1. IL CUORE DEL CONFLITTO MEDIORIENTALE
A colloquio con il Waqf islamico
di R. Jones
Il Monte del Tempio a Gerusalemme può ben definirsi come il cuore del conflitto mediorientale. L'inflessibilità musulmana riguardo ai diritti religiosi di altri su questo luogo è solo uno degli elementi emersi nei prematuri colloqui di pace nella regione.
In un'intervista con israel heute, Azzam Khatib, direttore della fondazione islamica Waqf, che ha la responsabilità delle moschee sul Monte del Tempio, ha detto che il tentativo di ebrei e cristiani di pregare sui luoghi sacri equivale a una dichiarazione di guerra. Durante il nostro colloquio ci ha imposto in modo stizzito di non parlare di "Monte del Tempio" ma di usare l'espressione "Al-Haram al-Sharif".
Da sempre Khatib rifiuta di ammettere che una volta su quella spianata ci sia stato il Tempio ebraico. Anche quando gli abbiamo
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Il direttore del Waqf Azzam Khatib (a destra) |
mostrato un guida turistica autentica del Consiglio musulmano dell'anno 1929, in cui inequivocabilmente la zona del Monte Tempio viene presentata come il luogo in cui si trovava il Tempio di Salomone, ha negato che una simile guida turistica abbia potuto essere pubblicata da un'autorità musulmana. "Quando i musulmani sono arrivati qui 1400 anni fa questo posto era un luogo deserto, non c'erano né edifici né una qualsiasi cultura", ha dichiarato Khatib. E senza aver capito che si stava clamorosamente contraddicendo, ci ha raccontato la storia di come Maometto nell'anno 622, a mezzanotte, arrivò alla moschea Al-Aqsa, cioè in un luogo dove a quel tempo non avrebbero dovuto esserci né edifici né una qualsiasi cultura. Khatib ci ha poi indicato un punto in un massiccio "muro di 1400 anni" in cui Maometto attaccò il suo cavallo dopo aver percorso in poche ore migliaia di chilometri.
L'autorità del Waqf non sembra in grado inoltre di dare una spiegazione plausibile della chiusura della Porta Aurea. Fonti storiche musulmane riferiscono che questa porta un giorno è stata chiusa e vi è stato messo davanti un cimitero per impedire il compimento della profezia del ritorno di Gesù. Khatib invece ha dichiarato che la porta è stata chiusa perché davanti c'era un cimitero. Alla domanda come mai era stata fatta una porta in un posto dove c'era un cimitero il press agent di Khatib ha cambiato bruscamente la storia e ha spiegato che la porta era lì prima e che dopo la muratura della porta la gente aveva usato il terreno di fronte come cimitero. Una terza variante ce l'ha offerta l'impiegato del Waqf Abu Qatis, che ci ha parlato di un massacro crociato davanti a questa porta.
Per rimanere in tema di porte chiuse, Khatib e il suo press agent hanno ripetutamente assicurato che ai visitatori ebrei e cristiani l'ingresso al Monte del Tempio non è mai stato vietato. Poco dopo però Khatib ha difeso la consuetudine di vietare a ebrei e cristiani l'ingresso come legittima ritorsione per le misure di sicurezza israeliane con le quali a certi palestinesi arabi viene vietato l'accesso al Monte del Tempio. "Lei non può aspettarsi che noi facciamo entrare tutti quando ci sono palestinesi al di fuori di Gerusalemme che non possono venire qui a pregare", ci ha detto Khatib.
Il poliziotto che stazionava davanti all'ingresso del Monte del Tempio ha detto a israel heute che le limitazioni per i musulmani sono occasionali e si sono rese necessarie da quando sono avvenuti dei tumulti e al Muro del Pianto sono stati gettati sassi sugli ebrei che pregavano. Kathib ha insistito a dire che questa "è soltanto una scusa". "Mi dica, quali tumulti ci sono stati negli ultimi cinque anni?" Alla risposta che la relativa calma è sicuramente da attribuire alle misure di sicurezza di Israele, il direttore del Waqf e il suo collaboratore hanno interrotto irritati l'intervista.
