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Notizie su Israele 401 - 14 settembre 2007 |
1. Troppa ingenuità?
2. Guerra archeologica 3. Memoria storica 4. Un paese costretto a difendersi 5. Esistere o non esistere? 6. L'arma segreta di Israele 7. Prima riunione di sacerdoti leviti 8. Musica e immagini 9. Indirizzi internet |
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1. TROPPA INGENUITA'?
Cambiare musica da un articolo di Guy Bechor Abbiamo continuato a cantare le nostre canzoni di pace per così tanti anni che forse, a un certo punto, abbiamo semplicemente smesso di pensare. Abbiamo creduto così tanto alle parole di quelle canzoni, che avevamo scritto da soli, che abbiamo perso il contato con la realtà del Medio Oriente finché quella realtà, con tutti i suoi trucchi e le sue furbizie, ha fatto un uso cinico delle nostre canzoni e dei nostri sogni. Abbiamo creduto così tanto alle nostre canzoni da arrivare a pensare che la pace fosse a portata di mano se solo l'avessimo voluto. I nemici della pace, guidati dalla Siria, hanno saputo approfittare della nostra ingenuità. Damasco ne ha fatto una scelta sistematica: ogni volta che si trovano in difficoltà, i leader del suo regime puntano il dito accusatore contro Israele e proclamano: Israele non è veramente interessato alla pace. E noi, storditi dalle nostre canzoni di pace, iniziamo a balbettare. E i siriani gridano: Lo vedete? Sono senza parole. In che senso balbettiamo? Nel senso che, non capendo i trucchi dei siriani, poniamo condizioni per l'avvio dei colloqui, chiediamo il disarmo di Hezbollah, che la Siria accetti questo o quello. In questo modo il nostro messaggio non appare convincente, mentre i siriani ne escono vincenti. E la colpa dello stallo ricade sempre su Israele. Per questo, sarebbe ora di cambiar politica a 180 gradi. La prossima volta che la Siria ci accusa, come fa sempre, di non volere la pace, anziché balbettare dobbiamo prendere nettamente posizione, dicendo chiaro e forte qual è la nostra nuova posizione. È vero. Non vogliamo "fare la pace" con questo regime siriano. Non vogliamo avere nessun rapporto, certamente non rapporti accomodanti, con la feroce tirannia della minoranza alawita. La Siria è uno dei nostri vicini più importanti e cruciali. Quando diventerà un paese democratico, quando capirà il significato della pace e lascerà cadere le sue pretese territoriali che gli servono per tenere aperto il conflitto, allora potremo avere relazioni pacifiche. Ma con l'attuale regime responsabile del massacro di migliaia di siriani a Hama nel 1982, delle torture e uccisioni di detenuti nella prigione di Tadmor, dell'omicidio di decine di politici e leader libanesi, della violenta campagna anti-israeliana e anti-ebraica che dura da anni e anni, dell'attentato mortale contro il primo ministro libanese con un regime come questo non siamo interessati ad instaurare nessuna forma di dialogo. Gli osservatori, in Israele, continuano a domandarsi se sia arrivato il momento della pace con la Siria. Sono fissati con la questione del quando: quando ci sarà la pace con la Siria? E non si interrogano sulla sostanza: vogliamo davvero "fare la pace" con questo regime siriano? Possibile che la parola "pace" induca una sorta di riflesso pavloviano negli israeliani? Siamo automi? Non possiamo esercitare senso critico sulla qualità di questa "pace"? Non abbiamo fiducia in noi stessi? Non abbiamo dignità? I siriani sarebbero messi in imbarazzo da una siffatta posizione israeliana, perché contestandola attirerebbero l'attenzione sull'elenco dei loro crimini e dei loro fallimenti. In effetti, qui sta il paradosso: se affermiamo di volere la pace, il regime alawita di Damasco ci può attaccare; se diciamo semplicemente che la pace con quel regime non ci interessa, deve rinunciare al bluff. Con un'ultima osservazione. La Siria non ha rapporti pacifici con nessuno dei suoi vicini arabi. Al massimo i rapporti coi suoi vicini