioteca" che raccoglie tutti gli elementi per impostare una visita virtuale del Museo e delle Sinagoghe. Parimenti, per il Cimitero ebraico di via delle Vigne, con cui è stata già avviata una collaborazione con la Tel Aviv University per l’analisi tipo-morfologica delle lapidi e delle sepolture, ci si propone di creare un archivio documentale digitale dei materiali di studio da mettere a disposizione di esperti e centri internazionali di studio della diaspora ebraica. Il piano che ha ottenuto i fondi del Pnrr viaggia su un binario autonomo rispetto a quello che il Comune ha candidato ai fondi ‘Interreg Europe’. Quest’ultimo, lo ricordiamo, è finalizzato a sviluppare un piano d’azione per la promozione delle aree dei ghetti ebraici delle città europee, sviluppando nuove strategie o integrando quelle già esistenti per la valorizzazione del potenziale turistico dei quartieri.
  Peraltro in stretta correlazione con altri importanti centri europei. Inoltre proprio a Ferrara sarà impostata una "azione pilota" con il supporto tecnologico del Jewish Heritage Network e del Brama Grodska Teatr di Lubin che vedrà lo sviluppo di "tour virtuali del patrimonio culturale ebraico della città, realizzati per mezzo della realtà aumentata e immersiva". La particolarità è che i tour "avranno come protagonista il patrimonio culturale invisibile custodito nel ghetto, e restituiranno luoghi, oggetti, memorie, archivi e narrazioni, fino ad oggi, inaccessibili". E’ evidente che, tra i due progetti, ci sia più di una connessione.

(Il Resto del Carlino, 13 luglio 2023)

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Un palestinese rivela quello che imparano gli arabi nelle scuole di Gerusalemme

Le scuole palestinesi, per lo più finanziate dalla comunità internazionale, sono il motore che mantiene vivo il conflitto israelo-palestinese. Una testimonianza alla Knesset espone le palesi violazioni di politici ed educatori palestinesi. Il mondo sta ascoltando?

di Ryan Jones

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GERUSALEMME - Un giovane palestinese di Gerusalemme Est è apparso domenica davanti alla Commissione per l'Istruzione della Knesset per denunciare l'incitamento al terrorismo anti-israeliano insegnato nelle scuole della capitale israeliana.
  Il giovane, chiamato solo "E" e con il volto coperto per la sua sicurezza, è stato portato alla Knesset dall'attivista cristiano arabo israeliano Yoseph Haddad.
  Haddad ha iniziato criticando il membro anti-Israele della Knesset Ahmad Tibi, che ha lasciato la riunione della commissione prima che E potesse dire la sua.
  "È un peccato che il deputato Ahmad Tibi se ne sia andato prima di avere l'opportunità di ascoltare una voce davvero coraggiosa da Gerusalemme Est, ma sapevo che l'avrebbe fatto, sapevo che non avrebbe accettato", ha detto Haddad.
  E ha raccontato di essere stato "educato in una scuola che insegnava il curriculum palestinese dalla prima elementare al diploma. Fin dall'inizio mi è stato insegnato che non esiste uno Stato di Israele. Ho imparato che siamo palestinesi e che viviamo sotto occupazione. Non ci è stato insegnato l'ebraico perché ci è stato detto che l'occupazione era solo temporanea. Quindi ci è stato detto che non dobbiamo imparare l'ebraico, che non dobbiamo interagire con loro [gli ebrei], ma che dobbiamo odiarli".
  Ha poi spiegato perché così tanti bambini arabi palestinesi sono coinvolti nella violenza e nel terrorismo: "Ci hanno insegnato fin dalla prima elementare a odiare gli ebrei, e poi all'età di 10 anni che non è sbagliato uccidere un ebreo, che avremo 72 vergini e andremo in paradiso. Questo è ciò che ci è stato insegnato nella scuola palestinese".
  Ha osservato che "alcuni degli insegnanti erano terroristi che avevano scontato la pena in prigione. E ora molte delle persone con cui sono cresciuto a scuola sono in prigione per le stesse ragioni".
  Nelson Mandela una volta disse: "L'istruzione è l'arma più potente che si possa usare per cambiare il mondo".
  Parlava nel contesto dell'educazione alla pace e alla coesistenza, a cui la leadership palestinese si è impegnata nei cosiddetti "accordi di Oslo".
  Ma l'osservazione di Mandela suggerisce anche che l'educazione può essere usata per alimentare e distruggere il conflitto, e questa, come ha dimostrato E, è la strada scelta dai palestinesi.

La questione ora è se il mondo sta ascoltando o no

I mediatori di pace occidentali, come l'amministrazione Biden, esprimono regolarmente quanto siano "profondamente turbati" [ved. video] dall'insediamento ebraico nel cuore della Bibbia, dipingendolo come il principale ostacolo alla pace. Ma che dire dell'odioso indottrinamento dei bambini che perpetua il conflitto? Non è forse preoccupante almeno quanto un po' di case ebraiche?

(israel heute, 12 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Italia-Israele, la visita di Eli Cohen e il futuro dell’ambasciata a Roma

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Il filo diretto tra Roma e Gerusalemme continua a rafforzarsi. Con novità importanti sia sul fronte della cooperazione tra i due Stati sia su quello delle nomine delle rappresentanze diplomatiche.
  Sul primo punto, la ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini, in missione in questi giorni in Israele, ha parlato di “nuove sinergie che saranno avviate nel prossimo futuro” e soprattutto ha dato un orizzonte temporale all’atteso vertice intergovernativo tra i due paesi. Un incontro preannunciato a marzo dal Premier Benjamin Netanyahu nella sua visita a Roma e che dovrebbe tenersi il prossimo ottobre, secondo quanto comunicato dal ministero dell’Università e della Ricerca. Un passaggio importante per consolidare le intese pregresse e per avviare nuove cooperazioni, considerando che l’ultimo appuntamento di questa portata era stato organizzato nel 2012 alla Farnesina. Intanto i vertici delle due diplomazie torneranno a parlarsi di persona a breve: il ministro degli Esteri Eli Cohen, attualmente in Serbia, è infatti atteso a Roma per una due giorni di incontri con i rappresentanti del governo italiano e della Santa Sede. Tanti i punti in agenda e, in prospettiva, anche la scelta del successore dell’attuale ambasciatore d’Israele Alon Bar. Cohen ha già presentato la sua proposta. Per l’incarico vorrebbe Benny Kasriel, dal 1992 sindaco di Ma’ale Adumin, insediamento a Est di Gerusalemme. Lo aveva annunciato in primavera e lo ha confermato in una recente intervista con il sito d’informazione Makor Rishon. Ma per il via libera definitivo serve ancora l’approvazione governativa.
  Kasriel, figlio di genitori immigrati dall’Iran, è un politico del Likud di lunga data. Laureatosi in Studi internazionale all’Università Ebraica, ha conseguito un master in studi sul Medio Oriente contemporaneo all’Università di Tel Aviv. Dopo aver lavorato nel ministero dell’Edilizia e aver ottenuto incarichi di vertice in importanti imprese di costruzione israeliane, è diventato sindaco di Ma’ale Adumim nei primi anni Novanta. Un periodo in cui Benjamin Netanyahu iniziava la sua ascesa politica. Kasriel, come riportato in un colloquio con il sito Al-Monitor, è stato tra i primi a puntare proprio su Netanyahu, sostenendone la candidatura alla guida del Likud. Un ruolo ottenuto nel 1993 a cui seguì, tre anni dopo, la vittoria elettorale e la conquista per la prima volta della premiership israeliana.
  In questi anni Kasriel, mantenendo il suo sostegno a Netanyahu, non ha però lesinato critiche al leader del Likud. Nel 2020, intervistato dal conservatore Israel Hayom in merito all’elezione di Joe Biden alla Casa Bianca e del futuro degli insediamenti in Cisgiordania, aveva espresso alcune preoccupazioni riguardo alla presidenza democratica. Ma soprattutto si era rivolto al Premier Netanyahu. “A volte mi sembra che stia giocando con noi. Non è plausibile che io stia aspettando da più di un anno l’approvazione del Primo Ministro per aggiungere un piano a 16 case esistenti qui a Ma’ale Adumim – le sue parole -. Non un insediamento lontano, anche se anche loro hanno dei diritti. Non ha senso che io abbia bisogno dell’approvazione dell’Ufficio del Primo Ministro per un piano di costruzione di un’industria, o di una scuola, o per aggiungere stanze, o per costruire balconi”. In quell’occasione Kasriel si era detto deluso dalle politiche del Premier. “Sono cose che non hanno nulla a che fare con gli americani o i palestinesi. Mi aspettavo di più da Netanyahu. Anche i 700 nuovi appartamenti che stiamo costruendo ora, dopo un decennio di blocco delle costruzioni, li stiamo costruendo in condizioni di prossimità all’interno della città”. Al di là di queste posizioni, il sostegno e le attestazioni di stima nei confronti del leader del Likud non sono mancate. Anche nel corso di un recente incontro con il Premier (nell’immagine).
  Rispetto alla situazione degli insediamenti in Cisgiordania, Kasriel ad Al-Monitor aveva esplicitato la sua posizione: “Chiunque conceda la Valle del Giordano non sopravviverà nel Likud. La mia linea rossa è la Giudea e la Samaria, non sono disposto a concedere nemmeno un centimetro”.
  Nel corso del suo trentennale mandato di sindaco non sono poi mancate le polemiche. Una delle quali ha coinvolto il mondo haredi (ultraortodosso). Tra il 2017 e il 2019 diverse manifestazioni sono state infatti organizzate da movimenti di questo settore della società davanti al municipio di Ma’ale Adumim. L’accusa rivolta a Kasriel è stata quella di non voler istituire in città scuole per i bambini haredi, che così dovevano recarsi a Gerusalemme. Alcuni media locali attribuirono al primo cittadino la frase: “La nostra città non diventerà Beit Shemesh”. Quest’ultima è composta da una larga maggioranza haredi (secondo stime del 2020 il 95 per cento dei bambini sotto i 3 anni a Beit Shemesh è ultraortodosso).
  Dal settore religioso sono poi arrivate di recente altre critiche a Kasriel. Il sito KikarHaShabat a inizio anno non ha gradito la posizione del sindaco sulle aperture delle iniziative commerciali di Shabbat. Un tema delicato in Israele. “Chi vuole aprire la propria attività durante lo Shabbat, lo faccia per favore”, aveva detto Kasriel in un’intervista con una radio locale. Secondo il sito, voce di una parte del mondo haredi israeliano, il regolamento comunale vieterebbe questa possibilità. Oltre le polemiche, Kasriel in questi anni ha comunque goduto di un sostegno trasversale e ha formato giunte in passato anche con membri del partito centrista Kachol Lavan. Rispetto alla sua possibile nomina ad ambasciatore, aveva detto di essere lusingato per la scelta del ministro Cohen.

(moked, 12 luglio 2023)

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La giustizia spacca Israele. C'è il primo sì alla riforma. E in piazza è "resistenza"

di Chiara Clausi

Anche ieri in decine di migliaia hanno manifestato in Israele contro la riforma giudiziaria del governo di Benjamin Netanyahu. Decine di fermi, strade bloccate, cariche della polizia, scontri, 8 feriti e 73 persone arrestate. Tutte le principali città sono state coinvolte: Tel Aviv, Haifa e Gerusalemme. La Kaplan Street di Tel Aviv è diventata rapidamente il fulcro. Qui la polizia ha dispiegato cannoni ad acqua nel tentativo di disperdere la folla. Gli organizzatori lo hanno chiamato «giorno della resistenza» e hanno invitato i cittadini «a salvaguardare la democrazia israeliana». I manifestanti alzavano striscioni con su scritto: «Vietato l'ingresso a una dittatura» o «Insieme saremo vittoriosi» e sventolavano la bandiera nazionale bianca e azzurra. A Tel Aviv, un video mostrava un poliziotto a cavallo che buttava a terra un manifestante, mentre più a nord, a Herzliya, i dimostranti bruciavano pneumatici nel mezzo di un incrocio prima di essere rimossi dalla polizia. Altri cantavano cori di protesta e battevano su tamburi. Nel frattempo, un gruppo di veterani di guerra si radunavano all'interno di un terminal dell'aeroporto internazionale Ben Gurion, vestiti come personaggi incappucciati di rosso del romanzo distopico e della serie tivù «The Handmaid's Tale» («Il racconto dell'ancella») e salutavano chi entrava nel Paese. In migliaia poi si sono riuniti al Terminal 3, l'hub principale, e alcuni si sono lamentati di essere stati accerchiati dalla polizia.
  Il caos è scoppiato lunedì notte quando la Knesset, il Parlamento dello Stato ebraico, ha approvato, con 64 voti contro 56, in prima lettura (su 3), la modifica della «clausola di ragionevolezza» che limita le capacità della Corte Suprema di intervenire. La misura mira a cancellare appunto la possibilità per la magistratura di pronunciarsi sulla «ragionevolezza» delle decisioni del governo. In un video postato su Facebook, Netanyahu ha cercato di rassicurare i cittadini: la legge «non è la fine della democrazia, ma rafforzerà la democrazia». Per gli organizzatori delle proteste invece ora «solo il popolo può salvare Israele».
  Le riforme hanno polarizzato il Paese e scatenato manifestazioni di massa da più di sei mesi. Il disegno di legge fa parte di un pacchetto di riforme che vuole ridimensionare il potere della magistratura. Ma secondo l'esecutivo in carica i tribunali esercitano troppe interferenze nella politica. Chi critica la riforma afferma invece che i piani del governo rappresentano una grave minaccia per il sistema democratico del Paese. Intanto sono state scene drammatiche quelle viste all'interno del palazzo del parlamento a Gerusalemme, poco prima che i parlamentari votassero il disegno di legge. I manifestanti hanno cercato di incollarsi al pavimento all'ingresso della camera prima di essere trascinati via dalle guardie.
  Ma il caos non si è arrestato. Sono state indette manifestazioni anche davanti alla residenza del presidente Isaac Herzog a Gerusalemme, al ministero della Difesa israeliano a Tel Aviv e al consolato americano. Ma c'è di più. Ora centinaia di riservisti - la spina dorsale dell'esercito israeliano - hanno minacciato di smettere di presentarsi in servizio per protestare contro la riforma. Ieri anche quelli dell'agenzia di sicurezza interna israeliana Shin Bet e il servizio di intelligence del Mossad hanno detto che ne avrebbero seguito l'esempio. Il capo di stato maggiore dell'esercito però ha intimato che i riservisti non hanno il diritto di rifiutarsi di presentarsi, e l'esercito ha fatto sapere che agirà contro chiunque li segua.

(il Giornale, 12 luglio 2023)


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Giorno di Resistenza, Israele in strada contro la riforma della giustizia

Arresti e tafferugli con la polizia durante le nuove proteste per l'approvazione in prima lettura della legge che limiterà la clausola di ragionevolezza a favore dei giudici sulle decisioni del governo.

di Michele Giorgio

GERUSALEMME - Oltre settanta arresti, tafferugli con la polizia, blocchi stradali a Tel Aviv come ad Haifa e una manifestazione con diecimila persone agli ingressi dell’aeroporto internazionale «Ben Gurion». È solo un bilancio parziale del «Giorno di Resistenza» che ha toccato ogni angolo del paese contro la riforma giudiziaria intrapresa dal governo Netanyahu. In serata erano previsti altri raduni con decine di migliaia di manifestanti a via Kaplan a Tel Aviv. «Di fronte a una coalizione dittatoriale, solo il popolo può salvare Israele» esortano gli organizzatori delle proteste. Eppure, anche questa ennesima dimostrazione di forza del movimento contro la riforma giudiziaria avviata a inizio anno dal governo non sfiora il premier Netanyahu e la maggioranza formata da partiti di estrema destra religiosa.
  Le oltre cento manifestazioni tenute ieri hanno fatto seguito all’approvazione alla Knesset in prima lettura (su tre) – 64 voti a favore e 56 contro – della limitazione della cosiddetta «Clausola di ragionevolezza». Dovesse essere approvata in via definitiva, come è probabile, la nuova legge eroderà le prerogative del potere giudiziario rispetto all’esecutivo. Sino ad oggi la Corte suprema è stata in grado di intervenire su provvedimenti del governo o di singoli ministri. Potere che i due teorici della riforma, il ministro della giustizia Yariv Levin e il capo della commissione costituzionale Simha Rothman, intendono ridurre al minimo, con l’appoggio del premier Netanyahu che continua a recitare un ruolo ambiguo. Da un lato lascia trapelare una sua presunta intenzione di attuare una riforma giudiziaria più contenuta rispetto al progetto iniziale, come ha detto giorni fa al Wall Street Journal. Dall’altro non compie passi significativi in quella direzione, il negoziato con l’opposizione è quasi fermo al palo. Il premier si limita a rassicurare l’opinione pubblica. In un video postato sui social, ha affermato che la nuova legge sulla «Clausola della ragionevolezza» non rappresenterà «la fine della democrazia, piuttosto rafforzerà la democrazia». I diritti dei tribunali e dei cittadini israeliani, ha garantito, «non saranno in alcun modo violati…La Corte suprema continuerà a monitorare la legalità delle decisioni e delle nomine del governo». Le cose non stanno così, spiegano gli oppositori della riforma, a cominciare dagli ex primi ministri Yair Lapid ed Ehud Barak.
  La riforma giudiziaria, intanto, pesa sempre di più sulle prestazioni dell’economia israeliana, a cominciare dall’hi-tech, settore al centro ieri dei colloqui a Tel Aviv tra la ministra dell’università Anna Maria Bernini e il suo omologo israeliano della scienza e della tecnologia Ofir Akunis. L’hi-tech fornisce circa un quarto delle entrate fiscali israeliane e rappresenta circa la metà delle esportazioni: gli investimenti nel settore sono diminuiti più drasticamente che in altri paesi, secondo i calcoli dell’Autorità per l’innovazione nella prima metà dell’anno. Israele inoltre non sta partecipando alla ripresa globale dell’alta tecnologia frutto dell’entusiasmo per le nuove opportunità create dal boom dell’intelligenza artificiale. Senza dimenticare l’indebolimento dello shekel nei confronti del dollaro e dell’euro. Secondo i calcoli della Banca d’Israele, il calo della valuta dell’1% comporta un aumento di 0,1-0,2 punti percentuali dell’inflazione in un paese dove il costo della vita è già tra i più alti nel mondo occidentale. Queste e altre insidie per l’economia israeliana significheranno in futuro una perdita media di oltre 50.000 shekel, quasi 13 mila euro per ogni famiglia.

(il manifesto, 12 luglio 2023)


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Cosa c’è nel nuovo decreto legge definito “di ragionevolezza”?

Un breve riassunto per ricordare in modo semplice a chi non conosce la situazione, perché si manifesta in Israele

di Sarah G. Frankl

Il governo nazionalista religioso di Netanyahu ha lanciato il suo piano di revisione giudiziaria a gennaio, subito dopo aver prestato giuramento. Ma con il crescente allarme tra gli alleati occidentali di Israele, l’aumento dei disordini e il calo della valuta dello shekel, alla fine di marzo Netanyahu ha sospeso la proposta di legge per consentire colloqui con i partiti di opposizione.
  Questi sono falliti tre mesi dopo e Netanyahu ha rilanciato la sua riforma, eliminando alcune delle modifiche originariamente proposte, come una clausola che avrebbe consentito al parlamento di annullare una sentenza del tribunale, mentre procedeva con altre.
  Si tratta di un emendamento che limiterebbe la capacità della Corte Suprema di annullare le decisioni prese dal governo, dai ministri e dai funzionari eletti, privando i giudici del potere di ritenere tali decisioni “irragionevoli”. I fautori affermano che ciò consentirebbe una governance più efficace pur lasciando alla corte altri standard di controllo giurisdizionale, come la proporzionalità. I critici affermano che senza controlli ed equilibri basati sulla costituzione (che ricordiamo, in Israele non esiste), ciò aprirebbe la porta alla corruzione e agli abusi di potere.

• Qual è il problema del governo con la giustizia?
  Molti nella coalizione di governo vedono la Corte come di sinistra, elitaria e troppo interventista nella sfera politica, spesso anteponendo i diritti delle minoranze agli interessi nazionali e assumendo un’autorità che dovrebbe essere solo nelle mani di funzionari eletti.

• Perché tanti israeliani protestano?
  Credono che la democrazia sia in pericolo. Molti temono che anche se il Premier sostiene la sua innocenza in un processo per corruzione, Netanyahu e il suo governo di estrema destra limiteranno l’indipendenza giudiziaria, con gravi ricadute diplomatiche ed economiche. I sondaggi hanno dimostrato che la revisione è impopolare presso la maggior parte degli israeliani, che sono principalmente preoccupati per l’aumento del costo della vita e per i problemi di sicurezza.

• Perché i cambiamenti proposti suscitano così tanta preoccupazione?
  I “controlli e contrappesi” democratici di Israele sono relativamente fragili. Non ha costituzione, ma solo “leggi fondamentali” intese a salvaguardare i suoi fondamenti democratici. Nella Knesset a camera unica il governo detiene una maggioranza di 64-56 seggi. L’ufficio del presidente è in gran parte cerimoniale, quindi la Corte Suprema è vista come un baluardo della democrazia che protegge i diritti civili e lo stato di diritto. Gli Stati Uniti hanno esortato Netanyahu a cercare un ampio accordo sulle riforme giudiziarie e a mantenere la magistratura indipendente.

• Sono previsti altri interventi?
  È poco chiaro. Netanyahu ha indicato di volere modifiche al modo in cui vengono scelti i giudici, ma non necessariamente quelle già predisposte in un altro disegno di legge che attende una lettura finale della Knesset. Sono state avanzate proposte, comprese modifiche alle posizioni dei consulenti legali. I legislatori dell’opposizione affermano che la sua coalizione sta cercando di effettuare una revisione frammentaria che ridurrà gradualmente l’indipendenza dei tribunali, una legge alla volta. La coalizione afferma che sta perseguendo le riforme della giustizia in modo responsabile.

(Rights Reporter, 12 luglio 2023)

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Asse Italia-Israele contro le fitopatie nel Mediterraneo

Nei giorni scorsi un workshop internazionale bilaterale organizzato dalla Tel Aviv University con la collaborazione di UniCt. Le produzioni possono essere salvate grazie al miglioramento genetico.

di Chiara Borzi

TEL AVIV – La presenza di fitopatie (malattia delle piante) nel Mediterraneo, a minaccia delle produzioni di qualità che mettono al centro degli scambi economici anche la Sicilia, richiede un’azione di sorveglianza continua e rilancia il ruolo delle collaborazioni accademiche che studiano il fenomeno. Il workshop bilaterale italo-israeliano organizzato alla Tel Aviv University “Cibo sano da piante in salute: la gestione delle malattie delle colture mediterranee in un ambiente che cambia”, in collaborazione con il Di3A (Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente) dell’Università di Catania, ha ribadito l’importanza delle partnership internazionali.
  “I workshop con Paesi affini per geografia e produzione – ha dichiarato a margine dell’evento la professoressa Alessandra Gentile, promotrice del workshop, docente ordinaria di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree dell’Ateneo catanese – sono fondamentali. La partnership scientifica con le istituzioni di ricerca israeliane è iniziata oltre quarant’anni fa ed è ancora attiva. A eccezione della parziale condizione desertica dello stato d’Israele, le colture presenti nei due Paesi che hanno organizzato il workshop sono simili e per questo condividiamo il sapere che nasce dall’aver studiato e affrontato le varie fitopatie e i sistemi colturali comuni”.
  “L’Italia – ha aggiunto – che è stata devastata dalla Xylella in olivo, ha permesso a Israele di beneficiare della propria esperienza nella battaglia alla Xylella, che Israele sta combattendo sul mandorlo. Lo scambio anche di germoplasma, di varietà coltivate nei due Paesi può contribuire a valutare il comportamento nei due ambienti nei confronti delle malattie. Il workshop italo-israeliano è stato voluto fortemente dall’ambasciata italiana in Israele, ma anche dalla Camera di Commercio Italia-Israele, nonché dall’Università di Tel Aviv nella figura del professore Guido Sessa, scienziato di grande riferimento per le tematiche affrontate nel corso dell’incontro”.
  Le produzioni, comprese quelle di qualità, possono essere salvate dalle fitopatie grazie allo studio di tecniche di miglioramento genetico. Questo tema è stato centrale nel workshop di Tel Aviv: “Abbiamo affrontato – ha evidenziato la docente catanese – il tema del miglioramento genetico delle principali colture agrumicole come limone, arance, pomodori e anche frumento. Grazie al supporto degli studi di biologia molecolare e delle Tea (Tecniche di evoluzione assistita) siamo in grado di intervenire per generare specie resistenti alle principali malattie delle piante, che stanno causando perdite dei raccolti – ha evidenziato la docente catanese. La qualità della produzione italiana e della produzione siciliana è altissima e questi studi scientifici contribuiscono sia al mantenimento di standard elevati che ad agire per il raggiungimento dell’obiettivo europeo di riduzione dell’uso dei fitofarmaci in agricoltura. Siamo in una fase particolarmente avanzata di conoscenza e il Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente dell’Università di Catania è protagonista attraverso la partecipazione a diversi progetti europei e nazionali dedicati alle colture mediterranee”.
  L’approdo a nuove conoscenze che permettono di garantire la produzione delle colture di eccellenza nel Mediterraneo, come limoni o arance, è fondamentale considerata l’emergenza ancora in corso in specie come il limone. Le malattie delle piante rappresentano infatti una sfida importante per l’agricoltura e la produzione alimentare a livello globale e in particolare nell’area mediterranea, rappresentando ogni anno circa il 10% della perdita di raccolto.

Ma qual è lo stato dell’arte in Sicilia?
  “Porto un esempio calzante – ha spiegato la professoressa Gentile – che ha assunto una certa importanza negli ultimi anni: l’Italia è il decimo produttore di limoni a livello mondiale e il 90 per cento della produzione italiana è concentrata in Sicilia. Nell’ultimo trentennio la produzione siciliana si è ridotta del trentacinque per cento. La perdita di produzione e l’abbandono dei limoneti sono fenomeni continui e crescenti. Le superfici vengono abbandonate anche a causa della recrudescenza del Malsecco, una grave malattia fungina, che in alcuni ambienti, come nella riviera dei limoni (tratto da Catania a Messina), porta all’ abbandono dei territori o alla riconversione della coltura, sostituendo il limone con altre specie subtropicali, quali l’avocado. C’è da registrare un grande impegno delle istituzioni scientifiche siciliane per cercare di mantenere i livelli di produzione del limone accettabili e cercare di contrastare la diffusione del Malsecco”.
  “Un discorso diverso – ha sottolineato – è da fare per le arance. I produttori sono riusciti a superare le problematiche connesse alla presenza del virus della Tristeza, grazie alla sostituzione del portinnesto, ma vivono una grande preoccupazione a causa della presenza, in altri paesi agrumicoli, di una malattia nota con il nome Greening. Quest’ultima, non è ancora presente in Europa, ma ha causato perdite ingenti di produzione negli Stati Uniti, in Cina, in Brasile. Alcuni vettori, insetti, responsabili della trasmissione dell’agente patogeno, sono stati trovati in Spagna e Israele. Sia il cambiamento climatico, che porta le specie a spostarsi, che lo stesso trasporto globale delle merci, sono fattori che naturalmente agevolano la diffusione degli insetti vettori”.
  “L’Università di Catania – ha concluso Gentile – è molto impegnata su questo fronte con precisi progetti europei e lavora da tempo in stretta collaborazione con il Crea”.

(QdS, 12 luglio 2023)

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La BBC si scusa per aver affermato che l’IDF “è felice di uccidere bambini”

di David Fiorentini

La BBC si è scusata dopo che la conduttrice Anjana Gadgil ha affermato in un’intervista con l’ex primo ministro Naftali Bennett che “le forze israeliane sono felici di uccidere bambini” durante la recente operazione militare a Jenin.
  Un portavoce di BBC News ha riconosciuto che il linguaggio utilizzato da Gadgil “non era formulato adeguatamente ed era inappropriato”.
  Durante l’intervista su BBC World News, Gadgil aveva cercato di contestare l’affermazione dell’ex premier secondo cui le morti palestinesi conseguenti all’azione militare riguardavano “giovani terroristi”.
  “È davvero quello che l’esercito si era prefissato di fare? Uccidere persone tra i 16 e i 18 anni?” aveva interrogato la conduttrice. “Al contrario”, ha risposto Bennett. “In realtà, tutte le 11 persone morte erano militanti. Se ci sono giovani terroristi che decidono di impugnare le armi, è loro responsabilità”.
  Bennett ha poi sottolineato che negli ultimi anni più di 50 cittadini israeliani sono stati uccisi da terroristi provenienti dal campo di Jenin, definendo la città un “epicentro del terrorismo”. A quel punto, Gadgil ha replicato a Bennett: “Terroristi, ma bambini. Le forze israeliane sono felici di uccidere bambini.”
  Il Board of Deputies of British Jews ha immediatamente commentato lo scambio, condannandolo fermamente: “Siamo sconvolti dai commenti fatti da una conduttrice della BBC durante un’intervista con l’ex primo ministro israeliano Naftali Bennett. Questo rappresenta chiaramente una violazione delle linee guida della Corporation e contatteremo il Direttore Generale per protestare con il massimo vigore”.
  In una dichiarazione, un portavoce della BBC ha affermato: “BBC News ha ricevuto commenti e reclami riguardanti un’intervista a Naftali Bennett trasmessa sul canale BBC News riguardante i recenti eventi in Cisgiordania e in Israele. I reclami sollevati riguardano domande specifiche riguardanti la morte di giovani nel campo profughi di Jenin. Su tutte le piattaforme della BBC, inclusa la nostra rete di notizie, questi eventi sono stati trattati in modo imparziale e deciso. Le Nazioni Unite hanno sollevato la questione dell’impatto dell’operazione a Jenin sui bambini e i giovani. Nonostante questo fosse un argomento legittimo da affrontare nell’intervista, ci scusiamo per il fatto che il linguaggio utilizzato in questa serie di domande non sia stato formulato adeguatamente ed era inappropriato.”
  Troppo poco e troppo tardi per Bennett, che dopo il programma ha rilasciato un’intervista al Jewish Chronicle: “Il pubblico affida ai media il compito di fornire un giornalismo equo, obiettivo e imparziale. Se non riescono a svolgere questo compito cruciale, devono essere pronti a fronteggiare le conseguenze di essere chiamati e tenuti responsabili. Suggerire che Israele sia ‘felice di uccidere bambini’ non ha alcun fondamento nella realtà e diffondere questa idea a milioni di persone mette in discussione l’imparzialità della BBC. È compito dei media internazionali riportare responsabilmente i fatti riguardanti il Medio Oriente, poiché altrimenti diventano parte del problema.”

(Bet Magazine Mosaico, 12 luglio 2023)

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Volontari puliscono e restaurano i cimiteri ebraici europei

di Michelle Zarfati

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Questa settimana una delegazione ebraica di volontari provenienti da tutto il mondo si è recata in Polonia e in Serbia per preservare il patrimonio ebraico europeo. I partecipanti si sono concentrati sul ripristino dei cimiteri ebraici, un progetto portato avanti da WeKibbutz e dall'Organizzazione Shalom Corps.
  In Polonia il gruppo ha incontrato l'atleta dei Giochi Olimpici Dariusz Popiela, che ha dedicato la sua vita a ripristinare e preservare la memoria degli ebrei in Polonia dopo la Shoah. Il lavoro di pulizia e restauro dei cimiteri ha incluso attività di pittura, giardinaggio e allestimento di percorsi specifici per permettere al pubblico di visitare il cimitero.
  I volontari hanno visitato il cimitero di Pancevo in Serbia, luogo simbolo della comunità ebraica locale profanato molte volte nel corso della sua storia. Al suo interno è custodita la tomba della prima vittima ebrea dei nazisti nei Balcani, Alexander Hacker.
  La delegazione ha anche incontrato gli ebrei presenti oggi nelle città e ha visitato le piccole comunità ebraiche ancora esistenti sul territorio. Il gruppo ha partecipato a numerose attività culturali ed educative con i giovani ebrei locali. In Serbia, la delegazione ha preso anche parte ai Maccabiah Games, l'annuale evento sportivo ebraico dei Balcani, dove alcuni membri del gruppo hanno gareggiato nella corsa, nel calcio, nel basket e negli scacchi.
  "Come terza generazione di sopravvissuti alla Shoah, preservare l'identità ebraica e agire per conto del popolo ebraico sarà sempre importante per me. - ha detto Lahav Efrat, 38 anni, residente nel kibbutz HaOgen - Sono felice di aver avuto l'opportunità di fermarmi un attimo e di donare me stesso agli altri. Pensare che ho vissuto questo viaggio con mia madre non fa che rafforzare la mia identità ebraica. Siamo qui per ricordare e preservare il nostro passato e il nostro futuro".
  “Il passato ebraico in Europa non smette mai di sorprendere. - ha detto Shiri Madar, CEO di WeKibbutz - Dopo aver fondato Netaim, comprendendo che ci sono molte comunità ebraiche che hanno bisogno di aiuto, abbiamo scoperto questa piccola comunità nei Balcani che chiedeva a gran voce una connessione ebraica e culturale con Israele e oggi siamo qui”.

(Shalom, 12 luglio 2023)

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Israele. I manifestanti annunciano ‘’proteste senza precedenti’’

di Luca Spizzichino

Gli organizzatori delle manifestazioni contro la riforma giudiziaria hanno dichiarato che oggi ci sarà una "protesta senza precedenti" in tutto lo Stato Ebraico. Il motivo, spiegano, è il disegno di legge sullo standard di ragionevolezza, che è stato approvato ieri dalla Knesset. Ieri sera dei manifestanti contrari alla riforma hanno tentato di irrompere nell'edificio mentre il parlamento israeliano era in sessione.
  La giornata di protesta inizia al mattino presso il tribunale distrettuale di Haifa e in altre località del paese. Le manifestazioni in aeroporto si svolgeranno al Terminal 3 a partire dalle 16:00. Alle 18:30, i manifestanti si raduneranno davanti alla residenza del presidente a Gerusalemme e alla filiale dell'ambasciata degli Stati Uniti a Tel Aviv. I manifestanti si raduneranno poi alle 20.30 allo svincolo di Kaplan e in altri importanti centri di traffico.
  Josh Drill, portavoce del movimento di protesta nazionale, e Nadav Salzberger, leader del movimento di protesta studentesco, hanno spiegato ieri al Jerusalem Post il motivo delle proteste. “Non vogliamo che tutte le autostrade vengano bloccate. Non vogliamo che l'aeroporto internazionale Ben-Gurion venga bloccato. Vogliamo che le persone continuino a lavorare", ha affermato Drill. Nadav Salzberger, leader del Movimento di protesta studentesco, ha affermato che le manifestazioni saranno completamente differenti rispetto a quelle passate. “Quello a cui miriamo è fermare davvero il Paese. Bloccare le strade per andare all'aeroporto e bloccarlo per marciare sulle strade di diverse città in tutto Israele", ha detto.
  Sebbene gli organizzatori delle proteste abbiano assicurato che non influenzeranno il traffico da e per l’aeroporto, la scorsa settimana i manifestanti hanno invaso Ben Gurion, provocando scontri con la polizia e causando notevoli disagi ai viaggiatori, che hanno visto i loro voli posticipati, se non persino cancellati.

(Shalom, 11 luglio 2023)

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La strategia del fondo israeliano Ariel in Italia: "Food, moda e Spazio, abbiamo investito in molte startup"

Il family office israeliano-statunitense Arieli Capital mira a espandere la sua presenza in Italia, investendo in startup nei settori foodtech, agritech e spaziale. Pianifica un'iniziativa legata al fashion tech a Milano e una piattaforma spaziale con l'Esa.

di Giulia Cimpanelli

Arieli Capital, il fondo di family office israeliano-statunitense specializzato negli investimenti in startup ad alto potenziale, sta guardando da tempo all'Italia come un importante terreno di sviluppo per la sua visione di innovazione: “Abbiamo già investito in diverse startup italiane e, in collaborazione con l'Agenzia Ice, abbiamo lanciato alcuni programmi di accelerazione per startup italiane, coinvolgendo più di venti aziende e generando un valore economico di oltre 10 milioni di euro – racconta Or Haviv, partner di Arieli Capital - . Ora vogliamo rafforzare la nostra presenza qui e abbiamo intenzione di aprire un’iniziativa legata al fashion tech a Milano entro la prima metà del 2024”. Haviv ha annunciato che entro il 2024 aprirà anche una sede a Milano dedicata a questa promettente area di intersezione tra moda e tecnologia.
  Durante l’evento Food Retail & Tech: insights for the future organizzato dal think tank Appetite for Disruption, che ha riunito leader del settore, innovatori e investitori del food retail, Arieli Capital ha lanciato una vera e propria chiamata per soluzioni innovative nel campo del food tech e dell'agritech. Or Haviv, partner di Arieli, ha evidenziato l'importanza dell'Italia come bacino di talenti e innovazione. Ha sottolineato il fatto che il settore alimentare è una componente cardine dell'economia italiana.

• Gli investimenti del fondo in startup italiane: "Le incoraggiamo a superare la paura del fallimento"
  Arieli Capital ha una vasta esperienza negli investimenti in startup italiane e ha evidenziato alcuni dei successi passati. "Abbiamo investito in diverse startup italiane, soprattutto nel settore healthcare, ma abbiamo anche guardato ad altri settori come il travel e l'agricoltura – ha dichiarato -. Siamo interessati a crescere insieme alle aziende in cui investiamo e a lavorare su future fasi di finanziamento per creare valore aggiunto".
  Ma cosa manca nel sistema dell’impresa innovativa italiana per competere con gli altri grandi sistemi dell’innovazione del mondo? “Un aspetto interessante della strategia di Arieli è l'approccio che prendiamo nell'incoraggiare le startup a superare la paura del fallimento – ha detto -. In Israele, se non sei fallito almeno due volte prima dei 30 anni, non sei considerato abbastanza ambizioso. È fondamentale che gli imprenditori italiani abbraccino il rischio e adottino una mentalità più orientata alla crescita."
  Arieli Capital è noto per la sua mentalità di investitore a lungo termine e per il suo interesse non solo nel fornire capitali, ma anche nel fornire valore aggiunto alle startup in cui investe. Haviv ha affermato che il fondo cerca di creare partnership solide e durature con le imprese, lavorando a stretto contatto con loro.

• Il foodtech in Israele: "Affrontare il cambiamento climatico e assicurare il cibo del futuro"
  Singolare è che a interessarsi al foodtech italiano sia un fondo nato tra Usa e Israele e partecipato in gran parte da israeliani. In Israele, infatti, foodtech e agritech sono particolarmente avanzati. Il deserto di Negev, situato nel sud di Israele, è noto per la sua aridità e avversità ambientale. Tuttavia, proprio in questo ambiente ostile, si trova un luogo di grande innovazione e ricerca nel campo della Foodtech: il Regional Ramat Negev Research and Development Center.
  “Il Regional Ramat Negev – commenta Haviv - è un centro di ricerca attivo dagli anni ‘70 che ha saputo sfruttare le sfide climatiche del deserto per sviluppare soluzioni innovative nel settore alimentare e agricolo. L'obiettivo principale di questo centro è quello di trovare modi per affrontare il cambiamento climatico e garantire la sicurezza alimentare in un futuro sostenibile”.
  Il centro si è specializzato in agricoltura di precisione e utilizza tecnologie avanzate come l'intelligenza artificiale, l'Internet delle cose (IoT) e il machine learning per ottimizzare la produzione agricola. In Israele, insomma, riescono a coltivare fragole e pomodori nel deserto. Ma non è finita. Nel paese ci sono scale up che stampano carne sintetica e che sono già in grado di scalare il meccanismo: “In un minuto si possono produrre tonnellate di carne – spiega – le implicazioni sono enormi, – aggiunge il partner di Arieli Capital -. Il Regional Ramat Negev è un esempio tangibile di come la Foodtech possa svolgere un ruolo cruciale nella creazione di un futuro più sostenibile per l'umanità. Le soluzioni innovative sviluppate in questo centro di ricerca possono essere applicate non solo nel deserto di Negev ma anche in altre regioni del mondo, contribuendo a combattere l'insicurezza alimentare e a proteggere l'ambiente”. A contribuire fortemente allo sviluppo dell’innovazione israeliana è il settore pubblico. Basti pensare che Il 70% del budget del ministero dell'Agricoltura (sostenitore di Agrisrael 4.0 insieme a quello dell'Economia, degli Affari esteri e all'Israel Export Institute) è destinato all'innovazione.

• Il ruolo della propensione al rischio. Gli investimenti nel settore spaziale
  In Italia c'è ancora una certa avversione al rischio tra gli investitori. Ciò può essere attribuito in parte alla cultura imprenditoriale italiana, che spesso privilegia la stabilità e la cautela rispetto al rischio imprenditoriale. Nonostante ciò, il settore food è un pilastro fondamentale dell'economia italiana e sta attirando l'attenzione di imprenditori e investitori che vedono un grande potenziale di crescita e innovazione in questo settore.
  “Oltre alla mancata propensione al rischio – aggiunge Haviv -. Sarebbero importanti maggiori sforzi istituzionali”. In Italia, la mancanza di finanziamenti è spesso un ostacolo per le startup. Arieli Family Office, invece, ha sottolineato come lavorino con piccoli ecosistemi in tutto il mondo, come la Slovenia, le Filippine e altri, e come sia importante comprendere le diverse culture e sfide di ogni ecosistema. In Israele, ad esempio, il governo ha creato piattaforme per ridurre il rischio degli investitori e ha istituito incubatori che attraggono capitali internazionali.
  Nell’ambito dei settori in cui il family office investe – tutti correlati al benessere umano e alla sostenibilità – c’è quello spaziale, che Arieli Capital ha iniziato a scandagliare anche in Italia: “Crediamo che la nuova frontiera dell’umanità sia lo spazio – conclude il partner -. Abbiamo già investito nel settore in Europa e, entro il prossimo anno, svilupperemo una piattaforma per startup early stage con l’Esa. C’è un collo di bottiglia nella validazione di tecnologie spaziali: per questa ragione stiamo costruendo con l’Agenzia spaziale europea una validation platform per sostenere le startup in early stage. La lanceremo entro l’inizio del prossimo anno”.

(La Stampa, 11 luglio 2023)

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' Finalmente sarà inaugurata la prima tramvia di Tel Aviv

di David Fiorentini

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Dopo vari ritardi, la metropolitana leggera di Tel Aviv finalmente inizierà a funzionare questo mese, come annunciato dal Ministero dei Trasporti. In un comunicato è stato confermato che tutte le necessarie misure di sicurezza sono state finalmente completate, e la Linea Rossa sarà inaugurata a breve.
  Ideata per essere inaugurata nell’ottobre 2021, la tanto attesa tramvia coprirà il tragitto da Petah Tikva a Bat Yam, attraverso Tel Aviv, Bnei Brak e Ramat Gan, con metà del percorso che si svilupperà sottoterra in una rete di tunnel.
  Il costo totale per la costruzione della Linea Rossa è giunto a circa 18,7 miliardi di NIS (4,7 miliardi di euro), in particolare a fronte dei numerosi problemi legati al sistema di segnalazione e al freno di emergenza, che hanno causato una grande frustrazione tra i cittadini.
  “Sono felice che presto si realizzerà il primo passo per risolvere il problema del traffico nell’area metropolitana di Tel Aviv”, ha dichiarato il ministro dei Trasporti Miri Regev dalla Georgia, dove si trovava in visita ufficiale. “Se non ci saranno problemi particolari, presto i cittadini di Israele potranno godere della linea”.
  La prima tramvia di Gerusalemme, invece, anche questa chiamata Linea Rossa, è stata già inaugurata nel lontano 2011 dopo una serie di simili ritardi ed è diventata da allora una caratteristica peculiare della capitale, utilizzata da residenti ebrei, musulmani e cristiani, oltre che da migliaia di turisti.
  Sia a Tel Aviv che a Gerusalemme sono state programmate nuove linee per espandere ulteriormente la rete di trasporti pubblici.

(Bet Magazine Mosaico, 10 luglio 2023)

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Azerbaigian: sventato attentato ad ambasciata israeliana

I Guardiani della rivoluzione islamica sempre pronti a pagare qualche "esterno”

BAKU – Un cittadino afghano di nome Pavzan Musa Khan è stato arrestato dai servizi di sicurezza dell’Azerbaigian perché sospettato di pianificare un attacco terroristico contro un’ambasciata straniera, che si ritiene essere la missione israeliana.
  Il Servizio di sicurezza dello Stato dell’Azerbaigian ha rilasciato una dichiarazione in cui si afferma che Khan avrebbe cospirato con altre persone per compiere atti di terrorismo nel territorio dell’Azerbaigian.
  Questi atti avrebbero comportato l’uso di cariche esplosive e di armi, con l’intenzione di causare danni a persone e ingenti danni alle proprietà.
  L’obiettivo finale era destabilizzare il Paese, seminare il panico tra la popolazione e influenzare i processi decisionali delle autorità statali e delle organizzazioni internazionali.
  Le indagini sul caso hanno rivelato che Khan ha osservato meticolosamente l’area in cui si trovano le missioni diplomatiche e avrebbe preso contatto con persone potenzialmente coinvolte nell’attacco. Inoltre, ha cercato assistenza per procurarsi armi ed esplosivi per il previsto atto terroristico.
  Il 23enne di nazionalità afghana è stato arrestato sul posto e le autorità stanno attualmente intraprendendo complesse e complete misure operative e legali per identificare e arrestare qualsiasi altro individuo che possa essere stato coinvolto nella pianificazione dell’atto terroristico.
  Sebbene il rapporto non specifichi esplicitamente quale ambasciata fosse l’obiettivo previsto, le fotografie diffuse dal servizio di sicurezza suggeriscono che Musa Khan abbia sorvegliato il complesso alberghiero Hyatt Regency di Baku, dove si trova l’ambasciata israeliana, sollevando il sospetto che l’ambasciata israeliana possa essere stata il bersaglio previsto.
  Il presidente israeliano Issac Herzog ha visitato Baku lo scorso maggio sotto stretta sorveglianza, nel timore che il vicino Iran potesse tentare di disturbare la visita. La visita nel Paese musulmano sciita, che mantiene legami strategici con lo Stato di Israele, è avvenuta dopo l’inaugurazione della sua ambasciata nel Paese.

(Rights Reporter, 11 luglio 2023)

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In Israele ciclo di prove positive per il sistema David’s Sling

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Circa due mesi dopo il successo dell’avvio operativo dell’Operazione Scudo e Freccia, l’Aeronautica Militare, la Direzione del Ministero della Difesa e la compagnia Rafael hanno completato con successo una serie rivoluzionaria di addestramento ed esperimenti nel sud di Israele, che includevano intercettazioni riuscite del sistema David’Sling in una serie di scenari complessi e impegnativi, di fronte a minacce avanzate, che ampliano le capacità del sistema e le migliorano in modo significativo in modo significativo gli strati di difesa aerea dello Stato di Israele.
  La Direzione del Ministero della Difesa, l’Aeronautica Militare e la compagnia Rafael hanno portato a termine con successo una rivoluzionaria Alla serie di esercitazioni effettuate con l’avanzato sistema di difesa ‘David’s Sling’, progettato per intercettare minacce avanzate, inclusi missili balistici, missili da crociera, aerei e droni, hanno partecipato anche Israel Aerospace Industires (IAI) ed Elbit Systems. Nel corso delle esercitazioni, le capacità esistenti del sistema David’s Sling sono state testate in una serie di scenari impegnativi, che dimostrano le capacità del sistema d’arma durante un conflitto. Il successo del modello è un’altra importante pietra miliare nell’accettazione operativa del sistema nell’Aeronautica Militare, contro la varietà di minacce nelle varie arene di combattimento dell’IDF.
  All’attività hanno partecipato alti rappresentanti della MDA americana Missile Defense Agency, partner insieme al Wall Directorate delle Forze di Difesa Israeliane nello sviluppo e nella produzione del sistema David Sling.
  Il sistema David Sling è uno strato centrale di difesa nel sistema di difesa aerea nazionale, che comprende anche i sistemi Arrow, Iron Dome e Naval Iron Dome, il cui sviluppo è guidato dal Ministero della Difesa attraverso la Direzione del Muro della Difesa Ministero.
  L’azienda Rafael è il principale sviluppatore del sistema di difesa David’s Sling. IAI sviluppa, attraverso la divisione Elta, il radar MMR, Elbit Systems sviluppa il sistema di comando e controllo del sistema David’s Sling mentre è di pertinenza di Rafael il missile intercettore.

(Ares-Osservatorio Difesa, 10 luglio 2023)

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Metaverso e metà Decalogo

di Rav Riccardo Di Segni

Il momento in cui l’uomo imparò a usare il fuoco rappresenta una delle svolte decisive nella storia dell’umanità. Il mito greco di Prometeo interpreta la vicenda come un furto agli dei che per questo dettero una terribile punizione al colpevole. Al contrario, nella haggadà, la narrazione rabbinica, il controllo del fuoco è un dono fatto da Hashem ad Adamo quando fu colto dal terrore rimanendo al buio alla fine dello shabbat della creazione. Questo rapporto positivo lo sottolineiamo ritualmente ogni settimana nella cerimonia della havdalà quando recitiamo una specifica benedizione davanti a una fiamma accesa che ci illumina. Quello del fuoco è un esempio notevole di come la cultura ebraica si rapporti positivamente con i prodotti tecnologici. Il fuoco come ogni altra invenzione o scoperta può essere terribilmente pericoloso e distruttivo ma anche assolutamente utile. È un equilibrio difficile che bisogna gestire ma che non deve significare il rifiuto a priori e totale.
  Queste considerazioni valgono come una premessa essenziale nel momento in cui, a distanza di tempo sempre più avvicinata, dobbiamo confrontarci con l’impatto di nuove tecnologie che cambiano completamente il nostro modo di vivere. Dopo le recenti rivoluzioni digitali, internet e l’arrivo dei telefonini è ora la volta dell’intelligenza artificiale e di una sua espansione particolare, il metaverso. Nessuno si sogni di poter fermare l’evoluzione della tecnologia, a meno che questa non sia completamente distruttiva e autodistruttiva. Altrimenti la novità entrerà nelle nostre vite e dovremo non solo abituarci ma molto presto non ne potremo fare a meno. Tale è la rapidità di immissione nelle vite e nei mercati di questi avanzamenti, che tutte le persone che dovrebbero controllarne lo sviluppo (politici, eticisti, giuristi, addetti alla sicurezza generale e sanitaria, e gli stessi tecnici creatori) saranno molto più lenti a capire di che si tratta per poter imporre delle regole e dei limiti, arriveranno tardi. Questo perché gli investimenti e gli interessi economici sono tali da coinvolgere molte più persone e molto più intensamente di quanto lo siano numericamente e nella loro forza quelli che dovrebbero essere i controllori.
  Se ci spostiamo sul campo più specifico dell’etica ebraica potremmo però già da ora individuare le criticità che dovrebbero mettere in allarme il pubblico e non solo quello ebraico. L’etica ebraica non è limitata agli ebrei, ma ha dei valori da proporre (mai imporre) a tutti.
  Proprio in termini più universali ho pensato che una guida ad alcuni concetti essenziali potrebbe derivare da alcuni dei 10 comandamenti, secondo il canone ebraico e il modo rabbinico di interpretarli.
Secondo comandamento: non farti alcuna immagine. Non solo è proibito inchinarsi agli idoli ma anche farsi delle immagini, anche se non si adorano. È noto come l’interpretazione di queste regole sia molto diversa nei vari mondi religiosi. La tradizione ebraica intende questo comando come una via di mezzo tra l’aniconismo assoluto dell’Islam e il permesso totale del Cattolicesimo. Per quanto riguarda le immagini, per i rabbini, il divieto principale è per quelle umane complete tridimensionali. Trasportando questi concetti al metaverso si aprono prospettive interessanti. Il  metaverso crea una realtà virtuale tridimensionale, riproduzioni di qualcosa che c’è o immagini di qualcosa che non c’è. Sono virtuali ma appaiono reali, le possiamo vedere e sentire e persino toccare. In che modo il comandamento biblico, nello spirito e nella pratica può essere riferito a situazioni come queste del tutto nuove? Forse in una stretta prospettiva giuridica si potrà dire che la realtà virtuale è esclusa dal divieto, ma la sfida concettuale rimane: perché è proibito farsi delle immagini?
Quarto comandamento: il Sabato. L’osservanza pratica della regola impone l’astensione da ogni atto con il quale si modifica l’ambiente e si dimostra la nostra capacità di dominarlo. Ad esempio è proibito ogni lavoro di produzione alimentare, dall’aratura dei campi all’impasto della farina fino alla cottura del pane; i lavori stessi e quelli che a loro somigliano. Questo significa tra l’altro che è proibito usare, attivandolo durante il Sabato, qualsiasi sistema tecnologico, da una penna per scrivere a una lampadina da accendere o spegnere, dal computer al telefonino. Non è un caso, richiamando le prime righe di questa nota, che la Torà proibisca esplicitamente di accendere il fuoco di Sabato (Esodo 35:3). Il messaggio essenziale è che noi abbiamo il permesso e anche il dovere di intervenire sulla realtà. Ma non è un permesso illimitato. Vale per sei giorni, il settimo ci fermiamo. Gli strumenti tecnologici sono nostre creature, al nostro servizio. Non dobbiamo diventare schiavi delle nostre creazioni. Almeno per un giorno a settimana dobbiamo recuperare la nostra natura spirituale. Non potremo quindi accedere agli strumenti del  metaverso nel giorno di sabato e questo sarà già un messaggio di liberazione.
Ottavo  comandamento: non rubare. Per i rabbini non significa solo rubare dei beni, ma in primo luogo le persone, rapirle. Che c’entra questo con il metaverso? Tra le sue potenzialità c’è il controllo totale delle persone che lo usano. Oggi se facciamo una ricerca su internet su un posto turistico veniamo bombardati per giorni da pubblicità riferite al quel sito. Con il metaverso sarà tutto più totalizzante, ogni nostra reazione, dal battito cardiaco al battere le ciglia sarà monitorizzata, analizzata e classificata. Non ci saranno più segreti sui nostri pensieri e le nostre emozioni. Saremo rubati, rapiti, a scopo commerciale prima, e poi politico.
Settimo comandamento: non commettere adulterio. Tecnicamente la norma proibisce l’adulterio ma più generalmente si tratta di un comando a seguire un comportamento sessuale corretto. Anche qua, che c’entra il metaverso? Uno dei suoi lati più oscuri e problematici è la possibilità che offre, mediante gli accessori “indossabili” che servono ora a usarlo (visori, guanti, camicie ecc.), di provare sensazioni fisiche visive e tattili. Immaginate l’impatto sessuale. Non è più il film pornografico o la bambola di gomma. È l’immersione in un sesso virtuale che potrebbe essere ancora più appagante di quello reale, e molto più comodo, dato che il rapporto con un altro ha sempre un costo sociale. Solo che in questo modo, aldilà di qualsiasi considerazione morale sulle scelte sessuali, si toglierà al sesso la sua funzione fondamentale di confronto e comunicazione interumana, a favore di un isolamento deresponsabilizzato.
Sesto comandamento: non uccidere. Il metaverso può creare, peggio di una droga, dipendenza, asocialità, perdita di controllo morale, perdita di distinzione tra reale e virtuale, istigazione alla violenza singola e di gruppo. Soprattutto per i più indifesi e coloro che hanno poche esperienze di vita, come possono essere bambini e adolescenti. I social, oggi, per alimentarsi di pubblicità, hanno bisogno di coinvolgere sempre più persone, e uno dei modi per farlo è alimentare dibattiti divisivi e provocatori. Siamo testimoni nel nostro piccolo comunitario come sia facile abboccare a questo amo e quanta violenza gratuita e incontrollata si scateni. Ma questo ora è solo l’inizio. Dopo sarà semplicemente moltiplicato.
Ce n’è abbastanza per creare un minimo di allarme e indurre alla vigilanza. Pensateci bene, il prossimo anno, prima di regalarvi un visore o di farlo come regalo di bar-bat mitzwà.

(Shalom, 7 luglio 2023)

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Una squadra israeliana gareggerà alla FIFA-e World Cup in Arabia Saudita

di Luca Spizzichino

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Una squadra di giocatori israeliani è atterrata venerdì scorso in Arabia Saudita per prendere parte alla Coppa del Mondo del videogioco FIFA, che si terrà dal 16 al 19 luglio a Riyadh.
  La FIFAe World Cup si tiene ogni anno e vede i partecipanti affrontarsi nell'ultima versione del videogioco di calcio. Quest'anno è la prima volta che l'Arabia Saudita ospita l'evento. Tre membri della squadra, il loro allenatore e il vicedirettore sono entrati nel paese attraverso gli Emirati Arabi Uniti con i loro passaporti israeliani per l'evento, secondo quanto riferito dall’emittente israeliana Kan.
  Zvika Kosman, manager della squadra, ha detto a Kan di aver lavorato con la FIFA per assicurarsi che i sauditi permettessero alla squadra di entrare nel Paese. Le autorità saudite hanno scritto una lettera sottolineando che tutti i partecipanti sarebbero stati ammessi nel Paese, senza specificare gli israeliani.
  "Il processo è stato semplice e veloce, tutti qui sono gentili", ha detto Roi Feldman, uno dei giocatori israeliani, ai giornalisti del canale israeliano durante il fine settimana. I giocatori avranno una bandiera israeliana sulla maglia.
  La squadra, per motivi di sicurezza, non mostrerà apertamente la propria identità israeliana al di fuori del torneo. "Saremo in hotel e nel luogo in cui giocheremo, ma non andremo in giro", ha detto a Kan Yuval Blei, un altro giocatore. Secondo il Jerusalem Post, prima di ogni partita suonerà l’Hatikvah, l’inno dello Stato d’Israele, e la bandiera israeliana verrà esposta alla cerimonia di apertura di domenica prossima. La sicurezza della delegazione israeliana sarà assicurata dalle autorità locali e da una società privata.

(Shalom, 10 luglio 2023)

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La scelta di Netanyahu: collaborare con Abu Mazen o affossarlo definitivamente

di Alfredo De Girolamo

Dopo gli eventi di Jenin, il dilemma stringente del premier israeliano Benjamin Netanyahu è decidere se collaborare con Abu Mazen o affossare definitivamente la controparte palestinese. Scrive il giornalista Herb Keinon: "A livello strategico, Israele deve definire le sue intenzioni. Se il portavoce dell'IDF ha chiarito che il bersaglio dell'operazione "Casa e Giardino" era quello di colpire l'infrastruttura terroristica senza occupare e rimanere a Jenin, un simile obiettivo diplomatico non è stato articolato".
  La prima opzione in gioco può essere attuata solo garantendo la piena funzionalità dell'Autorità nazionale palestinese (ANP). Per farlo il leader del Likud ha però bisogno di avere alle spalle un governo di larghe intese che dia concessioni concrete ai palestinesi e non, un esecutivo in mano a frange di estremisti nazionalisti come l'attuale maggioranza della Knesset. Se invece l'obiettivo strategico di Netanyahu è rendere inconsistente il ruolo della cricca degli eredi di Arafat allora, deve prepararsi materialmente a colmare il vuoto di potere che si creerà il giorno dopo il collasso del regime. Nel qual caso la battaglia di Jenin, costata all'esercito di Tzahal un ingente spiegamento di forze in campo, è un'avvisaglia di quanto potrebbe accadere a breve su larga scala, in tutta la Cisgiordania. Dove oramai il palazzo presidenziale della Muqata non è in grado di mantenere il controllo della sicurezza nelle città periferiche del nord: debolissimo di fronte alla presenza di gruppi terroristici generazionali, vittima della violenza vandalica dei coloni e soverchiato dai continui raid dell'IDF nei campi profughi.
  Così Kobi Michael e Ori Wertman sul The Jerusalem Post: "Oggi sembra che l'Autorità Palestinese, sotto la guida di Mahmoud Abbas, si trovi nella sua situazione peggiore dai tempi della Seconda Intifada e ha imboccato un percorso che potrebbe portare al suo dissolvimento". Il declino di Abu Mazen è principalmente il frutto di dinamiche interne: poca democrazia, lotta tra le fazioni per il potere, corruzione dilagante e l'occupazione. Disaffezione e malcontento diffuso sono certificati dai rilevamenti raccolti dal Palestinian Center for Policy and Survey Research (PCPSR). La fiducia dell'opinione pubblica nell'ANP è ai minimi storici ed anche la popolarità del rais, a chiederne le dimissioni sono 8 palestinesi su 10. Il 67% è comunque certo che non saranno indette elezioni generali, per il momento. Ma se accadesse il più accreditato al successo resta Marwan Barghouti, che intanto sta scontando l’ergastolo in un carcere israeliano. La percezione di vivere in un sistema corrotto sfiora il 90% dei palestinesi. Mentre, il 74% ritiene che la soluzione a due stati sia un processo irrealizzabile, a causa dell'espansione degli insediamenti. Inoltre, c'è la convinzione che sia prossimo lo scoppio di una terza Intifada. Il 71% si dice favorevole alla formazione dei nuovi gruppi armati, e persino che la polizia di Ramallah non ha alcun diritto di arrestarli (86%).
  Sul fronte israeliano, il sondaggio di Israeli Voice Index mostra che la tendenza prevalente tra il pubblico è di diffidenza nei confronti del governo di Netanyahu, e la gente è poco ottimista sul futuro. Non convincono lotta a crimine e terrorismo. Particolarmente criticata dagli intervistati la mancata gestione del caro vita e in generale le politiche economiche dell'esecutivo più a destra della storia di questo paese. Per quanto riguarda il giudizio sull'operato del primo ministro in carica Netanyahu, resta positivo solo tra i suoi elettori. Che tuttavia non gli perdonano la riforma della giustizia. Per Alon Pinkas storica firma di Haaretz: "Benjamin Netanyahu e il suo governo estremista spingono a pieno ritmo un'agenda legislativa gravemente antidemocratica, ma il primo ministro israeliano ha fatalmente sottovalutato il movimento di protesta". È evidente come la classe politica al governo, palestinese o israeliana, sia sempre più lontana dalla realtà.

(L'HuffPost, 10 luglio 2023)

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Biden smorza gli entusiasmi su un accordo Israele-Arabia Saudita

di Emanuele Rossi

Israele e Arabia Saudita sono molto lontani da un accordo di normalizzazione che preveda un trattato di difesa e un programma nucleare civile da parte degli Stati Uniti, ha dichiarato il presidente americano, Joe Biden, in un’intervista alla Cnn trasmessa domenica. Le parole di Biden segnano un momento all’interno del tema “Gerusalemme-Riad”.

• NARRAZIONI E INTERESSI
  Da mesi si parla con insistenza di una possibile normalizzazione israelo-saudita: si sa che le due parti sono disposte a questa mossa storica e che Washington ne sarebbe ben contenta (perché sarebbe un passaggio che completerebbe gli Accordi di Abramo e aiuterebbe a mantenere ordinato il Medio Oriente, consentendo così agli americani di continuare con la strategia di ritirata dalla regione).
  E però, si evidenziano anche alcune vulnerabilità. Su tutte, la non disponibilità saudita a procedere con un così grande investimento di carattere geostrategico ed ideologico insieme a un governo come quello attuale di Benjamin Netanyahu, caratterizzato attualmente da posizioni estremiste nei confronti del dossier palestinese. Il regno saudita è protettore dei luoghi sacri dell’Islam — con tutto il portato socio-culturale e politico-strategico che questo comporta — e non vuole esporsi mentre le istanze palestinesi vengono costantemente contratte dagli israeliani. Per quanto pragmatica possa essere la visione del factotum ed erede al trono Mohammed bin Salman, esistono limiti (per altro difficili da oltrepassare finché il sovrano Re Salman resterà in vita).
  La scorsa settimana la furia dell’opinione pubblica è cresciuta nel mondo arabo dopo una delle più grandi operazioni militari di Israele nella Cisgiordania occupata degli ultimi anni, un raid nel campo profughi di Jenin, una roccaforte dei militanti palestinesi.  Martedì scorso, l’Arabia Saudita si è unita ad altre nazioni della Lega Araba nel condannare il raid, che ha ucciso 12 palestinesi. Anche prima delle ultime violenze, Riad ha affermato che la normalizzazione non è possibile fino a quando non saranno affrontati gli obiettivi di statualità palestinese (la cosiddetta “soluzione a due stati” che da anni ricorre senza risultati come forma risolutiva della diatriba).
  Il governo religioso-nazionalista israeliano ha riconosciuto una battuta d’arresto negli sforzi di normalizzazione in seguito alle censure saudite sulle sue politiche nei confronti dei palestinesi. Il ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen, ha dimostrato consapevolezza del quadro esprimendo una nota di speranza domenica sulla rara partecipazione di una delegazione israeliana a un torneo di videogiochi di calcio ospitato da Riad durante il fine settimana. Tuttavia gli organizzatori sauditi hanno fatto sapere che la presenza degli israeliani non è legata a processi di diplomatici, ma semplicemente perché è stato concesso a tutti coloro che volevano iscriversi di partecipare.

• COSA C’È SUL PIATTO?
  I funzionari statunitensi stanno negoziando nel tentativo di raggiungere un accordo di normalizzazione. i due Paesi sono disponibili, come detto, ma servirà tempo. Sono d’altronde fonti e analisti di vario tipo a suggerire da un po’ che ancora ci siano distanze. “Siamo molto lontani. Abbiamo molto di cui parlare”, ha detto Biden in un’intervista a “Fareed Zakaria’s GPS” confermando il contesto attorno a quello che potrebbe essere un passaggio storico per la regione mediorientale.
  Tra le varie cose, oltre a posizioni di carattere più politico, ci sono anche i tempi più pratici da definire. Riad vuole il nucleare (intanto civile) e sta chiedendo assistenza tecnica agli Stati Uniti  — oltre che a Russia e Cina. Vorrebbe mettere un impianto sul tavolo delle trattative incrociate, ma non sarà facile. Il mese scorso, il ministro dell’Energia israeliano, Israel Katz del Likud,  ha per esempio espresso la sua opposizione all’idea che l’Arabia Saudita sviluppi un programma nucleare civile nell’ambito di un’eventuale mediazione statunitense per la creazione di relazioni tra i due Paesi.
  C’è diffidenza perché a Gerusalemme si teme di perdere la prerogativa di essere unica potenza atomica della regione (sebbene il nucleare israeliano sia coperto da ambiguità strategica). Biden, parlando con Zakharia, ha sottolineato la decisione dell’Arabia Saudita, alla vigilia della sua visita nel regno la scorsa estate, di concedere il passaggio nel proprio spazio aereo a tutti i vettori, aprendo la strada a un maggior numero di sorvoli da e per Israele. Ha anche sottolineato gli sforzi per un cessate il fuoco permanente nello Yemen, un conflitto che ha ucciso decine di migliaia di persone e che è stato ampiamente visto come una guerra per procura tra Arabia Saudita e Iran.
  “Stiamo facendo progressi nella regione. E dipende dalla condotta e da ciò che ci viene chiesto per il riconoscimento di Israele” ha detto Biden nell’intervista. Ancora: “Francamente, non credo che abbiano molti problemi con Israele. Ma se [mi chiedete se] noi forniremo o meno un mezzo che permetta [ai sauditi] di avere un’energia nucleare civile e/o di essere un garante della loro sicurezza, questo penso che sia un po’ lontano”. Israele ha dichiarato di aspettarsi di essere consultato da Washington su un accordo tra Stati Uniti e Arabia Saudita che riguardi la sua sicurezza nazionale.
  Citando precedenti come l’Iraq e la Libia, gli israeliani temono da tempo che vicini potenzialmente ostili possano utilizzare l’energia nucleare civile e altri progetti sviluppati nell’ambito del Trattato di Non Proliferazione del 1970 come copertura per la produzione clandestina di bombe. Da una parte il dossier palestinese, dall’altra la questione nucleare saudita, frenano quello che per diverse volte è stato dato come un accordo già fatto. Biden conferma gli scetticismi.

(Formiche.net, 10 luglio 2023)

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Manifestazioni in Israele contro la riforma giudiziaria. Cosa sta succedendo?

Mentre il Ministro Amsalem (Likud) chiede l'arresto dei leader della protesta, migliaia di riservisti si ritrovano sotto casa del Ministro della Difesa per chiedere di nuovo un suo intervento

Il ministro della Cooperazione regionale David Amsalem ha chiesto sabato l’arresto dei leader della protesta contro la riforma giudiziaria, l’interrogatorio dell’ex primo ministro Ehud Barak e la destituzione del procuratore generale Gali Baharav-Miara.
  Amsalem, un avvocato del Likud che ricopre anche una carica presso ministero della Giustizia e come incaricato del collegamento tra il governo e la Knesset, ha denunciato durante un’intervista a Channel 12 che i leader delle proteste hanno causato “disordini di massa” nel Paese negli ultimi sei mesi, mentre il capo della polizia del distretto di Tel Aviv, Amichai Eshed, si è rifiutato di affrontare la questione.
  L’annuncio delle dimissioni di Eshed questa settimana, in cui si affermava che sarebbe stato trasferito dal ruolo a causa dell’avversione dei politici per il suo approccio morbido nei confronti dei manifestanti, ha portato a una serie di proteste di massa spontanee e al blocco dell’autostrada Ayalon a Tel Aviv per diverse ore.
  “Non c’è intelligence, non ci sono arresti nelle notti [delle proteste], non ci sono indagini su [l’ex capo della Corte Suprema] Aharon Barak o Ehud Barak. State male? Protestate, proprio come hanno fatto le persone fin dalla creazione dello Stato. Ma perché fare disordini? È illegalità“, ha detto, aggiungendo: “Ehud Barak, a mio parere, avrebbe dovuto essere nella stanza degli interrogatori già da qualche tempo”.
  “Non c’è persona nel Paese che non lo pensi, compreso lui stesso. Ma sa che nessuno lo farà perché è al di sopra della legge“, ha affermato Amsalem.
  Giovedì Barak, che ha esortato alla “disobbedienza civile non violenta” per cercare di bloccare la revisione giudiziaria proposta dalla coalizione, ha dichiarato in un’intervista televisiva che i piloti e alcuni altri soldati d’élite dovrebbero rifiutarsi di continuare a prestare servizio nell’IDF se una proposta di legge attualmente avanzata dalla coalizione diventasse legge.
  Il disegno di legge, che sarà presentato lunedì in prima lettura, impedirebbe alla magistratura di utilizzare la dottrina della “ragionevolezza” per rivedere le decisioni prese dal gabinetto, dai ministri del governo e da altri funzionari eletti non specificati.
  Secondo un rapporto del mese scorso, è stata istituita una task force speciale per indagare se Barak e altri leader delle proteste possano essere accusati di incitamento per i commenti che incitano alle proteste antigovernative.
  “Non c’è pace nel disordine. Qui c’è anarchia. C’è una sfida allo stato di diritto qui, quindi i manifestanti devono essere dispersi“, ha detto Amsalem, chiedendo una mano più dura contro i dimostranti.
  Il ministro si è anche scagliato contro Baharav-Miara, affermando che avrebbe dovuto lasciare l’incarico non appena il primo ministro Benjamin Netanyahu avesse istituito un nuovo governo il 29 dicembre.
  “Non è degna di questa posizione e non lo è mai stata, ha detto Amsalem. “Penso che se avesse avuto un po’ di rispetto per se stessa, avrebbe restituito le chiavi e sarebbe andata a casa“.
  Il procuratore generale si è scontrato con i ministri su diverse questioni. Recentemente, Netanyahu, il ministro della Giustizia Yariv Levin e il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir hanno rimproverato Baharav-Miara e altri alti funzionari delle forze dell’ordine per la loro gestione delle proteste in corso contro la riforma giudiziaria.
  Amsalem ha giustificato una proposta per limitare i poteri dei consulenti legali del governo, sostenendo che dalla creazione dello Stato, al partito di destra Likud non è stato permesso di governare quando è stato eletto.
  “Il Likud non può nominare funzionari [del ministero] e non può prendere decisioni. Ho cercato di nominare un direttore generale per tre mesi e mezzo, ma [il vice procuratore generale] Gil Limon non me lo ha permesso“, ha detto, riferendosi alle difficoltà incontrate da Amsalem nel nominare Moshe Swissa al ruolo di vertice del ministero della Cooperazione regionale, a causa di precedenti infrazioni disciplinari.
  “Non ci sono funzionari che hanno opinioni di destra. Non ci sono Likudniks. Più della metà del Paese è composta da likuddisti“, ha accusato, promuovendo un’argomentazione comune dei membri del governo secondo cui i burocrati del Paese non sono rappresentativi dell’opinione pubblica di destra. Ma mente sapendo di mentire perché non è vero che metà del Paese ha votato per il Likud. Il partito ha ottenuto il 23% dei voti alle ultime elezioni.
  Amsalem è stato un convinto sostenitore della drastica revisione del sistema giudiziario prevista dal governo. Ad aprile ha chiesto l’incriminazione della presidente della Corte Suprema Esther Hayut per la sua opposizione al controverso piano, sollecitando anche indagini contro i leader del movimento di protesta.