(israel heute, settembre 2008 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
2. GLI UMORI DEGLI EUROPEI
Europa, aumentano antisemitismo e islamofobia
di Jim Lobe
Antisemitismo e islamofobia sono aumentati in Europa negli ultimi quattro anni. Queste le conclusioni di un sondaggio pubblicato a Washington martedì scorso dal Pew Research Centre.
WASHINGTON - Anche se in tutta Europa l'atteggiamento nei confronti dei musulmani è sostanzialmente più negativo di quello manifestato verso gli ebrei, il sentimento antiebraico è aumentato costantemente in cinque dei sei paesi esaminati dal Pew Global Attitudes Project (PGAP).
L'intensificarsi del sentimento antiebraico è stato particolarmente pronunciato in Spagna. Nel 2005, il 21 per cento delle persone intervistate ha dichiarato di avere un'opinione negativa degli ebrei. La percentuale è salita al 46 per cento nel 2008, di poco inferiore al 52 per cento degli spagnoli che hanno detto di avere un'idea sfavorevole dei musulmani.
"In Europa aumenta l'atteggiamento etnocentrico", si osserva in un'analisi affiancata all'inchiesta. "Sempre più persone in diversi grandi paesi europei dicono di avere un'opinione negativa degli ebrei; e anche il parere sui musulmani, già nettamente più negativo, è peggiorato rispetto a diversi anni fa".
L'inchiesta evidenzia che l'opinione ostile su musulmani ed ebrei in Europa occidentale è maggiore tra le persone più anziane, tra quelle con minore istruzione, e tra chi si identifica politicamente con la destra.
Il sondaggio, i cui risultati sono stati diffusi in una serie di rapporti negli ultimi tre mesi, ha interrogato i cittadini di sei nazioni europee - Gran Bretagna, Francia, Germania, Polonia, Russia e Spagna - e degli Stati Uniti sull'atteggiamento nei confronti di ebrei e musulmani.
È emerso che, sui sette paesi osservati, i pregiudizi contro i due gruppi sono inferiori in Stati Uniti e Gran Bretagna.
Negli Usa, per esempio, solo il sette per cento degli intervistati ha dichiarato di avere un'opinione negativa degli ebrei, meno dell'otto per cento di quattro anni fa. In Gran Bretagna, il sentimento antisemita è rimasto inalterato - il nove per cento dei britannici ha una visione negativa degli ebrei.
Il sentimento antimusulmano è notevolmente diminuito negli Usa nello stesso periodo - il 31 per cento degli intervistati americani aveva dichiarato nel 2004 di avere un'idea sfavorevole dei musulmani; una percentuale scesa quest'anno a 23. D'altra parte, in Gran Bretagna l'islamofobia è aumentata nello stesso periodo dal 18 al 23 per cento.
Negli altri cinque paesi esaminati, l'antisemitismo è aumentato negli ultimi quattro anni: in Francia, il sentimento antiebraico è cresciuto dall'11 al 20 per cento; in Germania, dal 20 al 25 per cento; in Russia, dal 25 al 34 per cento; e in Polonia, dal 27 al 36 per cento, secondo quanto emerge dal sondaggio, che ha registrato il maggiore aumento in Spagna, tra il 2005 e il 2006 (dal 21 al 40 per cento).
L'opinione negativa dei musulmani nei cinque paesi è molto più diffusa rispetto a quella nei confronti degli ebrei.
Con circa il 50 per cento, il sentimento antimusulmano è più diffuso in Spagna, Germania e Polonia; dove la Spagna è in cima alla lista - il 52 per cento degli intervistati ha un'opinione sfavorevole dei musulmani - anche se si osserva un calo rispetto al 61 per cento del 2006.
Anche in Germania il sentimento anti-islamico è lievemente diminuito rispetto al 2006 - dal 57 al 50 per cento; mentre in Polonia, l'intensificarsi del sentimento antimusulmano è aumentato sensibilmente - dal 30 per cento del 2005 al 46 per cento la scorsa primavera. L'opinione dei francesi ha avuto un andamento simile: nel 2004, il 29 per cento degli intervistati ha dichiarato di avere un'idea negativa dei musulmani; una percentuale che è salita al 38 per cento la scorsa primavera.
