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Notizie su Israele 338 - 17 marzo 2006

1. La resistenza contro Israele rimarrà priorità
2. Fondamentalismo islamico
3. L'islam alla conquista delle università
4. Islamismo «moderato»
5. Lezione in sinagoga
6. Un popolo indistruttibile
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Geremia 31:31-32. «Ecco, i giorni vengono», dice il SIGNORE, «in cui io farò un nuovo patto con la casa d'Israele e con la casa di Giuda; non come il patto che feci con i loro padri il giorno che li presi per mano per condurli fuori dal paese d'Egitto: patto che essi violarono, sebbene io fossi loro signore», dice il SIGNORE.
1. LA RESISTENZA CONTRO ISRAELE RIMARRÀ PRIORITÀ




Ahmed Saadat
DAMASCO - Per il movimento islamico Hamas, vincitore delle elezioni nei Territori e impegnato a dar vita a un nuovo governo palestinese, "la massima priorità rimarrà la resistenza" contro Israele. Lo ha dichiarato a Damasco il suo leader Khaled Meshal, citato stamani dalla stampa siriana.
"La liberazione sta arrivando e il ritorno dei palestinesi nella loro terra si realizzerà contro il volere dell'America e Israele. Gerusalemme sarà la capitale eterna della Palestina", ha dichiarato Meshal nel corso di una cerimonia svoltasi ieri sera a Damasco in memoria di Khaled al-Fhaoum, ex presidente del Consiglio nazionale del Fronte di salvezza palestinese.
"La carne palestinese è troppo difficile da digerire per Israele. Rassicuro tutti che la lotta continuerà con morale elevato, come se la battaglia avviata cinquant'anni fa fosse cominciata solo ieri", ha aggiunto il leader di Hamas.
Meshal ha poi condannato l'assalto israeliano al carcere di Gerico (Cisgiordania) per catturare il leader del Fronte popolare di liberazione della Palestina (Fplp), Ahmed Saadat.
Riferendosi al ritiro degli osservatori americani e britannici che lo ha preceduto, ha quindi denunciato la "collaborazione tra America e Gran Bretagna per umiliare il popolo palestinese"

(TiinOnline, 17 marzo 2006)