• MANIFESTAZIONE DAVANTI ALL'ABITAZIONE DEL MINISTRO DELLA DIFESA
  Diverse migliaia di manifestanti si sono riuniti sabato sera davanti alla casa del Ministro della Difesa Yoav Gallant per una manifestazione notturna organizzata dai riservisti dell’esercito contro la riforma giudiziaria.
  La manifestazione, svoltasi dalle 22.00 alle 3.00 nella città settentrionale di Amikam, è sembrata la prima di questo tipo da parte degli attivisti contrari alla riforma, che hanno recentemente intensificato i loro sforzi mentre il governo si appresta ad avanzare nei prossimi giorni la prima parte di un pacchetto legislativo volto a limitare radicalmente il sistema giudiziario del Paese.
  Il gruppo di protesta contro la revisione, “Brothers in Arms”, ha dichiarato in un comunicato che “capi di stato maggiore e generali dell’IDF di tutti i tempi, comandanti del Mossad, comandanti dello Shin Bet e della polizia” hanno partecipato alla manifestazione notturna.
  “Insieme riporremo le nostre speranze nel ministro della Difesa, che ha già dimostrato che, sulla sua coscienza, non permetterà che venga danneggiata la sicurezza di Israele e che la nazione venga fatta a pezzi“, ha aggiunto il gruppo di protesta.
  A fine marzo, Gallant aveva chiesto di sospendere la revisione giudiziaria, citando un “pericolo tangibile” per la sicurezza dello Stato, mentre centinaia di riservisti militari minacciavano di non presentarsi più in servizio per protestare contro la controversa legislazione.
  Gallant è stato il primo membro del governo a chiedere pubblicamente di fermare la revisione, e il primo ministro Benjamin Netanyahu ha risposto annunciando la sua decisione di licenziarlo il giorno successivo. Questa mossa ha provocato proteste spontanee di un’intensità e di una portata mai viste durante i primi tre mesi di manifestazioni, che apparentemente hanno portato alla decisione del premier di ascoltare l’appello di Gallant il giorno successivo e di tenere colloqui con l’opposizione per raggiungere un compromesso sulla riforma giudiziaria.
  Ma i negoziati si sono interrotti il mese scorso, portando la coalizione ad annunciare che avrebbe iniziato ad avanzare unilateralmente parti della revisione. Lunedì la coalizione dovrebbe far passare in prima lettura alla Knesset un disegno di legge che elimina la possibilità per i tribunali di pronunciarsi sulla “ragionevolezza” delle decisioni governative.
  Durante la protesta notturna davanti all’abitazione di Gallant, gli oratori hanno invitato il ministro della Difesa ad opporsi ancora una volta ai piani dei suoi colleghi legislatori della coalizione, come aveva fatto tre mesi fa.
  “La spaccatura della società è più profonda che mai e il colpo di stato [del governo] distruggerà l’esercito del popolo“, ha dichiarato l’ex capo dello Shin Bet Ami Ayalon.
  “Le ho scritto in passato perché speravo che lei fosse lo stesso coraggioso comandante che ho nominato al comando dell’unità di ricognizione navale Shayetet“, ha continuato Ayalon. “Lei deve il suo ministero a noi e alle centinaia di migliaia di persone che sono scese in piazza. In passato ha scelto la lealtà alla sicurezza di Israele piuttosto che la lealtà a Netanyahu e ci aspettiamo che lo faccia di nuovo“.
  L’ex capo di stato maggiore dell’IDF e ministro della Difesa del Likud, Moshe Ya’alon, ha dichiarato nel suo discorso di vergognarsi di Gallant e di altri membri del suo ex partito. “Conosco anche Nir Barkat e Avi Dichter che erano miei subordinati nell’esercito. Come fate a non vergognarvi di lasciare che Benjamin Netanyahu ci porti alla distruzione?“, ha chiesto.
  Rivolgendosi a Gallant, il Magg. Gen. (Ris.) dell’IDF Noam Tibon ha detto che il ministro della Difesa era ben consapevole dei danni che la revisione stava causando. È per questo che il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden non è disposto a incontrare Netanyahu.
  “Sapete che per prepararsi alla sfida iraniana, l’IDF deve essere al meglio, e che i piloti e i riservisti non voleranno o combatteranno per una dittatura“, ha avvertito.
  Alla manifestazione è intervenuto anche l’ex generale dell’IDF Amal Assad, attivista sociale di spicco della comunità drusa.
  “Yoav, sono venuto qui per ricordarti che io e te siamo fratelli“, ha esordito. “Quando sei venuto a sostituirmi come generale di brigata per la regione di Jenin, ti ho detto che fino ad allora pensavo che non ci fossero più persone coraggiose come me, ma tu hai distrutto la mia percezione“.
  “Oggi sono qui, insieme ai Fratelli in armi, per chiedervi ancora una volta di ascoltare la vostra coscienza. Prendete una decisione coraggiosa e fermate la follia“, ha detto Assad.
  Un cartello srotolato durante la protesta recitava: “Il processo legislativo dovrebbe essere fermato”, citando una frase del discorso di Gallant del 25 marzo.

(Rights Reporter, 10 luglio 2023)

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Gli Ebrei in Calabria, incontro al Parco Archeologico Archeoderi

La Calabria tutta è fiera del proprio passato e ama ricordare e celebrare le civiltà e i popoli che ne hanno scolpito il volto, dalla lontana Preistoria al Periodo greco-ellenistico, all’Età romana, al Popolo del Libro (Am HaSefer) che ha fatto dell’insegnamento della Torah lo strumento della sua identità e una fonte inesauribile di saggezza per tutte le Genti. L’Associazione Bova Life, grazie alla ormai consolidata collaborazione scientifica con il professore Louis Godart, archeologo e filologo di fama mondiale, membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei e già consigliere per la Conservazione del Patrimonio Artistico alla Presidenza della Repubblica Italiana, organizza il 12 luglio un incontro centrato sulla presenza degli Ebrei in Calabria.
  Faranno gli onori di casa la dottoressa Elena Trunfio, direttrice del Museo e Parco Archeologico Archeoderi, l’onorevole Saverio Zavettieri, sindaco di Bova Marina, e il dottor Luca Micheletta, segretario generale di Bova Life. Modererà l’incontro il dottor Giorgio Neri, giornalista dell’Ansa.
  Oltre alla relazione di Godart, dal titolo “Il Libro e il Popolo che scommette sulle radici dell’anima”, interverrà il professore Pasquale Casile, storico, ricercatore grecista e vice presidente dell’Associazione Culturale Magna Grecia Pieve Emanuele, con una relazione su “La sinagoga di Bova Marina, il tempio del giudaismo italogreco. Tracce millenarie di ebraismo nel greco bovese. Indagine linguistica".
  Il Convegno si terrà mercoledì 12 luglio, alle ore 17,30, al Parco Archeologico Archeoderi di Bova Marina, e avrà come ospite principale il dottor Guido Coen, Consigliere delle comunità ebraiche italiane. Registrazioni per partecipare a questo link.

(Reggio Today, 10 luglio 2023)

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Il programma degli ambientalisti: Il suicidio dell'Europa

Beyond Growth è il raduno ideologico annuale degli ambientalisti europei. Cosa viene in mente alla maggior parte della gente quando esamina il report della conferenza Beyond Growth? Il Parlamento Europeo. La correlazione tra le proposte radicali della Beyond Growth e il Parlamento Europeo si presenta come assolutamente naturale: se il Parlamento Europeo vuole un ambientalismo radicale, come potrebbe opporsi a ciò un piccolo elettore locale? Nella foto: il Parlamento Europeo a Bruxelles

di Drieu Godefridi*

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Dobbiamo riconoscere che gli ambientalisti europei, e l'estrema Sinistra in generale, hanno un'invidiabile capacità di comunicazione. Mentre i movimenti conservatori sono ancora troppo spesso rappresentati da quelle che sembrano caricature politiche disumanizzate, gli ambientalisti europei, a parte un'isterica Greta Thunberg, si sono dati volti freschi e simpatici di portavoce che parlano dei peggiori orrori in modo accattivante, pacato ed eloquente.
  Prendiamo, ad esempio, la conferenza Beyond Growth 2023 da poco conclusasi a Bruxelles, in Belgio. Beyond Growth è il raduno ideologico annuale degli ambientalisti europei e delle loro innumerevoli staffette nel mondo delle organizzazioni teoricamente "non governative" (ONG), finanziate dal governo.
  Beyond Growth non si riunisce nei salotti di un albergo prestigioso o di qualche dimora di campagna, ma lo fa direttamente negli edifici del Parlamento Europeo. Questo non accade per caso: quando la stampa punta accuratamente l'attenzione sulla conferenza Beyond Growth, diffonde le immagini di persone che parlano e che stanno sedute nei confortevoli banchi dell'emiciclo del Parlamento Europeo. Cosa viene in mente alla maggior parte della gente quando esamina il report della conferenza Beyond Growth? Il Parlamento Europeo. La correlazione tra le proposte radicali della Beyond Growth e il Parlamento Europeo si presenta come assolutamente naturale: se il Parlamento Europeo vuole un ambientalismo radicale, come potrebbe opporsi a ciò un piccolo elettore locale?
  La protagonista dell'ultima conferenza è stata l'attivista belga fiamminga Anuna De Wever, una dei giovani leader ambientalisti.
  Dovete leggere e ascoltare quello che dicono questi attivisti. La maggior parte di loro annuncia cosa farà, se raggiungesse il potere. Qui di seguito le "proposte" dell'affascinante e sorridente De Wever:

  1. "Dobbiamo ridistribuire la ricchezza", esordisce la De Wever. A chi e come? Nessun dettaglio. Questo è da un secolo il tema ricorrente di ogni stravagante discorso europeo che si rispetti. Sarebbe fuori luogo suggerire di avviare la ridistribuzione della ricchezza con gli stipendi e il patrimonio degli eurodeputati Verdi?
  2. "Cancellare il debito climatico": nella mente degli attivisti ambientalisti, i Paesi del "Nord globale", che hanno subito un notevole sviluppo, hanno un obbligo ecologico nei confronti del "Sud globale". Anche se il capitalismo occidentale ha salvato il maggior numero di persone dalla povertà nella storia del mondo, l'Occidente ha anche creato verosimilmente le maggiori emissioni di gas serra. Inoltre, l'Europa e gli Stati Uniti continuano a "sfruttare" e "colonizzare" molte regioni del "Sud globale" attraverso le loro multinazionali, esaurendo sistematicamente le risorse naturali. Va quindi cancellato il "debito" nei confronti del "Sud", anche se questo "debito" potrebbe non avere nulla a che fare con il clima.
  3. Introduciamo subito, anche domani, un "reddito universale di base". Si può immaginare l'entusiasmo di Cina, Russia, Giappone, Stati Uniti e Cuba all'idea di introdurre un reddito universale comune, che ovviamente è probabilmente concepibile solo attraverso l'istituzione di un governo mondiale "universale": una mera formalità.
  4. L'Occidente deve crollare. In effetti, l'Occidente è malvagio. La prova sta nel fatto che è "ricco". Pertanto, l'Occidente deve essere punito, facendogli subire un crollo, una "decrescita", mentre altri Paesi non occidentali continueranno ovviamente a crescere.
  5. I servizi pubblici universali devono essere incrementati (raddoppiati? Triplicati?) Come si provvederà a finanziare tutto questo, in un contesto di declino? Questi dettagli non sono specificati.

"Tutto questo", continua la De Wever, ricevendo un grande applauso, "sarà ovviamente possibile solo se distruggiamo (...) la supremazia bianca".
  La supremazia bianca? Cosa c'entra la supremazia bianca con l'economia, ci si potrebbe chiedere? Parrebbe che nella mente di molti ambientalisti crescita economica e supremazia bianca siano effettivamente sinonimi. Dopotutto, il ragionamento sembra filare, fu l'Occidente che nel 1776 con Adam Smith "inventò" la crescita economica, e l'Occidente all'epoca era in gran parte bianco, quindi, distruggendo la supremazia bianca distruggiamo l'idea stessa di crescita economica.
  Gli ambientalisti sembrano nutrire una sorta di pensiero magico, vedendo due realtà dello stesso insieme: "bianchezza" e capitalismo, per poi postulare un nesso causale tra di loro.
  Se, come affermava Adam Smith, la crescita economica per tutti è la chiave per uscire dalla povertà, con l'obiettivo di rendere i poveri più ricchi e non i ricchi più poveri, allora, distruggere la crescita non sembra essere un modello economico in grado di essere molto di aiuto. Peggio ancora, ora ci si trova di fronte a quelle scelte fastidiose come, ad esempio, incoraggiare la crescita consentendo alle persone che abitano nei Paesi poveri di utilizzare combustibili fossili (carbone, petrolio e gas naturale) o trascinare queste persone ancora di più nella povertà, negando loro i combustibili fossili.
  Questo strano gulasch di residui marxisti, imperialismo, decolonizzazione e Teoria critica della razza mal digerita, crea un programma che difficilmente unirà la maggioranza degli europei. Al programma è anche stato dato un nome: Imminente Suicidio Europeo. Se l'Europa si impegna nella "decrescita" economica, come vogliono i Verdi, questa "decrescita" implica la distruzione di interi settori delle economie europee e occidentali. "Decrescita" e distruzione economica sono sinonimi perfetti. "Decrescita" significa limitare le attività economiche o tassarle in modo talmente penalizzante da farle cessare di esistere.
  Questi sostenitori dell'ambiente rappresentano il 10 per cento dei seggi nell'Europarlamento e sembrano in procinto di essere sradicati in molti Paesi membri dell'UE. Poco importa, perché l'Unione Europea non democratica, non eletta, non trasparente e non responsabile offre loro una risorsa: nelle istituzioni dell'UE, gli ambientalisti sono ovunque. Ad esempio, la "Green 10", è una coalizione delle dieci più grandi organizzazioni e reti ambientaliste attive a livello europeo. Esse operano per garantire che l'UE dia priorità al clima, all'ambiente locale, alla biodiversità e alla salute umana all'interno e all'esterno dei suoi confini. Per diffondere le loro idee, queste ONG non elette sono generosamente finanziate dalle stesse istituzioni dell'Unione Europea.
  Il problema fondamentale di Beyond Growth è che la "decrescita", ciò che accadrà dopo, non è mai definita. Se i marxisti, e prima di loro i socialisti, tra cui i nazionalsocialisti tedeschi, hanno sempre cercato di definire una teoria economica, progetti concreti e la distruzione di ciò che esiste, gli ambientalisti non si sono mai presi la briga di farlo. Oppure spingere l'Europa nella morsa della dipendenza energetica russa è l'obiettivo principale degli ambientalisti?
  È comprensibile questa riluttanza a parlare del "mondo come sarà dopo". Nel contesto di un'Europa indebitata fino al collo e che già tassa i cittadini solo per pagare gli interessi sul debito, ridurre la produzione economica significa affrontare la questione di chi sarà lasciato a morire per primo. L'assistenza sanitaria, ad esempio, è già stata razionata e sembra incentrarsi sempre più sulla riduzione dei costi piuttosto che sull'erogazione di servizi, come pure su un eccesso di burocrazia amministrativa anziché essere finalizzata a investire nell'assunzione di un maggior numero di medici, in cure migliori e in trattamenti terapeutici più tempestivi dei pazienti.
  Cosa accadrebbe se ci fosse la "decrescita"? Come, ad esempio, possiamo immaginare una diminuzione obbligatoria dell'attività economica senza sottoporre alcuna innovazione tecnologica al controllo di una "agenzia amministrativa"? L'UE sognata dagli ambientalisti inizia a somigliare a una versione di Atlas Shrugged (La rivolta di Atlante, N.d.T.): un Paese distopico in cui le imprese private patiscono, sotto leggi, normative e burocrazie sempre più ostiche. Forse i Verdi dovrebbero riflettere sul messaggio del libro: nonostante i tentativi dello Stato di schiavizzare le menti con la forza, le persone emergono vittoriose nel loro impegno a favore della libertà. La mente umana è la forza che muove il mondo, non la coercizione.
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* Drieu Godefridi è giurista (Université Saint-Louis de Louvain), filosofo (Università Saint-Louis de Louvain) e dottore in teoria del diritto (Paris IV-Sorbonne). È autore di The Green Reich.

(Gatestone Institute, 9 luglio 2023 - trad. di Angelita La Spada)

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Una grande gioia

Dalla Sacra Scrittura

ATTI 2

  1. Quelli dunque i quali accettarono la sua parola furono battezzati; e in quel giorno furono aggiunte a loro circa tremila persone.
  2. Ed erano perseveranti nell'attendere all'insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere.
  3. E ogni anima era presa da timore; e molti prodigi e segni eran fatti dagli apostoli.
  4. E tutti quelli che credevano erano insieme, ed avevano ogni cosa in comune;
  5. e vendevano le possessioni ed i beni, e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno.
  6. E tutti i giorni, essendo di pari consentimento assidui al tempio, e rompendo il pane nelle case, prendevano il loro cibo assieme con gioia e semplicità di cuore,
  7. lodando Iddio, e avendo il favore di tutto il popolo. E il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che erano sulla via della salvezza.

ATTI 4

  1. E la moltitudine di coloro che avevano creduto, era d'un sol cuore e d'un'anima sola; né v'era chi dicesse sua alcuna delle cose che possedeva, ma tutto era comune tra loro.
  2. E gli apostoli con gran potenza rendevano testimonianza della risurrezione del Signor Gesù; e gran grazia era sopra tutti loro.
  3. Poiché non v'era alcun bisognoso fra loro; perché tutti coloro che possedevano poderi o case li vendevano, portavano il prezzo delle cose vendute,
  4. e lo mettevano ai piedi degli apostoli; poi, era distribuito a ciascuno, secondo il bisogno.

LUCA 2

  1. Or in quella medesima contrada vi erano dei pastori che stavano nei campi e facevano di notte la guardia al loro gregge.
  2. E un angelo del Signore si presentò ad essi e la gloria del Signore risplendé intorno a loro, e temettero di gran timore.
  3. E l'angelo disse loro: Non temete, perché ecco, vi reco il buon annuncio di una grande gioia che tutto il popolo avrà:
  4. Oggi, nella città di Davide, v'è nato un salvatore, che è Cristo, il Signore.

MATTEO 2

  1. Or essendo Gesù nato in Betlemme di Giudea, ai dì del re Erode, ecco dei magi d'Oriente arrivarono in Gerusalemme, dicendo:
  2. Dov'è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo veduto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo.
  3. Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.
  4. E radunati tutti i capi sacerdoti, s'informò da loro dove il Cristo doveva nascere.
  5. Ed essi gli dissero: In Betlemme di Giudea; poiché così è scritto per mezzo del profeta:
  6. E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei punto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un Principe, che pascerà il mio popolo Israele.
  7. Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s'informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparita;
  8. e mandandoli a Betlemme, disse loro: Andate e domandate diligentemente del fanciullino; e quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo.
  9. Essi dunque, udito il re, partirono; ed ecco la stella che avevano veduta in Oriente, andava dinanzi a loro, finché, giunta al luogo dov'era il fanciullino, vi si fermò sopra.
  10. Ed essi, veduta la stella, si rallegrarono di grandissima gioia.
  11. Ed entrati nella casa, videro il fanciullino con Maria sua madre; e prostratisi, lo adorarono; ed aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra.
  12. Poi, essendo stati divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, per altra via tornarono al loro paese.

ATTI 8

  1. Coloro dunque che erano stati dispersi se ne andarono di luogo in luogo, annunziando la Parola. E Filippo, disceso nella città di Samaria, vi predicò il Cristo.
  2. E le folle di pari consentimento prestavano attenzione alle cose dette da Filippo, udendo e vedendo i miracoli che egli faceva.
  3. Poiché gli spiriti immondi uscivano da molti che li avevano, gridando con gran voce; e molti paralitici e molti zoppi erano guariti.
  4. E vi fu grande gioia in quella città.

ATTI 13

  1. Ma Paolo e Barnaba dissero loro francamente: Era necessario che a voi per i primi si annunziasse la parola di Dio; ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco, noi ci volgiamo ai Gentili.
  2. Perché così ci ha ordinato il Signore, dicendo: Io ti ho posto per esser luce dei Gentili, affinché tu sia strumento di salvezza fino alle estremità della terra.
  3. E i Gentili, udendo queste cose, si rallegravano e glorificavano la parola di Dio; e tutti quelli che erano ordinati a vita eterna, credettero.
  4. E la parola del Signore si spandeva per tutto il paese.
  5. Ma i Giudei istigarono le donne pie e ragguardevoli e i principali uomini della città, e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba, e li scacciarono dai loro confini.
  6. Ma essi, scossa la polvere dei loro piedi contro loro, se ne vennero ad Iconio.
  7. E i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.

ROMANI 15

  1. Or l'Iddio della pazienza e della consolazione vi dia d'avere fra voi un medesimo sentimento secondo Cristo Gesù,
  2. affinché di un solo animo e di una stessa bocca glorifichiate Iddio, il Padre del nostro Signor Gesù Cristo.
  3. Perciò accoglietevi gli uni gli altri, siccome anche Cristo ha accolto noi per la gloria di Dio;
  4. poiché io dico che Cristo è stato fatto ministro dei circoncisi, a dimostrazione della veracità di Dio, per confermare le promesse fatte ai padri;
  5. mentre i Gentili hanno da glorificare Dio per la sua misericordia, secondo che è scritto: Per questo ti celebrerò fra i Gentili e salmeggerò al tuo nome.
  6. Ed è detto ancora: Rallegratevi, o Gentili, col suo popolo.
  7. E altrove: Gentili, lodate tutti il Signore, e tutti i popoli lo celebrino.
  8. E di nuovo Isaia dice: Vi sarà la radice di Iesse, e Colui che sorgerà a governare i Gentili; in lui spereranno i Gentili.
  9. Or l'Iddio della speranza vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nel vostro credere, onde abbondiate nella speranza, mediante la potenza dello Spirito Santo.

    PREDICAZIONE

    Marcello Cicchese
    maggio 2016



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Israele considera il sostegno economico dell’Autorità Palestinese per prevenirne il collasso

Le autorità israeliane temono la caduta dell’Autorità Palestinese, che potrebbe creare un vuoto di potere in Cisgiordania

Il governo israeliano prenderà in considerazione domenica misure per sostenere l’Autorità palestinese (AP) e prevenirne il possibile collasso, secondo Canale 13. Tra le iniziative, la creazione di una zona industriale a Tarqumiyah, cittadina palestinese a nord-ovest di Hebron, e lo sfruttamento del giacimento di gas “Marine” al largo di Gaza.
  Nell’incontro di domenica verrà evidenziata una serie di vantaggi economici più limitati, come lo scaglionamento dei pagamenti del debito, l’estensione dell’orario di apertura del valico di Allenby e il rilascio di passaporti biometrici.
  Gli alti funzionari dell’AP potrebbero anche vedere ripristinati i loro privilegi VIP, revocati a gennaio in seguito al loro sostegno a una risoluzione anti-israeliana alle Nazioni Unite. Questi colloqui arrivano sulla scia delle raccomandazioni della difesa a Benjamin Netanyahu, il primo ministro, di rafforzare l’AP per evitare un deterioramento della situazione in Cisgiordania.
  Le autorità israeliane temono la caduta dell’Autorità Palestinese, che rischierebbe di creare un vuoto di potere in Cisgiordania, aprendo la porta a gruppi terroristici, una situazione simile a quella di Gaza dove Hamas prese il potere con la forza nel 2007.
  Il mese scorso, il canale Can 11 ha rivelato che l’Autorità palestinese sta valutando la possibilità di dichiararsi finanziariamente fallita a causa della difficile situazione finanziaria che sta affrontando. Questa iniziativa comporterebbe la chiusura dei suoi uffici e la perdita di stabilità nei territori sotto il suo controllo.
  Questa crisi finanziaria si spiega principalmente con le detrazioni mensili effettuate da Israele sulle tasse riscosse per l’Autorità Palestinese, dovute ai pagamenti alle famiglie dei terroristi, nonché con la costante riduzione degli aiuti internazionali. Inoltre, l’AP ha gradualmente perso il controllo della Cisgiordania settentrionale, consentendo ai gruppi terroristici di guadagnare terreno, portando Israele a svolgere operazioni regolari a seguito di attacchi terroristici mortali nella regione.

(dayFRitalian, 8 luglio 2023)
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Come lucidamente spiega Caroline Glick in un suo articolo pubblicato ieri, secondo un’indagine demoscopica, il 50% dei palestinesi ritengono che sia loro interesse smantellare l’Autorità Palestinese, il 63% ritiene che Abbas dovrebbe dimettersi, e il 71% supporta le azioni terroristiche che si svolgono in Samaria.
La situazione attuale sembra indicare che due terzi degli attentati siano stati effettuati dalle forze di sicurezza di Fatah armate ed istruite dagli USA. Inoltre i comandanti militari IDF della Samaria, anche per via dei loro frequenti incontri coi generali americani, sono allineati sulle posizioni dell’Amministrazione Americana più che su quelle del governo Netanyahu e non vedono in Abbas un nemico di Israele. Emanuel Segre Amar

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Corsa della Pace Mediorientale

Un nuovo appuntamento nel calendario UCI fra Israele, Bahrain e Emirati Arabi a partire dal 2024

di Francesco Mitola

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Il calendario internazionale UCI delle gare su strada tende ad allungarsi sempre di più, tanto che la stagione 2024 potrebbe arricchirsi di un nuovo appuntamento. Si sta infatti lavorando alla creazione di una nuova competizione, che prenderebbe posto nella seconda metà del mese di ottobre e che avrebbe come fondamento la collaborazione fra diverse realtà della zona del Medio Oriente. Con la spinta di alcune squadre professionistiche, infatti, nel 2024 dovrebbe disputarsi la prima edizione di quella che al momento viene chiamata Corsa della Pace Mediorientale, che non ha alcun legame con la Corsa della Pace che si svolge da anni nella Mitteleuropa e che è dedicata ai più giovani
  L’idea, secondo quel che riporta CyclingNews, è quella di allestire un appuntamento agonistico che si svolga sulle strade di Israele, Bahrain ed Emirati Arabi, che sono peraltro le “case” rispettivamente di Israel-Premier Tech, Bahrain Victorious e UAE Team Emirates. Sulla “formula” della competizione non ci sono ancora particolari dettagli, ma quel che si dice è che la Corsa della Pace Mediorientale dovrebbe servire anche da “trampolino” per la cerimonia di consegna dei premi UCI di fine stagione. I giorni di corsa sarebbero tre, con una giornata di riposo-trasferimento. Le squadre invitate all’evento sarebbero 20, composte da 5 corridori cadauna.
  Uno dei promotori del nuovo progetto sarebbe Sylvan Adams, patron della formazione Professional Israel-Premier Tech. Da quel che filtra, il progetto dovrebbe poi ulteriormente allargarsi nel 2025, quando verrebbe coinvolta anche l’Arabia Saudita. Da lì arriva peraltro il marchio Neom, che dovrebbe legarsi a quella che ora è la Jumbo-Visma. 

(CyclingPro.Net, 8 luglio 2023)

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La moda israeliana arriva a Milano grazie al Milano Fashion Tour

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La delegazione di 6 truccatori israeliani del Milano Fashion Tour è arrivata a Milano per acquisire esperienza internazionale, apprendendo nuovi suggerimenti e tendenze della moda dei principali truccatori italiani. Le delegazioni del Milano Fashion Tour includono truccatori israeliani di diversa estrazione-religiosi, laici, arabi ed ebrei-che arrivano a Milano per creare il loro portfolio con modelle professioniste e fotografi di fama internazionale.
  La prima delegazione è arrivata nel 2019, un anno prima che scoppiasse la pandemia da Covid 19. L’ultima delegazione da Israele è stata in Italia dal 13 al 18 novembre 2022; durante queste giornata ha organizzato una sfilata di moda a Palazzo Turati con Nina Moric.
  Ma è soprattutto a Shon Balaish, personaggio famoso in Israele, che appare spesso nei notiziari e sulle copertine delle principali riviste., che si deve la creazione di questo progetto, che ha portato in Italia e a Milano, la moda israeliana; Shon, laurea in giurisprudenza e agente immobiliare certificato, cresciuto in modo ultra religioso, con studi in una Yeshiva ortodossa, è diventato contro ogni previsione, un modello internazionale di successo senza compromettere i suoi valori.
  Durante le sue numerose attività Shon continua a perseguire la sua più grande passione, aiutare e guidare gli altri a realizzare i loro sogni. Oggi Shon Balaish e Sigal Man possiedono una delle principali società di produzione in Israele e sono noti per la creazione di eventi di lusso con enfasi sull’alto stile, ogni evento una creazione unica.
  Hanno prodotto centinaia di eventi, ma Shon è noto anche come volontario e donatore di una varietà di enti di beneficenza che aiutano i bambini malati e le loro famiglie e da diversi anni ha creato un marchio moda che porta il suo nome.
  Il 23 marzo sono state scelte tutte le modelle per la sfilata opzionandole dalle migliori agenzie di Milano che hanno sotto contratto anche le top model. “I membri della nostra delegazione lavorano sui loro portfolio con modelli di spicco assunti dalle agenzie di Milano, che vengono fotografati dai migliori fotografi italiani, come Umberto Buglione per L’Officiel e il fotografo di moda Maurizio Montani”-dicono i responsabili-“le fotografie di questi protfolio vengono presentati a una sfilata di moda che organizziamo per i nostri truccatori. La nostra azienda organizza tutti gli accordi per questo progetto, inclusi voli, trasferimenti, hotel, corsi di perfezionamento presso un rinomato studio di Milano e casting di modelli. Non pretendiamo di rappresentare in alcun modo la settimana della moda italiana, è un concetto completamente diverso, che mette in risalto solo il trucco e in particolare il lavoro svolto dalla nostra delegazione israeliana”.
  Il prossimo progetto del Milano Fashion Tour prevederà l’arrivo a Milano il 2 luglio, con master class presso multiset studio con il make up artist italiani Raffaele Schioppo, nuove tendenze nel fashion make up, inclusa una dimostrazione del suo lavoro su una modella.
  Ad ogni truccatore israeliano verrà assegnato un modello per sperimentare cio’ che ha appreso e i modelli verranno fotografati dal fotografo di moda Umberto Buglione per i loro portfolio
  Non mancherà lo shopping a Milano, il 4 luglio, poi, un bus privato porterà la delegazione insieme alle modelle da Milano allo studio di Maurizio Montani a verso la nuova. Lì verrà girata una campagna di make up per un look da red carpet e uno da moda estiva.
  Il 5 luglio seguirà una master class mattutina con il truccatore Federico Terni, poi, pratica e servizio fotografico.
  Successivamente i truccatori israeliani si prepareranno alla sfilata a Palazzo Visconti organizzata appositamente per la delegazione, per presentare le loro competenze sulle modelle scelte per la sfilata. “Per questa quinta delegazione avremo bisogno di oltre 100 modelli diversi per tutto il progetto, poiché abbiamo deciso di utilizzare modelli diversi ogni giorno per offrire un’esperienza diversa ai nostri truccatori”-aggiungono i responsabili del Milano Fashion Tour-“come accennato in precedenza, questo progetto non è in alcun modo legato alla settimana della moda né intende provocare una falsa rappresentazione del nostro concetto”.

(politicamentecorretto, 8 luglio 2023)

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Alta Tensione in Medio Oriente: Israele Attacca Nablus dopo l’offensiva a  Jenin

di Marco Paganelli

Dopo la battaglia avviata da Benjamin Netanyahu a Jenin presentata all’opinione pubblica come il più grande evento militare nell’area dell’ultimo ventennio, la risposta di Hamas mediante il recente attentato a Tel Aviv, la rappresaglia tramite i lanci di razzi da Gaza  a cui sono seguiti i raid compiuti dai jet con la Stella di David, non si ferma la violenza in Medio oriente. Israele ha lanciato un’operazione anti terrorismo a Nablus. Due palestinesi sono rimasti feriti e altrettanti uccisi,dagli organi di sicurezza dello Stato ebraico, durante il tentativo di arrestare alcuni uomini accusati di aver esploso colpi di armi da fuoco contro un’auto della polizia. L’azione, volta a stanare i responsabili, ha generato una sparatoria in cui sono rimaste ferite due persone e altrettante hanno perso la vita. Queste ultime erano sospettate di aver compiuto azioni ostili nei confronti di una piccola comunità di samaritani vicino all’insediamento ebraico di Har Bracha in Cisgiordania.

• Tensione anche in Libano
  La situazione rimane tesa però anche in Libano. Un paio di razzi sarebbero stati lanciati, senza alcuna rivendicazione, dal Paese dei cedri verso l’alleato americano di sempre. Gli organi di informazione in loco hanno puntualizzato che i vettori non avrebbero raggiunto gli obiettivi previsti, cadendo così in aree agricole e disabitate. L’unica certezza è che il nemico sionista ha scatenato, a stretto giro, la rappresaglia indirizzando l’artiglieria verso il sito della presunta provenienza del vettore.

• La dichiarazione del ministro della Difesa israeliano
  Agiremo ”contro qualsiasi violazione della sovranità e sfida alla nostra presenza”, ha assicurato il ministro della Difesa israeliano. La reazione di Hezbollah non si è lasciata attendere. Il partito  vicino all’Iran ha denunciato infatti “l’occupazione” di una porzione di territorio conteso lungo la cosiddetta Linea Blu che separa la nazione filo sciita da quella tutelata da Washington. L’invito a combattere contro quest’ultima è stato rivolto dalla milizia appoggiata dai Pasdaran.

• I rischi derivanti da uno scontro in Medio Oriente
  Un eventuale scontro nella zona incendierebbe l’intera regione con potenziali conseguenze catastrofiche a livello economico. Una possibile guerra contro la Repubblica Islamica provocherebbe sicuramente un balzo dei prezzi del petrolio con potenziali conseguenze negative sull’inflazione a livello globale. Teheran ha anche grande rilevanza in termini geopolitici, dal momento che gode della protezione di Paesi come la Siria, ma soprattutto di Russia e Cina. Mosca e Pechino non esiterebbero a utilizzare qualsiasi opzione per tutelare gli interessi del proprio alleato e scontrarsi con gli Stati Uniti, ovvero il loro principale rivale nell’arena globale.

(byoblu, 7 luglio 2023)

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Israele: parte il progetto per un cavo elettrico sottomarino che potrà collegarsi con le reti elettriche in Europa e nel Golfo

di Luca Spizzichino

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Israele sta sviluppando un cavo elettrico sottomarino al fine di rispondere alla crescente domanda energetica nel centro e nord del Paese, nonché connettere la rete elettrica nazionale a quella europea e dei Paesi nella regione del Golfo.
  Martedì scorso il Consiglio nazionale per la pianificazione e l'edilizia ha deciso di iniziare con l’impostazione e la costruzione del cavo elettrico sottomarino di 150 chilometri (93 miglia) che correrà lungo la costa mediterranea di Israele, da Ashkelon a sud fino a Haifa a nord. Il cavo elettrico sottomarino trasmetterà l'elettricità generata principalmente dai campi di energia solare nel sud dello Stato ebraico alle aree di domanda nelle città del centro e del nord.
  Secondo il progetto, ci sarà anche la possibilità di collegare la rete elettrica israeliana alle reti elettriche in Europa, attraverso Cipro e la Grecia, così come l'opzione di collegamento ai paesi del Golfo attraverso la Giordania e l'Egitto: così ha affermato il ministero dell’Energia e delle Infrastrutture israeliano. Il collegamento del cavo sottomarino a Paesi come l'Egitto aprirebbe la possibilità di avere un backup per la rete locale in caso di carenza di energia, e consentirebbe l'esportazione di elettricità verde prodotta in Israele.
  Il progetto fa parte di una visione più ampia del ministro dell'Energia e delle Infrastrutture Israel Katz di trasformare Israele in una potenza energetica e un ponte energetico che colleghi Oriente e Occidente.
  “Accolgo con favore il primo passo verso la realizzazione di un cavo elettrico sottomarino lungo la costa israeliana – un rivoluzionario progetto transfrontaliero che farà avanzare la rete elettrica israeliana e aiuterà Israele a diventare una potenza energetica”, ha affermato il ministro Katz in una nota. “Il cavo è una parte significativa del Piano nazionale per l'energia e le infrastrutture che presenterò nelle prossime settimane, per migliorare l'affidabilità del sistema elettrico, accelerare la diffusione delle energie rinnovabili e collegare la rete elettrica di Israele a Europa, Egitto, Giordania e Stati del Golfo, un passo che contribuirà alla stabilità regionale” ha aggiunto.
  Le recenti ondate di caldo che hanno portato a interruzioni di corrente nel Paese, mentre la rete elettrica fatica a soddisfare la domanda soffocante. Quindi la sicurezza e l'indipendenza energetica sono diventati un tema di primaria importanza per il governo.
  Il piano per il cavo elettrico sottomarino arriva dopo la visita in Francia del ministro Katz a giugno, dove ha visitato l'interconnessione elettrica sottomarina IFA-2 che corre sotto la Manica tra la Francia e il Regno Unito. Sempre il mese scorso il gruppo energetico statale EAPC (Europe Asia Pipeline Co.) ha annunciato di aver raggiunto un accordo con il governo israeliano per costruire un cavo in fibra ottica di 254 chilometri (158 miglia) tra il Mediterraneo e il Mar Rosso come parte di un progetto nazionale per trasformare Israele in un hub di comunicazione e corridoio per la trasmissione di dati in Medio Oriente, collegando l'Europa agli stati del Golfo e all'Asia.

(Shalom, 7 luglio 2023)

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“Tsurkov, rapita perché israeliana. Riteniamo l’Iraq responsabile”

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Elizabeth Tsurkov, ricercatrice esperta di Medio Oriente con cittadinanza israeliana e russa, si trovava a Bagdad per fare ricerca nel suo campo. Dottoranda all’Università di Princeton, il 19 marzo scorso aveva fatto sapere alla rivista con cui collaborava – il New Lines Magazine – di voler rientrare negli Stati Uniti. “Ci ha detto che ne aveva abbastanza di fare ricerca sul campo in Medio Oriente e che voleva tornare all’Università di Princeton per scrivere la sua tesi di dottorato. ‘Niente più lavoro sul campo’, aveva detto. – raccontano i colleghi del New Lines Magazine – Eravamo sollevati. Non volevamo che rimanesse in un Iraq sempre più dominato dalle milizie filo-iraniane. Poco più di una settimana dopo abbiamo appreso dalle nostre fonti che una milizia filo-iraniana l’aveva rapita a Baghdad, dove stava facendo ricerca. Da allora non abbiamo più avuto sue notizie”. Da mesi Tsurkov, 36 anni, è infatti nelle mani del gruppo Kataib Hezbollah, una milizia irachena legata all’Iran. Lo ha confermato nelle scorse ore al New York Times l’ufficio del Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. “Elizabeth Tsurkov è ancora viva e riteniamo l’Iraq responsabile della sua sicurezza e del suo benessere”, la posizione del governo di Gerusalemme.
  “È un’accademica che ha visitato l’Iraq con il suo passaporto russo, di sua iniziativa, per lavorare al suo dottorato e alla sua ricerca accademica per conto dell’Università di Princeton negli Stati Uniti”. Tsurkov è entrata nel paese usando il passaporto russo, considerando che Israele e Iraq non hanno relazioni diplomatiche e che il secondo considera il primo un paese ostile. Una fonte di Haaretz ha affermato che chi ha rapito la ricercatrice probabilmente sapeva che fosse una cittadina israeliana.
  E, aggiunge Yedioth Ahronoth, i funzionari israeliani ritengono che il caso non sarà risolto nel prossimo futuro. “Non ci si aspetta un rilascio immediato, ed è improbabile che Israele si impegni in negoziati diretti o in pagamenti per il rilascio di Tsurkov, come ha fatto in precedenti casi di rapimenti israeliani”.
  L’organizzazione che l’ha rapita, Kataib Hezbollah, non è direttamente affiliata al famigerato movimento terroristico libanese, ma è strettamente collegato alle Guardie rivoluzionarie iraniane. Gli Stati Uniti l’hanno ufficialmente designata come organizzazione terroristica e la ritiene responsabile del lancio di razzi contro una sua base in Iraq nel 2019. Un attacco, sottolinea il New York Times, che ha contribuito l’allora amministrazione americana a decidere per l’eliminazione di Qassim Suleimani, il capo della Forza Quds iraniana, braccio internazionale delle Guardie rivoluzionarie.
  Sempre secondo il quotidiano americano, proprio i legami tra Kataib Hezbollah e il regime di Teheran fanno temere per un possibile trasferimento di Tsurkov in Iran. “Se il suo rapimento dovesse risultare più direttamente collegato all’Iran, si tratterebbe di una grave escalation in una lunga guerra ombra tra Israele, la stessa Iran e i suoi alleati in tutto il Medio Oriente”, scrive il New York Times. Le fonti di Yedioth Ahronoth e Haaretz sembrano escludere questo trasferimento. Inoltre fanno sapere che le condizioni della ricercatrice sono “buone, nonostante sia tenuta prigioniera”.
  Tsurkov è nata nel 1986 a San Pietroburgo. È figlia di due dissidenti politici che furono imprigionati dalle autorità sovietiche per aver lavorato al fianco di Natan Sharansky, il celebre dissidente che lottò per il diritto degli ebrei dell’Urss di emigrare in Israele. I Tsurkov fecero l’aliyah nel 1990 ed Elizabeth, dopo il servizio militare, dal 2006 al 2008 ha lavorato come assistente proprio di Sharansky. “La conosco da molti anni. È chiaro che non è una spia dell’America, della Russia o di Israele, ed è impegnata soprattutto nella ricerca accademica”, le parole di Sharansky sulla vicenda del rapimento. Nel suo percorso di studi in scienze politiche Tsurkov si è focalizzata sul Medio Oriente. Dalla Siria all’Iraq, che ha visitato dieci volte in passato.

(moked, 6 luglio 2023)

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Razzi di Hezbollah sul confine. E Israele colpisce due villaggi

Tensioni crescenti sul Golan conteso. Dopo il blitz militare a Jenin, la provocazione delle milizie sciite

di Chiara Clausi

Ieri la situazione alla frontiera tra Israele e Libano è diventata incandescente e si è rischiato che il conflitto degenerasse. Al mattino due razzi sono stati lanciati verso lo Stato ebraico. Uno si è schiantato in territorio libanese e l'altro vicino al villaggio conteso di Ghajar, che si trova a cavallo del confine tra il Libano e le alture del Golan annesse da Israele. Tsahal ha risposto con attacchi di artiglieria. Per il momento non ci sono state rivendicazioni. In precedenza si era riferito di un solo razzo esploso dal sud del Libano verso Israele, nel settore orientale della Linea Blu di demarcazione. Lo scontro a fuoco arriva il giorno dopo che l'esercito israeliano ha completato un'importante operazione nel campo profughi di Jenin nel nord della Cisgiordania che ha causato la morte di 12 palestinesi oltre a quella di un soldato israeliano. Non è la prima volta che i militanti palestinesi in Libano intervengono contro lo Stato ebraico. Ad aprile, Tsahal ha effettuato attacchi aerei su obiettivi che si diceva appartenessero ad Hamas nel sud del Libano, dopo che più di 30 razzi erano stati lanciati da lì verso il territorio israeliano. È stata la più grande azione di questo tipo dalla guerra del 2006.
  Ieri in reazione più di 15 proiettili israeliani hanno colpito la periferia dei villaggi libanesi di Kfar Shouba e Halta. La forza di pace delle Nazioni Unite in Libano, Unifil, ha esortato tutte le parti a «esercitare moderazione ed evitare qualsiasi azione che possa causare un'ulteriore escalation». L'incidente è avvenuto nel mezzo di tensioni crescenti al confine, dopo che Hezbollah ha allestito due tende all'interno del territorio israeliano il mese scorso. L'area del Monte Dov dove sono state montate, nota anche come le fattorie di Shebaa, fu conquistata da Israele e strappata alla Siria durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967 e successivamente annessa di fatto insieme alle alture del Golan. Il governo del Paese dei cedri afferma che l'area appartiene al Libano. Intanto Hezbollah ha evacuato una delle due tende domenica, ma non c'è stata alcuna conferma da parte dell'organizzazione. Ciò è avvenuto anche a causa della crescente pressione internazionale. Hezbollah non ha commentato il lancio di razzi. Ma ha rilasciato una dichiarazione in cui condanna le «gravi misure» recentemente prese dalle forze israeliane a Ghajar, tra cui «l'erezione di un filo spinato e la costruzione di un muro di cemento che circonda l'intero villaggio».
  Israele e Hezbollah hanno combattuto una guerra durata un mese nel 2006 e la tensione è sempre alta. La scorsa settimana, il gruppo militante sciita ha affermato di aver abbattuto un drone israeliano che sorvolava un villaggio nel sud del Libano. L'organizzazione alleata dell'Iran è stata a lungo il più potente avversario di Israele ai confini, con un arsenale stimato di quasi 150 mila razzi e missili che possono raggiungere qualsiasi parte dello Stato ebraico.

(il Giornale, 7 luglio 2023)

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Cisgiordania, l'esercito israeliano uccide due terroristi palestinesi

Due terroristi palestinesi armati sono stati uccisi e altri tre sono stati arrestati in scontri con le forze israeliane a Nablus venerdì, secondo quanto riportato da testimoni sul posto.
  Secondo la Radio dell’Esercito, i due palestinesi uccisi sarebbero stati responsabili di un attacco con armi da fuoco avvenuto all’inizio della settimana contro una piccola comunità samaritana in Cisgiordania, vicino all’insediamento ebraico di Har Bracha. Nell’attentato non sono stati riportati feriti.
  Gli scontri arrivano un giorno dopo che il sergente maggiore Shilo Yosef Amir, 22 anni, è stato ucciso da un uomo armato palestinese vicino all’insediamento di Kedumim. Hamas ha rivendicato la responsabilità dell’attacco.
  Le Brigate Izz ad-Din al-Qassam hanno dichiarato che l’uccisione di Amir è stata una risposta all’operazione israeliana a Jenin e alle recenti violenze dei coloni contro i palestinesi in Cisgiordania.
  Durante l’operazione dell’IDF a Jenin, 12 uomini armati palestinesi sono stati uccisi insieme a un soldato israeliano, il sergente di prima classe David Yehuda Yitzhak dell’unità di commando Egoz.
  Nell’ultimo anno, uomini armati palestinesi hanno ripetutamente preso di mira le postazioni militari, le truppe che operano lungo la barriera di sicurezza della Cisgiordania, gli insediamenti israeliani e i civili lungo le strade.
  La tensione tra israeliani e palestinesi è sempre stata alta in tutta la Cisgiordania nell’ultimo anno e mezzo, con l’esercito che ha effettuato incursioni quasi ogni giorno e con una serie di attacchi terroristici palestinesi, anche mortali.
  Dall’inizio di quest’anno, gli attacchi palestinesi in Israele e in Cisgiordania hanno ucciso 25 persone, compresa la sparatoria di giovedì.

(Rights Reporter, 7 luglio 2023)

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   L'ambasciatore d'Israele a Napoli: «Patto Napoli-Israele»

«Napoli è una città speciale, si vede subito che ha una marcia in più»

di Giuseppe Crimaldi

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«Napoli è una città speciale, si vede subito che ha una marcia in più, e la Campania è una regione meravigliosa e ricca di risorse e di opportunità produttive». L'ambasciatore d'Israele in Italia, Alon Bar, ha appena concluso la visita di due giorni nel capoluogo campano e si dice soddisfatto: in quarantott'ore ha avuto un giro vorticoso di incontri con rappresentanti delle istituzioni, del mondo imprenditoriale, accademico e culturale, con i rappresentanti dell'associazionismo.

- Ambasciatore, tracciamo un bilancio degli incontri avuti a Napoli.
  «Sono veramente soddisfatto. Dagli incontri che si sono succeduti sono emersi spunti di reciproco interesse ad un interscambio che rafforza l'amicizia tra le nostre due nazioni. Israele è molto interessata a sviluppare la rete di collaborazione sui piani industriali, commerciali, accademici e di ricerca, per non parlare delle possibilità di ampia collaborazione nel settore della cultura».

- Partiamo dall'incontro con il presidente della Regione, Vincenzo De Luca.
  «Un incontro sicuramente costruttivo. Con il governatore abbiamo discusso di diversi argomenti, ma soprattutto di nuove tecnologie da dedicare al settore dell'agricoltura, che è molto forte nella vostra regione, di risorse idriche e di aerospaziale. Tutte opportunità che contiamo di sfruttare. Ho ricordato che già lo scorso anno il governo israeliano volle puntare sulla città di Napoli per organizzare presso il polo universitario di San Giovanni a Teduccio un convegno di alto profilo, insieme con Confagricoltura e l'Università Federico II, interamente dedicato all'agritech. Fu un vero successo, perché - oltre alla partecipazione di molti ministri - da quelle giornate di incontri si sono sviluppate relazioni tra aziende e start up israeliane e imprese italiane, con un reciproco beneficio».

- E per il prossimo futuro cosa dobbiamo aspettarci?
  «Abbiamo prospettato al presidente De Luca la possibilità di organizzare per il prossimo anno un altro grande meeting in collaborazione con la Regione Campania dedicato all'acqua e alle tecnologie di altissima innovazione che sfruttano i nano-satelliti per ridurre lo spreco delle risorse idriche: De Luca ha dato la sua disponibilità a chiudere in tempi rapidi questo accordo, spiegandoci che la Campania continua purtroppo ad avere un grave handicap in termini di perdita di acqua».

- Ci parli degli altri incontri avuti a Napoli.
  «Con il sindaco Manfredi abbiamo avuto un lungo e cordiale colloquio. Manfredi, quando era presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane, ha sempre avuto ottimi rapporti con Israele. Ho incontrato anche i rettori Lorito, della Federico II, e Tottoli dell'Orientale: anche sul piano accademico la tradizione dei rapporti con le vostre università è robusta e duratura, ma noi vogliamo svilupparla ulteriormente».

- Un vero tour de force, il suo. Ha avuto altri contatti?
  «Con il presidente dell'Autorità Portuale, Andrea Annunziata, si è discusso di cybersicurezza. Il presidente è molto attento a queste tematiche e abbiamo spazio per accordi di cooperazione. Poi ho conosciuto i vertici del Museo Madre, un incontro stimolante e foriero di collaborazioni che coinvolgeranno in esposizioni anche qui a Napoli di artisti israeliani. Tra l'altro ho potuto constatare che il Madre è un museo bellissimo! E, a proposito di cultura, non poteva mancare una tappa al vostro giornale, testata storica del Sud. L'incontro con il direttore Francesco de Core è stata un'altra ottima occasione di confronto sui temi dell'attualità nazionale e internazionale». 

(Il Mattino, 7 luglio 2023)

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Parashà di Pinechàs: la preghiera per le cose belle della vita

di Donato Grosser

L’ultima parte di questa parashà tratta l’argomento dei korbanòt, le offerte, che si dovevano portare al Bet Ha-Mikdàsh. Questa sezione inizia con il korbàn tamìd, l’offerta quotidiana da portare alla mattina e al pomeriggio, e prosegue elencando i korbanòt da portare nei sabati e nei yamìm tovìm, nei giorni festivi.   
            Nella Torà è scritto in cosa consisteva l’offerta quotidiana: “Preparerai un agnello al mattino e il secondo agnello il pomeriggio. Ci sarà anche un decimo di efà di fior di farina, come minchà (offerta farinacea), intrisa in un quarto di hin di olio vergine.[...]. La libazione per ogni agnello, quale libazione di vino all’Eterno, sarà di  un quarto di hin. Il secondo agnello lo preparerai  al pomeriggio, con una minchà uguale a quella del mattino e così pure per la sua libazione ...” (Bemidbàr, 28: 4-8). 
            R. Joseeph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (p. 224), scrive che i Maestri istituirono le tefillòt di Shachrìt e di Minchà, una la mattina, l’altra al pomeriggio, in corrispondenza al korbàn tamìd. Il termine minchà per la tefillà del pomeriggio appare per la prima volta nei Tehillìm (Salmi, 141:2). Re Davide nella sua tefillà disse: “La mia tefillà stia nel tuo cospetto come il ketòret (profumo), l’elevazione delle mie mani come minchàt ‘arev, (l’offerta della sera)”. 
            In modo simile quando il navì (profeta) Elia, presentò un korbàn sul Monte Carmelo, durante la disputa con i sacerdoti del Ba’al, fece in modo che l’offerta avesse luogo nell’ora dell’offerta del korbàn tamìd del pomeriggio (I Re, 18:36). 
            Il Nachmanide (Girona, 1194-1270, Acco), citato da r. Soloveitchik, si domanda per quale motivo la tefillà del pomeriggio è denominata minchà. Infatti il termine minchà si riferisce all’offerta farinacea che accompagnava il korbàn tamìd
            R. Soloveitchik spiega che il tema principale della tefillà di shachrìt è il debito che l’uomo ha nei confronti del Creatore per la sua esistenza; per il semplice fatto che di mattina ci svegliamo e riprendiamo le nostri funzioni mentali e fisiche. Questo tipo di ringraziamento viene espresso con le parole: “Mio Dio, l’anima che mi hai dato è pura...”. 
            Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) nel Mishnè Torà (Hilkhòt Tefillà, 6:4) scrive che dopo l’alba è proibito mangiare o fare alcun lavoro prima di aver recitato la tefillà di shachrìtR. Israel Belsky (New York, 1938-2016) commentò che non bisogna fare alcun lavoro prima di avere recitato le berakhòt del mattino che, come disse r. Ya’akov Kamenetzky (Lituania, 1891, 1886, Baltimora) comprendono già parte della tefillà. 
            R. Soloveitchik aggiunge, che in contrasto alla tefillà della mattina, nella tefillà di minchà, del pomeriggio, chiediamo che tutto quello che è bello nella nostra vita possa continuare. Non preghiamo semplicemente per le nostre prime necessità, ma per le cose belle della vita, rappresentate dalla libagione di vino che accompagna l’offerta farinacea (minchà). La tefillà del pomeriggio prende quindi il suo nome da questa offerta. Quando si va a lavorare, non lo si fa solo per le necessità di base ma si vuole anche migliorare il proprio standard di vita. Per questo i maestri (T.B., Berakhòt, 6b) insegnano che bisogna stare attenti riguardo alla tefillà di minchà perché la tefillà del navì Elia venne esaudita proprio nel pomeriggio.  Ringraziare il Creatore per le belle cose della vita è altrettanto importante quanto riconoscere che è il Creatore che ci dà il minimo necessario per vivere.

(Shalom, 7 luglio 2023)
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Parashà della settimana: Pinehas (Fineas)

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Monaco: ritrovati resti di una sinagoga distrutta dai nazisti

di Nathan Greppi

A Monaco di Baviera sono stati recentemente ritrovati i resti di una sinagoga distrutta su ordine di Hitler nel giugno 1938. Degli operai edili hanno ritrovato i resti durante dei lavori sul fondo del vicino fiume Isar, rinvenendo le colonne portanti della sinagoga e una lastra di pietra con incisi i Dieci Comandamenti.
  Secondo la BBC, la comunità ebraica locale ha espresso una certa soddisfazione nel sapere del ritrovamento. Prima della Seconda Guerra Mondiale, era uno dei luoghi più importanti per l’ebraismo bavarese. Dopo la guerra, molte rovine del tempio, così come di altri edifici semidistrutti dai bombardamenti, furono riutilizzate per un totale di 150 tonnellate di detriti per costruire una diga sul fiume, e sul sito dove un tempo sorgeva la sinagoga vennero poi edificati dei grandi magazzini.
  Charlotte Knobloch, nata a Monaco e già presidente del Consiglio Centrale degli Ebrei di Germania (equivalente tedesco dell’UCEI italiana), ha espresso la propria felicità per il ritrovamento, in quanto da bambina pregava anche lei nella stessa sinagoga. “Queste pietre fanno parte della storia ebraica di Monaco”, ha detto al quotidiano locale Münchner Merkur. “Non immaginavo che questi resti fossero sopravvissuti, tantomeno che li avremmo rivisti”.
  Le autorità locali hanno detto che i resti della sinagoga verranno presto restituiti alla comunità ebraica.
  Stando ai dati del demografo Sergio Della Pergola e del World Jewish Congress, le ultime statistiche indicano che in Germania attualmente vivono circa 100.000 ebrei, dei quali circa 9.000 a Monaco di Baviera, facendone la seconda più grande comunità ebraica tedesca dopo Berlino.

(Bet Magazine Mosaico, 6 luglio 2023)

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Vaccini Covid, "74% dei decessi dovuti alle reazioni avverse, esaminate 325 autopsie": lo studio su Lancet rimosso in meno di 24h dalla pubblicazione

Lo studio che faceva luce sull'enorme mole di decessi dopo la messa in commercio del vaccino anti-Covid è scomparso dal sito della prestigiosa rivista medica in men che non si dica.

Uno studio importantissimo pubblicato su Lancet che aveva il ruolo di far luce sull'enorme numero di decessi scaturiti dopo la messa in commercio del vaccino Covid è durato 24 ore. Lo studio, una pre-stampa che era in attesa di revisione tra pari, è stato scritto dal famoso cardiologo Dr. Peter McCullough, dall'epidemiologo di Yale Dr. Harvey Risch e dai loro colleghi della Wellness Company ed è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista medica. Ma ha avuto vita breve.
  325 autopsie esaminate, buona parte dei quali con una media dell'età tra i 70 anni e vaccinati con Pfizer. Il 74% di questi morti per reazioni avverse da vaccino Covid. Era quello che gli studiosi cercavano di spiegare in maniera dettagliata cercando di fare luce su una vicenda che per tanto tempo è rimasta nascosta.
  Tuttavia, meno di 24 ore dopo, lo studio è stato rimosso ed è apparsa una nota che affermava: "Questo preprint è stato rimosso  perché le conclusioni dello studio non sono supportate dalla metodologia dello studio". Sebbene lo studio non abbia subito alcuna parte del processo di revisione tra pari, la nota implica che non rispettava i "criteri di selezione".
  Senza ulteriori dettagli da parte dello staff di Lancet che ha rimosso il documento, è difficile sapere quale sostanza abbia realmente l'affermazione secondo cui le conclusioni non sono supportate dalla metodologia. Molti autori che hanno scritto questo lavoro sono laureati ed affermati presso le migliori università del mondo quindi è difficile immaginare che la metodologia della loro revisione fosse davvero così scadente da giustificare la rimozione allo screening iniziale piuttosto che essere soggetta a una valutazione critica completa.
  Il web si è chiaramente già schierato dopo la notizia della rimozione, parlando a tutti gli effetti di "censura".

(IL GIORNALE D'ITALIA, 6 luglio 2023)

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In risposta a razzo, Israele colpisce in Libano

Portavoce militare: 'In zona dove è avvenuto il lancio' 

In risposta al lancio di un razzo dal Libano, Israele sta colpendo ora la zona da cui è partito il colpo che si trova in territorio libanese.
Lo ha fatto sapere il portavoce militare che ha confermato il lancio del razzo dal Libano "esploso nelle adiacenze del confine in territorio israeliano"
L’esplosione è avvenuta nei pressi della cittadina di Ghajar nel nord del Paese.

(ANSA, 6 luglio 2023)

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L’IDF ritira le truppe da Jenin, un bilancio dell’operazione di antiterrorismo

di David Fiorentini

A 44 ore dall’inizio della più vasta operazione di antiterrorismo in Cisgiordania degli ultimi 20 anni, le forze di difesa israeliane si ritirano dalla città di Jenin. Situata nel nord del West Bank, con una popolazione di circa 50 mila persone di cui 10 mila residenti nell’adiacente campo profughi, secondo gli Accordi di Oslo ricade nella giurisdizione della cosiddetta Area A, per cui sotto controllo militare e civile dell’Autorità Nazionale Palestinese.
  Tuttavia, fin dai tempi della Seconda Intifada (2000-2005), l’ondata di terrore palestinese che causò la morte di oltre mille civili israeliani, Jenin fu identificata come il caposaldo logistico di numerose cellule. Da allora, l’IDF ha stretto delle pragmatiche cooperazioni con le forze dell’ordine dell’ANP mirate a contenere e sradicare i movimenti fondamentalisti islamici presenti sul territorio gestito dall’Autorità Palestinese.
  Nonostante gli intensi sforzi di intelligence, oggi a Jenin sono operativi almeno tre gruppi terroristici, Hamas, la Jihad Islamica Palestinese (PIJ), e le più recenti Brigate Jenin. Riempiendo il vuoto di potere lasciato dalla vetusta classe dirigente palestinese e sfruttando le infrastrutture locali, i vari movimenti hanno riscosso sempre più supporto tra la popolazione cittadina, guadagnando seguaci e reclutando adepti.

• Mesi e mesi di terrore insostenibile
   Come detto, la località di Jenin appare spesso tra le carte dell’IDF e dello Shin Bet, il servizio di intelligence interno di Israele, per cui è risaputo che la città sia un centro nevralgico di attività sospette.
  Nondimeno, negli ultimi mesi ha fatto le prime pagine dei giornali a seguito della lunga serie di attentati che hanno colpito la quotidianità israeliana, sia in aree di confine sia nel pieno centro di Tel Aviv, togliendo la vita a 24 israeliani e generando forti tensioni. Solo nello scorso anno, quasi 50 attentati con arma da fuoco sono stati eseguiti da residenti di Jenin, e almeno 19 terroristi si sono nascosti nella cittadina palestinese per evitare la cattura e l’arresto.
  Una serie impressionante, che ha spinto l’IDF a incrementare le manovre fino ad avviare la più estesa risposta degli ultimi anni.

• L’operazione “Bait VaGan” (Casa e Giardino)
  Lanciata nella notte tra il 2 e il 3 luglio, l’operazione “Bait VeGan”, che richiama il nome biblico di Jenin, Ein Ganim, ha coinvolto oltre mille militari israeliani con l’obiettivo di smantellare quanto più possibile della rete terroristica cisgiordana.
  Durante le 44 ore in cui l’esercito israeliano è stato attivo nella città palestinese, sono stati interrogati oltre 300 sospettati, di cui 30 sono stati prelevati per ulteriori sospetti e circa 300 ordigni sono stati fatti brillare. Per di più, sono stati scovati 8 magazzini di armamenti, 6 laboratori per la produzione di esplosivi e 3 “sale da guerra” da cui comandanti palestinesi osservavano le forze israeliane.
  Ufficiali dell’esercito ritengono che la maggior parte dei brigatisti sia riuscita a fuggire dalle proprie abitazioni. Tuttavia, ciò ha ridotto gli scontri a fuoco, facilitando la celerità delle divisioni israeliane.
  Nel corso delle operazioni sono stati impiegati elicotteri, droni e i bulldozer corazzati D9, funzionali a contrastare eventuali mine posizionate ai bordi delle strade. Alcune, infatti, sono state scoperte nei pressi di ospedali e moschee, in zone densamente abitate, mettendo a repentaglio la sicurezza anche dei civili.
  In quasi due giorni di scontri incessanti, secondo le fonti sanitarie palestinesi sono state uccise 12 persone, ferite oltre 100 e circa 4000 persone sono state costrette a evacuare le proprie abitazioni. Il portavoce dell’IDF Contrammiraglio Daniel Hagari ha invece affermato che le vittime sono state 18, tutte coinvolte in attività che ponevano una minaccia alla sicurezza nazionale, ma che a causa dell’alta densità abitativa vari civili sono rimasti feriti nel fuoco incrociato. Hagari ha inoltre negato le accuse di aver forzato la popolazione locale ad abbandonare Jenin.
  Dal lato israeliano, ha perso la vita un militare, il ventitreenne Sergente David Yehuda Yitzhak dell’unità Egoz, proprio al principio della manovre di messa in sicurezza funzionali all’evacuazione della città.
  Nel complesso Bait VeGan ha dato dimostrazione della risolutezza israeliana nel contrasto alla violenza palestinese, ma alti officiali israeliani hanno già affermato che ulteriori attività seguiranno nelle prossime settimane per completare il lavoro intrapreso in questi giorni, auspicando di smembrare il sistema alla base della recente ondata di attacchi palestinesi.

• Le reazioni all’operazione in Israele
  Come spesso accade, in tempi difficili la politica mette da parte le divergenze e mira al bene comune. Il leader dell’opposizione Yair Lapid ha espresso il pieno appoggio alla missione e al diritto di Israele di difendersi, così come l’ex ministro della Difesa Benny Gantz.
  D’altro canto, in alcune aree dello Stato si sono verificati degli scontri con la polizia in protesta alla campagna israeliana, in particolare a Haifa dove sono stati arrestati 7 manifestanti o a Tel Aviv dove due membri arabi-israeliani della Knesset, Ayman Odeh e Ofer Cassif del partito arabo Hadash-Ta’al, hanno denunciato pubblicamente “l’occupazione criminale” israeliana.

• L’attentato a Tel Aviv
  Il 4 luglio a Tel Aviv un’auto lanciata sulle persone che aspettavano l’autobus alla fermata ha causato 8 feriti. Hamas ha lodato l’attacco terroristico a Tel Aviv, descrivendolo come “una eroica vendetta per Jenin”.  Il capo della polizia Yaacov Shabtai racconta ai giornalisti la dinamica dell’attacco: l’attentatore è arrivato a bordo di un furgone ed ha centrato una fermata di un autobus. Subito dopo ha cominciato ad accoltellare i passanti. L’aggressore è stato fermato dall’intervento di un civile israeliano armato, che gli ha sparato uccidendolo sul colpo.

(Bet Magazine Mosaico, 6 luglio 2023)

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Intollerabile antisemitismo della BBC che alimenta odio verso Israele

“Le forze israeliane sono felici di uccidere i bambini”, ha detto un conduttore della BBC a Naftali Bennett in un’intervista in cui l’ex primo ministro ha difeso l’operazione israeliana a Jenin.
  L’intervista è stata condotta dalla conduttrice Anjana Gadgil ed è stata pubblicata mercoledì sul canale YouTube di Bennett.
  I militari israeliani la chiamano “operazione militare”, ma ora sappiamo che sono stati uccisi dei giovani, quattro dei quali sotto i 18 anni. È davvero questo l’obiettivo dei militari? Uccidere persone tra i 16 e i 18 anni?”.
  “Al contrario”, ha risposto Bennett. “In realtà, tutte le 11 persone morte lì sono militanti. Il fatto che ci siano giovani terroristi che decidono di impugnare le armi è una loro responsabilità”.
  L’ex leader ha poi spiegato che molti degli attacchi terroristici dell’ultimo anno, che hanno causato decine di morti tra i civili israeliani, sono stati perpetrati da persone provenienti da Jenin e addestrate a Jenin: “Jenin è diventata un epicentro del terrore”, ha detto. “Tutti i palestinesi uccisi erano terroristi in questo caso”.
  Questa affermazione della BBC priva di fondamento non solo distorce la realtà sul campo, ma equivale anche a un pericoloso incitamento e a una gravissima diffamazione, alimentando la già crescente ondata di antisemitismo in tutto il mondo.
  L’International Legal Forum, una rete globale di avvocati che combattono l’antisemitismo e il terrore, ha espresso totale sgomento e shock per il comportamento di Gadgil. In una lettera aperta indirizzata al direttore generale della BBC, Tim Davie, alla professoressa Dame Elan Closs Stephens, presidente in carica del Consiglio di amministrazione della BBC, e a Deborah Turness, amministratore delegato di BBC News and Current Affairs, ILF ha sottolineato la natura falsa e fuorviante della dichiarazione di Gadgil.
  Hanno sottolineato che le forze israeliane prendono rigorosamente di mira elementi terroristici, combattenti e infrastrutture militari a Jenin, un focolaio di terrore negli ultimi anni.
  L’ILF ha sottolineato che alcuni combattenti palestinesi, tra cui individui di soli 17 anni, sono stati cinicamente reclutati da gruppi terroristici, il che costituisce una grave violazione del diritto internazionale.
  L’ILF ha esortato la BBC a rispettare la sua missione di fornire notizie e informazioni imparziali e ha chiesto all’emittente scuse pubbliche immediate e inequivocabili. L’ILF ha inoltre chiesto che vengano presi provvedimenti adeguati nei confronti di Gadgil per la sua inaccettabile condotta.
  La BBC ha risposto alla lettera dell’EJA con una dichiarazione in cui si scusava per il modo in cui erano state poste le domande: “Abbiamo ricevuto commenti e lamentele in merito a un’intervista con l’ex primo ministro israeliano Naftali Bennett sui recenti eventi in Cisgiordania e Israele”, si legge nel comunicato.
  “Sebbene questo fosse un argomento legittimo da esaminare nel corso dell’intervista, ci scusiamo per il fatto che il linguaggio usato in questa linea di domande non era formulato bene ed era inappropriato”.

• La storia della BBC tra pregiudizi anti-israeliani, diffamazione antisemita e antisemitismo
  Questo incidente arriva sulla scia di un’indagine trasversale avviata dal Parlamento britannico lo scorso dicembre sui pregiudizi della BBC nei confronti di Israele. Con le preoccupazioni sollevate circa i pregiudizi sistemici e istituzionali nei confronti di Israele, casi come la falsa affermazione di Gadgil sottolineano ulteriormente la necessità di un’azione correttiva urgente.
  Anche il rabbino Menachem Margolin, presidente dell’Associazione Ebraica Europea (EJA), ha espresso la sua costernazione in una lettera indirizzata al direttore generale della BBC. Ha criticato l’affermazione di Gadgil come una palese falsità, carica di emotività e che ricorda in modo inquietante la storica diffamazione del sangue che ha afflitto le comunità ebraiche per secoli.
   Margolin ha sottolineato che le forze armate israeliane adottano misure straordinarie per evitare vittime tra i civili e che tali accuse infondate minano la correttezza giornalistica e il codice di condotta della BBC.
  Sia l’ILF che l’EJA hanno invitato la BBC a ritrattare la falsa dichiarazione e a rimproverare prontamente Gadgil.

(Rights Reporter, 6 luglio 2023)

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Pranzo "fai da te" ad Amalfi, turisti cucinano col fornellino tra i vicoli

Indignati, i cittadini hanno segnalato alla polizia municipale, ma i due sono andati via prima dell’intervento degli agenti.

di Gianpiero Di Filippo

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Due turisti sono stati avvistati mentre cucinavano con un fornellino in strada, ad Amalfi.
La scena, immortalata dagli smartphone intorno alle 14,30, nella Salita San Nicola dei Greci, ha scatenato l'indignazione dei cittadini, che, sconcertati, hanno segnalato alla polizia municipale. Ma i due sono andati via prima dell'intervento degli agenti.
Amalfi è una città nota per la sua cucina locale, che si basa su ingredienti freschi e genuini provenienti dal mare e dalle colline circostanti. Cucinare in strada con un fornellino portatile, oltre che essere un comportamento inappropriato, può essere vista come un affronto a questa tradizione culinaria e a tutto ciò che rappresenta.
Ci sta non voler spendere troppo per mangiare, ma non è necessario recarsi al ristorante: nei vicoli si trovano tante attività di ristoro che offrono street food a prezzi abbordabili.

(il Vescovado, 5 luglio 2023)


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Amalfi, i turisti che cucinavano tra i vicoli erano ebrei: non avevano trovato cibo "kosher"

Un lettore ha riconosciuto la coppia, opportunamente oscurata in volto nel nostro articolo, dall’abbigliamento. Ci ha raccontato che qualche ora prima i due avevano chiesto informazioni proprio a lui, su dove poter acquistare un fornellino e del cibo kosher.

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Dopo l'articolo in cui mostravamo la scena insolita di due turisti intenti a cucinare tra i vicoli di Amalfi con tanto di fornellino, arrivano i retroscena.
  Un lettore ha riconosciuto la coppia, opportunamente oscurata in volto nel nostro articolo, dall'abbigliamento. Ci ha raccontato che qualche ora prima i due avevano chiesto informazioni proprio a lui, su dove poter acquistare un fornellino e del cibo kosher.
  I due, infatti, di stanza presso un b&b di Sorrento, erano ebrei e, secondo le regole religiose che dominano la nutrizione del popolo ebraico osservante, potevano consumare soltanto cibo "kosher", ossia ‘idoneo'.
  Secondo la "Kasherut" (l'idoneità di un cibo a essere consumato dal popolo ebraico secondo le regole alimentari stabilite nella Torah), gli ebrei osservanti possono mangiare:

  • gli animali ruminanti che hanno lo zoccolo spaccato in due parti. La mucca, il vitello, la pecora, la capra sono ammessi; il coniglio, il maiale, il cammello o il cavallo sono vietati, cose come i rettili e gli insetti;
  • i volatili da cortile, come le galline. Sono invece vietati i rapaci;
  • i pesci che hanno sia pinne che squame; sono vietati l'anguilla, i frutti di mare, il caviale, i pesci gatto, la coda di rospo e altri ancora.