In Russia, il sentimento antimusulmano è diminuito negli ultimi quattro anni - dal 37 al 32 per cento.
Tra le persone intervistate in Francia, Germania e Spagna, il sondaggio ha rilevato pregiudizi un po' meno diffusi tra i minori di 50 anni che tra i più anziani. Quindi, il 41 per cento degli intervistati con meno di 50 anni nei tre paesi ha dichiarato di avere un'opinione negativa dei musulmani, e il 41 per cento degli intervistati con più di 50 anni condivide la stessa idea. Quanto al sentimento antisemita, le percentuali sono rispettivamente del 25 e del 30 per cento.
Il livello di istruzione è poi ancora più significativo nell'incidenza del pregiudizio. Tra coloro che non hanno ricevuto un'educazione universitaria, il 50 per cento ha un'opinione anti-musulmana. In contrasto, il 37 per cento delle persone con educazione universitaria si è dichiarato islamofobico. I dati rispettivi tra gli intervistati con un'educazione universitaria che hanno opinioni antisemite sono il 31 e il 20 per cento.
I pregiudizi sono più forti nella destra che nel centro o a sinistra dello spettro politico. Il 56 per cento degli intervistati che si identifica con la destra ha dichiarato di avere una visione negativa dei musulmani, mentre il 34 per cento degli ebrei. Il 42 per cento delle persone che si definiscono di sinistra ha ammesso di avere idee anti-islamiche; e il 28 per cento antisemite.
(Inter Press Service News Agency, 22 settembre 2008)
3. ATTI DI NORMALE EROISMO
Israele, quegli "angeli" che si oppongono al terrore
di Giulio Meotti
"Il passeggero del posto 10B in business class ha sparato a quello del posto 9B. È in corso un dirottamento. Un altro passeggero è stato sgozzato. Quasi certamente è morto". È la trascrizione della conversazione avuta da una delle hostess del volo American Airlines numero 11, il primo a schiantarsi sul World Trade Center, con un responsabile della compagnia all'aeroporto Logan. In quel posto c'era Daniel Lewin, 31 anni, ex ufficiale dei corpi d'élite dell'esercito israeliano, il Sayeret Matkal, al quale vengono affidate le missioni più segrete e pericolose, come per esempio il raid di Entebbe. Il rapporto della commissione Usa sugli attentati dell'11 settembre 2001 pubblicato nel 2004 confermò la vicenda dell'israeliano Daniel Lewin, che tentò di impedire il dirottamento facendo irruzione nella cabina prima che l'aereo venisse fatto schiantare dai terroristi sui grattacieli del World Trade Center. Fu un israeliano la prima vittima degli attentati di quel giorno. Secondo il rapporto, Daniel Lewin sedeva in prima classe quando vide due dei terroristi del gruppo guidato da Mohammed Atta e Abdul Aziz al-Omri, che si dirigevano verso la cabina. Lewin tentò di fermare i due, ma un terzo terrorista, identificato come Satam al-Sukami, lo assalì alle spalle e lo accoltellò, ferendolo in modo gravissimo probabilmente alla gola.
Non è chiaro se Lewin sia morto subito o se l'abbiano lasciato agonizzare a lungo, come lascerebbero purtroppo intendere le parole registrate di una assistente di volo. Lewin aveva fondato la ditta hi-tech Akamai, con sede a Boston. Nato negli Stati Uniti, era emigrato in Israele con la famiglia all'età di 14 anni e aveva poi servito nelle unità speciali Sayeret Matkal delle Forze di difesa israeliane. Lasciò la moglie e due figli. Il nome di Lewin è rincorso in questi giorni di celebrazioni dell'11 settembre anche in Israele e un amico di lunga data lo ha ricordato su Haaretz. L'istinto di resistere al dirottamento Lewin lo ha appreso in Israele. Un paese dove in questi anni studenti, camerieri, poliziotti, semplici passanti o guidatori di bus hanno letteralmente tolto dalle spalle dei kamikaze gli zainetti esplosivi, fino all'estremo sacrificio di annullare la bomba con il corpo. Sono gli eroi umili e sconosciuti d'Israele. A loro devono la vita oggi centinaia di persone e nuove generazioni di israeliani.
