Così parla l'Eterno degli eserciti: “È per rivendicare la sua gloria che egli mi ha mandato verso le nazioni che hanno fatto di voi la loro preda; perché chi tocca voi tocca la pupilla dell'occhio suo.
Zaccaria 2:8

Attualità



Notizie
Nome:     
Cognome:
Email:      
Cerca  



נַחֲמ֥וּ נַחֲמ֥ו עַמִּ֑י
Comfort my peopole

Inizio e Attualità
Presentazione
Approfondimenti
Notizie archiviate
Notiziari 2001-2011
Selezione in PDF
Articoli vari
Testimonianze
Riflessioni
Testi audio
Libri
Questionario
Scrivici

  



















Predicazioni
Una grande gioia

ATTI 2

  1. Quelli dunque i quali accettarono la sua parola furono battezzati; e in quel giorno furono aggiunte a loro circa tremila persone.
  2. Ed erano perseveranti nell'attendere all'insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere.
  3. E ogni anima era presa da timore; e molti prodigi e segni eran fatti dagli apostoli.
  4. E tutti quelli che credevano erano insieme, ed avevano ogni cosa in comune;
  5. e vendevano le possessioni ed i beni, e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno.
  6. E tutti i giorni, essendo di pari consentimento assidui al tempio, e rompendo il pane nelle case, prendevano il loro cibo assieme con gioia e semplicità di cuore,
  7. lodando Iddio, e avendo il favore di tutto il popolo. E il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che erano sulla via della salvezza.

ATTI 4

  1. E la moltitudine di coloro che avevano creduto, era d'un sol cuore e d'un'anima sola; né v'era chi dicesse sua alcuna delle cose che possedeva, ma tutto era comune tra loro.
  2. E gli apostoli con gran potenza rendevano testimonianza della risurrezione del Signor Gesù; e gran grazia era sopra tutti loro.
  3. Poiché non v'era alcun bisognoso fra loro; perché tutti coloro che possedevano poderi o case li vendevano, portavano il prezzo delle cose vendute,
  4. e lo mettevano ai piedi degli apostoli; poi, era distribuito a ciascuno, secondo il bisogno.

LUCA 2

  1. Or in quella medesima contrada vi erano dei pastori che stavano nei campi e facevano di notte la guardia al loro gregge.
  2. E un angelo del Signore si presentò ad essi e la gloria del Signore risplendé intorno a loro, e temettero di gran timore.
  3. E l'angelo disse loro: Non temete, perché ecco, vi reco il buon annuncio di una grande gioia che tutto il popolo avrà:
  4. Oggi, nella città di Davide, v'è nato un salvatore, che è Cristo, il Signore.

MATTEO 2

  1. Or essendo Gesù nato in Betlemme di Giudea, ai dì del re Erode, ecco dei magi d'Oriente arrivarono in Gerusalemme, dicendo:
  2. Dov'è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo veduto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo.
  3. Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.
  4. E radunati tutti i capi sacerdoti, s'informò da loro dove il Cristo doveva nascere.
  5. Ed essi gli dissero: In Betlemme di Giudea; poiché così è scritto per mezzo del profeta:
  6. E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei punto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un Principe, che pascerà il mio popolo Israele.
  7. Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s'informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparita;
  8. e mandandoli a Betlemme, disse loro: Andate e domandate diligentemente del fanciullino; e quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo.
  9. Essi dunque, udito il re, partirono; ed ecco la stella che avevano veduta in Oriente, andava dinanzi a loro, finché, giunta al luogo dov'era il fanciullino, vi si fermò sopra.
  10. Ed essi, veduta la stella, si rallegrarono di grandissima gioia.
  11. Ed entrati nella casa, videro il fanciullino con Maria sua madre; e prostratisi, lo adorarono; ed aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra.
  12. Poi, essendo stati divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, per altra via tornarono al loro paese.

ATTI 8

  1. Coloro dunque che erano stati dispersi se ne andarono di luogo in luogo, annunziando la Parola. E Filippo, disceso nella città di Samaria, vi predicò il Cristo.
  2. E le folle di pari consentimento prestavano attenzione alle cose dette da Filippo, udendo e vedendo i miracoli che egli faceva.
  3. Poiché gli spiriti immondi uscivano da molti che li avevano, gridando con gran voce; e molti paralitici e molti zoppi erano guariti.
  4. E vi fu grande gioia in quella città.

ATTI 13

  1. Ma Paolo e Barnaba dissero loro francamente: Era necessario che a voi per i primi si annunziasse la parola di Dio; ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco, noi ci volgiamo ai Gentili.
  2. Perché così ci ha ordinato il Signore, dicendo: Io ti ho posto per esser luce dei Gentili, affinché tu sia strumento di salvezza fino alle estremità della terra.
  3. E i Gentili, udendo queste cose, si rallegravano e glorificavano la parola di Dio; e tutti quelli che erano ordinati a vita eterna, credettero.
  4. E la parola del Signore si spandeva per tutto il paese.
  5. Ma i Giudei istigarono le donne pie e ragguardevoli e i principali uomini della città, e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba, e li scacciarono dai loro confini.
  6. Ma essi, scossa la polvere dei loro piedi contro loro, se ne vennero ad Iconio.
  7. E i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.

ROMANI 15

  1. Or l'Iddio della pazienza e della consolazione vi dia d'avere fra voi un medesimo sentimento secondo Cristo Gesù,
  2. affinché di un solo animo e di una stessa bocca glorifichiate Iddio, il Padre del nostro Signor Gesù Cristo.
  3. Perciò accoglietevi gli uni gli altri, siccome anche Cristo ha accolto noi per la gloria di Dio;
  4. poiché io dico che Cristo è stato fatto ministro dei circoncisi, a dimostrazione della veracità di Dio, per confermare le promesse fatte ai padri;
  5. mentre i Gentili hanno da glorificare Dio per la sua misericordia, secondo che è scritto: Per questo ti celebrerò fra i Gentili e salmeggerò al tuo nome.
  6. Ed è detto ancora: Rallegratevi, o Gentili, col suo popolo.
  7. E altrove: Gentili, lodate tutti il Signore, e tutti i popoli lo celebrino.
  8. E di nuovo Isaia dice: Vi sarà la radice di Iesse, e Colui che sorgerà a governare i Gentili; in lui spereranno i Gentili.
  9. Or l'Iddio della speranza vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nel vostro credere, onde abbondiate nella speranza, mediante la potenza dello Spirito Santo.


    Marcello Cicchese
    maggio 2016

L'interesse di Cristo
FILIPPESI, cap. 1

  1. Soltanto, comportatevi in modo degno del vangelo di Cristo, affinché, sia che io venga a vedervi sia che io resti lontano, senta dire di voi che state fermi in uno stesso spirito, combattendo insieme con un medesimo animo per la fede del vangelo, 
  2. per nulla spaventati dagli avversari. Questo per loro è una prova evidente di perdizione; ma per voi di salvezza; e ciò da parte di Dio. 
  3. Perché vi è stata concessa la grazia, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in lui, ma anche di soffrire per lui, 
  4. sostenendo voi pure la stessa lotta che mi avete veduto sostenere e nella quale ora sentite dire che io mi trovo.

FILIPPESI, cap. 2

  1. Se dunque v'è qualche incoraggiamento in Cristo, se vi è qualche conforto d'amore, se vi è qualche comunione di Spirito, se vi è qualche tenerezza di affetto e qualche compassione, 
  2. rendete perfetta la mia gioia, avendo un medesimo pensare, un medesimo amore, essendo di un animo solo e di un unico sentimento
  3. Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a se stesso, 
  4. cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri. 
  5. Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, 
  6. il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, 
  7. ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; 
  8. trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. 
  9. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, 
  10. affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, 
  11. e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre.
  12. Così, miei cari, voi che foste sempre ubbidienti, non solo come quando ero presente, ma molto più adesso che sono assente, adoperatevi al compimento della vostra salvezza con timore e tremore; 
  13. infatti è Dio che produce in voi il volere e l'agire, secondo il suo disegno benevolo. 
  14. Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute
  15. perché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale risplendete come astri nel mondo, 
  16. tenendo alta la parola di vita, in modo che nel giorno di Cristo io possa vantarmi di non aver corso invano, né invano faticato. 
  17. Ma se anche vengo offerto in libazione sul sacrificio e sul servizio della vostra fede, ne gioisco e me ne rallegro con tutti voi; 
  18. e nello stesso modo gioitene anche voi e rallegratevene con me.


Marcello Cicchese
novembre 2006

Salmo 92
Salmo 92
    Canto per il giorno del sabato.
  1. Buona cosa è celebrare l'Eterno,
    e salmeggiare al tuo nome, o Altissimo;
  2. proclamare la mattina la tua benignità,
    e la tua fedeltà ogni notte,
  3. sul decacordo e sul saltèro,
    con l'accordo solenne dell'arpa!
  4. Poiché, o Eterno, tu m'hai rallegrato col tuo operare;
    io celebro con giubilo le opere delle tue mani.
  5. Come son grandi le tue opere, o Eterno!
    I tuoi pensieri sono immensamente profondi.

  6. L'uomo insensato non conosce
    e il pazzo non intende questo:
  7. che gli empi germoglian come l'erba
    e gli operatori d'iniquità fioriscono, per esser distrutti in perpetuo.
  8. Ma tu, o Eterno, siedi per sempre in alto.
  9. Poiché, ecco, i tuoi nemici, o Eterno,
    ecco, i tuoi nemici periranno,
    tutti gli operatori d'iniquità saranno dispersi.

  10. Ma tu mi dai la forza del bufalo;
    io son unto d'olio fresco.
  11. L'occhio mio si compiace nel veder la sorte di quelli che m'insidiano,
    le mie orecchie nell'udire quel che avviene ai malvagi
    che si levano contro di me.
  12. Il giusto fiorirà come la palma,
    crescerà come il cedro sul Libano.
  13. Quelli che son piantati nella casa dell'Eterno
    fioriranno nei cortili del nostro Dio.
  14. Porteranno ancora del frutto nella vecchiaia;
    saranno pieni di vigore e verdeggianti,
  15. per annunziare che l'Eterno è giusto;
    egli è la mia ròcca, e non v'è ingiustizia in lui.

Marcello Cicchese
gennaio 2017

Saggezza che viene da Dio
PROVERBI 2
  1. Figlio mio, se ricevi le mie parole e serbi con cura i miei comandamenti,
  2. prestando orecchio alla saggezza e inclinando il cuore all'intelligenza;
  3. sì, se chiami il discernimento e rivolgi la tua voce all'intelligenza,
  4. se la cerchi come l'argento e ti dai a scavarla come un tesoro,
  5. allora comprenderai il timore del Signore e troverai la scienza di Dio.
  6. Il Signore infatti dà la saggezza; dalla sua bocca provengono la scienza e l'intelligenza.
  7. Egli tiene in serbo per gli uomini retti un aiuto potente, uno scudo per quelli che camminano nell'integrità,
  8. allo scopo di proteggere i sentieri della giustizia e di custodire la via dei suoi fedeli.
  9. Allora comprenderai la giustizia, l'equità, la rettitudine, tutte le vie del bene.
  10. Perché la saggezza ti entrerà nel cuore, la scienza sarà la delizia dell'anima tua,
  11. la riflessione veglierà su di te, l'intelligenza ti proteggerà;
  12. essa ti scamperà così dalla via malvagia, dalla gente che parla di cose perverse,
  13. da quelli che lasciano i sentieri della rettitudine per camminare nelle vie delle tenebre,
  14. che godono a fare il male e si compiacciono delle perversità del malvagio,
  15. i cui sentieri sono contorti e percorrono vie tortuose.
  16. Ti salverà dalla donna adultera, dalla infedele che usa parole seducenti,
  17. che ha abbandonato il compagno della sua gioventù e ha dimenticato il patto del suo Dio.
  18. Infatti la sua casa pende verso la morte, e i suoi sentieri conducono ai defunti.
  19. Nessuno di quelli che vanno da lei ne ritorna, nessuno riprende i sentieri della vita.
  20. Così camminerai per la via dei buoni e rimarrai nei sentieri dei giusti.
  21. Gli uomini retti infatti abiteranno la terra, quelli che sono integri vi rimarranno;
  22. ma gli empi saranno sterminati dalla terra, gli sleali ne saranno estirpati.

Marcello Cicchese
aprile 2009

Sovranità e grazia di Dio
ROMANI 8
  1. Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno.
GENESI 6
  1. Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo.
  2. Il Signore si pentì d'aver fatto l'uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo.
  3. E il Signore disse: «Io sterminerò dalla faccia della terra l'uomo che ho creato: dall'uomo al bestiame, ai rettili, agli uccelli dei cieli; perché mi pento di averli fatti».
  4. Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore.
GENESI 12
  1. Il Signore disse ad Abramo: «Va' via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti mostrerò;
  2. io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione.
  3. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra».
ESODO 3
  1. Il Signore disse: «Ho visto, ho visto l'afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; infatti conosco i suoi affanni.
  2. Sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani e per farlo salire da quel paese in un paese buono e spazioso, in un paese nel quale scorre il latte e il miele, nel luogo dove sono i Cananei, gli Ittiti, gli Amorei, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei.
  3. E ora, ecco, le grida dei figli d'Israele sono giunte a me; e ho anche visto l'oppressione con cui gli Egiziani li fanno soffrire.
  4. Or dunque va'; io ti mando dal faraone perché tu faccia uscire dall'Egitto il mio popolo, i figli d'Israele».
ESODO 6
  1. Il Signore disse a Mosè: «Ora vedrai quello che farò al faraone; perché, forzato da una mano potente, li lascerà andare: anzi, forzato da una mano potente, li scaccerà dal suo paese».
  2. Dio parlò a Mosè e gli disse: «Io sono il Signore.
  3. Io apparvi ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe, come il Dio onnipotente; ma non fui conosciuto da loro con il mio nome di Signore.
  4. Stabilii pure il mio patto con loro, per dar loro il paese di Canaan, il paese nel quale soggiornavano come forestieri.
  5. Ho anche udito i gemiti dei figli d'Israele che gli Egiziani tengono in schiavitù e mi sono ricordato del mio patto.
  6. Perciò, di' ai figli d'Israele: "Io sono il Signore; quindi vi sottrarrò ai duri lavori di cui vi gravano gli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi salverò con braccio steso e con grandi atti di giudizio.
DEUTERONOMIO 8
  1. Abbiate cura di mettere in pratica tutti i comandamenti che oggi vi do, affinché viviate, moltiplichiate ed entriate in possesso del paese che il Signore giurò di dare ai vostri padri.
  2. Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, il tuo Dio, ti ha fatto fare in questi quarant'anni nel deserto per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandamenti.
  3. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per insegnarti che l'uomo non vive soltanto di pane, ma che vive di tutto quello che procede dalla bocca del Signore.
  1. Nel deserto ti ha nutrito di manna che i tuoi padri non avevano mai conosciuta, per umiliarti e per provarti, per farti, alla fine, del bene.

Marcello Cicchese
gennaio 2008

Preghiera sacerdotale 1

    GIOVANNI 17

  1. Queste cose disse Gesù; poi levati gli occhi al cielo, disse: Padre, l'ora è venuta; glorifica il tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te, 
  2. poiché gli hai data potestà sopra ogni carne, affinché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dato. 
  3. E questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. 
  4. Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l'opera che tu mi hai data a fare. 
  5. Ed ora, o Padre, glorificami tu presso te stesso della gloria che avevo presso di te avanti che il mondo fosse. 
  6. Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi, e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola. 
  7. Ora hanno conosciuto che tutte le cose che tu mi hai date, vengono da te; 
  8. poiché le parole che tu mi hai date, le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute, e hanno veramente conosciuto ch'io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato. 
  9. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dato, perché sono tuoi; 
  10. e tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie; ed io sono glorificato in loro. 
  11. Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, conservali nel tuo nome, essi che tu mi hai dati, affinché siano uno, come noi. 
  12. Mentre io ero con loro, io li conservavo nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi, e nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta. 
  13. Ma ora io vengo a te; e dico queste cose nel mondo, affinché abbiano compiuta in se stessi la mia allegrezza. 
  14. Io ho dato loro la tua parola; e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  15. Io non ti prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. 
  16. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  17. Santificali nella verità: la tua parola è verità.
  18. Come tu hai mandato me nel mondo, anch'io ho mandato loro nel mondo. 
  19. E per loro io santifico me stesso, affinché anch'essi siano santificati in verità.
  20. Io non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: 
  21. che siano tutti uno; che come tu, o Padre, sei in me, ed io sono in te, anch'essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato.
  22. E io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno come noi siamo uno; 
  23. io in loro, e tu in me; affinché siano perfetti nell'unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me.
  24. Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché veggano la mia gloria che tu mi hai data; poiché tu mi hai amato avanti la fondazione del mondo.
  25. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato; 
  26. ed io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l'amore del quale tu mi hai amato sia in loro, ed io in loro.

    ATTI 10

  1. Voi sapete quello che è avvenuto per tutta la Giudea cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni: 
  2. vale a dire, la storia di Gesù di Nazaret; come Dio l'ha unto di Spirito Santo e di potenza; e come egli è andato attorno facendo del bene, e guarendo tutti coloro che erano sotto il dominio del diavolo, perché Dio era con lui. 
  3. E noi siamo testimoni di tutte le cose ch'egli ha fatte nel paese dei Giudei e in Gerusalemme; ed essi l'hanno ucciso, appendendolo ad un legno. 
  4. Esso ha Dio risuscitato il terzo giorno, e ha fatto sì ch'egli si manifestasse 
  5. non a tutto il popolo, ma ai testimoni che erano prima stati scelti da Dio; cioè a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti.


Marcello Cicchese
agosto 2017

Preghiera sacerdotale 2

    GIOVANNI 17

  1. Queste cose disse Gesù; poi levati gli occhi al cielo, disse: Padre, l'ora è venuta; glorifica il tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te, 
  2. poiché gli hai data potestà sopra ogni carne, affinché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dato. 
  3. E questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. 
  4. Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l'opera che tu mi hai data a fare. 
  5. Ed ora, o Padre, glorificami tu presso te stesso della gloria che avevo presso di te avanti che il mondo fosse. 
  6. Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi, e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola. 
  7. Ora hanno conosciuto che tutte le cose che tu mi hai date, vengono da te; 
  8. poiché le parole che tu mi hai date, le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute, e hanno veramente conosciuto ch'io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato. 
  9. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dato, perché sono tuoi; 
  10. e tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie; ed io sono glorificato in loro. 
  11. Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, conservali nel tuo nome, essi che tu mi hai dati, affinché siano uno, come noi. 
  12. Mentre io ero con loro, io li conservavo nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi, e nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta. 
  13. Ma ora io vengo a te; e dico queste cose nel mondo, affinché abbiano compiuta in se stessi la mia allegrezza. 
  14. Io ho dato loro la tua parola; e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  15. Io non ti prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. 
  16. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  17. Santificali nella verità: la tua parola è verità.
  18. Come tu hai mandato me nel mondo, anch'io ho mandato loro nel mondo. 
  19. E per loro io santifico me stesso, affinché anch'essi siano santificati in verità.
  20. Io non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: 
  21. che siano tutti uno; che come tu, o Padre, sei in me, ed io sono in te, anch'essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato.
  22. E io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno come noi siamo uno; 
  23. io in loro, e tu in me; affinché siano perfetti nell'unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me.
  24. Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché veggano la mia gloria che tu mi hai data; poiché tu mi hai amato avanti la fondazione del mondo.
  25. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato; 
  26. ed io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l'amore del quale tu mi hai amato sia in loro, ed io in loro.


Marcello Cicchese
ottobre 2017

Un sabato sacro
ESODO 31
  1. L'Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo:
  2. 'Quanto a te, parla ai figli d'Israele e di' loro: Badate bene d'osservare i miei sabati, perché il sabato è un segno fra me e voi per tutte le vostre generazioni, affinché conosciate che io sono l'Eterno che vi santifica.
  3. Osserverete dunque il sabato, perché è per voi un giorno santo; chi lo profanerà dovrà essere messo a morte; chiunque farà in esso qualche lavoro sarà sterminato di fra il suo popolo.
  4. Si lavorerà sei giorni; ma il settimo giorno è un sabato di solenne riposo, sacro all'Eterno; chiunque farà qualche lavoro nel giorno del sabato dovrà esser messo a morte.
  5. I figli d'Israele quindi osserveranno il sabato, celebrandolo di generazione in generazione come un patto perpetuo.
  6. Esso è un segno perpetuo fra me e i figli d'Israele; poiché in sei giorni l'Eterno fece i cieli e la terra, e il settimo giorno cessò di lavorare, e si riposò'.
  7. Quando l'Eterno ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli dette le due tavole della testimonianza, tavole di pietra, scritte col dito di Dio.

Marcello Cicchese
maggio 2017

Benedizione a domicilio?
GENESI 12
  1. Il Signore disse ad Abramo: «Va' via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti mostrerò;
  2. io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione.
  3. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra».
  4. Abramo partì, come il Signore gli aveva detto, e Lot andò con lui. Abramo aveva settantacinque anni quando partì da Caran.
  5. Abramo prese Sarai sua moglie e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che possedevano e le persone che avevano acquistate in Caran, e partirono verso il paese di Canaan.
  6. Giunsero così nella terra di Canaan, e Abramo attraversò il paese fino alla località di Sichem, fino alla quercia di More. In quel tempo i Cananei erano nel paese.
  7. Il Signore apparve ad Abramo e disse: «Io darò questo paese alla tua discendenza». Lì Abramo costruì un altare al Signore che gli era apparso.
  8. Di là si spostò verso la montagna a oriente di Betel, e piantò le sue tende, avendo Betel a occidente e Ai ad oriente; lì costruì un altare al Signore e invocò il nome del Signore.

MARCO 10
  1. Mentre Gesù usciva per la via, un tale accorse e, inginocchiatosi davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?»
  2. Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio.
  3. Tu sai i comandamenti: "Non uccidere; non commettere adulterio; non rubare; non dire falsa testimonianza; non frodare nessuno; onora tuo padre e tua madre"».
  4. Ed egli rispose: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia gioventù».
  5. Gesù, guardatolo, l'amò e gli disse: «Una cosa ti manca! Va', vendi tutto ciò che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi».
  6. Ma egli, rattristato da quella parola, se ne andò dolente, perché aveva molti beni.
  7. Gesù, guardatosi attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno delle ricchezze entreranno nel regno di Dio!»
  8. I discepoli si stupirono di queste sue parole. E Gesù replicò loro: «Figlioli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio!
  9. È più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio».
  10. Ed essi sempre più stupiti dicevano tra di loro: «Chi dunque può essere salvato?»
  11. Gesù fissò lo sguardo su di loro e disse: «Agli uomini è impossibile, ma non a Dio; perché ogni cosa è possibile a Dio».
  12. Pietro gli disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito».
  13. Gesù rispose: «In verità vi dico che non vi è nessuno che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli, o campi, per amor mio e per amor del vangelo,
  14. il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto: case, fratelli, sorelle, madri, figli, campi, insieme a persecuzioni e, nel secolo a venire, la vita eterna.
  15. Ma molti primi saranno ultimi e molti ultimi primi».

PROVERBI 10
  1. Quel che fa ricchi è la benedizione dell'Eterno e il tormento che uno si dà non le aggiunge nulla.

Marcello Cicchese
giugno 2006


Salmo 56
Salmo 56
  1. Abbi pietà di me, o Dio, poiché gli uomini anelano a divorarmi; mi tormentano con una guerra di tutti i giorni;
  2. i miei nemici anelano del continuo a divorarmi, poiché sono molti quelli che m'assalgono con superbia.
  3. Nel giorno in cui temerò, io confiderò in te.
  4. Con l'aiuto di Dio celebrerò la sua parola; in Dio confido, e non temerò; che mi può fare il mortale?
  5. Torcono del continuo le mie parole; tutti i lor pensieri son vòlti a farmi del male.
  6. Si radunano, stanno in agguato, spiano i miei passi, come gente che vuole la mia vita.
  7. Rendi loro secondo la loro iniquità! O Dio, abbatti i popoli nella tua ira!
  8. Tu conti i passi della mia vita errante; raccogli le mie lacrime negli otri tuoi; non sono esse nel tuo registro?
  9. Nel giorno che io griderò, i miei nemici indietreggeranno. Questo io so: che Dio è per me.
  10. Con l'aiuto di Dio celebrerò la sua parola; con l'aiuto dell'Eterno celebrerò la sua parola.
  11. In Dio confido e non temerò; che mi può fare l'uomo?
  12. Tengo presenti i voti che t'ho fatti, o Dio; io t'offrirò sacrifizi di lode;
  13. poiché tu hai riscosso l'anima mia dalla morte, hai guardato i miei piedi da caduta, affinché io cammini, al cospetto di Dio, nella luce de' viventi.

Marcello Cicchese
agosto 2016

Una lampada al piede
Salmo 119
  1. La tua parola è una lampada al mio piede e una luce sul mio sentiero.
  2. Ho giurato, e lo manterrò, di osservare i tuoi giusti giudizi.
  3. Io sono molto afflitto; Signore, rinnova la mia vita secondo la tua parola.
  4. Signore, gradisci le offerte volontarie delle mie labbra e insegnami i tuoi giudizi.
  5. La mia vita è sempre in pericolo, ma io non dimentico la tua legge.
  6. Gli empi mi hanno teso dei lacci, ma io non mi sono allontanato dai tuoi precetti.
  7. Le tue testimonianze sono la mia eredità per sempre, esse sono la gioia del mio cuore.
  8. Ho messo il mio impegno a praticare i tuoi statuti, sempre, sino alla fine.

Marcello Cicchese
gennaio 2008

Il peggiore dei profeti
MATTEO

Capitolo 12
  1. Allora alcuni degli scribi e dei Farisei presero a dirgli: Maestro, noi vorremmo vederti operare un segno.
  2. Ma egli rispose loro: Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno; e segno non le sarà dato, tranne il segno del profeta Giona.
  3. Poiché, come Giona stette nel ventre del pesce tre giorni e tre notti, così starà il Figliuol dell'uomo nel cuor della terra tre giorni e tre notti.
  4. I Niniviti risorgeranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno, perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco qui vi è più che Giona!

GIONA

Capitolo 1
  1. La parola dell'Eterno fu rivolta a Giona, figliuolo di Amittai, in questi termini:
  2. 'Lèvati, va' a Ninive, la gran città, e predica contro di lei; perché la loro malvagità è salita nel mio cospetto'.
  3. Ma Giona si levò per fuggirsene a Tarsis, lungi dal cospetto dell'Eterno; e scese a Giaffa, dove trovò una nave che andava a Tarsis; e, pagato il prezzo del suo passaggio, s'imbarcò per andare con quei della nave a Tarsis, lungi dal cospetto dell'Eterno.
  4. Ma l'Eterno scatenò un gran vento sul mare, e vi fu sul mare una forte tempesta, sì che la nave minacciava di sfasciarsi.
  5. I marinai ebbero paura, e ognuno gridò al suo dio e gettarono a mare le mercanzie ch'erano a bordo, per alleggerire la nave; ma Giona era sceso nel fondo della nave, s'era coricato, e dormiva profondamente.
  6. Il capitano gli si avvicinò, e gli disse: 'Che fai tu qui a dormire? Lèvati, invoca il tuo dio! Forse Dio si darà pensiero di noi, e non periremo'.
  7. Poi dissero l'uno all'altro: 'Venite, tiriamo a sorte, per sapere a cagione di chi ci capita questa disgrazia'. Tirarono a sorte, e la sorte cadde su Giona.
  8. Allora essi gli dissero: 'Dicci dunque a cagione di chi ci capita questa disgrazia! Qual è la tua occupazione? donde vieni? qual è il tuo paese? e a che popolo appartieni?'
  9. Egli rispose loro: 'Sono Ebreo, e temo l'Eterno, l'Iddio del cielo, che ha fatto il mare e la terra ferma'.
  10. Allora quegli uomini furon presi da grande spavento, e gli dissero: 'Perché hai fatto questo?' Poiché quegli uomini sapevano ch'egli fuggiva lungi dal cospetto dell'Eterno, giacché egli avea dichiarato loro la cosa.
  11. E quelli gli dissero: 'Che ti dobbiam fare perché il mare si calmi per noi?' Poiché il mare si faceva sempre più tempestoso.
  12. Egli rispose loro: 'Pigliatemi e gettatemi in mare, e il mare si calmerà per voi; perché io so che questa forte tempesta vi piomba addosso per cagion mia'.
  13. Nondimeno quegli uomini davan forte nei remi per ripigliar terra; ma non potevano, perché il mare si faceva sempre più tempestoso e minaccioso.
  14. Allora gridarono all'Eterno, e dissero: 'Deh, o Eterno, non lasciar che periamo per risparmiar la vita di quest'uomo, e non ci mettere addosso del sangue innocente; perché tu, o Eterno, hai fatto quel che ti è piaciuto'.
  15. Poi presero Giona e lo gettarono in mare; e la furia del mare si calmò.
  16. E quegli uomini furon presi da un gran timore dell'Eterno; offrirono un sacrifizio all'Eterno, e fecero dei voti.

Capitolo 4
  1. Ma Giona ne provò un gran dispiacere, e ne fu irritato; e pregò l'Eterno, dicendo:
  2. 'O Eterno, non è egli questo ch'io dicevo, mentr'ero ancora nel mio paese? Perciò m'affrettai a fuggirmene a Tarsis; perché sapevo che sei un Dio misericordioso, pietoso, lento all'ira, di gran benignità, e che ti penti del male minacciato.
  3. Or dunque, o Eterno, ti prego, riprenditi la mia vita; poiché per me val meglio morire che vivere'.
  4. E l'Eterno gli disse: 'Fai tu bene a irritarti così?'
  5. Poi Giona uscì dalla città, e si mise a sedere a oriente della città; si fece quivi una capanna, e vi sedette sotto, all'ombra, stando a vedere quello che succederebbe alla città.
  6. E Dio, l'Eterno, per guarirlo della sua irritazione, fece crescere un ricino, che montò su di sopra a Giona per fargli ombra al capo; e Giona provò una grandissima gioia a motivo di quel ricino.
  7. Ma l'indomani, allo spuntar dell'alba, Iddio fece venire un verme, il quale attaccò il ricino, ed esso si seccò.
  8. E come il sole fu levato, Iddio fece soffiare un vento soffocante d'oriente, e il sole picchiò sul capo di Giona, sì ch'egli venne meno, e chiese di morire, dicendo: 'Meglio è per me morire che vivere'.
  9. E Dio disse a Giona: 'Fai tu bene a irritarti così a motivo del ricino?' Egli rispose: 'Sì, faccio bene a irritarmi fino alla morte'.
  10. E l'Eterno disse: 'Tu hai pietà del ricino per il quale non hai faticato, e che non hai fatto crescere, che è nato in una notte e in una notte è perito:
  11. e io non avrei pietà di Ninive, la gran città, nella quale si trovano più di centoventimila persone che non sanno distinguere la loro destra dalla loro sinistra, e tanta quantità di bestiame?'

Marcello Cicchese
febbraio 2015

Salmo 27
Salmo 27
  1. Il Signore è la mia luce e la mia salvezza; di chi temerò?
    Il Signore è il baluardo della mia vita; di chi avrò paura?
  2. Quando i malvagi, che mi sono avversari e nemici, mi hanno assalito per divorarmi, essi stessi hanno vacillato e sono caduti.
  3. Se un esercito si accampasse contro di me, il mio cuore non avrebbe paura; se infuriasse la battaglia contro di me, anche allora sarei fiducioso.
  4. Una cosa ho chiesto al Signore, e quella ricerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore, e meditare nel suo tempio.
  5. Poich'egli mi nasconderà nella sua tenda in giorno di sventura, mi custodirà nel luogo più segreto della sua dimora, mi porterà in alto sopra una roccia.
  6. E ora la mia testa s'innalza sui miei nemici che mi circondano. Offrirò nella sua dimora sacrifici con gioia; canterò e salmeggerò al Signore.

  7. O Signore, ascolta la mia voce quando t'invoco; abbi pietà di me, e rispondimi.
  8. Il mio cuore mi dice da parte tua: «Cercate il mio volto!»
    Io cerco il tuo volto, o Signore.
  9. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo;tu sei stato il mio aiuto; non lasciarmi, non abbandonarmi, o Dio della mia salvezza!
  10. Qualora mio padre e mia madre m'abbandonino, il Signore mi accoglierà.
  11. O Signore, insegnami la tua via, guidami per un sentiero diritto, a causa dei miei nemici.
  12. Non darmi in balìa dei miei nemici; perché sono sorti contro di me falsi testimoni, gente che respira violenza.
  13. Ah, se non avessi avuto fede di veder la bontà del Signore sulla terra dei viventi!
  14. Spera nel Signore! Sii forte, il tuo cuore si rinfranchi; sì, spera nel Signore!

Marcello Cicchese
dicembre 2007

Il Re dei Giudei
Il Re dei Giudei

Dalla Sacra Scrittura

MATTEO 2
  1. Or essendo Gesù nato in Betleem di Giudea, ai dì del re Erode, ecco dei magi d'Oriente arrivarono in Gerusalemme, dicendo:
  2. Dov'è il re de' Giudei che è nato? Poiché noi abbiam veduto la sua stella in Oriente e siam venuti per adorarlo.
  3. Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.
  4. E radunati tutti i capi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informò da loro dove il Cristo doveva nascere.
  5. Ed essi gli dissero: In Betleem di Giudea; poiché così è scritto per mezzo del profeta:
  6. E tu, Betleem, terra di Giuda, non sei punto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un Principe, che pascerà il mio popolo Israele.
  7. Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s'informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparita;
  8. e mandandoli a Betleem, disse loro: Andate e domandate diligentemente del fanciullino; e quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo.
  9. Essi dunque, udito il re, partirono; ed ecco la stella che avevano veduta in Oriente, andava dinanzi a loro, finché, giunta al luogo dov'era il fanciullino, vi si fermò sopra.
  10. Ed essi, veduta la stella, si rallegrarono di grandissima allegrezza.
  11. Ed entrati nella casa, videro il fanciullino con Maria sua madre; e prostratisi, lo adorarono; ed aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra.
  12. Poi, essendo stati divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, per altra via tornarono al loro paese.
GIOVANNI 18
  1. Poi, da Caiàfa, menarono Gesù nel pretorio. Era mattina, ed essi non entrarono nel pretorio per non contaminarsi e così poter mangiare la pasqua.
  2. Pilato dunque uscì fuori verso di loro, e domandò: Quale accusa portate contro quest'uomo?
  3. Essi risposero e gli dissero: Se costui non fosse un malfattore, non te lo avremmo dato nelle mani.
  4. Pilato quindi disse loro: Pigliatelo voi, e giudicatelo secondo la vostra legge. I Giudei gli dissero: A noi non è lecito far morire alcuno.
  5. E ciò affinché si adempisse la parola che Gesù aveva detta, significando di qual morte doveva morire.
  6. Pilato dunque rientrò nel pretorio; chiamò Gesù e gli disse: Sei tu il Re dei Giudei?
  7. Gesù gli rispose: Dici tu questo di tuo, oppure altri te l'hanno detto di me?
  8. Pilato gli rispose: Son io forse giudeo? La tua nazione e i capi sacerdoti t'hanno messo nelle mie mani; che hai fatto?
  9. Gesù rispose: il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perch'io non fossi dato in mano dei Giudei; ma ora il mio regno non è di qui.
  10. Allora Pilato gli disse: Ma dunque, sei tu re? Gesù rispose: Tu lo dici; io sono re; io sono nato per questo, e per questo son venuto nel mondo, per testimoniare della verità. Chiunque è per la verità ascolta la mia voce.
  11. Pilato gli disse: Che cos'è verità? E detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei, e disse loro: Io non trovo alcuna colpa in lui.
  12. Ma voi avete l'usanza ch'io vi liberi uno per la Pasqua; volete dunque che vi liberi il Re de' Giudei?
  13. Allora gridaron di nuovo: Non costui, ma Barabba! Or Barabba era un ladrone.
Marcello Cicchese
ottobre 2019

Come cerva che assetata
Marcello Cicchese
gennaio 2008

Vanità delle vanità
Vanità delle vanità, tutto è vanità

Dalla Sacra Scrittura

ECCLESIASTE 1
  1. Parole dell'Ecclesiaste, figlio di Davide, re di Gerusalemme.
  2. Vanità delle vanità, dice l'Ecclesiaste, vanità delle vanità, tutto è vanità.
  3. Che profitto ha l'uomo di tutta la fatica che sostiene sotto il sole?
  4. Una generazione se ne va, un'altra viene, e la terra sussiste per sempre.
  5. Anche il sole sorge, poi tramonta, e si affretta verso il luogo da cui sorgerà di nuovo.
  6. Il vento soffia verso il mezzogiorno, poi gira verso settentrione; va girando, girando continuamente, per ricominciare gli stessi giri.
  7. Tutti i fiumi corrono al mare, eppure il mare non si riempie; al luogo dove i fiumi si dirigono, continuano a dirigersi sempre.
  8. Ogni cosa è in travaglio, più di quanto l'uomo possa dire; l'occhio non si sazia mai di vedere e l'orecchio non è mai stanco di udire.
  9. Ciò che è stato è quel che sarà; ciò che si è fatto è quel che si farà; non c'è nulla di nuovo sotto il sole.
  10. C'è forse qualcosa di cui si possa dire: «Guarda, questo è nuovo?» Quella cosa esisteva già nei secoli che ci hanno preceduto.
  11. Non rimane memoria delle cose d'altri tempi; così di quanto succederà in seguito non rimarrà memoria fra quelli che verranno più tardi.
  12. Io, l'Ecclesiaste, sono stato re d'Israele a Gerusalemme,
  13. e ho applicato il cuore a cercare e a investigare con saggezza tutto ciò che si fa sotto il cielo: occupazione penosa, che Dio ha data ai figli degli uomini perché vi si affatichino.
  14. Io ho visto tutto ciò che si fa sotto il sole: ed ecco tutto è vanità, è un correre dietro al vento.
  15. Ciò che è storto non può essere raddrizzato, ciò che manca non può essere contato.
  16. Io ho detto, parlando in cuor mio: «Ecco io ho acquistato maggiore saggezza di tutti quelli che hanno regnato prima di me a Gerusalemme; sì, il mio cuore ha posseduto molta saggezza e molta scienza».
  17. Ho applicato il cuore a conoscere la saggezza, e a conoscere la follia e la stoltezza; ho riconosciuto che anche questo è un correre dietro al vento.
  18. Infatti, dov'è molta saggezza c'è molto affanno, e chi accresce la sua scienza accresce il suo dolore.

ECCLESIASTE 2
  1. Io ho detto in cuor mio: «Andiamo! Ti voglio mettere alla prova con la gioia, e tu godrai il piacere!» Ed ecco che anche questo è vanità.
  2. Io ho detto del riso: «É una follia»; e della gioia: «A che giova?»
  1. Perciò ho odiato la vita, perché tutto quello che si fa sotto il sole mi è divenuto odioso, poiché tutto è vanità, un correre dietro al vento.

ECCLESIASTE 12
  1. Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso: Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto dell'uomo.

1 PIETRO 1
  1. E se invocate come Padre colui che giudica senza favoritismi, secondo l'opera di ciascuno, comportatevi con timore durante il tempo del vostro soggiorno terreno;
  2. sapendo che non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vano modo di vivere tramandatovi dai vostri padri,
  3. ma con il prezioso sangue di Cristo, come quello di un agnello senza difetto né macchia.
  4. Già designato prima della creazione del mondo, egli è stato manifestato negli ultimi tempi per voi;
  5. per mezzo di lui credete in Dio che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria affinché la vostra fede e la vostra speranza fossero in Dio.
  6. Avendo purificato le anime vostre con l'ubbidienza alla verità per giungere a un sincero amor fraterno, amatevi intensamente a vicenda di vero cuore,
  7. perché siete stati rigenerati non da seme corruttibile, ma incorruttibile, cioè mediante la parola vivente e permanente di Dio.
  8. Infatti, «ogni carne è come l'erba, e ogni sua gloria come il fiore dell'erba. L'erba diventa secca e il fiore cade;
  9. ma la parola del Signore rimane in eterno». E questa è la parola della buona notizia che vi è stata annunziata.

1 CORINZI 15
  1. Quando poi questo corruttibile avrà rivestito incorruttibilità e questo mortale avrà rivestito immortalità, allora sarà adempiuta la parola che è scritta: «La morte è stata sommersa nella vittoria».
  2. «O morte, dov'è la tua vittoria? O morte, dov'è il tuo dardo?»
  3. Ora il dardo della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge;
  4. ma ringraziato sia Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo.
  5. Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, sempre abbondanti nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.
Marcello Cicchese
8 ottobre 2006

La prova della fede
La prova della fede

Dalla Sacra Scrittura

GIACOMO 1
  1. Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù che sono disperse nel mondo: salute.
  2. Fratelli miei, considerate una grande gioia quando venite a trovarvi in prove svariate,
  3. sapendo che la prova della vostra fede produce costanza.
  4. E la costanza compia pienamente l'opera sua in voi, perché siate perfetti e completi, di nulla mancanti.
  5. Se poi qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio che dona a tutti generosamente senza rinfacciare, e gli sarà data.
  6. Ma la chieda con fede, senza dubitare; perché chi dubita rassomiglia a un'onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là.
  7. Un tale uomo non pensi di ricevere qualcosa dal Signore,
  8. perché è di animo doppio, instabile in tutte le sue vie.
  9. Il fratello di umile condizione sia fiero della sua elevazione;
  10. e il ricco, della sua umiliazione, perché passerà come il fiore dell'erba.
  11. Infatti il sole sorge con il suo calore ardente e fa seccare l'erba, e il suo fiore cade e la sua bella apparenza svanisce; anche il ricco appassirà così nelle sue imprese.
  12. Beato l'uomo che sopporta la prova; perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita, che il Signore ha promessa a quelli che lo amano.
Marcello Cicchese
1 ottobre 2006

L’enigma Gesù
L’enigma Gesù

Dalla Sacra Scrittura

MARCO 15
  1. E venuta l'ora sesta, si fecero tenebre per tutto il paese, fino all'ora nona.
  2. E all'ora nona, Gesù gridò con gran voce: Eloì, Eloì, lamà sabactanì? il che, interpretato, vuol dire: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
  3. E alcuni degli astanti, udito ciò, dicevano: Ecco, chiama Elia!
  4. E uno di loro corse, e inzuppata d'aceto una spugna, e postala in cima ad una canna, gli diè da bere dicendo: Aspettate, vediamo se Elia viene a trarlo giù.
  5. E Gesù, gettato un gran grido, rendé lo spirito.
  1. Ed essendo già sera (poiché era Preparazione, cioè la vigilia del sabato),
  2. venne Giuseppe d'Arimatea, consigliere onorato, il quale aspettava anch'egli il Regno di Dio; e, preso ardire, si presentò a Pilato e domandò il corpo di Gesù.
  3. Pilato si meravigliò ch'egli fosse già morto; e chiamato a sé il centurione, gli domandò se era morto da molto tempo;
  4. e saputolo dal centurione, donò il corpo a Giuseppe.
  5. E questi, comprato un panno lino e tratto Gesù giù di croce, l'involse nel panno e lo pose in una tomba scavata nella roccia, e rotolò una pietra contro l'apertura del sepolcro.
ATTI 1
  1. Nel mio primo libro, o Teofilo, parlai di tutto quel che Gesù prese e a fare e ad insegnare,
  2. fino al giorno che fu assunto in cielo, dopo aver dato per lo Spirito Santo dei comandamenti agli apostoli che avea scelto.
  3. Ai quali anche, dopo ch'ebbe sofferto, si presentò vivente con molte prove, facendosi veder da loro per quaranta giorni, e ragionando delle cose relative al regno di Dio.

  4. E trovandosi con essi, ordinò loro di non dipartirsi da Gerusalemme, ma di aspettarvi il compimento della promessa del Padre, la quale, egli disse, avete udita da me.
  5. Poiché Giovanni Battista battezzò sì con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo tra non molti giorni.
  6. Quelli dunque che erano radunati, gli domandarono: Signore, è egli in questo tempo che ristabilirai il regno ad Israele?
  7. Egli rispose loro: Non sta a voi di sapere i tempi o i momenti che il Padre ha riserbato alla sua propria autorità.
  8. Ma voi riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni e in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all'estremità della terra.

  9. E dette queste cose, mentre essi guardavano, fu elevato; e una nuvola, accogliendolo, lo tolse d'innanzi agli occhi loro.
  10. E come essi aveano gli occhi fissi in cielo, mentr'egli se ne andava, ecco che due uomini in vesti bianche si presentarono loro e dissero:
  11. Uomini Galilei, perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù che è stato tolto da voi ed assunto dal cielo, verrà nella medesima maniera che l'avete veduto andare in cielo.

  12. Allora essi tornarono a Gerusalemme dal monte chiamato dell'Uliveto, il quale è vicino a Gerusalemme, non distandone che un cammin di sabato.
  13. E come furono entrati, salirono nella sala di sopra ove solevano trattenersi Pietro e Giovanni e Giacomo e Andrea, Filippo e Toma, Bartolomeo e Matteo, Giacomo d'Alfeo, e Simone lo Zelota, e Giuda di Giacomo.
  14. Tutti costoro perseveravano di pari consentimento nella preghiera, con le donne, e con Maria, madre di Gesù, e coi fratelli di lui.
Marcello Cicchese
dicembre 2019

Salmi 124, 129
Salmo 124
  1. Se non fosse stato l'Eterno
    che fu per noi,
    lo dica pure ora Israele,
  2. se non fosse stato l'Eterno
    che fu per noi,
    quando gli uomini si levarono
    contro noi,
  3. allora ci avrebbero inghiottiti tutti vivi, quando l'ira loro
    ardeva contro noi;
  4. allora le acque ci avrebbero sommerso, il torrente sarebbe passato sull'anima nostra;
  5. allora le acque orgogliose sarebbero passate sull'anima nostra.
  6. Benedetto sia l'Eterno
    che non ci ha dato in preda ai loro denti!
  7. L'anima nostra è scampata,
    come un uccello dal laccio degli uccellatori;
    il laccio è stato rotto, e noi siamo scampati.
  8. Il nostro aiuto è nel nome dell'Eterno,
    che ha fatto il cielo e la terra.

Salmo 129
  1. Molte volte m'hanno oppresso dalla mia giovinezza!
    Lo dica pure Israele:
  2. Molte volte m'hanno oppresso dalla mia giovinezza;
    eppure, non hanno potuto vincermi.
  3. Degli aratori hanno arato sul mio dorso,
    v'hanno tracciato i loro lunghi solchi.
  4. L'Eterno è giusto;
    egli ha tagliato le funi degli empi.
  5. Siano confusi e voltin le spalle
    tutti quelli che odiano Sion!
  6. Siano come l'erba dei tetti,
    che secca prima di crescere!
  7. Non se n'empie la mano il mietitore,
    né le braccia chi lega i covoni;
  8. e i passanti non dicono:
    La benedizione dell'Eterno sia sopra voi;
    noi vi benediciamo nel nome dell'Eterno!
Marcello Cicchese
31 maggio 2015

Dio con gli uomini
Dio abiterà con gli uomini

Dalla Sacra Scrittura

Apocalisse 21:1-3
  1. Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, poiché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi, e il mare non c'era più.
  2. E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scendere giù dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.
  3. E udii una gran voce dal trono, che diceva: «Ecco il tabernacolo (skene) di Dio con gli uomini! Egli abiterà (skenao) con loro, ed essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà loro Dio."
Esodo 25
  1. E mi facciano un santuario perch'io abiti (shachan) in mezzo a loro.
  2. Me lo farete in tutto e per tutto secondo il modello del tabernacolo (mishchan) e secondo il modello di tutti i suoi arredi, che io sto per mostrarti.
Esodo 29
  1. Sarà un olocausto perpetuo offerto dai vostri discendenti, all'ingresso della tenda di convegno, davanti all'Eterno, dove io v'incontrerò per parlare qui con te.
  2. E là io mi troverò coi figli d'Israele; e la tenda sarà santificata dalla mia gloria.
  3. E santificherò la tenda di convegno e l'altare; anche Aaronne e i suoi figliuoli santificherò, perché mi esercitino l'ufficio di sacerdoti.
  4. E abiterò (shachan) in mezzo ai figli d'Israele e sarò il loro Dio.
  5. Ed essi conosceranno che io sono l'Eterno, l'Iddio loro, che li ho tratti dal paese d'Egitto per abitare (shachan) tra loro. Io sono l'Eterno, l'Iddio loro.
Giovanni 1
  1. E la Parola è stata fatta carne ed ha abitato (skenao) per un tempo fra noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come quella dell'Unigenito venuto da presso al Padre.
Luca 17
  1. Il regno di Dio non viene in modo da attirare gli sguardi; né si dirà:
  2. "Eccolo qui", o "eccolo là"; perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi.
Giovanni 1
  1. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, ma il mondo non l'ha conosciuto.
  2. È venuto in casa sua, e i suoi non l'hanno ricevuto:
  3. ma a tutti quelli che l'hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio; a quelli, cioè, che credono nel suo nome.
Matteo 18
  1. Poiché dovunque due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro.
1 Corinzi 3
  1. Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?
  2. Se uno guasta il tempio di Dio, Dio guasterà lui; poiché il tempio di Dio è santo; e questo tempio siete voi.
Giovanni 14
  1. Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me!
  2. Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che vado a prepararvi un luogo?
  3. Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi".
Marcello Cicchese
novembre 2016

Io vi darò riposo
  «Io vi darò riposo»

  Matteo 11:28-30
  Venite a me, voi tutti
  che siete travagliati ed aggravati,
  e io vi darò riposo.
  Prendete su voi il mio giogo
  ed imparate da me,
  perch'io sono mansueto ed umile di cuore;
  e voi troverete riposo alle anime vostre;
  poiché il mio giogo è dolce
  e il mio carico è leggero.

Marcello Cicchese
ottobre 2015

Tempi difficili
Negli ultimi giorni
verranno tempi difficili


Seconda lettera di Paolo a Timoteo

Capitolo 3
  1. Or sappi questo: che negli ultimi giorni verranno dei tempi difficili;
  2. perché gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanagloriosi, superbi, bestemmiatori, disubbidienti ai genitori, ingrati, irreligiosi,
  3. senza affezione naturale, mancatori di fede, calunniatori, intemperanti, spietati, senza amore per il bene,
  4. traditori, temerari, gonfi, amanti del piacere anziché di Dio,
  5. avendo le forme della pietà, ma avendone rinnegata la potenza.
  6. Anche costoro schiva! Poiché del numero di costoro sono quelli che s'insinuano nelle case e cattivano donnicciuole cariche di peccati, e agitate da varie cupidigie,
  7. che imparano sempre e non possono mai pervenire alla conoscenza della verità.
  8. E come Jannè e Iambrè contrastarono a Mosè, così anche costoro contrastano alla verità: uomini corrotti di mente, riprovati quanto alla fede.
  9. Ma non andranno più oltre, perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti, come fu quella di quegli uomini.
  10. Quanto a te, tu hai tenuto dietro al mio insegnamento, alla mia condotta, ai miei propositi, alla mia fede, alla mia pazienza, al mio amore, alla mia costanza,
  11. alle mie persecuzioni, alle mie sofferenze, a quel che mi avvenne ad Antiochia, ad Iconio ed a Listra. Sai quali persecuzioni ho sopportato; e il Signore mi ha liberato da tutte.
  12. E d'altronde tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati;
  13. mentre i malvagi e gli impostori andranno di male in peggio, seducendo ed essendo sedotti.
  14. Ma tu persevera nelle cose che hai imparate e delle quali sei stato accertato, sapendo da chi le hai imparate,
  15. e che fin da fanciullo hai avuto conoscenza degli Scritti sacri, i quali possono renderti savio a salute mediante la fede che è in Cristo Gesù.
  16. Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile ad insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia,
  17. affinché l'uomo di Dio sia compiuto, appieno fornito per ogni opera buona.

Capitolo 4
  1. Io te ne scongiuro nel cospetto di Dio e di Cristo Gesù che ha da giudicare i vivi e i morti, e per la sua apparizione e per il suo regno:
  2. Predica la Parola, insisti a tempo e fuor di tempo, riprendi, sgrida, esorta con grande pazienza e sempre istruendo.
  3. Perché verrà il tempo che non sopporteranno la sana dottrina; ma per prurito d'udire si accumuleranno dottori secondo le loro proprie voglie
  4. e distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole.
  5. Ma tu sii vigilante in ogni cosa, soffri afflizioni, fa' l'opera d'evangelista, compi tutti i doveri del tuo ministero.
Marcello Cicchese
luglio 2015

Il libro di Giobbe
Giobbe: una questione di giustizia

La figura di Giobbe viene di solito messa in relazione con il problema della sofferenza. Dallo studio del libro su cui si basa la seguente predicazione emerge invece che l’angoscioso tormento in cui si dibatte Giobbe non è dovuto all’inesplicabilità del problema della sofferenza, ma al crollo di un pilastro che aveva sostenuto fino a quel momento la sua vita: la fede nella giustizia di Dio. Le “buone parole” con cui i suoi amici cercano di metterlo sulla buona strada lo spingono sempre di più sul ciglio di un baratro in cui corre il rischio di cadere e perdersi definitivamente: il pensiero di essere più giusto di Dio.

Marcello Cicchese
novembre 2018

Testo delle letture

1.6 Or accadde un giorno, che i figli di Dio vennero a presentarsi davanti all'Eterno, e Satana venne anch'egli in mezzo a loro.
   7 E l'Eterno disse a Satana: 'Da dove vieni?' E Satana rispose all'Eterno: 'Dal percorrere la terra e dal passeggiar per essa'.
   8 E l'Eterno disse a Satana: 'Hai tu notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Iddio e fugga il male'.
   9 E Satana rispose all'Eterno: 'È egli forse per nulla che Giobbe teme Iddio?
 10 Non l'hai tu circondato d'un riparo, lui, la sua casa, e tutto quello che possiede? Tu hai benedetto l'opera delle sue mani, e il suo bestiame ricopre tutto il paese.
 11 Ma stendi un po' la tua mano, tocca quanto egli possiede, e vedrai se non ti rinnega in faccia'.
 12 E l'Eterno disse a Satana: 'Ebbene! tutto quello che possiede è in tuo potere; soltanto, non stender la mano sulla sua persona'. - E Satana si ritirò dalla presenza dell'Eterno.


1.20 Allora Giobbe si alzò e si stracciò il mantello e si rase il capo e si prostrò a terra e adorò e disse:
   21 'Nudo sono uscito dal seno di mia madre, e nudo tornerò in seno della terra; l'Eterno ha dato, l'Eterno ha tolto; sia benedetto il nome dell'Eterno'.
   22 In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di mal fatto.


2.E l'Eterno disse a Satana:
   3 'Hai tu notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Iddio e fugga il male. Egli si mantiene saldo nella sua integrità benché tu m'abbia incitato contro di lui per rovinarlo senza alcun motivo'.
   4 E Satana rispose all'Eterno: 'Pelle per pelle! L'uomo dà tutto quel che possiede per la sua vita;
   5 ma stendi un po' la tua mano, toccagli le ossa e la carne, e vedrai se non ti rinnega in faccia'.
   6 E l'Eterno disse a Satana: 'Ebbene esso è in tuo potere; soltanto, rispetta la sua vita'.
   7 E Satana si ritirò dalla presenza dell'Eterno e colpì Giobbe d'un'ulcera maligna dalla pianta de' piedi al sommo del capo; e Giobbe prese un còccio per grattarsi, e stava seduto nella cenere.
   8 E sua moglie gli disse: 'Ancora stai saldo nella tua integrità?
   9 Ma lascia stare Iddio, e muori!'
10 E Giobbe a lei: 'Tu parli da donna insensata! Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuteremmo d'accettare il male?' - In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra.


3.1 Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il giorno della sua nascita.
   2 E prese a dire così:
   3 «Perisca il giorno ch'io nacqui e la notte che disse: 'È concepito un maschio!'
   4 Quel giorno si converta in tenebre, non se ne curi Iddio dall'alto, né splenda sovr'esso raggio di luce!
   5 Se lo riprendano le tenebre e l'ombra di morte, resti sovr'esso una fitta nuvola, le eclissi lo riempiano di paura!


3.11 Perché non morii nel seno di mia madre? Perché non spirai appena uscito dalle sue viscere?
   12 Perché trovai delle ginocchia per ricevermi e delle mammelle da poppare?
   20 Perché dar la luce all'infelice e la vita a chi ha l'anima nell'amarezza,
   23 Perché dar vita a un uomo la cui via è oscura, e che Dio ha stretto in un cerchio?


9.20 Fossi pur giusto, la mia bocca stessa mi condannerebbe; fossi pure integro, essa mi farebbe dichiarar perverso.
   21 Integro! Sì, lo sono! di me non mi preme, io disprezzo la vita!
   22 Per me è tutt'uno! perciò dico: 'Egli distrugge ugualmente l'integro ed il malvagio.
   23 Se un flagello, a un tratto, semina la morte, egli ride dello sgomento degli innocenti.
   24 La terra è data in balìa dei malvagi; egli vela gli occhi ai giudici di essa; se non è lui, chi è dunque'?


13.7 Volete dunque difendere Iddio parlando iniquamente?


19.5 Ma se proprio volete insuperbire contro di me e rimproverarmi la vergogna in cui mi trovo,
    6 allora sappiatelo: chi m'ha fatto torto e m'ha avvolto nelle sue reti è Dio.
    7 Ecco, io grido: 'Violenza!' e nessuno risponde; imploro aiuto, ma non c'è giustizia!


24.12 Sale dalle città il gemito dei morenti; l'anima de' feriti implora aiuto, e Dio non si cura di codeste infamie!

24.22 Iddio con la sua forza prolunga i giorni dei prepotenti, i quali risorgono, quand'ormai disperavano della vita.

24.25 Se così non è, chi mi smentirà, chi annienterà il mio dire?


27.5 Lungi da me l'idea di darvi ragione! Fino all'ultimo respiro non mi lascerò togliere la mia integrità.
    6 Ho preso a difendere la mia giustizia e non cederò; il cuore non mi rimprovera uno solo dei miei giorni.


31.35 Oh, avessi pure chi m'ascoltasse!... ecco qua la mia firma! l'Onnipotente mi risponda! Scriva l'avversario mio la sua querela,
    36 ed io la porterò attaccata alla mia spalla, me la cingerò come un diadema!
    37 Gli renderò conto di tutti i miei passi, a lui mi avvicinerò come un principe!


1.6 Or avvenne un giorno, che i figli di Dio vennero a presentarsi davanti all'Eterno, e Satana venne anch'egli in mezzo a loro.


16.19 Già fin d'ora, ecco, il mio Testimonio è in cielo, il mio Garante è nei luoghi altissimi.
    20 Gli amici mi deridono, ma a Dio si volgon piangenti gli occhi miei;
    21 sostenga egli le ragioni dell'uomo presso Dio, le ragioni del figlio dell'uomo contro i suoi compagni!


19.25 Ma io so che il mio Vendicatore vive, e che alla fine si leverà sulla polvere.
    26 E quando, dopo la mia pelle, sarà distrutto questo corpo, senza la mia carne, vedrò Iddio.
    27 Io lo vedrò a me favorevole; lo contempleranno gli occhi miei, non quelli d'un altro... il cuore, dalla brama, mi si strugge in seno!


9.32 Dio non è un uomo come me, perch'io gli risponda e che possiam comparire in giudizio assieme.
  33 Non c'è fra noi un arbitro, che posi la mano su tutti e due!


42.7 Dopo che ebbe rivolto questi discorsi a Giobbe, l'Eterno disse a Elifaz di Teman: 'L'ira mia è accesa contro te e contro i tuoi due amici, perché non avete parlato di me secondo la verità, come ha fatto il mio servo Giobbe.


32.1 Quei tre uomini cessarono di rispondere a Giobbe perché egli si credeva giusto.
     2 Allora l'ira di Elihu, figliuolo di Barakeel il Buzita, della tribù di Ram, s'accese:
     3 s'accese contro Giobbe, perché riteneva giusto se stesso anziché Dio; s'accese anche contro i tre amici di lui perché non avean trovato che rispondere, sebbene condannassero Giobbe.


32.13 Non avete dunque ragione di dire: 'Abbiam trovato la sapienza! Dio soltanto lo farà cedere; non l'uomo!'
 14 Egli non ha diretto i suoi discorsi contro a me, ed io non gli risponderò colle vostre parole.


33.1 Ma pure, ascolta, o Giobbe, il mio dire, porgi orecchio a tutte le mie parole!
   2 Ecco, apro la bocca, la lingua parla sotto il mio palato.
   3 Nelle mie parole è la rettitudine del mio cuore; e le mie labbra diran sinceramente quello che so.
   4 Lo spirito di Dio mi ha creato, e il soffio dell'Onnipotente mi dà la vita.
   5 Se puoi, rispondimi; prepara le tue ragioni, fatti avanti!
   6 Ecco, io sono uguale a te davanti a Dio; anch'io, fui tratto dall'argilla.
   7 Spavento di me non potrà quindi sgomentarti, e il peso della mia autorità non ti potrà schiacciare.
   8 Davanti a me tu dunque hai detto (e ho bene udito il suono delle tue parole):
   9 'Io sono puro, senza peccato; sono innocente, non c'è iniquità in me;
 10 ma Dio trova contro me degli appigli ostili, mi tiene per suo nemico;
 11 mi mette i piedi nei ceppi, spia tutti i miei movimenti'.
 12 E io ti rispondo: In questo non hai ragione; giacché Dio è più grande dell'uomo.
 13 Perché contendi con lui? poich'egli non rende conto d'alcuno dei suoi atti.
 14 Iddio parla, bensì, una volta ed anche due, ma l'uomo non ci bada;
 15 parla per via di sogni, di visioni notturne, quando un sonno profondo cade sui mortali, quando sui loro letti essi giacciono assopiti;
 16 allora egli apre i loro orecchi e dà loro in segreto degli ammonimenti,
 17 per distoglier l'uomo dal suo modo d'agire e tener lungi da lui la superbia;
 18 per salvargli l'anima dalla fossa, la vita dal dardo mortale.
 19 L'uomo è anche ammonito sul suo letto, dal dolore, dall'agitazione incessante delle sue ossa;
 20 quand'egli ha in avversione il pane, e l'anima sua schifa i cibi più squisiti;
 21 la carne gli si consuma, e sparisce, mentre le ossa, prima invisibili, gli escon fuori,
 22 l'anima sua si avvicina alla fossa, e la sua vita a quelli che danno la morte.
 23 Ma se, presso a lui, v'è un angelo, un interprete, uno solo fra i mille, che mostri all'uomo il suo dovere,
 24 Iddio ha pietà di lui e dice: 'Risparmialo, che non scenda nella fossa! Ho trovato il suo riscatto'.
 25 Allora la sua carne divien fresca più di quella d'un bimbo; egli torna ai giorni della sua giovinezza;
 26 implora Dio, e Dio gli è propizio; gli dà di contemplare il suo volto con giubilo, e lo considera di nuovo come giusto.
 27 Ed egli va cantando fra la gente e dice: 'Avevo peccato, pervertito la giustizia, e non sono stato punito come meritavo.
 28 Iddio ha riscattato l'anima mia, onde non scendesse nella fossa e la mia vita si schiude alla luce!'
 29 Ecco, tutto questo Iddio lo fa due, tre volte, all'uomo,
 30 per ritrarre l'anima di lui dalla fossa, perché su di lei splenda la luce della vita.
 31 Sta' attento, Giobbe, dammi ascolto; taci, ed io parlerò.
 32 Se hai qualcosa da dire, rispondi, parla, ché io vorrei poterti dar ragione. 33 Se no, tu dammi ascolto, taci, e t'insegnerò la saviezza».


34.29 Quando Iddio dà requie chi lo condannerà? Chi potrà contemplarlo quando nasconde il suo volto a una nazione ovvero a un individuo,
 30 per impedire all'empio di regnare, per allontanar dal popolo le insidie?
 31 Quell'empio ha egli detto a Dio: 'Io porto la mia pena, non farò più il male,
 32 mostrami tu quel che non so vedere; se ho agito perversamente, non lo farò più'?
 33 Dovrà forse Iddio render la giustizia a modo tuo, che tu lo critichi? Ti dirà forse: 'Scegli tu, non io, quello che sai, dillo'?
 34 La gente assennata e ogni uomo savio che m'ascolta, mi diranno:
 35 'Giobbe parla senza giudizio, le sue parole sono senza intendimento'.
 36 Ebbene, sia Giobbe provato sino alla fine! poiché le sue risposte son quelle degli iniqui, 37 poiché aggiunge al peccato suo la ribellione, batte le mani in mezzo a noi, e moltiplica le sue parole contro Dio».


35.9 Si grida per le molte oppressioni, si levano lamenti per la violenza dei grandi;
 10 ma nessuno dice: 'Dov'è Dio, il mio creatore, che nella notte concede canti di gioia,
 11 che ci fa più intelligenti delle bestie de' campi e più savi degli uccelli del cielo?'
 12 Si grida, sì, ma egli non risponde, a motivo della superbia dei malvagi.
 13 Certo, Dio non dà ascolto a lamenti vani; l'Onnipotente non ne fa nessun conto.
 14 E tu, quando dici che non lo scorgi, la causa tua gli sta dinanzi; sappilo aspettare!
 15 Ma ora, perché la sua ira non punisce, perch'egli non prende rigorosa conoscenza delle trasgressioni,
 16 Giobbe apre vanamente le labbra e accumula parole senza conoscimento».


36.8 Se gli uomini son talora stretti da catene, se son presi nei legami dell'afflizione,
   9 Dio fa lor conoscere la lor condotta, le loro trasgressioni, giacché si sono insuperbiti;
 10 egli apre così i loro orecchi a' suoi ammonimenti, e li esorta ad abbandonare il male.
 11 Se l'ascoltano, se si sottomettono, finiscono i loro giorni nel benessere, e gli anni loro nella gioia;
 12 ma, se non l'ascoltano, periscono trafitti da' suoi dardi, muoiono per mancanza d'intendimento.
 13 Gli empi di cuore s'abbandonano alla collera, non implorano Iddio quand'egli li incatena;
 14 così muoiono nel fiore degli anni, e la loro vita finisce come quella dei dissoluti;
 15 ma Dio libera l'afflitto mediante l'afflizione, e gli apre gli orecchi mediante la sventura.
 16 Te pure ti vuole trarre dalle fauci della distretta, al largo, dove non è più angustia, e coprire la tua mensa tranquilla di cibi succulenti.
 17 Ma, se giudichi le vie di Dio come fanno gli empi, il giudizio e la sentenza di lui ti piomberanno addosso.
 18 Bada che la collera non ti trasporti alla bestemmia, e la grandezza del riscatto non t'induca a fuorviare!


37.1 A tale spettacolo il cuor mi trema e balza fuor del suo luogo.
   2 Udite, udite il fragore della sua voce, il rombo che esce dalla sua bocca!
   3 Egli lo lancia sotto tutti i cieli e il suo lampo guizza fino ai lembi della terra.
   4 Dopo il lampo, una voce rugge; egli tuona con la sua voce maestosa; e quando s'ode la voce, il fulmine non è già più nella sua mano.
   5 Iddio tuona con la sua voce maravigliosamente; grandi cose egli fa che noi non intendiamo.


38.1 Allora l'Eterno rispose a Giobbe dal seno della tempesta, e disse:
   2 «Chi è costui che oscura i miei disegni con parole prive di senno?»


42.1 Allora Giobbe rispose all'Eterno e disse:
   2 «Io riconosco che tu puoi tutto, e che nulla può impedirti d'eseguire un tuo disegno.
   3 Chi è colui che senza intendimento offusca il tuo disegno?... Sì, ne ho parlato; ma non lo capivo; son cose per me troppo maravigliose ed io non le conosco.
   4 Deh, ascoltami, io parlerò; io ti farò delle domande e tu insegnami!
   5 Il mio orecchio aveva sentito parlare di te ma ora l'occhio mio t'ha veduto.
   6 Perciò mi ritratto, mi pento sulla polvere e sulla cenere».


42.12 E l'Eterno benedì gli ultimi anni di Giobbe più de' primi.


42.16 Giobbe, dopo questo, visse centoquarant'anni, e vide i suoi figli e i figli dei suoi figli, fino alla quarta generazione.
    17 Poi Giobbe morì vecchio e sazio di giorni.

Il lebbroso purificato
Il lebbroso purificato
  1. Ed avvenne che, trovandosi egli in una di quelle città, ecco un uomo pieno di lebbra, il quale, veduto Gesù e gettatosi con la faccia a terra, lo pregò dicendo: Signore, se tu vuoi, tu puoi purificarmi.
  2. Ed egli, stesa la mano, lo toccò dicendo: Lo voglio, sii purificato. E in quell'istante la lebbra sparì da lui.
  3. E Gesù gli comandò di non dirlo a nessuno: Ma va', gli disse, mostrati al sacerdote ed offri per la tua purificazione quel che ha prescritto Mosè; e ciò serva loro di testimonianza.
  4. Però la fama di lui si spandeva sempre più; e molte turbe si adunavano per udirlo ed essere guarite delle loro infermità.
  5. Ma egli si ritirava nei luoghi deserti e pregava.
Marcello Cicchese
novembre 2015

Io vi lascio pace
Io vi lascio pace

Giovanni 14:27
  Io vi lascio pace; vi do la mia pace.
  Io non vi do come il mondo dà.
  Il vostro cuore non sia turbato e non si sgomenti.

Giovanni 16:33
  Vi ho detto queste cose, affinché abbiate pace in me.
  Nel mondo avrete tribolazione;
  ma fatevi animo, io ho vinto il mondo.

Matteo 11:28-30
  Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati,
  e io vi darò riposo.
  Prendete su voi il mio giogo ed imparate da me,
  perch'io sono mansueto ed umile di cuore;
  e voi troverete riposo alle anime vostre;
  poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero.

Marcello Cicchese
febbraio 2016

Salmo 62
Salmo 62
  1. Solo in Dio l'anima mia s'acqueta;
    da lui viene la mia salvezza.
  2. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza,
    il mio alto ricetto; io non sarò grandemente smosso.
  3. Fino a quando vi avventerete sopra un uomo
    e cercherete tutti insieme di abbatterlo
    come una parete che pende,
    come un muricciuolo che cede?
  4. Essi non pensano che a farlo cadere dalla sua altezza;
    prendono piacere nella menzogna;
    benedicono con la bocca,
    ma internamente maledicono. Sela.
  5. Anima mia, acquétati in Dio solo,
    poiché da lui viene la mia speranza.
  6. Egli solo è la mia ròcca e la mia salvezza;
    egli è il mio alto ricetto; io non sarò smosso.
  7. In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;
    la mia forte ròcca e il mio rifugio sono in Dio.
  8. Confida in lui ogni tempo, o popolo;
    espandi il tuo cuore nel suo cospetto;
    Dio è il nostro rifugio. Sela.
  9. Gli uomini del volgo non sono che vanità,
    e i nobili non sono che menzogna;
    messi sulla bilancia vanno su,
    tutti assieme sono più leggeri della vanità.
  10. Non confidate nell'oppressione,
    e non mettete vane speranze nella rapina;
    se le ricchezze abbondano, non vi mettete il cuore.
  11. Dio ha parlato una volta,
    due volte ho udito questo:
    Che la potenza appartiene a Dio;
  12. e a te pure, o Signore, appartiene la misericordia;
    perché tu renderai a ciascuno secondo le sue opere.
Marcello Cicchese
agosto 2017

Salmo 22
Salmo 22
  1. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Perché te ne stai lontano, senza soccorrermi, senza dare ascolto alle parole del mio gemito?
  2. Dio mio, io grido di giorno, e tu non rispondi; di notte ancora, e non ho posa alcuna.
  3. Eppure tu sei il Santo, che siedi circondato dalle lodi d'Israele.
  4. I nostri padri confidarono in te; e tu li liberasti.
  5. Gridarono a te, e furono salvati; confidarono in te, e non furono confusi.
  6. Ma io sono un verme e non un uomo; il vituperio degli uomini, e lo sprezzato dal popolo.
  7. Chiunque mi vede si fa beffe di me; allunga il labbro, scuote il capo, dicendo:
  8. Ei si rimette nell'Eterno; lo liberi dunque; lo salvi, poiché lo gradisce!
  9. Sì, tu sei quello che m'hai tratto dal seno materno; m'hai fatto riposar fidente sulle mammelle di mia madre.
  10. A te fui affidato fin dalla mia nascita, tu sei il mio Dio fin dal seno di mia madre.
  11. Non t'allontanare da me, perché l'angoscia è vicina, e non v'è alcuno che m'aiuti.

  12. Grandi tori m'han circondato; potenti tori di Basan m'hanno attorniato;
  13. apron la loro gola contro a me, come un leone rapace e ruggente.
  14. Io son come acqua che si sparge, e tutte le mie ossa si sconnettono; il mio cuore è come la cera, si strugge in mezzo alle mie viscere.
  15. Il mio vigore s'inaridisce come terra cotta, e la lingua mi s'attacca al palato; tu m'hai posto nella polvere della morte.
  16. Poiché cani m'han circondato; uno stuolo di malfattori m'ha attorniato; m'hanno forato le mani e i piedi.
  17. Posso contare tutte le mie ossa. Essi mi guardano e m'osservano;
  18. spartiscon fra loro i miei vestimenti e tirano a sorte la mia veste.
  19. Tu dunque, o Eterno, non allontanarti, tu che sei la mia forza, t'affretta a soccorrermi.
  20. Libera l'anima mia dalla spada, l'unica mia, dalla zampa del cane;
  21. salvami dalla gola del leone. Tu mi risponderai liberandomi dalle corna dei bufali.

  22. Io annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all'assemblea.
  23. O voi che temete l'Eterno, lodatelo! Glorificatelo voi, tutta la progenie di Giacobbe, e voi tutta la progenie d'Israele, abbiate timor di lui!
  24. Poich'egli non ha sprezzata né disdegnata l'afflizione dell'afflitto, e non ha nascosta la sua faccia da lui; ma quand'ha gridato a lui, ei l'ha esaudito.
  25. Tu sei l'argomento della mia lode nella grande assemblea; io adempirò i miei voti in presenza di quelli che ti temono.
  26. Gli umili mangeranno e saranno saziati; quei che cercano l'Eterno lo loderanno; il loro cuore vivrà in perpetuo.
  27. Tutte le estremità della terra si ricorderan dell'Eterno e si convertiranno a lui; e tutte le famiglie delle nazioni adoreranno nel tuo cospetto.
  28. Poiché all'Eterno appartiene il regno, ed egli signoreggia sulle nazioni.
  29. Tutti gli opulenti della terra mangeranno e adoreranno; tutti quelli che scendon nella polvere e non posson mantenersi in vita s'inginocchieranno dinanzi a lui.
  30. La posterità lo servirà; si parlerà del Signore alla ventura generazione.
  31. 31 Essi verranno e proclameranno la sua giustizia, e al popolo che nascerà diranno come egli ha operato.
Marcello Cicchese
settembre 2016

L'intoppo
L’intoppo che fa cadere nell’iniquità

Ezechiele 7:1-4
  1. E la parola dell'Eterno mi fu rivolta in questi termini:
  2. 'E tu, figlio d'uomo, così parla il Signore, l'Eterno, riguardo al paese d'Israele: La fine! la fine viene sulle quattro estremità del paese!
  3. Ora ti sovrasta la fine, e io manderò contro di te la mia ira, ti giudicherò secondo la tua condotta, e ti farò ricadere addosso tutte le tue abominazioni.
  4. E l'occhio mio non ti risparmierà, io sarò senza pietà, ti farò ricadere addosso tutta la tua condotta e le tue abominazioni saranno in mezzo a te; e voi conoscerete che io sono l'Eterno.

Ezechiele 8:1-13
  1. E il sesto anno, il quinto giorno del sesto mese, avvenne che, come io stavo seduto in casa mia e gli anziani di Giuda erano seduti in mia presenza, la mano del Signore, dell'Eterno, cadde quivi su me.
  2. Io guardai, ed ecco una figura d'uomo, che aveva l'aspetto del fuoco; dai fianchi in giù pareva di fuoco; e dai fianchi in su aveva un aspetto risplendente, come di terso rame.
  3. Egli stese una forma di mano, e mi prese per una ciocca de' miei capelli; e lo spirito mi sollevò fra terra e cielo, e mi trasportò in visioni divine a Gerusalemme, all'ingresso della porta interna che guarda verso il settentrione, dov'era posto l'idolo della gelosia, che eccita a gelosia.
  4. Ed ecco che quivi era la gloria dell'Iddio d'Israele, come nella visione che avevo avuta nella valle.
  5. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, alza ora gli occhi verso il settentrione'. Ed io alzai gli occhi verso il settentrione, ed ecco che al settentrione della porta dell'altare, all'ingresso, stava quell'idolo della gelosia.
  6. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, vedi tu quello che costoro fanno? le grandi abominazioni che la casa d'Israele commette qui, perché io m'allontani dal mio santuario? Ma tu vedrai ancora altre più grandi abominazioni'.
  7. Ed egli mi condusse all'ingresso del cortile. Io guardai, ed ecco un buco nel muro.
  8. Allora egli mi disse: 'Figlio d'uomo, adesso fora il muro'. E quand'io ebbi forato il muro, ecco una porta.
  9. Ed egli mi disse: 'Entra, e guarda le scellerate abominazioni che costoro commettono qui'.
  10. Io entrai, e guardai: ed ecco ogni sorta di figure di rettili e di bestie abominevoli, e tutti gl'idoli della casa d'Israele dipinti sul muro attorno;
  11. e settanta fra gli anziani della casa d'Israele, in mezzo ai quali era Jaazania, figlio di Shafan, stavano in piedi davanti a quelli, avendo ciascuno un turibolo in mano, dal quale saliva il profumo d'una nuvola d'incenso.
  12. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, hai tu visto quello che gli anziani della casa d'Israele fanno nelle tenebre, ciascuno nelle camere riservate alle sue immagini? poiché dicono: - L'Eterno non ci vede, l'Eterno ha abbandonato il paese'.
  13. Poi mi disse: 'Tu vedrai ancora altre più grandi abominazioni che costoro commettono'.

Ezechiele 14:1-11
  1. Or vennero a me alcuni degli anziani d'Israele, e si sedettero davanti a me.
  2. E la parola dell'Eterno mi fu rivolta in questi termini:
  3. 'Figlio d'uomo, questi uomini hanno innalzato i loro idoli nel loro cuore, e si sono messi davanti l'intoppo che li fa cadere nella loro iniquità; come potrei io esser consultato da costoro?
  4. Perciò parla e di' loro: Così dice il Signore, l'Eterno: Chiunque della casa d'Israele innalza i suoi idoli nel suo cuore e pone davanti a sé l'intoppo che lo fa cadere nella sua iniquità, e poi viene al profeta, io, l'Eterno, gli risponderò come si merita per la moltitudine dei suoi idoli,
  5. affin di prendere per il loro cuore quelli della casa d'Israele che si sono alienati da me tutti quanti per i loro idoli.
  6. Perciò di' alla casa d'Israele: Così parla il Signore, l'Eterno: Tornate, ritraetevi dai vostri idoli, stornate le vostre facce da tutte le vostre abominazioni.
  7. Poiché, a chiunque della casa d'Israele o degli stranieri che soggiornano in Israele si separa da me, innalza i suoi idoli nel suo cuore e pone davanti a sé l'intoppo che lo fa cadere nella sua iniquità e poi viene al profeta per consultarmi per suo mezzo, risponderò io, l'Eterno, da me stesso.
  8. Io volgerò la mia faccia contro a quell'uomo, ne farò un segno e un proverbio, e lo sterminerò di mezzo al mio popolo; e voi conoscerete che io sono l'Eterno.
  9. E se il profeta si lascia sedurre e dice qualche parola, io, l'Eterno, sono quegli che avrò sedotto il profeta; e stenderò la mia mano contro di lui, e lo distruggerò di mezzo al mio popolo d'Israele.
  10. E ambedue porteranno la pena della loro iniquità: la pena del profeta sarà pari alla pena di colui che lo consulta,
  11. affinché quelli della casa d'Israele non vadano più errando lungi da me, e non si contaminino più con tutte le loro trasgressioni, e siano invece mio popolo, e io sia il loro Dio, dice il Signore, l'Eterno'.
Marcello Cicchese
ottobre 2016

Salmo 125
Salmo 125
    Canto dei pellegrinaggi.
  1. Quelli che confidano nell'Eterno
    sono come il monte di Sion, che non può essere smosso,
    ma dimora in perpetuo.
  2. Gerusalemme è circondata dai monti;
    e così l'Eterno circonda il suo popolo,
    da ora in perpetuo.
  3. Poiché lo scettro dell'empietà
    non rimarrà sulla eredità dei giusti,
    affinché i giusti non mettano mano all'iniquità.
  4. O Eterno, fa' del bene a quelli che sono buoni,
    e a quelli che sono retti nel loro cuore.
  5. Ma quanto a quelli che deviano per le loro vie tortuose,
    l'Eterno li farà andare con gli operatori d'iniquità.
    Pace sia sopra Israele.
Marcello Cicchese
luglio 2017

La pazienza dl Dio
La pazienza di Dio e la nostra speranza
Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? Ma se speriamo ciò che non vediamo, noi l'aspettiamo con pazienza (Romani 8.25).

Marcello Cicchese
settembre 2017

Salmo 23
Salmo 23
  1. L'Eterno è il mio pastore, nulla mi manca.
  2. Egli mi fa giacere in verdeggianti paschi, mi guida lungo le acque chete.
  3. Egli mi ristora l'anima, mi conduce per sentieri di giustizia, per amore del suo nome.
  4. Quand'anche camminassi nella valle dell'ombra della morte, io non temerei male alcuno, perché tu sei con me; il tuo bastone e la tua verga sono quelli che mi consolano.
  5. Tu apparecchi davanti a me la mensa al cospetto dei miei nemici; tu ungi il mio capo con olio; la mia coppa trabocca.
  6. Certo, beni e benignità m'accompagneranno tutti i giorni della mia vita; ed io abiterò nella casa dell'Eterno per lunghi giorni.
Marcello Cicchese
settembre 2017

Il corpo dell'umiliazione
Il corpo della nostra umiliazione
Siate miei imitatori, fratelli, e riguardate a coloro che camminano secondo l'esempio che avete in noi. Perché molti camminano (ve l'ho detto spesso e ve lo dico anche ora piangendo), da nemici della croce di Cristo; la fine dei quali è la perdizione, il cui dio è il ventre, e la cui gloria è in quel che torna a loro vergogna; gente che ha l'animo alle cose della terra. Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli, da dove anche aspettiamo come Salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasformerà il corpo della nostra umiliazione rendendolo conforme al corpo della sua gloria, in virtù della potenza per la quale egli può anche sottoporsi ogni cosa.
Filippesi 3:17-21
Marcello Cicchese
giugno 2016

Una mente rinnovata
Il rinnovamento della mente
Vi esorto dunque, fratelli, per le compassioni di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, accettevole a Dio, il che è il vostro culto spirituale. e non vi conformate a questo secolo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza qual sia la volontà di Dio, la buona, accettevole e perfetta volontà.
Romani 12:1-2
Marcello Cicchese
gennaio 2017

Salmo 90
Salmo 90
  1. Preghiera di Mosè, uomo di Dio.
    O Signore, tu sei stato per noi un rifugio
    di generazione in generazione.
  2. Prima che i monti fossero nati
    e che tu avessi formato la terra e il mondo,
    da eternità a eternità tu sei Dio.
  3. Tu fai tornare i mortali in polvere
    e dici: Ritornate, o figli degli uomini.
  4. Perché mille anni, agli occhi tuoi,
    sono come il giorno d'ieri quand'è passato,
    e come una veglia nella notte.
  5. Tu li porti via come una piena; sono come un sogno.
    Son come l'erba che verdeggia la mattina;
  6. la mattina essa fiorisce e verdeggia,
    la sera è segata e si secca.
  7. Poiché noi siamo consumati dalla tua ira,
    e siamo atterriti per il tuo sdegno.
  8. Tu metti le nostre iniquità davanti a te,
    e i nostri peccati occulti, alla luce della tua faccia.
  9. Tutti i nostri giorni spariscono per il tuo sdegno;
    noi finiamo gli anni nostri come un soffio.
  10. I giorni dei nostri anni arrivano a settant'anni;
    o, per i più forti, a ottant'anni;
    e quel che ne fa l'orgoglio, non è che travaglio e vanità;
    perché passa presto, e noi ce ne voliamo via.
  11. Chi conosce la forza della tua ira
    e il tuo sdegno secondo il timore che t'è dovuto?
  12. Insegnaci dunque a così contare i nostri giorni,
    che acquistiamo un cuore saggio.
  13. Ritorna, o Eterno; fino a quando?
    e muoviti a pietà dei tuoi servitori.
  14. Saziaci al mattino della tua benignità,
    e noi giubileremo, ci rallegreremo tutti i giorni nostri.
  15. Rallegraci in proporzione dei giorni che ci hai afflitti,
    e degli anni che abbiamo sentito il male.
  16. Apparisca l'opera tua a pro dei tuoi servitori,
    e la tua gloria sui loro figli.
  17. La grazia del Signore Dio nostro sia sopra noi,
    e rendi stabile l'opera delle nostre mani;
    sì, l'opera delle nostre mani rendila stabile.

Marcello Cicchese
31 dicembre 2017

Dal Salmo 119
Salmo 119
  1. L'anima mia è attaccata alla polvere;
    vivificami secondo la tua parola.
  2. Io ti ho narrato le mie vie e tu m'hai risposto;
    insegnami i tuoi statuti.
  3. Fammi intendere la via dei tuoi precetti,
    ed io mediterò le tue meraviglie.
  4. L'anima mia, dal dolore, si strugge in lacrime;
    rialzami secondo la tua parola.
  5. Tieni lontana da me la via della menzogna,
    e, nella tua grazia, fammi intendere la tua legge,
  6. io ho scelto la via della fedeltà,
    mi son posto i tuoi giudizi dinanzi agli occhi.
  7. Io mi tengo attaccato alle tue testimonianze;
    o Eterno, non lasciare che io sia confuso.
  8. Io correrò per la via dei tuoi comandamenti,
    quando m'avrai allargato il cuore.

Marcello Cicchese
19 luglio 2018

Il giorno del riposo
Il giorno del riposo

Ricordati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa' in essi ogni opera tua; ma il settimo giorno è giorno di riposo, sacro all'Eterno, che è l'Iddio tuo; non fare in esso lavoro alcuno, né tu, né il tuo figlio, né la tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né il forestiero che è dentro alle tue porte; poiché in sei giorni l'Eterno fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò l'Eterno ha benedetto il giorno del riposo e l'ha santificato.

Esodo 20:8-11

Marcello Cicchese
dicembre 2014

Perché siete così ansiosi?
«Perché siete così ansiosi?»

Dal Vangelo di Matteo

CAPITOLO 6
  1. Nessuno può servire a due padroni; perché o odierà l'uno ed amerà l'altro, o si atterrà all'uno e sprezzerà l'altro. Voi non potete servire a Dio ed a Mammona.
  2. Perciò vi dico: Non siate con ansiosi per la vita vostra di quel che mangerete o di quel che berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito?
  3. Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutrisce. Non siete voi assai più di loro?
  4. E chi di voi può con la sua sollecitudine aggiungere alla sua statura anche un cubito?
  5. E intorno al vestire, perché siete con ansietà solleciti? Considerate come crescono i gigli della campagna; essi non faticano e non filano;
  6. eppure io vi dico che nemmeno Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro.
  7. Or se Dio riveste in questa maniera l'erba de' campi che oggi è e domani è gettata nel forno, non vestirà Egli molto più voi, o gente di poca fede?
  8. Non siate dunque con ansiosi, dicendo: Che mangeremo? che berremo? o di che ci vestiremo?
  9. Poiché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; e il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose.
  10. Ma cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno sopraggiunte. 34 Non siate dunque con ansietà solleciti del domani; perché il domani sarà sollecito di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno.
Marcello Cicchese
dicembre 2015



Fatti e Misfatti

Fondamenta dei diritti legali internazionali del popolo ebraico e dello Stato di Israele

PREFAZIONE

Fino a una decina di anni fa la dizione territori occupati riferita alle zone amministrate dall'Autorità Palestinese era usata soltanto dagli estremisti arabi ed era fermamente rifiutata dai governanti israeliani. Col passar del tempo la dizione è diventata talmente comune, ovvia accettata internazionalmente da non sembrare più bisognosa di alcuna spiegazione o precisazione. L'attenzione si è concentrata tutta sul comportamento dello Stato d'Israele, accusato di non volere ritirarsi da territori che non sono suoi.
Purtroppo, nella battaglia contro questa falsa accusa, i sostenitori di Israele in gran parte hanno sbagliato strategia perché hanno collocato la linea del fronte a una distanza troppo vicina ai fatti attuali. Si parla di sicurezza militare o di mancati accordi di equo scambio fra i contendenti, ma non si va alle radici originarie del problema.
Il presente estratto del lavoro di Cynthia Wallace, Foundations of the International Legal Rights of the Jewish People and the State of Israel, indica invece il luogo dove dovrebbe essere posta la linea di difesa dello Stato d'Israele: quello del diritto internazionale, secondo cui tutti i cosiddetti territori occupati appartengono di diritto allo Stato d'Israele. Se si vuol dire che sono territori occupati, bisogna aggiungere che sono stati illegalmente occupati, prima da Egitto e Giordania, poi da Fatah e Hamas con il consenso di quelle Nazioni Unite che sono state le prime ad agire illegalmente sul piano internazionale negando a Israele il diritto di esercitare la totale sovranità su quella striscia di terra che le potenze vincitrici della Guerra Mondiale avevano ritagliato all'interno dello sconfitto Impero Turco all'unico scopo di dare agli ebrei la possibilità di ricostituire la loro nazione in quel paese, come dichiara testualmente il documento costitutivo del Mandato per la Palestina, redatto nella Conferenza di Sanremo del 24 aprile 1920 e approvato dal Consiglio della Società delle Nazioni il 24 luglio 1922.
Marcello Cicchese

*

POSTFAZIONE
del benedire e maledire Israele

Leggendo questo elaborato si comprende quanto importante sia stata la Dichiarazione di Sanremo dell'aprile 1920 e quanto tragiche siano state le conseguenze, ma ancora oggi riscontrabili, riguardo la sua mancata applicazione.
Tale in adempimento verso una risoluzione chiaramente e dettagliatamente indicata, conferma inoltre il giudizio divino sulle nazioni coinvolte (Gioele 3:2).
Non solo le nazioni firmatarie (Gran Bretagna, Francia, Italia e Giappone) sono state coinvolte in questo giudizio storico, ma anche singoli personaggi che in misura diversa hanno ostacolato o reso difficile la risoluzione della dichiarazione, hanno sperimentato vere tragedie personali.
Tutto ciò è evidente; partendo dal ruolo poco chiaro dello sceicco Faysal interessato all'area ad est del confine con la Palestina, che morì improvvisamente nel 1933 [solo un anno dopo della partecipazione dell'Irak alla Società delle Nazioni]; arrivando alla sorte del figlio che morì in un incidente d'auto nel 1939. Il suo successore, nipote di Faysal, venne ucciso nel 1958 nel corso di un colpo di stato. Nel 1935 Thomas Edward Lawrence, (Lawrence d'Arabia) perse la vita in un incidente di moto. Anche Gertrude Bell, archeologa faccendiera vicina a Faysal e allo spionaggio britannico, si suicidò nel 1926.
Il diplomatico britannico Arnold Wilson, che si dimise poco dopo per lavorare con l'Anglo-Persian Oil [la scoperta del petrolio fu una delle concause che mandò a monte la Dichiarazione di Sanremo], cadde in combattimento mentre era in servizio come mitragliere su un aereo in volo sopra Dunkerque.
Anche sul fronte francese possiamo ricordare la decadenza della carriera diplomatica di Picot che lo portò a ritirarsi dal servizio diplomatico francese nel 1932 scomparendo dalla Storia.
Sia la Gran Bretagna che la Francia pagarono un prezzo molto elevato per il ruolo da loro svolto negli accordi di pace in Medio Oriente.
Per le altre due nazioni presenti a Sanremo il 25 aprile 1920 è sufficiente considerare la storia recente: l'Italia con il fascismo, le leggi razziali e la tragedia della II Guerra Mondiale mentre il Giappone con i bombardamenti atomici di Hyroshima e Nagasaki.
La profezia di Gioele 3:2 non stonerebbe titolando qualche attuale commento giornalistico sulla politica estera in Medio Oriente:

    [ ... ] le chiamerò in giudizio a proposito della mia eredità, il popolo d'Israele che esse hanno disperso tra le nazioni, che hanno spartito fra di loro.

Conseguente al Mandato Britannico per la Palestina risulta evidente che la vicenda dello Stato di Israele è stata caratterizzata da fatti più o meno ingarbugliati e misfatti senz'altro più evidenti.
Tutto questo ci ricorda un eloquente passo della Bibbia:

    Perciò Dio manda loro una potenza d'errore perchè credano alla menzogna (2Tessalonicesi 2:11)

Quale può essere il compito di quanti hanno a cuore Israele e il suo popolo in un tempo come questo?
Una metafora ostetrica può aiutarci a capire meglio il nostro ruolo. Israele è stato concepito nel grembo della storia il 25 aprile 1920 con la Dichiarazione di Sanremo. Si è verificata poi una tremenda minaccia d'aborto con la Shoà. Scampato il pericolo, l'inizio delle doglie corrisponde al 29 novembre 1947 con la risoluzione 181 all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per poi nascere il 14 maggio del 1948.
Ma Israele nacque con il forcipe della storia e come spesso succede in questi casi è nato lesionato e mutilato di gran parte del suo territorio. Da allora c'è un processo di riabilitazione e di recupero ... recupero di tutti i territori biblici di cui si vuole disconoscere l'ebraicità in primis Giudea e Samaria impropriamente chiamate West Bank.
Ecco noi dovremo essere i tecnici di riabilitazione e recupero per riportare Israele nello stato territoriale delle decisioni di Diritto Internazionale sostenendo tutte le iniziative con questa finalità.

Ivan Basana

(Notizie su Israele, 9 novembre 2023)
____________________

"Israele: serviamo la verità sulla Palestina"

........................................................


Israele, il comandante Nethanel (un insegnante): «Richiamato per guidare carri armati». Ecco cosa succede nella base prima dell'attacco

Il carrista: «Non è facile combattere di fronte a civili usati come scudi da Hamas»

SDEROT - Il centro di comando sud dell’esercito israeliano è immenso, una base militare grande come una città. È da qui che si gestisce la missione che sta circondando la città di Gaza. Siamo in mezzo al deserto, in una località che per ragioni di sicurezza non si può rivelare. L’area dove vengono stipati i blindati è enorme, carri armati a perdita d’occhio. Alla 14° brigata viene concesso di parlare con i giornalisti «seguendo le indicazioni dei superiori». C’è un comandante che parla italiano, si chiama Nethanel e mentre passeggia tra le macchine da guerra racconta la sua storia: «Nella vita normale faccio l’insegnante ma sono stato richiamato per guidare uno di questi». Un professore su un carro armato, è questa la realtà oggi in Israele. Nethanel schiva con la testa il cannone di un Merkava: «Vecchia roba, questa, è un seconda serie. Io sono stato al comando di un "quarta generazione", altra storia».
   Il carrista non è ancora stato impiegato per le operazioni nella Striscia, ma è in contatto con gli amici al fronte: «Non è facile combattere una guerra quando ti trovi davanti i civili, Hamas li usa come scudi umani. La differenza tra Israele e Hamas è che noi proteggiamo i civili, loro li usano per proteggersi».
   Nella base è in corso una dimostrazione delle manovre di primo soccorso. John - medico di brigata - mostra come applicare un tourniquet (laccio emostatico, ndr) in caso di ferite gravi. «Il nostro battaglione di carristi e la nostra fanteria sono a Gaza. Portare via i feriti è molto pericoloso ma è il mio lavoro». Tante le storie dei suoi uomini caduti in battaglia, ma tra queste ce n’è una che non riesce a rimuovere dalla mente: «Uno dei nostri è stato colpito alla clavicola da un cecchino, ci abbiamo messo meno di un minuto per intervenire. Abbiamo provato a fare tutto il possibile per salvarlo ma purtroppo non c’è l’ha fatta. Non lo conoscevo ma è come se mi fosse morto mio figlio». Un medico salva le vite tutti i giorni, anche in guerra e anche quelle del nemico: «Se incontriamo un ferito dobbiamo curarlo. Non importa che sia un civile o un combattente di Hamas, i nostri medici devono fare tutto il possibile per salvarlo. Io stesso ho curato dei terroristi in passato, inclusi dei kamikaze che hanno cercato di farsi saltare in aria».
   In Israele la leva è obbligatoria per tutti, tre anni per gli uomini e due per le donne. Tanti sono i giovani che si ritrovano con un’arma in mano pronti a difendere il proprio paese, con tutti i rischi che comporta: «Serve disciplina, è fondamentale indirizzare i novizi. Noi siamo uomini adulti con esperienza, con le famiglie a casa che ci aspettano, non siamo diciottenni appena arruolati - spiega il tenente colonnello Daniel Helob Arama -. I rischi maggiori per i nostri soldati a Gaza sono i razzi anticarro dei terroristi e le mine. A questi si aggiungono i fucili AK-47 molto in voga tra i combattenti di Hamas. Sono minacce importanti ma non fermeranno la nostra missione, abbiamo tecnologie di difesa molto avanzate in grado di proteggere i nostri ragazzi». La logistica è un aspetto fondamentale per combattere una guerra. «Mi occupo di fornire alle nostre forze in prima linea tutto quello di cui hanno bisogno», spiega Ram, un soldato riservista che il 7 ottobre si è presentato al centro di comando pronto a dare il suo contributo: «Dopo aver realizzato cosa stava accadendo ho preparato il mio zaino e ho detto a mia moglie “non tornerò a casa finché non avrò finito la mia missione. Ci sono persone da salvare e non posso lasciare che questo accada di nuovo”». 

• VITE SOSPESE
  Vite sospese, famiglie spezzate. Ram ha una bambina di 3 anni: «Mi manda video tutti i giorni, mi chiede quanto tornerò». Ma come fa un padre di famiglia a vivere con il rimorso di aver ucciso degli innocenti? «Lo scopo di tutto questo non è uccidere più palestinesi possibile. Noi stiamo soffrendo per via di Hamas, i palestinesi hanno lo stesso problema: Hamas li sta costringendo a rimanere a Gaza con la forza, dobbiamo fermarli». Kim è una giovane soldatessa che imbraccia orgogliosa il suo fucile d’assalto di ultima generazione, un Tar-21. Non può essere impiegata a Gaza per via della poca esperienza, però è determinata: «Non avrei paura di andare al fronte. Israele è la mia patria è farò qualsiasi cosa per difenderla. Lo devo ai caduti, al mio comandante che è morto in battaglia». Proviamo a chiederle cosa pensa quando vede le immagini di feriti e morti civili di Gaza che corrono sui social ma veniamo interrotti da un superiore: «Non è una domanda a cui lei è autorizzata a rispondere». 

(Il Messaggero, 9 novembre 2023)

........................................................


Israele ripete a Biden: nessun cessate il fuoco per Gaza!

Israele non rischierà che Hamas si riorganizzi e certamente non farà concessioni finché gli israeliani saranno tenuti prigionieri a Gaza.

L'amministrazione Biden continua a fare pressione su Israele per una "pausa umanitaria", se non per un cessate il fuoco completo, nella sua offensiva contro le forze di Hamas a Gaza. Questo nonostante la Casa Bianca affermi di sostenere pienamente gli sforzi di Israele per sradicare la minaccia di Hamas che ha portato tanta morte e distruzione nel sud di Israele il 7 ottobre e ha scatenato l'attuale guerra.
   Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha confermato martedì che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha respinto la sua ulteriore richiesta di una pausa nei combattimenti a Gaza.
   "Gli ho chiesto una pausa. Ha rifiutato", ha detto Biden rispondendo alla domanda di un giornalista durante un evento alla Casa Bianca a Washington. "Sto ancora aspettando altre cose".
   Durante una telefonata di lunedì, i due leader hanno discusso "la possibilità di pause tattiche" per consentire ai residenti di Gaza "di uscire in sicurezza dalle aree in cui sono in corso i combattimenti, per garantire che gli aiuti raggiungano i civili che ne hanno bisogno e per consentire l'eventuale rilascio di ostaggi", secondo un rapporto della Casa Bianca.
   Netanyahu ha ribadito lunedì in un'intervista con ABC News che "non ci sarà alcun cessate il fuoco a Gaza senza il rilascio dei nostri ostaggi".
   Una simile pausa, ha detto Netanyahu, "ostacolerebbe lo sforzo bellico. Ostacolererebbe i nostri sforzi per liberare gli ostaggi. L'unica cosa che funzionerà su questi criminali di Hamas è la pressione militare che eserciteremo", ha spiegato.
   Le forze israeliane hanno aperto ogni giorno da sabato un corridoio umanitario nella Striscia di Gaza per consentire ai residenti del nord di Gaza di evacuare attraverso Wadi Gaza verso la zona sicura a sud, nonostante il fuoco dei terroristi di Hamas.
   Avichay Adraee, il portavoce di lingua araba delle Forze di Difesa Israeliane, ha pubblicato martedì un video di un convoglio di centinaia di residenti di Gaza che camminavano verso sud lungo il percorso di Salah al-Din. Alcuni di loro sembravano alzare le mani e altri portavano bandiere bianche.

• Herzog a Harris: nessun cessate il fuoco fino alla restituzione degli ostaggi
  Il presidente israeliano Isaac Herzog ha detto martedì alla vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris che non ci sarà alcun cessate il fuoco nella lotta contro Hamas finché il gruppo terroristico palestinese non rilascerà gli oltre 240 ostaggi detenuti nella Striscia di Gaza.
   Harris ha chiamato Herzog per esprimere la sua solidarietà allo Stato ebraico mentre il Paese osservava una giornata di commemorazione un mese dopo l'invasione di Hamas del 7 ottobre e il massacro di 1.400 persone.
   Herzog "ha ribadito l'apprezzamento del popolo israeliano per l'incrollabile sostegno del presidente Biden e della sua amministrazione  e  "ha ribadito la dichiarazione del Primo Ministro Netanyahu che non ci può essere cessate il fuoco senza il rilascio degli ostaggi detenuti da Hamas, che includono donne, uomini, anziani, bambini e neonati di soli 10 mesi", si legge nel comunicato.
   Harris "ha espresso il suo sostegno al diritto di Israele all'autodifesa e ha sottolineato l'importanza del benessere della popolazione civile e della situazione umanitaria a Gaza".
   Nella sua risposta, Herzog ha sottolineato che Gerusalemme sta rispettando il diritto umanitario internazionale, continuando a difendersi e a distruggere le infrastrutture terroristiche di Hamas radicate nella popolazione civile della Striscia di Gaza.
   Il Presidente ha anche fatto riferimento al "continuo impegno di Israele nella consegna di aiuti umanitari a Gaza, che sono aumentati in modo significativo negli ultimi giorni, anche se agli ostaggi israeliani è stato negato l'accesso alla Croce Rossa Internazionale e non è stata data alcuna informazione sul loro benessere", si legge nel comunicato.
   Infine, i due leader hanno parlato della loro comune preoccupazione per il drammatico aumento dell'antisemitismo nel mondo, con Herzog che ha espresso la sua preoccupazione per la morte di un sostenitore di Israele a seguito di una manifestazione pro-Hamas negli Stati Uniti.

(Israel Heute, 9 novembre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


L’innocenza dei civili e l’ipocrisia americana

Sentiamo ripetere spesso in questi giorni che, come da copione, la reazione di Israele a Gaza è eccessiva, sproporzionata, criminale, il solito ineffabile Antonio Guterres ci informa per sua bocca o bocca a cui vengono fornite le parole più di effetto, che Gaza è “un cimitero di bambini”.
Le cifre relative ai morti civili a Gaza le fornisce doviziosamente Hamas, lo stesso che ci informò che l’ospedale Al Shifa era stato bombardato dagli israeliani e che erano morte 500 persone.
Ma ammettiamo pure che le cifre fornite da Hamas siano vicine alla verità. Sicuramente sono parecchie le migliaia di vittime civili, e sicuramente molte di esse sono bambini. Non esistono guerre in cui i bambini non muoiano, non si tratta di una affermazione cinica, si tratta di una constatazione ovvia. Se non si vuole che in guerra muoiano i bambini c’è solo un modo per evitarlo, non farla.
Gli Stati Uniti, assai sensibili alle vittime civili, e continuamente prodighi di esortazioni nei confronti di Israele a ridurne il numero e a concedere pause umanitarie, sono gli stessi che a Mosul, nel 2017, per distruggere l’Isis che ne aveva fatto una sua roccaforte diedero vita a una delle più brutali guerre urbane della storia contemporanea, bombardando a ritmo serrato la citta e distruggendo uno dopo l’altro gli edifici. Il numero preciso di morti civili, tra cui bambini, non si conosce con esattezza, ne, con ogni probabilità, si conoscerà mai. La stima dell’Associated Press è tra i 5000 e gli 11,000, quella dei Servizi curdi, la innalza a 40,000.
Non si ricordano pressanti esortazioni sugli americani per aprire corridoi umanitari e nemmeno affermazioni da parte di Guterres su Mosul, cimitero di bambini.
L’obbiettivo americano era di distruggere l’ISIS, e per raggiungerlo era legittimo, secondo loro, radere Mosul al suolo, ma per Israele, si sa, valgono criteri difformi, anche se il suo obbiettivo è il medesimo che gli Stati Uniti si erano dati nel 2017, distruggere una formazione terroristica islamica che, quanto a radicalismo e a capacità di efferatezze, il 7 ottobre scorso ha superato l’ISIS.
Concludiamo, dedicandoci a un altro refrain, quello dell'”innocenza” dei gazawi, ovvero, della non colpevolezza dei civili per le atrocità commesse da Hamas, nei confronti del quale nessuno dei due milioni e mezzo di abitanti della Striscia si è mai ribellato dal 2007 a oggi.
L'”innocenza” dei civili, della popolazione, relativamente ai regimi dispotici che hanno permesso venissero in essere, e contro i quali non si sono mai ribellati, (come è avvenuto più volte in Iran, per esempio, con, purtroppo, scarso successo), è una questione scabrosa. Con il medesimo criterio bisognerà sostenere che fossero innocenti anche i sessanta milioni di tedeschi che negli anni ’40 fecero del Führer il loro incontrastato beniamino (con una parentesi per i bambini, loro sì, vittime innocenti di un clima culturale nutrito di odio).
Impossibile separare i fiancheggiatori e i sostenitori dagli avversatori e dai ribelli, il criterio, a Gaza manca.
In una guerra, come in quella attuale di Israele a Gaza, e come fu per gli Stati Uniti a Mosul, la morte dei civili, uomini, donne, bambini, diventa, come in ogni guerra, il corollario inevitabile dell’obbiettivo che ci si è posti, distruggere il nemico.

(L'informale, 9 novembre 2023)

........................................................


Il vento dell’odio sul Regno Unito. Parla l’esperto Michael Whine

di Nathan Greppi

Da quando si sono verificati gli attacchi di Hamas del 7 ottobre e la conseguente reazione israeliana contro il gruppo terroristico a Gaza, nel Regno Unito, così come in molti altri paesi europei, si sono moltiplicati esponenzialmente gli episodi di antisemitismo e le manifestazioni contro Israele. Un clima che ha portato anche a faide interne al Partito Laburista, dove l’attuale leader Keir Starmer dal 2020 cerca di ripulire il partito dagli elementi antisemiti che proliferavano sotto la guida del suo predecessore Jeremy Corbyn.
   A fare il punto della situazione con Mosaico, forte di una pluridecennale esperienza in merito, è il ricercatore Michael Whine: co-fondatore del Community Security Trust (CST), la più importante organizzazione britannica per la lotta all’antisemitismo, vi ha lavorato per 35 anni, ricoprendo nell’ultimo periodo il ruolo di Direttore per il Governo e gli Affari Internazionali. Negli anni è stato consulente per il contrasto dei crimini d’odio per diverse istituzioni, tra le quali il World Jewish Congress, il Ministero della Giustizia britannico e il Crown Prosecution Service (il pubblico ministero inglese per i procedimenti penali). Ha scritto decine di saggi e articoli per riviste scientifiche in merito ai temi dell’antisemitismo, del terrorismo e degli estremismi politici e religiosi.

- Nelle ultime settimane, abbiamo visto molte proteste antisraeliane nel Regno Unito, e persino persone che strappavano i manifesti degli israeliani rapiti. Quanto è diffuso l’odio antisraeliano e antiebraico nel paese?
   L’antisemitismo è aumentato drammaticamente dall’inizio delle ostilità il 7 ottobre. Secondo il CST, 1019 episodi gli sono stati riportati negli ultimi 28 giorni, il più alto tasso mai registrato in un tale periodo di tempo. Questo numero è probabilmente destinato ad aumentare intanto che si indaga su ulteriori rapporti, ma già adesso includono 47 aggressioni, 67 casi di danni e vandalismi a proprietà ebraiche, 102 minacce rivolte direttamente ai singoli e altro ancora.
Si è verificato anche un aumento considerevole della propaganda antisraeliana, in alcuni casi sanzionabile secondo il diritto penale. La settimana scorsa, il Crown Prosecution Service ha annunciato che due persone verranno indagate per materiali antisemiti che hanno esposto ad una manifestazione antisraeliana.

- Dopo che è emerso come Israele non c’entrava con il razzo caduto vicino all’ospedale, la BBC si è dovuta scusare per aver dato credito alla versione di Hamas. Nei media inglesi vi è un forte pregiudizio nei confronti d’Israele?
   Generalmente i media cartacei inglesi sono neutrali, e molti dei più importanti quotidiani nazionali sono filoisraeliani e riconoscono l’antisemitismo delle organizzazioni palestinesi. La stampa periodica di solito è pro-Israele, anche se propensa a pubblicare titoli beceri in prima pagina per attirare i lettori.
   I problemi sorgono con le principali emittenti televisive e radiofoniche. La BBC, che sarebbe tenuta ad adottare una posizione neutrale, nell’ultimo mese ha licenziato o sospeso molti dei suoi corrispondenti dal Medio Oriente a causa di discorsi antisraeliani. All’interno della comunità ebraica e del Parlamento, vi è una critica diffusa verso la BBC per aver considerato la propaganda di Hamas come una fonte veritiera senza aver prima verificato i fatti, e per aver chiamato quelli di Hamas “miliziani” invece che “terroristi”.
   Personalmente, già 25 anni fa ho partecipato ad incontri con i piani alti della loro redazione, per esprimere la nostra preoccupazione in merito alle loro trasmissioni antisraeliane. In passato hanno nominato una figura chiave per monitorare il loro lavoro, ma pare che siano ritornati alle vecchie abitudini. Le emittenti commerciali, quali l’ITN, Sky e i canali locali, sono più attente al riguardo.
   Quello che invece accomuna tutti i media è la preoccupazione per i civili palestinesi ritrovatisi in mezzo al fuoco incrociato, anche se in pochi fanno notare che è l’Egitto a rifiutarsi di far passare i profughi.

- Vi è una divisione interna ai laburisti tra le posizioni di Starmer e gli elettori filopalestinesi. Il partito è cambiato dopo che Corbyn ha perso la leadership, o hanno ancora problemi di antisemitismo?
   Il Partito Laburista sta ancora attraversando una fase dei cambiamenti imposti da Keir Starmer e dai suoi alleati politicamente moderati, ma rimane ancora molto lavoro da fare. In anni recenti, il Labour si è presentato come la scelta naturale per gli elettori musulmani, e ciò si riflette nelle loro critiche nei confronti di Starmer degli ultimi giorni. Molti musulmani eletti in cariche pubbliche si sono dimessi in seguito al suo rifiuto di chiedere a Israele un cessate il fuoco nell’offensiva contro i terroristi.

- Il Primo Ministro scozzese Humza Yousaf si è mostrato più critico verso Israele, soprattutto perché aveva i suoceri nella Striscia di Gaza (riusciti a uscirne assieme ad altri cittadini britannici, ndr). Tra le opinioni pubbliche inglese e scozzese, vi sono delle differenze per quanto riguarda Israele e l’antisemitismo?
   La Scozia è tradizionalmente filosemita e filoisraeliana. Il governo scozzese mantiene buone relazioni con il Comitato Scozzese delle Comunità Ebraiche. Nell’ultimo lavoro di cui mi sono occupato prima della pandemia da Covid, trascorsi una giornata ad Edimburgo con alti rappresentanti della polizia scozzese e del governo, negoziando per l’organizzazione di attività di addestramento congiunte che erano vicine ad essere istituite.

- Ritiene che nel Regno Unito vi sia il rischio di attentati terroristici contro la comunità ebraica? Nel caso, crede che il governo sia abbastanza consapevole del rischio oppure no?
   Il rischio c’è, e proviene dai gruppi jihadisti come Hamas, così come dai terroristi di estrema destra. Il governo britannico e la polizia sono consci della minaccia, e hanno dimostrato le loro preoccupazioni finanziando i servizi di sicurezza per tutte le scuole ebraiche, aumentando i pattugliamenti e incontrandosi regolarmente con il CST. Proprio il CST, alcuni anni fa, istituì un incontro per valutare la minaccia terroristica al quale parteciparono ufficiali di polizia provenienti da tutta la Gran Bretagna.

(Bet Magazine Mosaico, 9 novembre 2023)

........................................................


Spade di ferro - giorno 32. La guerra aerea e quella di terra

di Ugo Volli

La situazione di Gaza prima della guerra
  Vale la pena di ripetere un dato su quel che succede in Israele e dintorni, che sempre è ignorato dalla propaganda “pacifista”: non si tratta di un’operazione di Israele, ma di una guerra. Le guerre cominciano di solito da una parte sola e vanno avanti con scambi fra le due parti, fino a che una cede e smette. Così è stato per questo conflitto. Esso è nato in una situazione di calma abbastanza buona, in relazione alle abitudini della regione. Israele lasciava passare dal valico con Gaza tutte le merci che servivano alla popolazione, perfino quelle di cui si sapeva che avessero un possibile uso “doppio” (civile e militare), come i tubi metallici per l’acqua che Hamas ha trasformato poi spesso in razzi; permetteva che il Qatar passasse all’amministrazione di Gaza (cioè a Hamas) molti milioni di dollari ogni mese, trasportati in contanti dai suoi inviati; ammetteva migliaia di lavoratori ogni giorno a lavorare in Israele. Di recente su proposta del comando militare incaricato dell’amministrazione dei palestinesi, questi permessi di lavoro ai frontalieri erano cresciuti fino a quasi ventimila ingressi al giorno (e oggi ci si chiede tristemente quanti di essi fossero terroristi che in questa maniera potevano ispezionare il territorio, una conoscenza che poi sarebbe stata sfruttata per la strage). C’erano ogni tanto manifestazioni sotto la barriera di sicurezza: i responsabili della sicurezza israeliana pensavano che fossero gesti simbolici per mantenere la presa sugli “estremisti” e invece erano prove e preparativi per l’invasione. Insomma, non c’era scontro, a Gaza i beni anche di lusso non mancavano, c’erano alberghi a quattro stelle, saloni con automobili costosissime, iPhone dell’ultima generazione, mercati riforniti con cibi raffinati. C’erano anche poveri, naturalmente, ma non mancava una classe media e soprattutto un certo numero di super-ricchi, di solito appartenenti alla dirigenza di Hamas o a essa vicini. Tutt’altro che una “prigione a cielo aperto”, come ripetono i pappagalli della propaganda anti-israeliana; anche perché era aperta la frontiera con l’Egitto. L’idea di Israele era che fosse bene far crescere questo benessere, che avrebbe convinto la gente sui vantaggi della convivenza.

(Notizie su Israele, 9 novembre 2023)

........................................................


La guerra nei cieli
  Invece il 7 ottobre, senza pretesti, di sorpresa, i terroristi hanno iniziato una guerra, mandando 3000 terroristi a compiere la strage di civili israeliani e sparando migliaia di missili su Israele. Israele ha risposto, ha respinto i terroristi, ha iniziato a smantellare con i bombardamenti aerei le strutture di Hamas, infine è entrato a Gaza. Questa è una guerra provocata da Hamas (e dei suoi soci, da non dimenticare mai: Jihad Islamica e Brigate dei Martiri di Al Aqsa, affiliata a Fatah). È importante considerare che il conflitto ha continuato e continua a essere una guerra che ha due lati (anzi quattro o cinque, perché bisogna considerare gli alleati di Hamas in Libano, Siria, Yemen e in Giudea e Samaria, che sono intervenuti nel conflitto). Infatti ancora i terroristi sparano su Israele, non solo dentro Gaza, dove essi ogni giorno attaccano in forze i soldati israeliani quando possono, ma pure sullo stesso territorio israeliano. Anche ieri ci sono stati dei lanci di missili da Gaza diretti a Tel Aviv e dintorni, che per fortuna per lo più sono finiti in mare; altri missili continuano ad arrivare dal nord e dal nord-est in quantità crescenti, e perfino dallo Yemen, a 1600 chilometri di distanza. Si calcola che ci siano stati finora circa 10.000 missili lanciati su Israele, ciascuno con un carico esplosivo capace di distruggere una casa e di uccidere decine di persone. La guerra missilistica, tutta diretta a obiettivi civili, sulle città e non sulle basi militari (il che è un crimine di guerra) non ha provocato le terribili stragi cui mirava solo perché Israele ha investito moltissimo sulla difesa contro questi attacchi: quasi ogni casa, asilo, scuola, ufficio ha un rifugio o almeno una stanza blindata in cui gli abitanti minacciati possono rifugiarsi. E soprattutto c’è una difesa di missili antimissile in tre strati: la “Cupola di Ferro” per i lanci da vicino, che in questa guerra ha ottenuto circa l’88% di abbattimenti fra missili e droni; la “Fionda di Davide” per missili di portata intermedia (intorno alle centinaia di chilometri) che ha eliminato tutte le 60 minacce di questo tipo (100% di successi) e “Freccia 7” per i missili balistici, sperimentata per prima volta, che ha fatto esplodere fuori dall’atmosfera entrambi i missili di portata intercontinentale lanciati dallo Yemen, in quella che è forse la prima battaglia spaziale della storia. Contro i missili da crociera dello Yemen (un proiettile che viaggia piuttosto lentamente ma su lunghe distanze, anche raso al suolo e con capacità di manovra diversiva), sono intervenuti con successo gli aerei F35. Anche questa è una novità assoluta.

L’operazione di terra
  Nel frattempo continua l’operazione di terra, che serve a distruggere l’apparato di Hamas e degli altri gruppi, ma mira anche a impedire i lanci di razzi, che continuano, distruggendo i lanciarazzi che sono stati trovati anche dentro scuole e moschee, sotto parchi giochi e nelle case. Ma uno scopo importantissimo dell’offensiva di terra è la liberazione degli ostaggi, di cui purtroppo non si hanno notizie. Sarebbe sbagliato contrapporre questi obiettivi. I terroristi come insegna il caso Shalit, non liberano spontaneamente le persone che hanno rapito, ma cercano di farne oggetto di un infame commercio. Solo la pressione militare può salvare gli ostaggi.

(Shalom, 8 novembre 2023)

........................................................




........................................................


Israele: ucciso il capo del progetto missilistico di Hamas

Nella notte compiute altre importanti missioni

di Sarah G. Frankl

GERUSALEMME – Le forze di difesa di Israele (IDF) hanno reso noto che questa notte è stato ucciso Muhsin Abu Zina, uno dei più importanti esperti di produzione di missili e razzi di Hamas, considerato dallo Shin Bet il capo del progetto missilistico del gruppo terrorista palestinese che da decenni tiene in ostaggio la Striscia di Gaza.
Per il servizio segreto dell’esercito Muhsin Abu Zina era invece il capo della divisione “industrie e armamenti” del gruppo terroristico.
In ogni caso questa notte è stata decapitata un’altra testa dell’Idra del terrore.
In operazioni sul terreno l’IDF ha eliminato una squadra di terroristi in possesso di micidiali armi anticarro mentre un attacco aereo ha eliminato una intera cellula di terroristi che si apprestava al lancio di missili e razzi contro il territorio israeliano.
Il Ministro della difesa israeliano, Yoav Gallant, ha detto che l’IDF sta ora operando “nel cuore” di Gaza City e sta “stringendo il cappio” attorno ad Hamas.
Nel frattempo il Primo Ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, ha esortato la Croce Rossa Internazionale a chiedere accesso agli ostaggi per verificare le loro condizioni.
Netanyahu ha anche detto che l’IDF sta entrando in profondità a Gaza in un modo che “Hamas non se lo sarebbe mai aspettato”.
In merito alla possibile apertura del fronte nord, Netanyahu ha invitato Hezbollah a “non commettere il più grande errore della sua vita” entrando in guerra con Israele.

(Rights Reporter, 8 novembre 2023)

........................................................


Le gallerie sventrate di Hamas. A Gaza prime bandiere bianche

di Fiamma Nirenstein

Dalla nuvola di sabbia che avvolge Gaza in queste ore, si disegna un'immagine fatale: una processione di centinaia di persone che camminano con energia su una strada principale, forse la famosa Salahadin che taglia tutta la striscia da Nord a Sud. Fuggono verso il sud e portano bene in alto, che si vedano, delle bandiere bianche. Stavolta non sembra, come si è visto in altri filmati, che Hamas fermi la loro marcia sparando per non permettere che si sguarnisca nel nord assediato da Tzahal il suo scudo umano. Stavolta Hamas ha solo cercato invano di far sparire il film dai social, ma sono rimaste le immagini che significano resa. Il simbolo è pesante per Hamas, il Medio Oriente odia i perdenti, e anche l’Iran e gli Hezbollah lo vedono. Se l’episodio non significa ancora che la guerra sia prossima a concludersi, tuttavia c’è la sensazione che la strada sia segnata: l’esercito affronta con risultati impressionanti il difficilissimo terreno della città di Gaza, una fortezza costruita negli anni, dallo sgombero del 2005, per gli scopi bellici del regime.
   La sua maggiore caratteristica è l'incredibile rete di gallerie: gallerie piccole e grandi, orizzontali e verticali, non sono costruite sotto la città: è la città che è costruita sulle gallerie. Sono fatte per dirigere la guerra, entrare in Israele da sotto terra, ammassare missili, armi automatiche, congegni di alta tecnologia e droni, per accumulare cibo, acqua, benzina. Nei tunnel c’è tutto quello che serve ai terroristi, e per proteggere nel luogo più profondo e organizzato il comando di Yehia Sinwar e di Mohammed Deif. La struttura che Hamas ha costruito misura, dicono loro stessi, 500 chilometri e da un paio di giorni Israele ha cominciato a distruggerla, a esploderne gli ingressi, a farne crollare le strutture con grandi caterpillar spesso dopo che una bomba di profondità ha aperto la strada. 
   Nel regno delle tenebre però prima di tutto si cercano gli ostaggi. Gallerie armate sono state trovate sotto le moschee, accanto a scuole, presso una piscina per bambini. Dalle gallerie assediate spesso gruppi di assalto saltano fuori all’improvviso, i giovani israeliani affrontano pericoli terribili con una continua dimostrazione di valore e di unità, nonostante le perdite. Il sancta sanctorum delle gallerie è sotto gli ospedali, tutta Gaza lo sa, il bunker di Sinwar è probabilmente sotto l’ospedale Shifa dentro Gaza per approfittare dello scudo umano. L’avanzata è lenta, da ogni buco in terra possono saltare fuori armati di Hamas, ogni centimetro della città di Gaza è minata, ovunque. Israele ha fatto 6 milioni di telefonate e ha lanciato un milione e mezzo di volantini per indurre lo spostamento al sud. Difficile la guerra quando il nemico vuole anche il sangue dei suoi, ma Netanyahu ha ripetuto a tarda sera: solo in cambio dei nostri rapiti ci sarà la tregua umanitaria.

(il Giornale, 8 novembre 2023)

........................................................


Hamas rappresenta una parte molto ampia del popolo palestinese

Il massacro è stato sostenuto a gran voce dalla maggior parte dei musulmani di tutto il mondo, comprese le città più popolose dell'Occidente.

di Yossi Kuperwasser
Generale di Brigata

GERUSALEMME - Continuiamo a sentir dire da importanti politici occidentali, tra cui il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che Hamas non rappresenta il popolo palestinese. Non sono d'accordo. C'è un'ampia fetta del popolo palestinese che vede Hamas come suo rappresentante, non solo nella Striscia di Gaza, ma anche in Giudea e Samaria. Hamas rappresenta una parte molto importante del popolo palestinese e questo dovrebbe essere tenuto presente quando si parla del "giorno dopo la guerra". Molti civili di Gaza hanno seguito i militanti di Hamas in Israele per saccheggiare e uccidere, mentre nelle strade di Gaza gli attacchi venivano festeggiati.
   Per questi motivi, Fatah - il partito al potere dell'Autorità Palestinese - ha evitato le elezioni negli ultimi 18 anni, ritenendo che Hamas avrebbe vinto. L'età avanzata del leader palestinese Mahmoud Abbas, 87 anni (ne compirà 88 la prossima settimana), rende il suo governo fragile e precario. Ha già perso il controllo della Samaria e Hamas gode del sostegno dei sindacati studenteschi delle principali università palestinesi. Dopo il massacro del 7 ottobre, il sostegno ad Hamas in Cisgiordania è passato dal 44% al 58%.
   Nei social media arabi, gli attacchi terroristici di ottobre sono stati visti come una vittoria storica per l'Islam. Per anni, sia il nazionalista e "laico" Fatah che l'islamista Hamas dei Fratelli Musulmani hanno usato una simile retorica antiebraica basata sul Corano. Il defunto leader religioso di Hamas, lo sceicco Yousef Kardawi, invitava ad atti di terrorismo contro gli ebrei in Israele, come gli attentati suicidi. L'odio verso Israele e gli ebrei ha mantenuto Hamas popolare nonostante la corruzione e l'oppressione dei suoi cittadini.
   Sia Hamas che Fatah hanno la stessa narrazione: la negazione dell'identità ebraica e il rifiuto del sionismo - o della sovranità ebraica sotto forma di Stato nazionale. Vedono gli ebrei in una luce negativa e sperano di sostituire completamente Israele. L'aggressiva interpretazione islamista dell'Islam da parte di Hamas glorifica l'omicidio e la crudeltà verso coloro che considera nemici dell'Islam.
   La vittoria israeliana su Hamas rappresenta anche una sfida teologica, poiché viene percepita come un'umiliazione dell'Islam e rafforza l'odio verso Israele. Il massacro è stato sostenuto a gran voce dalla maggior parte dei musulmani di tutto il mondo, anche nelle città più popolose dell'Occidente. I musulmani che si oppongono ad Hamas corrono il rischio di essere visti come traditori dai loro correligionari e quindi rimangono in silenzio.
   Il leader di Hamas Khaled Mashaal ha recentemente dichiarato che la sofferenza, la devastazione e la distruzione della Striscia di Gaza sono sacrifici necessari per vincere la guerra contro gli ebrei.
   Parallelamente a questa retorica aggressiva, Hamas e l'Autorità Palestinese stanno commercializzando una componente del vittimismo palestinese che demonizza gli israeliani sia in pubblico che in Occidente.
   L'Occidente e la comunità internazionale ignorano deliberatamente il fatto che Hamas rappresenta una larga parte della popolazione palestinese e che l'ideologia di Fatah è simile a quella di Hamas. Ammettere questo significherebbe per l'Occidente accettare le affermazioni di Israele sulla difficoltà di fare la pace con i palestinesi. L'Occidente preferisce credere che una sconfitta di Hamas lascerebbe una popolazione cooperativa che accoglierebbe una leadership moderata.
   Chi sono i potenziali leader palestinesi dopo l'operazione delle Forze di Difesa Israeliane e dopo Abbas? Non ci sono candidati promettenti. L'ex leader chiave dell'OLP Muhammad Dahlan, originario di Gaza e ora residente ad Abu Dhabi, è un convinto oppositore di Israele, come il suo corrotto e doppiogiochista mentore Yasser Arafat. Salam Fayyad è un'altra opzione di leadership, ma è considerato troppo debole per porre fine al terrore a Gaza. Entrambi sono legati alla narrativa anti-israeliana.
   Interverranno altri arabi? È improbabile che gli Stati del Golfo intervengano politicamente, ma probabilmente sosterranno Gaza economicamente. L'Autorità Palestinese, attraverso il suo Primo Ministro Mohamed Shtayyeh, ha dichiarato che l'OLP non è interessata a un ritorno a Gaza a meno che non significhi la creazione di uno Stato palestinese permanente, che comporterebbe un miglioramento nella comunità internazionale.
   Senza chiedere ai palestinesi di cambiare la rappresentazione negativa di Israele, la prevista vittoria di Israele a Gaza avrà uno scarso impatto politico. Una leadership imposta a Gaza è destinata a fallire, come è accaduto durante il periodo di Oslo e il disimpegno da Gaza.
   Cambiare una narrazione richiede molti anni, almeno una generazione. La ricostruzione della Striscia di Gaza non riguarda solo la costruzione di edifici o infrastrutture, ma anche le narrazioni palestinesi che devono essere cambiate e ricostruite. Questo include l'indottrinamento anti-israeliano nel sistema educativo e l'incitamento al terrore, compresi i pagamenti alle famiglie dei terroristi. Se questo cambiamento fondamentale non sarà una priorità assoluta, Israele dovrà governare Gaza involontariamente per molto tempo.  

(Israel Heute, 7 novembre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


Una modesta proposta

di Davide Cavaliere

Il tredici settembre di quest’anno gli Accordi di Oslo hanno compiuto trent’anni. Con quella firma, Yasser Arafat, a nome della cosiddetta «Organizzazione per la Liberazione della Palestina», s’impegnava, e con lui il suo «popolo», a una risoluzione pacifica del conflitto arabo-israeliano in Medio Oriente. 
   Da allora, l’Autorità Nazionale Palestinese, istituita per volontà dell’OLP, ha violato e disatteso ogni singola clausola di quell’intesa. Arafat e i suoi gangster hanno, in primo luogo, usato l’Accordo come mezzo per ottenere il controllo su parte della Cisgiordania e della Striscia di Gaza; successivamente hanno convertito tutto il territorio da loro controllato in basi per lanciare aggressioni terroristiche contro Israele.
   I leader arabi palestinesi non hanno mai smesso di ripetere che il loro obiettivo è la sparizione di Israele e una Palestina judenfrei. In questo senso, si pongono in diretta continuità con il nazi-islamista Amin al-Husseini, propugnatore di una «soluzione finale» al «problema sionista» in Palestina. 
   I mass media controllati dall’Autorità sono stati completamente «nazificati» dopo gli Accordi di Oslo. Le oscenità antisemite trasmesse dalle televisioni dall’ANP superano in sadismo e grottesco la propaganda nazista degli anni Trenta. La Striscia di Gaza, come vediamo anche in questi giorni, è stata pesantemente fortificata e militarizzata.  
   È in corso un crescente  dibattito su come Israele dovrebbe rispondere al comportamento degli arabi palestinesi. Israele dovrebbe, innanzitutto, prendere atto dell’impossibilità di creare uno Stato palestinese indipendente. La controproducente quanto inutile «soluzione dei sue Stati» dev’essere dimenticata. 
   Non solo gli arabi palestinesi non hanno mai avuto alcun diritto legittimo a uno Stato; anche se, in cambio della pace, Israele si è dimostrato disposto a trascurare questo fatto, ma hanno perso qualunque possibilità di ottenerne uno a causa del comportamento adottato negli ultimi decenni, caratterizzato da una brutalità omicida e stragista con ben pochi precedenti.
   L’inganno palestinese deve cessare. Basta fingere che esista una «popolo palestinese» nativo avente diritto a una qualche statualità.  I palestinesi sono arabi, e gli arabi hanno già 22 stati.  Non ne otterranno un altro nelle terre che spettano, storicamente e giuridicamente, a Israele. Qualsiasi arabo palestinese che desideri godere di una sovranità nazionale è libero di spostarsi in uno di questi 22 Stati, ma non può pretendere alcuna sovranità in territorio israeliano, vale a dire nelle terre tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo.  
   Lo Stato d’Israele deve risolvere la «questione palestinese» in modo unilaterale, chiarendo che Gaza e la Cisgiordania gli appartengono. Nel territorio compreso tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo non dovrà essere consentita alcuna forma di sovranità non israeliana. In particolar modo, dovrà anche essere ribadito che la Cisgiordania, ossia la Giudea e Samaria, fanno da sempre parte della patria nazionale ebraica. 
   Gli arabo palestinesi che vivono in Giudea e Samaria, in seguito a una definitiva annessione da parte dello Stato d’Israele, non dovranno ricevere mai la cittadinanza israeliana. Coloro che non desidereranno vivere sotto la sovranità israeliana saranno liberi di andarsene.  Israele potrebbe, persino, prendere in considerazione la possibilità di fornire sostegno finanziario e incentivi a coloro che lo faranno. 
   Gli arabi palestinesi avranno lo stesso status dei «meteci» dell’antica Grecia: stranieri residenti privi dei diritti politici. Molti di loro hanno ancora passaporti e cittadinanza della Giordania, dunque saranno considerati giordani residenti. 
   I villaggi e le città a maggioranza arabe dovranno essere inseriti in due liste: una lista bianca e una lista nera. Essi verranno assegnati alle due liste basandosi interamente su un unico fattore: la violenza. Le zone in cui si verificheranno atti di violenza, compresi i lanci di pietre, verranno inserite nella lista nera.  Le aree in cui la violenza è assente saranno, invece, inserite nella lista bianca. 
   Quelli nella lista bianca gestiranno i propri affari senza interferenze da parte delle autorità israeliane. I residenti delle città della lista bianca potranno svolgere lavori pendolari nelle città israeliane. Gli altri saranno posti sotto stretta sorveglianza militare e verrà loro impedita la libera circolazione. 
   Solo adottando misure simili, Israele potrà garantire ai suoi cittadini sicurezza e pace, ulteriori concessioni, territoriali e politiche, agli arabi palestinesi non farebbero altro che perpetuare il conflitto. 

(L'informale, 8 novembre 2023)

........................................................


Israele è la mia gente e il coltello di nonno

Intervento al convegno  “Davide doveva farsi uccidere da Golia”. Latina 

di Lidano Grassucci
Direttore di Fatto a Latina

Non vi parlerò oggi di ragione, di ragioni, di storia, di geopolitica. Elementi che pure ci sono e mi portarono ad innamorarmi della storia del medioriente durante il periodo universitario, ci sarà chi meglio di me potrà farlo. Io vi parlerò di suggestioni, di sensazioni, di cose che mi vengono da dentro.
   Premetto che sono socialista non pacifista, che la pace se ingiusta non è, non sarà, una mia meta. Sono per la giustizia e contro l’ingiusto rivendico il diritto di resistenza. Mio nonno Lidano mi insegnò che il coltello serve a tagliare il pane, a sbucciare la mela, ma anche a riparare il torto e lo devi sempre avere. Ho pietà per i pacifisti come per i baciapile, non mi lego a questa ipocrita schiera e riparo il torto non perdono.
   Detto questo entro nelle mie suggestioni. Ogni volta che vado nel ghetto di Roma, ogni volta che studio o mi occupo di storia, trovo nomi del mio posto: Sermoneta, Piperno, Sonnino, Terracina, Fondi, Di Segni, Di Veroli. Sono cognomi che raccontano di quando vivevamo insieme nelle nostre citta. Insieme. Poi rammento quella bellissima armonia che trovammo con il carciofo: i miei contadini lo sapevano coltivare come nessuno, ma i fratelli maggiori ebrei lo sapevano cucinare oltre ogni umana possibilità. Sono la mia gente da secoli e noi siamo questa gente.
   Poi vi racconto di un uomo Quirino Ricci, detto Cucchiarone, che aveva già 5 figli, viveva a Bocca di Fiume, da Sezze vennero due amici ebrei a chiedergli di tenere i loro figli per salvarli. Quirino doveva scegliere tra mettere a rischio certo i suoi figli o restare indifferente rispetto a quei due bimbi. Non ci penso molto: lassatei atecco. Chiamò i suoi figli di sangue e gli disse “da oi, quischi su frachi vostri”. Naturalmente, allora come ora, ci sono baciapile, benpensanti, anime pie che non amano bontà ed ebrei che andarono dai fascisti e dai tedeschi a segnalare i troppi figli di Cucchiarone.
   Si presentarono in forze: “sono tutti figli tuoi?”. Cucciarone non mostrò incertezza: “Tutti”. Chiesero ai bambini: “sono tutti fratelli vostri”. I sette bimbi, tutti e sette, dissero “siamo tuchi frachi”. Senza possibilità di dubbio, netti. I tedeschi dovettero desistere dal loro intendimento. Salvò tutti e sette i suoi figli.
   Quando lo chiamavano nelle scuole a raccontare questa storia c’era sempre un bimbo, o una bimba, più vivace che chiedeva “Sì, ma lei ha detto una bugia”. Cucchiarone premetteva: “i non dico le bucie”. Il bimbo curioso: “Ma non erano figli suoi”…. “no erano ditto la verità, erano frachi e tucchi figli me perchè tuchi i mammocci degli munno quando stato agli munno so figli a mi”.
   Per questo sto con Israele, anche se dentro ho secoli di cristiane persecuzioni. Mia nonna, donna piissima, sentì una omelia bellissima di don Renato Di Veroli. La ascoltò con Tetta, la vicina di casa perpetua di un anziano prete di cui non ricordo il nome, che commentò: “che bella predica, ha fatto”. Nonna annuì e commentò “Mbè ma sempre giudio è”. La famiglia di quel sacerdote si era convertita 4 secoli prima. L’antisemitismo è anche in me, come la stragrande maggioranza degli italiani stettero con le leggi razziali e non con il “rispetto dei fratelli maggiori”. Siamo stati complici o indifferenti, qualcuno giusto.
   Questa è la mia coscienza, questa la storia che ho dentro. Il 7 ottobre ho rivisto la caccia all’ebreo, la caccia a negare le differenze, il ritorno al noi contro chi osa…
   Gli ebrei nella prima metà del secolo scorso non si difesero, andarono in pace nei campi di concentramento, ne abbiamo uccisi sei milioni, sei milioni. Oggi gli ebrei si difendono in armi, da chi come Hamas e non solo, vogliono cancellarli dalla faccia della terra.
   Termino segnalando l’infamia della mia parte politica, la sinistra italiana, ogni 25 aprile la bandiera della brigata ebraica che ha combattuto per liberare l’Italia da fascisti, nazisti, viene fischiata da ragazzini che sventolano la bandiera palestinese, ignorando che il Gran Mufti di Gerusalemme stava con Hitler e non con la libertà.
   Ciascuno di noi deve rispondere alla sua coscienza, io rivendico la mia, nonna mi autorizzerà a chiedere Grazia del suo pregiudizio e a nonno dico grazie per avermi spiegato con un coltello il diritto a resistere.