2. FONDAMENTALISMO ISLAMICO




Hamas, i Fratelli e il domino della democrazia

di Massimo Introvigne

Giorno dopo giorno, quella dei rapporti con i Fratelli Musulmani emerge come una delle più importanti questioni nella politica dei governi occidentali nei confronti dell'Islam. Fondati in Egitto nel 1928, i Fratelli sono la più grande organizzazione mondiale del fondamentalismo islamico. Sono difficili da contare, perché in molti paesi non raccolgono adesioni formali, ma della loro famiglia spirituale fanno parte milioni di fedeli musulmani. Esponenti dei Fratelli hanno fatto o fanno parte dei governi in Giordania, Qatar, Oman. Potrebbero entrare nel prossimo governo irakeno. In Marocco - a differenza del partito islamico di opposizione extraparlamentare Giustizia e Beneficenza - il Partito della Giustizia e dello Sviluppo, più vicino ai Fratelli, partecipa alle elezioni e dialoga con la monarchia. In Malaysia il partito vicino ai Fratelli controlla diverse amministrazioni locali. In Egitto ai Fratelli è proibito partecipare alle elezioni ma, presentandosi come indipendenti, hanno ottenuto nell'ultima tornata elettorale un clamoroso successo e potrebbero vincere le elezioni libere di un inevitabile dopo-Mubarak. In Europa della famiglia ideologica dei Fratelli fanno parte le associazioni che controllano il maggior numero di moschee in Italia (Ucoii) e in Francia (Uoif), e la presenza è forte anche in Inghilterra. Nella comunicazione, Al Jazeera in testa, la presenza dei Fratelli è decisiva. Infine, la branca palestinese dei Fratelli - Hamas - ha appena vinto le elezioni.
    In Occidente le posizioni sono due. Per alcuni con i Fratelli non si può e non si deve trattare: anche se condannano (duramente) Al Qaida, sono tutti con Hamas e non è difficile trovare nelle loro pubblicazioni toni estremisti e antisemiti. I Fratelli sono dunque il nemico, e se c'è il rischio che vincano altre elezioni, meglio non farle svolgere e tenersi i dittatori. Per altri i Fratelli sono una realtà così grossa da non poter essere ignorata ed escluderli dalle elezioni significa molto semplicemente rinunciare alla democrazia nel mondo arabo. Su questa linea pragmatica troviamo Condi Rice e i ministri Pisanu in Italia e Sarkozy in Francia.
    Questo dibattito è però condizionato da un equivoco. Qualunque cosa ne pensi qualche giornalista, da almeno dieci anni i Fratelli non sono una realtà monolitica. Le diverse organizzazioni nazionali hanno ampia autonomia. Non solo c'è uno scontro generazionale, con giovani che scalpitano anche in Egitto per sostituire gli attuali dirigenti ottantenni, ma nella famiglia spirituale dei Fratelli ci sono ormai una destra, un centro e una sinistra. In Francia per esempio se la sinistra di Tariq Ramadan punta su un'alleanza con i no global in funzione anti-americana, la dirigenza dell'Uoif - che ha emarginato Ramadan - si dichiara «naturalmente vicina alla destra, considerate le posizioni di quest'ultima sulla morale e la famiglia». In Egitto nella seconda generazione dei Fratelli ci sono antiamericani alla Ramadan e filoamericani che elogiano il capitalismo e perfino certi aspetti della New Age. Si sbaglia, dunque, a trattare i Fratelli come un'unica organizzazione gerarchica capace di muoversi all'unisono. Il problema non è se dialogare con i Fratelli (di fatto questo avviene da anni), ma quale ala dei Fratelli privilegiare nel dialogo. Anche perché - se il problema Hamas ha una soluzione - forse è proprio all'interno dei Fratelli, delle cui opinioni internazionali Hamas tiene gran conto, che questa può essere trovata.

(Il Giornale, 11 marzo 2006)





3. L'ISLAM ALLA CONQUISTA DELLE UNIVERSITA'




Un cavallo di Troia?

Qualcuno si chiede se la jihad islamica si stia presentando anche sotto la forma di una predicazione che ha lo scopo di offrire al mondo occidentale - che gli islamisti radicali considerano decadente - il rimedio della religione musulmana. Sembra infatti che stia emergendo una generazione di «nuovi islamisti» intenti a lanciare un'offensiva fascinosa, culturale, sostenuta da milioni di dollari, con l'obiettivo di integrare la democrazia, i diritti dell'uomo e la modernità nel loro sistema di pensiero al fine di... convertire tutti all'islam. Il ricchissimo principe saudita Alwaleed Bin Talal ha recentemente fatto pubblicare sul New York Times una doppia pagina di pubblicità per far conoscere al mondo il programma di studi islamici introdotto nelle Università di Harward e Georgetown con il sostegno dei suoi "generosi" finanziamenti. Riportiamo le immagini degli annunci con la traduzione dei testi.



"Programma di Studi Islamici Principe Alwaleed Bin Talal"
all'Università di Harvard.


L'Islam impara a comprendere il valore di altre culture e civilizzazioni. Questo conduce a gettare ponti di comunicazione e di tolleranza che arricchiscono la vita di tutti quelli che ne fanno parte.
E' in questo spirito di sollecitudine verso l'umanità che Sua Altezza Reale, il Principe Alwaleed Bin Talal Abdulaziz Al Saud, Presidente della Società di Holding del Regno, ha contribuito, con la somma senza precedenti di 20 milioni di dollari, allo sviluppo del Programma di Studi Islamici nell'Università di Harward. Questo fa parte dei continui sforzi del Principe per promuovere la conoscenza e la comprensione religiosa. In segno di apprezzamento per questa iniziativa di Sua Altezza Reale, l'Università di Harvard ha dato il nome del Principe a questo programma.
Il dono elargito dal Principe consentirà l'aumento del numero degli insegnanti nella materia di Studi Islamici, come anche l'aiuto finanziario agli studenti di diploma e del secondo ciclo. Questo dono permetterà alla Biblioteca dell'Università di Harvard di iniziare il suo "Islamic Heritage Project" [Progetto di Patrimonio Islamico] per la digitalizzazione di materiali di importanza storica. Questi saranno messi a libera disposizione dei ricercatori di tutto il mondo. Questa realizzazione costituisce un fondo di conoscenza e una fonte di ricerca universitaria per lo studio della religione islamica. Essa è motivo di fierezza per Sua Altezza Reale il Principe Alwaleed, a onore della sua religione e della sua nazione.

