Notizie su Israele 125 - 17 settembre 2002


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Infatti tu sei un popolo consacrato al SIGNORE tuo Dio. Il SIGNORE, il tuo Dio, ti ha scelto per essere il suo tesoro particolare fra tutti i popoli che sono sulla faccia della terra. Il SIGNORE si è affezionato a voi e vi ha scelti, non perché foste più numerosi di tutti gli altri popoli, anzi siete meno numerosi di ogni altro popolo, ma perché il SIGNORE vi ama: il SIGNORE vi ha fatti uscire con mano potente e vi ha liberati dalla casa di schiavitù, dalla mano del faraone, re d'Egitto, perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri.

(Deuteronomio 7:6-8)



PERCHÉ I PALESTINESI STANNO VINCENDO LA GUERRA MEDIATICA


Intervista con David Bedein

David Bedein ha diretto l'Israel Resource News Agency, con sede a Gerusalemme e che dal 1987 fornisce servizi di agenzia alla stampa estera. Ha anche lavorato su progetti speciali per la BBC, CNN Radio, il "Los Angeles Times", e il settimanale di informazione israeliano "Makor Rishon". È stato intervistato da Aron Hirt-Manheimer direttore di RJ.

D: Sei d'accordo con chi dice che "i palestinesi hanno fatto un lavoro migliore degli israeliani sul fronte delle Pubbliche Relazioni"?
R: Sì. Negli ultimi 20 anni i palestinesi sono stati più bravi degli israeliani nel predisporre l'immagine del conflitto per i media internazionali. Il punto di svolta è stato durante la guerra in Libano, quando i palestinesi hanno iniziato una campagna di propaganda per proporre se stessi come i difensori dei diritti umani e gli israeliani come i violatori dei diritti umani. Allo stesso tempo il fratello di Yasser Arafat, Dr. Fatchi Arafat, ha sfruttato la sua posizione di direttore della Mezzaluna Rossa Palestinese per fornire dati sulle vittime enormemente gonfiati. Il 10 giugno del 1982, per esempio, il Dr. Arafat ha emanato una dichiarazione in cui affermava che "10.000 palestinesi sono morti e 600.000 hanno perso le loro case solo nei primi giorni della guerra", una menzogna architettata per dipingere i palestinesi come vittime di un'aggressione genocida in Libano. In realtà la popolazione totale della zona di guerra era composta da meno di 300.000 persone. Ciononostante la Croce Rossa Internazionale e il Comitato di Azione in Medioriente dell'American Friends Service Committee hanno diffuso queste cifre dei 10.000 e 600.000 a tutte le agenzie e i media del mondo e la maggior parte dei network americani hanno ripreso la storia. Jessica Savitch della NBC scrisse "Adesso si stima che i 600.000 rifugiati del Libano meridionale siano privi di cibo e medicine sufficienti".
    I giornalisti professionisti palestinesi non si fanno scrupoli ad imbrogliare i media per un vantaggio politico. Nel loro tentativo di convincere il mondo che l'IDF [le forze armate israeliane. N.d.T.] ha massacrato centinaia di civili nel campo profughi di Jenin durante l'Operazione Scudo Difensivo, hanno usato carcasse animali per riempire l'aria dell'odore nauseabondo di carne putrescente dove era probabile che venissero in visita giornalisti e funzionari delle Nazioni Unite. L'IDF ha filmato questo trucco, così come ha filmato un funerale durante il quale il "corpo" è saltato giù dalla bara ed è scappato via quando un aereo di sorveglianza israeliano si è avvicinato al corteo funebre.

D:Stai forse dicendo che una tattica del genere è controproducente?
R: No, tutt'altro. Queste figuracce sono eccezioni. I palestinesi hanno un'esperienza eccezionale nel manipolare le immagini che appaiono nei media internazionali. Hanno ricevuto un bonus propagandistico enorme all'inizio della seconda Intifada quando una troupe palestinese che lavorava per la televisione francese ha filmato l'uccisione dell'undicenne Mohammed al-Dura mentre il padre cercava invano di proteggerlo durante uno scontro armato a un incrocio di Gaza. Il video, montato in modo da mostrare l'IDF come crudele e spietato, commentava perfettamente il resoconto palestinese dei fatti. Il Governo Israeliano è caduto nella trappola, emanando le sue scuse prima di aver indagato sui fatti. Mohammed al-Dura, il "ragazzo poster" della Seconda Intifada passerà alla storia come un martire del popolo palestinese, eppure la versione palestinese della morte di Mohammed al-Dura è una menzogna, un'invenzione dei professionisti delle Pubbliche Relazioni palestinesi. Un'indagine scrupolosa dell'IDF, emanata tre settimane dopo il caso e confermata da una troupe tedesca, ha dimostrato che le pallottole che hanno colpito il ragazzo provenivano dai palestinesi che avevano attaccato il posto di guardia israeliano. Ma il mondo è "stato testimone" dell'uccisione di al-Dura, come descritta dai media: un'atrocità commessa dalle truppe israeliane. Il danno non può più essere rimediato. È impossibile rimettere il dentifricio nel tubetto.