(Fatto a Latina, 8 novembre 2023)

........................................................


Oltre 2000 persone alla Sinagoga Centrale per Israele, la liberazione degli ostaggi e la celebrazione della vita

Sono 2000 le persone che hanno riempito la sinagoga centrale di Milano – mentre altre 350 sono rimaste fuori – martedì 7 novembre per l’evento organizzato dalla Comunità ebraica di Milano a sostegno di Israele e per la liberazione degli ostaggi prigionieri a Gaza dal 7 di ottobre. Esattamente un mese dopo i tragici fatti, molti membri della comunità ma anche tanti amici si sono raccolti per ricordare le vittime e chiedere la liberazione degli ostaggi, di cui scorrevano in loop alcune immagini. Fuori dalla sinagoga, alcuni passeggini vuoti, in memoria dei bambini rapiti.
Molte le personalità istituzionali che sono intervenute durante la serata, moderata dal vicepresidente della Comunità Ilan Boni. Presente anche la senatrice Liliana Segre, che ad alcuni giornalisti ha dichiarato: “Se sono qui è perché la ritengo una serata importante. Non mi sento di parlare di questo argomento perché sennò mi sembra di avere vissuto invano»....

(Bet Magazine Mosaico, 8 novembre 2023)

........................................................


Spade di ferro giorno 31. Un bilancio, a un mese di distanza

di Ugo Volli

Memoria di un mese
  È passato un mese. Il 7 ottobre scorso, poco prima dell’alba, una pioggia di missili partiva da Gaza in direzione di Israele. In una ventina di punti la barriera di sicurezza (che marca un confine internazionalmente riconosciuto, ricordiamolo) veniva abbattuta con esplosivi e bulldozer e circa 3000 terroristi di Hamas, Jihad Islamica e anche del braccio militare di Fatah, le “brigate di Al Aqsa”, montati su motociclette e jeep, invadevano il territorio israeliano assalendo i kibbutz, i villaggi e le cittadine vicine al confine, devastando il prato dove si svolgeva una festa musicale, torturando, violentando, mutilando, ammazzando tutti quelli che trovavano (ebrei israeliani in grande maggioranza, ma anche beduini musulmani, lavoratori thailandesi, turisti che si trovavano lì). Alla fine il bilancio sarà di oltre 1400 morti, 240 rapiti, molte migliaia di feriti. Sicuramente la più grande azione terroristica dopo le Twin Towers, e altrettanto certamente la più crudele della storia: neonati arrostiti nel forno di cucina, donne incinte col ventre squartato e il feto fatto a pezzi davanti ai loro occhi prima di essere ammazzate, bambini decapitati, adulti mutilati, ragazze e vecchie esposte nude al ludibrio e alle percosse della folla prima di essere finite… Non bastano le parole a raccontare la crudeltà di questo massacro terrorista.

Gli errori di Israele
  Israele è stata colta gravemente impreparata. L’eccidio non sarebbe dovuto succedere, avrebbe dovuto essere preavvisato dai servizi di informazione e prevenuto dall’esercito; la politica di appeasement di Hamas era profondamente sbagliata e così la strategia di contenimento basata solo su mezzi elettronici e in genere l’ottimismo sulla convivenza. Ci sarà tempo dopo la fine della guerra per esaminare le responsabilità individuali e per attuare i cambiamenti di politica e di personale necessari: Israele ha sempre indagato sui risultati delle sue azioni e imparato dai fallimenti. Ma la colpa vera, naturalmente, è dei terroristi, non di chi è stato troppo ottimista o inaccurato nel campo israeliano.

Il progetto terrorista
  I terroristi avevano diversi obiettivi. Il primo dal punto di vista ideologico e psicologico era quello di umiliare gli ebrei, di sterminarli almeno per quel tanto che era possibile, di mostrare superiorità, disprezzo, ferocia, secondo la dottrina tradizionale dell’Islam, di indurre terrore in Israele. Questa è la ragione per cui i terroristi si sono attardati a compiere le loro sevizie su anziani, bambini e ragazzini invece di cercare degli obiettivi militari “duri”, dove avrebbero potuto fare dei danni strutturale anche più gravi. La seconda ragione era far partire una guerra vera e propria con Israele, nell’illusione di mobilitare tutto il mondo islamico o almeno la regione circostante. La terza ragione era il tentativo di sabotare la pace fra Israele e Paesi arabi, innanzitutto l’Arabia saudita, vista come un pericolo gravissimo dai loro mandanti dell’Iran e da loro stessi, che vivono di guerra e di violenza.

I risultati
  Tutti e tre questi progetti sono falliti. Israele non si è fatto terrorizzare, anzi ha superato le sue divisioni e ha ritrovato uno spirito combattivo unitario che da tempo non si vedeva; il mondo civile ha mostrato orrore per il sadismo dei terroristi e solidarietà per Israele. La guerra si è rivelata perdente e anche gli alleati dei terroristi se ne sono tenuti lontani, pur facendo discorsi bellicosi e realizzando qualche attacco propagandistico, badando però bene a non offrire a Israele un casus belli. Gli accordi di Abramo hanno tenuto, sia pur con qualche concessione di forma da parte dei governanti arabi alla propaganda panarabista. È probabile che alla fine della guerra il processo di pace possa ricominciare da dove era rimasto, anzi rafforzato dalla dimostrazione di forza di Israele.

Vincere la guerra
  Ma per questo, per mostrare la criminale inutilità della strage, Israele deve vincere la guerra, che continua: ogni giorno vi sono lanci di razzi su Israele da Gaza, Libano, Siria, Yemen. Israele deve vincere, non limitarsi a “contenere” Hamas, come in fondo ha già fatto. Deve eliminare la struttura tecnica, ma soprattutto liquidare quella umana di Hamas: neutralizzare o imprigionare e sottoporre a processo i grandi capi, i quadri intermedi, anche i terroristi semplici. Mettere Gaza in una condizione che non possa mai più essere l’isola franca del palestinismo, in cui non ci siano più fabbriche d’armi, campi di addestramento, lanciarazzi, tunnel d’assalto. Bisognerà vedere come fare, con che struttura di governo, ma l’obiettivo è questo. Se non ci riuscisse, in breve, al massimo nel giro di qualche anno, con l’aiuto dei Paesi filoterroristi, Iran in testa, il terrorismo riemergerebbe daccapo, con le stesse modalità. E come l’Europa non ha potuto ricominciare dopo la Shoah senza l’eliminazione completa del nazismo, la resa senza condizioni della Germania e il processo di Norimberga, così è per il Medio Oriente di oggi. Per questo chi vuole “cessate il fuoco” e “tregue umanitarie” provvisorie (che poi diventano definitive), salvacondotti per i capi terroristi e cose del genere, non lavora solo per salvare Hamas, ma anche per far continuare la guerra. Un mese è passato, ne dovranno passare altri, finché il lavoro di pulizia, per difficile e sanguinoso che sia, non sarà terminato.

(Shalom, 7 novembre 2023)

........................................................


Una "pausa umanitaria" per salvare Hamas?!

Qualsiasi cessazione della guerra contro Hamas, anche se temporanea, sarebbe vista come una vittoria per il gruppo terroristico e i suoi sostenitori.

di Bassam Tawil

L'amministrazione Biden ha esercitato pressioni su Israele affinché accettasse "pause umanitarie" nella guerra contro il gruppo terroristico Hamas, sostenuto dall'Iran, i cui membri hanno compiuto il massacro del 7 ottobre in cui sono stati uccisi 1.400 israeliani e feriti altre migliaia. Hamas ha anche rapito più di 240 israeliani nella Striscia di Gaza, tra cui bambini, donne e anziani.
   Chiedendo una "pausa umanitaria" nella guerra, l'amministrazione Biden sta offrendo ad Hamas un'ancora di salvezza. Una pausa o un cessate il fuoco permetterebbe ad Hamas di riorganizzarsi e preparare nuovi attacchi contro gli israeliani.
   Il 4 novembre, tuttavia, il Segretario di Stato americano Antony Blinken - a suo merito e a quello dell'amministrazione Biden - ha respinto le richieste di un cessate il fuoco, in quanto "tale pausa permetterebbe al gruppo militante palestinese Hamas solo di riorganizzarsi e attaccare nuovamente Israele". Il giorno successivo, tuttavia, Blinken ha continuato a chiedere "pause umanitarie", che Hamas avrebbe utilizzato per preparare nuovi attacchi. Per Hamas, ogni pausa o cessate il fuoco è un'ancora di salvezza che lo aiuta a lanciare attacchi.
   "C'è stato un cessate il fuoco. Era prima del 7 ottobre", ha detto il nuovo presidente della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti Mike Johnson, "e Hamas l'ha infranto".
   David Friedman, ex ambasciatore statunitense in Israele, ha recentemente osservato su Fox News che i bombardamenti non sono continui e che Israele ha sempre facilitato la consegna di aiuti umanitari nel sud di Gaza. Ha riferito che Hamas ha allestito un grande schermo nel nord di Gaza per proiettare un film di "greatest hits" di Hamas la scorsa settimana, al quale hanno assistito circa 1.000 gazesi - quindi c'è ovviamente molta energia.
   Il 4 novembre, Hamas ha approfittato di una finestra di opportunità umanitaria concessa da Israele ai residenti di Gaza e ha attaccato gli israeliani con colpi di mortaio e missili anticarro. "Mentre l'IDF apriva una strada umanitaria per i residenti di Gaza diretti a sud, i terroristi dell'organizzazione terroristica di Hamas hanno attaccato le forze coinvolte nell'apertura", ha dichiarato l'IDF.
   I leader di Hamas, nascosti in una rete di tunnel, chiaramente non si preoccupano del benessere o della sicurezza dei palestinesi nella Striscia di Gaza. Hamas ha stabilito le sue basi militari, i lanciarazzi, i depositi di munizioni e i posti di comando all'interno, sotto o vicino a infrastrutture civili come scuole, ospedali, parchi giochi per bambini, case e moschee.
   Hamas ha anche impedito ai civili di fuggire verso zone sicure nel sud della Striscia di Gaza. I cecchini di Hamas avrebbero ucciso decine di bambini e donne che cercavano di raggiungerle. Questo avviene dopo che Israele ha ripetutamente avvertito i residenti di Gaza di utilizzare corridoi sicuri per raggiungere il sud della Striscia di Gaza.
   La settimana scorsa, Hamas ha approfittato di una "pausa umanitaria" introdotta da Israele su pressione degli Stati Uniti per cercare di far entrare clandestinamente in Egitto i terroristi feriti con il pretesto di evacuare i civili feriti. Le bugie e gli inganni di Hamas sono consistenti. Un alto funzionario statunitense ha rivelato che Hamas ha tentato di far uscire di nascosto alcuni suoi membri da Gaza in ambulanze attraverso il valico di Rafah verso l'Egitto.
   Una "pausa umanitaria" significherebbe anche consegnare centinaia di migliaia di litri di carburante per i generatori di Hamas utilizzati per fornire aria pulita ed elettricità alla sua rete sotterranea di tunnel, che il funzionario di Hamas Mousa Abu Marzouk ha detto essere stati costruiti per i terroristi di Hamas e non per i civili. Secondo funzionari statunitensi, Hamas ha già una scorta di oltre 200.000 litri di carburante per i suoi tunnel. La settimana scorsa, l'IDF ha pubblicato una registrazione audio di una conversazione tra un comandante di Hamas e il direttore dell'ospedale indonesiano di Gaza, in cui il comandante affermava che Hamas stava prendendo il carburante dalle scorte dell'ospedale.
   L'amministrazione Biden dovrebbe condannare Hamas per aver costretto i palestinesi - a cui tiene così tanto da sparare contro di loro per impedire che si mettano in salvo - a morire come scudi umani nella sua guerra per massacrare gli israeliani e distruggere Israele.
   L'amministrazione Biden dovrebbe continuare a chiedere il rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi detenuti da Hamas, come ha già fatto. Inoltre, l'amministrazione Biden potrebbe anche invitare i palestinesi di Gaza a sollevarsi contro il gruppo terroristico di Hamas, che tiene in ostaggio praticamente due milioni di palestinesi.
   Alle vittime israeliane del massacro di Hamas del 7 ottobre non è stata data la possibilità di fuggire attraverso un corridoio sicuro. Nessuno ha chiesto ad Hamas di accettare una "pausa umanitaria" quando i suoi terroristi hanno compiuto atrocità contro gli israeliani nelle città e nei villaggi vicino a Gaza quel giorno. I terroristi hanno invaso Israele per un solo scopo: uccidere, stuprare e rapire quanti più ebrei possibile.
   Hamas ha fatto una "pausa umanitaria" prima di massacrare centinaia di israeliani a un festival musicale? Hamas ha fatto una "pausa" prima di stuprare le donne? Hamas ha fatto una "pausa" prima di decapitare, smembrare e cuocere i bambini nei forni?
   L'avvocato internazionale per i diritti umani Arsen Ostrovsky ha chiesto:
    "Per curiosità, Hamas ha fatto una "pausa umanitaria" quando è entrato nelle nostre case e ha ucciso i nostri bambini, decapitato i neonati, violentato le donne, bruciato vive intere famiglie e preso in ostaggio oltre 240 persone, compresi neonati e anziani?".
  Come mai gli Stati Uniti non hanno preso in considerazione una "pausa umanitaria" durante la loro guerra contro Al-Qaeda e lo Stato Islamico? Perché agli Stati Uniti è stato permesso di condurre una guerra implacabile contro i terroristi di Al-Qaeda e dell'ISIS mentre Israele è chiamato a fornire aiuti umanitari e carburante allo stesso gruppo responsabile del peggior massacro di ebrei dopo l'Olocausto? Quali sono le possibilità che gli aiuti umanitari e il carburante vadano effettivamente ai civili di Gaza - ai quali i leader di Hamas tengono così tanto da costringerli a morire come scudi umani - e non ai leader di Hamas per i loro scagnozzi?
   Qualsiasi cessazione della guerra contro Hamas, anche temporanea, sarebbe vista come una vittoria del gruppo terroristico e dei suoi sostenitori. Hamas e i suoi patroni in Iran sarebbero felici di vedere un cessate il fuoco a Gaza per poter dire che la pressione internazionale ha costretto Israele a fermare la sua guerra. Una "pausa umanitaria" dovrebbe iniziare solo quando tutti gli ostaggi saranno stati rilasciati e tutti i terroristi di Hamas si saranno arresi o saranno stati uccisi.
    

(Israel Heute, 7 novembre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


Sinistra solidale con gli assassini dell'Occidente

di Daniele Dell'Orco.

Durante gli 8 anni alla guida della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello, che ha recentemente passato il testimone a Victor Fadlun, è stata al vertice di un vero e proprio osservatorio sull’odio antiebraico. Dalla Capitale al resto d'Italia e in generale nel Vecchio Continente, con la guerra in Israele il clima si sta surriscaldando. E lei se n'è accorta.

- Come sta vivendo queste settimane così delicate?
  «L’aggettivo delicato mi sembra persino riduttivo. Vivo con sconcerto e preoccupazione ciò che vedo, ciò che sento e ciò che avverto direttamente nei confronti degli ebrei che vivono in Italia e in Europa».

- A cosa si riferisce?
  «Dopo il 7 ottobre, ovverosia il giorno in cui si è dato sfogo all’espressione più bieca possibile di antisemitismo, con gli atti di violenza e i massacri che Hamas ha eseguito contro civili ebrei in Israele, ci sono state ripercussioni un po’ in tutto Occidente, dov'è riaffiorato un odio culturale e viscerale. Stavolta con l'aggravante che Hamas lo sponsorizza e lo fomenta incoraggiando la distruzione dell'ebreo ben oltre ciò che professa nel suo statuto (il rifiuto di “qualsiasi alternativa alla piena e completa liberazione della Palestina, dal fiume al mare”, quindi dal Mediterraneo al Giordano, NdR). Ciò produce la comparsa di una nuova serie di atti antisemiti».

- Dal clima tossico si è già passati ai fatti?
  «In generale vale la pena di ricordare che gli atti antisemiti non sono affatto isolati: in qualsiasi momento in questi decenni abbiamo riscontrato atti di vandalismo nei confronti di cimiteri, scritte antiebraiche, cori negli stadi. Certo, in un momento così particolare questi episodi stanno progressivamente aumentando di intensità: dalla brutalizzazione delle pietre d'inciampo a Roma fino a gravi fatti di cronaca come le svastiche di Parigi e l'accoltellamento di una donna ebrea a Lione. Non sappiamo se e come possano moltiplicarsi, ma l'aria che si respira di certo sta facendo emergere tutti gli istinti più beceri».

- Negli ambienti cospirazionisti la “minaccia ebraica” è dipinta come una mano invisibile e potente. Non teme possa esserci il rischio che il “colpevole ebreo” possa assumere una consistenza fisica e quindi diventare un bersaglio chiaro e definito?
  «Sì, in parte. Il fenomeno della “colpa ebraica tout court” lo abbiamo visto anche durante la pandemia, quando ci accusavano prima di aver rilasciato il virus poi di aver usato i vaccini per controllare il mondo; ma anche con la guerra Ucraina e le dure dichiarazioni della Russia. Certo, oggi per colpa di Hamas sta passando il messaggio che sia legittimo “colpire l'ebreo in quanto ebreo” come fosse una missione sociale, ma non dobbiamo dimenticare che anche ciò che stiamo vivendo non è una novità».

- Ci spieghi meglio.
  «Be’ io ricordo benissimo nel 1982 che nelle settimane che precedettero l’attacco alla Sinagoga di Roma (morì un bambino di 2 anni, NdR) si era innescato un processo di colpevolizzazione di tutto il popolo ebraico (erano i mesi dell’invasione israeliana del Libano meridionale, NdR) fino a ritenerci “stranieri” nelle nostre stesse città lontane ad attaccare fisicamente il Paese dei Cedri. Storia già vissuta. Peraltro anche quell'attentato, di cui non sono mai stati individuati i responsabili, era di matrice palestinese».

- E ricorda anche che pochi giorni prima venne posta una bara proprio lì davanti.
  «Come dimenticare, fu durante un raduno della Cgil».

- Anche in questo caso la storia si sta ripentendo, con la sinistra che solidarizza in piazza con Hamas...
  «Purtroppo. Non possiamo nasconderci di fronte all’evidenza. Le piazze in democrazia sono sempre legittime, ma queste sono evidentemente vittime di un cortocircuito. E mi trovo d'accordo con quando affermato da Edith Bruck nella sua intervista al vostro giornale. La sinistra sostiene di voler tutelare i diritti, ma non ricordo di averla vista scendere in piazza con la stessa intensità di oggi ad esempio per condannare i massacri in Siria, per solidarizzare con le ragazze iraniane, per difendere i gay e le donne palestinesi che rivendicano il diritto a potersi esprimere anche in Palestina. Stavolta, invece, si identificano addirittura con Hamas, gli assassini dell’Occidente».

- Dell’Occidente dice?
  «Certo, cosa pensa vogliano fare quelli di Hamas? Oggi vogliono distruggere noi, domani vorranno fare la stessa cosa con l'Occidente tutto. La cosa più terribile che si possa fare in questo momento è solidarizzare con degli assassini. Quello che dovrebbe fare la sinistra è scendere in piazza per chiedere il rilascio degli ostaggi, di donne, anziani e bambini».

- Ha provato a darsi una spiegazione logica del motivo per cui ciò non avviene?
  «Non c’è, non me la voglio dare. So però che c'è una narrazione storica che una parte della sinistra ha sposato dal 1967, abbracciando in toto la causa palestinese. Ma badi bene, sposare la causa palestinese non è ciò che fa Hamas. Non è l'Islam moderato, di cui ho grande rispetto, anche se per la verità lo vedo molto assente. Hamas vuole uccidere, smantellare, sottomettere». 

- Magari la prossimità tra Hamas e sinistra sta proprio nell'odio comune nei confronti dell'Occidente? 
  «È un’ipotesi verosimile, ma sarebbe improvvida, irresponsabile e incivile. Solidarizzare con movimenti del genere vuol dire odiare se stessi, e addirittura offrire uno scudo di legittimità alle azioni condotte e a quelle che potrebbero condurre in futuro». 

- A proposito di “scudi”: molti, anche a sinistra, sostengono di non essere antisemiti e preferiscono definirsi antisionisti. C'è differenza secondo lei? 
  «No, è un alibi, costruito ad arte per chi vuole nascondere l'antisemitismo. Io mi rivedo nella definizione dell’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance, NdR) che spiega che la critica nei confronti dello Stato di Israele ad esistere diventa negazione del diritto degli stessi ebrei ad esistere». 

- C'è qualcosa che si sente di rimproverare al governo israeliano per le azioni di questo mese? 
  «Non ho il privilegio, da cittadina italiana, di poter esprimere giudizi come lo hanno i cittadini israeliani. Spero però che questa guerra finisca presto, che gli ostaggi vengano restituiti alle loro famiglie e che il popolo palestinese possa avere dei rappresentanti che lo tuteli in modo degno». 

Libero, 7 novembre 2023)

........................................................


Gli ebrei in Europa hanno di nuovo paura”: l’UE condanna il crescente antisemitismo


L’organo esecutivo dell’Unione Europea ha condannato apertamente il crescente antisemitismo in tutto il continente, dichiarando che l’odio verso gli ebrei “va contro tutto ciò che l’Europa rappresenta”.
   In una dichiarazione rilasciata domenica 5 novembre, la Commissione europea – insieme al Consiglio europeo, il ramo esecutivo dell’UE – ha osservato che il picco dell’antisemitismo “ha raggiunto livelli straordinari negli ultimi giorni, che ricordano alcuni dei momenti più bui della storia”. “Oggi gli ebrei europei vivono ancora una volta nella paura”, si legge nella dichiarazione, che cita alcuni delle migliaia di incidenti che hanno preso di mira gli ebrei negli Stati membri dell’UE. “Cocktail lanciati contro una sinagoga in Germania, stelle di David spruzzate su edifici residenziali in Francia, un cimitero ebraico profanato in Austria, negozi e sinagoghe ebraiche attaccati in Spagna, manifestanti che scandiscono slogan odiosi contro gli ebrei”, si legge nella nota.
   Forte dunque la condanna: “In questi tempi difficili l’UE è al fianco delle sue comunità ebraiche. Condanniamo questi atti spregevoli nei termini più forti possibili. Vanno contro tutto ciò che l’Europa rappresenta. Contro i nostri valori fondamentali e il nostro modo di vivere. Contro il modello di società che rappresentiamo: basato sull’uguaglianza, l’inclusione e il pieno rispetto dei diritti umani. Ebreo, musulmano, cristiano: nessuno dovrebbe vivere nella paura della discriminazione o della violenza a causa della propria religione o della propria identità”.
   Dal 2021, l’Unione Europea ha messo in atto la sua prima strategia globale sulla lotta all’antisemitismo e sulla promozione della vita ebraica, nonché dal 2020 un piano d’azione dell’UE contro il razzismo.
   “In collaborazione con gli Stati membri, continueremo a rafforzare le misure di sicurezza – continua la nota -. Abbiamo già aumentato i finanziamenti dell’UE per proteggere i luoghi di culto e altri locali e stiamo lavorando per rendere disponibile maggiore sostegno. Parallelamente, stiamo intensificando l’applicazione della legislazione pertinente per garantire che le piattaforme online reagiscano in modo rapido ed efficace ai contenuti antisemiti o anti-musulmani online, siano essi contenuti terroristici, incitamento all’odio o disinformazione”.

(Bet Magazine Mosaico, 7 novembre 2023)

........................................................


L’ipotesi dei due Stati è fantasia, il 7 ottobre ha cambiato la storia

Il sangue ha svegliato gli ebrei dal sogno del dialogo. Nessun Paese armato nascerà al confine. E non ci saranno altre Shoah.

di Jonathan Pacifici
Presidente del Jewish Economic Forum

Mentre l'esercito israeliano ha iniziato la bonifica totale di Gaza, nelle cancellerie occidentali ci si comincia a interrogare sul futuro della Striscia e più in generale dei palestinesi e di ciò che resta degli Accordi di Oslo. Molti si sono sbrigati a rispolverare il mantra «due popoli, due Stati», senza rendersi conto di cosa abbia rappresentato per Israele il 7 ottobre.
   Ci sono già due popoli e due Stati: l'Israele e gli israeliani prima del 7 ottobre e l'Israele e gli israeliani dopo il 7 ottobre. Questa data segna uno spartiacque storico che cambia tutto in Medio Oriente perché cambia fondamentalmente la percezione di sé che hanno gli israeliani. È stato un orribile reality check che ha svegliato in un istante un Paese. Israele ha capito in maniera inequivocabile che non solo dall'altra parte non c'è un partner, come ormai si dice da anni, ma non esistono e non esisteranno i presupposti identitari per un accordo politico. Gli israeliani hanno capito improvvisamente che non c'è nessuna questione territoriale nel conflitto, nessuna rivendicazione politica, nessun elemento che in qualsiasi altro contesto sarebbe gestibile con gli strumenti del dialogo, della diplomazia o della politica. L'Israele laica dei kibutzim e del processo di pace a tutti i costi si è svegliata nel sangue del 7 ottobre e ha dovuto accettare obtorto collo la dura realtà intuita ormai da anni da molte altre anime del Paese. Ci siamo ritrovati con gli orrori della Shoah dentro i più pastorali dei kibutzim. Il conflitto è esistenziale e fonda le sue radici sul più profondo antisemitismo. Non ci vogliono qui, dove qui è inteso come pianeta terra.
   E allora cosa ne sarà di Gaza, dei palestinesi? Difficile dirlo oggi. Certo nell'Israele del dopo 7 ottobre, si può già dire cosa non sarà. Gli israeliani non consentiranno mai più a nessun governo di tollerare a pochi metri dai propri bambini entità straniere armate. Mai più. Ogni singolo centimetro di territorio dal quale Israele si sia ritirata nella sua storia è diventato più prima che poi una base terroristica. Quand'anche questo è stato fatto lasciando spazio a entità apparentemente «moderate» come la Anp, in breve tempo ci siamo ritrovati con attentati suicidi, cecchini, accoltellatori nel migliore dei casi, e con un vero e proprio stato del terrore, come Gaza, nel peggiore. Gaza, liberata completamente dalla presenza israeliana (compreso il dissotterramento dei morti ebrei dai cimiteri) e diventata Hamastan, è quindi l'archetipo di ciò che succede quando Israele si ritira: una Shoah sui nostri figli che nessuno in Israele tollererà mai più. Questo preclude definitivamente ogni Stato palestinese, con buona pace delle cancellerie occidentali.
L'antisemitismo è la causa scatenante. Non ci vogliono qui, inteso come pianeta
L'unico interesse degli israeliani da ora in poi sarà solo ed esclusivamente quello della propria sicurezza. E’ per questo che interessa molto poco in Israele ciò che sarà dei palestinesi. Chiunque incontri per strada ti dirà che la qualità della loro vita sarà inversamente proporzionale al rischio che rappresentano per l'incolumità dei nostri figli. Gaza verrà demilitarizzata e messa in condizione di non nuocere. Non entrerà mai più un solo lavoratore dentro Israele. Vogliono farci uno Stato demilitarizzato, facciano pure, ma Israele continuerà a monitorare attentamente ciò che avviene ai confini. Come si può chiedere a Israele di fidarsi del controllo egiziano che ha permesso l'ingresso di decine di migliaia di missili, bombe ed esplosivi di tutti i tipi? È tutto materiale passato sotto i tunnel di Rafah con la connivenza del Cairo. Ci sarà probabilmente un cuscinetto di qualche chilometro e una separazione totale tra Gaza e Israele. Dubito che qualcuno voglia continuare a fornire gratis acqua ed elettricità al popolo del 7 ottobre. E nei territori? In Giudea e Samaria, finite le ostilità a Gaza, sarà necessaria una bonifica delle sacche terroristiche nei principali centri per evitare che il 7 ottobre si ripresenti in altre aree del Paese.
   La geografia, per chi la conosce (quindi non per la gran parte dei politici occidentali), rende impossibile qualsiasi spartizione territoriale. E’ semplicemente impossibile. Quando le cancellerie capiranno ciò pur di ottenere qualche risultato torneranno a chiedere accordi ad interim, una Anp maggiorata e altre formule che possono funzionare solo su qualche mappa nelle capitali europee. «Pensano che abbiamo a che fare con gli svizzeri o i finlandesi», mi confidava esasperato un politico di vecchia data. L'unica vera cosa che avrebbe un senso per migliorare la vita dei palestinesi, mi disse una volta un leader arabo a Hebron, sarebbe estendere lo status dei residenti arabi di Gerusalemme Est su tutti i territori. Diritti civili, ma non politici, come un qualsiasi europeo residente in un altro Stato membro. Possibilità di lavoro, previdenza sociale, libertà di spostamenti e pieni diritti in tutti i sensi, ma non il voto. Non, quindi, l'unica cosa che purtroppo interessa alla maggior parte di loro: la distruzione di Israele tramite la creazione di un altro Stato fallimentare come il Libano o la Siria. Questo gli israeliani del post 7 ottobre non lo permetteranno mai.

(La Verità, 7 novembre 2023)
____________________

"L'Israele laica dei kibutzim e del processo di pace a tutti i costi si è svegliata nel sangue del 7 ottobre e ha dovuto accettare obtorto collo la dura realtà intuita ormai da anni da molte altre anime del Paese." Questa per Israele potrebbe essere la fine dell'illusione di farsi proteggere da un Occidente che oggi proclama "Israele siamo noi". Come gli ebrei fino alla fine dell'Ottocento pensavano di aver trovato ciascuno la sua "patria" nella nazione in cui erano stati accolti come cittadini, così l'ebreo nazionale dal nome Israele ha pensato di aver trovato la sua "patria" nel "mondo" che lo aveva accolto come nazione. Certo, non tutti i membri nazionali del pianeta "mondo" hanno mostrato di accogliere con gradimento questo strano nuovo cittadino, che ad ogni passo sembra aggiungere nuovi guai alla "comunità internazionale", ma l'Israele laicista e democraticista ha pensato di poter essere difeso da quella parte laica e democratica del mondo chiamata Occidente. Il risveglio è stato brusco, non solo perché Israele ha toccato con mano che una parte del mondo non occidentale non solo ha in antipatia Israele, ma semplicemente vuole che sia tolto il disturbo provocato dalla sua presenza sulla terra, ma ha dovuto anche constatare che l'altra parte del mondo, quella buona, quella che dice che Israele ha diritto di esistere, ha fatto anche capire che Israele non ha diritto di difendersi. L'ebreo-nazione laicista e democraticista di Occidente è diventato ormai uno straniero in patria. M.C,
........................................................


Attentato a Gerusalemme: due agenti di frontiera feriti, terrorista ucciso

di Sarah Tagliacozzo

Questa mattina due agenti della polizia di frontiera israeliana sono rimasti gravemente feriti in un attentato terroristico alla Erode, una delle entrate alla Città Vecchia di Gerusalemme.
   Entrambi sono stati accoltellati da un terrorista di 16 anni residente a Gerusalemme Est, nel quartiere di Issawiya. L’attentato si è verificato non lontano dalla stazione della polizia Shalem. Il terrorista è stato ucciso e un secondo individuo, sospettato di essere suo complice, è stato arrestato. I due agenti sono stati soccorsi dal Magen David Adom, prima di essere portati al Hadassah University Medical Center di Gerusalemme. Una di loro, una donna ventenne, è gravemente ferita.
   «Quando siamo arrivati sulla scena, abbiamo visto una giovane donna, sui vent’anni, priva di conoscenze ed un uomo, sempre ventenne, in piedi. Abbiamo prestato il primo soccorso sul posto prima di evacuarli al Mount Scopus Hospital. Le condizioni della giovane donna sono critiche» ha spiegato Nadav Taieb, un soccorritore del Magen David Adom.

(Shalom, 6 novembre 2023)

........................................................


Spade di ferro - giorno 30. La guerra nei tunnel

di Ugo Volli

La nuova fase della guerra
  Terminato l’accerchiamento della città di Gaza, colpiti i principali edifici che contenevano centri logistici, di comunicazione, di comando, le fabbriche e le abitazioni dei capi terroristi, resta ora all’esercito israeliano il compito più difficile: stanare i terroristi, eliminare la loro infrastruttura, catturare o uccidere le loro truppe e soprattutto i loro capi. La guerra di Israele per la distruzione di Hamas e degli altri gruppi terroristi di Gaza non potrà essere vinta se non si raggiungono questi obiettivi, con il consenso della “comunità internazionale” o senza di esso. Se Israele accettasse di fermarsi prima, questo significherebbe la sopravvivenza di Hamas e dei suoi complici, in prospettiva una riedificazione delle sue strutture militari e del suo dominio su Gaza, grazie all’aiuto di Iran, Qatar, Turchia, e quindi la certezza che prima o poi il massacro del 7 ottobre si potrebbe ripetere in una forma o nell’altra, come gli stessi capi di Hamas hanno minacciato. Tutti i sacrifici sarebbero stati allora vani o quasi.

Il combattimento urbano
     Per liquidare definitivamente il terrorismo a Gaza, Israele deve prendere il controllo delle città e mantenerlo per il tempo sufficiente a eliminare tutti i residui di resistenza. Questo significa affrontare le strade e le case da dove i terroristi nascosti (che sono ancora molto numerosi, almeno i tre quarti degli effettivi di Hamas) tentano di uccidere i soldati e distruggere i loro mezzi. Ma le case sono vulnerabili all’aviazione e all’artiglieria. Vi è ormai un coordinamento stretto delle forze israeliane per cui si può essere sicuri che gli edifici da dove i terroristi spareranno saranno presto distrutti. Ciò naturalmente comporta una grave devastazione dell’ambiente urbano, ma la responsabilità non è dell’esercito israeliano bensì dei terroristi che usano le strutture civili come fortificazione militari, il che è un crimine di guerra. In sostanza la sofferenza dei civili deriva dalla scelta dei terroristi di non combattere in campo aperto, di mescolarsi alla popolazione senza indossare uniformi, spesso usando ambulanze, ospedali, scuole e moschee per nascondersi.

La “metropolitana di Gaza”
     Se gli edifici usati come base del combattimento terrorista possono essere conquistati o distrutti con l’aiuto dell’aviazione e dell’artiglieria (ma certamente non senza perdite), molto più problematico è il caso delle gallerie, che sono la vera base d’azione e il rifugio dei terroristi e delle loro armi. Si tratta letteralmente di centinaia di chilometri di tunnel, costruiti nel corso degli anni a diversi livelli e con percorsi tortuosi, in tre grandi gruppi: al nord sotto agli insediamenti di Beit Hanoun e Jabalia; al centro sotto la città di Gaza, al sud sotto Kahan Jounis. I centri di snodo di questa “metropolitana di Gaza” sta sotto i principali ospedali: lì vi sono i magazzini di armi e viveri e carburanti, centri di comunicazione e comando, probabilmente anche i luoghi dove vivono i capi più importanti e le celle dove sono tenuti gli ostaggi.

La difficoltà di eliminare i tunnel
     Il primo problema per Israele è che di queste gallerie si ha una conoscenza molto approssimativa. La rilevazione radar è difficile, lenta e imprecisa. I radar a banda ultra larga (da 300 a 3000 Mhertz) penetrano solo fino a 30 metri e hanno una risoluzione molto bassa. Inoltre funzionano con macchine pesanti montate su carrelli, che è difficile usare in guerra. Allagare i tunnel, o riempirli di gas è tecnicamente complicato, perché certamente vi sono paratie e punti di sfogo; molti sono stati bombardati, cercando di farli crollare, ma riuscirci è difficile, perché molti sono profondi e costruiti tenendo conto di questa possibilità e bisogna anche tener conto del fatto che al loro interno vi sono gli ostaggi, che fungono da scudi umani. In questi ultimi giorni Israele ha iniziato a usare “bombe sismiche” o antibunker, che non esplodono in superficie ma sottoterra (fino a 30 metri di profondità) provocando una sorta di piccolo terremoto capace di far collassare grotte e gallerie: efficaci, ma con raggio limitato. Entrare a esplorarli significa correre forti rischi. I droni aerei e anche i robot terrestri (che esistono e sono capaci di superare ostacoli notevoli) sono difficili da usare, perché il segnale radio non passa facilmente gli angoli dei tunnel. In questo momento Israele sta usando cani appositamente addestrati che portano piccole telecamere e rilevatori; ma anche questi risentono della difficoltà di trasmissione delle onde elettromagnetiche. Anche i visori notturni, che sono molto utili all’esterno perché amplificano quel minimo di luce che esiste sempre, nelle gallerie non funzionano, perché il buio è facilmente totale. Vi sono dei visori termici, che rilevano i raggi infrarossi emessi con diversa intensità dai vari materiali; ma essi possono essere facilmente confusi con l’uso di diverse forme di calore.

Il combattimento sotterraneo
  In definitiva saranno dei soldati a dover affrontare i pericoli delle gallerie: bombe nascoste, frane artificiali, agguati da feritoie e botole, le fiamme o la mancanza di ossigeno: ogni forma di minaccia prima del combattimento fisico. Israele ha sviluppato un’arma speciale per l’uso nelle gallerie, delle “bombe-spugna” che emettono una specie di gel che si solidifica rapidamente bloccando molte aggressioni; ma si tratta di strumenti di uso difficoltoso, che possono colpire anche chi li maneggia. Resta comunque il grande vantaggio, dentro il tortuoso labirinto delle gallerie, di chi le ha progettate, le conosce e ne detiene le mappe. Ma i valorosi soldati israeliani delle squadre speciali che svolgeranno questo compito si sono addestrati a lungo per riuscirci e hanno certamente l’appoggio di tecnologie che non sono pubbliche come quelle di cui finora ha parlato questo articolo. A loro, soprattutto è affidata la difficile sfida col terrorismo che Israele è stato costretto ad affrontare dai crimini del 7 ottobre.

(Shalom, 6 novembre 2023)

........................................................


La "soluzione a due Stati" per l'assassinio degli ebrei

L'idea che Abbas o qualsiasi altro leader palestinese possa domare Hamas in "Cisgiordania" è falsa e pericolosa.

di Bassam Tawil

Dal massacro di Hamas del 7 ottobre, migliaia di palestinesi della cosiddetta "Cisgiordania" sono scesi in piazza quasi ogni giorno per mostrare il loro sostegno al gruppo terroristico sostenuto dall'Iran.
   Si tratta della stessa Cisgiordania che l'amministrazione Biden e molti in Occidente sperano possa far parte di un futuro Stato palestinese accanto a Israele. Coloro che continuano a promuovere la pericolosa idea di una "soluzione a due Stati" ignorano il fatto che Hamas è presente non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania.
   Stranamente, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden e alcuni politici occidentali continuano a parlare della necessità di creare uno Stato palestinese sovrano e indipendente anche dopo le atrocità di Hamas. In realtà stanno dicendo che: Dopo che Hamas ha usato la Striscia di Gaza per invadere Israele e massacrare gli ebrei, dovremmo lasciare che questo gruppo terroristico islamico abbia la Cisgiordania, in modo che possa usarla a sua volta per massacrare gli ebrei.
   Le manifestazioni a favore di Hamas dimostrano che il gruppo terroristico è popolare tra i palestinesi, compresi quelli che vivono in Cisgiordania. Le manifestazioni ricordano anche che un gran numero di palestinesi sostiene il terrorismo contro Israele, compresi crimini efferati come lo stupro, la decapitazione, la tortura e il bruciare vivi donne e bambini.
   Recenti sondaggi d'opinione condotti dal Palestinian Centre for Policy and Survey Research (PSR) hanno dimostrato che la maggior parte dei palestinesi sostiene Hamas e la "lotta armata" (omicidio) contro Israele. Ogni bambino palestinese sa che se si tenessero oggi le elezioni presidenziali, Hamas vincerebbe. L'ultimo sondaggio PSR, pubblicato un mese prima del massacro di Hamas, ha rilevato che il 58% dei palestinesi voterebbe per il leader di Hamas Ismail Haniyeh, rispetto al 37% per il presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas. Il sondaggio ha anche rilevato che il 58% dell'opinione pubblica palestinese sostiene "gli scontri armati e l'intifada" contro Israele.
   Le manifestazioni pro-Hamas si sono svolte principalmente nelle aree della Cisgiordania controllate dall'Autorità Palestinese sotto la guida di Abbas. Sebbene Abbas e altri alti dirigenti dell'Autorità Palestinese detestino Hamas, non fanno nulla per impedire ai palestinesi che vivono sotto il loro governo di scendere in strada per celebrare l'uccisione di 1.400 israeliani e il ferimento di oltre 5.000 altri durante il massacro del 7 ottobre.
   Vale la pena ricordare che Hamas ha espulso l'Autorità Palestinese dalla Striscia di Gaza nel 2007 dopo aver ucciso centinaia di lealisti di Abbas, alcuni dei quali sono stati trascinati per le strade e linciati, mentre altri sono stati gettati dai tetti di alti edifici.
   Non riuscendo a frenare le manifestazioni a favore di Hamas, l'Autorità Palestinese non solo è complice dell'incitamento all'omicidio degli ebrei, ma agisce anche contro i propri interessi, incoraggiando i rivali di Hamas. Uno dei motivi per cui l'Autorità Palestinese non interviene per fermare le manifestazioni pro-Hamas è che i suoi leader sono essi stessi coinvolti nella campagna di incitamento contro Israele.
   In effetti, la retorica anti-Israele e antisemita di Abbas sembra talvolta superare quella dei suoi rivali di Hamas. Un mese prima del massacro di Hamas, Abbas ha ripetuto una serie di slogan antisemiti che ha pronunciato nel corso degli anni, tra cui l'affermazione che il dittatore nazista Adolf Hitler avrebbe fatto massacrare gli ebrei per il loro "ruolo sociale" di usurai.
   In un discorso trasmesso dalla televisione palestinese il 3 settembre, Abbas ha detto ai leader del suo partito di governo Fatah durante una riunione a Ramallah:
   "Voi dite che Hitler ha ucciso gli ebrei perché erano ebrei e che l'Europa odiava gli ebrei perché erano ebrei. Questo non è vero. È stato detto chiaramente che [gli europei] hanno combattuto gli ebrei per il loro ruolo sociale e non per la loro religione... Gli [europei] hanno combattuto queste persone per il loro ruolo nella società, che aveva a che fare con l'usura, il denaro e così via".
   Vale anche la pena notare che è stato Abbas a dare il via alla campagna di incitamento contro Israele per quanto riguarda le visite di individui e gruppi ebraici al Monte del Tempio di Gerusalemme, il cui Muro Occidentale è tutto ciò che rimane dei templi ebraici (distrutti nel 586 a.C. e nel 70 d.C.) e che è il luogo più sacro dell'ebraismo.
   In un famigerato discorso del 2015, Abbas ha falsamente accusato gli ebrei che visitano il loro santo Monte del Tempio di profanare la Moschea di Al-Aqsa sul Monte del Tempio:
   "Accogliamo con favore ogni goccia di sangue versata per amore di Gerusalemme. Questo sangue è sangue pulito, puro, versato per amore di Allah... Ogni martire entrerà in paradiso e tutti i feriti saranno ricompensati da Allah... La Moschea Al-Aqsa e la Chiesa del Santo Sepolcro sono nostre. Sono tutte nostre e loro [gli ebrei] non hanno il diritto di profanarle con i loro piedi sporchi".
   Il discorso di sangue di Abbas è stato interpretato da molti palestinesi come una licenza all'omicidio. In effetti, poco dopo l'accusa di Abbas nel 2015, i palestinesi hanno iniziato una serie di attacchi terroristici in cui decine di ebrei sono stati uccisi con accoltellamenti e attentati.
   Abbas e l'Autorità Palestinese hanno dimostrato più volte di odiare Israele quanto, se non più, di Hamas.
   La leadership dell'Autorità Palestinese conduce una campagna incessante per diffamare Israele e demonizzare gli ebrei, soprattutto sulla scena internazionale. La leadership palestinese ha ripetutamente accusato Israele di "genocidio", "crimini di guerra", "pulizia etnica" e "apartheid". Ha anche ripetutamente minacciato di portare le accuse di "crimini di guerra" contro gli israeliani davanti alla Corte penale internazionale.
   Per decenni, Abbas ha usato ogni piattaforma disponibile, compresa l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, per diffondere messaggi di odio e bugie contro Israele. Il suo obiettivo finale è quello di minare e delegittimare Israele fino a isolarlo completamente sulla scena internazionale. Il suo incitamento quotidiano contro Israele non solo ha rafforzato Hamas, ma ha anche alimentato l'antisemitismo nel mondo.
   Dopo il pogrom di Hamas del mese scorso, Abbas si è astenuto dal condannare il gruppo terroristico. Ha invece scelto di incolpare Israele per la guerra che ne è seguita. In sostanza, Abbas sta dicendo che Israele non ha il diritto di difendersi di fronte alle atrocità di Hamas. Sta anche suggerendo che non vede alcun problema nel fatto che Hamas invii migliaia di terroristi a invadere Israele e a uccidere brutalmente civili israeliani innocenti.
   L'idea che Abbas o qualsiasi altro leader palestinese voglia mettere sotto controllo Hamas in Cisgiordania è falsa e pericolosa. Abbas non ha alcun problema con Hamas che opera in Cisgiordania, purché il gruppo terroristico attacchi Israele e non lui o la leadership dell'AP. Per questo ha permesso ai sostenitori di Hamas di marciare per le strade di Ramallah, Nablus, Jenin e altre città della Cisgiordania, scandendo slogan a sostegno di Hamas.
   Il 29 ottobre, decine di scolaresche hanno marciato a Jenin, scandendo "Siamo la figlia di [Muhammad] Deif, l'arci-terrorista di Hamas", "Vogliamo la jihad [guerra santa], vogliamo morire in nome di Allah" e "Vogliamo far saltare la testa dei sionisti". In altre manifestazioni di sostenitori di Hamas, alcune delle quali si sono svolte non lontano dall'ufficio di Abbas, i palestinesi hanno scandito: "Chiunque abbia una pistola dovrebbe sparare a un ebreo o darla a Hamas".
   L'idea di creare uno Stato palestinese in Cisgiordania significa trasformare quest'area in un'altra rampa di lancio per attacchi contro Israele e per il massacro di uomini, donne e bambini ebrei. Il Presidente Biden e il Segretario di Stato americano Antony Blinken possono sostenere quanto vogliono che Hamas non rappresenta i palestinesi, ma chiunque viva in Cisgiordania e a Gaza sa che questa è una bugia mortale. Ogni palestinese conosce e ammira le manifestazioni pro-Hamas che si sono svolte in Cisgiordania dal 7 ottobre.
   Ogni palestinese vede e spesso ammira i gruppi armati affiliati a Hamas che sono emersi in Cisgiordania negli ultimi due anni. Ogni palestinese ha anche visto come Hamas ha vinto le elezioni dei consigli studenteschi nelle principali università della Cisgiordania, tra cui l'Università Birzeit e l'Università An-Najah. Ogni palestinese vede anche che l'Autorità Palestinese non è pronta a combattere Hamas e gli altri gruppi terroristici in Cisgiordania.
   Ciò che sembra sfuggire a molti in Occidente è che è la sicurezza e la presenza civile di Israele in Cisgiordania a impedire ad Hamas o a gruppi come Al-Qaeda o lo Stato Islamico di prendere il controllo dell'area. Non sembrano nemmeno rendersi conto che Abbas è al potere in Cisgiordania solo grazie alla presenza israeliana. Senza questa presenza, Hamas avrebbe preso il controllo della Cisgiordania molto tempo fa. La creazione di uno Stato palestinese in Cisgiordania significherebbe trasformarla in un'altra base a guida iraniana per la jihad contro gli ebrei.
   È ora che Biden e altri politici occidentali smettano di propagandare idee deliranti che porteranno rapidamente a una ripetizione del massacro del 7 ottobre. Ci si chiede quanti bambini ebrei dovranno essere decapitati o bruciati vivi perché si rendano conto che i leader palestinesi hanno radicalizzato il loro popolo contro Israele fino al punto di vantarsi di massacrare gli ebrei con le loro stesse mani.

(Israel Heute, 3 novembre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


*


Medio Oriente, nessuno crede più alla fiaba dei due popoli in due Stati

di Eugenio Capuozzi

"Due popoli in due Stati" è il mantra diplomatico per la soluzione del conflitto in Medio Oriente. Dare uno Stato agli ebrei e uno agli arabi fu proposto per la prima volta nel 1947. Gli arabi rifiutarono. E da quel rifiuto, che tuttora persiste, derivò tutto il resto.
  Ora anche papa Francesco, nell'intervista rilasciata il 1° novembre al direttore del TG1, ha indicato l'obiettivo dei “due popoli, due Stati” come l'unica possibile soluzione al conflitto arabo-israeliano. Ma il pontefice è soltanto l'ultimo di una lunga, anzi interminabile serie. Ogni volta che la violenza in Medio Oriente torna ad esplodere, la gran parte dei leader politici mondiali, compresi quelli occidentali, torna a invocare la nascita di uno Stato nazionale palestinese che conviva con quello ebraico.
  Ma quella formula viene utilizzata prevalentemente senza specificare le modalità attraverso le quali l'obiettivo potrebbe essere concretamente raggiunto, né i motivi a causa dei quali non è stato raggiunto fino ad ora. Essa viene ripetuta come un mantra, quasi fosse un talismano, perché utile a cavare momentaneamente d'impaccio chi la pronuncia rispetto agli enormi problemi di politica internazionale, di sicurezza, di convivenza civile che si pongono a qualsiasi governo o paese sia costretto a mettere le mani dentro questo inestricabile e avvelenato ginepraio. In ogni caso, sempre più nel tempo essa è andata perdendo riferimenti di contenuto, ed è diventata sostanzialmente un puro artificio retorico. Nessuno degli attori politici che ad essa ricorrono, e nessuna delle parti direttamente o indirettamente in causa nel conflitto alle quali essa è rivolta, crede nella sua effettiva realizzabilità.
  In realtà si può dire che la soluzione dei due popoli e due Stati rappresentò storicamente non la soluzione, ma la premessa del conflitto arabo-israeliano. Infatti quando l'Assemblea generale dell'Onu nel 1947 votò a larga maggioranza la Risoluzione 181 per la suddivisione della regione denominata Palestina, sottoposta dopo la fine dell'Impero Ottomano al mandato britannico, tra uno Stato arabo e uno ebraico - cercando di porre fine a una lunga disputa resa ancor più drammatica dallo sterminio nazista degli ebrei europei e dall'appoggio del Gran Muftì di Gerusalemme al-Husseini a Hitler - quella risoluzione venne respinta dai paesi arabi sotto la spinta del montante nazionalismo panarabo. E quando nel maggio 1948 fu proclamata la nascita di Israele, quest'ultimo venne attaccato militarmente da quei paesi, che intendevano cancellarlo e cacciare via gli ebrei immigrati.
  La storia della cosiddetta “questione palestinese” è innanzitutto, per molti decenni, la storia del rifiuto ostinato da parte araba di riconoscere l'esistenza legittima di Israele. Fu quel rifiuto a ispirare, per calcolo  politico, la scelta di Giordania ed Egitto di non assimilare gli arabi cacciati o fuggiti da Israele dopo la prima guerra, ma di mantenerli nella condizione di profughi. Ed è su quel rifiuto che fu fondata l'Organizzazione per la liberazione della Palestina, e fu “inventato” ex post un “popolo palestinese” (arabo) che precedentemente non aveva mai avuto un'identità nazionale specifica. Soltanto dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, con la bruciante vittoria preventiva degli israeliani e l'occupazione di Cisgiordania, Gaza e Sinai, e poi dopo la guerra del Kippur del 1973 si cominciò a parlare in sede internazionale – con il consenso di alcuni settori della classe politica israeliana e araba – di un possibile scambio “pace contro territori”, e quindi di un possibile spiraglio per uno Stato arabo palestinese proprio in Cisgiordania e Gaza, che convivesse con quello ebraico.
  Dopo estenuanti vicende e trattative, quello spiraglio fu alla base degli Accordi di Oslo del 1993 tra Rabin e Arafat, e poi della proposta degli israeliani a Camp David nel 2000 di uno Stato palestinese sull'85% dei territori stessi. Ma quella proposta – questo è il punto fondamentale – fu rifiutata proprio da Arafat, mentre l'Olp era ormai incalzata da posizioni ben più radicali ispirate non più al nazionalismo arabo ma al fondamentalismo/integralismo islamico, come quelle della Jihad islamica e di Hamas, aizzate da poteri destabilizzanti come il regime integralista degli ayatollah iraniani.
  Il successivo, estremo tentativo di incanalare di nuovo una possibile trattativa sul binario dei “due popoli, due Stati” fu intrapreso dal 2002 per iniziativa di George W. Bush (desideroso di spegnere il conflitto nell'area nel momento della ben più ampia contrapposizione con l'integralismo islamico seguita agli attacchi dell'11 settembre) con la Road Map for Peace, sostenuta dal “quartetto” formato da Stati Uniti, Russia, Unione Europea e Onu. E fu nello spirito di questo tentativo di conciliazione, oltre che di una crescente convergenza con Egitto e Giordania, che nel 2005 il primo ministro Sharon decise unilateralmente di ritirare le truppe israeliane da Gaza.
  Purtroppo, come è noto, quel ritiro non fu la premessa dell'evoluzione dell'Autorità palestinese verso una democrazia animata da volontà di convivenza con lo Stato ebraico, ma al contrario l'inizio della presa di potere di Hamas (il cui statuto prevede l'obiettivo primario e non negoziabile della distruzione di Israele) con un consenso elettorale largamente maggioritario, e del regolamento di conti armato tra gli estremisti fondamentalisti e Fatah. Oggi è proprio la prevalenza di Hamas e delle forze islamiste che puntano alla destabilizzazione di tutta l'area – enormemente incrementate nell'ultimo ventennio – ad aver reso del tutto impraticabile la soluzione dei “due popoli due Stati”. È logicamente impossibile la convivenza tra due Stati nazionali vicini quando la  corrente decisamente prevalente nella politica e nell'opinione pubblica di quello che dovrebbe essere uno dei due, sostenuta da una rilevante parte dell'opinione pubblica nei paesi islamici, ritiene che il vicino non debba esistere, e appena ne ha la possibilità pratica cerca di distruggerlo.
  I tragici eventi del 7 ottobre scorso non sono un incidente ma la conseguenza inevitabile di questa situazione. Finché Hamas e altri gruppi dalla simile impostazione esisteranno, finché esisteranno i regimi islamisti come l'Iran che se ne servono, finché Giordania ed Egitto (ed Arabia Saudita) non si assumeranno la responsabilità politica effettiva dei territori, garantendo la convivenza con Israele, parlare di “due popoli due Stati” è soltanto un inconcludente flatus vocis. Ammesso pure che la diplomazia internazionale riuscisse, miracolosamente, a farlo nascere, l'eventuale Stato arabo palestinese sarebbe solo una versione più ampia di ciò che oggi è Gaza, o il Sud Libano controllato da Hezbollah: una enorme base terroristica sempre pronta a infiammare tutto il Medio Oriente e a destabilizzare il mondo.

(La Nuova Bussola Quotidiana, 4 novembre 2023)

........................................................


Il tormento di una madre nel silenzio del kibbutz

Siamo rimasti pochi a Sasa. Non ci dà pace il pensiero dei nostri figli andati a stanare le belve che hanno raso il suolo i villaggi della cooperazione, bruciato neonati, violentato donne, rapito anziani. Belve che si fanno scudo con bambini inermi.

di Angelica Calò Livnè*

Un soldato israeliano nella cameretta dei bambini di una casa data alle fiamme nel kibbutz Nir Oz, dove sono state assassinate cento persone e rapiti 70 ostaggi da Hamas
2 novembre 2023. La sala da pranzo di Sasa, 600 posti a sedere, è silenziosa. Siamo solo in 40: i bambini prima di tutti, poi il resto del kibbuz è stato evacuato. Ognuno prende il suo vassoio, lo riempie senza curarsi di cosa sia entrato nel piatto e quando lo sguardo incontra un altro sguardo dice sommessamente “Shalom” e ritorna nel proprio silenzio.
Le immagini del massacro non ci danno pace, il pensiero dei nostri figli che combattono strenuamente all’inseguimento delle belve ci attanaglia il cuore e i cerchi grigi sotto agli occhi denunciano le notti insonni di padri, madri, figli e mogli che hanno trascorso un’altra notte tormentata. È trascorso quasi un mese, quanti anni dovranno passare prima che i bambini ai quali hanno trucidato i genitori davanti agli occhi potranno riprendersi? Prima che quegli uomini ai quali hanno violentato la donna amata davanti agli occhi potranno riprendersi, prima che tutti noi in prima linea e il resto del mondo potremo risvegliarci da questa angoscia?

• Genitori in guerra e kibbutz della pace rasi al suolo
  Un esercito di psicologi, assistenti sociali accompagnano la popolazione israeliana. Un bambino che parla, a due anni, già capisce cosa sta succedendo intorno a lui. La televisione, i social continuano a mostrare attività, giochi, video di cartoni animati che rassicurano, rasserenano, divertono i bambini che non capiscono perché il papà o la mamma non sono in casa da più di tre settimane. Perché si sono vestiti da soldati? A noi non piacciono le guerre, perché hanno ritirato fuori il fucile che era da tempo nascosto nell’armadio? Perché ci sono i cattivi al mondo? Perché non c’è nessuna fata che ci riporta la nonna, lo zio o la fidanzata del fratello? L’università riaprirà il 5 novembre, no, il 15, no, forse il 3 dicembre, forse solo via zoom o forse quest’anno non aprirà perché docenti e studenti sono al fronte, o sono tra i rapiti, o forse non ci sono più.
   E i corsi che erano pronti, strutturati, ricchi come al solito sono diventati irrilevanti: ora si deve parlare di resilienza, del “senso della vita”, di speranza. Di ricostruzione. Nel frattempo cogliamo le mele al frutteto. Insieme ai nostri vicini, amici dei villaggi arabi circostanti, abbiamo già salvato un terzo del raccolto. Raccogliamo indumenti per le famiglie che alle 6.30 del mattino sono riuscite a scappare, ancora in pigiama e che della propria casa non è rimasto che un cumulo di macerie. E sto parlando di Israele, sto parlando dei kibbuzim e dei villaggi, più di 40, rasi al suolo. Villaggi dove abitavano attivisti per la pace, quelli che da sempre combattono e manifestano per la cooperazione con i palestinesi, quelli che davano loro lavoro, quelli che ogni giorno andavano volontari a trasportarli con la loro auto a fare la chemio o la dialisi negli ospedali israeliani.

• Hamas, bestie immonde
  Sto parlando dell’Israele più progressista. Più splendente di luce, l’Israele della multi cultura, del rispetto per ogni fede e per ogni essere umano. Quegli esseri immondi che hanno varcato il confine cercando di distruggere ogni speranza di vita insieme a noi, sono stati capaci di entrare all’alba in una casa, in cento case, di mettere il neonato di tre mesi nel forno dove si fanno le torte, violentare la madre davanti al figlio, spaccargli la testa e portare via il padre in ostaggio. E ora il mondo deplora Israele perché li sta stanando nelle loro tane? Coperti e protetti da un muro di bambini palestinesi inermi?
   Non è Angelica quella che scrive… è una donna, una madre disperata che continua a credere con tutta se stessa che c’è ancora speranza, ma che il male si deve estirpare, e che D. protegga i rapiti, i combattenti con la stella di David, eroi che vogliono solo continuare a curare questo giardino meraviglioso che abbiamo coltivato, piantato e risvegliato alla vita.
-------
* Angelica Calò Livnè, autrice di questa lettera, è educatrice, regista e scrittrice ebrea italo-israeliana. Vive nel kibbutz Sasa, in Alta Galilea, dove ha creato la Fondazione Beresheet LaShalom – Un inizio per la pace. In collaborazione con Tempi ha scritto il libro Un sì, un inizio, una speranza (2002).

(Tempi, 4 novembre 2023)

........................................................


La storia di Benedetto. Metzadà shenìt lo tippòl

Intervento al convegno “Davide doveva farsi uccidere da Golia” tenuto il 30 ottobre a Latina.

di Daniel Sermoneta 

FOTO
Vorrei raccontarvi la storia di un uomo e della sua famiglia. Una mattina, una mattina come tante di quel periodo orribile – era il 23 marzo del 1943 – un uomo di 39 anni usciva di casa per andare a lavoro; doveva sfamare la sua famiglia, composta da moglie e 5 figli.
   Una spiata, poche migliaia di lire – tanto valeva la vita di un italiano ebreo – e tutto cambia; quell’uomo (un civile in abiti da lavoro, non un soldato in divisa) viene arrestato dagli uomini dell’Aussenkommando, agli ordini di Herbert Kappler. Il giorno seguente sarà trucidato alle Fosse Ardeatine insieme ad altri 334 martiri: 10 per ogni tedesco ucciso, questa era la “rappresaglia” per l’attentato di via Rasella.
   Quell’uomo, ripeto, aveva cinque figli: i più piccoli erano due gemelli, avevano appena due anni e non ricorderanno mai il proprio padre; uno di quei due gemelli è mio padre, quell’uomo trucidato alle Fosse Ardeatine era mio nonno: il suo nome era ed è Benedetto Sermoneta.
   Questo succedeva qui, in Italia, a casa nostra, 80 anni fa. Quando si parla di nazifascismo, spesso, lo si fa come se si parlasse delle Guerre Puniche, di Leonida e dei suoi 300 alle Termopili: invece succedeva l’altro ieri, in casa nostra, a mio nonno.
   C’erano i tedeschi, i nazisti, e c’erano gli italiani, i fascisti. Purtroppo molti dei nostri connazionali sono stati protagonisti attivi di quelle atrocità: è un fatto storico con cui bisogna far pace. Ci sono stati Italiani Giusti (e oggi sono tra i giusti di Israele), ci sono stati italiani squadristi e ci sono stati italiani – i più – che hanno voltato il capo dall’altra parte.
   Noi ebrei siamo abituati a difenderci, lo siamo da 5784 anni: è vero, siamo sempre all’erta e attenti ad ogni parola, ad ogni sfumatura di significato: sapete perché? Perché siamo da sempre costretti a difenderci.
   E’ paradossale che oggi, nel 2023, debba esistere un osservatorio sull’antisemitismo ed è terribile che i fatti di Israele del 7 ottobre scorso abbiano consentito a tanti, troppi, di dissimulare il proprio antisemitismo, spesso presentato subdolamente come antisionismo.
   Godiamo della simpatia altrui (nel senso etimologico del sun-pathos, ovvero della cum-passione) quando siamo perseguitati, trucidati, ghettizzati o nel migliore dei casi ostracizzati e derisi. Ma quando ci difendiamo – perché abbiamo imparato bene a farlo – diventiamo indigesti, la stella gialla e il naso aquilino si riaffacciano alla mente dei più: gli ebrei tornano ad essere i giudei, quelli da contenere e da cui tenersi alla larga; quelli da mettere all’indice, quelli pericolosi, diversi…
   Ma noi ebrei, come detto, siamo abituati a difenderci¸ siamo un popolo pieno di orgoglio. Molti di voi conosceranno la storia di Masada. Una roccaforte che sorgeva in mezzo al deserto di Israele e che, intorno al 70 d.C., fu assediata dai Romani. Gli ingegneri furono costretti a costruire una vera e propria rampa, una sorta di sopraelevata, con la quale riuscirono ad entrare nella fortezza dopo un lungo assedio; tuttavia non trovarono nessuno, perché gli abitanti si erano uccisi l’un l’altro (e gli ultimi suicidati) pur di non essere tradotti come schiavi.
   E sapete dove vanno a giurare le giovani reclute dell’esercito israeliano? Proprio a Masada, al grido Metzadà shenìt lo tippòl (“Mai più Masada cadrà!”).
   Le persone che durante la giornata della Memoria mi inviavano messaggi di affetto e vicinanza sono le stesse che oggi, sulle piattaforme social, espongono la bandiera palestinese: questo è un vero e proprio cortocircuito logico, secondo me.
   Il 7 ottobre c’è stato un attacco terroristico nei confronti di civili inermi in quanto ebrei: gli “esseri viventi” che hanno compiuto quegli atti (non riesco a chiamarli “persone”) non gridavano contro Israele, contro i coloni, contro i soldati: gridavano “morte agli ebrei”. Non c’entra la Palestina, non c’entrano i confini, non c’entrano i territori e non c’entra la bandiera della Palestina: c’entra solo l’odio religioso.
   Però si condanna Israele, come se il diritto, o meglio il dovere di uno Stato non sia quello di difendere i propri cittadini dagli attacchi esterni, in primis quelli terroristici; questa mattina ho letto una riflessione che mi ha colpito: quando gli Alleati bombardarono Dresda, nel 1945, c’erano 600.000 abitanti. Ne morirono 40.000, certamente non tutti erano nazisti: qualcuno ha mai sostenuto che i bombardamenti alleati fossero crimini di guerra?
   E perché, oggi, nei confronti di Israele, dovremmo usare un altro metro di giudizio? Forse proprio perché è Israele.

(Fatto a Latina, 5 novembre 2023)

........................................................


È iniziata la grande apostasia?

Ci sono sempre stati appassionati predicatori che hanno messo in guardia sull'approssimarsi degli eventi descritti nell'Apocalisse e hanno denunciato la corruzione della società. Cosa c'è di diverso oggi?

di Stephan Beitze

La Bibbia parla spesso di "apostasia" che significa ribellione o allontanamento da qualcosa in cui si crede. Nell'Antico Testamento concetti come "apostasia", "deviare", "allontanare" e altri termini simili appaiono spesso (Geremia 2:19; 5:6; 8:5; 14:7; Osea 11:7). Quando si arrivò all'apostasia in Israele, fu un allontanamento dalla Parola di Dio, dalla sua volontà e dalla sua presenza. Questo è sempre avvenuto in concomitanza con l'idolatria, l'immoralità, l'ingiustizia sociale e l'egoismo che hanno condotto l'uomo inevitabilmente a subire il giudizio di Dio. Tra le altre cose, Daniele usa questa parola per il tempo dell'Anticristo:

    "Egli corromperà con lusinghe quelli che tradiscono il patto; ma il popolo di quelli che conoscono il loro Dio mostrerà fermezza e agirà." (Daniele 11:32).

Nel Nuovo Testamento troviamo diverse citazioni sull'argomento apostasia. Il primo a parlare di apostasia fu il Signore Gesù stesso, il quale profetizzò che in un momento di tribolazione sarebbe stato visto in modo speciale:

    ''Allora molti si svieranno, si tradiranno e si odieranno a vicenda. Molti falsi profeti sorgeranno e sedurranno molti." (Matteo 24:10-11 ).

La stessa parola viene usata nella parabola del seminatore riguardo al seme che cade nei quattro posti diversi. Del seme, che cade sotto le rocce, si dice," ... però non ha radice in sé ed è di corta durata; e quando giunge la tribolazione o persecuzione a motivo della parola, è subito sviato." (Matteo 13:21 ).
   Anche se la parola di Dio ha agito in loro, appena nascono dei problemi o delle difficoltà si allontanano da essa.
   Il Signore Gesù chiamò la seduzione uno dei più importanti segni del tempo della fine prima della Sua venuta. È l'unico sostantivo che viene ripetuto tre volte in Matteo 24 (24:4,5,11,23-26). E sebbene il culmine della seduzione arriverà nell'ultima grande tribolazione, già oggi vediamo l'avanguardia di ciò che sarà.
   In 2 Tessalonicesi 2:3 l'apostolo Paolo scrisse a coloro che pensavano che la venuta del Signore ci fosse già stata:

    "Nessuno vi inganni in alcun modo; poiché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l'apostasia e non sia stato manifestato l'uomo del peccato, il figlio della perdizione".

In un altro passo, Paolo dice:

    ''Ma lo Spirito dice esplicitamente che nei tempi futuri alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori e a dottrine di demòni". (I Timoteo 4:1)

Oppure:

    "Badate, fratelli, che non ci sia in nessuno di voi un cuore malvagio e incredulo, che vi allontani dal Dio vivente;" (Ebrei 3:12).

E in 2 Timoteo 4:4, nel contesto degli avvertimenti sulla fine dei tempi, Paolo dice: "e distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole. "
   Queste scritture mostrano che più ci avviciniamo alla fine dei tempi e all'apparizione dell'Anticristo, più la spazzatura aumenterà. Ma perché ci sia apostasia, deve esserci prima qualcosa da cui le persone possano "cadere" qualcosa che li influenzi. Se cerchiamo qualcosa nel nostro mondo occidentale che ha influenzato i grandi settori della società per lungo tempo, non possiamo evitare di nominare la parola cristianesimo.
   Il cristianesimo nel suo complesso non include più "solo" i veri credenti in Gesù Cristo, ma tutti coloro che si definiscono culturalmente cristiani, anche se non hanno fatto un'esperienza reale di conversione. L'intero Occidente e molte altre parti del mondo sono state influenzate dal cristianesimo e dalla Bibbia. Lo vediamo nella storia, nella letteratura, nelle leggi, nelle abitudini, nell'educazione, nei valori, nelle tradizioni, nell'arte e in molte altre cose ... persino negli eventi storici adoperiamo la dicitura prima di Cristo e dopo Cristo.
   È disarmante appurare quanto sia andato perduto negli ultimi decenni. I valori cristiani sono diventati uno "scandalo", un motivo di scherno, disprezzo e persino persecuzione. Purtroppo, anche i veri credenti possono essere influenzati da queste tendenze. Soprattutto nel contesto di 2 Timoteo, Paolo mette in guardia contro un tempo molto pericoloso. Se vogliamo sapere se la venuta del Signore sia vicina, ciò che dobbiamo fare è leggere le ultime parole dell'apostolo Paolo. Nella seconda epistola a Timoteo, che potrebbe anche essere stata scritta per sua volontà, l'apostolo mostra le caratteristiche degli uomini nei tempi della fine. Introduce l'argomento con un serio avvertimento:

    "Or sappi questo: negli ultimi giorni verranno tempi difficili" (2 Timoteo 3:1).

Le caratteristiche che l'apostolo menziona non sono molto diverse da quelle di Romani 1, dove vengono generalmente descritte le persone che non vogliono sapere nulla di Dio. Perché, quindi, quest'altro serio avvertimento?
   Perché il pericolo degli "ultimi giorni" non proviene da persone che sono lontane da Dio, ma queste caratteristiche sono visibili in molti che si considerano cristiani.
   In generale, tutto l'Occidente (Europa, Americhe, Australia e parte dell'Asia e dell'Africa) fin dalla sua cristianizzazione è stato caratterizzato, fino alla metà del 20° secolo, da un certo timore di Dio. La legislazione, i valori morali e la comprensione di come dovrebbe essere una vita sana sono stati plasmati dagli standard nella Parola di Dio. Ovviamente ciò non significa che tutte le persone abbiano creduto, ma il peccato non era considerato una virtù. Questo atteggiamento è cambiato drasticamente dagli anni '60. La rivoluzione sessuale e quella femminista, fatte di fornicazione e infedeltà, sono diventati valori per cui vale la pena lottare, espressione di autenticità e di vero amore.
   Sempre più "cristiani" si sono affannati nella ricerca e l'interesse per le religioni orientali e demoniache e anche la teoria dell'evoluzione ha soppiantato nell'insegnamento il creazionismo riducendolo a una favola per bambini o a uomini che credono alle favole.
   Il declino del pensiero etico ha sviluppato conseguenze di vasta portata nel comportamento morale di molti. L'uso di droghe è fuori controllo. Il Satanismo è diventato qualcosa che si fa per gioco o noia: "In fondo, non crediamo veramente nell'esistenza del diavolo". Tutto ciò ha pervertito il cristianesimo come mai prima d'ora. Gli effetti di questa apostasia su larga scala possono essere notati in 2 Timoteo 3. Quando Paolo parla degli "ultimi giorni", intende già il tempo di Timoteo (versetto 5). Ma è evidente che la caduta ha raggiunto oggi un livello senza precedenti.
   Paolo inizia con "egoista". Le persone della fine dei tempi sono egocentriche, egoiste e vanitose. Questa è l'essenza del peccato. Il centro di queste persone che amano smisuratamente se stessi è il regno dell'"ego" e quando l'ego governa, non c'è spazio per gli altri. Tutto è concentrato su di sé, sulla scoperta di sé, sulla "mia identità". «Io voglio dire», «Io penso», «Io voglio» e Io sono più importante della volontà di Dio, non c'è tempo per Dio.
   Al massimo gli diamo ciò che avanza dopo che l'Io si è realizzato. Una prova profana di questo sviluppo è l'auto-rappresentazione su Internet. Siamo diventati una società di selfie in cui il grande ego appare sempre per primo nella foto.
   Questo amor proprio si esprime anche in un amore sovradimensionato per il proprio corpo. Chiunque non si senta a suo agio con il proprio corpo, oggi, nella migliore delle ipotesi, lo ritrae modificato, si sottopone a interventi di chirurgia estetica o, nella peggiore delle ipotesi, cambia il proprio sesso.
   Questo culto di sé, in cui l'uomo si trova da solo al centro e dà vita alla massima autorità del cielo e della terra, si è da tempo infiltrato nelle comunità. Il vangelo della prosperità dei nostri tempi dice: "Dio vuole che tu ti senta bene. Fai solo ciò che ti fa sentire bene. Deve essere giusto per te. Sentiti libero di fare qualsiasi cosa che porti appagamento, gioia o piacere". Se sia secondo con la Parola di Dio non è più fondamentale. Principi biblici come la consacrazione (Romani 12:1) o l’autocontrollo (Galati 5:22) non sono più moderni e si ascoltano sempre più raramente dai pulpiti.
   L’altro aspetto malvagio nella lista che considereremo è "avido" o "amante del denaro".
   Questo aspetto è strettamente correlato al precedente. Se ti ami, ti servono più soldi per poter soddisfare te stesso sempre di più. L'auto-amante raccoglie denaro e beni e non c'è nulla, o comunque poco, che resta per gli altri. Non si rende conto di quanto il suo egoistico amore per il denaro influenzi tutte le sfere della sua vita: personale, familiare e sociale.
   Il nostro Signore Gesù ci ha messo in guardia contro questo in Luca 12:34, "Perché dov'è il vostro tesoro, lì sarà anche il tuo cuore. " Ha anche detto che l'amore per il denaro è un idolo di questo mondo:

    ''Nessuno può servire due padroni; perché o odierà l'uno e amerà l'altro, o avrà riguardo per l'uno e disprezzo per l'altro. Voi non potete servire Dio e Mammona." (Matteo 6:24).

Sfortunatamente, molti cristiani cadono vittime di questa trappola. Vivono solo per le cose materiali e danno al Signore solo ciò che avanza. Vola in tutto il mondo per le vacanze, ma non ha tempo per la missione in tutto il mondo. Spende molto per se stesso, ma il lavoro per il Signore si blocca perché mancano i mezzi.
   Successivamente, Paolo nomina i "vanagloriosi". Se stai cercando te stesso e hai un sacco di soldi, devi affermarlo. Coloro che amano soldi si vantano della loro auto nuova, dell'ultimo modello di cellulare, dei vestiti firmati, delle ultime vacanze che hanno passato, di quello che hanno o non hanno fatto. E chi non riesce a stare al passo con gli altri allo stesso modo, si riempie di debiti, per poter, anche lui, rappresentare qualcosa.
   Sfortunatamente, questo tipo di atteggiamento non è assente nelle nostre comunità. Alcuni riescono persino a vantarsi di cose simili nel servizio che danno per il Signore.
   Segue l'essere "superbo" nei confronti degli altri. I sostenitori egoisti e amanti del denaro dei tempi finali sono arroganti. Sgomitano l'uno contro l'altro. Uno dei valori più importanti del cristianesimo è l'umiltà, ma anche questo modo di essere ha perso il suo valore, l'umiltà è considerata una debolezza. Anche i cristiani possono essere accecati dai titoli, dal rispetto dovuto, dal riconoscimento delle persone e dalla condiscendenza. Non c'è più molto spazio per l'umiltà.
   Paolo continua con i "bestemmiatori".
   Si tratta di degradare Dio e gli altri. Tutti possono dire cose di ogni genere su Gesù, Dio, la Bibbia e i cristiani. Credo che il cristianesimo sia la religione che più di ogni altra insulti la propria fede. Per le altre religioni, Cristo è ancora un grande maestro o profeta, ma purtroppo è bestemmiato dagli stessi cristiani. I servizi ecclesiastici diventano uno spettacolo e gli editori si rifiutano di parlare della giustizia di Dio, del peccato, della croce, del sangue di Gesù o della confessione dei peccati.
   Gli attacchi più pericolosi sulla Bibbia non provengono dall'esterno ma dall'interno, dai teologi liberali che mettono in discussione il soprannaturale e addirittura negano la risurrezione di Gesù. Sebbene si definiscano cristiani, negano i principi basilari del cristianesimo.
   La caratteristica successiva menzionata da Paolo è, "disobbedienti ai genitori", non sarebbe neanche necessario menzionarla. L'educazione anti-autoritaria è "in". Ma se i bambini non imparano ad obbedire ai genitori - che è un comandamento - non lo faranno né a Dio, né ad altre autorità.
   Paolo continua con "ingrati". Questo va a braccetto con il precedente. Se non rispetti i tuoi genitori, non sarai neanche grato. Questo principio si applica a tutti i casi in cui qualcuno ci fa del bene - soprattutto Dio stesso - e non lo apprezziamo. Non vi capita, nelle comunità che frequentiamo, di trovare più critiche che parole di ringraziamento. Dopo l'ingratitudine, Paolo menziona "irreligiosi" - eroe essere "lontani da Dio". Colui che è ingrato non ha bisogno di Dio. Un adolescente a cui fu offerto un Nuovo Testamento dai Gedeoni disse: "Non ne ho bisogno. Ho tutto".
   Ma l'ateismo è più di una vita lontana da Dio; è una vita che agisce concretamente contro di lui. Le leggi che un tempo difendevano i valori cristiani sono gettate in mare e invece i matrimoni omosessuali, l'aborto, l'eutanasia sono legalizzati e proclamati come libertà dell'uomo.
   Nel versetto 3, l'apostolo aggiunge "insensibili". Ciò significa trascurare o persino attaccare coloro che sono più vicini a te. Quanti dimenticano i loro genitori nelle case di riposo! In tutto il mondo vengono eseguiti annualmente 56 milioni di aborti. La prostituzione infantile e la pedofilia sono in aumento. Ciò che l'uomo dovrebbe proteggere naturalmente.vìene trascurato, tormentato o persino ucciso.
   "Sleali" è la prossima triste caratteristica. Gli inconciliabili litigano su tutto ciò che è possibile e non si uniscono più. Lo vediamo nei matrimoni, ma anche a livello sociale in manifestazioni grandi e violente e nel crescente irrigidimento delle ideologie di destra o di sinistra dello scenario politico. I programmi di notizie e intrattenimento sono pieni di ostilità e problemi irrisolvibili.
   Segue "calunniatori". Questa è una delle caratteristiche del diavolo in persona. Per i detrattori, non importa se qualcosa sia vero o no, la cosa principale, è mettere l'altro in cattiva luce. Più volte sentiamo che viviamo oggi nel tempo della post-verità. Non sembra importante se i media dicano la verità. La cosa importante è che si adatti al mio concetto di "verità".
   Questo si nota soprattutto nella battaglia politica di oggi.
   Anche in questo caso, molti cristiani prestano le loro lingue al diavolo per calunniare gli altri. Si inizia con il vicino e non ci si ferma davanti al fratello nella comunità.
   Un'altra caratteristica è "intemperanti", è l'opposto della moderazione. L'uomo infedele vive secondo i suoi impulsi e questo porta all'illegalità, all’immoralità che vediamo nel nostro mondo. Tutto è non solo permesso ma addirittura promosso dai media e dalla legislazione. L'autocontrollo diventa il messaggio che si deve criticare e ridicolizzare. Come conseguenza, difficilmente vediamo famiglie sane, ormai l'uomo - inteso come genere umano uomo e donna - vive solo. I divorzi, che solo pochi anni fa erano considerati una catastrofe, oggi sono normali, anzi l'anormalità diventa un matrimonio che dura da decenni, a volte, ci si sente · chiedere: "sposato sempre con la stessa donna?"
   Si, essere sposati con la stessa donna da venti, trenta o quarant'anni non è normale. La parola d'ordine è: "se non funziona più, cerca un nuovo compagno e rifatti una vita". La pornografia e la pedofilia sono dilaganti e sempre più tollerati
   Chi difende l'autocontrollo oggi?
   Un altro termine, che Paolo nomina è "spietati". Questo potrebbe anche essere tradotto in "brutale", "assetato di sangue" o "crudele".
   Tra le altre cose, si tratta di persone che amano la violenza fine a se stessa e questo i media moderni lo sanno bene. Sentiamo sempre più, notizie di stupri e molestie sessuali, purtroppo anche di responsabili del cosiddetto mondo cristiano. Vediamo anche la crescente crudeltà nei campi di calcio, per strada e, purtroppo, spesso nelle famiglie.
   Un altro punto è: "senza amore per il bene". E' il contrario di gentilezza, misericordia e altri valori cristiani. Lo vediamo di nuovo nei media, nelle leggi, nelle lezioni scolastiche, ecc.
   Il versetto 4 continua con "traditori". Gli infedeli sono disposti a tradire, lasciare e trattare ingiustamente il coniuge, l'amico, la famiglia o chiunque possa averli aiutati. La promessa "Finché morte non vi separi" spesso non viene menzionata ai matrimoni o liquidata come frase divertente. Quante promesse quotidiane non vengono mantenute? E chi spera ancora che un politico mantenga le promesse fatte in campagna elettorale?
   Naturalmente, la fedeltà alla Parola di Dio è anche tra le motivazioni di persecuzione che arriva, ancora oggi, a costare la vita a molti nostri fratelli. Ecco perché i veri cristiani ovunque sono sempre più nei guai. Questo infatti dice l'Apostolo nel versetto 12: ''Del resto, tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati”. Ci saranno sempre più persone ostili al Vangelo e al Vero Cristiano.
   L'apostolo Paolo continua con "sconsiderati". Quanti, soprattutto giovani, mettono a rischio la propria vita in modo sconsiderato facendo cose pericolose per il semplice gusto di farlo o per noia, oppure solo per poter postare su YouTube o Facebook le loro bravate. Più audaci e pericolose sono, più sembrano essere obbligati a farle e va a finire che il bungee jumping diventi solo un gioco per ragazzi.
   La prossima caratteristica malvagia che Paolo menziona è "gonfi ". Questi sono quelli che non prendono in considerazione nient'altro o nessun altro se non se stessi e le loro opinioni. Questo assume il suo apogeo a livello politico, dobbiamo però considerare che anche l'ambiente cristiano non è immune, anzi...
   E ora Paolo menziona una caratteristica che è ben nota a tutti noi: "amanti del piacere anziché di Dio". Viviamo in un mondo in cui hobby, divertimento e svago sono diventate le cose più importanti. A tutto viene dato un valore e una priorità più alta rispetto a Dio. Una volta, prima dell'inizio del culto, chiesi a una donna sposata da poco se suo marito fosse rimasto a casa perché aveva problemi di salute. Lei rispose: "È rimasto a casa a guardare un film".
   Molti godimenti passano su tutto. L'uomo fa ciò che gli piace, ciò che lo diverte o ciò che ha voglia di fare, tutto il resto non conta nulla. Anche a questo i cristiani non sono esenti. Se manca la motivazione, la Bibbia semplicemente non sarà letta, non si pregherà, non si andrà alle riunioni, non si servirà il Signore. I nostri desideri vanno oltre i chiari ordinamenti biblici, e se non ne abbiamo voglia, sentiamo che abbiamo anche il diritto di disobbedire a Dio. Una delle più grandi industrie del nostro tempo è quella dell'intrattenimento, a cui il cristiano sfortunatamente regala molto tempo. Attenzione, non significa che non possiamo godere di qualcosa di bello, ma non deve essere in conflitto con Dio, con la sua parola, con il nostro ministero e con le priorità, che restano sempre quelle di mettere Dio al primo posto.
   Quando c’è dipendenza, molti piaceri spesso sono terreno fertile per un atteggiamento frivolo e superficiale verso l'immoralità. Alcuni cercano di vivere un po' per Dio, e un po' cedere alle concupiscenze mondane, ma Dio e la Sua opera non sono negoziabili e non ammettono secondi posti o posti che sono in concomitanza con ciò che è la loro antitesi. E se ci affidiamo all'apostolo Giacomo, allora il linguaggio è ancora più pesante:

    "O gente adultera, non sapete voi che l'amicizia del mondo è inimicizia contro Dio? Chi dunque vuol essere amico del mondo si rende nemico di Dio." (Giacomo 4:4).

Nel versetto 5, Paolo nomina la caratteristica che sintetizza tutte le precedenti: “aventi le forme della pietà , ma avendone rinnegata la potenza”. Le caratteristiche negative menzionate degli uomini dei tempi della fine cresceranno sempre più e si troveranno anche nella cristianità e nella chiesa, fino a giungere al compimento totale di ciò che Gesù disse riguardo al tempo dell'Anticristo:

    ''perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti, e faranno gran segni e prodigi da sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti." (Matteo 24:24).

Gesù dirà in Luca 18:8: "Quando verrà il Figlio dell'uomo, troverà la fede sulla terra?"
   Sarà una società segnata da ipocrisia religiosa. Come si sta verificando già oggi, esternamente, queste persone agiscono come cristiani, ma internamente sono lontani da Cristo.
   Quanti oggi si autodefiniscono cristiani, ma non vivono secondo la volontà di Dio?
   Quanti hanno una vita religiosa, ma nessuna vera relazione interiore con Lui? In questo modo si aprono a tutti i tipi di influenze oscure.
   L'apostolo li aveva già avvertiti in 1 Timoteo 4:1: "Ma lo Spirito dice espressamente che nei tempi a venire alcuni apostateranno dalla  fede, dando retta a spiriti seduttori, e a dottrine di demoni".
   La seduzione raggiunge e si installa nelle nostre comunità.
   In 2 Timoteo 4:3-4, l'apostolo elenca ancora una proprietà che sarà in mostra nella direzione indicata dalla società dei rifiuti: "Infatti verrà il tempo che non sopporteranno più la sana dottrina, ma, per prurito di udire, si cercheranno maestri in gran numero secondo le proprie voglie, e distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole. "
   Questa è una tendenza pericolosa che può essere vista nei circoli evangelici, dove echeggia ancora una volta l'argomento: "Dobbiamo dare ai credenti ciò che li soddisfa o che li fa stare bene".
   Tale atteggiamento influenzerà la profondità e la serietà dell'interpretazione delle Scritture e della comprensione del peccato. Le comunità diventano club cristiani, dove si partecipa a ciò che è divertente o piacevole. I cristiani che resistono sono etichettati come legalisti, conservatori, fanatici o ultimo attributo in senso dispregiativo, fondamentalisti al pari dei fondamentalisti islamici. La Bibbia viene sempre più messa da parte da molti cristiani e chiese locali considerandola un libro a volte importante ma antiquato, non al passo con i tempi, un libro che va adattato alle circostanze e al periodo. Sono necessarie nuove mode, tendenze o insegnamenti. È più interessante seguire un uomo che parla bene che la parola di Dio. A ogni nuova ondata o moda che arriva dal web si apre con entusiasmo la porta, senza misurarla con la Bibbia, e visto che tutti lo fanno, sicuramente sarà buono. In ogni caso sarà «in».
   Sfortunatamente, questi falsi fratelli stazionano anche nelle chiese locali e noi dobbiamo allontanarci da loro. La Parola di Dio è esplicita a questo proposito:

    ''Perciò uscite di mezzo a loro e separatevene, dice il Signore, e non toccate nulla d'immondo; ed io vi accoglierò” (2 Corinzi 6:17).

Tutto questo non sarà senza la sua giusta punizione,

    ''Anche costoro schiva! Poiché del numero di costoro son quelli che s'insinuano nelle case e cattivano donnicciuole cariche di peccati, agitate da varie cupidigie, che imparano sempre e non possono mai pervenire alla conoscenza della verità. E come Jannè e Iambrè contrastarono a Mosè, così anche costoro contrastano alla verità: uomini corrotti di mente, riprovati quanto alla fede." (2 Timoteo 3:6-8).

Cadranno preda delle proprie passioni e correranno dietro a ogni nuova ondata religiosa senza mai essere veramente soddisfatti. Quando le loro vite o dottrine sono testate da Dio, risultano inutili: 'Ma non andranno più oltre, perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti, come fu quella di quegli uomini." (versetto 9). I loro rifiuti diventano sempre più distruttivi: "mentre i malvagi e gli impostori andranno di male in peggio, seducendo ed essendo sedotti" (v. 13).
   Dopotutto, credono alle loro stesse bugie. Non dovremmo sorprenderci se la nostra società si ammalerà mentalmente sempre più. La cosa peggiore è che questo produrrà il giudizio di Dio che è già alla porta.
   A quattro delle chiese a cui l'apostolo Giovanni scrive in Apocalisse per ordine del Signore, troviamo questa accusa:

    "Ma ho alcune poche cose contro di te: cioè, che tu hai quivi di quelli che professano la dottrina di Balaam, il quale insegnava a Balac a porre un intoppo davanti ai figli d'Israele, inducendoli a mangiare delle cose sacrificate agli idoli e a fornicare. Così hai anche tu di quelli che in simil guisa professano la dottrina dei Nicolaiti." (Apocalisse 2:14-15).

Nella comunità di Tiatiri, una donna di nome Jezebel cerca di sedurre i membri nell'immoralità ed è tollerata (Apocalisse 2:20-21).
   Nella comunità di Sardi sono rimasti solo pochi che non hanno contaminato le loro vesti, cioè le loro vite (Apocalisse 3:4).
   E a Laodicea troviamo tiepidezza, compiacimento, materialismo e la mancanza della presenza del Signore. L'unica cosa che fermerebbe il giudizio di Dio è il profondo e sincero pentimento (Apocalisse 2:16,21,22; 3:19).
   Da un lato, quando questi attributi sono evidenti nell'intera società, che si definisce cristiana e si riversa nelle chiese, è un segno che Gesù sta arrivando e possiamo confortarci e gioire per questo. D'altra parte, questo è anche un serio avvertimento per noi. Perché se scopriamo di avere tali caratteristiche presenti nelle nostre vite, è arrivato il momento di pentirci e tornare a Dio.
   Per grazia sua, ci ha dato molte cose che possono salvarci dalla frode, dalla contraffazione e dalle pericolose influenze della spazzatura. L'apostolo Paolo stesso indica la madre e la nonna di Timoteo come modello:

    "Quanto a te, tu hai tenuto dietro al mio insegnamento, alla mia condotta, a' miei propositi, alla mia fede, alla mia pazienza, al mio amore, alla mia costanza, alle mie persecuzioni, alle mie sofferenze, a quel che mi avvenne ad Antiochia, a Iconio e a Listra. Sai quali persecuzioni ho sopportato; e il Signore mi ha liberato da tutte .... Ma tu persevera nelle cose che hai imparate e delle quali sei stato accertato, sapendo da chi le hai imparate" (2Timoteo 3:10-11,14).

Certamente anche noi abbiamo - oltre a quelli menzionati nella bibbia - esempi simili intorno a noi: fratelli nel Signore, che costantemente percorrono la via con Lui e che il Signore usa in modo meraviglioso. Conoscete qualcuno che è un modello attraverso la sua testimonianza, la sua famiglia e il suo ministero? Imitatelo! Solo i cristiani fedeli hanno il coraggio di nuotare contro corrente. Ce ne sono pochi, ma esistono ancora. Al capitolo 3, versetto 1 Giovanni ci ammonisce:

    "Chiunque rimane in lui non persiste nel peccare; chiunque persiste nel peccare non l'ha visto, né conosciuto."

Lo scrittore agli Ebrei ci porta con il seguente avviso: ''Ma noi non siamo di quelli che si traggono indietro a loro perdizione, ma di quelli che hanno fede per salvar l'anima." (Ebrei 10:39). E dopo che l'autore elenca la fedeltà degli eroi della fede, nonostante le loro lotte, difficoltà e persino il loro martirio, pronuncia la seguente dichiarazione: '

    'Anche noi, dunque, poiché siamo circondati da una così grande schiera di testimoni, deponiamo ogni peso e il peccato che così facilmente ci avvolge, e corriamo con perseveranza la gara che ci è proposta, fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta. Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l'infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio" (Ebrei 12:1-2).

Per nessuno di questi eroi d'onore è stato facile rimanere fedele. Anche al Signore Gesù costò pesanti combattimenti, lacrime e sudore di sangue nel Getsemani, a cui seguì la sua sofferenza e morte sul Golgota. Ma questa fermezza ha portato la pienezza delle benedizioni. Vale la pena seguire questi esempi! Paolo incoraggia Timoteo: '

    'Studiati di presentar te stesso approvato dinanzi a Dio: operaio che non abbia ad esser confuso, che tagli rettamente la parola della verità." ... e che fin da bambino hai avuto conoscenza delle sacre Scritture, le quali possono darti la sapienza che conduce alla salvezza mediante la fede in Cristo Gesù. Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona" ( 2 Timoteo 3:15-17).

Perché dovremmo prestare attenzione a fonti dubbie se troviamo nella Bibbia la sicurezza, le benedizioni e tutto ciò di cui abbiamo bisogno per una sana maturità? Dio per la nostra generazione parla nello stesso identico modo con cui ha parlato al suo popolo:

    «Il mio popolo infatti ha commesso due mali: ha abbandonato me, la sorgente d'acqua viva, e si è scavato delle cisterne, delle cisterne screpolate, che non tengono l’acqua» (Geremia 2:13).

Dobbiamo rinnovare i nostri pensieri, allinearci a Dio e alla Sua Parola e non lasciarci riempire di principi mondani.

    ''Se dunque siete stati risuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù dove Cristo è seduto alla destra di Dio. Aspirate alle cose di lassù, non a quelle che sono sulla terra". (Colossesi 3:1-2).

Per cosa usiamo o sprechiamo il nostro tempo libero? Cosa succede nei nostri pensieri? Quali sono le nostre azioni? Se nei nostri pensieri c'è molta mondanità, allora agiremo in modo simile al mondo. Ma se i nostri pensieri sono pieni di Cristo, della Sua Parola e della Sua Presenza, allora agiremo come Cristo e diventeremo sempre più simili a Lui. Pertanto lasciate che "la parola di Cristo abiti in voi abbondantemente, ammaestrandovi ed esortandovi gli uni gli altri con ogni sapienza" (Colossesi 3:16).
   Nel capitolo 4 di 2 Timoteo, l'apostolo ha un'altra forma di protezione dai rifiuti:

    ''Io te ne scongiuro nel cospetto di Dio e di Cristo Gesù che ha da giudicare i vivi e i morti, e per la sua apparizione e per il suo regno: Predica la Parola, insisti a tempo e fuor di tempo, riprendi, sgrida, esorta con grande pazienza e sempre istruendo .... Ma tu sii vigilante in ogni cosa, soffri afflizioni, fa' l'opera d'evangelista, compi tutti i doveri del tuo ministerio." (2 Timoteo 4, 1-2,5).

Questa esortazione apostolica a Timoteo ci mostra quanto sia importante portare a termine la missione che Dio ci ha affidato e per la quale ci ha preparato (Efesini 2:10). Invece di perdere tempo, investire nel mondo o aprire le orecchie alla sua seduzione, serviamo il Signore fedelmente nel posto che ci ha dato, e facciamo le opere che Egli ha preparato per noi. Se lo facciamo, non avremo tempo perso e non sprecheremo risorse importanti in questi giorni "cattivi" (Efesini 5:16).
   Data la crescente apostasia e le parole dell'apostolo Paolo, potremmo chiederci se davvero paga essere fedeli al Signore e alla Sua Parola. Pertanto, Paolo chiude questa triste lettera con alcune parole di gioia, conforto, speranza e incoraggiamento per il futuro.
   Una delle più grandi gioie del cristiano è sapere che ha adempiuto al suo compito. L'apostolo Paolo testimonia la sua vita:

    ''Io ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho serbato la fede" (2 Timoteo 4:7).

C'è qualcosa di più grande che essere in grado di testimoniare, alla fine della nostra vita qui sulla terra, che siamo stati fedeli e abbiamo realizzato le opere per le quali Dio ha creato e ci ha promesso? Se il Signore ci chiamasse a casa oggi, potremmo dare la stessa testimonianza dell'apostolo?
   E se questo può sembrare poco, all'apostolo è concesso dallo Spirito di Dio uno sguardo al momento dopo il rapimento della chiesa: "del rimanente mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti quelli che avranno amato la sua apparizione." (v. 8). Il Signore esaminerà il nostro ministero e le nostre vite e di conseguenza ci ricompenserà. Se teniamo questo a mente, vale davvero la pena lottare, investendo sull'eternità e compiere fedelmente il nostro ministero! E questa ricompensa è legata alla costante aspettativa della venuta del Signore.
   Non sappiamo quanto tempo sia rimasto fino alla venuta del Signore. L'opposizione è grande, la lotta è brutale e l'influenza è enorme. A volte ci sentiamo come l'apostolo, soli senza nessuno al nostro fianco (v 16 ), ma nello stesso tempo, dice con sicurezza una verità che deve valere anche per noi oggi:

    ‘’Il Signore però mi ha assistito e mi ha reso forte, affinché per mezzo mio il messaggio fosse proclamato e lo ascoltassero tutti i pagani; e sono stato liberato dalle fauci del leone. Il Signore mi libererà da ogni azione malvagia e mi salverà nel suo regno celeste. A lui sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen." (v. 17-18).

Quindi termineremo coraggiosamente e con sicurezza il corso "fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta" (Ebrei 12: 2).

(Chiamata di Mezzanotte, marzo/aprile 2018)


 

........................................................


Ingresso vietato agli ebrei": è escalation antisemita in Francia

di Filippo Jacopo Carpani 

Continuano gli episodi antisemiti in Francia, Paese che si sta configurando come centro dell’odio anti-ebraico. A Parigi, sono comparse le scritte “fuori gli ebrei” e “ingresso vietato agli ebrei” fuori da un negozio nella rue de Cilchy, nel 17esimo arrondissement. È evidente il richiamo al periodo nazista, in cui agli Juden era vietato entrare in molti esercizi commerciali in Germania e nei territori occupati dal Terzo Reich.
   Questo avvenimento è solo l’ultimo segnale d’allarme per la comunità ebraica francese, vittima di una recrudescenza di un odio riesploso in concomitanza con l’inizio del conflitto tra Israele e Hamas. Dal 7 ottobre, sono 817 gli episodi di antisemitismo segnalati alle autorità d’Oltralpe, più di quanti se ne sono verificati nell’intero 2022. Tra questi, vi sono offese verbali, graffiti, aggressioni fisiche e minacce di morte. Il caso più eclatante, comparso sui quotidiani di tutto il mondo, è quello delle stelle di David e di scritte antisemite dipinte sui muri di negozi e palazzi nel 14esimo arrondissement della capitale e in tre comuni nell’hinterland parigino. Il fatto risale a martedì 31 ottobre e la preoccupazione della comunità ebraica francese continua ad aumentare.
   “Nascondere la propria religione non protegge più”, racconta il 20enne David a France24 dopo una cerimonia in una sinagoga presidiata dalle forze armate. “Per questo gli ebrei si stanno sempre più ritirando all’interno delle proprie comunità. Vi è il desiderio di restare con persone che affrontano i tuoi stessi problemi”. Il giovane parla anche di un episodio accaduto ad alcuni suoi amici, seguiti e minacciati da un gruppetto di ragazzi.
   L’emittente francese raccoglie altre testimonianze di ebrei che denunciano un cambiamento nelle loro vite a causa di questa situazione. “Dal 7 ottobre ho paura ad andare in quartieri o mercati arabi e musulmani. Prima non era così”, afferma un disegnatore di fumetti 36enne, rimasto anonimo. “Spesso parlo in ebraico al telefono, ascolto musica ebraica, scrivo in ebraico. Temo che mi si possa sentire o vedere mentre sono distratto e che questo porti ad attacchi fisici o verbali”. Una libera professionista di 47 anni, invece, si dice quasi spaventata dal fatto che “nel mio contesto lavorativo e sociale, semplicemente non si parla della guerra. E questo nonostante il fatto che nel mio gruppo di conoscenze si discuta spesso di politica. Sembra di essere in una realtà parallela”.
     Ci sono anche coloro che rifiutano di cedere alla paura e continuano a vivere senza nascondere la propria appartenenza religiosa. Joelle Lezmi, 70enne ex presidente dell’associazione sionista femminile Wizo e residente a Creil, ricorda il periodo della seconda Intifada (2000-2005): “Qui abitavano 400 famiglie di ebrei. Ora sono 35. Gli altri sono emigrati in parti diverse della Francia. Io mi rifiuto di avere paura e continuerò a vivere qui”.

(il Giornale, 4 novembre 2023)

........................................................


Se non è amore, prima o poi diventa odio

Il sito “Notizie su Israele” è presente in rete da più di vent’anni. La pagina più consultata è certamente quella iniziale, dove compaiono notizie attuali e loro commenti, ma chi è interessato al tema Israele potrebbe trarre beneficio anche da quello che si trova in altre rubriche, elencate nella colonna di sinistra. In una di queste, titolata “Riflessioni”, si possono trovare considerazioni varie; tra queste ne segnalo una inserita diversi anni fa che qui riporto in forma grafica più incisiva:

  Nei confronti del popolo ebraico si possono avere tre tipi di sentimenti:
  • amore
  • odio
  • indifferenza.
  Nei momenti critici, l’indifferenza si trasforma in odio.

Oggi è uno di questi momenti critici. M.C.

(Notizie su Israele, 4 novembre 2023)

........................................................


Il manuale militare americano e la condotta di Israele

di David Elber

Da quando è iniziata l’operazione militare israeliana nella striscia di Gaza, contestualmente ha avuto avvio, da parte americana ed europea una poderosa campagna politica e mediatica di avvertimenti, relativi al rispetto del diritto internazionale umanitario, e su come condurre le operazioni militari.
Tutti i solidali con Israele si sono mostrati fin da subito concordi nel ritenere legittimo il suo diritto a difendersi, ma poi è sempre seguita la clausola “nel rispetto del diritto internazionale” senza mai specificare cosa preveda in caso di guerra.
Perché questa voluta omissione nello specificare le regole di ingaggio di un esercito previste dal diritto internazionale? Perché si ha il chiaro intento di stigmatizzare moralmente Israele qualsiasi azione militare intraprenda. Di fatto, questo equivale a impedirgli di difendersi adeguatamente. Sta qui tutta l’ipocrisia dei solidali. Da un lato affermano il suo diritto a difendersi, dall’altro intendono limitarlo nei fatti, adducendo motivazioni “umanitarie” mai ben specificate nel diritto internazionale. In questo modo, Israele, ogni volta che compie un’azione militare, viene subito accusato di violare una imprecisata “norma umanitaria”. 
Prenderemo come esempio di condotta militare rispettosa del diritto internazionale umanitario, il Manuale delle Leggi di Guerra in dotazione all’esercito americano nella sua versione aggiornata al luglio 2023. 
Arduo mettere in dubbio che la più grande democrazia del mondo, possa avere un manuale militare difforme delle regole del diritto internazionale umanitario.
Il corposo e strutturato testo, di oltre 1.200 pagine, recepisce le leggi di guerra internazionali (Convenzione dell’Aia del 1907, le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 con i Protocolli aggiuntivi del 1977 e il diritto consuetudinario come pratica generale accettata come diritto) fatte proprie dagli Stati Uniti, normate in questo manuale di comportamento, e ritenute lecite per le proprie forze armate.   
In rapporto al tipo di guerra che sta svolgendosi a Gaza e alle raccomandazioni americane rivolte a Israele, esamineremo come il manuale sulle leggi di guerra degli USA affronta due aspetti importanti: l’assedio e la cosiddetta proporzionalità.
Il tema dell’assedio e del relativo comportamento da tenere in questi casi da parte delle forze militari impegnate ad effettuarlo, sono descritti nel manuale al punto 5.19 di pagina 320. Qui se ne riportano degli estratti salienti:  

    “È lecito assediare le forze nemiche, cioè accerchiarle con l’obiettivo di indurle alla resa tagliando loro i rinforzi, i rifornimenti e le comunicazioni con il mondo esterno. In particolare, è lecito cercare di ridurre le forze nemiche alla fame e alla sottomissione. 
    […].Il comandante di una forza di accerchiamento non è tenuto ad acconsentire al passaggio di personale medico o religioso, di rifornimenti e di equipaggiamenti se ha legittime ragioni militari per negare tali richieste (ad esempio, se il rifiuto del passaggio può aumentare la probabilità di resa delle forze nemiche nell’area accerchiata). Ciononostante, i comandanti devono compiere sforzi ragionevoli e in buona fede per farlo, quando possibile.
    […] I comandanti devono prendere accordi per consentire il libero passaggio di alcune spedizioni: 
    Tutti gli invii di forniture mediche e ospedaliere e di oggetti necessari al culto religioso destinati esclusivamente ai civili; e tutte le spedizioni di generi alimentari essenziali, indumenti e tonici (cioè medicinali) destinati ai bambini sotto i 15 anni, alle madri in attesa e ai casi di maternità.
    Tuttavia, la parte che controlla l’area non è tenuta a consentire il passaggio di questi beni, a meno che non sia convinta che non vi siano serie ragioni per temere che: 
    le spedizioni possano essere deviate dalla loro destinazione; 
    il controllo non sia efficace;
    oppure rappresenti un sicuro vantaggio per gli sforzi militari o l’economia del nemico.

Come si può desumere dalle “tecniche” di assedio contemplate e ritenute lecite, Israele non è tenuto a fornire elettricità né acqua come i solidali vogliono che faccia, ma semplicemente deve permettere il transito di beni essenziali a ben precise condizioni, cosa che, infatti, fa.    
In merito alla “proporzionalità”, il manuale fornisce informazioni interessanti. A livello generale il tema è affrontato da pagina 60 al punto: 2.40 Proporzionalità.
A pagina 61, al punto 2.4.1.2 si trova la definizione di eccessiva o irragionevole proporzionalità: 

    “La proporzionalità in genere soppesa la giustificazione dell’azione rispetto ai danni attesi per determinare se questi ultimi sono sproporzionati rispetto ai primi. In guerra, i danni accidentali alla popolazione civile e agli oggetti civili sono spiacevoli e tragici, ma inevitabili. Pertanto, l’applicazione del principio di proporzionalità nella conduzione degli attacchi non richiede che nessun danno accidentale derivi dagli attacchi. Piuttosto, questo principio crea l’obbligo di astenersi da attacchi in cui i danni previsti, conseguenti a tali attacchi, sarebbero eccessivi rispetto al vantaggio militare concreto e diretto che si prevede di ottenere e di prendere precauzioni fattibili nella pianificazione e nella conduzione degli attacchi per ridurre il rischio di danni ai civili e ad altre persone e oggetti protetti dall’essere oggetto di attacco.
    Nelle leggi di guerra, i giudizi di proporzionalità spesso implicano confronti difficili e soggettivi. Riconoscendo queste difficoltà, gli Stati hanno rifiutato di usare il termineproporzionalitànei trattati relativi alle leggi di guerra [il grassetto è dell’Autore] perché potrebbe implicare erroneamente un equilibrio tra le considerazioni o suggerire che sia possibile un confronto preciso tra di esse.

Ovvero, non si può istituire un rapporto tra costi/benefici, tra una azione militare e i danni collaterali da essa prodotta. Più avanti il testo, fornisce altre indicazioni:
5.10 Proporzionalità nel condurre gli attacchi (da pagina 249). 

    “I combattenti devono prendere precauzioni fattibili nella pianificazione e nella conduzione degli attacchi per ridurre rischio di danni ai civili e ad altre persone e oggetti protetti dall’essere oggetto di attacco. 
    […] I combattenti devono astenersi da attacchi in cui la perdita prevista di vite civili, le ferite ai civili e i danni agli oggetti civili, dovuti all’attacco, sarebbero eccessivi [grassetto dell’Autore] rispetto al vantaggio militare concreto e diretto che ci si aspetta di ottenere. Poco oltre si legge: Questo principio non impone obblighi volti a ridurre il rischio di danni agli obiettivi militari. Appare evidente che il danno che si può causare agli obiettivi militari è prevalente sui danni collaterali inflitti ai civili”.

In pratica, il principio di proporzionalità richiede semplicemente che i danni ai civili non siano “eccessivi” rispetto al vantaggio militare previsto da un’azione bellica. Tale concetto, come recita il manuale, è del tutto soggettivo e pertanto non quantificabile.
Si possono fare degli esempi. Se Hamas utilizza una moschea per lanciare dei razzi contro la popolazione civile israeliana, questa diventa ipso facto un legittimo obiettivo militare. Se Hamas utilizza dei piani di un ospedale o le sue parti interrate come centri di comando, l’ospedale stesso diventa un obiettivo militare legittimo. Questo avviene perché il principio di distinzione (tra combattenti e non combattenti) ben disciplinato nel diritto internazionale è stato deliberatamente obliterato da Hamas.
Cosa afferma il principio di distinzione? Che un obiettivo militare deve essere tenuto ben separato e riconoscibile dalle strutture civili, così come, che i combattenti devono essere ben riconoscibili e non mischiati alla popolazione civile. Tutto questo a Gaza è venuto meno, per una chiara volontà di Hamas di utilizzare le strutture civili e la popolazione civile come copertura per le proprie attività militari. Ne consegue che chi accusa Israele di uso “eccessivo” o “sproporzionato” della forza lo fa per ignoranza o per malafede o per entrambe. 
L’auspicio sarebbe che il Segretario di Stato, Antony Blinken, la prossima volta che si recherà in Israele, lo faccia portandosi appresso il manuale militare americano per chiedere che l’esercito israeliano lo rispetti pedissequamente.    

(L'informale, 4 novembre 2023)

........................................................


Poiché Biden si mette contro Israele, Netanyahu deve farsi valere

Se Netanyahu non si oppone agli Stati Uniti, se cede, la pressione di Washington non si fermerà.

di Caroline Glinck

Domenica il presidente americano Joe Biden, il segretario di Stato Antony Blinken e il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan hanno annunciato che gli Stati Uniti si aspettano che Israele permetta l'ingresso di "aiuti umanitari" a Gaza.
   Le implicazioni di questa posizione sono devastanti per Israele. Secondo quanto riportato, ci sono "centinaia di camion" in fila al confine con l'Egitto per entrare nella Striscia di Gaza trasportando i cosiddetti "aiuti umanitari". Questi camion, se autorizzati a entrare, non saranno ispezionati in alcun modo significativo. Non c'è motivo di credere che stiano trasportando latte artificiale e generi alimentari che saranno consegnati ai bisognosi. C'è ogni ragione di credere che stiano trasportando materiale bellico e combattenti jihadisti che sono arrivati per aumentare Hamas.
   Se anche c'è del cibo nei camion, chi sfamerà? Gli ostaggi? Gli infermi? A chi saranno consegnate le medicine? Agli ostaggi? Il carburante dei camion sarà usato nei frigoriferi per nutrire gli israeliani prigionieri?
   Ovviamente no.
   Hamas è Gaza. Tutti i "ministeri" di Gaza sono di Hamas. Tutti gli ospedali sono di Hamas. Il quartier generale militare di Hamas si trova sotto l'ospedale Shifa.
   Quindi, qualunque cosa e chiunque si trovi nei camion che trasportano "aiuti umanitari", tutti saranno consegnati ad Hamas e saranno distribuiti a beneficio di Hamas.
   L’idea che possa essere altrimenti è assurda. E il fatto che l'amministrazione Biden sostenga questa assurdità è un oltraggio.
   Anche se le "centinaia di camion" fossero completamente vuoti - e chiaramente non lo sono - i camion stessi sono strumenti di guerra. La loro presenza a Gaza farà avanzare lo sforzo militare di Hamas contro Israele. Aumenteranno la capacità di Hamas di uccidere e ferire un numero incalcolabile di soldati dell'IDF che ora si trovano al confine in attesa che il governo Netanyahu ordini loro di entrare a Gaza.
   Biden, Blinken e Sullivan, come i loro omologhi in Europa e nelle Nazioni Unite, sostengono di voler dare ad Hamas i camion per evitare un disastro umanitario a Gaza. Ma la loro posizione è in realtà devastante per i civili di Gaza.
   Impedendo ai civili di fuggire da Gaza verso il proprio territorio, anche per transitare verso Paesi terzi, l'Egitto collabora con lo sforzo bellico di Hamas. Consentendo all'Egitto di mantenere la sua posizione e chiedendo a Israele di permettere a Hamas di rifornirsi, chiamando tali rifornimenti "aiuti umanitari", l'amministrazione Biden sta intrappolando i civili di Gaza che dice di voler proteggere. Rimarranno sotto lo zoccolo duro di Hamas. Rimarranno i suoi scudi umani e la sua carne da cannone.
   Allo stesso modo, gli Stati Uniti stanno fornendo sostegno materiale alla campagna di propaganda di Hamas che incolpa Israele per la carneficina di cui Hamas è l'unico autore, sia in Israele che a Gaza.
   Gli Stati Uniti agiscono anche in violazione del diritto internazionale vincolante. Come ha spiegato il professor Avi Bell della Bar Ilan University e dell'Università di San Diego in un'intervista al "The Caroline Glick Show" di domenica, mentre Biden e i suoi collaboratori hanno insistito ripetutamente sul fatto che si aspettano che Israele rispetti le leggi internazionali di guerra nel perseguire il suo sforzo bellico contro Hamas, le posizioni dell'amministrazione in relazione a tale guerra sono illegali.
   In seguito agli attacchi jihadisti dell'11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione 1373 ai sensi del Capitolo 7 della Carta delle Nazioni Unite. Le risoluzioni del Capitolo 7, a differenza di altre, sono vincolanti per tutti i Paesi membri delle Nazioni Unite.
   La risoluzione 1373 stabilisce che tutti i Paesi membri delle Nazioni Unite devono "astenersi dal fornire qualsiasi forma di sostegno, attivo o passivo, a entità o persone coinvolte in atti terroristici".
   Qualsiasi fornitura di aiuti a Gaza, che è completamente controllata da Hamas, è ovviamente assistenza "attiva o passiva" ad Hamas, e quindi illegale.
   La Risoluzione 1373 richiede inoltre a tutti gli Stati membri dell'ONU di "negare un rifugio sicuro a coloro che finanziano, pianificano, sostengono o commettono atti terroristici, o forniscono rifugi sicuri".
   Dopo la visita in Israele di giovedì scorso, Blinken si è recato in Qatar. Il Qatar ospita i principali responsabili del terrorismo di Hamas. Hanno pianificato le loro atrocità dal Qatar. Il denaro e le armi dell'Iran vengono convogliati ad Hamas attraverso il Qatar. Il canale satellitare Al Jazeera del Qatar è una componente integrale della macchina del terrore di Hamas. Lunedì mattina, l'IDF ha annunciato che i giornalisti di Al Jazeera stanno trasferendo ad Hamas informazioni sul posizionamento e sul numero delle truppe dell'IDF, sia direttamente che attraverso le loro trasmissioni.
   Il Qatar è Hamas.
   Invece di designare ufficialmente il Qatar come Stato sponsor del terrorismo, venerdì scorso Blinken ha accolto il Ministro degli Esteri del Qatar Mohammed bin Abdulrahman bin Jassin Al Thani come un alleato. E questo ha senso perché, dal punto di vista dell'amministrazione, l'ospite di Hamas è un alleato degli Stati Uniti. Poco dopo essere entrata in carica, l'amministrazione Biden ha designato il Qatar come uno dei principali alleati non appartenenti alla NATO, la stessa designazione di cui gode Israele.
   Accogliendo il Qatar come alleato invece di punirlo per il suo ruolo centrale a tutti i livelli dell'infrastruttura terroristica di Hamas, l'amministrazione sta violando il diritto internazionale, ancora una volta. Sta anche tradendo Israele.
   Nell'intervista rilasciata a 60 Minutes, Biden ha affermato che gli Stati Uniti si oppongono all'obiettivo bellico di Israele di annientare Hamas e distruggere la sua capacità di governare in qualsiasi modo a Gaza. Invece, Biden ha tracciato una distinzione oscena e immaginaria tra Hamas e "elementi estremi di Hamas".
   Biden ha anche appoggiato l'idea che Israele dovrebbe abbattere Hamas di qualche gradino, ma non conquistare Gaza. Ha invece lasciato intendere che l'Autorità Palestinese controllata dall'OLP, che sostiene Hamas e che funge da ministero degli Esteri alle Nazioni Unite e nelle capitali mondiali, dovrebbe governare Gaza.
   In quanto superpotenza, gli Stati Uniti sono nella posizione di schierarsi contemporaneamente con Israele e con Hamas. E questa è chiaramente la politica attuale dell'amministrazione Biden. L'obiettivo dell'amministrazione, a quanto pare, è quello di impedire a Israele di vincere e di costringerlo a combattere fino al pareggio, nel migliore dei casi. Questo è perfetto per Hamas, che sopravvivrebbe e, con i suoi amici negli Stati Uniti, nelle Nazioni Unite, in Iran, in Qatar e in tutto il mondo arabo e occidentale, si ricostruirebbe più forte che mai.
   Per Israele sarebbe una calamità di proporzioni bibliche. Solo al mondo, e trattato in modo infame dal suo apparente alleato statunitense, Israele uscirebbe dalla guerra con la sua posizione regionale a pezzi. La pace con Egitto e Giordania probabilmente non sopravvivrebbe a lungo. Gli Accordi di Abramo verrebbero annullati. E l'idea stessa di normalizzare i legami con l'Arabia Saudita verrebbe spinta nel buco della memoria. L'Iran si ergerebbe a superpotenza regionale e nel giro di pochi mesi potrebbe testare un'arma nucleare. Il futuro di Israele, in breve, sarebbe desolante.
   A ben vedere, con l'opinione pubblica israeliana ormai unita dietro l'obiettivo di sradicare Hamas, la posizione dell'amministrazione dovrebbe essere impossibile da vendere al popolo di Israele. Apparentemente riconoscendo questo stato di cose, durante la sua breve visita in Israele il 12 ottobre, Blinken ha incontrato l'organizzazione paramilitare Brothers in Arms. Fino alla guerra, Brothers in Arms era una forza d'urto che costituiva la spina dorsale delle rivolte antigovernative. I suoi membri aggredivano abitualmente ministri del governo e membri della Knesset della coalizione di governo di Netanyahu, nonché accademici, uomini d'affari e giornalisti che sostenevano il governo Netanyahu. Brothers in Arms ha lavorato per minare la prontezza dell'IDF, chiedendo ai membri delle unità di riserva chiave, in primo luogo ai piloti dell'Aeronautica, di rifiutarsi di prestare servizio sotto il governo Netanyahu.
   Dopo le atrocità del 7 ottobre, con il sostegno dei suoi finanziatori miliardari, Brothers in Arms ha lanciato una straordinaria e massiccia campagna di assistenza civile per il sud, seconda a nessuna nello sforzo bellico nazionale. La sua operazione ha ottenuto il legittimo plauso di tutti i settori della società israeliana.
   Tuttavia, la visita di Blinken alla loro operazione di assistenza è stata un segnale per Netanyahu. Lo stesso vale per la sua decisione di incontrare il leader dell'opposizione Yair Lapid durante la sua visita di lunedì. Se Netanyahu non si piegherà alle pressioni dell'amministrazione per salvare Hamas, l'amministrazione si rivolgerà a personaggi come Brothers in Arms e Lapid per minare ancora una volta la stabilità e la coesione interna della società israeliana, questa volta al culmine dell'operazione di terra a Gaza.
   Netanyahu, indebolito politicamente dall'aggressione, potrebbe vivere i suoi ultimi giorni da leader nazionale. Persino molti dei suoi più ferventi sostenitori stanno suggerendo che potrebbe essere costretto a dimettersi una volta terminata la guerra. Sia che Netanyahu veda la fine davanti a sé, sia che creda di poter rimanere al potere una volta terminata la guerra, il suo futuro e la sua eredità sono ora in gioco.
   Se Netanyahu si oppone agli Stati Uniti, potrebbe trovarsi di fronte a una ripresa delle violente proteste contro di lui e il suo governo. Se ciò accadrà, l'obiettivo degli operatori che organizzano le proteste sarà quello di minare il morale in un periodo di guerra. A giudicare dalla copertura mediatica fino ad oggi, i rivoltosi saranno sostenuti da quasi tutti gli organi di informazione del Paese.
   D'altra parte, se si opporrà a Biden, Netanyahu darà ai soldati e ai comandanti dell'IDF l'opportunità di combattere questa guerra fino alla vittoria e di proteggere Israele per i prossimi anni.
   Se Netanyahu non si oppone agli Stati Uniti, se si piega, la pressione di Washington non si fermerà. Cedendo, non farà altro che stuzzicare l'appetito di personaggi come l'inviato americano in Palestina Hady Amr, che ha un curriculum pubblico di sostegno ad Hamas (e ha lavorato a Doha, in Qatar, durante gli anni di Trump). Amr e i suoi colleghi intascheranno la prima concessione di Israele e ne chiederanno altre, e altre ancora, in coordinamento con Hamas, l'OLP, il Qatar e l'Egitto.
   Dopo la guerra, Netanyahu sarà cacciato dall'incarico e la sua eredità sarà ridotta a brandelli per sempre. L'Israele che lascerà sarà quello in cui la sovranità ebraica sarà messa in dubbio per la prima volta in 75 anni. Non è il momento di vacillare.  

(JNS, 4 novembre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
____________________

Si conferma che gli Stati Uniti sono per l’Israele di oggi quello che l’Egitto è stato per l’Israele di ieri: “Un sostegno di canna rotta che penetra nella mano di chi vi si appoggia e gliela fora” (2 Re 18:21).

........................................................


Israele schiera l'unità cinofila Oketz: la carta per la guerra dei tunnel a Gaza

di Valerio Chiapparino 

Il pesante bilancio della strage compiuta da Hamas il 7 ottobre avrebbe potuto essere ancora più grave se nelle prime ore dell’assalto dei militanti islamisti ai soldati e ai civili inermi nel sud d’Israele non fosse intervenuta anche una delle unità speciali dell’Israel Defence Force (Idf): la squadra Oketz. Oggi quello stesso team di difesa dello Stato ebraico composto dai cani e dai loro accompagnatori è impegnato nell’operazione di terra nella Striscia di Gaza.
   L’unità Oketz è stata tra le prime forze militari ad accorrere nei kibbutz assaltati da circa 3mila militanti islamisti all’alba della strage del sukkot. Nel villaggio di Be’eri il team cinofilo ha permesso di mettere in sicurezza 200 israeliani e di neutralizzare una decina di miliziani. A Kfar Aza un cane della squadra, Nauru, impiegato nella ricerca dei terroristi e delle loro armi è caduto sotto i colpi degli integralisti.
   “Il prossimo passo è entrare a Gaza. La missione è uccidere tutti i terroristi che incontreremo. Siamo veri, siamo forti, siamo uniti e vinceremo”. Così si era espresso il comandante dell’unità Oketz - "pungere" in ebraico - alla vigilia dell’operazione lanciata dalle forze di Tsahal il 27 ottobre per sradicare l'organizzazione che controlla la Striscia dal 2007. I militari, in divisa e senza, si sono addestrati insieme agli uomini del team Samur in un complesso di tunnel ricreato nel deserto del Negev per prepararsi alla sfida più difficile: uscire vivi dalla metro di Gaza.
   Il vasto complesso sotterraneo costruito da Hamas si estende per 500 chilometri sino ad una profondità di circa 80 metri ed espone l’esercito israeliano ad una "guerra tridimensionale". Anche per affrontare una sfida senza precedenti in queste ore i cani dell’Oketz, in prevalenza pastori tedeschi, belgi e olandesi, vengono mandati in avanscoperta nell’enclave palestinese per cercare i punti di accesso ai cunicoli, le trappole esplosive disseminate nel dedalo di tunnel e per attaccare i fedayin in agguato.
   La squadra cinofila è stata costituita nel 1974 – era inizialmente composta da appena 11 soldati -, all’indomani di un’ondata di attacchi terroristici contro Israele, ma per almeno 14 anni ha operato nella più totale segretezza. È in occasione di un’operazione in Libano negli anni Ottanta che la sua esistenza è stata svelata al pubblico.
   Il contributo di questi animali alla sicurezza nazionale risale però a ben prima della nascita dello Stato ebraico. L’Haganah, un'organizzazione paramilitare sionista attiva in Palestina durante il mandato britannico, impiegava già a partire dal 1939 un’unità cinofila a difesa dei villaggi, una squadra che verrà integrata nell’Idf dopo il 1948 per essere smantellata qualche anno più tardi.
   Secondo l’addestratore Yaviv Stern "solo i migliori cani vengono selezionati” per entrare a far parte dell’Oketz aggiungendo che quelli “troppo apatici o troppo sensibili al cibo e a rincorrere i gatti” vengono scartati. Anche gli accompagnatori vengono sottoposti ad uno screening rigoroso prima di essere assegnati a cani con cui poi dovranno stringere un forte ed indissolubile legame. Al termine di un servizio di sette anni durante i quali sono considerati sacrificabili in missioni ad alto rischio, questi animali infatti rimangono assieme al militare accanto al quale hanno prestato servizio.
   I soldati scelti sono consapevoli della possibile perdita dei loro cani sul campo di battaglia ma come dichiara in forma anonima al Jerusalem Post un membro dell’Oketz “il loro scopo è fornire un beneficio all’uomo e non il contrario. Esiste una separazione assoluta tra l’essere umano e gli animali e ogni militare ne è consapevole”. Al di là di riflessioni etiche, come sottolinea comunque il quotidiano israeliano “i cani possono essere il migliore amico dell’uomo ed il peggiore nemico dei terroristi”.

(il Giornale, 4 novembre 2023)

........................................................


Spade di ferro - giorno 27. La città di Gaza è circondata

di Ugo Volli

Il fronte di Gaza
  L’accerchiamento della città di Gaza, roccaforte di Hamas, è completo. La Striscia è divisa in due parti. La porzione settentrionale è tagliata fuori da quella meridionale. In mezzo c’è una zona fittamente urbanizzata, da cui l’esercito israeliano ha cercato di far sfollare la popolazione civile per non danneggiarla, riuscendoci però solo in parte perché Hamas ha cercato di impedire in tutti i modi l’evacuazione, per usare i civili come scudo umano. Al centro di questa zona c’è l’ospedale principale di Shifa, sotto il quale si nasconde lo stato maggiore dei terroristi, coi loro centri di comando e di controllo. Questo è l’obiettivo che l’esercito israeliano dovrà raggiungere per decapitare Hamas; ma arrivarci non sarà facile perché si tratta prima di conquistare la città. Nella nottata aerei ed elicotteri da combattimento e artiglieria, diretti dalle forze di fanteria della Brigata Nahal, hanno colpito e ucciso diversi terroristi di Hamas. Sono stati eliminati diversi comandanti terroristi. L’esercito ha comunicato che quattro soldati sono caduti in questi combattimenti.

L’attività umanitaria e gli Usa
  Intorno a Gaza vi è anche una notevole attività umanitaria, accettata e in parte gestita da Israele. Circa 620 cittadini stranieri si preparano a lasciare oggi la Striscia di Gaza attraverso il valico di Rafah. 367 di loro sono cittadini americani. Fonti arabe riferiscono che cinquanta camion di soccorsi alimentari e medici si stanno dirigendo per essere ispezionati al valico di Nitsana, in preparazione al loro ingresso nella Striscia di Gaza attraverso il valico di Rafah. Israele ha anche fatto rientrare nella Striscia attraverso il valico di Kerem Shalom, nel sud, degli abitanti di Gaza catturati in Cisgiordania e in Israele, risultati estranei al massacro terrorista del 7 ottobre e in genere al terrorismo. Fonti americane riferiscono che vi è stata una fitta attività di droni sulla parte meridionale della Striscia, nel tentativo di localizzare gli ostaggi. Sempre dagli Stati Uniti arrivano espressioni concrete di appoggio a Israele. La vicepresidente Kamala Harris ha pubblicato una dichiarazione in cui dice che l’attuale amministrazione sostiene pienamente l’azione israeliana e la Camera dei rappresentanti ha approvato un finanziamento di 14,3 miliardi di dollari per lo Stato ebraico. Il segretario di Stato americano Anthony Blinken è sbarcato in Israele. Sono previste trattative molto difficili per la richiesta americana di consentire l’invio di carburante a Gaza.

La situazione in Giudea e Samaria
  Una delle attese strategiche di Hamas è l’apertura di un fronte a est del territorio israeliano, in particolare nelle zone di Giudea e Samaria sotto il controllo (reale o nominale) dell’Autorità Palestinese, in cui nell’ultimo anno è emersa una sorta di guerriglia a bassa intensità, in particolare in luoghi come Jenin Nablus (in ebraico Shechem), Huwarra. Le forze di sicurezza israeliane hanno lavorato duramente in queste settimane per prevenire questo rischio. Anche ieri notte sono intervenute massicciamente: i palestinesi riferiscono di cinque terroristi morti a Jenin, due a Hebron, uno nel campo profughi di Qalandiya e un altro morto a Nablus. Le forze israeliane hanno operato tutta la notte a Jenin e nel “campo profughi” della città (che in sostanza è da decenni un suo quartiere molto popolato, senza le caratteristiche provvisorie di un “campo”) per distruggere le infrastrutture terroristiche ed effettuare arresti. Diversi attacchi aerei sono stati effettuati a Jenin e i bulldozer dell'IDF hanno lavorato particolarmente duramente per "radere le strade" cioè per eliminare le bombe nascoste sotto l’asfalto per attaccare i veicoli militari. Nel “campo profughi Askar” (anch’esso un quartiere e non un campo) di Nablus è stata fatta saltare in aria la casa del terrorista Khaled Kharosha, per il suo coinvolgimento nell'attentato in cui sono morti i fratelli Yaniv a Hawara.

Il conflitto con Hezbollah
  Il fronte settentrionale, nel frattempo, lentamente si sta scaldando. Ieri sera, le forze israeliane hanno eliminato una cellula terroristica nel complesso dell'organizzazione terroristica di Hezbollah in territorio libanese e hanno colpito l’infrastruttura dell’organizzazione, in risposta alla sparatoria effettuata dal territorio libanese al territorio israeliano. Sempre nella notte, un carro armato Merkavà ha attaccato una cellula terroristica che cercava di lanciare missili anticarro dal territorio libanese verso quello israeliano nella zona del Monte Dov in Golan. Si parla con insistenza della consegna a Hezbollah da parte del gruppo Wagner (interamente controllato da Putin) del nuovo sistema antiaereo russo SA22, che sarebbe una seria minaccia per gli aerei israeliani. Vi è molta attesa per un discorso teletrasmesso molto preannunciato del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah che sarà tenuto questo pomeriggio. Alcuni credono che potrebbe annunciare l’intenzione di entrare in guerra contro Israele al fianco di Hamas, il che sarebbe uno sviluppo importante della guerra. Il leader libanese cristiano Geagea l’ha ammonito a non farlo, per evitare la distruzione del paese. Dato che ha poco senso militare oggi dichiarare una guerra in diretta televisiva, molti pensano che Nasrallah farà dichiarazioni roboanti, ma senza sviluppi concreti.

(Shalom, 3 novembre 2023)

........................................................


Perché si negano le atrocità del 7 ottobre?

Se gli ebrei sono i cattivi, allora è morale odiarli. È morale stare dalla parte di Hamas. Ed è immorale sostenere gli ebrei e lo Stato di Israele.

di Caroline Glick

GERUSALEMME - Di per sé, la negazione dell'Olocausto non ha senso. Le prove fisiche del genocidio esistono. Esistono le testimonianze dei sopravvissuti, dei nazisti e dei loro collaboratori. E sono tutte inconfutabili.
   Inoltre, i nazisti erano orgogliosi di aver ucciso 6 milioni di ebrei. Negando l'Olocausto, i nazisti contemporanei e i loro fan sembrano sminuire i loro eroi. Perché dovrebbero farlo?
   Il mistero della negazione dell'Olocausto non è un semplice rompicapo di un passato lontano. Comprendere il suo scopo è essenziale per affrontare la nostra situazione attuale. Subito dopo la diffusione della notizia del sadico massacro di oltre 1.400 uomini, donne e bambini israeliani da parte di Hamas il 7 ottobre, i sostenitori di Hamas in tutto il mondo hanno lanciato uno sforzo concertato per negare che sia successo qualcosa.
   Proprio come i neonazisti celebrano l'Olocausto e allo stesso tempo lo negano, così coloro che hanno accolto con entusiasmo le storie di bambini e uomini ebrei massacrati e decapitati e di donne e ragazze ebree stuprate e smembrate, insistono sul fatto che Hamas non ha commesso nessuno di questi crimini.
   Un aspetto notevole delle atrocità è che gli assassini di massa di Hamas non hanno cercato di nasconderle. Al contrario, le hanno trasmesse in tutto il mondo mentre le compivano. Armati di videocamere GoPro e dei cellulari delle loro vittime, i terroristi palestinesi nel sud di Israele hanno filmato lo stupro, lo smembramento, la tortura e l'esecuzione delle loro vittime sui loro stessi telefoni, postandoli nei gruppi WhatsApp e nelle pagine Facebook delle loro famiglie mentre li compivano. Hanno fatto lo stesso con le loro piattaforme social-media. Non c'è stato bisogno di ricercatori per setacciare gli archivi di Hamas. Le indicazioni per il massacro sono state trovate nei documenti che i terroristi hanno portato con sé in Israele.
   Allora perché i sostenitori di Hamas strappano i manifesti dei bambini, delle donne e degli uomini israeliani rapiti e tenuti in ostaggio nella Striscia di Gaza? Eppure celebrano la presa di ostaggi nei loro post sui social media. Perché insistono con i loro compagni di università o con i passeggeri della metropolitana di New York e Johannesburg che non ci sono ostaggi a Gaza e che si tratta di una cospirazione sionista? 
   Per capire cosa sta succedendo e cosa rappresenta, dobbiamo guardare alla forma più popolare e potente di negazione dell'Olocausto oggi. Come Izabella Tabarovsky ha meticolosamente dimostrato in un articolo della rivista Tablet dello scorso gennaio, questa forma di negazione dell'Olocausto è stata coniata dai sovietici. È stata resa popolare da un terrorista palestinese di una certa fama: Il presidente dell'Autorità Palestinese e capo dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina Mahmoud Abbas.
   Nel 1982, Abbas ha scritto una tesi di dottorato presso l'Istituto di Studi Orientali del KGB, che ha poi trasformato in un libro di successo. La sua tesi, intitolata "Il rapporto tra sionisti e nazisti, 1933-1945", è la base dell'educazione all'Olocausto nelle scuole palestinesi.
   Abbas ha affermato che i sionisti erano nazisti. Ha insistito sul fatto che proprio come i nazisti si definivano suprematisti razziali ariani, i sionisti si definivano suprematisti razziali ebrei. Abbas ha sostenuto che l'Olocausto è stato uno sforzo di collaborazione tra i nazisti e la leadership sionista in terra d'Israele. David Ben-Gurion, ha scritto, aveva agenti in Europa che collaboravano con i nazisti. Il loro obiettivo, ha detto Abbas, era quello di sostenere il genocidio degli ebrei europei al fine di conquistare la simpatia internazionale per lo sforzo sionista di stabilire uno Stato suprematista ebraico nella terra di Israele, alias "Palestina".
   Come ha spiegato Tabarovsky, il fascino delle affermazioni di Abbas per gli odiatori degli ebrei palestinesi e per i sovietici è evidente. In primo luogo, permette loro di evitare di rendere conto del ruolo che hanno avuto nell'assassinio di 6 milioni di ebrei. È stato il leader arabo palestinese Haj Amin al-Husseini - non Ben-Gurion o qualsiasi altro ebreo, sionista o meno - a collaborare con Hitler per annientare gli ebrei in Europa e nel mondo. E fu l'Unione Sovietica, non la leadership sionista, a firmare un patto di non aggressione con i nazisti. Insistendo sul fatto che sono stati gli ebrei a collaborare alla loro distruzione, sia i sovietici che i palestinesi sono stati in grado di proiettare la propria colpevolezza sul loro nemico: gli ebrei. Sono stati anche in grado di negare agli ebrei la legittimità morale di vittime.
   Dopotutto, se gli ebrei si erano fatti da soli, nessun altro aveva nulla da rimproverarsi. E soprattutto, la presunta venalità degli ebrei significava che i nazisti avevano ragione. Gli ebrei sono malvagi e meritano di essere cancellati dalla carta geografica.