Università di Harvard

* * *




"Centro Principe Alwaleed Bin Talal per la Comprensione tra Cristiani e Musulmani", dell'Università di Georgetown.

Tutte le religioni insegnano il valore della vita. Sia il cristianesimo sia l'islam favoriscono l'amore, la tolleranza e la moderazione. La civilizzazione islamica ha contribuito allo sviluppo della civilizzazione umana con i valori e i principii che ha trasmesso, sulla base dell'unità delle persone che hanno in comune delle credenze benefiche.
In uno spirito di sollecitudine verso l'umanità, Sua Altezza Reale, il Principe Alwaleed Bin Talal Abdulaziz Al Saud, Presidente della Società di Holding del Regno, ha contribuito, con la somma senza precedenti di 20 milioni di dollari, allo sviluppo del Centro Principe Alwaleed Bin Talal per la Comprensione tra Cristiani e Musulmani, dell'Università di Georgetown.
Questo fa parte dei continui sforzi del Principe al servizio della conoscenza e della comprensione religiosa. In segno di apprezzamento per questa iniziativa di Sua Altezza Reale, l'Università di Georgetown ha dato il nome del Principe a questo programma.
Il Centro concentrerà i suoi sforzi per lanciare dei ponti tra le civilizzazioni islamiche e occidentali, creando un Think Tank per lo studio dell'insieme delle relazioni tra musulmani e cristiani. Creerà inoltre delle borse di studio e finanzierà dei programmi complementari per gli universitari, i lavoratori e il grande pubblico, per una maggior comprensione tra l'una e l'altra religione.

Università di Georgetown


Quanto alla munifica Altezza Reale, si può ricordare che dopo i fatti dell'11 settembre 2001, l'allora sindaco di New York, Rudoph Giuliani, rifiutò un grosso assegno del Principe per le note posizioni anti-israeliane dell'islamico donatore.

(Notizie tratte ed elaborate dal sito UPJF)






4. ISLAMISMO «MODERATO»




La sindrome da jihad instinct (in North Carolina)

di Daniel Pipes

"Gli islamisti possono sembrare degli individui rispettosi della legge e ragionevoli, ma fanno parte di un movimento totalitario e, pertanto, dovrebbero essere considerati come dei potenziali assassini". Scrissi queste parole dopo l'11 settembre e sono stato criticato sin da allora in tal guisa. Ma un incidente stradale avvenuto lo scorso 3 marzo alla University of North Carolina (UNC), con sede a Chapel Hill, mostra che non avevo esagerato.
    È accaduto che il ventiduenne Reza Taheri-azar, uno studente di origine iraniana fresco di diploma di laurea, si trovava al volante della sua utilitaria sportiva in una affollata zona pedonale. Il ragazzo ha investito nove persone, ma per fortuna nessuna di esse è rimasta gravemente ferita.
    Fino al momento in cui si è scatenata la sua presunta furia omicida,

