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Notizie su Israele 246 - 3 luglio 2004

1. Sharon accelera lo sgombero: «Nessuno osi aggredire i militari»
2. Decine di tunnel scavati ogni anno «sotto i piedi del nemico»
3. L'Onu, i diritti umani e Israele
4. Cento anni fa moriva Theodor Herzl
5. Raggiri che minano la fiducia nel governo d'Israele
6. «Gli israeliani hanno ucciso un sant'uomo sulla sedia a rotelle!»
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Isaia 55:6-7. Cercate il Signore, mentre lo si può trovare; invocatelo, mentre è vicino. Lasci l’empio la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; si converta egli al Signore che avrà pietà di lui, al nostro Dio che non si stanca di perdonare.
1. SHARON ACCELERA LO SGOMBERO: «NESSUNO OSI AGGREDIRE I MILITARI»




Chi aggredirà i militari se ne assumerà tutte le conseguenze. Lo ha detto oggi il primo ministro israeliano Ariel Sharon, parlando del previsto sgombero di insediamenti nella striscia di Gaza e parte della Cisgiordania settentrionale durante una riunione a porte chiuse della Commissione esteri e difesa della Knesset (parlamento israeliano).
    "Chiunque aggredirà i militari e gli agenti di polizia – ha detto Sharon – o darà ascolto a chi ingiunge di opporsi con metodi non democratici allo sgombero deve sapere che ci sarà un prezzo da pagare. Queste azioni non resteranno ignorate, e verranno adottate misure contro queste persone”.
    Secondo quanto hanno riferito i parlamentari che hanno partecipato alla riunione, Sharon ha anche detto che intende accelerare l'attuazione del piano di disimpegno e facilitare lo sgombero volontario dei residenti negli insediamenti, offrendo da subito i previsti indennizzi senza aspettare il mese di agosto.
    "Il primo ministro – ha riferito il parlamentare laburista Haim Ramon, membro della commissione – ha precisato che ogni persona residente in un insediamento in Samaria (Cisgiordania settentrionale) o nella striscia di Gaza che voglia andar via, può farlo anche domani mattina ottenendo l’indennizzo senza dover aspettare l’ordine formale di sgombero”.
    Anche Raanan Gissin, consigliere di Sharon, ha confermato che gli israeliani che vogliano lasciare volontariamente gli insediamenti nella striscia di Gaza possono farlo già a partire da domani. Gissin ha poi affermato per la prima volta che potranno richiedere l’indennizzo anche gli israeliani che lasceranno volontariamente l'area dei quattro insediamenti della Cisgiordania settentrionale inclusi nel piano di disimpegno varato da Sharon.
    Sharon ha poi respinto la richiesta di alcuni parlamentari che il piano venisse sospeso in seguito all’attentato palestinese che domenica ha provocato la morte di un soldato e all’attacco di missili Qassam palestinesi che lunedì ha causato la morte a Sderot (Israele) di due civili israeliani, fra i quali un bambino di quattro anni. Il primo ministro ha risposto che “il piano di disimpegno verrà attuato come previsto”.
    Secondo un documento di lavoro presentato dal governo ai ministeri interessati circa due settimane fa, lo sgombero forzato degli insediamenti nella striscia di Gaza avrà inizio dal primo settembre 2005 per terminare nel giro di due settimane, mentre lo sgombero volontario dovrebbe iniziare il prossimo agosto. Fonti governative hanno tuttavia precisato che vari elementi di questo calendario potrebbero subire modifiche in funzione del mutare delle condizioni politiche.
    