• Setacciando le ceneri
   La stessa logica malevola e favorevole al genocidio guida oggi i sostenitori di Hamas in tutto il mondo.
   Negli ultimi giorni sono emerse sempre più informazioni su come le vittime delle atrocità di Hamas siano state uccise e torturate con un sadismo inconcepibile fino al 7 ottobre. Mentre queste informazioni vengono diffuse, gli sforzi dei sostenitori di Hamas per demonizzare coloro che le diffondono si sono moltiplicati in modo esponenziale.
   Consideriamo solo un esempio. Durante il fine settimana, Eli Beer, capo dell'organizzazione di soccorso United Hatzalah, ha raccontato a un pubblico ebraico americano la storia di un bambino di Kfar Aza. Il bambino, ha detto, è stato messo in un forno e bruciato vivo. In seguito è stato riferito che il padre del bambino è stato ucciso e lasciato morire dissanguato mentre la moglie veniva violentata in gruppo e giustiziata e il bambino bruciato vivo.
   Ho pubblicato la storia sul mio account X-platform (ex Twitter). In poche ore il post è diventato virale. Mercoledì mattina era stato visualizzato da oltre 2,5 milioni di persone. Migliaia di persone lo avevano ripostato e altre migliaia avevano risposto.
   Lunedì pomeriggio mi sono reso conto che la maggior parte dei repost e dei commenti erano a favore di Hamas. Molti facevano battute sull'atrocità. Ma la maggior parte dei post era una pura e semplice negazione del fatto che il crimine avesse avuto luogo. I post mi demonizzavano come "nazista sionista" che diffonde bugie. Alcuni post pro-Hamas hanno creato meme che mi dichiaravano bugiardo.
   Una volta capito cosa stava succedendo, ho chiesto conferme a più persone, che ho ricevuto direttamente e indirettamente dalle Forze di Difesa Israeliane, dal governo israeliano, dal governo americano, dalla ZAKA (la società di recupero dei corpi e, in questo caso, delle parti del corpo) e da altre fonti. Ho anche appreso che il caso rivelato da Beer non era un evento isolato. Sono stati trovati diversi corpi di bambini con segni di griglia, che indicano che sono stati bruciati vivi nei forni.
   Il professor Chen Kugel, capo dell'Istituto nazionale israeliano di medicina legale, supervisiona il processo di identificazione dei corpi delle vittime. Nelle apparizioni sui media dal 7 ottobre, Kugel ha ripetutamente descritto i cadaveri delle vittime bruciate vive. Si possono distinguere dalle vittime i cui corpi sono stati bruciati dopo l'esecuzione per la presenza di fuliggine nei polmoni. La fuliggine indica che le vittime respiravano mentre bruciavano.
   Il processo di identificazione delle vittime è lungo perché Hamas ha ordinato ai suoi assassini di bruciare i corpi delle loro vittime. Kugel e altri hanno descritto i resti di molti corpi come quelli che si vedono in un forno crematorio. Avigail Gimpel, una volontaria della società di sepoltura ebraica Chevra Kadisha che ha preparato decine di corpi delle vittime per la sepoltura, ha raccontato che molti dei corpi che lei e i suoi colleghi hanno ricevuto erano palle di carbone. Gli archeologi dell'Autorità israeliana per le antichità sono stati chiamati a setacciare le ceneri delle case bruciate per separare i resti umani dai mobili e dai muri bruciati.
   Nonostante le crescenti prove forensi e testimoniali, le negazioni continuano e si espandono. Se viste nel contesto della negazione dell'Olocausto da parte dei palestinesi, possono essere intese come funzionali a tre obiettivi correlati.
   In primo luogo, le negazioni consentono alle persone abituate a sostenere i palestinesi, ma che amano essere considerate sincere, di sentirsi a proprio agio nel mettere in dubbio la verità. Per esempio, Eric Levitz, uno scrittore progressista del New York Magazine, ha pubblicato quanto segue su X il 22 ottobre:
   "Ieri sera ho affermato che questo rapporto [relativo al massacro del 7 ottobre] indicava che erano stati decapitati dei bambini. È stata un'affermazione eccessiva. Avrei dovuto dire che il rapporto stabiliva che i bambini erano stati trovati senza testa, un fatto che rende plausibili le affermazioni sulla decapitazione, ma che non le prova".
   Questa settimana, lo Yale Daily News ha pubblicato una correzione altrettanto depravata di un articolo di opinione che si riferiva al fatto che i terroristi di Hamas decapitavano e violentavano le loro vittime. Il giornale studentesco di Yale ha insistito sul fatto che le accuse non erano state provate.
   Il secondo scopo della negazione dei sostenitori di Hamas è quello di criminalizzare Israele. Se Hamas non è colpevole, ovviamente lo è Israele. Abbas ha accusato gli ebrei di essere responsabili dell'Olocausto per rifiutare la legittimità morale dello Stato di Israele. Lo ha fatto anche per evitare di affrontare la colpevolezza palestinese per il genocidio, nonostante il ruolo di Husseini nel bloccare l'emigrazione ebraica nell'Israele pre-statale e il suo ruolo diretto nella realizzazione dell'Olocausto. Proprio così, i sostenitori di Hamas accusano ora Israele di aver ucciso il proprio popolo o di aver inventato la loro vittimizzazione per mano dell'organizzazione terroristica, al fine di costruire un caso in cui Israele sia il cattivo di questa storia. Questo permette agli odiatori degli ebrei di tutto il mondo di sentirsi a proprio agio nell'esprimere la loro avversione per gli ebrei. Se gli ebrei sono i cattivi, allora è morale odiarli. È morale stare dalla parte di Hamas. Ed è immorale sostenere gli ebrei e lo Stato di Israele.
   Infine, una volta che la verità viene messa in dubbio e Israele viene incolpato come il cattivo, le negazioni dei crimini di Hamas facilitano la continuazione e l'espansione di tali crimini. L'obiettivo dichiarato di Hamas, come il partito Fatah di Abbas, è l'eliminazione dello Stato ebraico. Ovvero, il suo obiettivo è quello di mettere in atto un altro Olocausto. Dopo che Israele è stato incolpato di essere un bugiardo e un cattivo, il passo successivo è quello di spazzarlo via.
   Agli ebrei e ai loro sostenitori, gli apologeti di Hamas che ora terrorizzano gli ebrei nei campus universitari e nelle città degli Stati Uniti e dell'Europa, e che si scatenano sulle piattaforme dei social media, sembrano pazzi. Come possono negare l'innegabile colpevolezza di Hamas?
   Ma i sostenitori di Hamas non sono degli illusi. Sanno esattamente cosa stanno facendo.
   Stanno conducendo una guerra psicologica contro i governi e le opinioni pubbliche occidentali. Il loro scopo è quello di gassare centinaia di milioni di persone, di indurle a mettere in discussione la loro presa sulla realtà e di intimidirle per farle tacere. Allo stesso tempo, cercano di incoraggiare i loro alleati e compagni di viaggio a schierarsi apertamente con Hamas, dimostrando che non hanno nulla da perdere nel farlo.
   Se avranno successo, i loro sforzi produrranno un clima internazionale favorevole al raggiungimento del loro obiettivo comune di sradicare il popolo e lo Stato ebraico. Se avranno un successo parziale, lo sforzo bellico di Israele sarà minato e le aggressioni agli ebrei in tutto il mondo aumenteranno.

(Israel Heute, 3 novembre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


La simmetria tra il nazismo e chi usa l'islamismo come causa per sterminare il popolo ebraico

di Claudio Cerasa

Il rappresentante permanente di Israele presso le Nazioni Unite, Gilad Erdan, tre giorni fa ha ricordato che le parole sono importanti e ha spiegato con un linguaggio asciutto e chiaro perché la comunità internazionale avrebbe il dovere storico, morale e politico di chiamare le cose con il loro nome e di ricordare ogni giorno che il nemico che Israele sta combattendo non è un solo gruppo di terroristi ma è la manifestazione più prossima a un male che il mondo libero ha già cercato di combattere con tutte le sue forze: il nazismo. I terroristi di Hamas, ha ricordato Erdan, sono “i nazisti dei nostri giorni”. E ancora: “Chi pensa che Hamas stia cercando una soluzione al conflitto sbaglia, perché l’unica soluzione a cui Hamas è interessato è quella finale: l’annientamento del popolo ebraico”.
   A prima vista, il paragone tra l’islamismo fondamentalista di cui è espressione Hamas e le tesi naziste che hanno promosso lo sterminio degli ebrei in Europa durante l’Olocausto potrebbe apparire come una forzatura di Israele. La storia, come diceva Karl Marx, non si ripete. E se si ripete, al massimo, si ripete in farsa. Purtroppo, per quanto riguarda Hamas, le cose non stanno così. Due giorni fa, il settimanale francese Point ha ricordato la ragione per cui la storia di Hamas è inesorabilmente legata alla proliferazione delle teorie antisemite. Nel 1988, quando il gruppo terroristico presentò il suo primo “patto fondativo”, il popolo ebraico, all’articolo 7 della Carta, venne descritto come un nemico da abbattere, da annientare e da eliminare. E per giustificare questo obiettivo si scelse di fare leva sulle radici più estremiste dell’islamismo, evidenziando il modo in cui fu proprio Maometto a promuovere la caccia all’ebreo: “Il Movimento di resistenza islamico ha sempre cercato di corrispondere alle promesse di Allah, senza chiedersi quanto tempo ci sarebbe voluto. Il Profeta dichiarò: ‘L’ultimo giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l’albero diranno: O musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me – vieni e uccidilo’”. La storia di Hamas, da questo punto di vista, è dunque esemplare di un fenomeno che ancora oggi, a un mese dall’attacco a Israele, appare sfumato nella narrazione quotidiana di ciò che è stato il 7 ottobre per il popolo ebraico. Al contrario di quello che spesso si sostiene, l’esplosione della violenza non è stata “provocata” dalle malefatte di Israele. Ma è stata provocata da un’ideologia che è il vero motore dell’azione degli islamisti. Il Point ricorda altri due episodi significativi. Il primo episodio riguarda la storia del collaboratore nazista Haj Amin al Husseini (noto anche come il  “Mufti”), uno degli eroi di Hamas. Al Husseini, che incarna l’antisemitismo islamico contemporaneo e il rifiuto arabo di scendere a compromessi con la presenza di Israele, incontrò Hitler nel dicembre del 1942, lavorò con l’intelligence tedesca, contribuì a stabilire la divisione musulmana del SS in Yugoslavia e nel 1941 in Germania fu ospitato da Hitler. In quell’occasione, disse al ministro degli Esteri tedesco Joachim von Ribbentrop che gli arabi palestinesi da lui rappresentati erano “amici naturali della Germania perché entrambi sono impegnati nella lotta contro i loro tre nemici comuni: gli inglesi, gli ebrei e il bolscevismo”.
   Il secondo episodio ricordato dal Poin riguarda uno studio interessante e recente realizzato da Meir Litvak, presidente del Dipartimento di studi mediorientali e africani dell’Università di Tel Aviv. Lo studio sottolinea un dato che spesso sfugge a molti osservatori contemporanei: la causa promossa da Hamas è una causa essenzialmente islamica e in quanto tale la lotta descritta dagli stessi terroristi è “come una dicotomia incolmabile tra due assoluti: una guerra di religione e di fede, tra islam ed ebraismo e tra musulmani ed ebrei, e non una guerra tra palestinesi e israeliani o sionisti”. Il Corano, in verità, come sanno i molti cristiani trucidati dagli islamisti integralisti, suggerisce una caccia generica agli infedeli, e non solo agli ebrei (“Combattete per la causa di Allah coloro che vi combattono, uccideteli ovunque li incontriate, scacciateli. Combatteteli finché il culto sia reso solo ad Allah”: sura 2, 190-193). Ma non capire che la guerra del terrore promossa da Hamas è una guerra al centro della quale vi è l’esistenza stessa del popolo ebraico significa non aver capito la portata di ciò per cui sta combattendo Israele. “Se tutti gli ebrei si riunissero in Israele – disse anni fa Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah, che oggi si esprimerà su Israele – ci toglierebbero il disturbo di andarli a prendere in giro per il mondo”. Due popoli, uno stato [?!]. E chissà se è davvero una eresia sostenere che oggi l’ideologia più vicina al nazismo è quella veicolata da chi come Hamas sceglie di mettere l’islamismo fondamentalista al servizio di una propria causa: l’eliminazione del popolo ebraico. 

Il Foglio, 3 novembre 2023)
____________________

Del tutto condivisibile l'analisi della causa islamica e antiebraica di Hamas, ma che significa quell'inciso "Due popoli, uno stato"? Una proposta? un ideale? un pericolo da scongiurare? Serve chiarezza. Da approfondire anche l'equiparazione tra Hamas e nazismo come un male "che il mondo libero ha già cercato di combattere con tutte le sue forze". Poiché come "mondo libero" un foglio come "Il Foglio" dà per scontato che si debba intendere il mondo occidentale, bisogna ricordare che per combattere il male del nazismo il "mondo libero" west-europeo ha avuto bisogno del "mondo non libero" est-europeo russo". Se il nuovo nazismo è l'islamismo di Hamas, non sarebbe stato meglio trovare un accordo tra i due "mondi" contro il nazistico male di Hamas-islam? Ed ecco invece che il "mondo libero" a trazione anglo-americana si mette contro il "mondo non libero" russo. Perché? Ah già, per salvare la libertà. E poiché "Israele siamo noi", è inevitabile che anche Israele debba essere associato nella campagna per il salvataggio della libertà del mondo libero.
  Solo che Israele non combatte per la libertà, ma per l'esistenza. Si è rimarcata la differenza? Gli Usa, che non hanno problemi di esistenza, vogliono conservare la libertà. Cioè la loro libertà di poter disporre, come nuovo popolo eletto, dei beni di tutto il mondo per il benessere di tutti. A questo scopo hanno ritenuto utile avere una politica morbida con l'Iran e una durissima con la Russia. Quindi hanno proclamato la difesa a oltranza dell'Ucraina, fino all'ultimo ucraino, perché i morti ucraini sarebbero morti per una grande causa: la libertà del mondo libero. I morti israeliani invece non sono morti per la libertà, ma per l'esistenza. Quelli massacrati nel sud di Israele perché gli islamici di Hamas hanno voluto che la loro esistenza fosse cancellata, quelli che ora muoiono in battaglia a Gaza perché gli israeliani vogliono che la loro esistenza sia mantenuta. Ecco perché se agli israeliani noi occidentali diciamo "Israele siamo noi", loro avrebbero buoni motivi per preoccuparsi. Agli israeliani dobbiamo dire "Israele siete voi", perché siete voi che vogliamo difendere, voi nella vostra esistenza, non noi nella nostra mistificata libertà. M.C.

........................................................


Ghazi Hamad (Hamas): “Ripeteremo il 7 ottobre fino a quando Israele non sarà annientato”

Ghazi Hamad, dell’ufficio politico di Hamas ha dichiarato in una trasmissione del 24 ottobre 2023 su LBC TV (Libano) che l’attacco del 7 ottobre contro Israele è stato solo l’inizio, promettendo di lanciare “un secondo, un terzo, un quarto” attacco finché il paese non sarà “annientato”.
Ghazi Hamad – i cui commenti sono stati trascritti dal Middle East Media Research Institute (MEMRI), un think tank con sede a Washington – ha aggiunto nell’intervista alla LBC che “Israele non ha posto nella nostra terra. Dobbiamo rimuovere il Paese perché costituisce una catastrofe militare, politica e per la sicurezza”.
Per quanto riguarda gli attacchi del 7 ottobre – che hanno provocato il massacro di oltre 1.300 israeliani nel sud e centinaia trascinati nella Striscia di Gaza – Hamad ha dichiarato che “dobbiamo dare una lezione a Israele, e lo faremo ancora e ancora”.
Sull’uccisione su larga scala di civili, aggiunge: “Hamas non voleva danneggiare i civili, ma ci sono state complicazioni sul terreno. Tutto ciò che facciamo è giustificato”.

(Bet Magazine Mosaico, 2 novembre 2023)

........................................................


Pio IX e l’ambiguo dogma dell’Immacolata Concezione

La vecchia, “buona”, “sana” dottrina della chiesa cattolica romana di un tempo a cui molti cattolici scandalizzati dal mondanismo bergogliano vorrebbero tornare, in realtà non è affatto sempre buona e sana rispetto ai testi biblici, ma anzi contiene gravi eresie che non sono diventate più onorevoli col passar del tempo. Tra queste c’è il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria, inventato di sana pianta nel XIX secolo. Siamo grati al fratello in fede che ha scritto e ci ha segnalato la pubblicazione del seguente articolo. NsI

di Tommaso Todaro

Il 13 maggio del 1792 nasceva a Sinigaglia, piccola città delle Marche che affaccia sull’adriatico, dal conte Girolamo Mastai Ferretti e dalla contessa Caterina Solazzi, un figlio cui posero il nome di Giovanni-Maria, il futuro Papa Pio IX. Eletto Papa dal conclave la sera del 16 giugno del 1846 al quarto scrutinio, dopo appena 48 ore dall’apertura dei lavori, fu incoronato nella Basilica di S. Pietro in Vaticano, il successivo 21 giugno. «Gran rumore si mena da per ogni dove della liberale tendenza che manifestasi dal Papa Pio IX. Il grido universale lo saluta come l’astro foriero di libertà d’Italia» scriveva Camillo Mapei, ex prete cattolico e rifugiato politico a Londra, in un periodico mensile misconosciuto, quanto gagliardamente avversato dal Vaticano, dal titolo L’eco di Savonarola. Il periodico, a tiratura mensile, diffuso prevalentemente tra gli evangelici italiani residenti nel Regno Unito, che spesso versavano in condizioni di indigenza, aveva una tiratura molto limitata e si reggeva unicamente sulla contribuzione di coloro che potevano pagare l’abbonamento e sul lavoro gratuito del redattore.    La rivista pubblicava gli articoli scritti da personaggi accomunati dalla fedeltà al Vangelo e dall’amor di patria, per lo più esuli perseguitati, tra cui spiccavano le firme di Salvatore Ferretti, dello stesso Mapei, di Gabriele Rossetti e di tantissimi altri....

(Nuovo Monitore Napoletano, settembre 2023)

........................................................


Parashà di Vayerà: Il passato era perduto; il futuro, un’illusione

di Donato Grosser

Alla fine della parashà, la Torà ci racconta quella che fu la decima ed ultima prova del patriarca Avraham, con queste parole: ”Dopo queste cose, avvenne che Iddio mise alla prova Avraham, e gli disse: Avraham! Ed egli rispose: Eccomi.  E Dio disse: Prendi ora tuo figlio, il tuo unico, colui che ami, Yitzchàk, e vattene (lekh lekhà) nel paese di Morià, e offrilo lì in olocausto sopra uno dei monti che ti dirò”(Bereshìt, 22: 1-2).
            Nell’introduzione al volume di Bereshìt di Mesoras Harav, l’opera nella quale furono raccolti alcuni insegnamenti sulla Torà di r. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston), il suo discepolo r. Menachem Genack (USA, 1949- ) direttore generale della casherut della Orthodox Union e della casa editoriale dell’organizzazione, trattò l’argomento della “‘akedàt Yitzchàk”, il legamento di Yitzchàk all’altare per essere sacrificato. 
            In questa introduzione r. Genack scrisse che l’espressione “lekh lekhà” (vattene) appare solo due volte nella Torà.  La prima volta fu quando l’Eterno disse ad Avraham: “Vattene dal tuo paese e dal tuo parentado e dalla casa di tuo padre, nel paese che ti mostrerò” (ibid., 12:1). La seconda volta appare in questa parashànella quale l’Eterno comanda ad Avraham di sacrificare il figlio. Entrambi i comandamenti furono parte delle prove di Avraham. 
            Nel primo caso l’Eterno disse ad Avraham di rinunciare al suo passato; nel secondo caso di rinunciare al suo futuro. Il primo lekh lekhà era un ordine di formare un nuovo popolo con il supporto divino. Avraham doveva creare una nazione senza  il beneficio di un storia nazionale; creare una cultura senza una ricca tradizione; formare una società senza una massa critica di amici e parenti. 
            Il secondo lekh lekhà era il decreto divino che il futuro di Avraham era un’illusione. Qualunque fossero i sogni e le aspirazioni di Avraham, sarebbero stati distrutti in modo permanente. Le promesse di diventare un grande popolo sarebbero svanite con la morte di Yitzchàk. Solo la suprema fede di Avraham gli diede la forze di perseverare e di seguire il comando divino in ognuno dei due lekh lekhà
            R. Soloveitchik in Mesoras Harav (p.148) commenta che quando Avraham arrivò al monte Morià, il sacrificio era un fait accompli . Nella mente di Avraham, Yitzchàk non c’era più. Nella sua mente il sacrificio di suo figlio era già stato consumato. Non c’era più bisogno di un sacrificio fisico perché Avraham aveva soddisfatto il comando divino ancora prima di arrivare al monte Morià. Tutto quello che l’Eterno richiedeva ora da Avraham, era un sacrificio sostitutivo: “E Avraham alzò gli occhi, guardò, ed ecco dietro a sé un montone, preso per le corna in un cespuglio. E Avraham andò, prese il montone, e l’offerse in olocausto invece di suo figlio” (ibid. 13).
            Il nonno omonimo di r. Soloveitchik (Russia, 1820-1892), noto per la sua opera Bet Ha-Levi, commentò che quando Avraham disse all’Eterno: “Io sono polvere e cenere” (‘afar ve-efer) (ibid, 18:27), Avraham voleva dire che senza l’aiuto divino non aveva né un passato né un futuro. La polvere, la terra, non ha passato ma ha un futuro; ha un potenziale se viene coltivata. La cenere invece è ciò che rimane dalla vitalità passata e nulla può più crescere dalla cenere. La cenere ha un passato ma non ha futuro. 

(Shalom, 3 novembre 2023)
____________________

Parashà della settimana: Vayerà (Apparve)

........................................................


Spade di ferro - giorno 26. Lo scontro urbano

di Ugo Volli

Circa venti soldati israeliani sono caduti in combattimento negli ultimi due giorni. Una decina di loro, militari della brigata di fanteria Givati, sono stati colpiti assieme, su un veicolo blindato di trasporto truppe centrato da un razzo anticarro. Purtroppo queste dolorosissime perdite sono quasi inevitabili nonostante la superiorità militare israeliana e sono destinate ad aumentare col procedere dell’operazione. I terroristi si affacciano dai loro nascondigli nelle case e soprattutto da botole di uscita dei tunnel sotterranei e sparano i proiettili anticarro (detti RPG). I più moderni in mano ad Hamas sono i Kornet a guida laser progettati dai russi e oggi fabbricati in Iran. Solo ieri vi sono stati centinaia di attacchi con questi mezzi. I nuovi veicoli che usa l'esercito, preceduti da droni per scoprire le trappole, sono potentemente corazzati (difesa passiva), usano fumogeni per nascondersi al tiro e hanno anche contromisure elettroniche di difesa attiva: quasi sempre riescono a evitare di essere colpiti e a neutralizzare i terroristi. Ma purtroppo in questo ambito non esiste la certezza assoluta. Il lavoro di ripulitura degli apparati terroristi procede in mezzo a questi ostacoli. Ieri c’è stata di nuovo un’importante battaglia a Jabalyia, al nord di Gaza, dove sono stati eliminati molte decine di terroristi ed è stato conquistato un punto fortificato. Il portavoce dell’esercito ha dichiarato ieri sera che “l 'operazione di terra sta procedendo come previsto. Grazie a una pianificazione anticipata, a informazioni precise e ad attacchi combinati, le nostre forze hanno sfondato la prima linea di difesa dell'organizzazione terroristica di Hamas nel nord della Striscia di Gaza.”

Il problema del combattimento urbano
  Siamo insomma ormai entrati nella fase più difficile della guerra di Gaza, quella del combattimento urbano, che Hamas aspettava dall’inizio come occasione per imboscate e bombe trappola, progettate per infliggere perdite pesanti a Israele. Per capire le difficoltà che deve affrontare l’esercito, è utile citare l’opinione di due esperti militari americani, il colonnello Laem Collins e il maggiore Spencer che hanno scritto un libro sull’argomento e sono stati intervistati dall’agenzia ‘Infos Israel News’: “Nell’ambiente urbano l'esercito israeliano non può usare un vantaggio importante come la capacità di colpire prima di avvicinarsi al nemico. Esso vi perde anche la possibilità di effettuare manovre combinate, cioè aggirare il nemico e circondarlo. In città, il nemico ha molte opportunità per nascondersi e non farsi notare dalla ricognizione terrestre o aerea dei droni. A Gaza tutto ciò è ancora più pericoloso a causa dei tunnel attraverso i quali manovra il nemico. I terroristi di Hamas possono muoversi per linee interne di edificio in edificio, abbattendo i muri tra le case. È difficile distruggerli lì, fra i civili ed altri edifici. In un ambiente del genere bombe e missili sono meno efficaci. Hamas gioca per guadagnare tempo, perché il tempo è suo alleato: la pressione su Israele aumenterà a causa delle inevitabili perdite civili. Il loro obiettivo non è distruggere l’esercito israeliano. Non possono farlo. L’obiettivo è risparmiare tempo”, dicono gli esperti. Essi ritengono che “il principale vantaggio israeliano in questo ambiente risieda nell'uso di grandi bulldozer militari. Non devono temere gli attacchi dei razzi anticarro e possono distruggere gli edifici dove i terroristi si annidano. Un altro vantaggio che l'IDF cercherà di sfruttare è la capacità di condurre combattimenti notturni.”

Che cosa fa l’esercito israeliano per contrastare la minaccia
  Vi è da parte israeliana una stretta censura sui movimenti delle truppe per evitare che Hamas possa reagire in tempo. L’asimmetria informativa è uno dei vantaggi di Israele. sappiamo comunque che oggi l’operazione è concentrata nel Nord, nei due angoli settentrionali della Striscia e subito a sud di Gaza, dove essa è quasi tagliata trasversalmente dalle forze israeliane. I bulldozer D9 vengono utilizzati per rimuovere trappole esplosive e mine e altri ostacoli prima che i soldati avanzino. La forza aerea, in particolare i droni, e anche l’artiglieria e i carri armati vengono ampiamente utilizzati insieme alle forze di terra per colpire i terroristi, che sono costretti a uscire dai loro nascondigli per contrastare le forze di terra. Anche quando sparano rivelano la loro posizione e sono attaccati.

Le sfide future
  Nonostante tutti i successi, Israele riesce a eliminare al massimo qualche decina di terroristi alla volta, mentre vi sono molte migliaia o anche ad alcune decine di migliaia di terroristi che attendono nei loro nascondigli l’ordine di entrare in combattimento, quando vi saranno più forze israeliane in gioco. La battaglia principale non è ancora iniziata. L’esercito non ha ancora tentato di penetrare nell'ospedale di Shifa o in altre aree critiche dove si nascondono i capi di Hamas. Nonostante il salvataggio di un ostaggio avvenuto l’altro ieri, la stragrande maggioranza dei 230 ostaggi sono ancora nelle mani dei terroristi. Si pensa che Hamas tiene molti ostaggi in aree sensibili per dissuadere Israele dall'attaccare quelle aree, soprattutto nei confronti dei massimi leader di Hamas. Israele è molto preoccupato per le reazioni internazionali via via più negative, ma non sono riusciti a elaborare una strategia migliore per raggiungere gli obiettivi di guerra più rapidamente senza perdere più soldati e uccidere più civili. Alla battaglia sul terreno si affianca sempre più la resistenza diplomatica per permettere all’esercito di eliminare totalmente i terroristi. Entrambe saranno molto dure e rischiano di durare mesi.

(Shalom, 2 novembre 2023)

........................................................


Israele piange i caduti della Givati. Pedaya, Lavi e gli altri giovani eroi

Il figlio di un rabbino ucciso. Il ventenne e la ragazza che lo aspetta.

di Fiamma Nirenstein

FOTO
«Forza bambino, ringraziamo il cielo, sei forte ce la farai». Invece lui tutto pesto, con un occhio gonfio, piange senza rumore, è ancora piccolo nel luglio 2016, si appoggia al fratello che arriva di corsa sulla strada su cui di traverso si vede la macchina del padre. Il piccolo si chiama Pedaya Mark, figlio del rabbino Miky, appena ucciso sulla strada vicino a Hebron. La madre giace gravemente ferita e anche la sorella Teillah appena più grande di lui, sanguina. Lui le ha parlato per tenerla in vita finché sono arrivati i soccorsi; sempre lui, ha trovato il telefono e chiamato l'ambulanza. Un bambino dolce e diretto, appena ieri un bel ragazzo di 22 anni, con i riccioli laterali e una continua propensione al sorriso, è stato ucciso a Gaza con altri 15 ragazzi, per la maggior parte del suo gruppo, i mitologici Givati. Era il secondo luogotenente del battaglione. Pedaya ha vissuto sempre nel vento di tempesta dello scontro con i terroristi. Suo zio Elhanan è stato ucciso correndo a battersi il 7 ottobre. Una famiglia di eroi d'Israele, caduto perché il suo mezzo corazzato, un Namer (tigre), avventuratosi fra gli edifici nelle vicinanze di Gaza city è stato colpito da un proiettile antitank.
   I soldati uccisi ieri sono stati 16, un numero che testimonia la difficoltà dell'avanzare delle truppe israeliane nella trappola di Gaza, un meandro urbano costruito solo per fare la guerra, in cui ogni casa, ospedale, scuola, ospita le armi e gli uomini di Hamas, ogni cittadino al piano inferiore o superiore è uno scudo umano. I genitori dei ragazzi in guerra, in questo Paese postmoderno, in cui per legge si attraversa per la mano fino all'età di nove anni e i bambini sono principi, dal momento i figli che partono non vivono più, ogni macchina che arriva di fronte alla loro porta, ogni campanello che suona, la tensione raggiunge il diapason.
   E tuttavia prevale la sicurezza, più di sempre, che questa guerra è necessaria, che le belve non devono restare sulle porte del Paese perché possa vivere, che i cittadini sfollati devono tornare a casa. La concordia è forte, non c'è posto per il pacifismo. Nella battaglia sul campo, i terroristi, i missili, sono in agguato, i terroristi preparano lo scontro dal 2005. I Givati sono incredibili combattenti, fanteria di prima classe, che conosce il terreno di Gaza metro per metro. Pedaya nel 2022 aveva detto che da quando suo padre era stato ucciso aveva capito quanto fosse importante essere un combattente. E così è stato fino all'ultimo: sul blindato con altri sei. Si deve immaginare un territorio semicostruito, in ogni costruzione può nascondersi un lanciamissili, sotto ogni edificio può sboccare la rete che i terroristi stessi hanno descritto, un meandro di 500 chilometri, un groviglio di trappole, armi, esplosivi, celle per gli ostaggi.
   Due altri soldati sono stati uccisi raggiunti da un missile mentre perquisivano un edificio, altri col tank su una bomba anticarro. Ognuno dei 16 ha una storia di ragazzo, di sogni, musica, scienza, tecnologia. L'inizio della vita.Sul primo, forse, a morire, Lavi Lipshitz, 20 anni, anche lui un Givati, bello come un attore, circola un video per una ragazza incontrata per caso: riassume l'incontro casuale rimasto nel cuore, alla fine si butta: «Are you free thursday night?». Sei libera giovedì sera? scrive. Tutta Israele sa che Lavi non ha potuto andare all'appuntamento. Ma questa guerra segue l'inferno nazista del 7 ottobre, la gente d'Israele cerca di consolarsi: i soldati hanno verificato le abitazioni di una grande zona, hanno ripulito Jabalia da 500 terroristi, hanno identificato le posizioni militari da cui sparano, hanno compiuto «incontrando significativa resistenza» operazioni in cui gli scambi a fuoco hanno dato loro un netto vantaggio. Hanno catturato o eliminato molti responsabili del 7 ottobre. Di Sinwar, l'inventore del sabato nero, si dice che si aggiri come Hitler nel bunker, disegnando morte prima di tutto per il suo popolo.

(il Giornale, 2 novembre 2023)

........................................................


Antisemitismo, la mappa dell’odio in Europa

Dalla Francia all’Austria alla Germania, un rigurgito che toglie il sonno al Vecchio Continente, preoccupato dal ritorno di uno dei periodi più bui del secolo scorso,

di Danilo Ceccarelli

PARIGI. In Europa il fantasma dell’antisemitismo torna a far paura, soprattutto dopo lo scoppio dell’ultima crisi tra Israele e Hamas. Negli ultimi giorni in diversi Paesi del Vecchio Continente si sono verificati una serie di episodi di odio e intolleranza contro le comunità ebraiche che hanno portato le autorità ad innalzare i livelli di sicurezza. Come quelli registrati in queste ultime ore nel quartiere di Trastevere, a Roma, dove sono state annerite ben quattro pietre di inciampo, dedicate ad Aurelio Spagnoletto e a Giacomo, Eugenio e Michele Ezio Spizzichino, deportati nei campi di concentramento di Mauthausen e Auschwitz tra il 1944 e il 1945.
   A Vienna, invece, questa notte la sezione ebraica del cimitero centrale è stata incendiata, mentre sui muri esterni sono state ritrovate delle svastiche. Sul caso è stata aperta un’inchiesta, mentre il cancelliere austriaco Karl Nehammer, ha condannato “con fermezza l’attacco”, sottolineando che “l’antisemitismo non ha posto” nella società austriaca. Un caso che non sembra essere isolato: “Il numero di incidenti antisemiti in Austria è considerevolmente aumentato in queste ultime settimane. Deve finire!”, ha scritto su X (ex Twitter) il presidente Alexander Van der Bellen.
   Una tendenza che si registra anche in Francia, almeno stando ai dati diffusi lunedì dal ministro dell’Interno Gerald Darmanin, che ha annunciato 819 atti antisemiti e 414 fermi avvenuti dal 7 ottobre, data dell’attacco di Hamas a Israele, ad oggi. “Ai francesi di confessione ebraica” voglio dire che “sono protetti dalla Repubblica”, ha spiegato il ministro, ricordando che 11mila agenti sono stati impiegati su tutto il territorio. Ma la tensione resta alta, soprattutto dopo le stelle di David rinvenute sui muri di diversi quartieri di Parigi e in alcuni comuni della banlieue negli ultimi giorni. Secondo quanto riferisce “BfmTv”, una coppia moldava presente irregolarmente in Francia è stata fermata il 27 ottobre perché sospettata di aver disegnato una quindicina di stelle di David. Gli autori, però, sono tanti, almeno stando alle tipologie di graffiti. La Francia tiene quindi gli occhi aperti, come dimostra l’inchiesta aperta dalla Prefettura della polizia di Parigi dopo che sui social è circolato un video raffigurante un gruppo di persone scandire canti antisemiti e nazisti nella metropolitana.
   La tensione resta alta anche dall’altra parte della Manica: solamente ad ottobre a Londra sono stati recensiti 408 atti antisemiti, contro i 28 riscontrati lo stesso mese del 2022. Atti isolati ma comunque preoccupanti, come quello dell’uomo che lo scorso fine settimana è stato arrestato nella capitale britannica per aver urlato “Che dio maledica gli ebrei!”.
   In Germania il direttore dell’intelligence interna Thomas Haldenwang ha dichiarato allo Spiegel che, sempre dal 7 ottobre, si sono verificati 1.800 reati di carattere antisemita. Tra quelli più gravi c’è la molotov lanciata recentemente contro una sinagoga a Berlino.
   Un rigurgito che toglie il sonno al Vecchio Continente, preoccupato dal ritorno di uno dei periodi più bui del secolo scorso.

(La Stampa, 2 novembre 2023)

........................................................


Esiste una società, una “cultura” che ha la volontà di sopprimere gli ebrei, dissacrarli, disumanizzarli

di Paolo Salom

Scrivere dal lontano Occidente è sempre più doloroso. Le immagini del brutale attacco dei terroristi di Hamas contro i civili israeliani saranno impossibili da dimenticare ed entreranno anzi nella tragica memoria collettiva al fianco di quelle che speravamo consegnate alla Storia, ovvero le testimonianze visive della Shoah.
   È bene non farsi illusioni, perché la verità nuda e cruda è emersa in tutta la sua insopportabile violenza. Esiste una società, una cultura che ha nell’animo la volontà di sopprimere gli ebrei, ucciderli, dissacrarli, disumanizzarli. C’è chi lo dichiara da anni impunemente, ovvero chi si riconosce nell’organizzazione islamista Hamas; e chi ricopre questi desideri di false dichiarazioni “di pace e convivenza” una volta che Israele si sarà ritirato da Giudea, Samaria e Gerusalemme Est, ovvero i sostenitori di Abu Mazen e del Fatah. Ma sappiamo che, potendo scegliere, si accoderebbero ai metodi di Hamas. Lo provano del resto le scene di giubilo nelle piazze delle città palestinesi ogni volta che un “ebreo” viene trucidato.
   È ora di raccontare, dunque, prima di tutto a noi stessi, come stanno le cose, perché anche molti di noi continuano a covare l’illusione di “due Stati per due popoli”, un’espressione ripetuta come un mantra da decenni a questa parte. La triste realtà è che tutto questo è una menzogna smentita a ogni tragedia annunciata. Io non ho ricette, non ho certezze, non ho una soluzione. Ma so che, prima di capire come risolvere un problema, per quanto grave, è indispensabile accettarne l’esistenza. Può essere molto doloroso farlo. E può anche darsi che non tutto sia compreso. Ma è impossibile affrontare sfide come quelle che si trova di fronte Israele (e con Israele tutti gli ebrei del mondo, sia chiaro) senza la piena consapevolezza che il domani non sarà mai come viene descritto nei simposi internazionali (o sui media), ma prenderà la forma che noi vorremo dargli.
   Un esempio per chiarire che cosa intendo. Se Israele è stato colto di sorpresa (e non c’è dubbio che sia avvenuto) la colpa immediata può essere di chi in quelle ore era distratto, certamente. Ma il processo mentale che ha consentito questa distrazione arriva da lontano. È stato nutrito dalle divisioni interne al Paese da una parte e dall’idea, derivata da una concezione della società democratica e aperta, che tutto può avere una soluzione e che, dunque, l’altra parte – il mondo arabo-palestinese – avrebbe bisogno soltanto di tempo per “diventare come noi”. Non è così. E il lontano Occidente comincia a capirlo, anche se con grande difficoltà, questa “resistenza” ai valori del mondo occidentale – per valori intendo: democrazia, uguaglianza, libertà – è una febbre che travalica confini e spinge le nazioni a combattersi.
   Ora, non ha importanza sapere se le azioni di Hamas sono state decise a Teheran o a Mosca. Perché comunque hanno trovato nei terroristi di Gaza orecchie più che pronte ad accoglierle. Ed è questo che, ora, deve interessare gli israeliani e i loro fratelli della Diaspora, cioè noi. Si può scendere a patti con chi ti vuole distruggere? No, non si può. La scelta non è più tra noi e un “loro in futuro” (non dobbiamo essere troppo duri perché siamo destinati a convivere).
   Non ci sarà convivenza perché, molto semplicemente, i nostri nemici sono votati alla totale distruzione dello Stato di Israele, un pezzo alla volta. Chiunque sarà alla guida del magnifico frutteto ricostruito nella terra dei nostri Padri e delle nostre Madri avrà il compito arduo, ma non impossibile, di correggere gli errori fatti (in buona fede) finora per garantire un futuro a tutti gli ebrei. Perché, sia chiaro, il nostro destino, quello della Diaspora e dello Stato ebraico, è legato e indissolubile, ora più che mai. Am Israel Chai.

(Bet Magazine Mosaico, 2 novembre 2023)

........................................................


Date la colpa a Hamas per le sofferenze della popolazione civile nella Striscia di Gaza

Hamas ha la possibilità di porre fine alle attuali sofferenze di Gaza quasi immediatamente, rilasciando tutti gli ostaggi e offrendo una resa incondizionata.

di Noah Beeck

Quando le immagini orribili delle sofferenze dei civili a Gaza inondano i media e infiammano le emozioni al di là di ogni analisi razionale, la sfida è quella di mantenere la lucidità su chi sia responsabile degli orrori che si stanno verificando.
   Date dunque a  Hamas la colpa per tutte le sofferenze patite dalla popolazione di Gaza dopo il 7 ottobre, perché il 6 ottobre non c'era motivo per Israele di rivolgere la sua forza militare contro Gaza. In effetti, il massacro del 7 ottobre è stato possibile in parte perché Israele è stato indotto a credere che Hamas fosse interessato alla prosperità economica.
   Ma il 7 ottobre Hamas ha invaso il territorio israeliano, ha rapito oltre 230 israeliani e ha massacrato 1.400 persone, il che equivale a quasi 52.000 morti negli Stati Uniti - circa diciassette 11 settembre in un giorno - e circa 8.500 americani presi in ostaggio. E l'orribile ferocia di questi omicidi e rapimenti, anche se in numero molto inferiore, probabilmente indurrebbe la maggior parte dei militari del mondo ad agire in modo molto più aggressivo e deciso di quanto abbia fatto finora Israele. In effetti, con un solo 11 settembre, gli Stati Uniti hanno lanciato guerre massicce contro due Paesi dall'altra parte del pianeta, causando centinaia di migliaia di morti tra i civili. Quindi una risposta militare devastante alle atrocità di massa di Hamas era del tutto prevedibile, lasciando Hamas come unico responsabile dell'attuale conflitto. Dal punto di vista legale, Hamas è stato la «causa prima» dell'attuale guerra: se non ci fosse stato nessun massacro di Hamas il 7 ottobre, non ci sarebbe stata nessuna "Operazione Spade di Ferro" da parte dell'esercito israeliano in seguito.
   Sarebbe stato colpevole da parte di qualsiasi governo israeliano non perseguire la completa eradicazione di Hamas dopo il massacro del 7 ottobre, che ha reso innegabile l’intento omicida dell'organizzazione terroristica. Lo statuto di Hamas dichiara apertamente l'obiettivo di uccidere tutti gli ebrei, ma questo obiettivo non è mai stato perseguito su una scala così schiacciante e con atrocità così feroci orgogliosamente registrate e diffuse da Hamas. Inoltre, la grande quantità di armi, cibo e rifornimenti trovati addosso agli attentatori dimostra che Hamas intendeva attaccare diverse grandi città israeliane in un periodo di diverse settimane e che voleva massimizzare le uccisioni di israeliani, come dimostrano le istruzioni trovate per la fabbricazione di un'arma chimica al cianuro. Non c'è quindi più alcun dubbio sulle intenzioni di Hamas, né ci si può illudere che Israele possa in qualche modo imparare a convivere con un simile vicino, o che ci sia una qualche speranza di coesistenza pacifica con i palestinesi dentro o fuori Gaza finché Hamas sopravvive.
   Quindi, incolpate Hamas per aver iniziato l'attuale guerra, e incolpatelo per ogni giorno in cui questa guerra continua, con tutte le morti civili che ne derivano, i danni alle proprietà, le crisi umanitarie e la miseria generale. Esaminando i tre principali cicli di violenza tra Hamas e Israele, emerge uno schema evidente: più a lungo dura il conflitto, più morte e distruzione ci sono, fino al giorno in cui Hamas è abbastanza sottomesso da accettare un cessate il fuoco. Le stime delle vittime riportate di seguito includono sia i morti tra i combattenti che tra i civili in ciascuna delle principali operazioni israeliane a Gaza:

Si noti che ognuna delle suddette operazioni è stata provocata da attacchi missilistici di Hamas contro i civili israeliani, quindi Hamas è anche responsabile di tutte le perdite di vite e proprietà a Gaza in ognuna di queste guerre. In media, a Gaza sono morte circa 34 persone al giorno, ma poiché Israele sta combattendo questa volta per eliminare una minaccia esistenziale una volta per tutte, il bilancio giornaliero delle vittime è già molto più alto e potrebbe rapidamente aumentare.
   Hamas, tuttavia, ha la possibilità di porre fine alle attuali sofferenze di Gaza quasi immediatamente, rilasciando tutti gli ostaggi e offrendo una resa incondizionata, che spingerebbe l'esercito israeliano a cessare l'assalto una volta confermata la resa di Hamas.
   Proprio come Hamas sapeva che il suo massacro avrebbe provocato una massiccia azione militare israeliana, sa anche che alla fine perderà l'attuale guerra a causa della schiacciante superiorità militare e del morale inarrestabile di Israele, poiché gli israeliani sono ora più che mai convinti che Hamas minacci la loro esistenza.
   Quindi Hamas e Gaza non usciranno da questo ciclo di violenza meglio di quelli precedenti, ma la durata dei danni di questa guerra dipende interamente da Hamas. Dopo il massacro del 7 ottobre, tutti sanno che l'operazione militare di Israele non può fermarsi fino a quando la minaccia genocida di Hamas per i civili non sarà eliminata. In effetti, gli Stati Uniti hanno condotto una guerra per decenni per eliminare la minaccia rappresentata dai gruppi terroristici islamici. Quindi l'unica domanda da porsi è quanta morte e distruzione Hamas voglia infliggere alla popolazione civile di Gaza prima di smettere di combattere. Pertanto, la comunità internazionale dovrebbe fare ciò che non ha mai fatto prima ed esercitare pressioni su Hamas affinché accetti la sua sconfitta "in anticipo" e si arrenda senza condizioni, al fine di risparmiare alla popolazione civile di Gaza ulteriori morti e devastazioni.
   In realtà, la colpa della miseria di Gaza è anche della comunità internazionale, che ha ripetutamente permesso ad Hamas di continuare il suo distruttivo regno del terrore facendo pressione su Israele per ottenere un cessate il fuoco dopo ogni serie di violenze provocate da Hamas. Se i media e i leader mondiali sostenessero invece una vittoria militare finale di Israele, libererebbero la popolazione di Gaza dai tirannici governanti di Hamas e ispirerebbero finalmente la speranza di pace e di un futuro migliore a Gaza.
   Ma finché si permetterà ad Hamas di sopravvivere, la popolazione di Gaza soffrirà, perché Hamas ha dimostrato più volte di odiare gli israeliani più di quanto gli importi della popolazione di Gaza. Infatti, Hamas è responsabile di aver trasformato Gaza in uno Stato terroristico fallito che ha costantemente bisogno di aiuti umanitari e che dirotta il denaro degli aiuti per comprare armi e costruire tunnel del terrore.
   Quando si vedono immagini orribili di morte e distruzione di civili all'interno o vicino a strutture mediche, moschee o scuole a Gaza, la colpa è di Hamas. Il gruppo terroristico usa i tunnel sotto gli ospedali per trasportare armi ed esplosivi perché Hamas presume che Israele non attaccherà tali strutture. In realtà, Hamas ha usato ospedali, moschee e scuole per scopi militari nella guerra del 2014 contro Israele. Quindi, prendendo di mira i civili israeliani e nascondendosi dietro i civili gazani che fungono da scudi umani, Hamas sta commettendo un doppio crimine di guerra.
   Hamas è responsabile dell'attuale crisi umanitaria a Gaza, dove il carburante e altre forniture essenziali sono diventate pericolosamente scarse. Come riporta il New York Times, Hamas ha accumulato per anni carburante, cibo e medicine, oltre a munizioni e armi, nei chilometri di tunnel che ha scavato sotto Gaza. Perché la comunità internazionale non chiede ad Hamas di consegnare alla popolazione civile di Gaza le forniture di cui ha disperatamente bisogno?
   Infine, i media dovrebbero essere biasimati per non aver incolpato Hamas quando trasmettono immagini infinite delle sofferenze della popolazione civile di Gaza. L'indignazione globale che ne deriva è esponenzialmente maggiore di quella per i civili feriti in Siria (oltre 300.000 morti), Armenia (circa 120.000 sfollati), Etiopia (circa 600.000 morti) e in innumerevoli altre zone di conflitto. Nel frattempo, la compassione per i civili israeliani vittime del massacro del 7 ottobre che ha dato inizio a questa guerra è quasi scomparsa.

(Israel Heute, 2 novembre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


La perenne attualità del Lupo

di Niram Ferretti

Vladimir, Ze’ev Jabotinsky
Vladimir, Ze’ev Jabotinsky morì improvvisamente nel 1940, a causa di un infarto. Non fece in tempo a vedere la nascita di Israele. Così come Mosè non riuscì entrare nella terra promessa vedendola solo da lontano, Jabotinsky non riuscì entrare nello Stato ebraico quando venne proclamato. Ci sarebbe entrato da morto solo nel 1964 grazie all’allora Primo Ministro di Israele, Levi Eshkol, che permise quello che David Ben Gurion non aveva mai permesso.
La storia non si fa con i se. Ma Jabotinsky non avrebbe sicuramente accettato il piano di partizione del 1947 approvato dalle Nazioni Unite con la Risoluzione 181 e che defraudava ulteriormente il popolo ebraico concedendo agli arabi Giudea e Samaria.
Come avrebbe potuto Jabotinsky accettare un simile obbrobrio che violava lo stesso Articolo 80 dello Statuto della allora Società delle Nazioni che legittimava il Mandato Britannico per Palestina del 1922 il quale stabiliva inequivocabilmente che gli ebrei avevano il diritto di risiedere in tutti i territori a occidente del Giordano, e smembrava ulteriormente queste terre?
   La Risoluzione 181, nonostante questo ulteriore impoverimento del territorio concesso agli ebrei, venne accettata dall’Agenzia ebraica e respinta dagli arabi.
   Terra in cambio di pace. Una pace che non è mai arrivata e che Jabotinsky, con l’estrema lucidità che lo connotava, sapeva che non sarebbe mai arrivata se gli arabi non fossero stati costretti ad ammettere che Israele non poteva essere annientato.
   In uno dei suoi articoli più famosi, Il Muro di Ferro, pubblicato il 4 novembre del 1923 scriveva:
    “E inutile sperare, in alcun modo, in un accordo tra noi e gli arabi accettato volentieri, né  adesso né  in un futuro prevedibile…Messi da parte i ciechi dalla nascita, tutti i sionisti moderati hanno capito che non c’è la minima speranza di ottenere l’accordo degli arabi di Palestina per trasformare questa ‘Palestina’ in uno Stato in cui gli ebrei sarebbero maggioranza…La mia intenzione non è quella di affermare che un qualsiasi accordo con gli arabi palestinesi sia assolutamente fuori questione. Fino a quando  sussiste, nello spirito degli arabi, la minima scintilla di speranza di potersi un giorno disfarsi di noi, nessuna buona parola, nessuna promessa attraente indurrà gli arabi a rinunciare a questo spirito”.
Quello che è accaduto il 7 ottobre è il pegno più  alto pagato da Israele per avere negato questa verità.  Da ex militare e da realista senza cedimenti, Jabotinsky sapeva che solo la determinazione risoluta della forza poteva e può indurre un nemico intenzionato a distruggerti, a negarti il diritto all’esistenza, a recedere dai suoi propositi.
   Hamas non ha mai fatto alcun mistero della sua volontà di distruggere Israele, è tutto scritto nero su bianco nel suo Statuto del 1988, un manifesto intriso di antisemitismo e la cui volontà programmatica eliminazionista, fa apparire le pagine del Mein Kampf, carezzevoli.
   Ciò nonostante, con Hamas si è voluto “negoziare”, gli si è permesso di consolidarsi nella Striscia, di affinare le sue tecniche, di prepararsi allo sterminio di ebrei. Si è applicato il metodo fallimentare del “teniamoli buoni”.
   È il metodo delle concessioni, quello che Israele ha sempre applicato, quello che gli Stati Uniti lo hanno fortemente spinto ad accettare per non inimicarsi il mondo arabo. È il metodo della rinuncia alla determinazione, l’esatto contrario di quello che Jabotinsky, esattamente cento anni fa, con lucidità presciente, chiedeva di applicare.
   Ora, dopo l’eccidio, ci si accinge a fare quello che andava fatto molto tempo fa, e che va fatto sempre ogniqualvolta il nemico non cede e non concede, metterlo nella condizione di dovere rinunciare definitivamente ai suoi propositi distruttivi.
   Un nemico come Hamas si elimina, in modo che anche Fatah, e il suo “moderato” capobastone di Ramallah, capisca che non andrà mai da nessuna parte strizzando l’occhio agli estremisti, e fingendo che sia Israele a non volere trovare un accordo pacificatore.
   La necessità di Israele di  vincere questa guerra, a stabilire il primato della forza, prerequisito indispensabile a ogni possibile accordo col nemico, è una vittoria postuma di Jabotinsky, di chi aveva capito tutto prima degli altri, e che mai una sola volta, i fatti hanno smentito.

(L'informale, 2 novembre 2023)

........................................................


Sondaggio: Israele è davvero cambiato?

di Daniel Pipes

Una palese svolta radicale ha avuto luogo all’indomani del 7 ottobre scorso, giorno in cui Hamas ha massacrato circa 1.400 israeliani. L’idea che Israele ottenga la vittoria sui palestinesi da marginale è diventata dominante e ha raccolto consensi. Sia i politici che i sondaggi sono favorevoli a tale idea. Gli israeliani sembrano essere una popolazione trasformata. È davvero così?
  Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha fatto della vittoria la sua costante esortazione: “La vittoria richiederà tempo. (…) ma per ora siamo concentrati su un unico obiettivo, che è quello di unire le nostre forze e correre verso la vittoria”. E ha detto ai soldati: “L’intero popolo di Israele è al vostro fianco e assesteremo un duro colpo ai nostri nemici per ottenere la vittoria”. E ancora: “Ne usciremo vittoriosi”.
  Il ministro della Difesa Yoav Gallant ha dichiarato di aver informato il presidente Joe Biden che la vittoria di Israele “è essenziale per noi e per gli Stati Uniti”. Gallant ha detto ai suoi soldati: “Sono responsabile di portare la vittoria”. Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha annunciato la sospensione di “tutte le spese di bilancio per indirizzarle verso un unico obiettivo: la vittoria di Israele”. E ha definito l’obiettivo della guerra di Israele contro Hamas “una vittoria schiacciante”. Benny Gantz, membro del Gabinetto di Guerra, ha parlato di “momento della resilienza e della vittoria”.
  Ma questi uomini politici rappresentano quello che è ampiamente definito “il governo più di Destra nella storia di Israele”. E gli altri nel Paese? Molti altri concordano effettivamente sul fatto che Hamas debba essere eliminato:

  1. Naftali Bennett, ex primo ministro: “È arrivato il momento di distruggere Hamas”.
  2. Amir Avivi, generale in pensione: “Dobbiamo distruggere Hamas. Dobbiamo privarli completamente delle loro capacità”.
  3. Chuck Freilich, ex vice-consigliere per la Sicurezza nazionale (su Ha’aretz): “Ora Israele deve infliggere a Hamas una sconfitta inequivocabile”.
  4. Tamir Heyman, ex capo dell’intelligence dell’Idf: “Dobbiamo vincere”.
  5. David Horovitz, direttore di Times of Israel: “C’è una guerra da vincere”.
  6. Yaakov Amidror, ex consigliere per la sicurezza nazionale: “Hamas dovrebbe essere uccisa e distrutta”.
  7. Meir Ben Shabbat, ex consigliere per la sicurezza nazionale: “Israele dovrebbe distruggere tutto ciò che è connesso ad Hamas”.

E la popolazione israeliana cosa ne pensa? Per scoprirlo, il 17 ottobre il Middle East Forum ha commissionato un sondaggio tra 1.086 israeliani adulti, ne è emerso uno straordinario consenso a favore dell’obiettivo di distruggere Hamas; di un’operazione di terra finalizzata a raggiungere questo obiettivo e a non fare concessioni in cambio di rapporti formali con l’Arabia Saudita (Il sondaggio è stato realizzato da Shlomo Filber e Zuriel Sharon di Direct Polls Ltd e ha un errore di campionamento statistico del 4 per cento).
  Alla domanda “Quale dovrebbe essere l’obiettivo primario di Israele” nella guerra attuale, il 70 per cento dell’opinione pubblica ha risposto: “Eliminare Hamas”. Per contro, soltanto il 15 per cento ha risposto “garantire il rilascio incondizionato dei prigionieri tenuti in ostaggio da Hamas” e il 13 per cento “disarmare completamente Hamas”. Sorprendentemente, il 54 per cento degli arabi israeliani (o più tecnicamente, gli elettori della Lista Araba Unita, un partito arabo radicale anti-sionista), ha fatto della “eliminazione di Hamas” il suo obiettivo preferito.
  Di fronte alle due opzioni: condurre un’operazione di terra a Gaza per sradicare Hamas o evitare un’operazione di terra a favore di un altro modo di far fronte ad Hamas, il 68 per cento ha scelto la prima opzione e il 25 per cento la seconda. Questa volta, il 52 per cento degli arabi israeliani è d’accordo con la maggioranza.
  Il 72 per cento degli intervistati si è detto contrario a fare “rilevanti concessioni all’Autorità Palestinese” come prezzo da pagare per rapporti formali, con solo il 21 per cento a favore, e 62 arabi israeliani che si sono espressi come la maggioranza degli intervistati.
  In breve, un clima fortemente contrario ad Hamas e all’Autorità Palestinese domina la politica israeliana, con solo i due partiti di Sinistra (Laburista e Meretz) in opposizione. Anche la maggioranza degli arabi israeliani riconosce il pericolo che Hamas e l’Autorità Palestinese rappresentano per la loro sicurezza e incolumità.
  La vera domanda quindi è: tale veemenza denota un radicale cambiamento di prospettiva tra gli ebrei e gli arabi israeliani o è soltanto un impeto emotivo?
  Come osservatore di lunga data e come storico del conflitto israelo-palestinese, tendo a ritenere più probabile la seconda ipotesi. Dal 1882 ad oggi, le due parti in lotta si sono comportate in modo decisamente sterile. I palestinesi hanno una mentalità di rifiuto (non accettare mai e poi mai tutto ciò che è ebraico e israeliano), mentre i sionisti si attengono alla conciliazione (accettateci e noi vi arricchiremo). Le due parti continuano a girare in tondo, senza cambiare e senza fare progressi.
  Di conseguenza, mi aspetto che l’infiammato stato d’animo israeliano del momento probabilmente svanirà col tempo, man mano che i vecchi modelli si riaffermeranno e ritornerà lo stato normale.

(Gatestone Institute, 1 novembre 2023 - trad. di Angelita La Spada)

........................................................


Ebrei progressisti e sinistra radicale globale: una spaccatura nel contesto del conflitto in Medio Oriente

di Marina Gersony

Nel contesto recente del conflitto in Medio Oriente, gli ultimi sondaggi rivelano una crescente divisione all’interno della sinistra globale. Questa divisione si sta amplificando tra le fazioni democratiche, liberali e socialiste da un lato e la sinistra radicale, terzomondista e anti-occidentale dall’altro, con impatti evidenti nei partiti e tra gli intellettuali di sinistra, spesso in nome di una pace generica. Questa spaccatura crea una situazione divisiva e complessa, coinvolgendo anche la comunità ebraica e mettendo a dura prova coloro che cercano di sostenere Israele pur restando fedeli alla propria ideologia di sinistra.
   Dopo l’attacco terroristico del 7 ottobre, molti ebrei progressisti si sono infatti sentiti abbandonati da quegli amici della sinistra globale che hanno espresso poca simpatia, empatia e solidarietà per gli israeliani e i loro correligionari uccisi, concentrandosi invece sulla difficile situazione dei palestinesi: un dolore che si somma a quello dell’ignobile massacro perpetrato da Hamas.
   Questa divisione rappresenta una frattura significativa e lacerante all’interno della coalizione liberale americana, tradizionalmente legata al Partito Democratico che rischia di alimentare tifoserie e polarizzazioni. Gli ebrei progressisti, che hanno sostenuto a lungo cause di sinistra come l’equità razziale, i diritti LGBTQ+, il diritto all’aborto e l’opposizione alle politiche israeliane a Gaza e in Cisgiordania, si sentono ora traditi dai loro stessi alleati.

• Le tensioni in America tra gli ebrei, Università e social media
  La tensione all’interno della comunità ebraica americana si è accentuata soprattutto nei campus universitari e sui social media, dove le dichiarazioni di organizzazioni minori hanno ottenuto ampia visibilità. Secondo diversi analisti, c’è preoccupazione che questa frattura possa rappresentare un cambiamento più duraturo e insidioso nella posizione degli ebrei nella società americana, soprattutto in un momento di conflitto globale. Nel frattempo, il dibattito sul mantra «con Israele o con la Palestina» continua a infiammarsi o ad essere affrontato con toni moderati, a seconda dei casi.
   Ha fatto molto parlare in questi giorni la lettera aperta firmata di recente da eminenti personalità della cultura, tra cui David Grossman, nonché l’attacco polemico su X (ex Twitter) dell’ex premier israeliano Yair Lapid alla «sinistra radicale globale», colpevole, a suo avviso, di mancanza di solidarietà ed empatia: «Quanti ebrei devono morire prima che smettiate di incolparci per qualunque cosa accada? Quel sabato buio ne sono stati uccisi 1.400. Di quanti altri avete bisogno? Diecimila? 6 milioni?». Nel suo blog di qualche giorno fa sul Times of Israel, l’attuale leader dell’opposizione israeliana, che non ha voluto entrare nel governo di emergenza nazionale dopo il 7 ottobre, va dritto al punto ponendo alcuni quesiti, a partire dal paradosso della comunità Lgbtq che, nelle manifestazioni organizzate in numerose città europee e americane, sostiene «l’autodeterminazione» della Palestina senza rendersi conto di appoggiare chi vorrebbe la sua eliminazione.

• La lettera aperta degli intellettuali israeliani
  «Noi, accademici con sede in Israele, leader di pensiero e attivisti progressisti impegnati per la pace, l’uguaglianza, la giustizia, e dei diritti umani, siamo profondamente addolorati e scioccati dai recenti eventi verificatisi nella nostra regione. Siamo anche profondamente preoccupati per la risposta inadeguata di alcuni progressisti americani ed europei riguardo all’attacco ai civili israeliani da parte di Hamas, una risposta che riflette una tendenza preoccupante nella cultura politica della sinistra globale».
   A scendere in campo anche lo storico israeliano Yuval Noah Harari – autore di bestseller tra cui Sapiens e Homo Deus – anche lui firmatario della suddetta lettera aperta in cui esprime la sua preoccupazione per alcuni elementi all’interno della sinistra globale; una sinistra che in passato considerava un alleato politico ma che adesso ha giustificato le azioni di Hamas in più occasioni. In una recente intervista al Guardian, Harari ha spiegato di aver preso questa posizione dopo aver parlato con attivisti pacifisti nel suo paese d’origine, che si sentivano completamente devastati e abbandonati, traditi dai loro alleati presumibili nei loro sforzi per la pace. Lo scrittore ha inoltre ricordato come i suoi zii sono riusciti a sopravvivere a un attacco di Hamas nel loro kibbutz durante gli attacchi del 7 ottobre, nascondendosi mentre uomini armati andavano da una casa all’altra uccidendo i loro vicini. Infine, durante una visita a Londra, Harari è rimasto sconvolto nel sentire alcune risposte provenienti da alcune fazioni della sinistra negli Stati Uniti e in Europa, che non solo hanno evitato di condannare Hamas ma hanno anche attribuito l’intera responsabilità ad Israele, mostrando una mancanza di solidarietà verso i terribili attacchi contro i civili israeliani.
   Sono le risposte di una sinistra radicale condivisa anche da attivisti e studiosi ebrei che vedono Israele come un oppressore dei palestinesi. Una prospettiva manifestata da alcuni di loro in un sit-in a sostegno del cessate il fuoco, tra cui quello organizzato dal gruppo di sinistra Jewish Voice for Peace, che ha denunciato anche le violazioni dei diritti umani subite dai palestinesi nel corso degli anni.

• La sinistra europea si perde tra distinguo e divisioni interne
  Il tema delle risposte politiche al conflitto tra Israele e Hamas e delle divisioni all’interno dei partiti in vari Paesi europei riguardo alla loro posizione sul conflitto è di fatto sempre più presente nei media. Il focus principale è sulla difficoltà di alcune fazioni politiche e leader di sinistra nel mantenere una risposta unificata alla situazione, il che porta a tensioni interne e disaccordi sull’argomento.
   Nel Regno Unito, il Partito Laburista affronta sfide nel gestire il conflitto, con il suo leader, Keir Starmer, che deve bilanciare le crescenti critiche provenienti dalla sinistra e dai politici e sostenitori musulmani del partito. In particolare, alcune delle sue dichiarazioni e il mancato sostegno a un cessate il fuoco hanno provocato divisioni all’interno del partito: la posizione ufficiale del Labour viene infatti vista da molti esponenti del partito come troppo allineata a quella del governo conservatore.
   Lacerata anche la sinistra in Francia, dopo al rifiuto di France insoumise (Lfi), il principale gruppo politico di sinistra, di qualificare Hamas come gruppo terroristico, dopo l’attacco lanciato il 7 ottobre contro Israele. Il suo leader Jean-Luc Mélenchon ha infatti adottato una posizione di condanna dei «crimini di guerra» e descritto Hamas come un «gruppo politico islamico» che «resiste a un’occupazione» per la «liberazione della Palestina», dichiarazioni che hanno profondamente diviso la coalizione Nupes mettendo a rischio la coalizione delle sinistre (socialista, comunista, ecologista).
   In Spagna, il governo ha condannato l’attacco di Hamas, ma alcuni ministri ad interim di partiti di estrema sinistra hanno suggerito che Israele stia infrangendo il diritto internazionale. Ciò ha portato a tensioni con l’ambasciata israeliana a Madrid e ha messo in discussione l’unità all’interno del governo spagnolo.
   In Germania, c’è un ampio consenso politico a favore di Israele, con il cancelliere Olaf Scholz che ha sottolineato il supporto della Germania alla sicurezza di Israele. Questo posiziona la Germania in modo diverso rispetto ad altri Paesi europei.
   E l’Italia? Con Israele o con la Palestina? La posizione della sinistra riguardo a Israele e alla Palestina nel nostro Paese è storicamente contraddittoria e profondamente complessa. In particolare, alcune correnti della sinistra italiana cercano di sostenere Israele ma evitano di condannare esplicitamente Hamas, in sintonia con quella che è stata definita  la «sinistra radicale globale», il più delle volte carente di solidarietà ed empatia verso Israele e il popolo ebraico. Una prospettiva che contrasta con quella di chi all’interno della sinistra cerca di sostenere Israele «senza se e senza ma», mantenendo tuttavia salda l’ideologia di sinistra.
   Per concludere, in Europa – e in Occidente in generale – il versante politico di sinistra sta attraversando una fase di profonda instabilità strutturale, come evidenziato da numerosi esperti politici. Questa crisi non può essere ricondotta esclusivamente al contesto drammatico segnato dal caos dell’attuale conflitto in Medio Oriente, ma rappresenta una sfida fondamentale per la ridefinizione del concetto stesso di “sinistra” e dei suoi ruoli in questo secolo e all’interno dei sistemi democratici. Ma questa è un’altra storia.

(Bet Magazine Mosaico, 1 novembre 2023)

........................................................


Spade di ferro, giorno 25. Minaccia dal Mar Rosso

di Ugo Volli

• La dichiarazione di guerra degli Houti
  La notizia più significativa dell’ultima giornata in termini strategici è la vera e propria dichiarazione di guerra che il portavoce del movimento terrorista yemenita degli Houti, Yahya Sarie, ha pronunciato contro Israele, accompagnata dal lancio di un certo numero di missili. Houti è il nome di una tribù in Yemen che è la base del movimento terrorista, il cui vero nome in realtà è “Ansar Allah”. Bisogna sapere in primo luogo che lo Yemen dista da Israele circa 1600 chilometri, come la Finlandia da Roma, e dunque non vi è ovviamente contenzioso territoriale fra i due Paesi e non vi può essere minaccia da terra (in mezzo c’è l’Arabia Saudita). Ma lo Yemen è un punto strategico non solo per Israele, bensì per l’Egitto e l’Europa, perché controlla lo stretto di Bab el Mandeb, con una larghezza utilizzabile di solo una ventina di chilometri, che consente l’accesso al Mar Rosso e di qui al Canale di Suez. L’altro lato è Gibuti. Tutti i rifornimenti petroliferi e le merci provenienti dall’Estremo Oriente passano con centinaia di navi ogni giorno da queste acque che possono facilmente essere minacciate e bloccate. Lo Yemen ha sofferto per decenni di divisioni e guerre civili. Negli ultimi dieci anni circa il potere è stato preso dal movimento islamista degli Houti, con l’appoggio determinante dell’Iran. Esso ha sviluppato un esercito piuttosto forte e anche un’industria bellica. Ha fatto guerra all’Arabia Saudita, mettendola in difficoltà con lanci di razzi e droni sulla città di Ryad e sui più importanti pozzi petroliferi. Poi c’è stata una tregua che ha tenuto fino a qualche giorno fa, quando gli Houti hanno di nuovo aggredito l’esercito arabo alla frontiera, provocando alcuni morti.  

• Una maldestra mossa iraniana
  Ora Ansar Allah minaccia Israele e insieme l’Arabia coi suoi missili. Qualche giorno fa alcuni di questi proiettili sono stati abbattuti da navi americane nel Mar Rosso, dall’Arabia e dall’Egitto; i missili di ieri sono stati fermati dai sistemi israeliani. Israele ha anche spostato alcune unità navali con capacità missilistica nel Mar Rosso; minaccia implicita di una rappresaglia che potrebbe essere anche sostenuta dall’aviazione. La mossa degli Houti apre il quinto fronte di guerra dopo Gaza, Libano, Siria, Cisgiordania. È evidentemente una mossa iraniana che prova a mettere in difficoltà Israele e anche a dare l’impressione di una solidarietà bellica fattiva con Hamas che i terroristi si attendevano e che finora è per fortuna mancata: l’Iran stesso ha dichiarato ieri di non voler farsi coinvolgere in scontri diretti fuori dai suoi confini, per cui fida nei suoi “alleati”, mentre le sue forze armate si concentrano sulla difesa del territorio nazionale. Ma è probabilmente una mossa maldestra, perché essa ha rafforzato l’asse difensivo fra Israele, Arabia e Egitto, che è il grande incubo strategico dell’Iran, e ha anche esposto che la pericolosità del terrorismo non si limita a Israele, ma colpisce molti paesi fra cui l’Europa.  

• La situazione a Gaza
  L’aviazione israeliana annuncia di aver colpito finora oltre undicimila obiettivi terroristi. L’operazione di terra procede. Oltre alla manovra per tagliare Gaza City dalla parte settentrionale della Striscia, è in corso un analogo “taglio” di Gaza a sud della città: tre diversi territori dovrebbero essere isolati e progressivamente attaccati dall’esercito israeliano, in modo da eliminare completamente Hamas. Le operazioni urbane sono in corso soprattutto al nord, dove le forze di Israele hanno iniziato a conquistare le roccaforti terroriste. Purtroppo questa fase della guerra è la più difficile e sanguinosa anche per i soldati israeliani. Sono stati annunciati ieri prima due, poi altre nove caduti e molti feriti. Con la mediazione del Qatar e l’assenso di Israele l’Egitto ha evacuato nell’ospedale da campo costruito dalla sua parte del valico di Rafah un centinaio di feriti civili palestinesi. Nel frattempo però è stato annunciato che Hamas ha bloccato anche l’uscita dalla Striscia degli arabi con doppia cittadinanza (molti americani, ma parecchi anche con altri passaporti, fra cui una decina di italiani). Non sono prigionieri rapiti come gli israeliani (secondo gli ultimi calcoli 240) sequestrati il 7 ottobre, ma anche loro, in un certo senso, sono ostaggi. Hamas e gli altri movimenti islamisti considerano infatti gli Usa e molti paesi europei come nemici, per aver espresso solidarietà a Israele dopo il massacro del 7 ottobre. Per quanto ci riguarda, fra l’altro sono comparsi manifesti minacciosi anche contro l’Italia e il primo ministro Meloni ha ricevuto molti messaggi di minaccia.  

• Gli altri fronti
  Vi è stata anche una seconda grande incursione a Jenin, in Cisgiordania, dove fra l’altro è stato catturato Ata Abu Armila, il boss locale di Fatah, il partito di Abu Mazen dittatore dell’Autorità Palestinese. È una novità significativa che mostra quanto sia illusorio il tentativo di isolare Hamas dall’attività terroristica comune a tutti i movimenti palestinisti. Non basterà distruggere Hamas, occorre sconfiggere tutto il terrorismo palestinista. Al Nord è continuata la guerra a bassa intensità tanto con scambi di colpi tanto con Hezbollah in Libano, quanto con la Siria. Sono stati colpiti in particolare i paesi dei drusi, alleati di Israele, come al sud di Israele dei villaggi beduini, anch’essi in buoni rapporti con lo Stato ebraico. Israele ha risposto colpendo le fonti del fuoco. I terroristi di Hezbollah uccisi sono ormai una sessantina. Da Gaza sono partiti ancora molti missili, che hanno anche prodotto danni in diverse città del centro. Ma naturalmente nessuno dei “pacifisti” che chiedono a Israele di cessare la sua azione di autodifesa ha invitato Hamas a smettere di provare a uccidere coi suoi razzi la popolazione civile delle città israeliane.

(Shalom, 1 novembre 2023)

........................................................


I trumpiani vogliono sfaldare la politica di Biden a favore di Israele e dell'Ucraina

di Paola Peduzzi

Al nuovo speaker del Congresso americano, Mike Johnson, l’articolo di copertina della rivista Time sul presidente ucraino Volodymyr Zelensky deve aver fatto un gran piacere: eletto la settimana scorsa dopo che molti altri candidati sono stati bocciati, Johnson, deputato conservatore della Louisiana, ha annunciato di voler introdurre questa settimana una proposta di legge per stanziare gli aiuti a Israele ma non all’Ucraina. Lo speaker non condivide la strategia del presidente Joe Biden, che ha chiesto al Congresso l’approvazione “urgente” di un pacchetto di aiuti di 105 miliardi di dollari per Israele e per l’Ucraina e per Gaza – tra cui: 14,9 miliardi di aiuti militari al governo israeliano; 61,4 miliardi di aiuti militari e finanziari all’Ucraina; 9 miliardi di aiuti umanitari per Israele, Gaza e l’Ucraina; i fondi restanti sono destinati al contenimento della Cina in particolare verso Taiwan e alla sicurezza dei confini americani.
   Per Biden si combatte su più fronti la stessa battaglia, per Johnson e l’ala trumpiana del Partito repubblicano la difesa dell’Ucraina è una fissazione del presidente, non una necessità per la sicurezza globale.  Alla divisione politica si aggiunge la retorica del pessimismo che ha travolto Kyiv di cui l’articolo di Time è l’espressione più visibile di questi giorni. Simon Shuster, giornalista russo con base a New York che ha passato molto tempo in Ucraina nell’ultimo decennio, ha raccontato “la battaglia solitaria” di Zelensky in cui questa solitudine riguarda praticamente tutto: il presidente ucraino ha perso sorriso e ironia, scrive Shuster, la parola che lo definisce è “arrabbiato”, si sente abbandonato dagli alleati internazionali esausti e insofferenti, ma anche da molti suoi collaboratori che ha smesso di ascoltare soprattutto quando gli ripetono che bisogna cambiare strategia, ma lui ostinato non ne vuole sapere, dice che “nessuno crede nella vittoria quanto me, nessuno” (che è anche il titolone sulla copertina di Time), e tira dritto. Ci sono dei particolari mortificanti che hanno fatto reagire molti ucraini: questo racconto non rappresenta noi né chi guida il nostro paese, hanno detto. Una fonte anonima – tranne Zelensky  e Andriy Yermak  – dice riguardo al fronte: “Non ci muoviamo in avanti”.
   Shuster prosegue: “Alcuni comandanti  hanno iniziato a non eseguire gli ordini di muoversi in avanti, anche quando tali ordini arrivano direttamente dall’ufficio presidenziale. Vogliono soltanto starsene seduti in trincea e mantenere il fronte”, dice, “ma così non si può vincere la guerra”. Nella parte finale, un “collaboratore stretto” di Zelensky dice che anche se gli Stati Uniti e gli altri alleati consegnassero tutte le armi che hanno promesso, “non abbiamo gli uomini per utilizzarle”. Shuster si dilunga sulla corruzione nell’arruolamento e poi sulla corruzione e sulla burocrazia scrive: “Viste le enormi pressioni per sradicare la corruzione ho pensato, forse ingenuamente, che i funzionari ci avrebbero pensato due volte prima di prendere bustarelle o intascarsi i soldi dello stato. Ma quando ho detto questa cosa a un alto consigliere del presidente a inizio ottobre, mi ha chiesto di spegnere il registratore per parlare più liberamente: ‘Simon, ti sbagli’, ha detto, ‘la gente ruba come se non ci fosse un domani’”. Considerando che proprio la destinazione degli aiuti internazionali è un tema molto sentito nei parlamenti occidentali, considerando che la settimana prossima la Commissione europea deve dare il suo parere sui progressi fatti dall’Ucraina per iniziare i colloqui dell’allargamento e la lotta alla corruzione è cruciale, considerando che il costo umano pagato dagli ucraini in questa difesa dall’aggressione russa – un costo che è unicamente dell’Ucraina – queste citazioni sono oltremodo insultanti, oltre che un alibi perfetto per chi vuole diminuire se non sospendere gli aiuti a Kyiv: se nemmeno gli ucraini vogliono combattere, se nessuno si fida più di Zelensky nemmeno tra i suoi, perché dovremmo farlo noi?
   In audizione al Senato ieri, il segretario di stato Antony Blinken e il capo del Pentagono Llyod Austin hanno dato una risposta a questa domanda: senza il sostegno americano, Vladimir Putin vincerà la guerra in Ucraina. “Prima o poi – ha detto Austin – Putin sfiderà la Nato e ci ritroveremo in  guerra aperta”. L’audizione è stata interrotta da una protesta del gruppo femminista Code Pink che ha gridato: “State finanziando il genocidio, cessate il fuoco subito, lasciate vivere Gaza” e ha alzato le mani colorate di rosso sangue. Blinken ha ribadito che Israele deve essere messo in grado di difendersi nel rispetto delle leggi internazionali. Alla festa di Halloween alla Casa Bianca, il segretario di stato ha portato i suoi figli: uno era vestito come Zelensky, l’altra aveva un vestito dei colori dell’Ucraina.

Il Foglio, 1 novembre 2023)


*


Ucraina o Israele? Si deve scegliere

di Marcello Cicchese

L’alternativa è cominciata a porsi al Congresso americano: a chi dobbiamo dare i soldi? all’Ucraina o a Israele? Non hanno detto proprio così, naturalmente, ma è un segnale che impone la scelta tra i due soggetti in guerra, che ad alcuni appaiono entrambi come baluardi in difesa della civiltà occidentale.
   La scelta s’impone, ma non per le questioni dette nell’articolo precedente. L’Ucraina è stata - e rischia di non rimanere più - un baluardo a difesa degli interessi di supremazia americani, non della libertà. Ed è stata una difesa a spese di chiunque risultasse utile, soprattutto a spese dell’Europa, quindi anche a spese dell’Italia. Secondo la narrazione a stelle e strisce, nella difesa dell’Ucraina il mondo civile doveva vedere la difesa dall’irruzione in Europa della barbarie russa, impersonata dal mostro Putin. E qui è partita una serie di menzogne inanellate una dopo l’altra con scientifica perizia. Sì, scientifica, perché l’arte della menzogna non è una disciplina alla portata di tutti, e in questo gli americani sembrano aver superato perfino i sovietici del recente passato.
   La menzogna ha preso slancio con la falsificazione delle cause che hanno portato alla guerra ed è proseguita con la descrizione nei media di raccapriccianti scene di guerra confermanti la malvagità dei russi e il desiderio di libertà degli occidentali condotti dalla Nato.
   Questa guerra avrebbe anche potuto arrestarsi abbastanza presto con un accordo tra le parti, ma questo non è stato possibile perché gli anglo-americani (modo di esprimersi volutamente popolare) si sono opposti. Per gli obiettivi che si erano dati, a loro interessava la prosecuzione della guerra, e di questo portano in ogni caso la responsabilità, quali che siano le cause che l’hanno fatta nascere.
   Il fatto interessante è che in questa occasione Israele è apparso per un momento in veste di mediatore tra le forze in gioco. Bennett, a quel tempo premier di Israele, ha parlato direttamente anche con Putin, e in un video che ha pubblicato in seguito ha dichiarato che si stava arrivando ad un accordo, ma che la cosa non è stata possibile per l’indisponibilità degli anglo-americani.
   L’interesse di Israele in quel momento sarebbe stato avere un arresto delle ostilità, per motivi generali e per il comprensibilissimo motivo di non far nascere un contrasto con i russi, con cui avevano un tacito accordo di comune interesse.
   Qui comincia a sorgere un contrasto tra Ucraina e Israele. La prima chiede alla seconda una posizione forte a suo favore, e armi. Ma non ottiene in misura giudicata consona né una cosa né l’altra. Zelensky si lamenta e accusa Israele di mancata solidarietà. Si è parlato perfino di mettere in discussione la scorta di armi che Israele riceveva dagli Usa come riserva in caso di aggressione. Israele avrebbe dovuto privarsi di armi per darle all’Ucraina, dunque a difesa della civiltà occidentale. Israele non l’ha fatto e Zelensky si è arrabbiato. Come in questo momento sta facendo con tutti. Ma forse adesso non con Israele, a cui adesso non potrebbe certo chiedere di dargli delle armi.
   Conclusione: la politica degli Usa ha danneggiato tutti, compresi gli americani. Si sono serviti dell’Ucraina e dei paesi europei per mandare avanti i loro interessi di supremazia presentata come difesa della civiltà occidentale. Adesso rimane un’Ucraina devastata come nazione e come popolo, un’Europa disunita e impoverita, un Israele di cui gli Usa sono considerati protettori, ma che in realtà offrono i loro aiuti politici e militari solo nella misura in cui contribuiscono ai loro non sempre leciti interessi. Dire, come fa Biden, che l’obiettivo da raggiungere è la coesistenza di due stati per due popoli significa precisamente difendere tutto ciò che ha portato alla situazione di oggi.
   Ai difensori della civiltà occidentale minacciata nella stessa misura dall’Islam e dalla Russia, si deve dire che è indecente scorgere una somiglianza tra il contrasto Ucraina-Russia e Israele-Hamas. Gli ebrei dovrebbero essere i primi a indignarsi per questo paragone. A un Israele che ha sperimentato sulla sua pelle la libidinosa voglia dei loro nemici di cacciare gli ebrei da quella terra massacrandoli nella misura in cui è stato possibile, venire a dire che deve stare attento a non uccidere troppi civili palestinesi, significa voler mettere una briglia all’impeto dell’ira israeliana. In quella mattinata di vomitevoli massacri, l’opinione pubblica internazionale (e quella americana non ha fatto eccezione) non è stata capace di vedere un chiaro segno: il segno che al mondo c’è qualcuno che vuole accanitamente far sparire gli ebrei dalla faccia terra, cominciando dalla terra che gli ebrei considerano loro.
   E il mondo adesso sta a guardare compiaciuto, come volesse dire: sì, cominciate voi, poi continueremo noi tutti insieme, piano piano, nella misura in cui sarà possibile. Se questo è il segno, se è questo che gli ebrei israeliani avvertono sulla loro pelle, allora si capisce che Israele non abbia alcuna intenzione di fermarsi e sia deciso ad andare avanti fino a che non sarà riuscito a lasciare intorno a sé un segno contrario: prima sulla pelle di quelli che li hanno colpiti, poi sulla coscienza di quelli che hanno osservato e adesso applaudono. Un segno che significa: noi vogliamo vivere. Am Israel chai.

(Notizie su Israele, 1 novembre 2023)

........................................................


Operazione dello Shin Bet a Jenin. Arrestato leader di Al Fatah

di ì Sarah G. Frankl

Forze di polizia in incognito e dello Shin Bet sono entrate ieri sera a Jenin per arrestare Atta Abu Rumaila, 63 anni, segretario generale di Fatah nella città settentrionale della Cisgiordania.
Fonti militari affermano che non c’è stata resistenza durante l’arresto di Abu Rumaila, che è stato trattenuto insieme al figlio.
Le Forze di Difesa Israeliane e l’agenzia di sicurezza Shin Bet hanno dichiarato che negli ultimi mesi Abu Rumaila ha “fatto progredire le attività terroristiche con finanziamenti di decine di migliaia di shekel e ha aiutato ricercati e operatori terroristici”.
La dichiarazione congiunta ha affermato che Abu Rumaila “ha avuto un ruolo significativo nell’inasprire la situazione della sicurezza nella regione” e che suo figlio era un agente terroristico locale.
Successivamente, le truppe israeliane sono entrate nuovamente a Jenin per “rendere innocue le infrastrutture del terrore”, ha dichiarato l’IDF.
Le truppe hanno trovato e distrutto ordigni esplosivi piazzati nelle strade e un tunnel sotterraneo usato dagli uomini armati. È stata anche confiscata un’auto con munizioni ed equipaggiamento militare.
Durante l’operazione, le truppe si sono scontrate con uomini armati palestinesi. L’IDF ha effettuato un attacco con un drone contro alcuni uomini armati durante lo scontro a fuoco. Secondo fonti palestinesi quattro terroristi sarebbero stati uccisi.
Non ci sono notizie immediate da parte dell’IDF su quanto accaduto a Tulkarem.
Dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza, il 7 ottobre, si sono verificati frequenti scontri in Cisgiordania e le truppe hanno arrestato più di 1.000 palestinesi, circa 700 dei quali affiliati al gruppo terroristico di Hamas.

(Rights Reporter, 1 novembre 2023)

........................................................


Israele, Palestina e Gaza Una striscia di sangue lunga un secolo

Ottimo articolo sintetico ed equilibrato nella descrizione dei fatti. Apprezzabile, e “coraggiosa” dati i tempi, la presa di posizione finale. NsI

di Edoardo Bernkopf

La comprensione dei tragici fatti che insanguinano il Medio Oriente e mettono a rischio la pace mondiale, non può prescindere dalla conoscenza della storia di quelle terre.
  Le origini del moderno stato di Israele risalgono alla sconfitta e alla disgregazione dell'Impero Ottomano (nessuno ha mai criticato la secolare disastrosa amministrazione imperiale dei turchi, che oggi appoggiano Hamas) all'indomani della prima Guerra mondiale. Come poi a Yalta, i vincitori si erano espressi sull'assetto geopolitico del futuro dopoguerra, e l'Inghilterra aveva proposto la dichiarazione di Balfour, in cui si propugnava la fondazione di una "dimora nazionale per il popolo ebraico". Va ricordato che la Legione Ebraica diede un contributo significativo alla liberazione di tutto il Medio Oriente dai turchi. La disgregazione di tutti gli imperi (compreso recentemente quello sovietico) ha disegnato confini a tratti artificiali (così succederà anche fra arabi ed arabi: in questo di certo gli inglesi sono stati maestri) ma sul momento il problema fu rimandato: tra il 20 e il 22 all'Inghilterra venne conferito il mandato anche sulla Palestina, dove vivevano senza particolari conflittualità sia ebrei che arabi. La spartizione e l'assegnazione di un territorio agli ebrei sulla base della dichiarazione Balfour era pienamente giustificata, stante che si erano insediati in quelle terre da più di tremila anni, duemila prima dell'arrivo degli arabi.
  Durante la seconda guerra mondiale, mentre gli ebrei, sempre con la Legione Ebraica in uniforme inglese, diedero un significativo contributo militare, è noto che gli arabi attendessero con sostanziale favore l'arrivo degli italotedeschi.
  Il Gran Mufti di Gerusalemme Amin al-Husseini sosteneva esplicitamente la comunanza di intenti fra musulmani e nazisti. A guerra finita, nel '48 scadeva in Palestina il mandato britannico, e nel ’47 la risoluzione 181 dell'Onu, con voto favorevole anche di Usa e Urss, e con l'astensione dell'Inghilterra, decretava la spartizione della Palestina fra arabi ed ebrei. Il territorio riconosciuto a questi ultimi era di molto inferiore ai confini attuali, e comprendeva aree abitate in maggioranza da ebrei. Gli arabi dichiararono apertamente di non accettare la risoluzione dell'Onu, rifiutata peraltro anche dalle componenti estremistiche ebraiche, il che fece scoppiare una sanguinosa guerra civile.
  Il 4 maggio '48, alla scadenza del mandato inglese, Ben Gurion proclamò la nascita dello Stato di Israele. Forti del numero, Egitto, Siria, Transgiordania (la Giordania non esisteva ancora), Iraq e Libano attaccarono il neonato stato da tutti i lati. Con la guerra iniziò la fuga dei palestinesi dai teatri di guerra, in parte esortati anche con la forza a sloggiare dalle formazioni paramilitari terroristiche ebraiche. Non solo non tornarono più alle loro case, ma furono traditi dai fratelli arabi che, a fronte delle promesse, li segregarono in campi profughi nei quali vivono oggi i loro nipoti. In quella guerra si dimentica spesso che la striscia di Gaza fu occupata dall'Egitto, e la Cisgiordania fu conquistata dall'emirato di Transgiordania e quindi annessa, assieme a Gerusalemme Est, al neo costituito regno Hashemita di Giordania.
  La Legione Araba, l'unità scelta transgiordana, addestrata dal generale inglese John Bagot Glubb, meglio noto come Glubb Pascià, impose la totale "pulizia etnica" in tutte le aree conquistate: a nessuno ebreo venne permesso di rimanere, neanche a quelli le cui famiglie avevano vissuto nella regione per secoli. Nelle case così svuotate, la Giordania insediò alcune famiglie di profughi palestinesi. La Cisgiordania vide una progressiva infiltrazione di profughi, ma vi si infiltrarono anche molti guerriglieri, che tentarono di destabilizzare la situazione tramando contro la monarchia. Gli arabi, perduta la prima, scatenarono, dopo il 48, altre due guerre: quella dei sei giorni (1967) e quella del Kippur (1973). Le persero tutte, consentendo, come in tutte le guerre perse, ai vincitori di estendere progressivamente i propri confini (ne sappiamo qualcosa anche noi, con la particolarità che l'Italia, ha ceduto territorio nazionale a nazioni confinanti non già vittoriose, ma altrettanto sconfitte, vale a dire quella Slovenia e soprattutto quella Croazia alleate in guerra con l'asse, e in gran parte più naziste dei nazisti, vedasi Ustascia, Belagardisti e Domobranzi).
  Con la Guerra dei sei giorni del 1967, Israele aveva occupato la Cisgiordania ad est, le alture di Golan a nord e il Sinai e Gaza a sud. Successivamente l'Egitto riottenne il Sinai, in cambio della pace, che regge tuttora. In Giordania era forte e bellicosa la presenza palestinese organizzata nell'Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) fondata nel 1964 con l'obiettivo della "liberazione della Palestina" attraverso la lotta armata. Guidata da Yasser Arafat costituiva una fronda politica ostile alla monarchia all'interno, e una organizzazione terroristica internazionale in Israele e nel mondo: fu l'epoca dei dirottamenti aerei.
  Nel settembre 1970 Il re hashemita Husseyn di Giordania, che era scampato a vari attentati, represse con le fedeli truppe di etnia beduina-transgiordana il tentativo delle organizzazioni palestinesi di rovesciarlo. L'attacco, che viene chiamato "il settembre nero" provocò pesanti perdite anche fra i civili palestinesi. I miliziani dell'Olp, cacciati dall'esercito giordano, si rifugiarono in Libano, paese economicamente florido, che si reggeva però su un fragile equilibrio pattuito fra le diverse religioni: presidente cristiano maronita, primo ministro musulmano sunnita, presidente del parlamento musulmano sciita, comandante delle forze armate cristiano maronita e altri alti funzionari greco-ortodossi o drusi. L'arrivo dei palestinesi cisgiordani, che si aggiungevano a quelli sconfinati in Libano nel '48 e nel '67, destabilizzò il paese, portandolo alla guerra civile, che finì per renderlo un protettorato siriano e una base per le organizzazioni terroristiche Hezbollah e Amai, che, come Hamas, vengono erroneamente assimilati alla causa del popolo palestinese, mentre ne sono i tiranni.
  Nel 1988, la Giordania ritirò tutte le pretese sulla Cisgiordania, consegnandone la sovranità all'Olp.
  A seguito degli Accordi di Oslo del '93-94 l'Olp, pur non cancellando il progetto finale di eliminazione dello Stato di Israele, lo riconosceva interlocutore dei negoziati di pace. Ai leader palestinesi fu permesso il rientro in Palestina da Tunisi dove il quartier generale dell'Olp si era trasferito, cacciato da Beirut a seguito dell'occupazione israeliana del Libano nel 1982: l'Olp si insediò così a Ramallah. In cambio delle concessioni palestinesi (rinuncia al terrorismo, accettazione, non proprio esplicita, dell'esistenza di uno stato ebraico e politica del negoziato), Israele ha allentato la sua presenza militare, e con la creazione nel 1995 dell'Autorità Nazionale Palestinese, la Cisgiordania, ormai denominata Palestina, è stata divisa in tre aree con amministrazione e controllo militare misti israeliano e palestinese, in attesa di un accordo definitivo che stenta però a realizzarsi, perché anche in Palestina è forte e minacciosa la presenza di Hamas: il mandato del presidente Mahmud Abbàs è scaduto nel 2009, ma rimane in carica perché non vi si tengono elezioni, nel timore che anche lì le vinca Hamas, istituendo un nuovo stato canaglia. Anche la striscia di Gaza è stata ceduta da Israele ai palestinesi della Autorità Nazionale Palestinese (Anp), costituitasi a seguito degli Accordi di Oslo del 1994. Ci furono nel 1996 le prime elezioni, che videro la vittoria di Fatah guidata da Arafat.
  Dal 2007, però, Gaza è governata direttamente dall'organizzazione terroristica Hamas, che ha vinto le elezioni del 2006, come le vinsero i fascisti nel '24 e i nazisti nel '33. Ha espulso con la violenza Fatah e l'Autorità palestinese, anche ammazzandone vari dirigenti: di fatto Gaza/Hamas è uno stato canaglia, i cui cittadini, sulla cui sorte si piange, sono di fatto prigionieri non di Israele, ma di Hamas, che, come Hetzbollah, Jihad e Amai andrebbero ben distinte dalla causa palestinese.
  Con i fiumi di denaro che da tutto il mondo affluiscono a Gaza, se invece di missili da lanciare sulle città israeliane si realizzassero servizi per i cittadini, Gaza sarebbe in una situazione sociale ben diversa. Riassumendo, la Cisgiordania e Gaza, occupate anzitutto da eserciti arabi durante la guerra del '48 da questi scatenata, successivamente sono state occupate da Israele in due guerre subite e vinte. Lo Stato Ebraico però le ha rimesse, per la prima volta nella loro storia, sotto la sovranità palestinese, ma il risultato è stato quello di trovarsi a Gaza un governo di terroristi, e di rischiare di averne un altro in Cisgiordania.
  Quale scopo avrebbero le migliaia di missili lanciati da Hamas, Hezbollah e Amai sulle città israeliane? Non sono certo azioni militari, ma crimini premeditati contro la popolazione, che rispondono ad una strategia politica che chi oggi manifesta per la causa palestinese dimentica, cioè l'eliminazione delle Stato di Israele, obiettivo esplicitato fin nei loro atti costitutivi, che rende perfettamente coerenti le migliaia di missili lanciati contro le città israeliane e le recenti efferate stragi nei kibbutz.
   Questi crimini provocano le inevitabili e prevedibili odierne reazioni israeliane rivolte ad eliminare le installazioni e i terroristi di Hamas, con inevitabili danni collaterali, giacché questi si insediano in mezzo alla popolazione civile per farsene scudo, addirittura nei sotterranei di un grande ospedale, e impediscono ai civili di spostarsi e di mettersi in salvo al sud. Si piangono le tragedie che ne conseguono, e ci si indigna, ma sono un ottimo strumento di propaganda anti-israeliana, che risulta efficace: addirittura l'Onu invita al cessate il fuoco, ma nell'ultima risoluzione non condanna Hamas e non chiede nemmeno l'immediato rilascio degli ostaggi. Un emendamento canadese in tal senso è stato respinto. L'ennesima prova dell'inutilità dell'Onu, dove le vere democrazie sono una sparuta minoranza.

(Gazzetta di Parma, 1 novembre 2023)

........................................................


I nemici di Israele non sono a destra, ma a sinistra!

di Umberto Baldo

Il termine Sionismo (da Sion, antico nome di Gerusalemme) è stato coniato alla fine del XIX secolo per indicare l’ideologia politica ed il movimento nazionalista  che intendeva restituire una terra e una patria agli ebrei della diaspora. 
   Quindi dal punto di vista letterale sionismo non è la stessa cosa dell’odio antiebraico (antisemitismo), che vuole distruggere il popolo ebraico, cancellandolo dalla faccia della terra. 
   In teoria si potrebbe essere antisionisti senza per questo essere antisemiti. 
   Tuttavia, oggi, sempre più spesso, non siamo di fronte alla legittima critica alla politica di Israele, ma ad uno scivolamento verso i cliché antisemiti del passato.
   Ho iniziato con questa distinzione di tipo semantico, perché la guerra in corso, conseguente al proditorio attacco di Hamas del 7 ottobre, e le reazioni che ne stanno seguendo, riportano drammaticamente di attualità il tema del millenario odio verso gli ebrei (meglio esser precisi, perché anche gli arabi sono semiti).
   Il problema è che, guardando alle piazze in Europa, negli Usa, in Australia, in Asia, le manifestazioni di questi giorni sono formalmente “per la pace”, ma una pace declinata in cartelli e slogan del tipo “Hamas Hamas gli ebrei nei forni a gas”.
   E così negli imponenti cortei di Londra si invocava la sparizione di Israele; a Barcellona, un albergo di un ebreo israeliano è stato assaltato durante le proteste; a Parigi una coppia di ebrei ha visto bruciata la porta della propria casa, su cui era esposta la tradizionale mezuzah; in Polonia, i cartelli raffiguravano un cestino della spazzatura contenente la stella di Davide, buttata via per “tenere pulito il mondo”; a Berlino, è stata lanciata una molotov contro una sinagoga e stelle di Davide sono state disegnate con lo spray sulle case di alcuni ebrei, come facevano i nazisti per i loro bersagli; a Mosca, in modo simile è stato segnato un ristorante; a Vienna, raduni davanti alla sinagoga con tentativi di strappare la bandiera israeliana.
   Guardando a queste che io considero nefandezze dettate da ignoranza e stupidità mi sono chiesto: possibile che in tutto il mondo si stiano contemporaneamente affermando posizioni tipiche della destra nazista?
   La risposta l’ho trovata osservando bene coloro che in Italia partecipano alle manifestazioni  spesso spacciate “ a favore della pace”, ma in realtà pro-Palestina ed anti-Israele (e mi dispiace per i cattolici che, mi auguro in buona fede, si prestano a questa mistificazione nelle piazze antisemite).  
   E constatando che non si tratta del popolo della destra!
   Perché, a parte qualche ineliminabile gruppuscolo minoritario, ma di fatto del tutto isolato, la destra italiana bene o male i conti con il passato razzista ed antisemita li ha fatti.
   Un processo cominciato già dai tempi di Giorgio Almirante, molto criticato per questo da Julius Evola, per arrivare nel 1995 alla cosiddetta “svolta di Fiuggi” (quella che decretò la fine del Msi e la nascita di Alleanza Nazionale), il congresso  che terminò con un documento nel quale si fissava nero su bianco la “condanna esplicita, definitiva e senza appello verso ogni forma di antisemitismo e di antiebraismo, anche qualora siano camuffati con la patina propagandistica dell’anti-sionismo e della polemica anti-israeliana”.
   Tale svolta fu definitivamente suggellata nel 2003 dal viaggio penitenziale di Gianfranco Fini a Gerusalemme, con la visita allo Yad Vashem.
   Ho ripercorso questo processo per puro amore di verità, perché è inutile girarci attorno, la minaccia per gli ebrei oggi viene da sinistra, le cui punte di diamante sono i gruppuscoli della gauche radicale. 
   Il motivo a mio avviso è che nelle sinistre, non solo italiane in verità, non è mai stato fatto un lavoro culturale approfondito, ed una riflessione articolata, sulle cause lontane della crisi mediorientale. 
   A meno che non si ricorra, come molti ancora fanno, ai cliché dell’antisionismo e della cancellazione dello Stato di Israele.
   Di conseguenza a mio avviso risultano non solo antistoriche, ma addirittura patetiche, le posizioni di chi afferma: “io non sono contro gli ebrei, sono contro lo stato ebraico ed il sionismo!”.
   E’ forse comodo negarlo, ma è evidente che il sionismo non può essere disgiunto dell’ebraismo, perché fin dai tempi di Ben Gurion e di Golda Meir il sionismo non ha mai avuto alcun carattere capitalista od imperialista, ma era l’estrinsecazione del desiderio, ed io direi del diritto dopo la Shoah, del popolo ebraico di avere una propria terra dopo due millenni di persecuzioni e pogrom. 
   Non è un mistero che a sinistra non si annoverino particolari simpatie verso il governo di Tel Aviv sia che governi il conservatore Likud, sia che al potere vi siano forze di sinistra, come non è mistero che diversi leader della sinistra contemporanea abbiano in passato, anche da posizioni di governo, manifestato vicinanza ad Organizzazioni  terroristiche come Hezbollah o Hamas.
   E ogni anno confesso che mi indigno nel sentire i fischi che i gruppi di sinistra muniti di bandiere palestinesi indirizzano alla Brigata Ebraica durante le parate del 25 aprile.
   E mi fa ancora più male che, a parte qualche frase di circostanza, non ho mai sentito condanne serie e definitive da parte dei leader della sinistra contro questi fischi ignobili. 
   Uno dei problemi è che a partire dagli anni 80, la memoria collettiva della Shoah si è progressivamente affievolita, generando quello che gli studiosi definiscono come l’antisemitismo secondario, in base al quale si arriva a paragonare il sionismo al nazismo, e a descriverlo come “colonialismo combinato con furti e omicidi”.
   Dato il sentiment filo palestinese presente in molte componenti della sinistra, soprattutto in quella cosiddetta antagonista, va senz’altro apprezzata la netta scelta di Elly Schlein (e non era scontata!) di posizionare il  Pd  dalla parte di Israele, che “ha tutto il diritto di difendersi”, ribadendo che il punto è “isolare Hamas” e distinguere “tra palestinesi e terroristi”, avvertendo proprio per questo di “evitare una strage a Gaza”.
   Non ho capito quindi il perché del suo dissenso sull’astensione dell’Italia all’Onu, visto che il documento proposto e votato dall’Assemblea non citava neppure per inciso l’eccidio compiuto da Hamas il 7 ottobre.
   Se qualcuno di voi sta pensando che io sia “di destra”, si sbaglia di grosso, perché in realtà io sono sulle stesse posizioni di molti intellettuali israeliani ed ebrei progressisti, che hanno denunciato il loro dolore per la “mancanza di solidarietà ed empatia” dimostrata dalla sinistra globale. 
   Parliamo di lettere scritte da personaggi della caratura di David Grossman e Michael Walzer,  oltre che dal leader dell’opposizione israeliana Yair Lapid  che ha chiesto alla “sinistra radicale globale”:  “Quanti ebrei devono morire prima che smettiate di incolparci per tutto ciò che accade? In quel terribile sabato di due settimane fa ne sono stati assassinati 1400. Quanti ve ne servono? Diecimila? Sei milioni? …”
   Vi riporto un passaggio di una di queste lettere aperte:  “Noi, accademici, leader di pensiero e attivisti progressisti con sede in Israele e impegnati per la pace, l’uguaglianza, la giustizia e i diritti umani, siamo profondamente rattristati e scioccati dai recenti eventi nella nostra regione. Siamo anche profondamente preoccupati per la risposta inappropriata di alcuni progressisti americani ed europei riguardo agli attacchi contro i civili israeliani da parte di Hamas, una risposta che riflette una tendenza preoccupante nella cultura politica della sinistra globale”.
   E’ chiaro che la sinistra israeliana ha ora toccato con mano di non poter contare sulla solidarietà e sulla comprensione dei “compagni”  europei ed americani.
   Ma io ritengo che ciò non sia un male, perché  spero che questa volta il velo dell’ipocrisia e dei distinguo pelosi sia destinato a cadere per sempre. 
   E così, proprio dopo aver visto quelle manifestazioni e quelle piazze, e aver sentito quei tanti “Si, ma….” in bocca a gente che si dichiara di sinistra,  sono molti  gli ebrei e gli israeliani che sono ormai consci di non avere mai realmente avuto degli amici,  e che si stanno rendendo conto che lo Stato di Israele è oggi più che mai una necessità, visto che forse lo slogan “never again” non ha mai avuto alcun valore.

(TWIWEB, 31 ottobre 2023)

........................................................


Spade di ferro - giorno 23 - L’avanzata e gli ostaggi

di Ugo Volli

La situazione degli ostaggi
  Hamas ha ripreso ieri il suo cinico uso del terrorismo psicologico sulla pelle delle persone che ha rapito: ha fatto girare un filmato in cui si vedono tre delle donne sequestrate, le quali danno la colpa della loro condizione al primo ministro Bibi Netanyahu e chiedono di interrompere l’offensiva per liberarle in cambio di tutti i detenuti nelle prigioni israeliane. E’ impossibile dire se queste parole siano state estorte con la violenza o con l’inganno o se riflettano la disperazione di persone che sono state sottratte alla loro casa con la violenza più bestiale, in mezzo a scene inenarrabili di morte e torture e sono in prigionia da quasi un mese, probabilmente senza notizie e in condizioni di grave disagio fisico. In ogni caso esse non hanno nessuna responsabilità e le loro dichiarazioni mostrano solo l’inumanità dei terroristi, il tentativo disperato di Hamas di salvarsi provocando divisioni nel campo israeliano e magari di ottenere una sponda da altri stati nel loro sforzo di fermare l’avanzata israeliana, giocando sul fatto che alcuni dei rapiti hanno un secondo passaporto. Hamas, per esempio, ha promesso alla Russia, che sempre più si presenta come la loro potenza protettrice, di trovare e liberare otto cittadini russi che sarebbero presenti fra gli ostaggi, distinguendoli dagli altri, come già facevano certe volte i nazisti con gli ebrei. L’uso dei rapiti come pedine contro Israele è un gioco sordido che non ha avuto nessun successo; ma è probabile che sarà ripetuto e variato, cercando di contrapporre la liberazione degli ostaggi alla distruzione di Hamas, che invece fanno entrambi parte dei compiti non negoziabili di Israele. La prova è la liberazione, avvenuta ieri sera, da parte dei militari israeliani di una soldatessa che era stata rapita il 7 ottobre, Ori Megidish, che è stata recuperata in buone condizioni, grazie all’azione dell’esercito e dei servizi. Al contrario purtroppo, è stato accertato che una ragazza tedesca di 22 anni, Shani Louk di cui esisteva un filmato dove la si vedeva rapita al rave party, ferita e umiliata, ma si pensava fosse viva fra gli ostaggi, era stata invece decapitata dai suoi rapitori dentro Gaza.

L’avanzata
  L’operazione di terra delle truppe israeliane a Gaza procede, allargandosi progressivamente. Il portavoce dell’esercito ha dichiarato: “Nelle ultime 24 ore, le nostre forze hanno ampliato la propria area di operazione nella Striscia di Gaza. Ciò include nuovi reparti di fanteria, carri armati, artiglieria e truppe del genio. Decine di terroristi, rintanati negli edifici, hanno tentato di attaccare le truppe israeliane in arrivo. Stiamo effettuando attacchi aerei contro di loro, ma ci sono anche scontri diretti tra le nostre unità di fanteria e i terroristi di Hamas.” Il portavoce usa molta vaghezza sui dettagli dell’operazione e non dice quasi nulla su dove e con quali forze Israele operi a Gaza, certamente per non aiutare il nemico con le sue informazioni. Si sa che sono state inflitte forte perdite ai terroristi in questa zona e che un riservista israeliano vi è mancato per il rovesciamento di un carro. Fonti palestinesi hanno pubblicato un video in cui si vede che i carri armati israeliani sono già all’incrocio di Natzarim, a circa un terzo da nord dell'autostrada Salah al-Din, la principale via di comunicazione che percorre per il lungo tutta la Striscia, in una posizione a metà strada fra la barriera di sicurezza e il mare. Il piano israeliano sembrerebbe ora quello di isolare, utilizzando uno spazio agricolo senza ostacoli né gallerie, la parte urbanizzata a nord della Striscia, dove l’esercito era già entrato dal confine di Eretz, in modo da ripulirla prima di entrare nel centro di Gaza City ed eliminare anche lì i terroristi. I combattimenti urbani sono la parte più difficile e pericolosa del lavoro, per cui non bisogna farsi eccessivi ottimismi: i combattimenti andranno avanti ancora a lungo.

I combattimenti
  Negli altri teatri di guerra, gli scontri sono continuati come nei giorni scorsi. Al nord sono continuati gli scambi di colpi di bassa intensità con Hezbollah e forze siriane. A Gaza l’aviazione israeliana è riuscita a liquidare alcuni comandanti terroristi ed è intervenuta anche a Jenin, dove c’è stato uno scontro con un gruppo di terroristi. C’è stato un tentativo di attentato nella periferia di Gerusalemme concluso con la liquidazione del terrorista. Insomma, nonostante manifestazioni e veri e proprio pogrom in alcuni paesi (fra cui soprattutto la Russia, non solo in Daghestan), intorno a Hamas non si è saldato un vero e proprio fronte di guerra, certamente per decisione dei dirigenti dell’Iran, che hanno deciso di attendere un momento più opportuno e dunque di lasciare che lo sforzo bellico israeliano si concentrasse su Hamas. I terroristi se ne sono apertamente lamentati: dopo i ripetuti appelli alla guerra dei giorni scorsi, ieri è girato un filmato con dichiarazioni di un dirigente di Hamas che critica pesantemente l’Autorità Palestinese, Hezbollah e perfino i loro padroni iraniani per non fare abbastanza al loro fianco. E’ un segnale di disperazione che merita di essere notato.

(Shalom, 31 ottobre 2023)

........................................................


Come Israele ha ingannato Hamas (questa volta)

di Paola P. Goldberger

La guerra moderna non si combatte solo con carri armati e con gli aeroplani, la guerra moderna è una guerra cibernetica, una guerra psicologica e una guerra dell’informazione. A sostenerlo è Amos Yadlin, ex capo dell’intelligence militare israeliana.
Questo spiega il velo di segretezza iniziato nel tardo pomeriggio di venerdì, quando Israele ha bloccato le reti Internet e di telecomunicazioni di Gaza impedendo agli abitanti e ai militanti di condividere ciò che stavano vedendo.
Subito dopo, l’aviazione ha bombardato Gaza City con una massiccia raffica di missili, destinati a spingere i combattenti di Hamas nella loro rete di tunnel.
Poi, poco dopo le 18.00, una vasta falange di carri armati, veicoli blindati, bulldozer, fanti e ingegneri da combattimento è entrata nel nord di Gaza, senza essere vista e senza essere riportata. Un’altra colonna è entrata nel centro di Gaza, avvicinandosi a Gaza City da sud.
Con le comunicazioni interrotte, è stato difficile per Hamas comprendere appieno ciò che stava accadendo o preparare una risposta. Anche i civili palestinesi sono stati presi dal terrore e dall’incertezza, incapaci di mettersi in contatto tra loro per sapere cosa stesse accadendo.
Anche all’interno dello stesso Israele, militari e funzionari israeliani hanno lavorato per distogliere l’attenzione dall’invasione.
Addirittura alle squadre mediche è stato detto di tenere una grande esercitazione per prepararsi a gestire il rilascio di decine di ostaggi presi da Hamas il 7 ottobre. Per alcuni, ciò ha favorito l’impressione che Israele fosse sul punto di compiere un importante passo avanti nei negoziati per la liberazione degli ostaggi, quando invece stava preparando l’operazione a Gaza.
Una volta iniziata l’operazione, i portavoce dell’esercito hanno smesso di rispondere al telefono. A quel punto il blackout informativo era totale.
Sono passate tre ore prima che l’esercito annunciasse ambiguamente che stava “espandendo l’attività di terra” e sei ore prima che un portavoce militare confermasse che le truppe erano all’interno di Gaza.
Sabato, i militari evitavano ancora di descrivere la loro avanzata come un’invasione, limitandosi a notare che le truppe rimanevano all’interno del territorio. Solo la sera stessa il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha annunciato formalmente la “seconda fase” della guerra, 24 ore dopo il suo inizio.
“Le truppe hanno ucciso decine di terroristi che si erano barricati in edifici e tunnel”, si legge in un annuncio dell’esercito israeliano.
Secondo un esperto militare l’esercito israeliano sta stringendo Gaza city in una tenaglia assicurandosi che nessuno esca dalla città. Tuttavia i combattimenti veri e propri non sarebbero ancora cominciati.
Le immagini satellitari hanno mostrato un gruppo di carri armati israeliani vicino alla città di Beit Hanoun, a circa quattro miglia a nord-est di Gaza City. Altre immagini hanno mostrato altri veicoli israeliani blindati raggruppati a circa due miglia a nord di Gaza City.
A sud, sono stati visti carri armati stazionare vicino a un’importante autostrada che collega Gaza City con le zone meridionali dell’enclave.
Gli esperti militari israeliani considerano l’invasione come graduale e progressiva.
“Non è una guerra lampo, non è il tipo di guerra che abbiamo visto nella Seconda Guerra Mondiale”, ha detto il generale Yadlin. “È un movimento molto lento per assicurarci di uccidere tutti i terroristi, di liberare tutti i tunnel e di proteggere le nostre forze. Muoversi velocemente non è una buona idea”.

(Rights Reporter, 31 ottobre 2023)

........................................................


I clown medici israeliani e la medicina del sorriso in tempo di guerra

di Pietro Baragiola

FOTO
Tra le numerose unità d’emergenza scese in campo per aiutare i civili e i soldati feriti dagli attacchi di Hamas, c’è un gruppo che ogni anno si dedica a portare gioia a più di 200.000 pazienti ospedalizzati: sono i Dream Doctors, i clown medici professionisti.
   Fondata nel 2002, questa organizzazione no-profit è composta da 121 volontari che operano in 32 ospedali israeliani, affiancandosi ai team medici in più di 40 diversi tipi di procedure.
   “Il nostro scopo non è far ridere ma giocare con bambini e adulti per aiutarli a sconfiggere i loro traumi” ha affermato Iris Lia Sofer che, nel ruolo del clownOlive Emla”, si considera la fiera leader del “Commando del naso rosso” del Centro Medico Sheba, vicino a Tel Aviv.
   In un’intervista rilasciata a The Times of Israel, Sofer ha spiegato che quando le persone sono ricoverate in ospedale spesso si sentono come se perdessero il controllo su tutto e i Dream Doctors glielo fanno recuperare, permettendo ai pazienti di esprimere le emozioni che non possono o non sanno esprimere verbalmente. “Lo fanno interagendo con me e guardandomi mentre rifletto i loro sentimenti”.
   Armata della sua fedele borsa piena di giochi, Sofer cerca di distrarre anche solo per un secondo i diversi reparti dell’ospedale dal dolore causato dalla guerra contro Hamas. “Sono stato un clown medico per decenni. Ho lavorato durante la pandemia COVID, operazioni militari e altre guerre, ma questo è diverso” ha dichiarato David Barashi (in arte “Dush”), uno dei colleghi clown di Sofer. “L’intera società è traumatizzata: non solo coloro che ricevono le cure ma anche quelli che le prestano”.
   Il presidente dei Dream Doctors Tsour Shriqui ha vissuto sulla sua pelle i traumi del conflitto, essendo stato costretto ad abbandonare la propria casa perché troppo vicina alla Striscia di Gaza. Shriqui, capendo subito il contributo importante che i suoi clown medici potevano portare alle migliaia di civili traumatizzati, ha deciso di mobilitare l’operazione Healing Hearts per mandare ogni giorno nuove coppie di Dream Doctors nei centri medici che ne hanno più bisogno. “Con la nostra estesa esperienza ci dedichiamo a raggiungere il maggior numero di persone nel modo più rapido possibile, creando momenti di pace e serenità in questo clima allarmante”.

• La storia dei Dream Doctors
FOTO
L’organizzazione è stata fondata dall’israeliano Jacob Shriqui (padre di Tsour) che lavorò per diversi anni a Ginevra nel campo dell’assistenza sanitaria. Un giorno, vagando tra i reparti del suo ospedale, Jacob vide un giovane paziente che rideva insieme ad un dottore vestito da pagliaccio e rimase talmente commosso da quella scena insolita (ai tempi i clown medici non esistevano ancora nel suo Paese) che decise di usare i suoi contatti a Ginevra per raccogliere i fondi sufficienti a lanciare l’iniziativa “Dream Doctors” in Israele.
   Nel settembre 2001 l’organizzazione contava appena 3 clown mentre oggi sono 121 diffusi su tutto il territorio. “Sono tutt’ora stupito dall’apertura con cui gli staff medici israeliani hanno accolto l’idea di mio padre integrando i clown nei loro team” ha affermato Tsour, spiegando che l’unico problema iniziale era convincere dottori e infermiere dei benefici che poteva portare la presenza di un pagliaccio durante i prelievi del sangue: il bambino non piange perché il clown è lì a giocare con lui.
   Dalla sua fondazione la missione principale di Dream Doctors è stata quella di promuovere il medical clowning come un’ufficiale professione paramedica, parte integrante dello staff medico ospedaliero, in modo che ogni paziente piccolo o grande possa trarne beneficio.
   Grazie all’immenso contributo che l’iniziativa ha portato negli anni nelle diverse aree disastrate di Israele, nel 2016 l’IDF ha riconosciuto ufficialmente i clown medici di Dream Doctors come riservisti nelle loro missioni di supporto umanitario.
   “Il nostro è un linguaggio universale che si adatta ad ogni età, razza, religione, cultura e contesto socio-economico, rispettando i valori ebraici fondamentali della vita, della dignità umana e di un sano senso dell’umorismo” ha affermato Tsour, orgoglioso.

•  Curando i pazienti
  Sono 20 anni che Nimrod Max Eisenberg si è unito ai Dream Doctors come membro dei clown medici del Tel Aviv Sourasky Medical Center e l’iniziativa continua a regalargli ricordi unici.
   Eisenberg ha raccontato come, lo scorso 9 ottobre, una famiglia di cinque del Kibbutz Nit Oz è stata trasferita nel suo centro per ricoverare il figlio di 14 anni rimasto ferito negli attacchi di Hamas. “L’intera famiglia voleva restare con lui perché non avevano più una casa dove stare, visto che la loro era stata bruciata dai miliziani” ha spiegato Eisenberg.
   Appena arrivarono i clown, la più piccola della famiglia (una bambina di 8 anni) chiese loro di andare via. “Andarcene via quanto velocemente?” rispose Eisenberg e, insieme al suo team, iniziò a correre in giro frenetico, sbattendo contro le pareti della stanza fino a far scoppiare a ridere la bambina. “La sorella di 16anni era più restia tanto che, quando le chiesi il suo nome, lei rispose ‘il mio nome non è importante’. Così decisi di giocare su questo dicendo: ‘Piacere di conoscerti il mio nome non è importante.’ Nel giro di 30 minuti eravamo riusciti a far ridere tutta la famiglia”.
   Questo tipo di slapstick humor è una delle armi più efficaci dei clown medici perché, secondo Eisenberg, “bypassa l’intelletto umano e fa scoppiare automaticamente a ridere”.
   Con i soldati invece l’approccio è diverso. Eisenberg ha raccontato che nello stesso ospedale era stato ricoverato un militare che aveva perso una gamba nei combattimenti e i suoi famigliari erano visibilmente devastati. Così il team di clown medici decise di entrare nella stanza con grande rispetto e rivolgere le loro battute ad un’anziana signora nel campo visivo della famiglia, iniziando a parlare e scherzare con lei.
   “Hey se ti accompagniamo a casa cosa ci cucini di buono? Facciamo festa usciti da qui?”: non solo questi termini goliardici riuscirono a far divertire l’anziana ma a poco a poco anche la famiglia del soldato, sentendo quella bizzarra conversazione, iniziò a sorridere.
   “Questa è una tecnica che usiamo spesso: se qualcuno ha bisogno di noi ma non si vuole aprire ci occupiamo di qualcuno lì vicino” ha spiegato Eisenberg, raccontando emozionato il fatto che la famiglia del soldato arrivò persino ad abbracciare il suo team, ringraziando lui e gli altri clown del senso di serenità che avevano portato nella stanza.
   Anche Sofer ha visitato diversi soldati feriti nella sua carriera da clown medico. “Le basi sono le stesse tra soldati e bambini: l’obiettivo è sempre quello di vedere e toccare l’anima del paziente”. Sofer ha ammesso di usare un repertorio tutto suo in queste situazioni: fingendosi il chirurgo curante e chiedendo ai soldati se sono single, ironizzando sul fatto che lei è disponibile, o inventando storie divertenti nel tentativo di distrarli anche solo per un attimo dalla loro situazione attuale.
   I Dream Doctors sono presenti non solo per i pazienti ma anche per il personale medico degli ospedali, abbracciandoli e rincuorandoli con attività personalizzate: nel reparto pediatrico del centro medico Sheba i clown hanno organizzato un “matrimonio a sorpresa” per un’infermiera e il suo compagno che avevano dovuto cancellare il loro giorno speciale a causa della guerra.
   Persino gli stessi volontari non sono immuni dai traumi portati dal conflitto. Sofer, infatti, ha ammesso di aver avuto momenti di grande sconforto in cui, entrando in ospedale, aveva iniziato a piangere. “Ma quando mi sono cambiata e sono diventata ‘Olive’ tutto è cambiato” ha affermato la giovane donna. “È un personaggio completamente diverso e fa per me quello che io faccio per gli altri: sta curando la mia anima”.

(Bet Magazine Mosaico, 31 ottobre 2023)

........................................................


I palestinesi chiedono compassione e diffondono odio

A Gaza, nei campus americani o sulle pagine del New York Times, non riescono a capire perché la loro guerra contro Israele non viene sostenuta.

di Jonathan S. Tobin

Palestinesi protestano a sostegno dei palestinesi di Gaza nella città cisgiordana di Nablus il 26 ottobre 2023
GERUSALEMME - Dalle atrocità del 7 ottobre e dall'inizio della guerra contro Israele lanciata da Hamas, le voci degli arabi palestinesi non sono mai state così forti. Le sentiamo nei video e nelle interviste realizzate a Gaza, nelle strade delle città americane ed europee e nelle università degli Stati Uniti. E naturalmente la loro situazione è sulle pagine dei giornali più prestigiosi come il New York Times, dove sono sostenuti da ebrei antisionisti che lamentano il loro crudele destino a Gaza. È una narrazione dalla quale non si discostano mai: I palestinesi continuano a essere oppressi e uccisi da israeliani senza cuore e ignorati e respinti da americani altrettanto senza cuore che sostengono sconsideratamente lo Stato sionista che ha causato loro tanta sofferenza.

• Una cultura del lamento
  Queste voci palestinesi hanno molto da dirci. Sebbene le loro argomentazioni siano principalmente incentrate su un senso di amarezza nei confronti di Israele, del sionismo e degli ebrei - e su un risentimento bruciante per ciò che ci si aspetta da loro - si tratta anche di una questione di diritto. Credono di avere diritto alla nostra simpatia e non riescono mai a capire perché non ne ricevano di più. Al centro di ogni manifesto palestinese o di ogni protesta pubblicata o trasmessa dai media liberali c'è lo stupore per il fatto che qualcuno possa mettere in discussione il loro status di vittime. Lo stesso vale per l'idea che qualcuno imponga loro di rinnegare coloro che pretendono, a ragione, di parlare per loro mentre commettono crimini indicibili e rifiutano la pace.
   È questo mix tossico di amarezza e diritto che sta dietro ai video di coloro che abbattono i manifesti con i volti degli israeliani presi in ostaggio da Hamas. Allo stesso modo, questo mix è alla base dei video sui social media che mostrano il senso di gioia e di sollievo che tanti palestinesi e i loro sostenitori hanno provato quando hanno appreso la notizia degli attacchi del 7 ottobre. Il numero di morti ebrei e le sofferenze causate da questi terroristi nei loro pogrom hanno fatto gioire molte persone.
   Lo si può vedere anche nei video che mostrano la sofferenza reale a Gaza quando le forze israeliane attaccano gli obiettivi di Hamas nell'area. Questo territorio è governato da Hamas solo di nome come Stato palestinese indipendente. Non sembrano capire perché il mondo intero non sia più indignato per la loro situazione. Anzi, trovano un insulto intollerabile che gli si chieda se condannano i crimini commessi in loro nome o se i loro leader o la causa che hanno sostenuto hanno anche solo una minima parte di responsabilità per la situazione in cui si trovano ora.
   L'aspetto davvero sorprendente dello sconcerto dei palestinesi è la loro incapacità di riconoscere che sono i beniamini della diplomazia internazionale, della stampa, del mondo accademico e dell'élite di opinione.
   Con grande stupore di ebrei e israeliani, gli indicibili crimini contro uomini, donne e bambini ebrei, tra cui l'assassinio di 1.400 persone, il ferimento di migliaia e il rapimento di oltre 200 persone il 7 ottobre, hanno effettivamente dato alla causa palestinese l'impulso che i terroristi di Hamas speravano. Questo è vero soprattutto nel mondo arabo, dove, come riporta il New York Times, la violenza ha "riacceso la passione per la causa palestinese".
   È vero anche in Occidente, dove le richieste palestinesi più estreme sono cantate da studenti universitari che probabilmente non si rendono conto che gridando "dal fiume al mare, la Palestina sarà libera" chiedono l'eliminazione di Israele e il genocidio dei suoi 7 milioni di cittadini ebrei. Le manifestazioni nelle principali città ripetono questo appello, deridendo la miseria che Hamas ha inflitto agli ebrei e ignorando il fatto che la responsabilità delle vittime palestinesi a Gaza è di chi ha iniziato questa guerra, non di chi vuole punire i criminali.
   Pochi hanno espresso questa cultura del lamento meglio di Hana Alyan, poetessa e psicologa palestinese-americana, che questa settimana sul Times ha espresso il suo disappunto per la mancanza di empatia nei confronti dei palestinesi, anche se il mondo ha risposto alla guerra scatenata dalle atrocità palestinesi con un'ondata di sostegno nei loro confronti. L'autrice trova terribile che ai palestinesi venga sempre chiesto di dimostrare la loro innocenza dal terrorismo o di condannare coloro che commettono atti di terrorismo in nome del nazionalismo palestinese. Questo nonostante il fatto che ai loro "portavoce" non venga quasi mai chiesto cosa pensino della barbarie di Hamas o della Jihad islamica palestinese, o se pensino che la dittatura islamista a Gaza sia una cosa buona. Lo stesso vale per i palestinesi stessi.
   Scrive: "Non esito un secondo a condannare l'uccisione di un bambino, un massacro di civili. È la questione più semplice del mondo", e chiede che tali condanne siano estese a tutte le vittime. Ma nel suo testo non c'è scritto da nessuna parte di condannare l'uccisione di un bambino, un massacro di civili. E anche se lei e altri invocano lo spettro dell'islamofobia come una piaga che affligge l'America, non si rende conto che gli arabi e i musulmani sono diventati le principali fonti di antisemitismo, come hanno reso evidente le marce e i canti a favore di Hamas.
   Invece, rafforza sottilmente la narrativa della Nakba sul vittimismo arabo, invocando la loro "catastrofica" espropriazione senza riconoscere che anche gli ebrei sono diventati rifugiati nei Paesi mediorientali che chiamavano casa nel 1948 e negli anni successivi. Sono solo gli arabi a essere trattati come vittime e quindi a dover essere risarciti per le loro difficoltà con la distruzione di Israele.
   Un altro palestinese a cui è stato dato spazio nelle pagine delle opinioni del Times, Fadi Abu Shammalah, descritto come un attivista della comunità di Gaza, ha detto di provare compassione per le vittime israeliane, ma poi ha spiegato le atrocità del 7 ottobre come il risultato inevitabile delle politiche emanate da Gerusalemme. Ha affermato che i "militanti" che hanno massacrato intere famiglie e violentato, torturato e profanato i corpi dei vivi e degli uccisi erano solo bambini cresciuti sotto l'"occupazione". La verità è che questi assassini hanno trascorso l'infanzia, l'adolescenza e la giovane età adulta in una Striscia di Gaza senza ebrei e governata da Hamas, non da Israele.
   Gli arabi palestinesi hanno avuto un periodo difficile nell'ultimo secolo. Hanno avuto la sfortuna di vivere in una terra a cui un altro popolo - gli ebrei - è associato da migliaia di anni. A differenza di quasi tutte le altre civiltà antiche, gli ebrei si sono ostinatamente rifiutati di scomparire e di morire. La loro presenza in questa terra non è mai scomparsa del tutto durante i due millenni di esilio, ma è iniziata alla fine del XIX secolo. Nel XX secolo il sionismo - il movimento di liberazione nazionale degli ebrei - ha conosciuto il suo trionfo, con grande sgomento del mondo arabo e musulmano.
   Gli arabi, che non avevano mai formato una propria identità o una propria nazione, si organizzarono come reazione al crescente sionismo. Ma, a differenza di altri movimenti nazionalisti della fine del XIX e dell'inizio del XX secolo, non c'era molto da alimentare i loro sforzi se non il desiderio di negare la terra agli ebrei. Traditi da leader venali, intransigenti e odiosi - e ideologicamente contrari a qualsiasi compromesso con gli ebrei che avrebbe permesso loro di dividere o spartire pacificamente la terra - gli arabi nel 1947/48 preferirono la guerra all'accettazione del piano di spartizione delle Nazioni Unite che avrebbe concesso loro un proprio Stato accanto a quello degli ebrei.
   Lo statista israeliano Abba Eban descrisse questa decisione e il successivo rifiuto delle offerte di pace come la prova che "i palestinesi non perdono mai l'occasione di perdere un'opportunità", ma in parte si sbagliava. I palestinesi non hanno mai preso in considerazione nessuna di queste opportunità per un proprio Stato o per la pace. Continuano a considerare qualsiasi cosa che non porti a riportare indietro l'orologio di un secolo e a cancellare l'esistenza di Israele come un'ulteriore prova della loro oppressione e del loro vittimismo.

• Il rifiuto di guardarsi dentro
  Eppure continuano a ricevere sostegno per questa falsa narrazione dalla comunità internazionale e dalle Nazioni Unite. E poiché anche alcuni di coloro che si dichiarano sostenitori di Israele appoggiano gli sforzi per consentire il rifornimento di Gaza, controllata da Hamas, durante il conflitto, sono anche esenti dalle conseguenze delle loro decisioni. Come spiegare altrimenti la diffusa simpatia per persone che iniziano una guerra attraversando i confini e uccidendo giovani e anziani, e poi gridano quando la nazione che attaccano cerca di impedire loro di ripetere tali crimini?
   I palestinesi soffrono. Ma i responsabili dei loro problemi restano i leader, i gruppi e i sostenitori che a Gaza, in Giudea e Samaria o all'estero sostengono la loro scelta suicida di un conflitto infinito e senza via d'uscita. Se a questo si aggiunge il loro ricorso al terrorismo piuttosto che ammettere la sconfitta nella loro lunga guerra contro il sionismo e vivere in pace accanto allo Stato ebraico, si ottiene una formula di disperazione, ma non un caso da confondere con qualcosa di simile alla giustizia.
   Ciò che manca in tutte queste sessioni di lutto palestinese non è tanto la volontà di scusarsi per il 7 ottobre. Né Israele né il mondo hanno bisogno del loro rinnovamento spirituale o del loro pentimento.
   Ciò che serve è la volontà di guardarsi dentro e riconoscere che non sono gli ebrei "crudeli" o un mondo indifferente ad averli messi in questa posizione, ma il loro stesso impegno verso un'identità nazionale che cerca di negare l'umanità e i diritti degli ebrei. Finché non sarà così, continueranno senza dubbio ad alimentare il loro risentimento. Ma finché lo faranno, la loro sofferenza, e quella di coloro che cadono preda dell'ideologia islamista omicida che continua a essere la loro principale espressione nazionale, continuerà. È una situazione che merita la nostra pietà, ma non certo la nostra compassione.

(Israel Heute, 31 ottobre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


Davide doveva farsi uccidere da Golia, quelli che stanno con Israele

di Davide FacilePenna

In Italia, la nazione della “politica dei due forni”, del “né con lo Stato né con le BR”, chi prende parte a viso aperto in questioni dolorose e difficili fa sempre opera meritoria.
Chi non si nasconde dietro equidistanze (che a volte nascondono invece vicinanza all’orrore) fa, per come la vedo io, un atto di chiarezza e va lodato per il coraggio. Chi prende parte e non si cela dietro la supponenza della “complessità” fa, inoltre, un grosso favore a tutti, compresi i confusi e quelli che la vedono in modo differente. Soprattutto complimenti se chi lo fa, lo fa nella sonnacchiosa e indifferente provincia pontina.
Ieri al Circolo Sante Palumbo di Latina si è tenuto un incontro, molto partecipato, sul tema, purtroppo, del momento, il conflitto israelo-palestinese. Incontro che è stato pubblicizzato con il titolo ironico ma evocativo “Davide doveva farsi uccidere da Golia” .
Non è stato un dibattito né un convegno di storia politica con tesi contrapposte. Lo precisa nei saluti iniziali, il moderatore, Lidano Grassucci: “Non vogliamo convincere nessuno. Non abbiamo verità da rivelare. Siamo qui per esprimere la posizione della parte che abbiamo scelto, Israele, in una realtà informativa in cui sono spariti i morti del 7 ottobre e rimane solo un “cattivo”, quello che non ha accettato di essere vittima silenziosa”.
FOTO 1
FOTO 2
FOTO 3
Devo dare atto che di chiarezza sulla scelta di parte ce ne è stata tanta ed espressa sia con pacati ragionamenti sia con toni decisi e duri, ma senza esaltazioni fanatiche. Magari molti altri, furbescamente, si sarebbero tolti il peso di una presa di posizione che porta il rischio di farti passare per cattivo, infilandosi negli italici distinguo o dietro mal compresi diritti internazionali.
In questo caso ci hanno evitato la retorica buonista e buon pro gli faccia. Anche perché facile è stare con Israele nel momento in cui gli altri scannano bambini e stuprano donne, più difficile quando Israele si difende con la guerra e tutte le conseguenze che questa può portare in termini di morti tra i civili.
Sono intervenuti, oltre a Grassucci, l’ex Sindaco di Formia Sandro Bartolomeo, Alessandro Paletta (coordinatore provinciale Udc) Stefano Cardillo (coordinatore comunale Forza Italia) , Maurizio  Guercio(ha ricordato la Destra che stava con  Israele), Giusi Pesce (liberisti Italiani) , Toni Ortoleva (Direttore di Latina Oggi), Dario Petti (editore), David Petronio e Daniel Sermoneta in rappresentanza del mondo ebraico.
L’incontro è stato organizzato dal Fatto a Latina con le associazioni Atidya e Anima Latina ed hanno aderito alcune organizzazioni politiche (Udc provinciale Latina, Forza Italia comune Latina,  Liberisti Italiani).
Sono gli stessi che hanno promosso, qualche settimana fa, una raccolta di firme in difesa di Israele poi consegnate ufficialmente al Sindaco Celentano insieme alla bandiera con la Stella di David (perché però non è stata esposta fuori dal Comune?).
In ogni caso, pure in provincia, qualcuno non è “indifferente”.

