<- precedente seguente -> pagina iniziale arretrati indice



Notizie su Israele 263 - 22 ottobre 2004

1. Prodotti del Medio Oriente a confronto
2. L'istruzione scolastica dell'Autorità Palestinese
3. Antisemiti all'Ateneo di Pisa
4. Evangelici pregano per Israele - Presbiteriani condannano Israele
5. Guai a chi osa contrastare i pacifisti!
6. Come lavorano i corrispondenti speciali in Israele
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Gioele 2:28-32. «Dopo questo, avverrà che io spargerò il mio spirito su ogni persona: i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri vecchi faranno dei sogni, i vostri giovani avranno delle visioni. Anche sui servi e sulle serve, spargerò in quei giorni il mio spirito. Farò prodigi nei cieli e sulla terra: sangue, fuoco, e colonne di fumo. Il sole sarà cambiato in tenebre, e la luna in sangue, prima che venga il grande e terribile giorno del Signore. Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato».
1. PRODOTTI DEL MEDIO ORIENTE A CONFRONTO




Gli israeliani producono premi Nobel,
gli arabi producono terroristi suicidi

    
di Farid Ghardy, Presidente del Partito Riformista siriano

Un sorprendente articolo proveniente dalla Siria.

La notizia che due scienziati israeliani, insieme ad un americano, hanno vinto il Premio Nobel per la chimica dovrebbe essere considerata con attenzione dal mondo arabo.
    Questa vittoria dice molto sullo stato delle cose in Medio Oriente.
    Mentre Israele costruisce il suo futuro con premi Nobel, il mondo arabo riempie il suo avvenire con terroristi suicidi.
    Fin dalla nascita dello Stato d’Israele gli arabi hanno avuto la romantica convinzione che con guerre e vendette possiamo ritornare alle glorie del passato.
    Naturalmente non ci dicono a quale tipo di passato facciano riferimento.Si riferiscono forse al periodo del governo dell’Impero ottomano o di quello inglese e francese? O si riferiscono a più di 1300 anni fa, quando erano le lance a decidere l’esito delle battaglie?
    Fin dal lontano 1967 gli arabi provenienti da tutti i paesi, ma specialmente dalla Siria, dalla Giordania, dal Libano, e dall’Egitto, hanno vissuto con l’idea di poter gettare gli israeliti in mare.
    Con la quasi vittoria del 1973 contro Israele gli arabi arrivarono alla conclusione che un'altra sconfitta non è un motivo sufficiente per fermarsi a riflettere. Un'altra sconfitta, con tante vite perdute da entrambe le parti, non ci basta per capire che la continua guerra ci sta distruggendo dall’interno.
    Anche dopo che Anwar Sadat arrivò a capire il valore della pace e della coesistenza, sembrava che la maggior parte delle nostre energie venisse dirottata verso la distruzione.
    La caduta dell’Unione Sovietica, alleato di vecchia data del mondo arabo, sembrò spronarci a cercare giustizia con la canna del fucile invece che tramite accordi diplomatici.
    Gli accordi di Oslo hanno messo in evidenza la buona disponibilità di Israele e l'atteggiaemento fraudolento della Palestina. Ancora una volta abbiamo visto leader arabi allestire una campagna di menzogne per distogliere l'attenzione dalla nostra propria oppressione. Noi, pecore arabe ubbidienti, abbiamo seguito. Abbiamo portato gli striscioni, abbiamo contestato, ci siamo ribellati e infine abbiamo creato una nuova generazione di bambini con forti braccia per gettare sassi, ma senza educazione e disciplina per produrre cervelli da premio Nobel.
    Fin dal tempo dell’intifada, termine che veramente offende il nostro senso di giustizia, abbiamo raggiunto il punto più basso della nostra autostima. I bambini arabi che gettano sassi sembrano provare un indefinibile senso di potenza , cosa che non può accadere ai bambini dello Stato d’Israele.
    Questo potere di rivolta predispone di conseguenza ad avere poca stima di sé, il che inevitabilmente contribuisce a formare la mentalità del terrorista suicida.
    I terroristi suicidi non provano niente, capiscono poco e non possono vedere il futuro. Procedono in automatico, col cervello che funziona come un dispositivo che li guida letteralmente all’autodistruzione, come persona e contro la società che li ha creati. I terroristi suicidi rappresentano la parte più bassa della nostra autostima come popoli di discendenza araba.
    Siamo in un’intifada, ma è un'intifada vista con gli occhi di un premio Nobel israeliano. Noi, come popolo del Medio Oriente, stiamo morendo e nemmeno ce ne accorgiamo. Abbiamo toccato il fondo e nemmeno lo sappiamo. A causa dei regimi oppressivi che non ci danno alcuna possibilità di pensare a noi stessi, non abbiamo una speranza, non abbiamo un futuro, e certamente non abbiamo premi Nobel per la scienza che ci aspettano.
    Non molti sanno che c'è anche un’intifada attribuita all’ultimo movimento del corpo umano prima della morte. Potrebbe essere proprio questo significato di intifada ad essere il vero simbolo di una battaglia che avrebbe dovuto concludersi tanto tempo fa? Tutti gli arabi sono coinvolti in qualche intifada, e continuano a muoversi in modo a dire il vero non molto vivo come cittadini del mondo.
    Ogni volta che i baatisti siriani chiamano alla resistenza armata, danno man forte in segreto a gruppi come Hezbollah e Hamas e fanno propaganda per l’unità araba, sempre di più noi cadiamo nell’oblio.
    Il fatto curioso è che pochi arabi si preoccupano di capire perché non abbiamo dei premi Nobel. L'attribuiscono all'imperialismo e al sionismo. A sentir loro, una volta eliminate queste due forze, potremmo raccogliere anche noi quei premi Nobel.
    Quindi, mentre Israele sopravvive a intifade, guerre, odio e governanti arabi tirannici, noi, popolo arabo, dobbiamo svegliarci. Se continuiamo a perseguire la stessa politica che ci ha condotti al punto più basso della nostra storia (Asr al-Inhitat, o Era della Disperazione in opposizione ad Asr al-Jahyliah, o Era dell’Ignoranza che ha preceduto il profeta Maometto), noi semplicemente perderemo.
    Se diamo ascolto ai nostri governanti, continueremo a starcene in ginocchio da una parte a guardare i vincitori di premi Nobel prodotti dal Medio Oriente, ma non da noi o per noi.
    