Inoltre, carne e latticini non possono essere consumati nello stesso pasto, né cucinati o lavorati insieme; per questo motivo, le famiglie possiedono in genere set di pentole e servizi di piatti diversi per i due tipi di alimenti. Carne e pesce possono essere consumati nello stesso pasto, ma prima di passare dall'uno all'altro bisogna sciacquarsi la bocca con un po' di vino. La Torah vieta il consumo di sangue, per cui anche la macellazione segue un rituale ebraico. E, ancora, non si utilizzano tagli di carne che sono attraversati dal nervo sciatico. Anche latte e formaggi devono essere sempre controllati da un rabbino. Quanto alla frutta, non è possibile mangiare un frutto prodotto da un albero nei suoi primi tre anni di vita. Per quanto riguarda pane e lievitati, essi non possono essere consumati durante la Pasqua Ebraica. Infine, per cucinare cibo kosher non si possono usare utensili utilizzati per preparare cibo non kosher.
  I requisiti per ottenere il marchio Kosher sono numerosi e i controlli rigorosi. Il negozio più vicino alle nostre zone che rivende prodotti "idonei" si trova a Roma e spedisce fino ad Amalfi, all'occorrenza.
  L'hotel più vicino fornito di un ristorante kosher è il Capri Tiberio Palace, mentre in Costiera Amalfitana gli alberghi di lusso sono organizzati per gestire quest'esigenza, previa comunicazione da parte degli ospiti.

(il Vescovado, 6 luglio 2023)

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Esaurita la controffensiva. La lotta continua

L’Ucraina ha annunciato un cambiamento radicale della sua strategia. Lo ha annunciato ieri Il segretario del Consiglio per la sicurezza e la difesa nazionale Oleksiy Danilov, il quale ha detto che da ieri la priorità delle forze ucraine non è più la riconquista del territorio perduto, quanto degradare le forze russe, sia in termini di uomini che di mezzi. Una “guerra di distruzione equivale a una guerra per conquistare chilometri”, ha detto Danilov.
  Lo riporta, tra gli altri, anche l’Institute of Study of War, che, a commento di questa svolta, riferisce le parole del presidente del comitato militare della NATO, l’ammiraglio Rob Bauer, secondo il quale le forze ucraine “non dovrebbero subire critiche o pressioni per la lentezza delle operazioni”.

• La controffensiva sfinita
  Lo stesso Bauer ha anche escluso che i sospirati F-16 possano arrivare a Kiev nel corso della controffensiva, che quindi dovrà continuare senza copertura aerea (anche se i velivoli promessi non sarebbero comunque sufficienti per assolvere tale compito).
  L’annuncio di Danilov, apparentemente anodino, è clamoroso. Di fatto, ha detto che la controffensiva è fallita. Tutti i proclami sulla riconquista dei territori perduti fatti da ucraini e alleati in un anno e mezzo di guerra si sono rivelati per quel che erano: vuota sicumera.
  D’altronde, i russi non cedono e gli ucraini non sfondano come invece avevano assicurato quasi tutti i politici, gli analisti, i cronisti d’Occidente. E per non dover ammettere la sconfitta, Kiev ha annunciato un cambio di programma: ora si tratta solo di uccidere i russi – in obbedienza ai diktat neocon dichiarati esplicitamente dal senatore Lindsey Graham – e di distruggere più armamenti possibile del nemico.
  Il punto è che tale strategia non tiene conto che a morire come mosche sono gli ucraini, come sempre accade nel corso di un attacco, e di un attacco peraltro nel quale i difensori hanno più armi, possono colpire più lontano e soprattutto hanno il controllo completo dei cieli.

• The Show Must Go On
  Una scelta suicida quella di continuare la guerra. Ma a decidere non sono gli ucraini, quanto la loro leadership e soprattutto gli sponsor internazionali, i quali non vogliono mollare la presa e rinunciare alla loro guerra infinita fino all’ultimo ucraino.
  The Show Must Go On è forse la più bella canzone dei Queen, scritta per raccontare l’ultimo tratto di vita di Freddy Mercury. Ci sembra una degna colonna sonora di quanto si sta consumando a Kiev e dintorni.
  A meno di incidenti di percorso – vedi alla voce Zaporizhzhia – si andrà avanti così fino al vertice di Vilnius dell’11 luglio, nel quale si deciderà il da farsi. Le pressioni per continuare l’ingaggio contro la Russia non recedono, ma la disfatta dei falchi che urgono in tal senso è talmente palese che si potrebbero aprire spazi per le trattative.
  Da ultimo, si può notare che gli analisti, i cronisti, i politici di cui sopra, che hanno sbagliato tutto, con errori la cui portata è di tragica evidenza, continuano imperterriti a pontificare e a dettare la linea. Tale il meccanismo perverso delle guerre infinite, tale la tragedia in cui versa l’Occidente.

(piccole note, 5 luglio 2023)
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Notevole: "la priorità delle forze ucraine non è più la riconquista del territorio perduto, quanto degradare le forze russe". Non si tratta dunque di difendere la sacralità della terra patria, la democrazia, la libertà, e tanto meno la vita dei cittadini ucraini, ma di "degradare le forze russe". Che è appunto quello che voleva fin dall'inizio la Nato a trazione anglo americana. M.C.

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Raid israeliano su Gaza in risposta ad attacchi terroristici. Fine dell'operazione di Jenin

di Sarah G. Frankl

Nella notte appena passata aerei da guerra israeliani hanno colpito a Gaza un’officina sotterranea di armi utilizzata dall’unità chimica del gruppo terroristico di Hamas e un sito per la lavorazione di componenti di razzi. Lo ha reso noto l’esercito israeliano con un comunicato emesso intorno alle 05,30.
  L’attacco israeliano a Gaza è arrivato dopo che nella notte scorsa dalla Striscia erano stati lanciati diversi razzi contro obiettivi civili nel sud di Israele.
  Il sistema di difesa aerea Iron Dome è riuscito ad abbattere cinque razzi lanciati verso la città di Sderot e le aree vicine.
  I media palestinesi hanno riferito che gli aerei israeliani hanno colpito siti ad al-Baydar, a ovest di Gaza City, e Beit Lahiyeh, nella Striscia settentrionale. Diverse case ad al-Baydar sono state danneggiate, secondo i rapporti palestinesi.
  L’IDF era già stato in allerta per il potenziale lancio di razzi da Gaza in risposta alla operazione di Jenin, con le autorità che lunedì hanno annullato un grande concerto nella città meridionale di Sderot, sebbene non siano state emesse altre precauzioni.

• Fine dell'operazione di Jenin
  Nel frattempo le truppe israeliani si sono ritirate da Jenin e durante le operazioni di ritiro un militare israeliano è stato ucciso durante un attacco terroristico palestinese.
  Il bilancio della operazione di Jenin è di almeno 18 terroristi palestinesi uccisi, un numero imprecisato di feriti e di arresti con la Jihad Islamica palestinese, finanziata ed armata dall’Iran, che ha visto compromessa la sua presenza in Giudea e Samaria (Cisgiordania).
  Nella operazione di Jenin, la più grande degli ultimi anni in Giudea e Samaria, sono stati impiegati oltre mille soldati, aerei, elicotteri e mezzi blindati.
  Ieri un terrorista di Hamas ha lanciato la sua auto contro un’affollata fermata dell’autobus di Tel Aviv e subito dopo ha iniziato ad accoltellare persone, ferendone otto, tra cui una donna incinta che avrebbe perso il suo bambino. L’aggressore è stato ucciso da un passante armato.
  Hamas ha rivendicato l’atto terroristico e ha detto che l’attacco è stato una vendetta per l’offensiva israeliana a Jenin.

(Rights Reporter, 5 luglio 2023)

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Attentato a Tel Aviv: sette feriti, di cui quattro gravi

di Luca Spizzichino

Sette persone sono rimaste ferite, quattro delle quali gravemente, in un attacco terroristico avvenuto martedì pomeriggio nel nord di Tel Aviv.
  Abed al-Wahab Khalaila, membro del gruppo terroristico di Hamas, si è schiantato con il suo camioncino contro i pedoni a una fermata dell'autobus a Pinchas Rosen Street; successivamente è sceso e ha accoltellato i passanti e le persone che erano sedute fuori in un bar vicino. Il terrorista, che secondo lo Shin Bet non aveva un permesso per entrare in Israele, è stato ucciso poco dopo da un civile armato.
  Hamas, che ha esultato per la “prima risposta” all’operazione antiterrorismo che vede Israele impegnata a Jenin, non ha tuttavia rivendicato la responsabilità dell'attacco.
  Le quattro vittime ferite gravemente sono state trasportate agli ospedali Ichilov e Beilinson. Una donna incinta, le cui condizioni sono state definite dall'ospedale molto gravi, ha subito un intervento chirurgico mentre i medici lavoravano per stabilizzare le sue condizioni. Mentre un uomo di 30 anni, che è stato pugnalato allo stomaco, provocando gravi ferite, è stato portato d'urgenza all'ospedale di Beilinson.
  L’attentato è stato ripreso integralmente dalle telecamere di sicurezza, che hanno chiarito la dinamica. Il terrorista si è dapprima schiantato contro i pedoni a una fermata dell'autobus e successivamente ha iniziato ad accoltellare i passanti e le persone che erano sedute fuori in un bar nelle vicinanze. In un altro videoclip, circolato sui social media, si vede invece l'uomo armato, con un casco da motociclista, che ha sparato più volte all'aggressore con una pistola e gli ha strappato il coltello dalla mano.
  “Ho parcheggiato la mia moto alla fermata dell'autobus. Mentre stavo per partire, ho sentito un forte rumore. Ho pensato che fosse un incidente stradale” ha detto alla polizia il signore che ha neutralizzato l’attentatore. “Il terrorista mi ha inseguito. - ha aggiunto - Gli ho sparato ed è caduto. Mi tremavano le gambe. Stavo pregando che il proiettile fosse partito, perché se non lo avesse fatto sarei morto".
  Il presidente israeliano Isaac Herzog ha commentato l'attacco terroristico a Tel Aviv, durante il suo discorso di martedì sera in occasione del 70° anniversario del consiglio regionale di Hatzor HaGlilit. "Il grave attacco poche ore fa a Tel Aviv è un'ulteriore prova della necessità dell'attuale operazione dell'IDF a Jenin per sradicare il terrorismo", ha detto Herzog. “Il terrore non vincerà mai”.
  “A nome dell'intera nazione, prego per la pronta e completa guarigione dei feriti, e invio la mia forza e il mio sostegno ai nostri soldati, ai loro comandanti e a tutti i servizi di sicurezza e di intelligence nelle loro azioni decisive contro i nostri nemici ovunque essi si trovino” ha concluso.
  "Chiunque pensi che un simile attacco ci dissuaderà dal continuare la nostra lotta al terrorismo si sbaglia. - ha dichiarato il premier Benjamin Netanyahu nel pomeriggio - Semplicemente non conosce lo spirito dello Stato di Israele, non conosce il nostro governo, i nostri cittadini e i nostri soldati".
  “Continueremo finché sarà necessario a sradicare il terrorismo, non permetteremo a Jenin di tornare ad essere una roccaforte per il terrorismo" ha aggiunto spiegando come l’operazione a Jenin non sarà un evento unico.

(Shalom, 5 luglio 2023)

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È una nuova escalation contro i civili. E Israele agisce solo per "autodifesa"

Nel Paese 200 attentati da inizio anno. Ecco perché anche la sinistra approva l'azione anti-terrorismo dell'esercito a Jenin.

di Fiamma Nirenstein 

Israele è di nuovo oggetto di un severo scrutinio mediatico. Jenin è l'epitome di quello che viene considerato uno degli episodi di scontro violento fra due parti: Israele e i palestinesi. Come in uno stadio di dimensioni mondiali, ci sono due grandi tifoserie, ma nel campo dei media quella che tiene per i palestinesi è certamente la maggiore. La ragione si capisce: le forze israeliane sono meglio armate e, quando agiscono, i morti palestinesi sono in numero maggiore. Inoltre, poiché il governo di Bibi Netanyahu, un leader moderato oggi alla testa di una coalizione in cui siedono due ministri di estrema destra, non ha fiducia in un accordo con i palestinesi, questo viene vissuto come un rifiuto israeliano della questione. Ma non si ricorda che Netanyahu, che non ha mai delegittimato l'idea di due stati, da lui anzi sostenuta, ha tentato a lungo di formare la sua coalizione con Benny Gantz, ex ministro della difesa: il rifiuto è stato netto e questo lo ha spinto a formare una coalizione in cui i rapporti non sono facili.
  Ciò, tuttavia, non c'entra con la lotta al terrorismo: qui, anche la sinistra è allineata con l'operazione contro i terroristi di Jenin, a partire da Yair Lapid. Per tutti è pura autodifesa, una scelta non politica, ma pratica e indispensabile. Anche in Israele, come in ogni democrazia, in primis devi salvare la vita dei tuoi cittadini. Dall'inizio dell'anno, la crescita esponenziale degli attacchi terroristici contro i civili israeliani, 28 morti che rapportati ai numeri italiani corrispondono a 168 persone circa, ha fatto sì che ogni volta si cercasse di fermare la frana, senza risultati. Duecento attentati, di cui 50 a fuoco in sei mesi, tutti dalla Cisgiordania, con centro a Jenin, e non da Gaza, hanno imposto l'operazione.
  Fra i palestinesi è cambiato il ritmo e il sistema: un'escalation di armamenti, di sprint ideologico, di gruppi vecchi e nuovi ha invaso il terreno coprendolo di vittime da Tel Aviv alla Cisgiordania. E Israele ha agito contro il terrore con l'esercito. Ma non è uno scontro fra due forze contrapposte: si capisce dal video dell'attacco a Tel Aviv, i ragazzi seduti tranquilli in un bar del centro investiti da una macchina e pugnalati; o nelle settimane scorse, due fratellini che aspettano l'autobus falciati, come una madre con le due figlie in auto.
  L'idea strategica del terrorismo attuale, supportato come non mai dall'Iran e spostato da Gaza alla Cisgiordania, è che la sorpresa da ogni parte prosciugherà la vita d'Israele nella paura e nel dolore. Il consenso è grande: il 71% dei palestinesi supporta i gruppi terroristici, il 70% è contro l'idea di due stati, il 52 contro il 21 preferisce la resistenza armata ai negoziati. L'esercito israeliano dunque non aveva altra scelta che entrare a Jenin, epicentro del nuovo terrore, da cui, novità strategica, sono partiti anche missili, ad arrestare terroristi asserragliati in una fortezza. L'esercito sa che i soldati possono compiere errori e uccidere civili, quindi ha programmato a fondo: non è un caso che fino a ieri abbia ucciso 9 persone tutte armate.
  La strategia dei gruppi di Jenin, Jihad Islamica, Hamas, gruppetti autonomi, è divenuta molto più internazionale, l'Iran incita e arma da quando Qasem Suleimani e poi l'ayatollah Khamenai decisero che i palestinesi entrassero nel fronte formato da Libano e Siria. L'esercito si è preparato a fondo per quella fortezza densa di armi, cunicoli, sotterranei, esplosivi per ogni dove. Entrando, ha distrutto, rovinato, fatto saltare per aria mura che celavano depositi di esplosivo. Difficile la domanda su cosa accadrà domani: forse, se Abu Mazen si deciderà a cedere lo scettro e la politica, il cui fulcro sono gli stipendi ai terroristi e l'incitamento, qualche porta si potrebbe riaprire. Ma il raìs sembra preferire la strada legata agli stereotipi che hanno sempre scelto il «no» come risposta.

(il Giornale, 5 luglio 2023)

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Netanyahu vola in Cina: un asse che non piace a Washington

Sarà il suo sesto viaggio internazionale, da quando, nel dicembre del 2022, è ritornato alla guida del governo israeliano. Benjamin Netanyahu volerà in Cina durante questo mese di luglio. La visita avviene poche settimane dopo quella del leader palestinese Abu Mazen, che è stato accolto con tutti gli onori in un incontro con il presidente cinese Xi Jinping e con il primo ministro Li Qiang.
  L'annuncio che Netanyahu abbia accettato l'invito del presidente Xi non è stato accolto in modo favorevole né alla Casa Bianca, né tanto meno tra i cittadini israeliani. Ma anche gli analisti politici, giornalisti e soprattutto i vertici militari, non vedono di buon occhio questo viaggio in Cina, in un momento di tensione in tutta l'area mediorientale. Va detto infatti che un recente rapporto del Pew Research Center rivela che tra gli israeliani l'87% ha un'opinione favorevole degli Stati Uniti, mentre solo il 12% un parere negativo. «L'attuale visione di Israele degli Stati Uniti è la più positiva dal 2000», ha twittato Israel Nitzan, console generale ad interim del Consolato generale di Israele a New York, a proposito del sondaggio
  Non è la prima volta, però, che Netanyahu incontra Xi Jinping. L'ultimo incontro ufficiale tra i due risale al 2017. Con questo invito, però, il presidente della Repubblica Popolare Cinese scende massicciamente in campo nell'area mediorientale e si propone come mediatore di storici conflitti, tra cui quello arabo-israeliano, approfittando dei buoni rapporti che Pechino intrattiene con l'Autorità palestinese. Ma anche per trarre vantaggio dalle attuali relazioni intricate tra Tel Aviv e gli Usa, con l’obiettivo di instaurare nuove opportunità diplomatiche con Israele. È evidente, infatti, che il presidente Xi, ricevendo prima Abu Mazen e poi Benjamin Netanyahu, voglia dimostrare di poter contribuire più degli Stati Uniti d'America alla stabilizzazione della regione. Tentativo, questo, molto difficile visto l'appoggio incondizionato della Cina alle rivendicazioni dei palestinesi. 
  Alcuni anni fa il grande Paese asiatico aveva tentato una mediazione tra israeliani e palestinesi. Già nel lontano 2002 Pechino aveva provato di instaurare un dialogo tra le parti, e nel 2017 aveva anche ospitato un incontro nel quale si proponeva la "soluzione dei due Stati"; proposta, questa, che è stata riformulata nel corso della recente visita di Abu Mazen e che potrà essere ripresentata in occasione di una conferenza di pace "su larga scala, più autorevole e influente".  Che la "soluzione dei due Stati" sia per Xi Jinping l’unica percorribile lo dimostra il fatto, che lo scorso mese di maggio, il governo cinese con una nota aveva invitato Israele a non proseguire nell’occupazione di altro territorio palestinese, riferendosi in particolare ai nuovi insediamenti illegali ai quali Netanyahu aveva dato il via libera.
  Xi ha offerto ad Abu Mazen il pieno sostegno della Repubblica Popolare Cinese sia in materia di difesa, che di sviluppo economico. Proposta, questa, che rientrerebbe nel progetto della costruzione di un nuovo ordine internazionale, in contrapposizione a quello guidato dagli Stati Uniti d'America. La Cina sta approfittando, per diventare punto di riferimento, anche della normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Iran e Arabia Saudita; l’accordo infatti è stato siglato davanti al capo della diplomazia cinese, Wang Yi, nelle stesse ore in cui Xi Jinping veniva confermato presidente della Repubblica Popolare per la terza volta. Con queste iniziative diplomatiche Pechino vuole inserirsi negli spazi geopolitici lasciati liberi dagli Stati Uniti, mostrandosi così intenzionato a contribuire alla stabilità del Medio Oriente e guadagnare la fiducia degli altri paesi mediorientali.
  Ovviamente gli Usa non apprezzano questo attivismo della Cina e sono molto critici in merito alla politica, sia interna che estera, del primo ministro Netanyahu. Al punto che sono trascorsi ormai sei mesi da quando è stato rieletto premier, ma non ha ancora ricevuto alcun invito ufficiale dalla Casa Bianca. Anzi, lo scorso mese di marzo, fonti americane hanno fatto trapelare che Netanyahu non sarebbe stato invitato negli Usa a breve termine. A più riprese, sia il portavoce della Casa Bianca, che Antony Blinken, segretario di Stato dell'Amministrazione di Joe Biden, hanno invitato Netanyahu a bloccare la costruzione di nuovi alloggi in territorio palestinese. Decisione, tra l’altro, presa in un momento di forte tensione tra israeliani e palestinesi.
  L'amministrazione Biden è molto preoccupata per l'intensificarsi delle violenze nei territori occupati, mentre, in Israele, proseguono le manifestazioni di piazza per bloccare l'approvazione della riforma della giustizia, fortemente voluta dalla compagine governativa. Gli Stati Uniti e le Nazioni Unite hanno definito il piano un atto illegale e un ostacolo per il raggiungimento della pace. Anche il Regno Unito, il Canada e l'Australia hanno invitato Israele a revocare la decisione di approvare la costruzione di 5.700 unità abitative aggiuntive per i coloni ebrei in Cisgiordania, e si sono detti «gravemente preoccupati». È quanto emerso in una dichiarazione congiunta rilasciata dai ministeri degli Esteri dei tre Paesi, condannando la «continua espansione degli insediamenti» che è stata descritta come «un ostacolo alla pace e agli sforzi per raggiungere una soluzione negoziata a due Stati». Ad oggi, più di 700.000 coloni israeliani vivono nei territori occupati della Cisgiordania e a Gerusalemme Est.
  Proseguono nel frattempo le proteste dei cittadini ebrei contro la riforma della giustizia voluta dal governo Netanyahu e in discussione alla Knesset. Almeno 130 mila persone si sono radunate lo scorso sabato sera a Kaplan Street, a Tel Aviv, mentre gli organizzatori delle manifestazioni hanno parlato di circa 286 mila partecipanti in tutto il Paese. Alcuni manifestanti hanno bloccato l’autostrada Ayalon in direzione sud e la polizia ha arrestato due persone per disturbo dell’ordine pubblico.

(Nuova Bussola Quotidiana, 5 luglio 2023)

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Un tank per raccontare l’epopea dei pionieri

Capolavori: Il carro armato di Assaf Inbari. Un caso letterario. Un romanzo già entrato nel mito. Che narra lo scontro con le truppe siriane a Degania visto da cinque eroi

di Roberta Ascarelli

Era il 20 maggio 1948. Sei giorni prima David Ben-Gurion aveva proclamato a Tel Aviv la nascita dello Stato d’Israele ed era scoppiata una guerra impari e pericolosa. Ma a Nord, nella valle di Kinneret, i carri armati siriani che avanzavano indisturbati vengono fermati alle porte di Degania, un piccolo insediamento agricolo ricco di storia e di ideologia, da alcuni soldati e da un centinaio di coloni equipaggiati con qualche molotov, poche granate e la volontà di resistere ad ogni costo.
  Un carro armato viene colpito, i nemici sorpresi e intimoriti si ritirano precipitosamente lasciando alle loro spalle una scocca carbonizzata e una fitta tessitura di narrazioni.
  Leggende, ricordi, personaggi e documenti di quest’evento creano la struttura dell’ultimo romanzo di Assaf Inbari Ha tank del 2018, vincitore nel 2020 del premio Agnon per “aver combinato il successo letterario con una prospettiva chiara sui valori centrali dell’ethos sionista e sui temi della società israeliana”, e ora pubblicato da Giuntina per la ottima traduzione di Alessandra Shomroni (Il carro armato, 274 pp., 20 euro).
  Lo spirito del racconto è lo stesso che domina la avvincente saga del suo primo romanzo, Verso casa (Giuntina, 2020) che si svolge sullo sfondo di un altro kibbutz, quello di Beth Afikim: “circondato da una recinzione di filo spinato […] furono scavati dei fossati di comunicazione; si fecero scorte di cibo e benzina e un ponte di botti fu costruito sul Giordano come via di fuga. ‘Se avremo uno stato, quanto tempo gli dai?’ – chiese Clara Galili a Zvi Brenner. ‘Se ci sarà. Che duri due settimane – ma almeno ci sarà’”.
  Simile anche la struttura del testo che si muove ambiziosa sul confine tra individualità e coralità, sacrificando a volte alla visione di insieme le sfaccettature dei personaggi principali ma anche della piccola folla di figure ‘minori’, descritte spesso con una distanza appena mitigata dalla cifra di una affettuosa ironia.
  La struttura è però più ambiziosa e meno ‘collettiva’ di Verso casa anche se non viene meno la fitta tessitura delle voci e la infinita carrellata di personaggi legati, in questo caso, a quel relitto di carro armato e al kibbutz che lo contiene: un oggetto fortemente simbolico per una letteratura che deve, secondo l’autore, plasmare nuovi miti e generare nuovi racconti. “Ma la narrazione stessa, – scriveva Inbari in un saggio teorico sulla letteratura israeliana nel 2010 – l’insieme storico in cui queste scene sono intarsiate, non è ‘verità storica’, così come non è falsità. È letteratura e il suo scopo, come quello di ogni opera d’arte, non è informativo ma spirituale, legato ai valori, all’estetica e alle emozioni”.
  Tra realtà e finzione, romanzo storico e progetto identitario Inbari descrive le fragili esistenze dei cinque uomini che ritengono di aver avuto un ruolo decisivo in quello scontro – Baruch Bar Lev, Shlomo Anschel, David Zarchia, Shalom Hochbaum e Itzhak Eshet -. Sono persone comuni, deluse dal declino degli antichi ideali e dalla loro opaca quotidianità che trovano un senso e una cittadinanza nel ricordo di quell’imprevista prodezza. Ognuno conserva ricordi diversi dello stesso evento storico; ognuno è convinto di essere colui che ha fermato il carro armato, cambiando così il corso della guerra.
  Alla vicenda della loro vita, ben delimitata in singoli capitoli a sottolineare diversità e distanza, ma anche a sperimentare il legame tra i frammenti e una auspicata visione di insieme, fa da contrappunto la recente storia di Israele che tutti unisce, e il ripetersi degli interrogativi sul significato e sulle prospettive di quella storia: “Se sì, chi è l’eroe? – scrive Inbari – È la persona che ha fermato il carro armato, chiunque essa sia, o forse c’è più di un eroe, o più di un modo di intendere l’eroismo?”.
  Nei resoconti ufficiali (e alcuni malignano, per motivi politici), l’eroe di Degania è solo Shalom Hochbaum un colono sopravvissuto alla Shoah che era giunto al kibbutz Degania per iniziare una nuova vita con un nome ebraicizzato, un lavoro umilissimo e poche speranze. Ma quando il kibbutz decide di impossessarsi di quella vittoria cancellando gli “estranei”, Shalom è invitato a ripetere più e più volte ai tanti visitatori la sua narrazione: con coraggio, aveva lanciato una molotov che era rotolata sotto il carro armato e lo aveva distrutto, mentre i nemici, terrorizzati da questa inattesa resistenza, si erano dati alla fuga.
  Fino alla sua morte, avvenuta nel 1976, Hochbaum ripete la sua versione. Ma anche gli altri protagonisti del romanzo (e dello scontro) pensano che, nella battaglia di quel giorno fatale, siano stati loro a distruggere il carro armato.
  David Zarchia, militare prossimo alla pensione, racconta le sue gesta nella Guerra di indipendenza solo al figlio Shabi, un giovane gracile, insicuro e facilmente impressionabile, per dargli un po’ di coraggio. Ytzhak Eshet “era rimasto fermo al momento del passato […] quando aveva fermato il carro armato siriano a Degania Alef”, e, nella sua oscura vita di impiegato, il colpo sferrato con un Piat contro il mezzo dei siriani rappresenta una potente consolazione. Anche Shlomo Anshel, meticoloso autista di autobus e aspirante cecchino, era convinto di aver centrato il bersaglio con la sua arma anticarro. Infine Baruch Bar Lev il più interessante tra gli aspiranti eroi, soldato, attaché in Uganda, uno dei protagonisti della vicenda di Entebbe, racconta in due modi diversi la sua storia: la narra – afferma – sia come ‘epopea israeliana’ con un protagonista “che già a dieci anni cavalcava armato per difendere una fattoria isolata” ma anche come un’‘epopea ebraica’, quella di “un astuto lituano che aveva teso un tranello a un siriano” spalancando ai carri armati le porte del kibbutz e preparando così l’ imboscata. In mancanza di una tribuna e di un pubblico, le loro versioni rimangono a lungo sconosciute. Ma, improvvisamente, tra interviste, convegni, inchieste giornalistiche che indagano non tanto la storia del carro armato, quanto le storie che il carro armato ha lasciato dietro di sé, la verità si fa lentamente strada coinvolgendo ancora altri personaggi e delineando così una vicenda collettiva con molti partecipanti e un comune successo.
  Anche su questa tardiva ricerca che getta nuova luce sui fatti del 20 maggio a Degania, Inbari si sofferma nel romanzo con il piacere del giallista e con una dolente immedesimazione nelle fragili esistenze di uomini che hanno trovato un senso e una cittadinanza in quel successo imprevisto e, per lunghi anni, segreto.
  Quello che rimane è un riuscito esperimento narrativo e, soprattutto, un inno alla speranza: “Questo Stato non è sorto dai miracoli, -scrive – ed è importante per noi incidere nei nostri cuori che non è con un miracolo che ne assicureremo l’esistenza negli anni a venire. […] La nostra generazione di pionieri si è ribellata contro il tradizionale fatalismo ebraico, è tornata alla storia e ha mutato la sua direzione”.

(Bet Magazine Mosaico, 5 luglio 2023)

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Israele: riforma giudiziaria, alla Knesset un passo avanti

Un emendamento approvato in commissione, l'opposizione insorge

All'indomani di una accesa manifestazione all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv di protesta contro la riforma giudiziaria elaborata dal governo Netanyahu, oggi alla Knesset la coalizione ha compiuto un significativo passo in avanti verso la sua realizzazione. In un dibattito caratterizzato da grande nervosismo, il presidente della commissione per le questioni costituzionali Simcha Rothman (Sionismo religioso) ha ottenuto la approvazione dell'emendamento della cosiddetta 'Clausola della ragionevolezza' che limiterà le prerogative del potere giudiziario a beneficio dell'esecutivo.
  La sua formula è stata approvata con 9 voti a favore e 4 contrari dopo che Rothman aveva espulso dall'aula cinque deputati della opposizione.
  Secondo la radio pubblica Kan il vice dell'Avvocato generale di Stato, Gil Limon, ha espresso preoccupazione per le ripercussioni di questa iniziativa del governo, se fosse approvata dalla Knesset. "In uno paese democratico - ha detto Limon - tutti devono sentirsi sottoposti allo stato di diritto, anche il governo ed i ministri". Il testo elaborato da Rothman - secondo cui la Corte Suprema non potrà annullare decisioni governative anche se ritenute dai giudici "irragionevoli in maniera estrema" - dovrà essere votato adesso in prima lettura, per poi passare in una commissione per una nuova discussione e per una eventuale revisione.

(ANSAmed, 4 luglio 2023)

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Il raid israeliano a Jenin: "Esplosivi e casse di armi. È la fortezza del terrore"

Blitz in Cisgiordania: uccisi 9 palestinesi, in tremila via dal campo profughi. Hamas e Jihad: vendetta

di Fiamma Nirenstein

Ieri a Jenin le forze israeliane hanno lanciato un attacco militare di cui adesso parla tutto il mondo come di una crudele sorpresa nei confronti dei palestinesi: in quella che è stata definita la maggiore impresa antiterrorismo dal tempo della seconda intifada, 9 sono stati uccisi, 8 in scontri armati e uno in circostanze ancora non definite. «Un massacro, interverremo per fermarlo» è intervenuto il leader della Jihad islamica. E dopo l'operazione militare israeliana sono circa tremila i palestinesi che hanno lasciato il campo profughi di Jenin.
  Sono passati 22 anni da quando, a Pasqua 2002, dopo un eccidio di 20 israeliani in un ristorante, ci fu la battaglia di Jenin in cui furono uccisi 50 palestinesi e 23 soldati. Avventurandosi sul campo di battaglia, dentro la cittadina, solo l'auto di qualcuno esperto ti evitava di calpestare le trappole esplosive. Anche ieri ne sono state trovate con casse di armi, proiettili, esplosivo. Jenin ieri, e Jenin oggi. Oggi il governo e l'esercito hanno deciso che ormai era inevitabile quest'intervento. Le attività di Jenin rendevano letteralmente impossibile ai cittadini israeliani viaggiare nell'area, ai ragazzini aspettare l'autobus e andare a scuola. La cittadina è la santabarbara e il campo training dei terroristi più determinati; qui già nel 1935 fu ucciso dalle forze britanniche il capo islamico padre di Hamas, il guerriero Itz a din al Qassam, da cui il nome dei missili Qassam.
  Da qui sono usciti, ultimi della fila, i terroristi che hanno compiuto 50 attacchi a fuoco negli ultimi sei mesi, e un totale di 200 attacchi nell'inizio del 2022. Dal settembre dell'anno scorso 19 terroristi hanno cercato e trovato asilo a Jenin, dall'inizio dell'anno 28 israeliani fra cui donne, bambini, civili seduti al ristorante, sono stati uccisi. L'autodifesa di Israele, in un non gradito ma indispensabile tentativo di contenere la piaga, è costata la vita a 120 palestinesi, arresti e incursioni ne sono stati la causa.
  Nel frattempo c'è stata una grande iniezione di denaro e aiuti da parte dell'Iran: i finanziamenti alla Jihad Islamica e a gruppi che si riferiscono a Fatah sono aumentati. L'impegno per il terrorismo islamico antisraeliano era limitato a Gaza e agli hezbollah: adesso le migliaia di armi che sono state sequestrate a Jenin, le dozzine di congegni esplosivi di alta qualità e anche il lancio nei giorni scorsi di un missile non da Gaza ma dal territorio dell'Ap sono un segnale dell'allargarsi della minaccia all'West Bank. Jenin è la fortezza del terrorismo, ed è ormai ben organizzata, casa per casa, nascondiglio delle armi e dell'esplosivo: esistono meccanismi di allarme che avvertono in lontananza dell'arrivo dell'esercito, all'ingresso della cittadina congegni esplosivi bloccano i nemici. La Jihad islamica è rimasta il numero uno in città, come ai tempi della Seconda Intifada, mentre il 20% dei cittadini si identifica con Hamas, ed esistono anche gruppi autonomi come la Brigata Jenin che vengono esaltati e promossi grazie a video Tik Tok in cui sparano agli insediamenti e ai soldati. La scelta di ieri ha già causato promesse di vendetta oltre che alla reazione mondiale, molto consueta, di disapprovazione, che di fatto accetta la versione palestinese di un'intrusione violenta priva di significato; ma non è affatto così. Israele tenta di fare qualcosa di significativo contro un'ondata incontenibile di violenza.
  La scelta di agire è stata presa anche dopo una consultazione dieci giorni fa, con gli Usa. E prima di entrare nella cittadina un messaggio è stato diffuso. «Stiamo per entrare per effettuare arresti: state a casa e proteggete la vostra famiglia». Durante la notte scorsa le truppe israeliane hanno sequestrato addirittura missili e chiuso gallerie sotterranee ad uso bellico. Per ora quello che si vede è che nel campo minato della politica israeliana, questa impresa è l'unica cosa su cui tutte le parti sono d'accordo. Anche Yair Lapid, il grande antagonista di Netanyahu, mentre infuriano le manifestazioni contro la riforma giudiziaria, che hanno investito anche l'aeroporto Ben Gurion (l'unica porta di Israele verso l'estero) ha dichiarato il suo accordo con l'impresa di Jenin.

(il Giornale, 4 luglio 2023)


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L’esercito israeliano è entrato a Jenin. Le ragioni di una difficile e importante operazione

di Ugo Volli

• L’operazione in corso
  La si attendeva da tempo, ora finalmente è cominciata: una grande operazione di polizia e forze militari per ripulire Jenin dalle infrastrutture del terrorismo è partita ieri e si prevede che duri per ancora un giorno o due. Davanti ai militari delle forze scelte sono entrati in città dei bulldozer per togliere dal percorso le bombe nascoste con cui i terroristi avevano provocato danni abbastanza gravi ai blindati di un’operazione più limitata di qualche giorno fa. Dall’alto l’operazione è assistita da elicotteri. L’obiettivo è eliminare depositi di armi, fabbriche di bombe, posti di coordinamento. di informazione e di arroccamento dei terroristi, di cui già diversi sono stati distrutti; ma anche neutralizzare le loro forze, che a Jenin contano parecchie centinaia di terroristi inquadrati, e soprattutto i loro capi. Si tratta di un’operazione difficile e rischiosa, che dev’essere condotta in una città di circa 40 mila abitanti dalle strade strette e tortuose, sostanzialmente priva di controllo statale. Vi sono in città numerosi poliziotti dell’Autorità Palestinese che però non rispondono se non ai capi terroristi. La popolazione sembra sostanzialmente consenziente e solidale con la lotta armata contro Israele e i terroristi si annidano nella case civili, nelle moschee e nelle scuole; ma le truppe israeliane sono impegnate ad attenersi alle leggi internazionali e fanno tutto il possibile per colpire solo i terroristi inquadrati ed armati, senza coinvolgere i civili.

• Come si è arrivati a questo punto
  Il terrorismo palestinese è in crescita continua da alcuni anni. All’inizio, tre anni fa, sembrava che ci fosse una “intifada dei coltelli”, intrapresa da “lupi solitari” con “mezzi artigianali” come le pietre, i coltelli da cucina o magari le automobili usate per investire apposta gli israeliani; poi gradualmente si è realizzato che queste operazioni non erano spontanee, ma frutto di incitamento. Dai coltelli si è passati alle bombe molotov, poi all’uso sempre più frequente delle armi da fuoco. Negli ultimi mesi, anche grazie all’effetto dell’indebolimento di Israele dovuto alle manifestazioni antigovernative e all’incitamento a rifiutare il servizio militare di riserva, sono emersi veri e propri reparti militari terroristi, bene armati anche con mitra rubati nelle basi militari israeliane e con bombe costruite su istruzioni provenienti in definitiva dall’Iran. Molti dei loro membri sono stati addestrati come “poliziotti” dall’Autorità Palestinese e magari dai suoi istruttori americani. Di recente proprio da Jenin sono stati addirittura lanciati dei razzi diretti a Gerusalemme. Questi sono caduti nei territori amministrati dall’Autorità Palestinese, ma è apparso chiarissimo il tentativo di riprodurre la dinamica delle basi terroriste che è stata sviluppata nella striscia di Gaza da Hamas, dopo il ritiro deciso da Sharon nel 2005. Non era possibile per Israele lasciar crescere un secondo bubbone terrorista e dunque si è deciso che non bastava più la tattica delle piccole operazioni di arresto notturno dei terroristi, eseguita nei mesi scorsi con grande dedizione e coraggio dalle forze speciali israeliane e che era necessaria un’operazione più vasta e radicale. Si tratta comunque di un’operazione intermedia.

• Perché Jenin
  Le basi operative della nuova ondata terroristica sono prevalentemente collocate in Samaria, per esempio a Huwara e Nablus, ma certamente l’epicentro è a Jenin, una città all’estremo nord del territorio dell’Autorità Palestinese, a una quindicina di chilometri da Afula e Beut Shean. Già durante il mandato britannico la cittadina era una roccaforte dell’estremismo; durante la guerra di Indipendenza essa ospitò i militari iracheni; poi vi fu costruito un campo profughi (che in realtà oggi è un normale quartiere di case in muratura che ospita un terzo della popolazione). Di qui partirono numerosi attacchi durante il periodo di disordini noto come “seconda intifada”: almeno 28 attentatori suicidi partirono da quel campo negli anni fra il 2000 e il 2002, con 31 attacchi che fecero più di 120 vittime. Israele fu costretto a riconquistarlo nell’aprile 2002 con una difficile campagna casa per casa, in cui furono uccisi 23 soldati israeliani e 52 terroristi. La battaglia, che durò parecchi giorni, fu anche il pretesto di una campagna internazionale di diffamazione e disinformazione, che cercò di far passere l’idea che si trattasse di una strage che aveva distrutto la città. Ora la situazione sembra in parte ripetersi ed è già cominciata una campagna di odio contro Israele.

• Ciò che è in gioco
  Come ha dichiarato il portavoce dello stato maggiore, Israele non ha assolutamente in progetto di riconquistare Jenin o di distruggere il campo da cui partono i terroristi. Israele non è interessato a governare i palestinesi, è ben contento della loro autonomia, al solo patto che essa non sia lo scudo del terrorismo. Se gli arabi che sono cittadini dell’Autorità Palestinese, e in particolare quelli di Jenin, Huwara, Nablus facessero quello che fa la popolazione di tutto il mondo, cioè lavorassero, producessero, pensassero al futuro loro e delle loro famiglie, non vi sarebbe alcun conflitto. Il problema è che ormai una quota consistente della popolazione palestinese di sesso maschile ed età giovanile si dedica non alla vita normale ma all’addestramento militare e all’attività terroristica, grazie all’incitamento continuo dei media e della scuola dell’Autorità Palestinese e ai finanziamenti e agli armamenti iraniani, spesso canalizzati da Hamas. Lo Stato di Israele vuole solo che la violenza cessi e ha il compito istituzionale di difendere i propri cittadini. Vuol farlo, per ovvie ragioni giuridiche, diplomatiche, militari ed economiche, col minimo dispendio di violenza e di vite umane. Questa è la linea seguita anche in questa operazione. Essa sarà una vittoria non in dipendenza del numero di terroristi uccisi e catturati, ma della calma che sarà raggiunta. Naturalmente l’interesse di Hamas, della Jihad islamica, di Fatah (e sullo sfondo dell’Iran) è l’opposto: la guerra, l’agitazione, l’insicurezza di Israele. Per questo dobbiamo aspettarci nuovi interventi terroristici, razzi da Gaza e dal nord di Israele, martellamento propagandistico. Ma la lucidità e la forza dell’esercito e del governo di Israele guidato da un esperto come Netanyahu sapranno prevalere su questi tentativi di rilancio.

(Shalom, 4 luglio 2023)


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Per Iran ed Hezbollah l’operazione israeliana di Jenin è una fortuna

di Seth J. Frantzman 

L’Iran ha cercato di potenziare la Jihad islamica palestinese in Cisgiordania per creare maggiori tensioni con Israele avvicinandosi a Gerusalemme e nel contempo trarne benefici nella regione attraverso le iniziative diplomatiche in vari Paesi.
  Nell’ultimo anno, ha cercato sempre più di fornire armi alle organizzazioni terroristiche in Cisgiordania e spera che il gruppo della Jihad Islamica Palestinese (PIJ) possa ritagliarsi una zona di controllo che minacci Israele.
  Le attività dei gruppi sostenuti dall’Iran, come PIJ e Hamas, sono vantaggiose per l’Iran perché danno a Teheran un modo per aumentare la sua “unità” di fronti contro Israele.
  Ciò significa che può aggiungere Jenin ad altre aree, come Gaza, il Libano meridionale e la zona di confine del Golan, dove l’Iran svolge attività e sostiene minacce.
  Nella visione a lungo termine, Teheran potrebbe credere di poter creare a Jenin condizioni simili a quelle che ha creato nel Libano meridionale e poi a Gaza negli anni ’90 e nei primi anni 2000. Per ora Teheran e Hezbollah sembrano monitorare la situazione.
  L’unificazione dei fronti, un concetto che l’Iran ha menzionato negli ultimi mesi, è un modo in cui l’Iran trae vantaggio. Ciò significa riunire le minacce di Hamas, Hezbollah, PIJ e altri in vari luoghi. Tuttavia, se i suoi tentacoli in Cisgiordania vengono ridotti, potrebbe perdere uno di questi fronti. In ogni caso, l’Iran probabilmente calcola che il beneficio valga il rischio.
  Ad esempio, l’obiettivo è quello di insediarsi tra i civili e aumentare il rischio per le operazioni israeliane. Ciò significa anche che l’Iran può far leva su questo per scopi diplomatici. L’Iran gestisce una rete diplomatica nel Golfo e spera che queste tensioni possano danneggiare i legami di Israele con il Golfo. L’Iran lo dice apertamente, e articoli recenti suggeriscono che spera di poter unire i Paesi musulmani contro Israele.

• L’Iran cerca di utilizzare nuove tattiche
  Dopo aver visto per anni droni e missili abbattuti dalle difese israeliane, l’Iran ha cercato di far utilizzare alle sue forze per procura, come la PIJ, ordigni esplosivi. La prefigurazione di ciò si è avuta a marzo con un incidente nei pressi dello svincolo di Megiddo.
  Nei propri media, l’Iran è stato un po’ circospetto sull’operazione di Jenin. L’Iran non si sta ancora vantando. Sta monitorando l’operazione israeliana e questo potrebbe far pensare che sia stato colto di sorpresa. I proxy iraniani della Jihad islamica vogliono chiaramente affermare di non essere stati colti di sorpresa e i media iraniani pro-regime come Tasnim li supportano in questo.
  L’Iran ha anche visto come la Jihad islamica sia generalmente isolata. Israele ha lanciato Shield and Arrow a maggio contro la PIJ a Gaza senza che però Hamas intervenisse. L’Iran ha spesso cercato di dettare il ritmo delle minacce a Israele senza per ora riuscirci.
  Tuttavia si può pensare anche che l’Iran intenda muoversi lentamente, come fa di solito nella regione. Ciò significa una combinazione della strategia iraniana a forma di piovra in tutta la regione, con una sorta di tentativo di circondare Israele con le sue minacce.
  L’Iran combina tutto ciò con i suoi successi diplomatici nelle relazioni con l’Arabia Saudita, con l’avvicinamento all’Egitto e al Golfo, nonché con i suoi legami strategici con la Russia e con la Cina. L’Iran si vanta apertamente di questi legami. Ecco perché deve soppesare i suoi legami diplomatici con la sua risposta a quanto sta accadendo a Jenin.
  Nel frattempo Hezbollah, libero da vincoli diplomatici, ha minacciato Israele sulla scia dell’operazione di Jenin, affermando nel notiziario iraniano Tasnim News che Israele “si pentirà” dell’operazione. L’Iran vuole sottolineare, attraverso i suoi media e altri media filo-iraniani come Al-Mayadeen, che Israele è stato condannato nella regione e che Jenin continuerà a “resistere” e a essere un “grattacapo” per Israele. Mentre i media filo-iraniani possono sottolineare le possibilità che questa operazione possa “infiammare” Gaza, l’altro contesto è che l’Iran sta monitorando.
  L’Iran ha la motivazione di creare una crisi in Cisgiordania. Cerca di portare armi e denaro per sostenere la Jihad islamica. La Guida Suprema dell’Iran ha recentemente ospitato a Teheran i leader della Jihad islamica. Il contesto, quindi, è che l’Iran conosce molto bene la situazione attuale. Cerca di far percolare lentamente la Jihad islamica per creare tensioni.
  Allo stesso tempo, vede dei vantaggi nella regione, utilizzando un gruppo per procura relativamente piccolo per creare cicli praticamente mensili di conflitto di basso livello con Israele. Poi misura questo conflitto per vedere se è vantaggioso. Il regime iraniano sostiene di trarne beneficio. Vorrebbe spostare l’attenzione di Israele più vicino alla Cisgiordania, e quindi lontano dalla regione in generale.
  In sostanza, l’Iran vorrebbe riportare indietro le lancette dell’orologio all’anno 2000, all’incirca all’epoca della Seconda Intifada, quando Israele aveva lasciato il Libano e l’Iran stava per mettere Hezbollah sotto steroidi. L’Iran ne ha approfittato per portare alla guerra del 2006 e il ritiro di Israele da Gaza ha portato al conflitto del 2008-2009 a Gaza. L’Iran ha poi cercato di mettere sotto steroidi anche Hamas con tecnologia missilistica e altro supporto.
  Ora l’Iran potrebbe pensare di avere una ricetta simile per la Cisgiordania. 

(Rights Reporter, 4 luglio 2023)

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Al via i JCC Maccabi Games a Haifa, il più grande evento sportivo giovanile ebraico al mondo

di David Fiorentini

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Più di mille atleti adolescenti ebrei da tutto il globo si riuniranno a Haifa per partecipare ai JCC Maccabi Games, il più grande evento sportivo giovanile ebraico al mondo. Un evento mirato a rafforzare il legame con le rispettive comunità e con Israele attraverso lo sport.
  La competizione annuale, mirata a rafforzare il legame tra la diaspora e Israele tramite lo sport, torna nello Stato ebraico per la prima volta in oltre un decennio e solo per la seconda volta nella sua storia quarantennale, in occasione del 75º anniversario di Israele.
  Solitamente, i giochi si svolgono in Nord America e coinvolgono principalmente delegazioni da USA, Canada e Messico, oltre a un piccolo numero di delegazioni dal resto del mondo.
  Quest’anno, invece, saranno 74 le delegazioni partecipanti, che rappresenteranno 10 paesi. Tra questi, un gruppo di ragazzi dall’Ucraina e, per la prima volta, sull’onda degli Accordi di Abramo, anche dal Marocco.
  “I JCC Maccabi Games ci uniscono attraverso la competizione, la forza di volontà e un profondo incontro con il più ampio mondo ebraico”, afferma Doron Krakow, presidente e CEO della JCC Association. “Tornare in Israele come parte della celebrazione del 75º anniversario del paese e del perpetuo compimento del sogno del movimento sionista moderno è motivo di enorme orgoglio per tutti noi.”
  Parole di grande soddisfazione, a cui fanno eco quelle del CEO di Maccabi Israele, Naor Galili, che sottolinea il grande momento per lo sport ebraico: “Maccabi Israele è orgoglioso di essere partner nelle attività internazionali della Maccabi World Union e della JCC Association. Oltre ai JCC Maccabi Games qui in Israele, che includeranno circa 300 atleti israeliani, circa 200 atleti israeliani rappresenteranno il nostro paese ai Giochi Panamericani Maccabi a Buenos Aires, in Argentina, mentre 40 atleti gareggeranno per Israele ai JCC Maccabi Games a Fort Lauderdale, in Florida, più avanti questa estate. Maccabi Israele è onorato di far parte della famiglia Maccabi globale e continueremo a partecipare a tutti gli eventi Maccabi, per il bene dell’ebraismo e per la celebrazione dello Stato di Israele nel mondo.”
  Infine, durante la Cerimonia di Apertura, come da consuetudine fin dalle prime edizioni del torneo più di quarant’anni fa, saranno onorate e ricordate le vittime del massacro di Monaco ‘72 in un commovente tributo.

(Bet Magazine Mosaico, 4 luglio 2023)

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Apre in Canada il Museo dell’Olocausto di Toronto per combattere l’antisemitismo

di Niccolò Lucarelli

Il Toronto Holocaust Museum
Inaugurato lo scorso 9 giugno 2023, il Toronto Holocaust Museum nasce per volontà della Azrieli Foudnation, che ha stanziato 12 milioni di dollari. Da parte sua, il governo canadese ha donato 2.522.558 dollari allo United Jewish Appeal of Greater Toronto per finanziare il Museo dell’Olocausto di Toronto. “Il nostro governo sta dalla parte delle comunità ebraiche in Canada e in tutto il mondo”, ha dichiarato Pablo Rodriguez, ministro del patrimonio canadese. “Ci impegniamo a sostenere i valori della diversità e dell’inclusione, nonché a combattere l’antisemitismo e la discriminazione in tutte le sue forme. Siamo orgogliosi di sostenere l’Appello Ebraico Unito del nuovo museo della Grande Toronto, che promuoverà l’educazione all’Olocausto, combatterà l’antisemitismo e contribuirà a costruire un Canada più inclusivo”.

• IL TORONTO HOLOCAUST MUSEUM
   I metodi di educazione sulla tragedia dell’Olocausto stanno cambiando e stiamo intraprendendo azioni coraggiose per affrontare le sfide del XXI Secolo, utilizzando gli strumenti che la tecnologia più avanzata ci mette a disposizione, e siamo orgogliosi di essere i principali donatori per il Toronto Holocaust Museum, offrendo ai canadesi un nuovo programma visionario”, ha dichiarato Naomi Azrieli, CEO della Azrieli Foundation. Il Museo è un’emanazione del Sarah and Chaim Neuberger Holocaust Education Centre, fondato 36 anni fa con la missione assicurare che le testimonianze e l’eredità morale dei sopravvissuti non vengano mai dimenticate. L’edificio di 1.000 metri quadrati presenta una tecnologia all’avanguardia e approcci innovativi all’educazione sull’Olocausto, e stimola i visitatori a guardare alla Shoah in maniera critica e a stabilire collegamenti fra questa, l’antisemitismo contemporaneo, gli eventi mondiali e il Canada di oggi. “Il museo è un ambiente tecnologicamente immersivo; quindi ci sono 11 postazioni video di testimonianze, in modo da poter ascoltare direttamente la voce dei sopravvissuti. Ci sono anche mappe geografiche interattive per spiegare al pubblico quanti ebrei in quanti Paesi hanno subito l’Olocausto”, ha spiegato Dara Solomon, direttrice del Museo.

• IL RITORNO DELL’ANTISEMITISMO IN CANADA
  Purtroppo molti canadesi hanno una conoscenza molto limitata della tragedia dell’Olocausto. La Azrieli Foundation, un’organizzazione senza scopo di lucro che lavora alla sensibilizzazione in materia, in collaborazione con la Conference on Jewish Material Claims Against Germany, ha commissionato nel 2018 uno studio a livello nazionale, da cui è emerso che il 22% delle persone fra i 18 e i 34 anni non avevano sentito parlare del genocidio e più della metà degli intervistati non conosceva l’entità di quanto accaduto o quanti ebrei furono uccisi. E ancora, la deputazione canadese della loggia internazionale ebraica B’nai Brith ha documentato nel 2022 un aumento del 733% degli atti di violenza contro cittadini canadesi di religione ebraica, con una media di otto casi segnalati ogni giorno. A questi atti incivili si aggiungono i commenti razzisti che appaiono sul web, compresi quelli esternati dal rapper Kanye West; parole che spingono i leader della comunità ebraica canadese a chiedere un miglioramento nell’educazione contro l’odio e la discriminazione nei confronti degli ebrei. Alla luce di questa sconfortante situazione, il museo è quindi uno strumento molto prezioso per combattere il ritorno dell’antisemitismo.

(Artribune, 4 luglio 2023)

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Israele. Ricercatori sviluppano un nuovo metodo per indurre le cellule tumorali a “suicidarsi”

I ricercatori israeliani hanno sviluppato un metodo che fa sì che le cellule tumorali producano tossine e quindi “suicidino”. E’ quanto si legge in una nota dell’Università di Tel Aviv (TAU) nel centro di Israele.
  In uno studio pubblicato sulla rivista Theranostics, i ricercatori della TAU “per la prima volta al mondo” hanno codificato una tossina prodotta dai batteri in molecole di RNA messaggero (mRNA) e hanno consegnato queste particelle direttamente alle cellule tumorali, afferma la dichiarazione.
  Di conseguenza, le cellule tumorali hanno prodotto la stessa tossina come se fossero i batteri stessi e, alla fine, la tossina autoprodotta uccide le cellule tumorali con una percentuale di successo fino al 60%.
  L’idea era di fornire molecole di mRNA sicure codificate per una tossina batterica direttamente alle cellule tumorali, a differenza dei trattamenti chemioterapici, che non sono selettivi e uccidono anche le cellule sane.
  Negli esperimenti, il team ha prima codificato le informazioni genetiche della proteina tossica prodotta dai batteri pseudomonas in molecole di mRNA.
  Queste molecole sono state quindi confezionate in nanoparticelle lipidiche e rivestite con anticorpi per garantire che le istruzioni della “ricetta” per produrre la tossina raggiungessero le cellule tumorali.
  Le particelle sono state iniettate nei tumori di topi con cancro della pelle al melanoma e, dopo un’iniezione, dal 44 al 60 percento delle cellule tumorali sono scomparse.
  I ricercatori hanno notato che il nuovo metodo può essere utilizzato con molti batteri anaerobici che secernono tossine, in particolare quelli che vivono nel terreno, e può trattare molti tipi di cancro.
  Inoltre, le cellule tumorali non possono sviluppare resistenza al metodo come spesso accade con la chemioterapia perché è sempre possibile utilizzare una tossina naturale diversa, hanno concluso.

(Agenpress, 4 luglio 2023)

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Le isole Fiji apriranno per la prima volta un’ambasciata in Israele

di David Fiorentini

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Per la prima volta nella loro storia, le isole Fiji apriranno un’ambasciata in Israele, diventando la 98ª nazione a farlo.
  La decisione del governo fijiano, che ha riscosso un ampio sostegno politico, mira a mantenere e migliorare le relazioni con Israele. Finora, come afferma il Primo Ministro Sitiveni Rabuka, Fiji ha mantenuto “relazioni amichevoli con lo Stato di Israele, attraverso la cooperazione bilaterale in materia di pace e sicurezza, nonché in settori come l’agricoltura”. Per questo motivo, sulla scia di questi ottimi presupposti, è finalmente arrivato il momento per compiere un passo così significativo.
  “Congratulazioni al governo di Fiji per l’importante decisione che rafforzerà e approfondirà le relazioni tra i due paesi”, ha esordito a JNS il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen. “Fiji ha dimostrato negli ultimi anni di essere un vero amico di Israele anche nell’arena internazionale. L’apertura dell’ambasciata di Fiji ci avvicina all’obiettivo che ci siamo posti di avere 100 ambasciate in Israele”.
  Questa notizia segue l’annuncio di Papua Nuova Guinea a febbraio della sua intenzione di aprire un’ambasciata a Gerusalemme. Il processo dovrebbe iniziare già nei prossimi mesi, a partire dall’annuncio delle nuove manovre incluse nel bilancio nazionale 2023-2024.

(Bet Magazine Mosaico, 3 luglio 2023)

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Cisgiordania, Israele conduce la più grande operazione contro il terrorismo palestinese: uccisi 7 sospetti

Jenin è uno dei fortini del terrore palestinese, per lungo tempo sfuggito al controllo delle Forze di Difesa israeliane. Con dieci attacchi aerei e oltre mille unità di terra dispiegate in tutta la città Israele ha portato a termine la più grande operazione anti-terrorismo in Palestina.

di Diego Demurtas

Le Forze di Difesa israeliane hanno portato a termine, questa notte e nelle prime ore del mattino, una maxi-operazione in cui sono stati uccisi 7 sospetti terroristi palestinesi a Jenin. L’intervento dei militari sarebbe il più grande dalla Seconda Intifada: dieci attacchi aerei e forze di terra dispiegate in tutta la città della Cisgiordania settentrionale. Il portavoce del Comando militare, Daniel Hagari, ha dichiarato di recente che le operazioni si starebbero concentrando a Jenin, ma c’è un’alta probabilità che vengano espanse alla Samaria, terra rivendicata da Israele. La regione sta subendo un’escalation di violenze da mesi, alimentate dalla morte di alcuni jiadhisti e dall’edificazione di un villaggio israeliano nel West Bank occupato.

• L’operazione
  Finora i sospetti terroristi uccisi sarebbero 7, mentre i feriti sarebbero dozzine. Un militare israeliano è stato ferito e trasportato urgentemente in ospedale. L’obiettivo delle Forze di Difesa sarebbe quello di sradicare le cellule del terrore a Jenin. Come riportato da The Jerusalem Post, Daniel Hagari aveva ipotizzato un’operazione su vasta scala e distribuita su più giorni, se non settimane. I soldati israeliani hanno trovato e confiscato un lanciarazzi e distrutto un complesso identificato come laboratorio di produzione e stoccaggio di esplosivi. L’IDF di Tel Aviv ha chiarito che le operazioni non sono rivolte contro l’Autorità Palestinese ma contro i gruppi terroristici che stanziano e operano da Jenin e dalla Cisgiordania settentrionale. Sui social sono circolate notizie circa un attacco israeliano al Freedom Theatre di Jenin. Il portavoce arabo dell’IDF, Avichay Adraee, ha smentito su Twitter la notizia pubblicando un video dove si può vedere l’edificio inquadrato dall’alto e non colpito dai militari israeliani.

• Jenin: roccaforte del terrore palestinese
  Jenin è uno dei fortini del terrore palestinese, per lungo tempo sfuggita al controllo delle Forze di Difesa israeliane. Negli ultimi mesi c’è stata una violenta escalation di scontri tra ebrei e palestinesi. Nella città troverebbero sede i gruppi di Hamas, della Jihad islamica, la Fossa dei Leoni, il Fronte popolare per la Palestina e simili. Secondo quanto dichiarato da Hagari, le operazioni dell’IDF sarebbero concentrate sull’eliminazione degli apparati terroristici che piano piano sono cresciuti a Jenin e andati fuori controllo. Sarebbero almeno 50 gli attentati partiti da gruppi con sede a Jenin. Secondo le stime delle autorità israeliane, il 25% della popolazione che risiede in città si identifica nella Jihad islamica, il 20% con Hamas. Dei 49mila residenti, 18mila stanziano nel campo profughi alla periferia della città, raggiunto da mille unità dell’IDF durante l’operazione di questa notte.

• Autorità Palestinese: “Il raid di Jenin non fermerà il terrore”
  Il portavoce dell’Autorità Palestinese, Abu Rudaineh, ha dichiarato che l’intervento israeliano non raggiungerà l’obiettivo sperato. “I gruppi non si arrenderanno e rimarranno su questa terra per affrontare l’aggressione“, sono le parole di Rudaineh riportate dai media locali. “Si tratta di un nuovo crimine contro il nostro popolo“, ha poi aggiunto il portavoce. Secondo alcune fonti di The Jerusalem Post, la Repubblica islamica dell’Iran avrebbe agenti in Cisgiordania incaricati di fornire supporto militare a diverse cellule, in particolare quelle stanziate a Jenin e Nablus.

(il Quotidiano Italiano, 3 luglio 2023)


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Israele, perché l’operazione a Jenin risolve il problema solo temporaneamente

di Avi Issacharoff

È molto improbabile che l’offensiva antiterrorismo dell’IDF a Jenin di lunedì fornisca una risposta necessaria alla recrudescenza della violenza nel nord della Cisgiordania e probabilmente agirà solo come una soluzione temporanea.
  Per ripulire l’area dalle cellule terroristiche servirebbero settimane o mesi nel migliore dei casi, ma senza che l’Autorità Palestinese intervenga per assumersi la responsabilità, tra non molto Israele potrebbe trovarsi a lanciare un’altra operazione.
  Questo è il nocciolo del problema per le forze di sicurezza, un problema che cresce di giorno in giorno. L’Autorità palestinese è assente nell’area. Non può e non vuole essere responsabile degli eventi in essa, permettendo all’Iran e ai suoi proxy di intervenire per riempire il vuoto.
  Non si tratta più del noto standard operativo iraniano che limita il suo coinvolgimento al finanziamento dei militanti locali. L’Iran ha fornito finanziamenti ai gruppi terroristici palestinesi fin dalla fondazione della Jihad islamica palestinese e poi delle organizzazioni terroristiche di Hamas. Teheran ha saputo rifornire questi gruppi di denaro e spesso ha fornito addestramento ai loro membri, al fine di sostenere gli attacchi contro Israele.
  Ma negli ultimi mesi c’è stato un cambiamento. L’Iran ha deciso di aumentare la pressione su Israele, forse in risposta alle presunte operazioni israeliane sul suolo iraniano e agli attacchi contro obiettivi iraniani in Siria.
  Teheran ha visto che solo uno sforzo concentrato per lanciare attacchi terroristici contro gli israeliani può portare a un cambiamento, al contrario degli attacchi terroristici internazionali che si traducono solo in titoli di giornale, e ha quindi optato per un’offensiva.
  Negli ultimi mesi sono stati evidenti i segni sul terreno che indicano il coinvolgimento iraniano in attacchi terroristici volti a destabilizzare la Cisgiordania. Non c’è un unico comandante in questo sforzo, a differenza di quanto accadeva in passato quando la forza Quds del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane aveva preso il comando delle operazioni palestinesi. Ora più organizzazioni iraniane si contendono il primato, fornendo fondi, ma anche armi ed esplosivi, nonché intelligence e tecnologia.
  Per lo più vengono contrabbandati attraverso il confine tra Libano e Israele, grazie a trafficanti di droga che nascondono materiale esplosivo tra i loro prodotti. A volte vengono effettuate operazioni di contrabbando più consistenti.
  Il contrabbando è avvenuto anche attraverso il confine siriano con Israele, ma le misure di sicurezza dell’IDF sono più difficili da aggirare, poiché i civili si avvicinano raramente alla frontiera e l’esercito siriano ha finora evitato di fornire assistenza a tali sforzi, probabilmente comprendendo la potenziale risposta israeliana.
  Recentemente sono stati compiuti tentativi di contrabbando attraverso il confine giordano, principalmente dove si incontrano i confini di Israele, Giordania e Siria. Un agente iraniano che non riesce a trasportare armi attraverso il Libano può tentare la sorte in Siria e, se anche questo fallisce, può tentare anche il confine giordano.
  I funzionari di sicurezza israeliani temono che i droni possano essere utilizzati per contrabbandare armi in Cisgiordania. Questo sarebbe un metodo poco costoso, ma comporterebbe solo piccole spedizioni di armi, anche se letali, a causa delle restrizioni per il peso.
  L’ordigno esplosivo fatto esplodere vicino a Meggido lo scorso marzo è stato realizzato con la piena consapevolezza del gruppo terroristico Hezbollah, sostenuto dall’Iran, in Libano e, secondo i funzionari, è stato approvato dallo stesso leader di Hezbollah Hassan Nasrallah.
  Sebbene si tratti di un apparente sviluppo degli sforzi per attaccare gli israeliani, i funzionari hanno affermato che Nasrallah non è interessato a una guerra totale con Israele. La sua idea è piuttosto che un ordigno esplosivo sul ciglio della strada in Israele non provocherebbe un’offensiva israeliana e che, se questa venisse lanciata, sarebbe limitata a un certo numero di giorni, data la sua capacità di colpire efficacemente il fronte interno di Israele con i suoi missili. Spera inoltre che, poiché la missione è stata affidata a un terrorista palestinese, Israele non sia in grado di risalire a lui.
  Perché Nasrallah ha approvato l’operazione, tanto per cominciare? La risposta è la sua probabile capitolazione alle pressioni iraniane per unirsi agli sforzi nella lotta contro Israele.
  Anche quella che è stata considerata la recente provocazione di Hezbollah, l’installazione di tende in territorio israeliano, sembra essere un fallimento. Probabilmente non si è trattato di un’operazione pianificata a Beirut, ma piuttosto di un errore di localizzazione sul terreno che sia Israele che il Libano hanno cercato di risolvere pacificamente.
  Ora, l’arena palestinese intorno a noi è diventata il terreno di gioco preferito dell’Iran. Finché l’Autorità palestinese rimarrà assente a Jenin, Nablus e simili e finché Israele eviterà di prendere il controllo di quelle aree in modo permanente, potrebbe non esserci una soluzione a lungo termine alle sfide di sicurezza in quelle zone.

(Rights Reporter, 3 luglio 2023)

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Ecco come Israele espanderà la flotta di F-35

Israele acquisterà altri aerei da combattimento F-35 dagli Stati Uniti. Gerusalemme ha già effettuato ordini per 50 jet, di cui 36 operativi. Il nuovo ordine espande la flotta del 50% e comporterà la creazione di un terzo squadrone di F-35. 

di Chiara Rossi

Gerusalemme ha dato il via libera all’acquisto di 25 caccia multiruolo F-35 dagli Stati Uniti con un accordo del valore di circa tre miliardi di dollari. Lo ha annunciato il ministero della Difesa israeliano in un comunicato, spiegando che il ministro Yoav Gallant ha approvato la raccomandazione proposta dal capo di Stato maggiore delle Forze di difesa israeliane, generale Herzi Halevi, dal direttore generale del ministero, Eyal Zamir, e dal capo dell’Aeronautica militare, Tomer Bar.
  Prodotto dalla Lockheed Martin Corp, l’F-35 è il caccia di quinta generazione Jsf che Israele ha adottato nella versione personalizzata “Adir”. Il paese è anche l’unico del Medio Oriente a farli volare. L’acquisto da 3 miliardi di dollari, che porta la flotta israeliana di jet F-35 da 50 a 75, dovrebbe essere finalizzato nei prossimi mesi, ha affermato il ministero.
  Gli ultimi tre cacciabombardieri con caratteristiche stealth F-35i “Adir” sono atterrati proprio lo scorso novembre alla base aerea di Nevatim, nel Negev. Gli aerei sono entrati a far parte dello squadrone “Golden Eagle.

(Start Magazine, 3 luglio 2023)

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La metropolitana leggera di Tel Aviv sarà inaugurata questo mese

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Dopo anni di ritardi, la prima linea della metropolitana leggera di Tel Aviv dovrebbe entrare in funzione entro la fine del mese, ha annunciato ieri il Ministero dei Trasporti.
  La linea rossa, lunga 24 km. collega la città costiera di Bat Yam, appena a sud di Tel Aviv, con Petach Tikvah, a est di Tel Aviv, ha ottenuto il via libera dopo che sono state concesse tutte le autorizzazioni di sicurezza in sospeso. Originariamente previsto per l’inizio dell’attività quasi due anni fa, il progetto da quasi 19 miliardi di NIS (5 miliardi di dollari) è stato ripetutamente ostacolato da malfunzionamenti, tra cui, in modo particolare, quello della segnaletica e della frenatura di emergenza.
  La linea comprende 33 stazioni e va da Bat Yam attraverso Jaffa, Tel Aviv, Bnei Brak e Ramat Gan fino a Petah Tikvah in entrambe le direzioni. Metà del percorso passa attraverso un tunnel sotterraneo. “Sono lieta che presto ci sarà un primo passo per risolvere la congestione di Tel Aviv, quando la linea rossa circolerà “, ha dichiarato il Ministro dei Trasporti Miri Regev in una dichiarazione scritta rilasciata dalla Repubblica di Georgia, dove si trova in visita ufficiale. “Se non ci saranno problemi particolari, presto i cittadini di Israele potranno usufruire della linea”.
  Ha aggiunto che altre due linee di metropolitana leggera sono in costruzione. L’inaugurazione della linea rossa dovrebbe includere un periodo di libera circolazione, anche se la durata del periodo è ancora in discussione. Regev è stata ripetutamente messa sotto accusa per i ritardi nell’avvio del programma di trasporto di punta della città, noto in ebraico come Dankal: la data di inizio annunciata in precedenza, poco dopo il Giorno dell’Indipendenza a fine aprile, è passata senza che la linea fosse in funzione.
  Il treno è stato sottoposto a corse di prova senza passeggeri per mesi, con le festività nazionali e musulmane di primavera che hanno aumentato i ritardi, frustrando i residenti di Tel Aviv che spesso lo guardano passare mentre erano bloccati nel traffico della città congestionata. La prima gara d’appalto per la linea ferroviaria è stata pubblicata quasi due decenni fa, mentre il Primo Ministro Golda Meir ha ventilato l’idea di una linea metropolitana per Tel Aviv mezzo secolo fa.

(Israele 360°, 3 luglio 2023)

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La nazionale israeliana U21 è nella storia: semifinalista agli europei e qualificata alle Olimpiadi di Parigi

di Luca Spizzichino

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La nazionale di calcio israeliana continua a far sognare. Dopo essersi classificata terza ai Mondiali Under 20, che si sono tenuti in Argentina, la nazionale Under 21, guidata dal commissario tecnico Guy Luzon, vuole scrivere anche lei la storia cercando di raggiungere la finale agli Europei di categoria, che si stanno giocando in Georgia e Romania.
  Per farlo dovrà battere mercoledì alle 18 la nazionale inglese, che ha battuto ai quarti di finale il Portogallo. Un risultato, quest’ultimo, che ha permesso ad Israele di qualificarsi direttamente alle Olimpiadi di Parigi nel 2024. L’ultima apparizione risale a 46 anni fa, alle Olimpiadi di Montreal del 1976.
  Israele ha raggiunto questi storici traguardi dopo aver battuto la Georgia alla lotteria dei calci di rigore, dove ad essere decisivo è stato il portiere Daniel Peretz, eletto uomo del match. Il portiere del Maccabi Tel Aviv ha neutralizzato gli attacchi georgiani nel corso dei 120 minuti regolamentari ed ha parato uno dei due rigori sbagliati dai padroni di casa.
  “È in questi momenti che bisogna mostrare fiducia, impegno e sicurezza nei propri mezzi. E noi abbiamo dimostrato di avere tutto questo, soprattutto con le nostre qualità nel primo tempo e con il carattere nel secondo tempo. – le parole a fine gara del ct Luzon – Credo che ci siamo guadagnati il diritto di essere qui e sono molto orgoglioso della mia squadra”.
  “Congratulazioni per l’incredibile vittoria!” il messaggio del presidente d’Israele Isaac Herzog, che si è complimentato per la “determinazione e la forza di volontà” dimostrata dai giovani giocatori.