(Ha’aretz, 28.06.2004 - israele.net)





2. DECINE DI TUNNEL SCAVATI OGNI ANNO «SOTTO AI PIEDI DEL NEMICO»




di Aldo Baquis

TEL AVIV, 28 GIU - Al quarto anno di rivolta, se è vero che Israele si garantisce ancora un assoluto controllo dei cieli che sovrastano Gaza, i gruppi armati della intifada possono certamente vantare una totale liberta' di azione nelle viscere della terra.
    Le "talpe" della ribellione sono tornate in azione ieri quando hanno fatto saltare in aria un fortino israeliano nel Sud della Striscia, dopo avervi scavato sotto un tunnel lungo 120 metri, ad una profondita' fino a venticinque metri.
    Il cuniculo era stato stipato con molte decine di chilogrammi di esplosivo, collegati a un telefono cellulare.
    Composto il numero, il possente edificio che controllava la strada maestra fra Gaza e Khan Yunes e' crollato come un castello di carte, seppellendo sotto le macerie diversi soldati israeliani. Uno e' morto, altri cinque sono rimasti feriti.
    Oggi i responsabili militari israeliani ammettono di aver avuto una dose di fortuna. Perche' quel fortino ospita di norma 50-60 soldati che hanno dunque rischiato di restare uccisi anch' essi.
    La operazione e' stata rivendicata congiuntamente da Hamas e dalla Brigate dei martiri di al-Aqsa. Oggi Hamas ha spiegato di aver voluto cancellare dalla faccia della terra uno dei simboli della occupazione militare israeliana, come atto di rivincita per la uccisione da parte di Israele di due dei suoi dirigenti: Ahmed Yassin e Abdel Aziz Rantisi.
    Nel 2003 le 'talpe' della intifada non hanno avuto un solo momento di riposo: nella zona di Rafah hanno scavato almeno 40 tunnel, secondo quanto risulta all'esercito israeliano.
    Quest'anno ne hanno allestiti in quella zona altri venti. Per ogni tunnel che Israele riesce ad individuare e a demolire, altri ne vengono subito scavati: servono a far affluire nella Striscia armi e munizioni essenziali per la rivolta.
    Ma alcuni mesi fa le 'talpe' si sono dette: perche' mai limitare gli scavi nella zona di Rafah, a ridosso dell'Egitto ? Si sono chieste: teoricamente, sarebbe possibile scavare tunnel sotto a postazioni militari israeliane ? La risposta e' stata positiva e presto una galleria ha permesso di far saltare in aria la postazione di Termit, vicino a Rafah.
    Le 'talpe' si sono dette allora: e se scavassimo anche verso le colonie? E presto e' stato allestito un tunnel che collegava la citta' di Beit Lahya con la vicina zona industriale di Erez. Un militante palestinese armato, passando sotto terra, e' cosi' riuscito alcuni mesi fa a spuntare alle spalle di una pattuglia israeliana, e a sorprenderla.
    La protezione da questo tipo di minaccia non e' facile. Ancor oggi gli israeliani non riescono a localizzare ne' la ubicazione del tunnel che ha distrutto il fortino 'Orhan' ne' la apertura di ingresso, che in genere e' larga poche decine di centimetri.
    Gli scavi avvengono in genere di notte. Il punto di partenza viene scelto all'interno di una abitazione dove la sabbia estratta viene raccolta e poi - per non dare nell'occhio - rinchiusa in sacchi di juta che sono caricati su automobili.
    Gli scavi procedono con lentezza e meticolosita'. Ogni due-tre metri occorre rafforzare le pareti del tunnel, affinche' non crolli. A seconda dei mezzi a disposizione, la realizzazione della galleria che ha distrutto il fortino israeliano puo' aver richiesto fra due settimane e due mesi. Il suo costo, irrisorio: diecimila dollari appena.
    Per rilevare i tunnel, Israele ha strumenti che 'vedono' sotto terra fino a una profondita' massima di 12 metri. Per cui ormai sono pressoche' ciechi. Non restano che le orecchie. Il soldato rimasto ucciso a 'Orhan' aveva detto ai genitori, nei giorni scorsi, di aver sentito rumori sospetti sotto terra. Ma non era stato preso sul serio. Oggi qualcuno ha proposto di dislocare di norma nei fortini cani ben addestrati.
    Ma se la difesa di un fortino e', almeno in via teorica, possibile, la protezione delle colonie ebraiche a Gaza risulta un'impresa ancora piu' ardua. Gli ottomila coloni di Gaza - che da anni sono esposti ai lanci quotidiani di colpi di mortaio da parte dei palestinesi - hanno adesso un motivo di preoccupazione in piu'.