(Israel Insider, 17 ottobre 2004)





2. L'ISTRUZIONE SCOLASTICA DELL'AUTORITA' PALESTINESE




I bambini devono aiutare i terroristi e morire come martiri

di Federico Steinhaus

Malgrado il parere contrario dei familiari, gruppi di bambini vanno in giro per il campo profughi di Gaza per trasmettere informazioni alla resistenza e portare loro rifornimenti di acqua” : è la notizia pubblicata lo scorso 11 ottobre dal quotidiano palestinese Al- Hayat Al-Jadida, e confermata dall’Autorità Palestinese.
    I libri scolastici dell’Autorità Palestinese per il sesto livello ( Storia degli Arabi e dei Musulmani, pag. 34) incitano i bambini a seguire l’esempio di una bambina loro coetanea ricordato dalla tradizione islamica: “Asma, la figlia di Abu Bakr (compagno di Maometto), aveva la mia età quando ebbe un ruolo nel rifornire di provviste e d’acqua e nel comunicare informazioni sulla Tribù Kuraish al Profeta ed al suo compagno durante la loro Egira segreta dalla Mecca a Medina. Quale può essere il mio ruolo per sostenere il movimento di resistenza nazionale contro gli occupanti ed i colonialisti?” .
    Israele viene definita una entità coloniale, in modo da legittimare la “resistenza” armata che include sempre, nel lessico palestinese, anche le azioni terroristiche.
    Questa ammissione del nuovo ruolo assegnato ai bambini, che mette deliberatamente a repentaglio le loro vite ed assicura alle statistiche dei morti palestinesi un crescente numero di vittime in tenera età, si aggiunge ad un terribile fenomeno di incitamento al martirio rivolto ai bambini dalla televisione di stato palestinese.
    Il videoclip che invita i bambini a combattere e divenire Shahid era stato trasmesso per lungo tempo, fino a quando il direttore di Palestinian Media Watch Itamar Marcus lo fece visionare ad una commissione del Senato degli Stati Uniti, un anno fa. Le pressioni esercitate sull’Autorità Palestinese hanno cessato ora la loro efficacia, e questo video viene trasmesso con continuità (almeno 10 volte negli ultimi 13 giorni). Ecco il testo di una canzone cantata nel videoclip con voce suadente da una donna in divisa mentre sullo sfondo scorrono scene di combattimenti:

"Scuoti la terra, solleva le pietre.
Non sarai salvo, o sionista, dal vulcano delle pietre della mia patria,
non sarai salvo, o sionista, dal vulcano delle pietre della mia patria,
tu sei il bersaglio dei miei occhi, ed io morirò come uno Shahid.
Allah Akhbar, miei giovani!".

(Informazione Corretta, 19 ottobre 2004)





3. ANTISEMITI ALL’ATENEO DI PISA




Solo scuse (e in ritardo) al diplomatico israeliano.
Ma quando può parlare?


Un gruppo di studenti ha cacciato Cohen dandogli di fascista. Molto rammarico a parole, nessun nuovo incontro fissato

ROMA - L’università di Pisa è in ritardo. Ormai sono passati sei giorni da quando il consigliere dell’ambasciata d’Israele, Shai Cohen, è stato cacciato dall’aula magna della facoltà di Scienze politiche, in seguito a un’azione squadrista di un gruppo di studenti “pacifisti” che ha lanciato un messaggio violento, per lo meno a parole: “Fuori da quest’aula, altrimenti la nostra violenza si trasformerà da verbale a fisica”.
    Questo silenzio imbarazzante danneggia l’immagine di uno tra i più antichi atenei d’Italia, nato nel 1343. Giovedì il professor Maurizio Vernassa ha invitato gli studenti di Storia e istituzioni dei paesi afro-asiatici ad ascoltare il diplomatico israeliano per una lezione intitolata: “Israele, l’unica democrazia in medio oriente”. Cohen non è arrivato di nascosto, è stato invitato a entrare nell’università dalla porta principale, dove si trovava un gruppo di manifestanti con kefiah al collo. “Sharon assassino, Israele boia, il sionismo è un crimine contro l’umanità”, erano alcuni degli slogan dei manifestanti, ricorda Cohen al Foglio. I cori da fuori sono entrati nell’aula magna. “Uno squadrone di oltre venti ragazzi ha cominciato a urlare verso di me: fascista, assassino, e altri insulti personali che non vorrei ripetere”. La situazione ha rischiato di diventare pericolosa, c’è mancato poco che l’attacco verbale si trasformasse in una rissa totale, che avrebbe potuto mettere in pericolo l’incolumità del diplomatico e di decine di studenti. I tentativi di altri ragazzi, pronti ad ascoltare l’ospite, di calmare i manifestanti, sono falliti. Il messaggio di terrore diretto alla direzione della facoltà è stato chiaro: “O lo cacciate oppure rimaniamo qui. Questo israeliano non apre bocca”. “Non siamo antisemiti, ma antisionisti – hanno precisato i manifestanti – Israele non ha diritto d’esistere”.
    Il preside della facoltà di Scienze politiche, Alberto Massera, ha preso il microfono e ha annunciato: tutti a casa, incluso l’ospite. Niente polizia, niente lezioni d’ordine pubblico, niente educazione di tolleranza verso l’altro. Massera ha spiegato la sua decisione al Foglio: “In 14 anni a Pisa, soltanto una volta sono stato costretto a chiamare la polizia, quando un ragazzo si era rifugiato nel mio ufficio, perseguitato da un gruppo di studenti che lo minacciavano per le sue opinioni politiche. Questa volta il clima era molto acceso. Se avessi deciso di chiamare la polizia, in quei cinque minuti poteva accadere un disastro”.
    