(Fatto a Latina, 31 ottobre 2023)

........................................................


Se le piazze rifiutano le ragioni di Israele

di Elena Loewenthal

“Palestina libera!” non è un messaggio di pace: invocando il riscatto dal cosiddetto occupante “dal Mediterraneo al Giordano” nega a Israele il diritto all’esistenza e presuppone la necessità di una guerra totale in quell’area. Ma lo stato ebraico non nasce da un sopruso, anzi, per universale consenso: il 29 novembre del 1947, infatti, le Nazioni Unite votano a maggioranza una risoluzione che prevede alla fine del governo mandatario provvisorio inglese la nascita di due Stati palestinesi. Uno ebraico e uno arabo. Il fronte ebraico ha accolto la risoluzione e dato vita a uno dei due stati palestinesi, quello d’Israele. Il fronte arabo l’ha da allora tenacemente e costantemente respinta. “Liberare” la Palestina dal Giordano al Mediterraneo significherebbe cancellare uno Stato legittimo, e prima ancora distruggerlo con le armi. Altro che “stop a tutte le guerre”... Senza contare che ridurre gli arabi palestinesi al ruolo di vittime immacolate prive di ogni colpa e responsabilità fa un torto prima di tutto a loro, li rende l’oggetto passivo di un colonialismo politico e intellettuale che è il contrario della liberazione.
   Il conflitto mediorientale è terribilmente complesso, ricco – se così si può dire – di sfumature e di nessi sotterranei. Ma il rifiuto arabo di settantasei anni fa ne è il peccato originale (con tutto il beneficio d’inventario della metafora teologica), che ha avuto per conseguenza la negazione esistenziale prima ancora che politica del nemico – cioè dello Stato ebraico. È questo che ancora oggi chiede la piazza, quando grida “Palestina libera”: non la convivenza, non la critica a un governo piuttosto che un altro. Niente di tutto questo, ma l’eliminazione totale di quel nemico che sbaglia in quanto esiste.
   Eppure, ed è una fra le tante cose dolorosissime di questi giorni, il fronte della sinistra preferisce adagiarsi su mezze parole, mezzi silenzi e silenzi totali, pur di non ripensare al proprio rapporto con quel conflitto. “Alla sinistra internazionale non ho altro da dire che: vai all’inferno”, scrive Lilach Volach sulle pagine di Haaretz, quotidiano israeliano non propriamente guerrafondaio. Possibile che all’indomani di un attentato sanguinoso – supposto che sia logico fare questa conta, le proporzioni del 7 ottobre sono molto più terrificanti di quelle dell’11 settembre e di tutta la storia del terrorismo – la “sinistra si sia premurata immediatamente di legittimarlo come parte della rivolta civile palestinese?”, si domanda. Pensare che quel dannato 7 ottobre poteva essere l’occasione di una seria riflessione per la sinistra, che dal 1967 in poi ha rinnegato con dogmatico rigore le ragioni d’Israele. Quel 7 ottobre poteva e doveva portare con sé degli interrogativi, la consapevolezza che schierarsi in modo aprioristico non aiuta nessuno. Poteva e doveva spingere a una condanna del terrorismo che non fosse, come è stato, una formula sterile, di quelle fatte apposta per essere dimenticate.
   Con i bisbigli incerti della sua classe dirigente, anche la sinistra italiana ha preferito assecondare la piazza e gli slogan su una “Palestina libera” che dovremmo aiutare a liberarsi di Hamas, del terrorismo, dei proclami demagogici di stati canaglia cui la sorte dei palestinesi non interessa affatto. Ha preferito evocare un pacifismo che tale non è, invece di provare a ragionare su quel che è successo negli ultimi settantacinque anni. Così lo sdegno, seppure c’è stato, si è subito riempito di “se” e di “ma” ed è durato lo spazio di una notte, dopo di che è stato così facile ritrovare la confortante equazione fra Israele e nazismo, che mette il cuore in pace perché con un’etichetta così non c’è più bisogno di ragionare, basta stare da una parte e non dall’altra.

(La Stampa, 30 ottobre 2023)
____________________

- In realtà il rifiuto arabo alla spartizione della Palestina mandataria non inizia nel 1947, ma, come minimo, nel 1937 quando venne rifiutata la decisione della Commissione Peel, in precedenza gli arabi (allora i palestinesi erano gli ebrei) dimostrarono il loro rifiuto alla costituenda spartizione con pogrom in molte città.
- La sinistra Israeliana si è accorta di quanto la solidarietà della sinistra occidentale fosse infida e in questi giorni lo reclama a gran voce. Emanuel Segre Amar

........................................................


Terrore all’aeroporto. In Daghestan tentativo di linciaggio di ebrei e israeliani prosegue per ore

di Anna Balestrieri

Diverse centinaia di persone si sono radunate, domenica 29 ottobre, all’aeroporto di Makhachkala, capitale della repubblica del Daghestan a maggioranza musulmana, per linciare i passeggeri di un volo proveniente da Tel Aviv. La notizia dell’arrivo di un volo Red Wings da Tel Aviv con rifugiati da Israele in scalo in Daghestan, riferiscono i canali Telegram locali, ha portato all’afflusso di centinaia di persone all’aeroporto, alcune con bandiere palestinesi.
  Una cinquantina di dimostranti ha pattugliato con un blocco delle auto l’uscita dell’aeroporto, fermando i passeggeri e chiedendo loro di dimostrare la propria nazionalità. Scene di concitazione con incitamenti al linciaggio degli ebrei al suono dello slogan “Allah hu Akhbar” e  si sono susseguite per diverse ore all’aeroporto, con una caccia all’uomo stanza per stanza che si è riversata sulla pista dell’atterraggio di Makhachkala, impedendo le consuete operazioni di volo. Un dimostrante portava il cartello: “Gli assassini di bambini non hanno posto in Daghestan”. Le forze dell’ordine impotenti di fronte alla violenza dei pogromchiki. I cittadini israeliani che si trovavano nell’aeroporto sono stati isolati e messi in sicurezza.
   Nei giorni recenti, i mezzi di comunicazione russi hanno riportato il moltiplicarsi delle proteste contro Israele nel Caucaso russo, grazie anche all’aperto appoggio del presidente ceceno Kadyrov alla causa di Hamas. Secondo informazioni provenienti da canali Telegram locali e pubblicate dal sito indipendente Meduza, sabato scorso si è svolta una manifestazione di fronte all’hotel Flamingo nella città di Khasavyurt, in Daghestan. Durante la protesta, i manifestanti hanno urlato lo slogan “espellere gli ebrei”, a seguito della circolazione di voci riguardo alla presenza di rifugiati israeliani presso l’hotel. A un gruppo di dimostranti è stato concesso l’accesso all’hotel al fine di verificare la presenza di ebrei nell’edificio ed è stato affisso un cartello sulla porta d’entrata recante la scritta: “È vietato l’ingresso ai cittadini israeliani (ebrei)”. Un evento simile (l’apposizione di un cartello di divieto d’entrata agli ebrei) in un negozio in Turchia ha comportato il richiamo dell’ambasciatore israeliano sul posto.
   L’Agenzia federale russa per il trasporto aereo ha annunciato la chiusura dell’aeroporto fino al 6 di novembre. Secondo il canale telegram Mash Gor, i dipendenti dell’aeroporto di Makhachkala hanno invitato la folla a selezionare una pattuglia di tre persone per salire a bordo degli aerei e testimoniare con le telecamere l’assenza di ebrei a bordo. Le forze di polizia locali non hanno inizialmente reagito, se non chiedendo alla folla di evitare atti vandalici e il blocco delle strade. Hanno al contrario espresso comprensione per i manifestanti, dichiarandosi pronti ad “alzarsi e cantare” insieme a loro. Le forze speciali sono intervenute solo quando i manifestanti hanno invaso la pista. Il ministro delle Politiche nazionali del Daghestan, Enrik Muslimov, e il ministro degli Affari giovanili, Kamil Saidov, sono giunti all’aeroporto e hanno avviato trattative con i presenti. Sono stati fermati 210 manifestanti.
   L’ufficio del primo ministro e il ministero degli Esteri israeliani insieme al Consiglio di sicurezza nazionale hanno dichiarato di seguire attentamente gli sviluppi della situazione. Lo stato di sicurezza di ebrei e connazionali in Russia ed in tutto il mondo è fonte di crescente preoccupazione.

(Bet Magazine Mosaico, 30 ottobre 2023)

........................................................


Morta Shani Louk, la ragazza tedesco-israeliana rapita da Hamas al rave. “Torturata e fatta sfilare per Gaza”

L’annuncio della madre ai media tedeschi. E il ministero degli Esteri israeliano diffonde alcuni particolari delle ultime ore della giovane

Shani Louk
GERUSALEMME – “ Torturata, fatta sfilare per Gaza e decapitata”. Queste sarebbero state, secondo le autorità di Israele, le ultime ore di Shani Louk, la cittadina tedesco-israeliana rapita da Hamas durante l’attacco al rave nel Deserto del Negev il 7 ottobre scorso. L’informazione della morte della giovane è stata diffusa dalla madre Ricarda: “Purtroppo ieri abbiamo ricevuto la notizia che mia figlia non è più in vita”, ha dichiarato la donna a RTL/NTV. La certezza del decesso è stata data dal rinvenimento di un osso cranico che, dopo le analisi del DNA, si è scoperto appartenere alla 22enne dopo che i famigliari avevano fornito dei campioni biologici nei giorni scorsi.
   Il giorno del massacro, Hamas aveva condiviso un video che ritraeva Louk immobile e seminuda sul retro di una jeep, mentre i miliziani le sputavano addosso. Nei giorni successivi si è diffusa l’informazione per cui la giovane fosse in vita ma “gravemente ferita” in un ospedale di Gaza. La famiglia aveva richiesto l’intervento del governo tedesco per liberarla. Poche ore dopo l’annuncio della morte, il cancelliere tedesco Scholz ha definito l’atto come una dimostrazione “della barbarie che sta dietro all’attacco di Hamas”: “È una cosa che come persone possiamo solo disprezzare”, ha commentato durante una visita in Nigeria. 
   Shani Louk era nata il 7 febbraio 2001 negli Stati Uniti, da padre israeliano e madre tedesca. Ha vissuto i primi anni della sua vita in Oregon, per poi trasferirsi a Tel Aviv, dove era residente al momento della morte. Tatuatrice freelance, il 7 ottobre stava partecipando insieme al suo fidanzato – di nazionalità messicana – al festival musicale Supernova Sukkot Gathering, che si stava tenendo a cinque chilometri dal confine con la Striscia di Gaza. Durante l’attacco, Shani ha avuto modo di telefonare alla madre, raccontandole quanto stava accadendo e di non sapere dove nascondersi.

(Quotidiano Nazionale, 30 ottobre 2023)

........................................................


Basta con gli scrupoli!

Vi prego di non arrabbiarvi con me se in questi giorni provo meno compassione per i nostri nemici. Posso ben immaginare che molti cristiani pretendano da Israele più che da altri popoli della regione. Più considerazione per i palestinesi, soprattutto per la popolazione civile e ancor più per i bambini. Ma questo non è possibile in questo tempo. Se mostri come Hamas non risparmiano i propri fratelli e sorelle e si nascondono dietro donne e bambini, perché dovremmo trattarli con amore? L'amore per i nemici è un altro argomento e non ha nulla a che fare con questo.

di Aviel Schneider

GERUSALEMME - Sono passate tre settimane e il bilancio delle vittime è in aumento, soprattutto da parte palestinese. I dati ufficiali del Ministero della Sanità palestinese parlano di 7.500 morti e 18.500 feriti nella Striscia di Gaza. Secondo l'UNICEF, 2.360 bambini palestinesi sono stati uccisi e 5.364 feriti nei primi 18 giorni di guerra. 400 bambini vengono uccisi o feriti ogni giorno, secondo i rapporti delle Nazioni Unite. Questi bambini non sono stati deliberatamente sparati, bombardati, né tantomeno massacrati e bruciati solo perché sono palestinesi, no. Si sono trovati nel mezzo. Dubito dei numeri palestinesi perché, in base all'esperienza di precedenti operazioni, rivolte e guerre, questi numeri non sono mai stati corretti. In secondo luogo, devo chiedermi in tutta onestà se ho ancora la stessa compassione di un tempo. Credo che il mio livello di compassione si sia un po' abbassato. Nessuno può accusarmi di odiare gli arabi o i palestinesi. Al contrario, ho molti arabi, palestinesi e beduini come amici, ma in questi giorni ho meno compassione per i civili dell'altra parte che vogliono solo una cosa: spazzare via Israele.
   Dopo il barbaro assalto al sud di Israele, una terribile rabbia è esplosa tra la gente, con la determinazione di distruggere il regime di Hamas a Gaza una volta per tutte. Ciò che i terroristi di Hamas hanno fatto a Israele equivale a un olocausto, ed è per questo che Hamas viene equiparato ai jihadisti dell'ISIS e ai nazisti. Per capire di cosa sto parlando, basta guardare un video dell'IDF. La prova di come i barbari musulmani abbiano massacrato intere famiglie, abusato, bruciato e decapitato bambini durante lo Shabbat nero nei kibbutzim. Questo è stato fatto di proposito. Questi bambini e queste famiglie non si trovavano lì per caso. Chiunque abbia visto questo video e tutti gli altri filmati delle prime ore dello Shabbat non può credere ai propri occhi. Sono tutti filmati ripresi dalle telecamere GoPro sulle teste dei terroristi o dalle telecamere di sicurezza dei kibbutzim. Questi nazisti e mostri palestinesi hanno invaso le nostre case e hanno sparato e massacrato tutti solo perché erano ebrei, israeliani o sionisti. Questi mostri hanno preso d'assalto un festival musicale e hanno sparato all'impazzata su giovani israeliani. Amalechiti.
   La folla palestinese, la plebaglia o la feccia, in qualsiasi modo vogliate chiamare queste persone, ha fatto irruzione in Israele in ciabatte e ha massacrato ogni israeliano sul suo cammino nella seconda ondata di attacchi. A Gaza i terroristi di Hamas sono stati acclamati. Ai bambini palestinesi viene fatto un lavaggio del cervello radicale per odiare gli ebrei e Israele fin dal primo respiro. Vengono educati in questo modo e dobbiamo lentamente accettare che forse solo una minoranza di loro vuole vivere con Israele. Gli stessi leader di Hamas dicono 24 ore su 24, 7 giorni su 7, quanto la giovane generazione sia motivata a uccidere gli ebrei. Questo viene insegnato ai bambini negli asili, e Israele se ne è lamentato per anni, ma l'Occidente non ha voluto ascoltare. In fondo, è stato ampiamente finanziato dall'Occidente. Ora questi bambini sono cresciuti e hanno massacrato il sud di Israele. E non vedo una svolta positiva nella prossima generazione. Anche se mi dispiace per i bambini, devo comunque ammettere che la mia compassione si è raffreddata. E questo non ha nulla a che fare con la carità. Punto e basta! Ma questo è un altro argomento.
   Una cosa ho imparato da questo fallimento: smettere di essere troppo premuroso nei confronti dei nostri nemici. Né la Giordania né l'Egitto, né la Siria né il Libano hanno mai mostrato considerazione per i palestinesi. Né la Giordania né l'Egitto vogliono accogliere i rifugiati palestinesi dalla Striscia di Gaza. La Siria ha ucciso decine di migliaia di palestinesi nella sua guerra civile, per un totale di 500.000 siriani in undici anni di guerra civile. Il regime di Hamas tratta la propria popolazione a Gaza in modo altrettanto orribile. Perché dobbiamo sempre essere noi gli angeli quando Israele è dannato all'inferno in ogni caso?
   Nonostante la rabbia della popolazione, Israele sta cercando di avvertire i civili palestinesi dei bombardamenti e sta dando ai civili una scadenza per fuggire a sud per salvarsi la vita. Ma Hamas tiene prigioniera parte della popolazione palestinese nel nord della Striscia, con la forza o per scelta, come scudi umani. Sappiamo da anni che Hamas ha il suo quartier generale del terrore sotto gli ospedali, perché ogni terrorista sa che Israele non spara deliberatamente sugli ospedali. Sono i migliori bunker per questi terroristi. Se vengono uccisi palestinesi innocenti, non è colpa di Israele.
   Ci siamo illusi che la maggioranza dei palestinesi voglia vivere in coesistenza con noi. Era una fantasia, un desiderio. Oggi dico: sparate agli ospedali per distruggere finalmente il quartier generale sotterraneo del terrore. Chi non vuole essere avvertito deve poi lamentarsi con Hamas. In ogni caso, alla fine Israele sarà incolpato e maledetto. Viviamo in Medio Oriente, qui mangiamo hummus, ma ci piace il sushi. Nelle ultime tre settimane abbiamo sentito ripetere più volte che dobbiamo comportarci come gli arabi o non sopravviveremo. Ciò significa che dobbiamo parlare in arabo con i nostri nemici, perché è l'unica lingua che capiscono. Il nostro ebraico e i nostri modi occidentali sono diventati una barzelletta.
   È vero che negli ultimi decenni l'Occidente ha messo Israele in un angolo politico e gli ha legato le mani dietro la schiena. Ma credo che in questi giorni ogni israeliano - o la maggior parte di loro - capisca molto bene che abbiamo urgentemente bisogno di ripensarci e di avere considerazione prima di tutto per noi, per il popolo di Israele. Non c'è più riguardo, nessuno nel sud ha alcun riguardo per i civili israeliani. “la gloria di Israele non mente", si legge in 1 Samuele 15. Per mantenere viva questa gloria, questa volta Israele deve distruggere il nemico, altrimenti sarà lui a distruggere noi - altrimenti la gloria avrà mentito a Israele. Spero che abbiate capito non il mio punto di vista, ma la situazione di Israele. Basta con gli scrupoli!

(Israel Heute, 30 ottobre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


‘’Hamas è una leadership corrotta che sta uccidendo la nostra gente’’

di Sarah Tagliacozzo

FOTO
Mosab Hassan Yousef, il figlio maggiore del cofondatore di Hamas Hassan Yousef, da giorni utilizza i social media per esprimere il suo dissenso nei confronti dell’organizzazione terroristica di cui lui stesso aveva fatto parte in passato prima di lavorare come copertura per circa dieci anni per lo Shin Beth, l’agenzia di intelligence per gli affari interni israeliana. Giovedì è anche stato ospite del talk show inglese di Piers Morgan “Uncensored” dove ha detto di non essere sorpreso della brutalità dell’attacco di Hamas del 7 ottobre, ma della sua portata.
   Mosab Hassan Yousef, 45 anni, è anche noto come “il principe verde”, un soprannome derivato dal titolo di un documentario sulla sua vita. È autore del libro autobiografico “Il figlio di Hamas” (2010), in cui ha raccontato la sua vita a Ramallah, denunciando gli orrori commessi da Hamas, e parlando della sua attività di informatore per Israele.
   Durante il talk show, Yousef ha spiegato che Hamas ha voluto mettere alla prova «un Paese con un enorme trauma del passato, con la memoria della Shoah e di tutto ciò che i nazisti hanno fatto nello scorso secolo. Hanno aperto le porte dell’inferno sul popolo palestinese».
   Yousef è intervenuto nel talk show in qualità di ospite palestinese con un’opinione diversa sul conflitto: «Dalla sua fondazione, Hamas ha un solo obiettivo in mente: annientare lo Stato di Israele. Non è un segreto che Hamas voglia distruggere Israele e non possono accettare Israele o il diritto di Israele ad esistere».
   Già negli ultimi giorni, il figlio del cofondatore di Hamas, che ha lavorato come agente israeliano tra il 1997 ed il 2007, ha spiegato ai media che «Hamas è un movimento religioso che non crede nei confini politici. Vogliono fondare uno stato islamico sulle ceneri dello Stato di Israele». Yousef ha anche previsto che una volta che Israele avrà rimosso Hamas dal potere nella Striscia di Gaza, i palestinesi festeggeranno e ringrazieranno Israele per la fine dell’oppressione di Hamas.
   «Basta Hamas. Ne abbiamo abbastanza di questa leadership corrotta che sta uccidendo la nostra gente» ha detto con fermezza ‘il principe verde’ secondo cui «chiunque prenda la parte di Hamas oggi, in questo momento di confusione, pensando che sia uno scherzo, vorrei dire loro che se ne pentirà. Si pentirà di aver preso la parte di quei criminali che stanno uccidendo i palestinesi stessi».

(Shalom, 30 ottobre 2023)
____________________

Non è male sottolineare che il "figlio di Hamas" è diventato un "figlio di Gesù": "Perché il figlio di un leader di Hamas si è convertito al cristianesimo".

........................................................


La sfida della disabilità sotto i missili

FOTO
“Avere un figlio con disabilità è una sfida in circostanze normali. In tempi di crisi come adesso è inimmaginabile”. Alessandro Viterbo lo racconta a Pagine Ebraiche da Gerusalemme. Alessandro è una delle colonne dell’organizzazione Tsad Kadima (Un passo avanti), che si occupa di dare assistenza a bimbi e ragazzi cerebrolesi con un metodo educativo incentrato proprio sulla personalità del bambino: sono oltre 400 i giovani assistiti in tutto Israele, da Or Akiva a Eilat, da Rishon LeZion a Beer Sheva.
   Dal 7 ottobre scorso, Tsad Kadima ha dovuto sospendere vari servizi né, considerata la situazione, è chiaro quando potranno ripartire. “I più penalizzati sono i più piccoli: sono all’inizio di un percorso e avrebbero bisogno urgente di fisioterapia e idroterapia. Ma ad oggi, con gli allarmi che risuonano in modo costante nei cieli d’Israele, ci sono troppi rischi per attività esterne come quelle in piscina. Il tempo per arrivare in un rifugio non sarebbe sufficiente”, spiega Viterbo. Nella capitale, il centro Tsad Kadima è stato chiuso perché nel rifugio, in caso di emergenza, non ci sarebbe abbastanza spazio per tutti, assistiti e personale (è comunque possibile che riapra mercoledì in un’altra struttura più attrezzata). Ad Eilat invece, vista la minore esposizione al fuoco di Hamas, “tutto funziona in modo più o meno regolare e nei giorni scorsi sono stati accolti dei ragazzi provenienti dalle città e dai kibbutz evacuati”.
   La situazione è comunque in divenire: “Le cose cambiano ogni giorno, con sempre nuove indicazioni da accogliere”. Dove Tsad Kadima ha dovuto sospendere la propria offerta, la sfida è stata quella di sopperire con attività alternative a distanza, anche via Zoom. Lo staff è comunque impegnato “con visite a domicilio, almeno una volta alla settimana”. Tra gli assistiti c’è anche Yoel Viterbo, il figlio di Alessandro. Dice il padre: “È sempre stato abituato a vivere in società: ci sono quindi alcune cose che gli mancano, anche se affronta tutto con relativa calma. Gestisce bene le sue emozioni e vuole essere aggiornato in modo costante. Segue ad esempio in televisione suo cugino, che è un giornalista per il canale 12. Sette miei nipoti sono ora arruolati e in prima linea”. La comunità di Tsad Kadima ha pianto da poco il barbaro assassinio di un bambino di cinque anni, il piccolo Eitan, che frequentava il centro di Beer Sheva costruito grazie anche a donazioni italiane. Lui, sua sorella e i suoi genitori sono stati uccisi dai terroristi mentre tornavano a casa da un picnic nel Negev.

(moked, 30 ottobre 2023)

........................................................


Le piazze per il cessate il fuoco sono le piazze dei guerrafondai

Le cose giuste spesso non sono compassionevoli. A dispetto delle folle che gridano Not In My Name, bisogna snidare i killer dell’islamismo politico e colpire i terroristi dove si nascondono per conseguire l’obiettivo della sicurezza e della pace

di Giuliano Ferrara

Se la Grand Central Station di New York e la piazza di regime a Istanbul, agli ordini di Erdogan, si riempiono nello stesso giorno di folle che gridano Not In My Name, questo che cosa significa? Significa che virtù e conoscenza scompaiono, che viviamo come bruti, come struzzi. Dennis Ross, uomo di governo del mondo democratico americano, conoscitore per esperienza diretta del medio oriente, ha scritto un articolo magistrale sul New York Times per dire l’ovvio: Hamas non può e non deve cavarsela, sarebbe la vittoria del terrorismo e dell’Iran che assembla una vasta alleanza sicaria per annientare Israele, e l’unico modo per impedire la vittoria di quelli del pogrom del 7 ottobre, l’unico modo per respingere l’attentato alla pace di ogni giorno costituito dall’offensiva dell’islam politico-terroristico è che Tsahal entri a Gaza e snidi e elimini gli uomini e le strutture e infrastrutture di comando operazionale di Hamas. Per Ross l’appello al cessate il fuoco, adesso, e la richiesta di tregua, sono parole d’ordine di guerra e di vittoria per chi la vuole, la organizza e le dà il sinistro aspetto di un generalizzato pogrom contro gli ebrei di Israele. 
   Per accettare questa cosa che era chiara da subito, e che solleva obiezioni di principio e umanitarie in ogni ambiente, e anche tra amici veri di Israele e partigiani della sua esistenza, anche per chi crede nella convivenza possibile con uno stato palestinese una volta che siano riunite le condizioni politiche per realizzarla, gente da non confondere con antisemiti e turbolenti adepti del nichilismo terroristico islamico, per accettarla bisogna fare dei passi che fanno orrore alle coscienze brutalmente umanitarie oggi in palchetto, il cui simbolo potrebbe essere Greta Thunberg. E’ molto facile pensare con compassione al derelitto destino delle popolazioni a Gaza, l’immagine disperante di donne e bambini colpiti dalla reazione bellica di Tsahal, di giovani e uomini e vecchi che vestono abiti civili e in qualche misura sono estranei o anche lontani dalla follia di chi li governa da tanti anni, di chi scava tra loro i cunicoli della morte e della prigionia degli ostaggi razziati, di chi si ripara dietro le scuole, gli ospedali e altri luoghi teoricamente neutrali, secondo il diritto di guerra, per ottenere gli scopi di morte e distruzione che si sa. Le bombe e i tiri di artiglieria, la guerra urbana che mette tutti in pericolo e si presenta come un teatro di tragedia, tutto questo Not In My Name. 
   Ma il mondo è fatto così, che le cose giuste spesso non sono compassionevoli. Snidare i killer dell’islamismo politico, colpire i terroristi dove si nascondono e contrattaccano dopo aver fatto quello che hanno fatto a gente inerme, mettere in pericolo centinaia di migliaia di riservisti, il fiore del tuo paese, e la tua economia, il tuo benessere, cercare con tutti i rischi di una campagna sul terreno di risparmiare le vite dei civili e la vita degli ostaggi, per conseguire l’obiettivo della sicurezza e della pace, per costruire il famoso e celebratissimo “mai più”, ecco che questo non può essere fatto In My Name. Si nasconde la testa sotto la sabbia, ci si inoltra nei tunnel dei predoni, incuranti della vittoria della morte travestita da umanitarismo, si sceglie di gridare in piazza, sapendolo coscientemente o no, “ancora e sempre”. Le piazze per il cessate il fuoco sono le piazze dei guerrafondai.

Il Foglio, 29 ottobre 2023)

........................................................


Gli eroi di Be'eri: "Noi vivi tra i cadaveri"

I sopravvissuti del kibbutz della strage del 7 ottobre: "Abbiamo combattuto, ricostruiremo"

di Fiamma Nirenstein

Di fronte all'entrata di marmi e palme di plastica dell'hotel David di fronte al Mar Morto, fra le dune gialle e le rocce saline, si accalcano i sopravvissuti del kibbutz Be'eri. Come in un film di Fellini arriva una fila di Porsche, di lucide Alfa Romeo, macchine di lusso: vengono a prendere i bambini orfani, dispersi, scioccati, privi di casa e di bussola psicologica per farli sorridere un minuto: è una fila di volontari che ha rastrellato le auto rombanti. Stasera viene la famosa cantante Yardena Rasi. I doni invadono l'hotel, pollo arrosto, humus e pita, torte fatte in casa. Vestiti nuovi per tutti, dottori, psicologi. Si aggirano offrendo aiuto alla folla di profughi che affolla la hall. A gruppi si abbracciano, si riconoscono, ringraziano. Non c'è libro che possa contenere tutte le storie di questi cittadini dignitosi e quieti, eroi, parenti di gente fatta a pezzi, di figli di rapiti, scampati per caso alla mattanza di Be'eri. Quei bambini che corrono in molti hanno visto uccidere un fratello, i genitori. Il kibbutz contava 1.200 persone, agricoltori, una tipografia orgoglio del kibbutz pacifista. 350 morti sono stati trovati fra le sue rovine fra cui molti terroristi. Be'eri sa combattere. Le case sono bruciate, le finestre sfondate, le porte a pezzi, la mobilia e gli oggetti i terroristi li hanno polverizzati mentre la loro corte saccheggiava. Ma la storia dell'assalto comincia con un eroe, Ari Kraunik, capo della sicurezza, che corse verso i terroristi appena gli fu segnalato che entravano al kibbutz, riuscì a fermarne sette, e poi fu ucciso a spari. Le storie da non dimenticare mai adesso, all'hotel, sono qui con noi.
  Doron Tzemach è un piccolo uomo calmo e dignitoso, ha perduto Shahar, suo figlio. La sua resistenza durata ore ha salvato la vita a tanti altri membri del Kibbutz. Shahar parte della sicurezza, ha capito fra i primi cosa stava succedendo. «Alle 6,30, fra gli scoppi dei missili troppo veloci, insoliti, ricevette il messaggio di allarme. Subito ha preso l'arma, ha mandato Ella di 4 anni e mezzo e Annetta di 2 e mezzo con Ofri, la moglie nel rifugio. E lui è uscito a salvare la gente, uno contro cento. Shahar aveva 37 anni, fiore d'Israele, attivista della pace, nella tradizione del kibbutz e della famiglia. I terroristi cercano le prede. Shahar è corso alla clinica dentistica, da dove veniva una richiesta di aiuto. Nella stanza c'è il medico, l'infermiera Nirit e la stagista Amit. Da là mentre cominciano a arrivare in forza i terroristi fra le case, sparano e appiccano il fuoco, Shahar raccoglie un ferito grave, fino in fondo conduce una battaglia a fuoco mentre le persone intorno a lui vengono ferite. Resiste a lungo. Scorge i terroristi al giardino degli scivoli e vede un elicottero militare: «Sparate», chiede. Gli rispondono che non hanno il permesso. I gruppi delle belve compiono le loro mostruosità, alla fine assediano Shahar. «Fino alle 2 del pomeriggio è riuscito a ucciderne almeno 5, credo», dice il padre. A Efri scrive di continuo mentre finisce le pallottole: «Non vi preoccupate, arriva l'esercito, metti il frigo davanti alla porta». Il kibbutz non riesce a serrare i rifugi, i terroristi arrostiscono gli assediati. Uno dei feriti nella clinica muore, al secondo morente Shahar mentre spara ripete «sei forte, resta con me, parlami, va tutto bene». Gli uomini di Hamas gettano contro la porta bombe a mano e sfondano. Nirit, l'infermiera, resterà immobile due ore dentro l'armadio. Shahar e il suo compagno Eitan si battono fino alla fine, un altro salvato seguiterà ore a fingersi morto. IL meraviglioso figlio di Doron, Shahar lascia per sempre le sue due bambine piccole e il padre, che solo per un attimo piange fra le mie braccia.
  Avida Bachar su una sedia a rotelle mi guarda fisso coi suoi occhi neri, preciso sfida la realtà. La gamba destra è saltata via. Il braccio sinistro ferito. Alle 7,30 Avida si rifugia con la famiglia, sicuro che fra poco arriverà l'esercito. Lui, la moglie Dana, Hadar, di 13 anni, e Carmel di 15. I terroristi invadono la casa, cercano di entrare spaccando tutto nel rifugio Al mattino del 7, Dana e figli fanno pipì nelle pentole, e con questo unico liquido, bagneranno gli stracci per coprirsi il viso quando i terroristi col fuoco dalla porta e dalla finestra del rifugio li soffocano. L'arabo dice «ftach el bab» apri la porta, lui risponde «Ruch», «vattene». «Ci sparano, a Carmel portano via un braccio, a me poco dopo una gamba. È un lago di sangue. Ho resistito cosciente fino a non averne più un goccio. Ci tirano tre bombe a mano. Hadar scrive senza mai smettere su whatsapp. Sangue ovunque. Dico a Dana che la gamba è chiusa nei jeans, cerchiamo di legare il braccio di Carmel con una federa. Cado all'indietro, soffochiamo, i terroristi sparano due colpi, tac tac. Dana dice ahi, respiro male, e io dico ai ragazzi, la mamma sta bene adesso, state tranquilli, nessuno può farle più male. Allora Carmel mi ha detto: babbo seppelliscimi col mio skateboard, ha tirato gli ultimi due respiri e se n'è andato. Siamo rimasti noi due, ho detto a Hadar. Non ti preoccupare per me ha detto, sto bene. Quando sono arrivati a prenderci mi ha fatto caricare sul tank e poi sull'ambulanza, e mi ha salvato».
  I genitori e i figli dei rapiti hanno il volto contratto, la loro voce ti interroga. Così Ella di 23 anni, che dormiva col suo compagno, e ha rivisto, bruciata la casa dei suoi genitori, Ras e Ohad Ben Ami, rapiti. «I messaggi di mio padre raccontano tutta la storia: sono entrati, rompono tutto, entrano nel rifugio. Poi 5 giorni fa ho visto mio padre, in un video, buttato sotto una tenda. La mamma è molto malata, ha bisogno delle medicine. Aspettiamo disperati». Nir Shani ha quattro bambini, Micha di 18, Amit di 16, Emma di 12, Rani di 9. Ma Amit è stato rapito, non se ne sa più nulla. Nir sorride, Amit è un grande tifoso della Juventus. «L'anno prossimo lo porto in Italia». Nir ha resistito chiuso nel rifugio mentre quelli erano per ogni dove nella sua casa, spaccavano, urlavano Allah hu akbar, davano fuoco. «Mi sono fatto una maschera con una federa, e mi dicevo, mentre telefonavo a mia figlia: così si muore? Che strana cosa. La porta era bollente, ero al buio, poi mi hanno portato semisoffocato all'ospedale, e allora mia moglie mi ha detto che hanno preso Amit alle 12 circa. Cercava una conferma nel mio sguardo: Amit è saggio, saprà come cavarsela».
  Golan Abitbul sa un po' di italiano, 44 anni. Ha chiuso la sua famiglia con quattro bambini dentro il rifugio e poi ha deciso di rischiare la vita armato solo di una Smith e Wesson, andando di casa in casa a cercare di tirare fuori dai piani alti la gente che bruciava viva. «Prima tre, poi sei di Hamas armati di RPG, io però dovevo andare a prendere tutta la famiglia di mio fratello con i due piccoli, e portare anche loro da noi. Dopo ho chiamato via via varie famiglie la cui casa era in fiamme: vi prendo io, correte fuori o morirete bruciati. Aiutavo a scappare e mettersi in salvo. Quando sono arrivati i soldati coi tank, ci hanno detto: «Andiamo, tappate gli occhi ai bambini che non vedano lo strazio. E così coi bambini siamo andati fra i cadaveri, i pezzi di corpo, le case bruciate». «Ricostruiremo», mi promette. Ci credo, sono un gruppo di eroi.

(la Repubblica, 29 ottobre 2023)

........................................................


Riapre la tipografia del kibbutz Be’eri, devastato dall’attacco di Hamas

di Sarah Tagliacozzo

FOTO
Il kibbutz Be’eri è stato uno dei luoghi più duramente colpiti durante l’attentato terroristico nel sud di Israele del 7 ottobre, con un centinaio di abitanti che hanno perso la vita. Be’eri è noto in quanto ospita la sede di una importante tipografia israeliana, che è da poco tornata operativa dopo aver cessato la sua attività per 10 giorni. La storia della tipografia affonda le sue radici nel 1925, quando Levi Zrodinski (conosciuto anche come Zorea) fece l’Aliyah, trasferendosi in Israele dall’Ucraina ed aprendo una tipografia a Haifa. Suo figlio Lazar Zorea, appena diciottenne, fu tra i fondatori del kibbutz Be’eri. Lazar aveva lavorato a lungo con il padre e aveva acquisito una conosceva approfondita dei segreti della tipografia. Decise quindi di fondare una tipografia nel nuovo kibbutz, con il sostegno del padre e dell’Agenzia Ebraica.
   Fu una scelta non convenzionale ma positiva. Yigal, figlio di Lazar Zorea, ha raccontato che inizialmente la tipografia era una casa costruita con pietre. Al suo interno vi era una sola macchina tipografica. Inizialmente si stampavano moduli e documenti molto semplici per il nuovo Stato.
   Negli anni successivi, il kibbutz ha mantenuto viva la tipografia trasformandola in un’attività fiorente che offre servizi a società e organizzazioni in tutto Israele. La passione per la tipografia è rimasta nella loro famiglia e Yigal dopo il servizio militare ha studiato al Bezalel diventando un designer.
   La tipografia di Be’eri è diventata una delle principali tipografie israeliane. Ancora oggi è un piccolo grande punto di riferimento in Israele. È lì che vengono stampate tutte le patenti di guida, le carte di credito e le buste ufficiali dello Stato.
   A distanza di una decina di giorni dall’attentato di sabato 7 ottobre che ha devastato il kibbutz, Ben Suchman di Be’eri Printers, insieme a i suoi colleghi, ha preso la decisione di riaprire la tipografia. Un gesto di resilienza e di preservazione di una parte significativa della storia del Paese.

(Shalom, 29 ottobre 2023)

........................................................


Matrimonio all'ombra della guerra

Il "save the date" per nostro figlio Tomer e la sua sposa Ester era il 27 ottobre. La data del matrimonio era già stata fissata sei mesi fa, nessuno pensava allora allo Shabbat nero e allo scoppio della guerra che ha sconvolto tutta la nostra vita 20 giorni prima del matrimonio previsto.

di Anat Schneider

FOTO
GERUSALEMME - Si dice che una volta fissata la data del matrimonio, bisogna mantenerla, anche nei momenti difficili. Così nostro figlio Tomer e la sua sposa Ester hanno deciso di celebrare il matrimonio nel nostro giardino. Tuttavia, tutto era incerto, perché tutti i nostri figli sono stati in servizio di riserva per tre settimane. Nessuno di loro poteva prometterci che sarebbero stati rilasciati dalla riserva. Forse anche Tomer non sarebbe potuto venire. Ci aspettavamo di tutto. Ma credevamo fermamente che la chuppah avrebbe avuto luogo.
FOTO
Due giorni prima, Ester aveva organizzato una cerimonia a casa dei suoi genitori solo per le donne delle due famiglie. Una cerimonia spirituale, in cui si esprimeva la forza della fede e della gioia, e ci si diceva quali comandamenti biblici spettano alle donne. E in questo contesto vorrei spendere qualche parola sulla gioia, soprattutto in questo momento. Che cos'è la vera gioia e come si può motivare alla gioia?
   Una volta che la gioia nasce dentro di noi, si irradia verso l'esterno e colpisce coloro che ci circondano. In questa riunione di donne, non sapevamo ancora chi dei nostri ragazzi sarebbe venuto. Tutto era avvolto nella nebbia, ma eravamo piene di fede. E abbiamo iniziato a lodare e onorare la gioia decidendo di rendere felice la sposa quella sera. Con le lodi e la musica, la riunione intorno a Ester divenne una grande gioia.
FOTO
La sera stessa abbiamo ricevuto la notizia della convocazione dei nostri ragazzi. Tomer ottiene il congedo, ma deve tornare la mattina dopo. Wow, abbiamo già lo sposo. Elad ci ha detto che tornerà dal nord dopo mezzanotte. E anche Moran ci ha informato improvvisamente che tornerà a casa. Durante il viaggio dal nord ha portato in macchina anche il migliore amico di Tomer (anche lui si chiama Tomer), anche lui nella riserva. Ariel, nostro genero, è stato rilasciato dal sud all'ultimo momento. Anche la nostra seconda Eden, la fidanzata di Moran, è riuscita ad essere presente.
FOTO
Solo giovedì abbiamo iniziato a preparare il giardino per il matrimonio. Sono state coinvolte molte mani. Tavoli, sedie e ombrelloni sono stati portati durante il giorno. Il moshav dove viviamo ci ha aiutato. Poi ci è stata portata una semplice chuppa. La chuppa è un baldacchino di stoffa bianca sostenuto da quattro pali riccamente decorati. Intorno al baldacchino si svolge la cerimonia nuziale. Quattro uomini reggono i pali durante la cerimonia nuziale. Una chuppah molto semplice, ma che rendeva tutto ancora più suggestivo. Il matrimonio era previsto per venerdì a mezzogiorno. La mattina presto, tutte noi donne ci siamo fatte belle, truccate e acconciate. Una giovane truccatrice è venuta da noi per questo. Alle nove Tomer ci raggiunse. Un'ora dopo è arrivata Ester con i suoi genitori da Maale Adumim. E alle undici, uno dopo l'altro, hanno cominciato ad arrivare i nostri ospiti. Solo parenti e amici intimi, circa 80 ospiti. Non è stato possibile fare di più, anche a causa degli allarmi dei razzi.
Nel nostro gruppo WhatsApp nel moshav, ho annunciato che avremmo avuto un matrimonio a casa nostra e mi sono scusato per il rumore fin dall'inizio. "Rumore? Fai più rumore! Abbiamo bisogno del rumore della gioia per non sentire il rumore di razzi, aerei ed esplosioni a cui ci siamo abituati", hanno detto i miei vicini. I nostri festeggiamenti hanno fatto bene a tutto il moshav". Un altro vicino ha detto: "È una grande mitzvah rendere felici gli sposi proprio in questo momento". Ha cancellato un servizio funebre da un'altra parte per questo.
Dopo aver pronunciato le sette benedizioni, il rabbino ha dato a Tomer la possibilità di dire qualcosa che di solito non viene detto. Nostro figlio voleva dire qualcosa. Ci ha ringraziato per essere venuti. Poi è rimasto in silenzio per qualche istante. C'era silenzio, tutti aspettavano che dicesse qualcosa. "Vorrei ricordare Dekel Swissa, caduto il 7 ottobre", ha detto Tomer. Silenzio. Le lacrime gli strozzano la gola. "Dekel era un ufficiale del Golani. Ha dato la sua vita per noi. Questo è importante e simbolico. Il nostro matrimonio di oggi è nel testamento di Dekel". Tra gli invitati non è rimasto un occhio asciutto. "Dekel viveva a poche case da noi. Siamo felici e andiamo avanti".
Per concludere, Tomer ha detto "Am Israel Chai", ricordandoci che abbiamo il dovere di gioire, perché se non lo facciamo, i nostri nemici hanno vinto". Che incoraggiamento e che momento di prudenza e di pace in questo momento di follia della terra.
  Questa gioia è pura e ferma. E questa gioia è molto vicina alla tristezza, le appartiene. E la tristezza è dolorosa e faticosa. La tristezza non ha fine. Ma quando si sceglie di essere felici, qualcosa cambia. Questa gioia ci aiuta ad affrontare la tristezza e impedisce che si impadronisca della nostra anima. La gioia apre la grazia di Dio in cielo. "Se mi dimentico di te, Gerusalemme, la mia mano destra si secchi. La mia lingua si attacchi al palato della mia bocca se ti dimentico, se non innalzo Gerusalemme alla mia più grande gioia". Ogni sposo sotto il baldacchino pronuncia questo versetto del Salmo 137.
   Dio è un Dio benevolo, vuole renderci gioiosi e continuare a costruire la casa d'Israele. Il mattino seguente i ragazzi sono ripartiti alla volta dei confini di Israele.
All'Israel Chai!

(Israel Heute, 29 ottobre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


Israele e gli adoratori della morte

Ieri, dal suo rifugio dorato a Doha, Ismael Haniyeh, il capo politico di Hamas, ha invitato, in puro spirito jihadista, al martirio, allo spargimento di sangue di uomini, donne e bambini.
   «Abbiamo bisogno del sangue di donne, bambini e anziani palestinesi» ha proclamato. «Abbiamo bisogno di questo sangue per risvegliare dentro di noi lo spirito rivoluzionario, per risvegliare in noi la sfida, per spingerci avanti».
   Nulla di inedito per chi conosce Hamas e sa che il gruppo salafita integralista islamico che controlla la Striscia dal 2007, ha fatto del culto della morte una sua prerogativa in ossequio all’impostazione programmatica della Fratellanza Musulmana da cui discende.
   Lo Statuto di Hamas del 1988, documento mai abrogato, recita all’Articolo 8, “Allah è l’obiettivo, il profeta è il suo modello, il Corano la sua costituzione, il jihad è la sua strada e la morte per l’amore di Allah è il più nobile dei suoi desideri”, parole che riecheggiano la canzone cantata dai Fratelli Musulmani all’epoca in cui marciavano per le strade del Cairo: “Non abbiamo paura della morte ma la desideriamo…Come è splendida la morte…Apprestiamoci a morire per la redenzione dei musulmani…il jihad è la nostra linea di azione…e la morte per la causa di Dio il nostro desiderio più prezioso”.
   La tanatofilia è intrinseca a Hamas ed è un portato decisivo del suo culto. L’ardore esaltato per la morte è però sostanzialmente delegato alle manovalanze così come il disprezzo per la vita altrui è rivolto anche alla stessa popolazione di Gaza, usata cinicamente come carne da macello. I capibastone si guardano bene dal mettere a repentaglio la loro preziosa vita.
   Hamas sa che più morti si avranno tra i civili della Striscia, più, su Israele, si rovescerà la riprovazione e l’odio. Si tratta di una tecnica collaudata tutte le volte che lo Stato ebraico è dovuto intervenire nella Striscia con dei bombardamenti, ed è quello che puntualmente si sta verificando.
   Ieri sera, nel suo discorso alla nazione, Benjamin Netanyahu ha esplicitato chiaramente che questa guerra ha per Israele una valenza esistenziale. Non si tratta, infatti, di sconfiggere una organizzazione criminale tra le più efferate del pianeta, si tratta di ripristinare l’immagine compromessa dell’unico baluardo presente in Medio Oriente contro il fanatismo islamico.
   Senza sanarla di nuovo con forza e determinazione, senza rialzarsi in piedi completamente dopo la tragedia indelebile del 7 ottobre scorso, Israele perderebbe la sua ragione d’essere e la darebbe vinta agli adoratori della morte.

(L'informale, 29 ottobre 2023)

........................................................



I pensieri del cuore

Dalla Sacra Scrittura

EBREI 4:12
La parola di Dio è vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l'anima dallo spirito, le giunture dalle midolla; essa giudica i sentimenti e i pensieri del cuore.

MATTEO 15:18-19
Ma quel che esce dalla bocca viene dal cuore, ed è quello che contamina l'uomo. 19 Poiché dal cuore vengono pensieri malvagi, omicidî, adulterî, fornicazioni, furti, false testimonianze, diffamazioni.

LUCA 1:51-52
Egli ha operato potentemente con il suo braccio; ha disperso quelli che erano superbi nei pensieri del loro cuore;

MATTEO 9:3-4
Ed ecco alcuni scribi pensarono dentro di sé: «Costui bestemmia». Ma Gesù, conosciuti i loro pensieri, disse: «Perché pensate cose malvagie nei vostri cuori?

LUCA 9:46-48
Poi cominciarono a discutere su chi di loro fosse il più grande. Ma Gesù, conosciuto il pensiero del loro cuore, prese un bambino, se lo pose accanto e disse loro: «Chi riceve questo bambino nel nome mio, riceve me; e chi riceve me, riceve Colui che mi ha mandato. Perché chi è il più piccolo tra di voi, quello è grande».

MARCO 6:51-52
E montò nella barca con loro, e il vento s'acquetò; ed essi più che mai sbigottirono in loro stessi, perché non avean capito il fatto dei pani, anzi il cuor loro era indurito.

MARCO 8:15-17
Egli li ammoniva dicendo: «Guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!» Ed essi si dicevano gli uni agli altri: «È perché non abbiamo pane». Gesù se ne accorse e disse loro: «Perché state a discutere del non aver pane? Non riflettete e non capite ancora? Avete il cuore indurito?

MATTEO 13:15
perché il cuore di questo popolo si è fatto insensibile: sono diventati duri d'orecchi e hanno chiuso gli occhi, per non rischiare di vedere con gli occhi e di udire con gli orecchi, e di comprendere con il cuore

ATTI 8:21
Tu, in questo, non hai parte né sorte alcuna; perché il tuo cuore non è retto davanti a Dio.

ROMANI 1:21
... perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato come Dio, né lo hanno ringraziato; ma si sono dati a vani ragionamenti e il loro cuore privo d'intelligenza si è ottenebrato.

LUCA 2:34-35
E Simeone li benedisse, dicendo a Maria, madre di lui: «Ecco, egli è posto a caduta e a rialzamento di molti in Israele, come segno di contraddizione (e a te stessa una spada trafiggerà l'anima), affinché i pensieri di molti cuori siano svelati».

1 CORINZI 4:5
Perciò non giudicate nulla prima del tempo, finché sia venuto il Signore, il quale metterà in luce quello che è nascosto nelle tenebre e manifesterà i pensieri dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio.

2 CORINZI 10:5
... e tutto ciò che si eleva orgogliosamente contro la conoscenza di Dio, facendo prigioniero ogni pensiero fino a renderlo ubbidiente a Cristo;

PROVERBI 28:9
Se uno volge altrove gli orecchi per non udire la legge, la sua stessa preghiera è un abominio.

LUCA 24:36-38
Ora, mentre essi parlavano di queste cose, Gesù stesso comparve in mezzo a loro, e disse: «Pace a voi!» Ma essi, sconvolti e atterriti, pensavano di vedere uno spirito. Ed egli disse loro: «Perché siete turbati? E perché sorgono dubbi nel vostro cuore?

FILIPPESI 4:6-8
Non angustiatevi di nulla, ma in ogni cosa fate conoscere le vostre richieste a Dio in preghiere e suppliche, accompagnate da ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù. Quindi, fratelli, tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli, tutte le cose giuste, tutte le cose pure, tutte le cose amabili, tutte le cose di buona fama, quelle in cui è qualche virtù e qualche lode, siano oggetto dei vostri pensieri.

PREDICAZIONE

Marcello Cicchese
luglio 2007




........................................................


Al confine col Libano, nel kibbutz della paura

"Andiamo a raccogliere nei campi con la pistola. Ma non ci arrendiamo"

di Fausto Biloslavo

Servizio di guardia all'ingresso del kibbutz Sasa vicino al confine libanese.
La colonna di fumo grigio si espande verso il cielo salendo dietro una collina verde a un chilometro e mezzo in linea d’aria davanti a noi, dopo che l’artiglieria israeliana ha colpito una postazione di Hezbollah in territorio libanese. I giannizzeri di Teheran hanno lanciato un missile anti carro, una delle «scaramucce», sempre più intense, del fronte nord.
«Benvenuti sulla prima linea al confine con il Libano». Angelica Edna Calo Livne ci accoglie così sul terrazzo della sua casa nel kibbutz di Sasa, che domina uno splendido panorama verso la terra dei cedri.
   «Israele arriva fino alla zona verde di quella collina. Nella terra brulla, subito oltre, c’è Hezbollah», spiega la madre di tre figli in prima linea, di origine italiana, che sul terrazzo ha esposto una bandiera israeliana. Suo marito Yehuda è il capo dell’unità di difesa del kibbutz, volontari in divisa verde oliva armati come i soldati israeliani. «Qualche giorno fa hanno tirato i razzi su quelle casette bianche di un altro kibbutz proprio a ridosso del confine», indica con la mano Angelica, che è una delle poche donne rimaste nell’insediamento a due chilometri dal Libano. Adesso a presidiare l’area ci sono i possenti carri armati Merkava riparati sotto gli alberi per non farsi individuare dai droni di Hezbollah. Le altre donne del kibbutz con i figli e gli anziani sono stati evacuati verso il centro di Israele.
   Di notte i colpi sordi dell’artiglieria israeliana si mescolano al rombo dei caccia bombardieri e al ronzìo dei droni. Idf, le forze armate con la stella di Davide, hanno colpito più volte postazioni di Hezbollah, i giannizzeri libanesi dell’Iran, e intercettato cellule palestinesi della Jihad islamica che cercano di infiltrarsi verso gli storici insediamenti di confine per ripetere la strage del 7 ottobre al Sud (808 civili e 309 soldati israeliani morti identificati fino a ora).
Yeuda e Angelica la moglie di origini italiane nel kibbutz Sasa con il Libano sullo sfondo
Il kibbutz di Sasa solitamente ospita 500 anime e si estende per due chilometri e mezzo su una collina circondata da alberi di mele e filari di kiwi. «Siamo nella stagione della raccolta e vado ogni giorno nei campi - racconta Angelica quasi con un groppo in gola -. L’altra mattina mi sono chiesta: e se arrivasse Hezbollah, come ha fatto Hamas, per ammazzarci tutti? Per la prima volta, io, una pacifista, mi sono portata dietro una pistola». L’ingresso del kibbutz è sprangato da un cancellone in ferro dipinto di giallo presidiato da guardie armate. I blindati dell’esercito servono in caso di emergenza. Cesare, con al collo il simbolo della Roma, squadra del cuore, e fucile mitragliatore a tracolla spiega che «dormiamo poco da giorni. Suonano le sirene per i lanci dei razzi di Hezbollah, che usano anche armi anti carro». Al polso ha un laccetto tricolore e l’accento romano è inconfondibile: «Posso solo dirti che da queste parti non si arrende nessuno. È la nostra casa e non ci muoviamo».
   I timori di tutti è che un’operazione terrestre a Gaza scateni la reazione di Hezbollah, partito armato sciita ben più organizzato e armato di Hamas, con un arsenale di almeno 130mila missili. «Hanno scavato un gruviera di tunnel, che sono stati pure scoperti in alcuni casi - osserva Luciano Assin -. Pianificano di invaderci spuntando da sottoterra».
   Il milanese di nascita ci porta a casa per farci vedere la stanza blindata. «Quando lanciano i razzi mi chiudo dentro e blocco la maniglia se i terroristi riuscissero a infiltrasi dentro il kibbutz. Questa ventola particolare serve per filtrare l’aria in caso di attacco batteriologico», spiega come se fosse normale mettere nel conto le armi di distruzione di massa. Poi tira fuori il cellulare per farci vedere la mappa del rischio, con vari colori, di tutta Israele. «Il nord, nell’area di confine, è zona rossa osserva -. Significa che quando suona la sirena abbiamo praticamente zero secondi per metterci in salvo. I lanci di Hezbollah sono troppo vicini».

(il Giornale, 28 ottobre 2023)

........................................................


Israele-Hamas: l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite vota per una "tregua umanitaria"

La risoluzione non vincolante è stata accolta a New York con 120 voti a favore, 14 contrari (tra cui Israele e Stati Uniti) e 45 astensioni. La collera di Israele

Venerdì scorso, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha chiesto a larga maggioranza una "tregua umanitaria immediata", nel 21° giorno di guerra tra Hamas e Israele, il quale ha denunciato questa "infamia”, espressa nel momento in cui il suo esercito ha annunciato di "estendere" le operazioni di terra a Gaza. Dopo quattro fallimenti in dieci giorni da parte del Consiglio di Sicurezza, l'Assemblea Generale ha raccolto il testimone su questo tema, che ha evidenziato delle divisioni, in particolare tra gli occidentali.
   "Mentre siamo testimoni di un'invasione di terra di Israele e in assenza di un'azione decisa da parte del Consiglio di Sicurezza, la risoluzione ha un obiettivo semplice ma vitale, in linea con la ragion d'essere delle Nazioni Unite: la pace", ha dichiarato l'ambasciatore giordano Mahmoud Daifallah Hmoud, il cui Paese ha redatto il testo a nome del gruppo di 22 Paesi arabi.
   La risoluzione, non vincolante, "chiede una tregua umanitaria immediata, duratura e sostenuta, che porti alla cessazione delle ostilità", ed è stata approvata a New York con 120 voti a favore, 14 contrari (tra cui Israele e Stati Uniti) e 45 astensioni, su 193 membri delle Nazioni Unite. L'ambasciatore palestinese Riyad Mansour ha espresso la sua gioia, ringraziando l'Assemblea Generale per il suo "coraggio" nel dire "basta, questa guerra deve finire, la carneficina contro il nostro popolo deve cessare". Accogliendo con favore la risoluzione, Hamas ha rilasciato una dichiarazione in cui chiede "la sua immediata attuazione in modo che i civili possano essere riforniti di carburante e di aiuti umanitari".
   "L'ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite Gilad Erdan ha definito la risoluzione "vergognosa".
   "Questo è un giorno buio per le Nazioni Unite e per l'umanità", ha aggiunto, promettendo che Israele continuerà a usare "tutti i mezzi" a sua disposizione per "liberare il mondo dal male che Hamas rappresenta".
   Gli Stati Uniti, che avevano criticato l'assenza delle parole "Hamas" e "ostaggi" nel testo, hanno votato contro. Il Regno Unito si è astenuto.
   Un emendamento canadese che condannava "categoricamente gli attacchi terroristici di Hamas" del 7 ottobre e chiedeva il "rilascio immediato e incondizionato" degli ostaggi è stato respinto, nonostante abbia ricevuto 88 voti a favore, 55 contrari e 23 astensioni (per passare erano necessari i due terzi dei voti espressi).
   La Francia ha riconosciuto che "alcuni elementi essenziali mancano nel testo", ma ha comunque approvato la risoluzione giordana. "Perché nulla può giustificare la sofferenza dei civili", ha insistito l'ambasciatore francese Nicolas de Rivière.
   Ma mentre Francia, Spagna e Belgio hanno votato a favore del testo, Germania, Italia e Finlandia si sono astenute, mentre Austria, Repubblica Ceca e Ungheria hanno votato contro. "Un disastro per gli sforzi dell'UE di proiettare una posizione comune alle Nazioni Unite", ha commentato Richard Gowan dell'International Crisis Group.

(i24, 28 ottobre 2023)
____________________

"Nulla può giustificare la sofferenza dei civili" dice l'ambasciatore francese, ed evidentemente intende quella dei civili palestinesi, perché quella degli israeliani le Nazioni Unite riescono a sopportarla benissimo. Per non dire che molte ci godono. M.C.

........................................................


Soldati e tank di Israele dentro la Striscia di Gaza: «Hamas ha commesso crimini contro l'umanità e sentirà la nostra ira»

La notte tra il 27 e il 28 ottobre l'esercito israeliano ha intensificato i bombardamenti sulla Striscia di Gaza, che stanno continuando in queste ore. Blackout delle linee di comunicazione e prime incursioni via terra

di Alessia Arcolaci

Israele ha intensificato l'attacco sulla Striscia di Gaza. Nella notte tra il 27 e il 28 ottobre l'esercito israeliano ha colpito senza sosta Gaza anche con le prime incursioni via terra a Nord, secondo quanto riferiscono i terroristi di Hamas. Sempre nelle stesse ore è stato difficilissimo (e continua ad esserlo) entrare in contatto con la popolazione civile a Gaza perché le linee di comunicazione sono state tutte interrotte e Gaza isolata.
   Come ha raccontato al New York Times il fotografo freelance palestinese Belal Khaled: «Le persone hanno paura e si sentono in un limbo. Non sanno cosa succede intorno a loro». I civili raggiunti da Haaretz hanno descritto la notte che si è appena conclusa come «la più buia dall'inizio della guerra», che oggi ha raggiunto il suo ventunesimo giorno. Intanto, su X, l'Aeronautica Militare Israeliana fa sapere di avere ucciso la notte scorsa «il capo della formazione aerea dell’organizzazione terroristica Hamas, Ezzam Abu Raffa. Era responsabile della gestione degli apparati Uav, dei droni, del rilevamento aereo, dei deltaplani e della difesa aerea dell’organizzazione Hamas. Nell'ambito del suo incarico, ha preso parte alla pianificazione e all’esecuzione del massacro omicida negli insediamenti intorno a Gaza il 7 ottobre».
   Prima Hamas, poi Israele stesso hanno confermato le incursioni via terra nella zona nord di Gaza ma non ci sono conferme circa l'inizio di una estesa operazione di terra. «Hamas ha commesso crimini contro l'umanità e sentirà la nostra ira stanotte, la vendetta inizia stanotte», ha detto Mark Regev, consigliere politico senior del premier israeliano Benyamin Netanyahu, in un'intervista a Msnbc. «Le nostre forze di terra si trovano ancora sul terreno e portano avanti la guerra», ha fatto sapere il portavoce militare Daniel Hagari. «La notte scorsa sono entrate nel nord della Striscia e hanno esteso le attività di terra. A questa operazione partecipano unità di fanteria, dei carristi, del genio e dell’artiglieria, sostenuti da un forte volume di fuoco».
   La guerra potrebbe spostarsi adesso nei tunnel sotterranei di Hamas a Gaza. Secondo le forze israeliane sarebbero cinque quelli già distrutti durante i bombardamenti. «L'aviazione sta colpendo obiettivi che si trovano nei sotterranei in maniera molto significativa», ha dichiarato il portavoce delle forze armate israeliane, il contrammiraglio Daniel Hagari. «In aggiunta agli attacchi condotti negli ultimi giorni, forze di terra stanno espandendo la loro attività. La difesa israeliana sta agendo con grande forza per raggiungere gli obiettivi di guerra».
   Sono 150, al momento gli obiettivi che l'esercito israeliano ha confermato di avere colpito. Intanto la situazione umanitaria è al collasso e le Nazioni Unite chiedono una «tregua immediata», con una risoluzione approvata dall'Assemblea Generale. «Abbiamo perso i contatti con i nostri colleghi di Gaza», ha dicharato Catherine Russell, Direttore generale dell’Unicef. «Sono estremamente preoccupata per la loro sicurezza e per un’altra notte di orrore indicibile per un milione di bambini a Gaza. Tutti gli umanitari, i bambini e le famiglie devono essere protetti».

(Vanity Fair, 28 ottobre 2023)

........................................................


Con la task force che identifica le vittime di Hamas e cerca le parole per informare le famiglie

Quasi mille nuclei familiari sparsi sul territorio nazionale e a volte anche all’estero stanno ancora aspettando notizie sui loro cari. Siamo stati dai Pikud HaOref per capire come in Israele si recapita la notizia più dura: tuo figlio non è ostaggio, è morto.

di Fabiana Magrì 

FOTO
RAMLA - Nel pieno del trauma collettivo nazionale che Israele sta attraversando dal giorno del massacro di Hamas del 7 ottobre, ogni anello della catena, militare e civile, impegnata a reagire, gestire e rispondere all’emergenza, si trova ad affrontare sfide mai sostenute prima. Una delle frasi ricorrenti è “non ho mai visto qualcosa di simile, non l’avrei nemmeno immaginato”. L’ha pronunciata, in un briefing a cui ha partecipato il Foglio, anche un alto ufficiale in servizio come riservista al Pikud HaOref, o Home Front Command, la protezione civile israeliana, la più giovane sezione dell’esercito con quartier generale in una base militare a Ramla. “Siamo di fatto – spiega il militare in pensione da due anni, che ha parlato in condizione di anonimato – il risultato della più importante lezione imparata nella guerra del Golfo. Quando, nella prospettiva israeliana, i conflitti non sono più stati quelli di prima e i civili sono diventati obiettivi, entrando a far parte del fronte di guerra a tutti gli effetti”. 

• L’Home Front, appunto
  Il Pikud HaOref è una protezione civile potenziata, si potrebbe dire. Il suo comandante risponde a due vertici, il capo di stato maggiore e il ministro della difesa. Protezione, allerte tempestive, linee guida per il comportamento della popolazione, ricerca e salvataggio di civili ma anche assicurare che il paese non si paralizzi in una situazione di emergenza, sono le sue principali missioni. Nelle circostanze attuali, la presenza di milioni di cittadini evacuati dalle loro case e distribuiti nelle aree ritenute più sicure rappresenta una sfida ulteriore. 
E poi ci sono i morti e gli ostaggi. E le loro famiglie da informare. Tempestivamente, professionalmente, con tatto e compassione. Quasi mille nuclei familiari sparsi sul territorio nazionale e a volte anche all’estero. Da raggiungere quanto prima con notizie certe sui loro cari. Quando migliaia di terroristi di Hamas si sono infiltrati in Israele via terra, mare e aria in più di 20 località nel sud di Israele più vicine a Gaza, hanno ammazzato oltre 1.400 persone e ne hanno rapite, secondo gli ultimi dati dell’esercito, 224. Che ancora adesso sono tenuti in cattività dentro la Striscia.
   Nella base militare di Shura – non distante dal quartier generale del Pikud HaOref – e al Centro di Medicina forense a Tel Aviv, i medici hanno lavorato 24 ore su 24 per identificare le vittime dai loro resti e dal Dna. In alcuni casi da minuscoli frammenti carbonizzati e inceneriti. Un impegno dovuto allo straordinario numero delle vittime. Ma anche dalla natura e dall’efferatezza degli omicidi, che ha rappresentato una sfida immane per l’identificazione di cadaveri accoltellati, bruciati, decapitati, smembrati. Brutalizzati. Al termine del processo di identificazione, entra in campo il Pikud HaOref. Che per affrontare l’impresa, ha aperto un centro nazionale operativo insieme con la polizia, gli uffici governativi e i rappresentanti delle autorità locali. “Abbiamo già dato notizia a più di 800 famiglie. E sappiamo che ci sono cento famiglie di vittime non ancora identificate a cui dovremo portare loro notizie. Sono i casi più difficili e complicati”, racconta il colonnello Hai Rekah, capo del distretto centrale Dan per l’Home Front Command. Nella task force sono stati arruolati 20 funzionari che lavorano su turni per coprire le 24 ore, 7 giorni su 7. Quando il personale riceve la notifica di identificazione del cadavere, “iniziamo a lavorare di intelligence su ciascuna vittima, per capire la sua storia”, spiega il colonnello. Si parte dall’albero genealogico. “Abbiamo un muro intero coperto di alberi genealogici – continua – di cui dobbiamo riempire i buchi, con le informazioni complete sul destino di ogni componente della famiglia. Perché magari inizialmente una persona si pensava rapita ma poi se ne identifica il cadavere. Così da limitare le visite, possibilmente a una sola. In altri casi, a essere stati sterminati sono interi nuclei familiari”.  I dilemmi sono molti. Per  esempio, a chi recapitare la visita e la notizia. Il coniuge o il genitore? Uno solo dei figli o tutti insieme? Senza contare che i primi funzionari non erano pronti per questo compito, “non sapevano quali parole usare ma non c’era tempo per fare formazione specifica”, racconta Rekah. “Nelle prime 48 ore – ammette – l’unica cosa che abbiamo potuto fare è stata piangere assieme alle famiglie”.

Il Foglio, 28 ottobre 2023)

........................................................


Eroi non celebrati: Soldati solitari contro Hamas

D. e L. sono membri dell'unità speciale Sayeret Haruv dell'IDF che hanno combattuto per liberare il Kibbutz Be'eri dai terroristi di Hamas.

D. e L., membri di un corpo speciale dell'IDF
GERUSALEMME - Quando siamo arrivati lì, i terroristi di Hamas erano ancora vivi, alcuni morti... molti soldati feriti, soldati morti, civili morti, corpi ovunque".
Queste sono le parole di D., membro dell'unità speciale Sayeret Haruv delle Forze di Difesa israeliane, inviato il 7 ottobre a Kibbutz Be'eri, una delle tante città israeliane invase dai terroristi di Hamas. Si stima che 130 residenti siano stati uccisi e che circa 50 siano stati presi in ostaggio a Gaza.
   Lunedì, D. stava prendendo un caffè con un altro membro dell'unità, L., in un bar di Agrippas Street, nel centro di Gerusalemme, di fronte al famoso mercato Mahane Yehuda. Entrambi avevano 12 ore di permesso. Indossavano ancora le loro uniformi da combattimento ed era facile capire che erano stati recentemente in azione contro Hamas.
   L'identità delle forze speciali dell'IDF, come quella dei piloti da combattimento, è segreta. Un aspetto dell'identità dei due soldati che può essere rivelato, tuttavia, è che sono entrambi americani venuti in Israele per servire nell'IDF. Sono quelli che in Israele vengono chiamati "soldati solitari", cioè persone che prestano servizio nell'esercito e non hanno famiglia nel Paese.
   Il soldato D. aveva 18 anni quando si è arruolato. È nato in Israele, ma la sua famiglia si è trasferita negli Stati Uniti. È tornato per prestare servizio nell'IDF.
   Il soldato L. è cresciuto a Scarsdale, New York, e aveva già 23 anni quando ha iniziato il servizio militare. Non è un compito facile per chi entra in una delle forze speciali israeliane. I cinque anni in più fanno una differenza significativa; è difficile tenere il passo con i diciottenni.
   Da sabato sera a domenica, per tutta la notte, è stata praticamente una battaglia di 14 ore", ha raccontato L. "Fuoco di armi automatiche, mitragliatrici, e anche esplosioni quando Hamas ha sparato razzi contro il kibbutz". La battaglia per Be'eri è durata fino a domenica, e poi siamo rimasti lì per qualche altro giorno".
   "Quando siamo arrivati sul posto, abbiamo aiutato ad evacuare i civili e ZAKA ha aiutato a recuperare i corpi", ha aggiunto. ZAKA è l'organizzazione israeliana che si occupa dei resti umani dopo incidenti e attacchi terroristici.
   I soldati sono entrambi religiosi e si erano assentati dal lavoro il 7 ottobre per la festività di Simchat Torah. Sono tornati alla base alle 14:00.

(Israel Heute, 27 ottobre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


“Israele e l'occidente non saranno più gli stessi dopo il 7 ottobre”. Parla Fridman

di Giulio Meotti

“Siamo in uno spartiacque storico, come un nuovo 1948, dopo il quale non sarà lo stesso paese”. Così al Foglio Matti Fridman, nato a Toronto, immigrato in Israele a diciassette anni, dove ha servito nel Libano del sud con l’esercito, prima di dedicarsi alla carriera giornalistica, prima all’Associated Press, poi come editorialista per il New York Times e altre testate e autore di libri fortunati, come “Il codice di Aleppo” e una biografia di Leonard Cohen e il suo periodo in Israele. 
  “Amir Tibon, un collega del quotidiano Haaretz, rimasto intrappolato con la moglie e i figli nella loro casa a Nahal Oz mentre i soldati di Hamas cercavano di irrompere e ucciderli, ha scritto che la difesa del kibbutz da parte di un pugno di soldati era ‘come nel 1948’. Dunque un momento esistenziale per la sicurezza  e neanche coloro che speravano in un esito moderato del conflitto e che avevano visto attentati suicidi e missili pensavano di assistere a una cosa simile. E questa barbarie avrà conseguenze. E non abbiamo ancora assorbito questo trauma”.
  Ci vorranno mesi, forse anni, continua Matti Fridman al Foglio, per metabolizzare il 7 ottobre. “In Israele non possiamo tornare a quello che eravamo prima. Ma non sappiamo come evolverà”. Dopo venti giorni, Hamas è ancora in grado di infliggere violenza a Israele, con i missili e con gli ostaggi. “Non stiamo vincendo ancora dopo la più grande sconfitta militare nella storia d’Israele” dice Fridman. “Qualcuno ha evocato la sorpresa dello Yom Kippur, ma erano soldati, qui parliamo di più di mille civili uccisi. Shimrit Meir, uno dei più acuti osservatori israeliani del mondo arabo, ha commentato che l’operazione di Hamas è stata accolta a Gaza con ‘un’euforia senza precedenti’ per ‘la più grande svolta palestinese dal 1948’. Vinceremo certo, l’esercito almeno nel breve termine prevarrà, ma abbiamo bisogno di una nuova leadership e modo di pensare se vogliamo ancora prosperare. Una settimana fa sembrava imminente l’invasione, anche da amici che sono nella riserva. Poi è entrata in una pausa, per le macchinazioni internazionali: gli americani stanno dicendo a Israele quando intervenire, perché ora riguarda anche Cina, Russia, Iran e altri attori. Stiamo indebolendo intanto Hamas. L’economia intanto è in  pausa, per questo la riserva dovrà essere usata”.
  Quando abbiamo chiamato Fridman era di ritorno dal confine con Gaza. “L’agricoltura è in uno stato di abbandono. Molti lavoratori tailandesi sono stati uccisi, molti se ne sono andati, molti sono rapiti e i kibbutz e i moshav al confine con Gaza hanno adesso campi che non vengono coltivati e raccolti che non vengono lavorati. Per cui sono andato a sud a dare una mano con migliaia di altri israeliani che si sono offerti. Oggi ho raccolto l’insalata al confine con Gaza. La società israeliana è molto forte e ha risposto”. 
  Difficile spiegare il mistero dell’opinione pubblica in maggioranza contro Israele. “Psicologicamente è affascinante che un massacro di ebrei abbia scatenato una protesta di massa contro gli ebrei e mi dice qualcosa sul perché ci sia stato l’Olocausto, cosa che non ho mai davvero capito” ci dice Fridman. “C’è qualcosa di profondo. Questo è spaventoso per le comunità ebraiche in Europa, ma anche per i non ebrei. A Londra vedi migliaia di persone che marciano per Hamas. Avrei molta paura se fossi al governo in Inghilterra o anche in Italia. Israele e l’Europa hanno un problema in comune. C’è qualcosa all’opera che va al di là di Israele. Il mio paese deve fare di più per l’opinione pubblica occidentale, che sta diventando sempre più polarizzata. E si rivolterà contro di noi. Viviamo in tempi folli, il crollo dell’ordine mondiale, quasi un momento di decivilizzazione. Non so se a Roma o a Parigi e Londra, ma per Israele la posta in gioco è proprio questa: la civiltà”. 
Intanto il fronte del consenso per Hamas prende forma nei campus americani. Neanche la Brandeis University – fondata come università ebraica – è riuscita ad approvare una mozione di condanna di Hamas, mentre sulla facciata della George Washington University hanno scritto: “Gloria ai nostri martiri”. 
  “Negli ultimi 15 anni le istituzioni accademiche americane sono state sequestrate dal woke, gender immigrazione diritti umani etc..” conclude Fridman. “Da qui l’idea che Israele incarni tutto quello che odia la sinistra: razzismo, colonialismo, militarismo. E la stampa ha dato la volata a queste idee. Il Guardian e anche il New York Times. Il campus è l’origine di questa ideologia ostile. In molte ideologie occidentali gli ebrei, anche nel comunismo, erano indicati come il male. E così oggi l’antirazzismo. Karl Marx diceva che gli ebrei erano il capitalismo. Non avevamo mai visto nulla di simile. Un fenomeno psicologico unico”.  E così le vittime del più grande progetto razziale della storia sono oggi attaccate in nome dell’antirazzismo. Puro Orwell.  

Il Foglio, 27 ottobre 2023)

........................................................


“Né con Hamas, né con Israele”, l’equidistanza che non esiste

di David Spagnoletto

“Né con Hamas, né con Israele” è uno degli slogan del momento.
   Slogan sposato da Uri Davis, l’accademico britannico nato a Gerusalemme che il leader egiziano dei palestinesi Yasser Arafat volle al suo fianco dentro Fatah, di cui oggi è vicecommissario agli Affari Politici, nonché uno degli intellettuali più vicini al presidente Abu Mazen.
   Slogan sposato anche dalla Chiesa Cattolica, che in nome di quella ecumenicità con cui si mostra al mondo, chiede un cessato il fuoco.
   “Né con Hamas, né con Israele” è uno slogan che vuole apparire equidistante, ma in realtà cela ben altro. A essere sbagliato è il presupposto, perché il gruppo terroristico palestinese di Hamas non può esser paragonato a Israele, uno stato democratico imperfetto, che ha commesso errori, come tutti gli stati democratici di questo mondo.
   Slogan sposato anche da diversi manifestanti che in Italia sono scesi o scenderanno in piazza per chiedere la pace. Una richiesta astratta che arriva, guarda caso, proprio quando Israele sta preparando l’incursione terrestre di Gaza. Una richiesta che non è arrivata l’8 ottobre, il giorno dopo la mattanza di Hamas contro i civili israeliani.
   Nelle ore immediatamente successive al pogrom palestinese contro gli ebrei si adducevano considerazioni storiche per giustificare il massacro di Hamas. “70 anni di occupazione, normale che ci sia una reazione”, è stata la sintesi di quello che siamo stati costretti a legge e ascoltare a poche ore dal pogrom palestinese contro i civili israeliani.
   1973, 1967, 1948, mandato britannico sulla Palestina, dichiarazione Balfour e chi ne ha più metta, in diversi hanno provato a legittimare la sete di morte ebraica voluta da Hamas.
   Un voler tornare indietro anacronistico dopo il 7 ottobre, giorno in cui il conflitto israelopalestinese è cambiato per sempre.
   Ci prestiamo, però, al gioco e torniamo ancora più indietro tra il 7 a.C. e l’1 a.C, nascita di Gesù, in aramaico: יֵשׁוּעַ (Yēšūa’). Gesù è nato ebreo e morto ebreo in Palestina. Quella terra che più di qualcuno vuole estrapolare dalla storia del popolo ebraico.
   Cancellare la storia del popolo ebraico dalla Palestina equivale a cancellare Gesù dalla Palestina e stravolgere il Cristianesimo.
   Siete sicuri di essere pronti a farlo?

(Progetto Dreyfus, 27 ottobre 2023)

........................................................


Il manuale dei terroristi di Hamas per il massacro contro Israele del 7 ottobre

Un manuale segreto agghiacciante è stato trovato nelle tasche dei terroristi di Hamas, che lo scorso 7 ottobre hanno massacrato i civili israeliani. È l’ennesima dimostrazione di una minuziosa pianificazione del gruppo terroristico palestinese, che ha dato precise indicazioni ai suoi macellai, che qualcuno considera meritevoli di sedersi al tavolo della pace con Israele.
   “Uccidete i problematici o chi pone una minaccia”, usateli come “carne da cannone, assicurandovi che siano chiaramente visibili”.
   E ancora, bendate gli ostaggi, legandogli i polsi e le caviglie, donne e bambini devono essere separati dagli uomini.
   Non solo, perché nei manuali della morte del gruppo terroristico palestinese Hamas era scritto di creare confusione con granate stordenti e armi da fuoco, incendiare più luoghi possibili per scatenare il panico, nonché minacciare torture e uccisioni.
   E poi l’indicazione di filmare gli orrori commessi, postarli sui social, senza “sprecare la batteria” degli smartphone, il che prova la volontà di Hamas di rimanere nel sud di Israele e prendere controllo della zona. Non un’azione “mordi e fuggi”.

Nelle tasche di un terrorista palestinese di Hamas anche una pennetta USB al cui interno è stato ritrovato un documento di Al Qaeda su come decapitare i neonati e creare dispositivi improvvisati per diffondere cianuro.
Come decapitare i neonati”, non un atto terroristico, ma un’azione brutale e intrisa d’odio nei confronti degli ebrei, che qualche bontempone e frequentatore dei salotti televisivi italiani cerca di negare.
Eh sì, perché è difficile andare in tv e perorare la causa di Hamas se questi ha decapitato i neonati. E allora, anziché provare a guardare la situazione con occhi diversi, meglio negare. Meglio negare che i bambini non siano stati uccisi privandoli della testa.
  Per la serie: lontano dagli occhi, vicini all’odio.
   Quell’odio presente nelle parole di docenti universitari, presunti influencer, opinionisti con un’unica opinione, che vorrebbero convincere gli italiani della bontà del massacro di Hamas contro i civili israeliani.
   Senza dimenticare quei politici nostrani che ancora invocano la fine del conflitto voluto da Hamas, riproponendo per l’ennesima volta la stantia soluzione “due stati per due popoli”, facendo finta di non sapere che il gruppo terroristico palestinese al potere nella Striscia di Gaza dal 2007, non vuole la pace, non vuole uno Stato ebraico, vuole esclusivamente la cancellazione di Israele dalla cartina geografica.

(Progetto Dreyfus, 24 ottobre 2023)

........................................................


I complici di Hamas

di David Elber

A distanza di quasi tre settimane dal massacro del 7 ottobre compiuto dai palestinesi di Hamas, e costato la vita ad oltre 1.400 persone, si possono tratteggiare le figure dei complici di questa organizzazione criminale islamo-nazista. La schiera dei complici è molto articolata e presente a molteplici livelli.
   In prima fila ci sono l’Iran e il Qatar, che sostengono militarmente (l’Iran) e finanziariamente (entrambe) l’organizzazione criminale. Da numerosi anni fanno pervenire armi di ogni genere a Gaza (con la compiacenza dell’Egitto) e pagano lautamente i suoi membri sia nella Striscia che all’estero. Il Qatar, inoltre, tramite la sua emittente televisiva Al Jazeera fornisce un formidabile strumento di propaganda e copertura mediatica, indispensabile per accusare Israele di crimini di ogni genere ogni qual volta si difende dagli attacchi palestinesi. Poco sotto a questi due Stati, ci sono la totalità degli Stati islamici, ad iniziare dalla Turchia, fintamente amici di Israele o apertamente nemici, che finanziano Hamas tramite una rete capillare di organizzazioni caritatevoli islamiche o di ONG che raccolgono fondi da svariati milioni di dollari all’anno.
   Non da meno di questo universo islamico, si inseriscono gli USA (tranne la presidenza Trump che pose un argine ai copiosi finanziamenti americani) e gli Stati europei (compresa la Russia) e asiatici (Cina in primis) che finanziano a loro volta Hamas con milioni di dollari annui anche se in modo indiretto e più subdolo. Il finanziamento avviene tramite varie agenzie ONU (UNWRA in testa) e numerosissime ONG “umanitarie” presenti a Gaza che permettono di fatto a Hamas di governare indisturbato offrendogli anche la struttura scolastica per coltivare tra i bambini palestinesi odio anti-ebraico fin dalla tenera età.
   Le ONG e le organizzazioni ONU forniscono anche il materiale (cemento, ferro ecc.) per costruire i tunnel e i centri di comando sotterranei poiché tutto ciò che entra a Gaza è controllato da Hamas, il quale sottrae gran parte dei materiali che servono a scopo civile, per i propri scopi bellici. Oltre a questo le ONG e le agenzie ONU si prestano sempre a essere delle casse di risonanza di Hamas, inventandosi crisi umanitarie inesistenti (basta leggersi i dati sulla crescita demografica) al fine di obbligare Israele a permettere il transito di quantità sempre maggiori di materiali di ogni genere. Inoltre, Israele, sempre a causa di pressioni politiche fomentate da queste organizzazioni, è costretto a fornire elettricità e acqua ai suoi aguzzini. Una consuetudine che non ha uguali al mondo.
   A questo scenario vanno aggiunte le costanti e umilianti pressioni politiche che tutto l’Occidente esercita nei confronti di Israele quando Hamas compie azioni terroristiche o eccidi come quello del 7 ottobre, affinché lo Stato ebraico non si difenda in modo adeguato. Esse avvengono per mezzo delle dichiarazioni di presidenti, ministri, alti rappresentanti della UE o delle Nazioni Unite, in merito alla risposta militare di Israele, giudicata immancabilmente come “sproporzionata”, o alla fittizia affermazione che Hamas non rappresenterebbe il popolo palestinese. Entriamo nel dettaglio. 
   Quando i politici all’unisono paventano presunte violazioni del diritto internazionale da parte di Israele tutte le volte in cui si difende, si esprimono in assoluta malafede. Israele non ha mai violato norme internazionali ma chi lo fa sistematicamente è Hamas che usa i civili come scudi umani. Porre sempre e unicamente Israele sotto il torchio delle pressioni politiche ha lo scopo di indebolirlo  e di delegittimarlo agli occhi dell’opinione pubblica. Nei media la sola presunzione di reato equivale alla condanna definitiva. Gli stessi politici che agiscono in questo modo non lo  fanno mai nei confronti di Hamas, al massimo si assiste, da parte loro, a condanne generiche senza alcun costrutto. Perché, invece, non vengono sospesi i copiosi aiuti finanziari anziché limitarsi a condanne inutili e ipocrite tutte le volte che hanno luogo attentati o stragi? Perché non viene mai messa in luce la sistematica violazione dei diritti umani compiuta da Hamas nei riguardi della propria popolazione oltre che nei confronti degli ebrei?
   L’altra faccia di questa strategia è l’assioma “Hamas non rappresenta il popolo palestinese”, e chi rappresenterebbe allora? Sono affermazioni paragonabili a chi sostiene che “i nazisti non rappresentavano il popolo tedesco”. Sicuramente il 100% dei tedeschi non erano nazisti, ma essi godevano di largo seguito,  esattamente come Hamas. Quando furono sconfitti, la popolazione civile tedesca fu coinvolta pesantemente nella guerra, ma nessuno a questo proposito considera le azioni degli alleati come rappresaglie o le considera esempi di uso “sproporzionato della forza”. Questi criteri valgono sempre e solo per Israele, con il chiaro intento di delegittimarlo.
   Il fatto che Hamas non rappresenti tutto il popolo palestinese è un’ovvietà, ma nel 2006 alle ultime elezioni amministrative svolte a Gaza, surclassò i rivali dell’Autorità Palestinese. Le elezioni, quindi furono annullate. Oggi, se si andasse a votare nei territori amministrati dai palestinesi, secondo tutti i sondaggi, Hamas vincerebbe con un ampio margine e per questo motivo non si sono più tenute nell’indifferenza della comunità internazionale.
   I politici di tutto il mondo fingono di non vedere questo scenario e vogliono convincere l’opinione pubblica che Hamas non rappresenti nessuno se non se stesso.
   Agendo in questo modo la classe politica occidentale è complice di Hamas perché nei fatti ne accetta il ruolo, lo sovvenziona e provvede a proteggerlo politicamente, mentre, al contempo, mette sotto accusa unicamente Israele per ogni presunta violazione. 
   Affinché  questo accada è indispensabile l’appoggio e la complicità dei giornalisti, soprattutto delle testate internazionali più prestigiose, a cominciare dalla BBC. Il lavoro che svolgono in questo senso offre uno scampolo ideale di fenomenologia della disinformazione.
   Per prima cosa si propongono come cassa di risonanza per la propaganda che Hamas attiva ad ogni conflitto. Non verificano mai la correttezza di quanto viene affermato, ben sapendo che Hamas non è attendibile come dimostrano anni di falsità sempre puntualmente smentite. Quando i fatti smentiscono le menzogne le rettifiche non finiscono mai in prima pagina ma sono relegate a striminziti comunicati in fondo ai notiziari (quando avvengono).
   A questa opera di propaganda vanno aggiunte consolidate “tecniche” di disinformazione utilizzate solamente per Israele. La prima è la consolidata tecnica di mettere sempre in primo piano la reazione di Israele rispetto agli attacchi che subisce. Molte volte si arriva a dare notizie dove si parla solo di reazione (che diventa rappresaglia) senza neanche menzionare il perché Israele si difenda. In questo modo la percezione dello spettatore o del lettore è che Israele aggredisce i palestinesi. Segue poi l’utilizzo distorto di termini come: “rappresaglia”, “occupazione illegale”, “uso sproporzionato della forza” e via dicendo. In questo modo l’opinione pubblica è portata a pensare che Israele sia ontologicamente criminale. Mai un accenno, invece, all’utilizzo dei civili da parte di Hamas come scudi umani, oppure del suo sprezzo totale per i più elementari diritti civili e politici, o del fatto che si sia arricchito con gli aiuti internazionali mentre la popolazione è tenuta volontariamente in povertà per farne il suo braccio armato. Viene offerto in questo modo un totale sostegno al vittimismo palestinese che porta l’opinione pubblica a giustificare le azioni più aberranti come quella compiuta il 7 ottobre.
   Un’altra costante dei mass media è quella di enumerare le vittime civili delle due parti per far credere che chi subisce più vittime civili è dalla parte della ragione. In tal senso, nella stampa, non vi è mai una spiegazione accurata del fatto che Israele fa di tutto per proteggere i propri civili e quelli palestinesi, mentre Hamas fa di tutto per esporli ai pericoli della guerra. In questo modo i palestinesi sono sempre le vittime e gli israeliani sempre i carnefici o gli oppressori.
   Quanto descritto vale, ormai, anche per il conflitto in corso, dove si mostrano i danni causati a Gaza dalle azioni militari israeliane ma non viene detto che questa guerra è stata causata, ancora una volta, dai palestinesi. Il colpevole, per i media, è Hamas (nella sua accezione astratta) ma non i palestinesi che ora subiscono la “ritorsione” di Israele, in questo modo Israele è sempre messo sul banco degli imputati.
   Tale metodo è utilizzato, anche, per la scelta degli “esperti” o degli intellettuali ospitati nei talkshow o intervistati sui giornali. Si ha, nella stragrande maggioranza dei casi, una visione criminale di Israele che lascia senza fiato. Ma perché vengono scelti certi “esperti” e non altri? Semplice. Perché i media sanno già cosa diranno e vogliono sentirsi dire proprio le cose che udiranno.
   L’ultimo anello di questa complicità è rappresentato dalla gente comune che utilizza i social media per diffondere notizie false, immagini di edifici distrutti (molte volte anche di conflitti vecchi) o di palestinesi disperati che hanno perso tutto, acriticamente senza neanche capire che così si trasformano a loro volta in strumenti della propaganda palestinese di Hamas.
   Prendiamo solo l’ultimo caso, quello dell’ospedale colpito per errore a Gaza. Nel giro di poche ore sono stati inondati i social con le immagini dell’ospedale in fiamme corredandole con la pesante accusa che fosse stato Israele a colpirlo. Si parlava di 500 morti, una strage che veniva comparata a quella fatta da Hamas. Israele, per fortuna, ci ha messo poche ore a dimostrare che non aveva nulla a che fare con la tragedia. Poi si è scoperto che l’ospedale era stato colpito solo marginalmente da un razzo lanciato da Hamas dall’interno della Striscia. Il razzo palestinese aveva colpito il parcheggio dell’ospedale causando un decimo delle vittime dichiarate.
   Si tratta degli stessi organi di stampa che non hanno mai pubblicato le foto delle vittime israeliane o degli ostaggi. Perché questa differenza? Semplicemente perché tantissime persone sono così condizionate dal giudizio negativo che i media danno di Israele che tutto ciò che può, in qualche modo, combaciare con l’idea preconcetta che Israele è un paese criminale, viene accettato supinamente. Questo è il risultato di anni di deformazione della realtà  di una vasta rete di complicità diffusa di cui abbiamo dato conto.    

(L'informale, 26 ottobre 2023)

........................................................


Hamas gode di un ampio sostegno nella Striscia di Gaza

Tutte le informazioni disponibili indicano che circa il 60% della popolazione della Striscia di Gaza sostiene Hamas e la sua lotta armata contro Israele

di Yishai Armoni 

Una manifestazione di Hamas a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, il 27 ottobre 2022. foto di Abed Rahim Khatib/Flash90.
   Sebbene si sostenga che la maggioranza della popolazione di Gaza voglia la pace e sia prigioniera di Hamas, i dati e le prove raccolte negli ultimi due decenni dimostrano costantemente il contrario. Hamas gode di un ampio sostegno tra la popolazione civile di Gaza, che l'ha votato al potere e probabilmente lo rifarebbe. Questo sostegno si riflette non solo nei sondaggi di opinione, ma anche nella partecipazione attiva agli attacchi di Hamas.
   Nelle elezioni parlamentari palestinesi del 2006, le ultime tenutesi anche a Gaza, Hamas ha conquistato 76 dei 132 seggi del Consiglio legislativo palestinese. Dei 24 seggi che si sono tenuti a Gaza, Hamas ne ha conquistati 15 (62%). Dopo il rifiuto di Fatah di riconoscere i risultati di queste elezioni, Hamas ha preso con la forza il controllo di Gaza nel 2007, dove da allora non si sono più tenute elezioni generali. Tuttavia, i sondaggi d'opinione condotti negli ultimi anni mostrano che la popolazione di Gaza continua a sostenere Hamas.
   In media, nei sondaggi condotti dal Palestinian Center for Policy and Survey Research (PCPSR) nel 2022, circa il 60% dei residenti di Gaza ha sostenuto la "lotta armata" (cioè gli attacchi terroristici) contro Israele, rispetto a circa il 40-50% dei residenti della Cisgiordania. Nel marzo 2023, il sostegno alla lotta armata tra i residenti di Gaza è salito al 68%.
   Lo stesso sondaggio ha rilevato che in un'ipotetica elezione tra il presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas e il leader di Hamas Ismail Haniyeh, il 61% dei residenti di Gaza sosterrebbe Haniyeh, mentre solo il 35% voterebbe per Abbas. In un'ipotetica elezione parlamentare, il 45% voterebbe per Hamas, il 32% per Fatah di Abbas e il resto per altri partiti.
   In un sondaggio del PCPSR del giugno 2023, il sostegno a Haniyeh è salito al 65% rispetto al 30% di Abbas, mentre il sostegno alla lotta armata si è attestato al 64%. In questo sondaggio, il 38% degli abitanti di Gaza riteneva che l'ascesa di movimenti islamici armati come Hamas e la Jihad islamica palestinese e la loro lotta armata contro Israele fosse la cosa migliore accaduta al popolo palestinese negli ultimi 75 anni (rispetto al 16% della cosiddetta Cisgiordania, cioè più del doppio).
   Dopo il massacro del 7 ottobre, ondate di civili da Gaza sono entrate in Israele e hanno partecipato al pogrom. Le riprese di una telecamera di sorveglianza del kibbutz Be'eri mostrano una folla di civili di Gaza che entra nel kibbutz e lo saccheggia. I civili di Gaza sono stati coinvolti anche nella seconda ondata di rapimenti di civili israeliani nella Striscia di Gaza. L'alto dirigente di Hamas Saleh al-Arouri ha affermato in un'intervista ad Al Jazeera del 12 ottobre che le persone che hanno rapito donne e bambini a Gaza non erano agenti di Hamas ma "normali civili di Gaza".
   I giornalisti locali a Gaza riferiscono di un ampio sostegno pubblico ai massacri di Hamas. Hind Khoudary, un giornalista di Gaza, ha dichiarato a The Christian Science Monitor: "Sarà anche contro il diritto internazionale, ma per la prima volta i palestinesi qui a Gaza non si sentono impotenti". Anche il giornalista Ahmed Dremly ha descritto un "senso di euforia" dopo gli eventi.
   Tutte le informazioni disponibili indicano che circa il 60% della popolazione di Gaza sostiene Hamas e la sua lotta armata contro Israele. Questo sostegno si esprime sia nei sondaggi che nella partecipazione attiva alle azioni terroristiche dell'organizzazione. Si può concludere che l'affermazione secondo cui esisterebbe una chiara demarcazione ideologica o politica tra la maggioranza dei residenti di Gaza e Hamas è completamente infondata.
   Quanto sopra non intende accomunare i civili di Gaza non coinvolti con i terroristi di Hamas, indipendentemente dal fatto che tali civili sostengano o meno Hamas nel contesto della guerra in corso da parte di Israele contro il gruppo terroristico. Il diritto internazionale fa una chiara distinzione tra i civili non coinvolti e quelli che partecipano alle attività militari. Tuttavia, sia per quanto riguarda le decisioni sull'azione militare sia per quanto riguarda gli accordi post-bellici a Gaza, è importante avere un quadro preciso della situazione.

(Israel Heute, 27 ottobre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


Parashà di Lekh Lekhà: Benedetti o innestati?

di Donato Grosser

La parashà  inizia con queste parole: “L’Eterno disse ad Avraham: Vattene dal tuo paese e dal tuo parentado e dalla casa di tuo padre, nel paese che io ti mostrerò; e io farò di te una grande nazione e ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione;  e benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà e in te saranno benedette (ve-nivrekhù bekhà) tutte le famiglie della terra” (Bereshìt, 12: 1-3) .
            R. Joseph Pacifici (Firenze, 1928-2021, Modiin Illit) in Hearòt ve-He’aròt (P. 11) commenta che paese, parentado e casa paterna sono le tre cose dalle quali è più difficili separarsi. Tuttavia qualche volta è necessario farlo al fine di progredire con la Torà e le mitzvòt.  
            R. Gedalià Schorr (Polonia, 1910-1979, Brooklyn) in Or Gedalyahu (p. 21) cita un Midràsh  dove è detto che da quello che è scritto nella Torà alla fine della parashà di Noach, che Terach, il padre di Avraham, morì a Charàn, si impara che Avraham divenne una creazione nuova, indipendente da suo padre. Questa nuova esistenza ebbe inizio quando Avraham, a seguito della sua ribellione contro l’idolatria imperante in Babilonia, fu condannato dal re Nimrod a morire in una fornace dalla quale uscì miracolosamente vivo. Da quel momento Avraham divenne una creatura nuova senza più legami con il suo passato.
            R. Schorr cita i maestri nel Talmud (Chaghigà, 3a) che insegnano che Avraham fu l’inizio dei gherìm (proseliti). E questo, afferma r. Schorr, non è un semplice racconto storico. Quello che i maestri intendono insegnare è che il proselitismo (gherùt) fu un’innovazione di Avraham. È la forza di sradicarsi dalla propria origine genealogica e di farsi parte del popolo Israele. Così infatti dissero i maestri: un proselita è come un neonato che non ha più nessun legame con il suo passato. Avraham con il suo esempio diede forza a tutte le generazioni che lo seguirono. Così ognuno di noi ha la capacità di iniziare una nuova vita, diversa dal passato. 
            R. Schorr cita Rashbam (Francia, c1085- dopo l’anno 1158) cioè r. Shemuel ben Meir, nipote di Rashì, che commenta il versetto in cui è scritto: “In te saranno benedette tutte le famiglie della terra”. Nel testo “e saranno benedette” è scritto: ve-nivrekhù dalla radice brkh, benedire. Rashbam fa notare che questa radice è comune al verbo “lehavrìkh” che significa innestare, come si fa con gli alberi ai quali si innesta una ramo di un altro albero più giovane. Questo significa che in questo modo venne data la possibilità a tutte le famiglie della terra  di innestarsi nell’albero genealogico del nostro patriarca Avraham. Per questo anche i gherìm quando recitano la tefillà dicono “Dio di Avraham”, perché derivano da lui. 
            R. Schorr cita anche r. Yitzchak Meir Rotenberg-Alter (Polonia, 1799-1866), il primo rebbe della dinastia chassidica di Gur. Alle parole “Io farò di te una grande nazione” usando il verbo “fare”, il rebbe commentò che Avraham fu fatto a nuovo. Da lui sarebbe venuto un grande popolo e, grazie a lui,  ogni individuo israelita ha una parte del nostro patriarca Avraham. Questa parte, questa “nekudà”  (punto) non può essere mai rovinata. Per questo nella prima benedizione della ‘amidà, concludiamo con le parole “scudo di Avraham”. Questo “punto” di Avraham che è in ognuno di noi ci da’ la forza di resistere ad ogni prova.   

(Shalom, 27 ottobre 2023)
____________________

Parashà della settimana: Lech Lechà (Va')

........................................................


Questa terra è la mia terra

In questi tempi di drammatica contesa intorno alla terra che Dio ha destinato al popolo ebraico, ripresentiamo un prezioso libretto tradotto e stampato da EDIPI più di dieci anni fa. Riportiamo le parole di presentazione del sito dell’associazione e le presentazioni che si trovano sul libro. NsI

Questo prezioso libretto, scritto da Elie E. Hertz, proprietario e curatore di Myths and Fact, è molto importante per una corretta informazione sul Medio Oriente e, in primo luogo, sul conflitto arabo/israeliano/palestinese.
L’opera, tradotta in italiano da Eunice Randall Diprose e pubblicata da EDIPI - Associazione Evangelici d’Italia per Israele – spiega, in modo esaustivo e con linguaggio chiaro, il legame degli Ebrei con la loro Terra di origine, le motivazioni non solo storico-religiose, ma anche giuridiche sulle quali si fonda la legittimazione dello Stato ebraico.
Come ha spiegato il prof. Marcello Cicchese durante la presentazione avvenuta il 22 settembre 2011 al Palazzo della Cultura Ebraica in Roma, questo testo in italiano è particolarmente rilevante perché:

  1. chiarisce che il problema mediorientale trova la sua base negli avvenimenti successivi alla Prima Guerra Mondiale: Dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917 e successiva Risoluzione di San Remo del 1920 (“Conferenza di pace” che si svolse dal 19 al 26 aprile di quell’anno) nella quale si decise di conferire alla Gran Bretagna il Mandato per la Palestina, con il preciso compito di dare esecuzione a quella Dichiarazione di circa tre anni prima, con cui la Gran Bretagna si era dichiarata favorevole alla costituzione in Palestina di una national home per gli Ebrei. La Risoluzione adottata fu, in seguito, ratificata dalla Lega delle Nazioni nel 1922 e può essere dunque considerata come il primo riconoscimento ufficiale del costituendo Stato di Israele
  2. pone l’accento, come detto, sugli aspetti giuridici – e non solo politici e religiosi - del problema poiché esamina i fondamenti di Diritto internazionale sui quali sono state adottate le decisioni fondamentali
  3. vede la luce in un momento in cui, oltre a ciò che ho scritto in apertura, è in corso da troppo tempo una campagna internazionale di delegittimazione, ad ogni livello, dello Stato di Israele.

-------

PRESENTAZIONE
di Ivan Basana
Presidente di Evangelici d'Italia per Israele

Giusto un anno fa presi l'impegno di pubblicare in italiano questo libro di Eli Hertz come primo risultato di un ravvedimento nazionale conseguente alla richiesta di perdono a Dio per un patto non mantenuto.
La rimozione del contenzioso spirituale e il proposito di riparazione che ne è emerso ci ha reso consapevoli del mandato affidatoci (Ester 4:14).
Il mancato adempimento della Prima Dichiarazione di Sanremo verso una risoluzione chiaramente e dettagliatamente indicata conferma il giudizio divino sulle nazioni coinvolte:
“… le chiamerò in giudizio a proposito della mia eredità, il popolo d'lsraele, che esse hanno disperso tra le nazioni, e del mio paese, che hanno spartito fra di loro” (Gioele 3:2).
A titolo di riparazione la Seconda Dichiarazione di Sanremo del 25 Aprile 2010 opera per garantire la piena attuazione della Risoluzione di Sanremo del 25 Aprile 1920 come stabilisce la legge internazionale.
La massima diffusione di questa pubblicazione è finalizzata al conseguimento di questo obiettivo.
Padova 25 aprile 2011

* * *

INTRODUZIONE
di Eli E. Hertz

Vi siete mai chiesti perché durante il trentennio fra il 1917 e il 1947 migliaia di ebrei in tutto il mondo si svegliarono una mattina e decisero di lasciare le proprie abitazioni per andarsene in Palestina? La maggior parte lo fece perché aveva sentito dire che in Palestina si stava per fondare una Patria Nazionale per il popolo ebraico, sulla base di un obbligo imposto dalla Società delle Nazioni nel documento Mandato per la Palestina.
Il Mandato per la Palestina, un documento storico della Società delle Nazioni, affermava il diritto legale degli ebrei di stanziarsi in qualunque parte della Palestina occidentale, fra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo, un diritto che rimane inalterato nel diritto internazionale.
Il Mandato per la Palestina non costituiva un'ingenua concezione abbracciata per un breve lasso di tempo dalla comunità internazionale. I cinquantuno paesi membro, cioè tutta la Società delle Nazioni, dichiarò all'unanimità il 24 Luglio 1922:
"Poiché è stato dato riconoscimento al legame storico del popolo ebraico con la Palestina e ai presupposti per ricostituire la loro patria nazionale in quel paese."
È importante sottolineare che la stessa Società delle Nazioni garantiva i diritti politici all'auto-determinazione come popolo agli Arabi in altri quattro mandati - in Libano e in Siria (il Mandato Francese), in Iraq, e successivamente nella Transgiordania (il Mandato Britannico).
Qualsiasi tentativo di negare il diritto del popolo ebraico alla Palestina - Eretz-lsrael, e negargli l'accesso e il controllo nell'area destinatagli dalla Società delle Nazioni, costituisce una grave violazione del diritto internazionale.
La visione della Road Map, come le continue pressioni del Quartetto (Stati Uniti, Unione Europea, ONU e Russia) a rinunciare a parti Di Eretz Israel, sono contrarie al diritto internazionale che invita fermamente a  incoraggiare… lo stanziamento concentrato degli ebrei sul territorio, compresi i territori demaniali e le aree incolte non richieste per scopi pubblici. Il mandatario aveva neanche l’obbligo di controllare che nessun territorio palestinese venga ceduto o affittato, o in alcun modo posto sotto il controllo del governo di alcuna potenza straniera.
Nel tentativo di stabilire la pace fra lo stato ebraico e i suoi vicini arabi, le nazioni del mondo dovrebbero ricordare chi ha la legittima sovranità su questo territorio con i suoi diritti ancorati al diritto internazionale, validi ancora oggi: la Nazione Ebraica.
E in sostegno del popolo ebraico, mi sono seduto e ho scritto questo volumetto.

* * *

PREFAZIONE
di Ugo Volli

Uno dei maggiori paradossi di Israele è questo: non esiste stato al mondo che sia nato sulla base di riconoscimenti giuridici altrettanto validi e cogenti; non esiste popolazione che abbia una pretesa statale più antica sul suo territorio, basata su una continuità culturale, linguistica e religiosa, anche lontanamente paragonabile alla sua. Ma non esiste stato nel mondo contemporaneo la cui esistenza sia stata altrettanto negata, il cui diritto alla vita sia stato così minacciato, altrettanto boicottato, attaccato, e rifiutato, non solo sul piano militare, economico e politico ma anche su quello legale e diplomatico.
   Per questa ragione è necessario continuare a spiegare le ragioni del buon diritto di Israele sulla sua terra.
   Questo buon diritto ha molti aspetti.
   E' un dato storico e antropologico, basato sulla storia antica del popolo di Israele, che tremila anni fa ha fondato il primo stato unitario e autonomo nella terra fra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo, l'ha retta per più di mille anni sia pur fra invasioni, esili imposti, sottomissioni agli imperi che si sono succeduti nella regione, e vi è rimasto attaccato culturalmente e nei limiti del possibile anche come residenza nei secoli che sono succeduti alla distruzione di Gerusalemme da parte dei Romani, senza perdere mai il senso della sua appartenenza a quelle terre.
   E' un dato politico e militare, perché lo stato di Israele è stato ininterrottamente attaccato con le armi degli eserciti e del terrorismo per tutti i settantun anni della sua esistenza e anche prima, quando era solo un insediamento.
   E' un dato morale e ancora politico, perché esso deriva dal diritto all’autodeterminazione del popolo ebraico, sottoposto da secoli alle persecuzioni tanto in Europa che nel mondo musulmano. Solo l'esistenza di uno stato può garantire il diritto alla sopravvivenza degli ebrei, ancora oggetto di odio antisemita anche nei paesi dove già sono stati oggetto di pogrom, espulsioni e genocidi.
   Per molti può essere un dato teologico, radicato nel patto della Bibbia. Ma è anche un dato giuridico, ben radicato nel diritto internazionale.
   Il merito principale di questo testo è di esporre con chiarezza i termini del percorso legale che costituisce il fondamento del diritto di Israele alla propria statualità.
   Di solito si pensa che questo fondamento sia costituito dalla deliberazione 181/II dell'Assemblea della Nazioni Unite che il 29 novembre 1947 approvò la spartizione del mandato britannico di Palestina in due stati, uno ebraico e uno arabo.
   Come è noto, l'Agenzia Ebraica, che fungeva da organo rappresentativo del popolo ebraico insediato nel Mandato, insieme all'Organizzazione Sionistica Internazionale che comprendeva anche gli ebrei della diaspora, accettò questo piano di spartizione, nonostante l'evidente svantaggio delle mappe stabilite dalla commissione UNSCOP dell'Onu, La Lega Araba e gli Stati che la costituivano invece la rifiutarono e iniziarono subito delle operazioni belliche che divennero una guerra vera e propria al momento della proclamazione dello stato di Israele, il 14 maggio 1948. La guerra di cinque eserciti arabi ben armati e organizzati (Egitto, Siria, Irak, Giordania, Libano) contro un popolo molto meno numeroso che doveva ancora costituire i propri organi statali fu all'inizio estremamente difficile, ma poi si concluse a luglio 1949 con una chiara vittoria israeliana, che riuscì a liberare un territorio più vasto di quello inizialmente attribuito. Non ci fu un trattato di pace, ma solo degli accordi armistiziali, che esplicitamente negavano il riconoscimento cli confini internazionali a quelle linee di armistizio (che poi sarebbero state definite impropriamente i confini del '67).
   Israele comunque trae la legittimità del suo territorio non solo dalla deliberazione dell'Onu ma dall'averlo ottenuto resistendo all’aggressione genocida di questa guerra e di quelle che vennero in seguito.
   Ma questa legittimazione, che pure è più forte di quella di quasi tutti gli altri stati esistenti, non è quella originaria che giustifica l'esistenza dello Stato di Israele. Ce n'è una di trent'anni più vecchia, che è il vero fondamento del diritto del popolo ebraico a costituire il suo stato sul territorio dell'antico regno di Giudea. Si tratta del processo delle decisioni internazionali che portarono alla costituzione del mandato britannico nella regione geografica che nella terminologia europea del tempo (non in quella araba o turca) era chiamata Palestina.
   Si tratta di una delle numerose decisioni che accompagnarono la fine della Prima Guerra Mondiale, con il crollo di antichi stati multinazionali come l'impero asburgico, quello russo e quello ottomano. Un'immensa area, piena di intricate mescolanze etniche e culturali, doveva essere sistemata in stati nazionali.
   Nacquero o rinacquero allora l'Ungheria, la Cecoslovacchia , ma anche la Finlandia, l'Arabia, per una breve stagione l'Armenia e si sistemarono anche le carte dei mandati che definirono i futuri stati arabi come Siria, Libano, Iraq. Furono fatte divisioni certamente arbitrarie e influenzate dagli interessi coloniali di Francia e Gran Bretagna, ma le alternative non erano per nulla evidenti né facili da attuare, che si trattasse di altri stati e confini, di un impero arabo che certamente si sarebbe presto frammentato per l'assenza di una forza egemone, o di federazioni di tribù. In questo gigantesco rimescolamento di carte si decise di accettare la richiesta del popolo ebraico della ricostituzione della sua patria. Non era una richiesta astratta o solo politica e neppure solo motivata dalle sofferenze inflitte dall'antisemitismo agli ebrei del vecchio impero russo.
   Alla fine della prima guerra mondiale, ai vecchi residenti di Gerusalemme si era già aggiunta progressivamente a partire da oltre cinquant'anni un'immigrazione che aveva comprato e risanato terre, rinnovato l'agricoltura, restaurato la lingua ebraica, fondato un sistema scolastico che presto avrebbe raggiunto il livello universitario, costruito città, sviluppato istituzioni.
   A questo mondo dinamico e determinato la Gran Bretagna nel 1917 con la dichiarazione Balfour promise la costituzione di una national bome, cioè di una patria, di qualcosa che doveva trasformarsi in uno stato. Questa promessa fu recepita nei trattati del dopoguerra, prima con la Conferenza di San Remo (19-26 aprile 1920), tenuta dalla potenze vincitrici per definire l'asseto della regione e poi soprattutto dalla delibera della Società delle Nazioni (l'ONU dell'epoca) approvata all'unanimità da 51 paesi il 24 luglio 1922 che istituiva il mandato britannico di Palestina con lo scopo preciso di favorire l'immigrazione e l'insediamento ebraico nel mandato, con il fine cioè di costituire una patria per il popolo ebraico. Il territorio coinvolto era quello dell'attuale Israele (inclusa Giudea e Samaria) più ciò che oggi è la Giordania.
   Il governo inglese tradì poi il suo impegno, convincendosi progressivamente di avere la convenienza a favorire l'antisemitismo arabo. Per esempio separò il territorio a Est del Giordano, facendone uno stato a parte per la popolazione araba e poi cercò di suddividere ciò che restava o di assegnare tutto agli arabi. Ma questo non modificò affatto la scelta giuridica compiuta a Sanremo e poi alla Società delle Nazioni, nel momento fondativo della geopolitica del mondo moderno, di consentire al popolo ebraico la ricostruzione della sua patria.
   Questo impegno è stato ripreso legalmente dall'Articolo 80 della carta fondativa delle Nazioni Unite ed è ancora pienamente in vigore, dando a Israele una legittimità che nessun altro stato al mondo può rivendicare.
   Tutti questi sviluppi sono ignorati dal giornalismo e dalla politica progressista, che attribuisce alla Palestina (intesa impropriamente e antìstoricamente come entità araba) un diritto alla statualità che contrasta totalmente con i deliberati che ho citato e con il diritto, sulla base di una scelta politica storicamente e giuridicamente ingiustificata, come quella fatta dalla Gran Bretagna, al costo per esempio di sacrificare milioni di ebrei europei alla ferocia nazista, impedendo loro l'immigrazione nel mandato, che pure era stato costituito proprio per favorirla.
   Per questo il libro di Eli Hertz, chiarissimo e ben documentato, è importante e andrebbe diffuso: perché rimette la questione del conflitto fra Israele e i gruppi arabi che lo combattono nei suoi giusti termini politici e legali.
   E di questo c'è moltissimo bisogno.

* * *

PREFAZIONE
di Rinaldo Diprose

Il genere di libro a cui appartiene Questa terra è la mia terra, è tanto raro quanto necessario, nel tempo in cui viviamo. Si fa presto ad esprimere la propria opinione, anche su questioni di portata epocale, ma quando un'opinione è senza fondamento nei fatti, ciò che viene propagandato è un mito, non un fatto. Purtroppo perfino in un ambito come l'ONU si tende a dare credito a chi riesce a far valere la propria opinione o pregiudizio, a prescindere dalla fondatezza di ciò che si afferma.
   Scrivere nella maniera che Eli Hertz fa in questo libro richiede fatica e una disciplina ferrea. L'autore non solo fa un ampio uso di documenti ufficiali, mette in appendice il testo completo di quelli principali di modo che il lettore possa controllare l'esattezza del quadro che ne emerge. La sua sobrietà è evidente anche nella scarsità di commento: sono i fatti che parlano.
   Il motto di Hertz, in tutte le pubblicazioni della collana Miti e Fatti è:
   Sebbene la verità non vinca sempre, la verità è sempre giusta. Aggiungerei che ciò che non è vero contribuirà inevitabilmente alla rovina dell'umanità. Facendo ricorso alla documentazione ufficiale del caso, in particolare a quanto è stato sancito dalla legge internazionale, Hertz fa parlare i fatti. Secondo questi fatti, lo stato di Israele ha lo stesso diritto di esistere, in un territorio che va dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo, che hanno la Giordania, la Siria, l'Iraq e l'Iran.
   La questione affrontata in questo volumetto è di un'attualità impressionante. Nabil Shaarh, capo del dipartimento degli Affari Esteri di Farah, il partito di maggioranza dell'Autorità Palestinese, afferma che, nel caso che Israele non cessi ogni attività di costruzione in quelli che egli chiama i territori occupati, l'Autorità Palestinese cercherà l'appoggio dell'ONU perché venga riconosciuto uno stato Palestinese in Settembre di quest'anno. Anche la diplomazia internazionale sembra contemplare una tale azione unilaterale, senza aspettare il consenso di Israele. Se ciò avvenisse, agli occhi di un mondo poco propenso ad accertarsi dei fatti, ogni attività di Israele in Samaria, Giudea nonché in Gerusalemme Est, risulterebbe illegale, nonostante gli organi internazionali abbiano assegnato tutti questi territori a Israele in modo definitivo.
   Anche se l'avvallo dell'ONU non ha valore vincolante quando esso diverge dalla legge internazionale, questa prospettiva dovrebbe preoccupare chi ha a cuore la stabilità delle nazioni e il futuro della giustizia. Per chi ritiene vincolante il patto che Dio fece con Abraamo, Isacco e Giacobbe (si veda Salmo 105:7-11), la posta in gioco appare ben più importante.
   Quindi raccomando caldamente un'ampia diffusione di questo libro documento.

* * *

PREAMBOLO
di Marcello Cicchese

Il lavoro di questo libro si svolge in un quadro interamente laico. Non ci sono riferimenti biblici, se non indirettamente, nel fatto che vuole portare argomenti a sostegno della verità. E la discussione sulla verità, quando ha come oggetto Israele, diventa sempre di interesse biblico. Sarà bene allora che nel leggere questo libro, chi crede nella Bibbia come Parola di Dio tenga presenti i collegamenti che si possono trovare tra questo lavoro e il testo biblico.
   Si può cominciare dalla distruzione del primo Tempio di Gerusalemme, che non è soltanto un increscioso incidente di percorso nella storia del popolo di Dio, ma ha il valore di una cesura epocale. Da quel momento cessa infatti il regime teocratico centrato su Israele e cominciano i tempi dei gentili, durante i quali Dio continua a prendersi cura del suo popolo e a proteggerne l'esistenza, ma lo fa in maniera diversa da prima. Non ordina più guerre sante e non cerca un nuovo Mosè a cui affidare il compito della riconquista del paese, ma desta lo spirito di un monarca pagano, Ciro re di Persia. A lui, non a un membro del suo popolo, il Signore si rivolge con un ordine preciso: gli ordina di edificargli una casa a Gerusalemme. Strano ordine per un ignorante pagano. Lo sprovveduto re non può far altro che spingere gli esiliati ebrei del suo impero ad eseguire il compito che il Signore aveva affidato a lui: riedificare il Tempio di Gerusalemme. Ed emette a questo scopo il ben noto editto di Ciro:

    Così dice Ciro, redi Persia: L’Eterno, il Dio dei cieli, mi ha dato tutti i regni della terra, ed egli mi ha comandato di edificargli una casa a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque tra voi è del suo popolo, sia il suo Dio con lui, e salga a Gerusalemme, che è in Giuda, ed edifichi la casa dell'Eterno, dell'Iddio d'Israele, del Dio che è a Gerusalemme (Esdra 2:2-3).

I giudei cominciarono dunque a riedificare la casa di Dio a Gerusalemme, ma ben presto il lavoro trovò forti ostacoli negli abitanti della zona, che la Bibbia chiama i nemici di Giuda (Esdra 4: 1). Così il lavoro fu interrotto per diversi anni e non fu portato a compimento sotto il regno di Ciro. Ma durante il regno del suo successore, Dario re di Persia, i giudei, sospinti dai profeti Aggeo e Zaccaria, ripresero i lavori di edificazione della casa di Dio. A questo punto però i nemici di Giuda sollevarono una questione giuridica portando obiezioni di carattere legale: dicevano che le autorità persiane non avevano mai autorizzato la riedificazione di quella costruzione e quindi i giudei stavano operando contro il diritto internazionale di quel tempo. E minacciosamente pretesero di avere i nomi dei responsabili per poterli denunciare davanti alle autorità. I giudei invece sostenevano di essere nel loro pieno diritto, perché anni prima avevano ricevuto una specifica autorizzazione dal re Ciro attraverso la promulgazione del famoso editto. I nemici di Giuda però non erano convinti e inviarono una lettera al re Dario chiedendo che si facessero ricerche per accertare se fosse proprio vero che era stato dato un simile ordine. Ottennero quello che chiedevano, ma col risultato opposto a quello che speravano.

    Allora il re Dario ordinò che si facessero delle ricerche negli archivi, dove erano conservati i tesori a Babilonia; e nel castello di Ameta, situato nella provincia di Media, si trovò un rotolo, nel quale stava scritto così: "Memoria. - Il primo anno del re Ciro, il re Ciro ha pubblicato questo editto, concernente la casa di Dio a Gerusalemme: La casa sia ricostruita per essere un luogo dove si offrono sacrifici; e le fondamenta che verranno poste, siano solide …” (Esdra 6:1-3).

Il lavoro dunque fu ripreso nella piena osservanza del diritto internazionale allora vigente. E i giudei ringraziarono il Signore che aveva piegato in loro favore il cuore del re d'Assiria (Esdra 6:22).
   Si possono fare interessanti paragoni tra questi fatti storici presentati nella Bibbia e la situazione odierna.
   Nel VI secolo a.C. la terra d'Israele era occupata dall'Impero Babilonese e gli ebrei erano in dispersione. Dio operò a favore del suo popolo facendo sconfiggere Babilonia dalla Persia e destando lo spirito (2 Cronache 36:22) del suo re, che promulgò un editto in cui invitava coloro che erano del suo popolo a salire a Gerusalemme e a ricostruirvi la casa di Dio.
   Nel XX secolo d.C. la terra d'Israele era occupata dall'Impero ottomano e gli ebrei erano in dispersione. Dio ha operato in favore del suo popolo facendo sconfiggere il sultano ottomano da un nuovo re di Persia rappresentato dalle potenze vincitrici della Prima Guerra Mondiale.
   Il corrispondente dell'editto di Ciro può essere visto nel cosiddetto “Mandato per la Palestina”, elaborato nella Risoluzione cli Sanremo del 1920 e successivamente approvato all'unanimità dal Consiglio della Società delle Nazioni nella riunione del 1922.
   Nel testo che dispone questo Mandato si trova scritto:

... le principali Potenze Alleate si sono anche accordate che il Mandatario debba essere responsabile per dare effetto alla dichiarazione originalmente fatta il 2 Novembre 1917 dal Governo di Sua Maestà Britannica e adottata dalle dette potenze, in favore della costituzione in Palestina di una nazione per il popolo ebraico ...

E a giustificazione di questa decisione viene aggiunto:
... con ciò è stato dato riconoscimento alla connessione storica del popolo ebraico con la Palestina e alle basi per ricostituire la loro nazione in quel paese ...
Queste parole sono di importanza capitale, perché per nessun'altra nazione nata in Medio Oriente dopo la Grande Guerra si possono dire le stesse cose. Come a suo tempo fece il re di Persia dopo la vittoria sull'Impero babilonese, così hanno fatto nel secolo scorso le Potenze Alleate dopo la vittoria sull'Impero ottomano: hanno riconosciuto la connessione storica tra il popolo ebraico e quella particolare terra con centro in Gerusalemme. Nel caso attuale, questo significa che la connessione storica precede i fatti avvenuti nella Prima Guerra Mondiale, e non è stata determinata, ma soltanto riconosciuta dalle nazioni.
   La nazione ebraica non è dunque un'invenzione delle Potenze Alleate, tanto meno una concessione delle Nazioni Unite, ma è stata riconosciuta dalle nazioni vincitrici come appartenente storicamente, su quella terra, al popolo ebraico.
   Molto interessante è anche un particolare articolo di questo Mandato:

    Articolo 6 - L’Amministrazione della Palestina [ ... ] faciliterà l'immigrazione ebrea sotto condizioni appropriate e incoraggerà, in cooperazione con l'agenzia ebraica indicata nell'Articolo 4, la prossima sistemazione degli ebrei sulla terra ...

Gli ebrei dunque dovevano essere incoraggiati e aiutati dal Mandatario a sistemarsi su quella terra. Questo può essere paragonato all'invito, sopra ricordato, che fece la potenza vincitrice persiana agli ebrei di quel tempo:

    Chiunque tra voi è del suo popolo, sia il suo Dio con lui, e salga a Gerusalemme, che è in Giuda, ed edifichi la casa dell'Eterno.

Nel caso attuale vediamo le Potenze Alleate vincitrici della Prima Guerra mondiale invitare gli ebrei a trasferirsi in Israele per costruirvi la nazione ebraica.
   Il paragone può essere spinto più avanti. Come allora i nemici di Giuda, così oggi i nemici di Israele continuano a sollevare obiezioni di carattere giuridico: Voi ebrei non avete alcun diritto di stabilire la vostra nazione in questo paese - dicono - i vostri insediamenti sono illegali; state edificando su territori occupati. Tutto questo è falso. Lo Stato d'Israele ha tutti i diritti legali internazionali per risiedere su quella terra; ed è soltanto per colpevole ignoranza o voluta mistificazione che questa realtà continua ad essere ignorata o negata.
   La stesura di questo libro può dunque essere paragonata allo svolgimento del compito ordinato dal re Dario quando i nemici di Giuda misero in dubbio la legalità del lavoro di ricostruzione della casa di Dio a Gerusalemme. E' una ricerca attenta, analitica ed esauriente dei documenti che attestano la piena legalità, sul piano del diritto internazionale, della presenza dello Stato ebraico su quella terra.
   Tutto questo è di grandissima utilità, perché le accuse più gravi e insistenti che si rivolgono a Israele sono di carattere giuridico. E' dunque su questo piano che deve essere svolta la sua principale difesa, più che su generici moralismi o considerazioni di sicurezza o convenienze politiche. Ed è appunto su questo piano che si svolge la puntuale e meticolosa opera di documentazione di Eli Hertz.
   In conclusione, questo libro dovrebbe essere letto, studiato e commentato non solo per interessi storici, ma anche per un preciso dovere biblico. Considera l'opera di Dio ammonisce l'Ecclesiaste (7:13): questo significa che ignorare, trascurare, non considerare l'opera che Dio compie nella storia di Israele può essere, per chi potrebbe e dovrebbe farlo, una colpevole ignoranza.
   Un grazie di cuore vada dunque all'aurore di questo libro, insieme a chi si è occupato di farne la traduzione e a diffonderlo, per averci dato la possibilità di colmare lacune che col passar del tempo diventano sempre meno giustificabili.

(Notizie su Israele, 26 ottobre 2023)
____________________

Nella rubrica Approfondimenti si possono trovare altri articoli in appoggio al diritto giuridico di Israele sulla sua terra. Si avverte però che nell'articolo "Alle origini dell'imbroglio britannico" si trova anche una motivata confutazione di una frase di Winston Churchill (riportata sulla quarta pagina di copertina del libro) che viene comunemente intesa come appoggio alla creazione dello stato di Israele, mentre non è che una citazione del famigerato "Libro bianco" con cui a guerra finita il Regno Unito tentò di impedire l'arrivo di profughi ebrei in Palestina. Nell'articolo sono anche riportate le parole con cui l'ex Presidente David Lloyd George si dissociò pubblicamente da quella decisione in un discorso alla radio. M.C.

........................................................


L'idea mistificante di un popolo e di una nazione mai esistiti

di Howard Grief

La più grave minaccia ai diritti legali e al titolo di sovranità sulla Terra d'Israele proviene sempre dalla stessa fonte che ha combattuto il ritorno degli ebrei nella loro patria, cioè l'insieme dei gentili di lingua araba che abitano accanto agli ebrei. Adesso non dicono più di essere arabi o siriani, ma "palestinesi". E questo ha prodotto un cambiamento di identità nazionale. Nel periodo del Mandato, come palestinesi si intendevano gli ebrei, ma gli arabi adottarono questo nome dopo che gli ebrei costituirono lo Stato d'Israele e cominciarono a chiamarsi israeliani. L'uso del nome "palestinesi" per intendere gli arabi non prese piede fino al 1969, quando le Nazioni Unite riconobbero l'esistenza di questa presunta nuova nazione, e successivamente cominciarono ad approvare risoluzioni dichiaranti la sua legittimità e gli inalienabili diritti della Palestina. L'intera idea che una tale nazione esista è la più grande mistificazione del ventesimo secolo, che continua immutata anche nel ventunesimo. Che si tratti di una mistificazione, può essere visto facilmente dal fatto che i "palestinesi" non hanno né una storia, né una lingua, né una cultura proprie, e in senso etnologico non sono essenzialmente diversi dagli arabi che vivono nei paesi confinanti di Siria, Giordania, Libano e Iraq. Il nome specifico della supposta nazione non è arabo in origine e deriva da radici di lettere ebraiche. Gli arabi di Palestina non hanno nessun collegamento o relazione con gli antichi Filistei da cui hanno preso il loro nuovo nome.
    E' un fatto della massima ironia e sbalordimento che la cosiddetta nazione palestinese ha ricevuto il suo più grande incremento proprio da Israele, quando questi ha consentito ad una amministrazione "palestinese" di impiantarsi nelle zone di Giudea, Samaria e Gaza sotto la direzione di Yasser Arafat.
    Il fatto che gli arabi di Palestina e della Terra d'Israele rivendichino gli stessi diritti legali del popolo ebraico viola il diritto internazionale creato in origine con la Risoluzione di Sanremo, il Mandato e la Convenzione franco-britannica del 1920. Fa parte della follia mondiale sopraggiunta dopo il 1969, quando il "popolo palestinese" ricevette il primo riconoscimento internazionale e l'autentico diritto internazionale è stato rimpiazzato da una legge internazionale sostitutiva costituita da illegali Risoluzioni ONU. La Quarta Convenzione di Ginevra del 1949 e le Regole di Hague del 1907 sono atti di autentico diritto internazionale, ma non hanno diretta applicazione o rilevanza per lo status legale di Giudea, Samaria e Gaza, che sono territori integranti della Sede Nazionale Ebraica e della Terra d'Israele sotto la sovranità dello Stato d'Israele. Questi atti dovrebbero essere applicati soltanto all'occupazione araba di territori ebraici, come è avvenuto tra il 1948 e il 1967, e non al caso del Governo israeliano sulla sua patria ebraica. La mistificazione del popolo palestinese e dei suoi pretesi diritti sulla Terra d'Israele, così come la farsa della citazione di uno pseudo-diritto internazionale a supporto della loro pre-costruita causa, deve essere denunciata e fatta cessare.
    Gli arabi della Terra d'Israele hanno attizzato una guerra terroristica contro Israele per ricuperare quella che considerano la loro patria occupata. Il loro obiettivo è una fantasia basata su un grosso mito e su una menzogna che non si possono compiacere, perché questo significherebbe la trasformazione della Terra d'Israele in un paese arabo. E' ora che il Governo d'Israele muova i necessari passi per rimediare quella che è diventata un'intollerabile situazione che minaccia di far perdere al popolo ebraico i suoi immutabili diritti alla sua propria e unica patria.

(Estratto da "A Journal of Politics and the Arts", Vol.2 / 2004 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
____________________

"E' ora che il Governo d'Israele muova i necessari passi per rimediare quella che è diventata un'intollerabile situazione...", diceva l'autore vent'anni fa. Ma Israele non si mosso, anzi, peggio ancora, si è mosso nella direzione contraria: ha cercato la pace col mondo a tutti i costi. E adesso si vedono i costi. M.C.

........................................................


Spade di ferro - Giorno 18: l’Onu contro Israele e il carburante

di Ugo Volli

Antisemitismo
  Dopo lo shock della strage terroristica del 7 ottobre, Israele e il mondo ebraico ne hanno ricevuto un altro, più lento e progressivo, ma altrettanto micidiale: l’emergere dell’antisemitismo nel mondo occidentale, ancor più che nel mondo musulmano, dove esso si è manifestato in maniera meno esplosiva di quel che si potesse temere. In Europa e negli Stati Uniti invece, vi è stata la sorpresa di un atteggiamento generale molto diverso da quel che si credeva. Vi sono stati cortei assai più numerosi in favore con gli assassini di Hamas (sotto il fragile velo della solidarietà con il popolo palestinese) di quanto fossero le manifestazioni per Israele, e spesso questi cortei erano animati da slogan minacciosi contro gli ebrei, immagini oltraggiose come quella di Anna Frank con la kefiah araba, cartelli che richiamavano il nazismo. Ma vi sono state, in realtà più da parte di giornalisti e “intellettuali” che di politici responsabili, espressioni di “comprensione” per il terrorismo, “distinzioni” delle responsabilità, o come si espresse a suo tempo Massimo d’Alema “equivicinanza” agli aggrediti e agli aggressori, alle vittime e agli assassini. Vi sono stati nei giorni scorsi anche atti di violenza, come le bombe molotov contro una sinagoga di Berlino o l’assassinio della presidente di una sinagoga di Detroit negli Usa. Tutto questo ha naturalmente molto allarmato gli ebrei europei e americani (almeno quella maggioranza, ma purtroppo non totalità fra loro, che in Usa si è schierata apertamente dalla parte di Israele), provocando un senso di insicurezza non solo sullo schieramento di diversi stati, ma anche sulle condizioni della vita delle comunità ebraiche, direttamente chiamate in causa dai sostenitori del terrorismo, Naturalmente non sono mancati atti di solidarietà diffusi ed importanti, ma la preoccupazione resta.

Guterres
  Il pulpito più alto da cui sono usciti dei discorsi di comprensione per i terroristi, e dunque di ostilità a Israele e agli ebrei è la segreteria delle Nazioni Unite, un’organizzazione del resto che è dominata da discorsi antisionisti almeno da mezzo secolo, con il culmine in quella risoluzione 3379 del 10 novembre 1975, in cui l’assemblea generale dell’Onu dichiarava a maggioranza che il sionismo è una forma di razzismo, salvo rimangiarsela qualche anno dopo, con un’altra risoluzione del 1991. Il lavoro di agenzie dell’Onu come l’Unesco per la cultura, la commissione per i diritti umani, l’UNRWA che si occupa esclusivamente dei “rifugiati palestinesi” e della stessa assemblea generale, si è spesso concentrato sulla condanna di Israele. Ma nessuno si aspettava che lo stesso segretario generale della Nazioni Unite, il socialista portoghese Antonio Guterres, osasse dichiarare che il massacro di Hamas “non nasce dal nulla”, è “il frutto di una lunga occupazione particolarmente opprimente” e che dunque in sostanza sì, è un atto non proprio raccomandabile, ma bisogna comprenderlo. Naturalmente Gaza non è affatto occupata, gli ultimi israeliani ne sono usciti quasi vent’anni fa e anche in Giudea e Samaria i palestinesi che vivono sotto la giurisdizione militare israeliana nei territori contesi sono decisamente pochi, perché oltre il novanta per cento circa è amministrato dall’Autorità Palestinese. Ma questo non interessa alla burocrazia dell’Onu, che ha sposato il punto di vista palestinista e in maniera più o meno scoperta vede il terrorismo alla stessa maniera dell’Iran o degli stessi terroristi, come “lotta di liberazione nazionale”, che certamente può commettere degli errori, ma la cui responsabilità è comunque “dell’occupante”. Il ministro degli Esteri di Israele Cohen ha chiesto le dimissioni di Guterres e ha annunciato il suo boicottaggio; ma è improbabile che questa richiesta sia accolta.

Sul terreno
  Israele continua la sua attività di questa fase, martellando con l’aviazione istallazioni e responsabili del terrorismo a Gaza e difendendosi con attento senso della misura al Nord. Oltre al fronte libanese, dove ci sono stati molti scambi di colpi con diversi miliziani di Hezbollah colpiti, è tornata attiva anche la frontiera nord-orientale con la Siria, con scambi di razzi e colpi di artiglieria e parecchi soldati siriani eliminati. L’impressione è che questi combattimenti limitati servano soprattutto al fronte filoterrorista guidato dall’Iran per creare una minaccia che dovrebbe impedire l’operazione di terra: se vi muovete a Gaza, sembra essere il messaggio, sappiate che abbiamo le forze per colpirvi al Nord. Come Israele gestirà questa minaccia, lo si potrà vedere solo dai fatti.

Il carburante per Gaza
  Per quanto riguarda la striscia, il braccio di ferro politico e diplomatico è soprattutto sul carburante. Hamas ha ottenuto, grazie all’influenza americana sul governo israeliano, che il blocco dei rifornimenti fosse interrotto e che ogni giorno dal valico di Rafah con l’Egitto passassero degli aiuti che consisterebbero in generi alimentari e medicinali. I responsabili israeliani hanno detto di essere in grado controllarli per impedire che in questa maniera passino rifornimenti militari. Ma ora Hamas vuole il carburante, indispensabile per far funzionare i generatori che danno luce ed energia per le comunicazioni, le pompe e le altre macchine che servono a tenere operativa la sua rete di tunnel d’assalto - ma che è necessario anche per garantire l’operatività di istituzioni civili come gli ospedali e gli impianti di panificazione. L’esercito israeliano ha documentato che Hamas mantiene ancora larghe scorte di carburante, circa mezzo milione di litri, che potrebbero soddisfare le esigenze degli impianti civili per diverse settimane; ma si rifiuta di usarle per il benessere della popolazione e le riserva ai suoi scopi militari. Per questo ha iniziato una campagna “di emergenza” per chiedere l’arrivo di nuovo carburante e ha condizionato ad esso la liberazione di cinquanta nuovi ostaggi, di cui si parla da tempo. Israele rifiuta, è in corso un braccio di ferro che coinvolge anche diversi stati e organizzazioni internazionali. Per ora il blocco regge, si vedrà nei prossimi giorni se Israele potrà mantenerlo.

(Shalom, 25 ottobre 2023)

........................................................