(Shalom, 3 luglio 2023)


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Talenti ebrei e gol arabi, Israele brilla: è già ai Giochi

Dopo la semifinale ai Mondiali Under 20 la nazionale sotto la Stella di David tra le migliori quattro anche all’Europeo Under 21, risultato che vale la qualificazione alle Olimpiadi del prossimo anno.

di Franco Vanni

Israele è una fabbrica di giovani talenti del pallone. Se ne sta accorgendo tutto il mondo e soprattutto l’Europa, di cui lo Stato fa parte dal punto di vista calcistico, tanto nelle competizioni per club quanto in quelle fra nazionali. In meno di un mese, ha raggiunto la semifinale del Mondiale Under 20, vincendo poi la finalina per il terzo posto contro la Corea del Sud e ora è in semifinale anche all’Europeo Under 21. Dove, dopo avere eliminato la Georgia, incontrerà l’Inghilterra. E proprio grazie alla vittoria degli inglesi con il Portogallo, la nazionale sotto la Stella di David ha la certezza di partecipare alle prossime Olimpiadi, come non succedeva dal 1976, quando a Montréal arrivò ai quarti. Stesso piazzamento ottenne nel 1968, a Città del Messico.
  A far parlare in Israele è soprattutto l’Under 20, amatissima, ma oggetto della polemica dell’estrema destra, per la presenza e il ruolo dei calciatori arabo-israeliani. Una circostanza che l’allenatore Ofir Haim sottolinea invece con orgoglio, ripetendo di volere «unire questo meraviglioso Paese». Lo ha detto anche dopo avere battuto il Brasile ai quarti. Decisivi, nella storica vittoria per 3-2 in rimonta, sono stati i gol di Anan Khalaili e Hamza Shibli, che hanno festeggiato prostrandosi nel rito islamico del Ringraziamento.
  Se il calcio giovanile in Israele è arrivato a questo punto, è soprattutto grazie agli investimenti nei vivai fatti nell’ultimo decennio dai club più ricchi: Maccabi Haifa, Hapoel Be’er Sheva e Maccabi Tel Aviv. A sentire i dirigenti, il riferimento è sempre quello: «Guardiamo alla Premier League». Vale per gli stadi di proprietà come per i moderni centri di allenamento. Ma basterà a riportare la nazionale maggiore ai fasti del 1970, quando per la prima e unica volta riuscì a qualificarsi a un Mondiale? Intervistato dalla radio pubblica tedesca "Deutsche Welle”, Iddo Nevo, ricercatore in Storia dello Sport all’Università ebraica di Gerusalemme, gela gli animi: «È bello avere squadre giovanili di successo, ma il livello del calcio israeliano resta mediocre. Se più ragazzini cominceranno a giocare, gli effetti li vedremo fra 20 anni, non ora».

(la Repubblica, 3 luglio 2023)

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Il Grande Sconosciuto

Anche nel mondo cristiano, il nostro Signore Gesù Cristo è ancora il Grande Sconosciuto.

di Wilm Malgo (1922-1992)

I discepoli spesso reagivano in modo incosciente al Signore, ai suoi fini e alle sue modalità. Una volta il Signore chiese: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo!» (Giovanni 14:9). Notiamo questa incomprensione anche tra i discepoli di Gesù oggi.
  Persino Israele non ha compreso il Signore nel periodo in cui ha camminato su questa terra.

    «Poi Gesù, giunto nei dintorni di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «Chi dice la gente che sia il Figlio dell'uomo?» Essi risposero: «Alcuni dicono Giovanni il battista; altri, Elia; altri, Geremia o uno dei profeti». Ed egli disse loro: «E voi, chi dite che io sia?» Simon Pietro rispose: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Gesù, replicando, disse: «Tu sei beato, Simone, figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli» (Matteo 16: 13-17).

Detto questo, lo stesso Pietro che qualche tempo dopo, quella notte in quel fatidico episodio del rinnegamento, alla domanda se egli appartenesse a Gesù rispose: «Non conosco quell'uomo di cui parlate» (Marco 14: 71).
  Pietro conosceva il Signore, ma intimamente non lo conosceva davvero, altrimenti non avrebbe potuto rinnegarlo.
  Anche noi possiamo rinnegarLo con il nostro atteggiamento, mostrando incomprensione verso i suoi insegnamenti. Ma poiché Gesù Cristo è il Figlio diletto di Dio, è anche la rivelazione dell'amore di Dio stesso; infatti: Dio è amore. Pertanto, la conoscenza e l'amore di Cristo Gesù sono qualcosa di più importante nella vita di un credente. Paolo ha pregato a questo proposito e noi siamo in grado di comprendere «con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità dell'amore di Cristo e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio»  (Efesini 3: 18-19).
  Pochi credenti sono immersi nella pienezza di Dio, e questo avviene perché non crescono nella conoscenza dell'amore di Cristo. Il vero progresso cristiano consiste nella crescita e nella realizzazione del Suo amore. Il processo impone l'abnegazione.
  Più rinnego me stesso approvando la persona di Gesù Cristo, più realizzo con crescente stupore chi, cosa e come Lui è.

    «Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Matteo 16:24).

Il Signore ci dice: "Se vuoi essere mio discepolo, devi cedere il diritto su te stesso". Se eseguiamo questo trasferimento di diritto, non avremo più la presunzione di riuscire da soli ad avere cura, in modo prioritario, delle nostre condizioni di vita, perché se non lo facciamo, questo bloccherà il nostro rapporto con Gesù. Lui non deve essere solo abbastanza per noi, Lui deve essere tutto!
  Chiunque lo riconosca in modo sempre più profondo sarà disponubile a rinnegare Se stesso.
  Molti credenti si chiedono: "Come posso essere fedele al Signore Gesù Cristo e allo stesso tempo vivere ancora nel mondo?”.
  Colui che conosce Gesù realmente si domanda invece: "Come posso separarmi dal mondo per servirlo ancora meglio?" E' una questione di conoscenza. Chi lo conosce brucia per Lui. Chi lo conosce è dominato da una passione e si chiede continuamente: "Come posso servire meglio il mio Salvatore?" Semplicemente segue Gesù! Nessuno si illuda di poter seguire Gesù con riserve e restrizioni. A quelli che erano entusiasti di Lui, il nostro Signore disse in modo sobrio:

    «E chi non porta la sua croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo» (Luca 14:27).

Ha detto alla gente di calcolare i costi e per fare ciò ha usato l'immagine di colui che costruisce:

    «Chi di voi, infatti, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolare la spesa per vedere se ha abbastanza per poterla finire?» (Luca 14:28).

Ha anche preso come riferimento l'immagine della guerra:

    «Oppure quale re, che vuole tirare fuori a fare la guerra contro un altro re, non siede in anticipo e di comunicare se egli è in grado di diecimila incontro che rispetto con ventimila si avvicina a lui?» (Luca 14:31).

Forse il nostro Signore Gesù vuole scoraggiarci con queste argomentazioni? No! Al contrario ci vuole incoraggiare! E' la dimostrazione che Gesù Cristo ha qualcosa da dare che è ad un livello completamente diverso da quello in cui il nostro pensiero si è impigliato. È meraviglioso andare con Lui, specialmente se consideriamo l'intero prezzo dell'eredità. Il Signore Gesù è così diverso da noi. Lui è incomparabile. Egli infrange ogni scala umana. Qualcuno ha scritto una volta come titolo di un'esposizione: "Gesù, tu sei diverso":

  • Tu sei stato a pro dell'adultera - quando tutti si sono allontanati da lei.
  • Ti sei rivolto al pubblico - quando tutti erano oltraggiati da lui.
  • Hai chiamato i bambini a te - quando tutti volevano mandarli via.
  • Hai perdonato Pietro - quando ti ha rinnegato.
  • Hai elogiato la vedova - quando è stata trascurata da tutti.
  • Hai cacciato il diavolo - quando tutti gli altri erano affascinati da lui.
  • Hai chiamato Paolo nella successione - quando tutti lo temevano come persecutore.
  • Sei fuggito dalla gloria - quando tutti volevano farti re.
  • Hai amato i poveri - quando era necessaria tutta la ricchezza.
  • Hai guarito i malati - quando sono stati abbandonati dagli altri.
  • Sei stato zitto - quando ti hanno denunciato ingiustamente, deriso e frustato.
  • Sei morto sulla croce - e tutti hanno celebrato la loro Pasqua piamente.
  • Hai preso la colpa su di te - quando tutti si sono lavate le mani e hanno proclamato la loro innocenza.
  • Sei risorto dalla morte - quando tutti pensavano già che tutto fosse finito.
  • Signore Gesù, ti ringrazio di essere il mio Signore.

La verità è una persona, la Verità è Gesù Cristo! La verità è una cosa diversa da quella che solitamente intendiamo.

    «Dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni» (Atti 14:22).

Il nostro atteggiamento nei confronti delle tribolazioni è quindi cruciale. Qui dobbiamo imparare da Gesù.
  Ricordiamo i discepoli di Emmaus (Luca 24:13-35).
  Erano pieni di tristezza e scioccati dalla terribile sorte che era capitata al loro Signore. Lui era morto (Luca 24:26). Ma poi il Signore Gesù è risorto, si è unito a questi tristi discepoli e ha detto:

    «Non doveva il Cristo soffrire tutto ciò ed entrare nella sua gloria?»

Noi non riusciamo a cogliere le connessioni della tribolazione e della gloria. Ma Gesù Sì! Lui sapeva che sarebbe stato crocifisso e che solo in questo modo avrebbe riconciliato il mondo con Dio. Sapeva della Sua terribile sofferenza. Ma guardò oltre:

    «Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l'infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio» (Ebrei 12:2).

Gesù è così diverso da noi! Si è comportato in modo così diverso nella sofferenza e nella tribolazione. Proprio quando ha sofferto di più, era il momento in cui era più vicino alla sua gloria. Chi coglie questo confessa con Paolo:

    «Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? … Ma, in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati» (Romani 8:35, 37.)

Dio ci guida attraverso il “calore” dell'afflizione, in modo che la nostra fede sia temperata, rafforzata e provata, come l'oro puro nel fuoco.

    «… tu sei stato una fortezza per il povero, una fortezza per l'indifeso nella sua angoscia, un rifugio contro la tempesta, un'ombra contro l’arsura» (Isaia 25:4).

Poiché si rivela nella tribolazione, crea un santo impulso nei nostri cuori. «Essi, nell'angoscia ti hanno cercato;» (Isaia 26:16 ). Nella fornace della tribolazione, tutta l'inerzia spirituale viene bruciata. Allora non siamo così diversi da Gesù, allora diventiamo più simili a Lui.
  Sono proprio queste cose: tribolazioni, paure, preghiere apparentemente non ascoltate, a cui poi viene data una risposta che risvegliano una gioia superiore in noi. Non sono cose contro le quali dobbiamo combattere, ma per mezzo di Lui siamo più che vincitori in tutte queste cose. Non a dispetto di loro, ma per mezzo di loro. Paolo ha formulato una verità meravigliosa quando dice: «Sono pieno di consolazione, sovrabbondo di gioia in ogni nostra tribolazione.» (2 Corinzi 7:4)
  La nostra gioia incrollabile non è fondata su qualcosa di transitorio, ma sull'amore irremovibile ed eterno di Dio. Le nostre esperienze di vita, siano esse terribili o forse monotone, non hanno il potere di attaccare l'amore di Dio in Gesù Cristo, Al contrario, fanno sì che quel meraviglioso amore si riversi in noi e allo stesso tempo pianti la sua gloria in noi; perché l'amore di Dio è l'essenza di Dio stesso.
  Vogliamo ora comprendere il mistero della nostra tribolazione e volgere i nostri occhi verso un circuito meraviglioso:

    «mediante il quale abbiamo anche avuto, per la fede, l'accesso a questa grazia nella quale stiamo fermi; e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio; non solo, ma ci gloriamo anche nelle afflizioni, sapendo che l'afflizione produce pazienza, la pazienza esperienza, e l'esperienza speranza. Or la speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato» (Romani 5:2-5).

Soprattutto nella nostra tribolazione, andiamo passo dopo passo, in mezzo alla miseria dell'esistenza, «con grande costanza nelle afflizioni, nelle necessità, nelle angustie» (2 Corinzi 6:4), anche nelle delusioni, anche quando non riusciamo a comprendere il nostro Signore.
  Alla fine, ogni credente deve condividere ciò che Gesù è diventato. Lui, Dio stesso, divenne uomo. E l'essenza di questa incarnazione è stato il suo abbandono, lo svuotamento di se stesso, la sua gloria. E questo deve essere tangibile in noi quotidianamente e realmente. Cristo deve prendere forma in noi. La cosa più importante, nel nostro lungo viaggio, per il Signore è la fedeltà, cioè la devozione fedele e perseverante nell'invisibile. Possiamo mantenere intatta la nostra vita spirituale solo guardando a Gesù. I credenti hanno come destino quello di essere grandi, ma il passaggio attraverso la tribolazione spesso ci conduce "giù", e questo significa che dobbiamo combattere. Fondamentalmente, la lotta della fede è l'affermazione della vittoria di Gesù per mezzo della sofferenza. Perciò il Signore ha detto: «Con la vostra costanza salverete le vostre vite» (Luca 21: 19).
  Possa avvenire anche nella nostra vita che Gesù Cristo sia il Grande Sconosciuto, completamente diverso da noi, ma che ci insegna a diventare come Lui. Egli ci conduce attraverso la tribolazione, attraverso la sofferenza alla gloria. Come dice l'apostolo Paolo:

    «Perché la nostra momentanea, leggera afflizione ci produce un sempre più grande, smisurato peso eterno di gloria, mentre abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono; poiché le cose che si vedono sono per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne» (2 Corinzi 4:17-18).

(Chiamata di Mezzanotte, set/ott 2018)



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Due anni fa il green pass ci stravolgeva la vita e l'idea stessa di libertà

Il 1° luglio 2021, con la scusa di fermare i contagi, agli italiani è stato imposto il vaccino. E chi ha osato dire di no è stato discriminato. Un modello di controllo che le istituzioni stanno allargando ad altri settori.

di Massimo De' Manzoni

Esattamente due anni fa, 1 luglio 2021, l'Italia scivolava quasi senza accorgersi nell'incubo del green pass. La (sorprendentemente scarsa) resistenza dei cittadini era stata già adeguatamente fiaccata da una serie di provvedimenti cervellotici quanto inauditi: lockdown, coprifuoco, zone rosse, autocertificazioni, mascherine  all'aperto, didattica a distanza, stupidi divieti di ogni genere conditi da delazioni, sospetti, anche rabbia, però scaricata verso il vicino, il compagno di sventura, anziché contro le autorità. Le quali quindi, con il terreno così ben preparato, diedero l'ulteriore giro di vite, camuffandolo però da «apertura». Con l'ormai acquisita complicità di quasi tutti gli organi di informazione, un dispositivo ideato dall'Unione europea apparentemente per facilitare i viaggi fu trasformato in uno strumento di controllo in stile cinese. In pratica veniva istituito un obbligo di vaccinazione senza neppure prendersi la responsabilità di stabilirlo, se non per particolari categorie di cittadini: personale medico, forze dell'ordine, insegnanti e, in seguito, ultracinquantenni. Tutti gli altri erano teoricamente liberi di scegliere se farsi l'iniezione oppure no. In pratica, fu subito chiaro che senza il green pass (rilasciato in seguito appunto alla puntura oppure, per un certo periodo, a tamponi un giorno sì e l'altro no) la vita quotidiana sarebbe diventata un percorso a ostacoli. E presto si scoprì anche che il governo aveva in serbo stadi successivi sempre più dittatoriali.
  «Il green pass è una misura con la quale i cittadini possono continuare a svolgere attività con la garanzia di trovarsi tra persone che non sono contagiose», mentì soavemente a reti tv unificate l'allora presidente del Consiglio, Mario Draghi. «È una misura che dà serenità, non che toglie serenità: il green pass non è un arbitrio, ma una condizione per tenere aperte le attività economiche. Invito tutti gli italiani a vaccinarsi e a farlo subito. L'appello a non vaccinarsi è un appello a morire, sostanzialmente. Non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire: non ti vaccini, ti ammali, contagi, qualcuno muore».
  Un'impressionante sequela di bugie insufflate dal leggendario Comitato tecnico scientifico (senza neppure, si scoprirà poi, l'attenuante della inconsapevolezza) che furono accettate come Vangelo dalla stampa compatta, con l'unica eccezione del giornale che tenete tra le mani. Volenti o nolenti, gli italiani corsero in massa nei centri vaccinali, a firmare una sbalorditiva liberatoria in cui si facevano carico di tutte le conseguenze di un farmaco sperimentale, che il produttore stesso dichiarava essere ignote, e a farsi iniettare il suddetto farmaco anche se nel frattempo si cominciava a capire che mancava clamorosamente il primo scopo per il quale si fanno i vaccini: impedire il contagio. Ho scritto «si cominciava a capire» ma è meglio dire «intuire», empiricamente, venendo a sapere di casi specifici, perché in realtà il sistema mediatico e le virostar da esso create continuavano imperterriti a cantare le lodi del Pfizer salvatore. Certezze e cori che non si incrinarono neppure quando si scoprì che, ooops, la seconda dose non bastava. E neppure la terza, perché anche con tre ci si poteva beccare il Covid e persino ricorrere alle «inesistenti» cure alternative pur di salvarsi la pelle (vero professor Galli?). Eppure lo spartito non cambiava. Anzi: le lodi per la medicina miracolosa si facevano sempre più sperticate e il biasimo per chi osava anche solo dubitare sempre più aspro, fino a sfociare nell'insulto e nella minaccia.
  Malgrado tutto ciò, c'erano tuttavia delle sacche di resistenza. Dei cittadini che non ne volevano sapere di fare le cavie gratis per un esperimento scientifico. Per Speranza & C., per i quali le percentuali di persone vaccinate erano diventate una specie di droga, era inaccettabile: come si permettevano questi ingrati di rovinare la loro esaltante progressione? Come era possibile che dopo la cavalcata trionfale («60%, no 70, superato l'80! ») non ci si potesse più bullare in tv annunciando nuovi record: go, 100, 110% di popolazione vaccinata? Che ne penseranno gli altri Paesi della Terra, per i quali siamo «un esempio», secondo le ispirate parole di bisConte? Intollerabile. Ma, oplà, ecco il rimedio: il super green pass! Uno strumento infernale senza il quale diventava impossibile persino lavorare nella «Repubblica fondata sul lavoro» come recita la «Costituzione più bella del mondo». Era troppo persino per una parte dei mitissimi cittadini italiani e qualcuno scendeva in piazza a protestare? Niente paura: polizia in assetto anti sommossa, manganelli e idranti e vi facciamo passare la voglia. E ringraziate che non abbiamo raccolto la proposta dell'illuminato ex sindacalista Giuliano Cazzola e non abbiamo sparato sui manifestanti alla Bava Beccaris come invocava lui. E del resto, con il clima che l'informazione del terrore aveva creato non ci sarebbe stato neppure da meravigliarsi: probabilmente la carneficina dei «no vax» sarebbe stata applaudita dal 70% della popolazione. E temo sia una stima prudente.
  Seguirono vessazioni sempre più raffinate e sempre meno giustificabili dal punto di vista scientifico - in ironico contrappunto con le continue ciance «seguiamo la scienza», «ce lo dicono gli scienziati», «le evidenze scientifiche» - soprattutto alla luce di quanto stava avvenendo ovunque (Cina esclusa a causa della folle politica zero Covid): la variante Omicron, molto contagiosa ma poco letale, si stava rivelando il vero vaccino, permettendo alla popolazione di avvicinarsi a quella immunità di gregge disastrosamente mancata con i farmaci sperimentali. Alla fine persino Pechino si convinse e da un giorno all'altro fece saltare tutte le severissime misure di prevenzione a base di tracciamenti capillari e lockdown feroci, permettendo a Omicron di circolare tra il suo miliardo e mezzo di abitanti. Le nostre virostar profetizzarono subito una spaventosa ecatombe, con decine di milioni di vittime. Ancora una volta le loro previsioni si rivelarono totalmente sbagliate. Ma ancora una volta ciò non scalfi la narrazione: l'Italia si era salvata grazie alla vaccinazione di massa e il green pass era stato uno strumento indispensabile per raggiungerla. Decine e decine di nazioni con percentuali di vaccinati bassissime (anche meno del 30%) avevano avuto in proporzione meno morti di noi? Irrilevante. Gli italiani dovevano accendere un cero a San Draghi e adorare la salvifica tessera verde come una reliquia, chi non lo faceva era un «no vax» e come tale non degno di interlocuzione. Un subumano.
  Intanto in effetti il mondo guardava all'Italia. Non per i motivi di cui blaterava Roberto Speranza nel salottino compiacente di Fabio Fazio, ma con un misto di perplessità e interessata curiosità per quello che Washington Post e New York Times definirono «un esperimento sociale senza precedenti in un Paese occidentale». Se fosse riuscito, questo sì era un esempio che si poteva seguire nell'obiettivo dei governanti di tenere sotto controllo i governati. E difatti il green pass è appena diventato eterno nell'Unione europea, primo laboratorio planetario per la privazione di libertà individuali senza abdicare allo status formale di democrazia: doveva scadere ieri e invece non solo è stato prorogato ma è stata firmata un'intesa con l'Onu per estenderlo a tutto il pianeta. A quanti e quali vaccini dovremo sottoporci in futuro per avere il passaporto verde in regola e poter quindi avere il diritto di spostarci a piacimento? Lo scopriremo presto. Così come scopriremo quante altre «materie» confluiranno nel tesserino elettronico che ci trasforma da cittadini in identità digitali. Sicuramente - è stato detto in chiaro - la questione ambientale, ma si sta discutendo anche di quella fiscale, con all'orizzonte l'euro digitale. Insomma, grazie al green pass si ribaltano i concetti: tu non sei più un uomo libero fino a quando intervengono limitazioni straordinarie, ma la tua libertà è condizionata all'adempimento di una serie di doveri che di volta in volta ti verranno imposti. Nel nome del bene comune, ovviamente. Proprio come con il Covid. Esperimento riuscito perfettamente: agli italiani chi muove le leve del potere dovrebbe fare un monumento. Alla loro arrendevolezza. Con menzione speciale per i giornalisti trombettieri e i medici che in gran parte sapevano e rimasero muti. Prosit.

(La Verità, 1 luglio 2023)

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Il governo israeliano proporrà una versione più morbida della riforma della giustizia

Lo ha annunciato Netanyahu in un'intervista al Wall Street Journal, ma un compromesso con l'opposizione sembra ancora lontano.

Giovedì, in un’intervista al Wall Street Journal, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato che proporrà una versione più morbida della controversa riforma della giustizia che qualche mese fa aveva innescato manifestazioni di protesta in tutto il paese, e commenti preoccupati di varie organizzazioni internazionali per i diritti umani. In seguito alle proteste la discussione della riforma era stata interrotta e dovrebbe riprendere nelle prossime settimane, dopo la pausa estiva del parlamento israeliano.
  Netanyahu ha annunciato che la nuova versione della riforma non conterrà più la possibilità che il parlamento possa ribaltare un voto della Corte Suprema con un voto a maggioranza semplice (che in forme simili si ritrova soltanto nei paesi autoritari). Il quotidiano israeliano Haaretz l’aveva definita «il punto più controverso della riforma».
  Parlando col Wall Street Journal Netanyahu ha anche aggiunto che saranno modificati i piani per riformare la commissione che nomina i giudici della Corte Suprema, altro punto molto contestato negli ultimi mesi. Netanyahu però non ha fornito ulteriori dettagli a riguardo.
  La riforma della giustizia sottrae alcuni poteri alla Corte suprema per affidarli al governo. Per i manifestanti e le opposizioni è un pericolo per la democrazia israeliana, perché elimina importanti contrappesi al potere del governo in carica. Oltre a indebolire la Corte suprema, la riforma darebbe maggiori garanzie alla figura del primo ministro (che non rischierebbe più di essere rimosso a causa dei procedimenti giudiziari a suo carico) e affiderebbe alcuni poteri ai tribunali rabbinici (cioè i tribunali religiosi ebraici), che potrebbero gestire certi procedimenti civili.
  Ormai da mesi Netanyahu sta cercando di negoziare con l’opposizione per capire se la riforma può essere sostenuta almeno in parte anche da membri esterni alla maggioranza di governo, per garantirle maggiore legittimità politica. Finora i tentativi sono falliti, e anche l’annuncio al Wall Street Journal non sembra essere stato accolto positivamente: né dalla maggioranza né dall’opposizione.
  Diversi membri della maggioranza – compresi alcuni parlamentari del Likud, il partito di Netanyahu – hanno detto che continueranno a sostenere la riforma nella sua versione originale, mentre i partiti di opposizione si sono detti molto scettici sulla possibilità di raggiungere un compromesso.

(il Post, 1 luglio 2023)

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Israele teme i traffici di armi dall’Ucraina e vende i carri Merkava a Cipro e Marocco

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Armi anticarro di fabbricazione occidentale sono state trovate ai “confini di Israele”. Lo ha rivelato il premier Benyamin Netanyahu in una intervista al Jerusalem Post nella quale ha motivato le ragioni della politica di Israele nei confronti degli aiuti militari a Kiev.
  “Ora troviamo ai nostri confini armi occidentali anticarro” – (nella foto sotto armi anti-tank occidentali cadute in mano alle truppe russe in Ucraina) – ha detto il 23 giugno il primo ministro israeliano. “Temiamo anche che qualsiasi sistema dato all’Ucraina possa essere usato contro di noi, perché potrebbe cadere nelle mani dell’Iran ed essere usato contro di noi: quindi dobbiamo stare molto attenti. Questa non è una possibilità teorica”
  Secondo Netanyahu, Israele “si trova in una situazione particolare, diversa da, per esempio, Polonia, Germania, Francia o qualsiasi altro paese occidentale che sta aiutando l’Ucraina.
  Prima di tutto – ha spiegato – abbiamo uno stretto confine militare con la Russia. I nostri piloti stanno volando proprio accanto ai piloti russi nei cieli della Siria. E penso che sia importante mantenere la nostra libertà di azione contro i tentativi dell’Iran di posizionarsi militarmente sul nostro confine settentrionale”.
  Il premier israeliano – dopo aver detto di voler che il conflitto finisca e con esso “l’orribile perdita di vite umane” – ha poi sottolineato che Israele si può trovare “nella posizione di aiutare a porre fine a questo conflitto”. “Non sono sicuro che accadrà. Potrebbe essere del tutto ipotetico, ma – ha concluso – potrebbe accadere”.
  Le dichiarazioni del premier israeliano sono rimbalzate a Mosca dove La comparsa di armi occidentali fornite all’Ucraina Kiev vicino ai confini di Israele è stata definita una “minaccia molto, molto urgente”, dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov.
  “Abbiamo già parlato di questa minaccia e del fatto che le armi occidentali fornite all’Ucraina vengono già vendute da vari gruppi criminali in Europa e così via”, ha aggiunto Peskov, “si tratta di un processo inevitabile”. “Più tali armi vengono fornite all’Ucraina, in un luogo in cui non è possibile garantire la sicurezza, più tutto questo, ovviamente, porta maggiori minacce per la sicurezza regionale e, in un contesto più ampio, globale”, ha sottolineato Peskov.
  Il traffico gestito da ucraini delle armi fornite dall’Occidente per combattere la Russia (che Analisi Difesa aveva evidenziato per prima come grave rischio per la sicurezza internazionale fin dall’11 marzo 2022) sembra aver contribuito anche a scongiurare le ipotesi che Israele potesse vendere a un paese europeo non meglio precisato circa 300 carri Merkava 2/3 posti in riserva da Tsahal e che avrebbero potuto, secondo indiscrezioni, finire a Kiev.
  Invece la prima esportazione di carri armati israeliani sembra riguardare Cipro e Marocco che con i Merkava rimpiazzeranno tank di diverso tipo ceduti all’Ucraina.
  Israele sarebbe infatti in trattative per vendere i Merkava 2/3 a Cipro dove sostituiranno i 41 carri armati T-80U consegnati all’esercito ucraino e al Marocco (si parla di 200 esemplari) per sostituire i carri armati T-72B acquistati a suo tempo in Bielorussia e che  nei mesi scorsi sono stati in parte ammodernati in Repubblica Ceca prima di venire inviati all’Ucraina.
  Una fornitura controversa e contestata dal Marocco che ha reso noto di non aver autorizzato la cessione all’Ucraina di 14  T-72 acquistati presso la società ceca Excalibur da Stati Uniti e Olanda mentre si trovavano in Repubblica Ceca per revisione e manutenzione. Nel gennaio scorso diverse fonti riportarono che l’intera flotta di 90/120 carri T-72 marocchini sarebbero stati ceduti a Kiev dopo la revisione.
  La notizia è stata resa nota da alcuni media che avevano evidenziato le crescenti forniture militari israeliane a Rabat  che includono missili antiaerei e munizioni circuitanti: i Merkava verrebbero ceduti con l’impegno a non rivenderli né donarli ad altre nazioni.
  Anche in seguito al riacutizzarsi della crisi con l’Algeria, il Marocco sta potenziando e ammodernando le sue forze armate: l’ultima acquisizione, in Francia, riguarda i veicoli 4×4 Sherpa equipaggiati con il sistema di difesa aerea a corto raggio Atlas RC basato sul missile MBDA Mistral 3 (nella foto sopra).
  Il capo della direzione per la cooperazione internazionale presso il ministero della Difesa israeliano, Yair Kulas, ha dichiarato ieri che Israele è in trattativa per vendere i carri armati Merkava usati a due paesi, uno dei quali europeo. Il responsabile israeliano ha spiegato che “molti paesi europei stanno cercando di rinnovare rapidamente i mezzi dopo aver donato miliardi di dollari in armi all’Ucraina. Ci sono due possibili paesi con i quali stiamo conducendo trattative avanzate per la vendita di carri armati Mervaka. Mi è proibito nominarli, ma uno di questi è nel continente europeo”, ha affermato Kulas.
  In maggio il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha visitato Cipro incontrando il suo omologo Michalis Giorgallas.

(Analisi Difesa, 1 luglio 2023)

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Ucraina, Russia, Usa e Cina: per Netanyahu la priorità è la sicurezza d’Israele

Un tema che da qualche tempo interroga Kiev e una parte della politica israeliana riguarda i timori da parte dello Stato ebraico nel fornire sistemi d’arma all’Ucraina. Inoltre, Israele deve ponderare le sue decisioni verso Mosca anche per la gestione delle operazioni militari in Siria.

di Lorenzo Vita

Sul fronte geopolitico, quella del primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, è una complessa partita a scacchi. Le ultime dichiarazioni rilasciate al quotidiano Wall Street Journal confermano i timori da parte dello Stato ebraico nel fornire sistemi d’arma all’Ucraina. Un tema che da qualche tempo interroga Kiev e una parte della politica israeliana, ma che Netanyahu ha motivato con ragioni strategiche. La prima riguarda la paura che le tecnologie usate sul campo di battaglia possano finire nelle mani dell’Iran tramite i russi. Preoccuperebbe in particolare l’eventuale trasferimento del sistema Iron Dome, la “cupola di ferro” che protegge gli israeliani dagli attacchi missilistici, e che per Netanyahu è essenziale che gli iraniani non lo ottengano né per loro né per i propri “proxies”. Pochi giorni prima, lo stesso premier aveva rilasciato un’altra intervista in cui aveva affermato che delle armi anticarro occidentali erano state ritrovate ai confini di Israele. E anche in quel caso, Netanyahu aveva sottolineato le medesime preoccupazioni sulle armi occidentali date a Kiev. Un timore che si unisce anche un altro elemento che contraddistingue la politica estera israeliana.
  Al netto di una nota partnership con la Russia (ma lo stesso vale per quanto riguarda i rapporti con l’Ucraina), Israele deve ponderare le sue decisioni verso Mosca anche per la gestione delle operazioni militari in Siria. Lo Stato ebraico da molto tempo colpisce in territorio siriano per distruggere postazioni di Hezbollah o legate ai Pasdaran iraniani. E tutto questo, data la presenza militare russa a Hmeimim e non solo, non può avvenire senza una sorta di placet del Cremlino. Le esigenze di sicurezza restano quindi una priorità dell’agenda Netanyahu anche su un tema così delicato come la guerra in Ucraina. E sono elementi che provocano anche dei malintesi, tanto con Kiev quanto con Washington. L’ambasciatore ucraino in Israele, Yevgen Korniychuk, è stato convocato per un incontro al ministero degli Esteri israeliano dopo le critiche rivolte nei confronti della politica del governo, considerata troppo tiepida con la Russia. Allo stesso tempo, va però sottolineato che nei giorni scorsi il sito israeliano Ynet aveva dato notizia dell’arrivo a Gerusalemme del vicecapo di Stato maggiore di Kiev, Yevhen Heorhiyovych Moisiuk, per discutere della fornitura di sistemi di allerta per gli attacchi. E lo stesso Netanyahu, secondo Korniychuk, avrebbe pensato a un viaggio in Ucraina per incontrare il presidente Volodymyr Zelensky.
  Sul fronte di Washington, invece, se il dossier Russia incide inevitabilmente nei rapporti, altri temi hanno in questi mesi raffreddato l’alleanza – mai messa in discussione – tra i due Paesi. Dall’entourage di Netanyahu, da tempo si sottolinea una certa perplessità riguardo il fatto che il presidente degli Stati Uniti non abbia ancora invitato il premier del Likud alla Casa Bianca dopo la rielezione. Al contrario, il presidente israeliano Isaac Herzog sarà negli Usa il 19 luglio. Una questione che molti osservatori hanno collegato con una diffidenza da parte della presidenza Usa, da tempo preoccupata della riforma della giustizia ma anche delle politiche israeliane nella regione. A questo si aggiunge il nodo iraniano.
  Le amministrazioni dem per Netanyahu rappresentano il timore che possa essere ristabilito un accordo sul nucleare iraniano che il premier, fortemente critico, crede che non debba essere riesumato. I media avevano parlato della possibilità di un “accordo” tra Washington e Teheran, anche se non reso pubblico, e che gli Usa hanno poi smentito. È chiaro però che i dubbi irrigidiscano la posizione di Israele. A conferma di questa fase difficile dei rapporti, vi sarebbe poi, secondo alcuni analisti, la decisione del premier israeliano di recarsi in Cina. La conferma del viaggio alla corte di Xi Jinping sembra essere un messaggio anche nei confronti di Biden, che da tempo guarda con sospetto le mosse di Pechino in Medio Oriente.

(il Riformista, 1 luglio 2023)

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Il Mossad svela operazione anti-terrorismo a Cipro

In un video la confessione del killer iraniano che doveva colpire un uomo d’affari

di Alessandro Cavaglià

Nuovo clamoroso capitolo della guerra segreta sotterranea che da decenni vede impegnati Israele e Iran in tutto il Medio Oriente e oltre. Il Mossad ha rivelato i dettagli di una operazione di sicurezza con la quale agenti dell’Agenzia hanno rintracciato e interrogato in Iran un killer legato ai pasdaran, che intendeva colpire obiettivi israeliani a Cipro. Con una particolare operazione trasparenza, il servizio di Gerusalemme ha reso pubblico il filmato della confessione del terrorista Yousef Shahbazi Abbasalilo. Al momento non si conosce la sorte dell’uomo dopo l’interrogatorio. Gli 007 israeliani hanno svolto un lavoro di grande successo, penetrando in profondità l’apparato di sicurezza del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (IRGC).

• OMBRA
  Il giornalista Yaakov Katz, autore del libro “Israel vs. Iran: The Shadow War”, ha detto alla BBC: “Quando un’operazione come questa diventa pubblica è inevitabile da un lato il grande imbarazzo per Teheran e dall’altro lato appare in tutta evidenza la forza dell’Agenzia di intelligence israeliana”. La scoperta del complotto iraniano aveva portato la scorsa settimana a una serie di arresti a Cipro. La polizia cipriota ha annunciato di aver identificato una squadra terroristica a Limassol. Il nucleo di fiancheggiatori di Abbasalilo, rientrato in gran fretta in Iran dopo il fallimento della missione, era composto da pakistani ed elementi locali. In una nota diffusa dall’Ufficio del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, si afferma che “il Mossad continuerà ad agire con determinazione per prevenire attacchi contro ebrei e israeliani in tutto il mondo. Lo Stato d’Israele opera utilizzando un’ampia varietà di metodi e in ogni luogo per proteggere ebrei e israeliani e continuerà ad agire per distruggere il terrorismo iraniano ovunque alzi la testa, anche sul suolo iraniano”.

• OBIETTIVI
  Un alto funzionario dell’Agenzia ha commentato: “Raggiungeremo chiunque pianifichi attacchi terroristici contro gli ebrei, ovunque si trovino”. Nell’interrogatorio a cui è stato sottoposto da parte di agenti israeliani, Abbasalilo ha fornito dettagli sull’attacco pianificato contro un uomo d’affari israeliano. Secondo la rete televisiva israeliana Channel 12 tra gli obiettivi a Cipro c’erano anche una Chabad House, centro di diffusione dell’ebraismo ortodosso Chabad-Lubavitch, oltre a hotel e luoghi di intrattenimento frequentati da turisti israeliani. L’iraniano ha anche rivelato il ruolo di ufficiali pasdaran dietro il complotto, i metodi operativi, le armi e i mezzi di comunicazione utilizzati. Secondo fonti israeliane dietro il complotto ci sarebbe il dipartimento di intelligence estera dell’IRGC. Negli ultimi due anni gli 007 di Gerusalemme hanno sventato numerosi attacchi terroristici contro israeliani a Cipro, in Turchia, in Georgia e in Grecia. Si tratta di operazioni coperte dal massimo riserbo, ma proprio l’efficienza e l’efficacia del Mossad nella lotta al terrorismo di marca iraniana avrebbe portato lo scorso anno alla sostituzione del capo dell’intelligence dell’IRGC.

(in20righe, 30 giugno 2023)

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Europei Under 21: Israele vola ai quarti di finale

di Jacqueline Sermoneta

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Vittoria a sorpresa per la nazionale israeliana agli Europei Under 21. I ragazzi del ct Guy Luzon hanno battuto mercoledì scorso la Repubblica Ceca 1-0, qualificandosi ai quarti di finale.
  Omri Gandelman ha segnato all'82’ minuto su assist di Oscar Gloukh, assicurando così alla squadra il secondo posto nella classifica finale del Gruppo C, che vede l'Inghilterra in testa dopo aver sconfitto la Germania 2-0.
  Il risultato porta dunque gli israeliani alla fase a eliminazione diretta, dove affronteranno la Georgia.
  "Una nuova grande sorpresa negli Europei Under 21. - scrive il quotidiano spagnolo Marca - Israele è passato ai quarti di finale dopo una fantastica partita. Gandelman ha realizzato il sogno con un gol vincente".
  La UEFA ha nominato Oscar Gloukh "Player of the match", il migliore in campo nell'importante vittoria contro i cechi grazie alla sua "capacità tecnica, supervisione e creatività. Le azioni più significative sono partite da lui. Anche quando era difficile superare la difesa avversaria, ha continuato a provarci fino all’assist della vittoria".
  Come riporta Ynet, anche i media cechi hanno elogiato la squadra israeliana: "Israele è stato più attivo e determinato fin dall'inizio della partita. L'esperienza e la fortuna hanno deciso gli ultimi minuti del match".
  Gli israeliani affronteranno i padroni di casa a Tbilisi il 1° luglio alle ore 18. Una partita importante che permetterà alla squadra vincitrice di accedere alla semifinale e di staccare il pass per le Olimpiadi di Parigi 2024.

(Shalom, 30 giugno 2023)

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La TV israeliana trasmette per la prima volta nei Paesi arabi

Due serie israeliane del canale "Kan" saranno presto trasmesse nei Paesi arabi. È la prima volta che i diritti televisivi vengono venduti al mondo arabo.

GERUSALEMME - Per la prima volta delle produzioni televisive israeliane sono state vendute per essere trasmesse nei Paesi arabi. Lo ha annunciato martedì il canale televisivo israeliano "Kan".
  I diritti della serie di documentari "Cassandra's Prophecy" sono stati acquistati dall'emittente saudita "MBC". Presto gli spettatori interessati potranno vedere la serie in Medio Oriente e Nord Africa.
  La serie è un documentario su una rete dell'organizzazione terroristica libanese Hezbollah e dell'Iran, che ricicla denaro e contrabbanda droga. Le autorità israeliane, compreso il servizio di intelligence straniero Mossad, stanno cercando di fermare la rete.
  La serie è una coproduzione israelo-tedesca-canadese. Non sorprende quindi che venga presto trasmessa dalla ZDF tedesca e dalla CBC canadese, oltre che dal canale francese "Arte".
  Kan" ha venduto i diritti della serie drammatica "Special" anche al canale turco "Kanal D". Per la prima volta gli spettatori turchi potranno vedere in televisione una serie drammatica originale israeliana. "Special" tratta dei bisogni speciali dei giovani affetti da autismo. La serie potrà essere vista in Turchia in prima serata a partire dal 4 luglio.
  Il responsabile del programma educativo di "Kan", Omer Manor, è soddisfatto della vendita dei diritti televisivi al mondo arabo: "Siamo orgogliosi di rendere il programma disponibile ai giovani spettatori in più parti del mondo".

(Israelnetz, 30 giugno 2023)

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Daniel Ellsberg, l'Impero americano e la guerra ucraina

Daniel Ellsberg,
Edward Snowden
Julian Assange
Il 16 giugno è morto Daniel Ellsberg, ormai ignoto ai più, ma entrato alla storia per aver passato ai media americani documenti segreti sulla guerra del Vietnam, che nel 1971 rivelarono al mondo le menzogne profuse da Washington sul conflitto, aprendo la via alla sua risoluzione.
  I documenti segreti, infatti, iniziarono a essere pubblicati sul New York Times e poi sul Washington Post, nonostante le immani pressioni per metterli a tacere. Lo stesso Ellsberg ebbe a subire pressioni fortissime; contro il lui l’amministrazione Nixon arrivò a brandire l’Espionage Act, ma a salvarlo arrivò il Watergate che precipitò Nixon nell’inferno della storia (l’unico presidente Usa a pagare per i suoi errori, peraltro meno gravi di tanti suoi omologhi).
  Alla sua morte, i media Usa lo hanno celebrato come un eroe americano. Il paradosso è che gli stessi giornali trattano come traditori Julian Assange, Edward Sowden e di altri che hanno ripercorso le orme di Ellsberg, rivelando al mondo le menzogne propalate dagli gli Stati Uniti nelle più recenti avventure imperialiste.
  Peraltro, lo stesso Ellsberg aveva speso parole di elogio per Assange e Snowden, ma non c’è traccia di tutto ciò nei suoi necrologi. Ne scrive Ryan McMaker su  Consortium News il 28 giugno: “Sostenere gli Ellsberg dei giorni nostri – come anche Assange, Snowden, Reality Winner, Chelsea Manning e Jack Texeira – richiede un certo grado di pensiero indipendente, scetticismo e disprezzo per i regimi. Questo è il motivo per cui così pochi giornalisti nei media importanti supportano questi leaker moderni. Farlo potrebbe mettere in pericolo le posizioni dei giornalisti presso gli organi di potere all’interno dei media mainstream. Inoltre, la maggior parte dei giornalisti dei media importanti è dalla parte del regime. Non hanno alcun interesse a minarlo”.

• Ellsberg e la manipolazione dell’opinione pubblica
  Riportiamo alcune considerazioni di Ellsberg tratte dal libro War Made Invisible: How America Hides the Human Toll of its Military Machine di Norman Solomon, riportate su The Intercept.
  Guardando a ritroso, al modo con cui gli americani si sono relazionati alle vittime di guerra, Ellsberg non era ottimista, infatti diceva: “È doveroso rilevare […] che l’opinione pubblica non mostra nessuna reale preoccupazione per il numero di persone che uccidiamo in queste guerre. Al massimo ci si preoccupa delle vittime americane, soprattutto se sono troppe”.
  “Sopporterà, in modo quasi sorprendente, anche un livello molto alto di vittime americane, soprattutto se le cose stanno andando bene e se il presidente può rivendicare un successo […]. Ma sulle persone che vengono uccise nelle nostre guerre, i media non si fanno nessuna domanda, né l’opinione pubblica chiede qualcosa su di loro ai media, e quando qualcosa viene rivelato, in un modo o nell’altro, in maniera occasionale, nulla cambia”.
  Ciò che viene nascosto agli americani “è che sono cittadini di un impero, sono al centro di un impero che si sente in diritto di decidere chi governa altri paesi, e se tali governi non sono graditi a causa delle loro interazioni con gli interessi corporativi [degli Stati Uniti] o perché rifiutano di concederci basi” militari o altro, “ci sentiamo assolutamente nel giusto e siamo capaci di rimuoverli attraverso i regime-change”.
  “Praticamente ogni presidente ci dice, o ci rassicura, che siamo un popolo che ama davvero la pace, particolarmente cauto prima di iniziare una guerra, anzi riluttante, forse addirittura troppo in certi casi, ma più che determinato una volta che siamo intervenuti, e che ci vuole tanto per farci accettare l’idea di andare in guerra, che questo non è il nostro status normale. Ciò ovviamente stride con il fatto che siamo stati in guerra quasi sempre…”
  “Che ci sia un inganno, che l’opinione pubblica sia evidentemente fuorviata, fin dall’inizio del gioco, nell’approccio alla guerra, così che sia convinta ad accettare e poi a sostenere una guerra, è la realtà. Quanto peso hanno i media nell’ingannare l’opinione pubblica e quanto è difficile ingannarla? Da ex insider direi che non è poi così difficile ingannarla”.

• Ellsberg e l’Ucraina
  Così chiudiamo con la lezione di Ellsberg sulla guerra ucraina: “Non l’hanno provocata né gli Stati Uniti né la Russia da sole: ci sono persone nel mondo che vogliono la Guerra fredda, che trovano che sia meglio governare il mondo avendo antagonisti come Cina o Russia, così da poterci convincere del perché dobbiamo fare tutto ciò essi che vogliono”.
  E ancora: “Zelensky e Putin avevano essenzialmente fatto un accordo, erano molto vicini a un accordo, che prevedeva il ritorno allo status quo prebellico in Crimea e nel Donbass, si erano accordati anche in relazione alla NATO e a tutto il resto, ma gli Stati Uniti e gli inglesi, nel caso specifico Boris Johnson, sono andati [da Zelensky] e gli hanno detto: ‘Non siamo pronti per questo. Vogliamo che la guerra continui. Non accetteremo la trattativa’”.
  “Direi che è stato un crimine contro l’umanità. E, in tutta serietà, dico che l’idea che era necessario che delle persone di entrambe le parti venissero uccise allo scopo di ‘indebolire i russi’ [sul punto cita esplicitamente il Segretario alla Difesa Lloyd Austin] non a beneficio degli ucraini, ma per una strategia geopolitica complessiva, era [e resta ndr] malvagia ”.
  Questo j’accuse di Ellsberg contro quanti stanno alimentando la guerra ucraina ovviamente non è stato riportato dai media mainstream quando lo hanno celebrato post mortem. E, sempre per restare a quanto ha detto l’ex insider sulle interessate amnesie dei media e sul disinteresse riguardo le vittime altrui, val la pena annotare che il numero delle vittime che l’esercito ucraino registra al fronte è uno dei segreti meglio custoditi di questo conflitto.
  L’ecatombe che si sta consumando in assalti senza scopo e senza esito , al solo scopo di proseguire questa guerra per procura contro la Russia, sarebbe uno shock terribile per l’opinione pubblica occidentale. Potrebbe suscitare domande scomode sulla necessità di procrastinare i negoziati e sull’asserita eroicità della leadership ucraina. Da cui l’inconfessabile segreto.

(piccole note, 30 giugno 2023)

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Operazione del Mossad in Iran: catturato il terrorista di Cipro

Con una operazione in territorio iraniano il Mossad è andato a prendere "sul posto" il terrorista incaricato di compiere attentati contro cittadini israeliani a Cipro.

L’agenzia di spionaggio israeliana Mossad ha annunciato giovedì di aver catturato, nel corso di un’operazione speciale in territorio iraniano, il terrorista iraniano inviato a guidare un progetto di attacco terroristico contro obiettivi israeliani a Cipro.
  Il Mossad ha indicato l’uomo come Yousef Shahbazi Abbasalilo e ha pubblicato un video del suo interrogatorio da parte dei suoi agenti, in cui ha confessato il complotto e ha fornito dettagli su di esso.
  L’agenzia ha dichiarato che Abbasalilo ha ricevuto le armi per l’attacco da alti funzionari del Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche (IRGC) e le istruzioni per la sua attuazione. L’agenzia di spionaggio ha dichiarato che il piano prevedeva di colpire uomini d’affari israeliani nella piccola nazione insulare.
  Durante l’interrogatorio, Abbasalilo ha raccontato di aver seguito un obiettivo e di aver aspettato l’occasione per ucciderlo, ma ha detto che alla fine la polizia ha scoperto il complotto ed è stato costretto a fuggire in Iran.
  Le informazioni ottenute da Abbasalilo hanno portato allo smantellamento del resto della cellula terroristica da parte delle forze di sicurezza cipriote, ha dichiarato il Mossad. Tra i terroristi c’erano iraniani, pakistani e locali.
  Abbasalilo ha indicato il suo referente come Hassan Shoushtari Zadeh, una figura nota e di alto livello nel Foreign Intelligence Branch delle IRGC.
  Nel video, Abbasalilo ha detto che Shoushtari Zadeh ha discusso con lui di ciò che aveva intenzione di fare a Cipro. Gli ha detto: “Devi entrare a Cipro Nord, dove abbiamo alcune persone che possono mandarti da lì a Cipro Sud”.
  Poi continua: “Mi ha detto lui stesso: ‘Mi fido dei [pakistani] e del loro gruppo, hanno svolto un’attività molto importante per me'”.
  “Ho risposto: ‘Se è possibile, porterò a termine questa missione immediatamente’. Lui mi ha risposto: ‘Aspetta, non è ancora possibile, perché ci sono poliziotti che ti stanno cercando'”.
  Abbasalilo ha detto di aver seppellito l’arma ricevuta sotto un cespuglio e alla fine “ho ricevuto il mio obiettivo tramite un’interfaccia WhatsApp che ho ricevuto dall’organizzazione di intelligence IRGC”.
  “Ho ricevuto una foto dal signor Shoushtari e il percorso GPS per raggiungere la casa dove vive”.
  Abbasalilo ha quindi iniziato a seguire il suo obiettivo da lontano, scattando fotografie e preparandosi per l’assassinio.
  Il piano era di uccidere l’obiettivo alla prima occasione possibile lungo la strada nel caso in quel momento non ci fosse stato nessuno.
  Ma i suoi responsabili hanno scoperto che la polizia lo stava cercando e gli hanno ordinato di nascondere l’arma, sbarazzarsi di tutto l’equipaggiamento e tornare in Iran.
  Non è stato chiarito cosa ne sia stato di Abbasalilo dopo l’interrogatorio.
  Negli ultimi anni sono stati sventati diversi tentativi iraniani di uccidere israeliani a Cipro, in Turchia, Georgia e Grecia. Ci è stato riferito che altri attentati sono stati sventati senza che la questione arrivasse ai media.
  Nella sua dichiarazione, il Mossad ha affermato che “continuerà ad agire con decisione per prevenire danni agli ebrei e agli israeliani in tutto il mondo”.
  Lunedì, Channel 12 ha riferito che gli obiettivi del complotto cipriota includevano un imprenditore immobiliare israeliano e una casa Chabad, oltre ad alberghi e luoghi di intrattenimento frequentati da turisti israeliani. Questa informazione non è stata confermata dal Mossad.
  L’agenzia ha anche affermato che nei giorni scorsi i servizi segreti greci hanno arrestato sette cittadini pakistani che erano stati reclutati dall’Iran per compiere attentati nel Paese. Non è stato chiarito se anche loro fossero legati al complotto di Cipro.
  Il rapporto ha sottolineato la stretta collaborazione tra il Mossad e i servizi di intelligence di Grecia, Cipro e Stati Uniti.
  Il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche dell’Iran è una branca dell’esercito iraniano considerata un’organizzazione terroristica da diversi Paesi, tra cui gli Stati Uniti.
  I media ciprioti hanno affermato che i presunti attentatori dello sventato complotto stavano usando la parte settentrionale dell’isola occupata dalla Turchia come punto di sosta per il potenziale attacco e che i servizi segreti ciprioti avevano seguito da vicino la cellula per diversi mesi.
  L’Ufficio del Primo Ministro israeliano ha rilasciato una dichiarazione stampa domenica in cui si legge che: “Lo Stato di Israele opera utilizzando un’ampia varietà di metodi in ogni luogo per proteggere gli ebrei e gli israeliani, e continuerà ad agire per distruggere il terrorismo iraniano ovunque alzi la testa, anche in territorio iraniano”.
  Il Consiglio di sicurezza nazionale israeliano ha avvertito all’inizio di quest’anno che Cipro e la Grecia sono Paesi in cui l’Iran potrebbe prendere di mira ebrei e israeliani. I Paesi sono destinazioni popolari per i turisti israeliani, oltre ad avere comunità di espatriati relativamente consistenti.
  A marzo, la polizia greca ha arrestato due cittadini pakistani che avrebbero pianificato attacchi terroristici di massa per conto dell’Iran contro obiettivi israeliani ed ebraici in Grecia. Il Mossad, che ha aiutato le indagini greche, ha dichiarato in un comunicato che i due facevano parte di una rete terroristica iraniana.
  Un funzionario del governo greco ha dichiarato che uno degli obiettivi era un ristorante kosher nel centro di Atene, che fa parte di una Chabad House della capitale. Altri rapporti indicavano che l’obiettivo era la stessa Casa Chabad.
  Nell’ottobre 2021, Israele ha reso noto che un complotto iraniano contro uomini d’affari israeliani a Cipro era stato sventato. Secondo quanto riportato, il sicario era di origine azera ed era arrivato a Cipro con un volo dalla Russia, utilizzando un passaporto russo. Cipro ha accusato sei persone del complotto, tra cui il principale sospettato e tre cittadini pakistani.
  A novembre, i funzionari di sicurezza georgiani hanno sventato il tentativo di un cittadino pakistano di uccidere un israeliano in Georgia su ordine di un agente iraniano.
  La scorsa estate, le forze turche hanno sventato un tentativo di uccidere israeliani a Istanbul da parte di agenti iraniani, arrestando tre uomini. Un mese prima, il Mossad e le sue controparti locali avevano sventato tre attacchi iraniani contro civili israeliani a Istanbul. L’Iran ha negato le accuse.
  Iran e Israele sono impegnati in una guerra ombra che dura da decenni in tutto il Medio Oriente e oltre.

(Rights Reporter, 30 giugno 2023)

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I cloud informatici al padiglione israeliano alla 18° Biennale di architettura

di Aldo Premoli

La porta serrata del Padiglione Israeliano
Molto politically correct la 18° Biennale Architettura di Venezia, che allinea centinaia di progetti per lo più collegati da un’impostazione postcolonialista che la curatrice Lesley Lokko ha dettato con piglio inflessibile. Ai Giardini i padiglioni nazionali conservano, tuttavia, una loro autonomia espositiva che non contrasta ma nemmeno necessariamente risulta così allineata a questo indirizzo.
   Tra questi, quello di Israele presenta un’esposizione non facile ma di grande attualità. Il padiglione in realtà è inaccessibile: disegnato nel 1952 dall’architetto Ze’ev Rechter con ampie vetrate sul fronte, è ora sigillato.
Modello in cemento vuoto della centrale telefonica di Afula, 2023
All’esterno concede solo un titolo (Cloud-to-ground, il termine scientifico che indica un fulmine che colpisce la terra), un pannello esplicativo, un secondo pannello contenete le didascalie dei cinque piccoli “plastici” sistemati nello spazio antistante un finto ingresso. Le cinque sculture di cemento riproducono alcuni edifici costruiti un tempo su territorio israeliano per ospitare centrali telefoniche cittadine, ma ora vuoti e destinati alla demolizione. Ognuna di loro emette un suono che rende manifesto lo spazio negativo occupato da queste costruzioni ormai inutili.
  Anche l’ingresso serrato sostiene un’opera: si tratta del disegno di un data center costruito in Israele per servire sia Google che Amazon. Un cloud denominato un poco minacciosamente Nimbus (′nuvola temporalesca′), che nasce in competizione con sforzi simili fatti dai nemici di sempre, in Egitto e Arabia Saudita.
A Passageway Genealogy, fotoincisione, 2023
E proprio questo è il senso di questa proposta espositiva che indaga la natura dei cloud, l’hardware della quarta rivoluzione industriale. Il progresso tecnologico in questo caso nei suoi aspetti fisici riflette anche lo spostamento dei poteri. Perché è il possesso di infrastrutture all’avanguardia il nuovo strumento di ogni sovranità. Un paese senza infrastrutture adeguate è destinato a soccombere: e questo dovrebbe far riflettere tutti, israeliani o non.
  Mentre ci affidiamo sempre di più a strutture informatiche, il volume dei data center si sta espandendo: si tratta di una crescita esponenziale anche fisicamente impattante sull’ambiente che contraddice l’eufemismo evocato dal vocabolo soffice di "nuvola".
;C’è un ultimo elemento posto esterno al cubo serrato proposto in questa mostra. Si tratta di una fotoincisione che sovrappone varie rotte per sottolineare lo stato di costante ri-colonizzazione da parte delle forze commerciali globali, ottenuto tramite il possesso di infrastrutture invece che con la conquista territoriale degli spazi del pianeta.
Oren Eldar e Edith Kofsky, Laying of the Blue-Raman Cable, 2023
Da quando è stato fondato nel 1948 lo Stato di Israele è un’isola in fragile equilibrio tra stati nemici. Equilibrio che potrebbe essere nuovamente scosso non dall’avanzata di carri armati, ma dal Blue-Raman, un cavo di fibra ottica con cui Google sta attraversando il deserto progettato per aggirare l′Egitto lungo il percorso che dall′India all′Europa fa rivivere antiche rotte commerciali.
  Se è vero che le principali rotte commerciali sono rimaste quasi invariate nel corso dei secoli, quello che è cambiato sono i governanti che le hanno usate, la tecnologia nel cui nome sono state lastricate e le tracce che hanno lasciato o lasceranno.

(L'HuffPost, 30 giugno 2023)

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Apre a Berlino il più grande centro ebraico della Germania dalla fine della seconda guerra mondiale

di Michael Soncin

Il 25 giugno 2023 a Berlino è stato inaugurato dai Chabad il più grande centro ebraico in Germania dal termine della Seconda Guerra Mondiale. La cerimonia ha visto la partecipazione di personalità della diplomazia e leader da tutto il mondo.
  Come spiega Toby Axelrod sul Jewish Telegraphic Agency, il Pears Jewish Campus copre una superfice di oltre 7000 metri quadri, ed è costato 47,5 milioni di euro. Unico nel suo genere perché tra i più grandi al mondo, sarà gestito dalla comunità dei Chabad-Lubavitch della città berlinese.
  Per il prossimo anno scolastico, tutti gli alunni della comunità che sono all’incirca 550 si trasferiranno in questo nuovo edificio, che ha al suo interno un campo da basket al coperto, uno studio musicale ed una gastronomia kosher, oltre ad una palestra che può prestarsi in certe occasioni a sala conferenze o cinema. Una costruzione che si sviluppa su 7 piani in completa armonia con il panorama architettonico della capitale tedesca. È stato definito come uno zaffiro, per la forma circolare che ricorda una gemma e per il colore dei suoi mattoni smaltati di blu.
  «È molto bello, è un luogo di scambio. Ci sono milioni di tedeschi che non sanno nemmeno chi siano gli ebrei. Intendiamo quindi creare consapevolezza di che cosa sia la vita ebraica. Non si tratta solo di combattere l’antisemitismo. Il tutto deve essere collegato alla positività, attraverso una vita ebraica gioiosa, vivace e orientata al futuro». A dirlo è stato Rav Yehuda Teichtal, direttore del centro Chabad.
  Parlando di numeri, secondo i dati del Consiglio Centrale degli Ebrei in Germania, 90.000 sono gli ebrei membri delle varie congregazioni, mentre altri 100.000 che si identificano come tali, non risultano iscritti a nessun ente.
  Nel 1996 quando Teichtal arrivò in Germania gli ebrei del movimento Chabad erano giusto un paio, oggi hanno 20 comunità in tutto il paese.

• “Portare luce nell’oscurità”
  È stato proprio lui due decenni fa ad inaugurare in Germania la tradizione di accendere i lumi in occasione della festività di Hanukkah, collocando una grande Menorah davanti la porta di Brandeburgo, proprio lì, dove negli anni bui vi erano infisse le bandiere col simbolo del nazismo.
  Rav Teichtal ha molto caro il concetto del tikkun olam. La dimostrazione è la raccolta fondi intrapresa per sostenere le nuove scuole ebraiche nella città, finanziate anche dalla Comunità Ebraica di Berlino e dalla Fondazione Ronald S. Lauder.
  Ci saranno anche attività previste per gli adulti e persone di ogni credo. Il nuovo centro è frutto di donazioni di differente provenienza, sia pubbliche che private, pur portando il nome della Pears Foundation, il principale finanziatore, che ha sede in Gran Bretagna.
  Incisive le parole di Rav Menachem Margolin, a capo dell’Associazione Ebraica Europea, che venerdì scorso da Bruxelles ha definito il nuovo centro: «Un grande esempio della rinascita della vita ebraica in Europa, in Germania e a Berlino in particolare». Ha però sottolineato che «il più grande pericolo per quella rinascita viene dalle politiche che minacciano la libertà religiosa, compresi i diritti di eseguire la circoncisione rituale e di eseguire la macellazione kosher».

(Bet Magazine Mosaico, 30 giugno 2023)

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Parashot di Chukkàt e Balàk

di Donato Grosser

Parashà di Chukkàt Le guerre che potevano essere evitate

Dopo quasi quarant’anni nel deserto era arrivato il momento di entrare nella Terra Promessa. Il popolo si trovava a Kadèsh, al confine sud-occidentale del paese. La via più diretta passava attraverso il territorio di Edòm, i discendenti di Esaù.  L’Eterno aveva proibito al Moshè di condurre il popolo di forza nel territorio degli edomiti con queste parole: “Comanda al popolo dicendo: Voi state per passare i confini dei vostri fratelli, figli di Esaù, che dimorano in Se’ir; essi avranno paura di voi; state quindi bene in guardia; non fate loro guerra, poiché del loro paese io non vi darò neppure quanto ne può calcare un piede; poiché ho dato il monte di Se’ir a Esaù, come sua proprietà” (Devarìm, 2:4-5).
              Il Re di Edòm negò loro il permesso di passaggio. Fu quindi necessario fare un lungo giro tornando a nord dalla Transgiordania e chiedere al re Sichòn il permesso di passaggio per raggiungere il fiume Giordano ed entrare nella Terra di Canaan. Pertanto: “Israele mandò ambasciatori a Sichòn, re degli Emorei, per dirgli:  Lasciami passare per il tuo paese; noi non devieremo per i campi, né per le vigne, non berremo l'acqua dei pozzi; seguiremo la via regia finché abbiamo oltrepassato i tuoi confini” (Bemidbàr, 21: 21-22).  Sichòn rifiutò di concedere il passaggio e uscì sul campo di battaglia con tutto l’esercito per combattere contro Israele. Il risultato fu devastante: “Israele lo sconfisse passandolo a fil di spada, e conquistò il suo paese dall’Arnòn fino al Yabbòk, sino ai confini dei figli di ‘Ammòn (ibid., 24). Successivamente fu ‘Og, re del Bashàn che scese in campo contro Israele. Anche loro furono sconfitti: “E gli israeliti sconfissero lui, i suoi figli e tutto il suo popolo, sino a che non gli rimase più anima viva; e conquistarono il suo paese (ibid., 35).
              R. Naftali Tzvi Yehuda Berlin (Belarus, 1816-1893, Varsavia) nel suo commento Ha’amèk Davàr fa notare che quando Moshè chiese a Edòm il permesso di passaggio attraverso il suo territorio, lo fece dicendo: “Lasciaci per favore passare per il tuo paese, noi non passeremo né per campi né per vigne e non berremo l’acqua dei pozzi; seguiremo la strada pubblica senza deviare né a destra né a sinistra finché abbiamo oltrepassato i tuoi confini” (ibid., 20:17). Nella richiesta a Sichòn non fu chiesto per favore. Fecero sapere a Sichòn che dovevano passare per il suo territorio e se avesse concesso il permesso non sarebbe stato necessario combattere. Moshè non aveva alcun desiderio di conquistare la Transgiordania, un territorio al di fuori della Terra d’Israele. Così avrebbe fatto re David circa quattrocento anni dopo: aveva conquistato la Siria prima di completare la conquista della terra d’Israele e per questo era stato criticato. 
              R. Berlin commenta che quando Moshè prima della sua morte riassunse gli eventi passati ai figli d’Israele, aggiungendo le sue ammonizioni, disse loro: “Fu allora che c’impossessammo di questo paese; io detti ai Rubeniti e ai Gaditi il territorio che si parte da ‘Aro’er, presso la valle dell’Arnòn, e la metà della contrada montuosa di Gil’ad con le sue città” (Devarìm, 3:12). Si trattava questa di un’ammonizione velata. Se le tribù di Reuvèn e di Gad non avessero preso possesso dei rispettivi territori in Transgiordania, non sarebbero stati esiliati per primi dal re d’Assiria. Moshè aveva già ammonito le due tribù dicendo che se non avessero combattuto con i loro fratelli per la conquista della Terra d’Israele avrebbero peccato (Bemidbàr, 32:23). E l’esilio per mano dell’Assiria arrivò proprio per non aver abitato in Eretz Israel al di qua del Giordano dove la kedushà del paese li avrebbe protetti. 
              Tutto questo fu causato dal peccato degli esploratori. Se  trentotto anni prima fossero andati direttamente in Eretz Israel da Kadèsh Barnea’ , il Re di Edòm non avrebbe negato loro il permesso di passaggio, grazie al fatto che i generali di Edòm avevano il terrore degli israeliti, avendo sentito la notizia del passaggio del Mar Rosso e della distruzione dell’esercito egiziano. Così avrebbero conquistato la Terra d’Israele e l’avrebbero divisa tra le dodici tribù. Anche l’esilio e altre disgrazie sarebbero stati evitati.    
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Parashà della settimana: Chukat (Decreto)

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Parashà di Balàk Israele e l’umanità

Dopo aver sconfitto Sichòn e ‘Og, i due re della Transgiordania, gli israeliti erano pronti a fare  preparativi per attraversare il fiume Giordano e andare alla conquista della Terra Promessa. Le cose però non andarono come programmato a causa dell’intervento dei moabiti.  La parashà racconta quello che fece Balàk, re di Moàv: “Balàk, figlio di Tzippòr, vide quello che Israele aveva fatto agli Emorei. E Moàv ebbe grande paura di questo popolo, che era così numeroso; Moàv fu preso da spavento di fronte agli Israeliti. Quindi Moàv disse agli anziani di Midiàn: «Ora questa moltitudine divorerà quanto è intorno a noi, come il bue divora l'erba dei campi»“(Bemidbàr, 22:2-4).
              Rashì (Troyes, 1040-1105) commenta che Balàk disse: “Questi due re, sui quali facevamo affidamento, non sono stati in grado di resistere di fronte agli israeliti. A maggior ragione cosa potremmo fare noi?”. 
              R. Joseph Pacifici (Firenze, 1928-2021, Modiin Illit) in Hearòt ve-He’aròt (p. 176) commenta che Balàk fu impressionato dal fatto che le battaglie degli israeliti erano state vinte in modo sovrannaturale. Questo fu il motivo per cui decise di chiamare Bil’am per maledirli. In verità è probabile che Balàk non avesse motivo di temere il popolo d’Israele. Infatti nella Torà è scritto: “E l’Eterno mi disse: ‘Non attaccare Moàv e non gli muover guerra, poiché io non ti darò nulla da possedere nel suo paese, giacché ho dato ‘Ar ai figliuoli di Lot, [Moàv discendeva da Lot] come loro proprietà” (Devarìm, 2:9). L’Eterno aveva quindi proibito al popolo d’Israele di fare guerra a Moàv. Ed è difficile pensare che Balàk non ne fosse al corrente. Il motivo per cui Balak decise di agire contro Israele è che non poteva tollerare il successo d’Israele e lo  disturbava il fatto che vi fosse un nazione più potente della sua. 
              Questo è anche il motivo per cui il patriarca Ya’akòv disse ai figli di non farsi notare e di evitare di generare invidia presso i vicini (Bereshìt, 42:1). Questo consiglio fu seguito per centinaia di anni in vari paesi dove le autorità comunitarie emisero  leggi suntuarie. Si trattava di dispositivi legislativi con lo scopo di limitare il consumo legato all'ostentazione del lusso. Quando il patriarca Ya’akòv disse ai figli di non farsi notare, voleva dire che in un periodo di carestia, quando tutti andavano a cercare derrate in Egitto, non era opportuno farsi vedere come se tutto fosse a posto. Era pertanto opportuno che anche essi andassero  in Egitto dove vi era grano in vendita, anche se per il momento avevano cibo in sufficienza.       
              Rashì fa notare la stranezza del fatto che in questo frangente Moàv si rivolse agli anziani di Midiàn. Egli commenta che Moàv e Midiàn si odiavano da sempre. Questo è testimoniato dal fatto che nella Torà è scritto che Midiàn venne a fare guerra contro Moàv (Bereshìt, 36:35). Edòm venne in difesa di Moàv e Midiàn venne sconfitto. Midiàn e Moàv fecero la pace ai tempi di Bil’am per allearsi contro Israele. Moàv pensò di rivolgersi a Midiàn perché vide le miracolose vittorie di Israele. E sapendo che Moshè, il leader degli israeliti, dopo essere fuggito dall’Egitto, aveva passato molti anni a Midiàn, decise di chiedere a Midiàn informazioni su Moshè. Midiàn rispose che la forza di Moshè era nella sua parola. Ricevuta questa informazione Moàv decise che era opportuno cercare di sconfiggere Moshè e il suo popolo con la parola. Cosi ingaggiò Bil’am per maledirli. 
              R. Pacifici, citando Rashì, osserva da qui si impara che la nostra forza consiste nella parola, come è scritto: “La voce è la voce di Ya’akòv, e le mani sono le maini di Esau” (Bereshìt, 27:22).  Da questo versetto i maestri nel trattato Gittìn (57b) insegnano che nessuna preghiera è efficace nel mondo a meno che qualche membro della discendenza di Ya’akòv non abbia una parte in essa. 
              R. Pacifici aggiunge che tra le nazioni del mondo vi sono sempre discordie. Tuttavia quando si tratta di odiare Israele dimenticano le discordie e diventano alleati.
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Parashà della settimana: Balak

(Shalom, 30 giugno 2023)

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Netanyahu fa retromarcia sulla riforma della giustizia

Al Wall Street Journal il primo ministro dichiara di voler rivedere la parte più controversa del documento che aveva scatenato le proteste di piazza.

di Rossella Tercatin

GERUSALEMME – Retromarcia del primo ministro Benjamin Netanyahu su uno dei capisaldi della sua controversa riforma della giustizia: la clausola che consentirebbe alla Knesset di approvare le leggi bocciate dalla Corte Suprema non è più parte del progetto. Ad annunciarlo lo stesso Netanyahu in un’intervista al Wall Street Journal. “È fuori”, ha dichiarato il premier. “Io presto attenzione a ciò che pensa l’opinione pubblica”.
  Sin dai primissimi giorni dell’entrata in carica del nuovo governo alla fine di dicembre, la riforma della giustizia è stata presentata come la priorità dell’esecutivo, una priorità condivisa da tutte le forze di coalizione, il Likud di Netanyahu, i partiti ultra-ortodossi Shas e United Torah Judaism, e le forze dell’estrema destra religiosa-nazionalista Partito Sionista Religioso, Potere Ebraico e Noam.
  Al cuore del progetto, l’obiettivo di limitare i poteri della Corte Suprema, attraverso la modifica della composizione della commissione incaricata di selezionare i giudici di ogni livello per conferire la maggioranza dei suoi membri alle forze di governo e appunto, il sostanziale svuotamento della possibilità del tribunale di bocciare le leggi perché ritenute in contrasto le Leggi fondamentali che in Israele fungono da costituzione informale.
  E tuttavia, man mano che la maggioranza procedeva spedita con l’iter legislativo della riforma, il Paese si è ritrovato percorso da proteste senza precedenti, che hanno portato in piazza ogni settimana decine e talvolta centinaia di migliaia di persone, contro un piano che è stato descritto da molti esperti, a partire dalla presidente della Corte Suprema Esther Hayut e dai leader dell’opposizione, come una minaccia alla democrazia. A prendere posizione contro la riforma sono stati anche due settori che normalmente in Israele si tengono fuori dal dibattito politico, le industrie high-tech, motore dell’economia del Paese, e l’esercito, istituzione simbolo e tra le più rispettare in Israele.
  Lo scorso marzo, proprio la richiesta del ministro della Difesa Yoav Gallant di fermare il cammino della riforma a favore di un compromesso – alla luce del diffuso malcontento tra veterani e ufficiali, specialmente nelle unità di élite – ne aveva causato il brusco licenziamento da parte di Netanyahu. Nelle 24 ore successive centinaia di israeliani erano scesi in piazza per protestare, e le principali aziende e sindacati avevano proclamato uno sciopero generale, serrando i servizi fondamentali del Paese.
  Da quel momento il premier ha cambiato approccio, aprendo ai negoziati con l’opposizione e procedendo con più cautela, con una tendenza a posticipare le decisioni sulla materia.
  Tra le altre cose nel corso dei mesi, è stata presa in considerazione l’ipotesi di richiedere non più una maggioranza semplice dei 120 parlamentari della Knesset ma una maggioranza qualificata al fine di approvare una legge bocciata dalla Corte Suprema. Nell’intervista al Wall Street Journal, Netanyahu ha spiegato che anche quest’idea è stata scartata.
  “Subito dopo che la proposta originale è stata avanzata, ho detto che l'idea di una clausola con cui la Knesset potesse annullare le decisioni della Corte Suprema con una maggioranza semplice andava buttata via”, ha detto il premier, che incalzato dall’intervistatore sulla possibilità che la proposta tornasse con una super-maggioranza ha risposto di no.
  Allo stesso tempo, Netanyahu ha criticato l’atteggiamento dell’opposizione, accusandola di non essere disponibile al minimo compromesso. “Sicuramente abbiamo cercato un ampio consenso, possibilmente con un accordo formale con l'opposizione”, ha detto al Wall Street Journal. “Ma quello che abbiamo scoperto dopo aver congelato la riforma per un mese e due mesi e tre mesi è che l'opposizione è sotto tali pressioni politiche che non poteva accettare il minimo compromesso, incluse proposte che i suoi stessi leader avevano sostenuto prima di andare all'opposizione”.
  Se un accordo non verrà raggiunto, Netanyahu ha spiegato che sarà lo stesso governo a presentare un nuovo progetto, senza entrare in troppi dettagli. “È chiaro che il modo di selezionare i giudici non seguirà la struttura attuale, ma neppure la proposta originale della riforma”, le parole del primo ministro.