vanno dalla aperta ostilità all'avversione reciproca: variano da ostili a gelidi i rapporti della Siria con il Libano, la Giordania, la Turchia, l'Iraq, l'Egitto, l'Arabia Saudita, l'Autorità Palestinese e così via. Perché mai dovrebbero essere pacifici quelli con Israele? Forse è tempo che iniziamo a capire quanto siano irragionevoli certe nostre convinzioni. (YnetNews, 30 agosto 2007 - ripreso da israele.net) 2. GUERRA ARCHEOLOGICA Cancellare ogni traccia ebraica dal Monte del Tempio: la politica del Waqf di Giorgio Israel Il sito "One Jerusalem" diretto da Nathan Sharansky denuncia una nuova gravissima iniziativa dell'istituzione islamica Waqf preposta alla gestione del Monte del Tempio di Gerusalemme, volta a perseguire la sistematica distruzione di quanto resta di ebraico dal punto di vista archeologico in un complesso che rappresenta quanto di più sacro esiste per il mondo ebraico. Gideon Charlap, architetto ed esperto del complesso, ha constatato che gli arabi stanno scavando un fossato della profondità di un metro da nord a sud il quale taglia almeno tre muri di separazione dei locali del Tempio. I materiali di scavo come già in altre occasioni vengono gettati via, con un danno archeologico inestimabile. Un poliziotto druso che ha tentato di bloccare il trattore che stava realizzando questo scavo abusivo è stato aggredito dagli operai arabi e il capo dell'ufficio di polizia israeliano del Monte del Tempio è intervenuto per calmare il poliziotto. Non insistiamo sulle numerose altre testimonianze e valutazioni di archeologi sul carattere drammatico e irreversibile di queste distruzioni, che mirano a islamizzare tutta l'area, e per le quali rinviamo al sito web citato. Ci limitiamo qui a due commenti. È perfettamente comprensibile che il governo israeliano sia impegnato in una situazione politica difficilissima e che tenti in ogni modo di non accendere alcun conflitto che potrebbe essergli addebitato come causa di nuove drammatiche rotture. È troppo chiedere che qualcuno si renda conto della straordinaria pazienza e dello spirito di sopportazione "cristiano" con cui Israele affronta una simile prova e mette sul piatto della bilancia della pacificazione persino la distruzione dei simboli più sacri della storia del popolo ebraico? E inoltre: siamo di fronte a gesti che ricordano la distruzione delle statue di Budda da parte dei talebani e mettono in luce il lato più bestiale e fanatico dell'integralismo islamico, e cioè la distruzione della storia e della cultura degli "altri" per costruire l'egemonia della Umma su un terreno completamente nudo. Non vi sarà nessuno che leverà la voce per denunciare al posto di Israele che tace e sopporta per non essere accusata di sabotare la pace il comportamento del Waqf di Gerusalemme, in linea con le storiche simpatie per il nazismo? Sono domande retoriche. Nessuno dirà una parola. (Informazione Corretta, 8 settembre 2007) --> Video 3. MEMORIA STORICA Il riconoscimento concesso da Israele a chi aiutò gli ebrei a scampare alle persecuzioni naziste durante la guerra. «Il mio Schindler di Treviso» di Elisa Pasetto La generosità non ha confini, siano essi fisici, politici o religiosi. Così anche da Verona parte un grazie a Elio Gallina, notaio trevigiano 94enne insignito del titolo di «Giusto tra le Nazioni», onorificenza che lo stato di Israele riserva ai non ebrei distintisi per aver aiutato degli israeliti a scampare al genocidio nazista. Già, perché tra le numerose famiglie beneficiarie della magnanimità del trevigiano, che nascondendole e instradandole verso la Svizzera neutrale rischiò la propria vita, figura anche quella di Alberto Ottolenghi, direttore del dipartimento di Scienze chirurgiche e gastroenterologiche dell'Università di Verona. E proprio grazie all'interessamento e alle testimonianze del medico veneziano (a Verona ormai dal 1969) e in particolare della sorella Elisabetta il nome di Gallina è stato inciso nella stele dei «Giusti tra le Nazioni» allo Yad Vashem, l'Istituto per la rimembranza dei martiri e degli eroi dell'Olocausto, a Gerusalemme, che annovera anche i nomi di Oskar Schindler e Giorgio Perlasca. «Gallina è una persona molto discreta e non ha mai voluto emergere, ma ha rischiato moltissimo per aiutare gli ebrei, arrivando a nascondere in casa sua anche 50-60 persone», afferma Ottolenghi, il cui nonno Adolfo fu rabbino capo a Venezia dal 1912 al '44, quando fu deportato dai tedeschi in un campo di concentramento, dove morì. I problemi per gli ebrei del nord Italia cominciano nell'autunno del '43, con l'occupazione tedesca. Tra gli altri, tocca anche al ghetto di Venezia subire uno spietato rastrellamento. È allora che Carlo Ottolenghi, avvocato, padre di Alberto, cerca rifugio con la moglie e il figlio di soli tre anni nell'entroterra, mentre il padre, rabbino capo, non si sente di abbandonare gli anziani del ghetto. «Papà venne a sapere che Elio Gallina, un suo conoscente, antifascista di fede cattolica, faceva parte di una rete di trevigiani che aiutavano non solo ebrei, ma anche perseguitati politici e rifugiati. Così rimanemmo ospiti da lui per un periodo», racconta Ottolenghi. «In uno dei miei primi ricordi sono a casa di Gallina, in giardino, a giocare con un'automobilina rossa, quando un bombardamento poco lontano fa tremare tutto». Intanto Gallina procura per tutti documenti falsi e organizza la fuga verso la Svizzera. «Col nuovo nome di Vianello ci spostammo di nascondiglio in nascondiglio verso il confine, che raggiungemmo in dicembre, con l'aiuto dei contrabbandieri, attraversando a nuoto il Ticino», continua Ottolenghi. «Conservo altri ricordi angosciosi della fuga, come quando, durante il rastrellamento nazifascista dell'edificio in cui eravamo nascosti, stavamo per saltare dalla finestra dell'ottavo piano piuttosto che cadere nelle loro mani. Ci salvammo perché, per caso, saltarono la nostra porta». Ricordi tragici per un bambino, seguiti però da tanti altri più che positivi: dalla scuola materna frequentata a Lugano al rientro nella casa al Lido di Venezia nel '45, agli studi di medicina all'Università di Padova, fino all'arrivo a Verona, alla fine del 1969, «al seguito del professor Vecchioni, prima nel neonato reparto di Patologia chirurgica, e poi in Chirurgia pediatrica». «Ma nel mio percorso non c'è nulla di straordinario», dice il medico. «Straordinario resta invece ciò che fece Gallina». (L'Arena.it, 6 settembre 2007) 4. UN PAESE COSTRETTO A DIFENDERSI Gerusalemme: 60 miliardi di dollari per il riarmo di Andrea Nativi Israele si appresta a spendere 60 miliardi di dollari nell'arco dei prossimi cinque anni per trasformare e potenziare le sue forze armate, correggendo così i problemi e le difficoltà emerse drammaticamente nel corso del conflitto della scorsa estate contro Hezbollah in Libano. A pagare il conto saranno in larga misura, fino a tre quarti del totale, gli Stati Uniti, che hanno promesso aiuti finanziari addizionali pari a 30 miliardi di dollari in 10 anni per compensare i pacchetti di aiuto militare proposti a Paesi moderati in tutto il Medio Oriente. Il piano, denominato Tefen 2012, sarà approvato dal governo di Gerusalemme entro la fine dell'anno e prevede nuove priorità di spesa, con l'esercito che torna in primo piano. Il nuovo capo di stato maggiore della Difesa, il Generale Gaby Ashkenazi, ha chiarito come sia indispensabile mettere in grado l'esercito di affrontare ogni tipo di operazione militare. È prevista così l'acquisizione di centinaia di mezzi corazzati pesanti: i carri da combattimento Merkava IV, che si sono comportati bene in Libano, ma soprattutto i mezzi da combattimento della fanteria Namer. E tutti questi mezzi saranno finalmente dotati di sofisticati sistemi di autoprotezione di tipo attivo contro i razzi e i missili controcarro. Per l'aeronautica, il programma principale riguarda l'acquisizione di un primo lotto di 25 cacciabombardieri «invisibili» statunitensi F-35, che potrebbero essere consegnati già dal 2014, mentre il requisito complessivo per questi aerei è confermato in 100 unità. Saranno anche ammodernati gli attuali F-16 e arriverà nuovo munizionamento intelligente, in particolare armi aria-suolo. Continuerà anche l'introduzione di nuovi velivoli senza pilota con capacità migliorate. La marina sarà potenziata con l'acquisto di due nuove fregate lanciamissili LCS statunitensi, che diventeranno le navi ammiraglie di due gruppi navali, mentre è previsto continui lo sviluppo (con l'India) del nuovo sistema di difesa antiaerea Barak 8. Rimane cruciale il potenziamento del sistema di difesa antimissile e sarà aggiunto un ulteriore strato al sistema integrato «Homa» (muro). Si tratta di nuovi missili intercettori in grado di colpire i missili balistici nemici a grande distanza e quota. Il nuovo sistema sarà probabilmente l'Arrow 3, anche se gli Usa stanno suggerendo il proprio Thaad in alternativa. Inoltre le attuali batterie Patriot PAC-2 saranno portate al nuovo standard PAC-3. È poi in sviluppo un sistema, noto come Magic Wand, per intercettare i grossi razzi di artiglieria con gittata fino a 200 km di cui già dispone Hezbollah, mentre per fronteggiare i razzi più piccoli, compresi i Qassam palestinesi, entro due anni inizierà lo spiegamento di un sistema specifico, denominato Iron Dome. E questa combinazione di tecnologie avanzatissime e revisione di dottrine militari restituirà a Israele quella supremazia militare compromessa dopo le recenti esperienze belliche. (Il Giornale, 7 settembre 2007) 5. ESISTERE O NON ESISTERE? Il risultato di un sondaggio del quotidiano «Yediot Ahronot» in occasione del Capodanno ebraico Israele non ha futuro. Lo pensa un ebreo su quattro. Amano però il loro Stato e lo trovano sicuro. Solo il 18 per cento emigrerebbe in Europa. TEL AVIV Malgrado il grande attaccamento al proprio Paese, un israeliano su |
quattro non è certo che l'esistenza di Israele sia assicurata. Lo ha rilevato un sondaggio di opinione curato dal quotidiano Yediot Ahronot in occasione del
Capodanno ebraico, che si celebra a partire da mercoledì. Le difficoltà del presente, le minacce esplicite di annientamento che giungono di frequente da Teheran ed echeggiano nelle strade di Gaza ed in Libano, non sgomentano affatto l'israeliano medio. «Israele è un posto dove è bello vivere», assicurano l'86 per cento degli intervistati. E l'84 per cento rispondono affermativamente alla domanda se si sentono fieri di essere israeliani. Dove è più sicuro vivere, per un ebreo: in Israele o in Europa occidentale? Quasi due terzi preferiscono lo stato ebraico, solo il 18 per cento vorrebbero emigrare in Europa. Ma dal sondaggio emergono evidenti anche le ombre: la crisi della leadership politica (la performance del premier Ehud Olmert è negativa, afferma il 70 per cento), i dubbi sulle capacità dell'esercito israeliano e sul suo deterrente dopo la guerra in Libano. Siccome le notizie negative non vengono mai sole, ecco che dagli Stati Uniti giungono i risultati di un altro sondaggio, appena rilanciato dalla Jewish Telegraphic Agency (Jta), da cui emerge che fra gli ebrei americani al di sotto dei 35 anni solo il 48 per cento sottoscrive il concetto che «la distruzione di Israele sarebbe per me una tragedia personale». Fra gli ebrei statunitensi anziani, la percentuale è del 78 per cento. Il senso di alienazione fra l'ebraismo Usa ed Israele, spiega la Jta, è un fenomeno che si accentua di generazione in generazione. Come spesso avviene sono gli scrittori di Israele i migliori sismografi dei dubbi e delle angosce della popolazione. Pochi mesi fa A.B. Yehoshua aveva fatto scalpore inserendo nel suo nuovo romanzo ('Fuoco amicò) il personaggio di Yrmi, un anziano israeliano trasferitosi in Tanzania perchè esausto del cententario conflitto con gli arabi e determinato a trovarsi un fazzoletto di terra dove non ci fosse più alcuna