L'eroe del caffè Cafit di Gerusalemme si chiama Shlomi Harel, ha strappato all'uomo-bomba lo zainetto, è corso con l'ordigno lontano dal locale "perché, mi sono detto, se qualcuno deve morire meglio uno che tanti". L'ebreo turkmeno Mikhail Sarkisov, un immigrato temprato dalla povertà come tanti transfughi dall'ex Unione Sovietica, lavorava al caffè Tayelet sul lungomare di Tel Aviv. Si è gettato addosso al terrorista prima che attivasse l'innesco. Mordechai Tomer aveva 19 anni quando fermò una macchina imbottita di esplosivo prima che entrasse a Gerusalemme. Faceva l'autista di bus Baruch Neuman. All'altezza dell'università Bar Ilan notò un volto sospetto. Gli chiuse la porta in faccia, gli si avventò addosso, scorse il congegno mortale e gridò: "Scappate scappate". Eli Federman faceva la guardia allo Studio 69, celebre club di Tel Aviv, quando ha visto un'auto lanciata contro il locale. Ha sparato alla testa del terrorista. E come dimenticare l'eroico Liviu Librescu, il professore israeliano che durante la strage al college Virginia Tech salvò la vita di molti suoi studenti a scapito della propria? Una sottile linea rossa marca di vita e di gratitudine la storia e le gesta di questi angeli israeliani.
(il Velino, 16 settembre 2008)
4. CONTINUA A CRESCERE IL PIL IN ISRAELE
Israele: un'economia di nicchie produttive e di eccellenza tecnologica diffusa
Israele è considerato dalla maggior parte dell'opinione pubblica internazionale come una terra in guerra. Tale analisi non fa altro che nascondere una florida economia proiettata verso il futuro per quanto concerne l'innovazione e la ricerca applicata tra le più avanzate al mondo.
da un articolo di Lorenzo Fantone
I dati macroeconomici ufficiali per il 2007 non hanno che confermato il continuo trend di crescita che si rileva da oramai 4 anni. Per l'anno passato il PIL è cresciuto di altri 5,3 punti percentuali, dato rilevato anche per quanto concerne i consumi privati. Tale crescita è stata trainata soprattutto da una rinnovata forza del New Israeli Shekel rispetto al biglietto verde e all'euro, ma soprattutto dall'espansione dell'intercambio commerciale e dalle attività finanziarie. La redditività di tali attività deriva da ottimi livelli educativi e da una rete capillare di infrastrutture materiali e immateriali.
Le comunità ebraiche all'estero rivestono un altro importante aspetto dell'economia israeliana in quanto rappresenta un'importante bacino di esportazione di prodotti kasher. Ma soprattutto permette allo Stato d'Israele di avere accesso, attraverso la legge del ritorno, ad una manodopera altamente qualificata e poliglotta, fondamentale in un contesto di economico fortemente internazionalizzato. Tuttavia il settore primario e secondario, a parte nicchie di eccezione, resta fortemente dipendente dall'estero a causa della scarsa dotazione di materie prime e della natura prettamente desertica del proprio territorio. [...]
La futura Terra Promessa: tra turismo religioso e di divertimento
Nonostante il perpetuo stato di guerra in cui versa Israele da sessant'anni, Israele è riuscito a sviluppare un sistema ricettivo turistico soprattutto legato ai pellegrinaggi religiosi cristiani e ebraici. Gerusalemme rappresenta una calamita che attira migliaia di turisti durante le principali feste religiose che scandiscono l'anno delle tre confessioni monoteistiche. Non a caso il maggior numero di presenze si registrò in occasione del Giubileo del 2000, anno in cui si concentrò a Gerusalemme la cristianità cattolica mondiale, culminato con la visita ufficiale di Giovanni Paolo II. Tale evento fu attentamente preparato attraverso l'implementazione delle strutture ricettive e la costruzione di un terzo terminal all'aeroporto Ben Gurion. I periodi di maggior afflusso di turisti, oltre al periodo estivo, sono il periodo pasquale, ebraico e cristiano, settembre, in occasione delle festività dell'inizio dell'anno ebraico, e il Natale.