(la Repubblica, 29 giugno 2023)

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Un Presidente per cambiare

Victor Fadlun è il nuovo presidente della Comunità ebraica di Roma, eletto da Dor va Dor e Ha Bait. Dopo avere accettato con riserva, ha davanti il primo ostacolo della sua presidenza: formare la Giunta superando i veti di Per Israele.

Se è vero che per ogni ebreo la Torà è, o dovrebbe essere, un testo di continuo insegnamento, allora forse ieri sera sono stati molti a riflettere sulla parashà letta lo scorso shabbat, in cui lo scontro fra Korach e Mosè descrive bene cosa separa la cattiva politica da quella buona.
  L’elezione per il nuovo presidente della Comunità ebraica di Roma non ha tradito le attese, anche se forse è ancora presto per dire se ha confermato le speranze che la maggior parte degli elettori hanno espresso nel voto dello scorso 18 giugno.
  Victor Fadlun è il nuovo presidente della Comunità. È un presidente che entrerà nella storia di una delle più antiche comunità della diaspora, non solo per la sua biografia personale – quella di un ebreo di origini libiche, la cui famiglia è arrivata in Italia fuggendo dal suo paese e che dal nulla, come molti altri insieme a lui, ha costruito una nuova vita in Europa – ma anche per la comunità, che dopo circa vent’anni ha consegnato la responsabilità della sua gestione a una nuova classe dirigente.
  È stato un voto che ha messo bene in luce le dinamiche che già erano emerse nella campagna elettorale e che ora chiedono di essere riconosciute e governate, rompendo l’immobilismo e l’autoreferenzialità di chi negli ultimi anni ha pensato di poter gestire la Comunità ebraica di Roma in modo spesso unidirezionale e autocentrato. Spetta dunque a Fadlun il compito di guidare la Comunità nei prossimi quattro anni. Non sarà, a detta di tutti gli intervenuti ieri – l’unico punto su cui le liste si sono mostrate d’accordo – un’impresa facile, perché i problemi messi sotto il tappeto negli ultimi anni ormai non possono più essere ignorati o peggio nascosti. Questo forse spiega anche la drammaticità politica di quel che è accaduto ieri sera al momento della dichiarazione di voto.
   Per Israele, che doveva scegliere fra una collaborazione sincera e trasparente o la strada del tirare il più possibile la corda per saggiare la resistenza del nuovo presidente, ha scelto di percorrere quest’ultima strada fino in fondo. Nonostante l’apertura di Dor va Dor a una gestione il più possibile collegiale – con un discorso pacato e aperto al confronto, l’esatto contrario delle parole che avevamo ascoltato all’insediamento del consiglio 4 anni fa –, e il sostegno franco offerto da Daniele Regard per Ha Bait al fine di realizzare un programma che veda al primo posto l’attenzione per i giovani, il welfare, la scuola, Per Israele si è mostrata recalcitrante oltre ogni limite, dichiarandosi ostile ad accettare la sconfitta del 18 giugno e rivendicando addirittura una parità di assessori (certa politica alla fine si traduce sempre in posti da occupare), nonostante fosse passata da 14 seggi a 10, e Dor Va Dor invece da 4 a 10, e un maggior numero di preferenze.
  Si trattava oggettivamente di una proposta irricevibile. Il voto di soli 10 giorni fa è un segno troppo chiaro per consentire ancora di giocare una partita di poker, puntando a prendere il banco senza avere carte buone in mano. Il risultato è stato così che si è andati alla conta, con Per Israele che ha addirittura pensato di sfidare Dor va Dor e Ha Bait per la presidenza.
  In effetti, i presenti non hanno potuto fare a meno di interrogarsi sul perché di una scelta politicamente suicida. Perché anche se si era rifiutata l’offerta equilibrata di Victor Fadlun – formare una giunta con 3 assessori Dor Va Dor (oltre al presidente), 3 Per Israele, 2 Ha Bait – se Per Israele avesse davvero voluto mostrarsi volenterosa nella ricerca di un accordo, avrebbe potuto scegliere di votare scheda bianca, o perlomeno un candidato di bandiera. Al contrario, ha scelto di opporre al vincitore delle elezioni la propria candidata presidente, Antonella Di Castro, la quale incomprensibilmente ha accettato che la sua lista la sacrificasse in una conta che l’ha vista sonoramente sconfitta 16 a 9.
  A quel punto soltanto lo sforzo del presidente Fadlun di tentare ancora di raggiungere un accordo per una coalizione la più ampia possibile ha impedito di formare direttamente la Giunta. Poco importa, ai fini dell’analisi del voto. Quel che è chiaro, infatti, è che da ieri sera la Comunità ebraica di Roma ha un nuovo presidente e una nuova maggioranza, formata da Dor va Dor e Ha Bait. Una maggioranza del tutto autosufficiente e che, se lo vorrà, sarà in grado di affrontare con onestà, impegno, trasparenza e amore per la Comunità tutti gli impegni che si troverà davanti. Per imboccare questa strada manca però ancora un ultimo tassello.
  Fadlun, infatti, si è riservato di accettare la sua nomina a presidente a un’ulteriore tentativo di accordo con Per Israele. Si tratta di una scelta nobile, un sincero impegno per avviare la consiliatura sulla base della maggiore collegialità possibile. Tuttavia, se anche noi volessimo partecipare alla gara di fornire consigli non richiesti a chi ha assunto la responsabilità di governare la Comunità, allora suggeriremmo di seguire non una, ma due stelle polari.
  La prima è quella di farsi guidare esclusivamente dall’interesse per la Comunità ebraica di Roma e i suoi iscritti, che attraverso il voto hanno espresso il desiderio di cambiare pagina dopo ha una lunga gestione fatta di luci e di ombre. La seconda stella polare è quella di avere coraggio, dote che certo non manca nella biografia del neopresidente. Avere coraggio significa, oggi, non farsi ingabbiare in trattative estenuanti al limite del ricatto politico, e offrire ancora una volta la possibilità di un accordo equo e giusto, dopo il quale però questa Comunità ha diritto di veder nascere una nuova giunta che affronti con impegno e determinazione il cammino che ha davanti.
  Da sempre, fra Mosè e Korach, gli ebrei non hanno dubbio da che parte stare.

(Riflessi Menorah, 29 giugno 2023)

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Israele, lite nel governo. “Perdiamo legittimità internazionale”

Il ministro della Difesa Yoav Gallant e il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir si scontrano sulla violenza dei coloni durante un incontro a porte chiuse; Gallant: "Non possiamo comportarci come i nostri nemici. Non si può dire che gli arabi lo fanno, quindi è permesso anche a noi".

di Itamar Eichner

Martedì sera, durante una riunione di funzionari di sicurezza di alto livello, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha sottolineato: “Stiamo perdendo legittimità nella comunità internazionale e non possiamo permetterlo. Dobbiamo fare qualcosa per evitarlo“.
  I suoi commenti sono giunti durante una riunione dell’ultimo minuto convocata da Netanyahu, dal Ministro della Difesa Yoav Gallant e dal Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, alla quale hanno partecipato il capo dello Shin Bet Ronen Bar e altri funzionari della sicurezza, per discutere il tema delle rivolte dei coloni in Cisgiordania.
  Ben-Gvir ha protestato contro la crescente preoccupazione per le rivolte ebraiche, definite dall’establishment della sicurezza come terrorismo nazionalista. Ha detto che “il momento clou sono i colloqui di scuse di oggi con l’Autorità Palestinese”, riferendosi alle telefonate del Presidente Isaac Herzog al Presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas e di Gallant al Ministro degli Affari Civili dell’Autorità Palestinese Hussein al-Sheikh. “Un terrorista condannato che ha trascorso 10 anni in prigione, e noi chiamiamo per scusarci con lui e accarezzarlo? Dobbiamo forse scusarci con coloro che pagano gli stipendi ai terroristi?” ha detto Ben-Gvir.
  Gallant, che ha parlato con Sheikh dopo i disordini e si è scusato, ha risposto con rabbia a Ben-Gvir: “Non possiamo comportarci come i nostri nemici. Non si può dire gli arabi lo fanno, quindi anche noi lo facciamo“.
  Durante la discussione, i rappresentanti dell’establishment della difesa hanno attaccato duramente le parole del ministro degli Insediamenti Orit Strock, che ha paragonato i capi dell’establishment della difesa al Gruppo Wagner in Russia, che è arrivato vicino a organizzare un colpo di stato in Russia. Hanno detto che, anche se Strock si è scusata, le sue parole hanno causato grandi danni e hanno portato i comandanti e i soldati di alto livello dell’IDF a subire violente molestie da parte degli ebrei israeliani.
  “Le dichiarazioni contro i soldati dell’IDF sono molto più gravi della condanna delle dichiarazioni, che non sono sufficienti“, ha sottolineato il Capo di Stato Maggiore dell’IDF Herzi Halevi.
  Gallant ha citato le parole del capo dello Shin Bet in una conversazione a porte chiuse, in cui ha detto: “Questo è un attacco non a chi è ebreo, ma a ciò che è ebreo“. Gallant ha anche suggerito che il governo condanni, in una dichiarazione ufficiale firmata da tutti i ministri, la violenza o la delegittimazione di soldati e ufficiali dell’IDF.
  “C’è un rischio diretto per i coloni di fronte agli attacchi di vendetta palestinesi che ci costringono a distogliere le forze da altri teatri. C’è il timore reale che i palestinesi vengano danneggiati dai rivoltosi (ebrei) che entrano nei villaggi, come è già successo in passato. Abbiamo paura del linciaggio degli ebrei“, ha detto Bar.
  Durante la discussione di martedì sera, tutti i capi dell’establishment della sicurezza hanno affermato che occorre fare tutto il possibile per prevenire gli attacchi e la delegittimazione delle attività dell’IDF in Cisgiordania e per condannare la violenza degli estremisti contro i palestinesi. Hanno detto a Ben-Gvir che ogni dichiarazione come quella di Stock è grave. “Le condanne non hanno lo stesso effetto delle dichiarazioni stesse“, hanno detto, aggiungendo che “le azioni a cui stiamo assistendo negli ultimi giorni sono state fatte a causa della vendetta dei ministri, e le condanne e le scuse non hanno alcun effetto“.
  Ben-Gvir, da parte sua, ha detto: “Sapete perfettamente che mi oppongo al comportamento visto nei confronti del generale di brigata, e abbiamo visto che tutta la destra si oppone, ma non raccontiamoci storie. Per un’intera settimana ho chiesto di convocare una discussione in Consiglio dei Ministri su quattro persone uccise e non c’è stata risposta fino a quando non hanno urlato contro il generale di brigata, cosa sbagliata ovviamente, e nel giro di un giorno siamo qui in una discussione urgente”. 
  “Da una settimana sento parlare dai capi dell’establishment della sicurezza della ‘grave violenza dei coloni’ e del fatto che non dobbiamo arrenderci e piegarci di fronte a loro, ma io chiedo – dove è scomparsa questa determinazione quando si tratta di alcuni dei drusi, quando sparano e attaccano improvvisamente, è lecito arrendersi?“, ha detto Ben-Gvir, riferendosi alle proteste della comunità drusa nel nord contro la costruzione di una turbina eolica nel Golan. 
  “E dov’è scomparsa la stessa determinazione di fronte agli anarchici che stamattina hanno dato fuoco a dei pneumatici davanti al Ministero della Giustizia? Perché stanno aspettando? Che gli brucino la casa? Perché non c’è una discussione urgente su questo tema con il capo dello Shin Bet e il Commissario? E perché lo Shin Bet indaga sui giovani della collina che sono stati coinvolti in crimini di proprietà ed emette arresti amministrativi contro di loro, ma nei crimini e negli omicidi nella società araba lo Shin Bet si rifiuta di indagare e di effettuare arresti amministrativi?” ha detto ancora Ben Gvir.
  “Sento continuamente parlare di Turmus Aya e Ateret, e naturalmente mi oppongo alle azioni che sono state fatte lì, ma cerchiamo di essere creativi“, ha aggiunto. “Quelli che vengono uccisi qui sono i coloni e il terrorismo che deve essere sradicato è a Jenin, non ad Ateret“.
  Dopo l’attacco mortale a Eli, centinaia di coloni della Cisgiordania hanno inscenato violenti disordini, incendiando case, auto e campi e lanciando pietre contro i palestinesi. Lunedì, i rivoltosi hanno bruciato le colture agricole in un’area di sei dunam nel villaggio di Turmus Aya, in Cisgiordania. Sabato, decine di coloni hanno affrontato i palestinesi vicino al villaggio di Umm Safa, a nord di Ramallah, e hanno lanciato pietre. Pochi minuti dopo, decine di coloni sono entrati nel villaggio, hanno bruciato almeno due case e incendiato due veicoli e un camion appartenenti ai palestinesi.
  Martedì mattina, nel suo colloquio con Sheikh, Gallant ha detto che, a proposito dei violenti disordini nei villaggi palestinesi, l’establishment della sicurezza “prende seriamente in considerazione la violenza usata da elementi estremisti contro i cittadini palestinesi”. Ha sottolineato durante la conversazione che “lo Stato di Israele lavorerà per portare i colpevoli davanti alla giustizia”.
  Herzog, nel suo colloquio con Abbas, ha sottolineato l’importanza di una lotta decisa e vigorosa contro il terrorismo, l’incitamento e l’odio, e ha evidenziato il terribile costo e il dolore che il terrorismo provoca nelle famiglie colpite e nell’intera società israeliana.

(Rights Reporter, 29 giugno 2023)

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Israele ha rifiutato di trasferire il sistema iron Dome in Ucraina

Israele non permetterà agli Stati Uniti di trasferire il sistema di difesa missilistica Iron Dome a Kiev perché teme possesso dell’Iran, ha detto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. “Se questo sistema cade nelle mani dell’Iran, milioni di israeliani rimarranno indifesi e in pericolo”, ha detto Neta Journal. Allo stesso tempo, ha respinto ancora una volta gli appelli dell’Occidente a unirsi alla fornitura di armi all'Ucraina.
  “Abbiamo preoccupazioni che non credo abbia nessuno degli alleati occidentali dell’Ucraina”, ha detto il primo ministro israeliano.
  Netanyahu ha affermato la scorsa settimana che l’Iran è riuscito a impossessarsi di armi anticarro che i paesi occidentali avevano precedentemente fornito a Kiev. Ha anche osservato che Israele non può sostenere l’Ucraina a causa degli stretti legami con la Russia.
  “Abbiamo uno stretto confine militare con la Russia. I nostri piloti volano al fianco dei piloti russi nei cieli della Siria. E penso che sia importante mantenere la nostra libertà di azione contro i tentativi dell’Iran di stabilirsi militarmente sul nostro confine settentrionale”, ha spiegato.
  Allo stesso tempo, come ha scritto Haaretz con riferimento a fonti informate, Israele sta negoziando segretamente la vendita di carri armati Merkava Mark III a Cipro, che sarà in grado di trasferire i carri armati T-80 di fabbricazione sovietica in Ucraina dopo il loro acquisto.
  Tuttavia, le autorità cipriote negano ufficialmente che nel caso in cui vengano ricevuti carri armati israeliani, i T-80 sovietici vengano consegnati a Kiev. Il presidente del Paese, Nikos Christodoulidis, ha dichiarato di non voler fare nulla che possa indebolire l'esercito cipriota di fronte alla minaccia turca.
  L’Iron Dome è un sistema di difesa missilistica sviluppato dalla società israeliana Rafael. È in servizio con l’esercito israeliano dal 2011. Il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky, sullo sfondo di massicci attacchi missilistici contro la Russia, ha chiesto alle autorità israeliane di cambiare posizione sulla fornitura di sistemi di difesa aerea a Kiev.
  Netanyahu è diventato primo ministro israeliano per la terza volta alla fine di dicembre. A gennaio, Tel Aviv ha respinto una richiesta degli Stati Uniti di trasferire i vecchi missili antiaerei Hawk a Kiev, sottolineando che non avrebbe abbandonato la sua politica precedentemente annunciata nei confronti del conflitto militare in Ucraina.

(Stella d'Italia News 29 giugno 2023)
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L'appoggio alla viscida politica imperiale degli Stati Uniti fa più male che bene a Israele. M.C.

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Anche Israele ha il suo Pantheon. A crearlo è stata Madre Natura

Un meraviglioso Pantheon naturale, completamente scavato nella roccia: nel Parco Nazionale di Beit Guvrin-Maresha ci sono delle grotte incantevoli.

Sappiamo benissimo che gli esseri umani hanno creato, nel corso della loro storia, moltissime suggestive strutture d’incredibile bellezza. Ancora oggi rimaniamo incantati dalle misteriose piramidi, dalla magnificenza del Taj Mahal e dall’imponenza della Muraglia Cinese. Ma se vi dicessimo che i monumenti più belli sono, invece, quelli a opera di Madre Natura? Se non ci credete, pensate al Parco Nazionale di Beit Guvrin-Maresha, dove è possibile rimanere a bocca aperta di fronte a un Pantheon totalmente naturale.
  Non è un caso che questo sito, che si trova in Israele,  sia stato riconosciuto dall’UNESCO come Patrimonio dell’Umanità: comprende, infatti, una fitta di rete di grotte, per lo più a forma di campana, che sembrano anche essere tutte collegate tra loro per mezzo di svariati cunicoli sotterranei.

• La storia di Beit Guvrin

Per capire meglio la storia di questo luogo incantevole, bisogna fare un piccolo passo indietro. Beit Guvrin, come abbiamo detto, si trova in Israele, precisamente a 13 chilometri da Kiryat Gat. Il parco nazionale è di immensa importanza perché comprende anche i resti di due città antiche, ossia Maresha e Bayt Jibrin, la prima risalente al X secolo a.C. e la seconda all’epoca romana. Le due città non sono strettamente legate alle grotte, ma la loro presenza ha portato sul luogo diversi archeologi che le hanno scoperte.
  Si è così potuto scoprire che le grotte, che si trovano precisamente nella parte est del parco, si sono formate per una naturale erosione sin dagli inizi della preistoria. Proprio alla preistoria, per altro, risalgono le prime tracce di abitazioni e insediamenti. Con la nascita delle città, le grotte sono state usate come siti funerari. Ciò è evidente da alcuni dipinti presenti all’ingresso di una delle grotte più grandi, proprio quella che è stata paragonata al nostro Pantheon Romano: Cerbero, che custodisce l’ingresso agli inferi, e una fenice, che simboleggia la rinascita.

• Il Pantheon naturale e le altre grotte

In generale, l’enorme grotta paragonata al Pantheon e molte altre grotte che si trovano all’interno del parco sono opera di Madre Natura. Alcune, però, sono state a lungo utilizzate come vere e proprie abitazioni rupestri e al loro interno è possibile notare l’impronta umana, con scavi più o meno abbozzati che servivano a rendere più comodi gli ambienti. Molto più interessanti e chiaramente antropici sono invece i cunicoli, che sono stati realizzati per collegare le grotte e non solo.
  Sono state realizzate delle scale (molto primitive, ovviamente) che scendono in profondità e che conducono a delle specie di magazzini e dei pozzi dove, probabilmente, venivano conservati cibi e dove si estraeva l’acqua. Nei secoli a venire, altre grotte sono state modificate dagli esseri umani. Come mai? Perché molti blocchi di pietra venivano estratti per lavori di costruzione. Le grotte sono infatti costituite da pietre calcaree, per altro morbide e di colore beige, che erano perfette per edificare.

• Visitare Beit Guvrin

Oggi, tutte le grotte sono accessibili e anche le città antiche sono facilmente visitabili. Ammirare sia le caverne che i resti degli insediamenti umani è davvero un’esperienza unica e caldamente raccomandata. Com’è intuibile dal nostro racconto, in particolare le grotte hanno un fascino incantevole: sono pacifiche, silenziose e, in qualche modo, anche fortemente spirituali.
  Per accedervi basta seguire tutte le indicazioni presenti all’ingresso del Parco Nazionale e, nei mesi estivi, è anche possibile usufruire di alcune navette che accorciano i tempi di percorrenza del parco. Non serve nemmeno prenotare: basta semplicemente andare sul posto per accedere alla vasta aerea, che non è mai particolarmente affollata.

(SiViaggia, 29 giugno 2023)

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Gal Gadot riceverà la stella sulla Walk of Fame

di Jacqueline Sermoneta

Gal Gadot
Splenderà una nuova stella sulla celebre Walk of Fame di Hollywood. Sarà quella di Gal Gadot, la prima attrice israeliana a ricevere l’ambito riconoscimento sul viale delle star a Los Angeles.
  “È incredibile. Sono così grata, riconoscente e onorata. – ha detto Gadot in un video pubblicato su Instagram - Ringrazio molto la Camera di Commercio di Hollywood per avermi scelta. Sono entusiasta di far parte della Walk of Fame ‘Class 2024’. Questo premio mi stimolerà ancora di più a fare ciò che amo così tanto”. L’attrice nel video ha spiegato, inoltre, di aver appreso la notizia da suo marito Jaron Varsano. Lo riporta il JNS.
  Il nome della 38enne attrice israeliana, nota sulla scena internazionale per il ruolo di Wonder Woman, è stato annunciato insieme a quello di altre 30 celebrità del mondo dell’intrattenimento, che riceveranno la stella sulla Walk of Fame il prossimo anno, fra le quali Chris Pine, co-protagonista di Gadot in “Wonder Woman”, Chadwick Boseman, Michelle Yeoh, Def Leppard, Gwen Stefani, Andre Young “Dr Dree”, Otis Redding, Ken Jeong, Christina Ricci, Brandy Norwood, Maggie Gyllenhaal e Kerry Washington.
  Il mese scorso, in occasione delle celebrazioni del 75esimo anniversario della fondazione dello Stato d’Israele, Gal Gadot ha ricevuto anche un premio dall’Israeli-American Council e dal Consolato israeliano di Los Angeles. “Israele è il mio cuore e la mia casa - ha affermato l’attrice in quell’evento - Siamo tutti profondamente orgogliosi della nostra patria ebraica. Questa celebrazione è una testimonianza della nostra unità, della nostra forza”.
  Ad agosto su Netflix arriverà lo spy thriller “Heart of Stone” con Gadot come protagonista e poi a marzo 2024 uscirà nelle sale il remake in chiave live action di “Biancaneve”, in cui l’attrice interpreterà il ruolo della regina cattiva Grimilde.

(Shalom, 29 giugno 2023)

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“Arabi d’Israele e violenza, un’emergenza nazionale”

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Il problema del terrorismo palestinese è all’ordine del giorno per Israele, ma non è l’unica violenza che preoccupa le autorità. Da tempo infatti quella interna alla minoranza araba viene definita come una vera e propria emergenza sociale. Da inizio anno sono 109 le persone uccise in questo settore che rappresenta il venti per cento della popolazione totale. “Questo fenomeno deve essere sradicato. È pericoloso e terribile. È contrario a ogni diritto umano di vivere in pace. Noi siamo qui per voi. Abbiamo affrontato questa guerra dall’inizio del nostro mandato. Questa è davvero una sfida enorme per Israele”, le parole del presidente del paese Isaac Herzog in un recente incontro con alcune donne arabe che hanno perso, a causa di violenza e criminalità, i propri cari in questi anni. “Non penso che si tratti di ebrei e arabi. È una questione nazionale israeliana su larga scala. – la valutazione di Herzog nel corso dell’incontro organizzato assieme alla moglie Michal – Basta ascoltarvi per capire quanto sia terribile. È necessario che chiunque abbia anche solo sfiorato l’idea di imbracciare un fucile ci pensi due volte, per non parlare di ciò che si deve fare a livello di istruzione, occupazione e welfare”.
  Funzionari e analisti attribuiscono gran parte della colpa della violenza all’assenza di attenzione da parte dello Stato, e in particolare all’attuale governo israeliano, accusato di non essere in grado o di non voler agire.
  Kifah Agbariyeh, residente a Umm al-Fahm, ha raccontato nell’incontro con Herzog che sette dei suoi parenti sono stati uccisi. “L’ultimo meno di un mese fa”. A uccidere “una delle organizzazioni criminali conosciute a Umm al-Fahm. La mia famiglia ha 28 orfani. Se siamo in un Paese democratico non sono forse una cittadina? Non è mio diritto essere al sicuro? Non sono protetta, signor Presidente”, le parole di Agbariyeh.
  Dal punto di vista governativo, dalla comunità araba molte dita sono puntate contro il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, accusato di disinteressarsi del problema. In queste settimane intanto il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha approvato la creazione di un comitato ministeriale, da lui presieduto, per contrastare violenza e criminalità nella società araba.

(moked, 28 giugno 2023)

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Una ONG israeliana trasporta i pazienti palestinesi negli ospedali in Israele

Nel 2022, sono stati rilasciati più di 110.000 permessi di attraversamento in Israele per cure mediche ai palestinesi della Cisgiordania e più di 17.000 permessi ai residenti di Gaza.

All'alba, sul valico di Rehan tra la Cisgiordania settentrionale e Israele, una lunga fila di lavoratori palestinesi viene fuori da un corridoio poco illuminato.
Mamoune Abou al-Roub esce dalla fila dei titolari di permessi medici e si dirige verso l'auto di Yael Noy, con il figlio Adam di 6 anni che sonnecchia tra le sue braccia. La destinazione: un ospedale vicino a Tel Aviv dove il bambino è in cura per un cancro agli occhi.
Yaël Noy fa parte di un gruppo di volontari israeliani dell'associazione Road to Recovery che ogni giorno accompagnano decine di palestinesi, per lo più bambini, dai punti di passaggio in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza agli ospedali israeliani per ricevere le cure non disponibili nei Territori palestinesi.
Questi trattamenti sono pagati dalle autorità palestinesi, cosa che non avviene per il trasporto da e verso gli ospedali. Il costo è proibitivo per molte famiglie.
L'associazione è stata creata per rispondere alle richieste di aiuto dei palestinesi appartenenti a un gruppo di famiglie palestinesi e israeliane colpite dal conflitto.
Secondo l'associazione, oggi essa conta circa mille membri attivi che aiutano quasi 3.000 pazienti ogni anno.

• Il linguaggio del cuore

Adam Abu al-Rob, un palestinese di sei anni recentemente colpito da un tumore agli occhi, viene preso in braccio da suo padre Mamoun mentre incontra la volontaria israeliana Yael Noy al checkpoint di Rehan, tra Israele e Cisgiordania, che lo porterà all'ospedale Sheba Tel Hashomer, vicino a Tel Aviv.
È meravigliosa, Yaël (...) È sempre felice, mi riempie il cuore", dice Abou al-Roub, 40 anni, in un ebraico stentato che ha imparato nei cantieri dove lavora in Israele.
Sul sedile posteriore dell'auto, il piccolo Adam si è addormentato, accoccolato contro il padre. Nello specchietto retrovisore, l'autista sorride al suo passeggero e scambia qualche parola con lui.
"La madre di Adam, Sabah, di solito lo accompagna. Lei non parla ebraico e io non parlo arabo. Quindi parliamo con il cuore", spiega.
"Questi viaggi sono un'opportunità per tutti i volontari di incontrare i palestinesi", aggiunge la signora Noy, che è diventata recentemente direttrice di Road to Recovery.
"Non li conosciamo, non li incontriamo mai. C'è un intero popolo che vive accanto a noi, sono i nostri vicini".
Nel 2022, sono stati rilasciati più di 110.000 permessi per entrare in Israele per cure mediche ai palestinesi della Cisgiordania, dove vivono quasi tre milioni di palestinesi, e più di 17.000 permessi ai residenti di Gaza, un territorio di oltre due milioni di persone controllato dal movimento terroristico islamico Hamas e soggetto a un blocco israelo-egiziano, secondo il Cogat, l'ente del Ministero della Difesa israeliano che supervisiona le attività civili nei Territori palestinesi.
Tuttavia, molti pazienti palestinesi non possono farsi curare in Israele, sia perché le autorità israeliane rifiutano di rilasciare loro un permesso di transito, sia perché le autorità palestinesi rifiutano di pagare le cure, spesso costose.
L'auto sfreccia sull'autostrada che costeggia il muro che separa Israele dalla Cisgiordania. Non potrei vivere qui se non facessi qualcosa per la dura e complicata realtà creata dall'occupazione", dice la signora Noy.
"È il minimo per rimanere un essere umano rispettabile".
Ma non tutti i volontari sono contrari alla presenza israeliana in Cisgiordania, sottolinea la signora, precisando che tra loro ci sono "coloni, religiosi e persone di destra".
Come Noam Ben Zvi, 72 anni, ufficiale dell'esercito israeliano in pensione, che ritiene che "anche se lasciamo la Cisgiordania, la guerra con gli arabi continuerà".
Ma questo non gli ha impedito di trasportare regolarmente un'adolescente da Jenin (nel nord della Cisgiordania) all'ospedale di Gerusalemme dove viene curata, aspettandola per diverse ore prima di riportarla al punto di passaggio, a quasi 150 chilometri di distanza.
"Amo Marie e suo padre. Non voglio che debbano restare per ore all'ospedale ad aspettare che un altro volontario li accompagni a casa", spiega.
Il trasporto dei pazienti è coordinato dalla parte palestinese da Naëm Abou Youssef, che funge anche da traduttore per i volontari israeliani.
"Quando ho scoperto quello che (l'associazione) stava facendo, non potevo credere che gli ebrei potessero fare cose del genere", dice il 50enne, che vive in un villaggio vicino a Qalqiliya, nel nord della Cisgiordania, in una zona dove gli scontri con i soldati israeliani sono frequenti.
Due dei suoi figli sono stati arrestati dall'esercito israeliano e trattenuti per diversi mesi senza alcuna accusa.
"La gente qui spesso conosce Israele solo per i soldati che fanno irruzione nelle loro case di notte, per l'occupazione, la paura, l'odio e la vendetta".
Alle 7 del mattino, la signora Noy lascia i suoi due passeggeri davanti al reparto pediatrico dello Sheba Medical Centre. Il signor Abu al-Roub si gira e le fa un ultimo saluto.
"La fine del conflitto può venire solo da un accordo politico", dice Yuval Roth, fondatore dell'associazione, "ma in questa realtà, ogni viaggio come questo è una piccola pace per un'ora".

(The Times of Israël, 28 giugno 2023 - - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Israele: sequestrati milioni di dollari in criptovalute destinati al movimento Hezbollah e alla Forza Quds

Il ministro della Difesa di Israele, Gallant, ha spiegato che “qualche giorno fa si è conclusa una vasta operazione senza precedenti, volta a svelare l’asse del finanziamento del terrorismo attraverso monete digitali”.

Le autorità dello Stato di Israele hanno sequestrato milioni di dollari in criptovalute appartenenti al movimento sciita libanese Hezbollah e alla Forza Quds, reparto del Corpo dei guardiani della Rivoluzione iraniana (Irgc), nel quadro di un’operazione di contrasto al riciclaggio di denaro. Lo ha annunciato, ieri, il ministro della Difesa di Israele, Yoav Gallant, secondo quanto riferisce il quotidiano israeliano “Jerusalem Post”. Gallant ha spiegato che “qualche giorno fa si è conclusa una vasta operazione senza precedenti, volta a svelare l’asse del finanziamento del terrorismo attraverso monete digitali”. “Per la prima volta è stata smantellata un’infrastruttura economica di tale portata di Hezbollah e della Forza Quds, che aveva l’obiettivo di trasferire milioni di dollari a terroristi”, ha aggiunto Gallant. “In quanto ministro della Difesa, ho emesso un decreto che autorizza l’accesso a questi fondi, la loro confisca e il loro trasferimento nelle casse dello Stato di Israele”, ha concluso.

(Nova News, 28 giugno 2023)

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Israele: preoccupa il futuro del settore hi-tech. Lo dice l’Israel Innovation Authority

di Giovanni Panzeri

 
 
 
I dati riportati nel report annuale dell’Israel Innovation Authority , il ramo del governo israeliano incaricato di dirigere lo sviluppo della ricerca e dell’industria tecnologica, descrivono il deciso calo dei finanziamenti dell’industria high tech, oltre il 70% in meno rispetto al 2022.-
  Una crisi prolungata potrebbe rendere necessario l’intervento del governo nel salvare un settore particolarmente sensibile alla psicologia dei mercati, essendo finanziato quasi interamente da privati.-
  Un settore, del resto, particolarmente importante per Israele visto che, nel corso dell’ultima decade, è diventato la punta di diamante della sua economia, costituendo il 18% del prodotto interno lordo e impiegando, direttamente o indirettamente, il 14% della forza lavoro salariata.-
  Il trend di declino è iniziato nella seconda parte del 2022, nel contesto di una generale recessione dei mercati globali causata dalla guerra in Ucraina e dal conseguente aumento dell’inflazione.-
  Tuttavia, mentre diversi mercati danno segni di ripresa, i primi dati del 2023 sembrano indicare un prolungamento della crisi dell’industria israeliana, forse causato dalla seria fase di tensioni interne e dalle preoccupazioni suscitate nel settore dal tentativo di riforma giudiziaria.-
  “Le tensioni globali degli ultimi 18 mesi, tra cui la guerra in Europa e le tensioni tra Cina e Stati Uniti, hanno causato cambiamenti radicali che hanno portato a un calo netto dei finanziatori disposti a fare investimenti ad alto rischio” spiega al Times of Israel Dror Bin, CEO dell’Israel Innovation Authority “e la situazione politica d’Israele non fa altro che aumentare le incertezze di imprenditori e investitori. Speriamo che questo periodo di instabilità politica passi presto, perché la situazione non è buona.”-
  Il report descrive inoltre il licenziamento di migliaia di dipendenti del settore, quasi 6000 dall’inizio dell’anno, e la netta diminuzione di posti di lavoro disponibili sottolineando come tutto ciò porterebbe a “un calo delle imposte sul reddito e ad una minore disponibilità da parte delle imprese high tech di spendere per servizi aggiuntivi. Il che porterà a sua volta ad un ulteriore calo di posti di lavoro disponibili e a tagli al personale delle aziende”.
  Il report tratta poi di altre problematiche, sottolineando lo scarso impiego di personale femminile nel settore, solo un terzo, il lento progresso nel tentativo di coinvolgere le comunità Arabe e Ultra Ortodosse, e il grosso divario tra il salario dei dipendenti dell’industria high tech e quello di chi lavora in altri settori.-
  Evidenzia infine le opportunità  rappresentate rispettivamente dall’introduzione della Generative AI e dallo sviluppo di tecnologie dedicate a cercare di limitare gli effetti della crisi climatica.-
  L’Israel Innovation Authority conclude il report raccomandando al governo la necessità di trovare nuovi mercati in cui esportare le conoscenze israeliane nel settore, di cercare di espandere l’industria high tech anche al di fuori dei principali centri urbani del paese coinvolgendo i gruppi meno rappresentati e, infine di avere un ruolo più attivo nell’incentivare gli imprenditori a creare start up.-
  “Il mondo per come lo conosciamo sta per essere radicalmente trasformato in tre grandi settori: la Generative AI, l’informatica e la comunicazione quantistica e l’innovazione nel campo della tecnologia climatica” spiega la presidente dell’Israel Innovation Authority, Ami Appelbaum, “ non possiamo permetterci di rimanere indietro, in nessuna di queste aree: è un periodo di profonda crisi politica e sociale ma, se agiremo con saggezza, anche di grandi opportunità”.

(Bet Magazine Mosaico, 28 giugno 2023)

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Israele e Marocco uniti per l'emergenza climatica

di Michelle Zarfati

Israele e Marocco uniti per un unico obiettivo: l’emergenza climatica. I due stati hanno pianificato infatti la firma di un memorandum d'intesa nei settori della protezione ambientale e del cambiamento climatico a seguito di una visita del ministro della protezione ambientale Idit Silman questo fine settimana a Rabat. Silman ha incontrato la sua controparte marocchina, il ministro della transizione energetica e dello sviluppo sostenibile Leila Benali per discutere le sfide ambientali condivise.
  L'accordo includerà un quadro per la cooperazione tra istituti di ricerca, imprenditori ed enti pubblici e privati nel campo dell'ambiente di entrambe le parti, ha condiviso il ministero della protezione ambientale in una nota. "Il rafforzamento delle relazioni tra i governi nel settore della protezione ambientale aggiungerà un altro livello della profonda connessione tra il popolo marocchino e quello israeliano", ha detto Silman, i cui genitori sono emigrati dal Marocco in Israele.
  "Marocco e Israele hanno sfide simili nel campo della gestione dei rifiuti, delle energie rinnovabili, della conservazione dell'ambiente marino e costiero e altro ancora, credo fermamente che creare un linguaggio professionale comune per quanto riguarda le questioni climatiche e della sostenibilità sia un obiettivo importante". La visita di Silman è la prima visita ufficiale di un ministro della protezione ambientale dalla firma degli accordi di Abramo. Tra gli argomenti discussi vi sono stati il cambiamento climatico, la conservazione della biodiversità e degli ecosistemi marini, la gestione dell'acqua e le questioni di desalinizzazione, la qualità dell'aria e la tecnologia e l'innovazione ambientale. Alla riunione erano presenti anche i direttori generali dei rispettivi ministeri e l'ambasciatore israeliano in Marocco. Silman ha concluso il meeting invitando Benali a visitare Israele quanto prima.

(Shalom, 28 giugno 2023)

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Commento alla Dichiarazione d’intenti per la lotta contro l’antisemitismo nel calcio

di Emanuele Calò

La dichiarazione  d’intenti di ieri per la lotta contro l’antisemitismo nel calcio assume una particolare valenza perché si discosta nettamente da una prassi ultra trentennale (posso rammentarlo perché ne scrissi sul Corriere dello Sport) fatta di strette di mano e pacche sulle spalle, seguite dal nulla. Un nulla sonoro quasi quanto i cori antisemiti, dove la parola ebreo diventa un insulto. Questa non è una novità: ogni volta che si scrive “di origine ebraica” riferendosi a un ebreo, lo si fa perché la parola “ebreo” è ritenuta offensiva.  Se per gente colta e preparata la parola “ebreo” è offensiva, perché meravigliarsi che la si usi nello sport per screditare l’avversario? Colpisce che siano dei cristiani a farlo, a meno che abbiano rimosso l’ebraismo di Gesù.
  Questa, però, è la volta buona, perché questa dichiarazione, anzitutto, è fatta da istanze non ebraiche, e questo vuol dire che l’antisemitismo talvolta non è sentito come un problema degli ebrei ma di chi non è ebreo. Mi rendo conto che è un ragionamento complesso (in Italia l’ha fatto Elena Loewenthal) ma questo va a merito di Giuseppe Pecoraro, subentrato a Milena Santerini come Coordinatore per la lotta all’antisemitismo.
  Nella dichiarazione d’intenti troviamo delle istruzioni precise, così come precisi sono i richiami normativi, con una precisazione che faremo appresso. In effetti, si prevede (ancorché col rinvio a un disciplinare) l’interruzione delle partite quando ‘partono’ i cori offensivi. Sennonché, l’art. 62 delle Norme Organizzative Interne F.I.G.C. già lo prevede:

  1. Prima dell’inizio della gara, il responsabile dell’ordine pubblico dello stadio, designato dal Ministero, anche su segnalazione dei Collaboratori della Procura federale, o, in loro assenza, del Delegato di Lega,ove rilevi uno o più striscioni esposti dai tifosi, cori, grida ed ogni altra manifestazione discriminatoria di cui al comma 3) costituenti fatto grave, ordina all’arbitro, anche per il tramite del quarto ufficiale di gara o dell’assistente dell’arbitro, di non iniziare la gara. In caso di assenza delle predette figure, il provvedimento viene assunto dall’arbitro.
  2. Il pubblico dovrà essere informato con l’impianto di amplificazione sonora od altro mezzo adeguato, sui motivi del mancato inizio e verrà immediatamente invitato a rimuovere lo striscione e/o a interrompere cori, grida ed ogni altra manifestazione discriminatoria di cui al comma 3) che hanno causato il provvedimento. L’arbitro darà inizio alla gara solo su ordine del responsabile dell’ordine pubblico dello stadio, designato dal Ministero dell’Interno o, in sua assenza, il provvedimento viene assunto dall’arbitro.
  3. Nel corso della gara, ove intervengano per la prima volta i fatti di cui al comma 6), l’arbitro, anche su segnalazione del responsabile dell’ordine pubblico dello stadio, designato dal Ministero dell’Interno o dei Collaboratori della Procura federale e, in assenza di quest’ultimi, del Delegato di Lega, dispone la interruzione temporanea della gara.
  4. L’arbitro comunica la interruzione temporanea della gara ai calciatori, i quali dovranno rimanere al centro del campo insieme agli ufficiali di gara. Il pubblico dovrà contemporaneamente essere informato con l’impianto di amplificazione sonora od altro mezzo adeguato, sui motivi che hanno determinato il provvedimento e verrà immediatamente invitato a rimuovere lo striscione e/o a interrompere cori, grida ed ogni altra manifestazione discriminatoria di cui al comma 3).
  5. Nel caso di prolungamento della interruzione temporanea, in considerazione delle condizioni climatiche ed ambientali, l’arbitro potrà insindacabilmente ordinare alle squadre di rientrare negli spogliatoi. La ripresa della gara potrà essere disposta esclusivamente dal responsabile dell’ordine pubblico di cui al comma 6) o, in sua assenza, dall’arbitro.
  6. Qualora il gioco riprenda dopo la interruzione temporanea di cui al comma 8 e si verifichino altri fatti previsti dal comma 6), il responsabile dell’ordine pubblico dello stadio, designato dal Ministero dell’Interno, anche su segnalazione dei Collaboratori della Procura federale e, in assenza di quest’ultimi, del Delegato di Lega, può ordinare all’arbitro, anche per il tramite del quarto ufficiale di gara o dell’assistente dell’arbitro, di sospendere la gara. In caso di assenza delle predette figure, il provvedimento viene assunto dall’arbitro.
  7. L’arbitro comunica la sospensione della gara ai calciatori, i quali dovranno rimanere al centro del campo insieme agli ufficiali di gara. Il pubblico dovrà contemporaneamente essere informato con l’impianto di amplificazione sonora od altro mezzo adeguato, sui motivi che hanno determinato il provvedimento e verrà immediatamente invitato a rimuovere lo striscione e/o a interrompere cori, grida ed ogni altra manifestazione discriminatoria di cui al comma 3).
  8. Nel caso di prolungamento della sospensione disposta dal responsabile dell’ordine pubblico dello stadio di cui al comma 6), in considerazione delle condizioni climatiche ed ambientali, l’arbitro potrà insindacabilmente ordinare alle squadre di rientrare negli spogliatoi. La ripresa della  gara potrà essere disposta esclusivamente dal responsabile dell’ordine pubblico di cui al comma 6) o, in sua assenza, dall’arbitro.
  9. Il non inizio, l’interruzione temporanea e la sospensione della gara non potranno prolungarsi oltre i 45 minuti, trascorsi i quali l’arbitro dichiarerà chiusa la gara, riferendo nel proprio rapporto i fatti verificatisi, e gli Organi di Giustizia Sportiva adotteranno le sanzioni previste dall’art. 10 del Codice di Giustizia Sportiva, ferma restando l’applicazione delle altre sanzioni previste dal codice di giustizia sportiva per tali fatti.

Cosa avrebbero potuto fare gli autori della Dichiarazione d’intenti? Chiedere che fossero attuate le norme sopra richiamate avrebbe potuto rinviare alle trattazioni sul principio di effettività della norma, con una dotta citazione di Hans Kelsen? Asserire che le previsioni normative sono state ignorate chiedendo le dimissioni dei responsabili? Io scrivo comodamente e non mi pongo i problemi pratici, il Prefetto Pecoraro sì, e per me non solo ha ragione, ma merita pure un plauso incondizionato. Tuttavia, quando udirò i cori antisemiti, rischio che lo steward, con sfoggio di cultura grazie ai phd ricevuti presso l’Ivy League, mi dica di attendere il disciplinare? Allora, diciamo:

  1. che il disciplinare  va fatto subito, magari, per sopperire a qualche buco/voragine, richiamandosi (come espediente per uscirne) al citato art. 62 e quindi affinandolo;
  2. che il rinvio va fatto all’intera definizione IHRA di antisemitismo, laddove il termine “intera” dovrebbe essere fatto tenendo a mente i soliti furbi, che potrebbero sorvolare sugli esempi, ovvero, il Vittorio Gassmann de “I soliti ignoti“, dove recita una cronaca giornalistica per far finta di essere stato allo stadio. Intera vuol dire: con gli esempi, altrimenti avremmo sostituito “un trou avec un autre“, e non mi dite che il francese non nobilita.
(Osservatorio di Enzo Sereni, 28 giugno 2023)

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Israele: riforma giudiziaria, la protesta si inasprisce

Dimostranti bloccano ministro Giustizia Levin a casa per 3 ore

TEL AVIV - Si inasprisce in Israele la protesta contro la riforma giudiziaria elaborata dal governo Netanyahu dopo che domenica alla Knesset sono riprese le consultazioni per il varo in tempi serrati di una sua prima parte.
  Stamane gruppi di dimostranti si sono raccolti a Modiin (ed est di Tel Aviv) vicino al condominio dove risiede il vicepremier e ministro della Giustizia Yariv Levin e hanno bloccato l'ingresso.
  Secondo i media hanno anche dato fuoco a pneumatici. Levin ha poi scritto su Facebook di essere rimasto bloccato in casa per circa 3 ore e ha accusato la polizia di essere intervenuta con grande ritardo. La radio pubblica Kan ha riferito di testimonianze secondo le quali gli agenti avrebbero fatto ricorso a gas lacrimogeni per disperdere i dimostranti, sette dei quali sono stati fermati.
  Altri incidenti sono avvenuti la scorsa notte vicino ad un commissariato di polizia a Petach Tikwa (presso Tel Aviv) dopo il fermo di uno degli organizzatori delle proteste. Si è organizzata una protesta che è stata disturbata da sostenitori della riforma. Uno di questi ha urtato con la sua automobile una dimostrante che si trovava su una sedie a rotelle. Un altro ha estratto minacciosamente una pistola. La polizia ha avviato accertamenti.

(ANSAmed, 27 giugno 2023)

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Fare del male a persone innocenti "non è il nostro linguaggio", dice un importante rabbino religioso-sionista

Il rabbino Yaakov Medan, anziano educatore dell'insediamento di Alon Shvut, condanna la recente violenza degli estremisti ebrei, che secondo lui è stata provocata dall'ondata di attentati terroristici.

di Jeremy Sharon

Rabbi Yaakov Medan
Il rabbino Yaakov Medan, figura di spicco della comunità religioso-sionista, ha condannato i recenti disordini e attacchi contro villaggi palestinesi da parte di estremisti ebrei, definendo tale comportamento "illegittimo". Medan, decano della prestigiosa Har Etzion Yeshiva nell'insediamento di Alon Shvut, in Cisgiordania, ha affermato che tali attacchi "non rientrano nella nostra lingua o nei nostri valori" e ha condannato in particolare la distruzione di libri, che sembra siano copie del Corano, avvenuta nel villaggio palestinese di Urif alcuni giorni fa. Il rabbino ha aggiunto che i disordini ebraici distolgono anche l'attenzione e le risorse dei servizi di sicurezza dall'affrontare il terrorismo palestinese e dovrebbero quindi cessare immediatamente.
  Nell'ultima settimana, estremisti ebrei hanno attaccato diversi villaggi palestinesi nel nord della Cisgiordania, incendiando case, veicoli e campi agricoli e, in alcuni casi, sparando ai residenti con fucili d'assalto, anche a Turmus Ayya, Urif e Umm Safa.
  Questi incidenti hanno seguito l'attacco terroristico fuori dall'insediamento di Eli, in cui quattro israeliani sono stati uccisi quando due uomini armati palestinesi hanno aperto il fuoco su persone che stavano mangiando in un ristorante vicino a una stazione di servizio.
  I disordini sono stati condannati dai politici, compresi alcuni della coalizione di destra, ma non c'è stata una chiara condanna da parte dei leader degli insediamenti o delle figure religiose.
  La Yeshiva di Har Etzion è stata considerata un'istituzione relativamente moderata, dal punto di vista politico e religioso, grazie alle prospettive dei suoi fondatori, anche se lo stesso Medan ha forti opinioni di destra, si è opposto agli accordi di Oslo e ha appoggiato partiti di destra.
  "Dobbiamo fare tutto, ma proprio tutto, per fermare questi disordini", ha dichiarato Medan al Times of Israel.
  "Non facciamo del male a chi ha la presunzione di innocenza. Attacchiamo solo gli assassini e coloro che li aiutano, e questo viene fatto dallo Stato di Israele e dalle forze di sicurezza, e non da ogni persona in modo privato", ha detto. "Entrare nei villaggi arabi, bruciare le case, le auto, i campi deve essere totalmente denunciato, perché non fa parte del nostro linguaggio danneggiare la proprietà di persone che hanno la presunzione di innocenza".
  Medan ha notato che Michal Shir, deputato di Yesh Atid, ha minacciato domenica in un'udienza del comitato della Knesset che gli oppositori al programma di revisione giudiziaria del governo avrebbero "incendiato le strade" se fossero state approvate leggi che danneggiano la democrazia israeliana.
  "Il linguaggio di Michal Shir e dei suoi sostenitori da un lato, e di coloro che appiccano incendi nei villaggi arabi dall'altro, non è il linguaggio delle persone della Torah, di coloro che amano Dio e di coloro che amano la terra", ha dichiarato. Il rabbino ha anche affrontato l'incidente di mercoledì, in cui un rivoltoso mascherato a Urif è stato visto strappare pagine di quello che si diceva essere un Corano e spargerle per la strada.
  "Dobbiamo denunciare totalmente coloro che denigrano e bruciano i libri sacri, come abbiamo visto fare da chi ha distrutto un Corano", ha detto Medan.
  Ma ha anche detto che fermare le rivolte ebraiche è importante per non ostacolare il lavoro dell'esercito e dei servizi di sicurezza.
  "Dobbiamo fare tutto il possibile per sostenere i servizi di sicurezza ed essere al loro fianco nel loro sforzo di sradicare i terroristi e i loro sostenitori, e questa è la nostra unica missione in questo momento: sostenerli e non fare cose che li ostacolino", ha detto il rabbino, sottolineando che l'IDF e gli altri servizi di sicurezza sono costretti a dedicare risorse significative per contrastare la minaccia della violenza estremista ebraica.
  Alla domanda sul perché questi incidenti si siano intensificati e siano aumentati di gravità negli ultimi mesi, Medan ha detto di ritenere che queste azioni derivano dal fatto che alcuni abitanti degli insediamenti sono rimasti scioccati dai recenti attacchi terroristici e da quello che hanno detto essere il loro disappunto per il modo in cui le forze di sicurezza sono "rimaste indietro" rispetto alla situazione della sicurezza sul campo.
  "Non si possono scindere questi eventi dal disagio di cui soffre la gente, dovuto al fatto che negli ultimi sei mesi 28 persone sono state uccise in attacchi terroristici e molte altre ferite, alcune delle quali in modo irreversibile", ha affermato.
  "È anche impossibile separarlo dal fatto che i manifestanti di sinistra bloccano le strade e fanno disordini a loro piacimento con la copertura della polizia e nessuno osa fare loro nulla", ha detto riferendosi alle proteste contro il programma di revisione giudiziaria del governo. "Ma questo modo di fare è illegittimo e dobbiamo fermarlo a tutti i costi".

(The Times of Israel, 27 giugno 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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“Due paesi con cui Israele non ha legami dovrebbero partecipare al forum del Negev” (Eli Cohen)

Eli Cohen
Rinviata la seconda edizione del “Negev Forum”, che si sarebbe dovuto svolgere in Marocco a metà luglio. Il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen ha affermato che due paesi che non hanno rapporti diplomatici con Gerusalemme parteciperanno al Forum del Negev del mese prossimo, che il Marocco, paese ospitante, ha rinviato a causa dell’espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania e della violenza anti-palestinese da parte degli estremisti.
  Il signor Cohen si aspetta che entrambi i paesi – di cui non fa il nome – siano presenti quando il forum si terrà finalmente, potenzialmente a settembre. “Sono felice di poter dire che siamo in contatto con un certo numero di paesi con i quali non abbiamo ancora legami, al fine di estendere gli accordi di Abramo”, ha detto alla commissione per gli affari esteri e difesa della Knesset, riferendosi a Stati Uniti- accordi di normalizzazione sostenuti.
  Questo forum è stato creato nel 2022 per promuovere la cooperazione multilaterale in settori quali salute, economia, cambiamento climatico, acqua e sicurezza.
  Il ministro degli Esteri marocchino Nasser Bourita ha comunque auspicato che il Forum del Negev “possa svolgersi all’inizio dell’anno scolastico qui in Marocco” in un contesto più “favorevole”, senza precisare una data.

(dayFRitalian, 27 giugno 2023)

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Viaggiare in USA senza visto

Sessantacinque senatori incitano Blinken ad estendere l’esenzione a Israele

di David Fiorentini

“Scriviamo per esprimere il nostro sostegno agli sforzi per includere Israele nel Programma di Esenzione dal Visto (VWP) e per incoraggiare sia il Dipartimento di Stato che il Dipartimento della Sicurezza Interna a dare priorità al completamento dell’adesione di Israele entro quest’anno.” Così esordisce la lettera firmata da 65 senatori statunitensi, annunciando la loro risoluzione di rafforzare i legami tra Israele e gli Stati Uniti.
  “Circa 450000 israeliani viaggiano annualmente verso gli USA, e tale numero aumenta ogni anno. Con 93 voli diretti settimanali da Israele agli aeroporti americani, c’è già una significativa domanda di viaggi. Pertanto, la partecipazione di Israele al VWP aumenterebbe notevolmente le potenzialità sia per il turismo che per i viaggi d’affari.” continua il comunicato bipartisan.
  Questo ampliamento consentirebbe ai cittadini israeliani di essere esenti dall’obbligo di richiedere un visto di viaggio per visite fino a 90 giorni.
  “Israele è un alleato chiave degli Stati Uniti e un partner commerciale. L’esonero del requisito di visto per gli israeliani che visitano l’America riflette questi solidi legami e approfondirà le relazioni bilaterali, a beneficio reciproco di entrambi i paesi”, ha dichiarato l’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC), applaudendo l’iniziativa di Capitol Hill.
  Entrando nel merito della questione, negli ultimi anni Israele ha compiuto due passi significativi per poter accedere al tanto ambito Programma di Esenzione dal Visto (VWP). In primis, si è ridotto sensibilmente il tasso di rifiuto dei visti, ossia la percentuale di viaggiatori verso gli USA cui viene negato l’ingresso a causa di timori di abuso del visto, come il prolungamento illecito del soggiorno o la ricerca di occupazione illegale, il quale è sceso al di sotto della soglia del 3%. In secondo luogo, il governo israeliano ha introdotto nuove misure volte ad agevolare la condivisione di intelligence con gli altri paesi membri del programma.
  Tuttavia, la questione della reciprocità rappresenta ancora un ostacolo significativo. Affinché Israele possa beneficiare dell’esenzione dal visto, questa deve applicarsi a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro origine etnica o religiosa. Al momento, Israele richiede permessi speciali per gli americani che detengono documenti di identità palestinesi, creando una disparità che solleva preoccupazioni. Di conseguenza, diversi esponenti del Partito Democratico si sono uniti a gruppi arabo-americani nel richiedere che l’ingresso di Israele nel programma sia vincolato all’eliminazione delle restrizioni imposte ai cittadini americani di origine palestinese.
  Questa condizione rappresenta un punto cruciale visto che allo stesso tempo deve tenere conto delle particolari condizioni geopolitiche regionali che rendono inevitabili certe normative per garantire la sicurezza nazionale.

(Bet Magazine Mosaico, 27 giugno 2023)

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Altre migliaia di fucili d’assalto Micro Tavor per le Forze Armate Israeliane

IWI Micro Tavor
Il Ministero della Difesa di Israele ha comunicato di aver in corso l’acquisto di migliaia di fucili d’assalto Micro Tavor per l’IDF.
  Infatti, l’ufficio responsabile dell’approvvigionamento del Ministero della Difesa d’Israele acquisterà 2.800 fucili Micro Tavor prodotti dalla società israeliana Israel Weapons Works (IWI) dal gruppo SK, per circa 10,5 milioni di NIS.
  Le nuove armi saranno fornite in via prioritaria alle Brigate di Fanteria, Nahal, Golani e Givati.
  Il micro fucile Tabor, al servizio della formazione di combattimento regolare e di riserva dell’IDF dal 2006, è un fucile d’assalto sulla piattaforma bullpup (in cui la cartuccia si trova dietro il meccanismo di scatto); trattasi di un’arma ergonomica e corta in grado di fornire una grande precisione e consente al soldato di mantenere un alto livello di fuoco e di precisione di tiro in un’area urbana senza rivelarsi.
  Nei prossimi mesi IWI allestirà i fucili oggetto di questo ordine nel nuovo stabilimento in fase di completamento a Kiryat Gat.
  Il Micro Tavor (IWI X95) è la versione 5,56×45 mm del Tavor camerato in 7,62×51 mm; oltre il 5,56×45 mm l’arma è disponibile in 5,45×39 mm e 9×19 mm.
  L’arma può essere dotata di vari tipi di mirini per operazioni diurne e notturne, puntatori laser, torce e lanciagranate da 40×46 mm.
  Il Micro Tavor in 5,56×45 mm è disponibile con canna da 16,5″ (419 mm) o da 15″ (330 mm), raggiunge una lunghezza totale di 670 mm con la canna da 16,5″, ha un peso di 3,3-3,4 kg (solo l’arma) ed è in grado di sostenere un rateo di fuoco di 750-950 colpi al minuto.

(Ares Osservatorio Difesa, 27 giugno 2023)

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"Hava Nagila" ritorna in voga come inno ebraico

di Michelle Zarfati

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Dalle località di villeggiatura ebraiche ai vivaci locali notturni: l'indimenticabile interpretazione di "Hava Nagila" di Harry Belafonte continua ad affascinare il pubblico di tutto il mondo e innesca una rinascita culturale in un'era di crescente antisemitismo. Nell'autobiografia pubblicata da Harry Belafonte nel 2011, il musicista americano ha rivelato che suo nonno paterno era un ebreo olandese, e forse proprio questo ha intensificato il suo legame con l'ebraismo. Belafonte si è infatti esibito in pezzi scritti da ebrei, spesso eseguiti in luoghi di villeggiatura ebraici come nelle Catskill. Sembra infatti che grazie a lui "Hava Naghila" sia divenuto un punto fermo nella playlist di ogni DJ.
  La canzone di Belafonte ha trovato la sua strada nel mainstream americano dopo che gli influencer l'hanno ascoltata e utilizzata in luoghi di vacanza e feste. "Diamo ai nostri DJ un elenco di canzoni che vorremmo inserire nel loro set, e questa è una delle più gettonate", ha detto Kylie Monagan, una delle proprietarie di Calissa, un ristorante greco a Water Mill, NY, che ospita grandi DJ e artisti come Samantha Ronson e Wyclef Jean.
  "Abbiamo fatto delle ricerche viaggiando nel Mediterraneo, e abbiamo notato che moltissimi club e ristoranti suonavano questa canzone, l'abbiamo amata", ha detto in un'intervista al New York Times. La canzone è stata scritta nel 1918 da Abraham Zvi Idelsohn, un compositore che credeva che il popolo ebraico avesse bisogno di nuova musica in un momento in cui il sionismo e la spinta per una patria ebraica stavano guadagnando forza. La canzone è ispirata alle preghiere ebraiche ed è stata combinata con le melodie chassidiche.

(Shalom, 27 giugno 2023)

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L’antisemitismo e l’approccio (scarso) dei media italiani. Parla Noemi Di Segni

L’antisemitismo e l’approccio (scarso) dei media italiani. Parla Di Segni di Antisemitismo, anti-giudaismo e ostilità diffusa verso Israele. Il quadro dell’informazione italiana tratteggiato dalla presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha tinte piuttosto fosche. In generale, nella parte strutturata del giornalismo italiano emerge un orientamento ideologico.

di Federico Di Bisceglie

L’informazione nei media italiani resta intrisa di antisemitismo, declinato nelle diverse formule. Per non parlare delle imprecisioni e delle (colpevoli) omissioni di chi approccia in modo ideologico e a senso unico il conflitto israelo-palestinese. Il tutto condito da una serie di imprecisioni, anche terminologiche oltre che concettuali, da far rabbrividire. Tutto questo porta a dire che ci sia ancora “tantissimo lavoro da fare” per riuscire a ottenere un’informazione che affronti le questioni legate in particolare a Israele, ma più in generale all’antisemitismo e all’antigiudaismo.
  Questo è il quadro – ben poco lusinghiero – tratteggiato da Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in una conversazione con Formiche.net a seguito dell’evento “85 anni dalle leggi razziali: lotta all’antisemitismo nei media italiani. Seminario per giornalisti”, organizzato dall’Ambasciata d’Israele in Italia nei giorni scorsi.

- Presidente Di Segni, che cosa rende l’informazione italiana così lacunosa e talvolta dannosa nell’affrontare i problemi legati all’antisemitismo e a Israele?
  Ci sono due piani. Il primo è quello legato alla chiarezza terminologica, che spesso manca nell’affrontare certe questioni. Prima di tutto occorrerebbe far luce su cosa in effetti significhi antisemitismo e anti-giudaismo. Dunque innanzitutto penso che il primo problema sia la scarsa capacità di classificare e riconoscere questi fenomeni. Il secondo piano di discussione è quello legato a Israele.

- Ecco, ciò che accade in Israele è spesso viziato da un orientamento ideologico ostile allo Stato Ebraico, in particolare nella narrazione del conflitto israelo-palestinese. 
  Sì e su questo mi preme sottolineare un concetto: chi mette in discussione la legittimità dell’esistenza dello Stato d’Israele è un antisemita. Non esiste una distinzione tra chi è anti-israeliano e antisemita. Israele rappresenta la nostra terra, la nostra storia, la nostra tradizione. Israele è l’ebraismo e viceversa.

- Come valuta l’atteggiamento dei giornalisti italiani su queste tematiche?
  Molti giornalisti scelgono di raccontare in maniera distorta ciò che accade in Israele, deformando la realtà. Oppure, c’è chi decide di omettere certi particolari o certe circostanze che invece sarebbero fondamentali per inquadrare i fenomeni nella loro complessità. C’è, insomma, un approccio selettivo al tema israeliano, figlio di una relativizzazione assoluta e abbastanza trasversale. Chi è ostile a Israele lo può sbandierare ai quattro venti, mentre chi ne prende le parti deve sempre avere qualche forma di scrupolo. Per non parlare dell’informazione disintermediata: Internet e i social in questo senso sono diventati i megafoni delle peggio nefandezze, in particolare contro Israele.

- Riscontra una matrice politica nell’approccio relativistico nei confronti di Israele?
  Ritengo sia un modus operandi fuorviante e profondamente sbagliato, abbastanza diffuso purtroppo. Nella parte giornalistica italiana strutturata, riscontro un totale appiattimento in favore della causa palestinese, senza che però tutto ciò che accade – molto complesso – venga sviscerato in maniera oggettiva. Tanto per intenderci: non basta copiare ciò che scrive Haaretz per comprendere la complessità di ciò che accade in Eretz Israel.

- Come è percepita l’informazione italiana in Israele?
  Molto negativamente. C’è la giusta convinzione che, per lo più, le informazioni non tratteggino la realtà per come è ma che sia un’informazione sostanzialmente distorta. Ed è per questo che, come Ucei, abbiamo organizzato un corso di formazione per giornalisti proprio per tentare di invertire questa rotta.

(Formiche.net, 26 giugno 2023)

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Benjamin Netanyahu: "Abbiamo bisogno dell'Autorità palestinese"

"Lavora bene dove può, il che è vantaggioso per noi. Non è quindi nel nostro interesse che crolli".

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato che il suo governo è pronto per il "dopo Mahmud Abbas", il presidente dell'Autorità Palestinese, che sarebbe malato e molto debole. Ha inoltre sottolineato l'importanza di moderare l'aspirazione dei palestinesi ad avere uno Stato indipendente. Netanyahu ha rilasciato queste dichiarazioni durante una riunione a porte chiuse del Comitato per gli Affari Esteri e la Difesa, secondo quanto riportato dall'emittente pubblica Kan.
  "Siamo pronti per il dopo Abu Mazen (il nome di guerra di Mahmoud Abbas). Abbiamo bisogno dell'Autorità palestinese, non possiamo permettere che collassi", ha dichiarato Benjamin Netanyahu ai membri della commissione sulle relazioni di Israele con l'Autorità palestinese.
  "Siamo pronti ad aiutare finanziariamente l'Autorità Palestinese perché abbiamo interesse che continui a funzionare. Lavora efficacemente dove può, il che è vantaggioso per noi. Quindi non è nel nostro interesse che crolli", ha aggiunto il Primo Ministro israeliano.
  Riguardo all'ambizione dei palestinesi di avere uno Stato indipendente, Benjamin Netanyahu ha dichiarato inequivocabilmente: "La loro ambizione di avere uno Stato deve essere repressa".

(i24News, 26 giugno 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Israele convoca l'ambasciatore ucraino per aver condannato il suo atteggiamento nei confronti della Russia

Il ministero degli Esteri israeliano convocherà l'ambasciatore ucraino Yevgeny Kornichuk per esprimere la sua protesta per i commenti da lui espressi in merito alla posizione del Paese ebraico sul conflitto in Ucraina e sui suoi rapporti con la Russia, ha annunciato, ieri, il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen, citato dalla stampa locale.
  Denunciando le dichiarazioni di Kiev, Cohen ha sottolineato che "nonostante la complessità con la Russia, Israele è stato con l'Ucraina dall'inizio della guerra fino ad oggi", sostenendo "pubblicamente" la sua integrità territoriale e la sua sovranità.
  In tal senso, ha sottolineato  che il suo Paese ha inviato aiuti umanitari all'Ucraina "senza precedenti", precisando che il suo valore quest'anno supererà gli 80 milioni di shekel (22 milioni di dollari) dello scorso anno. Ha anche ricordato che un sistema di allerta aerea israeliano è in fase di verifica a Kiev. 
  L'ambasciata ucraina in Israele ha accusato, ieri, il governo del Paese ebraico sul suo account Twitter di aver optato per una "stretta cooperazione" con la Russia, invece di sostenere Kiev fornendole attrezzature militari.
  "Ciò è dimostrato da una serie piuttosto controversa di eventi che hanno avuto luogo nella prima metà del 2023, in coincidenza con la quasi assenza di assistenza umanitaria israeliana all'Ucraina", si legge nella dichiarazione. Tra questi avvenimenti, l'Ambasciata sottolinea “la fallimentare  visita ” del ministro Cohen a Kiev a febbraio, nonché “una serie di interviste” ai media del premier israeliano Benjamin Netanyahu.
  Netanyahu  aveva dichiarato  ai giornalisti questa settimana che alcune delle armi fornite all'Ucraina dall'Occidente  stanno arrivando ai confini del suo paese. Oltre a sottolineare che ci sono preoccupazioni che se Tel Aviv consegnasse sistemi di difesa a Kiev, potrebbero "cadere nelle mani dell'Iran" e successivamente essere usati contro Israele.

• Kiev: "inerzia" e "demagogia verbale" 
  Secondo la legazione ucraina, "tutte le dichiarazioni rilevanti" fatte da Netanyahu erano volte a " giustificare la completa inerzia" di Tel Aviv nel fornire armi a Kiev. "Inizialmente, gli argomenti si sono concentrati sulle relazioni speciali di Israele con la Russia in Siria", ma ultimamente "sono state introdotte ipotesi completamente fittizie e speculative ", ha affermato.
  L'Ambasciata rimprovera al governo israeliano di aver "condotto con successo due tornate di trattative politiche ad alto livello" con la Russia negli ultimi mesi. Si rammarica inoltre di non aver aderito alle sanzioni antirusse imposte dai Paesi "democratici" dell’Occidente, e di aver anzi incrementato gli scambi bilaterali con Mosca.
  Tutti questi fattori mostrano che la "neutralità" di Israele non è altro che "demagogia verbale” per nascondere la "chiara posizione filo-russa" che ha assunto, ha proseguito. Tuttavia, ha esortato il governo israeliano a mettersi dalla "parte giusta della storia" e fornire armi all'Ucraina.

(l'AntiDiplomatico, 26 giugno 2023)

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"Un posto sotto questo cielo" (Longanesi) di Daniele Scalise

di Michelle Zarfati

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Siamo a Bologna, è il 23 giugno 1858 e due guardie pontificie si presentano alla porta della famiglia Mortara. Hanno un mandato della Santa Inquisizione: Momolo e Marianna Mortara dovranno consegnare loro il piccolo Edgardo. Le guardie affermano che anni prima il bambino è stato battezzato dalla domestica, pertanto non è ritenuto ebreo e hanno l’ordine di portarlo via. Così la vita della famiglia Mortara viene completamente spezzata. I genitori non accettano questa situazione inizialmente, chiedono spiegazioni e aiuto. Ma purtroppo non c'è nulla da fare, sono costretti a lasciare andare loro figlio, un bambino di soli sette anni.
  Questa vicenda, che si inserisce nel doloroso capitolo delle conversioni forzate a cui gli ebrei sono stati costretti per secoli, finisce per destare scalpore in un’opinione pubblica che si stava evolvendo verso la società liberale; tuttavia, anche questo nuovo contesto non smuove il papa Pio IX, che resta irremovibile: il piccolo Edgardo appartiene alla Chiesa. Queste sono le vicende, realmente accadute, che ci racconta Daniele Scalise nel suo romanzo "Un posto sotto questo cielo", una narrazione vibrante e toccante di una complessa pagina di Storia.

(Shalom, 26 giugno 2023)
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Il caso Mortara

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Israele dichiara di aver sventato un attacco iraniano contro gli israeliani a Cipro

Il governo israeliano ha confermato domenica che è stato sventato un complotto iraniano per compiere un attacco contro gli israeliani a Cipro.
  L'ufficio del Primo Ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha rilasciato una dichiarazione in cui ha espresso soddisfazione per il fatto che "l'attacco pianificato contro obiettivi israeliani" è stato impedito, aggiungendo che lo Stato ebraico "utilizza un'ampia varietà di metodi in tutto il mondo per proteggere gli ebrei e gli israeliani e continuerà ad agire per minare il terrorismo iraniano ovunque esso emerga".
  Secondo i media ciprioti, un attacco del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche iraniane (IRGC) contro israeliani ed ebrei a Cipro è stato sventato grazie al coordinamento tra le agenzie di sicurezza cipriote, statunitensi e israeliane.