(ANSA, 28.06.2004)





3. L'ONU, I DIRITTI UMANI E ISRAELE




Come Israele viene discriminato e demonizzato dalle Nazioni Unite

di Anne Bayefsky

Se l'ONU vuole combattere seriamente l'antisemitismo, deve cominciare da sé stesso

Le radici delle Nazioni Unite affondano nelle ceneri del popolo ebraico. La loro fioritura dovrebbe consistere nella promozione della tolleranza verso tutti gli uomini e nell'uguaglianza di tutte le nazioni. Oggi invece si presenta agli uomini una piattaforma in cui le vittime del nazismo sono accusate di essere i nazisti del ventunesimo secolo. L'ONU è diventato il distributore globalizzato dell'antisemitismo, dell'intolleranza verso gli ebrei e della disuguaglianza fra i suoi Stati. Ai suoi Stati membri non è soltanto riuscito di rendere in molti casi i loro paesi "judenrein" (senza ebrei); hanno anche bandito quasi del tutto dall'ordine del giorno dell'ONU la questione dell'odio antiebraico, fin dal 1965 quando l'antisemitismo fu escluso da un trattato contro la discriminazione razziale, fino all'ultimo autuno, quando fallì il tentativo di far accettare dall'Assemblea Generale una risoluzione contro l'antisemitismo.
    Mentre ogni anno vengono approvate risoluzioni e compilati rapporti che hanno come tema la diffamazione dell'Islam e la discriminazione di musulmani e arabi, fino ad oggi non è stata approvata nemmeno una risoluzione esclusivamente contro l'antisemitismo, e le autorità dell'Onu non hanno compilato neppure un rapporto che si occupi della discriminazione di ebrei. Al contrario: la Conferenza mondiale dell'ONU "contro il razzismo", svoltasi a Durban nel 2001, è diventata luogo di ritrovo, terreno di coltura e forum per l'antisemitismo.
    Antisemitismo significa intolleranza e discriminazione contro ebrei. Si tratta sia di diritti umani individuali, sia del diritto di una comunità all'autodeterminazione, come si realizza nello Stato d'Israele. In che cosa si esprime la discriminazione contro lo Stato ebraico? Soltanto Israele viene escluso dai quotidiani giri di trattative dei gruppi d'interesse regionali durante le sedute della Commissione ONU. Delle dieci sedute d'emergenza che l'Assemblea Generale dell'ONU ha finora fatte, sei sono state dedicate a Israele, di cui la decima e ultima è diventata un tribunale permanente che dal 1997 si è riunito già dodici volte. A differenza di questo, non c'è mai stata una seduta d'emergenza per il genocidio in Ruanda, in cui si stima che ci sia stato un milione di vittime, e neppure per la pulizia etnica avvenuta nella ex Iugoslavia o per i milioni di vittime della ferocia politica in Sudan. Questa è discriminazione.
    Nell'ONU si fa abuso dei diritti umani non solo per la discriminazione, ma anche per la demonizzazione di Israele. Più di un quarto di tutte le risoluzioni della Commissione per i Diritti Umani negli ultimi quarant'anni si è rivolto contro Israele. Neppure una risoluzione ha criticato la decennale repressione e privazione dei diritti di 1, 3 miliardi di cinesi, la schiavitù di fatto di milioni di braccianti donne in Arabia Saudita o il virulento razzismo nello Zimbawe, che ha spinto 600.000 persone sull'orlo della morte di fame. I diversi organi dell'ONU presentano annualmente almeno 25 rapporti su presunte infrazioni ai diritti umani in Israele. Ma non c'è nessun rapporto che condanni per esempio il diritto penale iraniano, che ammette la crocifissione, la lapidazione e l'amputazione di arti. Questa è demonizzazione.