prosegue ->
Taheri-azar specializzando in filosofia e psicologia, conduceva un'esistenza all'apparenza normale e aveva un futuro promettente. Quando frequentava le secondarie era stato presidente del comitato studentesco e membro della National Honor Society. Alcuni allievi dell'UNC hanno raccontato al quotidiano Los Angeles Times che il ragazzo "era uno studente irreprensibile, schivo ma cordiale". Un suo collega, Brian Copeland, "era impressionato della sua conoscenza del pensiero occidentale classico", e ha aggiunto: "egli era cordiale e gentile, piuttosto che aggressivo e violento". Il rettore James Moeser lo ha definito un ottimo studente, sebbene fosse "un tipo solitario e introverso".
    Di fatto, nessuno che lo conoscesse ha mai parlato male di lui. E questo è importante, in quanto ciò sta a indicare che Taheri-azar non è un tipo abietto, né un omicida e neppure uno psicotico, ma è uno studente coscienzioso e una persona amabile. Il che fa sorgere una domanda ovvia: "Per quale motivo una persona normale cerca di uccidere a casaccio un certo numero di studenti?" Quanto asserito da Taheri-azar dopo l'arresto offre alcune indicazioni.
  • Egli ha raccontato al numero di emergenza 911 che desiderava "punire il governo statunitense per il comportamento tenuto a livello mondiale".
  • Egli ha spiegato a un detective che "la gente di tutto il mondo viene uccisa in guerra e adesso tocca agli americani morire".
  • Egli ha detto di aver agito per "vendicare le vittime musulmane cadute ovunque nel mondo".
  • Egli ha spiegato come il suo comportamento sia stato dettato dal motto "occhio per occhio…".
  • Un affidavit della polizia osserva che "Taheri-azar ha più volte ribadito che il governo statunitense aveva ucciso i suoi connazionali oltreoceano e che per tale motivo egli ha deciso di lanciare un attacco contro di esso".
  • Egli ha raccontato a un giudice "Sono felice che lei sia qui per giudicarmi e per conoscere meglio il volere di Allah".
    In poche parole, Taheri-azar incarna il peggiore incubo islamista: quello di un musulmano apparentemente ben inserito, la cui religione lo spinge di punto in bianco a uccidere dei non-musulmani. Taheri-azar ha ammesso di aver pianificato il suo jihad da oltre due anni ovvero durante il suo soggiorno universitario. Non è difficile immaginare come le sue idee abbiamo preso forma, vista la coerenza dell'ideologia islamista, la sua immane portata (che include un'Associazione di studenti musulmani all'UNC) e la sua risonanza in seno a parecchi musulmani.
    Se Taheri-azar fosse stato il solo ad aver abbracciato con discrezione l'Islam radicale, il suo caso sarebbe potuto passare inosservato, ma egli rientra in un diffuso paradigma costituito da un certo numero di musulmani che conducono una tranquilla esistenza prima di darsi al terrorismo. Di questo novero fanno parte i dirottatori dell'11 settembre, gli attentatori di Londra e Maher Hawash, l'ingegnere dell'Intel arrestato prima di potersi unire ai Talebani in Afghanistan.
    Mohammed Ali Alayed, il saudita residente a Houston, rientra in questo schema poiché egli accoltellò a morte Ariel Sellouk, un ebreo che un tempo era suo amico. E così è per alcuni conversi all'Islam. Chi avrebbe potuto sospettare che Muriel Degauque, una cittadina belga di 38 anni, si sarebbe presentata in Iraq in veste di attentatrice suicida, facendosi esplodere in un attacco perpetrato contro le truppe americane?
    Questo è ciò che io chiamo la sindrome da jihad instinct, in base alla quale dei tranquilli musulmani diventano all'improvviso violenti. Il che genera la terribile ma legittima conseguenza di diffidare di tutti i musulmani. Chi può sapere da dove verrà il prossimo jihadista? Come si può avere la certezza che un musulmano rispettoso della legge non esploda di punto in bianco in una furia omicida? Sì, è vero, queste percentuali sono molto basse, ma sono sproporzionatamente molto più alte rispetto ai casi riscontrati tra i non-musulmani.
    Questa sindrome aiuta a spiegare la paura dell'Islam e la diffidenza nei confronti dei musulmani che i sondaggi di opinione mostrano in crescita a partire dall'11 settembre.
    La reazione musulmana di denunciare questo sentore come un pregiudizio, come il "nuovo antisemitismo" o "islamofobia" è tanto infondata quanto l'accusare gli antinazisti di "germanofobia" oppure gli anticomunisti di "russofobia". Piuttosto che presentarsi come delle vittime, i musulmani dovrebbero affrontare questa paura sviluppando una versione dell'Islam moderata, moderna e all'insegna del buon vicinato, che abiuri l'Islam radicale, il jihad e la subordinazione degli "infedeli".