(French.CHINA.ORG.CN, 26 giugno 2023)

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Se Israele scomparisse

La fine dello Stato ebraico sarebbe la fine di tutti i problemi, pensano i suoi detrattori. E gli estremisti di Fatah preferiscono il fucile al ramoscello d’ulivo

La morte risolve tutti i problemi – si narra che abbia detto Stalin – Niente uomini, niente problemi’. Oggi un numero significativo di persone influenti sta applicando questa logica al conflitto israelo-palestinese. La formulazione è tanto semplice, quanto efficace e criminale: “Niente Israele, niente più problemi”. Così si apre l’articolo di Clifford May su Israel Hayom.
  “I governanti iraniani proclamano apertamente le loro intenzioni genocide. ‘Non arretreremo di fronte all’annientamento di Israele, nemmeno di un millimetro’, ha promesso il generale Abolfazl Shekarchi, portavoce delle forze armate del regime. Hezbollah e Jihad Islamica Palestinese, i tirapiedi di Teheran, hanno lo stesso obiettivo, così come Hamas, l’organizzazione terroristica che controlla la striscia Gaza (anch’essa generosamente sostenuta dal regime islamista). Abu Mazen, il presidente dell’Autorità Palestinese che governa in Cisgiordania, è più guardingo. Non invoca direttamente l’uccisione degli ebrei israeliani, ma elargisce ricompense economiche ai terroristi palestinesi che uccidono ebrei israeliani, e vitalizi alle loro famiglie.
  “Fatima Mousa Mohammed, la dottoranda chiamata il mese scorso a tenere il discorso ufficiale alla cerimonia delle lauree in Giurisprudenza della City University di New York, ha coperto Israele di calunnie per poi esortare alla ‘lotta contro il capitalismo, il razzismo, l’imperialismo e il sionismo in tutto il mondo’. Sui social network aveva auspicato che ‘ogni sionista bruci nella fossa più rovente dell’inferno’. Tanto per essere chiari: prima della costituzione di Israele nel 1948, sionista era chi sosteneva il diritto all’autodeterminazione degli ebrei in una parte della loro patria storica. Dopo il 1948, sionista è chi difende il diritto di Israele a continuare a esistere. L’antisionismo è ormai diffuso nei campus americani. La signora Mohammed lo esprime in modo rozzo. Altri usano un linguaggio più erudito. Ad esempio, quattro affermati professori – Michael Barnett, Nathan Brown, Marc Lynch e Shibley Telhami – hanno pubblicato un saggio sul numero di maggio/giugno di Foreign Affairs, la prestigiosa rivista del Council on Foreign Relations. La tesi del saggio è stata ben sintetizzata da Elliott Abrams, senior fellow di Studi mediorientali presso il Council on Foreign Relations di Washington, con queste parole: ‘Mentre Israele compie 75 anni, Foreign Affairs pubblica un appello per eliminarlo’. Per raggiungere questo obiettivo, i quattro professori vorrebbero che gli Stati Uniti esercitassero forti pressioni su Israele affinché concedesse la cittadinanza a tutti gli arabi palestinesi di Gaza e Cisgiordania. In questo modo gli ebrei diventerebbero una minoranza all’interno di Israele, costretti verosimilmente a vivere sotto il dominio di Hamas o dell’Autorità Palestinese. Cosa ne sarebbe di loro a quel punto? La questione non sembra minimamente interessare gli autori del saggio.
  “Circa il 20 per cento dei cittadini israeliani sono arabi. Un recente sondaggio dell’Israel Democracy Institute ha rilevato che il 77 per cento di loro ‘si sente parte di Israele e ne condivide i problemi’. Quella percentuale è andata aumentando negli ultimi anni. Israele ha realizzato la piena eguaglianza per tutte le sue minoranze? No. Ma quale paese l’ha mai realizzata? Gli arabi israeliani godono di più diritti e libertà delle minoranze non arabe e non musulmane (e anche delle maggioranze arabe e musulmane) di ognuno degli oltre 20 stati che si definiscono arabi e degli oltre 50 che si definiscono musulmani. Gli arabi israeliani sono medici, infermieri, avvocati, giudici, agenti di polizia, imprenditori, politici. Alcuni prestano servizio volontario nell’esercito israeliano. Questi dati di fatto dovrebbero bastare per chiarire come mai l’accusa a Israele di essere uno ‘stato di apartheid’ è semplicemente ridicola. Ma bisogna tenere conto di un commento fatto da Mohammed El-Kurd, corrispondente della rivista The Nation nonché una delle 100 persone più influenti al mondo secondo la rivista Time. Durante l’ultima Settimana degli scrittori di Adelaide, ha ammesso che lui definisce Israele ‘apartheid’ non perché ritenga che il termine sia esatto, ma perché gli serve per imprimere ‘uno slittamento culturale nel modo in cui le persone approcciano e parlano della Palestina … Finché è in atto un discorso in cui il cattivo è chiaramente raffigurato, penso che vada bene’.
  “Forse per questo stesso motivo, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite e il Consiglio Onu per i diritti umani condannano Israele più di tutti gli altri paesi messi insieme, mentre i regimi che minacciano gli israeliani di genocidio non vengono né denunciati né sanzionati. Al contrario, la settimana scorsa i membri dell’Onu hanno eletto per acclamazione la Repubblica Islamica d’Iran come vicepresidente della 78esima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, nonché a una posizione di leadership nella Commissione dell’Assemblea generale per il disarmo e la sicurezza internazionale. Gran bella vittoria per un regime che persegue un programma illegale di armi nucleari, esporta terrorismo, semina devastazione nei suoi vicini mediorientali e opprime ferocemente la sua stessa popolazione.
  “Sorgono spontanee alcune domande. Perché gli autoproclamati campioni della ‘causa palestinese’ non fanno alcuna pressione su Hamas e Autorità Palestinese affinché garantiscano più diritti e libertà ai palestinesi di Gaza e Cisgiordania? Perché ignorano il fatto che, se cessassero gli attacchi missilistici e gli attentati terroristi da Gaza e Cisgiordania, cesserebbero anche i contrattacchi da Israele? Perché non criticano mai i capi palestinesi per aver rifiutato le proposte di soluzione a due stati del 1937, 1947, 2000, 2001 e 2008, né ricordano che i capi palestinesi continuano a rifiutare anche solo l’ipotesi che uno stato palestinese (che ovviamente si definirebbe arabo e musulmano) possa coesistere accanto a uno stato che si definisce ebraico, anziché sostituire e cancellare lo stato ebraico? ‘Non vogliamo il ramoscello d’ulivo – ha dichiarato di recente un portavoce dell’ala militare di Fatah, la fazione più importante all’interno dell’Autorità Palestinese – Vogliamo il fucile per combattere il nemico di Allah e nostro nemico’. Pensate che costui poserebbe il fucile se gli israeliani si ritirassero dalla Cisgiordania (presa alla Giordania dopo che la Giordania aveva attaccato Israele nel 1967)? La maggior parte degli israeliani non lo pensa, giacché nel 2005 si sono ritirati dalla striscia di Gaza (presa all’Egitto in quella stessa guerra difensiva) nella speranza di favorire un processo di pace, e conoscono fin troppo bene i risultati disastrosi di quell’esperimento.
  “Nel XX secolo coloro che cercavano di eliminare gli ebrei si definivano antisemiti. Nel XXI secolo coloro che cercano di eliminare lo stato ebraico si definiscono ‘paladini della giustizia sociale’, ricercatori e operatori di pace. Ma sono definizioni che non possono più essere prese sul serio”.

Il Foglio, 26 giugno 2023)

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Israele vola verso il record: ora l'obiettivo è di 25 milioni di arrivi

Prima parte dell’anno all’insegna dello sprint per il turismo in Israele. Il Paese, che vede sempre il mercato italiano nella top five degli arrivi, nei primi 5 mesi dell’anno ha fatto registrare un incremento del 4 per cento sul record assoluto e per la fine dell’anno ora si punta a superare i 25 milioni di visitatori.
  Attualmente, si legge su Travelmole, Israele ha già raggiunto quota 9,2 milioni e per giugno si prevede di aggiungere altri 2,2 milioni, per poi arrivare al picco di luglio e settembre.
  La netta crescita è stata favorita dall’aumento dei voli, con l’apertura, per la prima volta, a Marocco, Emirati Arabi e Bahrain. Inoltre sono arrivati nuovi collegamenti su Turchia, Tokyo, Dublino, Nigeria e Cape Town.

(TTGItalia, 26 giugno 2023)

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Spirale di violenza in Cisgiordania

Attacchi terroristici, raid militari e scontri tra coloni e residenti

di Anna Balestrieri

Quattro israeliani sono stati uccisi e altri quattro sono rimasti feriti nell’attacco di martedì 20 giugno ad Eli, Cisgiordania. I terroristi, identificati come Mohand Shahada e Khaled Sabah, sono entrati in un ristorante di una stazione di servizio e hanno ucciso quattro persone. Uno dei tiratori, Shahada, è stato colpito e ucciso da un civile armato, mentre Sabah è fuggito, ma è stato successivamente localizzato e ucciso dalle forze di sicurezza israeliane.
  Questa sparatoria segue una serie di violenti incidenti in Cisgiordania negli ultimi giorni, tra cui un raid dell’esercito israeliano a Jenin in cui sei palestinesi sono stati uccisi e sette soldati dell’IDF sono rimasti feriti.
  La situazione rimane tesa e si stanno prendendo misure di sicurezza, compreso il rafforzamento delle truppe nell’area. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato che tutte le opzioni sono sul tavolo e Israele continuerà a combattere il terrorismo. L’attacco ha incancrenito la tensione già alle stelle nell’area da qualche mese. Il ministro della Difesa Yoav Gallant terrà una valutazione sullo stato della sicurezza e il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir ha chiesto un’ampia operazione militare e la ripresa degli omicidi mirati in Cisgiordania. Ci sono state anche richieste per l’imposizione della pena di morte a coloro che sono stati condannati per terrorismo contro cittadini israeliani.
  La sparatoria di martedì fa seguito a una serie di violenze in Cisgiordania nelle settimane precedenti.
  Il 13 giugno i militari israeliani alla ricerca del militante palestinese Issam al-Salaj hanno fatto irruzione nel campo profughi di Balata, circondando un condominio di cemento. I militanti palestinesi hanno aperto il fuoco e lanciato ordigni esplosivi e pietre contro le truppe. Un diciannovenne, Fares Hashash, è stato ucciso. L’esercito israeliano ha ferito, secondo la Mezzaluna Rossa palestinese, altri otto palestinesi, uno dei quali in gravi condizioni. Le forze di sicurezza israeliane si sono ritirate dal campo due ore dopo senza effettuare alcun arresto. Celebrazioni spontanee sono scoppiate nel quartiere colpito mentre i militari israeliani battevano in ritirata. Il presunto obiettivo del raid è stato inneggiato e portato in trionfo da una folla di uomini armati che inneggiavano “Allah haAkbar”!
  Nello stesso giorno della sparatoria ad Eli, un ventenne palestinese è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco in scontri con l’esercito israeliano nella città di Husan, vicino a Betlemme.
  Lunedì 20 giugno le forze di difesa israeliane hanno condotto un raid nella città di Jenin, nel nord della Cisgiordania, dove sei palestinesi sono stati uccisi e sette soldati dell’IDF sono rimasti feriti.
  Secondo l’esercito israeliano, le truppe erano entrate a Jenin per arrestare due sospetti, tra cui il figlio di un alto funzionario di Hamas in Cisgiordania, Jamal Abu al-Hija, al momento detenuto in Israele. Dopo che i sospetti sono stati arrestati, una bomba sul ciglio della strada ha preso di mira veicoli militari israeliani, mettendone fuori uso uno e spingendo gli elicotteri dell’esercito ad aprire il fuoco per evacuare le forze israeliane. L’operazione ha evocato negli abitanti di Jenin i ricordi delle incursioni delle forze di difesa israeliane (IDF) durante la seconda intifada. Haaretz ha confermato che il dispiegamento di elicotteri da combattimento di lunedì in Cisgiordania non si era verificato dalla seconda intifada nei primi anni 2000.
  Il raid ha avuto luogo nel quartiere di Algabriyat, dove le truppe israeliane hanno preso il controllo dell’area e hanno appostato cecchini negli edifici. Due palestinesi sono stati arrestati, tra cui un ex prigioniero speciale e il figlio di un leader di Hamas. Anche i giornalisti che coprivano il raid sono stati presi di mira con colpi di arma da fuoco.
  Giovedì 22 giugno un filmato ha immortalato coloni israeliani mascherati vandalizzare una moschea nel villaggio di Urif in Cisgiordania, paese natale dei due terroristi responsabili dell’attacco a fuoco nell’insediamento di Eli. Uno dei coloni, con un cane al guinzaglio, viene ripreso mentre fa a pezzi il Corano strappandone le pagine nelle immediate vicinanze della moschea. I coloni, entrati nel villaggio dall’insediamento di Yitzhar, avrebbero anche appiccato il fuoco a una scuola e tentato di appiccare il fuoco a delle case e ad una moschea.
  Il sindaco di Urif ha affermato che hanno anche sabotato ed interrotto la corrente nel villaggio, causando disagi ai residenti. Ha criticato la revoca dei permessi di ingresso a chi ha lo stesso cognome dei terroristi, considerandola una punizione collettiva, in particolare in un villaggio in cui esistono solo tre grandi famiglie e l’omonimia è la prassi. Un simile incidente ha visto coloni appiccare il fuoco a case e veicoli nel villaggio palestinese di Turmus Aya.
  Nell’evidente contraddizione tra gli sforzi per eliminare il terrorismo e l’espansione degli insediamenti in Cisgiordania, spicca la dichiarazione del deputato Simcha Rothman, che ha paragonato le rappresaglie squadriste dei coloni su cittadini innocenti ed inermi alle azioni dei manifestanti anti-riforma, equiparandone la legittimità in forma di protesta.
  In seguito agli incidenti di Urif e Turmus Ayya, sono scoppiati scontri tra forze di sicurezza e palestinesi e una persona sarebbe stata uccisa a colpi di arma da fuoco. L’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele Tom Nides ha condannato la recente violenza dei coloni e ha affermato che gli Stati Uniti non rimarranno a guardare, esortando Israele e le sue agenzie di sicurezza a prendere le misure necessarie per prevenire tali violenze.
  Anche il ministero degli Esteri turco e il ministro egiziano per la religione hanno condannato la furia dei coloni, in particolare l’attacco al Corano, chiedendo che gli autori siano assicurati alla giustizia.
  Hamas ha elogiato le azioni di Shahada ma non ha rivendicato la responsabilità dell’attacco. Hanno fatto riferimento alla sparatoria come una risposta a quelli che percepiscono come crimini israeliani, compresi i recenti eventi al campo profughi di Jenin e alla moschea di Al-Aqsa.
  È di sabato 24 giugno, la notizia di una retata di dozzine di coloni, con identiche modalità operative, nel villaggio palestinese di Umm Safa, vicino a Ramallah. Secondo i testimoni, l’esercito israeliano avrebbe protetto gli assalitori senza contrastare la loro furia distruttrice. Il portavoce dell’IDF, al contrario, ha condannato esplicitamente le azioni dei coloni come “crimini nazionalisti”, affermando di aver arrestato uno dei partecipanti.

(Bet Magazine Mosaico, 25 giugno 2023)

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L'interesse di Cristo

Dalla Sacra Scrittura

FILIPPESI, cap. 1

  1. Soltanto, comportatevi in modo degno del vangelo di Cristo, affinché, sia che io venga a vedervi sia che io resti lontano, senta dire di voi che state fermi in uno stesso spirito, combattendo insieme con un medesimo animo per la fede del vangelo, 
  2. per nulla spaventati dagli avversari. Questo per loro è una prova evidente di perdizione; ma per voi di salvezza; e ciò da parte di Dio. 
  3. Perché vi è stata concessa la grazia, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in lui, ma anche di soffrire per lui, 
  4. sostenendo voi pure la stessa lotta che mi avete veduto sostenere e nella quale ora sentite dire che io mi trovo.

FILIPPESI, cap. 2

  1. Se dunque v'è qualche incoraggiamento in Cristo, se vi è qualche conforto d'amore, se vi è qualche comunione di Spirito, se vi è qualche tenerezza di affetto e qualche compassione, 
  2. rendete perfetta la mia gioia, avendo un medesimo pensare, un medesimo amore, essendo di un animo solo e di un unico sentimento
  3. Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a se stesso, 
  4. cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri. 
  5. Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, 
  6. il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, 
  7. ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; 
  8. trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. 
  9. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, 
  10. affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, 
  11. e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre.
  12. Così, miei cari, voi che foste sempre ubbidienti, non solo come quando ero presente, ma molto più adesso che sono assente, adoperatevi al compimento della vostra salvezza con timore e tremore; 
  13. infatti è Dio che produce in voi il volere e l'agire, secondo il suo disegno benevolo. 
  14. Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute
  15. perché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale risplendete come astri nel mondo, 
  16. tenendo alta la parola di vita, in modo che nel giorno di Cristo io possa vantarmi di non aver corso invano, né invano faticato. 
  17. Ma se anche vengo offerto in libazione sul sacrificio e sul servizio della vostra fede, ne gioisco e me ne rallegro con tutti voi; 
  18. e nello stesso modo gioitene anche voi e rallegratevene con me.

PREDICAZIONE

Marcello Cicchese
novembre 2006




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"Netanyahu, ai confini trovate armi anti tank occidentali"

Netanyahu: «Ai confini di Israele trovate armi anticarro occidentali»

TEL AVIV - Armi anti tank di fabbricazione occidentale sono state trovate ai "confini di Israele". Lo ha rivelato il premier Benyamin Netanyahu in una intervista al Jerusalem Post nella quale ha motivato le ragioni della politica di Israele nei confronti degli aiuti militari a Kiev. "Temiamo - spiegato - che qualsiasi sistema dato all'Ucraina sia usato contro di noi perché potrebbe cadere nelle mani dell'Iran. E a proposito, questa non è una possibilità teorica. In realtà è successo con le armi anticarro occidentali che ora troviamo ai nostri confini. Quindi dobbiamo stare molto attenti".
  Secondo Netanyahu, Israele "si trova in una situazione particolare, diversa da, per esempio, Polonia, Germania, Francia o qualsiasi altro paese occidentale che sta aiutando l'Ucraina". "Prima di tutto - ha spiegato - abbiamo uno stretto confine militare con la Russia. I nostri piloti stanno volando proprio accanto ai piloti russi nei cieli della Siria. E penso che sia importante mantenere la nostra libertà di azione contro i tentativi dell'Iran di posizionarsi militarmente sul nostro confine settentrionale". Il premier israeliano - dopo aver detto di voler che il conflitto finisca e con esso "l'orribile perdita di vite umane" - ha poi sottolineato che Israele si può trovare "nella posizione di aiutare a porre fine a questo conflitto". "Non sono sicuro che accadrà. Potrebbe essere del tutto ipotetico, ma - ha concluso - potrebbe accadere".

(ANSAmed, 24 giugno 2023)


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Netanyahu: le armi occidentali fornite all’Ucraina sono già “ai confini di Israele”

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha riconosciuto che alcune armi fornite dall’Occidente all’Ucraina sono state trovate lungo le linee di confine del suo paese.
  In un’intervista pubblicata il 22 giugno dal The Jerusalem Post , il leader israeliano ha spiegato alcuni dei motivi per cui Tel Aviv ha rifiutato di sostenere militarmente il governo di Volodimir Zelenski.
  Uno di questi motivi, ha detto, è il timore che le armi occidentali mettano a rischio la sicurezza nazionale di Israele.
  “Siamo preoccupati che qualsiasi sistema che consegniamo all’Ucraina possa essere usato contro di noi, in quanto potrebbe cadere nelle mani dell’Iran ed essere usato contro di noi. E comunque, non è una possibilità teorica. In realtà è successo con i sistemi anti-carro occidentali, armi che ora troviamo nei nostri confini. Quindi dobbiamo stare molto attenti a questo riguardo”, ha detto Netanyahu.
  Secondo il primo ministro, Israele non cambierà la sua posizione neutrale riguardo all’operazione militare di Mosca in Ucraina.
  “Israele si trova in una situazione particolare, diversa dalla Polonia, dalla Germania, dalla Francia o da qualsiasi altro paese occidentale che sta aiutando l’Ucraina. Prima di tutto, abbiamo uno stretto confine militare con la Russia. I nostri piloti stanno volando proprio accanto ai piloti russi nei cieli sopra la Siria. E penso che sia importante mantenere la nostra libertà di azione di fronte ai tentativi dell’Iran di posizionarsi militarmente sul nostro confine settentrionale”, ha affermato.Il giornalista Seymour Hersh afferma che l’Occidente sa che le armi spedite a Kiev finiscono sul mercato nero
  Tuttavia, Netanyahu non ha escluso la possibilità che, a un certo punto, il suo Paese trovi un modo per “aiutare a porre fine a questo conflitto”.
  “Non sono sicuro che accadrà. Potrebbe essere del tutto ipotetico, ma potrebbe accadere”, ha detto.
  “Bisogna essere molto prudenti negli affari internazionali. C’è simpatia, c’è aiuto per la protezione civile. Ma penso che dobbiamo tracciare il limite con attenzione e la gente lo capisce. Devo dire che la maggior parte dei capi di governo dei paesi occidentali, quando glielo spiego, sostanzialmente annuiscono e sono d’accordo”, ha aggiunto.
  Il 16 giugno, l’agenzia di stampa Walla ha riferito che Kiev ha richiesto forniture di sistemi di difesa aerea e antimissile , come l’Iron Dome, da Israele . Tuttavia, queste richieste sono state respinte dalle autorità israeliane a causa dei timori di Tel Aviv che le sue tecnologie segrete potessero cadere nelle mani dell’Iran.

(Controinformazione, 23 giugno 2023)

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Israele: centinaia di drusi protestano contro il governo

"Con il sangue e il fuoco, abbiamo riscattato le alture del Golan", hanno scandito i partecipanti

Centinaia di membri della comunità drusa si sono riuniti questo venerdì sera nel villaggio di Yassif per manifestare contro la politica del governo, dopo che il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir ha ordinato la ripresa dei lavori di infrastruttura per la costruzione di turbine nelle piantagioni agricole vicino agli insediamenti della regione. "Abbiamo riacquistato le alture del Golan con il sangue e il fuoco", hanno cantato i partecipanti in segno di protesta.
  Yasser Ghadban, capo del consiglio di Kisra-Sumei, ha criticato il capo del governo Benjamin Netanyahu nel suo discorso. "Sta mandando Ben Gvir a dichiarare guerra alla comunità drusa, siamo pronti alla guerra", ha detto. "Le decisioni del governo sono razziste e la politica del ministro Ben Gvir è un fallimento", hanno aggiunto i manifestanti. "Non accettiamo istruzioni da nessuno, nemmeno da Ben Gvir. Qualsiasi tentativo di minare il legame dei drusi con il sito riceverà una risposta immediata dalla comunità", ha dichiarato il leader spirituale della comunità drusa, lo sceicco Mwapak Tarif.
  Se non otterremo una risposta alle nostre richieste, la comunità drusa si troverà in una posizione mai raggiunta prima". Tutto questo sotto il dettato della legge che ci permette di manifestare, ovviamente lontano dalla violenza che la nostra religione condanna, ma ogni attacco a uno dei nostri nel Golan è un attacco all'onore della comunità drusa", ha detto.
  Martedì scorso, le forze di polizia sono arrivate per mettere in sicurezza la costruzione di turbine eoliche nel nord delle Alture del Golan. Il loro arrivo ha scatenato una rivolta e scontri durati per ore tra la polizia e gli abitanti drusi, che sostenevano che le turbine eoliche venivano costruite su terreni agricoli. Le violenze diffuse, tra cui munizioni vere, lanci di pietre e bombe molotov, hanno portato a un incontro congiunto tra il Primo Ministro Netanyahu e lo sceicco Tarif.
  L'azienda responsabile dei lavori è stata incaricata di congelarli, ma il ministro Ben Gvir ha disapprovato la decisione e ha ordinato di riprendere i lavori fino alla Festa del Sacrificio. L'azienda Energix ha minacciato di intraprendere un'azione legale contro lo Stato "se il progetto non andrà avanti". Durante una discussione interna, il capo della polizia Shabtai si è detto favorevole a fermare i lavori fino a dopo la Festa del Sacrificio della prossima settimana. Il ministro Ben Gvir, invece, si è opposto e ha affermato che si tratta di "una ricompensa per i lanciatori di pietre e i rivoltosi". "Contrariamente a notizie errate, la polizia israeliana non ha ordinato l'arresto dei lavori di costruzione delle turbine eoliche sulle Alture del Golan, una decisione che può essere presa solo a livello politico", ha dichiarato la polizia.

(i24, 23 giugno 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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“Un governo Cer che esprima la volontà degli elettori”

Intervista ad Antonella Di Castro, candidata presidente di Per Israele

di Ariela Piattelli

Antonella Di Castro
Un governo della Comunità Ebraica di Roma che rispecchi quanto espresso dagli elettori, anche in termini di proporzioni. Così Antonella Di Castro, candidata presidente di Per Israele, che con uno scarto di 51 voti rispetto alla lista Dor va Dor è la seconda lista più votata alle elezioni del 18 giugno, vede la composizione della nuova leadership della Cer.

- Antonella Di Castro, la lista Per Israele avrà nel nuovo Consiglio Cer 10 seggi, come Dor va Dor, mentre Ha Bait ne avrà 7. Come interpreta il risultato elettorale?
  È un risultato molto chiaro. La lista Per Israele ha raggiunto il 36%, dunque 10 seggi, lo stesso numero della lista Dor va Dor. Abbiamo avuto un ampio consenso determinato dalla spinta di rinnovamento proposto agli elettori, espresso sia nei contenuti sia dalle formazione dei candidati (nuove professionalità, giovani e donne) scelte tutte premiate dal voto  con la relativa elezione. Per Israele è la lista che nel nuovo consiglio porterà 5 donne e 3 giovani under 35 a contribuire al futuro della nostra comunità, questo lo consideriamo un risultato eccellente per tutti noi. Una grande fiducia alla nostra lista è stata espressa anche alla consulta, organo fondamentale per la gestione Cer, che di fatto vede Per Israele la lista più votata.

- Victor Fadlun, il candidato presidente della lista Dor Va Dor, che ha ottenuto il maggior numero di voti, auspica ad un governo di larghe intese. Lei è d’accordo con questa visione?
  È doveroso riconoscere a tutti i candidati eletti il diritto di avere un ruolo nel nuovo governo, rispecchiando l’espressione del voto. Ognuno con la sua visione, nel rispetto dei principi di ciascuna lista. Cercheremo condivisione senza abdicare ai valori che appartengono alla nostra comunità perché crediamo che siano proprio questi ad aver garantito la continuità della presenza ebraica a Roma. Dunque consenso a larghe intese con rappresentatività su base proporzionale.

- Come state affrontando la fase della formazione del nuovo governo Cer?
  Il criterio si basa sulla volontà di formare un governo capace di far crescere la Comunità in ogni ambito, non solo di “portarla avanti”. Credo  che il rispetto dei valori sia fondamentale per questa crescita, assieme alla scelta delle competenze che possano affrontare le sfide di oggi. D’altra parte questo ci chiede una buona parte degli elettori, che ha scelto di votare Per Israele: continuità in termini di valori e anche innovazione. Quindi questa è la direzione in cui ci muoviamo, senza dimenticare il ruolo fondamentale del Rabbino Capo e avendo chiaro che la nostra comunità è prima di tutto un ente morale.

- Per Israele, Dor va Dor e Ha Bait hanno visioni differenti su molti temi. State cercando punti d’incontro?
  Vogliamo garantire che il prossimo governo rispecchi l’espressione del voto degli elettori, è importante farlo nelle giuste proporzioni. Certamente la costruzione del nuovo governo deve partire dalla ricerca di un terreno comune su cui lavorare. In ogni caso non possiamo dimenticare che se le competenze sono importanti, queste non rappresentano l’unica visione, ci sono le idee e i principi condivisi con i nostri elettori.

(Shalom, 23 giugno 2023)

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Alpine arriva in Israele

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ROMA - Alpine ha aperto il suo primo showroom in Israele, presso il Freesbe Center a Rishon LetZion nei pressi di Tel Aviv. " Siamo orgogliosi di presentare finalmente Alpine, la mitica Marca sportiva francese, ai clienti israeliani. Sono certo che gli appassionati di auto sportive apprezzeranno questa linea di prodotti originale, ricca di storia e dal comportamento unico su strada come su pista" ha spiegato Roy Schory, Direttore Generale delle Marche Renault e Dacia presso Freesbe.
  Alpine è senza dubbio l'incarnazione delle auto alla francese, fondata su tante vittorie nel mondo delle gare. E' una marca con una forte eredità e un track record incredibile. E' anche uno stabilimento di esperti altamente qualificati che producono l'A110 a Dieppe, in Francia. Alpine è il fiore all'occhiello del Gruppo Renault nel motorsport, che consente di tradurre il know-how e l'eccellenza della Formula 1, dell'Endurance e degli ex team di Renault Sport in modelli adatti non solo per la pista, ma anche per la strada.
  "Siamo contenti di aprire, per la prima volta in Israele, il nostro 144° punto vendita Alpine nel mondo e di proporre al suo interno tutta la gamma A110. E', oltretutto, un Paese promettente per sostenere l'ingresso di Alpine nel settore dei veicoli elettrici e i suoi obiettivi ambiziosi di crescita ed espansione internazionale" ha spiegato Emmanuel Al Nawakil. Direttore Vendite, Reti e Lanci di Alpine.
  Dal 2021 e con il piano strategico Renaulution, Alpine si è affermata come una Marca dedicata alle auto sportive innovative, autentiche ed esclusive. La Marca entra nell'era dei veicoli elettrici con l'arrivo del suo dream garage composto da 3 auto: la city car sportiva A290, il Crossover GT di segmento C e la rivisitazione della mitica A110. Alpine ha, inoltre, ribadito i suoi obiettivi ambiziosi di espansione sui mercati internazionali in nuovi territori facendo leva su una gamma di prodotti ampliata.

(Italpress, 23 giugno 2023)

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Operazione israeliana a Nablus: arrestati quattro palestinesi

Negli scontri due palestinesi sono rimasti feriti e decine hanno accusato sintomi da soffocamento

All’alba di questa mattina, le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno effettuato un’incursione nei quartieri orientali di Nablus, in Cisgiordania, dove hanno arrestato quattro cittadini palestinesi. Lo hanno riferito “fonti della sicurezza” dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) all’agenzia di stampa “Wafa”.
  Due palestinesi sono rimasti feriti e decine hanno accusato sintomi da soffocamento, negli scontri esplosi tra le Idf e gruppi di giovani palestinesi che hanno tentato di impedire loro l’accesso alla città. Ieri sera, invece, un palestinese era stato ferito negli scontri con i militari israeliani, in prossimità dell’accesso principale alla città di Deir Dibwan, a est di Ramallah, che poco prima era stata oggetto di un tentativo di attacco da parte di “coloni”.
  Secondo quanto riferito dal corrispondente di “Wafa”, gruppi di giovani palestinesi hanno impedito loro di entrare in città. Nella stessa serata di ieri, secondo l’agenzia di stampa “Maan”, un palestinese è stato ferito alla testa da proiettili di gomma, mentre altri tre sono stati colpiti da pietre, durante gli scontri con un gruppo di “coloni israeliani”, nel villaggio di Jalloud, a sud di Nablus. Poco prima, infatti, “decine di coloni, sotto la protezione delle Idf, avevano assaltato le abitazioni alla periferia del villaggio”. Episodi simili, inoltre, sono avvenuti in altri villaggi della Cisgiordania, dove, secondo “Wafa”, gli attacchi sono compiuti da “estremisti israeliani”.
  Come riferito dal quotidiano israeliano “The Times of Israel”, il portavoce delle Idf, Daniel Hagari, ha dichiarato ieri che i militari israeliani “non sono riusciti a impedire” simili attacchi, definiti “molto gravi”. Hagari, dunque, ha criticato tali episodi che “creano terrore e tensioni e trascinano la popolazione nella paura e la spingono verso l’estremismo, impedendo alle Idf di combattere il terrorismo con le loro operazioni ordinarie”.

(Nova News, 23 giugno 2023)

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Nelle carte desecretata la verità su Ustica: «Fu una bomba nel bagno»

Da circa sei mesi i documenti sul disastro sono consultabili. Chi li ha letti, come Giovanardi, è sicuro: tutto porta alla pista della vendetta palestinese.

di Francesco Borgonovo

QUANDO E DOVE

Il disastro è avvenuto alle 20.59 del 27 giugno 1980 nel Mar Tirreno meridionale, tra le isole italiane di Ponza e Ustica.
LE VITTIME

Morirono 77 passeggeri e 4 membri dell'equipaggio, per un totale di 81 persone.

LE IPOTESI

In molti hanno sostenuto che il Dc9 si sia trovato sulla linea di fuoco durante un combattimento aereo.

I FATTI

I periti chiariscono: è stata una bomba piazzata nella toilette del velivolo


«Come mai tutti hanno fatto film, libri e serie tv su Ustica e fino a sei mesi fa nessuno ha mai visto una carta relativa al caso?» Carlo Giovanardi è ancora più determinato del solito. Fra pochi giorni, il 27 giugno, ricorre l'anniversario della strage di Ustica a cui l'inossidabile democristiano modenese dedica da tempo molte fatiche. Ma quest'anno c'è una novità: per la prima volta alle commemorazioni parteciperà ufficialmente l'Associazione per le verità sul disastro aereo di Ustica presieduta da Giuliana Cavazza (figlia di una vittima) e Flavia Bartolucci. Il loro gruppo è stato riconosciuto dal governo Draghi, che a quanto pare ha fatto anche qualcosa di buono, anzi di molto buono. Perché, sei mesi fa circa, ha tolto finalmente ogni forma di segreto sui documenti relativi a uno dei più grandi misteri italiani.
   O, meglio, su un caso che - sostiene Giovanardi - non è più così tanto misterioso. «Dal punto di vista tecnico», dice, «non c'è alcun dubbio. Quanto accaduto è indiscutibile: una bomba è esplosa nella toilette di bordo dell'aereo, ci sono 1.400 pagine di perizia che lo dimostrano. Il problema, semmai, è sapere chi ha messo la bomba. Quindi chi ha fatto libri, sceneggiati eccetera li ha fatti senza sapere nulla. I giornalisti italiani per 40 anni hanno parlato di qualcosa che era segreto e di cui dunque non potevano sapere niente. La verità è che 11 fra i maggiori periti del mondo hanno stabilito - con una certezza del 100% - che l'aereo è stato abbattuto da un'esplosione nella toilette».
   Queste dichiarazioni Giovanardi le ha ripetute nei giorni scorsi in qualche intervista, suscitando le ire dell'Associazione parenti delle vittime della strage di Ustica guidata da Daria Bonfietti, che da sempre sostiene posizioni molto diverse. «Bisognerà pur dire una volta per tutte a Giovanardi e ai sostenitori della bomba come causa dell'abbattimento del Dc9 Itavia nei cieli di Ustica che è la magistratura il riferimento per le sue tesi e per le prove. E’ la magistratura che deve essere convinta, che deve accettare le ricostruzioni», ha detto la Bonfietti un paio di giorni fa. A darle man forte ci ha pensato il deputato Pd Andrea De Maria, secondo cui quelle di Giovanardi sarebbero «tesi infondate». Per Daniele Osnato, avvocato che rappresenta un gruppo di familiari delle vittime della strage, Giovanardi racconterebbe «fandonie». L'ex esponente dell'Ude, tuttavia, prosegue granitico. «Fino a otto anni fa, su quei documenti relativi a Ustica era posto il segreto di Stato, dunque non li potevano vedere nemmeno i magistrati. Poi, tolto il segreto, sono stati classificati segreti e segretissimi, quindi vi poteva accedere solo chi, come me, ha fatto parte della commissione d'inchiesta sul caso Moro. In quanto parlamentare, io quelle carte ho potuto vederle e prendere nota. Tre anni fa venni chiamato a Roma dal governo Conte. Mi hanno fatto incontrare il capo dei servizi e il capo di gabinetto di Conte, che minacciò di avviare un procedimento penale nei miei confronti se avessi resi noto il contenuto delle carte. Poi scrissero alla signora Cavazza che per questioni di interesse nazionale nemmeno i parenti delle vittime potevano rendere pubblici i documenti».
Il relitto del Dc9 Itavia affondato nel Tirreno il 27 giugno 1980'

Proprio ieri Giuliana Cavazza e Flavia Bartolucci sono tornate sull'argomento, rispondendo alle accuse di Daria Bonfietti e degli esponenti Pd. «Dovremmo condividere l'obbiettivo della verità per Ustica e non esiste un monopolio del dolore», hanno scritto. «Vogliamo rassicurare la presidente Bonfietti di aver segnalato l'importanza delle carte ai magistrati inquirenti, con in quali siamo naturalmente in contatto, nella speranza di aiutarli a individuare i responsabili materiali e i mandanti della strage». Ebbene, anche secondo Cavazza e Bartolucci le carte recentemente desecretate sono fondamentali per comprendere che cosa sia davvero successo a Ustica.
   «Dal punto di vista tecnico», precisa Giovanardi, «questi documenti non dicono nulla che già non si sapesse, perché la commissione di indagine nel processo penale aveva già appurato la verità. La Bonfietti e Osnato continuano a parlare dell'ordinanza del giudice Priore con cui si è dato il via, a suo tempo, al procedimento penale». Solo che - come rimarcano Cavazza e Bartolucci «l'ordinanza di rinvio a giudizio del giudice istruttore delle carte Priore è stata smentita in ogni grado di giudizio, fino alla Cassazione. Non è pertanto possibile pretendere di adottarla per minimizzare l'importanza delle carte recentemente desecretate». Giovanardi, dal canto suo, rincara la dose: «Quell'ordinanza di Priore ha lo stesso valore dell'atto con cui fu rinviato a giudizio Enzo Tortora: nessuno. Nella sentenza penale su Ustica l'ipotesi che l'aereo sia stato abbattuto dopo una battaglia aerea è presentata come roba di fantascienza. Bonfieschi e gli altri continuano a richiamare non la sentenza definitiva che ha assolto i generali italiani, ma l'atto di inizio del processo. Quanto al processo civile, non si è mai interessato delle cause dell'abbattimento. Anche in virtù di alcuni errori commessi durante il procedimento, ha preso per buona una tesi ma senza svolgere alcun approfondimento».
   Ma che cosa c'è nelle carte desecretate di così importante? Beh, tra le altre cose c'è il carteggio tra il governo italiano dell'epoca e la nostra ambasciata a Beirut. In particolare ci sono le comunicazioni del capo centro del Sismi, il colonnello Giovannone, che tirano in ballo il noto caso dei missili di Ortona. Nella notte tra il 7 e l’8 novembre 1979 nella città abruzzese furono fermati alcuni militanti di Autonomia operaia che trasportavano due missili terra-aria spalleggiabili. A seguito di quella vicenda fini in carcere anche Abu Anzeh Saleh, cittadino giordano e referente italiano del Fronte popolare di liberazione della Palestina. Ebbene, stando alle comunicazioni del colonnello Giovannone, i palestinesi avevano più volte minacciato ritorsioni nel caso in cui Saleh non fosse stato liberato. Dal loro punto di vista erano nel giusto. In seguito a quello che fu denominato «lodo Moro», l'Italia aveva concesso ai palestinesi libertà di movimento sul territorio nazionale, in cambio di protezione dagli attentati.
   «Volevano che Saleh fosse liberato, altrimenti ci avrebbero colpito», ricostruisce Giovanardi, spiegando che nel dossier Ustica le segnalazioni in questo senso sono numerose. Giovannone inviò dispacci sempre più allarmati. «Il 12 maggio 1980», dice Giovanardi, «si fa presente che il 18 sarebbe scaduto l'ultimatum per la risposta da parte delle autorità italiane alla richiesta del Fronte di scarcerare Saleh. In caso di risposta negativa la maggioranza della dirigenza e la base del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina dichiarava che avrebbero ripreso, dopo sette anni, la propria libertà d'azione nei confronti dell'Italia e dei suoi interessi, con operazioni che avrebbero potuto anche colpire innocenti». Questo, in buona sostanza, sarebbe il segreto di Ustica. L'Italia, rifiutando di liberare Saleh, avrebbe contravvenuto agli accordi presi con i palestinesi - il cosiddetto lodo Moro» - suscitando una risposta violenta: l'attentato al Dc9. Questa ricostruzione toglie di mezzo le ipotesi sugli interventi americani e francesi, e soprattutto leverebbe responsabilità ai militari italiani che nel corso degli anni sono stati coinvolti nella vicenda. Qualcuno potrebbe dire: ma se era tutto scritto lì, perché mantenere il segreto per anni? La risposta potrebbe essere fin troppo semplice: ammettere l'esistenza di accordi con i palestinesi significherebbe ammettere di aver concesso a gruppi combattenti di agire liberamente per attaccare Israele, che è nostro alleato (almeno in teoria). Meglio creare l'ennesimo mistero che rivelare verità non troppo onorevoli.

(La Verità, 23 giugno 2023)

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Fotografia delle manifestazioni contro la riforma giudiziaria in Israele vince il primo premio al Drone Photo Aawards

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Il fotografo israeliano Or Adar ha vinto il premio Photographer of the Year nella competizione internazionale Drone Photo Awards per la sua immagine aerea chiamata Must Resist, che cattura migliaia di manifestanti per le strade di Tel Aviv contro la riforma giudiziaria voluta dal governo Nethanyahu. Lo riporta il sito di Haaretz.
  I Drone Awards sono un concorso internazionale di fotografia aerea e video che si tiene ogni anno con il preciso scopo di mettere in mostra il lavoro fotografico separato dalla fotografia tradizionale. È un progetto di Siena Awards dedicato a un genere fotografico diverso rispetto alla fotografia tradizionale. Il premio fotografico è aperto ai video ed alle immagini aeree riprese da droni, velivoli ad ala fissa, elicotteri, veicoli aerei senza pilota, mongolfiere, dirigibili, aquiloni e paracadute.
  Per vincere il titolo, l’immagine di Adar ha ricevuto il punteggio più alto da una giuria, tra le candidature a nove diverse categorie. La fotografia di Adar, insieme ai vincitori della categoria, sarà esposta a Siena per tutto il mese di novembre.
  La fotografia cattura solo una delle 24 settimane di proteste contro il piano del governo israeliano di revisione del sistema giudiziario del paese, che propone di trasferire maggiori poteri al governo e allontanare la Corte Suprema sia nelle decisioni legislative che nelle nomine giudiziarie.

(Bet Magazine Mosaico, 23 giugno 2023)

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Israele all’attacco per il Tour, ma non c’e’ posto per Froome

di Francesca Monzone

D’accordo, i problemi fisici e una prestazione che non è mai tornata su livelli accettabili, ma l’esclusione di un quattro volte vincitore dalla formazione del Tour de France fa sempre scalpore: Là Israele – Premier Tech Chris Froom per la Grande Boucle 2023. L’anno scorso il britannico era stato costretto al ritiro alla 18a tappa causa covid e l’anno precedente, al rientro dopo il terribile incidente del 2019, aveva chiuso al 133° posto.
  La formazione israeliana ha infatti deciso di schierarsi al via del Tour de France con una squadra poliedrica che andrà ancora una volta alla ricerca delle vittorie di tappa.
  «Ci presenteremo con una squadra pronta a correre in maniera aggressiva e con l’obiettivo principale di puntare alla vittoria di tappa – ha detto il direttore sportivo Rik Verbrugghe -: sappiamo tutti quanto sia difficile vincere una tappa al Tour, ma credo che ognuno dei nostri otto corridori ha quello che serve per raggiungere l’impresa. Mi piacerebbe vedere la squadra correre con lo stesso atteggiamento ed entusiasmo che abbiamo avuto all’ultimo Giro d’Italia. Se ci riusciremo, penso che faremo una grande gara».
   Michael Woods e Dylan Teuns saranno i protagonisti delle tappe di montagna, mentre i vincitori di tappa dell’anno scorso . Simon Clarke e Hugo Houle avranno il compito di fare la differenza nelle tappe percorse insieme. Corbin Forte farà il suo debutto al Tour e potrà contare sul supporto di Guillaume Bovino per arrivi rapidi.
  Dopo la sua vittoria a La Route d’Occitanie la scorsa settimana, lo stesso Michael Woods è ansioso di correre e si dice fiducioso di poter fare bene subito alla Grand Depart nei Paesi Baschi.
  La formazione completa di Israel Premier Tech è composta da: Guillaume Boivin (CAN), Simon Clarke (AUS), Hugo Houle (CAN), Krists Neilands (LAT), Nick Schultz (AUS), Corbin Strong (NZL), Dylan Teuns (BEL) , Michael Woods (CAN).

(ITALY 24, 23 giugno 2023)

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Israele non ha bisogno di operazioni di vasta portata in Cisgiordania, ma di una migliore intelligence

di Yossi Yehoshua

L’orribile attacco terroristico avvenuto martedì nell’insediamento di Eli non dovrebbe sorprendere il Primo Ministro Benjamin Netanyahu o il Ministro della Difesa Yoav Gallant.
  È passato un po’ di tempo da quando l’IDF ha presentato la sua valutazione secondo cui due aree sono particolarmente volatili in Israele nel 2023: il fronte settentrionale a causa dell’Iran e di Hezbollah, e la Cisgiordania a causa del terrorismo palestinese.
  Mentre la questione iraniana è stata ampiamente affrontata, l’attacco di martedì richiede un focus sulla Cisgiordania per far luce sulle complessità dell’area. L’attacco di Eli è stato il più grave dall’inizio dell’anno nelle aree della Cisgiordania.
  Da gennaio 2023, il numero di vittime di attacchi terroristici è di 28 israeliani, rispetto ai 20 dello stesso periodo dell’anno scorso. Anche il numero di allarmi terroristici è più alto rispetto all’anno scorso, anche se non così alto come durante la seconda Intifada.
  Tuttavia, è chiaro che i terroristi della regione operano con maggiore sicurezza e notevole audacia.
  Ciò è stato evidente nell’operazione contro le forze dell’IDF a Jenin (in cui sono stati uccisi sei militanti palestinesi) e nella risposta di Hamas all’attacco a Eli, che è stato pre-pianificato e organizzato, portato a termine spontaneamente da pochi individui, come il gruppo terroristico palestinese Lion’s Den.
  Questi sviluppi impongono a Israele di rivedere la sua politica, in particolare nei confronti di Hamas a Gaza. Yahya Sinwar e Mohammed Deif alimentano il terrore in Cisgiordania mentre a Gaza godono della calma e di una serie di concessioni israeliane senza precedenti.
  È nell’interesse di Israele migliorare la situazione economica della Striscia di Gaza, assumere più lavoratori e creare un meccanismo di pressione interna per dissuadere Hamas dall’iniziare un altro ciclo di combattimenti.
  Nel frattempo, però, l’organizzazione terroristica si preoccupa di incoraggiare gli attacchi nei territori palestinesi, godendo della pace, e si aspetta un’azione israeliana che indebolisca l’Autorità palestinese.
  Questa valutazione è stata presentata ad alti funzionari israeliani, ma anche l’esercito, lo Shin Bet e le forze di sicurezza sono responsabili delle operazioni a Gaza.
  La seconda questione che si pone, soprattutto nei media e tra alcuni ministri di destra, è quella di una vasta operazione nel nord della Cisgiordania. Va detto che anche il Comando centrale dell’IDF ritiene che tale operazione debba essere limitata e di breve durata in un’area specifica e definita.
  Se la gente conta su un’altra operazione sul tipo di Defensive Shield, dovrebbe dimenticarsene. Allo stesso modo, l’IDF e lo Shin Bet sono convinti che i terroristi si trovino nei campi profughi di Nablus e Jenin, mentre altri tre milioni di palestinesi non sono interessati alla guerra ma a migliorare la loro situazione sociale ed economica.
  Per questi motivi, in questa fase, i funzionari della sicurezza sono d’accordo con Netanyahu e Gallant, che non sono interessati a un’operazione. A ciò si aggiungono le pressioni americane per evitare un’escalation simile, dato che anche la lotta contro l’accordo nucleare iraniano sta prendendo piede.
  Pertanto, lo sforzo principale è attualmente concentrato sul tentativo di trovare una soluzione intermedia che permetta al governo di raffreddare la situazione di instabilità. Tale soluzione potrebbe però non essere sufficiente, vista la volatilità e l’aggressività degli attivisti della destra politica.
  Dopo l’uccisione mirata, mercoledì, di un commando di terroristi che aveva sferrato un attacco al valico di frontiera di Jalame ed era responsabile di altri attentati, cosa possiamo aspettarci d’ora in poi? Non ci sarà un’operazione. Le forze saranno rafforzate e ci saranno più arresti. Perché ciò avvenga, è necessaria una migliore intelligence, a partire da oggi, che avrebbe potuto prevenire l’attacco e l’esplosione che ha coinvolto le forze dell’IDF a Jenin.
  Infine, tutto torna a ciò che i militari continuano a ripetere: la leadership politica non può chiudere gli occhi di fronte alla disintegrazione dell’Autorità Palestinese, che è più debole che mai. La cattiva notizia è che la fine del regno di Mansour Abbas si sta avvicinando e Israele deve prepararsi.

(Rights Reporter, 22 giugno 2023)

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Parashà di Kòrach: la prova del ketòret

di Donato Grosser

Nel trattato Sanhedrin (110a) è raccontato che Yosef nascose tre tesori in Egitto: uno fu scoperto da Kòrach, che diventò immensamente ricco; il secondo fu scoperto dall’imperatore Antonino e il terzo è ancora lì e verrà scoperto nel futuro. 
            R. Mordekhai Hakohen (Safed, 1523-1598, Aleppo) in Siftè Kohèn esamina come avvenne che Kòrach scoprì questo tesoro. A tale scopo egli cita il versetto dove  il Santo Benedetto disse a Moshè: “Comunica al popolo che ogni uomo chieda al proprio compagno e ogni donna alla propria compagna  oggetti d’argento e oggetti d’oro” (Shemòt, 11:2). Questo ordine si riferiva solo alle tribù d’Israele che erano state asservite in Egitto; quello che avrebbero ricevuto sarebbe stato un pagamento per il lavoro di tanti anni.  I leviti erano esclusi da questa ricompensa perché la loro tribù non era stata soggetta alla schiavitù. Nell’inaugurazione del Mishkàn i leviti non offrirono vassoi e altri oggetti d’argento come le altre tribù perché erano poveri. Oltre a non avere chiesto nulla agli egiziani prima dell’uscita dall’Egitto, i leviti non approfittarono neppure del bottino trovato al Mar Rosso quando l’esercito egiziano affondò nel mare lasciando galleggiare a riva una quantità di oggetti di valore.
            Kòrach, anche lui della tribù di Levi, dopo aver visto cosa avevano preso gli israeliti delle altre tribù, divenne invidioso e fece di tutto per arricchirsi. Fu così che il Santo Benedetto gli fece scoprire il tesoro di Yosef perché come insegnarono i maestri, “nella strada che una persona vuole percorrere lo fanno andare” (T.B., Makkòt, 10a).   
            Fu così che Kòrach, con la sua reputazione di uomo ricco fu capace di convincere un gran numero di notabili delle tribù a seguirlo nella ribellione contro Moshè ed Aharon.  La ribellione di Kòrach era basata sulla sua idea che nel popolo d’Israele sono tutti uguali: “Si adunarono contro Moshè e contro Aharon e dissero loro: Basta! tutta la comunità sono tutti kedoshìm, e l’Eterno è in mezzo a loro; perché vi elevate sopra la congrega dell’Eterno?’ (Bemidbàr, 16:3). Secondo i rivoltosi tutti avevano diritto ad aspirare ad essere Kohen Gadol.
            R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993) in Mesoras Harav (p. 130) commenta che nessuno poteva negare la prima asserzione di Kòrach che tutta la comunità fosse composta da kedoshìm. Errò però quando disse che tutti erano uguali e quindi la leadership di  Moshè e di Aharon non aveva giustificazioni. R. Soloveitchik aggiunge che in Israele non vi è solo la kedushà che deriva dall’essere parte del popolo. Vi è anche una kedushà individuale. A tale scopo cita un’affermazione dei maestri nel trattato Berakhòt(58a) che dicono: “Come gli individui sono fisicamente differenti, così le loro idee sono differenti”. E così pure, aggiunge r. Soloveitchik, ognuno di essi ha un diverso livello di kedushà.  Non tutti sono uguali. [I kohanìmhanno più kedushà dei leviti e i leviti, più degli israeliti].
            La risposta di Moshè fu la seguente: “Fate questo: prendete degli incensieri, tu, Kòrach, e tutta la gente che è con te;  e domani mettetevi del fuoco, e ponetevi su del ketòret (profumo) dinanzi all’Eterno; e colui che l’Eterno avrà scelto sarà kadòsh. Basta, figliuoli di Levi!’ (Bemidbar, 16: 6-7).
            Qual era lo scopo di usare il ketòret per fare capire che non tutti erano uguali? Lo spiega  r. Daniel Terni (Ancona, 1740-1814, Firenze)  nella sua opera Shem ‘Olàm. Il  ketòret era composto da undici spezie. Vi era anche la chelbenà (galbanum) il cui odore era spiacevole. Da qui i maestri insegnarono che come il galbano, anche se spiacevole, fa parte del ketòret, nelle nostre tefillòt e nei digiuni pubblici bisogna aggregare anche i peccatori. Kòrach sosteneva invece che tutti i membri della comunità erano kedoshìm.  Moshè sapeva che si viene puniti se si fa il ketòret senza tutte le spezie. Per questo disse loro di offrire il ketòret. Se avessero messo il galbano avrebbero ammesso che non tutti sono kedoshìm e che vi sono diversi livelli di kedushà in Israele e che quindi Aharon meritava di essere Kohen Gadol. Se non avessero messo il galbano nel ketòret,insistendo che tutti sono ugualmente kedoshìm, avrebbero commesso un peccato e sarebbero morti. E così fu: “Un fuoco uscì dall’Eterno e divorò i duecentocinquanta uomini che avevano offerto il ketòret”(ibid., 16:35). 

(Bet Magazine Mosaico, 23 giugno 2023)
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Parashà della settimana: Corach (Core)

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Jenin, roccaforte del terrore iraniano vicino ad Afula

Ispirata da Hezbollah in Libano e a Gaza, si sta formando una roccaforte del terrore nel nord della Samaria.

di Aviel Schneider

GERUSALEMME - Quello che è accaduto l'altro ieri nella città palestinese di Jenin non è solo un altro sanguinoso conflitto tra le forze armate israeliane e i terroristi palestinesi. Il campo profughi di Jenin è diventato un avamposto dell'asse iraniano dietro la linea nemica, cioè dentro Israele. Come tale, Israele deve combattere questa base del terrore nel cuore del Paese. E si trova a soli dieci chilometri a sud di Afula, sul Monte Tabor.
  "Tutte le opzioni sono aperte", ha dichiarato ieri il capo del governo israeliano Benjamin Netanyahu dopo il sanguinoso attacco terroristico vicino all'insediamento ebraico di Eli in Samaria. Non ha detto cosa intendesse esattamente, ma tutti sanno che le forze di sicurezza israeliane nel nord della Samaria dovranno intervenire con nuove tattiche.
  È in programma una grande operazione a Jenin e Nablus. 28 israeliani sono stati uccisi da terroristi palestinesi in un centinaio di attacchi terroristici dall'inizio dell'anno. 300 attentati pianificati sono stati sventati, secondo fonti di sicurezza israeliane, e il servizio di sicurezza israeliano, lo Shin Bet, avverte di 180 possibili attacchi terroristici. Anche se l'esercito israeliano lancia un'operazione contro le basi terroristiche iraniane a Jenin, il numero di singoli attacchi terroristici e di incursioni come quella di ieri nel cuore biblico della Giudea e della Samaria aumenterà. Per certi versi, l'Autorità palestinese di Ramallah potrebbe calmare gli animi da parte palestinese, ma la coalizione nazional-religiosa di Israele a Gerusalemme non collabora con Ramallah.
  La realtà della Samaria settentrionale sta cambiando sotto i nostri occhi. Se in passato l'ingresso delle forze di sicurezza israeliane a Jenin veniva accolto con poco fuoco e resistenza, oggi le forze israeliane devono affrontare grandi ordigni esplosivi improvvisati e altre imboscate. La resistenza palestinese e le sue capacità tattiche contro i soldati israeliani a Jenin sono aumentate drasticamente. Diversi mesi fa abbiamo avvertito sul nostro canale Telegram che le tattiche di Israele devono adattarsi alla scena di TikTok. Ogni giorno siamo inondati di video e filmati TikTok di come e dove i soldati israeliani si muovono nei villaggi o nelle città palestinesi, con le jeep o a piedi.

(israel heute, 22 giugno 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Estate da record per l’aeroporto Ben Gurion

Oltre 5,5 milioni di passeggeri transiteranno nell’aeroporto Ben Gurion nei mesi di luglio e agosto. È quanto emerge dai dati diffusi dal ministero israeliano dei Trasporti. A luglio sono attesi 2,7 milioni di passeggeri su voli internazionali, con un incremento del 4% rispetto al 2019, mentre nel mese di agosto il numero previsto è di 2,8 milioni.
  L’Autorità Aeroportuale Israeliana ha in programma un incremento del personale e il potenziamento di tutte le procedure: dai controlli di sicurezza all’imbarco sull’aereo, all’inserimento di addetti dedicati allo smistamento bagagli e alla gestione di eventuali malfunzionamenti. Lo riporta il JNS.
  Nelle sale d’attesa sarà attivata anche una “sorveglianza per le famiglie”. I funzionari aeroportuali agevoleranno i controlli di sicurezza: le famiglie con bambini avranno la possibilità di mandare una sola persona ai banchi check-in, mentre gli altri familiari potranno attendere in una sala del terminal.
  I passeggeri con solo bagaglio a mano, che si sono pre-registrati al volo (check-in online) con compagnie che lo consentono, avranno un percorso rapido.
  Per ridurre le code ai banchi check-in e per la spedizione del bagaglio sono state installate postazioni self-service innovative, che consentono al passeggero di etichettare autonomamente il proprio bagaglio da stiva e spedirlo rapidamente in aereo senza alcuna attesa.

(Shalom, 22 giugno 2023)

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Ritorno a Selvino: cronaca di una tre giorni all’insegna della memoria v

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L’11 maggio a Los Angeles, il Simon Wiesenthal Center, organizzazione ebraica internazionale per i diritti umani, ha conferito una Medaglia al Valore alla storia dei “Bambini di Selvino”, i più di 800 giovani ebrei, orfani, scampati alla Shoah, che ritornarono alla vita nella ex colonia fascista di Sciesopoli, edificio costruito negli anni ’30 proprio a Selvino.
  A ricevere la medaglia Yoav Amitai, Ilana e Ben Sarner, nipoti di Moshe Zeiri, il soldato della Brigata Ebraica che divenne direttore a Sciesopoli; Ben Sarner ha dichiarato che il premio “…riconosce il grande lavoro di suo nonno che, nei tre anni successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale, salvò, riabilitò e restituì l’umanità a oltre 800 bambini, orfani che avevano visto le loro famiglie decimate durante le atrocità della Shoah…”
  Pochi giorni prima la madre di Ben, Nitza Sarner Zeiri, era a Selvino insieme ad altri 4 “Bambini” per ricordare i 75 anni dalla partenza degli ultimi orfani e dei loro istruttori da Sciesopoli Ebraica.
  Infatti dal 5 al 9 maggio si sono susseguiti nel paese in provincia di Bergamo (ma non solo lì), per i circa 70 ospiti provenienti da Israele, U.S.A, Canada e nazioni europee, incontri, eventi, conferenze, concerti, proiezioni per celebrare appunto questo anniversario.
  Dopo la prima visita a Sciesopoli (però dall’esterno, a cancello chiuso) e la Kabbalat Shabbat di venerdì, c’è stata sabato la visita alla Città Alta di Bergamo durante la quale è avvenuto l’emozionante incontro con il dottor Fabio Pezzoli, Direttore sanitario dell’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo, che ha voluto ringraziare l’associazione “Children of Selvino” per la donazione, fatta durante il periodo dell’emergenza Covid, di più di 8 mila euro all’ospedale, testimonianza del forte ed indissolubile legame con questa parte della Lombardia.
  Domenica 7 è stata la giornata più importante di questo incontro; ad inizio mattina era prevista la visita al Mu.Me.SE. il Museo Memoriale di Sciesopoli Ebraica, inaugurato, all’interno dell’edificio del Comune, nell’autunno 2019 e che pochissimi degli ospiti avevano già avuto modo di vedere; ma nella piazza c’è stata prima una sorpresa: i bambini delle scuole di Selvino hanno atteso Nitza Zeiri e gli altri 4 “Bambini” (Moshe Aran, Israel Droblas, Zvi Pelts Dotan e Michael Weisbach) per regalare le loro canzoni ed alcuni piccoli doni; è stato un momento molto commovente, sorrisi e lacrime si sono alternati sui volti di molte persone.
  La visita al museo, introdotta dall’architetto Andrea Costa che l’ha progettato inseme alla collega Giovanna Latis, sembrava non terminare mai; tutti hanno voluto vedere le foto e leggere le didascalie e soprattutto i nomi incisi nelle sei steli di legno presenti al centro della sala del museo, sono i nomi di più di 600 tra bambini ed istruttori presenti a Sciesopoli in quegli anni.
  Subito dopo, nella Sala Consiliare, il sindaco Diego Bertocchi e la consigliera comunale delegata a Sciesopoli Virginia Magoni, hanno consegnato ai 5 “Bambini” presenti la cittadinanza onoraria di Selvino che era stata deliberata nel gennaio 2021, mentre un’ultima pergamena incorniciata è stata consegnata a Miriam Bisk, presidente dell’associazione Children of Selvino. Quindi è stata donata al museo la bandiera del movimento giovanile di Gordonia che sventolava sul pennone di Sciesopoli. Un altro prezioso e significativo dono fatto al Museo: la traduzione in italiano delle lettere scritte da Moshe Zeiri alla moglie Yehudit dal 1943 al 1946, un’anteprima assoluta di un volume ancora inedito; un’opera realizzata dall’associazione con la collaborazione dell’archivista Bernardino Pasinelli e la traduzione di Chiara Camarda.
  La giornata non poteva avere un epilogo migliore, nel pomeriggio, con il ritorno a Sciesopoli: ancora una volta si sono aperti i cancelli della colonia e ad attendere gli ospiti musica e danze con il Corpo Bandistico Musicale La Montanara di Selvino ed i ragazzi dell’Hashomer Hatzair di Milano.
  Lunedì c’è stata invece l’interessante visita al Museo della Stampa di Soncino, dove venne stampata nel 1488 la prima Bibbia Ebraica completa; qui, con l’aiuto del direttore del museo Beppe Cavalli e dell’artista israeliana Yael Sonino Levi, sono state realizzate, grazie ad una lastra d’incisione appositamente preparata, alcune stampe raffiguranti la facciata di Sciesopoli.
  Martedì sera era prevista la partenza della maggioranza degli ospiti per Israele ma prima di raggiungere Malpensa c’è stato il tempo per 2 momenti intensi ed emozionanti: al mattino la posa, nel Parco del Castello di Selvino (a poche centinaia di metri da Sciesopoli) di sei alberi, sei carpini, per ricordare la visita dei 5 “Bambini” ed Anna Sternfeld Pavia, membro della Comunità Ebraica di Milano, grande amica di tutti i “Bambini di Selvino”, recentemente scomparsa; nel pomeriggio la visita al Memoriale della Shoah di Milano.
  Da ricordare infine, durante questi giorni, i momenti musicali regalati dalla appassionante voce di Delilah Gutman e dai suoi musicisti; la stimolante conferenza di Federica Di Padova sui campi profughi italiani per Jewish Displaced Persons; i racconti avvincenti di Orli Bach, la nipote di Yehuda Arazi, responsabile dell’Aliyah Bet in Italia dal 1945 al 1948; ed infine la commovente proiezione della rappresentazione teatrale “Una stella dall’Italia verso Israele” (alla presenza della regista Patrizia Sacchelli) che racconta la storia di Eugenia Cohen che a Pandino fu salvata dalla deportazione e che poi divenne una istruttrice a Sciesopoli, dove si sposò con il soldato della Brigata Ebraica Reuven Donat.
  Per concludere non resta da dire che la Medaglia al Valore conferita dal Simon Wiesenthal Center al paese di Selvino, ora si trova al Museo Memoriale di Sciesopoli Ebraica.

(Bet Magazine Mosaico, 22 giugno 2023)

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Israele a sostegno della candidatura saudita per Expo 2030

L’Arabia Saudita punta ad organizzare Expo 2030 (DR)

Israele avrebbe mostrato sostegno alla candidatura dell’Arabia Saudita a ospitare Expo 2030, nell’ambito dei colloqui volti a convincere il Regno ad accettare la normalizzazione dei legami con Tel Aviv, si apprende da Monitoraggio del Medio Oriente.
  In occasione della visita in Francia del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, è stato organizzato un ricevimento nella capitale, Parigi, per lanciare la candidatura saudita a questa mostra internazionale che si svolge ogni cinque anni. La prossima edizione è prevista per Osaka, in Giappone, nel 2025, e la città ospitante dell’Expo 2030 sarà annunciata a novembre.
  Secondo il canale televisivo israeliano Kan, il giorno prima di questo ricevimento, organizzato dalla Commissione reale per la città di Riyadh, sarebbe stato invitato all’evento un delegato israeliano, la cui identità non è stata rivelata. Anche se ancora da confermare ufficialmente, l’invito ha acceso la speculazione che Israele possa sostenere l’offerta dell’Arabia Saudita per Expo 2030 in cambio di un accordo di normalizzazione tra Riyadh e Tel Aviv.
  Negli ultimi mesi Stati Uniti e Israele hanno intensificato gli sforzi per convincere l’Arabia Saudita a normalizzare i rapporti con lo Stato ebraico, sull’esempio di altri Paesi arabi come Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan e Marocco, che lo hanno fatto per ultimi quattro anni.
  Tuttavia, finora Riyadh ha resistito a questi sforzi, insistendo sulla necessità di istituire uno stato palestinese indipendente prima di prendere in considerazione qualsiasi normalizzazione con Israele.
  Nonostante i numerosi tentativi di influenzare la posizione del Regno con diverse offerte, nonché le presunte condizioni poste dal governo saudita ai governi israeliano e statunitense, quest’ultimo sembra mantenere una posizione ferma. Il ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan, ha ribadito questo mese che la normalizzazione porta solo ” benefici limitati in assenza di uno stato palestinese.
  Va ricordato che il principe ereditario Mohammed bin Salman ha annunciato la candidatura dell’Arabia Saudita per ospitare Expo 2030 nell’ottobre 2022. Il Regno ha poi presentato la sua candidatura ufficiale a dicembre al Bureau International des Expositions (BIE), l’organizzazione responsabile della mostra. Cinque paesi, tra cui Arabia Saudita, Italia, Corea del Sud, Russia e Ucraina, sono in lizza per ospitare l’evento.

(dayFRitalian, 22 giugno 2023)

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Strage di Ustica, Giovanardi chiama in causa il Lodo Moro. “L’aereo esplose per una bomba a bordo"

Si consiglia di ascoltare con grande attenzione le parole dell’ex senatore Carlo Giovanardi in questo video. Sono di enorme importanzaa e gravità per tutti gli italiani, e modo in particolare per gli ebrei e per tutti coloro che amano Israele. NsI

A distanza di quarant'anni dalla strage aerea di Ustica che portò alla morte di 81 persone, l'ex senatore Carlo Giovanardi interrogato da Francesco Borgonovo ribadisce la sua posizione favorevole nei confronti dell'ipotesi di attentato legato alla caduta del DC9 nelle acque del Mar Tirreno. Giovanardi motiva così la sua posizione nei confronti della tragedia: "Essendo parte della commissione di inchiesta per il caso Moro ho avuto la possibilità di consultare i documenti e le perizie riguardanti la strage di Ustica che per quarant'anni, fino a sei mesi fa, sono stati coperti da segreto di Stato e di conseguenza non accessibili. Come si evince dalle carte, undici tra i più grandi periti al mondo del settore dichiararono che l'incidente fu causato dall'esplosione di una toilette di bordo. Verrebbe spontaneo, dunque, chiedersi chi installò la toilette."

(Radio Radio, 21 giugno 2023)

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Medio Oriente, uccisi 4 israeliani, Hamas festeggia. In Cisgiordania rischio escalation

L’attentato dopo la battaglia di Jenin. Netanyahu non esclude un’azione su larga scala

di Rossella Tercatin

GERUSALEMME — Quattro israeliani morti, incluso un liceale, altrettanti feriti. È il bilancio dell’ultimo attentato palestinese contro un ristorante israeliano in Cisgiordania presso l’insediamento di Eli.
  Con il rischio concreto – solo un giorno dopo i gravi scontri tra esercito di Gerusalemme e miliziani a Jenin – che la situazione degeneri ulteriormente, in un momento in cui anche la tensione politica rimane alta, con l’annuncio da parte di Israele della costruzione di 4mila nuove abitazioni negli insediamenti che ha suscitato la condanna internazionale, e in particolare quella americana.
  È pomeriggio quando i due terroristi, in seguito identificati come Muhannad Faleh e Khaled Sabah, affiliati di Hamas - raggiungono l’area dell’attentato e cominciano a sparare con fucili d’assalto contro i clienti di Hummus Eliyahu, filiale di una popolare catena di fast food.
  I due poi si concentrano sugli automobilisti alla pompa di benzina adiacente. Poco dopo, un civile armato riesce a uccidere Faleh, mentre Sabah si dà alla fuga e i militari israeliani scatenano una massiccia caccia all’uomo, che si conclude un paio d’ore dopo con l’eliminazione dell’attentatore nella cittadina palestinese di Tubas.
  Tre delle quattro vittime israeliane sono state identificate come Elisha Anteman, 17 anni, Harel Masood, 21 anni e Ofer Fayerman, 64 anni.

(la Repubblica, 21 giugno 2023)


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Quattro coloni uccisi in Cisgiordania. Israele manda gli elicotteri a Jenin

di Giulio Meotti

ROMA -“Ci sarà fauda” (caos in arabo), aveva annunciato a gennaio Mohammad Sabbagh, uno dei capi del campo profughi di Jenin che durante la Prima Intifada dal 1987 al 1993 ha pugnalato a morte un soldato israeliano e scontato 23 anni in una prigione israeliana. “Questo è l’inizio”. Terroristi palestinesi ieri hanno aperto il fuoco contro una stazione di servizio in Cisgiordania, uccidendo quattro israeliani e ferendone altri quattro, vicino all’insediamento ebraico di Eli. Altissima la tensione tra Israele e i palestinesi, con i militari di Tsahal che effettuano quasi ogni giorno incursioni in Cisgiordania, in mezzo a una serie di letali attacchi terroristici palestinesi. Lunedì sei palestinesi sono stati uccisi e cento feriti in scontri a fuoco a Jenin. Otto soldati israeliani hanno riportato ferite negli scontri dopo che è esplosa una bomba sul ciglio della strada. Dall’inizio dell’anno, gli attacchi palestinesi in Israele e in Cisgiordania hanno ucciso 24 israeliani. Un elicottero israeliano Apache ha colpito Jenin. E’ la prima volta dal culmine della Seconda Intifada palestinese, vent’anni fa, che l’esercito israeliano ha utilizzato elicotteri d’attacco nella città palestinese da cui, secondo le autorità israeliane, provengono almeno 23 dei 60 attentatori che hanno attaccato Israele. A gennaio, un raid israeliano a Jenin era finito con dieci palestinesi uccisi. Hussein al Sheikh, ministro degli Affari civili dell’Autorità palestinese, ieri ha chiesto alla leadership palestinese di prendere “decisioni senza precedenti” (senza elaborare). Il Jihad islamico ha rivendicato due dei morti di Jenin come suoi membri. Il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha risposto: “Useremo tutti gli strumenti a nostra disposizione e colpiremo i terroristi ovunque si trovino”. Unità di paracadutisti d’élite sono entrati a Burkin nel nord della Samaria e nel campo profughi di Jenin per arrestare membri di Hamas e del Jihad islamico. Negli scontri a Jenin sono state usate armi costruite dai palestinesi, comprese bombe e razzi che secondo l’esercito israeliano sono stati creati secondo le istruzioni specifiche di Hamas.
  “L’operazione di Jenin sarà considerata una pietra miliare per l’esercito non solo per il tempo impiegato (è stata l’operazione offensiva più lunga intrapresa dalla Seconda intifada), ma anche per l’introduzione di potenti Ied di 40 chili che trasformano l’area in qualcosa che ricorda il sud del Libano degli anni Novanta”, ha scritto Yossi Yehoshua, corrispondente militare per il quotidiano israeliano Yediot Ahronot. Mustafa Ibrahim, analista politico palestinese affiliato del Jihad islamico, ha elogiato i terroristi di Jenin. Il fatto che l’esercito israeliano abbia dovuto usare gli elicotteri per soccorrere i suoi soldati e i suoi veicoli “ha messo in imbarazzo” l’establishment della sicurezza israeliano. Sicuramente, scrive Khaled Abu Toameh sul Jerusalem Post, sono “immagini che danno l’impressione che l’operazione antiterrorismo israeliana, iniziata diversi mesi fa, non sia riuscita a sradicare i gruppi armati. Danno anche l’impressione che alcune parti della Cisgiordania, in particolare Jenin, stiano iniziando ad assomigliare alla Striscia di Gaza e al Libano”. E poi c’è l’Iran, primo finanziatore di Hamas e del Jihad islamico e che secondo gli esperti di sicurezza israeliani vuole “incendiare la Cisgiordania” (le Guardie rivoluzionarie iraniane forniscono tra i cento e i centocinquanta milioni di dollari al Jihad palestinese). Ieri il ministro Gallant ha detto che in tutti i 75 anni di vita di Israele la sua popolazione civile potrebbe affrontare le sfide più disastrose di sempre da una potenziale guerra con l’Iran. Si stima che Hezbollah abbia accumulato tra i 130 mila e i 150 mila razzi, la cui gittata più significativa può raggiungere qualsiasi parte di Israele. Senza contare la minaccia da Gaza.