(Die Welt, 27 giugno 2004)





4. CENTO ANNI FA MORIVA THEODOR HERZL




Herzl, un sogno chiamato Israele
    
di Avraham B. Yehoshua
    
Fino a che punto i processi storici dipendono dalla personalità di questo o di quel personaggio? È una domanda che molti si sono posti e le risposte sono varie e complesse. C'è chi attribuisce un'enorme importanza alle personalità storiche, senza le quali determinati eventi non avrebbero avuto luogo, e c'è chi le ritiene un elemento importante ma non indispensabile allo sviluppo dei processi storici. La seconda guerra mondiale si sarebbe svolta in modo diverso se a capo del governo britannico non ci fosse stato un personaggio così assertivo e combattente come Winston Churchill ma qualcuno di più conciliante e irresoluto? Secondo il mio punto di vista, per quanto il governo Churchill fosse importante nella conduzione della guerra, le forze alleate avrebbero sconfitto in ogni caso la Germania e la vittoria sarebbe stata assicurata. Se Charles de Gaulle non avesse gestito con perizia il ritiro della Francia dall'Algeria, quest'ultima sarebbe ancora oggi sotto il suo controllo? Ovviamente no.
    Dubito però che lo stato di Israele esisterebbe oggi se non fosse comparso negli anni ottanta del diciannovesimo secolo un giovane intellettuale di nome Theodor Herzl che non solo concepì la creazione di uno stato ebraico, ma si sforzò di realizzarla, ponendo le basi organizzative per un nuovo movimento: il movimento sionista. È vero, forse col tempo altri personaggi sarebbero apparsi sulla scena della storia per proclamare l'urgenza di normalizzare la situazione del popolo ebreo con la creazione di un suo stato sovrano. Ma quell'unica occasione storica, quello spiraglio apertosi tra il colonialismo turco e quello inglese all'inizio del ventesimo secolo e prima del risveglio nazionale palestinese, sarebbe stata mancata se Herzl non fosse esistito. E tutte le encomiabili idee di altri intellettuali sarebbero rimaste solo sulla carta.
    Molte biografie sono state scritte su Herzl e non voglio ripetere qui la storia della sua breve vita (1860-1904). Al di là di ciò che fece per il suo popolo egli rappresenta un esempio universale della capacità di un unico intellettuale di cambiare i processi storici. Herzl creò il movimento sionista dal nulla, senza basarsi su alcuna organizzazione o senza essere legato ad alcuna comunità. È quasi impossibile che un simile evento si verifichi nel mondo moderno, tanto incatenato a schemi globali complessi. Ma può ancora dimostrare la forza del singolo. Qual era il segreto di questo giovane giornalista che all'età di trentaquattro anni trovò il perno su cui appoggiarsi per cambiare la storia ebraica?
    Herzl era un ebreo laico e assimilato. Conosceva profondamente il mondo dei gentili e ciò gli permise di diagnosticare con precisa e profonda comprensione un fenomeno patologico che si andava rafforzando tra il mondo ebreo e quello gentile. Una comprensione che altri ebrei, chiusi nel loro mondo - rabbini, leader di comunità o altri ancora - non possedevano.
    E così, in seguito alla falsa accusa di tradimento nei confronti di Alfred Dreyfuss, ufficiale ebreo assimilato, e della reazione antisemita che si scatenò in molti ambienti della Parigi e della Francia del 1894, Herzl capì che i movimenti nazionalisti, laici e moderni, rappresentavano un pericolo per il popolo ebreo molto più grande delle teologie del cristianesimo.
    Questo perché la figura dell'ebreo assimilato, personaggio dai contorni poco chiari, può risvegliare nella mente dei gentili fantasie omicide, in grado di provocare grandi tragedie. Non bastava perciò educare i gentili europei a valori di liberalità e tolleranza ma era necessario allontanare gli ebrei da un'interazione pericolosa con loro e normalizzarne la situazione mediante la creazione di una realtà ebraica territoriale e sovrana. Non solo quindi continuare a educare il non ebreo ma soprattutto cambiare l'ebreo.
    Herzl capì, e questo va detto a suo merito, che la questione ebraica, o come veniva definita dai sionisti stessi, il «problema» ebraico, non riguardava solo gli israeliti ma il mondo intero. L'antisemitismo infatti rappresenta una tragedia anche per i popoli in mezzo ai quali gli ebrei vivono, e un chiaro esempio di ciò lo si è avuto durante la seconda guerra mondiale, quando la Germania portò su di sé un’immane catastrofe per via della sua ossessione antisemita. Il mondo doveva dunque collaborare con gli ebrei per