Potrebbe ricapitare ad altri

    Se è successo oggi a un ebreo israeliano, domani potrebbe accadere a qualcun’altro che non è visto bene da alcuni studenti. E’ una minaccia reale. Fonti all’interno dell’Università di Pisa confermano: “Si tratta di un gruppo radicale che i professori non vogliono affrontare perché hanno paura di finire sulla lista nera. Sanno che potrebbero essere minacciati a loro volta”. Eppure lo “squadrone” dei ragazzi della sinistra della facoltà di Scienze politiche conosce la parola democrazia. Due di loro fanno persino parte del consiglio di Facoltà.
    Il giorno dopo i fatti non si è sentita alcuna voce ufficiale. Il professor Massera precisa che si è scusato con il diplomatico israeliano che è stato costretto a tornare a casa, ma non è stato presentato alcun progetto che miri a ripulire l’immagine della facoltà e dell’università. 48 ore dopo la vicenda, secondo un giornale locale (a livello nazionale soltanto il Giornale ha raccontato i fatti di Pisa), il presidente della regione Toscana, Claudio Martini, ha preso carta e penna e ha scritto al consigliere Cohen il suo rammarico. Passano altre 48 ore e anche il rettore dell’Università presenta le sue scuse, e così anche il professor Massera ieri ha scritto all’ambasciata d’Israele. Ma manca un aspetto essenziale in tutte queste lettere, che servono a poco: una proposta che dimostri che a Pisa un ebreo e un israeliano hanno il diritto di esprimersi, una data in cui si reinvita Shai Cohen e lo si fa parlare nell’università che lo ha cacciato. E poi, forse, servirà anche una giornata di studio in cui intellettuali della sinistra italiana ed europea si chiedano, insieme agli studenti, come sia stato possibile arrivare a questo punto. Se la conclusione fosse la stessa, con ragazzi che accusano altri ragazzi di essere fascisti, e loro stessi si comportano come tali, affermando che Israele non ha diritto d’esistenza e di parola, allora non ci sarà differenza tra pacifismo finto e odio radicale e vero verso gli ebrei e gli israeliani.

(Il Foglio, 20 ottobre 2004)





4. EVANGELICI PREGANO PER ISRAELE - PRESBITERIANI CONDANNANO ISRAELE




WASHINGTON - Milioni di cristiani negli USA hanno tenuto domenica [17 ottobre] la "Giornata nazionale di preghiera" e di solidarietà con Israele. Alla giornata, organizzata dall'Unione evangelica per la collaborazione cristiano-ebraica, hanno partecipato 15.OOO chiese.
    John Avant, pastore della chiesa battista "Nuova speranza" in Fayetteville, Georgia, ha detto: "E' stata una cosa imponente. Durante il culto ognuno di noi ha sentito di essere in un meraviglioso tempo di lode, di amore e di preghiera". Al culto hanno preso parte anche rappresentanti di una comunità ebreo-messianica. "E' stato davvero stupendo vedere seduti vicini l'uno all'altro cristiani ed ebrei che

prosegue ->
credono in Gesù come Messia e insieme pregano per Israele", ha detto Avant.
    Steven Ferguson, pastore della chiesa battista "Ancora di speranza" in Rossville, Georgia, ha riferito: "I nostri erano sopraffatti dalla commozione". Ai rappresentanti dell'Ambasciata d'Israele l'assemblea ha tributato ovazioni in piedi, e insieme tutti hanno cantato "Hevenu shalom aleichem".
    "Saremo con Israele, fino a che Gesù Cristo ritornerà", ha detto Ferguson. "Dio ha messo nel mio cuore un amore per Israele. Preghiamo ogni giorno per Gerusalemme".
    Il Presidente della "International Fellowship of Christians and Jews", Rabbi Yechiel Eckstein, ha detto che proprio i cristiani evangelici sostengono lo Stato ebraico, perché a questo la Bibbia dà un grande valore. Molto più che per cattolici e protestanti, Israele è "un elemento molto importante per i cristiani evangelici".
    "Se sosteniamo Israele, allora diciamo: noi sosteniamo la decisione di Dio, indipendentemente dal fatto che il nostro appoggio sia o no politico", ha detto Don Cobble, pastore del centro "Kaleo" in Boston. In ogni culto egli inserisce Israele nella sua preghiera.
    