Il Foglio, 21 giugno 2023)

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Ventisette paesi (fra cui l’Italia) condannano la Commissione Onu d’Inchiesta su Israele

I membri del COI su Israele: Chris Sidoti, Navi Pillay e Miloon Kothari
Martedì 20 giugno gli Stati Uniti e altri 26 paesi hanno condannato la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite (COI) su Israele per la sua portata illimitata, la sua durata illimitata e i suoi pregiudizi contro Israele. Fra gli altri paesi che hanno partecipato alla dichiarazione congiunta l’Italia, il Regno Unito, l’Ungheria, il Kenya, la Bulgaria, la Polonia e Israele. Lo riporta il sito Algemeiner. 
  Intervenendo a una riunione del Consiglio dei diritti umani a Ginevra, l’ambasciatore statunitense Michèle Taylor ha rilasciato una dichiarazione congiunta contraria al COI, creato in risposta a una serie di conflitti tra Israele e palestinesi nel maggio 2021.
  “La risoluzione S-30/1 ha stabilito un COI di mandato a tempo indeterminato senza clausola di caducità, data di scadenza o chiare limitazioni connesse all’escalation nel maggio 2021″, ha affermato Taylor. “Riteniamo che la natura di questo COI sia un’ulteriore dimostrazione dell’attenzione sproporzionata e di lunga data prestata a Israele nel Consiglio, e dobbiamo fermarla”.
  Il COI, che è l’indagine di più alto livello che può essere ordinata dal Consiglio per i diritti umani, è stato istituito nel maggio 2021 a seguito di un’ondata di violenza mortale tra israeliani e palestinesi all’inizio del mese per indagare su “tutte le presunte violazioni del diritto internazionale umanitario e tutte le presunte violazioni e abusi del diritto internazionale sui diritti umani” in Israele, Cisgiordania e Striscia di Gaza. È incaricato di esaminare “tutte le cause alla radice delle tensioni ricorrenti, dell’instabilità e del protrarsi del conflitto, comprese la discriminazione sistematica e la repressione basate sull’identità nazionale, etnica, razziale o religiosa”.
  Il primo COI a tempo indeterminato è presieduto dall’ex capo dei diritti delle Nazioni Unite Navi Pillay del Sud Africa, con Miloon Kothari dell’India e Chris Sidoti dell’Australia come gli altri due che conducono l’indagine.

(Bet Magazine Mosaico, 21 giugno 2023)

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“Larghe intese per la crescita della comunità”

Intervista a Victor Fadlun

 di Ariela Piattelli

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Potrebbe configurarsi un governo di larghe intese, quello che immagina Victor Fadlun per i prossimi 4 anni di consiliatura della Comunità Ebraica di Roma. Fadlun, candidato presidente per Dor Vador, la lista che ha ottenuto il maggior numero di voti della Comunità ebraica della Capitale, punta ad una formazione di una nuova leadership che coinvolga le diverse anime degli Ebrei di Roma.

- Victor Fadlun, avete vinto le elezioni della Comunità Ebraica di Roma, con 51 voti in più. Di fatto adesso entrano in Consiglio 10 candidati eletti di Dor Vador, 10 di Per Israele e 7 di Ha Bait. Come considera questo dato?
  Noi non rappresentiamo una realtà “storica” come le altre liste. È la seconda volta che Dor Vador si presenta alle elezioni, quindi siamo una realtà in crescita. Nell’ultimo governo avevamo 4 consiglieri, in questo ne avremo più del doppio. Il voto espresso dagli elettori indica la volontà diffusa nella nostra comunità di cambiare passo, mettendo in gioco professionalità e competenze. C’è una palese apertura al cambiamento verso nuove istanze di professionalità nella gestione della Cer. Credo che gli elettori abbiano premiato la nostra capacità di ascolto, in cui anche tra posizioni distanti si arriva ad un rispettoso dissenso e non ad uno scontro. Vogliamo rispettare e ascoltare tutti.

- Adesso affrontate la sfida di formare il governo della Comunità. Come pensate di procedere?
  Bisogna procedere parlando con tutti in modo rispettoso ed inclusivo, tenendo conto della storia e della tradizione della Cer e mettendo a disposizione le migliori competenze. Ma il dato di scarsa affluenza è causato da molte ragioni, forse più dal fatto che le persone vogliono sentirsi partecipi alla nostra comunità, essere incluse. In questo senso andiamo avanti, sempre avendo chiari i nostri principi.

 - A quali principi fa riferimento?
  Ghemilut hasadim e aiuto degli ebrei in difficoltà, anzitutto. E poi siamo una comunità ortodossa e proprio per questo dobbiamo abbracciare tutte le persone che ne fanno parte. A volte scopriamo che le cose che ci uniscono sono più di quelle che ci dividono. Comunque per me il valore più importante rimane la crescita di questa Comunità, nel rispetto dei suoi valori. Abbiamo tutti voglia e diritto di riscoprire l’entusiasmo di farne parte attiva. Un altro valore, come abbiamo sempre ribadito, è Israele, nostro punto di riferimento assoluto e garanzia che certi episodi tragici mai torneranno. Crediamo che anche restando saldi nei nostri valori si possa avere un dialogo rispettoso con chi ha idee diverse da noi. Guardiamo all’altro con umiltà, non siamo giudici, c'è un solo Giudice per tutti noi.

- Nella delicata fase di formazione del governo, come metterete in gioco questi valori?
  Dobbiamo dare una svolta di miglioramento alla Comunità e per farlo immagino un governo con competenze e capacità, nel rispetto di ciascun ruolo e perseguendo l'unità, senza porsi con supponenza. Spesso mi sono sentito dire “Non hai capito, adesso ti spiego” invece vorrei che tra noi tutti ci rivolgessimo “Scusami, io la penserei in questo modo, ti va di ascoltarmi?”. È un approccio diverso, possiamo pensare in questa direzione.

(Shalom, 21 giugno 2023)

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Toh, crolla la fiducia nella scienza trasformata in dogma

Sondaggio Usa: nel 2022 gli «esperti» hanno perso credibilità. Alcuni, dopo i flop, fischiettano. Altri, invece, pontificano ancora.

di Alessandro Rico

Ci dovremmo meravigliare? Dovremmo dare la colpa ai complottisti? Dovremmo fare come Matteo Bassetti, il quale, in un post sulla decisione del governo belga di distruggere 6 milioni di dosi di vaccino, se l'è presa con i no vax, anziché con i contratti capestro siglati dall'Ue? Puntiamo il dito su chi crede nelle scie chimiche, oppure ci lasciamo sfiorare dal sospetto che i «competenti», negli anni della pandemia, abbiano dato il peggio di sé? E che se la gente, adesso, ne diffida, la responsabilità è anzitutto la loro?
  Nel 2022 è crollata la fiducia nella scienza. Lo certifica, negli Usa, un sondaggio di Associated press-Norc center for public affairs research, che monitora le opinioni degli americani dal 1972 e ha intervistato un campione di oltre 3.500 persone. Il risultato dell'indagine è che gli adulti che dichiarano di nutrire «molta fiducia» nella comunità scientifica sono passati dal 48% del 2018 al 39% del 2021. La politicizzazione del Covid non ha aiutato. L'ostilità verso i cervelloni ricalca l'affiliazione partitica dei cittadini statunitensi: tra i repubblicani, solo il 26% dà credito agli esperti. E con ogni probabilità, la situazione Oltreoceano è simile a quella di qualunque altra nazione occidentale, Italia compresa.
  La reazione più scontata, oltre che la più arrogante, è appunto quella alla Bassetti: il problema sono i cretini che si curano con la curcuma. Al contrario, bisognerebbe considerare l'ipotesi che la rottura tra scienziati e società dipenda dal pessimo esempio offerto dai primi in questo triennio. A cominciare dalle zuffe mediatiche tra medici; passando per la spudoratezza con la quale i tecnici hanno offerto, ad amministratori insipienti, comode foglie di fico per decisioni scellerate; arrivando all'invereconda spocchia con la quale sono riusciti ad affermare tutto e il suo contrario. Non solo: i luminari ai quali ci saremmo dovuti mettere in mano hanno sostenuto una sfilza di sciocchezze, spacciate per dogmi, senza nemmeno premurarsi di chiedere scusa, una volta che le corbellerie sono venute a galla. La lista delle scempiaggini è lunga: i vaccini che proteggevano dal contagio e non avevano effetti collaterali; il Covid incurabile; il green pass che consentiva di tenere aperte le attività. Anzi, non sarà un caso se il sondaggione americano ha registrato certi risultati nell'anno in cui sono state scoperchiate le menzogne pandemiche.
  Dinanzi alla clamorosa débàcle dello sciocco positivismo in voga tra le élite - quelle di: «Lo dice Lascienza ... » - le mosse dei diretti interessati sono di due tipi: c'è chi fischietta e chi pretende di continuare a impartire lezioni. Alla prima categoria appartiene Fabrizio Pregliasco, virostar in disarmo scongelata, con inopinato atto di misericordia, da Adnkronos, che gli ha chiesto un commento sugli esami di maturità. «La speranza», ha berciato il professore, è che, durante la pandemia, «i ragazzi abbiano compreso che la scienza va avanti per tentativi, per errori e successive approssimazioni. Forse qualcuno ha sperato che la scienza potesse dare soluzioni immediate a un problema nuovo». Ma guarda: pensa che scemo, chi s'aspettava il miracolo in provetta. A bocce ferme, apprendiamo che la conoscenza scientifica procede «per tentativi ed errori» - sono stati più gli errori dei tentativi, ma va bene così.
   Pregliasco, dunque, fa finta di niente. Abbassa la cresta. Riscopre l'umiltà. Peccato solo che, nelle fasi cruciali del periodo Covid, lui e i suoi colleghi si siano comportati come se avessero la verità in tasca. Ogni parere veniva presentato in maniera apodittica, definitiva, fino a che, senza soluzione di continuità, si passava alla verità successiva. I vaccini ci salveranno, ma forse non bastano; se non bastano, è perché ne servono di più; mascherine no, mascherine sì; ibuprofene no, ibuprofene sì. È stata la sicumera dei dottori catodici, è stata la gara a spararla più grossa pur di comparire, è stata la collezione di insulti ai sani che osavano rifiutare un farmaco, definiti «sorci», o invitati a pagarsi il ricovero in ospedale, è stato il susseguirsi di prediche e ritrattazioni a incrinare il rapporto con gli scienziati. Se davvero la scienza non ha soluzioni prèt à-porter, in base a cosa essa ha giustificato i lockdown e l'esclusione dal consesso civile dei non vaccinati? Comodo, ora, nascondersi dietro la fallibilità dell'intelletto umano.
  Peraltro, alla faccia dei tentativi, degli errori e delle approssimazioni, tuttora, il posto del dibattito fondato su argomenti solidi lo occupa la censura. L'ultimo caso riguarda l'articolo di Silvana De Mari sui rischi della tecnologia a mRna, uscito sulla Verità e bandito da Linkedin, con il solito pretesto della lotta alle bufale. E’ la banalità degli algoritmi, sì. Ma è pure lo strascico di una filosofia: lo scopo dei media non è informare, bensì indottrinare. L'oggetto del giornalismo non sono i fatti, è la propaganda al servizio dei governi. Quelli progressisti.
  E’ una linea che qualcuno non vuole mollare. Prendete Anthony Fauci, esponente di quel secondo tipo cui accennavamo sopra: lo scienziato che pontifica dopo aver accumulato fiaschi. Ricevuto in pompa magna ai Lincei, ha avuto il coraggio di difendere ancora la teoria del Covid zero (la pandemia non è finita finché ci saranno contagiati) e di tuffarsi nella moda verde, con l'invito a prenderci cura delle foreste, per evitare il salto di specie dei patogeni. Già, come se il coronavirus dipendesse dal climate change e non da un incidente nel laboratorio. Laboratorio finanziato pure grazie a Fauci, e incidente che, all'inizio, era la ridicola ossessione di Donald Trump, mentre ormai affolla rapporti di intelligence e quotidiani. Ieri, il Wall Street Journal ha confermato che almeno uno dei primi tre ricercatori infettati riceveva denaro direttamente dagli Stati Uniti.
  Insomma, se c'è una scienza che quei signori conoscono a menadito, è quella di rigirare le frittate. E noi ci dobbiamo anche fidare?

(La Verità, 21 giugno 2023)

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La Conferenza dei Rabbini europei si trasferisce da Londra in Germania

Sono ormai trascorsi 67 anni dall'istituzione della Conferenza dei Rabbini europei, alleanza di leader ebrei che si uniscono per sostenere e proteggere, attraverso l'influenza politica, le comunità ebraiche in tutta Europa.
  Aveva la sua storica sede a Londra, ma a causa della Brexit l'organizzazione ne ha dovuta cercare una nuova: ora, la ricerca è terminata ed è da poco iniziato il processo di trasferimento in Germania, a Monaco di Baviera.
  "Ci sono state molte perplessità - dice Shimon Cohen, membro londinese della Conferenza, che spiega la logica alla base della mossa - era ben chiaro che Londra non era più il posto giusto per l'influenza sulla politica europea, dobbiamo avere sede in un'area dell'Ue".
  Il mese scorso, il presidente della Baviera, Markus Soder, è stato premiato dalla Conferenza dei Rabbini europei per aver confermato l'invito iniziale a trasferirsi a Monaco.

• Motivazioni contrastanti
  La Conferenza si è formata a Londra poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, ora da una prospettiva puramente pratica è stata presa la decisione di trasferirsi in Europa: per molti non si tratta solo di un'influenza politica, ma anche di una decisione emotiva.
  "Perché? - si domanda Il rabbino capo Goldschmidt - perché la distruzione degli ebrei europei è iniziata in Europa, è lì che Hitler ha fatto il suo 'golpe', quindi è simbolico il fatto che stiamo tornando a Monaco, con il sostegno del governo, e siamo in procinto di ricostruire l'ebraismo europeo".
  La città dove Adolf Hitler iniziò la sua ascesa al potere, molto tempo fa capitale del movimento nazista, ora è sede di un fiorente ed influente movimento ebraico.

(euronews, 20 giugno 2023)

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Quattro israeliani morti e 4 feriti in un attacco in Cisgiordania. Hamas: “Risposta all’occupazione”

La sparatoria avvenuta vicino una stazione di rifornimento nell’insediamento ebraico di Eli. Pur non rivendicandone la responsabilità le fazioni di Hamas e della Jihad islamica hanno lodato l'attacco.

Almeno 4 israeliani sono stati uccisi e altri 4 feriti, di cui uno grave, in un attacco ad una stazione di servizio nell'insediamento ebraico di Eli, vicino Nablus, in Cisgiordania.
  Secondo il portavoce militare, "i terroristi hanno aperto il fuoco vicino la stazione di rifornimento ed uno di questi è stato neutralizzato sul posto. I soldati sono all'inseguimento di altri sospetti".
  "La reazione è stata rapida contro i crimini dell'occupazione nel campo profughi di Jenin e l'assalto ad Al-Aqsa", ha detto Hamas, che ha poi fatto sapere che l’uomo responsabile dell’attacco faceva parte della sua ala militare. "Questa è una risposta naturale all'escalation e ai crimini dell'occupazione contro il popolo palestinese", ha affermato la Jihad islamica subito dopo l’attacco.
  I militari israeliani hanno ordinato ai residenti della comunità di rimanere nelle loro case e di chiudere a chiave porte e finestre fino a nuovo avviso. Poco dopo la sparatoria, l'esercito ha attivato un allarme per possibili infiltrazioni terroristiche a Eli.
  La sparatoria segue una serie di violenze che sono avvenute in Cisgiordania negli ultimi due giorni. Questa mattina un 20enne palestinese è rimasto ucciso negli scontri con Israele vicino alla città di Betlemme, nel centro della Cisgiordania.
  Gli scontri, secondo quanto riporta il Times of Israel, sono avvenuti alla fine di una giornata particolarmente violenta: la mattina ha visto cinque palestinesi uccisi a colpi d'arma da fuoco e otto soldati israeliani feriti in una battaglia a Jenin la mattina, e la sera altri due soldati sono rimasti feriti in un presunto attacco con auto speronamento a ovest di Jenin, con due sospetti palestinesi colpiti e feriti.

(la Repubblica, 20 giugno 2023)

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Cisgiordania, la dichiarazione di guerra del padrino di Jenin: "Servono attacchi suicidi"

Parla Jamal Zubeidi, il leader che controlla la città: "Lottiamo per l'indipendenza, Hamas pensa al potere”.

di Francesca Borri

JENIN - L'icona di Jenin è Abdallah Abu Tin. La lapide in sua memoria è all'entrata dell'ospedale in cui ha servito tutta la vita. È morto a ottobre: mentre combatteva con le Brigate al-Aqsa. Tipo Batman. Medico di giorno, giustiziere di notte. A Jenin combattono tutti. Anche quelli che hanno tutto. E hanno tutto da perdere. Per Israele, Jenin è il pericolo numero uno. Perché è a venti minuti dalla Linea Verde. Dal confine. E quindi è perfetta per infiltrarsi: e andare a sparare a Tel Aviv. Ma soprattutto perché con i palestinesi divisi tra Fatah e Hamas, e sempre più gli uni contro gli altri, Jenin invece è il feudo degli Zubeidi, una famiglia che più che una famiglia è una dinastia. E che è unita. "Fatah, Hamas, Pflp, Jihad. Qui ognuno ha le sue idee. Ma alla fine, l'obiettivo è uno ed è lo stesso per tutti: vincere".
  Parola di Jamal Zubeidi, il capostipite. O come dicono a Jenin, don Jamal: come don Vito Corleone. Come il Padrino. Ha iniziato al fianco di Yasser Arafat, è del 1956. Ha iniziato all'inizio. Con l'Olp. Quando i palestinesi cominciarono ad attaccare dai Paesi vicini. "E sono stati gli anni migliori. Gli anni in cui abbiamo capito che il nostro destino dipende dalle nostre forze, che la libertà va conquistata: che non arriva dagli altri. Che si tratti dei Paesi arabi, come allora, o come ora, di Fatah o Hamas. O di Hezbollah. O dell'Iran", dice. Non abbiamo che noi stessi, dice. Noi stessi e la volontà di Dio.
  Jenin è sotto il suo controllo. Ed è per questo che è ancora vivo: per Israele, e per l'Autorità Palestinese, che insieme a Israele è responsabile della sicurezza, è l'uomo con cui mediare. Quando a dicembre è morto suo figlio Naim, ha cercato la tregua. Come don Vito con Sonny. Ma non ha più senso discutere, dice. "Il governatore mi ha appena chiesto per l'ennesima volta di fermare tutto. Ma in cambio di cosa? Se consegni le armi, hai un posto in polizia. O in Israele. E che significa? L'occupazione non è un problema individuale. E né è una questione economica: è una questione politica. Voglio una strategia sugli insediamenti. Su Gaza. Su Gerusalemme. Non so altrove, ma a Jenin non si combatte per l'auto nuova: si combatte per l'indipendenza", dice. "Per una vita nuova". E qual è la strategia più efficace?, chiedo. Non ha dubbi. "Gli attentati suicidi".
  Sono l'unica cosa che influenza Israele, dice. L'unica che Israele teme. "Ma Hamas è contraria. Perché durante la Seconda Intifada, Israele reagì assassinando i suoi leader uno a uno. E per ora, la sua priorità è il post-Abbas: è vincere le elezioni. Per questo non ha risposto all'ultima operazione su Gaza. O alle ultime incursioni nella moschea di al-Aqsa. Perché la sua priorità è il potere. Ormai sono tutti uguali. Ma sono stato chiaro: non mi importa. A Jenin sto io. E decido io".
  Non ha cambiato opinione neppure ora che i raid di Israele si sono intensificati. Ai muri di casa Zubeidi le foto dei morti, o come si dice qui, dei martiri, sono sempre di più. Più che una casa, sembra la cappella di un cimitero. Il primo a sinistra è Zakariya: che dopo un master in Diritto internazionale a Ramallah, è rientrato a Jenin per avviare questa Terza Intifada dopo avere guidato la Seconda sulle orme del fratello Taha, ucciso dopo avere guidato la Prima sulle orme dello zio Ziad, fondatore delle Brigate al-Aqsa, e architetto del ritorno alla resistenza armata dopo gli Accordi di Oslo. Zakariya è in carcere, adesso. Ed è stato sostituito da suo fratello Daoud. Che invece è stato ucciso, ed è stato a sua volta sostituito da un altro fratello. Jibril. Che ora è in carcere. E ha passato il testimone a un altro fratello ancora. Abed.
  Ma al centro, la foto d'onore è quella di Nidal. Aveva vent'anni. Cosa ricorda di quella sera?, domando a sua madre, Nassra. Sorella di Jamal. "Ho brindato". Andò a farsi esplodere a Binyamina. Vestito con il vestito elegante della domenica. Morirono sei israeliani. Dice: "Ho brindato sei volte". Il governatore Ibrahim Ramadan è categorico: non rischierà i suoi uomini. Non si opporrà a Israele. "Ero qui durante la Seconda Intifada. Quando Jenin è finita in macerie. E a costo di essere bollato come un traditore, sarò irremovibile. Perché se anche avessimo gli Rpg, invece degli M16, e fossimo capaci di fermare i carrarmati, gli israeliani verrebbero con gli F35. E se avessimo gli F35, verrebbero con il nucleare", dice. Con gli israeliani, dice, chi sceglie le armi sceglie la morte. "Che poi è esattamente quello che vogliono: eliminarci".
  Ma a Ahmad al-Qassam non interessa. Il suo nome è una leggenda, qui. E non solo perché è un veterano del Libano, di Beirut, dell'attentato del 1983 all'ambasciata degli Stati Uniti, che è ancora oggi quello in cui la Cia ha avuto più morti: è il nipote di Izzedin al-Qassam. Il primo dei guerriglieri. Ucciso a Jenin nel 1935 mentre combatteva contro l'Impero Britannico. Dopo tutta una vita a combattere il colonialismo su ogni fronte possibile. Per questo i razzi di Hamas si chiamano Qassam. "Israele è più forte, certo. Non c'è confronto", dice. "Ma tutto è transitorio. Sono il nipote di uno che ha sfidato gli inglesi con una baionetta quando gli inglesi erano padroni di mezzo mondo. E ora, invece, cosa sono? Non sono più niente", dice. "E anche Israele sparirà: è questa la lezione di Jenin. Fai la tua parte. Senza paura. Fai la tua parte, perché hai dalla tua parte la storia". È un sostenitore dello Stato unico. Con pari diritti?, dico. "Senza ebrei".
  A tradurre è Younis, che è stato a lungo funzionario di una agenzia internazionale. Immagino sia amaro per te, dico. Dopo tutto l'impegno per i bambini di Jenin. Perché avessero un futuro diverso. E ora tutti che vogliono diventare martiri, dico. Mi dice: "Sono straordinari".

(la Repubblica, 20 giugno 2023)

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La Comunità Ebraica di Vercelli ospita il Coro Col Hakolot

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Prosegue il progetto Ogni giorno è Memoria della Comunità Ebraica Vercellese con un appuntamento musicale a cura del Coro Col Hakolot. Domenica 25 giugno, alle 16.30, in Sinagoga, si terrà il concerto Il cammino della speranza, con un repertorio di composizioni ebraiche fortemente evocativo e indissolubilmente legato alla tradizione ebraica.
  Il Coro Col Hakolot, che in ebraico significa Tutte le Voci, è già stato ospite della Comunità Ebraica di Vercelli in passato. Il repertorio del coro include brani di musica popolare ebraica polifonica che vengono eseguiti in lingua ebraica, yiddish e ladina. A questi si sono aggiunti canti di autori italiani, legati comunque alla tradizione ebraica.
  Il coro si esibisce spesso in manifestazioni musicali sia all’interno che al di fuori delle Comunità Ebraiche, come in occasione della Giornata della cultura ebraica o la Giornata della memoria e di concerti per la pace allo scopo di promuovere il dialogo interculturale e religioso, richiamando l’attenzione di un vasto pubblico.
  A Vercelli l’esibizione si legherà non solo alla Festa della Musica del 21 giugno, ma anche al progetto Ogni giorno è Memoria volto a ripristinare la memoria del deportati vercellesi. Questa importante azione di valorizzazione del passato comune è sostenuta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Vercelli e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Torino.
  L’ingresso al concerto che si terrà domenica 25 giugno all’interno della Sinagoga di Vercelli (via Foa 56-58) è libero e gratuito. 

(TG Vercelli.it, 20 giugno 2023)

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Presentato al Museo Ebraico di Roma il catalogo “Case di vita. Sinagoghe e cimiteri in Italia"

In collaborazione con il Meis

di Michelle Zarfati

Il Museo Ebraico di Roma ieri ha ospitato la presentazione del catalogo della mostra “Case di vita. Sinagoghe e cimiteri in Italia", allestita dal Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah-MEIS di Ferrara. L’esposizione a cura di Andrea Morpurgo e Amedeo Spagnoletto, è un approfondimento originale che porta alla riflessione sull’aspetto architettonico, ma anche sociale delle sinagoghe e dei cimiteri ebraici.
  Un viaggio lungo duemila anni riconduce, passo dopo passo, verso la storia delle sinagoghe e dei cimiteri ebraici italiani. Partendo dalle prime tracce archeologiche, l'esposizione si sposta restituendo ai visitatori i grandi progetti architettonici di oggi. Al centro del percorso espositivo, con un ruolo centrale, tutte le vicende dell’ebraismo italiano vissute attraverso i luoghi simbolo dell'ebraismo italiano: sinagoghe e cimiteri. Luoghi densi di storia e impregnati di cultura, in cui si intrecciano le storie e gli usi e costumi degli ebrei italiani. La mostra porta alla luce documenti provenienti dagli archivi statali e dalle comunità ebraiche, oggetti che si tramandano di famiglia in famiglia e importanti prestiti.
  Un ruolo speciale è dedicato al patrimonio ereditario della Comunità Ebraica di Roma e la sua storia bimillenaria. La sinagoga di Ostia antica, le catacombe un vero unicum nel patrimonio archeologico ebraico-italiano, tenendo però anche in considerazione le opere artistiche più moderne.
  La conversazione è stata introdotta dal Direttore del Museo Ebraico di Roma Olga Melasecchi e da Davide Spagnoletto, Architetto e storico dell'arte. Sono intervenuti durante il talk i curatori della mostra Andrea Morpurgo, Architetto, Amedeo Spagnoletto, Direttore del MEIS, e il pubblico presente in sala.
  Durante l'evento sono stati raccontati gli oggetti esposti all’interno della mostra, i temi e gli interessanti contribuiti dei curatori e da numerosi storici dell’architettura e dell’architettura ebraica.

(Shalom, 20 giugno 2023)

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«Quanti silenzi su obbligo vaccinale e danni»

La scrittrice, premiata alla festa di «Tempi» per il suo libro sulla pandemia: «Conosco tre persone vittime di effetti avversi pesanti ma invece di studiarne le cause si cerca di fingere che tutto sia andato nel migliore dei modi. L'Italia ha vissuto una guerra civile»

di Maurizio Caverzan

«Una scrittrice polimorfa, in grado di esprimersi n varie forme letterarie». Così monsignor Massimo Camisasca, vescovo emerito di Reggio Emilia-Guastalla, e suo amico di lunga data, ha definito qualche giorno fa Susanna Tamaro. Si era a Caorle, alla festa organizzata da Tempi per riflettere sul tema «Chiamare le cose con il loro nome», e l'autrice di Va' dove di porta il cuore e di un'altra quarantina di libri, tra romanzi, saggi e favole per bambini, era stata invitata per ritirare il premio intitolato a Luigi Amicone, fondatore e storico direttore della rivista. Un premio assegnato dalla giuria presieduta da Giuliano Ferrara all'ultimo libro, Tornare umani, edito da Solferino, riflessione critica ad ampio raggio sugli anni vissuti nello scacco della pandemia da Covid-19. Ma anche un premio a tutta l'opera della scrittrice triestina che vive in Umbria, cuore geografico d'Italia, «dove anch'io ho una casa», ha raccontato monsignor Camisasca, «e così ci siamo frequentati nella terra di Francesco e di Benedetto, dove si è snodata tre quarti della storia del cristianesimo mondiale». E dove Tamaro ha scelto di stare «per dedicarsi a pensare anche per chi non vuole o non può farlo, assorbito dalle incombenze quotidiane o sommerso dal rumore che avvolge a tutti i livelli la società contemporanea». E’ lì, nella collina vicino Orvieto, che è maturata nella scrittrice quella che potremmo chiamare dimensione sapienziale, uno sguardo lucido e profondo sulle vicende del nostro tempo. Uno sguardo anche sanamente distaccato, in forza del quale le capita di assumere posizioni di denuncia, come in questa intervista.

- Susanna Tamaro, come ha accolto il premio a Tornare umani, un libro forse un po' divisivo?
  «Con grande gioia perché mi è costato molta fatica per la delicatezza dell'argomento».

- Che accoglienza ha avuto al momento della pubblicazione?
  « Un'accoglienza ottima da parte dei lettori dai quali continua a essere apprezzato perché è un libro esente da qualsiasi forma di fanatismo. E che si pone domande importanti su quello che abbiamo vissuto in questi anni».

- Invece i grandi giornali e i media in generale come l'hanno trattato?
  «Non ha avuto un'accoglienza particolarmente benevola, forse perché non è un grande romanzo o per l'argomento trattato che allora era abbastanza esplosivo: la gestione della pandemia».

- Eppure è stato pubblicato da Solferino, marchio di proprietà di Urbano Cairo, editore anche del Corriere della Sera.
  «E questo è un bel segno perché vuol dire che c'è un editore che crede in un autore e investe su di lui».

- Perché secondo lei è un libro importante?
  «Perché abbiamo passato due anni di follia totale, soggiogati da due fanatismi contrapposti. Ma le persone normali, che non parteggiavano per nessuna delle due parti, a un certo punto hanno cominciato a farsi delle domande e a cercare delle risposte. Che, però, dalla narrazione ufficiale non arrivavano e non sono arrivate».

- In particolare?
  «Tutte la questioni relative all'obbligo vaccinale e ai danni del vaccino. Una cosa impensabile in un Paese democratico. E poi la sproporzione dell'allarme mediatico. Si è creato terrore in modo irresponsabile per due o tre anni».

- Però la gente moriva.
  «Innanzitutto, va detto che per malattia si muore. E si muore anche se non si è curati o si è curati male. È chiaro che una malattia virale importante come il Covid non si può lasciarla agire nel corpo, stando a vedere che cosa succede. La vigile attesa è una tecnica che viene usata soprattutto per monitorare forme tumorali in persone anziane, per capire il rischio o il beneficio di un'eventuale operazione. Come si può applicare questo principio a una malattia che è virulenta? E chiaro che se si lascia un virus agire, poi quando si interviene è molto più difficile debellarlo».

- Questo libro ha anticipato alcuni dei dibattiti seguiti nei mesi successivi?
  «In qualche modo quando leggevo le cronache delle indagini di Bergamo ci ritrovavo le stesse cose che avevo scritto semplicemente osservando la realtà».

- Secondo lei si stenta a parlare in modo trasparente di ciò che è accaduto nella fase acuta della pandemia?
  «In Italia abbiamo vissuto una guerra civile che, invece di aprire un dialogo, avviando un tentativo di guarire la memoria dalle ferite ancora aperte, ci si invita a fingere che tutto sia andato nel migliore dei modi».

- Una forma di censura dolce?
  «C'è una volontà di non affrontare l'argomento. Negli altri Paesi europei non è così. La situazione è diversa».

- Lei ha evidenze concrete che richiederebbero una maggiore disponibilità ad affrontare questi temi? Situazioni, casi e vicende problematiche?
  «Certo. Dato che vivo in un paese vedo la realtà concreta e non quella raccontata dai numeri dei telegiornali. Allora posso dire che
  vivo con otto persone che conosco da decine di anni. Bene, tre di loro sono state vittime di eventi avversi molto importanti. Non solo, questi eventi non sono stati segnalati anche per la scarsa sensibilità mostrata di fronte alle persone colpite. Persone la cui vita è drammaticamente cambiata».

- Secondo lei, con la motivazione della pandemia e da allora in poi, si tende a espandere il controllo sulla vita quotidiana dei cittadini.
  «Assolutamente sì. Un fatto che mi irrita profondamente è la legge sulla privacy. I bambini non possono più fare le foto di fine anno scolastico per la privacy, ma questo sistema di controllo conosce anche il colore delle calze che indossiamo la mattina».

- Le vittime di questi eventi avversi sono invisibili per la comunicazione mainstream?
  «Non solo. Siccome questi danni da vaccino sono situazioni nuove, il sistema sanitario non è n possesso
  degli strumenti per capire di che cosa si tratta. In Germania, per esempio, già da diversi mesi sono state create équipe mediche che lavorano per capire come curare questi effetti avversi. Pericarditi, miocarditi, infarti fulminanti, paralisi e anche danni cerebrali, compresi certi casi di demenza improvvisa esplosi dopo quattro dosi vaccinali. Situazioni con cui sono personalmente venuta a contatto e che hanno colpito anche persone con cui vivo».

- Delle conseguenze negative della vaccinazione massiccia si parlava poco anche prima della morte di Silvio Berlusconi che ha monopolizzato i media negli ultimi giorni.
  «Adesso lo si fa ancora meno».

- Ha pensato di scrivere sull'argomento? C'è qualcosa che l'ha disturbata e qualcos'altro che invece le è piaciuto nei giorni scorsi?
  «No. Dall'esplosione dell'epidemia ho smesso di leggere i giornali e anche di guardare la televisione».

- Una scelta molto radicale.
  «Quando è troppo è troppo. Dalla guerra in Ucraina ho chiuso tutto. Il male è male, la morte è morte. È tutto una follia».

- Il suo rapporto con i giornali e i giornalisti è divenuto più diffidente dopo l'intervista che ha concesso in occasione del Salone del Libro di Torino a proposito della letteratura nelle scuole?
  « Già da 30 anni diffido dei mass media. Tutta la vita sono stata vittima di giornalisti che si approfittano della mia ingenuità e del mio parlare libero. Mi hanno fatto dire tutto e il contrario di tutto secondo ciò che faceva comodo a loro. Anche in quell'occasione c'è stata una manipolazione del titolo del giornale. La parola odio non l'ho mai usata. Posso aver detto che la scuola fa odiare la letteratura ai ragazzi. Ma è la verità e dobbiamo capire perché».

- Basta poco per cadere in qualche trappola?
  «Purtroppo il punto d'arrivo finale di questa situazione è che le persone più sensibili sceglieranno il silenzio».

- Se fosse una professoressa di lettere delle scuole superiori come, in poche parole, proverebbe ad attrarre gli studenti alla lettura?
  «Facendo capire che la letteratura è qualcosa che riguarda profondamente il cuore dell'uomo e la sua capacità di comprendersi e comprendere».

- A proposito di persone sensibili che scelgono il silenzio, conosceva i romanzi di Cormac McCarthy?
  « Ho letto La strada e visto i film tratti dalle sue opere».

- Sta lavorando a qualcosa, un nuovo saggio o romanzo?
  « Dopo la fatica di Tornare umani, sto finendo di lavorare a un romanzo che uscirà in autunno».

- Nessuna anticipazione?
  «Non voglio spoilerare niente. Sarà una grande sorpresa».

(La Verità, 20 giugno 2023)

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Ben 35 atleti israeliani lottano per l’oro agli Special Olympics World Games 2023

di Pietro Baragiola

Sono ufficialmente iniziati gli Special Olympics World Games, l’evento mondiale durante il quale migliaia di atleti con disabilità mentali si sfideranno dal 17 al 25 giugno in 24 tipologie di sport diversi per promuovere l’inclusività.
  Quest’anno ben 35 atleti israeliani sono stati ammessi per rappresentare lo stato ebraico e dovranno competere contro gli altri 7000 sfidanti provenienti da circa 170 paesi per portare a casa la tanto ambita medaglia d’oro.
  “Siamo oltremodo contenti e motivati!” afferma Sharon Levy-Blanga, CEO della sede israeliana di Special Olympics che, dopo 30 anni di attività, è stata ufficialmente riconosciuta dal Ministero israeliano della Cultura e degli Sport come un’ufficiale federazione sportiva.
  “È la prima volta nelle vite dei nostri campioni che vengono riconosciuti per quello che sono: come atleti e non solo come persone disabili” spiega Levy-Blanga, orgogliosa.

- LA NASCITA DEGLI SPECIAL OLYMPICS WORLD GAMES
  Gli Special Olympics World Games hanno raggiunto oggi la loro 16esima edizione e, dopo un lungo processo di selezione iniziato nel 2017, si svolgeranno per la prima volta in Germania, nella città di Berlino.
  A differenza delle Paralimpiadi dove competono atleti con disabilità fisiche e motorie, gli Special Olympics World Games ospitano sportivi con disabilità mentali anche molto severe: sindrome di Down, autismo, ritardi cognitivi e ADHD (disturbo da deficit dell’attenzione).
   Nel 1960 le persone affette da questo tipo di disabilità vivevano nell’ombra della società, nascoste in case ed istituzioni, senza la possibilità di andare a scuola, lavorare e vivere una vita normale. Nessuno poteva immaginare che potessero acquisire talenti sportivi o beneficiare da esercizio e allenamento costante.
   Tutto cambiò nel 1968 quando, grazie alla visione rivoluzionaria di Eunice Kennedy Shriver (sorella dell’ex-presidente americano), 1000 atleti provenienti dagli Stati Uniti e dal Canada entrarono nello stadio Soldier Field di Chicago dando il via ai primi Special Olympics World Games. L’obiettivo chiave era di mettere in luce non le disabilità degli sportivi in gara bensì le loro abilità fuori dal comune e il loro valore nella società.
  Questo evento fu un punto di svolta che portò alla nascita dell’iniziativa Special Olympics, volta a promuovere le capacità delle persone affette da disabilità mentali attraverso percorsi di formazione svolti nelle sue sedi in tutti i paesi del mondo.
  Oggi Special Olympics è la più grande organizzazione sportiva mondiale rivolta a persone affette da disabilità mentali, includendo oltre 5 milioni di atleti da 174 paesi, e riconosciuta ufficialmente dal Comitato Olimpico Internazionale (IOC).

- GLI ATLETI ISRAELIANI
  Durante la scorsa edizione degli Special Olympics World Games, tenuta nel 2019 ad Abu Dhabi, Israele ha vinto ben 19 medaglie, di cui 4 ori, e Levy-Blanga è convinta che la nuova delegazione otterrà risultati ancora più importanti.
  Tra i 35 sportivi israeliani che quest’anno si cimenteranno in 7 discipline distinte (atletica, judo, nuoto, ciclismo, ping pong, calcio e bowling) vi sono alcuni ex-medaglieri, come i campioni di nuoto Avital Naveh (oro nei 100 metri individuali misti e bronzo nei 100 metri dorso) e Gilad Kalishov (bronzo nei 50 metri stile libero). Molti di questi atleti arrivano a Berlino con sete di rivincita, come Judoka Levav Barkan, la campionessa israeliana di bowling, vincitrice della medaglia d’argento ad Abu Dhabi e oggi pronta a combattere per il primo posto.
  La caratteristica che però unisce i concorrenti di questo grande evento sportivo è che molti di loro, se non tutti, hanno provato sulla propria pelle le discriminazioni per la loro condizione mentale e, ciononostante, hanno trovato la forza di raggiungere risultati incredibili. Per la squadra israeliana un esempio di ciò è rappresentato dalla 34enne Pazit Rubens che, come raccontato dal fratello Hanan in un’intervista al magazine The Jerusalem Report, da bambina era stata rifiutata da un gruppo di danza perché l’istruttore temeva che la sua condizione non l’avrebbe tenuta al passo con gli altri allievi. In seguito, grazie all’incoraggiamento di un maestro di ping-pong che la invitò a cimentarsi nel nuovo sport, Pazit dimostrò un’attitudine naturale per il tennis da tavolo, arrivando a vincere la medaglia d’oro a Kiel nel 2018 e a rappresentare Israele negli Special Olympics World Games del 2023.
  I giochi di quest’anno segnano inoltre un’importante svolta storica per lo Stato d’Israele che, per la prima volta, ha fatto partecipare una squadra di calcio femminile. La sua allenatrice è l’ex-calciatrice professionista Silvi Jan che si ritiene fiera di condividere la propria esperienza con le giovani atlete per guidarle alla vittoria.

- VITTORIE UNITE
  “Non siamo più noi e loro: si tratta di lavorare insieme e vincere come una coppia unita” spiega Levy-Blanga durante un’intervista a The Times of Israel quanto, tra le varie discipline presenti nelle Special Olympics World Games, siano soprattutto i giochi unificati a promuovere l’inclusività.
  Gli sport unificati sono competizioni che mettono nella stessa squadra persone con e senza disabilità per raggiungere insieme la tanto agognata medaglia d’oro.
  Tra gli esempi più giovani, orgoglio della delegazione israeliana, troviamo la coppia composta dalla tennista Sonia Yanushuk di soli 19 anni e dal 16enne Lior Reyach, campioni indiscussi dei giochi di Budapest dello scorso anno.
  “Se eravamo abituati a pensare che eravamo noi a fornire un servizio alle persone disabili, stiamo rigirando le carte e dimostrando che sono loro, invece, a dare un servizio a noi” afferma Levy-Blanga.
  Un grande passo in avanti verso una maggiore inclusività è stato raggiunto quest’anno con la nuova legislazione emanata dal Ministro della Cultura e dello Sport di Israele, Miki Zohar, che ha riconosciuto la Special Olympics come una federazione sportiva al pari del Comitato Olimpico e Paralimpico. Questo riconoscimento si accompagna ad un sostegno economico di 500.000 NIS (nuovo shekel israeliano), pari a 140.000 dollari.
  Secondo Levy-Blanga il supporto del governo darà una spinta ulteriore verso il riconoscimento del ruolo che questi atleti hanno nella società israeliana.
  Gli Special Olympics World Games non mostrano dunque solo lo sport puro e semplice ma rappresentano la lotta per i diritti umani. Levy-Blanga sottolinea che ogni atleta con la sua partecipazione sta valorizzando i propri diritti ad essere assunto, a studiare, ad avere una vita normale e che ogni associazione sportiva sia in grado di dargli il benvenuto: “questo è il messaggio più grande che li guiderà a casa, vincitori”.

(Bet Magazine Mosaico, 19 giugno 2023)

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Israele sta testando le varietà di uva più resistenti al cambiamento climatico

di Caterina Pucci

Nel deserto del Negev, a pochi chilometri dalla Striscia di Gaza, scienziati ed enologi lavorano per capire se e come l’uva da vino può crescere in condizioni estreme. Da almeno una decina di anni, Israele testa l’uva che resiste al cambiamento climatico, per creare una viticoltura in grado di adattarsi alle condizioni più avverse e sfruttare le risorse a disposizione nel modo più efficiente possibile.
  Lo ha ribadito Aaron Fait, professore della Ben Gurion University del Negev (Israele), intervenuto al convegno “L’agricoltura nel XXI secolo tra Italia, Usa e Israele“, ospitato a Roma lo scorso 16 giugno. L’evento, organizzato dal magistrato Stefano Amore, in collaborazione con l’Accademia nazionale di Agricoltura e il Cufa dell’Arma dei Carabinieri, ha visto la partecipazione, tra gli altri, del ministro per gli Affari economici e scientifici Ambasciata di Israele, Raphael Singer e il presidente del Crea Carlo Gaudio.

• Il deserto: un laboratorio per testare gli effetti dei cambiamenti climatici sulla vite
  “Da anni portiamo avanti un grosso progetto di viticoltura nel deserto israeliano del Negev, formidabile laboratorio in cui testare sulla vite gli effetti che i cambiamenti climatici hanno o potranno avere sui vigneti di zone non desertiche dove preservare la qualità delle uve sta diventando difficile – ha spiegato Fait durante il convegno – Queste sperimentazioni permettono di ottenere modelli per anticipare quella che sarà la condizione in Europa tra 20 o 30 anni. A oggi, ad esempio, osserviamo una riduzione di rese, in particolare su alcune varietà, che ci porta a prevedere la perdita fino al 60% della produzione a fronte di un incremento di temperatura di 2° C”.

• Le uve bianche resistono all’aumento delle temperature più delle rosse
  Nel corso del progetto si stanno valutando gli effetti di temperature dei grappoli anche oltre i 45°C su una trentina di varietà diffuse in tutto il mondo, dal Cabernet al Merlot a vari Moscati, per valutare la risposta a condizioni climatiche estreme.
  “Tra le evidenze è emerso che le varietà a bacca bianca si adattano meglio all’aumento delle temperature per la loro maturazione più veloce rispetto a quelle a bacca rossa”, ha aggiunto il professore, precisando che “sarà inevitabile l’utilizzo dell’acqua riciclata per l’agricoltura, che in Israele è pari all’80%, al 40% in Spagna mentre in Italia è quasi zero. Tra l’Italia e Israele – conclude – si sta aprendo uno dei tanti ponti per la ricerca scientifica soprattutto per i cambiamenti climatici, due paesi molto simili come struttura del terreno e del clima; d’altra parte Israele ha un’esperienza di decenni nell’efficienza dell’agricoltura e nello specifico della viticoltura.

• L’uva bianca del Negev, un cultivar dal passato antichissimo
  I viticoltori del deserto israeliano del Negev coltivano varietà d’uva moderne come il Pinot Nero e lo Chardonnay, ma un nuovo studio dimostra che le sabbie della regione ospitavano un tempo cultivar molto diverse, reliquie degne di nota sia per il passato che per il futuro.
  Come riportato dal sito britannico Decanter, uno studio pubblicato nei Proceedings of the National Academy of Sciences ha confrontato le informazioni genetiche di una manciata di vinaccioli provenienti dai resti di un monastero bizantino con centinaia di cultivar moderne e di uve selvatiche e da tavola provenienti da Israele e non solo.

“L’altopiano del Negev ha una storia interessante ancora non raccontata”, ha dichiarato Guy Bar-Oz, archeologo dell’Università di Haifa, che negli ultimi sei anni ha effettuato scavi di insediamenti bizantini nel deserto. Secondo i nuovi dati genetici, uno dei vinaccioli del Negev risaliva all’ottavo secolo e probabilmente proveniva da un’uva bianca.
  Se i resti archeologici confermeranno la scoperta, potrebbe trattarsi della prima uva bianca documentata in tutto il mondo – anche se lo studio osserva che lavori precedenti hanno suggerito che il colore bianco di alcune varietà ha origini multiple.

• Il vino di Gaza e l’antenato della Malvasia
  È possibile che quest’uva possa anche rispondere a un assillante mistero storico che circonda l’identità del famoso vinum Gazetum, o vino di Gaza, di epoca bizantina. Secondo Bar-Oz, ci sono riferimenti storici che parlano di questo vino bianco dolce, il vino di Gaza. Prodotto nel Negev e spedito attraverso il porto di Gaza, raggiungeva le coste del Mediterraneo e le tavole dei sovrani in Germania, Francia e Gran Bretagna.
  Bar-Oz e il suo team hanno scoperto che un’altra uva antica era un antenato di una varietà rossa moderna chiamata Asswad Karech nel vicino Libano. Coltivata sull’isola di Creta, a più di mille chilometri di distanza, una progenie dell’Asswad Karech serviva a produrre un altro vino storico, la Malvasia, famosa nel Medioevo e prodotta ancora oggi sull’isola.
“Le uve che si coltivano nella regione del Negev oggi sono varietà europee, perché le viti originarie si sono perdute nel tempo. Ma dopo questo ritrovamento il nostro obiettivo è quello di provare a ricreare quel vino antico, e forse riusciremo a riprodurne il gusto e il sapore, e capire cosa lo rendesse così pregiato”, ha commentato il professor Guy Bar-Oz, direttore dello scavo per l’ateneo israeliano.

• Recuperare antiche varietà perdute per rispondere alla crisi climatica
  “Le varietà europee di uva che si coltivano oggi richiedono grandi quantità d’acqua, e anche in queste zone aride, in qualche modo, con la tecnologia, si riesce a provvedere, cosa che difficilmente poteva accadere 1.500 anni fa. E forse il segreto della qualità di questo vino era nelle caratteristiche di un uva che, con il giusto metodo, riusciva a dare buoni risultati anche in condizioni di aridità” prosegue Bar-Oz.
  Il segreto del Negev fa gola a molti produttori in zone come la Napa Valley, in California, dove l’accesso alle risorse idriche sta diventando una questione critica.
  “Il Negev è un’area che riceve circa 100 millimetri di pioggia in un anno buono, con forti fluttuazioni tra le stagioni”, ha detto Bar-Oz. Tuttavia, la viticoltura è stata molto fiorente in quest’area nel corso dei secoli.
  Secondo lo studio, i parenti stretti delle “uve archeologiche” dei giorni nostri potrebbero fornire una piattaforma per studi futuri sulla resistenza della vite a tali condizioni.
  Gli studi in corso nel Negev non sono preziose solo per la comprensione del nostro passato. I ricercatori sostengono che il loro lavoro possa essere rilevante anche per far fronte alle sfide climatiche di oggi, come in forma diversa sta avvenendo in Messico con la riscoperta dell’uva misión. Se le comunità del deserto sapevano come progettare notevoli sistemi di irrigazione, era altrettanto vitale per loro selezionare le giuste cultivar di vite, in quello che è un clima insolitamente estremo per la Vitis vinifera.

(I Grandi Vini, 19 giugno 2023)

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Spie italiane e del Mossad sul Lago Maggiore. Cosa è successo veramente?

di Ze’ev Abrahami

Il poliziotto locale della città di Stresa guarda nervosamente di lato, forse temendo che qualcuno ci senta. “Nessuno dice di non parlare”, chiarisce, “ma è chiaro che, dopo aver saputo chi è e dopo che la polizia ha sgomberato ogni prova dalla zona in pochi minuti, è meglio non disturbare”.
  Ma è chiaro che a due settimane dal misterioso affondamento del battello turistico Gooduria tutti si occupano di “questo”. Stresa, vicino alla sponda occidentale del Lago Maggiore, dove è affondato il battello, è il tipo di città che ha automaticamente il termine “pittoresco” legato al suo nome.
  Domenica di due settimane fa, al ristorante Il Verbano, ha cenato un gruppo che sembrava un qualsiasi gruppo di turisti. Nelle foto sembra una festa di compleanno o di laurea. Poi sono tornati in barca. Durante il viaggio, a poche centinaia di metri dalla riva, si scatenò improvvisamente una tempesta che rovesciò la barca e la fece affondare. Due italiani, un russo e un israeliano sono morti. Si scoprì poi che tutti i membri del gruppo erano ufficiali dei servizi segreti, e l’israeliano morto fu identificato come un “pensionato del Mossad” che era ancora impiegato nelle riserve.
  La tempesta mediatica si è abbattuta con la stessa rapidità della tempesta che ha affondato la nave: in un sol colpo Stresa e tutto il Lago Maggiore sono diventati una meta turistica ambita, teatro di una guerra segreta condotta dalle organizzazioni di intelligence di tutto il mondo.
  Nel frattempo, “non è finita”. Il poliziotto locale dice che l’attività clandestina continua. “Qui ci sono strade bloccate, molte cose vengono confiscate per l’identificazione forense, e ogni sera arrivano sul luogo del disastro barche con enormi torce elettriche e sommozzatori che scendono sul fondo”.

• A cosa servono i sommozzatori?
  “Gli israeliani hanno dichiarato di aver perso i loro documenti nel naufragio, ma molte persone pensano che ciò che è andato perduto siano stati faldoni e valigie di documenti. Un compleanno è l’ultima cosa che è successa su questa nave”.
  Il 28 maggio era domenica, la festa di Pentecoste, la versione cristiana di Shavuot. Un lungo fine settimana. L’estate si risvegliava dal suo lungo sonno primaverile e il Maggiore, il secondo lago più grande d’Italia, e tutti i paesi intorno ad esso, prendevano vita. La gente nuotava nel lago e nelle piscine, faceva picnic, i chioschi dei gelati offrivano la loro merce ai bambini, le birre venivano versate in enormi boccali sui tavoli all’aperto. Gli abitanti del luogo e i turisti noleggiavano ogni imbarcazione possibile per navigare sul lago. Vicino alle banchine, gru mobili si occupavano di calare con cura barche di tutte le dimensioni, ad uso dei vacanzieri. I meteorologi hanno emesso un avviso di “codice giallo” per il resto della giornata – cioè si prevede tempo burrascoso – ma cosa capiscono i meteorologi quando c’è una bella giornata per navigare?
  Nella tarda mattinata, un gruppo di 13 israeliani, uomini e donne, è arrivato in auto a noleggio dagli hotel vicino all’aeroporto di Milano al cantiere navale Piccaluga nella città di Lisanza, nella parte sud-orientale del lago. Lì si sono uniti a otto italiani. Tutti sono saliti a bordo della barca, chiamata Gooduria (un gioco di parole in italiano con la parola “piacere”). L’imbarcazione, lunga 16 metri, ha già circa 40 anni, ma di recente è stata sottoposta a una ristrutturazione che le ha permesso di imbarcare 15 passeggeri anziché 11. Ora i 21 passeggeri, e con loro lo skipper e sua moglie, iniziano il viaggio verso nord. In jeans, scarpe da ginnastica, maglietta o polo, assomigliano facilmente a decine di migliaia di altre persone. Il motivo ufficiale della crociera è una festa di compleanno per uno dei membri dell’equipaggio; a posteriori si sa che se c’è qualcosa in cui questo gruppo è un campione, è assimilarsi alla folla e trovare ragioni ufficiali per la loro vera attività.
  Dopo un’ora scarsa, si fermano e gettano l’ancora per visitare l’Isola dei Pescatori, la più piccola delle Isole Borromee nel Lago Maggiore. Si fa un giro lì, poi si va a festeggiare al ristorante Il Verbano, un ristorante di lusso dello chef Marco Sacco, che lo definisce “esclusivo e intimo, dove il tempo si ferma”.
  Non sto esagerando. Questa settimana, quando ho ripercorso il tragitto del gruppo di agenti segreti, ho raggiunto anche la piccola isola su cui si trova il ristorante. È un arcipelago bellissimo e verde, a circa 300 metri dalla spiaggia. La sua superficie è di 400×100 metri. Numero di residenti permanenti: 25. Il reddito principale proviene dalla pesca, soprattutto per i ristoranti locali dell’isola, visitati ogni anno da centinaia di migliaia di turisti.
  Il gruppo di israeliani e italiani di quella domenica non era diverso dagli altri turisti: anche loro hanno mangiato il pesce locale. Questa settimana ho cercato di parlare con i dipendenti del ristorante, dopo aver preso un appuntamento telefonico con il direttore ed essere stato invitato sul posto. Ma quando hanno saputo di cosa chiedevo, si sono tappati la bocca e hanno annunciato che non avrebbero detto una parola. Dato che i camerieri italiani non sono famosi per il loro silenzio, dall’esterno sembra che siano in apprensione o che abbiano ricevuto un avvertimento da qualcuno.
  Fuori dal ristorante, ogni 20 minuti circa, piccole imbarcazioni andavano e venivano dall’isola. Circa 40 turisti per barca, cinque euro a testa per ogni tratta. Sette o otto minuti di navigazione per arrivare qui, sette o otto minuti per tornare. Affari. Quando ho iniziato a girare l’isola, sono arrivato a un punto che domina la funivia che sale al Mottarone. Qui, con la dolorosa esattezza di due anni meno una settimana, una famiglia israeliana ha iniziato la sua giornata – finché la funivia non è crollata. I cinque membri della famiglia Biran che si trovavano nella funivia sono rimasti uccisi, insieme ad altri nove turisti. L’unico sopravvissuto è il giovane Eitan Biran.
  Due anni dopo, meno di una settimana, arriva qui anche il team italo-israeliano. La barca getta l’ancora accanto al molo, sale sulla passerella e sale sull’isola. Alla loro destra si trovano il ristorante e l’hotel che porta lo stesso nome. Poco dopo le 17.15, prima ancora che arrivino al piatto principale, il meteorologo aumenta il suo allarme sul tempo. La maggior parte delle imbarcazioni del lago torna a riva, ma non Gooduria. Salpa di nuovo alla fine del pasto, tra le 18.00 e le 19.00. Alla loro destra si vedono le magnifiche Alpi.
  Anche martedì di questa settimana, quando siamo arrivati sull’isola, il meteorologo ha dato un avviso di “codice giallo”, che significa che il tempo sta per cambiare. È proprio quello che è successo: le nuvole pesanti sono scese a visitare e baciare le cime degli alberi. La pioggia è caduta e i venti hanno soffiato. Una tempesta molto più forte è riuscita ad affondare il Gooduria, ma Marco lo spagnolo ha detto che i nostri non avrebbero avuto problemi a navigare.
  “È stato un errore dello skipper”, dice a proposito dell’incidente. “Un bravo skipper se ne sarebbe tirato fuori, e uno skipper come me non si mette mai in una situazione del genere”. Ho suggerito che avremmo potuto aspettare un po’, finché il lago e i venti non si fossero calmati; lui mi ha chiesto di non preoccuparmi, mi ha lanciato dei sacchetti per il vomito e mi ha offerto un giubbotto di salvataggio. “Se avesse insistito perché tutti ne indossassero uno durante la crociera, nessuno sarebbe morto”, dice.
  Quella domenica, alle 19:20, davanti alle spiagge di Varazze e alla città di Sesto Calende, l’avvertimento del meteorologo è diventato realtà. Fino a quel momento il cielo era azzurro e il mare piatto, ma all’improvviso il cielo è diventato grigio, le nuvole pesanti hanno riversato una pioggia terribile e i venti alla velocità di circa 70 chilometri all’ora hanno fatto infuriare le onde.
  “Quella domenica ero seduto al settimo piano, nello Sky Bar dell’Hotel La Palma”, racconta il poliziotto locale. “Era una giornata perfetta. Sole piacevole, temperatura elevata. E all’improvviso, in 30 secondi, tutto si è capovolto. Un uragano davanti ai nostri occhi. Ma non c’erano più imbarcazioni sul lago quando è successo”.
  Il Gooduria trema a destra e a sinistra. La moglie dello skipper, che non sa nuotare, inizia a urlare istericamente e a pregare in russo. Anche una donna italiana del gruppo ha un attacco di panico ed entrambe vengono portate sottocoperta. “Nel giro di 30 secondi ci ha colpito un’apocalisse”, ha detto lo skipper Claudio Carminati, “la barca è affondata e siamo finiti tutti in acqua”.
  Le due donne calate nella pancia della barca annegano immediatamente. Un altro uomo italiano affonda sul fondo del lago, senza vita. Un uomo israeliano cerca con tutte le sue forze di salvare altri due passeggeri. Ci riesce, poi muore e il suo corpo galleggia sulla superficie dell’acqua. Gli altri presenti nuotano per 150 metri fino alla riva, oppure vengono avvistati dalle poche barche rimaste nel lago e accorrono in loro aiuto. I loro uomini li raggiungono con i remi e altri aiuti di salvataggio.
  Alessandro, 30 anni, era uno dei soccorritori. Stava navigando in barca con un amico, vicino a Sesto Calende. Altri due amici stavano navigando accanto a loro in un’altra barca.
  “Stavamo già tornando a casa quando è iniziata una tempesta come non ne avevamo mai viste”, ricorda. “Abbiamo 30 anni e l’acqua fa parte della nostra vita da 25 anni. Viviamo per questo e pensavamo di aver visto tutto. Ma non abbiamo mai visto nulla di simile. Sembrava di navigare in una nuvola. Poi sono iniziate le grida e le urla che ci sono giunte dalle vicinanze. Non sembrava normale. E proprio in quel momento uno stormo di gabbiani è passato sopra di noi e abbiamo pensato che fossero loro la fonte delle urla, ma le urla non si sono fermate. Urla terribili, di persone che imploravano per la loro vita. Abbiamo raggiunto la zona ed era una scena da film catastrofico: frammenti di alberi e sedie che galleggiavano sulla superficie dell’acqua, e tra loro persone che cercavano di lottare per la propria vita. Abbiamo iniziato a gettare in acqua tutto il possibile perché cercassero di galleggiare, abbiamo iniziato a mandare loro i remi che avevamo per trascinarli verso la barca e salvarli. Li abbiamo caricati e abbiamo continuato la missione di salvataggio. L’altra barca è andata a chiedere aiuto alle forze di soccorso. E quando non c’era più nessuno da caricare”.
  Sulla spiaggia, bagnati ed esausti, i sopravvissuti sono stati interrogati dalle forze di sicurezza. Gli israeliani hanno sostenuto che tutti i loro documenti erano andati perduti nell’affondamento. Insieme agli italiani, sono stati evacuati negli ospedali di Boracay. In meno di un giorno sono stati dimessi e miracolosamente tutti i loro documenti di ricovero sono scomparsi. Così sono scomparsi anche tutti i documenti di registrazione degli israeliani nell’hotel. In meno di un giorno sono stati tutti rilasciati. Gli israeliani non si sono nemmeno preoccupati di restituire le loro auto a noleggio. Un aereo destinato alle missioni speciali li riporta a Tel Aviv.
  I media italiani annunciano che quattro persone sono morte annegate: Claudio Alonzi, 62 anni; Tiziana Barnovi, 53 anni; un israeliano di 50 anni e la russa Vanya Buzkova, moglie dello skipper della barca, Carminati. Solo un mese fa avevano fondato una società chiamata Love Lake, che offre colazioni e gite in barca sul lago.
  Questa storia, per quanto tragica, sarebbe stata sicuramente raccontata per qualche ora, per poi scomparire nel flusso delle notizie dei media italiani. Ma poi c’è un colpo di scena: si scopre che gli otto italiani e i 13 israeliani lavorano, o hanno lavorato, per i servizi segreti di sicurezza dei loro Paesi. L’israeliano era un ufficiale dell’intelligence del Mossad e il capo della missione, un uomo molto attivo nelle attività operative e che negli ultimi tempi si occupava soprattutto dei rapporti con le agenzie di intelligence straniere. La Repubblica intitola la vicenda agli “007”, il Corriere della Sera incorona l’evento con il nome di “summit del Lago Maggiore”, e gli italiani cominciano a chiedersi cosa sia successo davvero.
  “Siamo diventati un centro di spionaggio internazionale?”. Si è chiesto questa settimana Giovanni Bozzi, sindaco della città di Sesto Calende, sulle cui rive è affondata la barca. Ebbene, le persone con cui abbiamo parlato questa settimana lungo le sponde del Lago Maggiore hanno avuto una risposta inequivocabile: sì.
  Il paesaggio intorno al lago è davvero pieno di James Bond, ma non è questo il motivo per cui l’area del Maggiore è diventata improvvisamente una vivace scena di intelligence internazionale, intrighi e cospirazioni.
  Questa regione, nell’Italia settentrionale, si trova a un crocevia che è diventato critico negli ultimi anni. È molto vicina al confine meridionale della Svizzera e a quello orientale della Francia. La Svizzera è sempre stata un rifugio per banche segrete e società di paglia di ogni tipo. La Francia è una delle mete preferite dagli oligarchi russi, spesso legati ai lati oscuri dei regimi del mondo. L’Italia in generale, e il nord in particolare, è un centro globale per aziende e startup ad alta tecnologia che si occupano e producono prodotti, sistemi, software per l’industria spaziale e aeronautica, e soprattutto componenti per uso civile che possono essere utilizzati anche per scopi militari, compresi i componenti per i droni.
  Dopo l’invasione russa dell’Ucraina e l’inasprimento dei legami militari tra Iran e Russia, lo spionaggio internazionale nella regione ha ingranato la marcia più alta. Molti oligarchi si sono trasferiti sulla sponda orientale del Piemonte, a Verbania, in Italia. Altri, la cui residenza è in Francia, possono raggiungerla in poche ore. Hanno utilizzato banche in Svizzera, un Paese che non aveva ancora sentito parlare di una legge antiriciclaggio che non poteva essere piegata per superare l’embargo economico occidentale, hanno acquistato costosi immobili e costruito un hotel a sette stelle. In breve tempo, anche i russi iniziarono a mediare e a impegnarsi nella vendita di droni iraniani all’esercito russo. Allo stesso tempo, sempre più agenti iraniani venivano in Italia per fiutare l’acquisto di tecnologie e componenti per i loro progetti di armamento.
  “Qui ci sono decine di aziende italiane all’avanguardia. Siamo una parte molto significativa dell’industria e delle esportazioni italiane”, mi dice un dipendente di una di queste aziende tecnologiche italiane, nella zona industriale della vicina Lombardia. “Quindi, comprensibilmente e chiaramente, c’è molto spionaggio industriale qui, non siamo innocenti. Ma negli ultimi mesi si è intensificato a livelli che non conoscevamo. Ci sono hackeraggi, sorveglianze, dispositivi di ascolto impiantati. Prima c’era una normale distribuzione di persone che volevano reclutare per le aziende; ora tutte le aziende cercano solo combattenti nell’arena cibernetica. Non è normale”.
  Che cosa hanno fatto gli agenti israeliani e su che cosa hanno collaborato con gli agenti italiani? Ci sono molte teorie che girano sul lago. Spiare i russi è un’ipotesi. Ma un’ipotesi molto più concreta è che, alla luce degli allarmanti e costanti progressi degli iraniani nel progetto nucleare, abbiano collaborato contro i funzionari e gli agenti iraniani che si aggirano in Italia, soprattutto in questa regione, alla ricerca di tecnologie da acquistare per il loro Paese e per approfondire i legami economici tra le aziende italiane e il regime iraniano.
  “Può darsi che sia tutto vero, che siano solo andati in barca insieme e abbiano festeggiato un compleanno e che qui non ci sia nessuna storia alla James Bond, ma solo una barca con delle persone a bordo finita nel posto sbagliato al momento sbagliato”, mi dice il poliziotto locale. “Ma qui ci sono troppe coincidenze e troppe circostanze, e a me e ai miei amici sembra un’operazione, o una crociera della vittoria per un’operazione che si è conclusa con successo”.

• Di quale operazione sta parlando?
  “La spiegazione è che sono riusciti a impedire che gli iraniani mettessero le mani su armi avanzate o che impedissero loro accesso ad armi strategiche o la proliferazione di armi non convenzionali. Non posso confermare o verificare nulla di quello che dico, perché è ancora una spy story, ma è così che appare agli esperti di sicurezza qui presenti”.
  “Le ho già detto che non siamo innocenti”, dice un operaio di una delle industrie della difesa nella regione industriale della Lombardia, una delle province più ricche d’Italia. “Chiunque lavori qui, ogni manager, ogni programmatore e ogni receptionist sa esattamente su cosa sta lavorando. Non mentiamo a noi stessi. Posso dire che lavoro nella programmazione per un’azienda aerospaziale, ma è solo un bel nome per un’industria di armi. E possiamo dire che produciamo solo prodotti e tecnologie per uso civile, ma è chiaro che non è tutta la verità. Stiamo contribuendo alla produzione di questa o quella arma, alcune delle quali, alla fine, raggiungeranno anche Paesi e autorità che non sostengo né mi fido”.

• E come si convive con questa situazione?
  “Il mio governo non mi ha ancora detto che è vietato, e non mi ha detto che smetterà di fare affari con l’Iran. E ora sento che un’agenzia che appartiene al mio governo è membro di un’agenzia di un altro governo, e sta cercando di impedire qualcosa che non è vietato. Spero che gli israeliani abbiano dato all’Italia una buona ricompensa per questa assurdità. Quindi, continuo a venire in ufficio ogni giorno e a fare il mio lavoro, senza pensare troppo a ciò che significa.
  “D’altra parte, anch’io vivo qui e capisco che la gente ha paura di quello che ci sarà qui e di quello che potrebbe accadere, anche a causa dei nuovi residenti russi. E so di essere parte del problema. E personalmente, ve l’ho già detto, c’erano molte preoccupazioni riguardo allo spionaggio qui. Ora, quando la questione è esplosa con il disastro, tutto è diventato più formale, ufficiale. Non si tratta più di speculazioni. C’era un gruppo di persone del Mossad che si è unito all’intelligence locale, e sapete cosa fanno insieme. Sono spie. Non è una cosa che ti fa dormire bene la notte”.
  Le esportazioni italiane verso l’Iran sono state pari a 532 milioni di euro nel 2021, l’ultimo anno per il quale esistono dati validi. “L’Italia dei governi precedenti era un’Italia che si comprava assicurazioni di qua e di là”, mi spiega un accademico italiano che fa parte di un think tank sulla sicurezza a Roma. “Era anche al fianco di Israele nella lotta al terrorismo, e teneva d’occhio anche il commercio delle industrie italiane con il regime iraniano”.

• E ora?
  “Il cambio di governo in Italia ha cambiato completamente il quadro. Potrà condannare Israele sulla questione palestinese, ma in modo molto più debole. Allo stesso tempo, adotterà misure molto più drastiche per prevenire, o almeno non essere partner di armi nucleari e terrorismo islamico. Questo è un punto molto forte, e si tratta di una questione che riceve un’attenzione molto significativa nell’amministrazione, anche a causa della crisi dei rifugiati. Per gli italiani, questa è una situazione in cui non possono che trarre vantaggio: stanno anche cercando di fermare la bomba iraniana e, nel frattempo, stanno studiando il lavoro di spionaggio in una delle migliori scuole del mondo”.

• Ma si tratta pur sempre di mezzo miliardo di euro di entrate all’anno, non è una cifra trascurabile.
  “Credo che l’Italia imparerà a fare affari per vie traverse e per interposta persona. Ma non è un’entrata che può facilmente trascurare. È un po’ una prova di carattere, come per tutti i Paesi occidentali: Cosa si è disposti a pagare per stare dalla parte giusta delle cose”.
  All’esterno dell’impianto tecnologico, mentre parlo con l’impiegato, decine e forse centinaia di dipendenti, la maggior parte dei quali fino alla metà del quarto decennio, si riversano intorno a noi dagli uffici delle aziende. Sono usciti per fare una pausa o per pranzare. Alcuni hanno finito il turno e sono tornati a casa in auto. Sembrano proprio persone che lavorano nell’high-tech: scarpe da ginnastica, maglietta o polo e jeans, lo stesso abbigliamento indossato dai passeggeri della nave del disastro. L’italiano ha cercato di spiegarmi qualche proverbio italiano. Non ho capito bene, ma lo tradurrò approssimativamente: chi va a letto con i componenti del reattore nucleare in Iran, non deve sorprendersi se al mattino si sveglia quando una nave spia naviga davanti a casa sua.
  Tutti qui – almeno quelli che sono disposti a parlare – hanno una teoria o una spiegazione per quello che è successo a Majora. Anche per Paolo, un altro skipper del porto da cui è salpato il gruppo. “Prima di tutto, tutti sanno che il capitano che li ha presi non è un capitano che si assume per una crociera, né lo è la sua barca”, spiega. “Lo si assume perché è un uomo di logistica. Organizza le cose. Non fa domande, porta 23 persone quando ne sono ammesse solo 15. E sua moglie parlava russo, il che significa che non è possibile fare una crociera. E sua moglie parla russo, il che è un grande vantaggio per le spie”.
  “Ora, c’è anche il percorso che hanno fatto sulla via del ritorno. Avrebbero dovuto tornare indietro da dove erano venuti, e così avrebbero evitato i venti e il tempo pazzesco. Ma hanno percorso qualche chilometro in più verso Ispra. Ispra è la sede dell’Euratom – una delle più grandi aziende al mondo in materia di scorie radioattive e uno dei più grandi laboratori al mondo per la sperimentazione e la ricerca sull’uso dell’energia atomica – e lo skipper si è vantato per tutta la settimana di aver prenotato una crociera con un gruppo di scienziati dell’Euratom per lunedì, il giorno dopo il naufragio. E sono abbastanza sicuro che non avrebbero dovuto essere soli in crociera. A mio parere, le agenzie volevano un luogo completamente privato, per poter scambiare informazioni e documenti, e lui glielo ha fornito”.
  Il capitano della Gooduria è ora sospettato di aver causato la morte per negligenza e di aver navigato con troppe persone. La causa sostiene che a causa del peso aggiuntivo era più difficile per lui governare l’imbarcazione in caso di tempesta.
  Il morto israeliano è stato portato ad Ashkelon per la sepoltura, alla quale ha partecipato anche l’attuale capo del Mossad, David Barnea, che ha reso omaggio. I media italiani lo hanno identificato come Erez Shimoni, anche se molti sono convinti che si tratti di un nome falso. Tutti i sopravvissuti israeliani hanno fornito la stessa versione dei fatti al momento del disastro. “Tutto era perfetto”, ha scritto la stampa locale dopo che sono stati resi noti i dettagli del caso e l’identità delle persone sulla barca, “tranne la festa di chiusura”.
  La procura italiana sta sì indagando sul disastro, raccogliendo ogni brandello di informazione, attivando i reparti della scientifica e portando i sommozzatori sul luogo del naufragio, ma ha già chiarito che intende indagare solo sul naufragio in sé e sulle morti che ne sono derivate, e non indagherà sui rapporti tra le persone che erano sulla barca e su quello che stavano facendo.
  Questo lascia il poliziotto locale con molte domande: “Quando ho sentito l’ordine delle cose, come sono accadute e chi era coinvolto, ho iniziato a chiedermi: Chi è rimasto nel lago? Una barca, una sola? Chi viene da Milano – e ha navigato fino all’isola per festeggiare il compleanno di uno dei membri dell’equipaggio? Questo non è un posto per il compleanno di uno dei membri dello staff, questo è un posto dove si viene a festeggiare qualcosa di veramente grande. Un gruppo così numeroso, a questi prezzi, con uno staff che per tutta la vita ha imparato a vivere all’ombra della vita? Si viene in un posto come questo per festeggiare qualcosa di molto più grande di un compleanno. Molto più grande”.
  Quanto grande? Forse non lo sapremo mai. Ma probabilmente abbastanza grande da destare preoccupazione.
  “So che si tratta di una catastrofe personale e nazionale”, mi dice un membro del consiglio di amministrazione del porto turistico, “ma è anche una catastrofe per noi che lavoriamo nell’industria del turismo del Lago Maggiore. Prima c’è stata la pandemia di coronavirus che non ha avuto precedenti in tutto il mondo; poi c’è stato il disastro della funivia. Tra i suoi morti c’era anche una famiglia israeliana; e ora questo. Non è una buona cosa per il nostro turismo”.
  Non state esagerando un po’? La gente sarà impegnata per un’altra settimana e tra due settimane non ci saranno abbastanza barche per i turisti.
  “Lei pensa? Pensaci bene. C’è un notiziario mondiale che parla di spie israeliane e italiane che lavorano insieme e che hanno avuto un incidente. Quanto tempo pensi che gli iraniani e gli americani, gli inglesi e i tedeschi verranno qui per cercare di capire perché il Mossad era qui? Quanto tempo pensa che passerà prima che i russi comincino ad avvelenare la gente qui? Vi dico che questo è un duro colpo per noi”.