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raggiungere uno scopo grande e comune: correggere il problema ebraico e trasformare gli israeliti da popolo disperso e esiliato in una nazione sovrana con un proprio territorio.
    Da qui l'impegno di Herzl - nel corso dei pochi anni in cui servì come leader del movimento sionista - nel cercare di ottenere l'approvazione della comunità internazionale a un insediamento ebraico in Palestina e nel porre il problema ebraico nell'agenda europea. Egli corse dal kaiser tedesco al sultano turco, da esponenti politici inglesi al Papa, e in virtù del suo fascino personale, della sua conoscenza delle lingue e della sua comprensione della politica europea, riuscì a ottenere, con sforzi sovrumani, dei primi risultati che portarono, nel 1917, tredici anni dopo la sua morte, alla pubblicazione della dichiarazione Balfour, un documento che concedeva legittimazione alla creazione di un entità nazionale ebraica in Palestina. Tale concessione venne ratificata nel 1947 dalle Nazioni Unite. A quel tempo, dopo la scoperta degli orrori della Shoà e dagli abissi di odio nei cuori dei gentili, il mondo capì che il problema ebraico riguardava tutti e con una rara azione comune il blocco comunista e quello occidentale si accordarono, al culmine della guerra fredda, per dividere la Palestina in due stati: palestinese ed ebreo.
    Il successo di Herzl nel mettere in moto un intero movimento era anche legato al fatto che egli non dovette sottostare alla scelta del popolo ebreo. E questo si può dire di tutto il movimento sionista ai suoi albori. È forse infatti l'unico movimento rivoluzionario che non agì all'interno del popolo che cercava di condurre su una nuova via. I sionisti diedero vita a una nuova realtà in una terra deserta, lontana dalla realtà ebraica del tempo, e per giungere alla quale non avevano bisogno dell'approvazione dei loro connazionali. Se Herzl e il movimento sionista avessero dovuto prendere parte a elezioni generali all'interno delle comunità ebraiche degli inizi del ventesimo secolo, avrebbero forse ottenuto il dieci, il quindici per cento dei voti. Ma per loro fortuna, e per quella dello stato di Israele, tale approvazione non fu loro necessaria. E così come Herzl fu sulle prime un cavaliere solitario, così i sionisti giunti nella Terra d'Israele nei primi anni del ventesimo secolo furono rivoluzionari solitari che posero le basi per il popolo che li avrebbe seguiti.
    Come ebreo laico e assimilato, profano della lingua e della cultura ebraica, Herzl possedeva anche una certa misura di ingenuità nei confronti del popolo che voleva guidare. Pensava che nel momento in cui avesse spiegato agli israeliti, in modo logico, la necessità esistenziale e morale di normalizzare la loro vita, costoro gli avrebbero prestato ascolto. Non capiva quanto profondamente fosse radicata in loro l'esperienza della diaspora. E quanto sarebbe stato difficile convincerli a compiere il passo che li avrebbe portati a condurre una vita normale in un loro territorio sovrano.
    Herzl morì relativamente giovane, all'età di quarantaquattro anni, e non ebbe il tempo di sperimentare delusioni e conflitti interni al suo movimento, come molti altri leader. E così è rimasto nella memoria nazionale: un principe amato. Se lo volete, non è una favola. Così dichiarò nel corso del primo congresso sionista tenuto a Basilea, in Svizzera, nel 1897. E preconizzò che uno stato ebraico sarebbe sorto entro cinquant'anni, anche se non immaginava che il popolo ebreo avrebbe mancato l'opportunità di crearlo prima della Shoà, limitando così le proporzioni di quell'immane tragedia.
    