D:Quando sono entrati in scena questi professionisti delle Pubbliche Relazioni palestinesi?
R: Nel marzo del 1984, Ramonda Tawill, una professionista dell'informazione (divenuta suocera di Arafat quattro anni dopo) ha aiutato l'OLP a istituire l'agenzia di Servizi Stampa Palestinesi (PPS) per fornire assistenza agli inviati e realizzare seminari e corsi in relazioni mediatiche. La PPS si è quindi unita al Centro di Informazioni sui Diritti Umani Palestinese (PHRIC) nello sforzo di cambiare l'immagine dell'OLP da quella di movimento di liberazione stile anni '60 ad organizzazione che combatte per proteggere le vittime degli abusi dei diritti umani israeliani. I seminari del PHRIC istruivano gli "studenti" a deviare ogni intervista verso gli stessi temi - l'occupazione israeliana, gli insediamenti illegali, gli abusi dei diritti umani e il diritto al ritorno dei profughi palestinesi. Quale che fosse la domanda, questi temi andavano ripetuti in continuazione. Lo so per esperienza, perché la nostra agenzia aveva deciso che ogni nuovo giornalista dovesse seguire i corsi della Tawill.
    Una delle sue grandi "realizzazioni" avvenne nel maggio del 1985, dopo che Israele rilasciò più di mille terroristi in cambio di sette soldati israeliani. Per sviare i media dai crimini commessi da queste persone, la Tawill allenò questi terroristi liberati a dire di essere stati torturati nelle prigioni israeliane per il loro "attivismo politico" e per "l'appoggio al nazionalismo palestinese". Ho saputo di questa tattica da diversi studenti della Tawill in un corso di giornalismo che ho seguito nel maggio del 1986. Mi hanno spiegato che monopolizzando il tempo del reporter con storie di tortura, i giornalisti dovevano inevitabilmente terminare l' intervista prima di avere il tempo di chiedere ai terroristi il motivo del loro arresto e condanna. A quel tempo, i servizi israeliani non permettevano ai giornalisti di esaminare gli archivi carcerari dei condannati per motivi di sicurezza, così i crimini di questi terroristi sono stati praticamente ignorati nei resoconti giornalistici.

D:Il PHRIC era realmente ritenuto un'organizzazione per i diritti umani credibile?
R: Assolutamente sì. A metà del 1989 le organizzazioni internazionali per i diritti umani riproducevano di routine le informazioni sviluppate dal PHRIC, la cui sicurezza finanziaria era fornita dalla Fondazione Ford, e che aveva fondato uffici a Chicago e Washington. Rivolgendosi ai giornalisti a Gerusalemme nel novembre del 1989, il portavoce di Amnesty International Richard Reoch ha ammesso che la sua organizzazione considerava l'OLP, che lavora con il PHRIC, come una fonte oggettiva di informazioni "dal momento che l'OLP non è un organismo governativo". Il portavoce dell'ambasciatore mi ha detto nel febbraio del 1989 che il PHRIC aveva credenziali informative "impeccabili".

D:Come vengono formati oggi i professionisti palestinesi delle P.R., e chi li finanzia?
R: La Società Accademica Palestinese per lo Studio degli Affari Internazionali (PASSIA) svolge corsi e ha prodotto più di 30 manuali "Come si fa" su argomenti quali le pubbliche relazioni, le relazioni con i media, la raccolta fondi, la comunicazione, la lobby e i discorsi in pubblico. PASSIA istruisce gli accademici palestinesi che poi insegnano all'estero come promuovere la loro causa nei campus universitari; inoltre ai palestinesi negli Stati Uniti viene insegnato come scovare la circoscrizione araba in ogni collegio del Congresso e come fare lobby sui membri del Congresso per ottenere sostegno politico ed economico per la causa palestinese. E chi finanzia la PASSIA? L'Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID), un programma del Dipartimento di Stato, che garantisce più di un milione di dollari ogni anno a PASSIA e ad altre diciotto imprese palestinesi per le relazioni con i media. È stato soltanto a marzo che i membri del Congresso sono divenuti consapevoli di questi aiuti, dopo che un funzionario del Comitato degli Stati Uniti per le Relazioni Internazionali aveva scoperto che USAID stava fornendo ai palestinesi stanziamenti per le relazioni con i media. Un sorpreso Eliot Engel, deputato al collegio di New York, leggendo un manuale di PASSIA ha detto incredulo: "Eccoci qui al Congresso che li paghiamo perché facciano lobby su di noi".

D:Come hanno fronteggiato gli israeliani questa strategia palestinese di dipingerli come violatori dei diritti umani?
R: Gli israeliani si sono trovati costantemente sulla difensiva. Non sembra riescano ad uscire dalla gabbia in cui li hanno messi i palestinesi. Dipingendo il conflitto come un problema di diritti umani, i palestinesi sono riusciti a convincere molti giornalisti, almeno a qualche livello, che qualsiasi atto di terrorismo contro i civili israeliani non è in realtà un crimine, ma una risposta legittima agli abusi dei diritti umani.