probabilità di imbattersi in connazionali o in ebrei di alcun genere. Un altro importante scrittore, Haim Beer (Rachlewsky), non esita adesso a discutere nel suo nuovo romanzo («Davanti al luogo») lo scenario apocalittico della distruzione di Israele. Gli incubi notturni degli israeliani prendono forma nella persona di un pensionato, Martin Lamberg. Questi vuole edificare una immensa biblioteca ebraica, in Germania, per custodirvi la intera memoria letteraria di Israele nel timore che un giorno «stuole di barbari discendano in massa dai campi profughi palestinesi di Shuafat, el-Arub e Anata per sciamare a Gerusalemme nel Campus universitario di Givat Ram», sede della maestosa Biblioteca Nazionale. In una lunga intervista al supplemento letterario di Haaretz Beer spiega di essere affascinato «dalla questione terribile, post-sionista e post-israeliana, se ci sia la possibilità che un giorno Israele non esista più.» (Il Tempo, 9 settembre 2007) 6. L'ARMA SEGRETA DI ISRAELE E' incerto il futuro di Israele? di Aviel Schneider Il futuro del popolo ebraico oggi è più incerto che mai! Pericoli di guerra e voglie di assimilazione sembrano mettere in discussione la continuità del popolo ebraico sia in Israele sia nella diaspora. A questo risultato sono arrivati 120 politici, professori, intellettuali e uomini d'affari ebrei da tutto il mondo durante una conferenza di tre giorni in Gerusalemme. Devono essere trovate soluzioni per l'esistenza e l'identità ebraiche e per i problemi di direzione politica. Tutti hanno convenuto che al popolo ebraico - 14 milioni di persone - manca una qualificata direzione spirituale, politica e professionale. Più volte è stato sottolineato che il popolo ebraico nei secoli della sua storia è sopravvissuto anche senza strategie politiche. Ebrei religiosi ed ebrei messianici sono d'accordo nel dire che le benedizioni e le promesse di Dio stanno sopra tutti i piani e le strategie umane. Un nuovo profilo di popolo Secondo il parere di Dennis Ross, presidente ebreo dell'americano Wahshington-Institut, il profilo del popolo ebraico sta cambiando in tutto il mondo. L'assimilazione cresce drasticamente, sempre più ebrei si sposano con non ebrei fuori delle frontiere di Israele. Secondo dati dell'Istituto, soltanto 29% dei bambini ebrei negli USA studiano in scuole ebraiche, e la percentuale dei recenti matrimoni misti arriva oggi al 54%. Nel vicino Messico invece 85% dei bambini ebrei studiano in scuole ebraiche e soltanto 10% dei giovani ebrei sono sposati con un partner non ebreo. Devono quindi essere trovate soluzioni per riguadagnare all'ebraismo i figli di coppie miste, perché altrimenti il popolo ebraico corre il rischio di sparire fra i gentili. All'ordine del giorno dell'Istituto per il popolo ebraico e la pianificazione politica stavano dunque quattro temi scottanti: comunità ebraica mondiale, leadership ebraica, geopolitica, identità e demografia. L'ebreo messianico e storico Zwi Sadan avverte il dovere di discutere sul futuro del popolo ebraico: «Senza discussione il popolo ebraico sarà assimilato, e questo possiamo già vederlo nel Nord America. La realtà ci obbliga a rifletterci sopra.» Attenzione, missione verso gli ebrei Anche la missione cristiana rafforza l'assimilazione, agli occhi di molti ebrei. «La missione vuole portare gli ebrei a Gesù, e se tutti gli ebrei diventassero cristiani, allora Hitler alla fine, nella sua guerra di annientamento contro gli ebrei, avrebbe ancora vinto», dichiarano dei Rabbini. Per questo motivo gli ebrei si oppongono alle campagne missionarie, perché non si può essere contemporaneamente ebreo e cristiano. «Questa è una guerra spirituale contro gli ebrei», ritiene il Rabbino americano Tovia Singer, che combatte le annuali campagne di "Jews for Jesus" negli USA. L'ebreo messianico ed evangelista Jakob Damkani però non è d'accordo. «Il popolo ebraico è stato scelto da Dio, separato dagli altri popoli. Dio ha un incarico