(New York Sun, 14 marzo 2006 - dall'archivio di Daniel Pipes)





5. LEZIONE IN SINAGOGA




Lo Shemà

di Rav Shalom Bahbout

Lo Shemà rappresenta il fondamento della preghiera quotidiana. Viene infatti recitato al mattino svegliandosi e alla sera coricandosi, oltre ad essere presente nei momenti di preghiera che scandiscono la giornata.
    Analizziamo il significato e il senso della preghiera. Nella accezione comune esso sta a indicare una richiesta oppure una lode rivolta al Signore. Se però esaminiamo l'etimologia del termine ebraico tefillà (preghiera) esso deriva dalla radice palal, che significa giudicare, da cui pelilim, giudici. Pregare si dice  le-it-pallel, una forma riflessiva che può significare appunto sia sottoporsi al Giudizio divino che autogiudicarsi..
    Giudicare e giudicarsi: possiamo quindi considerare un ulteriore significato da dare al termine tefillà: esprimere al cospetto di Hashem un giudizio verso se stessi e addirittura porsi in relazione dinamica con il Signore permettendosi di giudicare il suo operato.
    A conferma di quanto detto basta ricordare alcuni episodi riportati nella Torà. In Genesi 18, 22-33 il patriarca Abramo mette in discussione la decisione dell'Altissimo di distruggere tutti gli abitanti di Sodoma e Gomorra richiamando il Signore di Giustizia a non considerare l'empio uguale al pio e riuscendo a strappare un cambiamento del disegno divino.
    Anche Mosè in Esodo 4,1-17 cerca di contrastare il volere divino che lo vuole nel ruolo di portavoce del Signore al cospetto di Faraone. Ancora in Esodo 32,31-35, dopo l'abominio dell'adorazione del vitello d'oro da parte del popolo ebraico, Mosè ottiene che solo chi abbia commesso il peccato sia punito con la morte e resti salvo chi non se ne è macchiato.
    A questo rapporto, per così dire colloquiale e sotto certi aspetti paritario, possiamo ricondurre una sostanziale differenza esistente tra la regola ebraica di pentimento (teshuvà) e perdono dei peccati in un rapporto diretto con Hashem, senza intermediari che concedano l'assoluzione dai peccati, come avviene invece nella dottrina cattolica.
    Torniamo ora all'analisi dello Shemà e notiamo che esso è diviso in tre parti.
    Se esaminiamo la prima parte osserviamo che esso riporta pedissequamente alcuni versi del Deuteronomio 6,4-9. Il testo della Torà recita: Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno. Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze e saranno queste parole che io ti comando oggi sul tuo cuore, le ripeterai ai tuoi figli e ne parlerai con loro stando nella tua casa, camminando per la via, quando ti coricherai o quando ti alzerai. Le legherai per segno sul tuo braccio e saranno come frontali fra i tuoi occhi e le scriverai sugli stipiti delle tue case e delle porte della città.
    
Osservando quindi il testo ci rendiamo conto che questa preghiera non corrisponde ai canoni cui fa riferimento una preghiera, ma è piuttosto una esposizione degli aspetti fondamentali della fede ebraica. Ecco perché lo Shemà non può propriamente definirsi una preghiera.
    Lo Shemà che noi recitiamo rispetto al testo della Torà presenta in più una benedizione che è stata inserita dopo il primo periodo: Benedetto il suo nome glorioso per sempre in eterno.
    