D:Com'è strutturato il programma di P.R. palestinese, e in cosa differisce da quello israeliano?
R: La principale organizzazione giornalistica palestinese, chiamata "Jerusalem Media and Communications Center" (JMCC), viene finanziata pesantemente dall'Unione Europea e dalla Fondazione Ford. Guidata dal Dr. Ghassan Khatib, persona vicina a Yasser Arafat, il JMCC fornisce ai media stranieri eccellenti servizi professionali - cameraman a buon prezzo, traduttori, fotografi e mezzi di trasporto, così come bollettini di notizie, briefing e persone da intervistare.
    Il Governo Israeliano fornisce agli inviati un sacco di bollettini, ma lascia che cameraman e traduttori vengano forniti dal settore privato. Nessuna troupe televisiva israeliana può competere con il JMCC, che gode di fonti di finanziamento estere e che ha in pratica fatto man bassa nel mercato dei servizi alla stampa estera. La stampa estera è totalmente dipendente dal personale tecnico palestinese, che ha una forte influenza sulle immagini e il modo di raccontare le storie che appaiono sui media occidentali.

D:I palestinesi hanno un rappresentante di P.R. a Washington, DC?
R: Il loro uomo a Washington è Edward Abington, che è stato console degli Stati Uniti a Gerusalemme quando USAID ha cominciato a finanziare PASSIA negli anni '90 e che adesso è registrato e pagato come agente straniero per l'OLP a Washington. Abington coordina le informazioni di JMCC, PASSIA e altre agenzie informative palestinesi e dà un volto moderato alla causa palestinese, cosa che spesso significa controllare i danni. Per esempio, ogni volta che le milizie di Arafat rivendicano un attentato terroristico, l'ufficio di Abington emana immediatamente una dichiarazione ai media in cui nega il coinvolgimento di Arafat. Un caso esemplare: il 20 novembre del 2000, la radio e televisione ufficiali palestinesi (PBC) citavano Fatah, gruppo dell'OLP, come gruppo che aveva rivendicato un attentato a uno scuolabus vicino a Cfar Darom, dove due insegnanti erano stati assassinati e tre fratellini erano stati mutilati. Eppure la CNN disse che l'OLP aveva condannato l'attacco. Chiamai l'ufficio internazionale della CNN ad Atlanta per sapere come mai era stata data questa notizia contraddittoria e la persona che mi rispose, un praticante diciannovenne, mi disse che avevano ricevuto una chiamata dall'ufficio di Abington a Washington, seguita da un fax in cui veniva negato il coinvolgimento dell'OLP.
    Abington fornisce al Governo e alla stampa statunitensi anche "traduzioni" dei discorsi di Arafat. Il 15 maggio del 2002, Arafat ha rilasciato un discorso al Concilio Legislativo Palestinese in cui paragonava gli accordi di Oslo al trattato di pace decennale fra Maometto e la tribù ebraica dei Qureish, un trattato che il fondatore dell'Islam ruppe due anni dopo averlo firmato, quando le sue milizie raggiunsero la forza sufficiente per massacrare la tribù ebraica. Il presidente Bush disse che Arafat aveva pronunciato "parole giuste". Quando le nostre agenzie di stampa chiesero se a Bush fosse stato mandato l'intero discorso, i funzionari dell'ambasciata risposero che Bush non aveva ricevuto nessun discorso. Allora abbiamo chiamato l'ufficio di Abington, che ci ha detto che avevano fornito al presidente il discorso già tradotto. Chiaramente il testo fornito dall'ufficio di Abington era arrivato prima di qualsiasi dispaccio dell'ufficio di informazione dell'ambasciata. Le "parole giuste" escludevano per convenienza il messaggio bellicoso di Arafat.

D:Le organizzazioni mediche e umanitarie palestinesi sono coinvolte nella "guerra dei media"?
R: Come le cosiddette organizzazioni palestinesi per i diritti umani, anche l'Unione dei Comitati Medici di Soccorso Palestinesi (UPMRC), guidata dal Dr. Mustafa Al-Bargouti (fratello del leader dei tanzim di Fatah, Marwan Al-Bargouti, attualmente in carcere), coordina le sue strategie con la Mezzaluna Rossa Palestinese del Dr. Fatchi Arafat, per diffondere notizie infamanti sulla negligenza medica e le torture dei palestinesi da parte di Israele. Ci sono stati anche molti casi di false notizie fornite dalle fonti dell'UPMRC riprese dai media statunitensi. L'11 luglio del 2001, ad esempio, l'Associated Press ha dato notizia di una donna incinta palestinese uccisa a colpi di arma da fuoco ad un posto di blocco stradale israeliano. In realtà la donna non era morta e il dottore che ha riferito la notizia ad AP non l'aveva vista perché si trovava in un'altra città. Il giorno dopo Associated Press si è corretta dicendo che "i soldati israeliani non hanno impedito a una partoriente di superare i posti di blocco, come inizialmente affermato da due medici palestinesi": Un altro caso: a fine maggio, la Radio Pubblica Nazionale ha emanato un rapporto parallelo di un attentato suicida palestinese in un ristorante all'aperto vicino a Tel Aviv che aveva ucciso una bambina piccola e sua nonna, e l'uccisione per errore di una nonna palestinese e di un bambino che l'IDF aveva preso per terroristi che cercavano di infiltrarsi. I medici palestinesi hanno riferito ai giornalisti della National Public Radio americana che i corpi delle vittime palestinesi erano stati bruciati, smembrati e distrutti da un carro armato israeliano. Nel suo servizio la NPR ha riportato queste accuse, non comprovate. Quando ho chiesto notizie al portavoce dell'IDF riguardo a queste accuse, egli ha riso stupito e incredulo che i giornalisti dessero credito a simili fandonie infamanti - ma l'avevano fatto.