Perché non dobbiamo stupirci delle parole di Antonio Guterres?

di Maurizia De Groot Vos

Hanno destato molto scalpore e polemiche globali le parole pronunciate ieri da Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, contro Israele e di quasi giustificazione dell’eccidio di ebrei perpetrato dai nazisti islamici di Hamas.
   Eppure non ci sarebbe affatto da stupirsi. L’ONU è notoriamente anti-israeliano e antisemita. Faccio distinzione tra anti-israeliano e antisemita perché Israele è abitato da ebrei, cristiani e da musulmani i quali sono il 20% della popolazione e sono regolarmente rappresentati alla Knesset. Quindi chi è anti-israeliano è contro tutto il popolo di Israele.
   L’ONU è quello che si è inventato la UNRWA, ovvero l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente. Una vera e propria macchina da guerra creata unicamente per aumentare a dismisura il numero dei profughi palestinesi, gli unici al mondo che si tramandano lo status di rifugiato di padre in figlio, per alimentare odio anti-israeliano sin da piccoli con libri di testo antisemiti nelle scuole, o per garantire ad Hamas un luogo sicuro dove nascondere armi e terroristi.
   La UNRWA macina miliardi di dollari ogni anno, un business incredibile a cui nessuno vuole realmente rinunciare.
   E poi l’ONU ha creato la macchina antisemita per eccellenza, l’Alto Commissariato dell’ONU per i diritti umani (OHCHR), con sede a Ginevra, il quale in teoria dovrebbe incaricato di promuovere e coordinare le misure tese a garantire il rispetto dei diritti umani in seno al sistema ONU.
   Ebbene il 94% delle risoluzioni emesse da questo organismo sono contro Israele. ZERO risoluzioni contro l’Iran, ZERO contro l’Arabia Saudita, ZERO risoluzioni contro una qualsiasi delle tante dittature in giro per il mondo.
   La OHCHR è riuscita a mettere alla sua direzione l’Arabia Saudita o addirittura l’Iran al settore che si interessa dei Diritti delle donne. Ripeto per gli ottusi, l’Alto Commissariato dell’ONU per i diritti umani è sostanzialmente in mano delle maggiori dittature mondiali.
   Ora, qualcuno mi dovrebbe quindi spiegare perché mai ci dobbiamo stupire delle parole pronunciate da Antonio Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite che parla di “occupazione” quando Gaza non è più occupata dal 2005 mentre la Cisgiordania è amministrata dalla Autorità Palestinese entro i vincoli previsti dagli accordi di Oslo.
   Stupisce molto di più, e continua a stupire, come i media di tutto il mondo, compresi quelli italiani, abbiano scambiato l’ufficio stampa di Hamas per una agenzia stampa più autorevole della Reuters e continuino a rilanciare imperterriti ogni sciocchezza venga scritta da Hamas. Che poi qualcuno mi può spiegare come fa Hamas a dare giornalmente il numero esatto delle vittime, compreso la specifica dei bambini, quando in Israele a tre settimane dalla strage non sono ancora riusciti a stabilire il numero esatto delle vittime? Hamas dispone di tecnologie extraterrestri di cui non siamo a conoscenza, oppure i giornalisti di mezzo mondo sono semplicemente dei cialtroni che non si fanno alcune semplici domande prima di rilanciare le veline di Hamas?

(Rights Reporter, 25 ottobre 2023)

........................................................


“Ne ho uccisi dieci con le mie mani”

La telefonata di un terrorista del 7 ottobre ai suoi genitori

Martedì l’esercito ha pubblicato la registrazione di un terrorista di Hamas che ha preso parte all’assalto del 7 ottobre nel sud di Israele che si vanta al telefono con i suoi genitori di aver massacrato ebrei. Nella chiamata si sente l’uomo raccontare con entusiasmo ai suoi genitori che si trova a Mefalsim, un kibbutz vicino al confine di Gaza, e che da solo ha ucciso 10 ebrei.
“Guarda quanti ne ho uccisi con le mie stesse mani! Tuo figlio ha ucciso ebrei!” dice, secondo una traduzione inglese. Mamma, tuo figlio è un eroe”, aggiunge poi.
Si sentono i suoi genitori lodarlo durante la chiamata. Identificato da suo padre come Mahmoud, il terrorista afferma di chiamare la sua famiglia dal telefono di una donna ebrea che ha appena ucciso e implora di controllare i suoi messaggi WhatsApp per ulteriore documentazione.
“Vorrei essere con te”, dice la madre.
La diffusione dell’audio è avvenuta il giorno dopo che Israele ha proiettato per 200 membri della stampa straniera e locale circa 43 minuti di scene strazianti di omicidi, torture e decapitazioni attuate durante l’assalto di Hamas al sud di Israele il 7 ottobre.
Il filmato è stato raccolto da registrazioni di chiamate, telecamere di sicurezza, telecamere sul corpo dei terroristi di Hamas, telecamere sul cruscotto delle vittime, account sui social media di Hamas e delle vittime e video sui cellulari ripresi da terroristi, vittime e primi soccorritori. Oltre 1.000 persone sono state massacrate dai terroristi e almeno 224 rapite.
Il governo ha affermato di aver deciso di mostrare ai giornalisti parte della documentazione raccolta al fine di dissipare quello che un portavoce ha definito “un fenomeno simile alla negazione dell’Olocausto che avviene in tempo reale”, poiché in tutto il mondo sono stati sollevati dubbi su alcuni punti della più orribile delle atrocità commesse da Hamas.

(Bet Magazine Mosaico, 25 ottobre 2023)

........................................................


“Sciogliete le catene dell'IDF", chiede un attivista arabo cristiano.

Per sconfiggere Hamas, l'esercito israeliano deve "parlare la lingua del Medio Oriente", dice Yoseph Haddad.

di Ryan Jones

GERUSALEMME - Yoseph Haddad non è soltanto una delle poche voci arabe che parlano a sostegno di Israele, ma è anche una delle voci più chiare su ciò che è accaduto e su ciò che ora deve essere fatto.
   Da anni Haddad sostiene Israele all'estero, oltre a impegnarsi per incoraggiare un maggior numero di giovani arabi a offrirsi volontari per il servizio nell'IDF. E non si è mai riposato dall'inizio di questa guerra in quella maledetta mattina di Shabbat, il 7 ottobre 2023.
   Ma lunedì è stato un momento di svolta per Haddad. Il suo sangue ha raggiunto il punto di ebollizione dopo aver partecipato a un evento dell'IDF per i giornalisti stranieri. L’influencer arabo-israeliano, insieme a membri stranieri della stampa, ha partecipato a uno speciale briefing dell'IDF progettato per aiutare a confutare le bugie degli apologeti di Hamas che ora sostengono che molte delle atrocità nel sud di Israele non hanno mai avuto luogo.
   A questo scopo l'IDF ha mostrato i filmati delle telecamere GoPro indossate dagli uomini armati di Hamas, delle telecamere di sicurezza locali nei villaggi israeliani occupati e delle telecamere di sorveglianza degli automobilisti israeliani. Per rispetto alle famiglie delle vittime, l'IDF non ha permesso ai giornalisti di distribuire i filmati. Israele sperava, tuttavia, che la stampa estera raccogliesse quanto mostrato e confermasse la verità.
   Per Haddad, questo è stato un ulteriore campanello d'allarme che spera che il resto di Israele senta forte e chiaro. Parlando con Channel 14 News nel corso della giornata, Haddad ha detto di essere "un po' distrutto oggi", nonostante abbia avuto a che fare con le immagini delle atrocità per due settimane e mezzo. È stata una particolare sezione della proiezione a turbarlo:
   "La scena mostra due bambini di appena 10 anni che cercano di fuggire con il padre. Un terrorista di Hamas li insegue, uccide il padre davanti ai suoi due figli e trascina i bambini in casa. Entrambi i bambini sono feriti. E mentre questo maledetto terrorista apre il frigorifero per trovare qualcosa da bere, uno dei bambini implora: 'Uccidimi e basta, voglio morire'".
   Lottando contro le lacrime Haddad si chiede: "Com'è possibile che un bambino di 10 anni dica queste parole! Com'è possibile che un bambino di 10 anni implori di essere ucciso?" Dove siamo finiti? Cosa ci è successo?".
   Haddad ha continuato sottolineando che chiunque si trovi oggi in una posizione di autorità in Israele e abbia un'intenzione diversa da quella di distruggere Hamas deve dimettersi e tornare a casa.
   E chi resta deve capire che Israele deve sporcarsi le mani se vuole davvero sconfiggere Hamas.
   "Ci hanno spezzato. Ci hanno umiliato. È ora di umiliarli. È ora di spezzarli", ha sottolineato Haddad. L'IDF parli nella lingua del Medio Oriente, nella lingua degli arabi". Abbiamo i mezzi. Abbiamo bisogno di determinazione".
   Ha detto che se questa posizione lo rende un estremista, e allora sia così. È giunto il momento di difendere il popolo di Israele a tutti i costi.

(Israel Heute, 25 ottobre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


I nostri soldi alla Palestina rischiano di finire nelle mani dei terroristi

I finanziamenti statali in diversi casi passano per Ong vicine ad Hamas. Li hanno usati persino per addestrare bimbi a uccidere ebrei. E 100 milioni di prestiti risultano spariti.

di Camilla Conti

Un fiume di soldi grande come il Giordano. Quasi mezzo miliardo di euro. E’ il totale del denaro che dalla metà degli anni Ottanta è partito dall'Italia verso i territori palestinesi sotto forma di crediti, aiuti e finanziamenti. Il corso di questo grande fiume rischia però di creare due problemi. Il primo è che le somme raccolte per aiutare i civili palestinesi, senza gli adeguati controlli lungo la loro strada verso Gaza attraverso i passaggi dei vari intermediari locali, possono finire nelle mani dei terroristi. Il secondo problema è che ci sono anche un centinaio di milioni di euro dati in prestito che rischiamo di non recuperare. Non a caso nei ministeri interessati qualcuno in questi giorni ha alzato il telefono per fare il conto di quanto è stato dato e quanto potrebbe non tornare indietro.
   Partiamo dai numeri, che La Verità ha potuto visionare in esclusiva, e poi seguiamo il denaro. Come i milioni erogati dall'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, che fa capo al ministero degli Esteri e che è incaricata di svolgere le attività connesse alle iniziative di cooperazione internazionale. Ovvero di decidere a quali organizzazioni devono andare i soldi dell'Italia. I progetti finanziati attraverso l' Aics, a partire dal 2001, sono stati 218, per un totale impegnato di 227.176.690 euro e totale erogato di 188.166.303 euro. Su 218, ne risultano chiusi 129, ne sono in corso 55, in fase di finalizzazione 33 e uno è stato cancellato. Si tratta di progetti affidati a organismi della società civile nazionali (66), amministrazione centrali come la stessa Aics (65), organizzazioni multilaterali come quella Mondiale della sanità e l'Unesco (47), enti pubblici del Paese destinatario (18), enti territoriali come i Comuni (12), altri enti come le università (7) e a privati, ovvero ad aziende italiane (3). Il rischio, però, è che l'Aics- ignorando connessioni sospette, e facendo affidamento sull'autocertificazione dei destinatari - fornisca sovvenzioni a Ong italiane che poi trasferiscono parte dei fondi ai loro partner delle Ong palestinesi che poi li destinano a un altro tipo di attività assai meno solidale.
   Ai soldi partiti dall'Aics, vanno poi aggiunti anche i crediti a favore dei Territori autonomi palestinesi nell'ambito del Fondo rotativo per la cooperazione allo sviluppo gestito da Cdp. Al 30 settembre 2023, risultano in essere 6 crediti di aiuto utilizzati per finanziare progetti di cooperazione bilaterale per un importo originario complessivo di circa 103,6 milioni di cui 13,7 milioni ancora da erogare. In base a una corrispondenza interna visionata dalla Verità, a oggi risulta pendente una sola richiesta di esborso per 74.000 euro a favore di una società palestinese di costruzioni (la Arab Brothers Group) su cui sono in corso valutazioni relative alla documentazione antiriciclaggio. Non risulta, inoltre, presente lo stato finanziario di un progetto a credito di 16,2 milioni per la rete di distribuzione elettrica in Cisgiordania approvato nel luglio del 1999.
   Intanto, lo scorso 18 ottobre la trasmissione Fuori dal coro di Rete 4 ha sollevato il problema dei fondi che vengono raccolti per aiutare la Palestina ma che rischiano di finire indirettamente nelle mani dei terroristi. Per farlo, ha bussato anche alla porta dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo ed è partita dalle informazioni raccolte da Ngo Monitor. Quest'ultima si occupa di analizzare l'attività delle Organizzazioni non governative in Israele e nei Territori palestinesi svelando anche le connessioni tra alcune Ong e soggetti come il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp), considerato un'organizzazione terroristica dagli Usa, dalla Ue e dal Canada. Il 26 ottobre del 2022, Ngo Monitor ha acceso i riflettori proprio sull'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo che - si legge nel rapporto pubblicato sul sito - tra il 2015 e il 2021 ha erogato circa 23 milioni a 20 progetti in Israele, Cisgiordania e Gaza. Il capitolo più lungo del rapporto di Ngo è quello dedicato ai finanziamenti diretti a Ong politicizzate. Eccone alcuni.
   Nel 2022, l'Aics ha concesso 97.500 dollari al Ma'an Development Center tramite l'Ong italiana WeWorld. Ebbene, nel maggio 2018, il dipendente del Ma' an Development Center, Ahmad Abdallah Aladini, è stato ucciso durante scontri al confine con Gaza. Aladini era un «compagno» del Fronte popolare per la liberazione della Palestina e sulla sua pagina Facebook aveva pubblicato immagini di violenza e propaganda.
   Nel periodo 2018-2021, l'Aics ha concesso 1,8 milioni di euro ad Al- Haq e alla Onlus Cooperazione per lo sviluppo dei Paesi emergenti (Cospe), in partnership con l' Associazione comunità papa Giovanni XXIII: il 22 ottobre 2021 il ministero della Difesa israeliano ha dichiarato AlHaq «organizzazione terroristica» e il suo direttore, Shawan Jabarin, è stato collegato al Fronte popolare. L'Associazione comunità papa Giovanni XXIII in Italia sostiene anche la campagna Bds (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni per i diritti del popolo palestinese).
   Nel 2018-2020, riporta ancora Ngo Monitor, l'Aics ha concesso 841.701 euro all'Ong italiana Associazione di cooperazione e solidarietà (Acs) per progetti con l'Unione dei comitati di lavoro agricolo (Uawc): l'Unione è identificata da Fatah come un «affiliato» ufficiale e come il « braccio agricolo» del Fronte popolare per la liberazione della Palestina. Il 22 ottobre 2021, il ministero della Difesa israeliano ha dichiarato l'Uawc «organizzazione terroristica» perché fa parte di «una rete» che opera «per conto del Fronte Popolare» ( e di recente il governo olandese ha stoppato i finanziamenti per l'Unione).
   Nel 2021-2022, l'Italia ha concesso 17.000 dollari a EducAid Onlus in collaborazione con Islamic relief Palestine (Irpal), Save the chìldren e Vento di Terra: il 19 giugno 2014, il ministro della Difesa israeliano ha dichiarato illegale Islamic relief worldwide, sulla base del suo presunto ruolo nell'incanalare denaro ad Hamas, e le ha vietato di operare in Israele e in Cisgiordania.
   Dal 2006, l'Irpal collabora inoltre con la Al-Falah society charitable, gestita da Ra madan Tanboura, che secondo Haaretz è una «nota figura di Hamas».
   E ancora: il 18 maggio 2018, Save the children e il Centro palestinese per la democrazia e la risoluzione dei conflitti hanno sponsorizzato un workshop presso l'asilo Dar al Huda sulla formazione degli insegnanti. Il 26 maggio 2018, lo stesso asilo di Gaza ha però tenuto una cerimonia di consegna dei diplomi che comprendeva una simulazione di uccisione e rapimento di israeliani da parte di bambini vestiti da combattenti. Con tanto di attrezzature sofisticate come droni, telecamere, tute militari, armature, mimetiche da cecchino e le fasce della jihad islamica palestinese indossate dai bambini.
   Il rapporto Ngo prosegue poi con i finanziamenti indiretti, anche attraverso le strutture delle Nazioni Unite. Un fiume di denaro. Che si sa da dove parte, ma non sempre dove finisce. E, nel caso dei prestiti, se torna indietro.

(La Verità, 25 ottobre 2023)

........................................................


Migliaia di uomini Haredi si offrono volontari per servire nell’esercito israeliano

Un segno di unità nazionale

Orthodox, Modern Orthodox, Secular, Lubavitch, Chabad, Conservative, Reform, Haredi… In questi gironi drammatici capita di imbattersi in una foto sul web che rappresenta parte della galassia ebraica con le sue diverse anime sparse in Israele e nel mondo; ebrei profondamente uniti e solidali nelle loro diversità in un momento drammatico in cui l’antisemitismo è in aumento. Ebrei, che nelle loro differenze, dimostrano una crescente unità nel difendere Israele, il proprio diritto alla libertà e alla sicurezza.
   Un esempio di questa solidarietà è l’azione di migliaia di Haredim (ultraortodossi) che si sono offerti volontari per prestare servizio nell’esercito israeliano in seguito all’attacco ormai tristemente storico di Hamas.
   Come riporta il Forward, inizialmente si prevedeva che ottobre sarebbe stato un mese controverso con divisioni all’interno della società israeliana riguardo all’ esenzione militare per  gli Haredim. Tuttavia, a seguito dell’attacco di Hamas, si è verificato un cambiamento senza precedenti, con un notevole numero di Haredim che ha scelto liberamente di arruolarsi nell’esercito, con un supporto e un desiderio di contribuire allo sforzo bellico e di identificarsi con l’identità israeliana.
   Le donne harediot stanno partecipando a loro volta attivamente all’assistenza al fronte interno, fornendo cibo, equipaggiamento e supporto durante i funerali. Sono stati anche raccolti fondi per fornire beni militari come corazze ed elmetti.
   Il portavoce dell’esercito israeliano, Daniel Hagari, ha confermato che 120 dei 2.000 candidati che hanno manifestato il desiderio di arruolarsi immediatamente nelle IDF a causa della guerra in corso, inizieranno l’addestramento in vista dei prossimi eventi. Altri si arruoleranno come volontari. Israele, va ricordato, ha richiamato circa 360.000 riservisti a seguito all’attacco di Hamas.
   Gli studenti di Yeshiva e le donne Harediot di età inferiore ai 26 anni sono generalmente esentati dal servizio militare in base a un accordo decennale sullo status quo tra il Governo israeliano e i partiti Haredim, che hanno esercitato sempre più il controllo nelle coalizioni di Governo. La Corte Suprema ha annullato l’esenzione legale nel 2017 e ha incaricato il Governo di creare una nuova legge sulla coscrizione. Gli sforzi per riformare o consolidare le esenzioni sono stati ritardati negli ultimi anni a causa delle turbolenze politiche.
   L’IDF ha recentemente rivelato che solo una parte dei 12.000 potenziali candidati – 1.200 haredim – sono stati arruolati ogni anno negli anni 2019-2021.  Ma l’attacco di Hamas ha cambiato la dinamica. I servizi medici Haredi e i gruppi di pronto intervento – come United Hatzalah e ZAKA – hanno guidato gli sforzi di salvataggio e recupero. Altri si sono mobilitati per consegnare cibo e attrezzature essenziali ai riservisti e alle famiglie sfollate.
   Un sondaggio pubblicato sul Jerusalem Post ha inoltre mostrato che il 68% degli haredim sostiene l’arruolamento militare e il 60% sostiene il volontariato durante i tempi di guerra.
   Avigdor Lieberman, ex ministro delle Finanze e della Difesa e aspro critico della cultura Haredi, ha accolto favorevolmente la mossa. «Vedere così tanti giovani haredim, di tutte le età, chiedere di arruolarsi nell’IDF e di essere parte integrante di coloro che portano il peso, soprattutto in questi giorni difficili – ha scritto Lieberman, senza dubbio scalda il cuore e testimonia la forza della società israeliana».
   In segno di solidarietà e unità, gli ebrei in Israele e nella diaspora hanno aumentato la partecipazione alle sinagoghe e ad altri eventi della comunità ebraica, organizzato raduni e manifestazioni a sostegno di Israele e rilasciato dichiarazioni di sostegno da parte dei leader ebrei. Inoltre, c’è stato un aumento significativo delle donazioni a enti di beneficenza israeliani. Tutto ciò dimostra la forza della solidarietà e dell’unità tra gli ebrei in un momento di crisi.

(Bet Magazine Mosaico, 24 ottobre 2023)

........................................................


Reportage dal Kibbutz Be’eri. I sopravvissuti al pogrom del 7 ottobre: ‘’Cosa ne sarà di noi?’’

di Fabiana Magrì

Kibbutz Be’eri - “Era il più bel kibbutz di Israele. Un angolo di paradiso. Eravamo la mecca del riciclo”. Tutto questo non esiste più. Rami Gold, che a 70 anni ogni giorno torna tra le macerie di casa, non ha nemmeno iniziato a pensare “cosa ne sarà di noi”.
   “La sorella di mia moglie faceva parte di Women for Peace - un’organizzazione di donne israeliane e palestinesi che insieme lavorano sulla coesistenza, spiega -. Due volte alla settimana andavano al valico con Gaza per prendere i malati e portarli in auto negli ospedali israeliani per le cure. Ora è morta. Una donna di 70 anni. Per nessuna ragione”. Sul volto schiacciato tra il casco di protezione, mentre le sue parole sono interrotte dai botti dei colpi di artiglieria - “ma sono i nostri”, assicura - il sudore intorno agli occhi maschera le lacrime. “Il 7 ottobre sono stato svegliato dagli allarmi per i razzi mentre ero a letto con mia moglie. Come al solito ci siamo fiondati nel rifugio. Ma tutti quei razzi erano fuori dal comune”.
   Il ricordo è doloroso ma per Gold si è fatto missione e terapia. A 70 anni, nonostante sia un veterano della guerra del Kippur, è troppo vecchio per far parte della squadra della sicurezza del kibbutz. “Ma ho chiamato per sapere se potevo rendermi utile. Nessuna risposta. Dopo pochi minuti mi hanno chiamato loro. Sono uscito dal rifugio e mi sono reso conto che eravamo stati invasi da cento, duecento terroristi almeno”. Arrivati su convogli, “come l’Isis”, dice. Con fucili montati sui pick up, con cui sparavano a raffica mentre si facevano strada. “Ogni gruppo ha invaso una zona del kibbutz. Nell’asilo hanno allestito un posto di comando. Intanto - continua a ricordare Gold - entravano nelle case vuote, perché tutti erano corsi al riparo nei rifugi per l’allarme dei razzi. Bussavano alle porte dei mamad per fare uscire le persone. E di che quelli che restavano dentro, bruciavano le case”. Chi usciva per non soffocare tra le fiamme, invece, “veniva sottoposto a una selezione, chi doveva morire e chi vivere. Non c’era una logica. In ogni casa potevano ammazzare tutti o la metà, i giovani o gli anziani. Alcuni probabilmente sono stati portati a Gaza”, dice il sopravvissuto di Be’eri, sperando che siano ancora vivi.
   Dieci persone hanno provato a far fronte a un centinaio di terroristi di Hamas bene armati. E sono tutti morti. I superstiti hanno resistito 12 ore prima che l’esercito arrivasse e iniziasse a mettere l’area in sicurezza. “Non ci dormo la notte, al pensiero che avrei potuto fare qualcosa di diverso”, dice Gold nell’unico momento il cui abbassa lo sguardo. I sopravvissuti del 7 ottobre sono tutti in cura perché, spiega, “soffriamo di vergogna e senso di colpa per non aver fatto abbastanza, pur sapendo che non avremmo potuto fare di più”. Ma c’è una grande differenza tra quello che dice il cuore e quello che pensa il cervello. Ecco perché il 70enne Rami Gold, dopo il trauma, continua a ripercorrere i peggiori momenti della sua vita. “Ho ancora nelle orecchie le grida delle persone che stavano morendo e chiedevano aiuto”, racconta. Testimonianza, terapia, espiazione. “Parlare con i media - spiega - è un modo, adesso, per fare di più. Perché voi possiate raccontare che il grande popolo di Israele e di Be’eri hanno fatto del loro meglio per sopravvivere”.

(Shalom, 24 ottobre 2023)

........................................................


Biden convince Israele, rinviata l’invasione: si tratta sugli ostaggi

Il presidente Usa: “Il cessate il fuoco solo dopo la loro liberazione”. Obiettivo: dare tempo ai negoziati e potenziare le forze sul territorio per arginare l’Iran. Ue schierata a favore di una pausa umanitaria.

di Paolo Mastrolilli

NEW YORK — I media americani e la Radio militare israeliana confermano che lo Stato ebraico ha deciso di rimandare le operazioni di terra a Gaza, su richiesta degli Usa.
   Lo scopo è dare tempo ai negoziati per liberare altri ostaggi; potenziare le forze Usa nella regione, come deterrente all’intervento di Paesi come l’Iran; limitare le vittime civili ed evitare l’allargamento del conflitto; preparare meglio i piani per il governo di Gaza dopo l’invasione; e in generale prevenire i contraccolpi geopolitici che allontanerebbero ancora di più il Sud globale dall’Occidente, favorendo la Russia in Ucraina e la Cina nella sua sfida epocale contro le democrazie.
   L’Unione europea, a questo scopo, si schiera in favore di una pausa umanitaria delle operazioni militari, mentre la Casa Bianca non ammette di aver fatto pressioni sul premier Netanyahu, ma conferma di avere un dialogo aperto su modalità ed effetti del conflitto. Infatti proprio ieri Hamas ha rilasciato altri due ostaggi, seguendo una strategia del contagocce che probabilmente punta proprio ad ostacolare o rallentare l’attacco a Gaza.
   Cnn e New York Times erano stati i primi a riportare le pressioni Usa per ritardare l’offensiva, e il presidente Biden aveva dato risposte elusive a chi gli chiedeva se fosse vero: «Sto parlando con Israele». Ieri la Radio militare israeliana ha confermato il rinvio, perché Washington ha fatto sapere allo Stato ebraico che intende «schierare altre forze in Medio Oriente in vista dell’operazione di terra, a causa delle minacce dell’Iran». La ragione però non è solo questa, e infatti l’emittente cita la presenza nel nord della Striscia di 350 mila civili palestinesi, più i circa 600 cittadini americani intrappolati e gli ostaggi.
   Il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale John Kirby, parlando con i giornalisti, ha ribadito che le decisioni militari le prende Israele. Quindi ha detto che gli Usa sono contrari ad un vero cessate il fuoco, perché «beneficerebbe Hamas». Nello stesso tempo, però, Kirby ha aggiunto che Washington ha un dialogo aperto con lo Stato ebraico dall’inizio della crisi, sulle modalità della risposta, i mezzi di cui ha bisogno, e i piani per il dopo. Così ha quanto meno evitato di smentire le notizie dei media sul suggerimento di rimandare le operazioni di terra, probabilmente perché sono vere. Quindi ha ripetuto le accuse all’Iran di complicità con Hamas e coinvolgimento nei recenti attacchi contro le truppe Usa, ripetuti ieri in Siria, Iraq e Arabia. In questo quadro, «gli Usa hanno aumentato la presenza militare in Medio Oriente per mandare un segnale di deterrenza agli attori della regione». Biden ha detto che «dobbiamo prima avere gli ostaggi rilasciati, poi possiamo parlare».
   La Ue ha preso una posizione non troppo distante: «Il Consiglio europeo – si legge nella bozza delle conclusioni del vertice dei 27 in programma a Bruxelles giovedì e venerdì – sostiene l’appello del segretario generale Onu Guterres per una pausa umanitaria, al fine di consentire un accesso sicuro e l’arrivo degli aiuti. La Ue lavorerà a stretto contatto con i partner regionali per la protezione dei civili. Il Consiglio ribadisce il richiamo alla necessità di evitare una escalation e di coinvolgere i partner per questo, inclusa l’Autorità Nazionale Palestinese».
   Quindi il documento aggiunge: «Siamo pronti a contribuire a ravvivare il processo politico, sulla base della soluzione dei due Stati. Il Consiglio Europeo reitera la necessità di un immediato rilascio degli ostaggi senza alcuna precondizione». Al termine dei lavori di ieri, l’alto rappresentante della politica estera Ue Josep Borrell ha commentato così: «Posso dire che gli Stati membri hanno appoggiato l’idea di una pausa umanitaria a Gaza. I ministri preparano il Consiglio Europeo e credo che ci sia sufficiente consenso. Al Cairo si è parlato di una riduzione della violenza, più che di una pausa, ovvero di un obiettivo più ambizioso, perché la pausa significa l’interruzione di qualcosa che poi riprende, mentre un cessate il fuoco è un accordo più ampio fra le parti».
   Nonostante queste pressioni, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha detto ai marinai della base di Ashdod che l’offensiva verso Gaza sarà «un attacco letale e combinato da terra, mare e aria. Continuate a rimanere pronti per l’offensiva perché arriverà. Ci stiamo preparando a fondo».
   Gli Usa vogliono anche salvare il negoziato con l’Arabia per la normalizzazione dei rapporti con Israele, e temono che la guerra allontani ancora di più il Sud globale dall’Occidente. Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi sarà a Washington venerdì, per preparare l’incontro tra Biden e Xi a San Francisco in novembre, che si spera diventi l’occasione per avviare un disgelo utile anche in Medio Oriente.

(La Stampa, 24 ottobre 2023)

........................................................


I fautori del cessate il fuoco sono gli utili idioti di Hamas

Gli oppositori di un'invasione di terra di Gaza con l'obiettivo di distruggere il gruppo terroristico invocano ragioni umanitarie. Questi appelli servono solo a preservare un regime criminale.

Gli israeliani non accetteranno alcun risultato diverso dalla vittoria su Hamas.
Sono passate più di due settimane da quando le atrocità del 7 ottobre hanno sconvolto il mondo con la crudeltà e la barbarie dei terroristi di Hamas nel condurre quello che è stato giustamente descritto come un pogrom in Israele. Il bilancio delle vittime del più grande omicidio di massa di ebrei - 1.400 in un solo giorno - dai tempi dell'Olocausto continua a salire man mano che vengono scoperti e identificati altri corpi. A questi si aggiungono le vittime non ancora identificate, gli oltre 4.000 feriti e le altre 200 persone che sono state portate a Gaza.
   Per la maggior parte del mondo, tuttavia, il quadro di questo conflitto è già cambiato. Le Forze di Difesa Israeliane continuano i loro attacchi aerei contro obiettivi di Hamas a Gaza. La maggior parte delle discussioni sul conflitto si concentra ora sulla condizione dei civili palestinesi e su come, nelle parole dell'editorialista del New York Times Nicholas Kristof, il desiderio di vendetta e la futile ricerca della sicurezza israeliana abbiano portato alla campagna "uccidere bambini a Gaza".
   L'opinione liberale illuminata, che rifiuta il terrorismo di Hamas e non vuole vedere Israele distrutto, fa ora causa comune con gli ideologi di sinistra che acclamano apertamente gli assassini nelle strade delle principali città del mondo e nei campus delle università americane. Entrambi sembrano essere d'accordo sul fatto che la priorità ora è costringere Israele ad accettare un cessate il fuoco con Hamas per evitare una crisi umanitaria nell'enclave costiera governata dagli islamisti.
   Tuttavia, dato il crescente numero di vittime palestinesi, una cosa deve essere chiara anche se le cifre citate provengono dalla macchina della propaganda di Hamas e molti, se non la maggior parte, delle vittime sono in realtà terroristi. Tutti coloro che ora si concentrano nell'impedire a Israele di effettuare un assalto militare decisivo a Gaza che ponga fine al regime di terrore che esiste come Stato palestinese indipendente dal 2007 condividono un obiettivo comune, nonostante le diverse opinioni: porre fine ai combattimenti per consentire ad Hamas di sopravvivere.

• Un’immorale coalizione
  In questo modo, i benpensanti e i critici del governo israeliano che tuttavia sostengono lo Stato ebraico sono essenzialmente dalla stessa parte della sinistra antisemita che ne chiede l'eliminazione.
   Devono essere tutti considerati utili idioti di Hamas.
   I prevedibili appelli unilaterali delle Nazioni Unite affinché Israele si limiti nei suoi sforzi per difendersi da Hamas sono facilmente liquidati dai sostenitori dello Stato ebraico che non capiscono come la comunità internazionale possa contribuire a minare lo Stato ebraico. Sono preoccupanti anche gli appelli al cessate il fuoco che provengono dagli studiosi di diritto americani, i professori che insegnano nelle scuole d'élite da cui usciranno i deputati e i giudici di domani, che considerano immorale qualsiasi azione israeliana di autodifesa.
   Anche coloro che non chiedono apertamente che Israele non faccia rappresaglie contro i terroristi avvertono che la prevista invasione di terra di Gaza è un errore che si ritorcerà contro Israele. Questa è la posizione del conduttore della CNN ed editorialista del Washington Post Fareed Zakaria, che rimane la fonte più accreditata per ogni saggezza convenzionale che viene diffusa dallo stesso establishment di politica estera che ha sbagliato su tutto in Medio Oriente per più di 30 anni.
   Anche l'editorialista del Times e inveterato critico di Israele Thomas L. Friedman, che sembra avere l'orecchio del Presidente Joe Biden, è tra coloro che pensano che un'invasione sia sbagliata. Egli ritiene che gli Stati Uniti dovrebbero costringere Israele a promettere, prima di altri combattimenti sconsiderati,  di ritirarsi dalla Giudea e dalla Samaria una volta che le armi taceranno in modo da consentire la creazione di un altro Stato palestinese indipendente, oltre a quello che Hamas governa a Gaza dal 2006. Questa è la formula per un altro Stato terroristico islamico, non per la pace.
   Altri ancora - come lo storico israeliano Yuval Noah Harari, le cui banali osservazioni sul passato e sulla vita contemporanea gli hanno fatto guadagnare lo status di icona intellettuale - sono sconvolti dalla demonizzazione di Israele da parte della sinistra. Ma egli scrive sul Washington Post  che il consenso israeliano a spazzare via Hamas sia un’immagine speculare della visione assolutistica del mondo del gruppo terroristico stesso. A suo avviso, la ricerca di "giustizia" per i criminali del 7 ottobre non è diversa dalla visione apocalittica del mondo di Hamas. Egli ritiene che le misure israeliane che danno priorità alla sicurezza dei civili palestinesi, anche se questo significa lasciarli vivere all'interno di Israele, e anche se questo aiuta Hamas, saranno migliori per Israele nel lungo periodo.
   Persino Joe Biden, le cui dichiarazioni di palese sostegno a Israele e di condanna di Hamas hanno tanto incoraggiato gli ebrei di Israele e degli Stati Uniti, sembra fare tutto il possibile per ritardare l'offensiva su Gaza o per spingere a limitarla a tal punto che è difficile vedere come possa raggiungere l'obiettivo di spezzare il potere dei terroristi di Gaza. Anche gli aiuti militari statunitensi, essenziali per rifornire le forze israeliane e, si spera, per dissuadere l'Iran dall'espandere la guerra, sembrano essere accompagnati da condizioni e consigli volti a limitare la campagna. Parte di questo potrebbe essere legato agli sforzi americani per liberare alcuni degli ostaggi detenuti da Hamas, anche se, come sempre accade con questi accordi di riscatto, questo non farebbe che rafforzare i terroristi.
   È improbabile che la maggior parte degli israeliani comuni stia a sentire a queste persone. L'opinione pubblica israeliana e le sue istituzioni politiche, militari e di intelligence, profondamente scosse, hanno giustamente concluso che l'unico modo per prevenire ulteriori attacchi criminali di questo tipo è invadere Gaza e porre fine al dominio di Hamas una volta per tutte.
   La campagna per spazzare via Hamas promessa dal governo del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sarà difficile da realizzare. È possibile che ciò che Israele sta pianificando richieda settimane o addirittura mesi. Il numero di vittime da entrambe le parti potrebbe essere terribile. E più a lungo i propagandisti di Hamas e i loro complici nei media mainstream si prodigheranno a rendere minime le perdite palestinesi e a equiparare moralmente Israele ai criminali del 7 ottobre, più difficile sarà per Israele mantenere la rotta.
   Ma a differenza del relativismo morale di personaggi come Kristof, Zakaria, Friedman e Harari, l'opzione che Israele e il mondo si trovano ad affrontare a Gaza non può essere descritta come moralmente complessa o dove la verità si trova da qualche parte nella zona grigia tra le affermazioni assolutistiche dei palestinesi o degli israeliani.

• Una scelta semplice
  La scelta tra Hamas e Israele non è complicata. È una scelta tra una tirannia islamista e uno Stato democratico, tra un gruppo la cui ideologia non solo è estranea al pensiero occidentale, ma è intrisa di ciò che può essere descritto solo come il male. Il paragone tra Hamas e l'IS è azzeccato: entrambi sono movimenti nazisti moderni che condividono una mentalità di sterminio nei confronti degli ebrei e dello Stato ebraico.
   Distruggere il regime di Hamas non è solo una difficile opzione politica che provocherà critiche da parte degli umanitari occidentali e isteria nella "strada araba" e in tutto il mondo musulmano. È un imperativo morale e non dovrebbe essere trattato diversamente dall'implacabile determinazione dell'Occidente a distruggere il califfato dell'ISIS in Iraq e Siria, o dall'obiettivo degli Alleati di distruggere i regimi della Germania nazista e del Giappone imperiale durante la Seconda guerra mondiale.
   In nessuno di questi esempi il numero di vittime civili, per quanto tragico, è servito da deterrente all'obiettivo di sconfiggere queste potenze malvagie.
   Quando le forze irachene e alleate, sostenute dagli Stati Uniti, hanno riconquistato Mosul dall'ISIS nel 2017, fino a 11.000 civili sono stati uccisi nei combattimenti in città. E circa 800.000 civili tedeschi sono stati uccisi durante i bombardamenti alleati sulla Germania. Inoltre, circa 150.000 civili sono stati uccisi durante l'invasione della Germania del 1945 che, oltre ai combattimenti in altre zone, si è conclusa con una brutale battaglia casa per casa a Berlino.
   Sappiamo che in nessuno di questi casi coloro che cercavano di porre fine a questi regimi erano così attenti a evitare la morte di civili come lo è oggi Israele. Tuttavia, queste cifre di vittime non erano abbastanza orribili da rendere immorali le guerre per distruggere l'ISIS e la macchina di morte nazista di Adolf Hitler.
   Lo stesso calcolo morale deve essere applicato alla guerra di Gaza.
   Contrariamente allo spregevole tentativo di equivalenza morale di Kristof, Israele non sta cercando di uccidere bambini arabi per tenere al sicuro i bambini israeliani. Dovrebbe sapere che un regime che uccide e decapita neonati ebrei non può nascondersi dietro i bambini palestinesi che ha messo in pericolo con questa guerra. E coloro che permetterebbero che ciò accada non dimostrano né una saggezza né una moralità più elevata di coloro che giustamente chiedono l'eliminazione di Hamas.
   Pensatori occidentali che sono cresciuti con il relativismo morale e non riescono ad accettare il concetto che alcuni movimenti e governi sono malvagi e non solo fuorvianti o errati. Pertanto, una guerra che può terminare solo con la completa sconfitta di Hamas - a qualunque costo - va contro il loro modo di concepire come funziona il mondo.
   Ma la questione è molto più semplice. Se, nonostante la vostra condanna del terrorismo, sostenete politiche che permettono ad Hamas di uscire vivo e vegeto dalla sua furia omicida del 7 ottobre - che ha scatenato questa guerra - allora siete i suoi complici inconsapevoli e altrettanto riprovevoli di coloro che gridano nelle strade chiedendo che sia versato altro sangue ebraico.

(Israel Heute, 24 ottobre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


Le vittime civili non sono tutte uguali

Un articolo in cui si esprimono in modo brutale i motivi per cui il superdemocratico occidente a guida americana appoggia Israele. NsI

di Andrea Cangini

Nella primavera del 1999, sotto il comando della Nato, ma senza il via libera dell’Onu, l’Italia mosse guerra alla Repubblica Federale Jugoslava di Serbia e Montenegro con l’obiettivo dichiarato di detronizzare il presidente Slobodan Milosevic. Capo del governo era il post comunista Massimo D’Alema, cui Francesco Cossiga non smise mai di ricordare che i bombardamenti italiani sulla città di Belgrado provocarono “535 morti civili tra vecchi, donne e bambini”. Non lo faceva solo per il gusto della provocazione, Cossiga. Lo faceva per ricondurre a verità l’ipocrisia di una guerra ribattezzata “operazione di difesa integrata”. Lo faceva per realismo, dunque. Per ricordare, cioè, che, al netto dei contorcimenti lessicali politicamente corretti, la guerra è uno strumento della politica e la politica ha a che fare con la vita e con la morte. Anche con la morte dei civili.
   Morti civili, in guerra, ci sono sempre stati. L’apice fu raggiunto nel 1945 con la distruzione della città tedesca di Dresda per mezzo di bombe al fosforo (135mila vittime) e con le atomiche sganciate sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki (250mila vittime). Morti civili, in guerra, ci sono sempre stati, ma con il progresso della civiltà il loro numero è vertiginosamente aumentato: le democrazie faticano a giustificare la morte dei propri soldati mandati a combattere sul campo, preferendo di conseguenza fiaccare il nemico decimandone dall’alto il morale e la popolazione possibilmente grazie all’uso di droni, che consentono di non mettere a repentaglio neanche la vita di un pilota.
   Danni collaterali, li chiamano spesso. E si tratta, chiaramente, di un’ipocrisia. Ipocrisia svelata, quando ci sono, dalle immagini video. La stessa ipocrisia che, come era solito denunciare ancora una volta Francesco Cossiga, ci induce da tempo a qualificare “operazioni di pace” quelle che a tutti gli effetti sono operazioni di guerra. Una questione di pudore, ma anche un grande equivoco: come se il fine della guerra fosse la guerra in sé piuttosto che la pace.
   E allora, questo o quello per noi pari sono? I bambini israeliani sgozzati dai carnefici di Hamas sono pari ai bambini palestinesi morti sotto i bombardamenti israeliani? No, no davvero. E negarlo non è ipocrisia, è semplicemente realismo; quel realismo caro a Francesco Cossiga. È realismo dire che i bambini sgozzati da Hamas sono un orrore di cui nessun soldato israeliano sarebbe capace. È realismo dire che semmai fossero stati scoperti fatti analoghi a parti invertite questo avrebbe rappresentato un’onta irreparabile per lo Stato (democratico) di Israele. È realismo dire che uccidendo i civili israeliani Hamas non può illudersi di battere Israele, mentre uccidendo civili palestinesi Israele può illudersi di battere Hamas. È realismo dire che i morti civili fanno tutti orrore, ma i morti per mano israeliana fanno meno orrore degli altri perché, parafrasando la celebre battuta del presidente statunitense Roosevelt riferita al dittatore nicaraguense Somoza, “può essere che Israele sia un bastardo, ma è il nostro bastardo”. Affermazione brutale, così traducibile: può darsi che Israele stia abusando della forza, ma Israele è una democrazia filo occidentale che uccide i civili per difendersi, mentre Hamas è un’organizzazione terroristica che uccide i civili per distruggere Israele e insidiare l’Occidente. Perciò noi, piaccia o non piaccia, non possiamo far altro che stare con Israele. È una questione di realismo, direbbe Cossiga.
____________________

L'espressione usata da Roosevelt per Somoza nell'originale suona un po' più forte: «He may be a son of a bitch, but he's our son of a bitch». Applicata a Israele, la traduzione suona così: «Israele potrebbe essere un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana». Per questo Israele va difeso, nonostante sia a son of a bitch, perché Israele è una democrazia filo occidentale. Significativa è anche la citazione di quello che l'occidentale Nato a guida americana ha fatto bombardando la Serbia di Belgrado nel 1995 con aerei anche italiani e provocando “535 morti civili tra vecchi, donne e bambini”. Stavamo difendendo qualche superiore valore etico occidentale o stavamo favorendo l'espansione della supremazia americana su territorio europeo in funzione antirussa? Quando i democratici occidentali dicono ad alta voce che "Israele siamo noi!" gli israeliani potrebbero avere qualche motivo di preoccupazione in più. M.C.

(Formiche.net, 23 ottobre 2023)

........................................................


Israele: serviamo la verità


(Ekklesia TV, 22 ottobre 2023)

........................................................


Israele luce per i popoli

Intervista a Angelica Edna Calò

di Claudia De Benedetti

Angelica Edna Calò Livnè, insegnante, educatrice, formatrice, regista, scrittrice, fondatrice e direttrice artistica della Fondazione Beresheet LaShalom - Un inizio per la pace - non ha lasciato il kibbuz di Sasa in Alta Galilea neppure nei giorni più terribili dell’assalto dei terroristi di Hamas. Delle 450 persone che risiedevano a Sasa solo in 50 sono rimasti a presidiare: i bambini e gli anziani sono stati evacuati al centro d’Israele, lontano dai missili.

- Come vedi Israele dal rifugio da cui ci parli? 
  Israele è stata trascinata in una guerra che non voleva. È stata trascinata in un trauma che sarà difficilissimo da superare, peggio della Shoah, perché nella Shoah eravamo in Europa, dove siamo sempre stati ospiti. In Israele eravamo a casa. Ci hanno massacrato nelle nostre case e l’hanno fatto nel modo più terribile che possa essere stato perpetrato. Ma nel corso dei secoli abbiamo sviluppato un senso di resilienza, siamo diventati veramente un’araba fenice. Ci sgretoliamo perché ci sgretolano ma ci ritiriamo su come per miracolo. Oggi non vogliamo vendicarci, vogliamo proteggere e difendere la nostra casa.

- Dove trovi l’energia per reagire?
  Il mio segreto è il segreto dei tre metalli: una salute di ferro, una volontà di acciaio e … un marito d’oro! Che anche in questi momenti riesce a darmi calma e sicurezza.

- Parlaci dei tuoi ragazzi
  In questo momento ho tre figli su quattro arruolati, due di loro sono ufficiali. Quando hanno terminato la Zavà, hanno lasciato la divisa e riconsegnato il fucile. Sono stati madrichim in tutti i nostri progetti. Sono cresciuti in una famiglia in cui il dialogo, la pace e l’educazione sono alla base di tutto, perché noi vogliamo educare non all’odio ma all’accoglienza e al dialogo.

- Come sarà Israele quando la guerra finirà?
  Personalmente non vedo l’ora di poter riabbracciare tutta la mia famiglia a Sasa: i miei figli, i miei nipoti. Spero che questa volta si riesca a sbarazzarsi dei capi di Hamas. Finché non verranno cancellati i capi di Hamas non staremo bene né noi né i palestinesi dall’altra parte perché loro sono gli scudi umani e noi, secondo loro, dobbiamo essere cancellati dalla faccia della terra. Stanno facendo di tutto per coinvolgere gli altri Paesi arabi, per far venire fuori tutto l’odio e tutto il veleno che hanno accumulato. Siamo un Paese straordinario, siamo fatti di una pasta straordinaria mentre i nostri vicini incitano alla morte e alla violenza. Non conosco il sentimento dell’odio, non riesco ad immaginarlo.
   Sto terminando di scrivere un libro con Silvia Guetta, si intitola ‘Laboratori e strategie di comunicazione attraverso le arti: sentieri verso la pace con noi stessi e con gli altri’. Nel libro dimostro l’importanza di uno dei pilastri dell’ebraismo, la ‘hemlà’, la compassione. La comprensione del dolore dell’altro. Quando diciamo: ‘Se potessimo con le lacrime delle madri lavare il sangue di tutte le vittime innocenti di questa guerra, risvegliamo l’empatia, il mondo si rende conto della nostra umanità, della nostra profonda volontà di pace.

- Il vostro spettacolo Beresheet racchiude un messaggio contro l’indifferenza?
  Credo profondamente che il nostro lavoro sia una dimostrazione di fiducia nell'avvenire, una vittoria del bene, della positività e della luce sul male e sulle tenebre. Il viaggio in giro per il mondo dei nostri ragazzi racconta che la realtà è fiducia nell'uomo in quanto tale, è solidarietà e partecipazione, coinvolgimento e lotta contro chi pretende di capovolgere i valori che danno anima alle nostre comunità. Erano in dieci e sono divenuti un gruppo affiatato che oramai raccoglie più di cinquecento ragazzi ebrei, cristiani, musulmani e drusi. Insieme raccontano danzando il bisogno profondo di pace di chi conosce la guerra in prima persona e della comprensione, unica arma contro l'odio razziale. Esprimono l'importanza e il valore immenso della differenza come fonte di ricchezza e di crescita, e non come motivo di conflitto. 

- Israele luce per i popoli, presidio per l’Occidente?
  Siamo descritti come mostri, la Shoah non è passata, ma noi siamo ‘or lagoym’ siamo luce per i popoli. Noi siamo qui per difendere Israele con tutti i suoi cittadini: ebrei, musulmani, drusi, cristiani siamo qui per proteggerlo. Israele è l’ultimo baluardo prima dell’invasione della pazzia di DAESH, dell’ISIS: non sia mai che succeda qualcosa In Israele, non c’è più un presidio per l’Occidente. Occorre mettere in guardia contro i terroristi. Noi mandiamo i nostri figli in guerra per difendere l’Occidente. Ora più di sempre dobbiamo ricordarci di rimanere uniti, religiosi e laici, destra, sinistra, Israele e golà. Dobbiamo rimanere quella meravigliosa scintilla che ci ha tenuto vivi, colmi di energia e positività nel corso di tutta la storia!

(Shalom, 22 ottobre 2023)

........................................................


Biden sostiene che Hamas non rappresenta i palestinesi. È vero?

I leader mondiali dovrebbero lasciare che i palestinesi parlino per se stessi, anche se la verità è scomoda o non "politicamente corretta".

di Ryan Jones

Palestinesi a Hebron manifestano a sostegno di Hamas e dei suoi crimini contro Israele
GERUSALEMME - Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden non è soltanto un sostenitore di Israele, ma è anche in prima linea in una campagna di politici e media occidentali per convincere tutti che Hamas non rappresenta l'opinione pubblica palestinese in generale. Biden e altri cercano di dipingere un'immagine di Hamas come una frangia isolata del movimento, in contrasto con le tendenze più "pacifiche" della maggioranza dei palestinesi.
   Ma è davvero così? Su quali prove Biden e altri basano questa valutazione? Certamente non sui sondaggi dell'opinione pubblica palestinese o su ciò che cantano le masse palestinesi che scendono in piazza. E se Biden arriva alla conclusione che le masse di israeliani che ogni settimana scendevano in piazza a Tel Aviv per protestare contro la riforma giudiziaria prima di questa guerra rappresentano l'opinione pubblica israeliana in generale, allora dobbiamo dire la stessa cosa per i palestinesi.
   Cosa ci dicono i palestinesi? Venerdì mattina, l'Autorità palestinese di Mahmoud Abbas, con cui Biden ha tentato di incontrarsi questa settimana, ha pubblicato un documento ufficiale del governo in cui si chiede alle moschee nella sua giurisdizione di smettere di tenere sermoni che invitano alla distruzione degli ebrei. Riferendosi alla guerra di Gaza, il documento ha sottolineato che "il nostro popolo palestinese non potrà alzare bandiera bianca finché l'occupazione [sic] non sarà rimossa e non sarà istituito uno Stato palestinese indipendente con Gerusalemme come capitale".
   Quando l'AP ha parlato di popolo palestinese che non può arrendersi, non ha fatto alcuna distinzione tra Hamas e il resto della società palestinese. Inoltre, il governo di Abbas ha incluso nel documento ufficiale il vecchio riferimento islamico antisemita (tratto dall'Hadith):
    "L'Ora non verrà finché i musulmani non combatteranno gli ebrei e i musulmani li uccideranno, finché l'ebreo non si nasconderà dietro una pietra o un albero e la pietra o l'albero non diranno: 'O musulmano, o servo di Allah, c'è un ebreo dietro di me, vieni e uccidilo'".
L'organizzazione israeliana Regavim ha definito il documento una chiara dichiarazione di guerra da parte dell'Autorità palestinese. Tuttavia, se Abbas e il suo regime speravano di guadagnare punti allineandosi con Hamas, i dati dei sondaggi mostrano che hanno fallito. L'opinione pubblica palestinese preferirebbe ancora essere governata da Hamas. Palestinian Media Watch ha riferito di grandi manifestazioni palestinesi mercoledì a Ramallah, Hebron e Nablus, con la folla che scandiva "Vogliamo Hamas!" e "Il popolo vuole rovesciare [Abbas]!". PMW sottolinea anche che le recenti elezioni dei sindacati studenteschi all'Università Birzeit di Ramallah e all'Università An-Najah di Nablus sono state entrambe vinte da Hamas.
   E un sondaggio di luglio del Forum FIKRA dell'Istituto di Washington per la Politica del Vicino Oriente ha rilevato che il 57% dei residenti di Gaza ha un'opinione almeno in parte favorevole di Hamas, così come percentuali simili di palestinesi in Cisgiordania (52%) e a Gerusalemme Est (64%).
   In altre parole: Se si tenessero oggi le elezioni, Hamas vincerebbe. Per questo motivo non si sono tenute elezioni dal 2006 e Abbas è ora al 18° anno del suo mandato quadriennale.
   L'ex primo ministro Naftali Bennett ha dichiarato giovedì che gli israeliani devono mantenere la lucidità, anche se la comunità internazionale preferisce chiudere gli occhi e le orecchie alla verità. Bennett ha twittato:
    “Bisogna dire la verità: la maggior parte dei gazesi sostiene Hamas, e molti di loro appoggiano con entusiasmo l'omicidio di ebrei innocenti. Ho sentito molte volte e di recente da vari leader mondiali l'affermazione che la maggior parte della popolazione di Gaza è tenuta prigioniera da Hamas ed è generalmente amante della pace. Questo non è vero. La maggioranza della popolazione di Gaza sostiene Hamas e la sua missione di distruggere Israele.
    Amici, Hamas dipende dall'ampio sostegno della popolazione di Gaza. Senza questo sostegno, Hamas non potrebbe esistere.Questa è l'amara realtà. Non dobbiamo dedurre da questo che Israele punterà a colpire i civili. Non è questo il nostro modo di agire. Ma non dobbiamo mentire a noi stessi. Dovete conoscere la verità".
È vero che Hamas non rappresenta tutti i palestinesi. Conosciamo personalmente alcuni arabi palestinesi che sono disgustati da Hamas e che non incolpano Israele ma il gruppo terroristico per tutti i loro problemi. Ma il fatto triste è che sono una minoranza. Hamas è popolare e potente perché l'opinione pubblica palestinese lo ha reso tale. Il gruppo islamista non sarebbe mai potuto diventare ciò che è oggi se non avesse trovato terreno fertile. Diciassette anni fa, l'opinione pubblica palestinese ha addirittura votato per Hamas e gli ha dato una solida maggioranza nel Parlamento palestinese. È vero che la metà dei palestinesi di oggi allora non era in vita o non poteva votare. Ma come dimostrano i dati dei sondaggi, le elezioni universitarie e le manifestazioni di massa sopra citate, la nuova generazione è più estremista dei loro genitori.
   Purtroppo, questo è un problema che probabilmente non potrà essere risolto nemmeno con la sconfitta militare di Hamas a Gaza. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, le ideologie che alimentavano la campagna bellica dell'Asse dovevano essere sradicate a livello educativo, in modo che potessero emergere una nuova Germania e un nuovo Giappone. Questo non accadrà qui. Israele non cercherà di rieducare i palestinesi e di bandire l'ideologia islamista dalle loro scuole e moschee. E se ci provasse, il mondo non glielo permetterebbe.
   E così aspettiamo che emerga il prossimo ISIS e che scoppi la prossima guerra.

(Israel Heute, 23 ottobre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
____________________

Gli Stati Uniti come difensori della civiltà occidentale, e quindi sostenitori di Israele come baluardo contro le orde barbariche dell'Islam. Gli israeliani farebbero bene a guardarsi da questa semplicistica narrazione consolatoria. Potrebbero rimanere "a bagno maria" per un tempo indefinito, come si trovano ora gli ucraini di Zelensky. Per gli israeliani potrebbe essere arrivato il momento di guardare più attentamente al loro vero problema: quello con Dio. Il problema ha cominciato a porsi in forma indiretta proprio in quella proposta di riforma giudiziaria ora accantonata, che in sostanza pone una domanda fondamentale: che rapporto c'è tra la Democrazia in Israele e il Dio di Israele? Ora per Israele il pericolo reale viene dall'oriente, e allora gli occhi si rivolgono speranzosi all'occidente. Come una volta. Il pericolo veniva dall'oriente di Assiria, e il popolo cercava aiuto nell'occidente di Egitto. Mentre il profeta Isaia ammoniva: "Guai a quelli che scendono in Egitto in cerca di soccorso e hanno fiducia nei cavalli, che confidano nei carri perché sono numerosi, e nei cavalieri perché molto potenti, ma non guardano al Santo d'Israele e non cercano l'Eterno!" (Isaia 31:1). E quando, dopo il disastro nel Regno del Nord, il pericolo arrivò dall'oriente di Babilonia, Israele cercò ancora soccorso nell'occidente di Egitto, rifiutandosi di ascoltare gli ammonimenti del Signore che arrivavano attraverso il profeta Geremia. E dopo che il disastro arrivò inevitabilmente anche nel Regno del Sud, il profeta stesso ricorda le parole con cui gli abitanti aspettavano la salvezza dall'occidente: "A noi si consumavano ancora gli occhi in cerca di un soccorso, aspettato invano; dai nostri posti di vedetta scrutavamo la venuta di una nazione che non poteva salvarci" (Lamentazioni 4:17). E nella Bibbia si legge come andò a finire. M.C.

........................................................


Degli ebrei e dell'ebraismo. Un dialogo

di Riccardo Calimani e Riccardo Di Segni

Dalla quarta pagina di copertina

Ed. Einaudi, Anno 2022
Chi sono gli ebrei? Che cos'è l'ebraismo? Per rispondere a queste e ad altre domande, due figure d'eccezione si intrattengono in un dialogo genuino e non di maniera. Da un lato Riccardo Calimani, saggista e studioso, certamente un ebreo "laico"; dall'altra Riccardo Di Segni, il rabbino capo della Comunità ebraica di Roma. Entrambi, oltre alla conoscenza dell'ebraismo, portano con sé altri saperi. Calimani ha una laurea in ingegneria e in filosofia della scienza. Il rabbino Di Segni è anche un medico radiologo che ha esercitato a lungo. Forse anche grazie a questa molteplicità di saperi, i due autori, amici da sempre, riescono a comunicare la natura dell'ebraismo attraverso le molte sfumature e differenze dei punti di vista. Un libro necessario, se è vero che parte della malapianta dell'antisemitismo molto deve all'ignoranza.
_______

E’ un fatto: tutti gli esseri umani, in qualsiasi zona del mondo abitino, quali che siano gli usi e costumi che seguano e le convinzioni politiche o religiose che abbiano, prima o poi sono costretti a parlare di ebrei. E’ inevitabile, non perché ci sia qualche tiranno che lo imponga, ma perché sono i fatti a richiederlo. Fatti del passato o del presente o di un futuro più o meno prossimo. Già questo potrebbe spiegare l’antipatia con cui molti vedono gli ebrei. Non è un torvo sentimento di cattiveria verso un particolare tipo di genere umano, ma un semplice sentimento di noia verso un tipo di discorso. “Ma sempre questi ebrei! proprio non se ne può più!” Dopo di che, visto che sono costretti a farlo, cominciano anche loro a parlare di ebrei. E allora viene fuori di tutto. Non è detto che sia tutto cattivo, perché qualcosa di buono sugli ebrei si riesce quasi sempre a dire (così da non dover sembrare antisemiti) ma il guaio è che anche i particolari positivi che riescono a trovare molto spesso sono sbagliati, non colgono nel segno. E se questo avviene quando degli ebrei si parla bene, figuriamoci quando se ne parla male. Si può immaginare l’imbarazzo di un ebreo che si sente elogiato per motivi che sa non essere veri, che non corrispondono ai fatti. E’ da manuale la risposta che Woody Allen diede a una signora che lo lusingava: “Voi ebrei siete tutti intelligenti”; “Lei signora dice così perché non conosce mio cugino”, fu la risposta.
Allora, visto che degli ebrei in ogni caso alla fine si deve a parlare, se non altro per evitare di cadere in vistose sciocchezze vale la pena di leggere attentamente questo ottimo libro di Calimani e Di Segni. I due dialoganti sono indubbiamente persone di alto profilo culturale, che esprimono ragionate convinzioni sapendo ciò di cui parlano. Essendo entrambi ebrei convinti, hanno un sottofondo comune che permette loro di esprimersi con sincerità e chiarezza su modi diversi di intendere l’ebraismo senza timore che le proprie parole, anche quando non sono condivise, siano strumentalizzate polemicamente dall’altro. Così può avvenire che anche chi legge finisca per appassionarsi al dibattito e provi ogni tanto la voglia di inserirsi con qualche osservazione o domanda. Provare per credere.
Nel seguito, come assaggio, due scambi particolarmente significativi tra i dialoganti. NsI


• In che cosa credono gli ebrei?
RC - Questa mi pare una domanda difficile da sintetizzare in poche parole. Credo che alla base di tutto ci sia la fede monoteista in un Dio unico Signore del cielo e della terra e in un comportamento etico alla base del quale stanno i dieci comandamenti e le 613 mitzwòt. Da parte mia, che purtroppo non so pregare, credo che sia indispensabile cancellare ogni residuo di idolatria nelle nostre menti e che sia altrettanto indispensabile un buon comportamento etico: due condizioni necessarie, ma non sufficienti.
Credo inoltre che essere ebrei, eredi di una antica nobile tradizione religiosa e culturale, ci permetta di avere strumenti e sensibilità per capire meglio le terribili difficoltà che l'umanità deve affrontare nel nostro mondo di oggi.
RDS - Sono stati tanti i pensatori che hanno cercato di esporre in formule precise le basi della fede ebraica, cito per tutti Maimonide e i suoi tredici articoli. Senza alcuna pretesa provo a spiegare in sintesi. Gli ebrei credono, o dovrebbero credere, di essere stati chiamati a svolgere un compito speciale nell'umanità che comporta dei doveri precisi, di cui do qualche esempio: rispettando il Sabato, affermano che Dio è il creatore dell'universo, che ci ha dato da godere e governare con la nostra intelligenza, ma che non è nostro, e ce lo dobbiamo ricordare un giorno a settimana coltivando la parte spirituale che è in noi; rispettando le regole alimentari ci ricordiamo nuovamente che il mondo non è tutto nostro, che noi siamo fatti di carne e dobbiamo controllare la nostra condizione materiale e la sua crescita e non abusare delle altre creature; rispettando le regole sessuali dobbiamo controllare i nostri istinti e creare una relazione costruttiva di amore; con la preghiera sappiamo che dobbiamo rivolgerci soltanto a Lui per le nostre necessità collettive e individuali; non dobbiamo smettere mai di studiare, per crescere ogni giorno ascoltando la Sua voce che parla attraverso le scritture; dobbiamo impegnarci a instaurare una società giusta, libera e solidale.
Tutto questo comprende una visione etica del mondo, rende intolleranti alle ingiustizie, guida alla comprensione dei fatti e alla risoluzione dei problemi dell'umanità. Ma attenzione, a questo si arriva passando per i doveri da compiere, osservando la disciplina prescritta. Nei grandi movimenti sociali degli ultimi due secoli molti ebrei hanno avuto il ruolo di protagonisti, ma paradossalmente il loro anelito universale si accompagnava al distacco dalle regole. E questa disarmonia non è stata senza conseguenze, spesso drammatiche.

• I dieci comandamenti
RC - Sono sempre rimasto colpito dalla capacità di sintesi che i dieci comandamenti sanno esprimere in campo etico e giuridico e penso che Mosè sia stato un eccellente legislatore. Non penso che Kadosc Barukh hu lo abbia aiutato e non credo che si siano incontrati in cima al monte Sinai.
RDS - Puoi pensare quello che ti pare, ma il messaggio che dà la tradizione è tutt'altro. La Torà, di cui i dieci comandamenti sono una delle sintesi normative più efficaci, è un patrimonio sacro, non è un prodotto meramente umano, ma un testo scritto su ispirazione e dettatura divina; il testo della Torà precede non solo la sua scrittura o la nascita del popolo ebraico, ma la creazione stessa, di cui rappresenta il progetto e la finalità. È un documento che vive prima, durante e dopo il tempo. L'uomo può arrivare da solo a scoprire Dio e mettersi in comunicazione con Lui, come fece Abramo, ma la comunicazione stabilita serve per ricevere un messaggio dall'Alto; l'uomo lo può mettere in discussione, questo messaggio, avrebbe anche il dovere di farlo, come appunto fece Abramo quando cercò di evitare la distruzione di Sodoma, ma il messaggio è altro da lui; è un'infusione di vita. Torà significa comunicazione con il sacro, a tanti diversi livelli possibili; possono stabilirla anche i bambini che leggono qualche riga del testo, possono averla maestri eruditi che passano anni a studiarla; e la stabilì Mosè, di cui però si dice che riuscì ad avvicinarsi a Dio ove nessun altro essere umano era mai arrivato e mai arriverà. Posso comprendere uno scetticismo come il tuo, ma devi renderti conto che stai banalizzando in modi semplicistici un sistema complesso, l'idea stessa della comunicazione tra uomo e Dio e il ruolo di Israele. La Torà che con i suoi comandamenti tu consideri una bella sintesi di Mosè, è l'anima di Israele. Come scriveva Avraham Joshua Heschel, senza anima Israele è un corpo senza vita; e la Torà senza Israele è solo un libro più o meno interessante. Forse non te ne rendi conto, ma se sopravvivi come ebreo è perché ci sono degli ebrei che credono nella Torà.

(Notizie su Israele, 22 ottobre 2023)

........................................................


«Soldato morto per il vaccino». La sentenza: nessun colpevole

Il paradosso a Catania: il giudice stabilisce un nesso diretto tra il decesso del militare Stefano Paternò e una dose di Astrazeneca. Ma assolve sia i medici che l'hanno somministrata sia i vertici della casa farmaceutica.

di Maurizio Belpietro

Non è stato nessuno. Alla fine, il caso di un soldato morto a Catania dopo essere stato vaccinato e che, secondo una sentenza del tribunale locale, è deceduto a seguito dell'iniezione anti Covid, non ha alcun responsabile. Sì, il poveretto non aveva patologie in grado di spiegare il repentino decesso e la sola correlazione possibile è quella dell'inoculazione del siero anti pandemico. Però il giudice non se l'è sentita di buttare la croce addosso ai sanitari che hanno inserito l'ago nel braccio della vittima. E nemmeno e riuscito a trovare altri colpevoli. Dunque, alla fine, sebbene sia accertato che l'uomo è morto a causa del vaccino, il magistrato non ha condannato né i sanitari che avevano vaccinato la vittima, né i vertici del ministero che hanno preordinato le iniezioni. Tutti assolti, dunque, per non aver commesso il fatto. Ma il fatto esiste, ed è quel corpo che giudici e medici hanno davanti agli occhi, ma che rifiutano di vedere. E che invece andrebbe visto, fino alle indagini sulle cause del decesso e sulle estreme conseguenze avvenute per un forcing vaccinale che sarebbe poi diventato obbligo, imposto al fine di consentire di lavorare e viaggiare. Già, forse qualcuno dimentica che l'Italia è stato il solo Paese democratico a imporre l'obbligo di offrire il braccio alla patria, pena essere privati del diritto al lavoro e della libertà di salire su un mezzo pubblico. Nel caso della vittima, l'uomo aveva già contratto il Covid, ma avere un alto numero di anticorpi naturali non era comunque considerato un lascia passare sufficiente per poter esercitare i diritti sanciti dalla Costituzione. Dunque, si sottopose all'iniezione e, come previsto per poter ricevere il vaccino, fu costretto a sottoscrivere una liberatoria in cui si assunse tutti i rischi delle conseguenze collaterali, morte compresa. Così, sgravata la coscienza e la responsabilità dei sanitari e pure quelle delle autorità che disposero l'obbligo di farsi inoculare il siero, la colpa del decesso cade in capo alla vittima, che firmando la liberatoria non si è resa conto di sottoscrivere una condanna a morte.
   Sì, lo so che la situazione risulta paradossale. Pensare che il colpevole sia il deceduto è un insulto al buon senso oltre che alla logica. Ma purtroppo la legge è legge e le liberatorie che vengono fatte sottoscrivere a ignari pazienti spesso servono a questo, ossia a lavarsene le mani e sgravare le istituzioni dalle possibili conseguenze.
   Nel caso di specie, era noto che le multinazionali del farmaco avevano già ottenuto per contratto una sorta di salvaguardia dalle responsabilità dei possibili effetti collaterali. Adesso apprendiamo che anche chi ha eseguito l'iniezione e pure le strutture che l'hanno disposta sono garantite da uno scudo penale.
   Tutto ciò dimostra una cosa, ossia che c'è urgente bisogno di una commissione d'inchiesta parlamentare che scandagli le responsabilità di quanto è accaduto. Per due anni abbiamo assistito, con il beneplacito delle istituzioni che dovrebbero vigilare sul rispetto della Costituzione, alla violazione dei diritti delle persone e adesso, a epidemia ormai lasciata alle spalle, assistiamo alle conseguenze delle forzature di legge. Dai licenziamenti abusivi, oggi sanzionati nei tribunali, ai decessi sospetti, ora indagati negli ospedali. Molto resta da scoprire di quella stagione e anche se, approfittando della guerra in Ucraina e in Palestina c'è chi spera di avviare la commissione d'inchiesta su un binario morto, ora più che mai c'è la necessità di fare luce su ciò che è accaduto. Sappiamo che Mattarella non vuole (lo ha detto) ed è noto che i giornali sono a caccia più dell'ultima registrazione fuori onda di Andrea Giambruno che della penultima annotazione sulle morti inspiegabili. Però, prima o poi, qualcuno dovrà rispondere di quello che è successo. E di certo sarà più interessante delle ultime battute dell'ex compagno del premier .

(La Verità, 22 ottobre 2023)
____________________

Ricerca della verità e desiderio di giustizia sono le molle che hanno promosso e sostenuto fin dall'inizio la creazione e il mantenimento di questo sito. La politica vaccinale degli ultimi tre anni si è originata e si sostiene sull'esatto contrario: diffusione di menzogna e atti di ingiustizia. I sostenitori della vaccinazione coatta in nome del "bene comune" prenderanno le parti del giudice di Catania? M.C.

........................................................


Ascolta la parola del Signore

di Thomas Lieth

L'autore della lettera agli Ebrei esorta così i suoi lettori:

    «Proprio per questo bisogna che ci applichiamo con maggiore impegno a quelle cose che abbiamo udito, per non andare fuori strada. Se, infatti, la parola trasmessa per mezzo degli angeli si è dimostrata salda, e ogni trasgressione e disobbedienza ha ricevuto giusta punizione, come potremo scampare noi se trascuriamo una salvezza così grande? Questa infatti, dopo essere stata promulgata all'inizio dal Signore, è stata confermata in mezzo a noi da quelli che l'avevano udita, mentre Dio testimoniava nello stesso tempo con segni e prodigi e miracoli d'ogni genere e doni dello Spirito Santo, distribuiti secondo la sua volontà» (Ebrei 2:1-4).

Al capitolo 1 c'è invece la descrizione di come Dio parla:

    «Dio, dopo aver parlato anticamente molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale ha pure creato i mondi» (Ebrei 1:1-2).

Nei versetti successivi segue una lode toccante al Figlio di Dio. Fra l'altro, l'autore scrive che Dio ha creato i mondi tramite lui (v. 2), che egli è lo splendore della gloria di Dio e l'espressione della sua essenza (v. 3), che egli ha operato la purificazione dal peccato (v. 3), che è molto più elevato di tutti gli angeli (v. 4) ecc. Ebrei”  ci presenta la grandezza di Gesù Cristo in modo meraviglioso. Si tratta di una lode completa, di una riconferma di Colossesi 2:3, dove Paolo scrive che in Gesù Cristo «sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza». Molte persone aspirano alla saggezza. Si citano filosofi e fondatori di religioni e si ammirano le loro sagge affermazioni. Proprio le religioni orientali, con i loro esercizi meditativi e le esperienze di auto rivelazione, vengono considerate nella nostra società come un esempio da imitare. Non si tiene conto, però, che tutto questo è nulla nei confronti della saggezza divina nascosta in Gesù Cristo.
   Al capitolo 2 della lettera agli Ebrei si parla del fatto che è necessario ascoltare - e naturalmente mettere in pratica - ciò che Dio dice per mezzo di suo Figlio. Siamo esortati a non essere soltanto ascoltatori ma facitori della Parola di Dio (Giacomo 1:22). Non basta ascoltare, anche in Luca 11:28 ci viene detto: «Beati piuttosto quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica!» Se sentite gridare: «Ai posti, attenti, via!» e restate fermi nei blocchi di partenza, non vincerete mai la corsa, neppure se avete le orecchie più fini di tutti e avete sentito per primi il segnale di partenza.
   Questo è un punto importante di cui purtroppo soffrono molti cristiani. Leggono e ascoltano la Parola di Dio, ma non agiscono di conseguenza. Sotto ispirazione di Dio, l'autore della lettera agli Ebrei sottolinea quanto sia importante conservare l'evangelo che ci è stato affidato: «Perciò bisogna che ci applichiamo ancora di più alle cose udite, per timore di essere trascinati lontano da esse» (Ebrei 2: 1). La Bibbia, la Parola di Dio, è il libretto d'istruzioni fondamentale per tutta la nostra vita. Per noi cristiani la Bibbia è ciò che per un capotreno è l'orario ufficiale delle ferrovie. Se egli non si attiene al suo orario, su tutta la rete e in ogni stazione subentra il caos. Eventualmente può crollare l'intero traffico ferroviario. Lo stesso succede per noi cristiani quando pensiamo di non doverci attenere all'orario, alle Sacre Scritture. Prima o poi la nostra vita fa naufragio o il treno della nostra esistenza deraglia e nella nostra stazione lentamente ma inevitabilmente veniamo sopraffatti dal disordine.
   Vorrei chiedervi: Siete dei cristiani?
   Lo siete soltanto di nome o volete anche vivere di conseguenza? Allora leggete, ascoltate e agite secondo la Parola di Dio. Senza di essa corriamo il rischio di puntare fuori dal bersaglio, come ci viene mostrato in Ebrei 2:1. Qual è il bersaglio? La gloria di Dio in e per mezzo di suo Figlio Gesù Cristo. Pietro scrive cosi: «affinché in ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo» (1 Pietro 4:11). Per realizzare tale scopo, siamo chiamati a restare attaccati alla Parola e a non allontanarcene né a destra né a sinistra.
   A prescindere da cosa si tratti, è importante ascoltarla e soprattutto praticare ciò che la Bibbia, e quindi Dio stesso, ci dice. Non importa quello che vi dicono gli uomini. Non importa quello che posso raccontarvi io. È invece di fondamentale importanza ciò che dice la Parola di Dio. Possiamo imparare dalle persone, dalla loro vita, dai loro commenti, prediche e interpretazioni. Tutte queste cose possono essere un aiuto prezioso ma non sostituiscono la Parola di Dio. Qualsiasi predica, esposizione, commentario o altro possono e devono essere dei preziosi complementi, indirizzare verso la Sacra Scrittura, ma non possono e non devono mai sostituire la Parola di Dio. È assolutamente escluso!
   I Mormoni sono inevitabilmente nell'errore perché considerano il libro di Mormon più importante della Paro1a di Dio. Hanno un libro che contiene istruzioni errate, si trovano sul binario sbagliato. Anche nella Chiesa Cattolica ci sono tanti insegnamenti sbagliati perché essa si affida ai suoi insegnamenti ecclesiastici, i suoi dogmi e le sue tradizioni più che la Parola vivente di Dio. Abbiamo tantissimi problemi nelle comunità riformate perché esse sono più prese da loro stesse che dalla Parola di Dio. Ogni comunità, ogni chiesa deve interrogarsi e chiedersi: «Che cosa ha più peso da noi? La tradizione, la dottrina della chiesa o della comunità, il dogma, l'autoincensazione o la Parola di Dio?»
   Già Timoteo fu esortato severamente a tenere conto della Parola: «O Timoteo, custodisci il deposito» (1 Timoteo 6:20). Paolo non scrive: «O Timoteo, non dimenticarti di me.» «O Timoteo, pensa a tutto quello che ti ho detto.» No, dice: «Timoteo, custodisci il deposito» - ossia la Parola di Dio perché essa è vera e affidabile. La Parola presenta lo straordinario Salvatore (1 Timoteo 1:15).
   La Parola di Dio, la buona novella, è eternamente valida e non passa:

    I cieli e la terra passeranno ma le mie parole non passeranno» (Marco 13:31 ).
    «Perché siete stati rigenerati non da seme corruttibile, ma incorruttibile, cioè mediante la parola vivente e permanente di Dio. Infatti, 'ogni carne è come l'erba, e ogni sua gloria come il fiore dell'erba. L'erba diventa. secca e il fiore cade; ma la parola del Signore rimane in eterno'. E questa è la parola della Buona Notizia che vi è stata annunziata» (1 Pietro 1:23-25).

Peccato che per alcuni cristiani la parola degli uomini abbia maggior peso della Parola incorruttibile, eternamente valida, vera e viva di Dio. Non si tratta di vedere se la Parola piace, se è scritta in modo gradevole, lirico e poetico, con suspense o una buona base storica. Qui si tratta di molto di più, perché da questa Parola"dalle Sacre Scritture"- dipendono la vita e la morte, il cielo e l'inferno; perché la fede - senza la quale nessuno può essere salvato - viene dalla Parola (Romani 10:17).
   La Bibbia è quindi un libro importantissimo, per non dire vitale, per cui spezza il cuore vedere che un libro così prenda polvere nello scaffale, s'ingiallisca e addirittura venga bruciato. Le persone che fanno questo si comportano come degli psicopatici che sparano al chirurgo e pensano di poter eseguire da soli l'intervento sul proprio cuore aperto.
   Vista l'importanza e il significato di questo libro, non stupisce che la lettera agli Ebrei esorti con enfasi, ma anche in modo incoraggiante, a mantenere ferma la Parola, ad aggrapparsi a ciò che il Signore ci ha rivelato tramite essa. Ricordatevi: potete fidarvi di tale Parola al cento per cento, senza condizioni, perché è la Parola di Dio.
   Forse siete disperati, bruciati dentro, soli e scoraggiati? Prendete a cuore la Parola di Dio in cui, fra l'altro, sta scritto:

    «Noi siamo tribolati in ogni maniera, ma non ridotti all'estremo; perplessi, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; atterrati ma non uccisi; portiamo sempre nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo» (2 Corinzi 4:8-10).

Essa contiene molte altre promesse come:

    «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo» (Matteo 11:28).

Probabilmente avrete sentito tale promessa già dozzine di volte e forse conoscete il versetto a memoria. Ma ci credete anche, lo prendete a cuore e lo custodite? Fatelo, perché la Parola di Dio è eternamente valida. La sua consolazione e le sue promesse, la sua fedeltà e il suo amore sono rivolti anche a voi, proprio quando non sapete più dove battere la testa.
   Al versetto 2 di Ebrei 2 sta scritto: «Infatti, se la parola pronunziata per mezzo di angeli si dimostrò ferma ... » Che cosa significa? Quale parola fu trasmessa per mezzo di angeli?
   Apriamo gli Atti degli Apostoli al capitolo 7 e leggiamo il discorso che Stefano pronunciò in sua difesa davanti al sinedrio e in cui riporta la storia di Israele:

    «Questi è il Mosè che disse ai figli d'Israele: "Dio vi susciterà, tra i vostri fratelli, un profeta come me". Questi è colui che nell'assemblea del deserto fu con l'angelo che gli parlava sul monte Sinai e con i nostri padri, e che ricevette parole di vita da trasmettere a noi» (Atti 7:37-38).

Che cosa fu dato a Mosè da un angelo sul Monte Sinai? Le tavole della legge (cfr. v. 53).
   Paolo dice che essa «fu promulgata per mezzo di angeli, per mano di un mediatore» (Galati 3:19). Inizialmente abbiamo costatato che il capitolo 1 della lettera agli Ebrei parla del fatto che Gesù è superiore agli angeli. Senza voler ora esaminare più da vicino la legge in quanto tale, possiamo però affermare che la Parola del Figlio, ossia la buona notizia della grazia, è molto migliore e ha più valore della parola degli angeli, ossia della legge. In altre parole, se leggiamo che Gesù è superiore agli angeli, significa anche che la grazia è migliore della legge! Nel nostro testo si parla del fatto che ogni infrazione della legge produceva la giusta retribuzione: « ... ogni trasgressione e disubbidienza ricevette una giusta retribuzione» (Ebrei 2:2). La legge dimostrò all'uomo che egli non era in grado di salvarsi da solo, che gli era impossibile, perché tutti erano colpevoli davanti alla legge e sarebbero crollati davanti ad essa, ricevendo il salario del peccato, ossia la morte. Questo è in realtà il senso e lo scopo della legge, ossia mostrare agli uomini la necessità di riconoscere il proprio peccato e di convertirsi.
   La legge già lo indica: «Avete bisogno di un vicario che è in grado e vuole espiare la vostra colpa e ricevere il salario del peccato al posto vostro.» Chi sia questo sostituto, questo Redentore, è il tema non soltanto della lettera agli Ebrei bensì di tutte le Sacre Scritture. Questo vicario, che è in grado di espiare il peccato dell'uomo e ottenere per lui la salvezza eterna, e che vuole farlo, non è altri che il Figlio di Dio incarnato, Gesù Cristo!
   Ebrei 2:1-4 mostra all'uomo che ha sentito la Parola di Dio e a cui la via della salvezza è stata presentata: «Quanto sei sciocco se disprezzi tale salvezza!»
   State attenti alla Parola di Dio! Ascoltatela e agite conformemente a essa! È uno sciocco chi non lo fa! Egli somiglia a un naufrago che disprezza il salvagente accanto a sé e confida soltanto nelle proprie forze, mentre vale ciò che sta scritto nel Vangelo di Giovanni:

    «Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: 'Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e  la verità vi farà liberi'» (Giovanni 8:31-32).

Vi chiedo ancora: Siete dei cristiani?
   Perseverate nella Parola? La conservate, ve la prendete a cuore e vivete in modo corrispondente ai suoi insegnamenti? Oppure vivete per voi stessi? Se si considera quali conseguenze derivavano, nel Vecchio Patto, dal fatto di non ascoltare la parola degli angeli - ossia la legge - quanto più fatali devono essere le conseguenze se si disprezza la Parola del Figlio che è tanto più elevato di tutti gli angeli. Abbiamo sentito il Figlio e ora si tratta di ubbidire alla sua Parola. Le Scritture stesse ci sfidano a leggere la Parola, a studiarla, ad appropriarcene, ad agire di conseguenza e a rimanere profondamente radicati in essa (2 Giovanni 9; Proverbi 4:13). La Parola di Dio - la Sacra Scrittura - è il nostro orario ufficiale, il nostro libro delle istruzioni, la nostra vita. Forse vi definite cristiani, siete stati battezzati, frequentate il culto in chiesa e sporadicamente persino la riunione di preghiera. Forse vi considerate una brava persona. Ma siete anche un buon cristiano? C'è forse qualcosa nella vostra vita che va contro le istruzioni per l'uso della vostra esistenza? Non importa? Sì, dimenticavo, siete cristiani e quindi siete certi di non poter andare in perdizione. Ma io vi dico che è grave, proprio perché siete dei cristiani. Io non ho idea di cosa vi aspetti nell'eternità, ma so che cosa Dio si aspetta da voi qui e oggi:

    «Ma come colui che vi ha chiamati è santo, anche voi siate santi in tutta la vostra condotta, poiché sta scritto: 'Siate santi, perché io sono santo'» (1Pietro 1:15-16).
    «Carissimi, io vi esorto, come stranieri e pellegrini, ad astenervi dalle carnali concupiscenze che danno l'assalto contro l'anima, avendo una buona condotta fra i pagani» ( l Pietro 2:11-12).

Che cosa vuole Dio da noi? Una vita vissuta secondo la sua volontà, una vita che faccia onore al suo nome, che contribuisca a glorificare il nome del Padre e del Figlio. Stiamo assolvendo questo compito? - O Dio, quanto è sciocco chi non segue la tua Parola! - Perciò vogliamo incoraggiarci a vicenda a rimanere attaccati a questa Parola, a interiorizzarla, a osservare ciò che ci viene detto dalle Scritture. È la Parola vivente di Dio la bussola per la nostra vita. Ascoltate la Parola del Signore, credete alla sua Parola e custoditela. Siate radicati in essa e la corona di vittoria vi è assicurata!

(Chiamata di Mezzanotte, mar/apr 2018)


 

........................................................


Hamas prepara una nuova "sorpresa" mortale contro Israele: le nuove armi dei terroristi

di Valerio Chiapparino

A due settimane dalla strage del 7 ottobre non è ancora arrivato il momento per lo Stato ebraico di ricostruire la catena di errori che ha portato all'attacco più grave contro gli ebrei dal tempo della Shoah. Israele già si interroga però su come i suoi nemici siano riusciti a nascondere i loro piani di morte e a indurre il governo di Benjamin Netanyahu ad abbassare la guardia. E si affaccia adesso un inquietante interrogativo: quali “sorprese” ha ancora in serbo Hamas per l’esercito israeliano che si appresta a lanciare l’operazione di terra nella Striscia di Gaza?
   Il 7 ottobre gli islamisti hanno adoperato armi già note agli israeliani ma il timore per Tel Aviv è che i terroristi nascosti nei tunnel, la cosiddetta “metro di Gaza”, stiano aspettando l’ingresso delle forze di Tsahal nella Striscia per svelare il loro arsenale segreto. L’incubo per Israele è rappresentato dai droni sottomarini che potrebbero essere usati per colpire porti, navi e piattaforme petrolifere.
   Nel 2016 il Mossad, il servizio di intelligence israeliano, in una missione mai riconosciuta aveva ucciso in Tunisia Mohamed Zouari, un ingegnere aerospaziale noto per essere il responsabile del programma dei velivoli senza pilota di Hamas. All’epoca del suo omicidio, Zouari stava lavorando alla costruzione di droni sottomarini ma la sua morte non pone fine al suo progetto. Nel 2021 infatti l’Israel Defence Forces (Idf) intercetta e distrugge un drone di questo tipo appena partito da una spiaggia di Gaza. Il successo dell'operazione lascia il sospetto tra le forze militari che Hamas possa contare su altre armi avanzate dal punto di vista tecnologico che ancora adesso non sono state impiegate contro gli israeliani. L’eredità di Zouari d’altra parte si è vista anche nell’attacco del 7 ottobre con la conferma da parte del gruppo islamista dell’utilizzo di 35 velivoli esplosivi e senza pilota costruiti sulla base dei progetti dell’ingegnere.
   Ci sono poi altri armamenti che preoccupano Tel Aviv: le munizioni guidate di precisione che potrebbero colpire a grande distanza e le bombe collocate lungo le strade. Queste ultime in particolare sarebbero una versione potenziata delle mine che in Iraq e Afghanistan hanno provocato centinaia di morti e feriti tra gli americani e non solo. Questi strumenti bellici chiamano in causa l’Iran, grande sostenitore nella regione di Hamas, Jihad Islamica, Hezbollah, Houthi e altri gruppi ostili agli Stati Uniti e ad Israele. Un report dell’intelligence di Washington trapelato ad inizio anno informava di militanti in Siria “istruiti” da esperti di Teheran sulla realizzazione di bombe perforanti in grado di creare danni micidiali alle corazze dei carri armati ad una distanza di 20 metri.
   L’Iran avrebbe stanziato 100 milioni di dollari in supporto militare, addestramento high-tech e trasferimento di know-how a favore di Hamas e dei suoi alleati fornendo loro inoltre prototipi di razzi, missili e droni. Grazie alla tecnologia iraniana il movimento islamista che controlla la Striscia di Gaza ha poi realizzato strutture sotterranee adibite alla costruzione di razzi e velivoli senza pilota. Secondo le intelligence di Washington e Tel Aviv esplosivi e componenti elettronici sono stati introdotti nella Striscia via mare o attraverso i tunnel.
   La nuova “sorpresa” mortale che Hamas potrebbe riservare alle forze di Tsahal ha un precedente che gli israeliani non hanno dimenticato. Nel 2006 Tel Aviv non era a conoscenza delle capacità di Hezbollah di colpire al largo delle coste libanesi e rimase impressionata dall’attacco missilistico compiuto dal movimento sciita contro la corvetta INS Hanit in cui persero la vita 4 membri dell’equipaggio.
   “È alquanto probabile che Hamas abbia delle capacità che non abbiamo ancora visto ma che potremmo vedere a breve dichiara al Washington Post Fabian Hinz, un esperto della difesa presso l’International Institute for Strategic Studies. I militanti islamisti starebbero quindi attendendo l’escalation nel conflitto in corso per mostrare tutte le loro carte in quella che potrebbe essere la loro ultima battaglia.

(il Giornale, 21 ottobre 2023)

........................................................


L'inganno di Hamas - e il nostro autoinganno

Gli Stati Uniti e Israele continuano a basare le loro politiche sulla finzione che l'Autorità Palestinese sia pronta a coesistere con lo Stato ebraico.

di Caroline Glick

Palestinesi manifestano a Hebron a sostegno di Hamas 13 ottobre 2023
GERUSALEMME - Domenica scorsa, l'anziano terrorista di Hamas Ali Baraka ha raccontato la storia di come Hamas ha ingannato Israele e gli Stati Uniti.
In un'intervista a RT (ex Russia Today), Baraka ha dichiarato: "Negli ultimi anni, Hamas ha adottato un approccio 'razionale'. Non è sceso in guerra e non si è unito alla Jihad islamica nella sua ultima battaglia [cioè l'attacco missilistico su Israele dell'agosto 2022]".
   "Abbiamo fatto credere che Hamas fosse impegnato nella gestione di Gaza, che volesse concentrarsi sui 2,5 milioni di palestinesi e che avesse abbandonato del tutto la resistenza. Per tutto questo tempo, Hamas stava preparando di nascosto questo grande attacco".
   In altre parole, Hamas fingeva di essere un partner negoziale credibile e l'unico problema era la Jihad islamica palestinese, la sua propaggine di origine iraniana.
   Uno degli aspetti frustranti dell'ammissione di Baraka è che l'inganno di Hamas non era una novità. L'inganno è parte integrante della dottrina jihadista fin dai tempi di Maometto. Altrettanto importante e frustrante è che anche coloro che non sono consapevoli - o sono volontariamente ciechi - della centralità della dottrina e delle convinzioni jihadiste islamiche per Hamas dovrebbero conoscere le tattiche di Hamas. È tratta direttamente dal libro dei giochi dell'OLP.
   Cinque giorni dopo il massacro di Hamas di oltre 1.300 ebrei nel sud di Israele, e alla vigilia del suo incontro con il Segretario di Stato americano Antony Blinken ad Amman, venerdì, il presidente dell'Autorità palestinese e leader dell'OLP/Fatah Mahmud Abbas ha rilasciato una dichiarazione.
   "Rifiutiamo le pratiche di uccisione o abuso di civili da entrambe le parti perché violano la morale, la religione e il diritto internazionale".
   La dichiarazione di Abbas è degna di nota per diverse ragioni. Non nomina Hamas. Traccia un'equazione morale tra il contrattacco di Israele a Gaza e gli stupri, le torture, gli omicidi, i roghi e i rapimenti di neonati, bambini, donne e uomini da parte di Hamas. E questo dopo cinque giorni in cui Abbas e il resto della società palestinese non hanno fatto altro che celebrare e difendere le atrocità di Hamas, incolpando Israele per i crimini contro l'umanità che Hamas sta commettendo contro il suo popolo.
   Nel suo discorso del 10 ottobre, il Presidente Joe Biden ha detto che Hamas non è rappresentativo delle aspirazioni palestinesi. Nelle sue parole, "Hamas non rappresenta il diritto del popolo palestinese alla dignità e all'autodeterminazione".
   Il sottotesto era chiaro. Hamas è il cattivo. L'Autorità Palestinese è il buono. E come se questo non fosse già chiaro durante il discorso di Biden, è stato reso ancora più chiaro dalla decisione di Biden di incontrare Abbas.

• Fatah e Hamas
  Per cinque giorni, Abbas non ha fatto altro che elogiare Hamas e condannare Israele. Come riporta Palestinian Media Watch, Abbas ha rilasciato una dichiarazione di solidarietà con Hamas il giorno successivo al discorso di Biden. L'11 ottobre, Abbas ha promesso che l'Autorità Palestinese "sarà al fianco del nostro popolo, Gaza non sarà sola".
   Il partito di governo Fatah dell'OLP (di cui Abbas è anche capo) ha parlato bene di Hamas. Come riportato da MEMRI, il 9 ottobre il Comitato centrale di Fatah ha elogiato Hamas per il suo massacro e ha chiesto l'unità nazionale, cioè l'unità tra l'Autorità palestinese e Hamas.
   L'obiettivo, ha detto Fatah, è quello di "riunirsi veramente e consapevolmente intorno alla possibilità di unità nazionale, unità nella lotta sul campo e unità politica e diplomatica con tutti i mezzi a nostra disposizione per condurre questa campagna insieme".
   Fatah ha anche invitato tutti i palestinesi a unirsi alla jihad di Hamas contro Israele.
   "L'opinione pubblica deve ascoltare l'appello ad opporsi all'aggressione e ai crimini a Gaza e in Cisgiordania e ad intensificare tutte le zone di conflitto con l'occupante [Israele] in tutta la nostra patria di Palestina per difendere il nostro popolo e stare al fianco dei nostri residenti a Gaza".
   L'organizzazione terroristica di Fatah, le Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, ha pubblicato sulle sue pagine Telegram appelli coranici alla jihad, non diversamente dalla propaganda di Hamas. Fatah ha citato il versetto coranico che invita alla distruzione di tutti gli ebrei, che anche Hamas utilizza nella sua carta, e ha chiesto: "Picchiate i figli delle scimmie e dei maiali... uccidete tutti gli israeliani".
   Nello spirito di "unità diplomatica" auspicato dal Comitato centrale di Fatah, l'Autorità palestinese funge da ministero degli Esteri di Hamas. Martedì, il suo ambasciatore alle Nazioni Unite Riyad Mansour ha scritto una lettera al Consiglio di Sicurezza accusando Israele di "crimini di guerra" e definendo la sua decisione di tagliare le forniture gratuite di acqua ed elettricità a Gaza "niente di meno che un genocidio".
   Nell'Autorità Palestinese, la gente ha accolto la notizia delle atrocità di Hamas con giubilo. Dalla Samaria settentrionale alle colline meridionali di Hebron, si sono svolte celebrazioni, marce per la vittoria e feste pubbliche. I palestinesi hanno deriso le vittime ebree sui loro account di social media e hanno celebrato il loro omicidio di massa.
   A Huwara, in Samaria, una pizzeria ha pubblicato una pubblicità con una nonna sopravvissuta all'Olocausto e ora ostaggio a Gaza con in mano una pizza.

• L’importante è convincere Blinken
  Che la blanda condanna di Abbas delle atrocità di Hamas sia falsa è evidente se considerata nel contesto delle sue azioni e dichiarazioni e di quelle dell'AP, dell'OLP, di Fatah e dell'opinione pubblica palestinese. Ma è stato chiaramente sufficiente per convincere Blinken che è ragionevole incontrarlo e continuare a basare la politica statunitense sulla finzione che l'AP rappresenti una forza moderata all'interno della società palestinese, pronta a coesistere pacificamente con lo Stato ebraico.
   Le bugie e gli inganni di Abbas sono il suo modus operandi, proprio come lo erano quelli del suo predecessore Yasser Arafat e dei loro compagni dell'OLP e di Hamas. È una prova della sicurezza di Abbas e del suo disprezzo per gli Stati Uniti il fatto che si sia sentito abbastanza forte da non preoccuparsi di condannare Hamas a squarciagola.
   Nei primi giorni dell'Autorità Palestinese, negli anni '90, Arafat condannava abitualmente gli attacchi terroristici di Hamas contro Israele in inglese e poi invitava i palestinesi in arabo a massacrare gli ebrei attraverso la jihad. Pochi mesi dopo l'istituzione dell'Autorità Palestinese a Gaza e Gerico nel 1994, Arafat inviò il suo capo della sicurezza Mohammed Dahlan a negoziare un patto di cooperazione con Hamas. L'accordo negoziato dava ad Hamas mano libera per massacrare gli ebrei, a patto che l'OLP non fosse coinvolta.
   Allo stesso tempo, Dahlan era a capo della squadra di negoziatori dell'OLP per gli affari militari con Israele. Incantava i suoi interlocutori israeliani parlando loro in ebraico, che aveva imparato nella prigione israeliana dove era stato condannato per terrorismo negli anni Ottanta. I suoi interlocutori consideravano Dahlan un moderato, il duro che avrebbe fatto fuori Hamas per conto di Israele. Dahlan fumava sigarette con i generali dell'IDF e allo stesso tempo stringeva un accordo di cooperazione con il terrorista di Hamas Mohammed Deif.
   In tempi tranquilli, Hamas e l'AP operavano separatamente. I servizi di sicurezza dell'Autorità palestinese, finanziati e addestrati dagli Stati Uniti, hanno fornito a Israele preziose informazioni che hanno portato allo smantellamento di molte cellule di Hamas. Ma nei periodi di offensiva terroristica, hanno lavorato insieme. Il gruppo terroristico più micidiale che ha operato durante la guerra del terrore palestinese (nota anche come Seconda Intifada) dal 2000 al 2004 è stato il cosiddetto "Comitato di Resistenza Popolare". Erano composti da terroristi di Fatah, Hamas e Jihad islamica.
   La finta scissione di Hamas dalla Jihad islamica e l'uso della Jihad islamica per convincere Israele e gli Stati Uniti che Hamas si era moderato erano lo stesso trucco.

• La menzogna della moderazione palestinese
  Israele e gli Stati Uniti si sono rifiutati di ammettere di essere stati ingannati dall'Autorità Palestinese nello stesso modo in cui sono stati ingannati negli ultimi due anni da Hamas, che è stato in grado di ingannare Israele e gli Stati Uniti per due anni perché volevano essere ingannati. I generali di Israele hanno voluto credere che i palestinesi nel loro insieme non sono nemici implacabili. Che possono essere ammansiti. Non dobbiamo sconfiggerli.
   E l'amministrazione Biden, come la maggior parte dei suoi predecessori, ha voluto credere all'inganno - e lo fa ancora nel caso dell'Autorità Palestinese - perché vuole credere che Israele sia colpevole della violenza perpetrata contro di lui. La menzogna della colpa israeliana è alla base di 50 anni di sforzi di pace degli Stati Uniti in Medio Oriente. La menzogna della moderazione palestinese è stata la giustificazione per 50 anni di pressioni quasi continue degli Stati Uniti su Israele affinché cedesse territori ai palestinesi. È stata la giustificazione e la motivazione dell'opposizione statunitense a qualsiasi sforzo di Israele per sconfiggere l'OLP sul campo di battaglia.
   La costante affermazione che "non esiste una soluzione militare al conflitto palestinese con Israele" si basa sull'idea che esista una soluzione politica.
   Ma il massacro di sabato ha chiarito - e non per la prima o la centesima volta - che questo non è un conflitto politico. È un conflitto esistenziale. E non è solo tra Israele e Hamas. È tra la stragrande maggioranza del popolo palestinese e l'intera leadership palestinese, che cercano attivamente la distruzione fisica di Israele e il genocidio dell'ebraismo mondiale, e degli ebrei che vogliono vivere in pace e libertà nello Stato ebraico di Israele.

(Israel Heute, 20 ottobre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


I nodi da sciogliere e la necessità della vittoria

A due settimane dalla feroce aggressione da parte di Hamas subita da Israele, lo scenario che ci troviamo davanti è mobile e contrassegnato dall’incertezza.

Gli ostaggi
  I nodi da sciogliere sono diversi e particolarmente aggrovigliati. Il primo riguarda la questione dei 203 ostaggi detenuti nella Striscia. Dalle notizie trapelate sembra che solo una parte di essi sia nelle mani di Hamas, mentre altri siano divisi tra la fazione della Jihad islamica e altri gruppi e sottogruppi. La situazione è notevolmente opaca. Due cittadine americane, madre e figlia, sono state rilasciate ieri. Si lavora sottobanco, con la mediazione del Qatar, attore che gioca da tempo molti ruoli, per anni finanziatore di Hamas, e al contempo interlocutore degli Stati Uniti. Sia a Gerusalemme che a Washington si lavora alacremente affinché  ne vengano rilasciati altri, ma è del tutto improbabile che, se avverranno rilasci ulteriori, il numero possa essere massiccio. Oltre ai civili, a Gaza sono prigionieri molti militari, e un portavoce di Hamas ha già fatto sapere che il loro eventuale rilascio è subordinato a quello di tutti i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, una richiesta per Israele del tutto irricevibile.
L’attacco terrestre
  Aleggia sopra Gaza lo spettro dell’invasione di terra, annunciata a più riprese ma di fatto, non ancora materializzata. Dopo il richiamo di 300,000 riservisti e il dispiegamento di truppe sul confine, per il momento si è proceduto solo a un raid all’interno della Striscia, mentre i bombardamenti proseguono massicci. L’obbiettivo dichiarato è quello di effettuare a Gaza un regime change, ma perché  ciò possa avvenire non ci sono alternative se non quella di una invasione della Striscia, opzione che anche gli Stati Uniti considerano inevitabile, anche se premono su Israele per un temporeggiamento necessario a far sì che il numero degli ostaggi tra cui ci sono 22 cittadini americani possa aumentare e il numero più ampio di sfollati possa mettersi in sicurezza .

Il “dopo” Hamas
  Gli Stati Uniti e Israele stesso sono contrari a una rioccupazione della Striscia, che, dal 2007, è sotto il dominio di Hamas. Uno scenario possibile sarebbe quello di commissariarla sotto l’egida di un governo sostenuto da una coalizione internazionale in cui gli Stati arabi abbiano un ruolo di primo piano. Si tratta di una prospettiva ardua e irta di incognite il cui avverarsi è completamente subordinato all’eliminazione di Hamas, e dunque all’invasione della Striscia e alla vittoria di Israele. Nel mentre si deve affrontare la crisi umanitaria e l’aumento del numero dei morti.

La necessità della vittoria
  Israele non ha scelta se non quella di invadere la Striscia e riportare la vittoria sul nemico. Lasciare Hamas a Gaza significherebbe di fatto sconfessare la propria stessa ragione d’essere, quella di uno Stato nato per garantire agli ebrei di tutto il mondo che hanno deciso di viverci, sicurezza e prosperità. Significherebbe consegnare all’estremismo islamico una vittoria clamorosa, rafforzare e imbaldanzire Hezbollah e il suo sponsor principale, l’Iran e prepararsi a breve a un’altra guerra.
   La vita degli ostaggi, la crisi umanitaria, il post Hamas, possono essere considerati unicamente dentro la prospettiva di una vittoria netta di Israele, e non a monte di essa.
   Nessuna guerra inaugura mai scenari facili, ma dà vita, inevitabilmente, a un ginepraio di problemi, e questa guerra, come tutte le altre guerre, non fa eccezione, ma solo la vittoria sul nemico può chiarire l’orizzonte, ed è, per Israele, il passo necessario per la sua sopravvivenza.

(L'informale, 21 ottobre 2023)

........................................................


«Ho 4 figli maschi, 3 sono partiti per la guerra come riservisti. Ma noi vogliamo la pace con Gaza»

di Marco Bruna

Shari Har Tuv con il marito e uno dei figli
Shari Har Tuv, 67 anni, vive a Gerusalemme. Tre dei suoi quattro figli maschi sono tornati a indossare le uniformi dell’esercito israeliano. «Hanno abbandonato il loro lavoro, la loro famiglia. Se ne sono andati il primo giorno di guerra. Uno è nel nord, uno nel sud vicino a Gaza e il terzo nei pressi di Hebron»
Shari Har Tuv ha 67 anni, vive a Gerusalemme. Ha visto tre dei suoi quattro figli maschi tornare a indossare le uniformi e unirsi all’esercito israeliano. I figli di Shari sono tra i 400 mila riservisti (in ebraico «miluim») che vengono richiamati in caso di necessità. Dopo l’attacco missilistico di Hamas dello scorso 7 ottobre - oggi sono due settimane di guerra - il ruolo dei riservisti è diventato cruciale. Il premier Netanyahu ha chiesto ai suoi soldati di «combattere come leoni», mentre si avvicina l’ordine di invasione via terra della Striscia di Gaza.
   Il figlio più grande di Shari ha 40 anni, età in cui di solito non si presta più servizio nell’esercito. Ma adesso chiunque sia in grado di combattere deve rispondere all’appello. Gli altri due maschi figli hanno 37 e 33 anni. Il più giovane ne ha 29. Shari ha anche una figlia, di 32 anni.
   «Due dei miei figli hanno lasciato a casa le loro mogli incinte, entrambe dovrebbero partorire tra circa un mese. Un altro ha un piccolo nato sei settimane fa. Tutti hanno abbandonato il loro lavoro, la loro famiglia. Se ne sono andati già il primo giorno di guerra. Uno è nel nord, uno nel sud vicino a Gaza e il terzo adesso si trova nei pressi di Hebron», dice Shari, raggiunta via email e su WhatsApp dal Corriere.
   «Non hanno esitato un solo minuto appena è arrivata la chiamata. Tutti noi conosciamo persone che potrebbero non riprendersi mai più dal trauma del brutale attacco di Hamas, conosciamo persone che hanno perso parenti, amici, colleghi. Nostra figlia, che è un’assistente sociale, e suo marito, che è uno psicologo, stanno assistendo chi è sopravvissuto al massacro. Ci sono famiglie distrutte. Il Paese è in profondo lutto. Ma il nostro obiettivo è vivere in pace con i nostri vicini».
   Shari Har Tuv è cresciuta a Knoxville, Tennessee, in una famiglia sionista. La prima volta che è stata in Israele aveva 15 anni. Quel giorno sapeva di essere arrivata a «casa». Si è trasferita in Israele con il marito, che oggi ha 71 anni, nel 1982 e ha trovato lavoro come architetto.
   «I miei figli si aspettavano di essere chiamati - continua Shari -. Quello di 37 anni però è un pacifista e un attivista, e ha lasciato l’esercito presto. Lui non è andato a combattere. Prima di partire il più grande ci ha chiesto se avessimo dei caricatori esterni per i cellulari. Ci ha chiesto anche un passaggio per arrivare alla sua base, voleva lasciare la macchina alla moglie in caso di necessità. Il nostro secondo figlio ha tutto il necessario. Si sta addestrando da 14 anni: lavora nell’intelligence di terra e fa parte di una squadra che assiste i soldati. Il più giovane si trova al confine nord di Israele, vicino a Metualla, dove negli ultimi giorni si sono verificate numerose incursioni e cadute di razzi. Sappiamo tutti che da questa guerra dipende la nostra sopravvivenza».
   La figlia di Shari, 32 anni, è stata costretta a lasciare la sua casa a Sderot, ormai diventata una città fantasma dopo i bombardamenti e le incursioni di Hamas. Lei e suo marito si sono trasferiti in un kibbutz vicino a Eilat.

(Corriere della Sera, 21 ottobre 2023)

........................................................


Crescenti tensioni al confine libanese. Evacuazione degli abitanti di Kiryat Shmona

Il Ministero della Difesa e l’IDF hanno annunciato ufficialmente l’evacuazione dei residenti di Kiryat Shmona, città settentrionale situata a pochi chilometri dal confine con il Libano.
Questa decisione è stata presa in risposta ai continui attacchi con razzi contro veicoli corazzati, condotti da Hezbollah – l’organizzazione paramilitare islamista sciita e antisionista libanese nonché da altri gruppi armati palestinesi nel sud del Libano.
Kiryat Shmona, attualmente abitata da circa 22.000 persone, ha visto molti dei suoi residenti già abbandonare la città a causa delle crescenti tensioni nella regione. All’inizio della settimana, l’Autorità per la gestione delle emergenze del ministero della Difesa aveva iniziato a pianificare l’evacuazione di tutte le comunità entro due chilometri dal confine con il Libano.
   Questa decisione è stata influenzata dagli eventi che sono seguiti all’attacco di Hamas contro Israele avvenuto il 7 ottobre scorso, il quale ha scatenato una serie di bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza. Questi avvenimenti hanno ulteriormente accresciuto le tensioni tra i gruppi armati libanesi e le forze di difesa israeliane, portando all’evacuazione dei residenti di Kiryat Shmona allo scopo di garantirne la sicurezza. Gli abitanti verranno ospitati in pensioni sovvenzionate dallo Stato, conformemente alle decisioni del ministro della Difesa Yoav Gallant.

(Bet Magazine Mosaico, 20 ottobre 2023)

........................................................


Spade di ferro giorno 14: il rischio di nuovi fronti

di Ugo Volli

Razzi dallo Yemen
  La novità più significativa dell’ultima giornata consiste in uno sparo di missili e droni contro Israele effettuato dagli Houti dello Yemen. Gli Houti sono un gruppo tribale fortemente islamista che ha condotto negli ultimi vent’anni una guerra civile in Yemen, sconfiggendo il regime precedente e mettendo in difficoltà anche la confinante Arabia Saudita, che ha cercato invano di bloccarli con bombardamenti e interventi militari. In diverse riprese gli Houti, massicciamente armati dall’Iran, sono riusciti a bombardare a loro volta alcuni dei principali impianti petroliferi dell’Arabia e a colpirne anche la capitale Ryad. Ieri notte gli Houti hanno tentato di fare arrivare i loro proiettili su Israele, che dista 2500 chilometri. Come se l’Italia, scontenta della politica finlandese, mandasse bombe su Helsinki. Inutile dire che non vi sono rivendicazioni territoriali reciproche. Gli ebrei hanno abitato in Yemen per quasi 3000 anni, dai tempi di Salomone e della Regina di Saba, nel medioevo c’è stato anche un regno ebraico da quelle parti, e vi è stata una grande tradizione culturale e religiosa; ma gli ebrei yemeniti sono stati progressivamente costretti ad abbandonare il paese con terribile violenze dopo la fondazione di Israele e gli ultimi sono riusciti fortunosamente a scappare qualche anno fa. I proiettili degli Houti sono stati abbattuti da navi americane e uno sembra anche dai sauditi, il che è significativo. Il tentativo degli Houti è degno di nota non solo perché certifica la volontà di aprire un terzo fronte, ma perché si tratta di un movimento completamente controllato dall’Iran.

Il fronte settentrionale
  La stessa cosa si può dire naturalmente di Hamas e della Jihad Islamica a Gaza, ma anche degli Hezbollah che hanno la loro base in Libano e altre forze in Siria, dove collaborano con l’esercito siriano. Il fronte libanese si è progressivamente acceso in questi giorni: i terroristi di Hezbollah hanno sparato razzi anticarro contro le forze israeliane in numero crescente e hanno anche usato proiettili più potenti. Ma sono rimasti nei limiti degli incidenti di frontiera. L’esercito israeliano ha fatto attenzione a rispondere sempre tiro su tiro usando l’artiglieria, distruggendo le istallazioni terroriste da cui erano partiti gli attacchi, senza però mai fare nulla che innalzasse il livello dello scontro. Non è certo interesse di Israele che si apra davvero un secondo fronte, sia perché lo obbligherebbe a dividere le forze, sia perché Hezbollah è molto meglio armato e organizzato di Hamas e, se intervenisse davvero, sposterebbe il baricentro della guerra fra Libano e Galilea. La scelta comunque non sarà fatta dai movimenti terroristi dipendenti, ma dall’Iran che li comanda. E’ a Teheran che si deciderà se fare entrare in guerra davvero Houti e Hezbollah, che per il momento esibiscono solo rumorosamente la loro ostilità ad Israele. Se l’Iran lo facesse, rischierebbe una grande guerra regionale, che probabilmente potrebbe fare danni notevoli a Israele, ma probabilmente finirebbe con la distruzione dell’impero che gli ayatollah si sono costruiti nello scorso decennio fra Iraq, Siria, Libano e Yemen, toccando certamente anche il loro territorio. La presenza in zona della grande flotta americana che comprende oltre 15.000 militari e schiera due portaerei e decine di navi moderne è stata decisa proprio per scongiurare questa prospettiva. Ma essa non è esclusa, tant’è vero che molti stati hanno invitato i propri cittadini, compresi i diplomatici, a lasciare rapidamente il Libano.

L’operazione di terra
  Il punto di svolta potrebbe essere l’ingresso delle truppe israeliane a Gaza. Già ora vi sono squadre speciali che si spingono oltre la barriera di sicurezza per cercare tracce dei rapiti (ormai il loro numero accertato è sopra i 200) e per rilevare gli appostamenti terroristi. Ma è chiaro che finora la tattica di Israele è stata di far precedere l’azione di terra da una massiccia opera di distruzione delle istallazioni militari di Hamas per mezzo dell’aeronautica, e questa azione continua anche adesso. Ma purtroppo non basta: il nucleo della forza terrorista (le truppe, i centri di comando, le rampe di lancio dei missili, i magazzini di armi e anche i luoghi in cui sono sequestrati gli ostaggi) è nascosto sottoterra, nella “metropolitana di Gaza”, centinaia di chilometri di gallerie di diversa dimensione e livello, affondate a decine di metri sotto il livello del suolo e quindi difficili da distruggere con le bombe degli aerei. Sono tortuose, minate, piene di trappole, difficilissime da conquistare, costruite in maniera tale da consentire agguati e assalti di sorpresa sia nel sottosuolo che dagli sbocchi in superficie. I terroristi le conoscono a menadito, i soldati di Israele ne conoscono poco. E’ questo il grande ostacolo e anche il centro del potere militare dei terroristi. Bisognerà conquistarlo passo a passo, in un’operazione lunga mesi e probabilmente molto difficile e sanguinosa, ma inevitabile se davvero si vogliono liquidare i gruppi terroristi. Quando l’esercito israeliano fosse impegnato in questo difficile compito, gli ayatollah potrebbero decidere che è arrivato il momento di cercare di colpire Israele aprendo un altro fronte. Il Gabinetto di Guerra e lo Stato Maggiore israeliano conoscono bene questi rischi e certamente stanno cercando di far arrivare il paese e l’esercito preparati al meglio ad affrontare la battaglia.

(Shalom, 20 ottobre 2023)

........................................................


Prima padre e poi caporedattore

Questi giorni in Israele non sono paragonabili a quelli delle operazioni precedenti, nemmeno alle guerre, compresa la guerra dello Yom Kippur.

di Aviel Schneider

Padre e figlio si incontrano alla base
GERUSALEMME - Sono passati dodici giorni e ancora non riusciamo a capire come e perché sia dovuto accadere. Non è un momento facile, ma dobbiamo superarlo. Questa volta non voglio rivolgermi a voi come caporedattore di Israel Heute, ma come padre di figli adulti che improvvisamente sono diventati soldati. Una visione di ciò che sta accadendo in tutte le famiglie del Paese.
   Come già sapete, i nostri figli, tutti e tre, sono in servizio di riserva dalla mattina di Shabbat, compreso mio genero. Tutti i figli dei miei amici e vicini di casa sotto i 40 anni sono stati chiamati in guerra. I nostri soldati occupano la mia mente più del mio lavoro nei media. In questi giorni stiamo tutti lavorando 24 ore su 24 per portarvi la verità da Israele. Lo potete vedere nelle notizie su Internet, nella rivista Israel Heute, nel canale Telegram e negli incontri Zoom in diretta da Israele. Inoltre, stiamo già lavorando alla prossima edizione cartacea di novembre. In questi giorni sto facendo tutto questo a margine. Perché prima di tutto, come padre, mi occupo dei nostri soldati al fronte, insieme ai miei compagni e amici.
I miei figli e il mio genero vengono a trovarmi
Questi giorni nel Paese non possono essere paragonati ai giorni delle precedenti operazioni nella Striscia di Gaza, nemmeno alle guerre, nemmeno alla guerra dello Yom Kippur di 50 anni fa. Questa volta gli Amalechiti hanno invaso il Paese, uccidendo e massacrando i civili nel sud del Paese. Nei media vengono chiamati Hamas, ISIS o nazisti. Secondo la storia biblica, gli Amalechiti sono un popolo nomade predatore che viveva nel sud del Paese, nel Negev, e sono considerati l'acerrimo nemico ereditario di Israele. Il popolo è in preda a un trauma, questo è ciò che sento e percepisco nelle conversazioni e vedo continuamente. Gli Amalechiti sono sulla bocca di tutti. Quando sono a Gerusalemme durante il giorno, le strade sono vuote di giovani. Tutti o quasi tutti sono in servizio di riserva.
   La gente sente qualcosa di diverso questa volta, una vera paura esistenziale. Inoltre, ci sono parecchie voci che parlano di una possibile guerra su più fronti che trasformerà il Medio Oriente in un "Nuovo Ordine". Non so se sia vero o meno, ma è di questo che si parla. Come padri, il nostro pensiero va prima di tutto ai nostri figli in azione, indipendentemente da ciò che uno fa, agricoltore, medico, tassista, archeologo, tecnico, insegnante o caporedattore. Pertanto, in questi momenti, ci occupiamo innanzitutto dei nostri figli nell'esercito, perché in quanto ex soldati, sappiamo tutti come funziona l'esercito. Ciò che manca ai soldati, lo forniamo noi, come facciamo da sempre.
Il genero Ariel torna a casa per qualche ora per vedere sua figlia.
L'esercito non era preparato a questa mobilitazione perché non era preparato all'incursione nel sud. Siamo quindi in contatto con alti ufficiali, importatori e funzionari del Ministero della Sicurezza per ottenere urgentemente equipaggiamento tattico, ma soprattutto elmetti tattici dall'estero, cosa davvero non facile. Mi sento già un trafficante d'armi, ma so di non esserlo, in realtà lo facciamo solo per equipaggiare i nostri soldati, i nostri figli, prima che vadano in guerra. Riceviamo anche richieste di questo e di quello da parte di alcune unità di amici e commilitoni. Ora è autunno e l'inverno sta arrivando.
   Le notti si fanno più fredde e così ieri abbiamo inviato 800 giacche e felpe con cappuccio per i soldati al confine settentrionale. Padre Amnon ne sta distribuendo alcune anche nel sud e padre Schlomi nel nord di Israele. Questi prodotti sono stati ottenuti e distribuiti grazie al vostro sostegno. Ma ci stiamo concentrando sull'equipaggiamento tattico, di cui non posso dire molto. Ma vi terremo informati.
Tomer è lì a fare alcune cose digitali per Israel Heute.
E nel frattempo, lavorate per fare informazione, perché il mondo ha bisogno di vedere e leggere la verità. Non possiamo convincere nessuno, ma la verità deve essere gridata. Il lavoro mi tiene impegnato senza sosta in questi giorni e dormo a malapena quattro ore a notte. I pensieri ci tengono svegli e ci passano per la testa, soprattutto quando sentiamo da lontano le esplosioni e la velocità dei jet da combattimento.
   A casa, sono il tutore di tutte le donne della famiglia. Ci ridiamo su e diciamo che sono il comandante di una sezione femminile, che comprende Anat, mia moglie, mia figlia Eden e la nipote Michaela. C'è anche una seconda Eden, la fidanzata di Moran, che è stata chiamata alle armi e che ogni tanto sta con noi. Anche Ester sta con noi, perché il suo futuro marito Tomer, il nostro figlio maggiore, è in servizio. Tomer ed Ester avrebbero dovuto sposarsi il 27 ottobre. Ma tutto è stato annullato e quindi stiamo organizzando una chuppah e un piccolo matrimonio a casa in giardino. Ma non è nemmeno sicuro che il marito possa avere le ferie per il suo matrimonio. Verrà anche May, la fidanzata del nostro figlio minore Elad, ma per la maggior parte del tempo rimane ad Ashdod con i suoi genitori, dove i residenti corrono continuamente nei rifugi. Inoltre, ospitiamo anche cinque cani, che hanno ancora più paura delle esplosioni di noi umani.
Nel rifugio durante l'allarme razzi
Ma guardate, questa è la nostra vita normale oggi ed è così in tutte le famiglie. La vita in campagna è cambiata per tutti. A casa, le mie donne chiudono ermeticamente tutte le porte di notte, tutte le tapparelle sono abbassate e persino la porta del giardino deve essere chiusa su ordine di mia figlia. Eden e Michaela dormono nel rifugio e quando suona la sirena siamo tutti lì. Anche i cani.
   La nostra casa nel moshav è diventata una fortezza. Da dodici giorni dormo con la pistola sotto il cuscino. Non è uno scherzo, tutti quelli che hanno una pistola nel moshav fanno così. Dodici giorni fa, nel moshav è stata chiamata una forza di emergenza. Tutti gli uomini che non sono stati richiamati fanno la guardia e pattugliano 24 ore su 24. È stato nominato uno chamal, che tradotto significa "stanza della guerra" che ha il pieno controllo su tutti i residenti del moshav, come un quartier generale, nei giorni di guerra che ci aspettano. Io e Anat e altri venti vicini facciamo i turni nello chamal. Poiché viviamo a meno di tre chilometri dal Confine Verde (senza recinzione) con i territori palestinesi, tutti gli insediamenti delle montagne della Giudea intorno a Gerusalemme sono stati avvertiti che anche noi possiamo essere sorpresi dai terroristi. Il trauma sta spingendo tutti in Israele a stare in allerta.
Eden e Michaela scrivono una lettera di ringraziamento ai soldati
Perché ve lo dico? Perché possiate vedere che la nostra vita continua, ma in modo diverso, non come dodici giorni fa. Vivere la vita fa passare in secondo piano le paure e noi siamo troppo occupati per farlo. Un bicchiere di vino rosso o di cognac la sera prima di dormire mi fa molto bene. Ma in questi giorni ho capito una cosa: il mondo si sta dividendo in due mondi, quelli che stanno dalla parte di Israele e quelli che sono contro Israele. Gli Amalechiti sono sempre stati un ammonimento per i nemici di Dio. Gli Amalechiti sono nemici di Dio e nemici del popolo eletto di Israele. E le nazioni devono decidere da che parte stare: Amalechiti o Israele.

(Israel Heute, 20 ottobre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


Arabi israeliani contro gli attacchi del 7 ottobre. Lo rivela un sondaggio

di Nathan Greppi

In un periodo di tanto fermento, dove la guerra in corso viene sfruttata per fomentare odio contro Israele, al punto che sia nel mondo arabo che in Occidente non mancano gli estremisti che giustificano i massacri di civili israeliani compiuti da Hamas il 7 ottobre, proprio i cittadini arabi in Israele sembrano per la maggior parte essere contrari all’operato dell’organizzazione terroristica che governa la Striscia di Gaza.
   Lunedì 16 ottobre, il quotidiano Haaretz ha pubblicato i risultati di un sondaggio, in cui si evidenzia come due terzi degli israeliani non vogliano più Benjamin Netanyahu come Primo Ministro per come ha gestito la sicurezza del paese. Nello stesso articolo, emerge anche il risultato di 500 interviste ad altrettanti arabi israeliani, sulle loro opinioni in merito a ciò che è successo.
   Analizzando nel dettaglio, il 77% degli arabi residenti in Israele dichiara di essere contrario all’attacco di Hamas del 7 ottobre, e l’85% si dichiara contrario al rapimento dei civili. E tra coloro che non hanno condannato i fatti, quelli che non prendono posizione superano quelli favorevoli all’operato dei terroristi.
   A ciò, si aggiunge il fatto che due terzi degli arabi israeliani vorrebbero delle prese di posizione nette contro il terrorismo da parte dei loro rappresentanti politici. Cosa che alcuni di loro hanno fatto: Mansour Abbas, capo del partito arabo israeliano Raam, ha chiesto a Hamas di liberare gli ostaggi israeliani. “I valori islamici”, ha scritto su X/Twitter, “ci comandano di non imprigionare donne, bimbi e anziani. È un atto umanitario che deve essere immediatamente messo in campo”.
   Un caso analogo è quello di Ayman Odeh, deputato arabo e leader del partito comunista israeliano Hadash, il quale ha dichiarato: “Qualunque attacco contro degli innocenti è assolutamente inaccettabile, e condanno categoricamente gli appelli di Hamas agli arabi israeliani nell’unirsi alla lotta contro Israele”.
   Tra le probabili cause che spingono gli arabi israeliani a disapprovare l’operato di Hamas, Haaretz cita il fatto che anche alcuni di loro sono stati uccisi dai razzi di Hamas. Molti di loro, soprattutto nei villaggi beduini, non hanno rifugi dove ripararsi dai missili.

(Bet Magazine Mosaico, 20 ottobre 2023)

........................................................


Berlino - Gli ebrei sono in pericolo!

Dal direttore del Centro evangelico messianico in Berlino Beit Sar Shalom ricevo la seguente lettera circolare che qui riporto. M.C.

Caro Marcello Cicchese,
mi rivolgo a Lei oggi con grande preoccupazione. La comunità ebraica e la popolazione ebraica in Germania sono molto preoccupate per quanto accaduto nelle ultime settimane. Questo è principalmente legato alla guerra in Israele, ma non è l'unico motivo. Gli ebrei sono in pericolo. L'esistenza degli ebrei è in pericolo.
Gli islamisti invocano pogrom ebraici in tutto il mondo. Gli ebrei non hanno mai chiesto la distruzione dei musulmani o dei palestinesi. Un'idea così perversa ci è sempre stata estranea. E ora c'è questo appello a distruggerci, che non è la prima volta nella nostra storia. Ci sono stati diversi episodi del genere. Uno dei più famosi lo troviamo nel Libro di Ester.
In questo momento circolano molte fake news e notizie bugiarde. Sono proprio queste notizie a rafforzare la tendenza a un rapido aumento dell'antisemitismo in Germania e nel mondo. L'antisionismo e l'"anti-israelismo" stanno diventando la base moderna dell'antisemitismo. Di conseguenza, gli attacchi antisemiti stanno aumentando rapidamente, anche in Germania. Questo fenomeno si sta radicalizzando soprattutto tra i musulmani.
Inoltre, le ricerche e i sondaggi corrispondenti mostrano che l'antisemitismo ha già raggiunto il cuore della società tedesca. Persino uomini di destra e di sinistra sono uniti da questo fenomeno. Ai raduni antisionisti e antisemiti, improvvisamente si vedono marciare insieme neonazisti e sinistra radicale. Il nemico comune, cioè Israele e gli ebrei, unisce anche gli arci-nemici. Improvvisamente i neonazisti dimenticano i loro vecchi slogan contro i musulmani e gli immigrati dal Medio Oriente. Ora si uniscono agli slogan contro gli ebrei.
Le comunità ebraiche sono molto preoccupate e noi ebrei siamo nervosi. Fino a poco tempo fa, pensavamo che se fossimo stati in pericolo, avremmo potuto emigrare in Israele. Ma nella situazione attuale, non abbiamo davvero questa possibilità. Molti ebrei si sentono in trappola.
Nelle comunità cristiane c'è molto spesso ingenuità, ignoranza e purtroppo anche indifferenza nei confronti di questo problema. Molti pensano che la guerra sia in corso solo in Medio Oriente e che quindi riguardi solo le persone che vivono lì. Tuttavia, questa guerra ha raggiunto da tempo la Germania e si svolge sui social media, nelle strade, nelle case e nelle scuole. Il recente attacco a una sinagoga di Berlino ne è solo un esempio. Questa guerra è ovunque in Germania. È una guerra contro gli ebrei. Una guerra spirituale.
Ogni giorno sperimentiamo e leggiamo una quantità incredibile e senza precedenti di commenti di odio sui nostri social media. Si potrebbe pensare che siano solo parole ed emozioni di persone pro-palestinesi. Tuttavia, gli eventi recenti, come l'attacco a Israele dei giorni scorsi dovrebbero mostrarci quanto rapidamente le parole di odio si traducano in azioni. Molti ebrei si chiedono se la polizia tedesca riuscirà a proteggerci. Siamo davvero molto preoccupati.
Con questo messaggio mi rivolgo in particolare ai cristiani e vi chiedo: cosa farebbe Gesù, che è egli stesso un ebreo? Non è la prima volta che Satana, il nemico dell'umanità, cerca di distruggere il popolo ebraico. Inizia con il popolo ebraico e poi si estende a tutti i seguaci di Gesù. Cercherà di distruggere tutti coloro che appartengono a Dio. Pertanto, vi invito a prendere fortemente posizione per il popolo ebraico prima che sia troppo tardi.
Vorrei darvi alcuni suggerimenti pratici.
Pregate per:

  • la pace in Medio Oriente, in Israele e a Gerusalemme
  • gli ebrei in Germania e nel mondo, per la loro protezione e tutela.
  • Sensibilizzatevi e siate testimoni d'amore nella vostra congregazione, nelle vostre famiglie, tra i vostri conoscenti e oltre.
  • Combattete l'antisemitismo con le vostre parole e le vostre azioni, anche sui social media.
  • Fate conoscere la verità
  • Confortate e sostenete gli ebrei che conoscete: Per esempio, telefonate o scrivete loro per fargli sapere che state pensando a loro e che siete al loro fianco.
Condividete questo appello e questa preoccupazione!
Nessuno riuscirà a distruggere gli ebrei! Dio stesso li protegge (cfr. Geremia 31:35-37)! Come nel Libro di Ester, celebreremo la pace e la redenzione con il Messia Gesù, anche con altri popoli, anche in Medio Oriente! È la nostra speranza e la nostra fiducia.
Ma è tempo che gli ebrei e la pace si alzino in piedi!!!
Con un caloroso shalom,
Vladimir Pikman
VIDEO

(Notizie su Israele, 20 ottobre 2023)

........................................................


7 ottobre 2023, un giorno che vivrà nell’infamia

Non fatevi illusioni: l’abominevole massacro perpetrato in Israele è una dichiarazione di guerra contro tutto ciò che è umano. Nessuno sarà più al sicuro.

di Noa Menhaim

Alcuni dei bambini o minorenni israeliani presi come ostaggi e deportati a Gaza dai terroristi palestinesi di Hamas. Secondo gli ultimi dati, tra i 203 ostaggi che si ritiene con ragionevole certezza siano trattenuti dai terroristi a Gaza, circa 30 sono bambini o minorenni, altri 10 o 20 sono anziani.
Il 7 ottobre 2023 dovrà essere registrato negli annali della storia come pochi altri eventi che hanno scosso le fondamenta del mondo libero, come l’attacco a Pearl Harbor o l’11 settembre: un giorno che vivrà nell’infamia.
Non commettere l’errore di pensare che poiché è successo qui, in questo piccolo, arido e remoto angolo del mondo, le onde d’urto non vi raggiungeranno. Come hanno dimostrato le grandi religioni che qui sono cresciute e si sono diffuse in tutto il mondo, le cose che accadono in questo posto hanno la tendenza a riecheggiare a distanza. Nel bene e nel male, questo è un perno essenziale nell’equilibrio geopolitico.
E ora nessuno è più al sicuro. Nessuna donna è al sicuro nella sua casa. Nessun bambino è al sicuro tra le braccia della madre. Nessuna nonna è al sicuro sulla sua sedia a rotelle e nessun nonno è al sicuro nel suo letto. Nessuno di loro è più al sicuro da un taglio alla gola. Uno sparo. Una decapitazione. Dall’essere bruciato vivo. Violentata. Rapita e deportata.
   Nessun uomo è un’isola, scriveva il poeta John Donne. E lo tsunami di dolore e orrore iniziato qui il 7 ottobre non farà che crescere. Raggiungerà i vostri lidi sicuri. Perché quello che è successo qui è stato un massacro mostruoso, abominevole, oltre i limiti della moralità e della ragione. Rende i suoi autori nemici di tutta l’umanità, non solo degli ebrei, non solo degli israeliani.
   Il numero delle persone assassinate qui in un giorno supera la somma di tutte le persone che sono state uccise in tutti gli attacchi terroristici avvenuti su suolo europeo a partire dagli anni ‘90. Nella sua ferocia e in rapporto alla dimensione della popolazione di questo paese, fa impallidire qualsiasi altro evento terroristico nel mondo occidentale. Immaginate un attentato dell’11 settembre moltiplicato per 15. Immaginate che tutti quelli che conosceste conoscono qualcuno a cui è stata tagliata la gola, a cui hanno sparato, che è stato violentato, bruciato vivo o rapito e deportato.
   Qui non si tratta di un altro “incidente terroristico”. Questa è una dichiarazione di guerra, una guerra contro tutto ciò che è umano. Tutto ciò è dalla parte della vita.
   Ma quel giorno cupo e terribile non è ancora finito. È il giorno più lungo. Un incubo dal quale non possiamo svegliarci. Continuano a viverlo coloro che ora tremano nei rifugi. Continuano a viverlo coloro che hanno imbracciato le armi per difendere le proprie case e città. Continuano a viverlo i famigliari dei morti e, ancora di più, i famigliari di quelli che sono stati rapiti e deportati. Ne hanno presi più di duecento. Nonne coi capelli argentei su sedie a rotelle, portate via insieme alle loro fidate badanti. Nonni con il numero di Auschwitz tatuato sul braccio. Madri a cui sono stati strappati i bimbi dalle braccia, padri i cui figli sono stati decapitati davanti ai loro occhi, ragazze che sono state ripetutamente violentate. Lattanti che avevano appena pronunciato le loro prime parole. Tutti questi e altri ancora sono adesso nelle mani di coloro che hanno commesso quelle atrocità. Ognuno di loro ha un nome, un volto, una famiglia. Una vita.
   Dopo la seconda guerra mondiale, il filosofo francese Raymond Aron scrisse: “Sapevo ma non credevo. E poiché non credevo, non sapevo”. So che è difficile credere a quello che avete appena sentito. Ma le prove sono davanti a voi. Le informazioni sono lì. La verità adesso vi guarda, e vi ingiunge: non puoi non credere, non puoi non sapere, non puoi non agire.

Da: YnetNews, 19.10.23

(Israele.net, 20 ottobre 2023)

........................................................


Elementi di propaganda

Pallywood, l’infaticabile fabbrica palestinese della menzogna

di Davide Cavaliere

I residenti arabi di Giudea, Samaria e Gaza, che si identificano come «palestinesi», e coloro che li sostengono in Occidente, hanno il brutto vizio di fabbricare e mettere in circolazione foto e video fasulli, decontestualizzati e parziali, nel tentativo di promuovere una narrativa perniciosa, che descrive gli arabi-palestinesi come vittime innocenti della brutale violenza degli «occupanti» ebrei. 
   Le foto sono spesso ritoccate con Photoshop o, più semplicemente, prese da altre zone di guerra senza alcun legame con Israele. I video, molto spesso, sono il prodotto di elaborate rappresentazioni teatrali, a uso e consumo dei terzomondisti europei e americani. 
   Si va da un uomo, presumibilmente ferito, che viene portato via dagli astanti, solo per riapparire più tardi, nel medesimo servizio giornalistico, illeso, mentre si allontana sulle sue gambe fino a un gruppo di persone che, travestite da soldati israeliani, fingono di calpestare un bambino arabo . Questa pratica vergognosa e disonesta è stata soprannominata «Pallywood», ossia la Hollywood palestinese della sofferenza inscenata e posticcia. Si tratta di un’industria cinematografica oscena, che ha come solo scopo la demonizzazione mondiale dello Stato d’Israele. 
   Uno dei casi più eclatanti e moralmente disgustosi di Pallywood riguarda la vicenda, straziante, di Mohammed al-Farra, un ragazzo di Gaza nato con una rara malattia genetica, che ha reso necessaria l’amputazione delle braccia e delle gambe. I suoi genitori, due «vittime» secondo la narrativa dominante, lo hanno abbandonato alle cure del nonno, che, spinto dalla disperazione, ha contattato le autorità sanitarie dello Stato ebraico per chiedere assistenza. Gli israeliani, sempre solleciti nei confronti di chi soffre, hanno trasferito il bambino all’ospedale di Tel Hashomer, un quartiere della città di Ramat Gan, dove ha ricevuto cure mediche gratuite, totalmente coperte da un’attività di raccolta fondi israeliana.
   L’estremista Mohammed Omer, un falsario antisemita venerato dalla Sinistra radicale, autore di articoli per organi di stampa antisionisti come AlJazeera ed Electronic Intifada, pubblicò una foto del ragazzo sul suo profilo Twitter accompagnata dalla seguente didascalia: «Una delle ultime vittime della guerra di #Gaza. Ricorda quei bambini». Omer, una volta smascherato, cancellò il tweet, ma non prima di aver scatenato migliaia di reazioni di odio e indignazione verso Israele. Un vero e proprio pogrom elettronico.  
   Pallywood è un’attività insidiosa e subdola, che produce false accuse non dissimili da quelle storicamente mosse al popolo ebraico: uccidere bambini o avvelenare i pozzi d’acqua. I manovali della propaganda anti-israeliana usano, in modo cinico e spregiudicato, soprattutto foto e video riguardanti bambini e neonati, nel tentativo di fare presa sull’opinione pubblica occidentale. In rete si trovano immagini di bambine con la dermatite presentate come «vittime di bombe al fosforo bianco», oppure foto di corpi di bambini deceduti a causa di terremoti spacciati per «martiri» delle offensive della Israeli Air Force. 
   Palestinesi e filopalestinesi amano sfruttare il dolore e la disperazione dei profughi siriani, ripetutamente fatti passare per vittime del «regime coloniale» d’Israele. Tra i vari casi, quello dell’undicenne siriana Aya, la cui foto, nel 2017, è finita sulle pagine social dell’UNRWA (l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi), che la presentavano come vittima dell’«occupazione della Cisgiordania».
   Per ironia della sorte, coloro che criticano Israele per i presunti infanticidi commessi  a Gaza o nei famigerati «Territori», non sembrano preoccuparsi dei crimini contro l’infanzia commessi dai terroristi arabo-islamici. L‘Institute for Palestine Studies ha pubblicato un rapporto dettagliato sul fenomeno dei tunnel di Hamas a Gaza nell’estate del 2012, riferendo che la costruzione dei suddetti tunnel ha provocato un gran numero di morti tra i bambini, almeno 160 https://www.palestine-studies.org/en. Hamas, infatti, utilizza i fanciulli come schiavi per costruire le gallerie sotterranee con cui tenta di entrare in Israele.  
   Pallywood, in questi giorni, ha ripreso a funzionare a pieno regime, attribuendo a Israele, senza prova alcuna, la responsabilità di un missile caduto in prossimità di un ospedale a Gaza. Il fronte globale del sostegno al terrorismo non ha bisogno di prove concrete. La verità è sempre stata calpestata dai movimenti totalitari e dai fanatici di ogni risma. Pallywood è un’impresa degna del principale propagandista di Hitler: Joseph Goebbels. 