Questa benedizione viene recitata a bassa voce durante tutto l'anno, solo nel giorno di Kippur viene pronunciata a voce alta.
    Secondo una prima opinione, il recitare a voce bassa questa benedizione è dovuto alla consapevolezza che la Torà non può essere in alcun modo modificata anche trattandosi di una benedizione dell'Altissimo. Nel giorno di Kippur però il cammino di teshuvà che abbiamo compiuto per giungere al cospetto dell'Eterno ci pone in uno stato di elevazione che potremmo forse definire simile allo stato angelico e che ci pone su un piano di maggiore uguaglianza con il Signore permettendoci di pronunciare a voce alta la succitata benedizione.
    Ascolta, Israele… significa che ci poniamo in uno stato di ascolto che presuppone una disposizione a far penetrare nel proprio spirito quanto ci viene detto e per tale motivo, durante il primo verso, chiudiamo gli occhi coprendoli con la mano destra.
    Ascolta, Israele… in ebraico Israele sta ad indicare Colui che lottò con Dio. È il nome con cui viene chiamato  per la prima volta Giacobbe (Genesi 32,24-33), figlio di Isacco, quando questi lottò con l'angelo del Signore opponendo la propria volontà a quella divina. Ancora una conferma del rapporto paritario, a volte conflittuale che lega il popolo ebraico ad Hashem.
    Anche il ribadire che il Signore è il nostro Dio pone l'accento sul legame particolare che lega il popolo ebraico al Signore facendone il testimone nel mondo della presenza dell'Altissimo.
    Anziché dire il Signore nostro Dio è Uno, viene ripetuto nuovamente il nome tetragammato. Il Rashì dà di questa ripetizione una spiegazione molto significativa, affermando che essa sta ad indicare che il Signore, inizialmente riconosciuto come unico solo dagli Ebrei, sarà riconosciuto come tale anche dal resto dell'Umanità.
    È il riconoscere questa unicità che avvicina le diverse fedi religiose le quali, seppur nella diversità della pratica, tendono tutte all'unico Dio.
    Lo Shemà ci richiama poi ad amare il Signore con tutte le nostre forze, intendendo le forze del bene e quelle del male che sono in noi. Possiamo ricondurre il significato di forza del male per esempio all'istinto. Ma questo però ci porta a creare, a costruire, a produrre. È nell'utilizzare l'istinto che può portarci a fare il male per costruire che acquistiamo dei meriti: quale merito avremmo se servissimo il Signore solo con il bene di cui siamo capaci?
    Rabbì Akivà testimoniò con la propria sofferenza l'amore verso il Signore. Quando fu messo sulla graticola e scorticato vivo dai Romani, ai suoi discepoli che gli chiedevano dove trovasse la forza di recitare lo Shemà, lui rispondeva che nella vita ci sono poche possibilità di dimostrare l'amore verso l'Altissimo anche sacrificando la propria vita e adesso che era giunto il momento non avrebbe dovuto farlo, testimoniandolo con la propria morte.
    All'amore per il Signore bisogna saper unire anche l'amore verso il prossimo: Hillel a chi chiedeva di esprimere in poche parole la fede ebraica, la riassumeva con la frase "Amerai il prossimo tuo come te stesso": desidererai per gli altri ciò che desideri per te stesso, ma l'amore verso il prossimo non deve superare l'amore per se stessi, in quanto ciò costituirebbe una distorsione del senso della frase e andrebbe al di là di ciò che si può umanamente e realisticamente chiedere all'uomo.
    Spesso una certa morale presente nella cultura cattolica ha portato a far credere che il bene dell'altro possa essere posto al di sopra del proprio.  Il porgere l'altra guancia al proprio nemico o a chi ci offende è completamente lontano dal pensiero ebraico. A chi ci offende o ci danneggia non  bisogna porgere l'altra guancia, ma anzi difendersi o porre una separazione tra noi e l'altro!
    Nel Talmud viene fatto l'esempio di due uomini che si trovano nel deserto con acqua sufficiente solo per uno. Come ci si deve comportare in questa circostanza?  Due maestri esprimono la propria opinione: Ben Peturì afferma che entrambi devono bere dalla borraccia, in modo che nessuno dei due veda la morte dell'altro.  Rabbì Akivà afferma che il proprietario della borraccia d'acqua deve bere l'acqua, perché l'amore per se stessi deve superare quello per gli altri e forse così il proprietario dell'acqua, salvando se stesso potrà salvare anche l'altro. Il comune sentimento potrebbe invece portarci a dire che si divide l'acqua a metà, ma così è certo che entrambi moriranno, mentre la Torà, la legge, è una Torath Chaim, una legge di vita che deve insegnarci quale deve essere il modo migliore per far prevalere la vita sulla morte, anche se talvolta sembra che venga sacrificata la vita.
    Il popolo ebraico si rivolge al Signore con vari nomi, poiché il nome tetragrammato è per noi impronunciabile.  Due appellativi ricorrono spesso: Elokim e Hashem.
    Il termine Elohim, nostro Signore, è inteso come Dio di Giustizia e della Natura. Hashem - dalla radice Hayah (verbo essere) e che viene spesso tradotto con l'Eterno - rappresenta in un certo senso il Nome proprio di Dio e sta ad indicare il Santo Nome per eccellenza, che rappresenta l'essenza più intima del Signore, Dio della Misericordia e della Storia.