D:Come viene finanziata la UPMRC?
R: Riceve 300.000 dollari ogni anno dagli Stati Uniti per le pubbliche relazioni. E la Mezzaluna Rossa Palestinese del Dr. Arafat riceve 215.000 dollari l'anno come aiuti dagli Stati Uniti. Entrambe le agenzie sono sulla lista delle 59 organizzazioni non governative palestinesi che hanno ricevuto 100 milioni in aiuti dagli Stati Uniti fin dal 1997.

D: Ritieni che le Nazioni Unite abbiano un ruolo nel promuovere le Pubbliche Relazioni palestinesi?
R: Certamente. L'UNRWA ha un dipartimento per le relazioni con i media e un bollettino di notizie chiamato "Servizi televisivi dell'UNRWA", entrambi con sede al campo profughi di Ain el-Helweh in Libano. L'UNRWA coopera con i servizi giornalistici dell'OLP e l'azienda televisiva palestinese PBC per fornire agli inviati stranieri informazioni e servizi giornalistici. Gli argomenti che tratta vertono prevalentemente sulle sofferenze dei profughi ospitati nei campi "in attesa di tornare in Patria", e questa Patria - secondo i loro testi - non sono i territori occupati da Israele nel 1967, ma anche tutte le terre annesse dopo la guerra di indipendenza del 1948.
    Lo scopo delle Nazioni Unite è quello di presentare gli arabi palestinesi come vittime. Nella pubblicazione "Testimoni della storia: il problema dei rifugiati palestinesi", una fra le diverse pubblicazioni distribuite dall'UNRWA e pubblicate da MIFTAH, l'agenzia giornalistica palestinese, guidata dalla famosa portavoce palestinese Hanan Ashrawi e commissionata dal Governo Canadese, le Nazioni Unite sostengono, a pagina 13, che "tutti i rifugiati e i loro discendenti hanno diritto a un risarcimento e al rimpatrio alle loro case natie e alla loro terra ."

D:Quali sono le principali differenze fra palestinesi e israeliani nelle loro relazioni con i media?
R: I disciplinati portavoce professionisti palestinesi di solito si presentano come una banda di dilettanti romantici. Incontrano i corrispondenti occidentali in modesti alberghi di Gerusalemme o Ramallah o sullo sfondo di un campo profughi. Questa tattica ha avuto un gran successo nel rafforzare l'immagine della loro parte come sfortunati cani bastonati. Un'intervista con un palestinese in una stradina con i copertoni che bruciano e le pallottole che fischiano sopra le teste colpisce l'immaginazione del direttore che la mette in una posizione di risalto per l'effetto che fa, il dramma umano che rivela.
    Invece, quando i corrispondenti stranieri incontrano i rappresentanti israeliani, in genere vengono accolti da raffinati portavoce governativi in alberghi di lusso, negli uffici moderni di agenzie giornalistiche professionali. I portavoce israeliani lavorano sulla base di tre assiomi: prima di tutto che pubbliche relazioni formali e professionali siano di per sé persuasive; in secondo luogo che una spiegazione esaustiva della storia del conflitto sia un'arma migliore delle semplici parole nel convincere l'opinione pubblica della bontà della loro causa; e in terzo luogo che la correttezza della loro azione e della loro causa sia di per sé evidente per qualsiasi essere umano razionale e senza preconcetti. Su queste basi, il Ministro degli Esteri Shimon Peres una volta disse: "Le buone politiche sono le migliori pubbliche relazioni; parlano da sole". Sfortunatamente Peres sbagliava. Una bugia può essere molto più potente della verità, se riesci a venderla abbastanza bene da far sì che le persone ci credano.
    Un altro problema delle Pubbliche Relazioni israeliane è che sono coordinate in modo infelice e talvolta contraddittorio. Le notizie provengono da almeno quattro uffici diversi - l'IDF, il Ministero degli Esteri, l'ufficio del Primo Ministro e il Ministero della Difesa - e ogni volta con un messaggio differente. Il 28 ottobre del 2001, per esempio, il Ministro degli Esteri israeliano Shimon Peres ha rilasciato parecchie interviste, in Israele e all'estero, in cui diceva che Arafat non era responsabile per l'ondata di attacchi terroristici, e per sostenere questo, faceva notare che l'Autorità Palestinese aveva appena arrestato diversi terroristi di Hamas. Lo stesso giorno però i servizi di intelligence delle forze armate si sono incontrati con più di 100 giornalisti per presentare le prove del coinvolgimento di Arafat e della sua organizzazione Fatah nelle attività terroristiche di Hamas. Nello spiegare come i gruppi terroristici di Hamas fossero addestrati e operassero all'interno dei servizi di sicurezza palestinesi, un portavoce militare israeliano ha fornito ai media la documentazione che prova come Hamas operi completamente come una struttura ufficiale delle forze di sicurezza palestinesi a Gaza; egli ha anche sottolineato come quella mattina stessa due terroristi di Hamas ricercati, che lavoravano per i servizi di sicurezza palestinesi, avessero ucciso quattro donne e ferito cinquanta civili alla stazione degli autobus di Hadera.
    Rispetto a questa apparente contraddittorietà dei messaggi che provengono da Israele, i portavoce dell'autocratica Autorità Palestinese sottostanno alla disciplina di partito che semplicemente prevede di recitare la litania standard dell'"oppressione", dell'"occupazione, degli "abusi dei diritti umani", del "razzismo" ecc.