(L'informale, 20 ottobre 2023)

........................................................


Parashà di Noach: Noach, la torre di Babele e la missione di Avraham

di Donato Grosser

R. Israel Belsky (New York, 1938-2016) in ‘Enè Israel (p. 37) fa notare che all’inizio della parashà è scritto che “Noach era un uomo giusto e completo nelle sue generazioni” (Bereshìt, 6:9).  Più avanti quando il Creatore da’ istruzioni a Noach di entrare nell’arca, è invece scritto: “Ho visto che sei giusto davanti a Me in questa generazione” (ibid., 7:1). Perché in un versetto di parla di generazioni, al plurale, e nell’altro “di questa generazione”? 
            Per trovare una risposta bisogna consultare il commento di r. Avraham ibn ‘Ezra (Tudela, 1089-1164, Saragozza). Egli spiega che la parola “giusto” si riferisce alle sue azioni (ma’asè), mentre la parola “completo” alle sue idee (muskalòt). R. Belsky commenta che Noach visse 950 anni e fu testimone per due volte alla guerra tra il bene e il male.  La prima volta nella generazione del Diluvio e la seconda nella generazione della Dispersione, quando venne lanciato il progetto di costruire la Torre di Babele, dieci anni prima della sua morte.
            I peccati delle due generazioni erano diversi. La generazione del Diluvio era immorale e corrotta; la generazione della Dispersione era invece idolatra ed eretica; il peccato era ideologico. Nella generazione del Diluvio, Noach non fu influenzato dagli atti immorali della popolazione. Nella generazione della Dispersione non fu influenzato dalla loro idee eretiche. Per questo motivo la parashà all’inizio parla di Noach nelle sue generazioni. Quando entrò nell’arca invece nella Torà è scritto che era giusto in quella generazione. 
            La generazione della Dispersione era quella che voleva costruire la Torre di Babele. Cosa c’era di male nel costruire una torre per cui quella generazione meritò di essere dispersa in settanta nazioni? Il Creatore disse: “Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti il medesimo linguaggio; e questa è la prima cosa che fanno; ora nulla li impedirà di condurre a termine ciò che disegnano di fare” (Bereshìt, 11:6). 
            Prima di quella generazione venivano usati materiali naturali per le costruzioni come legno e pietre. In quella generazione avvenne una rivoluzione tecnologica con la scoperta dei metodi per fabbricare mattoni e cemento: “E dissero l’uno all’altro: orsù, facciamo dei mattoni e cuociamoli col fuoco! E così si valsero di mattoni invece di pietre, e di cemento invece di malta” (ibid., 3). Le scoperte archeologiche hanno mostrato che uno dei primi utilizzi  di cemento ebbe luogo a Babele. 
            Queste scoperte avrebbero permesso la costruzione di grandi metropoli. La generazione della Dispersione voleva farsi un nome come è scritto “Edifichiamoci una città e una torre di cui la cima giunga fino al cielo, e acquistiamoci fama” (ibid., 4). Volevano sviluppare una cultura e un’identità. Il successo di Nimrod, il malvagio re di Babele, nel diffondere l’idolatria (‘avodà zarà) dipendeva dalla concentrazione a Babele della civiltà alla cui fondazione egli aveva contribuito. L’inizio dell’opera appariva innocuo. Ma Babele sarebbe diventata il maggiore ostacolo al monoteismo. 
            Nell’anno della Dispersione, Avraham aveva 48 anni e stava per iniziare la sua missione di diffondere il monoteismo. Nel mondo di allora, sotto il controllo totalitario di Nimrod, la cosa sarebbe stata impossibile. Con la Dispersione fu rimosso l’ostacolo alla diffusione del monoteismo tramite il patriarca Avraham.

(Shalom, 20 ottobre 2023)
____________________

Parashà della settimana: Noach (Noè)

........................................................


L’IDF mostra al mondo le prove dell’attacco all’ospedale Al-Ahli Arab: “è stato un missile della Jihad islamica”

di Pietro Baragiola

L’attacco all’ospedale Al-Ahli Arab di Gaza è stato considerato tra i fatti più violenti del conflitto israelo-palestinese degli ultimi giorni. Martedì 17 ottobre la struttura medica stava offrendo rifugio ai membri dello staff, ai pazienti e a centinaia di famiglie sfollate quando improvvisamente un razzo è esploso nelle vicinanze dell’edificio, causando la morte di oltre 300 persone.
   Giornali e media di tutto il mondo hanno subito documentato il brutale massacro, basandosi sulle dichiarazioni dei leader palestinesi che hanno prontamente accusato l’aviazione di Tel Aviv come diretta responsabile.
   “L’ospedale non fa parte degli obiettivi delle forze israeliane e stiamo investigando sulla fonte dell’esplosione con serietà e accuratezza. Vogliamo la massima trasparenza perché prendiamo molto sul serio qualsiasi incidente che coinvolga i civili” ha risposto il contrammiraglio e portavoce dell’IDF (Forze di Difesa Israeliane) Daniel Hagari, affermando che, dall’inizio degli scontri, sono stati 450 i razzi di Hamas che sono caduti accidentalmente all’interno di Gaza, causando vittime palestinesi.
   Nelle ultime ore l’indagine di Hagari, supervisionata dai più alti livelli di comando dell’intelligence israeliana, ha condiviso dati e filmati in grado di dimostrare che anche quest’ultimo attacco è stato causato da un razzo della Jihad islamica, scoppiato prima di arrivare a destinazione.

Le prove dell’IDF
   Dopo aver ufficialmente concluso l’After Action Review, Hagari ha indetto una conferenza per mostrare al mondo le prove che hanno permesso di stabilire la colpevolezza della Jihad islamica nella strage dell’ospedale Al-Ahli Arab.
   La prima conferma è arrivata dal fatto che, in base ai dati raccolti dall’IDF, nessuna delle forze israeliane di terra, d’aria o di mare ha sparato missili nell’area dell’ospedale.
   Successivamente, concentrandosi sull’analisi dei sistemi radar, che hanno tracciato tutti i razzi lanciati dai terroristi di Gaza nel momento dell’esplosione, l’intelligence ha scoperto che il missile è partito proprio dai pressi dell’Al-Ahli Arab. Una prova ulteriore di questo fatto è stata data da due video, ripresi dal Kibbutz Netiv Ha’asara e dalla rete televisiva Al Jazeera, che mostrano il lancio fallito del razzo e la sua caduta verso la struttura palestinese.
   “I danni causati da qualsiasi munizione israeliana avrebbero creato crateri e danni strutturali agli edifici circostanti, elementi che in questo caso non sono stati trovati” ha affermato Hagari, mostrando diverse immagini degli effetti delle normali testate israeliane.
   La prova definitiva è arrivata però da una conversazione intercettata dall’IDF, in cui i terroristi di Hamas parlano del lancio fallito e citano specificamente l’ospedale. Questa registrazione è stata poi incrociata con altre fonti di intelligence per confermarne l’accuratezza.

    – Ma vi dico che questa è la prima volta che vediamo un missile del genere e delle schegge del genere,
       quindi vi dico che provengono dalla Jihad Islamica.
    - Che cosa?
    - Dicono che provengono dalla Jihad islamica;
    - Da noi?
    - Sembra proprio di sì!
    - Chi lo dice?
    - Dicono che le schegge vengano da un missile locale e non israeliano.
    - Cosa stai dicendo?
    - Ma dio mio, non poteva esplodere in un altro posto?
    - Non importa ora, si lo hanno sparato dal cimitero dietro l’ospedale.
    - Cosa?!
    - Lo hanno sparato dal cimitero dietro l’ospedale e si è rotto candendo sul posto.
    - C’è un cimitero lì dietro?
    - Sì, proprio nella zona.
    - Dove precisamente nella zona?
    - Entrando nella zona non vai diretto verso la città e lo trovi sul lato destro dell’ospedale.
    – Sì, lo so.

“Questa conversazione dimostra con assoluta certezza che i terroristi avevano capito che era stato un loro razzo lanciato male a causare la strage” ha affermato Hagari. Ciononostante, Hamas ha deciso di lanciare una campagna mediatica globale per nascondere ciò che era accaduto, accusando pubblicamente Israele e gonfiando persino il numero delle vittime (da 300 a 500).

La reazione del mondo
   Civili che cercano disperatamente di scappare attraverso il fumo e le macerie mentre, tra urla di terrore, l’incendio divampa senza controllo: queste sono le immagini che i media di tutto il mondo hanno mostrato nelle ultime ore, citando le dichiarazioni del Ministero della Sanità di Gaza (gestito da Hamas) senza averle prima verificate.
   Così facendo, molte celebri testate come The New York Times hanno inviato breaking news a milioni di lettori con titoli come “L’esercito israeliano uccide centinaia di persone in ospedale”, fomentando inevitabilmente le reazioni in ogni angolo del mondo.
   Sconvolti, i leader politici della Giordania, Turchia, Egitto e Arabia Saudita hanno condannato pubblicamente Gerusalemme per questo attacco, invitando il Paese a “porre fine immediatamente alle politiche di punizione collettiva contro le popolazioni della Striscia di Gaza”.
   Il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Nasser Kanaani, ha definito l’attacco “un brutale crimine di guerra che costituisce una grave violazione dei valori umani più basilari”.
   Persino l’organizzazione Medici senza frontiere si è esposta pubblicamente, dichiarandosi “inorridita dal bombardamento israeliano dell’ospedale” e definendo questo gesto “un massacro assolutamente inaccettabile”.
   Il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, ha affermato che “gli Stati Uniti sono responsabili dell’attacco a causa della loro continua protezione verso le aggressioni israeliane”. Forte sostenitrice di Hamas, Hezbollah ha invitato i compagni arabi e musulmani di tutto il mondo a “scendere nelle piazze per esprimere la loro immensa rabbia” al grido di “Morte a Israele” e “Morte all’America”. Questo gesto ha scatenato proteste e scontri davanti alle ambasciate americane e israeliane di molti paesi tra cui la Cisgiordania, la Giordania e il Libano, portando persino all’irruzione e al successivo incendio dell’ufficio delle Nazioni Unite a Beirut.
   Nonostante le prove presentate da Hagari abbiano adesso scagionato Israele dalla gogna mediatica, sono ancora molti i paesi che non hanno ritrattato i propri commenti antisemiti.
   Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, precedentemente ritenuto responsabile del massacro deliberato dell’Al-Ahli Arab, ha rilasciato una dichiarazione: “Ora il mondo intero sa che i barbari terroristi di Gaza sono i veri responsabili dell’attacco all’ospedale, non l’IDF. Gli stessi che hanno crudelmente ucciso i nostri bambini uccidono anche i loro figli”.
   Il Primo Ministro si è scagliato contro i media per aver sostenuto le dichiarazioni di Hamas senza averle prima verificate, finendo così per propagare un messaggio antisemita e anti-israeliano che alimenta le stragi di civili innocenti.
   Alon Bar, ambasciatore di Israele in Italia, ha rivolto un appello ai media italiani: “Israele ha le prove che si è trattato di un razzo lanciato dalla Jihad islamica. Ci aspettiamo che i media italiani si attengano ai fatti”.
   “Vogliamo chiarire una cosa” ha concluso Hagari. “Era impossibile sapere cosa fosse successo con la rapidità con cui Hamas ha pubblicamente affermato di saperlo. Questo già avrebbe dovuto destare sospetti in molti.”

(Bet Magazine Mosaico, 19 ottobre 2023)

........................................................


Su Israele la sinistra sta sbagliando come con le Brigate Rosse". Parla Furio Colombo

L'ex direttore dell'Unità: "L’antisemitismo, che in Italia era stato una prerogativa fascista, della destra, è penetrato a sinistra, come l’umidità che si diffonde da una parete all’altra della casa"

di Nicola Marenzi

"Su Israele la sinistra sta commettendo lo stesso tragico errore che commise con le Brigate Rosse. Lascia circolare nel suo discorso la propaganda di Hamas, come fosse la limpida voce del popolo palestinese, anziché quella di un’organizzazione terroristica feroce, contro la quale è necessario schierarsi e denunciare, come fece l’operaio comunista Guido Rossa con le Br”. Ex parlamentare dell’Ulivo, direttore dell’Unità, una lunga storia politica e culturale a sinistra, Furio Colombo ascolta le parole di Nicola Fratoianni sulla strage dell’ospedale di Gaza e viene inghiottito dalla “tristezza” e dallo “sconforto”.
   “L’esercito israeliano ha bombardato un ospedale pieno di personale sanitario, feriti e sfollati”, scrive il segretario nazionale di Sinistra Italiana, un’ora dopo la notizia dell’esplosione, attribuendo a Israele un “crimine di guerra”, quando ancora le responsabilità non sono chiare. Dice, invece, Colombo: “Fratoianni si è prestato a rilanciare in rete il volantino della propaganda di Hamas, che dà subito la colpa a Israele, facendosi portavoce della loro versione dei fatti”. La tristezza di Colombo aumenta quando cito un articolo di commento del massacro del 7 ottobre di Patria Indipendente, l’organo ufficiale dell’Anpi, che, dopo aver condannato l’attentato, aggiunge: “Impossibile però ignorare l’occupazione militare illegittima israeliana di parte del territorio palestinese, causa dell’azione armata di Hamas”. Dice: “Non ci posso credere. Ora sarebbe stato Israele ad armare la mano di Hamas? E’ desolante vedere ciò che rimane della Resistenza italiana prestarsi alla grande distribuzione di propaganda islamista”.
   Da tempo, Furio Colombo conduce una battaglia a favore di Israele all’interno della sinistra italiana, via via sempre più solitaria, convinto però che “la sinistra dovrebbe naturalmente stare dalla parte di Israele”. Ha spiegato il perché in due libri oggi introvabili: “Per Israele”, pubblicato nel 1991; e “La fine di Israele”, del 2007. Nei quali ricorda che l’idea di uno stato israeliano nasce all’interno dei movimenti socialisti, tra la fine dell'Ottocento e l’inizio del Novecento; che socialista è l’idea dell’esperimento comunitario del kibbutz; e che da quella tradizione viene tutta la classe dirigente che ha governato Israele fino al 1977. Un dato su cui fece leva anche l’iniziale protesta palestinese, la quale si schierò ufficialmente contro l’afflusso di ebrei stranieri, osservando che molti erano “del tipo rivoluzionario bolscevico”. E oggi? “L’antisemitismo, che in Italia era stato una prerogativa fascista, della destra, è penetrato a sinistra, come l’umidità che si diffonde da una parete all’altra della casa”.
   Nelle piazze filopalestinesi del fine settimana si è infiltrato sotto la maschera dell’“antisionismo”. “Perché dirsi antisionisti oggi è un modo per nascondere il proprio odio per gli ebrei, della cui violenza si prova vergogna”. Non che Colombo stia politicamente dalla parte di Netanyahu. “Sto dalla parte di chi è sceso in piazza a contestarlo”. Né è contro l’idea di uno stato palestinese. “Io sono contro Hamas. Non contro la Palestina”. Però sfugge a chi è sceso in piazza che non ci sono più due popoli e due stati: ce ne sono tre. Gli israeliani, i palestinesi della Cisgiordania e Hamas. “Che fa vivere nel terrore gli abitanti della Striscia di Gaza sotto il suo  potere”. Da Israele, infatti, arrivano voci di intellettuali contro le scelte del governo. “Da Gaza, invece, solo conferme della linea politica di Hamas”.
   Neanche un abitante della Striscia ha avuto da ridire per la situazione in cui Hamas li ha precipitati? “Tutto lì è sottoposto a un controllo totalitario. E dispiace che una parte della sinistra italiana distribuisca o lasci distribuire i volantini della propaganda. Anziché denunciare come Guido Rossa i terroristi”. Che non sono compagni che sbagliano. Sono nemici. “Non solo di Israele. Ma anche della Palestina”.

Il Foglio, 19 ottobre 2023)


*


Israele non siamo noi. Israele è Israele

di Marcello Cicchese

Il centro liberale pensante, sopra rappresentato dalla posizione del giornale Il Foglio, e la sinistra socialista pensante, sopra rappresentata nell'articolo dell’ex direttore dell’Unità, si ritrovano uniti nel condannare l’orrore di Hamas. Per il primo il motivo di fondo è la difesa della libertà occidentale, per il secondo è la preoccupazione per un socialismo che rischia di essere contaminato dall’imbecillità dell’antisemitismo, che una volta era patrimonio della destra fascista. Ma che c’entra in tutto questo Israele? Israele come tale, s’intende, non come pedina da muovere all’interno di una ideologia.
   Ma che significa “Israele come tale”? Chi è Israele? Il Foglio, in un suo appello lanciato giorni fa, ha già risposto: “Israele siamo noi”. Noi, cioè la nostra democrazia occidentale, con i suoi “valori” di libertà personale (emergenza covid a parte). Per Colombo invece potrebbe essere il socialismo originario dei kibbutz, opportunamente adattato alle circostanze e purificato di ogni fascistico residuo (leggasi Netanyahu).
   Ma forse come prima cosa bisognerebbe chiederlo direttamente a loro, agli israeliani, che quando cantano “Am Israel chai” ( עם ישראל חי Il popolo d’Israele vive) certamente avvertono sulla pelle che Israele sono anzitutto loro, non noi, generici occidentali che davanti alla televisione amiamo dire “Israele siamo noi” per poi lasciare che siano loro, gli israeliani, soldati e no, a prendere i colpi e rimetterci la pelle sul posto.
   Ma noi occidentali ci consideriamo i fedeli del Bene massimo universale, cioè il dio Democrazia, di cui gli USA sono primogeniti. Il Bene massimo è perennemente in lotta contro l’Avversario massimo, che è il Fascismo. In questa lotta Israele è uno dei nostri. E’ democratico, come noi, dunque dobbiamo difenderlo perché così difendiamo noi, i democratici.
   Sembra che negli ultimi tempi la democrazia israeliana stia correndo seri rischi, dall’interno e dall’esterno. Dall’interno, perché il fascismo teocratico convogliato da Netanyahu ha attentato (così dicono) alla vita stessa della nazione, tanto che qualche israeliano ha detto che se Israele non sarà più democratico, lui parte e se ne va. Mentre qualcun altro dal di fuori ha detto, più pesantemente, che se Israele non è un paese democratico, allora non ha diritto di esistere.
   Il rischio dall’esterno è quello che vediamo in questi giorni. Indubbiamente Israele adesso è in pericolo. Ma Israele è in pericolo perché è democrazia o Israele è in pericolo perché è Israele? Israele è l’unica nazione nel cui nome ישראל è contenuto il nome di Dio: אל. Può essere che la democrazia sia la forma di governo “migliore” per le nazioni dei gentili, che come tali non hanno riferimenti diretti all’unico Dio che ha creato i cieli e la terra, ma quanto a Israele, unica nazione che non è nata come conseguenza della ribellione degli uomini nella pianura di Scinear (Genesi 11:1-9), ma si è formata per una precisa decisione di Dio stesso (Genesi 12:1-3), è possibile che la DEMOCRAZIA, come superiore ideologia onnicomprensiva davanti a cui le nazioni si prostrano sarà l’ultimo idolo pagano eretto in mezzo al suo popolo che Dio abbatterà.   
   No, Israele non siamo noi. Israele è ישראל.

(Notizie su Israele, 19 ottobre 2023)

........................................................


Sottoscrizione in favore della città di Ma’ale Adummim

Il Gruppo Sionistico Piemontese e la Nuova UDAI 10.0 lanciano una sottoscrizione in favore della città di Ma’ale Adummim che ha ospitato 70 famiglie sfollate dalle località israeliane adiacenti alla Striscia di Gaza.
Abbiamo parlato con Benny Kashriel, che è sindaco da 30 anni di questa città e che è stato scelto per diventare nel 2024 Ambasciatore di Israele in Italia.
Ma’ale Adummim è nata per volontà di Rabin subito dopo la guerra del Kippur e si è sviluppata fino ad accogliere oggi circa 50000 abitanti, in gran parte funzionari pubblici a Gerusalemme. Si trova oltre la Linea verde, in prossimità di Gerusalemme in direzione del Mar Morto, ed è circondata da villaggi arabi. Oggi la città è una città quasi fantasma perché tutti i cittadini abili sono rientrati nell’esercito.
Pertanto l’amico Benny si è rivolto a noi per chiederci un aiuto, e stiamo facendo circolare questa richiesta anche al di fuori delle nostre Associazioni e del mondo ebraico, come chiediamo a tutti voi di fare.
Potete inviare i vostri contributi al

Gruppo Sionistico Piemontese,
codice IBAN IT39Q08382 01000 000130114627
con l’indicazione: aiuto alla città di Ma’ale Adummim,

e sarà nostra cura pubblicare i nomi (senza i cognomi) dei sottoscrittori con l’indicazione della cifra ricevuta.
Per favore, fate circolare questa richiesta poiché desideriamo aiutare direttamente almeno un gruppo di profughi nei tempi più rapidi possibili.

(Gruppo Sionistico Piemontese, 19 ottobre 2023)

........................................................


In tutta Europa ora gli ebrei hanno paura e si nascondono

Attacchi alle sinagoghe, nascoste le kippah, tolte le mezuzah dalle porte: ora si pensa a emigrare. È il ritorno al clima degli anni Trenta. Cronaca antisemita post-7 ottobre

di Giulio Meotti

“Non ho bisogno di accendere la tv: quando vedo auto della polizia di fronte a casa nostra so che è successo qualcosa in Israele”, dice il rabbino capo d’Olanda, Binyomin Jacobs. “C’è una sensazione da anni 30”, come dice Niall Ferguson alla Free Press di Bari Weiss. Ieri mattina, mentre a Roma veniva evacuata una scuola ebraica per una esercitazione in caso di allarme bomba, una sinagoga di Berlino è stata attaccata con bombe molotov e nella capitale tedesca si contano sempre più  episodi di antisemitismo. La comunità di Kahal Adass Jisroel ha visto la sua sinagoga nel quartiere Mitte attaccata con due ordigni incendiari. Alcune ore dopo gli attacchi in Israele del 7 ottobre, in un quartiere di Berlino i musulmani distribuivano caramelle mentre festeggiavano l’attentato. Una donna musulmana di Amburgo ha detto a un’emittente regionale che la sua famiglia ha celebrato Hamas a casa. E proprio in una “sensazione da anni 30”, alcune case di ebrei a Berlino sono state marchiate con la stella di David. In risposta agli incidenti ormai fuori controllo, il cancelliere Olaf Scholz ha detto che il governo non mostrerà alcuna tolleranza per gli atti antisemiti. Le autorità tedesche hanno vietato le manifestazioni pubbliche a sostegno di Hamas e la maggior parte delle altre manifestazioni filopalestinesi.
   Berlino ha proibito di indossare la kefiah e di scandire slogan del tipo “dal fiume al mare, la Palestina sarà libera” – un appello a stabilire uno stato palestinese su tutto l’attuale territorio di Israele, come nel programma di Hamas. Il ministro della Giustizia, Marco Buschmann, ha detto che dal prossimo anno agli stranieri condannati per reati antisemiti sarà impedito di ottenere la cittadinanza tedesca: “Quando l’uccisione di persone assassinate perché ebree viene celebrata proprio nelle strade dove ha avuto origine la Shoah, allora dobbiamo essere in grado di perseguire penalmente coloro che fanno questo”, ha detto Buschmann. “L’odio verso gli ebrei è diventato comune tra i giovani di alcune comunità arabe”, ha scritto Josef Schuster, già presidente del Consiglio centrale degli ebrei, la più grande associazione ebraica in Germania, in un articolo intitolato “I barbari sono tra noi”. “E’ stato allarmante vedere la gente che non ha più il coraggio di uscire per strada indossando la kippah o che vuole rimuovere il proprio nome dai campanelli”. E anche Henry Kissinger, di origine tedesca fuggito dal nazismo da bambino nel 1938, è intervenuto sulla questione: “E’ stato un grave errore lasciare entrare così tante persone di cultura, religione e concetti totalmente diversi”, ha detto alla Welt. 
   In quasi tutte le città tedesche, gli ebrei sono diventati “discreti”. A Bonn, la comunità ebraica ha consigliato di non indossare i simboli della fede in pubblico. Lo stesso hanno fatto l’Abraham Geiger Kolleg a Potsdam, che ha invitato gli studenti a non portare la kippah per strada e la scuola Or Avner di Berlino. Commenta lo Jüdische Allgemeine, il giornale della comunità ebraica tedesca: “A Berlino è da tempo che la vita quotidiana per gli ebrei, da Neukölln attraverso Kreuzberg a Wedding, porta a non indossare simboli ebraici in pubblico. Lo stesso si sente da molte comunità ebraiche, da Kiel a Costanza. Quando politici come Sigmar Gabriel chiedono ‘tolleranza zero’ nei loro discorsi domenicali, ma in tutti gli altri giorni della settimana tollerano l’odio, allora qualcosa è andato storto a Bochum, Berlino e in molte altre città tedesche, dove l’aggressività dei musulmani rende impossibile la vita degli ebrei”. Il commissario contro l’antisemitismo della Repubblica federale, Felix Klein, aveva dovuto ammettere, come in una capitolazione: “Non posso consigliare agli ebrei di portare la kippah ovunque in Germania”.

• Via le mezuzah dalle porte
   Anche in Francia, racconta il settimanale Point, gli ebrei si fanno “invisibili” per evitare di essere aggrediti. Julia  ha deciso con un’amica di rimuovere il proprio cognome dai suoi account social. Ha mantenuto solo le consonanti, per ragioni di sicurezza. Quando si fanno consegnare il cibo, molti ebrei non danno l’indirizzo esatto, ma quello di una o due case vicine, in modo che il fattorino non possa vedere la mezuzah (la scatola contenente brani della Bibbia fissata al telaio della porta). Su Instagram, la titolare dell’account “The French Meuf” spiega tutte le strategie di autodifesa. “Quando prenoto un taxi di ritorno da un viaggio in Israele, fornisco un altro numero di volo”. Yonathan Arfi, presidente del Consiglio di rappresentanza delle istituzioni ebraiche di Francia (Crif), dice che il rischio è che, a poco a poco, si imponga un “ebraismo del silenzio”. C’è paura fra gli ebrei di Nizza. Non lasciano che i figli camminino da soli per strada. 
   Centinaia di famiglie ebraiche hanno lasciato Tolosa e il presidente della comunità ebraica, Arié Bensemhoun, ha consigliato ai giovani di lasciare la città. Tolosa contava fino a ventimila persone di religione ebraica. Oggi sono rimasti in diecimila. Stesse testimonianze dall’Inghilterra. Rachel, una madre di Manchester, dice: “Non permetto a mia figlia di indossare la sua collana con la Stella di David”. Gabrielle, un’altra mamma della città, ha tolto la mezuzah dallo stipite di casa. Nei dieci giorni successivi all’attacco terroristico, il Community security trust (Cst), un ente che monitora il razzismo antiebraico, ha registrato almeno 320 incidenti in tutto il paese, con un aumento del 581 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. La scuola ebraica a Kenton, a nord-ovest di Londra, è circondata da massicci blocchi di cemento per fermare gli attacchi dei veicoli, mentre le guardie controllano il perimetro. Ma la settimana scorsa, il preside della scuola, che esiste da 291 anni, ha scritto ai genitori: “Se gli studenti volessero non indossare il manto di preghiera, allora capirei questa decisione. Pertanto, saranno facoltativi”. E il premier inglese Rishi Sunak ha annunciato un finanziamento aggiuntivo di tre milioni di sterline per il Cst per proteggere scuole, sinagoghe e altri edifici comunitari. “Negli ultimi cinquant’anni la popolazione ebraica in Europa è diminuita del sessanta per cento e un calo simile è previsto nei prossimi trent’anni”, scrive Eldad Beck sul maggiore giornale israeliano, Israel Hayom. E Natan Sharanksy, l’ex refusnik sovietico, ha detto: “Stiamo assistendo all’inizio della fine della storia ebraica in Europa”.

• Niente simboli ebraici
   Anche la congregazione ebraica di Göteborg, in Svezia, ha consigliato ai suoi membri di non portare pubblicamente alcun simbolo ebraico e di non parlare ebraico in pubblico. Mercoledì il primo ministro svedese, Ulf Kristersson, ha visitato la congregazione ebraica di Malmö ed espresso preoccupazione per il rischio di un aumento dell’antisemitismo in Svezia. Tutti i sette figli del rabbino capo dell’Olanda Jacobs, tranne due, hanno lasciato i Paesi Bassi per Israele e altrove. Come ha fatto Benzion Evers, figlio del rabbino di Amsterdam. “Emigrare è per noi una soluzione e lo farà il sessanta per cento della comunità”. Cinque dei suoi fratelli e sorelle hanno d'altronde già fatto lo stesso passo. La situazione per la comunità ebraica olandese è diventata così preoccupante che il rabbino Jacobs ha detto che “la gente sta discutendo di rimuovere le mezuzah dal momento che li identifica come tali”. Joel Mergui, presidente del Paris Consistoire, l’organo dell'ebraismo francese responsabile delle funzioni religiose, rivela che tutti e quattro i suoi figli si sono trasferiti in Israele. Meyer Habib, ex parlamentare francese e vicepresidente delle comunità ebraiche, ha affermato che due dei suoi quattro figli vivono in Israele. Il rabbino capo di Parigi, Michel Gugenheim, ha otto figli, tutti andati a vivere in Israele. 
   L’immigrazione in Israele dal Belgio è così aumentata del 20 per cento in dieci anni. Un “esodo silenzioso”, come lo definisce uno dei capi della comunità ebraica belga, Joel Rubinfeld, per cui “le sinagoghe ora sono vuote e in vendita. Nel 2000 erano 40 mila. Oggi sono 30 mila”. Jacob Benzennou, presidente della Comunità ebraica di Waterloo, la città belga vicino a Bruxelles teatro della leggendaria sconfitta di Napoleone nel 1815, oggi ospita appena 250 ebrei. “La sinagoga di Waterloo non ha un minyan” (dieci fedeli ebrei necessari per la preghiera). I Jacobs rimarranno ad Amersfoort “finché ci sarà bisogno della nostra presenza”, dice Blouma Jacobs. Devono preparare il trecentesimo anniversario della sinagoga nel 2027. “Dopo, vedremo”.

Il Foglio, 19 ottobre 2023)

........................................................


L’equivalenza insostenibile

di David Elber

Un’altra drammatica conseguenza dell’eccidio compiuto dalle squadre della morte di Hama il 7 ottobre scorso, è  il graduale emergere di una equivalenza insopportabile e insostenibile, mettere la morte dei civili palestinesi vittime dei raid israeliani a Gaza sul medesimo piano dei civili israeliani trucidati da Hamas. Questa equivalenza è sia ipocrita che falsa, il suo unico scopo è unicamente quello di criminalizzare Israele equiparandolo ai terroristi palestinesi.  
   Secondo questa logica abbietta, non c’è distinzione tra la programmatica volontà di uccidere i civili e la morte di questi ultimi come conseguenza collaterale e sempre, purtroppo, inevitabile, di ogni guerra ma, conta solo il loro numero. Se il numero dei morti civili di uno dei due contendenti è più alto, si tratterebbe di quello che è moralmente dalla parte della ragione. 
   Proveremo a descrivere il perché e il come sono avvenute le uccisioni dei civili. Partiamo dall’eccidio perpetrato da  il 7 ottobre, senza eguali nella storia di Israele pur avendo la stessa dinamica di azione e reazione di innumerevoli episodi passati. 
   L’azione compiuta dai terroristi palestinesi di Hamas aveva un fine chiaro, lo sterminio di quanti più ebrei possibile. Questa azione di sterminio è stata accompagnata da atti di inumana crudeltà, ripresi dagli stessi esecutori a fini propagandistici, anche verso persone particolarmente indifese: bambini, neonati e anziani. Essi non sono stati colpiti a distanza perché si trovavano nei pressi di basi militari, ma sono stati uccisi casa per casa a sangue freddo: in pratica erano i civili stessi il vero obiettivo dell’azione. Sono stati omicidi volontari con l’aggravante della crudeltà, del sadismo e dello scempio.
   L’azione militare intrapresa da Israele, come quelle avvenute in passato, non ha unna intenzione omicida programmatica nei confronti della popolazione civile palestinese. I morti civili a Gaza sono causati del fatto che la popolazione è utilizzata volontariamente dai terroristi palestinesi, come scudo umano. A riprova di ciò, è facile dimostrare che quest’ultimi hanno disseminato le installazioni militari di comando, comunicazione, stoccaggio delle armi, depositi di esplosivi e rampe di lancio per razzi e missili, sia tra le case, gli ospedali, le scuole, le moschee, sia sotto terra tramite una rete di tunnel (di diversi chilometri) sottostante i centri densamente popolati. Inevitabilmente, una qualsiasi risposta militare in questo teatro di guerra provoca, e ha provocato, la morte dei civili.
   Israele è ben consapevole che i terroristi palestinesi, attuano questa forma di “protezione” dei propri centri militari tramite lo “scudo” delle abitazioni civili (modalità severamente vietata da tutte le convenzioni internazionali relative alla guerra), di conseguenza ha sviluppato, unico paese al mondo, delle tecniche di avvertimento per la popolazione al fine di evitare il più possibile il suo coinvolgimento. Le tecniche più utilizzate sono: avvertimento tramite chiamata telefonica nell’area che si andrà a colpire, oppure segnalazione dell’obiettivo che sarà colpito con un missile senza carica esplosiva per far allontanare i civili. Ovviamente, di questi avvertimenti, ne approfittano anche i terroristi per scappare sapendo con precisione cosa sarà colpito.
   Per il comando israeliano è più importante evitare al massimo le vittime civili, anziché, colpire in maniera più efficace i terroristi. Nessun altro esercito al mondo ha mai adottato tecniche simili in altri teatri di guerra, tanto è vero che, nelle accademie militari e nei centri di addestramento di molti paesi, le tecniche utilizzate da Israele sono studiate e prese a modello.
   Tutte le statistiche sui conflitti armati, rilasciate dal comando americano o dai paesi NATO, forniscono chiare indicazione del fatto che le azioni militari israeliane compiute a Gaza sono quelle che hanno prodotto il minor numero di morti civili rispetto a qualsiasi altra azione militare intrapresa dagli eserciti di tutto il mondo. Questi dati comprendono anche gli USA e i paesi della NATO, per i quali la priorità è  sempre quella di tutelare i propri soldati. Tra queste azioni militari si possono ricordare la Prima guerra del Golfo (sotto egida ONU) quella in Somalia (sotto egida ONU),  e di seguito in Serbia, Afghanistan, Iraq, Siria. Ognuna di queste operazioni militari ha causato un numero di morti tra i civili enormemente superiore, benché, la densità abitativa in ogni teatro  di guerra citato fosse molto più bassa di quella di Gaza. Quindi, accusare Israele di uccidere deliberatamente i civili, come fanno, invece, i terroristi palestinesi, è  falso in modo esorbitante.
   Il diritto internazionale su questo punto è chiaro, la totale responsabilità dei morti civili, se sono utilizzati come scudi umani, o semplicemente dimorano nelle immediatezze degli obiettivi militari, è esclusivamente di chi installa tali obiettivi tra la popolazione civile. Il solo fatto di svolgere azioni militari da installazioni ubicate tra le case, rende ipso facto, tali abitazioni legittimi obiettivi militari. In più, è utile anche ricordare che, il non utilizzare abiti riconoscibili (divise) da parte di milizie armate, soprattutto nei centri urbani, è una grave violazione delle leggi di guerra perché rendono indistinguibili le milizie dai civili disarmati, trasformando questi ultimi in possibili obiettivi militari.  
   Quanto esposto fino ad ora, non significa che “un morto vale meno di un altro” ma che le azioni e le motivazioni che hanno come conseguenza non intenzionale le uccisioni dei civili, sono moralmente diverse e non equiparabili a quelle che lo sono intenzionalmente, oltre che essere discriminabili tra legali e illegali. 
   Mettere sullo stesso piano chi ammazza a sangue freddo, volontariamente, e in modo efferato con chi, involontariamente, uccide delle persone perché si trovano nell’immediatezza di un chiaro obiettivo militare, è immorale e pericoloso. Pericoloso, perché se uno Stato non potesse reagire ad una strage per il fatto che l’avversario utilizzi la propria popolazione civile come scudo umano, non è assolutamente vero che la spirale della violenza cessi. È sicuro il contrario, si verificherebbero più attentati e più stragi perché il chiaro intento di organizzazioni criminali come Hamas è lo stermino, non il benessere della propria popolazione. Per quanto costosa in vite umane possa essere, una risposta militare adeguata ai crimini commessi da Hamas, deve essere la sua distruzione. 

(L'Informale, 18 ottobre 2023)

........................................................


Consegnato a Matilde Celentano il manifesto per Israele e la bandiera con la stella di Davide

di Lidano Grassucci

Crediamo che l’indifferenza condita con la cattiva coscienza siano il male del tempo presente.
Davanti all’ attacco, di una ferocia inaudita, contro Israele è nostro dovere esprimere vicinanza a questo paese, alla sua libertà che è libertà di tutti.
Questo brevissimo manifesto, che sottoscriviamo, è aperto a tutti coloro che amano la libertà, che condividono i valori dell’umanesimo europeo.
Con Israele senza se e senza ma...

(Fatto di Latina, 18 ottobre 2023)

........................................................


Operazione “Spade di ferro” - Giorno 12

di Ugo Volli

L’ospedale di Gaza
  L’evento dominante della giornata di ieri, dal punto di vista dell’informazione, è stata un incendio nel cortile o nel parcheggio di un ospedale di Gaza, con molte vittime. Alle sette di sera, mentre era in corso un lancio di missili di grandi dimensioni da Gaza verso il nord di Israele, si è sviluppato una grande fiammata (senza esplosione, a quel che si vede dai filmati) intorno all’ospedale di Al Ahdi di Gaza City, che ha provocato numerose vittime, non è chiaro quante esattamente. Hamas ha subito denunciato Israele come responsabile del “bombardamento” che avrebbe provocato l’incidente, ma l’esercito israeliano ha smentito di aver bombardato il luogo e ha anche mostrato il video che mostra come la causa sia stata il fallimento del lancio di uno dei grandi missili che i terroristi sparavano in quel momento verso la città di Haifa. Accade molto di frequente, intorno al 5-10% dei casi, che i razzi tirati dai terroristi siano difettosi e ricadano sul loro stesso territorio o in mare. Questo è stato evidentemente il caso anche dell’incidente di ieri. Dato che la versione di Hamas è stata largamente accettata senza verifiche dai media, soprattutto in Italia, vale la pena di precisare che l’esercito israeliano è abituato ad assumersi le sue responsabilità, quando per caso sbaglia e che in tutta la guerra e anche nelle operazioni precedenti, i bombardamenti dell’aeronautica sono sempre stati mirati a singoli terroristi o istallazioni militari, mai indiscriminati e mai su luoghi affollati di civili. Che si creda a Hamas, abituato a mentire spudoratamente e non a Israele, è dunque il frutto di un pregiudizio purtroppo diffuso.

Le conseguenze
  L’incidente dell’ospedale ha suscitato numerose conseguenze. Vi sono stati gravi assalti all’Ambasciata israeliana di Amman e al Consolato di Istanbul, manifestazioni violente nelle città arabe di Giudea e Samaria, l’Autorità Palestinese ha dichiarato un lutto nazionale di tre giorni, è stata annullata la conferenza che Biden avrebbe dovuto tenere proprio ad Amman con i leader di Giordania, Egitto e Autorità Palestinese, cortei anti-israeliani sono previsti in tutto il mondo arabo, in Europa e negli Stati Uniti. In generale aumenta la pressione già fortissima perché Israele sospenda o almeno depotenzi la guerra con Hamas.

Le visite diplomatiche
  Dopo il ministro degli Esteri e vicepremier italiano Taiani, che è stato il primo leader occidentale ad andare in Israele per mostrare solidarietà, le visite si moltiplicano. L’altro ieri è andata la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen; ieri è toccato al primo ministro tedesco Olaf Scholz e a quello rumeno Ion-Marcel Ciolacu. Oggi tocca a Biden, preceduto da una fittissima rete di visite e di riunioni del suo Segretario di Stato Blinken; nei giorni prossimi sarà il turno di Emmanuel Macron e del primo ministro britannico Rishi Sunak. Insomma, la diplomazia occidentale si è fortemente concentrata su Gerusalemme. Si tratta evidentemente di una dimostrazione di solidarietà, che in certi casi come gli Usa e la Gran Bretagna è diventata anche molto concreta, con il rifornimento di armi e l’avvicinamento di potenti mezzi navali, che dovrebbero rendere più difficile l’intervento nella guerra di Hezbollah e del grande burattinaio del terrorismo in Medio Oriente e protettore di Hamas, la Repubblica Islamica dell’Iran. Israele ne è certamente molto grato.

Le pressioni
  Ma in questo attivismo diplomatico vi è anche un forte rischio. Secondo una politica consolidata, gli occidentali condividono l’idea che nei rapporti internazionali l’uso della forza debba essere il più moderato possibile e che le armi debbano sempre cedere il passo alla diplomazia, appena possibile. Sembra un’idea ragionevole, anzi virtuosa, ma essa non considera gli abissi di odio e di violenza del terrorismo anti-israeliano. La conseguenza di questa impostazione sarebbe quella di impedire a Israele di portare fino in fondo la guerra a Hamas, innanzitutto rompendo l’assedio a Gaza e permettendo a Egitto e Turchia di portare aiuti che finirebbero innanzitutto alle truppe terroriste, poi impedendo l’azione di terra che è necessaria per spiantare davvero le organizzazioni del terrore a Gaza, e infine limitando i bombardamenti aerei e proclamando un cessate il fuoco immediato, come ha chiesto anche ieri il segretario dell’Onu Gutierrez, in visita anche lui in Medio Oriente, ma in Egitto, non in Israele. Questa pressione era già in atto prima dell’incidente dell’ospedale: vi sono resoconti di una lunghissima riunione fra Blinken e il gabinetto di guerra israeliano in cui è stato discusso per ore un documento presentato dal Segretario di Stato che imponeva la riapertura del valico di Gaza e sull’ingresso degli aiuti in cui il governo israeliano ha cercato di assicurarsi almeno garanzie che non sarebbero passati materiali militari. Ora è chiaro che Biden cercherà di probabilmente di far passare proprio un cessate il fuoco. Bisogna sapere però che se l’operazione contro i terroristi non venisse portata fino in fondo, sarebbe una gravissima sconfitta per Israele, per l’Occidente e per la pace che preluderebbe entro breve termine a nuovi grandi atti di terrorismo e a nuove guerre. Ogni concessione alle organizzazioni terroriste rafforza la loro strategia di morte.

Le operazioni
  Nel frattempo ieri e oggi le operazioni dell’esercito israeliano proseguono. Vi sono stati scambi al confine nord con Hezbollah, con una tendenza alla crescita dell’intensità dei combattimenti. A Gaza l’aviazione israeliana ha eliminato alcuni importanti capi terroristi, fra cui vale la pena di citare uno dei loro più importanti comandanti militari, Amin Nofal, probabilmente il numero tre o quattro dell’organizzazione militare di Hamas.

(Shalom, 18 ottobre 2023)

........................................................


Qualcuno aveva avvertito del massacro, ma nessuno gli ha dato retta

Lunedì il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha incontrato l'ex generale Yitzhak Brick presso il quartier generale militare di Tel Aviv. Yitzhak Brick è probabilmente l'unico generale che ha messo in guardia per anni da questo scenario orribile. Netanyahu voleva sapere da Brick personalmente qual era la sua posizione su come combattere la guerra. Un'invasione di terra di Gaza non è l'unica opzione. Per quanto riguarda gli attacchi missilistici dal nord, Israele deve prepararsi a una guerra su più fronti. Tra le altre cose, Brick ha messo in guardia dai problemi di competenza delle forze di terra e ha chiarito che l'invasione di terra non deve essere un passo obbligatorio. Ma secondo Brick, Israele deve urgentemente "cambiare il suo hard disk", cioè avere un cambiamento fondamentale.

di Aviel Schneider

Yitzhak Brick
Il generale Brick ha messo in guardia per anni sugli scenari di orrore che tutti abbiamo visto in diretta nel sud di Israele dalla mattina dello Shabbat nero. Ma nel sistema di sicurezza e nella leadership politica dello Stato, le sue interpretazioni strategiche non sono state notate, Yitzhak Brick è stato addirittura considerato un illusionista.
"Può esserci un massacro, lo Stato di Israele non ha ancora riconosciuto il pericolo", aveva avvertito Brick. "Abbiamo la sensazione tra la gente che tutto sia ottimo e non ci siano rischi, ma al pubblico non viene detto che le forze (di Hamas) si stanno preparando. Si tratta di combattenti equipaggiati e addestrati, che attraverseranno il confine a piedi e attaccheranno e occuperanno i nostri insediamenti nel sud. C'è un'altissima probabilità che ciò accada. Hamas catturerà gli insediamenti, lancerà granate nei bunker e nei rifugi e causerà un massacro. I cittadini, io e voi, dovremo difendere gli insediamenti perché l'esercito non sarà presente". 
Brick ha pronunciato queste parole mesi fa, ma nessuno gli ha dato ascolto. Dopo il massacro nel sud, ora tutti hanno un orecchio per il generale Brick, persino Bibi.
Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu e Brick hanno parlato del proseguimento della guerra contro le organizzazioni terroristiche a Gaza e degli sviluppi al confine libanese. Il generale ha chiarito a Netanyahu che la sua posizione è quella di continuare la guerra chirurgica, dividere le forze e trovare una soluzione attraverso un assedio ermetico di Gaza e dei civili palestinesi. Il suo punto di vista contrasta con la posizione tattica dello Stato Maggiore, che ritiene che nessun successo a Gaza sia possibile senza un’invasione di terra israeliana.
Brick ha avvertito che le forze israeliane si sono trasformate in una forza aerea e ha criticato la leadership di Tel Aviv per la sua sensibilità alle perdite umane sul terreno. "La situazione delle forze di terra oggi è tragica, non sono pronte per la guerra. I rifornimenti di emergenza non sono pronti, le esercitazioni sono cessate e i battaglioni non si addestrano da anni. Non c'è nemmeno formazione e addestramento sulle armi, e l'esercito non è in grado di portare a termine un attacco".
L'ex difensore civico ha aggiunto che la tecnologia da sola non basta per vincere le guerre. "La verità è che è stata creata una realtà immaginaria dall'alto comando e attraverso il portavoce dell'esercito. Inoltre, negli ultimi anni, i soldati hanno perso la motivazione e lo spirito combattivo, molti non sono pronti ad andare in battaglia".
"Chi vuole evitare completamente di perdere sul campo di battaglia perde completamente la deterrenza dell'esercito e la capacità di vincere la guerra. Questo tipo di pensiero e di gestione dei livelli di sicurezza porterà in ultima analisi a un maggior numero di vittime in guerra", ha dichiarato lo scorso maggio Brick al Canale 12.
Brick ha aggiunto che l'esercito di terra e il sistema di riserve di Israele sono stati costantemente ignorati: "Abbiamo perso la capacità di combattere tra eserciti e siamo diventati una forza aerea monodimensionale che non può vincere una guerra da sola". A suo avviso, le forze di terra di Israele non sono pronte per la guerra. L'avvertimento fa seguito a una serie di sondaggi che mostrano come gran parte dei cittadini israeliani abbia perso fiducia nel futuro del Paese. Ciò è stato particolarmente evidente nell'ultimo anno, quando il popolo era diviso sulla direzione politica e giudiziaria.
"Nel mio ruolo di generale, ho visitato più di 1.400 unità e parlato con decine di migliaia di comandanti e soldati, da tre a quattro volte alla settimana, per quattro ore in ogni unità. Conosco l'esercito sul campo meglio di chiunque altro nelle Forze di Difesa Israeliane", ha detto Brick anni fa. "Ho visto soldati che non si prendono cura delle loro armi prima di lasciare la base. Nessun esercito al mondo si comporta così. I soldati hanno con sé i loro smartphone ovunque. Gli ordini vengono inviati tramite gruppi WhatsApp. Questi telefoni vengono rintracciati dal nemico".
Non solo, si dice che gli ordini siano stati inviati via e-mail e poi cancellati, senza lasciare alcun seguito. "Il nostro sistema ha perso ogni controllo. Siamo impazziti? Non riesco a dormire la notte. Le nostre forze di terra e i nostri corpi corazzati non sono pronti per la guerra", ha avvertito continuamente Brick.
"Quello che vi presento qui, non lo sentirete dai principali comandanti dell'IDF. Non solo molti dei comandanti non sanno nulla, ma anche quelli che sanno hanno paura di parlare per non essere puniti", ha scritto, esortando i membri del Comitato per la sicurezza e la politica estera della Knesset a parlare con i soldati professionisti sul campo e sul terreno.
"Lasciate che vi mostrino cosa sta succedendo, condividete con loro i loro problemi e le loro difficoltà. Non saranno i comandanti di divisione, brigata e battaglione a farvi conoscere la realtà che prevale sul campo. Dovreste imparare da coloro per i quali è la routine della loro vita... Le loro dichiarazioni sono la verità".

L'intero apparato di sicurezza di Israele ha fallito e si è affidato troppo alla tecnologia mista ad arroganza. Ma è sempre così nella storia, spesso chi non canta in coro con il gregge viene chiamato pazzo, come il generale Brick che vide il pericolo dal basso.
(Israel Heute, 18 ottobre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


La pietà non va dalla parte degli ebrei

Gli ebrei notano con rammarico che le vittime israeliane dei massacri di Hamas “non hanno diritto alla considerazione data dalle opinioni occidentali alle vittime palestinesi”. Stato sotto accusa da parte della comunità internazionale per il suo mancato rispetto delle risoluzioni delle Nazioni Unite, Israele si sente e sa di non essere amato.

(dayFRitalian, 18 ottobre 2023)
____________________

"Israele si sente e sa di non essere amato". E' proprio così, e si sapeva da molto tempo. Ma per chi ama Israele, sia egli ebreo o no, è sgradevole doverlo riconoscere ogni volta in un modo sempre nuovo. Che cosa sono i cortei filopalestinesi che proprio adesso, dopo quello che è accaduto, si è presa la briga di organizzare? Al di là di tutte le considerazioni politiche, che cosa emerge alla base di quello che hanno fatto i "miliziani" di Hamas il 7 ottobre? La risposta è semplice: odio. Puro odio verso lo Stato di Israele in quanto stato degli ebrei, e dunque odio verso gli ebrei. E' così difficile capirlo? Sì, è difficile per chi in qualche misura ne è partecipe. Perché non lo avverte, quindi non capisce perché mai lo si accusi di sentimenti così ignobili. Lui non odia gli ebrei, non è come i trogloditi di Hamas che sparano a vecchi e sgozzano bambini. Lui dice soltanto che però gli ebrei... M.C.

........................................................


Siete sicuri di volere una reazione proporzionale di Israele?

di David Spagnoletto

Quando si tratta di discutere sulle azioni di Israele, si fa spesso ricorso a una retorica che fa capo alla moralità.
Nel vocabolario della retorica c’è un termine che ricorre e mai come in questi giorni se ne sta facendo uso, anzi abuso: proporzionalità.
Israele ha abituato il mondo a grandi salvataggi dei suoi cittadini, a imprese di intelligence che neanche il miglior sceneggiatore di film avrebbe potuto scrivere.
Israele ha abituato il mondo a non reagire quando attaccato dai missili, come in occasione della prima guerra del Golfo, quando l’allora primo ministro israeliano Shamir non rispose agli Scud sparati dall’Iraq di Saddam Hussein.
Una cosa rara, ai limiti dell’assurdo. Uno stato sovrano attaccato da un paese guidato da un dittatore che decide di non reagire.
Perché è questo che vorrebbero gli antisemiti. Vorrebbero che Israele non si difendesse dai quei barbari assassini e assetati di sangue dei terroristi di Hamas. Perché ciò che fa Hamas è la risposta a ciò che fa Israele.
Ecco allora che i finti benpensanti e veri antisemiti sono costretti ad attingere a quel vocabolario retorico, di cui la proporzionalità ne è un lemma assai importante.
Nelle loro menti l’utilizzo del termine proporzionalità dovrebbe limitare le reazioni di Israele al terrorismo palestinese.  
Mettiamo che abbiano ragione. Mettiamo anche Israele dovrebbe restituire al nemico il terrore proporzionale rispetto a quanto ricevuto.
Israele, quindi, dovrebbe entrare a Gaza e deportare civili in pigiama. Dovrebbe esibire al mondo anziani, bambini, donne, uomini, come trofeo della propaganda. Come fatto da Hamas lo scorso 7 ottobre.
Israele, quindi, dovrebbe entrare a Gaza e uccidere più civili possibile. Dovrebbe entrare nelle case, sterminare intere famiglie, sgozzare i bambini e togliere la vita anche ai cani. Come fatto da Hamas lo scorso 7 ottobre.
Israele, quindi, dovrebbe entrare a Gaza e stuprare le donne del posto. Come fatto da Hamas lo scorso 7 ottobre.
Israele, quindi, dovrebbe entrare a Gaza e uccidere 250 ragazzi che stavano partecipando a un rave. Come fatto da Hamas lo scorso 7 ottobre.
Ai finti benpensanti e veri antisemiti di cui sopra: siete sicuri di volere una reazione proporzionale Israele?

(Progetto Dreyfus, 16 ottobre 2023)


*

Quelli che…

Cosa c’è peggio dell’orrore che gli ebrei d’Israele hanno subito e che ci opprime ogni ora di più?
Quelli della “equidistanza”, per ingenuità o propria immagine, che ancora non hanno capito o deciso. Quelli che “speriamo la situazione non peggiori” o della “pace a tutti i costi” con chi ha fatto della morte, tua e di tutti gli altri ‘miscredenti’, la sua missione di vita. Quelli che sostengono e finanziano – o anche solo applaudono e celebrano – fior di criminali. Quelli che “Hamas ha sbagliato, ma anche Israele ha le sue colpe”. Quelli che “i palestinesi tirano solo i sassi” e “i razzi di Hamas non uccidono”. Quelli che “la risposta di Israele deve essere “proporzionata”. Quelli che si dicono preoccupati ma solo dei bambini di Gaza o della reazione di Israele, senza neanche citare – o mostrarsi dispiaciuti per – i suoi lutti.
[...]
Quelli come te. Quelli come te mi fanno orrore quanto quelli di Hamas....

(Progetto Dreyfus, 17 ottobre 2023)

........................................................


5 modi per pregare per Israele e Gaza

Un appello da PorteAperte /OpenDoors

Sabato 7 ottobre, i combattenti di Hamas – organizzazione militante e politica islamica che governa Gaza – hanno colto di sorpresa le autorità israeliane con una serie di attacchi armati che hanno dato origine a un’escalation di violenza terribile.
Attraverso la rete dei nostri partner locali sappiamo che a Gaza vivono più di 1.000 cristiani e che, naturalmente, sono numerosi anche i cristiani in Israele.
Di seguito proponiamo 5 soggetti di preghiera ricevuti dal campo, un modo per stare al fianco di chi soffre e per sostenere la Chiesa in questo momento difficile.

  1. Pregate per le famiglie in Israele che piangono i propri cari. Dopo gli attentati, la Società Biblica in Israele ha pubblicato sul suo sito il seguente messaggio: “Siamo sotto shock. Arrabbiati. In lutto. In poche ore, centinaia di vite sono state spezzate. Donne, uomini, bambini, anziani. In migliaia sono feriti e tanti presi in ostaggio. […] Non c’è famiglia che non abbia perso un familiare o un amico. Abbiamo bisogno delle vostre preghiere. Pregate perché Dio usi questo tragico evento per indurre le persone a cercarLo”.
  2. Pregate per i cristiani in Gaza, terrorizzati da ciò che stanno vivendo. “Ci sono esplosioni e distruzione ovunque. I bambini urlano, piangono e c’è una grande paura. Non è un luogo sicuro qui e non riusciamo più a prendere sonno. Siamo esausti, fisicamente e moralmente. Non sappiamo cosa fare”, ha condiviso un credente locale.
  3. Pregate che Dio operi attraverso questa situazione per portare più persone a Lui. E che il Suo popolo possa essere sale e luce, ora più che mai. Crediamo che il Signore possa trarre il bene dal male, anche quando questo sembra impossibile. Ora i nostri fratelli e le nostre sorelle ci chiedono di pregare coraggiosamente per l’impossibile: che la guerra finisca e che l’indebolimento della fiducia nel governo e nei leader militari porti le persone a cercare riparo e aiuto all’ombra del Creatore del cielo e della terra! “Pregate che i cristiani possano essere la luce nel mezzo dell’oscurità, per riflettere l’amore di Cristo”, dice un cristiano locale.
  4. Pregate per coloro che sono stati cacciati dalle proprie case, per gli sfollati come anche per chi è stato preso in ostaggio e per le loro famiglie. Che Dio possa essere con loro e mostrare il Suo volto e la Sua misericordia a coloro che Lo cercano.
  5. Infine, pregate per la pace.
“Pregate con noi. Pregate che il Signore fermi questa guerra!” – un nostro partner locale in Gaza.
“Pregate con noi affinché Dio si riveli e intervenga nella vita dei leader le cui decisioni di questi giorni stanno determinando il futuro di così tante persone! Che possa il nostro Dio amorevole portare fine a questo disastro” – Società Biblica in Israele.

(Porte Aperte Italia, 17 ottobre 2023)

........................................................


Come Israele traccia in tempo reale l’evacuazione da Gaza Nord

di Patrick Kingsley and Ronen Bergman 

In una sala di controllo senza finestre in una base militare nel sud di Israele, cinque soldati hanno monitorato lo sfollamento di centinaia di migliaia di gazesi su un enorme schermo di computer.
   Lo schermo mostrava una mappa in tempo reale del nord di Gaza, l’area densamente popolata da circa 1,1 milioni di residenti a cui venerdì l’esercito israeliano ha detto di dirigersi verso sud per la propria sicurezza. Utilizzando i dati raccolti principalmente da oltre un milione di telefoni cellulari, la mappa ha fornito ai soldati una valutazione in tempo reale di quanti gazesi avessero ascoltato la richiesta di Israele.
   Le Forze di Difesa Israeliane hanno per giorni fatto intendere che presto inizieranno un’operazione di terra nel nord di Gaza per spodestare Hamas, il gruppo armato palestinese che controlla Gaza e che il 7 ottobre ha orchestrato i peggiori attacchi terroristici nella storia di Israele, uccidendo più di 1.400 persone e rapendone almeno altre 199. I contrattacchi israeliani hanno ucciso più di 2.800 palestinesi, secondo le autorità sanitarie di Gaza.
   L’esercito israeliano ha permesso a un giornalista del New York Times di vedere il sistema di tracciamento dei dati, sperando di dimostrare che sta facendo il possibile per ridurre i danni ai civili.
   Alcuni quartieri erano colorati di bianco e rosso sullo schermo, suggerendo che ospitavano ancora la maggior parte dei loro residenti. Ma un numero crescente di aree diventava verde e giallo, segnalando che la maggior parte dei residenti se n’era andata.
   “Non è un sistema perfetto al 100%, ma fornisce le informazioni necessarie per prendere una decisione”, ha dichiarato il generale di brigata Udi Ben Muha, che supervisiona il processo di monitoraggio. “I colori dicono cosa si può o non si può fare”, ha detto il generale Ben Muha.
   Con i leader politici che devono ancora dare il via libera definitivo a un’operazione di terra, lunedì l’esercito israeliano è rimasto bloccato in una situazione di stallo. Lunedì sera, le sue truppe sono rimaste ammassate al confine con Gaza, senza ancora avanzare. L’esercito stava osservando quanti civili avessero lasciato il nord di Gaza.
   Stava anche fornendo addestramento ed equipaggiamento dell’ultimo minuto alle centinaia di migliaia di riservisti militari che erano stati richiamati per lo sforzo bellico. E i giorni in più hanno dato ai diplomatici il tempo di condurre negoziati dell’ultimo minuto – e finora senza successo – per aprire il confine di Gaza con l’Egitto agli sfollati e ai convogli di aiuti.
   Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano, ha anche invitato il presidente Biden a visitare Israele questa settimana, ed è improbabile che i militari complichino la sua visita iniziando un’invasione mentre si trova sul suolo israeliano, hanno detto gli analisti.
   “L’operazione di terra comporterà molte vittime da entrambe le parti”, ha dichiarato Miri Eisin, ex ufficiale militare di alto livello e direttore dell’Istituto internazionale per l’antiterrorismo dell’Università Reichman in Israele.
   “Non è il caso di farlo quando il presidente degli Stati Uniti è qui”, ha aggiunto.
   Nel frattempo, tre alti comandanti israeliani hanno dichiarato che stanno sfruttando ogni momento per preparare i riservisti alla guerra di terra. L’operazione prevista sarà la prima in quasi 15 anni in cui Israele tenterà di catturare e mantenere un territorio per un periodo prolungato. Molti soldati a tempo pieno non hanno mai condotto un’operazione del genere, per non parlare dei 360.000 riservisti richiamati dal loro lavoro quotidiano dopo gli attacchi di Hamas.
   Una minoranza significativa dei fanti e delle unità di carri armati che potrebbero essere dispiegati a Gaza sono riservisti, secondo tre alti ufficiali. Si ritiene che le Forze di Difesa Israeliane avessero 200.000 soldati in servizio attivo prima del richiamo, di cui tre quarti erano soldati di leva, ma non ci sono cifre ufficiali.
   L’esercito ha avuto bisogno di tempo per rifornirsi di un equipaggiamento sufficiente per il suo esercito. Mentre i commando israeliani hanno tutti un equipaggiamento protettivo sufficiente, l’esercito sta ancora cercando di procurare giubbotti protettivi per alcuni riservisti, secondo un alto ufficiale. Diverse famiglie hanno anche detto di aver ottenuto privatamente i giubbotti per i figli che sono stati chiamati alle armi.
   Nel frattempo, un numero maggiore di civili palestinesi sta lasciando il nord di Gaza, anche se per raggiungere le condizioni disastrose del sud, dove mancano alloggi, carburante, acqua, medicine e cibo – e dove continuano anche gli attacchi israeliani.
   Molti palestinesi affermano di temere che Israele cerchi di costringerli ad andare in Egitto, per non tornare mai più, in un’espulsione di massa che paragonano alla Nakba, un termine arabo che si riferisce alla fuga o all’espulsione di 700.000 arabi palestinesi durante le guerre che circondarono la creazione di Israele nel 1948.
   Israele afferma che l’invito all’evacuazione serve a prevenire il maggior numero possibile di vittime civili durante le prossime operazioni militari nel nord del Paese.
   A tal fine, dalla sala di controllo militare nel sud di Israele, il generale Ben Muha ha cercato di incoraggiare un maggior numero di gazesi a dirigersi verso sud. Gli ufficiali militari chiamavano direttamente i palestinesi e gli aerei dell’aviazione sganciavano volantini che esortavano i gazesi a ignorare le richieste di Hamas di non muoversi.
   Sulla scrivania del generale c’erano fascicoli e fogli di calcolo che elencavano i numeri di telefono di centinaia di leader delle comunità gazane, direttori di ospedali e amministratori di scuole, che potevano essere chiamati in un attimo da un soldato della sala di controllo.
   Su una lavagna vicina, gli assistenti avevano dettagliato i tempi dei lanci regolari di volantini nel nord di Gaza.
   Sulla mappa in tempo reale di fronte al generale, c’erano sempre meno macchie rosse e bianche: Fino a 700.000 gazesi si erano spostati a sud nel pomeriggio di lunedì, secondo i dati, lasciandone circa 400.000 nel nord.
   Una volta che un quartiere diventa verde sulla mappa, un ufficiale israeliano che opera nell’area avrà un maggiore spazio di manovra a causa della minore probabilità di danneggiare i civili durante la lotta contro Hamas, ha detto il generale.
   “Se sei un comandante di brigata e vedi quei colori, ti dice quanti civili ci sono nell’area e sai se puoi o non puoi usare i tuoi carri armati o la tua fanteria”, ha detto.
   I palestinesi affermano che tali misure hanno poco significato in mezzo alla forte perdita di vite umane e alle difficoltà causate dai bombardamenti e dallo sfollamento. I civili e gli operatori umanitari affermano che molte persone non hanno i mezzi di trasporto per spostarsi verso sud, o sono troppo deboli per affrontare il viaggio.
   “Non credo ci sia nulla di umanitario nello sradicare” così tante persone, ha dichiarato Khaled Elgindy, direttore del Programma sulla Palestina e gli Affari Palestinesi-Israeliani presso il Middle East Institute, un gruppo di ricerca di Washington.
   “Non esiste un luogo sicuro a Gaza”, ha aggiunto Elgindy. “Quindi l’idea che si stiano comportando in qualche modo in modo umanitario o rispettoso della vita umana a Gaza è orwelliana”.
   Il metodo di monitoraggio è già stato utilizzato durante gli attacchi dell’aviazione israeliana su Rimal, un ricco quartiere di Gaza City che è stato lasciato in rovina dopo essere stato bombardato martedì scorso come rappresaglia per gli attacchi di Hamas. I funzionari israeliani hanno affermato che Hamas aveva costruito infrastrutture militari sotto il quartiere.
   Prima dell’attacco, i soldati della sala di monitoraggio hanno chiamato alcuni residenti della zona per incoraggiarli ad andarsene, ha detto il generale. Hanno poi avvisato l’aviazione non appena il quartiere è diventato verde sulla mappa, indicando che era rimasto meno di un quarto della popolazione, ha detto il generale.
   Il generale ha detto che, prima di procedere, l’aviazione ha condotto una propria valutazione del costo potenziale per le vite civili di ogni singolo attacco.
   Ma tali verifiche sono arrivate solo fino a un certo punto.
   Tra i civili uccisi durante gli attacchi c’era Saeed al-Taweel, editore di un sito web di notizie arabe.

(Rights Reporter, 17 ottobre 2023)

........................................................


Berlino: tensione e solidarietà dopo gli attacchi di Hamas in Israele

La Berlino ebraica in subbuglio, dopo gli attacchi di Hamas in Israele. Dall’antisemitismo, con le case ebraiche “marchiate” con la Stella di David, alla solidarietà di centinaia di cittadini davanti alla sinagoga Fraenkenlufer

di Roberto Zadik

Era dai tempi della Notte dei Cristalli che, a Berlino, le case delle famiglie ebraiche non venivano imbrattate con una serie di Stelle di David, disegnate da sconosciuti, sulle porte; questo fatto ha significato un’ipotetica minaccia, in seguito a quanto sta accadendo in Israele, in uno dei periodi più difficili della storia ebraica recente.
   A darne notizia il sito Jewish Chronicle che, in un articolo firmato da Daniel Ben David domenica 15 ottobre, ha evidenziato i timori della popolazione ebraica locale; una ragazza ventottenne, che ha preferito restare anonima, ha rivelato alla testata tedesca del Morgenpost di essersi sentita “incredibilmente scioccata e spaventata” quando la sera, al rientro a casa, ha trovato quel segno sulla sua porta.
   Le autorità tedesche sono impegnate, con un’indagine della polizia, a cercare di risalire ai responsabili del deprecabile gesto. Successivamente la donna ha espresso le proprie emozioni interrogandosi su chi possa essere l’autore delle minacce e se qualcuno sia penetrato furtivamente nel suo appartamento che ha una mezuzah alla porta.
   Fra le testimonianze ebraiche berlinesi il testo sottolinea la vicenda di Yael, israeliana naturalizzata tedesca, che vive a Berlino da otto anni e che, fino a quel momento, si era sentita al sicuro e perfettamente integrata avendo molti amici tedeschi e figli studenti presso la scuola locale. “Quando ho visto quella Stella di David sulla mia casa è stato un pugno nello stomaco” ha detto la donna che ha rivelato di essere stata in dubbio se mandare i suoi figli a scuola, venerdì scorso, in quello che i terroristi di Hamas avevano proclamato come “Il Giorno della Rabbia” e che fosse talmente spaventata da vietare ai suoi bambini di parlare ebraico fra di loro.
   Ma cosa sta succedendo in Germania e che clima si respira nei confronti del mondo ebraico? Mentre la polizia sta indagando, per cercare di individuare la matrice di questi episodi e se siano collegati fra loro, sono giorni estremamente tesi in cui, dall’attacco di Hamas, si stanno susseguendo marce propalestinesi ed episodi di antisemitismo. Le forze dell’ordine hanno deciso di intensificare la propria presenza nei siti ebraici, come istituzioni e sinagoghe.
   Nonostante questa atmosfera ci sono alcuni segnali positivi come le dichiarazioni del cancelliere tedesco Olaf Scholz che ha annunciato “tolleranza zero” contro l’antisemitismo , nel suo discorso al Bundestag, il Parlamento tedesco, giovedì scorso; Scholz ha anche affermato di voler vietare qualsiasi attività a favore di Hamas, compresa l’esposizione dei suoi simboli, ricordando che, dal 2021, è un reato mostrare qualunque sostegno a favore di questa organizzazione terroristica.
   Non solo timore ma anche tanta solidarietà alla popolazione ebraica in questi ultimi giorni a Berlino. A questo proposito il Times of Israel racconta, in un articolo del 16 ottobre, che proprio nel “Giorno della Rabbia” una folla di circa 350 persone si è radunata davanti alla Sinagoga Fraenkenlufer come “scudo protettivo” simbolico per proteggere l’edificio e la Comunità locale dalle minacce del terrorismo; molti di loro avevano una serie di poster con i nomi e le foto degli ostaggi rapiti dai terroristi di Hamas, compresa una neonata di sei mesi.
   Dopo gli episodi di giovedì scorso, il sito, citando lo speciale di Radio Berlino Brandeburgo, ha rivelato che la polizia avrebbe rinvenuto altri due edifici imbrattati da Stelle di David nella zona di Kreuzberg. Un altro grave episodio sarebbe accaduto a Hellersdorf con una bandiera israeliana bruciata. Ovviamente non sono mancate le reazioni. Secondo l’ADL (Anti Defamation League) “Qualunque responsabile di questa campagna antisemita deve essere arrestato e punito col massimo della pena” mentre l’Ambasciata israeliana ha commentato, sul suo account Twitter, che “quelle Stelle di David riportano alla mente le memorie peggiori, specialmente in Germania, quando gli ebrei venivano costretti ad indossare le Stelle Gialle”. La giornata peggiore è stata indubbiamente venerdì 13 ottobre quando, nonostante le straordinarie misure di sicurezza, una serie di famiglie ebraiche ha deciso di tenere i figli a casa; a confermare questo fatto anche il presidente tedesco Frank Walter Steinmeier che, durante la sua visita alla sinagoga Fraenkeluefer, ha definito quella giornata “un giorno di paura per tutti gli ebrei del mondo e anche qui in Germania”.

(Bet Magazine Mosaico, 17 ottobre 2023)

........................................................


Hamas i tunnel del terrore li ha costruiti con i nostri soldi

Cemento, cibo e altri aiuti arrivati da organizzazioni umanitarie e stati di tutto il mondo nella speranza di migliorare la situazione nella Striscia sono stati usati dal gruppo terroristico per perseguire i suoi scopi militari

di Giulio Metodi

Nelle jeep usate dai terroristi di Hamas per l’assalto del 7 ottobre sono state trovate numerose sacche dell’Unicef, l’agenzia Onu per l’infanzia, mentre l’Unrwa (agenzia Onu per i rifugiati) ieri lamentava il furto di materiale dell’Onu da parte del ministero della Sanità di Hamas. Hamas ha utilizzato gran parte del cemento donato dalla comunità internazionale per costruire i tunnel, da cui passano armi, esplosivi, cellule terroristiche e  il 7 ottobre sono passati anche i 190 civili israeliani rapiti. “Israele ha fatto entrare a Gaza 4.824.000 tonnellate di materiali da costruzione e questi sono stati spesso utilizzati per costruire nuovi tunnel che penetrano nel territorio israeliano”, ha accusato Dore Gold, ex ambasciatore israeliano all’Onu. Ogni giorno dal 2006, 700 camion di rifornimenti, tra cui farmaci, cibo e materiale da costruzione, sono entrati a Gaza attraverso il valico di Kerem Shalom con una media di 3,5 milioni di tonnellate di materiali da costruzione all’anno. 
   Aiuti arrivati da organizzazioni umanitarie e stati di tutto il mondo nella speranza di migliorare la situazione nella Striscia. In realtà, il ripetuto sfruttamento delle organizzazioni umanitarie da parte di Hamas significa che molti palestinesi a Gaza non hanno mai  visto gran parte degli aiuti
   Hamas stanzia il 55 per cento del suo budget per finanziare le necessità militari. Secondo dati israeliani, Hamas raccoglie in tasse 14 dollari per ogni apparecchio elettrico, 27 dollari per ogni tonnellata di frutta e 1,5 dollari per ogni pacchetto di sigarette. Dal 2015 Hamas ha iniziato a imporre anche una “tassa di solidarietà”. Questa tassa è stata pubblicizzata come un meccanismo per sostenere i poveri di Gaza, ma in realtà il denaro è stato utilizzato per pagare gli stipendi di Hamas. Persino le Nazioni Unite sono state costrette a fermare le spedizioni di aiuti a Gaza dopo che si è scoperto che Hamas aveva sequestrato centinaia di tonnellate di cibo e altri aiuti. Lo sfruttamento degli aiuti avviene anche dietro le quinte, dove Hamas ha in numerose occasioni incorporato individui nelle agenzie umanitarie per servire gli interessi dell’organizzazione. 
   Un agente di Hamas, Mohammad Halabi, che lavorava nell’organizzazione umanitaria World Vision, è stato condannato per aver dirottato fondi verso Hamas. E’ riuscito a trasferire 7,2 milioni di dollari all’anno, per un totale di 36 milioni di dollari, all’ala militare di Hamas che rappresentano il 60 per cento delle risorse di World Vision a Gaza. Il denaro, che era stato destinato a programmi di aiuto per bambini disabili, assistenza umanitaria e cibo, è stato  utilizzato per acquistare armi, pagare gli stipendi dei terroristi ed espandere la rete di tunnel. Molto denaro dei fondi destinati a progetti civili è stato dato in contanti alle Brigate Izz al-Din al-Qassam, le formazioni militari di Hamas.
   Un agente di Hamas si è anche infiltrato nell’Agenzia delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp), responsabile della ricostruzione delle case di Gaza. E Muhammed Faruq Sha’ban Murtaja, direttore della filiale di Gaza dell’agenzia umanitaria turca Tika, è stato arrestato con l’accusa di aver dirottato denaro a Hamas. Nella sua confessione ha ammesso di aver sfruttato la sua posizione di alto rango nell’organizzazione. Secondo le istruzioni di Murtaja, tredici milioni di dollari donati per la costruzione di venti nuovi condomini sono stati utilizzati per costruire alloggi per gli agenti di Hamas. In totale, Murtaja è riuscito a dirottare quasi 23 milioni di dollari in aiuti ai membri di Hamas e alle famiglie dei terroristi.
   Il coordinatore delle attività governative israeliane nei Territori, Yoav Mordechai, si è rivolto così alla popolazione di Gaza: “Oggi vi parlo dell’organizzazione terroristica Hamas che ruba il vostro denaro per far promuovere il terrorismo. Grazie a una lunga indagine abbiamo scoperto che Hamas utilizza costantemente i fondi che i paesi occidentali versano alle organizzazioni internazionali, come l’organizzazione World Vision a Gaza: milioni di dollari che dovevano servire per progetti di costruzione, per sostenere economicamente i residenti, persino i pacchi alimentari per i bisognosi sono stati dati all’ala militare di Hamas per costruire postazioni, pagare bonus salariali, scavare i tunnel della morte che a voi e alla Striscia di Gaza hanno portato solo distruzione”.
   Poi c’è il capitolo delle ong occidentali. Nel video di propaganda si vedono numerosi bambini palestinesi a un festival nella Striscia di Gaza con indosso l’hijab e la mimetica, mentre simulano l’uccisione di israeliani con coltelli e mitragliatrici giocattolo. Il “Festival palestinese per l’infanzia” è stato trasmesso dal canale televisivo di Hamas. Agghiacciante, ma fin qui nulla di nuovo. Se non fosse che questo festival ha uno sponsor speciale: Interpal o Palestinian Relief and Development Fund, la ong inglese finanziata dall’allora leader del Labour Jeremy Corbyn e da altri parlamentari della sinistra britannica. Interpal ha dato 6.800 sterline a questo festival di Hamas. Corbyn e consorte hanno perfino fatto un tour a Gaza. Il fianco umanitarista. Si scrive carità, si legge jihad. Un capolavoro di taqiya.

Il Foglio, 17 ottobre 2023)

........................................................


Guerra in Israele, tutti i motivi del ritardo dell'operazione di terra nella Striscia di Gaza

L'inizio dell'operazione era prevista per venerdì scorso. Ma così non è avvenuto. Quali sono i fattori che stanno frenando Israele?

di Valerio Chiapparino

È il tempo dell’attesa senza fine nella Striscia di Gaza. L’operazione di terra delle forze israeliane, data per imminente sin dai giorni successivi alla strage compiuta da Hamas il 7 ottobre, sarebbe dovuta scattare venerdì scorso. Anche le finestre temporali concesse da Tsahal alla popolazione palestinese per abbandonare la parte settentrionale della Striscia lasciavano supporre che mancasse davvero poco all'ora X. Quali sono quindi i motivi che si nascondono dietro al ritardo nell’esecuzione del piano militare di Tel Aviv, volto a sradicare la presenza dei militanti islamisti autori del peggior attacco contro gli ebrei dai tempi dell’Olocausto?
   Tralasciando motivi che potrebbero essere inquadrati all’interno della cosiddetta “psicologia della guerra”, adoperata per fiaccare il nemico e colpirlo in una condizione di debolezza, secondo il Jerusalem Post sono diversi i fattori che spiegherebbero quanto sta accadendo sul campo. A frenare il premier Benjamin Netanyahu pare sia il timore che Hezbollah stia attendendo il momento in cui i primi militari israeliani supereranno la linea di confine con la Striscia per scatenare la loro potenza di fuoco e aprire un secondo fronte al Nord.La reazione del movimento sciita sostenuto dall’Iran e con base in Libano sino ad ora è apparsa contenuta anche se il numero degli attacchi contro Israele è in progressivo aumento. Per gli analisti del quotidiano israeliano la strategia di Hezbollah mirerebbe a indurre un falso senso di sicurezza nelle forze di Tsahal. Una strategia adoperata con successo da Hamas nei due anni che hanno preceduto l'attacco a sorpresa che, sfuggito ai radar dell’intelligence più sofisticata del Medio Oriente, ha causato la morte di oltre 1300 persone. Tel Aviv non vuole dunque farsi cogliere impreparata e avrebbe sfruttato gli ultimi giorni per rafforzare le difese in vista di un eventuale scontro in contemporanea e a tenaglia con i due movimenti filoiraniani.
   L’Israel Defense Forces (IDF) non può permettersi, tra l'altro, di sovrastimare le proprie capacità di eseguire un’operazione che si annuncia complessa e imprevedibile e che si svilupperà non solo via terra ma anche via cielo e mare. Inoltre sarebbero stati segnalati problemi nella fornitura dell’equipaggiamento militare dovuti all'inaspettata mobilitazione di circa 300mila riservisti e sarebbe in corso un dibattito, ancora irrisolto, tra i politici e le forze armate dello Stato ebraico sul piano da attuare dopo la “neutralizzazione” di Hamas.
   Il bilancio delle vittime tra la popolazione palestinese e i militari israeliani potrebbe farsi insostenibile una volta cominciata l’incursione di terra. I bombardamenti aerei dell’Idf avrebbero già fatto più di 2.800 morti nella Striscia di Gaza e a Tel Aviv ci si attende una crescente pressione da parte della comunità internazionale per fermare un’escalation che potrebbe coinvolgere l'intero Medio Oriente. Segnali in questo senso si sono visti in parte nella “diplomazia dello shuttle” di cui è stato protagonista il segretario di Stato americano Antony Blinken, che ha incontrato i principali leaders della regione e, soprattutto, nell’annuncio arrivato poche ore fa della visita in Israele, prevista per domani, di Joe Biden.
   Il presidente Usa porterà un messaggio di sostegno e vicinanza allo Stato ebraico ma non è passata inosservata l’intervista alla Cbs trasmessa domenica sera in cui Biden ha dichiarato che "Israele commetterebbe un grande errore a occupare Gaza". Fox News riporta come la Casa Bianca abbia chiesto a Netanyahu di ritardare l’operazione di terra, in modo da garantire l’evacuazione dei civili mentre secondo il New York Times la visita del presidente americano comporterà uno slittamento dei piani israeliani di almeno 24 ore. Nella Striscia di Gaza, insomma, il tempo dell'attesa sembra non essere ancora esaurito.

(il Giornale, 17 ottobre 2023)

........................................................


Tira una brutta aria

di Niram Ferretti

L’annunciata prossima visita in Israele di Joe Biden, dopo che inizialmente Washington aveva dichiarato che non era in agenda, è un segnale, che insieme ad altri, induce a pensare che quello che potrebbe essere l’esito del conflitto aperto da Hamas contro Israele con l’eccidio, sabato 7 ottobre di 1400 cittadini israeliani, vada nella direzione di una possibile sconfitta dello Stato ebraico.
   Hamas, e va detto senza indugi, ha conseguito un successo militare rilevante. Ai propri occhi, e agli occhi dei nemici giurati di Israele, in primis l’Iran, l’eccidio perpetrato in Israele nel corso di poche ore ha consegnato al mondo l’immagine di uno Stato impreparato e debole, incrinando quell’immagine di potenza e capacità di deterrenza che sono da sempre suoi costitutivi.
   A seguito di quanto è accaduto, Israele ha iniziato a rispondere come d’abitudine e con una forza maggiore del solito, bombardando le postazioni militari di Hamas a Gaza, prassi in corso dal 2008. La novità è l’annuncio di una invasione di terra finalizzata a eliminare definitivamente Hamas dalla Striscia, corredata da dichiarazioni perentorie e bellicose.
   Tuttavia il tempo passa, e nonostante l’annuncio e il richiamo di 300,000 riservisti, e l’assedio di Gaza, per il momento, ad eccezione di un raid all’interno della Striscia, avvenuto pochi giorni fa, l’annunciata operazione militare di terra non ha ancora avuto luogo.
   La più ovvia delle considerazioni sotto il profilo militare è che essa vada preparata con estrema cura, soprattutto in vista di un terreno estremamente insidioso e sul quale, inevitabilmente, il nemico gode dell’ovvio vantaggio di conoscerlo alla perfezione. Ad essa si affianca la necessità di consentire al più alto numero possibile di civili di spostarsi da nord a sud. Inizialmente Israele aveva dato un preavviso di 24 ore, poi prolungato e che, ancora adesso, si sta ulteriormente prolungando.
   Nel mentre, intorno al conflitto in corso si sta agitando la diplomazia, con all’avanguardia quella americana, e proprio in merito ad essa inizia a prendere corpo uno scenario che, se si configurasse con chiarezza metterebbe Israele nella condizione di non vincere la guerra ma di uscirne da perdente, indebolendo ancora ulteriormente la propria immagine in Medio Oriente, con conseguenze devastanti.
   Ufficialmente l’amministrazione Biden appoggia Israele nella sua volontà di distruggere Hamas, ma già ieri, Biden ha espresso la sua contrarietà a che Israele possa occupare ancora Gaza. Di fatto, apparentemente semaforo verde per l’invasione, rosso per l’occupazione. La contraddizione mette in luce, in filigrana la realtà. Gli Stati Uniti, nonostante la solidarietà espressa per le vittime di Hamas, sono contrari all’invasione terrestre e preferirebbero un’altra soluzione, quale? Presto detto, che Israele possa giungere a un negoziato con Hamas, e che tipo di negoziato potrebbe essere con i carnefici che hanno perpetrato il maggior numero di morti di ebrei dalla fine della Shoah? Semplice, ottenere il rilascio degli ostaggi detenuti a Gaza ricevendo in cambio non il corrispettivo rilascio di migliaia di terroristi palestinesi, ma di non invadere la Striscia.
   In questo modo, Israele, sempre altamente sensibile al valore della vita dei suoi concittadini otterrebbe il ritorno a casa dei rapiti, e Hamas, depotenziato al momento, continuerebbe a dominare la Striscia indisturbato.
   Ieri, per la prima volta, Hamas ha mandato in onda sul suo canale il video di uno degli ostaggi, una giovane donna israeliana che viene mostrata mentre è assistita e che ha dichiarato di avere ricevuto cure mediche. Dopo l’assassinio sadico, la cura per gli ostaggi…
   Sarà questo l’esito?
   Una cosa è certa, la leadership di Israele è debole. Il gabinetto di guerra non ha, al suo interno, né Golda Meir, né Menachem Begin, né Ariel Sharon, ma un primo ministro che, relativamente a Hamas, da quindici anni a questa parte, ha impostato una linea di azione basata interamente sul suo contenimento, linea interamente condivisa dall’apparato militare e da quello della sicurezza, di cui ha fatto parte per anni Benny Gantz. A che cosa abbia portato, Israele lo ha sperimentato sulla propria pelle.
   Mai, come in questi ultimi anni, Israele sta subendo le ingerenze americane, sostanzialmente mettendosi in una posizione di supino vassallaggio.
   Un’altra cosa è certa. Se l’esito di questo conflitto sarà quello prospettato, ci si preparerà in fretta a un’altra guerra, molto più impegnativa e devastante, quella con Hezbollah. In Medio Oriete, diversamente che in Europa e negli Stati Uniti, ogni prova di debolezza è un inebriante viatico per convincersi che è giunto il momento di usare la forza in tutta la sua massima potenza.

(L'Informale, 17 ottobre 2023)
____________________

Purtroppo, all'arrogante eccesso di sicurezza di Israele che ha portato alla rovinosa sconfitta dei giorni scorsi, è seguita un'altra forma di arroganza con terrificanti annunci di annientamento totale di Hamas. Era così difficile capire che un reboante annuncio di totale vittoria si trasforma in totale sconfitta se viene ottenuta soltanto in parte? Non si doveva immaginare che un piano preparato in due anni doveva necessariamente mettere in conto anche quello sarebbe successo immediatamente dopo, cioè il tentativo israeliano di invadere Gaza? Sì, adesso Israele è in una posizione davvero brutta. Si è affidato toto corde al campo occidentale guidato dagli USA, che fa i suoi interessi sostenendo l'Ucraina e contrattando con l'Iran. Gli USA sono per Israele come l'Egitto di una volta: "un sostegno di canna rotta che penetra nella mano di colui che vi si appoggia e gliela fora" (Isaia 36:6).M.C.

........................................................


Spade di ferro - Giorno 10

Un piano dettagliatamente preparato
  Ancora dopo una settimana emergono prove del carattere premeditato della strage compiuta dai terroristi di Hamas e di altri gruppi terroristi all’alba di sabato 7 ottobre. Si sono ritrovate cartine dettagliate, istruzioni su come le diverse squadre dovessero muoversi, perfino una specie di dizionario di una decina di frasi in ebraico da usare contro le vittime come “vi uccidiamo tutti” o “siete nostri prigionieri”; sono usciti numerosi filmati delle esecuzioni pubblicati dagli stessi terroristi, si sono raccolte testimonianze di aggressori che parlavano in farsi (la lingua dell’Iran); vi sono interrogatori e interviste in cui gli aguzzini rivelano che il piano dell’eccidio era stato preparato e minuziosamente provato per due anni. Insomma non si tratta affatto di un atto terrorista improvvisato, ma di un progetto preciso e lungamente studiato. Il che fa pensare che anche le mosse successive siano state previste dalle centrali terroriste, ancor più che a Gaza a Teheran.

La situazione sul terreno
  L’esercito israeliano è ben consapevole di questo problema e prepara attentamente l’ingresso terrestre a Gaza, attendendo che l’azione dell’aviazione elimini almeno parte delle trappole predisposte dai terroristi. Per questa ragione anche ieri è stata una giornata di attesa per i soldati schierati intorno a Gaza e per tutti gli israeliani. Non ci sono stati, fino al momento in cui questo articolo è stato scritto, scontri terrestri di grandi dimensioni. La cronaca registra numerosi nuovi lanci di missili da Gaza su varie zone di Israele, eliminazione di terroristi infiltrati, pesanti bombardamenti dell’aviazione su tutti gli obiettivi militari dovunque era possibile farlo senza colpire la popolazione civile, che Hamas obbliga a fare gli scudi umani, anche chiudendo fisicamente le strade di fuga garantite da Israele e sequestrando chiavi delle automobili e documenti. Proprio per permettere ai civili di allontanarsi senza troppi disagi, le autorità militari israeliane hanno deciso di riaprire le condutture che portano rifornimento idrico a Gaza, anche se in realtà la Striscia al 90% usa acqua che proviene da pozzi locali. I responsabili confermano che l’azione di terra è imminente, ma nessuno può dire ancora quando il Gabinetto di Guerra le darà il via.

Cresce la tensione al nord
  Nel frattempo Hezbollah ha continuato con provocazioni limitate ma sanguinose: piccoli tentativi di sconfinamento, lanci di missili e di droni, bombardamenti che hanno provocato anche alcune vittime. L’esercito israeliano ha reagito puntualmente distruggendo istallazioni terroriste e anche dell’esercito libanese, che è controllato in sostanza da Hezbollah e neutralizzando alcuni terroristi. Progressivamente la tensione cresce, anche perché appare probabile che lo scopo di Hezbollah sia di mettere alla prova, saturare e danneggiare i sistemi di avvistamento israeliani, sulla linea di quel che è successo intorno a Gaza, per poi tentare un attacco massiccio. La differenza è che Hezbollah ha un numero di missili forse dieci volte più grande di quello di Hamas, parecchi dei quali hanno sistemi di guida avanzati; inoltre le milizie libanesi sono assai più forti e meglio addestrate di quelle di Gaza. Dunque un attacco terroristico dal Libano potrebbe essere ancora più grave dell’aggressione da Gaza. Anche se questa volta non prenderebbe di sorpresa Israele, avrebbe la massa bruta per saturare le difese antimissile e provocare notevoli danni. Vi sono peraltro notevoli riserve di uomini e mezzi pronti per contrastarla. Anche l’aviazione israeliana ha dichiarato di poter tenere i due fronti. Israele ha ammonito molte volte il governo libanese che nel caso di un’aggressione di Hezbollah il contrattacco devastante di Israele non potrebbe limitarsi alle singole postazioni terroriste, perché esse sono mimetizzate in mezzo alla popolazione civile e investirebbe tutto il Libano, che ne porterebbe comunque la responsabilità politica e giuridica. Ma Hezbollah è assai più forte delle forze armate del Libano e fa quel che vuole, o meglio quel che gli ordina l’Iran.

Internazionalizzazione del conflitto
  Il fatto più preoccupante, nelle scaramucce al confine col Libano, è il rischio di internazionalizzazione del conflitto. Non solo Hezbollah ha dichiarato che se Israele continua a combattere contro Hamas, il suo intervento è inevitabile. La stessa minaccia l’ha fatta l’Iran, che è il burattinaio di entrambi i movimenti terroristi. L’intervento dell’Iran che ha qualche forza militare in Siria, vicino al confine israeliano, ma le cui frontiere stanno a oltre 1000 chilometri dallo stato ebraico, avverrebbe probabilmente con l’uso di droni e missili, gli stessi che la Russia usa contro l’Ucraina. Israele dovrebbe rispondere colpendo il territorio metropolitano dell’Iran e nessuno può dire dove arriverebbe il conflitto, dato che l’Iran è appoggiato da Russia e Cina ed inoltre ha “quasi” un armamento atomico.

L’intervento americano
  Proprio per il timore di questa gravissima escalation, il presidente Biden ha fatto arrivare qualche giorno fa al largo delle coste israeliane un potente gruppo navale guidato da una portaerei. Ora è annunciato l’arrivo di un secondo gruppo con un’altra portaerei: una concentrazione di forze del tutto eccezionale che mostra la preoccupazione americana. Israele è in grado di difendersi da solo, ma le forze Usa dovrebbero fungere da deterrente nei confronti della possibile aggressione di una potenza imperialista molto abile tatticamente, ma altrettanto irresponsabile e fanatica, com’è l’Iran. Nel frattempo il ministro degli esteri dell’Iran ha fatto un giro di coordinamento incontrando i capi di Hamas (in Qatar) di Hezbollah, della Siria, del Qatar: insomma di tutti i nemici giurati di Israele. Anche Blinken, Segretario di Stato Usa, conduce un fitto giro di incontri nella regione, incontrando oltre a Israele, Egitto, Giordania, Arabia, Emirati. Insomma, l’allarme è grande. E anche questo rallenta l’operazione di terra su Gaza, che pure è necessaria e urgente. È probabile che Biden cerchi di costringere Israele a rinunciare.

(Shalom, 16 ottobre 2023)

........................................................


“L’antisemitismo esiste ancora e Hamas lo dimostra”

In occasione degli 80 anni dal rastrellamento del ghetto di Roma parla Tatiana Bucci. Fu deportata da Fiume verso Birkenau il 18 marzo 1944

di Paolo Rodari

“Il 16 ottobre del ’43 eravamo ancora a Fiume. Nostra madre era ebrea. Cercava di proteggerci da tutto quanto stava accadendo intorno a noi. In famiglia in tutto eravamo in tredici ebrei. Alla fine della guerra ci salvammo soltanto in quattro. Ricordo i bombardamenti, le fughe nei rifugi. Ma anche le gite al mare, nonostante la guerra tutt’intorno. Poi arrivò il 28 marzo del ’44. Ci deportarono in otto a Birkenau. Gli altri vennero successivamente deportati a Bergen Belsen. Vennero i nazisti, ma anche due fascisti. È doveroso ricordarlo, perché è storia. Eravamo alleati e ci deportarono. Dovremmo imparare da quanto accaduto, invece troppo spesso non accade. L’antisemitismo è vivo ancora oggi, purtroppo, e il conflitto in Israele con bambini innocenti che perdono la vita è qui ancora a dircelo”.
   Tatiana Bucci vive a Bruxelles. In questi giorni è a Roma per partecipare alla marcia silenziosa per ricordare la deportazione romana avvenuta ottant’anni fa, il 16 ottobre del 1943, dal ghetto. Tatiana fu deportata poco dopo, da Fiume, assieme ai suoi famigliari, fra cui la sorella Andra, il cugino Sergio e le rispettive madri. Fu internata nella “baracca dei gemelli” perché il dottor Joseph Mengele notò che assomigliava alla sorella e le credeva gemelle.

- Come sopravvisse?
  “Arrivati al campo ci separarono dalle nostre madri. La capa della nostra baracca, che chiamavamo “blokowa”, forse perché ci aveva preso in simpatia ci disse che quando i nazisti ci avrebbero chiesto se avessimo voluto raggiungere i nostri genitori non avremmo dovuto rispondere ma rimanere ferme. Nostro cugino Sergio, purtroppo, non ci ascoltò, fece un paso in avanti e per lui fu la fine. Noi ci salvammo. Riuscimmo poi a resistere fino alla liberazione”.

- Quanti anni aveva quando arrivò a Birkenau?
  “Appena sei. Non ricordo tutto. Nel tempo ho poi ricostruito anche grazie al fatto che ho ritrovato mia madre viva per l’intercessione della Croce Rossa”.

- Quando sta accadendo in Israele quali sentimenti le suscita?
  “La morte dei bambini innocenti mi riporta alla memoria quanto avvenne allora. E ogni volta fatico anche a parlarne. Mio cugino venne deportato in un campo di Neuengammead, ad Amburgo, dove svolgevano alcuni esperimenti sulle ghiandole linfatiche e contro la tubercolosi. Era insieme ad altri diciannove bambini. Una volta effettuati gli esperimenti i bambini venivano sedati con la morfina e fatti morire. Coloro che non morivano, venivano appesi ai ganci dei macellai e fatti morire così. Vennero uccisi il 20 aprile 1945 a guerra quasi finita. Erano innocenti come lo sono i bambini morti in queste ore in Israele e come lo sono i bambini palestinesi che muoiono senza avere colpe. La storia si ripete e sembra che la lezione non venga mai appresa”.

- L’antisemitismo è vivo ancora oggi?
  “Purtroppo sì. Per Hamas, Israele non ha diritto di esistere. È un atteggiamento antisemita e nazista. Per colpa di alcuni fondamentalisti la popolazione innocente muore. Per questo parlo ancora, per questo cercherò anche io di far sì che a Trieste il nostro binario, da dove partivano i convogli per Auschwitz-Birkenau, diventi monumento nazionale come il binario 21 a Milano. La memoria non deve morire.”

- Il 16 ottobre 1943 dice anche del silenzio di papa Pio XII. Avrebbe potuto fare di più per gli ebrei?
  “Credo proprio di sì. Anche se gli archivi devono ancora essere studiati a fondo, credo che non abbia fatto tutto quello che avrebbe dovuto fare”.

- Pensa che testimoniare possa aiutare?
  “È l’unica cosa che possiamo fare. Eravamo duecentomila bambini sotto i dieci anni ad essere stati deportati. Siamo tornati soltanto in una cinquantina. Lo dobbiamo a chi non ce l’ha fatta”.

(RSI.CH, 16 ottobre 2023)

........................................................


"Che stupidi e ingenui a sostenere quella che pensavamo fosse la causa palestinese"

Un giornalista arabo-israeliano fa mea culpa. “Tutto prova che non vogliono altro che la distruzione dello stato ebraico e degli ebrei” scrive Fred Maroun sul Times of Israel

"Siamo stati stupidi. Siamo stati stupidi e ingenui. Lo abbiamo fatto con cura e attenzione. Lo abbiamo fatto perché sentivamo che era la cosa moralmente corretta da fare. Abbiamo sostenuto la causa palestinese, o quella che pensavamo fosse la causa palestinese: la lotta per un proprio stato indipendente. Ma ogni ingenuità, ogni illusione si è dissipata dopo gli eventi degli ultimi due giorni”. Così Fred Maroun. “Non è solo il fatto che Hamas (per decenni sostenuto e nutrito da palestinesi e da attivisti filo-palestinesi) ha scatenato un orribile assassinio di massa di israeliani. Non è solo il fatto che questo gruppo terroristico è la fazione più popolare tra i palestinesi e che la maggior parte degli altri gruppi è altrettanto o quasi altrettanto criminale. E’ anche il fatto che gli orribili atti di Hamas sono, a detta di tutti, ampiamente sostenuti all’interno della comunità palestinese e della comunità filo-palestinese all’estero. Il presidente apparentemente moderato dell’Autorità palestinese, Abu Mazen, si è rifiutato di condannare la strage perpetrata da Hamas. Sulla Edgware Road di Londra, soprannominata la Arab Street della capitale, le auto sfilavano drappeggiate con la bandiera palestinese e i clacson squillavano come per la vittoria in una partita di calcio”. In Canada, un grande sindacato filo-palestinese, la Canadian Union of Public Employees, ha twittato: “Oggi i palestinesi, abbattendo le barriere coloniali, danno nuova vita al sogno di una geografia aperta e liberata”.
   Come ha scritto Avi Benlolo sul canadese National Post, “la campagna per giustificare l’assassinio di massa di civili innocenti ad opera di Hamas è già avviata”. I palestinesi hanno avuto 75 anni e numerose occasioni per scegliere di avere uno stato accanto a Israele, ma hanno ripetutamente scelto il peggiore terrorismo. Con l’ecatombe di centinaia di israeliani e il tifo per quel massacro, e per i macellai che l’hanno perpetrato, hanno messo bene in chiaro qual è la loro scelta finale. Alcuni diranno che è colpa dei terroristi e non dei palestinesi. Non sarò fra costoro. Non possono esistere strutture terroristiche così potenti, estese e durature se non sono sostenute dalla loro gente. Prima di tutto questo, sembrava esserci ancora un barlume di speranza per uno stato palestinese in pace con Israele, ma ora ammetto che quelli di noi che coltivavano quella speranza erano ingenui. Oggi quella speranza è morta. Vedo molti attivisti per la pace che avevano opinioni articolate sul conflitto, e ora dichiarano sui social network il loro risoluto sostegno a Israele. Che scelta ci rimane? La cosiddetta causa palestinese sarà ora ricoperta per sempre dal sangue degli israeliani che Hamas ha massacrato mentre palestinesi e attivisti filo-palestinesi acclamavano e gioivano. Così, anche i palestinesi che non vogliono essere terroristi non avranno mai uno stato su quella terra. Nel frattempo, chiunque presti un minimo di attenzione a questo conflitto deve schierarsi con Israele. E’ il dovere di ogni persona civile al mondo. E’ l’unica scelta ragionevole rimasta”.

Il Foglio, 16 ottobre 2023)

........................................................


Ecco perché, da sinistra, sto con Israele

di Sandro Bartolomeo*

Per anni la sinistra ha avuto un complesso di colpa verso la causa palestinese : insieme al mondo cattolico ( che conserva nel suo inconscio un pregiudizio anti-giudaico secolare) ha sempre ritenuto Israele un oppressore che ha rubato uno stato alla Palestina . Quale Stato? Israele nasce nella coscienza del mondo occidentale dopo la tragedia della shoa . In un territorio desertico, senza alcuna infrastruttura, hanno realizzato una delle nazioni (per dirla alla Meloni ) più moderne e avanzate del mondo.
   Tra i paesi arabi, mai nessuno ha riconosciuto Israele: il mancato riconoscimento ha accentuato le politiche aggressive di questo stato che, lungi dal volerle in alcun modo giustificare, vanno valutate se si vuole comprendere l’attuale situazione .
   Oggi Hamas attua la stessa politica di sterminio dei nazisti: non li chiama israeliani, li definisce ebrei (ovviamente in senso dispregiativo) come fa l’Iran, il regime che li arma e li finanzia e rappresenta il più schifoso tra i paesi medio-orientali, che ammazza giovani che chiedono libertà .
   L’Iran e altri paesi arabi proteggono i terroristi di Hamas il cui unico obiettivo (dichiarato ) è quello di distruggere Israele, perché attraverso Israele vogliono colpire il mondo e la cultura occidentale, distruggere quella prodotta dagli ebrei che hanno permesso al mondo occidentale di fare giganteschi passi in avanti.
   Sono questi i motivi per i quali io sto con Israele senza alcun tentennamento .
   E mi auguro, allo stesso modo, che in Israele vadano al potere persone più capaci e moralmente integre di Bibi, come mostrano le continue manifestazioni di milioni di persone ogni settimana, che mostrano che esiste un altro Israele democratico, civile, dialogante. Non è semplice trovare in altri Paesi arabi la stessa condizione: ecco perché la convivenza sarà difficile pur essendo l’unica soluzione possibile.
----
* Già sindaco di Formia

(Fatto a Latina, 15 ottobre 2023)

........................................................


Governo di coalizione sotto shock e trauma

Il governo israeliano è l'unico responsabile non solo del più grande fallimento nella storia dello Stato di Israele, ma anche di tutto ciò che deve ancora accadere.

di Aviel Schneider

Ministri e deputati durante la presentazione del nuovo governo di emergenza nella sala plenaria della Knesset, il 12 ottobre 2023.
GERUSALEMME - Quattro giorni e la coalizione al governo tace. Non solo, tutti gli uffici e le agenzie che avrebbero dovuto spiegare la realtà alla società israeliana davanti alle telecamere e fornire i servizi necessari come la logistica, l'esercito, la sicurezza, l'aiuto psicologico e molto altro ancora erano come scomparsi dalla faccia della terra durante i primi giorni di guerra. Era come se tutti avessero lasciato il Paese e fossero sotto shock.
Nei primi giorni nessuno si è rivolto direttamente al popolo di Israele per rassicurarlo. Nessuno è andato negli studi dei telegiornali per spiegare, esprimere solidarietà, assumersi la responsabilità, rispondere alle domande. Zero. Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stato così gentile da rilasciare un breve video in cui prometteva che avremmo vinto. Il giorno dopo è andato in onda per una breve dichiarazione e questo è quanto.
Nessuno ha parlato al pubblico, nessuno ha parlato ai feriti, nessuno ha incontrato i sopravvissuti e le famiglie. Intere famiglie sono state rapite e massacrate e i funzionari governativi non si sono fatti vedere. Erano paralizzati e scioccati. Poi si sono svegliati. E quando si sono svegliati, cosa hanno fatto? Si sono rivolti ai media.
Gli israeliani assistono a una dichiarazione di Benjamin Netanyahu sulla guerra in corso il 9 ottobre 2023.
Il primo a rivolgersi al mondo e ai media è stato l'ex ministro dell'Informazione israeliano Galit Distel-Atbaryan. Quella a cui è stato affidato un ministero ridondante, fatto su misura per lei, e che si è lamentata da quando è entrata in carica.
Mi dispiace, ma questo ministro si è reso ridicolo davanti alle telecamere. Sapeva esattamente chi era responsabile del fallimento strategico della sua coalizione di governo: Danny Kushmaro, il 55enne giornalista, conduttore di news e presentatore televisivo di N12. E perché? Kushmaro ha osato dire che c'erano problemi nell'aeronautica israeliana e che i piloti di caccia contrari alle riforme legali volevano rifiutare il servizio di riserva volontario. Kushmaro, ha detto, era responsabile del fiasco nel sud, non il suo governo, non Benjamin Netanyahu.
   E chi è stato il primo ministro a recarsi nel sud per parlare con i residenti, oltre al ministro della Difesa israeliano Yoav Galant, che ha incontrato le unità militari del sud? Il ministro della Sicurezza nazionale israeliano, Itamar Ben-Gvir. Ben-Gvir è arrivato a Sderot solo mercoledì a mezzogiorno. Quattro giorni dopo il raid nel sud e gli attacchi missilistici, un ministro si è recato nel sud. Nessuno dei ministri ha avuto il coraggio di andare nella zona di fuoco. E cosa ci fa il ministro Ben-Gvir a Sderot? Accusa i media di diffondere fake news.
Superfluo: Il ministro Galit Distel-Atbaryan, che si è dimesso.
E quando qualcuno ha fatto notare a Ben-Gvir che questo non aveva senso, ha iniziato a gridare invece di esprimere compassione e pietà o di rivolgersi ai residenti preoccupati e ai cittadini traumatizzati. Ripetutamente, ha gridato contro chiunque lo criticasse davanti alla telecamera. Eppure Sderot è la roccaforte degli elettori del Likud di destra.
I primi due ministri ad andare davanti alle telecamere tre giorni fa e a scusarsi pubblicamente per il fallimento nel sud sono stati Yoav Kisch e Zachi HaNegbi. "Siamo responsabili della situazione del Paese. Dico a tutti noi che abbiamo commesso un'assurdità", ha dichiarato il ministro dell'Istruzione israeliano Yoav Kisch in un'intervista a Ynet. Questo lo rende il primo ministro della sua coalizione di governo che si è assunto  pubblicamente la responsabilità dopo l'attacco a sorpresa. "Nessuno si sottrarrà alla responsabilità. È successo nel nostro governo e ce ne assumeremo la responsabilità. Le famiglie possono dire quello che vogliono, io prometto loro una cosa: Hamas non esisterà dopo la guerra". Anche il presidente del Comitato di sicurezza nazionale e ministro Tzachi HaNegbi ha ammesso di essersi sbagliato nella sua valutazione  dell'organizzazione terroristica di Gaza che aveva espresso solo sei giorni prima dell'assassinio. Tutti gli altri sono rimasti in silenzio.
Tzachi Hanegbi, capo del Servizio di sicurezza nazionale, parla ai media nella base di HaKirya a Tel Aviv il 14 ottobre 2023
Il governo israeliano è l'unico responsabile non solo del più grande fallimento nella storia dello Stato di Israele, ma anche di quello che verrà. La coalizione di governo più grande e di destra di Israele è caduta in uno stato di shock, chiaramente visibile nei media. I ministri semplicemente non c'erano. Le uniche persone responsabili erano i cittadini stessi, quelli che si sono presi cura di loro stessi nelle prime ore di lotta e nei primi giorni di guerra. Chi poi si è dato da fare è stato l'esercito israeliano. Solo alla fine è venuto il governo. Il popolo non è arrabbiato solo con il suo governo, ma con l'intero parlamento israeliano. Continuo a sentire da tutte le parti della società israeliana che dopo la guerra e la vittoria l'intera leadership del popolo, la Knesset con i suoi 120 deputati, deve essere sostituita.

(Israel Heute, 15 ottobre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


Betsalel Smotrich: "Dobbiamo ammetterlo a testa bassa: abbiamo fallito".

Il Ministro delle Finanze Betsalel Smotrich ha tenuto una conferenza stampa questa sera (domenica). Non ha cercato di sottrarsi alla responsabilità del governo per i gravi fatti accaduti in Israele la scorsa settimana.

"Cittadini di Israele, oggi mi trovo davanti a voi e mi assumo la responsabilità, la responsabilità di ciò che è accaduto e di ciò che accadrà. Sono tempi molto difficili, tempi difficili per tutti i cittadini di Israele. Il massacro che ci ha colpito sabato scorso, nel bel mezzo della festa di Simhat Torah, è stato il più grave che lo Stato di Israele abbia mai vissuto. Dall'inizio del sionismo e del rinnovamento ebraico in terra d'Israele non abbiamo mai raggiunto un livello così doloroso di insopportabile barbarie che il mondo non vedeva da molti anni, dai tempi della Shoah. Dobbiamo riconoscerlo con franchezza, dolore e a testa bassa: abbiamo fallito, la leadership dello Stato, i servizi di sicurezza, nel garantire la sicurezza dei nostri cittadini. Non abbiamo rispettato il più importante contratto non scritto tra uno Stato e i suoi cittadini. Un contratto che è scritto nel sangue e che oggi è macchiato di sangue".
   E ha aggiunto: "Abbiamo il cuore spezzato pensando alle famiglie degli ostaggi e dei dispersi, e ci impegniamo ad agire per il loro bene e per il loro ritorno a casa. Il popolo di Israele sta soffrendo e piangendo, ma non illudetevi: con l'aiuto di Dio, vinceremo".
   Dopo essersi congratulato con i soldati, con i riservisti e con tutti i valorosi cittadini che si sono comportati in modo eroico, ha ricordato l'unità che ha attraversato il popolo.
   "Verrà il momento di regolare i conti, sugli accordi di Oslo, sul disimpegno da Gaza e fino alla fuga da Gaza con tutte le decisioni tattiche e strategiche, compresi gli errori e i fallimenti degli ultimi giorni, quando tutto ci è saltato in faccia. Ora è il momento dell'unità e della vittoria. L'intero Stato di Israele è unito dietro Tsahal, dietro la difesa che porterà alla vittoria, con l'aiuto di Dio".
   Il Ministro delle Finanze ha detto che sta lavorando duramente con tutte le sue squadre per garantire la sicurezza economica della società israeliana in questi tempi di guerra.
   "Ho chiesto al Ministero delle Finanze di finanziare immediatamente e completamente l'evacuazione, l'alloggio e la sistemazione delle centinaia di famiglie sopravvissute ai crudeli massacri. Inoltre, ho ordinato la distribuzione di una prima indennità immediata a tutti i residenti evacuati dalle loro case, pari a 1.000 shekel a persona e fino a 5.000 shekel per famiglia. La scorsa settimana ho trasferito 30 milioni di shekel per le esigenze speciali delle autorità locali".
Il Ministro ha affermato che i budget per Tsahal sono illimitati e che una dotazione sarà utilizzata per ricostruire i kibbutzim devastati dagli attacchi di Hamas. "Ve lo dico chiaro e tondo", ha insistito Smotrich, "il confine di Gaza sarà ripristinato e fiorirà ancora più di prima, ogni comunità, ogni famiglia, ogni persona sarà curata".
   Ha promesso sostegno al mercato e all'economia per i negozianti, i dipendenti, i lavoratori autonomi e l'intero mercato israeliano. "Prometto che nessun cittadino sarà lasciato solo. La burocrazia sarà ridotta al minimo".
   Il Ministro ha voluto rassicurare la popolazione israeliana che l'economia del Paese è sufficientemente solida per affrontare la guerra.
   Per il Ministro, tutti i bilanci, compresi quelli distribuiti ai partiti della coalizione, devono essere mobilitati per un unico obiettivo: la vittoria al fronte e dietro le linee del fronte.
  
(LPH, 15 ottobre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


Spade di ferro - Giorno 8

di Ugo Volli

In attesa dell’operazione di terra
  Israele e tutto il popolo ebraico attendono con il fiato sospeso. Tutto è pronto. La campagna potrebbe iniziare stanotte. Ma per stare ai fatti, bisogna dire che alla fine del sabato, otto giorni dopo le stragi, non è ancora cominciata la grande operazione militare di terra necessaria per eliminare i terroristi (ricordiamocelo, non solo Hamas, ma anche gli altri che hanno partecipato all’eccidio: la “Jihad islamica” che è un’invenzione iraniana e le “Brigate di Al Aqsa”, che sono il braccio militare del partito Fatah, il cui presidente è il dittatore dell’Autorità Palestinese, Mohamed Abbas detto Abu Mazen). Molti si chiedono la ragione di questo indugio.

Le ragioni per attendere
  Senza poter naturalmente sapere quali sono i calcoli del Gabinetto di Guerra e dello Stato Maggiore, possiamo supporre che ci sono tre ragioni: una diplomatica, una militare, una umanitaria. Sul piano diplomatico vi sono intense pressioni su Israele perché “mostri moderazione”, “eviti l’escalation” e così via. Più passa il tempo e persiste l’atteggiamento bellicoso dei terroristi e dei loro alleati (Hezbollah e Iran innanzitutto) e continuano i lanci di missili sul territorio israeliano, più chiara dovrebbe risultare a tutte le persone responsabili la necessità di un’operazione di terra per distruggere le operazioni terroriste. Sul piano militare Israele sa che Hamas ha previsto lo scontro terrestre e ha predisposto trappole, agguati, trabocchetti, bombe per uccidere i soldati. I bombardamenti prolungati servono anche per disattivare nei limiti del possibile questi strumenti di morte, per disarticolare le comunicazioni del nemico, per eliminare centri di comando e quadri militari, per esaurire materiali e risorse a sua disposizione, per permettere alle forze speciali, che hanno già cominciato a farlo, di esplorare a fondo il territorio. Più in generale, di fare pressione sui terroristi e non riceverne, di scegliere tempi e modi dell’intervento e non farseli imporre.

La questione umanitaria
  La terza ragione è che Israele aspetta che i civili che vivono nella zona che sarà investita dai combattimenti si allontanino. Questo è necessario perché le truppe dei terroristi non si trovano in trincee, fortificazioni, linee di difesa separate dalle case di abitazione, dalla scuole, dalle moschee e dagli ospedali, ma sono annidati in esse e spesso operano da gallerie scavate sotto i luoghi dove si radunano le folle che cercano protezione. Qualche anno fa perfino l’UNRWA, l’agenzia dell’Onu che si occupa esclusivamente di aiutare i palestinesi e funge quasi da loro ministero, protestò vivacemente quando fu messa di fronte al fatto che le sue scuole venivano usate come depositi di munizioni e nidi di cecchini. Si sa che il centro di comando principale di Hamas ha sede in gallerie sotterranee poste sotto il più grande ospedale di Gaza. Combattere i terroristi richiede di abbattere queste trappole. Israele ha rinunciato all’effetto sorpresa pur di avvertire i civili della zona dove si propone di operare che devono andarsene per non essere colpiti. Hamas, naturalmente, cerca di trattenerli come loro scudi umani, il che è un crimine di guerra. Lo sfollamento è lento e timoroso, ma Israele pazienta perché al contrario dei terroristi cerca in tutti i modi di non colpire i civili.

L’assedio
  La decisione israeliana di bloccare i rifornimenti elettrici, di carburante e di beni di consumo fra cui il cibo non contraddice questa scelta di evitare nei limiti del possibili di colpire i civili. Gli assedi hanno sempre fatto parte delle guerre, sono codificati dal diritto internazionale. Il loro senso è che in guerra le risorse che entrano in una località assediata sono usate innanzitutto per alimentare i combattimenti. Nessuno ha mai chiesto alla Gran Bretagna o agli Usa di rifornire Italia e Germania durante la seconda guerra mondiale. In una situazione di guerra tecnologica, elettricità che permette i collegamenti, carburante che alimenta i mezzi di trasporto, i collegamenti internet, ma anche l’acqua e il cibo sono strumenti di guerra come le armi. Bloccarle è essenziale. Chi come in questo momento l’Egitto e la Giordania preme per far entrare rifornimenti a Gaza, lavora per la continuazione della guerra.

Le azioni militari
  Nella giornata del sabato i combattimenti sono continuati come nei giorni precedenti. I terroristi hanno sparato i loro razzi, fra cui alcuni che sono arrivati al Nord fino a Haifa, quasi tutti fermati da Iron Dome. L’aviazione israeliana ha continuato a martellare le istallazioni terroriste e a colpire i quadri di Hamas, fra cui Ali Qadi, il comandante degli invasori di Israele di sabato scorso e dunque il primo responsabile delle atrocità. Vi sono stati degli scambi di colpi isolati al confine del Libano con Hezbollah e alcuni terroristi sono stati eliminati mentre tentavano di compiere attentati in Giudea e Samaria. La novità più significativa, come già accennato, è che alcune squadre speciali di incursori dell’esercito israeliano sono già entrati nella Striscia, recuperando alcune salme di israeliani rapiti ed uccisi e i loro oggetti e distruggendo le difese avanzate che hanno individuato.

(Shalom, 15 ottobre 2023)

........................................................


Tutti i kibbutz e i moshav del sud sono stati assaliti

Cosa è successo nei 20 kibbutzim e moshavim nella zona di confine con Gaza? Un riassunto degli eventi.

Un'immagine della distruzione nel kibbutz Be'eri dopo il mortale attacco di Hamas
Gli insediamenti ebraici e i kibbutzim intorno a Gaza hanno passato anni ad avvertire di un possibile attacco e di una catastrofe, ma i governi non hanno mai risposto, soprattutto negli ultimi mesi. Le forze di emergenza di tutti i kibbutzim e moshavim hanno chiesto armi e attrezzature, ma non è successo nulla. Quando è stato necessario, come la mattina di Shabbat, le truppe di emergenza erano sole e hanno combattuto come leoni per proteggere le loro famiglie. Ondate di terroristi hanno preso d'assalto i kibbutzim e queste truppe li hanno fermati finché le munizioni non sono finite o i soldati non sono arrivati sei ore dopo. Questi uomini e padri delle forze di emergenza sono caduti come eroi e nella storia dello Stato di Israele avranno un capitolo in più. Sono stati lo scudo tra i terroristi e le loro famiglie.
   Israel Heute ha preparato una raccolta di quello che è accaduto in quella mattina di Shabbat, lo Shabbat nero, intorno alla Striscia di Gaza e di come i 20 kibbutzim e moshavim hanno combattuto per la loro esistenza. Bisogna sapere che questi villaggi si trovano a soli 2000 metri dalla barriera di confine con Gaza. In jogging questa distanza può essere percorsa in 12 minuti. Con jeep e moto in pochi minuti. La barriera di confine è stata violata e aperta e così nelle prime ore dello Shabbat sono entrati non centinaia ma migliaia di terroristi, ma non solo questo. Palestinesi giovani e anziani sono corsi dietro ai terroristi come su un'autostrada aperta e hanno partecipato al massacro degli ebrei. A nord di Gaza, nel Kibbutz Zikim, e a sud nel Kibbutz Kerem Shalom, abbiamo fatto l’elenco di quello che le famiglie israeliane hanno vissuto la mattina presto dello scorso Shabbat.

  • Kibbuz Zikim – I terroristi hanno preso d'assalto Zikim con gli RPG ma sono stati fermati dalle forze di emergenza in uno scambio di fuoco. Due feriti tra le forze di emergenza.
  • Moschaw Nativ HaAsara – Terroristi hanno assaltato il moshav con deltaplani. Le truppe di emergenza li hanno attaccati e tre di loro sono stati uccisi. Numerosi israeliani sono stati uccisi.
  • Kibbuz Yad Mordechai – I terroristi sono stati scoperti in tempo la mattina di Shabbat. C'è stato uno scambio di fuoco intorno al kibbutz. Un membro del kibbutz è stato ucciso, ma il kibbutz è stato preservato
  • Kibbuz Eres – I terroristi sono stati scoperti in tempo la mattina di Shabbat. C'è stato uno scambio di fuoco intorno al kibbutz. Un membro del kibbutz è stato ucciso, ma il kibbutz è stato preservato.
  • Kibbuz Nir Am – terroristi hanno raggiunto l'ingresso del kibbutz, ma la forza di emergenza guidata da Inbal Libermann ha aperto il fuoco, uccidendo e cacciando i terroristi.
  • Kibbuz Miflasim – 30 terroristi hanno tentato di assaltare il kibbutz da tutte e tre le entrate, ma le forze di emergenza sono riuscite a uccidere e a scacciare i terroristi.
  • Moschaw Jachini – I terroristi sono entrati nel moshav e hanno ucciso quattro israeliani. La forza di emergenza è stata allertata, ma non disponeva di armi complete. L'unità speciale della polizia di Yamam e i soldati di Sayeret Matkal hanno fatto il lavoro e ucciso tutti i terroristi. /li>
  • Kibbuz Kefar Azza – L'intera forza di emergenza del kibbutz è stata colpita e circa 100 membri del kibbutz sono stati massacrati. Un terribile massacro.
  • Kibbuz Nachal Oz – Il comandante della forza di emergenza è disperso o rapito. Gli altri combattenti sono sopravvissuti al raid. Si sono lamentati di non aver ottenuto dall'esercito il permesso di avere in casa armi automatiche come le mitragliatrici. /li>
  • Kibbuz Alumin – I terroristi hanno fatto irruzione nel kibbutz e hanno ucciso 20 lavoratori ospiti provenienti dalla Thailandia e dal Nepal. Le forze di emergenza hanno combattuto i terroristi fino all'arrivo dell'esercito dopo sei ore.
  • Kibbuz Beeri – I terroristi hanno fatto irruzione nel kibbutz la mattina presto. Le forze di emergenza hanno combattuto senza sosta. Cinque uomini su dieci sono stati uccisi. In seguito, nel kibbutz si è verificato un massacro di oltre un centinaio di persone. Abbiamo visto immagini e video che non vi mostreremo mai. Non erano persone e nemmeno animali. Mostri!
  • Kibbuz Kissufim –Circa 70 terroristi hanno fatto irruzione nel kibbutz da tutti i lati. Scambi di fuoco con le forze di emergenza, di cui almeno quattro sono stati uccisi. Al momento si sa che 15 membri del kibbutz sono stati uccisi e quattro sono stati portati nella Striscia di Gaza.
  • Kibbuz Reím – La forza di emergenza, che contava non più di sei uomini, ha combattuto per ore contro 100 terroristi fino all'arrivo dei soldati. Cinque membri sono stati uccisi e cinque sono stati rapiti nella Striscia di Gaza.
  • Kibbuz Nirim – I terroristi hanno preso d'assalto il kibbutz e hanno prima sparato a cinque israeliani nelle loro case, poi la forza di emergenza è intervenuta e ha fermato l'incursione. Cinque combattenti israeliani hanno perso la vita.
  • Kibbuz Ein HaSchloscha – 15 membri della forza di emergenza hanno tenuto a bada l'incursione dei terroristi nel kibbutz per sei ore, fino all'arrivo dei soldati a mezzogiorno. Il comandante della forza di emergenza è caduto.
  • Kibbuz Nir Oz – Tutti i membri della forza di emergenza sono dispersi. Oltre 35 membri del kibbutz sono stati uccisi.
  • Kibbuz Magen – I terroristi hanno preso d'assalto il kibbutz, hanno distrutto la recinzione, ma sono stati fermati dalle forze di emergenza, e ne hanno ucciso uno.
  • Kibbuz Sofa – 12 terroristi hanno preso d'assalto il kibbutz e le forze di emergenza hanno combattuto fino all'arrivo dei soldati intorno a mezzogiorno. Si contano tre morti nel kibbutz.
  • Kibbuz Nir Itzchak – I terroristi hanno preso d'assalto il kibbutz. Le forze di emergenza hanno difeso il kibbutz, ma due di loro sono stati uccisi. Quattro combattenti della forza di emergenza sono dispersi e diversi membri del kibbutz sono stati rapiti e portati nella Striscia di Gaza.
  • Kibbuz Kerem Schalom – Dieci membri della forza di emergenza hanno ucciso oltre 20 terroristi. Due membri della forza di emergenza sono stati uccisi.
(Israel Heute, 15 ottobre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


Voci e testimonianze da Tel Aviv e Gerusalemme nelle ore più buie

di Ilaria Ester Ramazzotti

A Jaffa, cuore antico della costa mediterranea dell’area di Tel Aviv, c’è un caffè ed enoteca normalmente molto affollato il giovedì sera, inizio del fine settimana israeliano. Si chiama Al Hambra Deli e si affaccia sul Jerusalem Boulevard, una delle arterie principali della città, proprio sul percorso della metropolitana leggera di Tel Aviv, recentemente inaugurata, e non lontano da uno stadio di calcio. Ma questa settimana le sue porte sono chiuse e un cartello affisso fuori recita così: “Amato quartiere, metà di noi è nell’esercito e l’altra metà sta proteggendo le sue case. Vi vogliamo bene e attendiamo di poter tornare. Lo staff”.
  La testimonianza è stata raccolta dalla Jewish Telegraphic Agency cinque giorni dopo l’attacco di Hamas che ha ucciso e ferito migliaia di persone nel sud del Paese. Da allora, nelle strade di Tel Aviv e Gerusalemme è calato un silenzio agghiacciante, interrotto solo dalle sirene che avvertono dell’arrivo di missili. Le scuole sono chiuse e i residenti si danno da fare per offrire aiuto in qualche modo, affrontando le conseguenze fisiche ed emotive del massacro e della guerra che Israele sta combattendo contro Hamas a Gaza.
  Nel frattempo, dall’inizio della settimana, gli scaffali dei supermercati si sono svuotati e le autorità hanno raccomandato agli israeliani di fare scorta di cibo per tre giorni. Shufersal, la più grande catena di negozi di alimentari, ha imposto limiti all’acquisto di pane, acqua in bottiglia, latte e uova. Soprattutto, continuano a emergere dettagli sulle atrocità commesse nel sud e 300.000 israeliani sono stati richiamati come riservisti nell’esercito. I razzi continuano a colpire le città israeliane e gli attacchi aerei israeliani colpiscono Gaza, mentre il Paese si prepara a quello che probabilmente sarà un conflitto prolungato.
  “Viviamo in uno stato di paura permanente – ha detto alla Jewish Telegraphic Agency Inès Forman, 29 anni, scrittrice franco-israeliana, descrivendo i giorni appena trascorsi a Tel Aviv -. Sento ansia e paura nel mio corpo ogni secondo in cui sono sveglia”. Forman si è impegnata a diffondere sui social media le notizie sul massacro del sabato precedente. Molti dei post di Instagram sul suo profilo riguardano l’arte o la letteratura, ma le immagini che ha condiviso nelle ultime 24 ore sono di tipo diverso: ha pubblicato i video ampiamente diffusi dei reporter che descrivono le scene viste nelle città al confine con Gaza, oltre a foto e video che condannano Hamas e i suoi sostenitori. “Stiamo lavorando per combattere le fake news... in pratica tutto il giorno”, spiega a proposito della sua nuova quotidianità, che prevede di svegliarsi alle cinque o alle sei del mattino e di lavorare fino a tarda notte. A parte lo scorso giovedì, quando ha partecipato al funerale della sorella minore di un’amica, Shira Eylon di 23 anni, che si credeva essere nelle mani dei rapitori fino al ritrovamento del suo corpo fra i morti del massacro del festival musicale vicino al Kibbutz Re’im. “Mia bella e pura fata, oggi hai ricevuto le ali. Ti amerò per sempre”, aveva scritto per lei la sorella maggiore su Instagram, annunciando la sua dipartita.
  “Non c’è nessuno che non abbia una persona cara che sia stata uccisa o qualcuno che conosce, un amico o una persona cara, che sia stato ferito o fatta prigioniero – ha sottolineato Melanie Landau, terapista australiana-israeliana di 50 anni che vive nel quartiere Baqa di Gerusalemme – Molte persone sono coinvolte in prima persona e sono in ansia per i loro cari”. Poi, ha aggiunto, ci sono anche momenti più “edificanti: la resilienza e la forza dello spirito umano sono state messe in luce durante questa settimana”. “Molte persone sono sovraesposte a molte immagini e credo che questo faccia parte della battaglia – ha evidenziato Landau -. Ma non dobbiamo perdere la fiducia nell’umanità e non dobbiamo farci trascinare da tutto questo”.
  A Tel Aviv, molti residenti hanno lasciato le loro case per recarsi all’estero o in un’area di Israele più lontana da Gaza, offrendo i loro appartamenti come alloggi per i rifugiati delle aree del nord e del sud del Paese che sono state evacuate. Diverse persone hanno descritto la città, normalmente affollata, come una “città fantasma”. Alcuni altri si sono invece trasferiti più all’interno della zona di Tel Aviv. Lotte Beilin, reporter trentenne britannico-israeliana, per esempio, alloggia nell’appartamento di un amico perché il suo palazzo è più vecchio e non ha un rifugio di sicurezza. “Le strade della città – riferisce sempre alla Jewish Telegraphic Agency, che ha raccolto tutte queste testimonianze – sono così silenziose che si sentirebbe cadere uno spillo”.
  In tutto il Paese sono inoltre in corso molte iniziative finalizzate a raccogliere i rifornimenti necessari alle centinaia di migliaia di soldati che sono arrivati alle loro basi privi di alcuni beni essenziali. Lee Mangoli, trentaduenne canadese-israeliana, insegnante di yoga a Tel Aviv, racconta: “Domenica scorsa ho iniziato a uscire dallo shock e ho capito che dovevo fare qualcosa per aiutare”. Così, con un’amica, ha iniziato a raccogliere cibo e altri prodotti di prima necessità, come shampoo e calze. Ben presto, il loro piccolo progetto “è esploso con l’arrivo di denaro dall’estero”. Sebbene non ci siano stati problemi nel raccogliere fondi, il suo gruppo ha incontrato difficoltà nel reperire le forniture. “Non riusciamo più a trovare la merce – evidenzia -. UPS e Fedex al momento non consegnano in Israele e alcuni articoli molto richiesti, come i coltelli multiuso Leatherman, sono quasi impossibili da reperire”.
  Per altri, come Becky Schneck, 36 anni, fisioterapista e madre di quattro figli piccoli, il peso della chiamata del marito come riservista nell’esercito, oltre alla chiusura delle scuole fino a nuovo avviso, è stato troppo schiacciante per permetterle di prendere in considerazione l’idea di offrirsi come volontaria. “Sono talmente impegnata da non poterci nemmeno pensare – svela -. Non ho la capacità emotiva per gestire tutto quello che sta succedendo a casa mia e anche quello che sta accadendo nel Paese”. I vicini della sua comunità di Tzur Hadassah, fuori Gerusalemme, si sono attivati per portare cibo alle famiglie come la sua.
  Non sempre è possibile portare avanti iniziative di volontariato, neppure per alcune organizzazioni. Masa Israel, un gruppo di riferimento per l’organizzazione di programmi di “anno sabbatico”, ha dichiarato poco dopo il massacro che nessuno dei suoi 5.700 borsisti è stato ferito, ma almeno uno dei suoi progetti è stato chiuso: si tratta del Yahel Social Change Fellowship, che impegna i suoi partecipanti in attività sociali e di volontariato in tutto Israele. “Con il cuore pesante, il consiglio e lo staff di Yahel hanno preso la difficile decisione di sospendere temporaneamente la Yahel Social Change Fellowship fino a quando la situazione non si sarà calmata”, ha dichiarato il direttore esecutivo Dana Talmi.
Altre e organizzazioni riescono invece ad andare avanti. All’Istituto di studi ebraici Pardes di Gerusalemme il personale “sta facendo del suo meglio per sostenere gli studenti per quanto umanamente possibile – ha detto il preside Meesh Hammer-Kossoy -. Nonostante la guerra, la Pardes è molto attiva. Ci riuniamo con determinazione per pregare regolarmente e cerchiamo di studiare nel miglior modo possibile”. Dei circa 80 studenti che studiano tutto l’anno, 18 hanno partecipato alle lezioni via Zoom dall’estero.

(Bet Magazine Mosaico, 15 ottobre 2023)

........................................................


Con Israele, il ricordo del rastrellamento del ghetto di Roma e l’appello di Herbert Pagani: “mi difendo, dunque sono”

di Lidano Grassucci

Il 16 ottobre del 1943, 80 anni fa, a Roma nazisti e fascisti presero 1259 persone, era un sabato il giorno che gli ebrei dedicano al Signore. Dalle 5 del mattino alle due del pomeriggio. La ricordiamo come rastrellamento di Roma, furono truppe tedesche ad agire con l’ausilio di italiani:  689 donne, 363 uomini e 207 tra bambini e bambine.
Dopo il rilascio di un certo numero di componenti di famiglie di sangue misto o stranieri, 1 023 rastrellati furono deportati direttamente al campo di sterminio di Auschwitz.
Soltanto 16 di loro sopravvissero (15 uomini e una donna, Settimia Spizzichino morta nel 2000, non tornò nessun bambino).
Questa accadeva qui, tra noi, questo facemmo noi occidentali. Quel tempo e quegli orchi che fecero questo uccisero la libertà di tutti. Perché la libertà del popolo di Israele misura la libertà del mondo.
Oggi Israele è sotto attacco, che è attacco alla libertà dell’occidente. Noi stiamo raccogliendo le firme a sostegno di Israele attaccato, siamo arrivati a 160 sottoscrittori, porteremo firme e la bandiera di Israele al sindaco di Latina. Un segno di vicinanza ai liberi e non ai satrapi (si può sottoscrivere nelle nostre pagine Fb, o scrivendo al giornale con nome e cognome e la scritta aderisco) .
Pubblico a corredo di questo articolo un testo di Herbert Pagani.
Herbert Pagani era un ebreo di Tripoli, era un cantautore di sinistra, ma era anche ebreo e sionista, morto nel 1988. Questa la sua arringa per la sua gente, bellissima e vera, uscì in francese Plaidoyer pour ma terre. La scrisse nel 1975 quando l’Onu con una sua risoluzione paragonò il sionismo al razzismo. Credo che vada letta con rigore, credo che sia il manifesto di noi ragazzi di sinistra, pochi, che abbiamo amato e amiamo Israele. Senza ipocrisie, ma parole per tutti.