Per quanto concerne il numero totale delle presenze, i primi sei mesi del 2008 hanno registrato 1.7 milioni d'ingressi, con un aumento del 22% rispetto a giugno 2007 e del 65% rispetto allo stesso mese del 2006. La previsione per la fine del 2008 è di 2,8 milioni di presenze, dato non indifferente per un Paese di 7 milioni di abitanti, che significherebbe un aumento del 41% rispetto al 2007. La crescita vertiginosa rispetto ai dati del 2006 deve essere collegata allo scoppio della seconda guerra del Libano che provocò l'annullamento della quasi totalità delle prenotazione fatte per il periodo estivo. Prima infatti della natura delle strutture ricettive, Israele è fortemente condizionato dalla precaria condizione di sicurezza nazionale che la minaccia terroristica non fa che penalizzare. La paura di essere coinvolti in qualche attentato è di sicuro una delle motivazione che ancora frena il turismo di massa a considerare il territorio israeliano come una meta sicura. Eppure la realtà israeliana sarebbe un ottimo compromesso tra il turismo culturale e quello prettamente
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vacanziero. Dell'importanza storica e religiosa del Paese, il turismo internazionale è già a conoscenza, ma ancora oggi difficilmente gli operatori nazionali riescono a promuovere le proposte per un turismo ludico. Le coste israeliane, opportunamente attrezzate, potrebbero rappresentare nuove occasioni di business che, unite all'esperienza sviluppata nell'ambito della talassoterapia e delle cure termali, saranno il futuro punto di forza per lo sviluppo di questo settore. Israele è l'unico Paese che può vantare tre diversi orizzonti
balneari di sicuro sviluppo: il Mediterraneo, con l'area urbana di Tel Aviv e la sua vita notturna, il Mar Morto per un turismo della salute e il Mar Rosso. Le alture del Golan e del Galil, con le attività di trekking, completano uno scenario turistico dalle concrete possibilità di ulteriore sviluppo.
Conclusione
Risultati come i sistemi di memoria flash Disk-on-Key, la prima videocamera ingeribile per esaminare gli organi interni, lo sviluppo dei microprocessori Centrino, i sistemi di lotta ai tumori ad onde a ultrasuoni rappresentano gli esempi di punta di una vera e propria filosofia economica e di sviluppo. Tuttavia, nonostante queste incontestabili eccellenze, Israele resta un Paese di contraddizioni difficili da sanare. La quasi totalità della popolazione araba non è coinvolta a questo sviluppo né beneficia delle sue ricadute economiche, comportando, visti gli alti tassi di crescita demografica, ingenti costi per la società intera. Anche all'interno del gruppo ebraico permangono grandi sperequazioni di reddito che potrebbero ridurre notevolmente le capacità creative e innovative che attualmente guidano l'economia israeliana. La situazione di conflittualità internazionale limita ancora notevolmente la crescita dell'economia che potrebbe invece beneficiare di maggiori investimenti esteri e soprattutto di nuovi mercati di sbocco dei propri prodotti, ancora oggi penalizzati da un'immagine negativa che affligge lo Stato d'Israele. Inoltre la risoluzione di questa conflittualità permetterebbe di mettere termine a quella fuga di cervelli che oggi, a causa della guerra e del terrorismo, condanna, in un futuro prossimo, Israele a una manodopera sempre meno qualificata.
(Equilibri.net, 17 settembre 2008)