D:Secondo te perché negli ultimi anni il Governo Israeliano ha avuto una

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tale difficoltà a far presente il suo punto di vista presso la stampa occidentale?
R: Penso che Israele abbia commesso un grosso sbaglio nel 1986, quando il Ministro degli Esteri Shimon Peres e il suo vice, il Dr. Yossi Beilin, cambiarono il modo in cui il Governo si relazionava con l'OLP. Chiesero al Ministro degli Esteri di smettere di diffondere l'accordo costitutivo dell'OLP, che chiede la distruzione dello stato di Israele, e che non è mai stato abrogato. Chiesero anche che il Ministero smettesse di definire l'OLP come un nemico. In innumerevoli conferenze tenute dal Ministero nei tardi anni '80, sia Peres, sia Beilin spiegarono che era giunto il tempo di archiviare la lotta con l'OLP. Nel 1986 il cambiamento di politica di Peres/Beilin preparò la strada per il riconoscimento di due anni dopo dell'OLP da parte degli Stati Uniti.
    Il Governo Israeliano ha anche concesso ai palestinesi parecchi bonus durante i sette anni del processo di Oslo, fra il 1993 e il 2000, sottovalutando gli attacchi terroristici e i messaggi ambigui della leadership palestinese, che presentava messaggi di pace in inglese e di guerra in arabo. Per impedire che il processo di pace di Oslo collassasse, sia i leader israeliani, sia quelli degli Stati Uniti decisero nel 1993 di ignorare le giornaliere richieste della televisione e radio palestinese di rinnovare la guerra contro Israele. Invece nel 1995, quando l'Istituto per l'Educazione alla Pace Srl, aiutato anche dalla nostra agenzia, pubblicò video di discorsi di Arafat in cui promuoveva la jihad (la guerra santa), allora il Primo Ministro israeliano Yitzak Rabin e il Ministro degli Esteri Shimon Peres, chiesero alla TV israeliana di non trasmettere i discorsi di Arafat in arabo. Nel settembre del 1995 Peres arrivò a chiedere al rappresentante Bill Gilman, presidente del Comitato della Casa Bianca per le relazioni internazionali, di non tenere un'udienza speciale in cui sarebbero stati trasmessi questi video dei discorsi di Arafat. Il Comitato della Casa Bianca però ignorò questa richiesta.
    La politica del "non dire" è continuata durante l'amministrazione Netanyahu dal 1996 al 1999. Mentre l'ufficio di Netanyahu stilava rapporti settimanali per i membri del Likud sulle istigazioni alla guerra dell'Autorità Palestinese, un suo importante funzionario mi confermò che i rapporti venivano deliberatamente taciuti al Ministero degli Esteri e ai media israeliani. Nell'ottobre del 1998, durante la Conferenza di Wye, chiesi all' ambasciata israeliana perché non distribuissero questo materiale. Mi dissero: "Il Governo Israeliano ridimensiona la realtà dell'Autorità Palestinese di Arafat per non irritare il Governo Americano". Il Governo Barak, che assunse il potere nel maggio del 1999, arrivò al punto di eliminare zitto zitto la clausola dell'accordo di Oslo che chiedeva all'Autorità Palestinese di cessare le istigazioni contro Israele.

D: Quali sono le differenze fra israeliani e palestinesi nel modo in cui trattano i giornalisti stranieri?
R: L'esercito israeliano spesso dichiara alcune zone off limits ai giornalisti, cosa che equivale a far roteare un drappo rosso davanti a un toro. La prima cosa che un giornalista pensa è che Israele stia cercando di nascondere qualcosa. Un giornalista straniero, che mi ha chiesto di restare anonimo, mi disse che Israele aveva fatto un "terribile errore" quando "l'IDF ha chiuso tutta la Striscia di Gaza ai giornalisti durante l'Operazione Scudo Difensivo e ha lasciato la zona aperta alle dicerie diffuse abilmente dai portavoce palestinesi. Non avevamo modo di controllare queste voci e molti di noi dovevano basarsi sul sentito dire per scrivere i propri articoli. Ovviamente quando le televisioni trasmettono i portavoce palestinesi in diretta che fanno le loro accuse, a quel punto noi dobbiamo adeguarci".
    Invece l'Autorità Palestinese raramente si mette in contrasto con la stampa straniera. Una rara eccezione avvenne nell'ottobre del 2001, quando due soldati israeliani vennero linciati alla stazione di polizia di Ramallah. La scena truculenta fu filmata da una troupe della televisione italiana e spedita all'estero senza essere passata attraverso la censura dell'Autorità Palestinese, la quale poi pretese una scusa e una promessa che non sarebbe mai più accaduto, pena la perdita del permesso di coprire i territori palestinesi. Gli italiani fecero mea culpa e promisero che non avrebbero mai più messo in imbarazzo i loro ospiti. Noi chiedemmo ai nostri inviati di volare a Roma e intervistare qualche membro della troupe, i quali ci raccontarono - e registrammo queste dichiarazioni - come fossero stati costretti da agenti palestinesi a scrivere una lettera di scuse.