    Di passaggio a Fiumicino sento due turisti dire, sfogliando un giornale:
    “Fra guerre e attentati non si parla che di ebrei, che scocciatori…”
    È vero, siamo dei rompiscatole, sono secoli che rompiamo le balle all’universo.
    Che volete. Fa parte della nostra natura.
    Ha cominciato Abramo col suo Dio unico, poi Mosè con le Tavole della Legge,
    poi Gesù con l’altra guancia sempre pronta per la seconda sberla,
    poi Freud, Marx, Einstein, tutti esseri imbarazzanti, rivoluzionari, nemici dell’ordine.
    Perché? Perché l’ordine, quale che fosse il secolo, non poteva soddisfarli,
    visto che era un ordine dal quale erano regolarmente esclusi;
    rimettere in discussione, cambiare il mondo per cambiare destino,
    questo è stato il destino dei miei antenati;
    per questo sono sempre stati odiati da tutti i paladini dell’ordine prestabilito.
    L’antisemita di destra rimprovera agli ebrei di aver fatto la rivoluzione bolscevica.
    È vero. C’erano molti ebrei nel 1917.
    L’antisemita di sinistra rimprovera agli ebrei di essere
    i proprietari di Manhattan, i gestori del capitalismo…
    È vero ci sono molti capitalisti ebrei.
    La ragione è semplice: la cultura, la religione, l’idea rivoluzionaria da una parte,
    i portafogli e le banche dall’altra sono stati gli unici valori mobili,
    le sole patrie possibili per quelli che non avevano una patria.
    Ora che una patria esiste, l’antisemitismo rinasce dalle sue ceneri,
    o meglio, scusate, dalle nostre, e si chiama antisionismo.
    Prima si applicava agli individui, adesso viene applicato a una nazione.
    Israele è un ghetto, Gerusalemme è Varsavia.
    Chi ci assedia non sono più i tedeschi ma gli arabi
    e se la loro mezzaluna si è talvolta mascherata da falce
    era per meglio fregare le sinistre del mondo intero.
    Io, ebreo di sinistra, me ne sbatto di una sinistra che vuole liberare
    gli uomini a spese di una minoranza, perché io faccio parte di questa minoranza.
    Se la sinistra ci tiene a contarmi fra i suoi non può eludere il mio problema.
    E il mio problema è che dopo le deportazioni in massa operate
    dai romani nel primo secolo dell’era volgare, noi siamo stati ovunque
    banditi, schiacciati, odiati, spogliati, inseguiti e convertiti a forza.
    Perché? …perché la nostra religione, cioè la nostra cultura, erano pericolose.
    Qualche esempio?
    Il giudaismo è stato il primo a creare il sabato, il giorno del Signore,
    giorno di riposo obbligatorio. Insomma il week-end.
    Immaginate la gioia dei faraoni, sempre in ritardo di una piramide.
    Il giudaismo proibisce la schiavitù.
    Immaginate la simpatia dei romani,
    i più grossi importatori di manodopera gratuita dell’antichità.
    Nella Bibbia è scritto: “La terra non appartiene all’uomo, ma a Dio”;
    da questa frase scaturisce una legge, quella della estinzione automatica
    dei diritti di proprietà ogni 49 anni.
    Vi immaginate la reazione dei papi del medioevo e degli imperatori del Rinascimento?
    Non bisognava che il popolo sapesse.
    Si cominciò quindi col proibire la lettura della Bibbia, che venne svalutata come Vecchio Testamento.
    Poi ci fu la maldicenza: muri di calunnie che divennero muri di pietra: i ghetti.
    Poi ci furono l’indice, l’inquisizione e più tardi le stelle gialle.
    Ma Auschwitz non è che un esempio industriale di genocidio.
    Di genocidi artigianali ce ne sono stati a migliaia.
    Mi ci vorrebbero dieci giorni solo per fare la lista
    di tutti i pogrom di Spagna, Russia, Polonia e Nord Africa.
    A forza di fuggire, di spostarsi, l’ebreo è andato dappertutto.
    Si estrapola il significato e eccoci giudicati gente di nessun posto.
    Noi siamo in mezzo ad altri popoli come gli orfani affidati al brefotrofio.
    Io non voglio più essere adottato, non voglio più che la mia vita
    dipenda dall’umore dei miei padroni di casa, non voglio più affittare una
    cittadinanza, ne ho abbastanza di bussare alle porte della storia
    e di aspettare che mi dicano: “Avanti!”.
    Stavolta entro e grido; mi sento a casa mia sulla terra e sulla terra ho la mia terra.
    Perché l’espressione terra promessa deve valere per tutti i popoli
    meno che per quello che l’ha inventata?
    Che cos’è il sionismo?
    …si riduce a una sola frase: l’anno prossimo a Gerusalemme.
    No, non è lo slogan di qualche club di vacanza;
    è scritto nella Bibbia, il libro più venduto e peggio letto del mondo.
    E questa preghiera è divenuta un grido, un grido che ha più di duemila anni,
    e i padri di Cristoforo Colombo, di Kafka, di Proust, di Chagall, di Marx,
    di Einstein, di Modigliani, e di Woody Allen l’hanno ripetuta, questa frase,
    almeno una volta all’anno: il giorno della Pasqua.
    Allora il sionismo è razzismo?
    Ma non fatemi ridere.
    Il sionismo è il nome di una lotta di liberazione
    e come ogni movimento democratico ha le sue destre e le sue sinistre.
    Nel mondo ciascuno ha i suoi ebrei.
    I francesi hanno i còrsi, i lavoratori algerini; gli italiani hanno i terroni e i terremotati;
    gli americani hanno i negri, i portoricani; gli uomini hanno le donne;
    la Società ha i ladri, gli omosessuali, gli handicappati.
    Noi siamo gli ebrei di tutti.
    A quelli che mi chiedono: “e i palestinesi?”
    Rispondo “io sono un palestinese di duemila anni fa,
    sono l’oppresso più vecchio del mondo,
    sono pronto a discutere con loro ma non a cedergli la terra che ho lavorato.
    Tanto più che laggiù c’è posto per due popoli e due nazioni”
    Le frontiere le dobbiamo disegnare insieme.
    Tutta la sinistra sionista cerca da trent’anni degli interlocutori palestinesi,
    ma l’OLP, incoraggiata dal capitale arabo e dalle sinistre europee,
    si è chiusa in un irredentismo che sta costando la vita a tutto un popolo,
    un popolo che mi è fratello, ma che vuole forgiare la sua indipendenza sulle mie ceneri.
    C’è scritto sulla carta dell’OLP:
    “Verranno accettati nella Palestina riunificata solo gli ebrei venuti prima del 1917”
    A questo punto devo essere solidale con la mia gente.
    Quando gli arabi mi riconosceranno, mi batterò insieme a loro contro i nostri comuni oppressori.
    Ma per oggi la famosa frase di Cartesio “penso, dunque sono” non ha nessun valore.
    Noi ebrei sono cinquemila anni che pensiamo e ci negano ancora il diritto di esistere.
    Oggi, anche se mi fa orrore, sono costretto a dire “mi difendo, dunque sono”.

(Fatto a Latina, 15 ottobre 2023)

........................................................


«Ho quattro figli e tre sono al fronte. Noi nel kibbutz aiutiamo i soldati»

Angelica: «Eravamo 450 siamo rimasti in 200. Mio marito si occupa della sicurezza. Fabbrichiamo giubbotti antiproiettile»

Il kibbutz Sasa sta a un chilometro soltanto dall’”altro” fronte: quello con il Libano. È conosciuto in tutta Israele per due “specialità”: la produzione di mele e la straordinaria attività di promozione del dialogo interculturale tra ebrei, musulmani, cristiani e drusi. Ora ne ha una terza: sopravvivere alla minaccia di Hezbollah. Da sabato 7 ottobre, quando è iniziato il feroce attacco di Hamas nelle aree sul confine con Gaza, anche le comunità del nord sono state messe in allerta. Le forze di difesa israeliane si stanno attrezzando per affrontare un eventuale attacco dal Libano. Alcuni miliziani di Hezbollah si sono già infiltrati, cercando di attaccare il kibbutz Adamit, nei pressi di Rosh Hanikra: 4 guerriglieri su 5 sono stati fermati dall’esercito.
  «Quel Kibbutz si trova a pochi chilometri dal nostro. Tutti sono stati bombardati a raffica lunedì – ci racconta Angelica Edna Calò, membro del Kibbutz Sasa dal 1975, docente al Teh Hai College di Kiriat Shmone e fondatrice del Teatro Arcobaleno, che promuovere il dialogo –. A ogni sospetto andiamo nella stanza antimissili. E siamo fortunati ad averne una, perché la nostra è una casa relativamente nuova, le altre non ce l’hanno». Sono i “veterani” come Angelica e suo marito a tenere le redini del kibbutz, perché le famiglie con bambini sono state evacuate: chi al kibbutz Sdot Yam, a metà strada tra Tel Aviv e Haifa, chi da amici e parenti che vivono nel centro del Paese. « Normalmente in questo kibbutz vivono 450 persone, ma al momento siamo rimasti solo 200, di cui una ventina, coordinati da mio marito che è il responsabile della sicurezza, si occupano della difesa interna. All’esterno, e in tutta la zona limitrofa, ci sono una cinquantina di soldati. Ci aiutiamo a vicenda. Noi gli portiamo da mangiare, vestiti pesanti e coperte per la notte. In questa situazione di emergenza l’esercito da solo non ce la fa. Loro proteggono le nostre vite e noi facciamo di tutto il possibile per loro». Gli altri grandi assenti nel kibbutz sono i ragazzi tra i 20 e i 40 anni, che sono stati richiamati come riservisti. Dei quattro figli di Angelica, tre ora si trovano al confine con Gaza, e non sanno ancora se e quando entreranno. Il quarto si sarebbe arruolato, ma non può perché ha superato i quaranta anni (limite di età per partecipare alla riserva). Tutti gli israeliani, compatti, stanno partecipando allo sforzo per difendere il Paese.
  Un’adesione senza precedenti, che comporta anche qualche difficoltà. « Nell’unità di nostro figlio Kfir mancano, per ora, i giubbotti antiproiettili», dice Angelica. Suo marito, come molti altri padri di famiglia, sta cercando una soluzione alternativa: hanno trovato una fabbrica che, vista l’emergenza, è disposta a produrli a un costo accessibile. È già cominciata la raccolta fondi, una delle tante attività di supporto all’esercito da parte del popolo israeliano. « Negli ultimi mesi il governo era troppo preso a occuparsi di sé stesso o dei coloni, è si è dimenticato di tutti coloro che vivono nei kibbutz, al nord e al sud, nei punti, da sempre, più sensibili del Paese. Ancora non ss ha una lista definitiva né dei morti, né degli ostaggi, né dei dispersi. Per riprendersi da questo doppio trauma, quello dell’attacco esterno e quello della frattura interna a Israele, ci vorranno anni».

(Avvenire, 11 ottobre 2023)


*


Non c’è dialogo con chi vuole cancellarci

Angelica Edna Calò Livne spiega il sentimento che prova un intero popolo in guerra

Alle prime luci dell’alba ho sentito gli sguardi, ho capito che il cingolato era esploso, dovevo cercare mio fratello vivo o morto. Intorno c’era fumo e infuriava la battaglia, non sapevo cosa fare. Tornai dal Golan verso il mio Kibbuz- Nir Oz, arrivai distrutto, impolverato, ferito nell’anima, Adina, mia moglie mi abbracciò e capii subito… Sasson non c’era più. Come lo avremmo raccontato a mia madre?”
10 giorni fa, la sera di Kippur, dopo 50 anni, Said, ebreo di origine irakena, racconta la tragedia di suo fratello, ucciso nella guerra del 1973.
Qualche giorno dopo, a Simchat Torà 2023, alle sei del mattino, una banda di terroristi Hamas mascherati e armati fino ai denti, entrano in casa sua, al Kibbuz Nir Oz, lo massacrano di proiettili e portano via Adina a Gaza, su una motocicletta, e trascinano via centinaia di altri chaverim, bambini, neonati strappati alle culle del kibbuz in pieno sonno.
Yariv, membro del mio kibbuz Sasa, figlio di Sasson e nipote di Said, è un ragazzo introverso, aveva 2 anni e mezzo quando suo padre morì sulle alture del Golan.
“Ti prego, racconta questa storia, mostra la foto di zia Adina, forse la ritroveranno, soffre di cuore, deve prendere le sue medicine!” In questi giorni funesti sentiamo decine e centinaia di storie strazianti, vediamo immagini
raccapriccianti immortalate nelle reti arabe: bambini e ragazzine torturate e mostrate come veri e propri trofei, davanti a una massa di barbari che ride sguaiata. Una cara amica di Madrid mi ha scritto : “Ciò che sta accadendo è una sconfitta per il mondo intero. Come esseri umani stiamo facendo tanti passi indietro…”
Ecco, questo è ciò che sento: una massa terroristi barbari e indemoniati ci hanno catapultato migliaia di anni addietro quando si immolavano gli esseri umani in nome di un dio pagano.
Eh ma questo è quello che succede a chi cresce in un campo profughi”, mi dicono. E chi li ha chiusi nei campi profughi? E chi ha deciso di usare i miliardi di euro e dollari di fondi ricevuti per addestrare alla guerra invece di trasformare Gaza in una delle più fiorenti cittadine del Mediterraneo con tanto di spiaggia, hotel principeschi e perfino un Casinò? Mentre noi godevamo di una sospirata calma e ci cimentavamo in nuovi studi e nuove ricerche loro si allenavano a torturare, a saccheggiare, a decapitare e a violentare sotto la guida del grande mentore: l’Iran.
Si, siamo traumatizzati, massacrati, attoniti, colmi di rabbia ma nel corso della storia abbiamo sviluppato un nuovo gene, quello della resilienza. Stiamo già arrampicandoci faticosamente su per la salita ma insieme ci risolleveremo dalle macerie e dai cuori dilaniati. E il colpo inferito a chi ci ha colpiti sarà duro. Siamo buoni, abbiamo dei valori ma per noi il valore piu’ alto è la vita.
Non c’è dialogo con chi vuole cancellarci dalla faccia della terra.

(Riflessi Menorah, 14 ottobre 2023)

........................................................


Gesù ti pensa e si occupa di te!

di Ernst Kraft*

Cari amici, è meraviglioso sapere che il Signore Gesù non pensa in modo piatto e generale alla Sua chiesa, ma conosce personalmente ogni individuo che ne fa parte.

    «Chiama per nome le sue pecore e le conduce fuori» (Giovanni 10:3).

Non cura soltanto il gregge, ma ha un livello di attenzione su ognuno.

    «Come un pastore, egli pascerà il suo gregge: raccoglierà gli agnelli in braccio, li porterà sul petto, condurrà le pecore che allattano» (Isaia 40:l1).

Un bambino non può sopportare tanto quanto un adulto. Ecco perché Gesù non ci mette tutti insieme facendo di tutt'erba un fascio. No, tutti sono trattati da Lui in modo personale. Conosceva, ad esempio, il peso interiore di Pietro e la sua sofferenza dopo il fallimento dovuto al suo rinnegamento. Gesù comprese Pietro, pensò a lui con compassione e rinnovò il suo coraggio (Giovanni 21:15-19).
   Il Salmo 115:12 dice:

    «L'Eterno si è ricordato di noi; egli benedirà, sì, benedirà la casa d'Israele, benedirà la casa d'Aaronne».

Il Signore, nell'amore e nella misericordia, provvede e pensa ai Suoi redenti. Ha pensieri di pace e non di sofferenza per noi.

    «Poiché io so i pensieri che medito per voi, dice l'Eterno: pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza» (Geremia 29:11).

Inoltre, non lo fa di tanto in tanto, cioè non si ricorda di noi nello stesso modo in cui noi ci ricordiamo di Lui. A Pietro, il Signore disse, quando Satana desiderava vagliare lui e gli altri discepoli come il grano:

    «Ma io ho pregato per te affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli» (Luca 22:32).

Gesù pensò a Pietro, pregò per lui. Se c'è qualcuno che può comprenderti, questo è Gesù Cristo. Lui si occupò anche del suo apostolo Tommaso, che aveva così tanti problemi con i suoi dubbi (Giovanni 20:24-27).
   Gesù pensa a te, specialmente quando sei nel bisogno e i tuoi problemi sembrano insormontabili. Facciamo una riflessione semplice: Non ci occupiamo in modo particolare dei nostri figli quando sono ammalati? Quindi, quando siamo nella necessità e ci sentiamo abbattuti Cristo si preoccupa di noi prendendosi cura dell'intero nostro essere.

    «Perché non abbiamo un Sommo Sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre infermità; ma ne abbiamo uno che in ogni cosa è stato tentato come noi, però senza peccare» (Ebrei 4: 15).

Anche se Lui si occupa di noi in modo così amorevole e premuroso, spesso lo dimentichiamo nella nostra vita di tutti i giorni. Viviamo le nostre vite e ci ricordiamo di Lui solo quando le cose vanno male. I proverbi dicono:

    «Riconoscilo in tutte le tue vie, ed egli appianerà i tuoi sentieri» (Proverbi 3:6).

Dio ci ama immensamente e ci rinnova in Cristo ogni giorno.

    «Colui che non ha risparmiato il suo proprio Figlio, ma l'ha dato per tutti noi, come non ci donerà egli anche tutte le cose con lui?» (Romani 8:32).

Gesù sta aspettando una risposta da noi. Quando guarì i dieci lebbrosi, solo uno tornò per ringraziarlo e il Signore chiese dove fossero gli altri nove (Luca 17:17). L’amore sincero e la bontà del nostro Signore dovrebbero condurci alla reazione di cui leggiamo nel Salmo 116:12-14:

    «Che potrò ricambiare al Signore per tutti i benefici che mi ha fatti? Io alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore. Scioglierò i miei voti al Signore e lo farò in presenza di tutto il suo popolo.»

La gentilezza di Gesù, la sua pazienza con me, il suo amore, tutto dovrebbe coinvolgermi completamente, mi rivolgo di nuovo a lui nonostante la mia indifferenza, rinuncio alla mia tiepidezza, la mia vita crescerà solo se cedo al mio Signore Gesù Cristo.

    «Oppure disprezzi le ricchezze della sua bontà, della sua pazienza e della sua costanza, non riconoscendo che la bontà di Dio ti spinge al ravvedimento?» (Romani 2:4).

Se apriamo i nostri cuori al Signore Gesù, allora, in comunione con Lui, conosceremo certamente il Suo amore, che supera ogni conoscenza. Possiamo vivere gioiosamente e felicemente la conoscenza: Gesù si occupa di me. Lui mi ama e anch'io voglio amare Lui. Il Signore promette:

    «Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta le mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me» (Apocalisse 3:20).

Amiamolo, poiché Egli ci ha amati per primo (1 Giovanni 4:19). Maranatha, nostro Signore vieni!
---
* Missionario a San Paolo, in Brasile

(Chiamata di Mezzanotte, gen/feb 2019)


 

........................................................


Tajani in Israele: “Hamas è come l’Isis, come le SS”

di Elisabetta Fiorito

Un viaggio lampo quello di Antonio Tajani a sostegno di Israele. Il ministro degli esteri parla in conferenza stampa a Tel Aviv dopo aver visitato i luoghi dei massacri e annuncia l’imminente operazione di terra. "C'è una grande concentrazione di truppe israeliane ai confini con la Striscia di Gaza. Ne ho visti tantissimi, centinaia di carri armati, quindi uomini pronti a intervenire. Ma l'evacuazione è in corso". Tajani spera che si possa fermare l’uccisione di vittime civili, ma diffida di Hamas. "Le iniziative per salvare vite umane ce ne sono tante, bisogna vedere se Hamas risponde positivamente: mi pare che abbia già risposto negativamente alla proposta egiziana e questa è la dimostrazione che Hamas vuole la guerra e vuole farsi scudo con il popolo palestinese per le sue attività criminali”. Il ministro non usa mezzi termini: “Hamas è come l'ISIS, come le SS, come la Gestapo, fanno le stesse cose, sono terroristi, degli assassini e stanno utilizzando come scudo il popolo palestinese, cosa che non è giusta, bisogna evitare che ci siano altri morti innocenti".
  Riguardo al fronte nord, per il ministro degli esteri è “giusto che Hezbollah rimanga dentro i confini del Libano, perché un attacco dal sud del Libano verso Israele sarebbe una terribile iniziativa destinata a infiammare il Medio Oriente e questo non lo vogliamo". E Tajani accoglie nel suo aereo quattro cittadini italiani che non erano ancora riusciti a partire.
  L’omologo israeliano Eli Cohen ringrazia Tajani. "L'Italia è uno stretto e importante alleato dello Stato di Israele. La visita qui oggi ne è un'ulteriore prova". Ringrazio per essere venuto al sud per mostrare al popolo di Israele, all'Italia e al mondo che l'Italia è con il popolo di Israele e sostiene il nostro diritto, senza riserve, di difendere i nostri cittadini contro l'organizzazione terroristica assassina Hamas".

(Shalom, 13 ottobre 2023)

........................................................


Il video dei bambini israeliani con i miliziani di Hamas. Un messaggio doppio e cinico

Mostrando i piccoli rapiti nei kibbutz i terroristi alzano il livello dell’odio

ROMA - Ringrazia Allah e bevi, bevi pure. Il bambino avrà 5 o 6 anni, i capelli spettinati, lo sguardo incerto. Abbozza una risposta e beve dal bicchiere che il terrorista di Hamas gli allunga. La pronuncia del bambino non è araba. É uno dei piccoli israeliani rapiti nei kibbutz vicini a Gaza, pare quello di Kholit, e portati nella Striscia. Il frame è una parte del video che Hamas ha diffuso sui suoi canali Telegram per mostrare i miliziani che “coccolano” i bambini ebrei rapiti. Uno dei terroristi addirittura culla un neonato muovendo la carrozzina dove il piccolo dorme. Sono sotto una veranda, forse ancora nel kibbutz dove sono state compiute le stragi, difficile identificare con certezza il luogo. Altri tengono i bambini in braccio, i piccoli zitti, spaventati, il terrorista con il volto coperto.
   In questi anni la propaganda degli estremisti islamici ci ha mostrato ogni efferatezza. Gole tagliate, attacchi sui civili, attentati, kamikaze con gli occhi sgranati. Ma mai prima di ora si erano usati i bambini del nemico. Un messaggio doppio e cinico. Li abbiamo noi, però li trattiamo bene… O questo vogliono fare credere. In un altro video postato dalla Striscia si vede un bimbo ebreo, avrà 3 o 4 anni, che piange e ripete ossessivo “mamma”. È circondato da ragazzini palestinesi, più o meno la stessa età. Lo deridono, uno lo colpisce con una verga. Ognuno di loro è una vittima. Tutti loro sono vittime dell’odio cresciuto più grande di loro, della propaganda che non accetta vie di pace, della violenza di un mondo di adulti che ha perso ogni ragione e ogni sensibilità. Le vittime di questa guerra sono bambini. Quelli ebrei uccisi nei kibbutz durante l’attacco di Hamas, quelli rapiti, quelli palestinesi in fuga sui carretti, senza futuro, o massacrati dagli attacchi su Gaza da parte di Israele. Quelli usati come scudi umani. Le bombe non lasciano scampo a nessuno in una guerra si fa mattanza, che allarga una ferita insanabile tra questi popoli. Cosa ci resta da fare? Il pericolo è abituarci all’orrore. All’uso dei bambini come arma. Spegnere i video non è la soluzione. Occorre saperli leggere, smontare, non cedere al loro intento propagandistico.  
VIDEO

(Quotidiano Nazionale, 14 ottobre 2023)

........................................................


Forze di Difesa Israeliane (IDF) esortano i civili a lasciare Gaza City

Hamas: «È propaganda. State a casa»

Come riporta The Times of Israel, l’ordine è arrivato all’alba del settimo giorno della guerra tra Israele e Gaza, con l’esercito che ha lanciato la sua diffusa offensiva aerea e un assedio totale sulla Striscia, che secondo le organizzazioni umanitarie internazionali l’ha lasciata sull’orlo di un disastro umanitario. Secondo le Nazioni Unite, 340.000 abitanti di Gaza sono stati sfollati da quando Israele ha iniziato la sua campagna, spinta dai terroristi guidati da Hamas che hanno imperversato nelle comunità del sud in un massacro che ha causato la morte di oltre 1.300 israeliani, e che si stima che altri 150-200 siano stati rapiti e portati nella Striscia.
   Come si legge nei comunicati di agenzia, in una notte segnata dalla tensione, le forze militari israeliane hanno portato a termine un’ampia operazione militare, prendendo di mira un totale di 750 obiettivi riconducibili al gruppo terroristico Hamas. Questo massiccio attacco ha interessato una varietà di bersagli, tra cui tunnel sotterranei, strutture militari, residenze utilizzate come centri di comando, depositi di armi e strutture di comunicazione. L’obiettivo principale è stato mettere sotto pressione i vertici di Hamas, ritenuti responsabili delle recenti tensioni nella regione.
   Come reazione a questa escalation, molte famiglie residenti a Gaza City hanno deciso di abbandonare le proprie abitazioni in preda al timore. L’esercito israeliano, come sopra indicato, aveva precedentemente emesso un avviso riguardante l’imminente inizio di operazioni militari nella parte settentrionale della Striscia di Gaza, spingendo i civili a cercare rifugio più a sud. Alcuni di loro sono stati costretti a intraprendere una marcia a piedi, portando con sé pochi effetti personali. Questa situazione ha messo a dura prova il sistema di soccorso, con il personale medico e i pazienti che si trovano nella zona a rischio a causa della mancanza di ambulanze e strutture di ricovero adeguate.
   L’invito dell’IDF alla popolazione civile di Gaza City a evacuare per garantire la loro sicurezza – nella sua dichiarazione di venerdì ha chiesto «l’evacuazione di tutti i civili di Gaza City dalle loro case verso sud per la loro sicurezza e protezione, e di spostarsi nell’area a sud di Wadi Gaza, come mostrato sulla mappa» – è stato accolto da diverse reazioni. L’IDF ha sottolineato la necessità di allontanarsi da Hamas, accusandoli di nascondersi sotto le abitazioni civili e negli edifici residenziali, mettendo così a rischio la vita della popolazione. Gli abitanti di Gaza City sono stati avvertiti che potranno farvi ritorno solo dopo un annuncio specifico che autorizzi il rientro.
   Nel frattempo, l’agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi, UNRWA, ha spostato il centro delle proprie operazioni nella parte meridionale della Striscia di Gaza, in risposta all’avviso dell’esercito israeliano. L’UNRWA ha sottolineato l’importanza del rispetto delle leggi internazionali da parte di Israele e della protezione dei civili che si trovano nelle strutture UNRWA, tra cui scuole e rifugi, attualmente ospitanti oltre 200.000 persone.
   Nel frattempo, Hamas ha invitato la popolazione a non abbandonare le proprie case, respingendo l’avvertimento dell’esercito israeliano come “propaganda”. La situazione nella regione rimane estremamente tesa, con le tensioni che non accennano a diminuire, mentre il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha fatto un paragone tra Hamas e l’ISIS durante una conversazione con il Segretario di Stato degli Stati Uniti, Antony Blinken.

(Bet Magazine Mosaico, 13 ottobre 2023)

........................................................


Al venerdì di rabbia i palestinesi non hanno risposto a Hamas

Bombe e volantini, i raid dentro la Striscia di Gaza sono già cominciati. Le evacuazioni e l’ultimatum dell’invasione.

di Cecilia Sala

GERUSALEMME - A Gerusalemme c’è il silenzio, e questa quiete – per Hamas – è sinonimo di sconfitta. Il venerdì della preghiera non è stato il grande venerdì della rabbia. L’appello dei terroristi rivolto a tutti i palestinesi per incendiare la città e la Cisgiordania non ha attecchito e il messaggio è: i palestinesi non sono disposti a morire per Hamas, e Hamas non incarna la causa palestinese. Questa non è la nostra guerra. E’ un segnale vistoso che in realtà era già arrivato all’alba del massacro di sabato: i miliziani fondamentalisti avevano chiamato tutti a innescare scintille di ribellione e di morte ovunque, in nome di Dio. I palestinesi non lo avevano fatto, e lo stesso appello è stato respinto ieri. C’è stato un numero di scontri inferiore a quello di molti venerdì a Gerusalemme senza un conflitto in corso. 
   Ma ci si sono stati episodi di una tipologia di tragedie che ormai è diventata cronica: un colone israeliano armato ha sparato a bruciapelo a un civile palestinese nel villaggio di Masafer Yatta. La polizia e i soldati ne hanno uccisi altri che consideravano un potenziale pericolo. Alcuni estremisti israeliani sono andati in giro per i territori occupati mascherati e con le pistole in pugno. Su un ponte di Tel Aviv è comparso per poco tempo un cartello rosso con una scritta bianca in ebraico che recita: “Vittoria significa che Gaza avrà zero residenti”. Ma ieri sono arrivate anche le reazioni israeliane più strazianti alla strage di sabato, sono quelle dei famigliari dei pacifisti rapiti o giustiziati nei kibbutz, come il figlio dell’attivista Vivian Silver che dice: “I bambini morti non si possono curare con altri bambini morti”. Senza mettere in discussione che Hamas vada distrutto.
   Nel giorno dell’ultimatum a Gaza, la rivolta chiamata da Hamas non c’è stata e nel paese il gruppo sembra più solo di quanto non fosse prima di questa settimana di sangue. Non soltanto la Cisgiordania non risponde alla chiamata diretta dei terroristi, dal Libano Hezbollah è stato finora riluttante ad aprire davvero un altro fronte a nord e anche tanti abitanti di Gaza non rispettano l’ordine che Hamas ha impartito loro: non abbandonate le vostre case ad al Zahraa o a Gaza City, perché la minaccia di un’invasione è “soltanto propaganda israeliana”. Che significa: ci servite come scudi umani per proteggere con i vostri corpi i nostri tunnel e i nostri mucchietti di razzi. Hamas preferisce più morti palestinesi per poter poi uccidere più ebrei in futuro ai palestinesi vivi. 
   Ieri l’operatore di Reuters, Issam Abdullah, è morto sotto un colpo dell’artiglieria israeliana mentre lavorava nel sud del Libano. Prima dell’alba, la Difesa israeliana ha dato il suo ultimatum. Ha pubblicato un appello corredato di mappa e rivolto a tutti gli abitanti del nord della Striscia: lasciate le vostre case e scappate verso sud. Nella mappa è segnato il confine – che taglia in due la Striscia per il lato corto – di Wadi Gaza: sopra non si può restare e si deve fuggire subito sotto quella linea. Significa evacuare tutti i circa 750 mila residenti di Gaza City e gli altri 450 mila che vivono nell’area attorno alla città, entro ventiquattro ore. Il portavoce del ministero della Salute di Gaza ha parlato con l’inviata dell’Independent e le ha detto che è “impossibile” evacuare tutti i feriti a sud. “Non ci sono letti liberi in nessun ospedale in nessuno dei posti dove (gli israeliani) ci dicono di trasferirci. La maggior parte dei feriti non possono essere stabilizzati in tempi così rapidi: se li spostiamo muoiono durante il tragitto”. 
   Già ieri e il giorno prima ci sono stati alcuni piccoli raid dentro Gaza con le truppe e i carri armati per “ripulire l’area e localizzare gli ostaggi”. Il portavoce delle Forze armate, Daniel Hagari, ha spiegato che quei soldati hanno anche raccolto dei reperti “che potrebbero aiutare nello sforzo che stiamo facendo per trovare i cittadini dispersi” a Gaza. Le fonti militari israeliane secondo cui l’invasione “ora è davvero imminente” si moltiplicano. Ieri sera Roy Sharon dell’emittente Kann News ha previsto massicci attacchi aerei prima dell’incursione di terra a Gaza, dicendo che potrebbe cominciare questa mattina. Sarebbe simbolico entrare nella Striscia esattamente una settimana dopo l’invasione all’inverso di Hamas che ha spedito i suoi uomini nel sud di Israele per massacrare civili ebrei. Netanyahu ieri sera ha detto alla nazione: “La controffensiva è appena cominciata

Il Foglio, 14 ottobre 2023)

........................................................


Gerusalemme oggi. La città vecchia durante la guerra




........................................................


Una settimana impossibile

GERUSALEMME - Alcune riflessioni su questa settimana impossibile in cui la nostra realtà è completamente cambiata. Ma il nostro popolo è di nuovo unito. Peccato che prima ci sia sempre bisogno di una catastrofe.

di Dov Eilon

Buongiorno, cari amici!
È da un po' di tempo che sono seduto davanti al mio computer, chiedendomi come iniziare il mio testo. Oggi volevo condividere con voi qualcosa dei miei sentimenti personali riguardo alla situazione impossibile in cui ci troviamo dallo scorso Shabbat. È quasi incredibile la rapidità con cui tutti noi ci siamo in qualche modo abituati a questa nuova realtà. Con questo non intendo dire che l'accettiamo, non è possibile, ma abbiamo già imparato abbastanza rapidamente come affrontare questa situazione, per quanto crudele possa essere.
   Noi israeliani siamo noti per adattarci rapidamente a una nuova realtà. Perché la vita deve andare avanti. Sì, abbiamo un'enorme volontà di sopravvivenza. Siamo in grado di mettere da parte tutte le nostre differenze e controversie da un momento all'altro. Improvvisamente siamo di nuovo un unico popolo, unito. Ed è questo che ci rende così forti.

Un convoglio di carri armati israeliani al tramonto vicino al confine meridionale israeliano con Gaza, 12 ottobre 2023
Solo una settimana fa stavamo discutendo se agli ebrei dovesse essere permesso di sfilare con la Torah in piazza Dizengoff a Tel Aviv per la festa di Simchat Torah. Incredibile. Perché agli ebrei non dovrebbe essere permesso di praticare liberamente la loro fede nel loro Paese? Non è proprio questo il motivo per cui siamo tornati in questo Paese? Ero scioccato da questo odio verso gli ebrei osservanti da parte degli ebrei non religiosi.
E poi è arrivata la catastrofe. La mattina di Shabbat, alle 6.30. Da allora viviamo in un mondo diverso. Abbiamo subito un colpo terribile. Nella mia testa mi sorprendono i pensieri. È possibile che questa catastrofe sia una punizione? D'ora in poi ricorderemo questa tragedia a ogni festa di Simchat Torah, la festa della gioia per la Torah. Per sempre questa festa sarà associata a questa tragedia.
Cosa staranno pensando ora gli oppositori non religiosi dell'ebraismo, anche loro ebrei. È terribile che ci siamo riuniti solo a causa di questa catastrofe. Se d'ora in poi saremo davvero un popolo unito, lo scopriremo probabilmente solo dopo questa guerra, che ci è stata imposta dai terroristi di Hamas.
   Al momento non ho idea di cosa succederà dopo. Sono stati mobilitati quasi mezzo milione di soldati, tra cui molti amici di mio figlio.
   Ogni giorno, la prima cosa che faccio è accendere la TV per aggiornarmi sugli ultimi eventi. Il numero degli assassinati e dei morti aumenta quasi ogni giorno di un altro centinaio di persone, incredibile. Oggi il numero è di almeno 1300 morti! Finora è stato identificato solo un terzo delle vittime civili.
Ieri abbiamo ricevuto la triste notizia che il fratello di un'amica d'infanzia di mia figlia è stato ucciso. Anche lui si trovava al festival musicale dove i terroristi hanno compiuto un massacro. Mentre fuggiva dai terroristi assassini, era ancora in grado di parlare al telefono con suo fratello. Stava fuggendo insieme a due ragazze e ha raggiunto un'auto con loro. Mentre scappava, è stato colpito da un proiettile allo stomaco, hanno raccontato le ragazze che erano con lui. Poi sono scappate, mentre Ofek è rimasto ferito nell'auto. Da allora è stato considerato disperso, fino a ieri.
Ofek Arbib aveva compiuto 21 anni. Era il fratello minore di una delle migliori amiche di mia figlia. Spesso stava a casa nostra insieme a sua sorella. Ofek è stato sepolto ieri sera nel cimitero militare della città di Holon. Che il suo ricordo sia in benedizione. Nei prossimi giorni faremo visita alla famiglia per porgere le nostre condoglianze durante la shiva.
   Oltre a questi tristi eventi, ci sono ora problemi quotidiani che in realtà sono del tutto irrilevanti. Dopo l'annuncio, forse un po' affrettato, dal fronte interno che ogni cittadino avrebbe dovuto fare scorte di cibo e acqua sufficienti per almeno 72 ore, i supermercati del Paese sono stati praticamente presi d'assalto. Mi sono recato al supermercato solo il giorno seguente per comprare alcune cose. Ma ero troppo in ritardo, il supermercato sembrava essere stato saccheggiato. Molti scaffali erano completamente vuoti. Non c'erano uova, né acqua minerale e soprattutto non c'era più carta igienica.
Come dopo un saccheggio.
Un supermercato a Gerusalemme.
“Ma cos’ha la gente con la carta igienica?" mi sono chiesto, ripensando ai tempi di Corona, quando uova e carta igienica erano i prodotti più ricercati. Poi sono riuscito ad accaparrarmi gli ultimi due pacchetti di carta igienica in una farmacia, naturalmente i più costosi: 100 shekel (l'equivalente di circa 25 euro) per un paio di rotoli. Ma non importa, abbiamo problemi più importanti.
   Da questo crudele Shabbat, in realtà, siamo stati solo a casa. Solo ieri, cinque giorni dopo l'inizio della guerra, nostro figlio è uscito di casa per andare a trovare un amico. Ieri sono andato brevemente al nostro centro commerciale per fare un po' di spesa e mi sono stupito di quanto fosse vuoto. La maggior parte dei negozi era chiusa, solo il piccolo supermercato era aperto. Non c'era nemmeno l'acqua minerale.
   Così la maggior parte del tempo siamo seduti a casa paralizzati davanti alla TV. Probabilmente dovremo fare i conti con questa catastrofe per molto tempo.
   Ma ora dobbiamo prima vincere questa guerra.
   Israele sta combattendo per la sua esistenza, anche 75 anni dopo la fondazione dello Stato. I terroristi devono essere sconfitti, o loro o noi.
   Nonostante tutto, vi auguro uno Shabbat benedetto. Sentitevi liberi di scrivere i vostri commenti qui sotto. E domani sera mi auguro di vedervi tutti alla nostra prossima riunione di Zoom. Fino ad allora, statemi bene!
   Shabbat Shalom!

(Israel Heute, 13 ottobre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


Operazione Spade di ferro - Giorno 7

di Ugo Volli

Inizia la fase decisiva della guerra
  La guerra terrestre a Gaza ormai è prossima. Israele ha completato il richiamo dei riservisti e l’organizzazione dei contingenti che entreranno a Gaza. Ha anche avvertito in molti modi, con SMS, volantini, messaggi televisivi realizzati hackerando la tv di Gaza, perfino con telefonate personali, i civili della parte nord della Striscia, dove presumibilmente ci sarà il primo impatto dell’operazione, a lasciare il territorio e a rifugiarsi nella zona meridionale, a sud della città di Gaza. Va sottolineato come anche in questa circostanza estrema l’esercito israeliano segua le leggi internazionali e si sforzi di nuocere il meno possibile alla popolazione civile. D’altro canto questa guerra è necessaria: tutto il mondo ha capito che non è possibile più per Israele, che come tutti gli stati ha il compito primario di difendere la vita e l’incolumità dei suoi cittadini, convivere con un’organizzazione terrorista che ha fatto della strage di massa dei civili il suo metodo di “lotta”, macchiandosi di crimini mostruosi. Dopo aver pazientato per quasi vent’anni, sopportando perdite e lutti e limitandosi di fronte alle aggressioni più gravi a operazioni moderate di contenimento, Israele ha capito di dover eliminare completamente le organizzazioni terroriste da Gaza e lo farà.

Gli ostacoli
  Sarà una guerra lunga e difficile. I terroristi hanno trasformato l’intera striscia di Gaza in una fortezza, che ha al suo cuore una rete intricatissima di tunnel sotterranei che ospitano depositi di armi, centri di comando, piattaforme di lancio dei missili, caserme e residenze dei capi, ma anche carceri per gli ostaggi. Tutte le gallerie sono aperte al fuoco di armi istallate nelle pareti, minate, concepite per distruggere le truppe israeliane vi entreranno. Minati sono anche in superficie gli edifici e i rifugi, gli ingressi delle gallerie, ogni possibile punto di passaggio degli israeliani. Come si è visto nelle operazioni precedenti, i terroristi spareranno sui soldati israeliani da scuole, case d’abitazione, moschee, ospedali, sotto a cui tengono anche le loro risorse più preziose, perché le considerano più sicure per loro. Tutta la popolazione vi viene dunque usata come scudi umani da parte dei terroristi, che cercano così di impedire ai soldati di rispondere al fuoco per non colpire degli innocenti; oppure se lo fanno di poterli accusare di uccidere i civili. Questa è la ragione per cui Hamas cerca di impedire agli abitanti delle zone che saranno teatro dello scontro di rifugiarsi altrove: un calcolo cinico ai danni della propria stessa popolazione. La guerra di terra sarà dunque difficilissima, lunga, probabilmente sanguinosa da entrambe le parti: una terribile prova fisica ma anche psicologica per i soldati israeliani.

La guerra psicologica
  Per questa ragione i terroristi cercheranno e già cercano di condurre una guerra psicologica senza scrupoli. Essa si volge innanzitutto nei confronti della loro popolazione, invitata a ignorare gli avvisi di Israele. Poi si sviluppa nei confronti di Israele e degli ebrei, tentando di diffondere notizie false e di amplificare le minacce che pure esistono. Il lancio continuo di razzi e gli assalti ai confini (come oggi hanno tentato di fare i sostenitori del terrorismo dalla Giordania) fanno parte di questa operazione, che si estende nel resto del mondo con minacce e manifestazioni. Ma il lato più importante di questa guerra psicologica riguarda l’opinione pubblica degli altri stati e in particolare di quelli che hanno preso posizione per Israele in Europa e in America. I terroristi cercano di negare l’orribile evidenza dei massacri, testimoniata da mille filmati ed immagini, spesso riprese e diffuse in un primo momento da loro stessi. Si presentano come vittime, sottoposte alla violenza israeliana, non hanno paura di sostenere tesi contraddittorie, come non aver fatto male a donne e bambini e averli anzi spontaneamente rilasciati e accusare Israele di essere lui stesso responsabile con i bombardamenti delle loro istallazioni, della morte di numerosi ostaggi.

La retorica della moderazione
  Lo scopo di queste manovre è semplice. Dato che in prospettiva è chiaro che Israele prevarrà sul terreno, si tratta di paralizzarlo, di togliergli il tempo di condurre fino in fondo l’operazione per ripulire Gaza dal terrorismo. Hamas, l’Iran, la Russia, i loro alleati e difensori nei media e nella politica occidentale si sforzano dunque di costruire un fronte “per la pace” e “per la moderazione” che condanni e blocchi l’autodifesa israeliana in nome dei valori umanitari. Che gli assassini di vecchi e bambini invochino valori umanitari a propria difesa è un paradosso atroce, ma la retorica politica non è nuova a queste commedie. Si tratta di una campagna di guerra psicologica che è già iniziata oggi e certamente si rafforzerà quando inizieranno i combattimenti sul terreno.

(Shalom, 13 ottobre 2023)

........................................................


La grande solidarietà per Israele, davanti al Castello Sforzesco di Milano

di Michael Soncin

“Quando sentiamo parlare di miliziani, ecco, quelli non sono miliziani, sono terroristi. Hamas è dichiarato terrorista dall’Europa e dell’America. Io invito quindi i giornalisti a cambiare, a fare attenzione alle parole che usano. Quello che è successo in questi giorni è un vero Pogrom, non c’è altra parola”. A dirlo è stato Emanuele Segre Amar, membro della Comunità Ebraica di Torino, durante il suo ruolo di mediatore durante la giornata del 12 ottobre 2023 in via Beltrami a Milano, durante un presidio di solidarietà per Israele, in seguito al terribile attentato terrorista di matrice islamica perpetrato da Hamas.
  La serata ha visto una folta partecipazione di diversi esponenti dei partiti politici, destra e sinistra, tutti insieme, tutti uniti per Israele. Presenti anche dei giovani iraniani che hanno preso parola esprimendo fortemente il loro sentimento di vicinanza. L’evento è stato organizzato da Il Foglio assieme alla Comunità Ebraica di Milano con Azione – Italia Viva e +Europa.
  A rappresentare Il Foglio, quotidiano che senza tentennamenti è sempre stato dalla parte di Israele, c’era il Vicedirettore Claudio Cerasa. Il Senatore Claudio Borghi ha detto che “non si possono mettere sullo stesso piano dei terroristi, con uno stato democratico che in queste ore sta difendendo il diritto di quella popolazione, di poter convivere all’interno di uno stato che appartiene alla sua storia alla sua cultura”.
  Segre Amar ha poi fatto una puntualizzazione molto importante: “Io vorrei fare una richiesta a tutti i parlamentari che sono qui presenti: l’Inghilterra, la Germania, la Svezia, la Danimarca, la Francia, hanno proibito le manifestazioni dei palestinesi, non hanno permesso che ci siano le loro bandiere in giro. Facciamo la stessa richiesta al nostro governo. Di fronte a quanto è successo, un vero e proprio Pogrom, è il minimo di quanto possiamo fare. Dobbiamo distinguerci dalla Spagna, che invece ha rifiutato la decisione dell’Europa, continuando a mandare soldi ai palestinesi e sappiamo a cosa servono questi soldi”. Soldi che vanno a finanziare il terrorismo.
  Di forte impatto è stato il discorso del Presidente della Comunità Ebraica di Milano Walker Meghnagi: “È difficile parlare questa sera per me. È ora di dire basta, questi sono degli assassini. È una vergogna quello che hanno fatto. Episodi che ci fanno tornare indietro di 80 anni, quando cercavano gli ebrei per trucidarli. È quello che ha fatto Hamas. Noi non possiamo permettere questo. Io accuso l’Occidente, perché andavano fermati prima. Ci sono quasi 1500 morti, oltre 3000 feriti. All’asilo nido sono stati trovati 40 bambini uccisi con un colpo in testa, sgozzati, famiglia intere che si erano asserragliate nelle loro case. Hamas non rappresenta il popolo palestinese, non può rappresentarlo. Purtroppo, hanno trovato il corpo di mia nipote ieri, il corpo martoriato, insieme a lei hanno trovato anche il corpo di un ragazzo che ha studiato presso le nostre scuole. Ma sia chiaro, io parlo per tutti i morti. Chiediamo alle forze politiche di stare alleati con noi. Dobbiamo andare avanti, non finisce questa sera. Erano tutti ragazzi, erano tutti civili, non è una guerra. Erano lì a divertirsi”.
  La Senatrice Mariastella Gelmini di Azione ha calorosamente espresso la sua vicinanza e solidarietà ad Israele. “Abbiamo ancora tutti negli occhi l’immagine dell’orrore, di ciò che non avremo mai voluto vedere e che molto probabilmente rappresenterà l’abisso più profondo dell’orrore di questo secolo. Il 7 ottobre 2023 è stato per Israele un nuovo 11 settembre, è stato un altro Bataclan, con il doppio dei giovani morti, mentre erano insieme intenti a divertirsi. Ed è stato ed è il male assoluto. Ecco perché non c’è spazio per le ambiguità.
  La Senatrice Daniela Santanchè ha rivolto un messaggio al Sindaco di Milano Giuseppe Sala: “Si deve stare dalla parte di Israele, basta ambiguità. A Sala dico che si deve vergognare di mettere la bandiera della pace vicino a quella di Israele. Oggi la bandiera della pace è una sola, quella di Israele. Ma si deve vergognare di più perché oggi ha attaccato un membro della Comunità Ebraica di Milano, dicendo che il dottor Roberto Jarach, Presidente del Memoriale della Shoah, strumentalizza. Chi strumentalizza sono altri”.
  “Vista la terribile e pericolosa ignoranza vorrei leggervi due brani, per chi avesse dei dubbi sul movimento di Hamas”. A dirlo è stato il Senatore del Partico Democratico Emanuele Fiano, che ha menzionato alcune frasi dello statuto del movimento terroristico, sottolineando che “nessun altro movimento palestinese ha uno statuto del genere. È uno statuto antisemita, il cui scopo è l’eliminazione degli ebrei dalla faccia della terra. Coloro che si stupiscono oggi nel sentire quanto dico si stupiscono per ignoranza”.
  Alla fine della serata ha preso la parola il Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Milano, Rav Arbib, il quale ha ringraziato tutti i presenti per la vicinanza. “Grazie a tutti. In questo momento abbiamo un gran bisogno di amicizia e solidarietà e stiamo oggi sentendo amicizia e solidarietà. Questo per noi è estremamente importante. Qualcuno prima ha detto che non abbiamo paura. Personalmente ho molto paura. Credo che tutti gli ebrei siano preoccupati e credo che tutta Israele sia molto preoccupata. Questo non significa che non siamo in capaci di reagire, di affrontare questa situazione, però è una situazione angosciante”.

(Bet Magazine Mosaico, 13 ottobre 2023)

........................................................


Parashà di Bereshìt: Perché Iddio creò l’uomo?

La prima parashà della Torà inizia con le parole ” All’inizio Iddio creò il cielo e la terra”.  

            R. Daniel Terni (Ancona, 1740-1814, Firenze) in Shem ‘Olàm, nel suo commento a questa parashà, cita i maestri in Pirkè Avòt (Massime dei padri, 5:1) che affermano che “Con dieci comandi (maamaròt) fu creato il mondo”. 
            R. Yoseph Colombo (Livorno, 1897-1975, Milano) in una nota alla sua traduzione dei Pirkè Avòt, scrive: “I dieci comandi a cui allude sono rappresentati dai seguenti passi: Genesi I, 1, 3, 6, 9, 11, 14, 20, 24, 29, e II,18, cioè dai nove vajomer del racconto biblico della creazione, più l’inizio dello stesso passo in cui i Rabbini dividono la prima parola bereshith in due bi rishith (Per me fu il principio). La possibilità cui si accenna che Dio avrebbe avuto di creare il mondo con un solo comando, allude alla creazione ex nihilo. Un importante concetto morale e metafisico è espresso in questo paragrafo. Gli uomini giusti con le loro azioni perfezionano il mondo; i peccatori lo mandano in rovina. Concezione idealistica: il mondo non è tutto fatto ma attende dall’uomo il suo compimento, il suo miglioramento. Ecco il fine elevato della vita umana sulla terra”.
            R. Terni cita lo Zòhar (Vaykrà, 11b) dove i maestri affermano che i dieci comandamenti sono paralleli ai dieci maamaròt con i quali fu creato il mondo. 
            Riguardo il primo dei dieci comandamenti r. Yehudà Halevi (Spagna, 1075-1141, Eretz Israel), autore del Kuzari, chiese a r. Abraham ibn ‘Ezra (Tudela, 1089-1164, Saragozza) il motivo per cui è scritto “Io sono l’Eterno tuo Dio che ti ho tratto fuori dal paese d’Egitto” (commento a Shemòt, 20:2) e non è invece scritto “Che ho fatto il cielo e la terra e ho fatto te”. R. Ibn ‘Ezra rispose che anche coloro che sono meno colti sanno che è stato il Signore che ci ha fatto uscire dall’Egitto, mentre una discussione sulla creazione del mondo è molto più difficile. 
            R. Terni cita anche r. Joseph ben r. Moshe di Przemysl il cui commento alla Haggadà di Pèsachintitolato Ketònet Passìm (stampata a Lublino nel 1685) contiene una derashà sulla festa di Shavu’ot (che inizia con le parole “kedè lehavìn”). In questa derashà vi è un’altra risposta alla domanda di r. Yehuda Halevi. Nel trattato ‘Eruvìn (13b) del Talmud babilonese è citata una discussione tra la scuola di Shammài e la scuola di Hillèl: È meglio che l’uomo sia stato creato, oppure sarebbe stato meglio che non fosse stato creato?  Alla fine conclusero: sarebbe stato meglio che l’uomo non fosse stato creato; ma ora che è stato creato esamini le sue azioni. Pertanto non era opportuno che la Torà scrivesse “Che ti ho creato” e per questo è stato scritto “Che ti ho fatto uscire”.         
            Se così, afferma r. Terni, perché Dio creò l’uomo? E risponde: le parole “Sia luce”, si riferiscono alle azioni degli uomini giusti. Questo significa che Dio creò l’uomo allo scopo che fosse giusto; e se è giusto certamente è meglio che sia creato piuttosto che non lo sia. E così è detto in Kohèlet (Ecclesiaste, 7:29): “Dio ha fatto l’uomo retto, ma gli uomini hanno cercato molti sotterfugi”.
 R. Terni offre anche una spiegazione alla posizione della scuola di Hillèl che afferma che è meglio che l’uomo sia stato creato. Il Santo Benedetto conta i buoni pensieri insieme con le susseguenti buone azioni, mentre non conta i cattivi pensieri insieme alle cattive azioni. E poiché contando anche i buoni pensieri vi sono più mitzvòt positive (248 moltiplicate per due cioè 496) di quelle negative (365),  la scuola di Hillèl sosteneva che vi era un vantaggio nella creazione dell’uomo.  

(Shalom, 13 ottobre 2023)
____________________

Parashà della settimana: Bereshit (In principio)

........................................................


Attacco a Israele. P. Di Bitonto: “In coda per donare il sangue, ecco la forza di Israele”

di Daniele Rocchi1

Soldati, poliziotti, preti, donne, ultraortodossi, laici, cristiani, “tutti uniti”, in fila, per donare il sangue “in un momento decisivo che separa la vita dalla morte”. In Israele sotto attacco, a raccontare questa storia di solidarietà e amicizia è padre Benedetto Di Bitonto, sacerdote responsabile della comunità dei cattolici di lingua ebraica a Gerusalemme, che appartiene al Vicariato “San Giacomo per i cattolici di lingua ebraica”, parte integrante del Patriarcato latino di Gerusalemme. Donare il sangue è “un atto di amore cristiano” afferma il sacerdote che spiega: “in questo momento difficile negli ospedali ci sono tanti feriti che hanno bisogno di sangue”.
   “Per questo motivo, lunedì 9 ottobre, siamo andati con padre Tiago, padre Michael ed Eliam nel centro di raccolta sito nella vicina Arena, nella zona di Malha, a pochi minuti di distanza dalla nostra casa di Simeone e Anna. Davanti a noi una fila lunghissima, silenziosa, che attendeva già sulla scalinata che conduce al cortile del Palazzetto dello Sport. Siamo rimasti lì in coda per nove ore e mezza”. Ma padre Benedetto non rimpiange “neanche un minuto di essere stato lì, è stata davvero un’esperienza unica, come non ne avevo vissute nei quasi 13 anni che vivo in Israele. È risaputo che gli israeliani e le file non sono molto amici, ma ieri non solo tutti sono rimasti pazienti e non hanno cercato di spingere, ma anche quando c’è stato l’allarme e siamo dovuti correre a ripararci all’interno, ognuno è ritornato al proprio posto con eccezionale rispetto e gentilezza”.
   Il tempo di attesa è trascorso con i volontari del Magen David Adom (la Croce Rossa israeliana) che offrivano acqua alle persone in attesa mentre, aggiunge padre Benedetto, “nelle prime ore del pomeriggio la gente ha iniziato spontaneamente a offrire cibo: panini, mele, ghiaccioli che tingono lingua e labbra di blu. Iniziative private di persone che hanno deciso di venire a rendere più facile per gli altri il lento cammino verso la donazione. Ad un certo punto è arrivato un musicista con chitarra e impianto di amplificazione e ha iniziato a suonare per noi canti di incoraggiamento”.
   Il tutto condito da “pioggia, vento e un allarme missilistico che ci ha costretti a correre dentro la cucina di una vicina panetteria con il proprietario che con velocità e forza ha spinto tutti quelli che erano fuori ad entrare”. Tante ore trascorse insieme in coda ha trasformato il tempo di attesa in tempo di conoscenza e di condivisione: “nell’arena già cominciavamo a sentirci una famiglia con i nostri compagni, mentre si avvicinava il nostro turno. Alla fine è toccato a noi e siamo entrati: tre preti cattolici, un Hasid Gur, un ultraortodosso della comunità Hasidica, e un ragazzo laico che hanno trascorso insieme il tempo, in attesa di donare il sangue. Ecco come dovrebbe essere sempre la realtà, questo è il potenziale d’Israele” dice convinto padre Benedetto che conclude: “Invitiamo tutti coloro che possono a donare il sangue. Non dimenticheremo questo giorno, ma speriamo di dimenticare l’orrore di questo periodo”.

(SIR, 12 ottobre 2023)

........................................................


Gaza, il piagnisteo pacifista e la gigantesca ipocrisia su Hamas

Si nascondono dietro al pacifismo gli antisemiti moderni, ma non sanno rispondere nemmeno a poche domande su Hamas e sulla popolazione di Gaza.

di Maurizia De Groot

Come era ampiamente prevedibile, appena un carro armato israeliano si è avvicinato al confine con la Striscia di Gaza è partito il piagnisteo pacifista.
   Oddio ci sono i civili. Santo cielo l’assedio no. Togliere l’acqua è un crimine di guerra. Ci vogliono corridoi umanitari. Ma la più bella è: la popolazione non c’entra niente con Hamas.
   Ma non è Hamas che governa la Striscia di Gaza? E a qualcuno risulta che vi siano almeno due (due di numero) dissidenti politici? Qualcuno finito in galera perché non era d’accordo con i macellai islamici?
   A qualcuno risulta una protesta della popolazione? Non dico qualcosa come in Iran, ma un gruppetto di persone che protestava contro Hamas? C’è mai stato?
   Come? Hamas non lo permette? Nemmeno gli Ayatollah iraniani lo permettono, eppure in Iran sono 13 mesi che protestano. Vengono uccisi, torturati, i più fortunati vanno in prigione, ma non si arrendono.
   Volete la verità vera? Da Gaza alla Cisgiordania, la stragrande maggioranza dei palestinesi sta con Hamas, condivide le idee di Hamas e quindi è complice di Hamas. Altro che “la popolazione non è Hamas”. La popolazione è Hamas.
   Sono stati sommersi di denaro, miliardi di dollari destinati alle infrastrutture della Striscia di Gaza. Avete visto niente? Nemmeno un misero sistema fognario sono riusciti a costruire. E come farebbero altrimenti a lamentarsi e continuare così ad alimentare l’assurdo afflusso di denaro con il quale “drogare” la popolazione, renderla dipendente dagli aiuti e nel frattempo comprare migliaia di missili o materiale per la loro costruzione?
   No, quando parlate della Striscia di Gaza dovete intenderla come una nazione a se stante, un reame dove tutti sono con il re, con Hamas.
   Gaza è piccola, così piccola che è difficilissimo nascondere qualcosa al vicino di casa. Vediamo in quanti si fanno avanti per segnalare la posizione degli ostaggi. Sono tanti, almeno qualcuno dovrebbe farsi avanti. Vediamo se è vero che la popolazione non è Hamas o se, al contrario, è proprio la popolazione ad essere Hamas.

(Rights Reporter, 12 ottobre 2023)

........................................................


Antisionismo come abito buono dell’antisemitismo

di Andrea Cangini

Cos’è che distingue lo Stato di Israele da tutti gli altri? Cosa distingue Israele da, poniamo, la Cina? Facile: la sua natura ebraica. Sarebbe intellettualmente onesto, allora, ammettere una volta per tutte, anche di fronte a noi stessi, che, non in tutti, ma nella maggior parte dei casi l’antisionismo è solo l’abito buono dell’antisemitismo.

Pur se in un culmine di orrore e di violenza senza precedenti, sulla questione arabo-israeliana i discorsi sono sempre gli stessi. Discorsi spesso ipocriti, immancabilmente prevedibili. È l’eterno ritorno del sempre uguale, per dirla con Nietzsche. Può, pertanto, avere una qualche utilità rileggere oggi un estratto del breve discorso che pronunciai nell’aula del Senato il 20 maggio del 2021 in occasione dell’informativa dell’allora ministro degli Esteri Luigi di Maio sulla sicurezza nel Mediterraneo.
   Il popolo curdo rispetto alla Turchia, gli armeni del Nagorno-Karabakh rispetto all’Azerbaigian e, di fatto, alla Turchia, le minoranze uiguri, tibetana e mongola, oltre ai cittadini di Hong Kong, rispetto alla Cina, la minoranza Harratin in Algeria, Marocco e Mauritania, il popolo Sahrawi in Marocco, le popolazioni dell’Abkhazia e dell’Ossezia in Georgia e rispetto alla Russia, i Tamil nello Sri Lanka, la popolazione del Karen in Birmania…
   Potrei andare avanti a lungo, etnia per etnia, lingua per lingua, religione per religione, nell’elencare i popoli che si trovano oggi senza uno Stato, o i popoli che uno Stato lo hanno ma sono oppressi da un regime autoritario. E a questo triste e sterminato elenco potrei, anzi, dovrei aggiungere i cristiani. I cristiani perseguitati in Nigeria, in Congo, in Mozambico, in Camerun, in Burkina Faso, in Corea del Nord, in Somalia, in Pakistan, nelle isole Molucche… Ogni giorno, nel mondo, vengono uccisi dai 13 ai 18 cristiani e vengono uccisi in quanto cristiani.
   Eppure, le élite occidentali non sembrano occuparsene. Non vedo manifestazioni di piazza o raccolte di firme, non leggo vibranti editoriali, non assisto a ripetute e ferme prese di posizione da parte di leader politici, intellettuali, artisti, cantanti, attori, organismi internazionali e associazioni per i diritti umani in difesa dei cristiani perseguitati, o dei curdi, o degli armeni, o degli uiguri e via elencando.
   Reazioni del genere le vedo solo in un caso: il caso del popolo palestinese rispetto allo Stato di Israele, di cui Hamas nega il diritto di esistere. Il mainstream occidentale parteggia per i palestinesi, non c’è dubbio. E allora, se le cose hanno un senso, le possibilità sono due. Due sole: una particolare affinità delle élite occidentali e dei maitre à penser nei confronti del popolo palestinese, o una loro particolare avversità nei confronti dello Stato di Israele.
   Sbaglierò, ma non percepisco reali affinità. Il problema, dunque, è lo Stato di Israele in quanto tale. Ma cos’è che distingue lo Stato di Israele da tutti gli altri? Cosa distingue Israele da, poniamo, la Cina? Facile: la sua natura ebraica. Sarebbe intellettualmente onesto, allora, ammettere una volta per tutte, anche di fronte a noi stessi, che, non in tutti, ma nella maggior parte dei casi l’antisionismo è solo l’abito buono dell’antisemitismo.

(Formiche.net, 12 ottobre 2023)

........................................................


Così Sharon annunciò il ritiro dalla Striscia. La prova di speranza

Testo del discorso alla nazione fatto dal premier israeliano, Ariel Sharon, il 15 agosto 2005

Israeliani, il giorno è giunto. Diamo ora inizio alla fase più difficile e dolorosa: l’evacuazione delle nostre comunità dalla Striscia di Gaza e dal nord della Samaria. Per me, si tratta di un momento particolarmente difficile. Il governo israeliano ha deciso di procedere al disimpegno a malincuore, e la Knesset non ha certo approvato tale decisione a cuor leggero. Non ho mai nascosto che, come tanti altri, credevo e speravo che Netzarim e Kfar Darom rimanessero nostri per sempre, ma l’evolversi della realtà in questo paese, in questa regione e nel mondo ha richiesto una rivalutazione e un cambiamento di posizione.
  Gaza non poteva rimanere nostra per sempre: ci abitano oltre un milione di palestinesi, un numero che raddoppia a ogni generazione. Vivono in campi profughi affollati all’inverosimile, immersi nella povertà e nello squallore, in focolai di odio crescente, senza nessuna sorta di speranza all’orizzonte. Questa decisione costituisce un segno di forza, e non di debolezza. Ci siamo sforzati di raggiungere degli accordi con i palestinesi perché i due popoli potessero percorrere insieme il cammino della pace, ma si sono tutti infranti contro un muro fatto di odio e di fanatismo.
  Il piano di disimpegno unilaterale, che annunciai circa due anni fa, rappresenta la risposta israeliana a questa realtà. Il piano rientra nell’interesse di Israele, qualsiasi cosa possa succedere in futuro. Stiamo già riducendo gli scontri quotidiani e le relative vittime da entrambe le parti, e l’IDF (l’esercito israeliano, ndr) tornerà a dispiegarsi lungo le linee difensive dietro il muro di sicurezza. Coloro che continueranno a combattere contro di noi dovranno fare i conti con la risoluta risposta dell’IDF e delle forze di sicurezza.
  Adesso l’onere della prova ricade sui palestinesi: dovranno combattere le organizzazioni terroristiche, smantellarne le strutture e dimostrare di ricercare sinceramente la pace per potersi sedere accanto a noi al tavolo dei negoziati.
  Il mondo aspetta la reazione dei palestinesi, aspetta di vedere se tenderanno la mano in segno di pace o continueranno il fuoco terroristico. A una mano tesa in segno di pace risponderemo con un ramo di ulivo; ma se sceglieranno il fuoco, noi risponderemo con il fuoco, con più forza che mai. 
  Il disimpegno ci permetterà di rivolgere la nostra attenzione alla situazione interna: i nostri programmi nazionali cambieranno; nella nostra politica economica saremo liberi di colmare i divari sociali e di impegnarci in una vera lotta contro la povertà, miglioreremo il sistema scolastico e aumenteremo la sicurezza personale di ogni singolo cittadino del paese. I disaccordi emersi sul piano di disimpegno hanno provocato ferite profonde, inasprito l’odio tra fratelli e portato a dichiarazioni e azioni gravi. Io capisco tali sentimenti, il dolore e il pianto di chi è contrario. Tuttavia, rimaniamo una nazione sola anche quando ci combattiamo e affrontiamo.
  Residenti della Striscia di Gaza: finisce oggi un capitolo glorioso nella storia di Israele, e un capitolo fondamentale in quella delle vostre vite come pionieri, come gente che ha saputo realizzare un sogno e ha sostenuto l’onere della sicurezza e degli insediamenti per tutti noi. Il vostro dolore e le vostre lacrime costituiscono una parte indissolubile della storia del nostro paese. Qualsiasi disaccordo possiamo avere, non vi abbandoneremo, e a seguito dell’evacuazione faremo tutto quanto in nostro potere per ricostruire le vostre vite e le vostre comunità. Desidero dire ai soldati dell’IDF, ai funzionari della Polizia e della Polizia di frontiera israeliane quanto segue: la vostra missione è difficile, perché quelli che siete chiamati ad affrontare non sono nemici, ma fratelli e sorelle. Dovrete dare prova di grande sensibilità e pazienza: sono sicuro che ne sarete capaci. Voglio che sappiate che l’intera nazione vi sostiene ed è orgogliosa di voi.
  Israeliani, la responsabilità del futuro di Israele grava sulle mie spalle. Ho dato inizio al piano perché sono giunto alla conclusione che questo provvedimento sia vitale per Israele. Credetemi, il dolore che provo compiendo questo atto è pari soltanto all’incrollabile convinzione che fosse assolutamente necessario. Stiamo intraprendendo un nuovo cammino che presenta molti rischi, ma offre anche un raggio di speranza a tutti noi. Con l’aiuto di Dio, speriamo che sia un cammino di unità e non di divisione, di rispetto reciproco e non di animosità tra fratelli, di amore incondizionato e non di odio senza ragione. Da parte mia farò tutto il possibile perché sia così.
Ariel Sharon

Il Foglio, 12 ottobre 2023)

_


Il 24 agosto 2005, a sgombero di Gaza ormai avvenuto, “Notizie su Israele” pubblicava la seguente riflessione.

La guerra continua

E' fatta! I territori "occupati" dagli insediamenti ebraici sono stati sgomberati. I "coloni" si sono lasciati "trasferire" più velocemente e più pacificamente del previsto. La comunità internazionale ha applaudito, i potenti della terra si sono congratulati con i capi d'Israele per la relativa calma con cui il tutto è avvenuto. «E' un avanzamento verso la pace», hanno detto, mentre in realtà è un arretramento del fronte in una situazione di guerra. Ed è una guerra feroce, quella che conducono gli arabi, simile a quella che Hitler scatenò contro la Russia. Una guerra in cui non è in gioco la terra, ma le persone. E' guerra contro un tipo umano, non contro una nazione. Proprio la calma in cui il "trasferimento" è avvenuto dovrebbe far riflettere e provocare forse qualche problema di coscienza, soprattutto negli spettatori internazionali che hanno guardato e applaudito lo spettacolo. I prepotenti "coloni" erano dunque gente tranquilla, a quel che sembra. Perché se ne sono dovuti andare? Perché il prodotto di anni di lavoro, case, aziende, piantagioni, tutti beni di cui anche altri avrebbero potuto godere, hanno dovuto essere distrutti? Si conosce la risposta: perché su quella terra deve nascere il futuro stato palestinese, il quale, dopo le dovute "prove di buona volontà" da parte dei vicini ebrei, vivrà in pace con l'attuale stato israeliano. E perché mai in uno stato arabo che vivrebbe in pace con lo stato ebraico non potrebbe vivere una piccola minoranza di ebrei, quando nel vicino stato ebraico vivono da anni centinaia di migliaia di arabi? Sembra che per far nascere uno stato palestinese sia assolutamente indispensabile che sulla sua terra non si trovi traccia di ebrei. E la cosa sembra ragionevole, anche a molti ebrei. Ma è questo il significato della parola "pace"? Vivere in pace per gli arabi significa non essere disturbati dalla presenza di ebrei? Si dirà che i "coloni" volevano il grande Israele, e che occupavano illegittimamente un territorio non loro. Potrebbe anche essere, ma quanto alle intenzioni, sarebbe stato sufficiente far sapere loro che erano desideri destinati ad essere vanificati; e quanto alla legittimità della loro presenza su quella terra, era una cosa che poteva e doveva essere verificata soltanto dopo avere costituito uno stato di diritto, e non prima. Su questo avrebbe dovuto esercitare la sorveglianza la comunità internazionale: avrebbe dovuto esigere che prima di tutto su quella terra si costituisca uno stato di diritto, in cui l'autorizzazione a vivere in certe zone sia stabilita dalla legge, e non dagli attentati terroristici. I capi delle nazioni avrebbero dovuto dire: «Nascerà uno stato palestinese soltanto quando gli arabi avranno dato prova di saper accettare sulla loro terra anche la presenza di ebrei, e non solo come turisti, ma anche come cittadini dello stato o come cittadini stranieri che hanno dei possedimenti in una nazione estera, come accade in tutte le parti del mondo.» Avrebbe dovuto essere questa la "prova di buona volontà" da richiedere ai palestinesi. Ma questo non è stato fatto. «Prima di tutto gli ebrei se ne devono andare, poi si potrà parlare», questa è la filosofia corrente. Nessuno s'illuda: la guerra continua.
Marcello Cicchese cfr
____________________

Pochi mesi dopo il suo proclama agli israeliani, la sera del 4 gennaio 2006, nella sua fattoria di Havat Shikmim, nel nord del deserto del Negev, Ariel Sharon fu colpito da un ictus. Entrò in coma e vi rimase fino a che morì, l'11 gennaio 2014. E' un segno? In Israele i fatti politici che coinvolgono l'intera nazione hanno sempre un significato. Che inevitabilmente coinvolge Dio. Che con interesse sta a vedere come li interpretiamo. M.C.

(Notizie su Israele, 12 ottobre 2023)

........................................................


Così Hamas ha ingannato gli 007 di Israele. Come l’attacco è rimasto segreto

Quattro funzionari dell’intelligence israeliana hanno rivelato al New York Times tutto quello che è andato storto. Dall’eccessiva fiducia nei sistemi di sorveglianza al confine al depistaggio dei terroristi intercettati

Hamas il 7 ottobre ha colto di sorpresa Israele, scatenando una vera e propria mattanza. Ma come è potuto succedere? Come sono riusciti i terroristi palestinesi, partiti da Gaza, a sfondare così facilmente le difese di Gerusalemme? Come è stato possibile che gli 007 israeliani, ritenuti tra i più efficienti al mondo, non siano riusciti a capire cosa stava per succedere? Nei giorni scorsi, molti analisti hanno cercato di risolvere il mistero, ma nella stragrande maggioranza dei casi hanno offerto come spiegazioni mere speculazioni. Ronen Bergman e Patrick Kingsley del New York Times, invece, sono riusciti a parlare con quattro funzionari dell’intelligence israeliana. È il primo sguardo, dall’interno, sul fallimento dei servizi segreti israeliani. Un fallimento di cui si parlerà per decenni. Ma vediamo cosa non ha funzionato.

Intercettazioni
  Gli 007 israeliani non sono riusciti a monitorare i canali chiave utilizzati da Hamas per preparare l’attacco. Secondo un articolo di qualche giorno fa del Financial Times, i terroristi molto probabilmente hanno comunicato tra loro attraverso quelli che in gergo mafioso vengono definiti pizzini: messaggi in codice scritti su piccoli fogli.

Il depistaggio di Hamas
  E anche quando hanno intercettato le comunicazioni tra gli operativi di Hamas, i servizi israeliani non sono stati in grado di valutare correttamente il livello della minaccia. Tanto che Tzachi Hanegbi, consigliere per la sicurezza nazionale di Israele, sei giorni prima dell’attacco aveva affermato: “Hamas in questo momento è molto moderata, ha capito le implicazioni che ci sarebbero in caso di una nuova sfida”. Anche perché l’organizzazione terroristica ha di fatto depistato gli 007 di Gerusalemme: sapendo di essere intercettati, gli operativi di Hamas nelle loro conversazioni telefoniche hanno dato l’impressione di voler evitare a tutti i costi un’altra guerra con Israele, visto il disastroso esito del conflitto del maggio 2021. Una trappola che ha portato Israele a sottovalutare la minaccia in arrivo da Gaza.

Troppa fiducia nella tecnologia
  Secondo i due reporter del New York Times, all’origine del fallimento di Shin Bet e Mossad, ci sarebbe anche un’eccessiva confidenza negli strumenti di sorveglianza dei confini, che è stato facilmente neutralizzato da Hamas. Due funzionari hanno spiegato che il sistema di controllo si basa quasi interamente su telecamere, sensori e mitragliatrici azionate a distanza. “I comandanti israeliani – spiega il quotidiano Usa - erano diventati eccessivamente fiduciosi riguardo l’inespugnabilità del sistema. Pensavano che la combinazione di sorveglianza remota e armi, barriere e un muro sotterraneo per impedire ad Hamas di scavare tunnel verso Israele rendesse improbabile un’infiltrazione di massa, riducendo la necessità di avere un numero significativo di soldati lungo la linea di confine”. Peccato che il sistema di controllo da remoto potesse essere distrutto… da remoto. Hamas ha infatti sfruttato questo punto debole, utilizzando droni per attaccare le torri di comunicazione che trasmettevano segnali da e verso il sistema di sorveglianza e mettendolo fuori uso nelle prime fasi dell’invasione. Tanto che la maggioranza dei soldati israeliani stava ancora dormendo quando si è trovata a dover fronteggiare l’attacco di Hamas.

La concentrazione dei comandanti
  Un altro errore strategico, da parte di Israele, è stato quello di concentrare tutti i comandanti dell’esercito in un’unica base lungo il confine. Quando questa è stata espugnata da Hamas, i leader militari di Israele sul campo sono stati uccisi, feriti o presi in ostaggio. Di fatto i soldati dell’Idf si sono ritrovati nel caos, senza nessuno in grado di dare ordini precisi per contenere l’attacco.

(Quotidiano Nazionale, 11 ottobre 2023)


*


Anni di astuzia, una barriera neutralizzata: come Hamas ha sfondato le difese di Israele

Tsahal è stato ingannato dal gruppo terroristico e ha fatto eccessivo affidamento su sistemi di sorveglianza a distanza e armi facilmente disattivabili da droni e cecchini.

Per molto tempo, Israele ha pensato che la barriera di sicurezza high-tech che lo separa dalla Striscia di Gaza - irta di filo spinato, telecamere e sensori e fortificata da una base di cemento, a prova di tunnel e mitragliatrici telecomandate - fosse inespugnabile.
   Ma dopo il sanguinoso attacco a sorpresa di Hamas, che ha ucciso più di 1.200 persone - la maggior parte delle quali civili - alti militari israeliani hanno parlato a condizione di anonimato per testimoniare l'esistenza di gravi carenze operative e di intelligence che hanno permesso ai terroristi di sfondare facilmente la barriera.
   Inoltre, i soldati israeliani di guardia quel giorno hanno fornito dettagli edificanti su come i terroristi hanno condotto questa complessa operazione per violare il "muro di ferro" di Israele intorno all'enclave in diversi punti.
La recinzione di confine tra Israele e Gaza, aperta in seguito ai bombardamenti dei terroristi palestinesi
Mentre Israele si riprende dal peggior massacro di ebrei in un solo giorno dai tempi dell'Olocausto, rimangono ancora degli interrogativi su come i terroristi siano stati in grado di violare la barriera ben attrezzata e di devastare l'area circostante per ore, fino a quando le forze di sicurezza sono intervenute in forze per fermare l'assalto. I soldati che hanno testimoniato a condizione di anonimato ci hanno assicurato che queste domande saranno poste ed esaminate, ma che per il momento Tsahal si sta dedicando alla guerra.
   Il massiccio attacco, all'alba di sabato scorso, è iniziato con il lancio di missili contro le aree civili israeliane, seguito dal fuoco dei cecchini e dagli esplosivi lanciati dai droni sulle torri di guardia e di comunicazione, e infine dai bulldozer che hanno divelto la doppia barriera alta sei metri in una trentina di punti.
   Più di 1.500 terroristi si sono poi precipitati nei varchi a bordo di furgoni e motociclette, affiancati da uomini in alianti e motoscafi sul lato del mare, per lanciare attacchi con armi da fuoco contro le comunità vicine. Intere famiglie sono state massacrate, rintanate nelle loro case. In alcuni luoghi sono stati trovati corpi atrocemente mutilati. Durante un festival musicale all'aperto, 260 persone sono state uccise con armi da fuoco o granate.
   I terroristi hanno anche rapito circa 150 uomini, donne e bambini, tenendoli in ostaggio a Gaza.
   Secondo le informazioni fornite martedì dal New York Times, che cita le conclusioni iniziali di quattro alti funzionari della sicurezza israeliana, il fallimento operativo era già completo quando l'allarme dato sabato mattina presto dai servizi di intelligence, che riferiva di un improvviso aumento delle comunicazioni di Hamas, non è stato seguito dalle guardie di frontiera, che probabilmente non l'hanno capito o semplicemente non l'hanno letto.
  Ma il fallimento principale è stato l'eccessivo affidamento a dispositivi di protezione e difesa telecomandati non idonei, che hanno permesso ai droni di Hamas di bombardare e disattivare le torri di comunicazione, i centri di sorveglianza e le mitragliatrici telecomandate situate vicino alla barriera, nonché le telecamere di sicurezza, che sono state disattivate dal fuoco dei cecchini. Tutto questo ha lasciato immediatamente la barriera completamente priva di protezione.
  C'erano pochissimi soldati vicino alla barriera, in parte perché le forze si trovavano in Cisgiordania e in parte per la fiducia riposta nei sistemi di difesa automatizzati, che hanno portato le autorità a ritenere che non fosse più necessario presidiare fisicamente la barriera.
  Secondo la stessa fonte, un gran numero di comandanti era raggruppato in un'unica base militare vicino alla barriera. Quando questa base è stata presa d'assalto dai terroristi e i suoi comandanti sono stati uccisi, feriti o rapiti insieme a molti soldati, alcuni dei quali sono stati falciati nel sonno, non è stato possibile trasmettere immediatamente le informazioni al resto dell'esercito.
  Sono passate molte ore prima che l'esercito si rendesse conto di ciò che era successo nelle città di confine e inviasse forze sufficienti per combattere i terroristi.
  Ai fallimenti operativi si è aggiunto un ancor più grave fallimento dell'intelligence, a partire dal sotterfugio perpetrato per diversi anni da Hamas, che ha convinto Israele di non essere alla ricerca di un conflitto e che, al contrario, era disposto a mantenere la calma, pur mantenendo discretamente i contatti con Israele.
Il ministro della Difesa Benny Gantz fotografato accanto alla barriera appena completata sopra e sotto il confine con la Striscia di Gaza
Secondo il NYT, ciò ha portato a una mancanza di sorveglianza di alcuni canali di comunicazione chiave di Hamas, basata sulla fiducia iniziale riposta nei leader di Hamas che hanno ripetuto più e più volte - su canali che sapevano essere ascoltati dagli israeliani - di non volere un conflitto aperto. Fino al giorno dell'attacco, l'establishment della sicurezza israeliana era convinto che Hamas non avrebbe corso alcun rischio, quindi l'invasione è stata una sorpresa totale per le guardie di frontiera.
"Una trentina" di palestinesi armati hanno rapidamente preso il controllo della base militare, che hanno tenuto per sette ore, ha analizzato la soldatessa, identificata con l'iniziale ebraica del suo nome "Yud", per il Dodicesimo Canale.
  I razzi sono piovuti per un'ora e i soldati hanno cercato di nascondersi mentre i terroristi invadevano la base.
  "Sono corso a piedi nudi verso il rifugio antiaereo. Dopo un'ora abbiamo sentito delle voci che parlavano in arabo. A quel punto hanno iniziato a sparare dall'ingresso".
  I terroristi hanno lanciato granate contro i soldati riuniti", racconta Yud, che è riuscito a nascondersi in una piccola stanza con altri compagni.
  Fino a quando un'unità d'élite dell'esercito israeliano non ha preso il controllo della base, "per ore la base era diventata un campo di Hamas".
   Yud racconta che l'esercito si era preparato a vari scenari, come l'infiltrazione di una manciata di uomini armati, una ventina al massimo, ma "non avrei mai immaginato che un giorno avrebbero preso d'assalto una base militare".

• GLI ATTACCHI DEI CECCHINI
Palestinesi prendono il controllo di un carro armato israeliano dopo aver attraversato la barriera di confine con Israele
All'inizio dell'attacco, i cecchini hanno "sparato contro i posti di osservazione" sparsi lungo la barriera di 65 chilometri, ha dichiarato all'AFP un portavoce dell'esercito israeliano.
Un'altra soldatessa, di stanza in un posto di osservazione nella base di Kissufim, ha riferito che i palestinesi armati "hanno sparato contro... le telecamere di osservazione, privandoci delle immagini".
La soldatessa, identificata con il suo nome di battesimo, "Lamed", ha raccontato a Twelfth Channel che è stato allora che sono cominciate ad arrivare notizie di un'incursione di orde di terroristi, "qualcosa di folle".
  Mentre la sua base militare veniva attaccata, "ci è stato detto che la nostra unica possibilità di sopravvivenza era quella di... correre al riparo".

• UN CLAMOROSO FALLIMENTO
Terroristi palestinesi di ritorno nella Striscia di Gaza con il corpo di quello che sembra essere un soldato israeliano,
L’attacco che ne è seguito è stato il peggiore nei 75 anni di storia di Israele e ha portato alla rappresaglia su Gaza e a una guerra che potrebbe durare a lungo.
Hamas ha continuato a far piovere razzi sul sud e sul centro di Israele, uccidendo e ferendo più persone che mai.
l Ministero della Sanità di Gaza, controllato da Hamas, ha dichiarato che più di 950 persone sono state uccise nell'enclave palestinese durante le rappresaglie israeliane.
Israele sostiene di colpire le infrastrutture terroristiche e, più in generale, tutte le aree in cui Hamas opera o si nasconde.
  L'esercito israeliano ha anche affermato di aver ucciso circa 1.500 terroristi sul suo territorio dall'inizio dell'infiltrazione.
  Come altri funzionari israeliani, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha promesso che Hamas non sarà mai più in grado di attaccare Israele, aggiungendo che l'annientamento del gruppo terroristico è essenziale per il futuro del Paese. Come il presidente statunitense Joe Biden, Netanyahu ha paragonato le atrocità di sabato contro i civili israeliani alle azioni dello Stato Islamico.
  "Questo è un enorme fallimento del sistema di intelligence e dell'apparato militare del sud", ha dichiarato il generale in pensione Yaakov Amidror, ex consigliere per la sicurezza nazionale.
  I sopravvissuti agli attacchi alle comunità vicine alla barriera di sicurezza con Gaza sono molto scioccati dal fallimento degli accordi di sicurezza.
   Inbal Reich Alon, 58 anni, residente nel kibbutz Beeri, racconta che anni fa, "dopo l'installazione della recinzione, ci sentivamo al sicuro".
   Ma, dice, "era un'illusione".

(Times of Israël, 11 ottobre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


Hamas uccide 40 bambini israeliani nel kibbutz di Kfar Aza, alcuni decapitati

di David Spagnoletto

Hamas ha deciso di identificarsi con il Male Assoluto, che ha preso forma e sostanza nel kibbutz di Kfar Aza, a pochi chilometri dalla Striscia di Gaza: 40 bambini uccisi a sangue freddo, alcuni dei quali, anche neonati, sono stati decapitati. Negare che la guerra sia il motore del mondo sarebbe un inutile esercizio di retorica e falso perbenismo. E soprattutto sarebbe inutile.
 Ma se l’uccisione fra eserciti nemici rientra nel campo dell’abitudine e della tollerabilità, lo stesso non può dirsi di quella indiscriminata di civili.
 Non possiamo e non dobbiamo farlo, perché perderemmo quel briciolo di umanità che ci è rimasta. Superare questo limite significherebbe non avere alcuna possibilità di ritorno o ritrattazione.
 Come ha sottolineato la premier Giorgia Meloni, andare casa per casa e deportare intere famiglie è un atto di puro odio. La rivendicazione territoriale è una giustificazione che ha solo note stonate, nonostante nei talkshow e approfondimenti sulle tv italiane si voglia far credere il contrario.
 I particolari del massacro del kibbutz di Kfar Aza erano circolati nelle chat di WhatsApp ieri mattina. Personalmente ero stato informato da un caro amico che vive a Tel Aviv. Mi diceva che aveva appena visto un video realizzato da un miliziano di Hamas mentre uccide un cane che era a spasso con una bambina. Alle parole “ti lascio immaginare cosa abbia fatto poi alla bambina”, ho chiesto di non proseguire il racconto.
 In questi giorni concitati e pieni di angoscia, avevamo deciso di soffermarci sui motivi per cui in Italia non si parlasse di questa atrocità nell’atrocità.
 Il tempo di andare a prendere mia figlia di tre anni all’asilo e tutto era cambiato. Le edizioni online dei nostri quotidiani raccontavano la barbara uccisione di 40 bambini da parte di Hamas nell’attacco nel kibbutz di Kfar Aza, alcuni dei quali decapitati, anche neonati.
 È sconvolgente dover scrivere che la vita di bambini e neonati non debba rientrare nei discorsi di rivendicazione politica, territoriale e religiosa.
 È sconvolgente dover scrivere e parlare della vita di un bambino, come fosse un capo di Stato, un leader politico o un generale.
 È sconvolgente che dopo le decapitazioni dei bambini e neonati, nonché l’uccisione di cani, ci siano ancora tante persone che appoggino l’azione di Hamas.
 La spiegazione possibile è solo una: volete la distruzione di Israele e di tutto il popolo ebraico.

(Progetto Dreyfus, 11 ottobre 2023)

........................................................


Sono 260 i giovani massacrati da Hamas al festival Nature Party e i familiari dei rapiti 

di Pietro Baragiola

Musica e danze hanno lasciato il posto a spari e tragedia la mattina di sabato 7 ottobre al Nature Party, il festival di musica elettronica nel deserto del Negev, vicino al kibbutz Re’im, non lontano dalla Striscia di Gaza.
   Il rave, iniziato la sera di venerdì e durato tutta la notte, era stato organizzato per celebrare la festività di Sukkot, una delle ricorrenze religiose più importanti nel mondo ebraico, e invece si è trasformato in un massacro: al sorgere dell’alba diversi terroristi di Hamas hanno usato parapendii a motore per infiltrarsi in Israele e massacrare a colpi di arma da fuoco i civili presenti.
   Gli organi di sicurezza hanno confermato che, durante questo attacco, hanno perso la vita almeno 260 persone mentre decine sono state catturate ed esposte in maniera crudele dai terroristi nei diversi video condivisi online.
   “Un bilancio di vittime che è destinato a crescere man mano che proseguono le ricerche” ha affermato un portavoce della organizzazione rabbinica ZAKA, responsabile del recupero dei cadaveri nelle aree colpite da attentati e altre calamità.
   Delle migliaia di partecipanti al festival sono ancora numerosi i dispersi e questo ha portato molti genitori e familiari a rivolgere un appello disperato agli organi di governo per avere delle risposte sul destino dei loro cari.

• LA STRAGE DI HAMAS
  Il rave di Sukkot o “Nature Party” quest’anno ha accolto oltre 3000 partecipanti tra i 20 e i 40 anni nel deserto. Il festival è iniziato venerdì 6 ottobre verso le 23, dando il via alle danze di migliaia di giovani strepitanti di celebrare la festa delle capanne, ballando tra i diversi gazebo montati apposta per l’evento.
   La gioia della festività è stata però interrotta bruscamente alle 6:30 di mattina, quando i partecipanti hanno sentito i boati di migliaia di razzi partiti da Gaza che sfrecciavano nel cielo sopra di loro (il festival si trovava a poco più di 3 chilometri dal confine). È scoppiato così il caos generale e, nonostante i tentativi dello speaker dell’evento di invitare i partecipanti a non andare in preda al panico, i giovani si sono lanciati di corsa verso le loro auto per scappare da quell’inferno.
   Il volo dei razzi è stato subito accompagnato dall’arrivo di decine di miliziani di Hamas che, senza la minima esitazione, hanno aperto il fuoco sulla folla in fuga. Molti giovani, non trovando un mezzo per scappare, sono fuggiti nel deserto dove diversi di loro sono stati uccisi o presi in ostaggio dai jihadisti.
   Il Nature Party è stato solo uno dei numerosi luoghi colpiti sabato mattina da quello che è stato considerato l’assalto più coordinato e letale della storia di Israele da parte dei terroristi di Hamas nelle comunità di confine: almeno 1000 persone sono state uccise in 22 località, tra cui comunità agricole e una città a 24 chilometri dalla frontiera.
   Alcuni dei civili dispersi sono stati ritrovati e soccorsi solo 30 ore dopo l’assalto e le loro testimonianze riportano scene di una brutalità inaudita.

• LE TESTIMONIANZE DEI SOPRAVVISSUTI
  “Non sapevamo dove nasconderci perché eravamo totalmente esposti, in mezzo al deserto” così racconta la sopravvissuta Tal Gibly all’emittente televisiva americana CNN. Un video girato dalla ragazza fa sentire i boati delle esplosioni che si avvicinano sempre di più all’area del festival mentre, ai primi spari, diverse persone iniziano a cadere a terra (non è chiaro se siano state colpite o se invece si siano buttate a terra nel tentativo di ripararsi dai proiettili). Gibly ha raccontato che, fortunatamente, è riuscita a salire su un’auto di passaggio ma le strade erano intasate perché, a meno di due miglia di distanza, i miliziani di Gaza avevano iniziato ad attaccare anche i carrarmati e i soldati israeliani.
   “È stato davvero terrificante. Non sapevamo dove andare per non incontrare quegli esseri spietati” ha spiegato Gibly, ancora terrorizzata dalla vicenda. “Ho molti amici che si sono persi nella foresta per diverse ore e sono stati colpiti come fossero bersagli al poligono”.
   In queste ultime ore i siti e i giornali di tutto il mondo stanno riportando le testimonianze agghiaccianti di chi è riuscito per miracolo a sfuggire al massacro del Nature Party.
   Molti giovani si sono nascosti nei frutteti, tra gli alberi o nei cespugli e c’è persino chi ha finto di essere morto. Esther Borochov ha raccontato alla rivista britannica Reuters che cinque uomini armati hanno iniziato a sparare contro la sua auto, costringendola a fuggire a piedi finché un altro automobilista non l’ha presa a bordo. Purtroppo, subito dopo, l’uomo è stato colpito a bruciapelo e il veicolo è finito in una buca. Così Esther e una sua amica si sono finte morte per due ore accanto al corpo del conducente per evitare di essere scoperte dai miliziani fino a quando non sono state portate in salvo dall’esercito israeliano.
   Anche Gili Yoskovich ha atteso immobile l’arrivo dei soccorsi, nascosta per tre ore in un frutteto mentre i miliziani di Hamas proseguivano con il loro massacro. “Passeggiavano da albero ad albero e sparavano. Vedevo gente morire ovunque ma sono rimasta in silenzio, non ho pianto e non mi sono mossa per tre ore intere”, ha raccontato Yoskovich alla rete britannica BBC.
   Secondo un rapporto del sito israeliano Ynet, i feriti sono stati evacuati in diversi ospedali del sud come il Barzilai Medical Center di Ashkelon. Sono ancora molti però i giovani che risultano dispersi e i video sui social mostrano la cattura di diversi di loro da parte dei miliziani di Hamas.

• L’APPELLO DELLE FAMIGLIE
  Un video diventato virale mostra una donna israeliana, Noa Argamani, e il suo fidanzato, Avinatan Or, mentre vengono rapiti. Nel filmato si vede Argamani che viene presa dai miliziani mentre cerca di rimanere aggrappata alla moto del compagno tra urla di disperazione e grida d’aiuto.
   Moshe Or, il fratello di Avinatan, ha rilasciato un’intervista alla CNN dopo aver visto il video: “Mio fratello è un ragazzo alto due metri, si allena quattro volte a settimana ed è molto forte ma neanche lui è riuscito a fermare quei criminali. Lo hanno trattenuto in quattro o cinque e hanno portato lui e Noa oltre la Striscia”.
   Sconvolgenti sono anche le immagini del rapimento di Shani Louk, la 30enne tatuatrice tedesca-israeliana, il cui corpo privo di sensi è stato trasportato dai terroristi come trofeo su un pick-up. Il video che la ritrae è di una violenza inaudita e mostra Shani seminuda, con le gambe spezzate mentre uno dei miliziani le sputa sulla testa e un altro le tiene i capelli urlando “Allahu Akbar (Dio è grande)”, in segno di vittoria.
   Diversi sostenitori di Hamas hanno falsamente affermato che il corpo martoriato appartiene ad un soldato israeliano ma quando la madre di Shani, Ricarda Louk, ha visto il filmato ha riconosciuto subito la figlia per via del tatuaggio su una delle sue gambe. Servendosi dei social, Ricarda, che vive a Israele, ha condiviso un video-appello nel quale mostra la foto della ragazza: “Mia figlia, Shani Nicole, cittadina tedesca è stata rapita da Hamas mentre partecipava con un gruppo di turisti a una festa nel sud di Israele. Mi è stato inviato un video dove ho potuto riconoscere mia figlia in un’automobile, priva di coscienza, mentre attraversava le strade di Gaza insieme a un gruppo di palestinesi. Vi chiedo di inviarci qualsiasi aiuto o notizia. Vi ringrazio molto”. Al momento non si hanno ancora notizie sulle condizioni di Shani e nessuno sa dove si trovi.
   Tra le vittime che si teme siano state rapite o uccise molte provengono da Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Thailandia, Messico, Nepal e da altri paesi. Anche i genitori del 23enne americano-israeliano Hersh Goldberg-Polin stanno cercando disperatamente il figlio che, come dichiarato durante un’intervista al Jerusalem Post, è scomparso dopo aver mandato loro due brevi messaggi alle 8:11 di sabato mattina: “Vi amo” e “Mi dispiace”.
   I familiari delle persone scomparse hanno dichiarato di sentirsi abbandonati dalle autorità e molti non sono stati contattati dai funzionari neanche una volta. “È una situazione assurda. Chiediamo a questo governo di darci delle risposte anche se sappiamo che non saranno tutte risposte felici” ha dichiarato Uri David, le cui due figlie sono scomparse nell’attacco di sabato.
   Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno risposto a queste accusa dichiarando di aver creato una situation room per concentrarsi sulla raccolta di informazioni accurate riguardanti gli ostaggi israeliani che, secondo le dichiarazioni di Hamas e della Jihad islamica, sono più di 130.
   Il governo israeliano inoltre si è mobilitato scegliendo il generale di brigata Gal Hirsch come referente per risolvere la situazione dei cittadini scomparsi. Nelle ultime ore, l’IDF ha dichiarato che un’unità di comando navale d’élite ha catturato Muhammad Abu Ghali, il vice comandante della forza navale di Hamas a Gaza, che potrebbe essere usato come merce di scambio nelle trattative per il rilascio dei prigionieri. Al momento però sia Hamas che Israele negano la presenza di trattative di questo tipo.

(Bet Magazine Mosaico, 11 ottobre 2023)

........................................................


Una testimone racconta: “Gerusalemme è spaventata, ma c’è tanta solidarietà tra gli abitanti”

Gerusalemme, non abituata a essere colpita dagli attacchi palestinesi è spaventata, ma i suoi abitanti hanno annullato tutte le differenze sociali ed economiche e hanno messo in piedi una rete di solidarietà per aiutare chi ha bisogno di tutto, ma anche per consegnare il cibo ai negozi rimasti vuoti dopo che la manodopera araba non ha più potuto lavorare in seguito agli attacchi di Hamas di sabato scorso. A raccontarlo a Nova è Stefania, nome di fantasia, che ha chiesto di mantenere l’anonimato. “Vivo a Gerusalemme e ho tre figli, due sono in Israele e uno a Milano. Io sono venuta qui a trovarlo”. Dell’attacco Stefania è venuta a saperlo da “Red Alert”, una app per smartphone che segnala in tempo reale il lancio di missili verso il territorio israeliano con un allarme sonoro per ciascun razzo lanciato. “Sabato mattina mi sono svegliata con una pioggia di allarmi tale che ho pensato si fosse incantata l’applicazione, quindi ho preso il telefono, ho guardato le notizie e da quel momento è cambiato tutto: sono a casa con due cellulari, il computer, le notizie in Israele, le notizie da qua, perché è vero che qui sono a casa, ma la usa mio figlio non la sento più casa mia, vorrei tornare ad aiutare”.
  Il terribile “salto di qualità” da parte dei terroristi di Hamas è rappresentato non solo dalle incursioni nei Kibbutz, dalla quantità di persone sequestrate, dagli efferati omicidi di donne e bambini e dalla quantità di missili, ma anche da un obiettivo come Gerusalemme, in precedenza quasi sempre risparmiata dal lancio dei razzi palestinesi. Stefania racconta invece di avere “un’amica a Gerusalemme e uno dei missili che l’altro ieri è caduto le ha sventrato la casa. Di solito Gerusalemme non veniva mai colpita nelle occasioni precedenti e infatti tutti mi dicevano ‘tu sei a Gerusalemme, sei tranquilla perché lì non succede niente perché ci sono tanti arabi e moschee’. Qui però siamo su un livello che non si è mai visto, senza precedenti, dove, secondo me, non c’è il pensiero da parte loro su ‘colpire i miei o i tuoi’, colpiscono e basta”.
  Gerusalemme è particolarmente “spaventata i negozi sono chiusi, così come le scuole e le persone con cui parlo mi dicono che ci si affaccia alla finestra e c’è un silenzio di morte, si vedono solo ragazzi che escono da casa in divisa, riservisti che sono richiamati, non vedono altro”. I figli di Stefania non sono stati richiamati tra i riservisti per questioni di età, anche se sono giovani “ma per loro sono troppo vecchi”, però “tutti i miei amici hanno figli che sono stati richiamati e, comunque, anche quelli non richiamati, come i miei figli, hanno creato dei gruppi di sostegno per le popolazioni colpite. Gli sfollati hanno lasciato le loro case come si trovavano, molti in pigiama senza documenti, senza cibo, senza soldi e cambi di vestiti, per cui hanno bisogno di tutto, di cibo come di qualcuno che gli rifaccia la carta d’identità. Difatti mia figlia mi ha detto ieri che il ministero dell’interno ha fatto delle unità mobili che vanno da queste persone per rifare la carta d’identità, almeno per avere un documento”. Una rete di solidarietà che non parte solo dalle istituzioni, appunto, ma soprattutto dai cittadini: “Si è creata una rete di solidarietà pazzesca. Ogni volta che c’è un conflitto o una crisi in Israele c’è una grande solidarietà, non ci sono più destra e sinistra, poveri o ricchi religiosi o atei, si fa un momento ‘arimo’ che unisce tutti”.
  Passata l’emergenza tutti tornano a dividersi come prima. Divisioni che, però, non impediscono la convivenza tra ebrei e arabi. “Malgrado quello che qualcuno dice – sottolinea Stefania – la convivenza c’è, il problema è che quando succedono cose così chiudono i valichi, quindi i supermercati sono vuoti, ma non sono vuoti perché non c’è da mangiare, bisogna anche interpretare le cose. È vero gli scaffali ora sono vuoti, ma molta manodopera tipo magazzinieri e camionisti che lavorano per i supermercati sono arabi che, in questo momento non lavorano, non possono venire nelle città, quindi negozi e supermercati non hanno magazzinieri e non hanno autisti”. E infatti nella rete di solidarietà “ho sentito che ci sono anche ingegneri, avvocati e liberi professionisti che si sono tirati su le maniche e sono andati a fare i magazzinieri al supermercato piuttosto che gli autisti per portare il cibo”, conclude Stefania.

(Nova News, 11 ottobre 2023)

........................................................


“Nella mia enclave al confine col Libano. Tra poco la guerra arriverà anche qui”

Intervista a Luciano Assin. L’italiano vive nel kibbutz Sasa: “Hezbollah sta testando la pazienza di Israele”

di Fausto Biloslavo

Luciano Assin, milanese di nascita, 66 anni, vive nel kibbutz di Sasa, in Alta Galilea, a un passo dal confine con il Libano. I conflitti dal 1982 li ha visti tutti e risponde, via telefono al Giornale, con calma olimpica.

- Come vive la nuova guerra?
  «Questa è peggiore delle altre. Prima di tutto per le perdite. Se parliamo di 11 settembre israeliano abbiamo avuto più di mille vittime in un Paese di 10 milioni di abitanti. In proporzione sarebbero 10-12mila morti in un solo giorno in Italia».

- In uno dei kibbutz attaccati da Gaza hanno decapitato dei neonati. Immaginava tanto orrore?
  «Basta guardare i canali Telegram palestinesi per rendersi conto di questa realtà orrenda. È inconcepibile per il mondo occidentale, ma purtroppo fa parte del Medio Oriente. Non è molto diverso dalle nefandezze dell’Isis».

- Cosa si aspetta?
  «Questa è una manovra sicuramente coordinata. Teheran è il regista e gli attori sono Hamas ed Hezbollah. Vuol dire che esiste una seria possibilità che si apra un secondo fronte al nord, al confine con il Libano».

- Teme anche altri fronti?
  «In Siria vicino al confine con il Golan esiste una forza paramilitare addestrata da Hezbollah con l’arsenale che arriva direttamente dall’Iran».

- Negli ultimi due giorni ci sono stati lanci di razzi e infiltrazioni dal Libano. Peggiorerà?
  «Sono le prove generali. Serve a tastare la reazione israeliana. Scaramucce da cui Hezbollah prende le distanze dicendo che sono palestinesi, ma li fanno passare».

- I caschi blu non dovrebbero fare da cuscinetto?
  «Nel settore ovest, da dove sono arrivati i terroristi intercettati, ci sono proprio i caschi blu italiani. È una presenza di facciata. Anche se passasse davanti al naso una colonna piena di armi per Hezbollah non sarebbero in grado di fermarla e requisire tutto. Questa volta Hezbollah punterà a un’invasione. Da tempo hanno scavato gallerie per penetrare con forze di terra come dalla Striscia di Gaza. Israele, come deterrente, ha già chiarito che reagirà attaccando tutto il Libano».

- Come vi preparate al peggio?
  «Superata una determinata soglia di allarme scatta l’evacuazione di donne, bambini e anziani. In linea d’aria siamo ad un chilometro e mezzo dal confine. Abbiamo una forza di pronto intervento, ma ci si difende in attesa che arrivino i rinforzi dell’esercito».

- Con Gaza cosa bisogna fare?
  «L’opinione pubblica è convinta che bisogna arrivare al ko. Ovvero alla conquista completa della striscia di Gaza tagliando la testa del vertice di Hamas».

- E gli ostaggi israeliani?
  «Sono l’assicurazione sulla vita di Hamas. Forse ci sarà un accordo simbolico per uno scambio di donne e bambini con le recluse palestinesi. Ma non esiste alternativa all’operazione via terra».

(il Giornale, 11 ottobre 2023)

........................................................


Che cosa cambia nella strategia del Medio Oriente con l’aggressione di Hezbollah

Intervista a Danny Orbach

di Ugo Volli

Per avere uno sguardo approfondito e competente sulla situazione strategica di Israele Shalom ha sentito il prof. Danny Orbach, storico militare dell’Università Ebraica di Gerusalemme. Orbach si è laureato in Storia presso l'Università di Tel Aviv e ha conseguito il Ph.D. in Storia a Harvard. Ha pubblicato lavori sulla storia tedesca, giapponese, cinese, israeliana e mediorientale, concentrandosi particolarmente sui temi legati alla resistenza militare, alla disobbedienza civile, alle ribellioni e agli omicidi politici. Presso Bollati Boringhieri è uscito Uccidere Hitler. La storia dei complotti tedeschi contro il Führer (2016).

Professor Orbach, come vede la situazione militare di Israele in questo momento?
  Bisogna partire dal fatto che il panorama del Medio Oriente è molto cambiato dopo il tentato genocidio compiuto nei giorni scorsi da Hamas. Bisogna chiamarlo proprio così, genocidio, perché questa è la sua natura. Ora Israele non può più pensare di convivere con Hamas, come si illudeva di poter fare. Non possiamo più avere a fianco un regime genocida, dobbiamo eliminarlo. Oggi il nostro compito è questo e Israele sta lavorando per questo scopo. Ma dobbiamo tener presente che non c’è solo la striscia di Gaza. Abbiamo a nord Hezbollah, che è meglio armato e organizzato di Hamas. Dobbiamo cercare di evitare che si apra un secondo fronte dal Libano e che altri israeliani siano massacrati. Sarebbe un altro shock intollerabile. E dobbiamo stare attenti alla Siria, alle organizzazioni terroristiche nei territori dell’Autorità Palestinese, alla possibilità di sommosse da parte degli estremisti fra gli Arabi Israeliani. Per fortuna per il momento non ci sono segnali di attività di questi possibili fronti. Si sono viste al contrario manifestazione di simpatia degli arabi israeliani nei confronti delle nostre forze armate, forse anche perché fra le vittime di Hamas vi sono diversi arabi. Il singolo fattore più importante però è stata la scelta del Presidente Biden di darci concretamente appoggio con una portaerei nelle nostre acque, che rende concreto il suo ammonimento a Siria e Hezbollah perché non si uniscano all’aggressione. Io credo che nei prossimi anni ci dovranno essere in Israele strade e piazze dedicate a Biden.

Torniamo allo scontro con Hamas. Che cosa farà ora Israele? Deve entrare a Gaza?
  Non possiamo convivere con Hamas, non possiamo permettere che l’organizzazione continui a controllare Gaza. Per ottenere questo scopo i bombardamenti non bastano. Dobbiamo entrare a Gaza e tenerla per un po’. Naturalmente chi ha programmato l’aggressione sapeva benissimo che avremmo dovuto reagire in questo modo e ha certamente preparato delle sorprese contro i nostri soldati. Non è mio compito dire come, ma io credo che noi dobbiamo entrare a Gaza evitando questa trappola, dobbiamo essere capaci di sorprenderli a nostra volta. Per ora è importantissimo l’assedio totale di Gaza che è stato proclamato. Non deve entrare a Gaza elettricità, carburante, cibo, acqua. Questo ci consente di fare su Hamas maggior pressione di quella che infligge a noi. Ci saranno forti pressioni per allentare il blocco, si invocheranno ragioni umanitarie. Hamas si riserva il diritto di ammazzare tutti i civili che trova, ma poi si nasconde dietro ai suoi civili e avanza ragioni umanitarie. Voglio dire ai lettori di Shalom, possibilmente a tutti gli italiani e agli europei che bisogna resistere a questi tentativi di sfruttare le ragioni umanitarie, bisogna tenere la pressione su Hamas. Questo è oggi il compito degli amici di Israele e di chi ha capito che cos’è accaduto.

Questo quadro mostra un rovesciamento della strategia israeliana nei confronti di Hamas?
  Sì. Per molto tempo noi abbiamo pensato che la presenza di Hamas a Gaza fosse un vantaggio, perché divideva il fronte palestinese e lo indeboliva. Ci siamo illusi che Hamas potesse essere un pericolo minore, con cui si poteva trattare e fare compromessi. Oggi questa strategia è crollata. Non possiamo più accettare l’esistenza di Hamas e distruggeremo l’organizzazione. Ciò comporta in prospettiva una riunificazione dei palestinesi, il che da un lato è una buona notizia per loro, dall’altro una cattiva, perché anche chi è moderato come me non potrà più accettare che i palestinesi abbiano autogoverno senza controllo e responsabilità. Dovremo impegnarci a rifondare una leadership accettabile per tutta la popolazione palestinese. Per farlo non dobbiamo farci prendere dal feticismo delle elezioni. Abbiamo visto che Hamas ha preso potere proprio dalle sole elezioni tenute dall’Autorità Palestinese, una ventina d’anni fa. Bisogna che nasca una leadership capace di garantire innanzitutto legge e ordine, la fine del terrorismo, una crescita economica e che vada verso la democrazia prendendo il tempo che ci vuole.

Ma l’Iran accetterà questi sviluppi? Non ha previsto di intervenire o almeno di coinvolgere Hezbollah?
  Non lo sappiamo. Secondo me il loro piano è costruito in modo da adattarsi alle circostanze. Se vedranno una possibilità di successo, se saremo deboli, interverranno. Se manterremo la nostra deterrenza resteranno fermi. Per questa ragione l’intervento americano è importantissimo.

Alcuni vedono dietro l’Iran la mano della Russia e parlano di una possibile guerra mondiale.
  Le guerre mondiali non nascono come tali. Quando nel 1939 la Germania nazista invase la Polonia e fu contrastata da Francia e Inghilterra quella era una guerra locale, europea. Nel 1941 il conflitto europeo si allargò a Est all’Unione Sovietica e si fuse con quello fra Usa e Giappone. Allora diventò mondiale. Oggi è lo stesso, abbiamo una guerra per ora fredda fra Cina e Taiwan, una calda con l’invasione russa dell’Ucraina e una a lungo controllata che è esplosa in questi giorni in Medio Oriente. Il rischio che si uniscano in una grande fiammata c’è. E l’elemento che può unificarle è l’Iran.

(Shalom, 11 ottobre 2023)

........................................................


Israele compatto: governo di unità nazionale. Il generale Hirsch alla ricerca di ostaggi

di Fiamma Nirenstein

Stamani alle 11,30 a Tel Aviv, al ministero della Difesa, verrà annunciato che Israele si rimbocca le maniche, forma un governo di coalizione con un gabinetto di guerra cui tutti partiti, salvo sorprese, parteciperanno. Netanyahu l'ha spiegato ieri sera con un drammatico comunicato denunciando non solo l'eccezionale gravità di quello che Israele ha attraversato, ma disegnando un vasto scenario di guerra in cui l'organizzazione terrorista deve essere annullata, e «ricorderà quel che ha fatto per molti anni». Ma ha accennato anche al riscaldamento del fronte con gli Hezbollah, e anche al fatto che gli Stati Uniti agiscono in queste ore con solidarietà armata verso Israele.
   È il segnale che questa che si sta combattendo è una battaglia per la sopravvivenza: non solo di Israele, ma di tutto il mondo civile come lo conosciamo. Israele affronta da 75 ani il suo difficile destino per garantire che nessuno possa mai più sognarsi di fare degli ebrei un popolo minacciato di morte; rappresenta la vittoria del mondo civile sul nazismo dopo la Shoah. Israele vive, per far sì che il popolo ebraico possa dopo secoli di oppressione usare la sua creatività, sviluppare scienza e cultura in pace, vivere. Non essere perseguitati, ammazzati. Tutto ciò è scosso alle fondamenta in queste ore: è la prima volta, dai tempi della Shoah, che in un solo giorno il popolo ebraico vede l'attacco, il pogrom, la deportazione, l'uccisione selvaggia, la mutilazione di tanti cittadini uno a uno, solo perché ebrei. Proprio come ai tempi delle persecuzioni nazifasciste.
   Anche alla sua fondazione Israele ebbe alcuni giorni di sconfitta: nel 1948 nel Gush Etzion, gli ebrei subirono una strage di 250 persone. Il veloce recupero ha consentito di fondare lo Stato. Adesso, come può recuperare Israele quasi mille morti e tremila feriti in un giorno? Come può restituire non solo sicurezza ai cittadini, ma anche dare al mondo la certezza che Israele è un investimento sicuro in stabilità, scienza, forza?
   Fra le lacrime la gente chiede dove erano gli elicotteri quando i terroristi giravano liberamente sui prati dei kibbutz. Perché non gli hanno sparato? Dove erano le forze militari e di polizia per i ragazzi in fuga dal party, decimati in ore di caccia mostruosa? Il numero dei morti e dei rapiti racconta una storia irraccontabile per lo Stato di Israele, Tzahal, le forze aeree e di sicurezza. E dall'altra parte, l'inestinguibile sete di sangue ebraico da parte dei vicini cui nel 2005 si è consegnata la Striscia, usata poi per costruire missili e attentati.
   «Ciò che è stato, non esisterà», ha detto Netnayahu. La strada evidente è distruggere Hamas, pagando il prezzo di un sempre esecrato ingresso di terra, sanguinoso e impopolare all'estero. Ma i rapiti? La disperazione delle famiglie è stata onorata con la nomina di un responsabile per la loro sorte di altissimo profilo come il brigadiere generale Gal Hirsch: ma è chiaro che l'importanza sempre attribuita da Israele a ogni ostaggio qui si scontra con una realtà che invoca una soluzione definitiva. Si dovranno chiudere i passaggi, distruggere le gallerie, i depositi di armi piazzati fra le case, i centri di Hamas. Israele deve fermare Hamas che ancora spara missili e manda terroristi. Da Nord Hezbollah si è fatto sentire forte: l'Iran è sullo sfondo e anche nel futuro di questa guerra, ancora decide se giocare tutta la partita.. Se Israele non esce da questa situazione con un messaggio che stabilisca la fine di Hamas e obliteri la trama con Iran e Hezbollah, avremo un fronte di guerra mondiale.
   Israele è cruciale come l'Ucraina. Al consiglio di sicurezza la Russia ha bloccato la condanna di Hamas. Tzahal non può che entrare a tutta forza, distruggere le strutture di comando di Hamas, insegnando al mondo che uccidere gli ebrei oggi non si può. Hamas deve essere obliterata prima che si aprano altri fronti. Il fronte interno si spaccherà sulla trattativa che in queste ore è in mano all'Egitto, ma è chiaro che il primo imperativo è spodestare Sinwar, Hanye, Deif. Al mondo, la grande sfida di ricordare la barbarie cui ha assistito e attribuirla alla sua propria malattia che gli è stata quasi mortale: l'antisemitismo.

(il Giornale, 10 ottobre 2023)

........................................................


Israele mobilita

Israele si prepara ad attaccare la Striscia di Gaza.
Trecentomila i riservisti richiamati anche dall'estero, la più grande mobilitazione dal 1948. "Il sangue dei miei fratelli è stato versato in un modo inumano, perché solo esseri non umani si comportano così. Ci siamo presentati in tanti, qui in Israele, e molti non avevano nemmeno l'obbligo di farlo. Ma siamo di fronte a un lutto enorme, un lutto profondo che non riguarda solo Israele ma l'intero popolo ebraico", dice al Corriere della Sera un giovane ebreo romano con doppia nazionalità.
Da Roma è in partenza anche la 22enne Noa Rakel Perugia, riservista in servizio attivo. “È mio dovere partire, anche se qui sono preoccupati e lo è la mia famiglia”, spiega al Messaggero. “Ho fatto il liceo scientifico a Roma, nella scuola ebraica Renzo Levi. Dormivo a casa dei miei genitori quando alle 5 del mattino di Shabbat, giorno di festa per noi, zia ci ha telefonato. Lei ha tre figli e il maschio è un ufficiale della fanteria, subito richiamato al fronte”. Due cittadini italo-israeliani, Lilach Clea Havron ed Eviatar Moshe Kisnis, risultano intanto dispersi. Si trovavano nel kibbutz Be'eri. "La nostra ambasciata, il nostro consolato e l'Unità di crisi della Farnesina sono al lavoro. Speriamo di ritrovarli, ma in questo momento non abbiamo altre notizie: è probabile che siano stati presi in ostaggio", ha dichiarato al Tg1 il ministero degli Esteri Antonio Tajani, che oggi riferirà in Parlamento.
Terribile la minaccia proferita da uno dei portavoce di Hamas: "A partire da questo momento, qualsiasi attacco contro il nostro popolo nella sicurezza delle proprie case, senza preavviso, sarà affrontato con l'esecuzione di uno degli ostaggi civili che abbiamo in custodia, che sarà trasmessa in video e audio".

(moked, 10 ottobre 2023)
____________________

E' legittima "resistenza", quella di Hamas? C'è qualcuno che ripete il mantra Due stati per due popoli che vivano l'uno accanto all'altro in pace e sicurezza? M.C.

........................................................


Israele: i soccorsi di United Hatzalah sul campo di guerra

Intervista al referente Raphael Poch

FOTO 1
FOTO 2
FOTO 3
United Hatzalah è un'organizzazione no-profit israeliana che opera su basa volontaria come Servizio Medico di Emergenza (EMS) in tutto il Paese. Addestrata a muoversi in scenari critici, fornisce servizio di pronto soccorso e funge da collante con gli ospedali. Da sabato mattina lavora incessantemente per aiutare civili e soldati impegnati nella guerra che Hamas ha scatenato contro Israele.
   “La situazione è tesa e la gente in ansia, mentre il Paese cerca di fornire una risposta congiunta all’attacco - spiega a Shalom Raphael Poch, referente di United Hatzalah - I nostri soccorritori sono ai confini del Paese. Abbiamo allestito cliniche mediche e stiamo lavorando congiuntamente alle unità dell’esercito per trasportare i feriti negli Ospedali con ambulanze ed elicotteri”.
   I terroristi hanno assaltato villaggi e città con sparatorie e incursioni, mentre dal cielo piovevano continuamente i razzi che l’Iron Dome cercava di intercettare. Anche i residenti si mobilitano per aiutare, chi facendo la spesa e chi donando il sangue, ma anche alcuni di loro hanno bisogno di aiuti. “Cerchiamo di soccorrere tutti, portando cibo e acqua ai civili, ma soprattutto ai soldati. Andiamo porta a porta per assicurarci che le persone abbiano tutto ciò di cui hanno bisogno”.
   Continui team di medici e infermieri sono schierati nelle zone rosse. L’allerta è scattata subito anche per United Hatzalah, che ha risposto al proprio dovere con tutti i rischi annessi. “Per salvare la vita di un poliziotto, un nostro volontario ha subito due ferite da arma da fuoco: una al ginocchio e una alla testa. È stato salvato, ma un altro nostro volontario non ce l’ha fatta”.
   Anche Raphael non ricorda un simile dramma dalla Guerra del Kippur. La violenza è inaudita e non conosce limiti. Si spara a donne, uomini, bambini, anziani e malati senza alcuna distinzione, persino ambulanze e soccorritori vengono presi di mira per rallentare il processo di soccorso e assistenza.
   “È qualcosa di nuovo. Siamo addestrati a questi scenari, ma è orribile vedere che uccidano qualsiasi persona senza remora alcuna. I nostri volontari corrono molti rischi, ma lavoriamo con tutte le precauzioni: giubbotti antiproiettile, protezioni e protocolli di sicurezza. Nella maggior parte dei casi sono efficaci, ma il numero di persone coinvolte è enorme e ci sono tante variabili”.
   Le risorse dispiegate in campo sono molteplici, altrettanto il bisogno di aiuto. Raphael si appella a chiunque voglia donare, affinché cure e mezzi possano giungere a chi in queste ore combatte la guerra per la libertà di Israele.

(Shalom, 10 ottobre 2023)

........................................................


Operazione Spade di ferro - giorno tre

di Ugo Volli

I tre compiti dei militari
  Nel discorso in cui proclamava lo stato di guerra, il primo ministro Netanyahu ha assegnato tre missioni immediate alle forze armate israeliane: eliminare le minacce all’interno di Israele; assicurare la sicurezza dei confini, in particolare al nord e all’est, con Libano e Siria; distruggere totalmente la potenza militare di Hamas. Sono compiti complessi, che implicano un uso coordinato di molti uomini e mezzi.

La sicurezza interna ad Israele
  L’aspetto più sconvolgente dell’aggressione di sabato mattina è stata l’irruzione di più di un migliaio di terroristi nel territorio israeliano, arrivati anche abbastanza lontano dal confine di Gaza. I terroristi hanno approfittato della notte, della vacanza in corso e della confusione probabilmente provocata da interferenze elettroniche sui sistemi di comunicazione per impadronirsi di diversi villaggi e kibbutz, della città di Sderot, del terreno dove si svolgeva una grande festa o rave, perfino di alcune basi militari. Qui hanno compiuto crimini orribili contro chiunque trovavano, sterminando più di 700 persone, rapendone forse 150, ferendone più di duemila, con crudeltà e efferatezza degna solo dei nazisti. Dopo la reazione dell’esercito, in alcuni luoghi si sono asserragliati con ostaggi, in altri casi hanno cercato di allontanarsi da Gaza per portare l’attacco più in là. Ripulire queste sacche di terrorismo, liberare gli ostaggi, soccorrere le vittime è stato un compito lungo e doloroso che più o meno è concluso. Si può dire che da stamattina non vi sono più luoghi occupati dai terroristi nel territorio israeliano, al massimo vi sono dei singoli individui che cercano di nascondersi e di fare danno. Ma sono ancora possibili nuove irruzioni, Per fortuna non vi sono state finora questa volta agitazioni da parte della popolazione arabo-israeliana, com’era accaduto per l’ultima operazione a Gaza, né vi è stata una vera ondata terrorista proveniente da Giudea e Samaria, nonostante gli appelli in questo senso di Hamas. Da Gaza partono ancora raffiche di missili in direzione di tutta Israele, ma i sistemi antimissile e i rifugi hanno contenuto finora i danni.

I confini
  La preoccupazione militare maggiore in questa fase è che Hezbollah, molto più forte e armato di Hamas, apra un secondo fronte dal Libano ed eventualmente dalla Siria, con una quantità di missili in grado di saturare le difese israeliane e dunque di fare gravi danni, e magari con un’invasione terrestre. Finora ciò non è accaduto: vi sono stati scambi di cannonate e incursioni di droni, e manifestazioni di qualche centinaia di persone che hanno cercato di sfondare la rete del confine; ma si è trattato per ora solo di episodi dimostrativi. L’esercito presidia la zona e da certe località israeliane la popolazione è stata precauzionalmente evacuata. Gli Stati Uniti hanno intimato alle potenze locali di non intervenire contro Israele e hanno schierato nel Mediterraneo sud-orientale un potente gruppo navale a dissuasione di ogni tentativo di nuova aggressione.

Distruggere la potenza militare di Hamas
  Il terzo compito è il più difficile. Gaza è per lo più costituita da zone urbane fittamente popolate, in mezzo a cui si annidano i terroristi. Israele deve colpirli cercando di non danneggiare inutilmente i civili, cui ha comunque ordinato di sgomberare la zona di guerra. Ma Hamas li usa come scudi umani. Scuole, moschee, ospedali ospitano depositi d’armi, punti di osservazione e di sparo, basi di lancio dei missili. Sarà impossibile eliminarle senza colpire anche gli schermi civili. Tutte queste istallazioni sono collegate da una rete sotterranea di tunnel, in cui hanno sede comandi, depositi caserme e dove certamente si sono rifugiati anche i capi di Hamas. Questi tunnel sono stati costruiti anche per essere trappole mortali per chi deve conquistarli: sono minati, con feritoie da cui i difensori possono sparare, possono essere fatti crollare, allagati o gasati. Vi sono porte segrete da cui possono partire agguati. Sono un enorme labirinto, come una seconda città sotto le case. Israele ha fatto il possibile per distruggerli coi bombardamenti, ma bisogna prevedere una guerra sotterranea estremamente difficile. L’aggressione iniziata sabato era stata minuziosamente preparata; non si può pensare che chi l’ha progettata non abbia previsto la reazione di Israele e il suo ingresso a Gaza; dunque anche questa battaglia dei tunnel dev’essere stata già organizzata dai terroristi e resa ancora più difficile.

Che succede ora
  Israele ha richiamato centinaia di migliaia di riservisti in vista della battaglia di Gaza, che inizierà appena pronto lo schieramento, forse già oggi o domani. Bisogna prevedere un’avanzata lenta e difficile. Nel frattempo l’aviazione bombarda con grandissima intensità tutti i punti noti in cui vi siano presenze o apparati di Hamas e degli altri gruppi. Sono bombardamenti molto massicci, che però probabilmente erano previsti. La capacità dei terroristi di sparare i loro missili da rifugi sotterranei ancora sembra quasi intatta. Nel frattempo si dovrebbe compattare il fronte interno, con l’ingresso di rappresentanti dell’opposizione nel governo e la solidarietà internazionale si rafforza.

Gli ostaggi
  Nell’impresa non facile, lunga e sanguinosa di dare un colpo decisivo a Hamas, un’incognita assai delicata e dolorosa è quella degli ostaggi, forse cento forse più, compresa una quindicina di cittadini stranieri, che i terroristi hanno portato a Gaza e che probabilmente sono stati rinchiusi anche loro nei tunnel. Saranno certamente usati come scudi umani, possibile moneta di scambio nelle trattative, oggetto di ricatti raccapriccianti. Il caso Shalit ha mostrato la difficoltà di salvare chi sia stato catturato da Hamas. Ma Shalit era uno solo qui ci sono decine di esseri umani che potrebbero essere sacrificati dai terroristi per ottenere vantaggi, come già facevano i dirottatori aerei. Dobbiamo preparaci a giorni, settimane, forse mesi ancora difficilissimi.

(Shalom, 10 ottobre 2023)

........................................................


Le testimonianze dei giovani italiani da Israele

di David Di Segni

Sono ore di tensione in Israele, da sabato mattina è stata trascinata in guerra dai terroristi di Hamas. Le strade sono vuote, gli allarmi scandiscono il tempo di giornate che sembrano non passare mai. C’è tensione e paura, tutti sono chiamati alla solidarietà e anche chi non veste la divisa si adopera per aiutare. Tanti i giovani italiani che ci raccontano la loro testimonianza in questo senso.
   “Stamattina, assieme a dei ragazzi, abbiamo organizzato una colletta di 9.000 Shekel - ci racconta Aron, che vive in Israele - Li useremo per fare la spesa, che raduneremo a Dizengoff per spedirla ai soldati”. Anche Diana ci parla da Tel Aviv dove abita. Ieri mattina è stata svegliata presto dai genitori e rapidamente l’incomprensione ha lasciato spazio all’incredulità e poi al timore. “Non avevamo capito l’entità del problema - spiega a Shalom – essendomi trasferita dall’Italia, mi sono sentita più allarmata rispetto a chi è cresciuto qui e che è abituato ai missili. Quando però ho visto i miei conoscenti israeliani preoccupati ho capito la gravità della situazione”.
   L’attacco a sorpresa ha fatto vacillare la sicurezza interna del Paese. Fidarsi del prossimo è difficile e lo si fa con diffidenza, si esce per l’indispensabile e quando lo si fa ci si sbriga a tornare in casa. Tutto è sospettabile, dal prendere un taxi all’incontrare persone sconosciute. “Oggi abbiamo cucinato e fatto spesa per i soldati - prosegue Diana - Un volontario è partito da Ramat Gan con la macchina per raccogliere a Tel Aviv il cibo raccolto dai volontari. Gli abbiamo detto di venire, preferendo avvicinarci a lui senza dare troppe specifiche sulla nostra posizione”.
   Sono tanti gli ebrei italiani che hanno un parente o un conoscente coinvolto nel conflitto. “Una mia amica era alla festa nel deserto e ha fatto in tempo a scappare. Da lontano ha visto un ragazzo ferito a terra, è tornata in stato di choc. Un soldato di conoscenza indiretta, invece, ha perso compagni e fidanzata, non vuole più vivere” ci racconta Ghila, mentre tanti sono i giovani chiamati o richiamati al servizio di leva. Tamir è uno di loro. Dall’Italia si è trasferito in Israele, dove ha prestato servizio militare per poi iscriversi all’università. Ieri è stato richiamato come riservista, e ci scrive: “Mi sono svegliato con le sirene a Givatym. Essendo Shabbat non sapevo da dove provenissero gli attacchi, lo si aspettava più da Hezbollah che da Hamas. La situazione è degenerata in fretta, si sta consumando una strage. Un mio comandante è stato ucciso. Che il Signore protegga tutti, facendoli tornare a casa”.
   C’è rabbia e tensione. Ma non manca né l’unità né la solidarietà, scattata in tutte le città. Chi offre riparo nei bunker e chi corre per donare il sangue. “Andrò anche io” ci dicono i giovani intervistati, mentre il mondo osserva lo svilupparsi di queste ore tese e drammatiche.

(Shalom, 9 ottobre 2023)

........................................................


La calma prima della tempesta

Un reportage dal nord

di Judith Jeries

Punto di vista sul confine tra Israele e Libano, Israele settentrionale
Vivo in Galilea. Sappiamo cosa sta per accadere, si può letteralmente sentire la tensione, in molti luoghi si può quasi tagliare la pesantezza dell'aria con un coltello. La domanda non è se, ma quando. I nostri cuori si spezzano alla vista di ciò che sta accadendo nel sud del Paese. Ci sentiamo paralizzati. Finora, negli ultimi anni, siamo stati risparmiati dagli attacchi, a parte alcuni incidenti isolati come quello di aprile, che ha colpito solo alcune città della Galilea occidentale.
Conosco famiglie che sono state sorprese dall'attacco missilistico di aprile e i cui figli sono ancora oggi traumatizzati. Vivono vicino al confine con il Libano e sanno che presto pioveranno di nuovo razzi. Non sono solo i bambini ad avere paura. Gli adulti sono ben consapevoli della differenza: questa volta gli Hezbollah avrebbero il controllo, e l'esperienza insegna che non fanno le cose a metà. Molti hanno ancora nelle ossa la guerra del 2006, durata un mese.
L'UNIFIL ha già lasciato il Libano meridionale e i residenti delle città israeliane vicine al confine hanno ricevuto il messaggio di evacuare le loro case. Gli elicotteri dell'esercito volteggiano in lontananza, ma per il resto regna una calma inquietante. È la calma prima della tempesta. Come si affronta questa situazione?
Un posto di guardia delle Nazioni Unite al confine israelo-libanese, nel nord di Israele
Ci si mette in ginocchio. Sono situazioni come questa che ti avvicinano a Dio. Perché ti rendi conto di quanto sei piccolo e di quanto deve essere grande Dio, che ha tutto nelle sue mani, anche la situazione attuale. Lui conosce lo sfondo, sa perché sta succedendo, come continuerà e come sarà il nostro futuro.
Questa situazione di "tutto o niente", in cui è in gioco l'esistenza dello Stato di Israele, fa saltare i nervi. Perdere non è un'opzione, anche la maggior parte degli arabi israeliani preferirebbe vivere sotto il dominio ebraico piuttosto che sotto quello musulmano.
   Questa crisi esistenziale offre la possibilità di riavvicinarsi al Creatore del cielo e della terra. Se ce la caviamo troppo bene, la nostra natura peccaminosa non si allontana con noncuranza da Dio? E non corriamo forse tremanti tra le braccia di Dio quando siamo in difficoltà e ci troviamo di fronte a una situazione che ci opprime totalmente?
La risposta è la preghiera.

(Israel Heute, 9 ottobre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


Riflessioni sulle forze di sicurezza israeliane dopo l’attacco di Hama

Mentre l’opinione pubblica e i vertici dell’Intelligence israeliana si interrogano sul livello di preparazione delle forze di sicurezza, l’attenzione si concentra ora su diverse sfide cruciali. In primo piano c’è la missione di salvataggio degli ostaggi, un compito che oscilla tra l’uso della forza armata e la negoziazione.
   Nel frattempo il confine meridionale di Israele si trova sotto un’ombra crescente, con l’infiltrazione sempre più audace dei militanti di Hamas. Questi hanno guadagnato il controllo in alcune comunità israeliane, poste strategicamente lungo la recinzione di confine, creando una crescente preoccupazione per la sicurezza nazionale. Un’altra priorità indiscussa è l’eliminazione dei siti di lancio dei razzi che minacciano Israele. Tuttavia, nonostante queste sfide imminenti, l’obiettivo principale rimane il sostegno alle vittime di recenti tragedie e atti di violenza inimmaginabili che hanno sconvolto la nazione.
   Mentre il mondo osserva con attenzione, i media israeliani pongono domande ai leader politici e militari su come tutto ciò sia potuto accadere, nel cinquantesimo anniversario di un altro attacco a sorpresa da parte dei nemici di Israele dell’epoca: la guerra dello Yom Kippur dell’ottobre 1973, quando le forze israeliane furono colte di sorpresa dalle colonne di carri armati siriani ed egiziani.
   Come riportato da Reuters , il generale in pensione Giora Eiland, ex capo del Consiglio di sicurezza nazionale israeliano, ha osservato: «Sembra sorprendentemente simile a quella situazione». Nel corso di un briefing con i giornalisti, ha aggiunto: «Israele è stato completamente colto di sorpresa da un attacco incredibilmente ben coordinato».
   Così, mentre la nazione si concentra sulle sfide immediate, un portavoce dell’esercito ha dichiarato che le discussioni sulla preparazione dell’Intelligence verranno affrontate in un secondo momento, sottolineando che l’attenzione è ora incentrata sulla situazione sul campo. «Affronteremo questa discussione quando sarà il momento opportuno», ha dichiarato durante un briefing con i giornalisti.
   In breve, c’è un momento per l’azione, un momento per il silenzio e un momento per l’analisi e la riflessione. La questione di come gli uomini armati palestinesi siano riusciti a oltrepassare il pesantemente fortificato confine tra Israele e la Striscia di Gaza, mentre migliaia di razzi continuavano a piovere su Israele da Gaza, sarà oggetto di approfondimento.
   Un’indagine, che si preannuncia lunga e laboriosa, che si concentrerà sull’apparente mancanza di previsione degli sforzi combinati dello Shin Bet, l’Intelligence interna israeliana, del Mossad, l’agenzia di spionaggio esterna, e delle forze di difesa israeliane.

(Bet Magazine Mosaico, 8 ottobre 2023)

........................................................


Il quadro dell’attacco e le vie per uscirne

di Ugo Volli

Un’operazione militare micidiale di grande livello organizzativo
  Il terribile attacco che Israele ha subito dalla mattina di sabato non è un semplice attentato terrorista, anche se in scala enormemente accresciuta rispetto al solito. È un vero e proprio atto di guerra non solo per le dimensioni delle perdite (oltre seicento cinquanta morti, duemila feriti in ospedale, più di cento israeliani rapiti), ma soprattutto per il modo estremamente sofisticato in cui è stato progettato ed eseguito. Chi l’ha guidato ha saputo sfruttare le circostanze esterne favorevoli (la ricorrenza della festa di Simchat Torà, ma anche la presenza di centinaia di giovani a un rave a poca distanza dal confine), ha coordinato con micidiale tempismo attacchi dall’aria (parapendii a motore), dal mare, da terra con l’uso ben organizzato di esplosivi e bulldozer per sfondare la barriera di sicurezza e di moto e veicoli per dilatare l’arco di azione dei terroristi, e ha mostrato di aver studiato bene routine, posizioni e punti deboli operativi delle forze di sicurezza israeliane e di conoscere bene i luoghi in cui penetrare per uccidere e rapire gli israeliani. Di più, ha probabilmente usato tecniche molto avanzate di guerra elettronica per neutralizzare i numerosi sistemi cibernetici di sorveglianza installati intorno alla Striscia e forse anche impedito le comunicazioni militari, tanto da non incontrare quasi opposizione organizzata per le prime ore. Infine è riuscito, nonostante le grandi dimensione dell’operazione, a non mettere in allarme i servizi di sicurezza, che dovrebbero sorvegliare giorno e notte le basi terroristiche. Israele avrà tempo dopo la fine della guerra per capire le ragioni del fallimento degli apparati informativi umani ed elettronici e magari potrà riflettere sulla rigidità organizzativa che ha reso così vulnerabili le forze di difesa.

L’origine dell’attacco
  Tutto quel che si è detto mostra che l’attacco non può essere attribuito a Hamas e alle altre sigle terroristiche, ma deve essere stato direttamente progettato e coordinato dall’Iran. Non solo l’Iran è il principale beneficiario dell’operazione perché essa indebolisce l’immagine militare vincente di Israele e richiede una reazione di Israele su Gaza che si presterà a rinnovare la propaganda contro lo Stato ebraico, rendendo difficile e rallentando l’intesa con l’Arabia Saudita che è il solo modo di bloccare l’imperialismo iraniano. Inoltre l’impero persiano ha molti conti da saldare e molte vendette da prendere. Ma solo il regime di ayatollah ha nella regione i mezzi e la competenza su droni, hacking dei sistemi informatici, coordinamento interforze. Hamas ha fornito la manovalanza del terrore, ci ha aggiunto la crudeltà, il sadismo, la barbarie. Ma il piano nasce certamente a Teheran, come dicono anche i ringraziamenti immediatamente resi pubblici da Hamas.