(Rights Reporter, 19 giugno 2023)

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«Lascio la sanità, non la riconosco più»

Il primario di Novara, pioniere delle cure precoci contro il Covid: «La scienza alla fine mi ha dato ragione, eppure il sistema mi ha isolato. La pandemia è finita non grazie ai vaccini, ma perché il virus è mutato»

di Angela Camuso

«Non è più il mio mondo ... ». Con questa frase inizia il messaggio che il professor Pietro Luigi Garavelli, primario infettivologo dell'ospedale di Novara, sta inviando in questi giorni ai suoi contatti telefonici per annunciare la sua imminente uscita di scena dalla sanità pubblica, avendo deciso di andare in pensione con sei anni di anticipo. «Ho svuotato il mio studio di Novara. Dal 31 luglio inizierò il percorso che mi porterà alla pensione ... » scrive oggi, anche se in realtà lo aveva deciso - e preannunciato - poco meno di due anni fa, all'indomani della bufera mediatica e dell'azione disciplinare che subì a causa di un suo intervento pubblico in una piazza di Alessandria, durante una manifestazione no Greenpass (ma etichettata come no vax), in occasione della quale Garavelli fece affermazioni sui vaccini anti Covid che non erano in linea con quelle che il governo stava divulgando.
  Garavelli disse, in quell'occasione, che quei vaccini che venivano propagandati dalle autorità come unica soluzione salvifica per uscire dalla pandemia in realtà non lo erano e così, lui che fu il primario più giovane d'Italia (a soli 38 anni); lui che ha pubblicato ben 300 lavori scientifici, di cui 119 indicizzati; lui che è stato insignito di prestigiosi riconoscimenti a livello internazionale; lui che ha coniato anche il nome di una malattia parassitaria (la blastocistosi): lui che è stato pure revisore della rivista The Lancet; lui che insomma ha un curriculum che per scriverlo non basterebbe questa pagina, fini alla gogna e fu punito da parte dell'ospedale di Novara con la sanzione disciplinare della «censura». Censura che il prof ha rispettato, senza pero rinnegare quanto detto. Anzi. La sua uscita di scena volontaria appare piuttosto una denuncia implicita contro la censura appunto, subita, anche se lui, sia chiaro questo non lo dice, visto che fin quando non sarà andato in pensione è ancora dipendente pubblico e dunque soggetto alle regole che gli impone l'azienda sanitaria di Novara, alla quale infatti il professore ha chiesto l'autorizzazione per questa intervista. Autorizzazione che è stata accordata.

- Professore, che significa quella frase: «Non è più il mio mondo»?
  «Non è più il mio mondo perché non è più il mondo di mio papà, medico condotto che era disponibile h24 e 365 giorni l'anno. Adesso il medico è un dipendente pubblico che è stato burocratizzato. Io credevo in tante cose ma la medicina è cambiata. Io credevo innanzitutto nell'assoluto valore della scienza; credevo nel dibattito scientifico; credevo nel sistema sanitario pubblico. Io sono cresciuto cosi, ma le ultime vicende personali mi hanno reso più agnostico, più ... triste, perché dato che col tempo la scienza mi ha dato ragione, io mi sarei aspettato che qualcuno mi desse un buffetto dicendo: "Hai avuto ragione". E invece tristemente non ho mai sentito nessuno. È rimasta l'immagine di me che arringavo la folla in una piazza di Alessandria con un megafono, senza che si sia saputo quello che in realtà avevo detto, cioè cose vere. Per questo lascio, con profonda amarezza. Per questo ho scritto "Non è più il mio mondo"».

- Ecco, professore, ma perché lei è stato diffamato? Quando lei disse certe cose, due anni fa, le disse già all'epoca in nome della scienza ...
  « Io ho sempre cercato di spiegare l'andamento della pandemia con le mie conoscenze scientifiche».

- Invece si continua, nell'opinione comune, a sostenere che le autorità abbiano preso decisioni in nome della «Scienza» e ora che molte di queste decisioni si sono mostrate errate, qualcuno sostiene che la «Scienza» abbia sbagliato.
  «Io ho seguito la mia linea. E voglio parlare solo di quello che ho fatto e cioè: insieme ad altri a livello italiano e a livello internazionale, ho sostenuto l'utilità delle cure precoci le quali, all'epoca, si facevano con l'utilizzo dei farmaci che avevamo già a disposizione e mi riferisco all'idrossiclorochina, all'ivermectina, all'azitrornicina eccetera, che non erano costruiti sul Sars-Cov-z ma funzionavano, mentre adesso ci sono dei farmaci specifici proposti dal mercato - e mi riferisco al Molnupiravir, al Paxlovid e al Remdesivir - che sono degli antivirali disegnati su Sars-Cov-z, che sono sostenuti da tutta la comunità scientifica perché essendo farmaci specifici nessuno si può tirare indietro. Tuttavia anche questi nuovi farmaci funzionano solo se impiegati precocemente. Tanto più una malattia come questa viene curata precocemente tanto più è possibile guarire e questo è un concetto generale di tutte le malattie infettive. Noi abbiamo fatto le cure domiciliari nell'ambito di un protocollo che all'epoca fu approvato dall'assessorato alla Sanità della Regione Piemonte e fu fatto uno studio che ha dimostrato che riducevano sensibilmente le ospedalizzazioni. Io ne ho parlato al Senato; l'assessore regionale alla Sanità ne ha parlato più volte alla conferenza Stato-Regioni ... Ma non voglio entrare in polemica con coloro che hanno seguito un'altra via. Io ho seguito la mia via, la mia coscienza e quello che sapevo e ora il tempo mi dà ragione. Questo sia sulle cure sia sui vaccini. lo sui vaccini ho sempre sostenuto la necessità di avere vaccini aggiornati perché il virus muta e supera i vaccini. Il virus è la lepre dove il vaccino è la tartaruga».

- Quindi non è vero che siamo usciti dalla pandemia grazie ai vaccini. ..
  «Senta ... Questo virus vuole sopravvivere, come tutti i microrganismi. I virus tendono, nella loro evoluzione darwiniana, a modificare le loro caratteristiche attenuando la loro aggressività e questa è una grande lezione di biologia. Poi, c'è la tendenza del sistema immunitario dell'uomo che si rafforza man mano che affronta nuove patologie, perché anche da paucisintomatico inizia a sviluppare una risposta immunitaria specifica e aspecifica».

- E questo si sapeva già...
  «Ovviamente».

- E a proposito degli effetti collaterali?
  «Io non li vedo perché non è questo il mio lavoro, ma su questo tema suggerisco di ascoltare quanto sostiene il professor Ciro Isidoro, professore ordinario di patologia generale, che è un grande esperto sia sull'efficacia di questi vaccini anti Covid a mRna sia sulle problematiche che possono causare. Isidoro ne ha parlato all'International Covid Summit di Bruxelles. È stata una delle relazioni più interessanti, perché lui parla con cognizione di causa. Il tema invece su cui vorrei intervenire, essendo sindacalista, è il futuro della sanità pubblica, perché c'è il problema dell'effettiva accessibilità delle cure, in generale, per tutte le patologie. Avere i farmaci a disposizione non  è la stessa cosa di poterne veramente usufruire. In una sanità dove non ci sono più investimenti in termini economici, dove non sono stati programmati gli organici medici e infermieristici, l'accessibilità delle cure sta diventando sempre più difficile. Il Covid è stato l'epifenomeno di una crisi profonda della sanità italiana. Il Covid ha accelerato e fatto vedere le magagne della sanità».

- Professore, questo suo addio alla professione di medico ci fa tornare alla mente un altro addio, tragico e probabilmente causato da motivazioni simili alle sue ... Mi riferisco al caso di Giuseppe De Donno ...
  «Io alcuni strascichi li ho ancora. Ad esempio sono diventato un po' più insonne ... non so se riesco a rendere l'idea. Io ho avuto vicino la mia famiglia».

- Mi sta dicendo che anche lei ha subito psicologicamente in maniera forte gli attacchi che le sono stati fatti?
  «Guardi, io in realtà li subisco ancora di più adesso, perché c'è la rabbia dovuta al fatto che io ho avuto ragione e nessuno delle istituzioni me lo ha riconosciuto. Avrebbero potuto dirmi: "Avevi ragione, è capitato così, capiscici ...". Invece silenzio assoluto».

- Eh ma se le istituzioni ammettessero che lei aveva ragione ciò vorrebbe dire che esse avevano torto. Vorrebbe dire ammettere che a causa della negazione dell'efficacia delle cure precoci c’è stata una colpa rispetto a tantissime morti che si potevano evitare.
  «Per questo può comprendere perché voglio tornare a casa, nel "mio mondo". Me ne sto tra le mie colline. Io ho aderito all'Unci, Unione nazionale dei cavalieri italiani, perché  è un modo per ricordare l'unica cosa bella che ho ricevuto: mi hanno nominato Cavaliere per il mio impegno contro il Covid. E poi mi sono portato avanti. Ad Alessandria ho fondato il "Lions Club Alessandria Valmadonna Valle delle Grazie", per dedicarmi al volontariato. Ad esempio abbiamo raccolto tantissimi finanziamenti prima per i terremotati della Turchia e della Siria, adesso per gli alluvionati della Romagna. Inoltre proseguirò nella mia attività sindacale presso l'Ugs di cui sono consigliere nazionale, per continuare a servire la società civile in una sanità de-finanziata e depotenziata. Questo sarà il mio obiettivo quando lascerò l'ospedale, oltre a quello ancor più importante di stare vicino alle mie figlie, che sono cresciute con un padre tanto, troppo assente. Devo proteggerle dalla deriva di questa società fatua, che mi fa paura.»

(La Verità, 19 giugno 2023)
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Il commentatore di questi articoli ha una basilare e motivata antipatia per quella pseudoscienza chiamata “psicologia”, ma ogni tanto trova interessante verificare le formulazioni con cui questa esoterica disciplina definisce situazioni di comportamento morale o sociale che la Bibbia, e in certa misura anche un sano buon senso popolare, presenta e descrive già da secoli. La nominata pseudoscienza presenterebbe allora i sintomi e le conseguenti azioni vergognose dell’immorale atteggiamento di quei colleghi del professor Gavarelli come un particolare caso di dissonanza cognitiva, quella che in linguaggio popolare si chiama coscienza sporca:
    “L’individuo cerca automaticamente di eliminare o ridurre il disagio psicologico che essa comporta (ad esempio riduzione dell'autostima); il che può portare all'attivazione di vari processi elaborativi, che permettono di compensare la dissonanza (e ripristinare l'autostima). E per risolvere (o almeno attenuare) il disagio provocato dal conflitto delle proprie azioni con le regole morali, è tipico il ricorso del soggetto alle cosiddette tecniche di neutralizzazione, espedienti di varia natura, tutti tendenti a escludere o affievolire la responsabilità morale individuale, negandone o attenuandone l'illiceità attraverso una ridefinizione del senso del proprio agire. Ad esempio, la posizione dell'accusato può essere "alleggerita" attribuendo alla vittima in tutto o in parte la responsabilità di quanto accaduto (colpevolizzazione della vittima), oppure sminuendo la portata della trasgressione attraverso una ridefinizione eufemistica del senso delle azioni compiute.”
Perfetto. Un’altra soluzione potrebbe essere l’acquisto di nuova coscienza: "Chi volesse comprà quarche coscienza, ne troverà de tutti li colori…". M.C.

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I professionisti dell’abuso odiano la famiglia

Chi cerca qualcosa già con l'idea di quel che troverà, alla fine adatterà la realtà alle sue aspettative. E’ il caso di quegli psicologi e assistenti sociali che, mossi dall'ideologia, hanno convinto molti bambini di essere stati molestati dai genitori.

di Silvana De Mari

«Chi cerca trova». La innegabile frase ha due significati. Il primo, più ovvio, è che quando hai perso qualcosa, se lo cerchi con convinzione, prima o poi lo trovi. Essendo un'esperta in caos, posso testimoniare che è quasi sempre vero. Il secondo significato è invece vero sempre: chi cerca trova e trova sempre, perché è lui che proietta quello che sta cercando. I funzionari del Kgb trovavano sempre i controrivoluzionari, i Khmer Rossi trovavano sempre i borghesi, Enrico VIII trovava sempre gli amanti delle mogli considerate infedeli: chi dispone di carnefici di qualità trova sempre quello che cerca. Si tratta quindi del Principio della profezia che si autoavvera.
  Gli accurati ricercatori del fascismo, quelli che sono assolutamente certi di vivere in un Paese insopportabilmente fascista, vedono il saluto romano persino nel gesto obbligatorio di omaggio al tricolore con il braccio teso e alzato dei militari che sfilano il 2 giugno. La caccia al fascismo è basata sul principio isterico della legge del tutto o nulla. Perché abbia valore, qualsiasi cosa deve essere integralmente perfetta. Essere una nazione antifascista non vuol dire che non ci sia nemmeno una persona che nel suo cuore rimpiange il duce e il ventennio, esattamente come, se una nazione condanna l'omicidio, non vuol dire che non ce ne sia nemmeno uno. Il fascismo, e chi lo cerca lo trova, però è fondamentale per queste persone per giustificare la propria esistenza, non essendo state capaci di trovare un'altra linea direttiva se non combattendo qualcosa che è già stato vinto da altri più di mezzo secolo fa. Se il fascismo italiano è a loro insopportabile, il nazismo ucraino invece affonda nella loro totale tolleranza, per non parlare di quello palestinese. Grande tenerezza mi ispira sempre la giornalista palestinese Rula Jebreal: qualcuno dovrebbe ricordarle, mentre si slancia nella sua eterna caccia ai fascisti italiani, che il suo popolo è stato titolare insieme ai bosniaci di una divisione SS, la 13a, la bosniaco palestinese, personalmente fondata dal Gran Mufti di Gerusalemme, e che tuttora nel popolo c'è chi continua con entusiasmo a professare il nazismo. Sia i miliziani di Hamas sia quelli di Hezbollah salutano con il braccio teso. Il leader di Hamas Fathi Hammad ha esortato a uccidere tutti gli ebrei del mondo, e un principio analogo è contenuto nello statuto dell'associazione. La signora RulaJebreal con lodevole generosità ha lasciato il suo Paese a venire a insegnare l'antifascismo a noi. Ringraziamo commossi, ma io credo che se tornasse al Paese suo, avrebbe un bel po' di lavoro da fare. 
  Sono però assistenti sociali e psicologi quelli che eccellono nell'arte del cercare e trovare. Loro cercano gli abusi. Al minimo dubbio, noi leviamo il bambino, prima di sera. Sono queste le terrificanti parole di Federica Anghinolfi, la regina dei servizi sociali di Bibbiano, nella sua audizione al Senato. E’ sufficiente che il bambino disegni Casper, il fantasmino, che qualcuno scambia per un pene, che, prima che il sole tramonti, senza la minima indagine, senza il minimo dubbio, una famiglia venga distrutta insieme all'equilibrio della psiche di un bambino. 
  Nelle prime 12 ore del lunghissimo periodo in cui le assistenti sociali impediscono al bambino di vedere il genitore per il suo bene, il bambino piange ininterrottamente, poi smette per rassegnazione passiva, si è spezzato. Per il suo bene è messo in una casa famiglia, che sono posti statali con cibo statale, mobili dell'Ikea già sfondati a calci dai precedenti utenti. Se nella casa famiglia ci sono bambini più grandi e che vengono da ambienti molto pirotecnici come campi nomadi e quartieri di spaccio, il bambino subisce abusi che vanno dal bullismo all'abuso sessuale, ma ci hanno assicurato a Bibbiano che, se esercitato da un minorenne, l'abuso sessuale non vale, non fa male, non lascia segni. 
  Chi cerca trova vale anche per gli psicologi che cercano l'abuso. Claudio Foti è un professionista del centro Hansel e Gretel di Moncalieri, specializzato nell’abuso: non suona bene, inevitabilmente non cercano la verità, ma l'abuso, della cui esistenza sono inconsciamente certi. Perché nella Bassa Modenese e a Bibbiano sono stati arruolati professionisti del Piemonte? In Emilia Romagna non hanno psicologi capaci, evidentemente, se, moltiplicando i costi, occorre farli arrivare dal Piemonte. Claudio Foti non ha la laurea in psicologia. È laureato in lettere, una laurea molto brillante, presa con 110 e lode, a un' età un po' canonica, a 27 anni. Dopo la laurea ha cominciato a lavorare nell'ambiente della psicologia. Solo negli anni Novanta è stata strutturata in Italia la pratica della psicologia, stabilendo che era necessaria la laurea in psicologia e solo quella, ed eventualmente la successiva specializzazione in psicoterapia. Per evitare però di creare disoccupati o comunque persone infelici, lo Stato che è buono ha stabilito che coloro che già esercitavano la psicologia in qualche maniera fossero nominati psicologi anche senza laurea, e questo vuol dire che la laurea in psicologia evidentemente non ha valore, se averla o non averla è la stessa cosa. 
  Claudio Foti è laureato in lettere, è un esperto in narrazioni. E diventato lo psicologo (anzi il non psicologo) più famoso in Italia per quanto riguarda l'abuso. E’ lui che ha tenuto i corsi a magistrati e assistenti sociali. Scusate, ma tra i laureati in psicologia non ce ne era nessuno più bravo o almeno altrettanto bravo? Cercare un trauma e un abuso è dannatamente pericoloso, perché chi cerca, trova. Il dialogo con chi potrebbe aver subito un abuso deve essere fatto con una correttezza e una prudenza estreme, senza mai proporre un'idea perché c'è il rischio di creare una falsa memoria. Creare una falsa memoria è facilissimo. I genitori che «dimenticano» i bambini sul sedile posteriore in realtà non li dimenticano. Hanno immaginato il momento in cui li consegneranno all'asilo quell'immagine è diventata una falsa memoria, loro si sono convinti di aver portato all'asilo il bambino che in realtà si è addormentato sul seggiolino. Immaginate come è facile per un terapeuta incauto che fa una domanda diretta come «papà ti ha fatto del male?», o qualcosa di simile. La tecnica Emdr, una buona tecnica per la desensibilizzazione del trauma, è particolarmente pericolosa. Durante l'esecuzione della tecnica il terapeuta deve restare rigidamente in silenzio. Se parla, se propone immagini, può creare una falsa memoria che il soggetto non è più in grado di riconoscere come falsa. A Reggio Emilia le false memorie sono state oggettivizzate, qualcuno (uno psicologo? Un assistente sociale?) ha modificato il disegno di un bambino, raffigurante un adulto e appunto un bambino, così da simulare il disegno di un'aggressione. 
  Foti piace tanto perché rappresenta la tendenza europea. Nella Comunità europea l'odio contro la famiglia è totale: la definizione di famiglia è semplicemente «luogo dove il bambino e protetto». In Germania esiste l'istituzione dello Jugendamt, che costituisce il terzo genitore, infinitamente più importante dei primi due. Non è un ufficio di protezione della gioventù, ma l'ufficio del controllo statale totale. Inoltre i tedeschi non hanno veramente mai abbandonato il concetto di essere la razza superiore. I genitori non tedeschi, per esempio italiani, di bambini nati in Germania hanno torto a prescindere, in quanto non tedeschi, e sono costretti a cedere i loro figli alla struttura tedesca, con l'incredibile complicità dei giudici italiani che stanno avallando questo scempio. L'imperdibile libro di Marinella Colombo Non vi lascerò soli è importantissimo perché spiega quello che sarà anche il destino dell'Italia se non combattiamo per fermare questa deriva.

(La Verità, 19 giugno 2023)
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La psicologia è una falsa scienza che non smette di fare danni in tutti i campi. Anche in campo cristiano evangelico, dove è più dannosa del metodo di interpretazione storico-critico, perché più estesa, più popolare e quindi più insidiosa. M.C.

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Panoramica sul Millennio

Riportiamo uno studio pubblicato qualche anno fa su “Chiamata di Mezzanotte”, ringraziando l’autore per il notevole lavoro che certamente ha fatto per raccogliere e ordinare sinteticamente i punti essenziali di un argomento biblico di enorme importanza e molto trascurato negli ultimi anni. Si sa bene che su questo tema in campo evangelico ci sono posizioni diverse, ma sarà bene avvertire che quella qui presentata non è la stramba pensata di un visionario dell’ultim’ora, ma riassume una posizione già presente in libri e saggi biblici fin dagli inizi del secolo scorso, e anche prima. Riportiamo qui di seguito la parte conclusiva dello studio e alleghiamo in fondo l’intero articolo in pdf.


di Paolo Tallone

Perché si parla poco del Millennio?
  Come Mosè, un vero credente in Cristo ha giustamente lo sguardo rivolto verso il cielo, perché è da lì che tornerà il suo Signore e perché è lì che passerà l'eternità.
  Ma non si può negare che generalmente del Millennio se ne parla brevemente solo quando si studia l'Apocalisse e, personalmente, non ho mai sentito uno studio specifico su questo tema. Perché?
  Penso che il fatto che durante quel periodo Israele avrà un ruolo privilegiato e che il Regno sarà indubbiamente situato nel suo stato e in questa Gerusalemme terrestre, purtroppo, incomprensibilmente, mette a disagio alcuni credenti che sono influenzati da insegnamenti sbagliati.
  Se ne parla poco a causa di una certa confusione nel comprendere le profezie e il loro ordine cronologico; perché si trascura l'aspetto storico della salvezza fissando tutta l'attenzione sull'aspetto individuale della conversione.
  Anche quando si parla di Millennio, non sempre si sottolinea che questo rappresenta il compimento del Regno Messianico promesso a Israele, descritto abbondantemente nell'Antico Testamento.
  Vi è anche il fatto che non tutti leggono Apocalisse 20 in modo letterale e cronologicamente successivo al capitolo 19, come personalmente credo sia corretto fare, che poi è la posizione premillenarista, cioè di chi crede che la seconda venuta di Cristo preceda il regno fisico del Millennio.
  Vi sono anche i postmillenaristi che credono che i mille anni rappresentino il periodo di trionfo dell'Evangelo il quale anticipa la seconda venuta di Cristo, e gli amillenaristi, che credono che il Regno milleniale di Cristo non sia qualcosa di fisico ma di spirituale nel cuore dei credenti.

Quali sono per noi i risvolti pratici riguardo al Millennio?
  Il Regno millenario è come l'anticamera dei nuovi cieli e della nuova terra; è l'adempimento delle promesse riferite al Regno sulla terra; è la conclusione prima del giudizio universale; è la dimostrazione di ciò che è possibile stabilire quando Israele e l'umanità nel suo complesso si sottometteranno alla signoria del Signore Gesù Cristo. Comprendere bene che cos'è il Millennio serve per:
  • Avere una corretta visione di ciò che ci aspetta ed essere così incoraggiati
  • Avere una corretta visione riguardo a Israele e all'amore che Dio ha per questo popolo.
Per questa ragione anche noi dobbiamo amare gli Ebrei e dobbiamo portare loro il Vangelo di Yeshua HaMashiach, affinché i chiamati tra loro si convertano e si salvino ... e quindi affrettare la Sua venuta!
  Serve per condurci in santità e pietà perché l'Eterno è Dio della storia e il Suo Cristo regnerà su questa terra con noi, anche se per un tempo, e comunque non così corto. Quale privilegio!
  • Perché viviamo in tempi difficili e altri più tremendi stanno per arrivare. Se vogliamo regnare con il Re dobbiamo vegliare sul nostro cuore, vegliare nelle nostre assemblee, consacrarci per essere dei vasi nobili al servizio del Maestro.
Fratelli e sorelle, ci deve confortare la certezza che presto regneremo con Cristo Gesù in una terra risanata con un corpo incorruttibile, glorioso, potente, spirituale, celeste, immortale. Ci dobbiamo rallegrare per l'imminente Regno millenario, per il fatto che Israele tornerà al Dio dei suoi padri, perché vedremo e serviremo Gesù Cristo, vedremo la gloria dell'Eterno nel Tempio, e perché quando il Millennio finirà, vivremo nei nuovi cieli e nuova terra al cospetto del nostro Dio per l'eternità! Marana-tha! Vieni presto Signore Gesù! Amen!

- Panoramica sul Millennio

(Chiamata di Mezzanotte, luglio/agosto 2019)


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Il ministro marocchino Abdelouafi Lafti incontra il suo omologo israeliano, Moshe Arbel

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Come ha rivelato La scrivania il ministro dell’Interno del Marocco Abdelouafi Laftit ha incontrato questo venerdì presso la sede del ministero a Rabat il suo omologo israeliano degli interni, anche lui a capo del Dipartimento della salute dello Stato ebraico, Moshe Arbel.
  Questo incontro fa parte del rafforzamento delle relazioni tra il Regno del Marocco e lo Stato di Israele, che hanno compiuto progressi significativi dalla firma nel dicembre 2020 della dichiarazione tripartita (Marocco-USA-Israele).
  Nel corso di tale incontro, Laftit ha avuto uno scambio di opinioni con il suo omologo israeliano. Questo incontro è stato anche l’occasione per affrontare questioni bilaterali di interesse comune ed esaminare modi per rafforzare la cooperazione tra i due Paesi, conclude il documento.
  Va notato che questa è la seconda visita di un ministro degli interni israeliano in Marocco. Ayelet Shaked, il predecessore di Moshe Arbel, aveva incontrato Nasser Bourita e Laftit durante una visita ufficiale nel luglio 2022, per aprire le discussioni su un accordo per inviare manodopera marocchina in Israele, a conferma delle informazioni rivelate da La scrivania.

(dayFRitalian, 17 giugno 2023)

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Israele in pressing sull’Occidente per fermare il programma nucleare dell’Iran

Netanyahu ha ribadito l'opposizione di Israele a un ritorno all'accordo nucleare originale del 2015 e ha sottolineato che il Paese sta facendo grandi sforzi per cercare di fermare l'Iran.

Nonostante il recente riavvicinamento dell’Iran all’Arabia Saudita e le voci sulla ripresa dei negoziati internazionali sul programma nucleare iraniano, resta alta tensione in Medio Oriente per la crescente tensione tra Teheran e Israele. Una fonte politica di spicco a Tel Aviv citata dal quotidiano panarabo edito a Londra “Asharq al Awsat”, di proprietà saudita, afferma che i politici e i leader militari israeliani “continueranno a esercitare pressioni sui paesi occidentali” per quanto concerne in dossier iraniano. Le parole del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, espresse durante una sessione del Comitato per gli affari esteri e la Difesa nella Knesset, lasciano ben poco spazio a dubbi: il governo israeliano non si fida che l’Iran rispetterà un eventuale accordo sulla natura pacifica del suo programma nucleare. Netanyahu avverte che Israele monitorerà attentamente l’attività nucleare dell’Iran e combatterà questa minaccia.
  Una fonte ha rivelato al sito web israeliano “Walla” che il programma nucleare iraniano è stato il tema più importante posto dagli ufficiali israeliani durante gli incontri con gli statunitensi. Le stesse fonti riferiscono che gli argomenti al centro degli incontri del presidente israeliano, Isaac Herzog, con il presidente statunitense Joe Biden il prossimo luglio e del ministro della Difesa Yoav Gallant con il capo del Pentagono, Lloyd Austin, in Belgio, verteranno su un unico tema: “Iran, Iran e Iran”. E la questione iraniana dominerà anche i colloqui tra Gallant e gli omologhi provenienti da Francia, Italia, Romania e Ungheria durante il Salone Internazionale dell’Aeronautica di Parigi.
  Secondo “Walla”, il ministro della Difesa israeliana chiederà nuovamente al collega statunitense Austin di accelerare la consegna degli aerei da rifornimento Boeing KC-46 Pegasus, acquistati da Israele lo scorso anno. Israele, infatti, ha bisogno di aerei da rifornimento per prepararsi a un possibile attacco all’Iran. Gallant ha discusso in precedenza con Netanyahu e alti funzionari della sicurezza della necessità di mantenere la superiorità militare di Israele nel Medio Oriente, in particolare nel confronto con l’Iran. Da parte sua, Netanyahu ha chiarito che la posizione di Israele sulla possibile ripresa dei negoziati dell’occidente sul programma nucleare iraniano è chiara: “Non saremo vincolati da nessun accordo con l’Iran e continueremo a difenderci”.
  Netanyahu ha ribadito l’opposizione di Israele a un ritorno all’accordo nucleare originale del 2015 e ha sottolineato che Israele sta facendo grandi sforzi per cercare di fermare l’Iran. Il “New York Times” ha recentemente riferito che gli Stati Uniti e l’Iran sono vicini alla firma di una “intesa”, secondo la quale Teheran si impegnerebbe a non arricchire l’uranio oltre il livello attuale del 60 per cento di purezza. In cambio, Washington potrebbe rilasciare parte dei fondi congelati. Da parte sua, Teheran cesserebbe anche gli attacchi contro i militari statunitensi in Siria e Iraq tramite i suoi alleati regionali, intensificando potenzialmente la cooperazione con gli ispettori nucleari internazionali e astenendosi dalla vendita di missili balistici alla Russia.
  Nel frattempo, Israele sta compiendo manovre militari sempre più evidenti. Rafael Advanced Defense Systems, una delle principali società di tecnologia della difesa israeliana, ha sviluppato un avanzato sistema d’intercettazione missilistica chiamato “Sky Sonic”, descritto come la risposta difensiva innovativa alla crescente minaccia dei missili ipersonici. Il sistema sarà ufficialmente presentato per la prima volta la prossima settimana al padiglione dell’azienda al Salone dell’Aeronautica di Parigi, una delle più grandi mostre aerospaziali del mondo. Il nuovo sistema rappresenta una risposta alla parata militare dei Guardiani rivoluzionarie iraniani (i cosiddetti Pasdaran) alla presenza del presidente Ebrahim Raisi, che ha incluso la presentazione di Fattah, il primo missile ipersonico dell’Iran.

(Nova News, 17 giugno 2023)

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Putin interviene al Forum economico internazionale di San Pietroburgo

Il presidente russo Vladimir Putin intervistato al Forum economico internazionale di San Pietroburgo ha ricordato lo sterminio degli ebrei nella Seconda guerra mondiale. “L’Olocausto  è stato lo sterminio di 6 milioni di ebrei, e un milione e mezzo sono stati sterminati in Ucraina, prima di tutto per mano dei Banderiti”, specificando che il riferimento è ai seguaci del nazionalista Stepan Bandera, alleatisi con Hitler contro l’Unione Sovietica.
  Infine Putin,  dopo aver fatto vedere una serie di video agghiaccianti sui massacri in Ucraina,  ha affermato che proprio Bandera e i suoi seguaci oggi sono “gli eroi dell’Ucraina” e coloro che “le autorità ucraine oggi proteggono”. “Abbiamo l’obbligo di combattere contro questi – ha proseguito Putin -. La Russia è stata la parte che ha sofferto di più nella lotta contro il nazismo. Non dimenticheremo mai questo. “Abbiamo tutto il diritto – ha concluso il presidente russo – di ritenere che uno dei nostri obiettivi chiave in Ucraina è la denazificazione”.

(Fatti & Avvenimenti, 17 giugno 2023)


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Mosca: "Le proposte di pace di alcuni paesi potrebbero funzionare"

Putin attacca Zelensky: "Un disonore per gli ebrei"

Le proposte di pace di alcuni Paesi sul conflitto in Ucraina contengono idee che potrebbero funzionare. A riferirlo è la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, all'agenzia di stampa Tass durante il Forum economico che si sta svolgendo a San Pietroburgo. "Certo che ci sono", ha risposto la portavoce rispondendo alla domanda sulla possibilità di idee concrete sulle proposte di pace.
  "Ribadisco che siamo grati a tutti i Paesi, tutti gli Stati e le figure pubbliche, perché molte proposte sono state presentate personalmente da personaggi pubblici internazionali - ha aggiunto -. Siamo grati a tutti quelli che stanno parlando della pace, che stanno facendo proposte e che si stanno rendendo disponibili per questo".
  Nel forum è intervenuto anche il presidente russo Vladimir Putin. "La controffensiva ucraina - dichiara - non ha alcuna chance di successo. "Le forze di Kiev in questo momento attaccano in alcune aree, hanno perso diversi carri armati, i combattimenti continuano ma non hanno alcuna possibilità", ha aggiunto come riporta Tass.
  "Ho amici ebrei che mi dicono che Zelensky non è un ebreo, ma un disonore per gli ebrei", ha detto ancora Putin. "La Russia può distruggere qualsiasi edificio nel centro di Kiev ma non lo fa per determinate ragioni", ha aggiunto, spiegando anche che alcune armi nucleari russe sono già state consegnate alla Bielorussia e il resto verranno trasferite entro la fine dell'anno.
  Durante il suo intervento il presidente russo ha chiesto di rispettare un minuto di silenzio in memoria di Silvio Berlusconi.

(Rtv, 17 giugno 2023)

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Al via il Pitigliani Kolno’a Festival – Ebraismo e Israele nel Cinema

Torna dal 19 al 22 giugno 2023 a Roma, a  ingresso gratuito fino a esaurimento posti, il  Pitigliani Kolno’a Festival – Ebraismo e Israele nel Cinema, giunto alla  sedicesima edizione, dedicato alla cinematografia israeliana e di argomento ebraico. Il festival si tiene in due location: dal 19 al 21 giugno alla  Casa del Cinema mentre la serata finale, il  22 giugno, al  Centro Ebraico Italiano Il Pitigliani.

Prodotto dal  Centro Ebraico Italiano Il Pitigliani e diretto da  Ariela Piattelli Lirit Mash, il  PKF2023 propone, come sempre, un variegato assaggio dell’ultima produzione israeliana.

Con quattro film, tutti in anteprima italiana, il PKF2023 offre uno sguardo su aspetti diversi quanto importanti della società israeliana. Dalla convivenza alla memoria degli eventi della storia contemporanea d’Israele, alle difficoltà dei giovani emarginati. Quattro film che permettono allo spettatore di conoscere i temi che il cinema israeliano oggi affronta, dei diversi linguaggi scelti dai registi, che continuano a raccontare un Paese e la sua cultura anche con la leggerezza della commedia.

La PRIMA SERATA - Il festival apre il 19, alle 21.30 con Matchmaking di Erez Tadmor, un film che rappresenta, scegliendo il genere della commedia, un affresco sul mondo dei giovani ebrei ortodossi di Gerusalemme che cercano, con l’aiuto dei sensali, l’amore della vita: un film dove si incontrano e si scontrano mondi diversi in quello che è già un microcosmo e in cui anche un fidanzamento può diventare un affare di stato. Sarà presente il regista.

La SECONDA SERATA, sarà dedicata alla regista di Savoy, Zohar Wagner, che saluterà il pubblico da Israele. La docu-fiction racconta la storia di Kochava Levy, una giovane donna di origine yemenita che ha fatto da mediatrice tra i terroristi e l’IDF mentre era tenuta in ostaggio a Tel Aviv durante la notte del micidiale attacco terroristico all’Hotel Savoy del 1975. Nel corso di una notte, si trasformò in un’eroina senza paura. Il film intreccia rari materiali d’archivio che non sono mai stati diffusi e scene di fiction rievocative della notte dell’attacco.

Durante la TERZA SERATA verrà consegnato il premio alla carriera a Erez Tadmor. Seguirà la proiezione di Children of Nobody lungometraggio drammatico ispirato ad una storia vera.
Vivendo ai margini della società israeliana, alcuni ragazzi problematici devono unirsi per salvare il rifugio per giovani a rischio che li ha tenuti lontani dalla strada. Per generazioni, la direttrice Margalit (Tiki Dayan) ha fornito un rifugio amorevole alle vittime dell’abbandono e della violenza in una casa malandata alla periferia di Tel Aviv. Tocca al braccio destro Jackie (Roy Assaf) tenere la casa lontana dagli immobiliaristi corrotti, placando anche i controlli di un assistente sociale per evitare la tragedia.Con l’amore severo del “fratello maggiore” Jackie, i ragazzi devono ora essere responsabili delle proprie vite e salvare il loro rifugio da un destino terribile.

Il festival si chiuderà al  Centro Ebraico Italiano Il Pitigliani con la proiezione di Paris Boutique di Marco Carmel. Una commedia degli errori e una storia di amicizia tra due donne in un momento critico della loro vita.
Louise, un avvocato di religione ebraica, arriva da Parigi per concludere un importante affare immobiliare. Si affida a Neta, un’autista e astuta eroina di Mahane Yehuda, che intuisce subito l’opportunità economica e decide di restare al fianco di Louise ad ogni costo. Quando le due visitano la Città Vecchia, scoprono un legame segreto tra una donna ultraortodossa e un uomo di religione cristiana, che comunicano attraverso note nascoste nelle scanalature del Muro del Pianto. Nel tentativo di risolvere il mistero, Louise e Neta seguono l’enigmatica coppia attraverso gli stretti vicoli della città. 

Erez Tadmor – Premio alla carriera Pkf2023
Nato in Israele nel 1974, Erez Tadmor è sceneggiatore, regista e produttore. Si è laureato alla “Camera Obscurs Film School” di Tel -Aviv. Il suo primo cortometraggio “Moosh” ha vinto premi in più di 40 festival in tutto il mondo inclusi Houston, Palm springs e molti altri.
Tra i film che ha diretto e di cui ha curato anche la sceneggiatura ricordiamo Magic Men, A Matter of  Size, The Art of Waiting e Homeport.

Il PKF2023 è realizzato con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Roma, con il contributo della Fondazione Museo della Shoah, in collaborazione con il  MEIS – Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah e l’Ambasciata di Israele in Italia.

I film, tutti in lingua originale iniziano alle 21.30. Sono ad ingresso libero fino ad esaurimento posti. E’ consigliata la prenotazione sul sito www.pitiglianikolnoafestival.it

(ildogville.it, 17 giugno 2023)

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Parashà di Shelàkh: Esploratori e spie

di Donato Grosser

In questa parashà viene raccontato cosa avvenne prima, durante e dopo il viaggio dei dodici rappresentanti delle tribù d’Israele inviati da Moshè, su richiesta del popolo, per esplorare la terra di Canaan. Al loro ritorno, dopo quaranta giorni, essi vennero da Moshè e da Aharon e da tutta l’assemblea d’Israele: “Gli raccontarono e dissero: Siamo arrivati nel paese  dove ci avevi mandato ed esso è davvero un paese stillante latte e miele come puoi vedere dai suoi frutti.  Tuttavia (efes) il popolo che abita nel paese è aggressivo, le città sono vaste  e  fortificate. Inoltre abbiano visto lì anche i discendenti dei giganti. ‘Amalèk abita nel meridione, i chittiti, i gebusiti e gli emorei abitano nella regione montana e i canaaniti abitano sulla costa e lungo il Giordano” (Bemidbàr, 13: 27-29).
   R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (p. 103) fa notare  che tutti i commentatori si domandano quale sia stato il peccato degli esploratori. Infatti Moshè era stato molto esplicito nelle sue istruzioni e aveva detto loro: “Andate a nord verso il Nèghev e continuate a nord verso la regione montagnosa; osservate il paese e il popolo che vi abita, se è forte o debole, se è poco o molto numeroso, e se il territorio nel quale abita è buono o meno, e se  le città dove risiedono sono aperte o fortificate (ibid., 17-19).  Per quale motivo le parole degli esploratori generarono un panico nel popolo che rifiutò di continuare la marcia verso la Terra Promessa? Alla fine il rapporto era conforme alle istruzioni ricevute da Moshè! 
   Il Nachmanide (Girona, 1194-1270, Acco) suggerisce che il peccato degli esploratori era stato di aver aggiunto una parola che cambiava il significato del rapporto. Essi dissero “efes” (tuttavia). Senza quella parola  la storia del popolo d’Israele sarebbe stata differente, Moshè non aveva chiesto agli esploratori di dare un’opinione sulla probabilità  di sconfiggere gli abitanti di Canaan. Moshè aveva chiesto solo una descrizione del paese. 
   Nel libro di Yehoshua’ (cap. 2)  è raccontato che Yehoshua’ prima di attraversare il Giordano, inviò due spie a vedere la città di Gerico e il territorio circostante.  
   R. Leibush Wisser, detto Malbim (Ucraina, 1809-1879) nel suo commento domanda per quale motivo Yehoshua’ inviò delle spie a Gerico senza temere che il risultato della missione sarebbe stato tragico come quello degli esploratori inviati da Moshè. Il Malbim risponde offrendo diverse motivazioni: 1. Gli esploratori di Moshè furono inviati a richiesta del popolo e, quando diedero un rapporto negativo sul paese, il popolo prestò loro fede. 2. Moshè li aveva mandati dal deserto di Paràn che era lontano dal confine della Terra di Canaan e il popolo aveva dei dubbi sulla qualità del paese e sulla possibilità di conquistarlo. Yehoshua’ invece mandò le due spie dal confine del paese, senza alcun dubbio sulla conquista, cercando solo di sapere da quale direzione fosse più facile conquistare la città.  3. Moshè aveva mandato dodici rappresentanti, uno per tribù, a esplorare; Yehoshua’ mandò due uomini per spiare. L’esploratore va per descrivere il territorio e gli abitanti; le spie vanno per cercare i punti deboli del paese. La necessità  di mandare un rappresentante per tribù fu alla base del fallimento della missione. Per spiare due esperti del mestiere sarebbero stati sufficienti. 4. Yehoshua’ mandò le due spie in segreto. Nessun altro sapeva della missione. 
   Che le due spie fossero esperte del mestiere lo conferma il fatto che entrati a Gerico andarono nel salone della “locandiera” Rachav. In un locale del genere era difficile che fossero riconosciuti come israeliti perché nessuno pensava che degli israeliti andassero in un posto simile. Inoltre il salone di Rachàv era il luogo più adatto per scoprire i segreti del paese perché  Rachàv aveva rapporti con tutti i ministri della città che le raccontavano liberamente i segreti del posto. Al loro ritorno le due spie tornarono non solo con informazioni sulla città e sul territorio circostante ma furono anche in grado di dare un rapporto sullo stato d’animo degli abitanti di Canaan: “E dissero a Yehoshua’: “L’Eterno ci ha dato in mano tutto il paese e tutti gli abitanti del paese si stanno dissolvendo davanti a noi” (Yehoshua’, 2:24).

(Shalom, 16 giugno 2023)
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Parashà della settimana: Shlach (Manda)

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Nucleare, tra Usa e Iran un negoziato segreto. Mezzo sì anche da Israele

Il patto prevede lo stop all’arricchimento dell’uranio in cambio di sanzioni più leggere

di Paolo Mastrolilli

NEW YORK -  Il dialogo diplomatico tra Usa e Iran è ripreso, sottotraccia, per negoziare un accordo informale che prevenga la crisi nucleare. Non l'intesa Jcpoa firmata da Obama, ma un cessate il fuoco politico momentaneo, che secondo il Times of Israel anche il premier dello Stato ebraico Netanyahu accetterebbe. Lo rivelano New York Times e Wall Street Journal, che ne hanno parlato con almeno tre funzionari israeliani, un iraniano e un americano.
  Da quando Trump è uscito dal Jcpoa la situazione è costantemente peggiorata. Libera dai limiti imposti dall'accordo, la Repubblica islamica ha purificato 114,1 chili di uranio al 60%, secondo i dati dell'Aiea. Questo materiale non ha alcun uso civile, ma per costruire un'atomica serve arrivare al 90%. Le stime variano sul tempo che separa ancora Teheran dall'arma nucleare, tra 6 mesi e due anni, però il capo degli Stati Maggiori Riuniti Milley ha fatto sapere di aver preparato i piani per la risposta militare, nel caso gli ayatollah salissero al 90%. Curiosità aggiuntiva, alcuni di questi piani erano tra i documenti segreti che Trump si era portato a Bedminster.
  All'inizio del mandato Biden ha cercato di resuscitare il Jcpoa, ma Teheran non ha negoziato in buona fede. Washington ora è impegnata con la guerra in Ucraina e la sfida cinese, e non vorrebbe aggiungerci un conflitto in Medio Oriente. Perciò ha ripreso il dialogo, attraverso l'inviato per l'Iran Robert Malley, che alla fine dell'anno scorso ha incontrato l'ambasciatore all'Onu Amir Saeid Iravani, e il coordinatore della Casa Bianca per il Medio Oriente Brett McGurk, andato in Oman per discutere col negoziatore nucleare Ali Bagheri Kani. Mercoledì il leader supremo Khamenei ha indirettamente confermato i contatti, dicendo che potrebbe appoggiare un accordo con gli occidentali, se l'infrastruttura atomica del Paese restasse intatta.
  In base al patto l'Iran si impegnerebbe a non arricchire l'uranio sopra il 60%, fermerebbe gli attacchi dei suoi alleati contro gli americani in Siria e Iraq, allargherebbe la collaborazione con gli ispettori dell'Aiea, e non venderebbe missili balistici alla Russia. Incerto invece sarebbe il destino dei droni consegnati a Putin. In cambio, gli Usa eviterebbero di imporre nuove sanzioni, smetterebbero di sequestrare le petroliere iraniane che esportano greggio, non chiederebbero a Onu e Aiea risoluzioni punitive. Inoltre Washington ha già autorizzato l'Iraq a pagare 2,76 miliardi di dollari di debito che aveva con l'Iran per forniture di energia, e potrebbe sbloccare altri 7 miliardi dovuti dalla Corea del Sud. I soldi andrebbero in una banca del Qatar, e potrebbero essere usati solo per rimborsare debiti di Teheran all'estero o ricevere forniture umanitarie come cibo e medicine. Non sarebbe un trattato formale, che non verrebbe mai approvato dal Congresso, e avrebbe una durata limitata nel tempo. Biden verrebbe accusato di pagare il regime che aiuta Putin a bombardare i civili in Ucraina, ma eviterebbe il rischio dell'escalation nucleare e un conflitto peggiore in Medio Oriente.
  Secondo il Times of Israel, Netanyahu ne ha parlato con alcuni parlamentari, dicendo che potrebbe accettare questo "mini accordo". L'ex inviato Usa per il Medio Oriente Dennis Ross ha commentato che servirebbe a guadagnare tempo, ma non all'infinito, perché Teheran sta già potenziando le difese delle infrastrutture nucleari.

(la Repubblica, 16 giugno 2023)


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Biden colleziona errori. Tesse in segreto l'intesa sul nucleare con l'Iran

Il "Nyt": Washington a caccia di un accordo informale. I rischi di trattare con Teheran

di Fiamma Nirenstein

Da tempo, specie dal ritiro dall'Afghanistan e dalla visita di Biden in Arabia Saudita, si poteva intuire quello che il New York Times ha presentato come una rivelazione mercoledì: l'amministrazione Biden ha negoziato con Teheran in segreto un limite del programma nucleare compensato da un poderoso rilascio di fondi all'Iran e la restituzione di alcuni prigionieri americani. Lo scopo di quello che il Nyt chiama «un cessate il fuoco politico» è impedire un'escalation nell'arricchimento dell'uranio ormai a livelli altissimi, e di contenerlo al 60%, perché non raggiunga il livello della bomba, il 90%.
  Gli Usa si sono affrettati a smentire le tre fonti, americana, israeliana e iraniana, della notizia. Biden sembra impressionato dalla abilità e dalla guasconeria con cui l'Iran sfida l'Occidente, si allea platealmente con il suo peggior nemico attuale, la Russia, gli fornisce una delle armi più di successo nel conflitto con l'Ucraina, i droni, che hanno seminato morte e distruzione. L'Iran con la salvaguardia russa continua nella sponsorizzazione della Siria di Assad (che è tornato nella Lega Araba) per mano dei suoi migliori «proxy» gli Hezbollah: è solo di ieri una delle tante incursioni aeree di Israele su svariati depositi iraniani di armi destinati ai suoi. E la distruzione di Israele e l'odio antiamericano sono sempre spudoratamente sulla copertina degli Ayatollah. L'Iran ha anche vantato l'inaugurazione di missili ipersonici, la sua capacità di raggiungere Israele e l'Occidente. Khamenei ha annunciato mercoledì che è pronto a un accordo se si mantengono intatte le strutture nucleari. E di questo si tratta: solo di promesse degli Ayatollah.
  Robert Malley l'inviato speciale per l'Iran è sembrato molto ansioso di coronare col successo gli incontri con Amir Saeid Iravani, incaricato per l'Iran, e Ali Bagheri Kani, il negoziatore ufficiale. Secondo le rivelazioni correnti, giganteschi fondi bloccati verrebbero scongelati, per esempio 7 miliardi fermi in Sud Corea dopo l'acquisto di petrolio; 2 miliardi e 76 milioni in debiti di energia fermi in Iraq sarebbero già partiti. I capitali serviranno, si può immaginare, a finanziare Hezbollah e Hamas come nel passato oltre che per il regime delle Guardie della Rivoluzione. Ma le fonti sostengono che sarebbero destinati a usi umanitari, gestiti dal Qatar e comunque riscatteranno i prigionieri americani.
  L'Iran, in ottima salute nella sua veste di alleato della Russia, per il quale la Cina ha mediato l'accordo con l'Arabia Saudita, è oggi forte, e potrebbe, forse si teme a Washington, arrivare alla bomba mentre le centrali diventano strutture inarrivabili da un attacco. Netanyahu ha già detto che, quali che siano gli accordi americani, Israele farà quello che deve per evitare la bomba iraniana. Il suo aver definito il progetto «mini deal» e non «accordo» lascia pensare a un momento di osservazione sapendo che ci vogliono 12 giorni per arrivare al 90% fatidico. Il governo di cui fidarsi è un persecutore spietato di omosessuali e donne, un fautore implacabile della pena di morte e del carcere duro.
  L'accordo con gli Usa non disegna una situazione di equilibrio, ma al contrario aumenta la tensione dell'Arabia Saudita e dei Paesi del Golfo, fa scorrere denaro nelle vene dell'alleanza antioccidentale, conduce a una corsa agli armamenti. È difficile vedere i vantaggi della scelta dell'amministrazione Biden. Difficile disegnare in Medio Oriente la pace universale. Più facile avvicinare una nuova guerra.

(il Giornale, 16 giugno 2023)
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Che anche Biden possa fare errori forse a qualcuno dà fastidio. In una Rassegna Stampa l'articolo di Fiamma Nirenstein è presentato addirittura con omissione del titolo. Sarà una dimenticanza, ma in ogni caso può avere significato perché effettivamente è fastidioso per chi ama Israele dover ammettere che "il più grande amico di Israele" tratta in segreto col più grande nemico di Israele per arrivare a firmare un accordo che sa benissimo essere contrario agli interessi e all'espressa volontà di Israele. Che razza di amico è Biden, e lo Stato che presiede, per lo Stato d'Israele? A Biden, insieme al suo governo, interessa ben poco lo Stato d'Israele quando si tratta di sostenere e difendere i suoi propri interessi, che sono quelli di mantenere a tutti i costi il suo predominio finanziario e militare sul resto del mondo. La Russia è stata vista dagli Usa come un ostacolo minaccioso al mantenimento di questo predominio e alla fine si è pensato che la scintilla Ucraina fosse il momento giusto per accelerare il crollo di questo impedimento. Si dirà che quella della Russia è stata un'aggressione, e questo è senz'altro vero, ma quello che hanno fatto gli americani in Corea, Iraq, Afganistan, che cos'era? In ogni caso, non è stato forse un "errore" esasperare lo scontro in atto cercando di coinvolgere quanti più attori possibili, tra cui in modo particolare Israele? E' convenuto a Israele rovinare le sue vantaggiose relazioni con la Russia e favorire di fatto il suo più grande nemico Iran per non contrastare il suo "più grande amico" Stati Uniti? Le mosse di Biden sono "errori" perché sono esecuzioni di un politica moralmente errata in tutti i sensi. Ha commesso e sta commettendo ancora un enorme "errore" di peso mondiale boicottando ogni tentativo di arrivare a un compromesso con la Russia.
Riporto di seguito un articolo pubblicato sul nostro sito il 7 febbraio 2023. M.C.


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Bennett: quando Usa e GB hanno fatto saltare l'accordo Mosca-Kiev

Due giorni fa l'ex premier di Israele, Naftali Bennett, ha rilasciato un'intervista ad un giornalista in cui ha dichiarato che l'Occidente ha scartato possibili soluzioni del conflitto Mosca-Kiev e ha deliberatamente scelto di far continuare la guerra dell'Ucraina contro la Russia. La cosa avrebbe dovuto essere esplosiva, avrebbe dovuto provocare reazioni accese di approvazione o rigetto, ma nulla di tutto questo è successo. Il video in cui compare l'intervista è in ebraico, ma dai siti ebraici in Italia, o da quelli che sostengono Israele e in molti casi presentano traduzioni di video interessanti, non è uscito nessuno che offrisse la traduzione e il commento di questa esplosiva intervista. Niente. Silenzio. Su ciò che disturba la comune narrazione ufficiale tutto tace. Stile covid 19. Abbiamo trovato qualcosa in un sito dal titolo significativo: "Piccole note". Sì, perché per i giornaloni queste sono noterelle di poco conto, la presenza di Zelensky a Sanremo, quella sì che è una notizia importante da analizzare e commentare nei minimi particolari . NsI

Nei primi giorni di guerra, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno “bloccato” la mediazione tra Russia e Ucraina ad opera di Naftali Bennet che stava portando frutti. A rivelarlo è stato lo stesso ex primo ministro israeliano in un’intervista su YouTube.
  Pochi ricorderanno, ma va ricordato per la Storia, che il  4 marzo 2022, agli inizi della guerra, Bennett si era recato in Russia per incontrare Vladimir Putin, visita che aveva lo scopo di trovare una soluzione al conflitto. Un viaggio sollecitato dallo stesso Putin, come rivela nell’intervista.

• LA MEDIAZIONE DI BENNET
  La mediazione aveva trovato terreno favorevole, ricorda Bennet, dal momento che le parti avevano accettato ampi compromessi. Putin aveva accettato di abbandonare l’idea di “denazificare” l’Ucraina, cioè di eliminare la leadership al governo e lo stesso Zelensky, e di disarmare l’esercito di Kiev. E aveva promesso che l’invasione si sarebbe fermata se la controparte avesse rinunciato alla richiesta di aderire alla Nato, richiesta che, come ricorda Bennet, ha innescato l’invasione.
  Bennet ricorda come Zelensky avesse accolto la mano tesa di Putin, accettando di ritirare tale richiesta. Non solo, l’ex premier israeliano spiega che aveva trovato un modo di risolvere anche il problema delle garanzie che tanto preoccupavano Kiev, che aveva timore di un accordo che non le garantisse di evitare un’invasione futura.
  Zelensky, nello specifico, voleva garanzie americane, ma Bennet gli aveva replicato: “Cerchi garanzie dall’America dopo che si è ritirata dall’Afghanistan?”. E così gli aveva proposto quello che ha definito il modello israeliano: Israele, aveva spiegato, sa che non riceverebbe alcun aiuto in caso di invasione, così ha creato un esercito in grado di dissuadere i nemici. Un’ipotesi che l’Ucraina aveva recepito.
  Certo, nel riarmo c’era il nodo dei missili a lungo raggio, continua Bennet, che la Russia evidentemente temeva. Ma sul punto, l’ex premier israeliano fa un cenno significativo, spiegando di aver detto agli ucraini “non ti servono i missili d’assalto”… insomma, bastava che nel riarmo di Kiev non fossero compresi missili a lunga gittata (per inciso, sono quelli che adesso vuole inviare la Nato).
  Per inciso, Bennet spiega che sia Zelensky che Putin erano stati entrambi “pragmatici”, aggiungendo che non c’era nulla di “messianico” nello zar russo (tale messianicità è stata declinata in vari modi dalla narrativa ufficiale; tale narrazione ha reso ancora più arduo adire alle vie diplomatiche, non essendo possibile trattare con un esaltato),
  La mediazione israeliana doveva ovviamente essere supportata dall’Occidente, così Bennet ricorda di aver fatto partecipi dei colloqui i leader in questione, alcuni incontrandoli, altri contattandoli. E ricorda come Francia e Germania si fossero mostrati “pragmatici”, mentre la linea di Boris Johnson era più “aggressiva”. Gli Usa, per parte loro, si barcamenavano tra le due posizioni.
  Ma alla fine, ricorda Bennet, in Occidente è prevalsa la linea dura. Si decise cioè di “continuare a colpire Putin e non [negoziare]”. Tale decisione, secondo Bennet, è stata “legittima”, ma è ovvio che non poteva dire diversamente, dal momento si tratta di rivelazioni già fin troppo pesanti, che gravano Stati Uniti e Gran Bretagna di tragiche responsabilità. Inutile aggiungere peso a peso.
  La parole di Bennet, fonte autorevole e non di parte, chiariscono in via definitiva che la guerra poteva finire subito, con un bilancio di un migliaio di morti, forse meno, e con l’Ucraina in possesso di una parte dei territori oggi occupati dai russi, parte dei quali, se non tutti (e altri ancora) probabilmente rimarranno sotto il controllo di Mosca a titolo definitivo. Milioni di sfollati, centinaia di migliaia di morti, un Paese totalmente devastato… tutto per “punire” Putin… per “indebolire” la Russia.
  Ricordiamo come, nonostante il fallimento della mediazione di Bennet, i negoziati tra Russia e Kiev furono comunque portati avanti, nonostante mille difficoltà, arenandosi dopo il fatale viaggio di Boris Johnson a Kiev, quando il premier britannico disse a Zelensky che l’Occidente non avrebbe supportato un’intesa con Mosca.
  Interessante anche l’accenno di Bennet sugli avvenimenti di Bucha, quando spiega che con l’emergere di quella vicenda capì che non c’era più alcuna possibilità per la pace. Anche di questo abbiamo scritto, spiegando come gli asseriti orrori di Bucha furono una messinscena creata ad arte per rendere impossibile il negoziato.

• REGIME-CHANGE ALLA DIFESA UCRAINA
  Intanto da Kiev arriva l’annuncio della destituzione del potente ministro della Difesa. Al suo posto andrà Kyrylo Budanov, che abbiamo citato su Piccolenote perché recentemente aveva rilasciato un’intervista al Wall Street Journal nella quale raccontava l’uccisione a sangue freddo di Denis Keerev da parte della SBU.
  Keerev stava partecipando ai negoziati con la Russia al momento del suo omicidio, ufficialmente presentato come non intenzionale (sarebbe stato ucciso perché ha resistito all’arresto) e fu fatto passare per una spia russa. Nell’intervista al WSJ Budanov dice invece che Keerev fu ucciso deliberatamente, aggiungendo che non era affatto una spia, anzi era un patriota. E, per confermare la sua affermazione, Budanov ha ricordato che è stato seppellito con un funerale di Stato.
  Il fatto che prima di essere nominato a un incarico tanto delicato Budanov abbia concesso un’intervista al WSJ nella quale ha apertamente criticato la Sicurezza ucraina, risulta di grande interesse.
  Di certo, c’è la necessità di rimettere mano ai meccanismi dell’esercito ucraino, che Zelensky sta mandando al macello, come dimostra in maniera plastica l’ordine di tenere a tutti i costi Bakmut nonostante sia ormai indifendibile (tanto che anche gli americani gli avevano chiesto di ritirare le truppe).
  Da notare che la notizia arriva dopo la bufera suscitata dal quotidiano svizzero Neue Zürcher Zeitung, che riferiva di una proposta di pace pervenuta a Mosca dagli Stati Uniti che ha avuto come focus la visita a Kiev del Capo della Cia William Burns. Gli Usa avrebbero offerto il 20% dell’Ucraina in cambio di un accordo. La notizia è stata smentita da tutte le parti interessate, ma ha un evidente fondo di verità, come dimostra la visita di Burns. Washington e Mosca Hanno iniziato a parlare.
  Ma è prematuro fare previsioni. In attesa di capire meglio se e come cambierà qualcosa sul piano militare, ci limitiamo a riferire un tweet di M. K. Bhadrakumar (acuto analista di Indian Punchline), che ha destato la nostra curiosità.
  “Notizie esplosive da Kiev! Sostituito il ministro della Difesa Reznikov (ex ufficiale dell’aeronautica sovietica); lo sostituisce l’astro nascente Kyrylo Budanov, a capo dell’Intelligence militare (e beniamino degli americani); ciò consente al Pentagono un ruolo pratico nella gestione della guerra. Dove finirà Zelenskyj?”
  Vuoi vedere che hanno invitato Zelensky a Sanremo pensando di ospitare una stella senza accorgersi che si tratta di una stella cadente? Nell’incertezza, forse era meglio soprassedere (soprattutto per altre e più importanti ragioni).
  D’altronde l’ambito della politica estera italiana (di certo interpellata sull’invito), come anche quella interna, da tempo registra deficit di lucidità. Forse lo hanno capito solo adesso, o forse il ragazzo è in difficoltà, perché il giorno dopo la notizia di cui sopra si è saputo che piuttosto che apparire, come usa fare a mo’ di Madonna, Zelensky invierà un messaggio, in stile Medjugorje.

(Piccole Note, 7 febbraio 2023)

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La Germania si affida ad Israele per la difesa aerea con Arrow 3

di Jean Valjean

La commissione per il bilancio del Bundestag ha sbloccato mercoledì una prima tranche di 560 milioni di euro per l’acquisto del sistema di difesa aerea Arrow-3 di fabbricazione israeliana, mentre il governo tedesco cerca di modernizzare le proprie forze armate nell’ambito di un fondo di 100 miliardi di euro approvato dal cancelliere Olaf Scholz e dal Parlamento tedesco lo scorso anno.
  La spesa della Germania per il sistema Arrow-3, progettato per intercettare missili balistici, dovrebbe raggiungere i 4 miliardi di euro. Mercoledì la commissione ha anche approvato circa 950 milioni di euro per l’acquisto di sei sistemi di difesa aerea IRIS-T-SLM di fabbricazione tedesca. La Germania deve praticamente ricostruire il proprio sistema di difesa aerea, come del resto dovrebbe fare l’Italia.
  Arrow è un sistema anti-aereo e anti-missile avanzato, sviluppato dal 2017, con capacità di raggiungere velocità ipersonica e funziona anche anti-artiglieria. L’evoluzione Arrow 4, attualmente in fase di test, sarà in grado di intercettare anche i missili ipersonici.
  “Con l’acquisto dell’IRIS-T SLM tedesco e l’acquisizione dell’Arrow israeliano, stiamo portando avanti due importanti progetti del patrimonio speciale della Bundeswehr che contribuiranno a costruire un ombrello protettivo in Germania”, ha dichiarato a POLITICO Karsten Klein, legislatore dei Liberi Democratici nella commissione.
  Il sistema Arrow-3 è sviluppato e prodotto dalle industrie aerospaziali israeliane in collaborazione con il gigante aerospaziale statunitense Boeing. Klein ha dichiarato che i sistemi di difesa aerea, combinati, avrebbero un raggio d’azione di 2.400 chilometri.
  Il sistema Arrow-3 è in uso in Israele dal 2017 come parte della rete di protezione Iron Dome. Secondo un documento visionato da POLITICO, Berlino punta a stipulare un contratto vincolante per il sistema Arrow-3 entro la fine del 2023, che potrebbe quindi essere operativo entro la fine del 2025.
  Nell’ambito dell’aumento della spesa per la difesa in Europa in seguito alla guerra della Russia contro l’Ucraina, le aziende aerospaziali temono che miliardi di euro vadano a contraenti esterni all’UE, tra cui Israele, Corea del Sud e Turchia.

(Scenari Economici, 16 giugno 2023)

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Israele, Teheran e la polveriera mediorientale. Gli scenari dell’Inss

Gli esperti di uno dei maggiori think tank israeliani, l’Institute for National Security Studies, hanno discusso a Roma della dimensione securitaria israeliana. Formiche.net ha partecipato all’evento, ecco i quattro temi principali che minacciano l’area della Terra Santa.

di Duccio Fioretti

Durante un incontro a Roma con gli esperti dell’israeliano Institute for National Security Studies (Inss), il tema centrale è stata la sfida iraniana: negli ultimi anni Teheran ha accresciuto la pressione esercitata sullo stato israeliano, rafforzando la sua presenza intorno ai confini soprattutto grazie ad un massiccio uso di proxies, gruppi paramilitari formalmente indipendenti ma sostenuti e finanziati dall’Iran.
  Si è partiti dal contestualizzare la situazione securitaria di Israele nel teatro medio-orientale. Le dinamiche geopolitiche nel mondo contemporaneo si muovono in modo molto più rapido rispetto agli anni passati, rendendo obsoleti i paradigmi finora validi. Una rapida occhiata alla situazione permette di inquadrare cosa significhi questo processo. Una parte importante della popolazione sta portando avanti proteste di piazza contro la riforma giudiziaria da oramai 24 settimane, le più lunghe mai registrate dalla nascita del Paese nel 1948. Nessuno si aspettava il verificarsi di un simile fenomeno, simbolo di vibrante democrazia. Ma le tensioni interne si sovrappongono a quelle esterne, rappresentate da minacce che Israele considera come esistenziali. E questa sovrapposizione rischia di rendere più difficile la corretta gestione di entrambe. In particolare, le tensioni tra Iran e Israele sono cresciute negli ultimi 10 anni, soprattutto a causa delle mosse del primo: mentre Tel Aviv non ha accresciuto la sua proiezione all’estero, Teheran si è spinto sempre più lontano rispetto ai suoi confini nazionali, appoggiandosi a gruppi e a milizie locali come la libanese Hezbollah, la yemenita Ansar Allah o l’irachena Organizzazione Badr.
  E oltre alla minaccia convenzionale, c’è anche quella atomica. Non è chiaro con certezza a quale stadio di sviluppo sia arrivato il programma nucleare iraniano, ma secondo alcune fonti attendibili, Teheran avrebbe le capacità per sviluppare un ordigno nucleare in 120 giorni. A quel punto non sarebbe più una questione di expertise tecnica, ma di volontà politica. Certo, l’Iran ha tutto il vantaggio di sfruttare questa sua presunta capacità per esercitare pressione politica, ma per Israele la minaccia è reale.
  Secondo gli esperti dell’Inss, ci sono quattro questioni chiave su cui Israele deve concentrarsi per garantire il mantenimento della propria sicurezza nazionale. In primis la situazione diplomatica. Limitatamente alla regione mediorientale, lo stato ebraico è al momento molto più isolato di prima: per questo motivo è necessario che continui il suo approccio di cooperazione con i propri vicini. Segue la questione palestinese: al momento, gli abitanti della Palestina non starebbero ricevendo le dovute attenzioni da parte delle loro autorità, che si interessano soltanto ad accrescere la tensione col governo israeliano. Di questo passo c’è l’eventualità che si opti per una One State Solution, che secondo l’Inss è in assoluto la soluzione peggiore.
  Il terzo punto riguarda i proxy di Teheran negli altri stati mediorientali, e specificamente la loro lealtà: quant’è grande il rischio che questi gruppi decidano di non rispettare più gli ordini dei loro sostenitori e di agire in totale autonomia, con il rischio che si verifichi un’escalation di violenza che veda coinvolte sia le Israeli Defence Forces (IDF) che i gruppi paramilitari sciiti? Infine, l’ultima questione evidenziata è quella del Libano. Beirut sta attraversando una profonda crisi economica e sociale, che rischia di far scivolare il controllo del paese nelle mani di Hezbollah e dell’Iran, a meno che l’Occidente non decida di intervenire con degli aiuti economici ad hoc.
  L’ultimo tema in ordine cronologico è stato quello della Siria, come esempio concreto dell’evoluzione delle dinamiche geopolitiche nel Vicino Oriente. Sin dallo scoppio della guerra civile, la Siria di Assad è sempre stata considerata come il pariah del sistema internazionale mediorientale; tuttavia, ultimamente Damasco si sta reintegrando sempre di più. Molti paesi non apprezzano il governo di Assad e le sue posizioni, ma esso garantisce una certa stabilità, e il suo ritorno nella politica regionale è simbolo della distensione ad oggi in corso in Medio Oriente. Seguire un approccio simile con Teheran potrebbe portare risultati simili?

(Formiche.net, 16 giugno 2023)

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La qualità di una leadership. La lezione dell’ebraismo

Intervista a rav Riccardo Shemuel Di Segni

di Daniele Toscano

Il tema della leadership ha profonde radici nell’ebraismo, con riferimenti sin dai tempi più remoti e numerosi riferimenti biblici. I valori e i principi a cui si deve fare riferimento sono costanti nel tempo e si possono adattare ai diversi contesti. Su questo tema Shalom ha intervistato Rav Riccardo Di Segni, Rabbino Capo di Roma.

- Quali strumenti ci offre l’ebraismo per affrontare le sfide che si rinnovano in ogni epoca? Quali sono i valori cardine che possono ispirare un leader secondo l’ebraismo?
  La tradizione ebraica ha affrontato questo problema fin dall’inizio della sua storia, e stiamo a circa 35 secoli fa. Volendo riassumere in poche parole essenziali, ciò che si richiede a un leader è coscienza dell’importanza del suo ruolo come prosecutore di una storia, custode e trasmettitore, responsabilità, dedizione, onestà, sensibilità, competenza, e un sano equilibrio tra il rispetto a lui dovuto come leader e il divieto che ha di montarsi la testa.

- C’è un passo o una citazione della Torà o del Talmud che possono rappresentare un punto di riferimento a questo proposito?
  Ce ne sono tanti. Ne cito solo uno, la richiesta di Moshè per individuare il suo successore: “che il Signore, Dio degli spiriti di ogni creatura, nomini una persona sopra alla comunità, che esca davanti a loro e che venga davanti a loro, che li faccia uscire e che li faccia venire, e che la comunità del Signore non sia come un gregge che non ha pastore” (Bemidbar [Numeri] 27, 17-18).

- La leadership nelle comunità ebraiche si divide tra i compiti “politici” di una dirigenza comunitaria e il ruolo spirituale del rabbinato: come devono essere interpretati i due diversi ruoli?
  Sono entrambi necessari e la divisione dei “poteri” è essenziale per una sana dialettica. Moshè ha incarnato in un’unica persona il ruolo di re, di sacerdote e di guida spirituale, ma questa fusione è durata poco. Poi c’è stato il periodo dei re, dei sacerdoti e dei profeti. Da molti secoli la polarizzazione è binaria, e spesso si sente la mancanza di una voce critica ispirata, “profetica”. Non si può negare che spesso invece della sana dialettica c’è uno scontro tra idee e programmi differenti, di tentativi di prevalenza. A volte giocano i caratteri, a volte le ideologie.

- Le peculiarità di questo attuale momento storico quali priorità pongono per una leadership ebraica rispetto ad altri periodi?
  Ogni momento della storia ebraica e ogni luogo ha i suoi problemi. Quello che è importante è capire le priorità e le urgenze ed essere sempre pronti a situazioni di emergenza. Purtroppo vedo che non c’è una coscienza forte delle priorità e dei modi di gestirla, e che si va appresso a influssi culturali esterni e estranei, che non ci aiutano.

- La Comunità di Roma si appresta ad andare al voto: a quali principi dovrebbe ispirarsi la prossima leadership comunitaria e come si deve lavorare per costruire la leadership del futuro, in un contesto di calo demografico generalizzato a cui la nostra comunità non fa eccezione?
  Il quadro elettorale, come appare dalle liste proposte, rivela un dato confortante, quello della disponibilità di volti nuovi e di giovani (anagraficamente o nello spirito) disposti a mettersi a disposizione. Questo vuol dire che si è creato almeno un bacino di volontariato se non proprio una scuola di leadership. Al di là e alla fine della campagna elettorale con le sue inevitabili polemiche –che spero siano virtuose e non distruttive - bisognerà mettere la nuova direzione comunitaria di fronte ai problemi reali, e quello demografico che lei cita è tra i più importanti, tanto grave quanto difficile da risolvere.

(Shalom, 16 giugno 2023)

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