D:Quali consigli darebbe al Governo Israeliano per migliorare la sua immagine nei media occidentali?
R: Invece di vietare ai giornalisti le "zone militari chiuse", l'IDF e il Governo Israeliano dovrebbero facilitare la copertura giornalistica di ogni evento, non importa quanto delicato o pericoloso. Impedire ai giornalisti di fare il loro lavoro, in qualche raro caso perfino sparare nella loro direzione, ha scarso effetto nel farsi amici i media.
    Penso che il modo migliore con cui Israele può migliorare le proprie relazioni pubbliche sia migliorare le proprie relazioni umane. C'è anche un dato positivo da registrare, Israele ha finalmente cominciato a fornire ai corrispondenti informazioni di background più concise e utili, kit, cd-rom e schede sui nemici di Israele. Però Israele, piuttosto che fornire ai giornalisti i mezzi per raggiungere la zona dov'è avvenuto un attacco, preferisce ancora tenerli lontano. In breve Israele deve trattare i giornalisti con meno sospetto e più rispetto.

D:Ritieni che molti giornalisti occidentali abbiano un pregiudizio anti-israeliano o che siano altri i fattori che favoriscono il punto di vista palestinese?
R: Concordo con la valutazione del Dr. Mike Cohen, un analista della comunicazione strategica che vive a Gerusalemme e che è un ufficiale della riserva dell'IDF. Egli dice che la maggior parte dei giornalisti non sono intrinsecamente anti-israeliani, antisemiti o pro-palestinesi. Essi però vengono facilmente persuasi dalla manipolazione palestinese, che gioca sulla mancanza di conoscenze dei giornalisti e dei direttori, combinata alla mancanza di tempo e di desiderio di approfondire i fatti. Un altro fattore è la paura di perdere accesso alle fonti e al sostegno logistico palestinesi, nel caso in cui le storie che i giornalisti raccontano venissero ritenute ostili ai palestinesi. Inoltre, i giornalisti non palestinesi vengono deliberatamente intralciati e intimiditi quando cercano di raccontare cose che possono imbarazzare l'Autorità Palestinese. So di parecchi giornalisti stranieri che hanno scritto di casi di istigazione all'odio da parte palestinese e ai quali da allora sono state vietate le informazioni palestinesi.

D: Ci sono voci di dissenso fra i giornalisti palestinesi?
R: Si sentono raramente voci di dissenso fra i palestinesi perché chiunque critichi pubblicamente l'Autorità Palestinese può essere arrestato e perfino giustiziato. Ai giornalisti stranieri viene detto che la persona in questione era un "collaborazionista" e i giornalisti diligentemente riportano la notizia in questi termini. Un caso esemplare: all'inizio di marzo del 2002 la BBC ha riferito la notizia dell'esecuzione di due palestinesi accusati dall'Autorità Palestinese di collaborazionismo. Quando la troupe della BBC ha incontrato le famiglie delle due vittime, hanno scoperto che entrambi gli assassinati avevano un passato di oppositori dell'Autorità Palestinese e che entrambi avevano criticato apertamente Arafat. I corrispondenti della BBC mi dissero che erano dissidenti, non collaborazionisti, ma anche che la redazione esteri della BBC decise di non trasmettere il servizio.

D:In ultima analisi, quanto è importante il fattore delle Pubbliche Relazioni nel conflitto israelo-palestinese?
R: È cruciale. Finché i giornalisti occidentali dipingeranno l'Autorità palestinese come una paladina dei diritti umani e Israele come un brutale occupante, i fondi per lo sviluppo degli Stati Uniti e dell'Unione Europea continueranno a finire nelle tasche di Arafat con scarse proteste pubbliche su come questi soldi vengano usati per sovvenzionare l'Intifada, compresi gli attentatori suicidi, come provato dai documenti presi nell'ufficio di Arafat durante l'Operazione Scudo Difensivo. Finché i professionisti delle Pubbliche Relazioni palestinesi continueranno a dettare le linee guida ai media, gli israeliani continueranno sempre ad essere dipinti come i cattivi e i palestinesi come le vittime. È tempo di cambiare il copione.