(La Stampa, 29.06.2004 - da Informazione Corretta)





5. RAGGIRI CHE MINANO LA FIDUCIA NEL GOVERNO D'ISRAELE




Volubili Premier israeliani

di Daniel Pipes

    Sono due gli schemi che hanno caratterizzato la storia di Israele, a partire dal 1992 e che arrivano a spiegare la difficile situazione odierna del Paese. Innanzitutto, ogni primo ministro arrivato al potere è venuto meno alla linea politica annunciata nei confronti della questione araba. In secondo luogo, ogni premier ha adottato inaspettatamente un approccio che ha lasciato spazio a delle concessioni.
    Quello che segue è un elenco di raggiri compiuti da ognuno dei quattro premier:
    Yitzhak Rabin, immediatamente dopo la sua elezione avvenuta nel giugno 1992, promise agli israeliani: "Non negozierò con l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP)" Ma un anno dopo lo fece. Rabin cercò di giustificare le trattative avvenute con Yasser Arafat affermando che non essendoci alcun palestinese disposto a trattare "per promuovere la pace e trovare una soluzione" era stato costretto a rivolgersi all'OLP.
    Benjamin Netanyahu promise, prima di essere eletto nel 1996, che sotto la sua guida Israele "non scenderà mai dal Golan". Ma nel 1998, come è stato da me provato in The New Republic e come Bill Clinton ha di recente confermato nelle sue memorie, Netanyahu cambiò idea e pensò di offrire a Damasco l'intero Golan in cambio di un trattato di pace.
    Ehud Barak promise apertamente, nel corso della sua campagna elettorale del 1999, una "Gerusalemme unita e che rimarrà per sempre sotto il nostro Governo, punto e basta!" Ma nel luglio del 2000, al secondo summit di Camp David, egli offrì all'Autorità palestinese gran parte della zona orientale di Gerusalemme.
    Ariel Sharon riportò una vittoria schiacciante nel gennaio del 2003 sul suo avversario laburista Amram Mitzna che chiedeva "l'evacuazione degli insediamenti da Gaza". Sharon mise in ridicolo questa proposta, affermando che ciò "avrebbe portato il terrorismo più vicino ai centri abitati israeliani". Ma nel dicembre del 2003, Sharon adottò l'idea di Mitzna del ritiro unilaterale.
    Talvolta i premier si lamentano del fatto che gli altri si rimangino la parola. Netanyahu, ad esempio, nell'agosto del 1995 fece notare che Rabin "aveva promesso nel corso della sua campagna elettorale che, per tutto il suo mandato, non avrebbe intavolato alcuna trattativa con l'OLP né riguardo alle cessioni territoriali né in relazione alla creazione di uno Stato palestinese. Egli ha infranto tutte queste promesse, una per una". Naturalmente, una volta eletto, anche Netanyahu infranse le sue promesse, "a una a una".
    Cosa ha indotto ognuno degli ultimi premier a rimangiarsi le proprie ferme intenzioni e ad adottare piuttosto una linea politica di concessioni unilaterali?
    In alcuni casi è una questione di opportunismo, soprattutto per Netanyahu, il quale riteneva che un accordo con il Governo siriano gli avrebbe offerto maggiori probabilità di essere rieletto. In altri casi, sussistono elementi di ambiguità, in particolar modo quando si celano delle concessioni prestabilite, essendo consapevoli di quanto esse siano invise agli elettori. In occasione del secondo summit di Camp David, Yossi Beilin ammise che lui e i suoi colleghi avevano sottaciuto in precedenza il loro intento di dividere Gerusalemme. "Non abbiamo parlato di questo nella campagna elettorale poiché sapevamo che gli israeliani non erano d'accordo".
    Ma opportunismo e ambiguità sono solo una parte della storia. Oltre a essi, le genuine ambizioni inducono i premier israeliani ad abbandonare le politiche dalla linea dura per degli indirizzi più duttili. E qui abbandoniamo la sfera politica per accedere a quella psicologica. Essere primo ministro di Israele, un Paese circondato da nemici, è un compito gravoso. È davvero troppo facile per il funzionario, eletto leader dai cittadini credere spudoratamente di possedere uno speciale talento per risolvere il grande dilemma di sempre, e potenzialmente fatale, del suo Paese: quello dell'ostilità araba.
    Né sarà sufficiente a questo grande uomo dedicarsi anima e corpo alla noiosa, lenta, costosa e passiva politica di deterrenza, nella speranza di ottenere un bel giorno l'approvazione da parte degli arabi. La sua impazienza conduce invariabilmente nella medesima direzione: fare le cose con celerità, trovare delle soluzioni e "correre dei rischi, in nome della pace".
    Se l'intraprendenza del primo ministro ha successo, egli ottiene il plauso internazionale ed entra nei testi di storia ebraica. Se essa fallisce, beh, è valsa a poco e i suoi successori possono riparare al pasticcio fatto.
    In definitiva, megalomania ed egoismo sono alla base del pavido comportamento da primo ministro. Ciò fa venire in mente come i sovrani e i presidenti francesi abbiano lasciato in eredità a Parigi dei progetti di grandi opere come loro personale contributo alla storia. Allo stesso modo, a partire dal 1992, i premier israeliani hanno sognato di lasciare in eredità uno straordinario progetto diplomatico.
    Il problema sta nel fatto che questi sono degli impulsi antidemocratici che ingannano l'elettorato, minano la fiducia nel Governo ed erodono la posizione di Israele. Queste dinamiche negative si protrarranno finché gli israeliani non eleggeranno un premier meramente attento ai bisogni della volontà popolare.