    I rappresentanti della Chiesa Presbiteriana negli USA invece la pensano diversamente. Lunedì hanno esortato pubblicamente Israele a cessare l'occupazione dei territori palestinesi. La chiesa inoltre sta esaminando la possibilità di bandire un boicottaggio verso Israele e congelare i soldi destinati a Israele. "L'occupazione israeliana in Cisgiordania e a Gaza deve cessare, perché è devastante per il popolo palestinese", ha detto il pastore Nile Harper in un'intervista con l'«Associated Press". Anche la barriera di sicurezza "non aiuta".
    Una delegazione di 24 presbiteriani ha visitato il Libano domenica scorsa. In quell'occasione hanno anche incontrato la milizia radical-islamica Hezbollah. A Washington questa organizzazione è considerata un'organizzazione terroristica proibita. Lunedì i delegati ecclesiastici sono andati in Siria.

(Israelnetz Nachrichten, 19.10.2004)





5. GUAI A CHI OSA CONTRASTARE I PACIFISTI!




La “Manifestazione della Pace” di Manhattan
     
di Robert Jancu (*)
 
L’ostilità nei confronti di Israele non è un fatto comune solo in Europa, ma anche in certi circoli negli Stati Uniti, che non sono estranei a dimostrazioni di inimicizia verso lo Stato Ebraico. Presentiamo qui la relazione di un fatto increscioso, così come è stata pubblicata  sul Jerusalem Post e presentata in italiano da Keren Hayesod. Una delle testimoni dell'episodio, Paulina VAlishh, fu gravemente ferita nell’attentato alla Discoteca del Dolphinarium il 1° giugno 2001. Attualmente studia negli Stati Uniti e mantiene stretti contatti con l’Agenzia Ebraica ed il Keren Hayesod.
 