(amici di Israele, 16.09.02 - trad. Valentina Piattelli)



PREGHIERE DI ISRAELIANI SULLA TOMBA DI GIUSEPPE


Circa 100 ebrei hanno approfittato l'altra sera dello speciale permesso, concesso dall'esercito, di pregare sulla tomba di Giuseppe a Sichem. E' la prima volta, da due anni, che una cosa simile è permessa agli ebrei. Autobus e auto private hanno portato sul posto i fedeli, inclusi i familiari delle vittime del terrorismo da Itamar e da altre località. Hanno recitato la speciale preghiera dei Dieci Giorni di Pentimento - s'lichot - e poi hanno ascoltato la lettura della Torah fatta dal Rabbino Yitzchak Ginzburg, capo della Yeshivat Od Yosef Chai [scuola rabbinica] che è stata qui per molti anni fino al 2000. Yigal Lalom, uno dei partecipanti, ha detto ad Arutz-7 che in quella zona gli arabi hanno distrutto tutto, compresi i resti della yeshiva.
    Gli organizzatori hanno detto che i partecipanti non solo erano commossi ed eccitati dall'avvenimento, ma che anche i soldati e gli ufficiali erano evidentemente contenti ed hanno espresso la speranza che gli ebrei possano ritornare qui di nuovo. Il direttore del Yesha Council e capo del Shomron Regional Council, Bentzy Lieberman, che era tra coloro che hanno preso parte alle preghiere, ha detto: "E' stato un avvenimento molto commovente, perché
    
ebrpreg
Un ebreo ultraortodosso va a pregare con suo figlio passando vicino a un soldato israeliano
sono passati esattamente due anni da quando il luogo è stato chiuso al culto degli ebrei. Questo rappresenta la fine di un ciclo di disgrazie e l'inizio della vittoria sui palestinesi".
    Dopo le preghiere la carovana delle macchine e degli autobus si è fermata nella vicina grotta dove due anni fa è stato trovato il corpo di Rabbi Hillel Lieberman. Rabbi Liebermann, una delle prime vittime della guerra di Oslo, è stato brutalmente assassinato dagli arabi mentre cercava di salvare i rotoli della Torah dalla folla che si accaniva sulla tomba di Giuseppe. In questa grotta i fedeli hanno letto un capitolo dei Salmi e recitato una preghiera.
    Migliaia di persone hanno recitato l'altra sera s'lichot in un altro luogo sacro: il muro del pianto a Gerusalemme. Il Capo Rabbino Yisrael Meir Lau e Eliyahu Bakshi-Doron, insieme a Rav Ovadiah Yosef, Rabbino di Gerusalemme,e il Presidente Moshe Katzav erano tutti qui.

(Arutz Sheva News Service, 15.09.02)



ACQUA CONTESA TRA ISRAELE E LIBANO


Chi cerca acqua e chi cerca guai

di Uzi Benziman

    L'acqua e' una risorsa vitale e per l'acqua si rischia la guerra. Ecco perche' la recente decisione libanese di deviare le acque del fiume Wazzani, arrivando a sottrarre fino 3,5 milioni di metri cubi d'acqua all'anno dal Lago Kinneret (di Tiberiade), minaccia seriamente la stabilita' al confine israelo-libanese.
    Ma l'attacco diretto alle fonti idriche non e' l'unico motivo per cui Israele non potra' tollerare questa provocazione da parte libanese. Un altro aspetto del problema e' che queste azioni possono stabilire un precedente per futuri tentativi di bloccare le risorse idriche del paese. Quindi la crisi al confine settentrionale e' potenzialmente molto esplosiva, se non si adottano subito le misure appropriate.
    Il tentativo libanese di deviare le acque del fiume costituisce una chiara provocazione che arriva due anni dopo che Israele, ottemperando alla lettera alla risoluzione 425 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, ha ritirato le proprie forze dal Libano meridionale. Tale ritiro ha rimosso ogni pretesto di conflittualita' fra Libano e Israele (anzi, se qualcuno finora ha violato le intese internazionali e' proprio il Libano, che permette alle milizie Hezbollah di sparare sui soldati israeliani).
    E' una provocazione perche' viola il diritto internazionale, secondo il quale le dispute sulle risorse naturali devono essere risolte attraverso negoziati e accordi. Israele e Libano non sono gli unici paesi al mondo i cui confini sono attraversati da fiumi. La suddivisione dell'acqua tra due paesi deve funzionare secondo un sistema di intese reciproche. In questo caso le norme che regolano la questione risalgono al Piano Johnson del 1955 per lo sfruttamento delle acque del Giordano. Quel piano, proposto da un inviato dell'allora presidente degli Stati Uniti Eisenhower, non fu mai tradotto in un accordo ufficiale perche' i paesi arabi si rifiutarono di firmare un qualunque documento insieme a Israele. Ma le quote di acqua stabilite da quel piano per Israele, Giordania, Siria e Libano sono da allora internazionalmente riconosciute almeno di fatto, se non di diritto. Israele e Giordania, ad esempio, gia' anni prima di firmare il loro formale accordo di pace avevano intrapreso progetti idrici basati sulle quote previste dal Piano Johnston. Fu un vertice arabo che ruppe il delicato equilibrio raggiunto con quel piano quando spinse Siria e Libano a tentare di deviare le acque dei fiumi Banyas e Hatzbani e bloccare l'afflusso di acqua al Lago di Tiberiade, la principale riserva d'acqua di Israele. Era il 1965 e Israele reagi' con un'azione militare che pose fine ai lavori sui fiumi.
    Ora il governo libanese cerca di nuovo di alterare lo status quo. Quale sia il pretesto per farlo resta un mistero. Ma in ogni caso l'azione del Libano e' del tutto unilaterale e, pur partendo dal governo di Rafik Hariri, e' stata immediatamente salutata dagli Hezbollah, le milizie fondamentaliste libanesi filo-iraniane sotto controllo siriano, che hanno gia' minacciato rappresaglie nel caso Israele voglia opporsi alla provocazione di Beirut.
    Si puo' supporre che i dirigenti libanesi abbiano deciso di agire in questo momento valutando che Israele non possa permettersi di lanciare operazioni militari che potrebbero interferire nella campagna americana contro il regime di Baghdad. I libanesi possono anche aver pensato che Israele non abbia nessuna voglia di offrire agli Hezbollah un pretesto per usare i loro missili. Da piu' di un anno gli Hezbollah cercano continuamente di trascinare Israele in una escalation su un "secondo fronte" settentrionale. Finora il governo di Sharon e' riuscito a non cadere nella trappola. Ma adesso e' lo stesso governo libanese che lancia la provocazione, sia che lo faccia di propria iniziativa che su suggerimento da parte di forze arabe esterne, interessate a utilizzare una crisi sulla questione delle risorse idriche per indebolire l'offensiva americana anti-Saddam Hussein.
    Il primo ministro israeliano Ariel Sharon ha gia' dichiarato che Israele agira' se verranno deviate le acque dell'Hatzbani. Libano e resto del mondo dovrebbero prendere sul serio l'avvertimento di Sharon: nessun paese sovrano puo' accettare una provocazione di questo genere, anche se inizialmente la riduzione dell'afflusso di acqua alle sue riserve fosse relativamente modesta e se nel frattempo progetta di costruire impianti per la desalinizzazione. Il governo degli Stati Uniti ha strumenti sufficienti per premere sulle autorita' di Beirut e Damasco affinche' pongano fine a questa crisi. Gli americani possono anche proporre piani alternativi per garantire acqua ai villaggi libanesi di quella zona, ma soprattutto devono esigere la fine dei tentativi unilaterali di deviare le acque del Wazzani
    [Israele ha avvertito il Libano della gravita' della cosa fin dal marzo 2001. Vedi su israele.net: Israele avverte il Libano]
   