(New York Sun, 29 giugno 2004 - Archivio di Daniel Pipes)





6. «GLI ISRAELIANI HANNO UCCISO UN SANT'UOMO SULLA SEDIA A ROTELLE!»




Shock culturale in un’aula scolastica inglese
    
di Emma Goldman
    
    Era stata una lunga giornata noiosa alla Scuola Superiore Femminile di Oxford. Mi trascinai nell’aula di Educazione Artistica dopo essere sopravvissuta ad un noiosissimo video di storia sul trasporto aereo a Berlino. Essendo tutt’altro che un’artista, raggiunsi il mio solito posto appartato in un angolo dell’aula, attendendo con ansia i 40 minuti di relax trascorsi ad ascoltare la radio e ad arrotolare le carte delle caramelle.
    Da febbraio ero una studentessa di questa scuola esclusiva, mentre mio padre teneva conferenze per un corso all’Università di Studi Ebraici di Oxford. La Scuola superiore di Oxford era assai diversa dalla mia solita scuola, la scuola superiore Yhe Amaz di Manhattan, sotto parecchi aspetti.
    In primo luogo, dopo essere vissuta nell’Upper West Side, zona ad alta densità ebraica, dove le sinagoghe sono numerose quanto i coffee bar, ero adesso una delle tre studentesse ebree su un totale di 640 allieve. Sono stata nominata ufficialmente la “consulente” di ebraico, e venivo chiamata alla lavagna per dire lo spelling di parole tipo “mitzvot” o l’ordine esatto dei Dieci Comandamenti. Commenti tipo “non sembri proprio ebrea, le ragazze ebree hanno dei grossi nasi, tipo africane”, e l’ignoranza della gente sul credo ebraico , mi scioccavano. Avevo anche notato che quando erano avvenuti gli attacchi dei kamikaze, solo uno degli studenti ne aveva fatto menzione nelle nostre assemblee, e vedevo anche che le copertine dei giornali inglesi mostravano, in prima pagina, foto di donne pettorute anziché la notizia degli attentati.
    A scuola, quando la professoressa di storia ci ha chiesto di fare una lista delle più grandi tragedie della storia, nessuna studentessa ha portato l’Olocausto come esempio. E poi, quando io l’ho suggerito, la professoressa non l’ha nemmeno scritto sulla lavagna. Apparentemente, la morte di 6 milioni di persone non costituiva per lei una tragedia.
    Ironicamente, lontana dalla mia famiglia e dalla mia sinagoga, ho fatto un’esperienza che mi ha fatto sentire più ebrea che mai.
    Non avevo nessuna voglia di fare conversazione quel giorno, durante la lezione di artistica, tuttavia la ragazza che si era seduta alla mia destra era impossibile da ignorare.
    “Hai sentito cosa è successo in Israele?” ha chiesto alla sua vicina, la quale ha scosso la testa e ha risposto :”Sì, pare che gli israeliani abbiano ucciso uno dei leader spirituali dei palestinesi, un sant’uomo sulla sedia a rotelle. Incredibile.”
    “Davvero? Sul serio?” ha chiesto, in tono orrificato. “Certo! Come hanno fatto gli israeliani a fare una cosa del genere : questo è vero terrorismo!” ha risposto l’altra.