5. SEI FILOISRAELIANO O FILOPALESTINESE?
Un sondaggio rileva: italiani più filoisraeliani
di Umberto Di Giacomo
ROMA - Passa il tempo e cambia il giudizio degli italiani sul conflitto israelo-palestinese. Una rilevazione della Ferrari Nasi & Grisantelli mostra come in poco più di tre anni - dal luglio del 2005 al settembre 2008 - sia cresciuta la comprensione per le ragioni del governo di Tel Aviv, mentre sia scesa quella per i palestinesi. Alla domanda "prova maggior solidarietà, comprensione per i palestinesi o per gli israeliani?" ora il 14,1 per cento degli intervistati sceglie i secondi, il 12,7 per cento i primi. Tre anni fa i pareri erano capovolti: il 18,5 per cento "appoggiava" le ragioni dei palestinesi, l'11,1 quelle degli israeliani. Oggi, quindi, il 34,4 per cento degli italiani non prende posizione e sostiene "entrambi circa allo stesso livello", tre anni fa era il 47,8 degli intervistati. Il sondaggio, diffuso alla vigilia del trentennale degli storici accordi tra Israele ed Egitto, fotografa anche il modo in cui gli italiani intendono la nascita dello Stato di Israele. Cresce il numero delle persone che non crede che "lo Stato di Palestina esiste da più tempo di quello di Israele": il 27 per cento rispetto al 14,7. Interessante è anche rilevare come alla domanda se "Israele, appena fondato, ha attaccato militarmente i paesi circostanti anche per ampliare il suo territorio?" il 38,8 per cento risponda sì, mentre nel 2005 ne era convinto il 41,3 per cento del campione.
Infine, i dati che indicano "l'indice di conoscenza dei fatti intorno alla nascita di Israele" dimostrano come l'origine dello Stato ebraico sia ai più quasi sconosciuta: solo il 2,2 per cento degli intervistati ha saputo rispondere a quattro domande su quattro. "Soprattutto come docente universitario non posso non rilevare che neanche un quarto dei laureati conosca correttamente il contesto in cui si svolge la vicenda israelo-palestinese" commenta Arnaldo Ferrari Nasi, sociologo e docente alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Genova. "Anche come 'datore di lavoro' - aggiunge - ho dovuto toccare con mano il problema. Prima dell'estate ho fatto alcuni colloqui per un annuncio da assistente ricercatore presso il nostro istituto, chiedendo di inquadrarmi un po' la questione tra Israele e Palestina. Ho avuto risposte del tipo: 'Non leggo mai i giornali', 'io non so niente, ma i miei amici dicono che', 'non mi chieda, dopo l'esame di Storia ho rimosso tutto'. Si trattava di lauree magistrali nel campo sociopolitico di noti atenei italiani".
(il Velino, 16 settembre 2008)
6. INTERVISTA A YARONA PINHAS
Donne e sessualità nel mondo ebraico
di Anna Rolli
"Se l'uomo è stato creato dalla terra e dal soffio vitale, due componenti tra di loro opposti, la donna è stata costruita da Dio da una costola, tolta all'uomo addormentato. La costola è un osso: la donna, quindi, è la struttura portante, è l'interiorità, il fondamento che non si consuma facilmente. Osso, in ebraico, si dice 'etzem, da cui derivano le parole: potenza, autentico, di se stesso, indipendenza. Con la sua qualità di sostegno interno, la donna è l'elemento strutturante dell'uomo e non solo, della psiche umana". Yarona Pinhas, giovane israeliana studiosa della religione ebraica, autrice di due saggi: "La saggezza velata. Il femminile nella Thorà" e "Onda sigillata. Acqua, vita e parola", editi in Italia dalla Giuntina, ci parlava ieri sera dei suoi studi e della concezione della donna del mondo ebraico, in un conferenza intitolata "Leggere la Bibbia oggi: l'attualità dei personaggi e la forza della parola".
D. - Comunemente si pensa che la condizione della donna ebrea nell'antichità fosse di sottomissione all'uomo e di soggezione. Vorrei conoscere la sua opinione in proposito.
R. - Ci sono pregiudizi da sfatare. lo li affronto nel libro "La saggezza velata" in un capitolo intitolato La Mishnà, il Talmud e la donna dove parlo della tutela della donna ebrea nell'antichità. La donna ebrea era una donna tutelata, aveva diritto ad un contratto matrimoniale che stabiliva ciò che l'aspettava e poteva chiedere il divorzio anche per ragioni alle quali oggi non penseremmo mai. Per esempio poteva chiedere il divorzio se il marito era un conciatore e lei non sopportava più l'odore delle pelli.