(israele.net, 16.09.02 - dalla stampa israeliana)



ARAFAT IN CRISI, AL FATAH VUOLE UN NUOVO LEADER

   
RAMALLAH - Giochi di potere all'interno dell'Autorità nazionale palestinese, che presto potrebbe avere un nuovo leader, dopo che Arafat sta perdendo autorità anche all'interno del suo partito, al-Fatah. Intanto il braccio armato del movimento, le Brigate dei martiri di al-Aqsa, annunciano nuovi attentati suicidi contro Israele.
    Quasi in segno di sfida nei confronti del suo partito, quasi ironicamente, per dissipare ogni dubbio, Yasser Arafat aveva detto al suo parlamento qualche giorno fa di essere pronto a lasciare posto ad un altro premier. Le sue parole non sono suonate del tutto ironiche ai membri del suo movimento politico, al-Fatah, il cui Consiglio centrale si riunirà nei prossimi giorni per chiedere al presidente palestinese di nominare un primo ministro che eserciti il potere esecutivo.
    Arafat sembra quindi ormai con le spalle al muro. La sua leadership perde sempre più forza anche all'interno del suo partito e il raìs potrebbe presto trovarsi fuori dai giochi. A riferire la notizia della posizione di al-Fatah sono state fonti palestinesi, che hanno anche azzardato il nome di un possibile successore. Il più accreditato sarebe Mahmud Abbas (Abu Mazen), numero due di Arafat e segretario del Comitato esecutivo dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina.
    Intanto nuove accuse piombano contro l'Anp e proprio sul più quotato successore di Arafat. Secondo quanto scrive oggi il quotidiano Maariv, il figlio del ministro palestinese Jamil Tariffi, Yussef, avrebbe assistito nel 1996 alla consegna da parte del vice di Arafat, Abu Mazen, alla consegna di mezzo milione di contanti. Sarebbero serviti a influenzare la campagna elettorale israeliana.
    Ancora oggi le Brigate dei martiri di al-Aqsa, il gruppo legato al movimento al-Fatah, hanno annunciato nuovi attacchi suicidi contro Israele. "Promettiamo altri attacchi, altri attentati suicidi fino a quando con essi non avremo posto fine all'occupazione della nostra terra", ha affermato il gruppo in un comunicato. "La nostra risposta ai massacri di Sharon sarà durissima", si afferma ancora nel testo. Nello stesso comunicato, le Brigate rivendicano peraltro l'attacco contro un elicottero israeliano che è stato raggiunto da un singolo colpo di arma da fuoco mentre era in volo oggi sulla zona di Tulkarem, nel Nord-Ovest della Cisgiordania. Nell'attacco non ci sono stati feriti ed il velivolo ha subito solo danni minori.

(Yahoo! Notizie, 15.09.02)


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Che cosa intendono i palestinesi per "fine dell'occupazione"