    Un venerdì ho letto su un giornale che un gruppo chiamato The Middle East Peace Coalition (La Coalizione della Pace in Medio Oriente) avrebbe tenuto una dimostrazione il giorno seguente, fra le 3 e le 6 del pomeriggio, a Manhattan, nello Union Square Park. Si trattava di uno delle tante manifestazioni pubbliche, organizzate da gruppi politici di ogni colore, in coincidenza con la Convenzione Nazionale Repubblicana, che doveva cominciare il 30 agosto.
    Io voglio la pace in Medio Oriente, così ho deciso di prendere parte alla dimostrazione. Non avevo mai sentito parlare di questa Coalizione, ma mi immaginavo che sarebbe stato carino se io, ebreo sionista, avessi potuto trovarmi in piena solidarietà con una coalizione di persone che desiderano la pace fra Israele ed i suoi vicini arabi.
    Ho scarabocchiato a mano un cartellone che annunciava semplicemente “Sionisti per la Pace” e disegnato una bandiera israeliana con i simboli della pace in uso nei lontani anni Sessanta.
    Sono andato alla manifestazione con un’amica, Paulina  Valish. Paulina  è una dei sopravvissuti all’attentato suicida alla Discoteca del Dolphinarium di Tel Aviv, avvenuto il 1° giugno 2001, in cui 5 dei suoi amici, cristiani ed ebrei, furono fra i 21 adolescenti uccisi. Lei stessa rimase ricoverata in ospedale per due mesi, fu sottoposta a cinque operazioni (e dovrà farne un’altra), ha ancora chiodi e schegge metalliche della bomba nelle gambe, nella schiena e in un braccio e rimarrà per sempre priva di diversi pezzetti del corpo.
    Anche lei è sionista ed anche lei vuole la pace.
    Mentre Paulina  ed io ci mischiavamo alla folla, tentando di avvicinarci all’oratore, mi sono reso conto che questa manifestazione per la pace poteva non essere così come era stata pubblicizzata, quando ho individuato un uomo che una volta avevo visto vendere dei distintivi del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina. 
    Il FPLP è una banda marxista-leninista, specializzata nell’assassinio all’ingrosso di civili. Il Dipartimento di Stato americato la classifica, giustamente, fra le organizzazioni terroristiche straniere.
    L’oratore alla manifestazione continuava ad insistere sul complotto sionista che controlla l’America.
    “Chi dirige la politica estera americana in Medio Oriente? Chi ne è responsabile? Wolfowitz, Rumsfeld, Feith, Perle, Abrams: ebrei destrorsi, che lavorano per gli israeliani”.
    Chiamare Rumsfeld ebreo è stata una svista minima, se paragonata alla perorazione finale sui “Campi della morte sionisti”.
    Paulina  ed io non abbiamo avuto abbastanza tempo per ascoltare. Quando i manifestanti accanto a me hanno letto il mio innocente cartellone, mi si sono avvicinati. I sionisti odiano la pace, insistevano. Qualcuno mi ha chiamato nazista. La coraggiosa Paulina  continuava ad appoggiarmi, tentando di capirci qualcosa, di questi bellicosi pacifisti. I giornalisti che ronzavano intorno, annusando il potenziale di una storia, scarabocchiavano brani di conversazione e scattavano istantanee, mentre la Middle East Peace Coalition formava un circolo intorno a Paulina  e a me.
    Una donna ha preteso che mettessi giù il mio cartellone “Sionisti per la Pace”.
    “Questa è una dimostrazione per la pace”, ho obiettato.
    “Chi ti ha detto che si trattava di una dimostrazione per la pace, eh?”  ha detto.
    Poi, in modo allarmante, ha urlato: “Niente giustizia, niente pace”.
    Augurandomi di non trovarmi dalla parte destinata a ricevere “niente pace”, ho biascicato, pateticamente: “Middle East Peace Coalition. Diceva [il giornale] ‘una dimostrazione per la pace’. Sul mio cartellone c’è scritto ‘pace’”.
    Ne è seguito un dialogo fra sordi. Ho chiesto perché gli ebrei non possano avere uno stato come ogni altra nazione, esattamente come lo vogliono i palestinesi. O perché il Sionismo sia razzismo, se un intero 20% della popolazione israeliana è palestinese, metre gli arabi insistono che tutti gli ebrei abbandonino la Cisgiordania, in modo da avere uno stato senza ebrei.
     Qualcuno ha preteso di sapere perché avessi nominato la situazione della West Bank e di Gaza, in quanto punti di attrito, invece di parlare di “tutta l’occupazione”. Poi, un tale avviluppato in una bandiera palestinese ha affermato che, dal momento che tutto Israele è territorio occupato e l’esistenza d’Israele è quindi un crimine contro la pace, un sionista come me doveva essere, per definizione, un intruso in una manifestazione per la pace.
    Qualcuno ha aggiunto che la stragrande maggioranza delle organizzazioni non-governative accreditate presso l’ONU, avevano dichiarato alla Conferenza Mondiale dell’ONU di Durban (Sud Africa) nel 2001 che il Sionismo era un movimento razzista ed illegale. Mi sono detto d’accordo che, nel complesso,  le Nazioni Uniti e la Middle East Peace Coalition condividevano lo stesso modo di vedere Israele.
    Avendo la sensazione di stare subendo uno ‘scaccomatto’, l’uomo che sembrava avere la responsabilità dell’evento, si è messo ad urlare: “Tornatevene nel vostro paese!”
    Ritengo che intendesse Israele, sebbene io sia nato e cresciuto in America. Ma come può Israele essere il mio paese, se, secondo loro, Israele non deve esistere?
    Alla fine, mi hanno tirato addosso la polizia. Un poliziotto molto gentile, chiamato Robert Chico, mi ha chiesto di andarmene. Per quanto non volessi fare problemi all’agente Chico, ho esposto il mio caso:
    Un sionista per la pace fa legittimamente parte della coalizione per la pace in Medio Oriente; questa è stata definita una dimostrazione per la pace in Medio Oriente; la città di New York ha concesso al gruppo il permesso di manifestare, sulla base di queste premesse; quindi, o che il loro permesso deve essere revocato, per essere stato richiesto sotto falso pretesto (Nella mia frustrazione, ho suggerito che avrebbe dovuto essere richiesto a nome della Coalizione per il genocidio in Medio Oriente”), o che a me viene concesso di rimanere e che questi agitatori contro la pace siano fatti allontanare.
    Osservando il sarcasmo e gli epipeti di cui ero fatto oggetto mentre parlavo con lui, l’agente Chico ha detto di capire la mia posizione, ma di essere costretto a portarmi via, per la mia stessa protezione.
    Paulina  Valish, che è rimasta con me nel corso di tutta la dimostrazione pacifista, è un’anima intrepida.
    In luglio, ha acconsentito alla proposta – fattale dal regista Pierre Rehov – di incontrare il padre del terrorista suicida del Dolphinarium (Il padre si è rifiutato di incontrarla e la Giordania – dove vive – si è rifiutata di accordarle il visto).
    Studentessa di Storia e Scienze Politiche alla City University di New York, ha sostenuto discussioni con i compagni di classe musulmani, che difendevano gli attentati suicidi contro gli ebrei israeliani, e non ha mai rivelato di essere lei stessa stata vittima di tale atrocità.
    Dopo che l’agente Chico ci ha fatto allontanare dalla dimostrazione pacifista, la coraggiosa Paulina  ha osservato che aveva creduto che nulla ormai potesse più spaventarla, “ma che la Middle East Peace Coalition ci era riuscita”.