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Dalla lezione di Rav Scialom Bahbout, tenuta alla Sinagoga di Trani il 2.1.2006 a cura di Francesco Lotoro.
 
(Morasha, 16 marzo 2006)





6. UN POPOLO INDISTRUTTIBILE




Ogni epoca ha il suo Haman

Messaggio del Rav di Lubavitch z. l. Adar 5713-1953

In ogni epoca abbiamo dovuto affrontare degli Haman e, grazie a D.o, siamo sopravvissuti. Qual e' il segreto della nostra "eternità"?
Rispondo a questa domanda facendo un esempio. Allorquando uno scienziato ricerca la legge che governa un certo fenomeno o le proprieta' essenziali di un elemento naturale, egli compie una serie di esperimenti, senza di questi le sue conclusioni non sarebbero significative.
Applichiamo lo stesso sistema al popolo ebraico. Noi siamo uno dei popoli piu' anziani sulla terra, la nostra storia incomincia con la Rivelazione sul Sinai oltre 33 secoli fa. La nostra nazione ha conosciuto attraverso i tempi e gli spazi le condizioni piu' svariate. Dobbiamo percio' concludere che la nostra continuita' non dipenda ne' da qualita' morali o fisiche, ne' dalla nostra lingua ne' dai nostri costumi, e neanche dalla nostra purezza etnica, infatti importanti gruppi si sono convertiti all'ebraismo nel corso della sua storia. Il nostro unico elemento unitario e' la Torah con le sue mizvoth. La conclusione e' molto chiara e non lascia ombra di dubbio! E' grazie alla Torah ed alle mizvoth che il nostro popolo e' indistruttibile, malgrado che con i massacri ed i pogroms abbiano tentato la nostra distruzione fisica, malgrado che con le ideologie e le culture straniere abbiano tentato la nostra distruzione morale. Purim e' la prova eclatante che con l'assimilazione non si scappa ne' ad Haman ne' ad Hitler. Al contrario, la nostra sopravvivenza dipende dal fatto che "le loro leggi sono differenti da quelle di tutti gli altri popoli". Purim dimostra qual e' la forza del nostro popolo, nel suo insieme ed in ciascun individuo in particolare. Essa e' condizionata ad un profondo attaccamento alla nostra eredita' e tradizione spirituale, essa c'insegna il segreto di una vita armonica, spirito e corpo nella vita ebraica si rispettano tra di loro, sana e gioiosa.
Vi auguro un felice Purim e che appaia un mondo libero di Haman, di tutti gli amaleciti, di tutti i nemici del corpo, dell'animo e della fede d'Israele.

(UN HAMAN A' CHAQUE EPOQUE - Le message du Rabbi (Adar 5713-1953), LA SI'HA DE LA SEMAINE n. 361, 11/3/06; liberamente tratto e tradotto dal francese da Eleazar Ben Yair).





7. MUSICA E IMMAGINI




Yerida




8. INDIRIZZI INTERNET




Shavei Israel

Caspari Center




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