    Il sant’uomo era Yassin, capo di Hamas, responsabile della morte di centinaia di israeliani innocenti. La bomba scoppiata sull’autobus n°19, che aveva ucciso tanti studenti della stessa età di colei che stava parlando, non veniva evidentemente classificato come “terrorismo”.
    La morte dei bambini israeliani uccisi dai palestinesi non era “terrorismo”, mentre la morte di un assassino, evidentemente, lo era.
    Nonostante fossi già rimasta in silenzio innumerevoli volte, mentre venivano fatti commenti sulla “disperazione” dei kamikaze , questa volta non ce l’ho fatta.
    “Scusami - ho detto- hai appena definito il capo di Hamas un sant’uomo….hai la minima idea di quello che stai dicendo?” Ingenuamente, credevo di spiegarle che Yassin era un terrorista, responsabile della morte di centinaia di israeliani innocenti, e che la decisione da parte di Israele di ucciderlo non era terrorismo bensì un atto di difesa. Che Israele lo cercava così come l’America cercava Osama Bin Laden. Pensavo potessimo vederla allo stesso modo sugli eventi e sulla storia attuale del Medio Oriente. Sempre ingenuamente, mi aspettavo compassione per la morte di innocenti civili israeliani. Mi sbagliavo di grosso.
    Sin dalla fondazione dello stato di Israele, che la mia vicina vedeva come un derubare i palestinesi della propria terra, fino agli attacchi terroristici, che lei vedeva come atti giustificati dalla disperazione, fino al suo totale oblìo dell’annosa rivendicazione da parte degli Israeliani per la loro terra, era come se noi due venissimo da due pianeti diversi.
    Inoltre , non solo non considerava il mio punto di vista, ma non riteneva nemmeno opportuno ascoltare. Credeva che Israele fosse un impero malvagio che doveva essere cancellato. I Palestinesi lottavano per la libertà, e Hamas non era un gruppo terroristico ma una organizzazione religiosa ora priva del suo leader spirituale.
    Tremante, con le lacrime che minacciavano di uscire, mi sono trovata a difendere Israele. Sebbene fossi consapevole delle lacune nell’informazione presenti nei media inglesi, e avessi visto le dimostrazioni anti israeliane alla Columbia University, non mi ero mai resa conto di cosa significasse .
    In seguito a questa esperienza, ho avuto la fortuna di trascorrere molte settimane in Israele, dove ho avvertito un senso di appartenenza e di benessere. Ho sempre amato stare in Israele, ma all’improvviso i miei legami con questa terra mi sono apparsi più importanti e speciali. E non darò più per scontata la vita tipicamente e pienamente ebraica che mi è concesso di vivere a Manhattan.

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trad. Flavia Dragani, collaborazione con www.uncuoreperisraele.net

(The Jewish Week, 17.06.2004)





7. MUSICA E IMMAGINI




Yerushalayim Shel Zahav




8. INDIRIZZI INTERNET




Shalom

Unione delle Comunità Ebraiche




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