preciso per il popolo ebraico, così sta scritto nella Bibbia. L'identità ebraica deve essere mantenuta, ma chi crede che Gesù è una pietra di scandalo per l'unità e l'identità del popolo ebraico è nell'errore. La nostra fede in Gesù non ci fa diventare gentili», ha dichiarato Damkani a israel heute. Israele non è il centro degli ebrei Il popolo ebraico si distribuisce principalmente su due centri. Uno naturalmente è Israele (5,4 milioni di ebrei) e l'altro è costituito dagli USA (5,3 milioni di ebrei). Gli altri 3 milioni vivono in altre nazioni, di cui 2 milioni in Europa. In totale, il popolo ebraico costituisce lo 0,2% della popolazione mondiale (6,6 miliardi). Anche se entrambi i centri hanno i loro propri problemi, sono tuttavia strettamente collegati. Il rapporto tra Israele e gli ebrei della diaspora viene continuamente analizzato. «Non sono certo di poter ammettere che il centro del popolo ebraico sia Israele», ha dichiarato il presidente dell'Alleanza degli ebrei negli USA, Steve Hoffman, a israel heute. Ma il fatto che ebrei da tutto il mondo siedano intorno a un tavolo a Gerusalemme per discutere sul futuro del loro popolo è visto da Hoffman come un grande successo. «Io sono prima di tutto un ebreo e poi un israeliano», ha detto il Primo Ministro israeliano Ehud Olmert davanti a un pubblico di notabili israeliani. «Oggi mi considero anzitutto ebreo, ma se mi avessero chiesto quando avevo 14 anni, avrei detto che mi consideravo anzitutto israeliano. Qualcosa è cambiato in me!» 82% degli ebrei americani negli USA sostengono Israele, ma soltanto 28% si considerano sionisti. Questo risultato è emerso da uno studio del prof. Sergio Della Pergola. Soltanto 15% degli ebrei americani si sentono molto collegati con Israele, mentre 44% per niente. Alcuni ebrei della diaspora sono dell'opinione che il futuro del popolo ebraico non deve necessariamente giocarsi dentro le frontiere dello Stato ebraico. Secondo loro, anche gli ebrei della diaspora hanno un futuro. Di altra opinione è il capo del Likud, Benjamin Netanyahu. «Il popolo ebraico dipende dallo Stato ebraico di Israele. Ma poiché i governi israeliani sono così tanto occupati con i problemi di esistenza, non possono interessarsi della sopravvivenza del popolo ebraico nel mondo», ha detto Benjamin Netanyahu a israel heute. Ross è convinto che qualsiasi discussione sul futuro del popolo ebraico non è separabile dal futuro dello Stato ebraico. Ognuno dei due dipende dall'altro! Israele è una sfida per sé stesso «Il futuro del popolo ebraico non arriva da solo», dice Zwi Sadan. «La storia ci insegna che è sempre stato necessario uno sforzo straordinario per assicurare la continuazione del popolo ebraico, come per esempio il Convegno ebraico a Yavneh nel primo e nel secondo secolo, dopo la distruzione del secondo Tempio. La leadership ebraica dovette allora trovare una soluzione spirituale e politica. L'odierno Israele è in parte la conseguenza delle decisioni di Yavneh.» Ma, al contrario di 2000 anni di diaspora, adesso gli ebrei hanno da sessant'anni uno Stato, e questo rende il dialogo ebraico più complicato. Se prima gli ebrei vivevano in comunità sotto poteri e governi stranieri, adesso esiste uno Stato ebraico in cui devono governarsi da soli, come ai tempi biblici. La sfida che un tale Stato ebraico rappresenta per la comunità ebraica mondiale va oltre tutto quello che hanno dovuto affrontare gli ebrei negli ultimi 2000 anni. Se lo Stato d'Israele viene condannato come razzista, occupante, conquistatore, criminale di guerra questo influenza l'intera comunità ebraica mondiale. «Se non stiamo attenti, fra venti anni lo Stato d'Israele avrà perso il suo carattere ebraico e sarà diventato uno Stato come tutti gli altri, una democrazia alla Medio Oriente, in cui ebrei e musulmani determinano paritariamente il destino della nazione», avverte Sadan. Gli ebrei sono una tribù globale L'ex Ministro della Giustizia canadese Irwin Cotler