L'uomo aveva il dovere di garantire alla moglie una situazione economica buona e di renderla felice sul piano sentimentale. L'uomo non soltanto doveva apprezzare la donna ma doveva starle vicino, comperarle dei gioielli e sempre prestarle attenzione. Prima di decidere di studiare o di lavorare all'estero doveva chiedere il suo consenso. Se un uomo voleva partire per affari, per alcuni anni, prima doveva concedere il divorzio alla moglie in modo da lasciarla libera e se andava in guerra, si stabiliva che se non fosse tornato la moglie avrebbe potuto rifarsi una vita.
Questa idea della possibilità di scelta da parte della donna, rispetto al rimanere nel matrimonio oppure no, è rivoluzionaria ancora oggi. Inoltre ci sono delle leggi bibliche che la tutelano in vedovanza. Se noi pensiamo che in India una vedova era nelle mani di tutti e spesso veniva bruciata con il marito, se pensiamo che per i greci la donna forse non aveva anima e non si sapeva cosa fosse, possiamo vedere una enorme differenza di status.
D. - Aristotele definiva la donna " ...variante difettiva della specie..." e tra i greci ci furono molte discussioni per stabilire se la donna fosse un essere umano oppure no, e se fosse fornita di un'anima. Anche gli ebrei come i greci, però, recitano una preghiera nella quale ringraziano per non essere nati donna. Tu cosa pensi in proposito?
R. - Gli ebrei pensavano che la donna avesse l'anima, assolutamente, e fosse il fondamento della casa. E' solo avendo una madre ebrea che si è ebrei, conta la discendenza materna e non quella paterna. Questo è molto interessante. Riguardo alla preghiera che dice " Ti ringrazio perché mi hai fatto uomo e non donna..." c'è chi ci ride sopra. Gli uomini dicono: "Pensa a tutti i compiti che spettano alla donna.
Meno male che sono nato uomo!" Scherzi a parte, un'altra idea è che ci sono tantissimi precetti ai quali la donna non è obbligata perché ha già tanti compiti da svolgere in casa, allora l'uomo si sente privilegiato perché può compiere quei precetti, come per es. la preghiera in sinagoga. Però ogni venerdì sera, dopo la benedizione, si recita un'altra preghiera che viene dai proverbi e dice ".... la donna di valore chi la troverà? E' più preziosa delle perle...". Sono ventidue versi di elogio e di ringraziamento alla donna.
D. - Dove è stata emarginata la donna nella tradizione ebraica?
R. - Sicuramente nello studio perché in genere gli uomini studiavano e le donne no. Però nel Medio Evo noi troviamo anche donne studiose della Torà o dedite agli affari. A quei tempi , in tutti gli ambienti, le donne stavano in casa e l'uomo andava fuori. E' l'uomo che ha prodotto la cultura. Negli ultimi anni, però, anche negli ambienti più ortodossi sono state istituite delle scuole per le donne e le donne che lo vogliono possono dedicarsi a studi finora ritenuti maschili. Oggi in Israele ci sono molti rabbini che insegnano in strutture per donne e ci sono sempre più donne esperte di Thorà. L'ebraismo ortodosso non accetta il rabbinato femminile perché sostiene che i compiti della donna siano altri, invece tra gli ebrei riformati ci sono molte rabbine.
Tradizionalmente tutte le funzioni al di fuori della casa erano date al maschile e tutto ciò che lavora nell'interiorità era dato al femminile, perché se la donna non tiene la casa e non educa bene i figli poi andiamo incontro a gravi problemi. Però, oggi, anche le donne ultrareligiose lavorano e spaziano al di fuori con il consenso della comunità.
D. - Nella Bibbia appaiono molte figure femminili che salvano il popolo, da Deborah a Ester...
R. - Nella Bibbia le donne sono dietro le quinte, sono loro però che hanno sempre provocato un capovolgimento nella Storia. A partire da Eva grazie alla quale tutti noi siamo qui. Anche le quattro madri d'Israele hanno fatto la Storia. Sara dice ad Abramo "Prenditi Agar!", poi gli dice "Lascia Agar e mandala via!" e Dio dice "Ascolta la voce di tua moglie!"(1). Le figure femminili nella Bibbia non sono passive, sono forti e guerriere, profetesse e donne di conoscenza.