_________
(*) L’autore è avvocato e dirige l’«American Legal Response Team for Democracy».

(Jerusalem Post - da Keren Hayesod, 20 ottobre 2004)





6. COME LAVORANO I CORRISPONDENTI SPECIALI IN ISRAELE




In Israele risiedono ottocento corrispondenti stabili. Oltre a ciò, ogni anno arrivano circa 2.700 corrispondenti speciali. "Questi giornalisti boy scout possono essere abbastanza irritanti", riferisce Michael Borgstede(*).
    "Ti telefonano una mattina e vogliono sapere in quale colonia abitano i peggiori estremisti, o se per caso hai da dare un paio di numeri di telefono di madri di terroristi suicidi. Poco tempo fa ho dovuto chiedere una nuova tessera di giornalista all'ufficio stampa del governo. Nel corridoio aspettavano due colleghi danesi. Hanno raccontato di essere lì per la prima volta, e contemporaneamente mi hanno chiesto se sapevo dove si potessero filmare i soldati che sparano sui bambini palestinesi".
    Oltre ai corrispondenti ci sono gli "stringer". Gli stringer sono palestinesi che per 100 dollari al giorno guidano i giornalisti stranieri attraverso la Cisgiordania e la striscia di Gaza. Organizzano interviste, traducono e hanno un occhio per la sicurezza dei loro protetti. Alla fine dei conti sono loro che decidono quello che l'ospite deve vedere.
    Almeno l'ottanta per cento del materiale fotografico che si può ricevere dai territori proviene da squadre palestinesi. Un fotografo ha riferito che una volta il suo "stringer" gli ha detto di montare la sua fotocamera su un cavalletto a qualche metro di distanza dalla barriera di sicurezza in Cisgiordania. Dopo dieci minuti, e in conseguenza di una telefonata, si è radunato un gruppo di giovani lanciatori di sassi palestinesi. Ne è venuta fuori una fotografia che la mattina seguente è apparsa sui quotidiani come illustrazione di un articolo sul piano di ritiro di Sharon dalla striscia di Gaza.
    Il redattore che sceglie le immagini di solito non conosce nemmeno il testo dell'articolo. Certe fotografie però funzionano sempre: bambini davanti ai carri armati o la prediletta foto col grandangolare che inquadra il "muro dell'apartheid", anche se lo stesso articolo magari dice esplicitamente che non si tratta di un muro, ma di un recinto...
    Oltre alla scelta delle notizie, i redattori hanno un'altra funzione: inventano sottotitoli. E lo fanno con lo stesso principio dei redattori di immagini, cioè senza aver letto il testo...

_________
(*) Michael Borgstede è corrispondente stabile in Israele per il settimanale "Jüdische Allgemeine".

(Ambasciata d'Israele a Berlino, 18.10.2004)





7. MUSICA E IMMAGINI




Go Down Moses




8. INDIRIZZI INTERNET




American Legal Response Team for Democracy

God's Clay - ISRAEL




Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse liberamente, citando la fonte.