e anche altri partecipanti alla conferenza vedono nell'Islam radicale non solo un minaccia all'esistenza del popolo ebraico, ma ancora di più una minaccia per tutte le democrazie. Cotler ha richiamato inoltre l'attenzione degli ascoltatori sul fatto che il mondo, oltre al problema ebraico, ha anche altri problemi. «In un tempo di globalizzazione, il popolo ebraico può offrire al mondo un grosso contributo», ha detto Cotler. «Siamo una tribù dispersa in tutte le nazioni che in 2000 anni ha mantenuto lo stesso terreno, la stessa lingua e lo stesso nome "Israele". Durante questi secoli abbiamo sviluppato dei valori che hanno un grande valore per la comunità internazionale, come i diritti civili, l'etica delle armi [Tohar HaNeschek], l'aspirazione alla giustizia e alla pace.» Con altre parole si è detto d'accordo con lui anche l'ebreo messianico e storico Gershon Nerel: «Non è possibile separare il futuro del popolo ebraico da quello del resto del mondo. Come centro del mondo, il popolo d'Israele è collegato al mondo. Già nella Bibbia viene presentato il profondo legame tra il popolo d'Israele e le altre nazioni, perché questa è la volontà di Dio! E se apriamo gli occhi e riconosciamo che sono gli ultimi tempi, scopriamo che noi come ebrei messianici, come popolo ebraico e come mondo in generale, viviamo oggi in un tempo critico.» A israel heute Nerel ha poi detto che noi, come ebrei messianici, abbiamo la "chiave spirituale" per comprendere il piano di Dio per il mondo. «Noi crediamo che il sionismo, la formazione dello Stato d'Israele, la guerra dei sei giorni e la riunificazione di Gerusalemme appartengono al piano di salvezza di Dio, come il ritorno di Gesù e le profezie bibliche.» Il popolo ebraico è sopravvissuto agli egiziani, ai babilonesi, ai persiani, ai greci, ai romani e perfino all'Olocausto nella seconda guerra mondiale. Stando alle regole del gioco della storia, il popolo ebraico sarebbe dovuto sparire dall'umanità. La Bibbia dice chiaramente: "Ma, nonostante tutto questo, quando saranno nel paese dei loro nemici, io non li disprezzerò e non li prenderò in avversione fino al punto d'annientarli del tutto e di rompere il mio patto con loro; poiché io sono il SIGNORE loro Dio." (Levitico 26:44). Anche secondo Geremia 31, Dio non abbandonerà la discendenza del suo popolo fino alla fine del mondo. L'arma segreta d'Israele E' stato proposto di formare una direzione ebraica internazionale che sviluppi le strategie per il futuro del popolo ebraico nel mondo. Shimon Peres, oggi nono Presidente dello Stato d'Israele, ha detto una volta: «Il destino del popolo ebraico è come una gravidanza: pieno di minacce e pericoli, ma anche ricco di possibilità e miracoli!» I progetti umani sono importanti, ma non definitivi. La storia ebraica e biblica mette in evidenza un "intervenire di Dio", come alcuni partecipanti alla conferenza hanno ammesso. Essi ritengono che la benedizione e la promessa di Dio siano l'arma segreta di Israele. (israel heute, settembre 2007 - trad. www.ilvangelo-israele.it) 7. PRIMA RIUNIONE DI SACERDOTI LEVITI Ebrei appartenenti alla tribù di Levi si sono incontrati nella prima grande riunione di sacerdoti leviti dal tempo del secondo Tempio in Gerusalemme. Sono stati tenuti seminari sulla storia e sul futuro del Tempio. Conclusione solenne dell'incontro è stata la benedizione sacerdotale su Israele che i partecipanti hanno celebrato davanti al Muro del Pianto. Studi genetici compiuti negli ultimi anni sono riusciti a isolare con successo una determinata sigla di DNA appartenente a tutti i membri della tribù di Levi. Si ritiene quindi probabile il ristabilimento del sacerdozio, quando verrà ricostruito il Tempio ebraico. (israel heute, settembre 2007 - trad. www.ilvangelo-israele.it) MUSICA E IMMAGINI BaShana Haba-ah INDIRIZZI INTERNET Il centenario sionista Biblical Holidays Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse liberamente, citando la fonte. |