D. - S. Agostino stabilisce nel quinto secolo che nell'essere umano la predisposizione al male è innata. Si nasce con la predisposizione al male che poi sarebbe sostanzialmente predisposizione alla sessualità. San Paolo quattro secoli prima, nella lettera ai Romani, aveva sostenuto che per l'uomo è impossibile non peccare. Cosa pensano gli ebrei in proposito?
R. - Secondo la religione ebraica bisogna godere di ogni bene di Dio, del denaro, del cibo e anche del rapporto con la donna. Però tutto dipende da come lo si fa e con chi lo si fa. La sessualità va goduta nel matrimonio con un'intenzione di santità. Della sessualità, nell'ebraismo, si ha una visione mistica che la considera una sorta di preghiera perche l'unione tra l'uomo e la donna fa sì che la dualità diventi una unità. Ciò significa che la sessualità non viene condannata al contrario è un elogio a Dio.
Ha uno scopo procreativo ma nello stesso tempo se ne deve gioire e la mancanza di soddisfazione sessuale è una delle ragioni per le quali la donna può chiedere il divorzio. Siamo venuti su questa terra per godere non per soffrire però bisogna conoscere il limite tra il bene e il male che nell'ebraismo è rappresentato dai cinque si e i cinque no delle tavole della Legge. Il senso è di fare tutto ma nel rispetto delle Leggi. Il concetto di peccato tra ebraismo e cristianesimo è completamente diverso.
Peccato è una parola che in ebraico non esiste, la nostra parola significa "mancare il bersaglio" "sbagliare". E se hai sbagliato lo paghi per l'eternità oppure finché non hai rimediato con la capacità di trasformare quello che hai fatto di sbagliato. Il male non è un'entità a sé, è l'uomo che decide cosa fare, se impara a dominare la sua parte istintiva riesce a goderne. In cosa consiste il lavoro di educazione? Nell'imparare a governare e a sublimare la propria parte istintiva e a non esserne succubi.
(Agenzia Radicale, 22 settembre 2008)
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(1) Nella Bibbia non sta scritto che Dio disse ad Abramo: "Ascolta la voce di tua moglie!", ma: "E Abramo diede ascolto alla voce di Sarai". L'espressione non sembra esprimere un giudizio positivo da parte di Dio, soprattutto se si pensa che Dio motiva il castigo che piomberà su Adamo per il peccato commesso con queste parole: "Poiché hai dato ascolto alla voce di tua moglie..." (ndr)
7. IL MEDIORIENTE IN CUCINA
Falafel. La polpetta mediorientale è ai ceci
I falafel sono delle polpette fritte, a base di ceci (o a volte fave, come in Egitto) tritati con cipolla, aglio e coriandolo. Fanno parte della tradizione culinaria araba e mediorientale. Sono molto apprezzati in Siria, Palestina, Israele, Giordania, Turchia.
In particolare gli israeliani li considerano un proprio piatto nazionale. In Israele sono infatti serviti ovunque. In molti paesi vengono venduti per strada e nelle kebaberie. In Italia nei ristoranti specializzati di cucina ebraica i falafel figurano tra i primi delicatesse del menù, ma li si può assaggiare anche entrando in una pizzeria gestita da egiziani.
È una pietanza ottima per i vegetariani visto che è integralmente vegetale. In genere i falafel sono accompagnati da una salsa di sesamo, chiamata 'tahina', da insalata di pomodori e cetrioli e pita araba. È consigliabile mangiarli appena fatti.
Ingredienti:
- 2 tazze di ceci da lasciare in acqua per 24 ore
- 1 cipolla tritata
- 1 mazzetto di prezzemolo tritato
- 2 spicchi di aglio
- 2 cucchiaini di cumino
- 1 cucchiaio di coriandolo tritato
- olio per friggere
- sale e pepe
Preparazione:
Frullare i ceci, la cipolla, il prezzemolo, l'aglio, il cumino e il coriandolo e far riposare il composto per circa un'ora. Prepararvi poi delle polpettine di media grandezza e friggerle nell'olio. Se l'impasto risulta troppo liquido, si può aggiungere un po' di farina.
I falafel vanno serviti caldi o freddi, su un letto di lattuga, e spesso sono conditi con l'hummus.
(Stranieri in Italia, 17 settembre 2008)
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