Le difficoltà della guerra
  Da questa origine deriva la maggior difficoltà della posizione di Israele. Sia perché l’Iran controlla a nord di Israele il regime siriano e soprattutto Hezbollah in Libano, molto meglio armati di Hamas e già sul piede di guerra. L’intervento di Hezbollah potrebbe essere questione di ore e prenderebbe Israele fra due fuochi, con una densità missilistica certamente superiore al limite di saturazione delle difese israeliane, con altri danni enormi. Ma anche se ciò non accadesse, le migliori forze dell’esercito israeliano dovranno restare bloccate in Galilea per contrastare il rischio di una seconda invasione. Inoltre, se la reazione di Israele portasse le sue truppe dentro Gaza, com’è probabile, si può essere sicuri che gli esperti iraniani abbiano preparato nuove trappole e che il prezzo da pagare per riprendere anche provvisoriamente il controllo della Striscia rischia di essere molto alto. Israele avrà così di fronte il problema strategico che ha già incontrato a partire dal 2014 in circostanze analoghe: quanto penetrare nel territorio nemico? Quali sono i costi necessari per arrivare fino al centro di Gaza e magari per avventurarsi nella rete dei tunnel dove Hamas tiene armi, truppe e anche gli ostaggi? È possibile smantellare l’organizzazione e il potere dei terroristi senza usare mezzi tecnicamente possibili, come i bombardamenti a tappeto, ma che non sono politicamente accettabili perché colpirebbero pesantemente la popolazione civile? Ma se Hamas venisse solo danneggiato, per quanto pesantemente, e non distrutto, si può essere sicuri che l’Iran gli fornirà i mezzi per riarmarsi. E tutto ricomincerà da capo.

Schiacciare la testa del serpente?
  La soluzione sarebbe colpire il centro direzionale, la testa del serpente, cioè l’Iran. Il quale però, secondo fonti americane, è in possesso di tutto ciò che serve per allestire la bomba atomica e si è fermato a sole due settimane di lavoro dalla sua realizzazione. Inoltre è un alleato cruciale per la Russia e gode della benevolenza dell’amministrazione Biden (e prima di Obama), nonostante le sue provocazioni anti-americane. Israele potrebbe tentare di distruggere l’arsenale nucleare iraniano ma solo con un colpo decisivo e non ripetibile, che avrebbe bisogno dell’appoggio Usa. Il rischio di una mossa del genere è una guerra regionale aperta.

Che fare allora?
  Non ci sono soluzione miracolistiche. Israele ha bisogno di ridimensionare il potere dei terroristi a Gaza, anche a costo di perdite militari. È una guerra d’attrito di cui non si può prevedere il termine. Dovrà cercare di liberare gli ostaggi e questo sarà difficilissimo, senza cedere al ricatto di Hamas, che proverà a usarli per liberare i terroristi condannati. Sarà necessario rivedere il funzionamento degli apparati di sicurezza e anche le politiche tenute finora rispetto a Gaza sulla base dell’erronea condizione di un carattere “moderato” di Hamas. Bisognerà stringere le alleanze con l’Arabia Saudita innanzitutto e poi con chiunque si opponga all’asse Iran/Russia. Sarà necessario superare le divisioni interne che hanno contribuito a dare un’impressione di vulnerabilità e probabilmente innovare il sistema politico e amministrativo. Bisognerà avere la pazienza di Giobbe e continuare a prevenire il terrorismo, giorno dopo giorno, senza cadere in trappole come quella di questi giorni. Non sono compiti piccoli e non si risolveranno neppure nell’arco delle parecchie settimane che serviranno per l’operazione militare. Ma ne va della vita dello Stato ebraico. L’appoggio interno e anche di noi ebrei della diaspora è indispensabile.

(Shalom, 9 ottobre 2023)

........................................................


Il nazi-islamismo di Hamas

di Niram Ferrett

L’eccidio che ha avuto luogo in Israele per mano di Hamas rappresenta il maggiore sterminio di ebrei avvenuto per mano armata dalla Seconda guerra mondiale ad oggi. Solo i nazisti furono in grado di ucciderne in una volta sola, a mano armata, un numero così elevato. Al momento, il bilancio delle vittime è sgomentevole, settecento morti, ma è destinato drammaticamente ad aumentare nelle prossime ore.
   Davide Cavaliere e David Elber, hanno entrambi paragonato qui su l’Informale le modalità omicide di Hamas a quelle delle Einsatzgruppen, le unità sterminatrici mobili delle SS.
   Il paragone non solo è calzante per le modalità omicide, l’implacabilità delle uccisioni, vere e proprie esecuzioni sommarie di civili e militari, nelle strade, nelle abitazioni, in ogni spazio pubblico, ma perché Hamas, costola palestinese della Fratellanza musulmana, accorpa al jihadismo le simpatie naziste del fondatore della Fratellanza, Hassan al Banna.
   Nel suo seminale, “Il jihad e l’odio contro gli ebrei, l’islamismo, il nazismo e le radici dell’11 settembre”, Matthias Kuntzel, ricorda che i Fratelli Musulmani distribuirono nel 1938 in occasione di una Conferenza parlamentare per i paesi arabi e musulmani che si tenne al Cairo le versioni in arabo del Mein Kampf e dei Protocolli dei savi anziani di Sion, sottolineando come “la loro distribuzione del Mein Kampf non fu l’unica occasione in cui i Fratelli Musulmani si schierarono con i nazisti. Al Banna collaborò con gli agenti egiziani del Terzo Reich”.
   Lo Statuto di Hamas del 1988 è intessuto di un antisemitismo che è figliato direttamente dai Protocolli e si sposa con l’antisemitismo di matrice coranica, riassunto nel versetto del Corano citato all’interno del documento, in cui si invitano i fedeli ad uccidere gli ebrei che si nascondono dietro rocce e alberi.
   Nel 2017, durante la grande mobilitazione di Hamas a Gaza con tentativi di ingresso in Israele impediti allora dalla presenza massiccia dell’esercito israeliano, la svastica venne dipinta su bandiere e aquiloni incendiari.
   L’antisemitismo feroce di Hamas è, ad un tempo, il prodotto dell’avversione islamica per gli ebrei la cui radice si trova sia nel Corano che negli hadit, sia dell’antisemitismo cospirazionista europeo, che ha nei Protocolli il suo incunabolo, e che fu un testo recepito totalmente dal nazismo.
   Hamas considera Israele terra islamica da rendere completamente judenfrei, libera dalla presenza ebraica, in questo è il perfetto continuatore delle politiche eliminazioniste del Terzo Reich che ha messo in atto su scala massiccia appena gli è stato possibile farlo.

(L'informale, 8 ottobre 2023)

........................................................


Non può essere vero!

Nei prossimi giorni centinaia di israeliani saranno ricoverati e questo avrà il suo impatto sul morale della società israeliana.

di Aviel Schneider

Il luogo in cui gli israeliani sono stati uccisi dai militanti di Hamas su una strada principale vicino alla città meridionale di Sderot
A dire il vero, non so come iniziare la mia lettera di oggi. Ma non importa con chi ho parlato ieri, amici, ex compagni, giornalisti o vicini di casa, tutti abbiamo mormorato la stessa cosa. "Non può essere vero quello che è successo nel sud!".
   In tutta la storia dello Stato di Israele, mai negli ultimi 75 anni sono stati uccisi così tanti israeliani in un solo giorno in una guerra in Israele come ieri nel sud, oltre 500 tra civili e soldati. Non nella guerra del Libano del 1982, né nella guerra dello Yom Kippur del 1973, né nella guerra dei Sei Giorni del 1967, né nella guerra d'indipendenza del 1948. Quello che è successo ieri nel Paese è insondabile per tutti noi. La situazione della sicurezza nazionale di Israele ha raggiunto un punto basso nella storia dello Stato, dal quale Israele deve urgentemente uscire. Altrimenti, i nostri nemici si renderanno conto molto rapidamente della debolezza di Israele e attaccheranno anche da altri fronti. Mentre scrivo queste righe, tutte le finestre di casa mia tremano. Da lontano sento i bombardamenti nella Striscia di Gaza, eppure vivo a 51 chilometri a nord-est della Striscia in linea d'aria.
   La sera prima, Anat e io siamo stati invitati da mia sorella ortodossa Ruthi e dalla sua numerosa famiglia per la cena di Shabbat e la seconda festa di Sukkot nella sua Capanna. Tutti i suoi figli sono studenti ortodossi di Torah e nessuno dei suoi ragazzi ha prestato servizio nell'esercito. Che momenti tranquilli e sereni abbiamo trascorso insieme intorno alla tavola riccamente imbandita. E poi, sei ore dopo, la mattina dopo è scoppiata la guerra. Quando la famiglia di Ruthi ha saputo che i nostri tre figli Tomer, Moran, Elad e il nostro genero Ariel erano stati chiamati nelle riserve, ci hanno mandato un WhatsApp dopo la fine dello Shabbat:
"Buona nuova settimana. Preghiamo per i vostri figli e per la speranza. Tutta la famiglia Deri prega per voi affinché tutti tornino dalla guerra sani e in pace"
Questo è il loro compito nella nostra famiglia e non litighiamo più per questo. I loro figli pregano e i nostri figli combattono.
Il modo in cui le centinaia di terroristi palestinesi sono riusciti a entrare in Israele attraverso la barriera di confine la mattina presto dello Shabbat senza essere individuati in tempo deve essere iscritto nella storia di Israele come uno dei suoi più grandi fallimenti. Il sistema di sorveglianza del confine di Israele è stato probabilmente disattivato da un drone e da attacchi informatici iraniani prima che i terroristi palestinesi entrassero in Israele. Se ciò è vero, ed è stato ammesso dallo staff militare israeliano, questo spiega il successo palestinese e il fallimento strategico di Israele.
Non sono gli attacchi missilistici su Israele il problema della guerra, ma l'attacco a sorpresa e il libero passaggio da Gaza verso gli insediamenti e i kibbutzim israeliani nel sud vicino a Gaza. In una passeggiata i palestinesi hanno invaso il Paese con jeep, moto e a piedi e hanno conquistato il sud. Ma la cosa più grave è il rapimento di numerosi israeliani, intere famiglie con i loro figli, civili, nonne con le loro badanti filippine, giovani del Nova techno party di Reím, soldati vivi o morti. Sul canale Telegram abbiamo mostrato alcuni dei tanti video di israeliani che vengono spediti a Gaza, in massa. Si parla di 180 israeliani, ma non mi stupirei se il numero fosse più alto.
Palestinesi prendono il controllo di un carro armato israeliano dopo aver attraversato la recinzione di confine con Israele a Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza
Sembrava che l'intero sud fosse privo di soldati. Zero sicurezza! Ci sono volute ore per vedere dei soldati israeliani. Il mio amico Amnon, nel sud, ha salvato sua figlia Ronnie dalla festa della natura ieri e mi ha detto che tutte le strade intorno a Gaza erano aperte. Nessun soldato, nessun posto di blocco, niente. Con la posizione di Ronnie su Google è riuscito a salvare sua figlia dal caos nei campi vuoti vicino alla recinzione di confine. Era arrabbiato con l'esercito e non faceva altro che inveire e imprecare. Nessun soldato, nessuna sicurezza, niente dell'Israele che pensavamo di conoscere.
   Questa mattina tutti i media mostrano i familiari che implorano i loro figli rapiti a Gaza. Non so come il governo affronterà la questione, ma non posso immaginare che queste persone e queste famiglie siano trattenute a Gaza per anni. Questo limita anche i bombardamenti dei caccia israeliani a Gaza, perché lì ci sono ostaggi israeliani. Non solo, nei prossimi giorni centinaia di israeliani saranno ricoverati e questo avrà il suo impatto sul morale della società israeliana. Sono numeri che Israele non ha mai visto in nessuna guerra di questa portata. E questi numeri non potranno che aumentare perché la guerra sta iniziando ora. Israele si sta preparando a una massiccia invasione di terra di Gaza. E anche questo avrà il suo peso quando avrà luogo. Nel frattempo, la gente si sta conoscendo di nuovo. I manifestanti contro le riforme legali che minacciavano di rifiutare il servizio sono tutti in uniforme e nel sud. Le avversità uniscono il popolo.
Riservisti militari israeliani arrivano in un'area di sosta vicino al confine con il Libano
Una cosa è certa: le vecchie regole non devono più valere. Israele deve intervenire in modo diverso questa volta per disarmare Hamas e tutti gli altri terroristi di Gaza una volta per tutte. Israele ha perso il primo round del combattimento di ieri, Israele deve vincere i prossimi round con un knockout ad ogni costo, altrimenti non abbiamo il diritto di esistere. Nel frattempo, Israele ha staccato l'elettricità a Gaza, perché la ricevono da Israele, anche se attaccano Israele con i razzi da quasi 20 anni. Non pagano comunque le tasse. L'importazione di benzina e diesel a Gaza è stata bloccata, così come tutti gli altri beni commerciali. Quello che ho detto ieri nella riunione di Zoom lo ripeto qui, questa volta Israele deve intervenire senza pietà a Gaza, zero considerazione! Israele è ancora sotto shock e apprenderà solo nei prossimi giorni quale catastrofe ha colpito la popolazione e il Paese.

(Israel Heute, 8 ottobre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


Una triste festa della gioia

Anche 24 ore dopo l'inizio dell'attacco a Israele, il Paese è sotto shock.

di Dov Elion

Detriti dopo che un razzo proveniente da Gaza ha colpito un edificio a Tel Aviv.
Ieri avremmo dovuto celebrare Simchat Torah, la festa della gioia per la Torah. Ma si è rivelata una festa triste, la più triste che abbiamo mai vissuto.
La giornata è iniziata alle 6.30 del mattino. Il mio cellulare ha fatto un forte rumore. "Ma è Shabbat e un giorno festivo, non ho nemmeno messo la sveglia", mi sono chiesto mentre saltavo giù dal letto, spaventato. Il mio cellulare continuava a suonare. Era la mia applicazione "Red Alert", che mi avvertiva dei razzi provenienti da Gaza. Non riuscivo a tenere sotto controllo il telefono, questo sgradevole tono di avvertimento continuava a suonare. Ho acceso la radio per assicurarmi che l'app funzionasse correttamente. E  anche la radio trasmetteva ininterrottamente allarmi missilistici.
Poiché era ancora mattina presto, non c'erano ancora notizie al telegiornale. In TV, come sempre di Shabbat e nei giorni festivi, si ripetevano i programmi della festa.
Mentre lo schermo mostrava i luoghi in cui erano stati lanciati gli allarmi per i razzi, si cantava la canzone "Shabbat al mattino, un bel giorno...".
Non essendo ancora completamente sveglio, ero un po' confuso. "Perché non ci sono notizie sui razzi?", pensavo, quando all'improvviso ho sentito diversi forti boati che hanno fatto tremare le nostre finestre. Finalmente sveglio, sono andato rapidamente nella stanza di nostro figlio, che è anche la nostra stanza di sicurezza, per chiudere la porta di ferro della finestra.
Poi si è svegliata anche mia moglie, che all'inizio non capiva perché fossi così agitato.
Sinceramente, non ho parole per descrivere le mie impressioni sulle tante immagini orribili che ci sono state mostrate in televisione e soprattutto in rete. C'erano allarmi di razzi senza pause, lo schermo era costantemente arancione con tutti gli avvisi di razzi. Io e la mia famiglia eravamo senza parole.
Come è possibile che Israele sia stato colto di sorpresa in questo modo? Com'è possibile che decine di terroristi potessero circolare per le strade della città di Sderot senza ostacoli e sparare liberamente? Dov'erano l'esercito e la polizia?
Terroristi nelle strade di Sderot, ero scioccato.
Le telefonate sono state trasmesse in TV, con cittadini spaventati in località del sud che imploravano aiuto, mentre i terroristi passavano per le case alla ricerca dei residenti. Terribile.
Siamo rimasti seduti in salotto senza parole. Mia moglie ha ricordato la sorpresa di esattamente 50 anni e un giorno fa, quando era una bambina che giocava all'aperto e fu sorpresa dalle sirene dell'allarme aereo e poi portata rapidamente al rifugio dalla madre.
In effetti, la giornata di ieri ci ricorda lo scoppio della Guerra dello Yom Kippur, in cui Israele fu sorpreso dai suoi vicini arabi.
Come è possibile che anche questa volta siamo stati colti di sorpresa? Dov'era il servizio di intelligence? Credo che dovremo aspettare la fine di questa guerra contro Hamas, che è appena iniziata, per avere una risposta.
Non c'era più traccia di Simchat Torah, la festa della gioia per la Torah. Eravamo ormai in una realtà completamente diversa. Solo un giorno prima, la Corte Suprema si era occupata della questione se fosse permesso tenere le gioiose processioni per la festa di Simchat Torah nella città di Tel Aviv. La città di Tel Aviv aveva detto che eventi come questo non avevano posto nello spazio pubblico, perché dopo tutto non volevano imporre la religione a nessuno.
Che controversia incredibile. Com'è possibile che a Tel Aviv, una città di Israele, si voglia vietare la pratica dell'ebraismo? Questa disputa è stata una continuazione di quanto accaduto durante lo Yom Kippur, quando attivisti non religiosi hanno interrotto la preghiera in piazza Dizengoff. Alla fine, il tribunale ha permesso le processioni della Torah a Tel Aviv il venerdì mattina, a patto che non passassero per piazza Dizengoff.
Poi sono arrivati i razzi. Le processioni festive sono state cancellate, ovviamente, per proteggere le vite umane. Israele è sotto attacco. Ora siamo di nuovo tutti insieme per difenderci dal nostro nemico.
Sembra che abbiamo bisogno di una crisi ogni tanto per riunirci di nuovo. L'organizzazione "Achim La Neshek", i Fratelli in Armi, che aveva invitato le persone a smettere di offrirsi come volontari per l'esercito a causa della controversa riforma giudiziaria, ha invitato i suoi membri a presentarsi alle loro unità per difendere il Paese. Grazie per questo.
Ma un obiettivo è stato raggiunto: le processioni con la Torah per le strade di Tel Aviv ieri non ci sono state.
Spero davvero che in questa crisi, forse la più grande della storia del nostro Paese, ci riuniremo di nuovo, e questa volta per il bene.

(Israel Heute, 8 ottobre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


Israele dichiara formalmente guerra ad Hamas

Non è una formalità ma un chiaro messaggio al mondo che questa volta si fa sul serio e non si accetteranno critiche di sorta del tipo "risposta sproporzionata"

di Sarah G. Frankl

Domenica il governo israeliano ha formalmente dichiarato guerra ad Hamas, ponendo le basi per una risposta massiccia contro il gruppo terrorista islamico.
Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu aveva già detto sabato che il Paese era in guerra, ma la dichiarazione era retorica. La mossa di domenica da parte del gabinetto israeliano è una decisione ufficiale, per intenderci equivalente a una dichiarazione di guerra da parte del Congresso negli Stati Uniti.
La dichiarazione di guerra è stata presa in conformità con l’articolo 40 della Legge fondamentale di Israele, ha dichiarato l’ufficio stampa del governo israeliano. Israele non ha una costituzione scritta, ma le sue 13 leggi fondamentali hanno una funzione simile.
Prima della dichiarazione di domenica, Netanyahu aveva detto che Israele avrebbe “compiuto una potente vendetta” per l’attacco dei militanti palestinesi, mentre il più alto funzionario militare del Paese, responsabile delle attività nei territori palestinesi, aveva detto dopo gli attacchi che Hamas aveva “aperto le porte dell’inferno”. Israele ha bombardato Gaza con attacchi aerei che hanno ucciso più di 300 persone.

(Rights Reporter, 8 ottobre 2023)

........................................................


Tensioni anche a nord di Israele: Hezbollah colpisce tre siti israeliani

Come purtroppo si temeva, si sta muovendo anche il fronte nord

di Sarah G. Frankl

Hezbollah ha annunciato domenica di aver preso di mira tre postazioni israeliane nelle Fattorie di Shebaa, in un chiaro messaggio di solidarietà con i terroristi palestinesi di Hamas.
In un comunicato, Hezbollah Media Relations ha dichiarato che le Unità del Comandante martire Imad Mughniyeh hanno colpito tre postazioni israeliane nelle Fattorie di Shebaa.
“Sulla via della liberazione della parte rimanente della nostra terra libanese occupata e in solidarietà con la vittoriosa resistenza palestinese e il saldo popolo palestinese, i gruppi del comandante martire Hajj Imad Moghniyeh nella Resistenza islamica hanno effettuato un attacco questa domenica, 08 ottobre 2023, prendendo di mira 3 siti di occupazione sionista nella regione libanese occupata delle Fattorie Shebaa”, si legge nella dichiarazione, riportata da Al-Manar.
I tre siti sono stati nominati: Radar, Zibdin e Ruweissat Al-Alam. Nella dichiarazione si legge che i terroristi di Hezbollah hanno utilizzato un numero significativo di proiettili d’artiglieria e di missili guidati, che hanno colpito direttamente questi siti.

(Rights Reporter, 8 ottobre 2023)

........................................................



Il salmista ignoto (5)

di Marcello Cicchese

La serie di studi sul Salmo 119 presentata nei mesi scorsi ha come tesi che l'autore ignoto di questo salmo è una prefigurazione del Messia. La serie però si è interrotta "sul più bello", cioè quando sarebbe venuto il momento di trarne delle precise conseguenze da mettere in relazione col testo dei Vangeli, perché per un cristiano dire che l'autore del Salmo 119 è una prefigurazione del Messia è come dire che il salmista ignoto prefigura la persona di Gesù.
   Non è raro che i cristiani scorgano in certe parole dei salmi i tratti di Gesù, ma non mi è mai capitato di sentir fare un accostamento tra l'autore ignoto del Salmo 119 e la persona di Gesù. E anche per me non è facile sviluppare questo accostamento in tutta la sua portata, ma ne avverto l'importanza e una forte spinta a farne oggetto di ricerca e riflessione. Anche se in tarda età, mi sostiene quella secca parola di Gesù che da giovane mi ha portato alla fede: "Cercate e troverete" (Matteo 7:7).
   "Cercate Gesù dove lo si può trovare", si potrebbe dire a chi è in posizione di ricerca. Naturalmente il primo luogo in cui si può trovare Gesù è costituito dal complesso dei quattro Vangeli, seguito dal Nuovo Testamento in cui si trovano inseriti. Ma in questo caso più che di ricerca si deve parlare di disposizione all'accoglienza, perché la persona di Gesù si presenta in modo sufficientemente chiaro a coloro che odono la sua parola e la ritengono "in un cuore onesto e buono" (Luca 8:15). Ma anche chi ha incontrato Gesù nel Nuovo Testamento deve sentire il desiderio di ritrovarlo nelle pagine dell'Antico Testamento perché anche lì è presente, anche se non in forma manifesta, ma nascosta.
   Ma più che nascosta, si potrebbe dire allusiva, perché la Bibbia non è una letteratura misterica accessibile solo a pochi iniziati, ma richiede tuttavia una sincerità di fondo senza la quale essa si richiude, o  addirittura può inviare segnali devianti al lettore prevenuto.
   In questa ricerca di Gesù nell'Antico Testamento ho ritrovato ultimamente la registrazione di una mia predicazione di quindici anni fa. Era proprio sul Salmo 119, ma non si presentava in relazione a questo salmo perché come titolo aveva "L'afflizione". In quel tempo non pensavo a un accostamento tra il salmista e la persona di Gesù: infatti riascoltandola si riconosce che tratto il tema in modo "tradizionale", cioè ricerco e commento quei passaggi del salmo che istruiscono il credente e lo aiutano a vivere in  modo giusto i momenti di afflizione che  incontra nella sua vita.
   A un certo punto inserisco, come di sfuggita, una breve riflessione: "Questo salmo ricorda molto la persona del Signore Gesù Cristo e sono convinto che il Signore Gesù si è nutrito di questo salmo, che è particolarmente adatto alla sua persona". Considero questa riflessione come una informe intuizione di una convinzione che anni dopo ha preso a consolidarsi in modo più preciso. L'accostamento tra il salmista ignoto e la persona di Gesù  è ancora lungi dall'avere assunto forme ben delineate, ma una cosa certamente hanno in comune le due figure: la sofferenza.
   Sulla base dei racconti evangelici, la trattazione cristiana della sofferenza di Gesù ha sempre occupato un posto di primaria importanza, ma l'accento principale di solito è messo sulla sofferenza della morte in croce di Gesù, attraverso cui è avvenuta l'espiazione dei peccati e la riconciliazione dell'uomo con Dio. E naturalmente tutto questo non ha corrispondente nell'esperienza del salmista ignoto. La sofferenza legata alla morte di Gesù sulla croce ha fatto però trascurare la sofferenza legata alla vita di Gesù sulla terra. Gesù si è fatto "ubbidiente fino alla morte, e alla morte della croce" (Filippesi 2:8). L'ubbidienza di Gesù è arrivata fino alla morte perché è durata ininterrottamente tutta la vita, a cominciare dal momento della tentazione nel deserto. Da quel momento Gesù ha dovuto continuamente confermare la sua ubbidienza al Padre resistendo alle insidie di Satana e sopportando l'incomprensione del suo popolo. E questa ubbidienza continua è avvenuta in una sofferenza continua:

    "[Gesù] benché fosse figlio, imparò l'ubbidienza dalle cose che soffri" (Ebrei 5:28).

È la sofferenza ubbidiente di Gesù in tutta la sua vita sulla terra che si può vedere prefigurata nella sofferenza ubbidiente dell'autore ignoto del Salmo 119.

__

Dalla Sacra Scrittura
    SALMO 119

    25   L'anima mia è avvilita nella polvere;
           ravvivami secondo la tua parola.
    40   Ecco, io desidero i tuoi precetti,
           ravvivami nella tua giustizia.
    28   L'anima mia, dal dolore, si consuma in lacrime;
           dammi sollievo con la tua parola.
    83   Poiché io sono divenuto come un otre affumicato;
           ma non dimentico i tuoi statuti.
    107 Io sono molto afflitto;
           Signore, rinnova la mia vita secondo la tua parola.
    109 La mia vita è sempre in pericolo,
           ma io non dimentico la tua legge.
    123 Si spengono i miei occhi desiderando la tua salvezza
           e la parola della tua giustizia.
    141 Sono piccolo e disprezzato,
           ma non dimentico i tuoi precetti.
    143 Affanno e tribolazione mi hanno còlto,
           ma i tuoi comandamenti sono la mia gioia.
    153 Considera la mia afflizione e liberami;
           perché non ho dimenticato la tua legge.
    176 Io vado errando come pecora smarrita; cerca il tuo servo,
           perché io non dimentico i tuoi comandamenti.

    23   Quando i potenti si siedono a sparlare di me,
           il tuo servo medita i tuoi statuti.
    51   I superbi mi coprono di scherno,
           ma io non mi svio dalla tua legge.
    61   Le corde degli empi mi hanno avvinghiato,
           ma io non ho dimenticato la tua legge.
    69   I superbi inventano menzogne contro di me,
           ma io osservo i tuoi precetti con tutto il cuore.
    70   Il loro cuore è insensibile come il grasso,
           ma io mi diletto nella tua legge.
    78   Siano confusi i superbi, che mentendo mi opprimono;
           ma io medito sui tuoi precetti.
    87   Per poco non mi hanno eliminato dalla terra;
           ma io non ho abbandonato i tuoi precetti.
    95   Gli empi si sono appostati per farmi perire,
           ma io medito sulle tue testimonianze.
    109 La mia vita è sempre in pericolo,
           ma io non dimentico la tua legge.
    157 I miei persecutori e i miei avversari sono tanti,
           ma io non devio dalle tue testimonianze.

    71   È stato un bene per me l'afflizione subita,
           perché imparassi i tuoi statuti.
    75   Io so, Signore, che i tuoi giudizi sono giusti,
           e che mi hai afflitto nella tua fedeltà.
    92   Se la tua legge non fosse stata la mia gioia,
           sarei già perito nella mia afflizione.
    93   Mai dimenticherò i tuoi precetti,
           perché per mezzo di essi tu mi dai la vita.

PREDICAZIONE

Marcello Cicchese
gennaio 2008


(Notizie su Israele, 8 ottobre 2023)

 

........................................................


7 ottobre 2023, Simchat Tora

Simchat Torah, la gioiosa festa della Torah, questa volta è una festa triste.

di Anat Schneider

Simchat Torah, una festa senza gioia
GERUSALEMME - Bum, bum, bum e ancora un Bum, sogno che i miei figli vanno in battaglia.
Un altro bum?
Sto sognando o lo sto solo immaginando? Apro gli occhi, sto per alzarmi dal letto e sento una voce:
"Buongiorno, c'è la guerra nel sud".
Il mio amato Aviel ha già il cellulare in mano e sta scoprendo cosa sta succedendo. Sogno e pensieri si mescolano in me, mi sveglio in una dura realtà,
E più apro gli occhi, più le notizie peggiorano. E più passa il tempo, più l'immagine peggiora.
Mi rifiuto di credere a quello che sento. Voglio tornare a dormire. Ma la realtà colpisce con forza. Anche se di solito evito di guardare i telegiornali, questa volta è sfuggito al mio controllo. Questa volta era fuori dal mio controllo.
Le voci, l'impotenza delle persone nel sud, intrappolate nelle loro case, nei rifugi dietro gli alberi. E la domanda angosciante: dov'è l'esercito? Le Forze di Difesa Israeliane non erano preparate, sono state colte totalmente di sorpresa.
Dov'è il governo?
Un governo così controverso. A quanto pare stanno ancora celebrando Simchat Torah, la festa della gioia per la Torah. Quale gioia? Il Tempio viene abbattuto, il popolo viene schiacciato.
E non c'è una voce della ragione, nemmeno una. Una voce che dia speranza, che ci porti alla ragione. Ma non c'è voce, non c'è risposta.
E i telefoni e i Whatsapp continuano ad andare avanti.
"Come state ragazzi?"
"Abbiamo saputo che è scattato l'allarme al Bar Giura".
"E i ragazzi che sono stati reclutati?".
Nella nostra stanza di sicurezza
Sì, proprio così, un allarme ogni cinque minuti. Ma la situazione è la stessa in tutto il Paese. E penso a Eden, che non ha una stanza sicura. Ha una figlia piccola. La chiamo.
"Vieni qui, presto, almeno qui abbiamo una stanza sicura".
Almeno siamo insieme.
E i miei figli, uno a Be'er Sheva, uno ad Ashdod e uno a Modiin.
In televisione parlano di mobilitare le riserve. Ho paura di chiederglielo, ma non ho scelta.
Sei stata arruolata, le chiedo a bassa voce?
"Sì, mamma".
Moran è stato chiamato immediatamente. Si è unito a noi per cinque minuti per prendere le sue cose. Anche il suo amico Eden è stato arruolato immediatamente.
A Tomer e a Elad è stato detto di tenersi pronti e di essere disponibili.
Non c'è più una voce ragionevole. L'unica voce è quella del cuore L'unica voce è quella del cuore che grida così forte ..... Forse possiamo trovare una buona clinica di riabilitazione per riprenderci tutti insieme dopo combattimenti, battaglie, guerre e spargimenti di sangue.
E l'unica voce di speranza ragionevole che mi circonda in questo momento è la voce di un bambino di un anno che chiede cibo, che piange quando vuole dormire.
Piange anche senza motivo.
Vuole giocare.
Ride, cade, alza le mani per essere portato in braccio.
Questa è Michaela, la mia nipotina.
Mi è stato promesso alla nascita che questa sarebbe stata l'ultima guerra.
E cosa dovrei prometterle?
Feste felici non esistono più.

(Israel Heute, 7 ottobre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


*


Come è potuto accadere? Come ha potuto Israele essere così sopraffatto?

Le immagini che vediamo oggi dal sud di Israele erano un tempo considerate impossibili. L'immagine di "Israele invincibile" è andata in frantumi.

di Ryan Jones

Palestinesi festeggiano su un carro armato dell'IDF catturato. Immagini del genere prima erano considerate impossibili.
GERUSALEMME - Israele non è inespugnabile? L'IDF non è di gran lunga la potenza militare più forte del Medio Oriente? Molto più forte, in ogni caso, di una gracile organizzazione terroristica confinata in una piccola e impoverita striscia costiera.
Eppure, sabato mattina, Israele è stato sorpreso e per il momento sconfitto.
Non c'è dubbio che l'IDF reagirà, riprenderà tutti i territori perduti e infliggerà un duro colpo ai nostri nemici.
Ma fino a ieri non c'erano dubbi che i nostri confini fossero al sicuro, almeno dall'invasione, se non dal lancio di razzi.
Questa mattina, centinaia di famiglie israeliane hanno scoperto che ci sbagliavamo quando si sono svegliate vedendo uomini armati di Hamas marciare per le loro strade.
Hamas ha effettivamente conquistato il territorio israeliano!
Questa mattina, i confini di Israele si sono spostati a favore del nemico per qualche ora!
Non importa che i guadagni del nemico siano stati di breve durata. Non sarebbe mai dovuto accadere. Eravamo tutti convinti che non fosse possibile. Il nemico non dovrebbe essere in grado di invadere e catturare gli israeliani nelle loro case. L'IDF era troppo forte, troppo avanzato, perché Hamas potesse infliggerci un tale colpo.
I filmati degli israeliani condotti per le strade di Gaza ci hanno subito mostrato quanto ci sbagliavamo.
Anche per quelli di noi che sanno da dove viene realmente la forza di Israele, l'arroganza israeliana è contagiosa. Come la maggior parte degli israeliani, si crede che lo Stato ebraico sia potente di per sé. Che Dio sia dalla sua parte è solo un bis.
Ma Dio non può essere preso in giro.
Come nella guerra dello Yom Kippur, iniziata 50 anni fa con un devastante attacco a sorpresa, oggi Israele ha sentito la verga del rimprovero.
Ci sono molte lezioni che possiamo imparare dai terribili eventi di oggi. Umiltà, consapevolezza, preparazione. Soprattutto, speriamo e preghiamo che a Israele venga ricordato che può continuare a fare affidamento sul Signore.

(Israel Heute, 7 ottobre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


*


"Quanto sta succedendo in Israele è di una gravità senza pari"

Riportiamo un post inserito sui social che l'autore ci ha comunicato per conoscenza.

Interrompo l’abituale silenzio shabbatico perché quanto sta succedendo in Israele è di una gravità senza pari; al momento, secondo notizie che arrivano direttamente dalla direzione ospedaliera, ci sono oltre 100 morti israeliani (in gran parte civili) e 900 feriti (ma saranno di più perché bisogna informare i familiari prima di renderli ufficiali), senza contare le persone che sono state rapite. Non intendo pubblicare qui le terribili scene che ho visto, con morti trucidati nelle loro auto in autostrada, anziani, donne e bambini presi prigionieri, israeliani che si nascondono nei bidoni della spazzatura, terroristi entrati nelle case private… (non aggiungo altro), e alcuni villaggi completamente nelle mani dei terroristi. È vero che alcuni terroristi sono già stati fatti prigionieri, ma su questo più sotto dirò il mio parere, ma prima che i riservisti siano arrivati nei posti di combattimento sarà terminata la prima giornata di GUERRA.
E allora permettetemi di dire il mio pensiero che coloro che mi seguono forse già immaginano. Non più tardi di giovedì sera ho scritto: “non vorrei che oggi, a distanza di 50 anni, Israele ricadesse nell’errore di sentirsi troppo sicuro, come il 6 ottobre del 1973”. Già, avevo visto giusto, ahimè, e la colpa ricade tutta, sugli alti gradi dei militari che, come i giudici della Corte Suprema, costituiscono una casta, e sui politici, anche Netanyahu, che sono sempre andati dietro alla loro volontà timorosi di ciò che il mondo direbbe se… Pochi mesi fa osservai in un post che non si può pensare che dei giovanissimi militari rimangano per ore ed ore (allora, sul confine egiziano, in turni di 12 ore) sempre vigili. Come spiegare altrimenti che i terroristi siano penetrati in massa in Israele, armati di tutto punto? Ci saranno le solite commissioni d’inchiesta, ma i colpevoli non si auto-accuseranno. Come è possibile che i carristi si facciano prendere prigionieri, estratti letteralmente dal loro carro armato? Evidentemente hanno ordini categorici di non sparare se… Mancano le guide in Israele all’altezza della situazione.
Scusate la durezza del mio sfogo, ma da tempo avevo capito che coloro che aprivano i miei occhi su questa realtà avevano ragione; essere con Israele è dire anche questo.
Emanuel Segre Amar

(Notizie su Israele, 7 ottobre 2023)

........................................................


La Guerra del Kippur e una lettera per Roma: ‘’I ragazzi arrivavano di corsa con il talled in mano’’

Per ricordare il cinquantesimo anniversario della Guerra del Kippur, riportiamo di seguito una lettera pubblicata su “Shalom” nell’ottobre del ‘73 che ci restituisce la cronaca di quei drammatici giorni. Miki racconta nella missiva ai genitori in Italia cosa accade: il repentino passaggio dai momenti di preghiera durante Kippur al campo di battaglia, la sorpresa dell’attacco, la mobilitazione della popolazione israeliana animata da un forte senso di appartenenza e solidarietà: i giovani che vanno al fronte, i civili preparano rifugi e donano il sangue e i bambini che aiutano come possono.  

Gmar Hatima Tovà, Carissimi.
Giorno 6. Sono stata così felice di avervi potuto parlare stasera nonostante tutte le difficoltà sopravvenute all'ultimo momento. Non so quando potrò spedirvi la presente ma vi prometto che la prima lettera a lasciare Israele sarà la vostra.
Sapevamo da una quindicina di giorni che qualcosa si stava preparando nel Golan e quando sono stata per il week-end a Mayashrim era evidente che lo scoppio era molto vicino ma tutti pensavamo ad una azione localizzata e non ad una guerra.
Ieri sera Dany che mi è molto amico è arrivato in licenza dal Sinai dove serve in una postazione radar, poi Alex è arrivato dal Golan, ma nello stesso istante una jeep militare è venuta a prelevarlo e Noemi ha fatto solo in tempo a dargli un po' di biancheria pulita prima che raggiungesse la sua compagnia sul Golan. Ma eravamo senza radio e senza notizie, tutto era chiuso per motivi religiosi da ieri alle 2 del pomeriggio. Ciononostante tutto sembrava calmo ma quando sono uscita stamane invece di trovare le strade deserte c'erano macchine dell'esercito che hanno incominciato a circolare, dei camion, degli autobus con dei grandi manifesti «Esercito, servizio di difesa ecc... » Poi una serie di doppi «bang» degli aerei e allora la gente ha capito che una tale infrazione alla legge del Kippur significava che qualcosa di grosso stesse avvenendo.
Poi sono stata chiamata ad un punto di prelevamento per soldati in caso di emergenza e ho passato lì tutta la mattinata. Vedevo arrivare soldati correndo da tutte le parti e con tutti i mezzi di locomozione disponibili per aspettare i camion militari che regolarmente si fermano per portarli sui fronti.
È stato uno spettacolo straziante dato che la maggior parte di questi ragazzi erano accompagnati dalle famiglie ed alcuni arrivavano ancora con il talled in mano (erano appena stati prelevati dal Tempio) e se lo levavano in attesa del camion. C'era un giovane ufficiale che aveva indossato la camicia dell'esercito su un paio di blue jeans e una signora anziana, la nonna, che cuciva velocemente un distintivo militare sul pantalone regolare; è arrivata in tempo a finire mentre arrivava il camion. Purtroppo lo stesso camion era già lontano quando è giunto trafelato e correndo con tutte le sue forze un ragazzino con un paio di stivaletti e una sacca militare. Egli ha talmente pianto che la signora anziana lo ha preso in braccio ed era talmente commossa che piangeva quanto lui; è stato a questo punto che non sono più riuscita a trattenere le mie lacrime.
Il mio vicino è appena sceso per salutarmi con il suo cane lupo; entrambi hanno già fatto la guerra dei 6 giorni. Sua moglie faceva eroici sforzi per sembrare calma e naturale.
L'allarme ha interrotto il silenzio nel quale eravamo immersi e allora la radio ha annunciato che eravamo in guerra e che la trasmissione avrebbe avuto carattere continuo.
Degli ordini sono stati dati per l'oscuramento e i ragazzi che ne sono responsabili sono scesi in tutti i palazzi al fine di preparare i rifugi, come glielo hanno insegnato a scuola con riserve di lumi, candele e acqua.
Giorno 8. Dany è stato ferito e non potrò mai dimenticare il viaggio che ho fatto in compagnia di sua madre per andare all'ospedale di Gerusalemme; questa povera donna, ignara di quanto era successo al figlio e che pregava Dio con fervore per ritrovarlo «intero». Per fortuna Dany non è grave, gli hanno tolto chili di piombo dalla schiena, dalle braccia, ma lui non si dà pace preoccupandosi soltanto del luogo dove sarà rimandato uscendo dall’ospedale, in quanto la sua postazione è stata rasa al suolo di sorpresa.
La popolazione si dimostra pari all'esercito e non è poco. Ci sono troppi volontari dappertutto e la radio ripete continuamente che le banche del sangue hanno una riserva massima e prega i donatori di non presentarsi più per non ingombrare i servizi.
I bambini hanno funzione di postini e si incaricano di togliere le immondizie. Le donne si sono presentate nelle fabbriche al posto dei mariti e il primo sforzo dell'Italia in questo conflitto è forse quello rappresentato dalla mia automobile con la quale faccio trasporti di truppa.
Ieri ho accompagnato il Generale in un ospedale militare. È stata una cosa atroce vedere in una camera dei giovani senza braccia, senza gambe, alcuni ciechi che pregavano le signore venute con regali di non farlo più versando ogni lira al Governo.
Abbiamo bisogno di denaro, ancora denaro, null'altro che denaro.
E tu, mamma cara, aiuta Aviva quanto puoi e cerca di fare quanto facesti durante la guerra dei 6 giorni raccogliendo il massimo che puoi.
I nostri ragazzi sono meravigliosi e il loro morale è alle stelle.
Lavoro giorno e notte con tutto il cuore, non siate preoccupati per me, siamo al sicuro e sono io che mi preoccupo sapendo quanto tremiate per me.
Mamma manda soldi, papà fai il massimo per questo Paese per il quale darei la mia vita.
Giorno 9. Ho appena saputo della morte di Dany; non ce la faccio più a scrivere.
Telefonerò stasera
Miki

(Shalom, 6 ottobre 2023)


*


La Guerra del Kippur e i 100 chili d’oro: “Sarà per Israele il petrolio degli ebrei romani”

Fu per libera scelta e non per cedere a un ricatto che cinquant’anni fa gli ebrei romani si mobilitarono per raccogliere 100 chili d’oro da destinare ad Israele durante la Guerra del Kippur. Accadde proprio nella ricorrenza della razzia del 16 ottobre 1943: con un senso di rivalsa nei confronti della storia, memori di ciò che avevano fatto i loro genitori e nonni e della raccolta dei 50 chili d’oro estorti dai nazisti agli ebrei romani, un gruppo di persone ebbe l’idea “di rispondere al petrolio arabo con l'«oro di Roma», quello dei braccialettini delle donne, delle catenine dei figli” come ci racconta la cronaca riportata a caldo da “Shalom” dell’epoca. In quelle ore arrivarono in migliaia in comunità e chi aveva donava per aiutare Israele. C’erano anche i sopravvissuti ai campi di sterminio. Ad un certo punto arrivò Settimia Spizzichino… Ripercorriamo la vicenda della raccolta dei 100 chili d’oro attraverso le pagine di “Shalom” di ottobre – novembre 1973…

La raccolta dei 100 chili d’oro

FOTO 1
FOTO 2
FOTO 3
FOTO 4
Nata fra molte polemiche e alcune incertezze, l'iniziativa di raccogliere l'oro nella ricorrenza del 16 ottobre, ha dimostrato nei fatti la sua validità. Già dalle prime ore della mattina un flusso ininterrotto di persone ha cominciato ad affollare la stretta scala che porta ai locali del centro sociale che erano stati disposti per la raccolta.
   Un'enorme e vitale confusione di donne, bambini, gente semplice che portava il proprio «oro» di famiglia. Alcuni si sfilavano la fede (che veniva però rifiutata) altri facevano offerte inconsuete: chi un terreno e, nel caso di una signora vedova e nemmeno troppo abbiente, l'appartamento, la propria unica rendita.
   Ad un certo punto è venuta Settimia Spizzichino, l'unica donna fra i deportati del 16 ottobre che sia tornata dai campi di sterminio. Aveva parlato poco prima alla radio sulla sua tragica esperienza nella rubrica «Il Gazzettino» e aveva concluso con espressioni di speranza per la pace. Quasi tutti l'avevano ascoltata e le donne vedendola si commuovevano «Settimia, mi ha fatto piangere».
   Qualcuno aveva già regalato il suo oro, qualcuno ancora no, la tendenza era di rimanere sul posto a discutere e commentare, e i dirigenti si dovevano sbracciare a pregare la gente di fare largo e di recarsi a parlare altrove. I sacchetti di carta si riempivano e andavano a riempire altri sacchi mentre gli incaricati della Keren Hayesod si affannavano a scrivere le ricevute. In serata la raccolta aveva già superato il termine prefissato di 100 kg. Si è prolungata ancora nella mattinata seguente.
   Oltre all'oro da fondere sono stati raccolti e messi da parte per la vendita un numero considerevole di oggetti di pregevole fattura e perciò non adatti allo squaglio.

Il petrolio degli ebrei di Roma

Pochi li conoscono con il loro vero nome, ma li chiamano come già chiamavano i loro padri, con soprannomi coloriti che hanno dietro chissà quali storie lontane: i personaggi caratterizzanti del vecchio ghetto di Roma, personaggi che non riflettono la composizione media dell'ebraismo italiaпо, professionisti, piccoli e medi borghesi, ma costituiscono proletariato ed in qualche caso sottoproletariato. In più sono tra i non molti autentici romani rimasti a Roma. È tra loro che ha trovato terreno l'idea-sfida di raccogliere in un giorno - nello stesso giorno in cui esattamente trenta anni prima i tedeschi razziavano il ghetto deportandone gli abitanti – il doppio dell'oro estorto dai nazisti alla fine di settembre del 1943 con la mendace promessa di lasciare salva la vita degli ebrei. 50 chili d'oro chiesero ed ebbero i nazisti, 100 chili si sono ripromessi di raccoglierne gli abitanti del ghetto, oggi. «Non possiamo sempre subire ha detto qualcuno di loro - quei tempi sono finiti e non lasceremo che ritornino». Così hanno deciso, forzando la mano dei dirigenti della Comunità, assai perplessi, di dare il via all'operazione di raccolta destinata a Israele.
   I rapporti tra questi ebrei romani e Israele sono improntati tutti al sentimento, ma dietro a questo sentimento c'è la consapevolezza che Israele rappresenta la salvaguardia non tanto della vita quanto della dignità ebraica: e qui a Roma la dignità ebraica è stata per troppi secoli calpestata dai Papi perché il ricordo non diventasse atavico e strutturale. Non sanno forse molte parole d'ebraico, nessuna forza al mondo li spingerebbe a lasciare la città in cui si perdono le loro origini, ma sono sordi agli eleganti «distinguo» dei comunisti sull'antisemitismo.
   Loro che sionisti non sono hanno avvertito che nella guerra contro Israele c'è qualcosa di più che un confronto politico e militare.
   La loro risposta alla quarta guerra mediorientale non è stata forse in un primo momento così emotivamente drammatica come nei giorni del giugno 1967 quando sembrava che Israele dovesse soccombere trascinando nella caduta tutto il popolo ebraico, ma via via che i particolari del potenziale bellico arabo sono venuti alla luce l'emozione di allora è tornata. Gli ebrei della «piazza» non hanno forse molte sottigliezze politiche, ma hanno sentito delle potenti batterie missilistiche fornite agli arabi dall'URSS insieme con i carri armati, le artiglierie, e tutte le armi sofisticate della guerra moderna. E soprattutto sanno di quanto denaro dispongono gli arabi.
   Da qui l'idea-sfida di rispondere al petrolio arabo con l'«oro di Roma», quello dei braccialettini delle donne, delle catenine dei figli.
   Il 16 ottobre 1973 sono affluiti a migliaia. Forse non avevano in tasca le 10.000 lire da lasciare, ma l'oro si, perché il popolo romano ha sempre amato i monili, quelli che si possono portare al Monte di Pietà nei momenti difficili e ritirare prima delle feste, delle nascite, dei matrimoni dei «bar-mizwà», le maggiorità religiose dei figli.
   Questa risposta popolare ha prima stupito i dirigenti comunitari, poi li ha sommersi nell'ondata emotiva.
   Il traguardo dei 100 chili d'oro è stato raggiunto. Sarà per Israele il petrolio degli ebrei romani. Ma un petrolio infinitamente più faticato.

(Shalom, 6 ottobre 2023)

........................................................


Fino al prossimo 8 ottobre, in Calabria i rabbini per la raccolta dei cedri

Il "frutto sacro" è utilizzato nella rievocazione del periodo trascorso nel deserto dal popolo ebraico, dopo l'Esodo biblico dall'Egitto, prima di raggiungere la Terra di Israele .

Decine di rabbini si sono dati appuntamento nelle ultime settimane a Santa Maria del Cedro, in provincia di Cosenza, per la raccolta a scopo rituale dei cedri destinati alla "Festa delle Capanne", che, iniziata il 29 settembre in tutte le comunità ebraiche sparse nel mondo, si concluderà domenica prossima, 8 ottobre.
   Il "frutto sacro" è utilizzato nella rievocazione del periodo trascorso nel deserto dal popolo ebraico, dopo l'Esodo biblico dall'Egitto, prima di raggiungere la Terra di Israele, promessa da Dio ai discendenti di Abramo.
   Nel tempo, a Santa Maria la coltivazione del cedro si è radicata sempre più, con la nascita di numerose aziende agricole specializzate. Il frutto, grazie all'attività di promozione svolta dall'omonimo consorzio, ha anche ottenuto a maggio scorso l'iscrizione nel registro delle Denominazioni d'origine protette, con il nome di "Cedro di Santa Maria del Cedro Dop".
   Le imprese cedricole destinano soltanto il 25-30% della produzione al settore alimentare, mentre la parte restante va alla ben più remunerativa vendita ai rabbini. L'acquisto da parte degli ebrei avviene per singolo frutto, con prezzi che variano dai 15 ai 40 euro, secondo gli accordi tra le parti e, soprattutto, in base alla qualità del prodotto, stabilita con canoni estetici riguardanti la forma (dritta e simmetrica) e la purezza (buccia priva di graffi, muffe e funghi, che renderebbero il cedro non adatto all'alimentazione degli ebrei.
   Durante la raccolta, tra agosto e settembre, i cedricoltori staccano dalle piante soltanto i frutti migliori indicati loro dai rabbini dopo un'attenta valutazione. Una seconda selezione viene fatta poi a tavola, con i rabbini che analizzano ogni singolo frutto servendosi anche di lenti di ingrandimento. I cedri, così scelti, vengono dunque acquistati, conservati con attenzione in apposite cassette dotate di imbottiture in spugna, caricati su camion e trasportati in aeroporto per poi volare oltreoceano, destinazione New York. Da qui, vengono venduti alle comunità ebraiche sparse nel mondo.
   L'attività delle aziende cedricole è fiorente. L'unico problema che devono affrontare è la mancanza di manodopera, sia fissa che stagionale

(TGR Calabria, 6 ottobre 2023)

........................................................


Ve-zot Ha-Berakhà: Non vi fu, ne vi sarà mai nessuno come Moshè

di Donato Grosser

Alla fine di questa parashà, l’ultima della Torà, è scritto: “Non è mai più sorto in Israele un profeta come Moshè, al quale l’Eterno si rivelò faccia a faccia, come evidenziato da tutti quei segni e miracoli che l’Eterno lo mandò a fare nel paese d’Egitto, al Faraone, a  tutti i suoi ministri e a tutto il suo paese; né simile a lui per quegli atti potenti e per tutte quelle gran cose, che Moshè fece alla presenza di tutto Israele” (Devarìm, 34: 10-12).
            Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) nel suo commento alla Mishnà (Sanhedrin, decimo capitolo) elenca i tredici principi basilari della Torà che impegnano ogni persona d’Israele. Questi principi sono riassunti nel piyùt (poesia) “Igdàl” che viene cantato il venerdì sera nelle sinagoghe alla fine della tefillà di ‘Arvìt. Il settimo principio afferma che non vi fu né vi sarà mai un profeta come Moshè.
            Il piyùt inizia con la parola “Igdàl” che significa “sia esaltato il Signore”. Con la parola “Nimtzà” viene  presentato il primo principio, quello dell’esistenza del Creatore. Con la parola “Echàd” che Egli è uno e unico. Con “En lo demùt ha-guf” che l’Eterno non è corporeo. Con “Kadmòn” che Egli è eterno. Con “Hinò adòn ‘olàm” che non si deve pregare altro che a Lui. Con “Shèfa’ nevuatò” che l’Eterno comunica con gli esseri umani tramite i profeti. Con “Lo kam be-Israel” che non vi fu mai profeta come Moshè. Con “Toràt emèt” che la Torà è tutta di origine divina. Con “Lo yachalìf” che la Torà è immutabile. Con “Tzofè ve -yodèa’” che l’Eterno è onnisciente. Con “Gomèl” che l’Eterno ricompensa i giusti e punisce i malvagi. Con “Yishlàkh” che alla fine dei giorni l’Eterno manderà  il Mashìach. Infine con “Metìm yechayè” che quando l’Eterno vorrà, avrà luogo la resurrezione dei morti. 
               Riguardo al settimo principio, il Maimonide scrive che bisogna sapere che Moshè è il supremo di tutti i profeti che lo hanno preceduto e di tutti quelli che lo hanno seguito. E tutti sono inferiori al suo livello. Ed egli è l’eccelso di tutto il genere umano, che comprese del Signore più di quanto comprese e comprenderà ogni altro essere umano esistito o che esisterà. E che Moshè giunse al limite dell’elevazione umana, al punto di raggiungere un livello angelico.  
            Le differenze tra la profezia di Moshè e di quelle degli altri profeti sono quattro: la prima differenza è che gli altri profeti non comunicano direttamente con l’Eterno ma con degli intermediari angelici. Moshè invece comunicava senza intermediari come è detto: “Faccia a faccia”. La seconda differenza è che la visione profetica agli altri profeti giunge  in sogno oppure di giorno quando il profeta è preso da una “trance”, va in estasi e perde il controllo dei sensi. A Moshè invece la profezia arrivava di giorno mentre era sveglio e si trovava nella tenda dell’assemblea. La terza differenza è che quando a un profeta arriva una visione profetica, anche se gli arriva tramite un angelo, perde le forze e cade terrorizzato come se fosse di fronte alla morte, come avvenne con Daniel (10: 8-16). A Moshè invece la parola divina arrivava nello stesso modo in cui due persone parlano l’uno con l’altro, senza alcun tremore, grazie alla capacità del suo intelletto di connettersi con il divino. La quarta differenza è che a tutti i profeti, la profezia non arrivava quando la desideravano, ma solo a seguito della volontà divina. Alcuni profeti attesero per anni di ricevere la profezia. Moshè invece poteva ricevere la profezia quando voleva. Questi sono i motivi per cui cantiamo: “Non sorse mai in Israele nessun profeta come Moshè”.

(Shalom, 6 ottobre 2023)
____________________

Parashà della settimana: Vezot ha berachà (Questa è la benedizione)

........................................................


Non c’è Stato d’Israele democratico che non sia anche Stato ebraico

Il fervore messianico dell’estrema destra vorrebbe abbandonare il concetto di “democratico”, ma il fervore messianico dell’estrema sinistra vorrebbe cancellare il concetto di “ebraico” contraddicendo se stessa.

La Dichiarazione d’Indipendenza occupa un posto d’onore nelle celebrazioni israeliane. Benché non sia una Costituzione, si tratta di un documento fondativo, riconosciuto come tale nella Legge Fondamentale su Libertà e Dignità umana. Questa riconoscimento è basilare.
La frase “stato ebraico” compare più volte nella Dichiarazione d’Indipendenza. Non compare invece la parola “democratico”, ma il testo della Dichiarazione stabilisce che Israele “assicurerà completa uguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti senza distinzione di religione, razza o sesso; garantirà libertà di religione, di coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura; salvaguarderà i Luoghi Santi di tutte le religioni e sarà fedele ai principi della Carta delle Nazioni Unite”. Ciò mette in chiaro che Israele non è solo democratico, ma anche liberale nella sua essenza....

(israele.net, 6 ottobre 2023)

........................................................


Quando re Hussein avvertì Israele sulla Guerra del Kippur

50 anni dopo dagli archivi i dettagli sull'incontro con Golda Meir

TEL AVIV - Nell'imminenza della guerra del Kippur - lanciata simultaneamente dagli eserciti di Egitto e Siria nell'ottobre 1973 - Israele ricevette un avvertimento da re Hussein di Giordania.
   Era il 25 settembre quando Hussein incontrò a Tel Aviv la premier di Israele Golda Meir.
   "Le forze siriane - disse - hanno completato i preparativi, aviazione e missili inclusi. Devono avere la sembianza di esercitazioni, ma secondo le mie informazioni si apprestano a lanciarsi in avanti". La Meir gli chiese se i siriani avrebbero sferrato un attacco da soli, o assieme con l'Egitto. "Fra loro c'è piena collaborazione", rispose il sovrano hashemita. Al termine di quel drammatico incontro, il segretario della Meir Eli Mizrahi scrisse un documento che sarebbe stato poi affidato agli archivi di Stato. Da tempo il suo contenuto era di dominio pubblico: ossia che la Giordania aveva messo in guardia Israele della minaccia incombente.
   Adesso quel testo storico è reperibile sul web. Si è appreso così che nei messaggi segreti re Hussein era chiamato con il nome in codice 'Lift'. Nel 50esimo anniversario di quella guerra, il mese scorso gli archivi hanno infatti messo a disposizione del pubblico 3.500 dossier con centinaia di migliaia di pagine. Un evento che ha riattizzato aspre polemiche sulle responsabilità del governo Meir. Da questi documenti si apprende fra l'altro che da mesi Hussein avvertiva, con crescente insistenza, sia gli Stati Uniti sia Israele della tempesta in arrivo. In codice aveva anche un altro nominativo: 'Yanuka', poppante. Ciò perché era stato proclamato re a soli 17 anni. Il 12 giugno 1973 'poppante' incontrò a Washington l'ambasciatore d'Israele Simcha Dinitz e lo aggiornò sui tentativi di Siria ed Egitto di trascinare il suo Paese in un attacco contro Israele, per recuperare i territori perduti nel 1967 nella guerra dei Sei giorni. Il re disse che i progetti - a cui si opponeva - prevedevano lo schieramento in Giordania di forze egiziane e siriane, sotto comando egiziano. In extremis, il 25 settembre Hussein cercò ancora di avvertire Israele. Ma anche nei giorni seguenti l'intelligence militare stimava che fossero basse le probabilità di una guerra. Gli spostamenti sul fronte egiziano - fu assicurato alla Meir, secondo Eli Mizrahi - avevano "carattere difensivo". Dagli archivi risulta che all'alba del 5 ottobre il capo del Mossad Zvi Zamir volò all'estero e che poi la aggiornò nel cuore della notte. Aveva incontrato a Londra - secondo un libro pubblicato di recente dal Mossad - 'l'Angelo': il funzionario egiziano Ashraf Marwan, intimo del presidente Anwar Sadat. E 'Angelo' confermava l'imminenza della guerra. Seguirono ore convulse, con un richiamo parziale di riservisti. Poi alle ore 14 del 6 ottobre partì il blitz siro-egiziano sul Golan e nel Sinai che avrebbe spiazzato Israele, costringendolo ad affrontare la sfida militare più grave della sua storia.
   L'apertura degli archivi ha rispolverato vecchie ruggini fra i servizi di sicurezza. Al capo dell'intelligence militare Eli Zeira e al capo dell'aviazione Benny Peled viene attribuita da alcuni un'errata sicumera nell'analizzare le capacità offensive arabe. Altri, come il direttore di Haaretz Aluf Ben, accusano invece il governo Meir di miopia politica: di non aver cioè saputo (o voluto) verificare, già in una consultazione ministeriale del 18 aprile 1973, la disponibilità ad un accordo da parte del presidente egiziano Sadat.

(ANSAmed, 4 ottobre 2023)

........................................................


Pio XII. Il Papa anti-Cristo

Abbiamo ricevuto da Gerusalemme e pubblichiamo molto volentieri questo poderoso articolo di un nostro sincero e costante amico. NsI

di Fulvio Canetti

Come dimenticare quel Signore vestito da stregone e portato su di una sedia dorata, che dall’alto di questa inviava segnali con le mani alla folla raccolta nella basilica di San Pietro in Roma? È consuetudine vaticana quella di chiudere le porte della basilica quando il Papa si presenta alla folla dei fedeli, a cui impartisce le sue formule di benedizione. Avevo allora circa dieci anni quando insieme alla mia mamma (z.l.) eravamo in visita proprio nella basilica di San Pietro. Ricordo benissimo che, all’arrivo del Papa, le porte si chiusero, mentre io e la mamma, senza renderci conto di cosa stesse accadendo, venimmo a trovarci fuori dalla basilica. Eravamo gli unici due sul sagrato, dove non c’era anima viva. L’atmosfera che si respirava, sembrava quella delle favole, dove ogni cosa finisce bene. E la nostra storia grazie a D-o finì proprio bene perché ambedue fummo salvati da quelle formule magiche di benedizioni, in odore di idolatria. Ma chi era questo Eugenio Maria Giovanni Pacelli figlio di Filippo, un avvocato della Sacra Rota vaticana? Era il Papa Pio XII, salito al soglio pontificio nel marzo del 1939 A.D. con il benestare dei regimi totalitari nazi-fascisti e delle frange oltranziste della Curia di Roma. Fu un ottimo biglietto di presentazione da esibire nelle cancellerie d’Europa, nel momento in cui la Germania nazista si apprestava a dichiarare guerra al mondo, avendo già pronto nel cassetto il programma assassino dello sterminio del popolo ebraico (Shoà). È impensabile che un Papa come Pio XII non conoscesse la situazione drammatica del momento, come già accaduto con gli accordi di Monaco del 1938 firmati dal primo ministro britannico Chamberlain. È stata la capitolazione delle libertà europee, portata avanti da una società senza D-o, che potremmo definire anti-cristiana. Pio XII è stato definito dal giornalista britannico John Corwell ‘’Il Papa di Hitler’’, da David Kertzer ‘’Un Papa in guerra’’, ma sarebbe più giusto definirlo il Papa anti-Cristo, che, cavalcando la tigre del Nazismo, ha reciso completamente le radici ebraiche di Gesù, a favore di un paganesimo barbaro e violento, che ha portato l’Europa alla rovina morale. 
   Forti del loro potere assoluto i Signori della guerra, hanno cercato di emulare l’esempio di Babele, ma hanno fatti i conti senza l’oste cioè senza D-o, che ha ascoltato il grido di dolore del suo popolo, scendendo nel mondo per rendere giustizia ai figli prediletti. Pio XIIl’anti-Cristo ha avuto il coraggio di tacere sul genocidio di esseri umani, sperando nella vittoria delle tenebre sulla luce, ha avuto il coraggio di non condannare le leggi razziali del 1938 in sintonia con il re di Piemonte, ha avuto il vile coraggio di rapire bambini ebrei nascosti nei conventi durante la Shoà, privando costoro per sempre delle loro famiglie. Eppure è stata proposta per questo signor Papa una solenne beatificazione! Il coraggio della vergogna di certo non manca nei circoli del potere Pontificio, che si ammanta di una falsa umanità finalizzata unicamente al proprio interesse.
   Si stanno aprendo ora con notevole ritardo, gli archivi vaticani riguardanti il periodo del suo pontificato e si comincia a vedere da documenti finora inediti, che questa sua presunta ‘’santità’’ cede il passo alla ‘’leggenda nera’’ cioè a quella di un Papa animato da indifferenza se non da compiacimento verso la tragedia delle vittime. Sapeva tutto quello che c’era da sapere sui Lager di sterminio nazisti, come testimoniano le lettere private sfuggite alla distruzione, ma nessuna parola ‘’ pubblica’’ di condanna osò proferire: silenzio assordante. Non protestò contro la violenta occupazione nazista di Roma, ma per confondere le anime, bisognava mettere alle sue mancanze una facciata di moralità ‘’cristiana’’, offrendo rifugio nei conventi a ebrei e antifascisti. Di certo un rifiuto di aiuto sarebbe stata un’accusa manifesta nei confronti del Papa e la cornice di umanità sarebbe venuta a cadere, mettendo in luce la connivenza con le forze del male. Questa scelta politicamente ‘’obbligata’’ è diventata poi il cavallo di battaglia dei suoi difensori, per occultare le sue inadempienze morali verso il prossimo e verso D-o.  Pio XII nei fatti ha scelto la strada politica, tralasciando quella morale, un comportamento questo indegno e vergognoso per il principe della religione sedicente cristiana.

(Notizie su Israele, 6 ottobre 2023)

........................................................


L’Arabia si avvicina: tra Israele e i sauditi un accordo è possibile? Forse sì…

Incontri defilati e non ufficiali. Colloqui segreti che si sono moltiplicati in questi mesi. L’obiettivo? Un avvicinamento concreto tra sauditi e israeliani (a mediare ci pensano gli inviati della Casa Bianca). Molti i possibili vantaggi per tutte le parti. Ma gli ostacoli sono numerosi: primo fra tutti, la questione palestinese, su cui i sauditi chiedono concessioni tangibili da parte di Israele.

di Giovanni Panzeri

La svolta potrebbe essere epocale ma la tela su cui sono chini i tessitori è ancora lontana dall’essere terminata. Israele, Usa e Arabia Saudita: un accordo porterebbe grandi vantaggi ma la strada per ottenerlo è ancora irta di ostacoli. Secondo un report del New York Times, i recenti tentativi da parte della Casa Bianca di verificare l’interesse dei Sauditi verso un accordo che preveda, tra le altre cose, il riconoscimento diplomatico dello Stato d’Israele sarebbero andati incontro a un certo successo.
   Parlando ai suoi sostenitori il 28 Luglio il Presidente Joe Biden avrebbe affermato che “potrebbero esserci segni di avvicinamento tra le parti”, evitando di entrare nei dettagli. E il giorno prima, sempre secondo il New York Times, Jake Sullivan e Bret Mcgurk – rispettivamente il consigliere di Biden per la Sicurezza Nazionale e il coordinatore responsabile per il Medio Oriente della Casa Bianca – si sarebbero recati per la seconda volta a Jeddah, incontrando il principe ereditario Bin Salman ed altri delegati sauditi per discutere della possibilità di un accordo.
   Inoltre secondo un recente scoop della testata Axios, i due inviati americani avrebbero incontrato più volte in segreto il direttore del Mossad David Barnea, per discutere della stessa questione. I termini dell’accordo sono stati, inoltre, apertamente discussi nell’incontro tra il Segretario di stato americano Blinken e il Ministro per gli affari strategici del governo israeliano, Ron Dermer, come riporta il Times of Israel del 25 agosto.

• I vantaggi di un possibile accordo
  Le tre nazioni avrebbero diverse ragioni per stringere un simile accordo: per parte loro gli Stati Uniti vorrebbero limitare le crescenti relazioni tra i sauditi e la Cina, inoltre un accordo sponsorizzato dagli Usa tra Israele e Arabia Saudita ristabilirebbe il loro prestigio nella regione, soprattutto se corredato da concessioni ai palestinesi e dalla fine della guerra in Yemen. L’Arabia Saudita dal canto suo vorrebbe stringere una formale alleanza difensiva con gli Stati Uniti, avere mano libera nel perseguire lo sviluppo nucleare in campo civile (una questione che ha precedentemente incontrato l’opposizione sia degli Stati Uniti che di Israele), e acquistare nuovi sistemi d’arma dagli USA, come il sistema di difesa missilistico antibalistico THAAD. Infine, un eventuale accordo rappresenterebbe una vittoria significativa per Netanyahu, che cerca da anni di guadagnare il riconoscimento formale di Israele da parte degli altri stati mediorientali, e inoltre permetterebbe di collegare l’Arabia Saudita alla ferrovia ad alta velocità pianificata tra la città di Kiryat Shmona e Eilat, sul Mar Rosso.

• Ostacoli significativi
  Ad oggi, però, un effettivo accordo tra le parti rimane improbabile, e rimangono grossi ostacoli e punti da chiarire. I due nodi principali sono essenzialmente collegati e sono la questione palestinese e la complicata situazione della politica interna di Israele: in particolare, la composizione del governo israeliano rende praticamente impossibili significative concessioni ai palestinesi, mentre l’attuale polarizzazione della politica israeliana, dovuta alla controversa riforma giudiziaria, rende poco probabile la formazione di un governo alternativo.
   Altri fattori che potrebbero presentare problemi sono l’opposizione in seno al partito democratico americano, e gli interessi sauditi nell’evitare di sabotare le proprie relazioni con la Cina, nel caso di un nuovo inasprimento dei rapporti con l’Iran. In questo senso sono interessanti alcuni recenti sviluppi, come l’ormai prossima entrata dell’Arabia Saudita e dell’Iran nei BRICS, e l’apertura da parte dei sauditi alla partecipazione cinese nello sviluppo del suo programma nucleare civile, orientata, per ammissione degli stessi sauditi, a fare pressione sugli USA.

• Le condizioni palestinesi
  Sempre secondo il New York Times, i Sauditi sarebbero disposti a considerare un accordo dietro ad una sola, eventuale, promessa da parte di Bibi Netanyahu di non annettere la Cisgiordania e fermare i coloni (un’opzione ipotizzata dagli americani, non dal governo israeliano). Avrebbero anzi chiarito agli inviati americani, a seguito dell’intervento diretto di Re Salman, che un accordo con Israele sarebbe possibile solo dietro significative e concrete concessioni ai palestinesi. L’Autorità palestinese ha recentemente presentato ai sauditi e a Washington una lista di condizioni per dare il suo supporto a un eventuale normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele. Secondo il Times of Israel queste condizioni includono “il riconoscimento dello stato palestinese da parte degli USA, soprattutto nell’ambito delle Nazioni Unite, la riapertura di un consolato americano per i palestinesi a Gerusalemme, l’abrogazione della legislazione statunitense che dichiara la AP, Autorità Palestinese, un’organizzazione terroristica, il trasferimento della West Bank sotto il controllo palestinese, e la demolizione degli insediamenti illegali”.
   Gli Stati Uniti hanno dichiarato che la AP dovrebbe rivolgere le sue proposte a Gerusalemme, visto che parte di esse richiederebbero comunque l’approvazione israeliana, e ha invitato i palestinesi a moderare le proprie condizioni, sottolineando come “richiedere il passaggio di alcuni territori dell’area C, sotto completo controllo Israeliano, alle aree A o B” – dove alla AP è riconosciuta una limitata autonomia- “sarebbe più realistico”. Come riportato da Haaretz lo scorso 30 Agosto, inoltre, i sauditi avrebbero offerto alla AP il rinnovamento dei finanziamenti alle istituzioni palestinesi, accompagnati da “significativi passi verso la realizzazione dello stato palestinese” in un eventuale trattato tra Israele e l’Arabia Saudita, se la AP si fosse dimostrata in grado di “contenere” la violenza nella West Bank. Haaretz riporta anche che l’Autorità Palestinese sta tenendo una serie di incontri e consultazioni con Egitto e Giordania per creare un fronte unito e fare pressione affinché qualunque trattato che preveda la normalizzazione dei rapporti con Israele includa “passi concreti verso uno stato Palestinese”.

• La posizione israeliana
  La posizione e le recenti dichiarazioni da parte del governo israeliano sembrano mettere seriamente in questione la natura di queste discussioni. Mentre Israele è interessato a un accordo con l’Arabia Saudita, sembra che il governo stia scommettendo sul fatto che il sostegno saudita alla causa palestinese sia puramente formale, e che, alla fine, i sauditi si accontenteranno di qualche concessione superficiale, che consenta loro di salvare la faccia, accompagnata dal consenso israeliano allo sviluppo di un programma nucleare. Durante il recente incontro tra Blinken e Dermer, gli ufficiali USA hanno dichiarato che i corrispettivi israeliani “non si rendono conto della reale situazione” e che “significative concessioni ai Palestinesi” saranno necessarie per raggiungere un accordo. Le componenti ultra-ortodosse del governo di Netanyahu ribadiscono da tempo, tuttavia, che per loro si tratta di chalomot! sogni!, e che qualunque accordo che preveda concessioni ai palestinesi è inaccettabile. “Non faremo nessuna concessione ai Palestinesi – ha ribadito il ministro delle Finanze israeliano Smotrich – tutto questo è pura finzione”.

(Bet Magazine Mosaico, 5 ottobre 2023)

........................................................


Azerbaijan. Nagorno Karabakh: l’intelligence francese riporta la collaborazione di Israele

di Giuseppe Gagliano

Secondo fonti dell’intelligence francese il comando militare dell’Azerbaigian ha avuto modo di rivolgere un sentito ringraziamento a Israele, nazione questa che ha dato un supporto militare ed di intelligence di grande rilevanza nel conflitto del Nagorno Karabakh. Il ministro della Difesa israeliano Eyal Zamir ha infatti avuto modo di recarsi a Baku sia per testimoniare la sua vicinanza e per assicurarsi della buona riuscita delle operazioni di supporto e sostegno a Baku.
   Baku ha avuto la fondamentale collaborazione sia del Mossad che dell’intelligence militare israeliana Aman’s Unit 8200. Inoltre Israele ha avuto modo di consegnare numerose armi e tra questi droni prodotti dalla Israel Aerospace Industries (IAI), dalla Rafael Advanced Defense Systems e dalla Israel Military Industries (IMI). Sempre secondo l’intelligence francese sono atterrati in Israele 15 aerei cargo azeri, per la precisione presso l’infrastruttura aerea militare di Ovda, nel deserto del Negev. Complessivamente negli ultimi sette anni sono atterrati presso questa infrastruttura aerea ben 92 aerei cargo azeri. Infine Israele avrebbe fornito anche supporto nel contesto della cyber warfare attraverso l’NSO Group.

(Notizie Geopolitiche, 5 ottobre 2023)

........................................................


Israele, 3,36 miliardi di dollari di investimenti nel settore della cybersicurezza nel 2022

di Silvia Valente

Le minacce senza confine «del nostro mondo interconnesso si vincono soltanto collaborando». E l’intensa cooperazione tra Italia e Israele nel campo della cybersicurezza, a livello sia istituzionale che privato, ne è un esempio virtuoso. Ma restano ancora molte opportunità da sfruttare nella sinergia tra i due governi e tra i due mercati. Questa l’opinione di Alon Bar, Ambasciatore d’Israele in Italia, che ha inaugurato il Padiglione Nazionale Israeliano presso CyberTech Europe 2023, il più grande evento europeo dedicato alla cybersicurezza, organizzato in collaborazione con Leonardo e giunta alla sua quinta edizione.

Raggiunge quota 745 milioni il capitale investito
  In particolare, Israele continua a distinguersi per le sue eccellenze tecnologiche anche nel mondo della cybersecurity, come rileva il Report dello Start-Up Nation Central. Con 55 hub, 459 aziende e 69 investitori attivi nel settore, 26 cicli di investimenti conclusi tra il quarto trimestre del 2022 e i primi tre mesi del 2023, ma soprattutto con 745 milioni di dollari di capitale investito.
   Sebbene i livelli di investimenti in cyber siano in riduzione rispetto al picco assoluto del 2021 (con 7,86 miliardi), i 3,36 miliardi del 2022 e i 650 milioni del primo trimestre 2023 hanno pareggiato se non superato i valori registrati negli anni pre-pandemici.
   L’ambito della cloud security ha raccolto il maggior flusso di investimenti, raggiungendo quota 324 milioni di dollari. Seguono, con distacco e a pari merito tra loro, la application security e la identity security con i rispettivi 80 milioni, mentre la data security si è fermata a 65 milioni. Tale classifica si spiega chiaramente guardando ai più grandi investimenti del primo trimestre 2023 che vede dominare l’investimento da 300 milioni di tre operatori di mercato per la cloud security platform Wiz.

Meno M&A  
  Anche a livello di operazione di fusioni e acquisizioni il picco nel mercato cyber israeliano si è raggiunto nel 2021, con 29 M&A per un valore di 3,14 miliardi di dollari. Eppure il comparto ha goduto di un trimestre relativamente forte in termini di somma totale di operazioni eseguite, con circa la metà delle exit totali nel 2022, 2020 e 2019. È interessante notare che ciò è avvenuto in assenza di IPO nel settore per oltre un anno. 
   Il report sulle startup israeliane evidenzia inoltre come la maggioranza delle aziende del mondo della cybersicurezza (51%) ha già realizzato prodotti. Nondimeno la maggior parte delle azioni del settore (27%) hanno tra gli 11 e i 50 dipendenti.

(Milano Finanza, 5 ottobre 2023)

........................................................


Presto saranno introdotti voli diretti tra Israele e Messico

Miri Regev
Il Ministro dei Trasporti israeliano Miri Regev ha raggiunto un accordo con il suo omologo messicano Jorge Nuno Lara e con il suo vice ministro Rogelio Jimenez Pons, responsabile per l'aviazione, per istituire voli diretti tra Israele, Città del Messico e Cancún, ha annunciato giovedì il Ministero dei Trasporti israeliano. Queste nuove rotte aeree ridurranno in modo significativo i tempi di percorrenza, che attualmente richiedono scali che prolungano il viaggio tra le 18 e le 30 ore.
   Per il momento, gli israeliani che desiderano recarsi a Città del Messico o nella località balneare di Cancún devono intraprendere viaggi che prevedono più scali in Europa, Stati Uniti o Canada.
   "I voli diretti tra Israele e Messico faranno risparmiare ai passeggeri molte ore e molto denaro", ha dichiarato Miri Regev, esprimendo il suo entusiasmo per questa nuova iniziativa. Va notato che la compagnia aerea nazionale israeliana, El Al, non ha in programma di lanciare voli diretti. La compagnia messicana Aeroméxico potrebbe quindi essere l'unica opzione.
   Durante la sua visita in Messico, la signora Regev ha avuto modo di ispezionare gli aeroporti di Città del Messico, in particolare il nuovo aeroporto internazionale "Felipa Angeles" e l'aeroporto internazionale di Cancún. Ha inoltre incontrato il ministro dei Trasporti di Città del Messico, Andres Lajo, per discutere delle sfide comuni in materia di trasporti, come la gestione della congestione e le soluzioni di trasporto intelligenti.
   Inoltre, Jorge Nuno Lara e Rogelio Jimenez Pons hanno ricevuto un invito ufficiale a partecipare a una conferenza internazionale sui trasporti, incentrata sull'intelligenza artificiale, che si terrà in Israele a novembre.

(i24, 5 ottobre 2023)

........................................................


‘’Shades of Israel’’: tre mostre per un ponte culturale tra Puglia e Israele

di Michelle Zarfati

FOTO
Un rapporto davvero stretto quello tra la Puglia e Israele. Nato nel 2021, e consolidato sempre di più anche grazie alla collaborazione tra Pugliapromozione e il Museo Ebraico di Lecce nell’ambito del FESR, in occasione della stagione 2023-2024. Un progetto prestigioso che intensifica sempre di più il ponte culturale, commerciale e turistico tra Italia e Israele. E sarà proprio una mostra la prova di questo rapporto. Grazie ad un percorso di arte israeliana contemporanea itinerante, a cura di Fiammetta Martegani, città e musei pugliesi ospiteranno alcuni esempi di arte israeliana nel Bel Paese.
   Tre mostre, dislocate e collocate in tre luoghi diversi racconteranno questo interessante e ricco rapporto tra l’Italia e lo Stato Ebraico. Rispettivamente le opere degli artisti israeliani potranno esser visionate a Lecce, presso il Museo Ebraico. Lì sarà visitabile “My Altneuland”, collettiva di dieci artisti israeliani contemporanei rappresentanti le diverse voci, religioni e identità di Israele. A Trani, presso il Castello Svevo dove si può visitare “Ludmilla”, personale di Maria Saleh, un’artista dalle mille sfaccettature e nazionalità: arabo israeliana-ucraina, già vincitrice nel 2023 del premio Rapoport come miglior artista israeliana dell’anno. Ed infine a Polignano presso Fondazione Pino Pascali, dove i visitatori potranno ammirare “Terra Infirma”, personale di Tsibi Geva, considerato tra i più importanti artisti israeliani contemporanei. Geva ha già rappresentato Israele nel corso della Biennale di Venezia del 2015. Artisti talentuosi ed ecclettici che porteranno un po' d’Israele in Puglia, con voci e tecniche diverse.
   Tutte e tre le esposizioni prendono il via adesso, nel periodo di Sukkot - la Festività ebraica delle Capanne – una festa carica di significato, che sottolinea ancor di più le idee di unione, fratellanza e scambio culturale. Una ricorrenza simbolica che intensifica la metafora di come l’arte e la cultura in generale possano essere un importante mezzo culturale di scambio per poter dialogare con le diverse culture.

(Shalom, 5 ottobre 2023)

........................................................


A Gerusalemme il ponte sospeso sull' 'Inferno'

Una escursione con suggestioni storiche nella valle della Geenna

di Aldo Baquis

FOTO
TEL AVIV - Sulla carta, il nuovo ponte sospeso inaugurato di recente a Gerusalemme promette emozioni forti. Oltre ad essere il ponte sospeso più lungo in Israele è situato in un posto altamente evocativo: in una vallata chiamata 'Gay ben-Hinnom' da cui è scaturito poi il termine inquietante di 'Gehennom' ('Geenna', in italiano) che nella letteratura biblica è indicato come uno di tre ingressi all'Inferno.
   Più precisamente, l'accesso sarebbe dissimulato fra due palme situate appunto nella valle di Hinnom, da dove secondo le scritture si leva costantemente una colonna di fumo.
   La valle si trova in prossimità delle mura della Città Vecchia, ai piedi del Monte Sion. L'ambiente circostante è molto sereno.
   Prima occorre superare la 'Cinemateque' di Gerusalemme, poi scendere per un sentiero e quindi aggirare un villaggio bucolico dove per la gioia dei bambini è stato ricreato un panorama di sapore biblico, con piccoli appezzamenti di terra coltivati con sistemi di duemila anni fa, dove qualche cammello sonnecchia sotto a un tendone.
   In tempi remoti, secondo la letteratura, qua invece bambini venivano immolati al dio Moloch. Quel posto si chiamava allora 'Tofeth', la fornace. Da qui tremila anni fa - attraversando nel 'Gay ben Hinnom' il confine fra i terreni della tribù di Giuda e quella di Beniamino - passarono gli uomini di David, messisi in marcia con spade sguainate in un braccio di ferro con il re Saul. E sempre qui, a partire dal 1948, correva il confine fra Israele e lo stato di Giordania, che sarebbe stato cancellato nel 1967 con la guerra dei sei giorni.
   Ma come il Rubicone e come il fiume Giordano anche la valle di Hinnom è sul terreno poca cosa rispetto alla celebrità accumulata nei secoli e oggi può essere attraversata comodamente a piedi, anche senza ponti. Ciò nonostante col sostegno delle autorità è stato realizzato un ponte sospeso lungo 200 metri e largo 130 centimetri, costato secondo la stampa l'equivalente di cinque milioni di euro. Si parte da una sorta di rampa per raggiungere, pochi minuti dopo, la parte opposta, dove c'è un'altra rampa. In alto, ma difficile da raggiungere, il monte Sion. Scrutando in basso dal ponte sospeso, nessuna traccia delle due palme con la colonna di fumo né dell'altare al dio Moloch, se mai c'è stato. Tuttavia per il turista di passaggio potrebbe egualmente diventare una meta obbligata da dove mandare a casa una foto-ricordo davvero invidiabile: 'Tanti saluti dalla Geenna'.

(ANSAmed, 3 ottobre 2023)

........................................................


Gli israeliani laici sono molto arrabbiati

Deve essere stipulato un nuovo patto tra israeliani religiosi e laici. E presto.

di Benjamin Kerstein 

Israeliani laici protestano durante lo Yom Kippur a Tel Aviv contro quella che considerano una coercizione religiosa
Durante il mio primo anno in Israele, io e la mia ragazza siamo stati portati da una guida turistica a Mea She'arim, uno dei quartieri più religiosi di Gerusalemme. La mia ragazza era vestita con una gonna e maniche lunghe, ma i suoi avambracci erano parzialmente esposti. Mentre stavamo tornando verso il centro della città, un'auto si è fermata accanto a noi e un uomo Haredi è saltato fuori, ha spinto la mia ragazza per i polsi e ha gridato: "Cosa, non sei decente?".
Prima che riuscissi a capire cosa stesse succedendo, l'uomo è risalito in macchina ed è partito a tutta velocità.
   Ero inorridito. Quell'uomo aveva il diritto di fare obiezioni, ma non quello di mettere le mani addosso a una giovane donna (violando così la sua stessa etica) e poi fuggire come un topo spaventato. Se avesse sostenuto le sue ragioni e affrontato le conseguenze delle sue azioni, avrei potuto avere rispetto per lui, ma non fece così.
   La sera successiva, la mia ragazza ed io ci siamo ritrovati nella piazza davanti al Muro del Pianto e abbiamo visto migliaia di persone salutare il santo Yom Kippur. Il venerato Rabbi Ovadia Yosef, ormai novantenne, celebrava la funzione. Sussurrava una preghiera in un microfono, il responsabile della preghiera la ripeteva e le migliaia di persone rispondevano - un grande ronzio di voci che si levava nella fresca aria autunnale.
   In quel momento ho capito quanto sia particolare l'ebraismo israeliano. A differenza dei ristretti raduni che conoscevo negli Stati Uniti, i raduni qui erano epici, sia per le dimensioni che per la storia. Un raduno simile non sarebbe possibile in nessun altro luogo. Avvertivo che il mondo ebraico ruotava intorno a questo asse.
   Mi resi conto allora di amare questo ebraismo come in gioventù non l’avevo mai amato, e persino odiato. Provo quindi solo gratitudine.
   Racconto queste due esperienze, avvenute a distanza di 36 ore l'una dall'altra, per dare una misura dell'ambivalenza con cui io - e molti altri israeliani - affrontiamo l'immenso e sempre più ampio divario tra israeliani religiosi e laici.
   Questo divario si è manifestato in tutta la sua evidenza durante lo Yom Kippur di quest'anno, quando un gruppo di attivisti di sinistra ha impedito a un'organizzazione ortodossa di tenere un servizio di preghiera pubblico separato per genere in piazza Dizengoff a Tel Aviv. Ho assistito a una piccola parte dello scontro - ma non alla violenza che si è verificata alla vigilia della festa - e ho scritto poco dopo che il mio unico sentimento era la tristezza. Mi sembrava di vedere due tribù contrapposte - di un  nuovo regno di Israele e un nuovo regno di Giuda - con tutto ciò che ne consegue.
   La reazione all'incidente si è divisa, come l'incidente stesso. I religiosi e i loro alleati di destra hanno per lo più denunciato gli attivisti come violenti, oppressori e persino antisemiti. La sinistra ha difeso gli attivisti e ha attaccato quello che considera un crescente estremismo religioso che minaccia il liberalismo e la democrazia israeliana.
   Io sono una persona laica e ammetto che, pur non approvando la decisione degli attivisti di interrompere la funzione anziché limitarsi a protestare, capisco i loro sentimenti. Il motivo dovrebbe essere ovvio: so da questa spiacevole esperienza a Gerusalemme (e da altre) che molti israeliani religiosi sono decisi a imporre i loro valori e le loro usanze agli altri in modi decisamente brutti. Questi valori e costumi inoltre sono spesso del tutto illiberali e insensibili o addirittura ostili alla democrazia. Quando questi israeliani religiosi accusano gli israeliani laici di aver imposto agli altri i loro valori e costumi , si tratta di una palese ipocrisia.
   Immagino che i religiosi che si sono riuniti in piazza Dizengoff non appartengono agli  Haredim, molti di loro vivono a Tel Aviv e non volevano imporsi a nessuno. Questo è un controargomento legittimo, ma bisogna capire che non ha importanza per gli israeliani laici. La separazione dei sessi potrebbe essere  un simbolo che li ha offesi tanto quanto gli avambracci scoperti della mia ex ragazza avevano offeso quell’uomo. Come gli ebrei religiosi di piazza Dizengoff, anche lei non voleva offendere nessuno, ma è stata trattata come se lo avesse fatto, e per le stesse ragioni.
   Ma il problema va oltre. In poche parole, gli israeliani laici sono stufi. A torto o a ragione, sono arrabbiati e non ne possono più. Sentono che per decenni sono stati gravati da un onere ingiusto nel servizio militare e in altri settori della vita, mentre i soldi delle loro tasse vengono sottratti e dati a persone religiose che li odiano e li considerano falsi ebrei. Questo può essere vero o meno, ma è così che si sentono e deve essere affrontato.
   Fino ad ora è stato mantenuto un patto sociale scomodo ma stabile: gli israeliani laici avrebbero continuato a tollerare una situazione che a loro non piace; in cambio il governo avrebbe protetto le loro libertà fondamentali dall'invasione religiosa e preservato il carattere di Israele come democrazia liberale essenzialmente laica.
   Agli occhi degli israeliani laici, quel contratto si è rotto, e a romperlo sono stati i religiosi. Vedono la campagna del governo per la riforma giudiziaria come un tentativo di rompere l'ultima linea di difesa dell'Israele laico - la Corte Suprema - e di imporre loro una tirannia teocratica che non vogliono e non tollereranno. Il senso di tradimento è immenso e la reazione immediata è la rabbia. Di fronte a questo, le sfumature del servizio di preghiera di Dizengoff scompaiono.
   Anzi, tutte le sfumature scompaiono. È inutile sottolineare che la maggior parte degli israeliani religiosi presta servizio nell'esercito o in qualche altra forma di servizio; che loro e anche molti haredim lavorano e pagano la loro giusta quota di tasse; che gli israeliani religiosi sono socialmente impegnati e fanno opere di beneficenza che vanno a beneficio di tutti noi; che non c'è nulla di intrinsecamente sbagliato nel fatto che uno Stato ebraico riconosca che i grandi studiosi della Torah sono un tesoro nazionale che dovrebbe essere sostenuto dallo Stato; e così via.
   È inutile sottolineare tutto questo, perché è un fatto che va avanti da molto tempo. Si basa su risentimenti, che almeno in parte sono giustificati. Ora niente più si ferma. A meno che il governo non rinunci alla sua campagna di riforma giudiziaria e faccia qualche concessione alla popolazione laica. Ma non c'è alcun segno che questo possa accadere a breve.
   Considero questo una tragedia, come è giusto che sia. Sì, ho avuto brutte esperienze con la religione in Israele, ma ho anche avuto esperienze trascendenti, come quella notte al Muro del Pianto. Ce ne sono state anche altre: la meravigliosa anarchia della funzione sefardita dello Yom Kippur nella sinagoga a due passi dal mio condominio. La vista di centinaia di ebrei tradizionali vestiti di bianco che sfilavano per le strade di Beersheva dopo aver rotto il digiuno. La mia ammirazione per le menti straordinarie di uomini come Yosef, che era un genio riconosciuto della Torah prima ancora di essere un adolescente. Quante volte ho appoggiato la fronte al muro, ho messo le mani sulla testa per bloccare i suoni e le immagini e sono entrato in un altro mondo. Tutto questo significa molto per me.
   Ma se vogliamo che continui a significare qualcosa, la destra israeliana deve mettere da parte i propri risentimenti e accettare quello che sta accadendo. Sono al governo, sono al potere, è una loro responsabilità. Il ruolo pubblico dell'ebraismo deve essere mantenuto, ma devono essere fatte anche delle concessioni. Le riforme giudiziarie devono essere abbandonate o modificate in modo sostanziale. Occorre trovare una soluzione al problema della coscrizione per gli haredim, che sia il servizio nazionale o qualcosa di simile. Una parte dei fondi che attualmente sovvenzionano le yeshivas e gli insediamenti dovrebbe essere dirottata per sovvenzionare gli alloggi, l'istruzione, le cure mediche e l'alimentazione di base per tutti gli israeliani. Già solo questo contribuirebbe a sanare le nostre ferite.
   Spero, ma non sono ingenuo. Non credo che il divario religioso-secolare possa mai essere completamente colmato. Le credenze e i valori delle due comunità sono semplicemente troppo diversi. Ma un consenso che permetta a  tutti di convivere è possibile. Per molto tempo l'Israele laico è stato disposto a tollerare il vecchio accordo, ma ora non è più disposto a farlo. Può essere in parte giusto e in parte sbagliato. Può essere giusto o ingiusto. Non importa. È necessario creare un nuovo accordo, ed è responsabilità di chi è al potere il farlo.
   Lo scontro di piazza Dizengoff dovrebbe essere il campanello d'allarme di cui hanno bisogno: è ora di cominciare.

(Israel Heute, 4 ottobre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


Gli studenti della scuola ebraica ricevono il loro primo siddur

di Michelle Zarfati

FOTO
Radici, identità ebraica e tanto entusiasmo è quello che contraddistingue gli studenti della scuola elementare ‘Vittorio Polacco’, che proprio ieri hanno ricevuto il loro primo siddur (libro di preghiera).
   Gli studenti delle classi seconde, assieme ai loro genitori, hanno preso parte all’ormai consolidata cerimonia di consegna dei libri alla presenza del Rabbino Capo Riccardo Di Segni, del Presidente della Comunità Ebraica Victor Fadlun, dell’Assessore alla scuola Daniela Debach e all’Assessore alle politiche giovanili Ruben Benigno.
   Un momento speciale, il preludio di un percorso scolastico all’insegna dell’ebraismo e del rispetto per la propria identità culturale. “Ogni anno ci mettiamo sotto il talled e benediciamo i nostri bambini, eppure in realtà sono loro che benedicono loro” ha detto durante la cerimonia Rav Roberto Colombo.
   “Questi ragazzi sono il nostro bene più prezioso, sono orgoglioso della scuola” ha aggiunto il Presidente della Comunità Ebraica Victor Fadlun.
   Durante la cerimonia gli studenti hanno intonato un medley di canzoni ebraiche e dopo la berachà generale assieme a tutti i presenti la mattinata si è conclusa con lo Shemà cantato all’unisono sul nuovo siddur regalato agli studenti. Una tappa fondamentale non solo nel curriculum scolastico dei ragazzi ma anche per il loro bagaglio religioso e culturale.

(Shalom, 4 ottobre 2023)

........................................................


Alla CyberTech Europe 2023 Israele presenta le sue soluzioni cyber all’Italia ed all’Europa

L’Ambasciatore d’Israele in Italia, Alon Bar, ha presenziato alla cerimonia di inaugurazione del Padiglione Nazionale Israeliano presso CyberTech Europe 2023, il più grande evento europeo dedicato alla cybersicurezza, organizzato in collaborazione con Leonardo.

FOTO 1
FOTO 2
Giunta alla sua quinta edizione e ospitata presso il centro congressi “La Nuvola” di Roma, la conferenza si svolge il 3 e 4 ottobre ed ha visto ieri la presenza, tra gli altri, del Ministro italiano della Difesa, Guido Crosetto, del Vice Presidente della Commissione Europea, Margaritis Schinas, del CEO di Leonardo, Roberto Cingolani, e del Direttore Generale dell’Agenzia Nazionale per la Cybersicurezza, Bruno Frattasi.
  Israele, Paese leader nel settore, è rappresentato da numerose e aziende consolidate e startups innovative. Queste ultime – AimBetter, Cinten, ItsMine, Orchestra Group, Perception Point, Rescana, Seraphic Security, Sling e Symmetrium- sono ospitate nel Padiglione Nazionale Israeliano, mentre le grandi aziende -Checkpoint, CyberArk, Cybergym, SentinelOne,Terafence, XM Cyber- sono visitabili presso boots dedicati.
  “La cooperazione tra Italia e Israele nel campo della cybersicurezza è intensa, sia a livello istituzionale che privato, e va rafforzandosi sempre più“, ha esordito l’Ambasciatore Bar. “Israele, paese leader nel settore, è lieto di poter condividere la sua esperienza e le sue soluzioni più all’avanguardia con l’Italia, perché le minacce senza confine del nostro mondo interconnesso si vincono soltanto collaborando“.
  “La sinergia tra l’ecosistema Israeliano e l’Italia è notevole. Ci sono molte opportunità di collaborazione tra i due governi, e tra i due mercati” ha dichiarato Amir Rapaport, fondatore di CyberTech.
  “La quinta edizione del Padiglione Nazionale Israeliano presso CyberTech Europe 2023 sta andando alla grande: ad ora, le nostre 10 startup hanno già tenuto oltre 100 meeting con realtà italiane, tra cui aziende, infrastrutture critiche, enti nel settore della sanità e molto altro ancora“, ha sottolineato Ophri Zohar Hadar, Capo dei Settore Cyber, Fintech and Insurtech presso l’Israel Export Institute.
  Hanno fatto visita al Padiglione Israeliano l’On. Giorgio Mulè, Vice Presidente della Camera dei Deputati, l’On. Lorenzo Guerini, Presidente del Copasir, l’On. Giovanni Donzelli Vice Presidente del Copasir, la Senatrice Licia Ronzulli, l’On. Marco Osnato, Presidente Commissione Finanze della Camera, e il Generale Del Col, in rappresentanza del Consiglio Supremo di Difesa presso il Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica.

(Ares Osservatorio Difesa, 4 ottobre 2023)

........................................................


Il ruolo dei conventi e monasteri durante la Shoah, fra aperture e invito alla chiusura

di Ilaria Myr

“Nel periodo delicato fra il settembre e il novembre del 1943, dopo l’ingresso dei nazisti in Italia, gli ebrei capirono che non potevano tenere in funzione le organizzazioni di assistenza ai correligionari, come la Delasem e le varie attività delle diverse comunità. E prima di farsi travolgere completamente dagli eventi alcuni responsabili ebrei si attivarono per continuare a dare assistenza, mettendosi in contatto con un rappresentante ecclesiastico locale. Questo dimostra che gli ebrei non furono passivi davanti alla sorte avversa, ma che ci fu una presa di responsabilità attiva». Parola dello storico Michele Sarfatti, autore di un articolo appena uscito sul fascicolo 98 del luglio 2023 della rivista Quaderni di storia, diretta da Luciano Canfora, che rivela il ruolo attivo di alcune comunità ebraiche in quel periodo e che arricchisce di contenuti il dibattito oggi in corso sul ruolo della Chiesa nel salvataggio degli ebrei, alla luce dei nuovi documenti resi consultabili negli Archivi Vaticani.

• Cosa avvenne a Genova, Firenze e Roma
  Nella sua ricerca lo storico ha indagato ciò che è avvenuto a Genova, Firenze e Roma, scoprendo fatti fino a oggi non conosciuti. Ripercorrendo la storia dell’Italia dal 25 luglio 1938 all’8 settembre 1943, Sarfatti ricorda l’opera di assistenza del mondo ebraico attiva già da poco dopo l’emanazione della legislazione antiebraica.
   “Nel 1939 l’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane (UCII), presieduta da Dante Almansi, aveva istituito al proprio interno, con la necessaria autorizzazione del governo, un dipartimento avente il compito di facilitare l’uscita dall’Italia degli ebrei stranieri e di assisterli in attesa della partenza: la Delegazione per l’assistenza agli emigranti – Delasem, diretta da Lelio Vittorio Valobra, vicepresidente dell’UCII3 (nella foto a Genova con un gruppo dell’associazione) – scrive nell’articolo -. La Delasem aveva sede a Genova (la città ove abitava Valobra) ed era in contatto con le varie Comunità ebraiche e con i principali campi di internamento e comuni di residenza forzata, istituiti dall’Italia dopo l’ingresso in guerra nel giugno 19404. Nel 1941 Valobra estese la rete ai territori ex-jugoslavi annessi o occupati; invece il soccorso nei territori occupati in Francia sudorientale fu gestito da comitati locali”.
    Nel settembre 1943, fu proprio Valobra a chiedere di incontrare a Genova il cardinale Pietro Boetto arcivescovo della città, o forse il suo segretario, don Francesco Repetto (a destra nella foto). “Repetto ha ricordato che Valobra, “in maniera riguardosa e pure in uno slancio di fiducia, venne a tastare il terreno per conoscere se il Cardinale avrebbe accettato di assumere l’assistenza agli ebrei, specialmente stranieri, in Italia, svolto [recte: svolta] fino allora dalla Delasem”, che egli riferì il colloquio a Boetto chiedendo “se si doveva accettare la domanda della Delasem, oppure declinarla”, che il cardinale rispose di accettarla" – continua Sarfatti nell’articolo -. In sostanza, Valobra propose e Boetto accettò la gestione dell’opera di distribuzione del soccorso ebraico agli ebrei. Fu un patto di fiducia e di impegno. L’arcivescovo incaricò del lavoro il proprio segretario”.
   Valobra passò i fondi della Delasem e gli indirizzi delle persone assistite a Repetto, che costituì una rete collegandosi a tutte le curie d’Italia e sollecitando l’aiuto di tutti nel salvare gli ebrei.
   «È assolutamente doveroso riconoscere la generosità e la risposta pronta di curie, conventi e monasteri, ma è anche importante riconoscere che gli ebrei non furono imbelli e passivi», commenta a Bet Magazine-Mosaico lo storico.
   Una vicenda simile accade a Firenze, dove, subito dopo l’occupazione tedesca, si era costituito un gruppo di persone generose (fra cui il rabbino capo Nathan Cassutto), che forniva assistenza ai profughi ebrei. Fu questo gruppo ad attivarsi per trovare alloggi ai fuggiaschi. “Mancava la possibilità di ospitare i fuggiaschi nei locali della Comunità; con la mirabile attività dei singoli componenti del Comitato, con l’aiuto della Autorità ecclesiastica e dei generosi privati, furono trovati alloggi temporanei o anche stabili per decine di persone; fu mantenuta una mensa; furono dati biglietti ferroviari a molti – scrive Sarfatti -. Padre Cipriano Ricotti, del convento domenicano di San Marco, ha ricordato che il 20 settembre, o poco prima, fu convocato dal cardinale Elia Dalla Costa, che, alla presenza del suo segretario Giacomo Meneghello, (che aveva incaricato di coordinare questa nuova attività), chiese “se me la sentivo di dedicarmi all’assistenza degli Ebrei. Subito mi consegnò una lettera di presentazione, scritta di suo pugno, perché più autorevolmente potessi bussare alle porte dei conventi””.
   Infine Sarfatti ricostruisce quello che accadde a Roma, dove due frati cappuccini – Marie Benoit, detto Benedetto (a sinistra nella foto), e Giovanni da San Giovanni in Persiceto – si attivarono in modo importante dopo essere entrati in contatto con rappresentanti della comunità ebraica locale, sia prima che dopo la retata del 16 ottobre.
   Nei tre casi, emerge il ruolo attivo della comunità ebraica e la risposta altrettanto pronta e reattiva delle realtà ecclesiastiche locali.

• Quando la Curia chiese di allontanare i rifugiati dai conventi
  Di fronte a queste prove di assistenza da parte del mondo cattolico, cercato e voluto dal mondo ebraico, suscita dunque perplessità la scoperta fatta da Sarfatti sfogliando i giornali del periodo della Repubblica Sociale Italiana. «Mentre facevo le ricerche mi sono imbattuto in un articolo, pubblicato da qualche quotidiano il 10 gennaio 1944 – fra cui il Corriere della Sera, che titolaDivieto di ospitare estranei nei monasteri e nei conventi’ -, che in breve parlavano di una disposizione della Curia vaticana per fare uscire dai conventi persone che vi erano ospitati – spiega a Bet Magazine -. Non mi è ancora dato sapere chi fossero le persone che dovevano essere allontanate dai conventi, la mia sensazione è che ci si riferisse principalmente ai militari italiani che si erano nascosti. Quello che però è certo èche la disposizione allarmò il mondo ebraico, tanto che Valobra, rifugiatosi in Svizzera, comunicò il contenuto al Joint Committee a New York. È anche molto probabile che leggendo la disposizione, qualche ebreo avesse deciso di non cercare rifugio nelle strutture cattoliche. A oggi non ci sono noti allontanamenti di ebrei dalle strutture ecclesiastiche, ma la ricerca è ancora in corso».
   La scoperta di Sarfatti, che per primo ha posto l’attenzione su questa direttiva della Santa Sede, fa dunque riflettere sul fatto che non solo non ci fu – almeno per quanto se ne sa al momento – una direttiva del Pontefice per l’accoglienza dei fuggitivi, inclusi gli ebrei, ma che anzi ci fu una direttiva che chiedeva invece l’allontanamento e l’espulsione.

• La Chiesa durante la Shoah: un convegno alla Pontificia Università Gregoriana
  Le rivelazioni dell’articolo di Sarfatti vengono pubblicate a pochi giorni dal convegno internazionale alla Pontificia Università Gregoriana sul ruolo della Chiesa durante la persecuzione e lo sterminio degli ebrei, alla luce dei nuovi documenti consultabili solo da poco. Il convegno si terrà dal 9 all’11 ottobre ed è intitolato New Documents from the Pontificate of Pope Pius XII and their Meaning for Jewish-Christian Relations: A Dialogue between Historians and Theologians (“I nuovi documenti del Pontificato di Pio XII e il loro significato per le relazioni ebraico-cristiane: un dialogo tra storici e teologi”).
   Il convegno, che si svolgerà sia in italiano che in inglese nell’Aula Magna dell’ateneo, è suddiviso in sette sessioni per tre giorni: la prima sessione, che si terrà lunedì 9 ottobre, affronterà le politiche adottate da Pio XII nei confronti del fascismo, del nazismo e del comunismo.
   La seconda sessione, martedì 10 ottobre, esplorerà la visione del mondo del Vaticano in generale e sulla Shoah in particolare, con riferimenti ai punti di vista che plasmarono le decisioni dei funzionari, prelati e laici facenti parte della cerchia del Papa. Nella terza sessione verranno trattate la teorizzazione e la messa in atto delle leggi razziali, prima in Germania e poi in altre nazioni europee, tra cui l’Italia. La quarta sessione sarà dedicata al salvataggio degli ebrei, con particolare attenzione all’80° anniversario del rastrellamento del Ghetto di Roma.
   Mercoledì 11 ottobre si terranno la quinta, sesta e settima sessione. Innanzitutto verranno illustrate le reazioni dei diplomatici papali di fronte alla crisi dei rifugiati e agli orrori della Shoah. In seguito verranno raccontati episodi in cui il Vaticano aiutò criminali di guerra nazisti condannati in tribunali militari internazionali. Infine, verrà ripercorso il graduale cambiamento interno alla Chiesa che portò alla dichiarazione Nostra Aetate del 1965, quando il Concilio Vaticano II pose fine all’impostazione antisemita che per secoli ne ha segnato i rapporti con il mondo ebraico.
   Tra gli ospiti, figurano Rav Riccardo Di Segni, Rabbino Capo di Roma; Iael Nidam-Orvieto, Direttrice dell’Istituto Yad Vashem di Gerusalemme; Claudio Procaccia, Direttore del Dipartimento Cultura della Comunità Ebraica di Roma; e gli storici della Fondazione CDEC di Milano Liliana Picciotto e Michele Sarfatti. Mentre al termine dei lavori, i discorsi conclusivi saranno tenuti dalla Presidente UCEI Noemi Di Segni e da Raphael Schulz, Ambasciatore israeliano presso la Santa Sede.

(Bet Magazine Mosaico, 3 ottobre 2023)

........................................................


Netanyahu: "Agiremo contro le intimidazioni ai fedeli"

"Condanno con fermezza tutti i tentativi di intimidire i fedeli e adotterò azioni immediate e decise contro tutto questo". Lo ha detto il premier Benyamin Netanyahu riferendosi agli sputi da parte di alcuni ebrei ortodossi contro pellegrini cristiani in processione con la croce sulle spalle in Città Vecchia a Gerusalemme. "Israele - ha aggiunto su X - è impegnato a salvaguardare il sacro diritto di culto e di pellegrinaggio ai luoghi santi di tutte le fedi. Un comportamento offensivo verso i fedeli è sacrilego e inaccettabile. Non sarà tollerata ogni forma di ostilità verso chiunque impegnato in riti religiosi".
   Vari esponenti del governo e religiosi hanno condannato gli sputi per terra che alcuni ebrei ortodossi diretti al Muro del Pianto per la festa di Sukkot hanno indirizzato ieri, nei pressi della Porta dei Leoni in Città Vecchia a Gerusalemme, a pellegrini cristiani in processione con una croce in spalla. Il ministro degli Esteri Eli Cohen - che ha condannato su X quanto accaduto - ha denunciato che "questo atto non rappresenta i valori dell'ebraismo. La libertà di religione e di culto sono valori fondamentali in Israele". "Centinaia di migliaia di turisti cristiani - ha proseguito - vengono in Israele a visitare i loro e i nostri luoghi santi. Invito tutti i cittadini di Israele a rispettare la tradizione".
   Anche uno dei due rabbini capo di Israele, l'askenazita David Lau, ha detto di "condannare fermamente il fatto di danneggiare qualsiasi persona o leader religioso". Poi ha aggiunto che questi comportamenti "ripugnanti non devono, ovviamente, essere associati in alcun modo alla Halachà". Il ministro degli Affari religiosi Michael Malkieli dopo aver condannato gli sputi ha sottolineato che "questa non è la strada della Torah" e che "non c'è un singolo rabbino a sostegno e legittimazione di un atto così spregevole". Il ministro del Turismo Haim Katz ha quindi attaccato Elisha Yered, un colono israeliano sospettato - hanno ricordato i media - di essere coinvolto nell'uccisione di un adolescente palestinese, secondo cui sputare ai cristiani è "un antico costume ebraico". "Sostenere che lo sputare ai cristiani sia un antico e anche accettabile costume è orribile. Queste azioni di un pugno di estremisti - ha detto Katz - fanno odiare l'ebraismo, danneggiano l'immagine di Israele e il turismo".

(ANSAmed, 3 ottobre 2023)

........................................................


Deserto del Negev: un vigneto tra presente, passato e futuro

di Jacqueline Sermoneta

Archeologia, enologia e innovativa ricerca genetica camminano di pari passo in un progetto israeliano unico nel suo genere: la rinascita nel sito archeologico di Avdat, nel deserto del Negev, di due varietà di vite autoctone risalenti a 1.500 anni fa, reimpiantate nello stesso vigneto in cui venivano coltivate anticamente.
   Lo studio è guidato dai ricercatori dell’Università di Haifa e dell’Università di Tel Aviv, in collaborazione con l’Autorità israeliana per le antichità (IAA),
   La storia inizia nel 2017, quando gli archeologi dell’IAA scoprirono alcuni semi durante i lavori di scavo effettuati nell’antica città di Avdat. Grazie all’innovativa ricerca sul DNA, è stato possibile identificare l’appartenenza dei semi a due note varietà di vite millenaria: Sariki e Beer.
   Il 13 settembre scorso è avvenuto il reimpianto delle viti, alla presenza del ministro israeliano per la Protezione ambientale, Idit Silman, nella città di Avdat, oggi parco nazionale, dichiarato patrimonio mondiale dell’umanità da parte dell’UNESCO. "Questa è la storia della bellissima Terra di Israele. – ha detto Silman - Il fatto che un milione di litri di vino all'anno venisse prodotto nel deserto ed esportato nel continente europeo 1.500 anni fa, è emozionante e allo stesso tempo stimolante. Oggi disponiamo della capacità tecnologica di piantare viti antiche, utilizzando metodi antichi e moderni nel deserto, e la sua importanza è sottolineata in un periodo di cambiamenti climatici. Le conoscenze, l’esperienza e l’innovazione israeliane possono essere un esempio per molti Paesi che devono affrontare le sfide climatiche”.
   Storicamente, la città, fondata nel III secolo a.e.v. dai Nabatei, era considerata un importante centro di produzione ed esportazione di vino nel Mediterraneo. Dal IV al VII secolo, la fama di questo vino si diffuse in tutto l’Impero Bizantino e oltre.
   Il vigneto appena reintrodotto lungo il “Sentiero dei torchi” del parco archeologico, segue la stessa struttura storica-agricola degli impianti realizzati tra il I-VII secolo , rispecchiando i principi di sostenibilità che caratterizzano un vigneto desertico. Il progetto prevede, inoltre, di integrare queste due varietà a quelle già coltivate in condizioni climatiche estreme come Chardonnay, Chenin Blanc, Sauvignon Blanc, Malbec, Merlot, Cabernet Sauvignon e Petit Verdot. Attualmente il Consorzio del vino del Negev, guidato dalla Merage Israel Foundation, comprende oltre 40 aziende agricole distribuite tra il Negev settentrionale ed Eilat.
   “Lo Stato di Israele è un pioniere su scala mondiale nello studio del deserto. – ha affermato Guy Bar Oz dell’Università di Haifa - Questo vigneto, reimpiantato anche per la ricerca, unisce passato, presente e futuro. Inoltre, incarna, in modo tangibile, il peso specifico inerente allo sviluppo agricolo sostenibile e il suo effetto sui prodotti locali. Con l’impianto di queste varietà di vite storiche e con una coltivazione attenta all’ambiente, il vigneto contribuirà a far comprendere le condizioni degli antichi sistemi agricoli, esalterà il potenziale dell’intraprendenza umana alla luce dei limiti di una regione arida e il contributo unico del deserto alle caratteristiche dell’uva da vino del Negev”.

(Shalom, 3 ottobre 2023)

........................................................


Sudafrica: una comunità ebraica viva e vibrante… Nel ricordo di Nelson Mandela

Corruzione, crisi energetica, instabilità politica e un forte antisionismo nel governo. Eppure la società civile del Sudafrica non conosce antisemitismo, dicono i 60 mila ebrei (quasi tutti ashkenaziti), orgogliosi della vivacità della propria comunità, ma preoccupati per il suo calo numerico. In attesa delle elezioni del 2024

di Ilaria Myr

«Forse l’immagine è un po’ scura: sa, qui in Sud Africa l’elettricità manca ormai da 15 anni per almeno 12 ore al giorno, e se non si ha un generatore privato si sta al buio… Disservizi di questo tipo, che impattano profondamente sulla vita quotidiana, insieme a una diffusa corruzione dei governanti fanno sì che molti ebrei sud-africani emigrino all’estero, per dare ai figli un futuro più certo e migliore». Ci parla da una stanza semibuia illuminata solo da una lampada Howard Sackstein, imprenditore ebreo di Johannesburg molto attivo nella vita comunitaria della città e del Paese: è stato un membro fondatore del Jewish anti-apartheid movement, che lottò attivamente contro il regime discriminatorio, ed è attualmente presidente del giornale ebraico SA Jewish Report. È quindi sicuramente una persona molto adatta per aiutarci a conoscere più da vicino la comunità ebraica sudafricana, che oggi conta circa 60.000 membri, situati principalmente a Johannesburg (circa 30.000) e a Cape Town (13.000), con piccole comunità a Durban, Pretoria e qualche gruppo sparuto a Port Elizabeth.

• Una storia recente
  Una piccola premessa storica. Le sue origini risalgono ai primi decenni del XIX secolo, quando un piccolo numero di immigrati ebrei, principalmente dal Regno Unito e dalla Germania, inizi a stabilirsi in quelle che oggi sono le province del Capo Occidentale e del Capo Orientale del Sudafrica. Nel 1880, la popolazione ebraica complessiva era stimata in 4000 persone. Successivamente, un enorme afflusso di immigrati ebrei dall’Europa orientale – principalmente dalla Lituania e dintorni – vide la comunità crescere drammaticamente nel mezzo secolo successivo, prima che nuove leggi specificamente mirate a limitare l’ulteriore immigrazione ebraica fossero approvate nel 1930 e nel 1937. La maggior parte degli ebrei sudafricani oggi fa risalire le proprie origini all’arrivo degli immigrati dell’Europa orientale. Negli anni Trenta si verificò un ulteriore afflusso dalla Germania a seguito della persecuzione nazista e alla vigilia della Seconda guerra mondiale la popolazione ebraica contava poco più di 90.000 persone. Negli anni successivi ci furono molte immigrazioni – da Israele e da alcuni stati dell’Africa meridionale, tra cui Zimbabwe, Zambia e Namibia – tanto che nel 1970 si contavano 118.000 membri, e si moltiplicarono le istituzioni e organizzazioni ebraiche.
   Durante il periodo dell’Apartheid molti furono gli ebrei che lasciarono il Paese per protesta e altri si impegnarono nelle attività anti-apartheid. Ma è vero che non mancarono quelli che, come altri bianchi, si arricchirono e prosperarono, così come è noto che Israele vendeva armi al regime.

• Un presente fervido e attivo
  Oggi la comunità ebraica sudafricana è una realtà vibrante e attiva, molto organizzata al suo interno, molto coesa pur nella sua varietà, che nel tempo non ha perso in vitalità, nonostante le diverse ondate migratorie; oltre che negli anni dell’Apartheid, infatti, molti ebrei sono partiti – in Israele, ma anche negli altri Paesi anglofoni – durante il periodo della transizione alla democrazia, nei primi anni Novanta, non sapendo che cosa sarebbe diventato il Paese. A Johannesbourg e Cape Town ci sono molte scuole ebraiche con orientamenti diversi e movimenti giovanili e moltissime sono le associazioni operative. «Siamo una comunità molto vivace, che organizza continuamente attività di tutti i tipi: ricreative, di intrattenimento, di volontariato, si potrebbe occupare il proprio tempo libero solo con le iniziative della comunità! – spiega orgoglioso Howard -. Durante il Covid, poi, il SA Jewish Report ha creato una vera e propria comunità digitale, con webinar dedicati ai più svariati temi: da quelli sanitari, tenuti da medici, a quelli più estetici, con parrucchieri che spiegavano come farsi la tinta, e molto altro. Ci hanno seguito milioni di persone da tutto il mondo, ebrei e non ebrei, ed è stato un vero successo. E ancora oggi, finita l’emergenza, continuiamo a mantenere queste attività in vita». Sempre durante la pandemia, era in funzione il servizio ebraico di assistenza Hatzolah, che forniva a domicilio infermieri, bombole di ossigeno, termometri e saturimetri e l’ambulanza nei casi più urgenti.
   A causa delle migrazioni, però, quella sudafricana è una comunità anziana, con un ‘buco’ nella fascia 40-60 anni, e ancora oggi fa i conti con le partenze di giovani famiglie che vedono nel Paese un futuro troppo difficile. Corruzione, crimine e caos caratterizzano ormai da anni la vita quotidiana, come è evidente anche dalla mancanza di elettricità menzionata all’inizio dell’articolo. «L’African national Congress, che ha portato il Paese alla liberazione dall’Apartheid, ha fallito nella sua missione – commenta amaro Howard -. Tutte le aziende controllate dallo Stato sono fallite, e ai cittadini non viene fornito nessuno di quei servizi che normalmente dovrebbe ricevere dalle amministrazioni, come elettricità, sicurezza, salute. Ognuno deve pagare di tasca propria, ma gli stipendi qui non sono alti, e anche per chi, come un giornalista, guadagna bene, cioè 1500 dollari al mese, comprare un generatore autonomo di elettricità a 80.000 dollari o affittarlo a 3.000 all’anno è oneroso. Per questo molti giovani decidono di andare via».

• Antisionismo e antisemitismo
  Se si parla di Sud Africa, però, non si può non menzionare il forte antisionismo del governo e delle istituzioni, a cominciare dalle università. Nel marzo di quest’anno, ad esempio, l’Università di Cape Town ha invitato in video-conferenza due membri dei gruppi terroristici islamici Hamas e PIJ (Palestinian Islamic Jihad) – noti per inneggiare alla morte di tutti gli ebrei -, a rivolgersi agli studenti. Scoppiano le polemiche contro l’ateneo, che però non prende posizione: “Non siamo responsabili di quali relatori vengano invitati agli eventi ospitati da associazioni studentesche, le quali sono autonome”. E questo è solo uno dei numerosi episodi di odio e ostilità nei confronti di Israele che – spesso senza una conoscenza diretta della complessa realtà israeliana – viene visto come nazione che applica nei confronti dei palestinesi il regime di apartheid. «C’è una storica amicizia fra il partito più potente al governo, l’African National Congress, e il movimento palestinese, ed essendo l’Anc da molti anni al potere, ha permesso al movimento di boicottaggio di Israele BDS di essere sempre più rappresentato al suo interno – spiega a Bet Magazine Karen Milner, chairman del Southafrican Jewish Board of Deputies, l’organismo che rappresenta le istanze ebraiche presso il mondo politico e opera per la sicurezza dell’ebraismo locale -. Eppure all’inizio Nelson Mandela sosteneva Israele e la legittimità del sionismo ed era convinto che per avere la pace nella regione fosse fondamentale garantire la sicurezza a Israele: lui stesso vi si recò in visita nel 1999. Ma con il tempo il partito ha abbandonato queste posizioni di apertura».
   Un esempio della politica di oggi dell’Anc è il downgrade dell’ambasciata sudafricana in Israele, che, pur non chiudendo, non ha più un diplomatico operativo, con conseguenti problemi per i sudafricani che ci abitano. Non si deve poi dimenticare che il Sud Africa è uno dei BRICS, quei Paesi con economia emergente che si propongono di costruire un sistema commerciale globale attraverso accordi bilaterali che non siano basati sul dollaro. Ne fanno parte anche Brasile, Russia, India e Cina, e dal gennaio 2024 anche Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Emirati arabi uniti e Arabia Saudita: tutti Paesi, questi, accomunati da una politica antioccidentale, in cui rientra anche l’odio per Israele perché, come spiega Howard Sackstein, «Israele è visto come una creatura coloniale dell’Occidente, ed è quindi un nemico».
   Questi sentimenti antisionisti, però, sono in contraddizione con quelli della società civile, che anzi in molti casi nutre una simpatia nei confronti di Israele, o non ha alcun interesse per la questione. Senza dubbio una parte del merito va al Jewish Board che fa in modo che le attività contro Israele non impattino sulla vita degli ebrei. «Il nostro obiettivo non è necessariamente di difendere Israele ma di difendere gli ebrei nel Paese – spiega Milner -; quindi se c’è un boicottaggio all’università pensiamo che possa avere un impatto sugli studenti ebrei e quindi cerchiamo di fare in modo possano continuare a vivere in libertà senza alcun problema, anche grazie alla collaborazione degli atenei. E anche quando il BDS ha cercato di agire nei confronti dei business di israeliani ed ebrei, abbiamo agito anche in modo duro, anche legalmente se necessario».
   Per tutti questi motivi, si può dire che l’antisemitismo in Sud Africa sia praticamente inesistente, con soglie molto inferiori rispetto all’Europa: sopravvivono gli stereotipi dell’ebreo ricco e potente – più forti fra la popolazione nera, essendo gli ebrei bianchi -, ma in generale c’è simpatia e rispetto, anche grazie all’impegno della comunità ebraica nei confronti dei bisogni della società, tramite organizzazioni come Afrika Tikkun, che lavora sui giovani e la povertà, e The Angel Network, che fornisce cibo alle zone più povere del Paese.

• La sfida del futuro
  Mantenere una comunità vibrante e attiva come lo è oggi, a fronte di una diminuzione dei suoi membri: è questo il challenge più grande per la comunità sudafricana, che deve fare i conti con emigrazioni sempre più frequenti. «Molto dipenderà anche dal risultato delle elezioni del 2024, che saranno determinanti per tutti nel Paese – commenta Milner -. Se l’Anc perderà la sua posizione dominante, non è detto che sarà un bene… ».

(Bet Magazine Mosaico, 3 ottobre 2023)

........................................................


L’Iran sconvolto dalla possibile normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita

Il presidente dell’Iran, Ebrahim Raisí, ha attaccato una possibile normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita, e ha affermato che la “liberazione” di Gerusalemme è la questione “più importante” nel mondo musulmano.
   Raisí ha attribuito il possibile instaurarsi di relazioni diplomatiche tra Riad e Gerusalemme “alla volontà delle potenze esterne alla regione”, alludendo agli Stati Uniti, paese che media tra i due rivali mediorientali.
   “Il modo per combattere il nemico non è la resa o il compromesso, ma piuttosto il confronto e la resistenza che costringono il nemico a ritirarsi”, ha detto Raisí.
   Il leader islamico, noto come il “macellaio di Teheran” per le sue azioni contro i prigionieri politici durante il suo mandato come procuratore di quella città, ha sostenuto che “la liberazione di Gerusalemme e della Palestina” è “la questione più importante” nel mondo musulmano.
   L’Iran sostiene le organizzazioni terroristiche palestinesi a Gaza e guida il cosiddetto Asse di resistenza contro lo Stato ebraico, che comprende Hamas, il gruppo terroristico sciita libanese Hezbollah e la Siria.
   Israele e Arabia Saudita si stanno avvicinando alla firma di un accordo per stabilire relazioni diplomatiche, mediato dagli Stati Uniti, che potrebbe vedere Riyadh rinunciare alla sua richiesta di lunga data di uno Stato palestinese prima della normalizzazione.
   I negoziati, mediati dagli Stati Uniti, sono andati avanti negli ultimi mesi e sono stati affrontati anche dallo stesso Bin Salmán durante il suo discorso alle Nazioni Unite la settimana scorsa.
   Iran e Arabia Saudita hanno concordato a marzo con la mediazione cinese di normalizzare le loro relazioni diplomatiche, interrotte dal 2016.

(IT ES Euro, 3 ottobre 2023)

........................................................


Israele e Palestina, c’è un unico modo per raggiungere la pace

Mancano le forze soltanto per iniziare un commento a un articolo così intriso di melensi buoni sentimenti, errate valutazioni e minacciose previsioni. Ma val la pena di leggerlo tutto per poi chiedersi: mi ha convinto? Se la risposta è sì, la cosa è preoccupante. Per chi legge, ma anche per Israele, se i sì sono molti. E forse potrebbero essere molti fra i democratici a tutto tondo, fra gli ammiratori del “grande scrittore israeliano Abraham B. Joshua”, per il quale la democrazia è la stessa ragion d’essere di Israele. Dichiara infatti l’articolista: “Israele potrà essere sicuro e sopravvivere a lungo solo se rimane ebreo e democratico”, e poi: “Se smette di essere un paese democratico non merita di esistere”. Capita la conclusione? E’ nel nome della democrazia che viene rimesso in gioco il diritto di Israele ad esistere. Il risalto in colore è aggiunto. M.C.

di Giorgio Pagano

Il frastuono delle armi è in tutto il mondo, non solo in Ucraina. In Palestina è assordante da molti anni. Dal 2022 la tensione si aggrava sempre più. Centinaia di giovani palestinesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano, nel tentativo di arginare la rinascita della resistenza armata palestinese all’occupazione. Anche cittadini israeliani vengono uccisi da ragazzi disperati, che hanno conosciuto solo la vita nei campi profughi, gli insediamenti dei coloni, la violenza loro e quella dei militari. Hanno torto, ma non basta perorare “negoziati di pace” per convincerli. Bisogna andare alla radice: l’occupazione della Palestina da parte di Israele, la colonizzazione.
   Il grande scrittore israeliano Abraham B. Yehoshua lo ha spiegato nel suo testamento, la breve novella “Il Terzo Tempio”. Il Terzo Tempio è il nuovo santuario che gli ebrei vogliono costruire dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme a opera dei babilonesi e poi dei romani. Ma, dice Yehoshua, non può avvenire a scapito dei luoghi santi costruiti dalle altre religioni: altrimenti la conseguenza sarà “incendiare il mondo con una terribile guerra”.
   La chiave di volta del futuro di Israele sta nel rapporto con i palestinesi. Senza questo rapporto Israele si nega al futuro. Ce lo conferma il sanguinoso conflitto in atto.
   Questa convinzione sta crescendo negli stessi ebrei. Il primo ministro Benjamin Netanyahu e i suoi alleati di estrema destra non sembrano più in grado di contenere la mobilitazione popolare. I manifestanti criticano la riforma della giustizia approvata dal governo, perché – ha sostenuto Gali Baharv-Miara, procuratrice generale di Israele – porterebbe a “un colpo fatale al sistema democratico”. A una dittatura: controllo del potere giudiziario, dei media e delle forze armate, privazione di ogni diritto per i palestinesi. Tamir Pardo, dal 2011 al 2016 direttore del Mossad, i servizi segreti di Israele, ha denunciato: “Netanyahu vuole trasformarci in una teocrazia. Israele potrà essere sicuro e sopravvivere a lungo solo se rimane ebreo e democratico. Se rimane ebreo, ma diventa teocratico, non sarà più democratico. Se smette di essere un paese democratico non merita di esistere”.
   Ma l’opposizione al governo non si limita a questa critica. Molti ebrei mettono in dubbio ormai il carattere realmente democratico di uno Stato che ha occupato e colonizzato, per mezzo secolo, la terra di un altro popolo, attuando un sistema di apartheid. Uno Stato ebreo e democratico non può essere grande: perché deve riconoscere l’esistenza di un altro Stato confinante, quello palestinese. L’ex generale Amiram Levin ha dichiarato: “Non c’è mai stata democrazia in Cisgiordania da cinquantasette anni. C’è un’apartheid totale”.
   A distanza di trent’anni dagli accordi di Oslo Unione europea e Stati Uniti non possono non prendere definitivamente atto che l’idea dei “negoziati di pace” è rimasta sulla carta, e che ha permesso a Israele di proseguire indisturbata nel suo obiettivo di espansione delle colonie.
   Numerosi documenti delle Nazioni Unite e di importanti organizzazioni internazionali per i diritti umani, da Amnesty International a Human Rights Watch, sono giunti a questa conclusione: il superamento dei “negoziati di pace” a favore della decolonizzazione e dell’autodeterminazione del popolo palestinese. Bisogna affrontare le cause alla radice, altrimenti il regime coloniale andrà avanti, e la Cisgiordania diventerà una prigione come Gaza. Con il rischio di “incendiare il mondo”.
   O l’Occidente saprà cogliere questa priorità, anche sulla spinta dell’altro Israele, o non ci sarà una soluzione duratura fondata sulla pace, la sicurezza umana, la giustizia non solo per i palestinesi ma anche per gli israeliani.
   Anche la città della Spezia deve tornare a svolgere un ruolo di pace. Nel protocollo d’intesa, in vista del gemellaggio, sottoscritto nel 2005 dai tre sindaci di Jenin (Palestina), Haifa (Israele) e La Spezia era scritto che l’obiettivo di fondo era “rendere possibile l’esistenza di due Stati, quello israeliano e quello palestinese, liberi, sovrani e capaci di vivere in sicurezza, democrazia e pace”. La pace tra palestinesi e israeliani deve essere obiettivo strategico della città di Exodus, da realizzarsi facilitando il dialogo tra persone, associazioni della società civile, governi locali.
   Fin dai primi anni dei miei viaggi in Palestina e in Israele ho conosciuto l’esperienza dei “Parents Circle”, un’organizzazione di base di palestinesi e israeliani che hanno perso parenti stretti, soprattutto figli, nel conflitto, e che si battono per la riconciliazione e la pace. “Apeirogon” è un grande romanzo di Colum McCann, che racconta l’epica storia vera di due uomini divisi dal conflitto e riuniti dal dolore della perdita: Bassam Aramin, che ha perso la figlia Abir, e Rami Elhanan, che ha perso la figlia Smadar. Per Bassam e Rami il nemico comune è l’occupazione.
   Dice Bassam:
    “L’Occupazione agisce in ogni aspetto della tua vita, ti sfinisce, ti amareggia in un modo che nessuno da fuori riesce davvero a capire. Ti sottrae il domani. Ti impedisce di andare al mercato, all’ospedale, alla spiaggia, al mare. Non puoi camminare, non puoi guidare, non puoi raccogliere un’oliva dal tuo stesso albero che si trova dall’altra parte del filo spinato. Non puoi nemmeno alzare lo sguardo al cielo. Lassù hanno i loro aeroplani. Possiedono l’aria che sta sopra e il suolo che sta sotto. Per seminare la tua terra devi avere il permesso. […] La maggior parte degli israeliani nemmeno lo sa che succedono queste cose. Non che siano ciechi. É che non sanno quello che viene fatto in loro nome. Non viene permesso loro di vedere. I loro giornali, le loro televisioni queste cose non gliele dicono. Non possono entrare in Cisgiordania. Non hanno alcuna idea di come viviamo. Ma questo succede ogni giorno. Ogni singolo giorno. Non lo accetteremo mai. Nemmeno tra mille anni, lo accetteremo. […] Porre fine all’Occupazione è la nostra sola speranza per la sicurezza di tutti, israeliani e palestinesi, cristiani, ebrei, musulmani, drusi, beduini, non importa”.
Dice Rami:
    “Per quanto sembri strano, in Israele non sappiamo cosa sia davvero l’Occupazione. Sediamo nei caffè e ci divertiamo, e non dobbiamo farci i conti. Non abbiamo la minima idea di cosa significhi dover superare un checkpoint ogni giorno. O vedere confiscata la terra della nostra famiglia. O svegliarci con un fucile puntato sulla faccia. Abbiamo due ordini di leggi, due ordini di strade, due ordini di valori. Alla maggior parte degli israeliani questo sembra impossibile, una bizzarra distorsione della realtà, ma non è così. È che noi, semplicemente, non lo sappiamo. Per noi la vita è bella. Il cappuccino è buono. La spiaggia è libera. L’aeroporto è lì a due passi. Non abbiamo alcun accesso all’effetto che fa vivere in Cisgiordania o a Gaza. Nessuno ne parla. Non ti è permesso mettere piede a Betlemme, a meno che tu non sia un soldato. Guidiamo lungo le nostre strade percorribili solo dagli israeliani. Scansiamo i villaggi arabi. Costruiamo strade sopra e sotto di loro, ma solo per farne gente senza volto. Forse la Cisgiordania una volta l’abbiamo vista, durante il servizio militare, o magari la vediamo di tanto in tanto in tv, il nostro cuore sanguina per una mezz’ora, ma non sappiamo quello che succede là veramente. Finché non accade il peggio. E a quel punto ti si capovolge il mondo.
    La verità è che non può esserci occupazione che sia compassionevole. Non esiste proprio. È impossibile”.
Le testimonianze di Bassam Aramin e di Rami Elhanan sono la conferma, incarnata nelle forme concrete della vita, del discorso giuridico e politico che è diventato più che mai necessario: de-occupazione, de-colonizzazione, diritto dei palestinesi all’autodeterminazione.

(Città della Spezia, 3 ottobre 2023)
____________________

Giorgio Pagano mente quando scrive che La Spezia sarebbe la città di Exodus (Portovenere fu in realtà la città di Exodus); se non conosce i fatti della propria città, come può pretendere di conoscere quelli di una terra lontana? Emanuel Segre Amar

........................................................


La pace con i sauditi è facile: vogliono solo il Monte del Tempio

Come può il cambio di un padrone di casa musulmano con un altro promuovere la restaurazione di Israele?

di Ryan Jones

GERUSALEMME - Per quanto sacro possa essere il Monte del Tempio per il popolo ebraico, Israele non ha problemi a contrattare su di esso se spera di ottenere un vantaggio politico. Dopo aver liberato l'altopiano sacro dal dominio ostile dei musulmani nel 1967, Israele lo ha prontamente riconsegnato a un ente musulmano ostile, il Waqf giordano.
   Ora i sauditi affermano che per loro la cosa più importante in un accordo di pace con Israele è una maggiore influenza sul Monte del Tempio e garanzie per i "diritti" dei musulmani nel sito.
   I media israeliani hanno riportato questa settimana un recente sondaggio del Washington Institute su ciò che i sauditi, in media, sperano di più da una normalizzazione delle relazioni con Israele.
   Molti potrebbero supporre, e i palestinesi certamente speravano, che uno Stato palestinese fosse in cima alla lista dei sauditi. Ma non è così.
   Secondo il sondaggio, ciò che i sauditi desiderano di più da un accordo di pace con Israele (46% degli intervistati) è vedere "garantiti i diritti dei musulmani alla Moschea di Al-Aqsa" (cioè il Monte del Tempio).
   I progressi verso uno Stato palestinese è la priorità assoluta solo per il 36% dei sauditi intervistati dal Washington Institute.
   L'elenco delle priorità è completato dagli aiuti militari americani (18%) e dalla cooperazione con gli Stati Uniti nello sviluppo dell'energia nucleare saudita (16%).
   Da un lato, i sentimenti sauditi facilitano il raggiungimento di un accordo di normalizzazione, ha osservato l'esperto israeliano Asher Fredman, ricercatore senior presso il Misgav Institute for National Security and Zionist Strategy.
   Freeman ha dichiarato a Israel Hayom che i risultati mostrano che per soddisfare l'opinione pubblica saudita, Israele deve solo fare ciò che sta già facendo, ovvero mantenere il libero esercizio della religione per i musulmani sul Monte del Tempio.
   Riyadh cerca da tempo di avere una maggiore influenza sul Monte del Tempio, anche se molti sauditi affermano che il sito non è così importante per l'Islam.
   L'Arabia Saudita controlla già il primo e il secondo luogo sacro dell'Islam, quindi perché non il terzo? Anche questo è un aspetto che Israele probabilmente preferirebbe. È molto meglio lavorare con un regime saudita amichevole che con il velenoso Waqf giordano influenzato dai palestinesi.
   Ma questo solleva ancora una volta la questione: Israele è davvero sovrano nella sua terra, e soprattutto nella Città Santa di Gerusalemme, se non controlla il Monte del Tempio, se gli ebrei non possono ancora pregare nel luogo più sacro dell'ebraismo?
   Cos'è Gerusalemme senza il Monte del Tempio, il luogo in cui Dio ha inciso il suo nome?
   E cos'è Israele senza Gerusalemme?
   L'anno scorso, quando il Ramadan coincideva con la Pasqua e il Monte del Tempio era teatro di forti tensioni, un sondaggio dell'Israel Democracy Institute ha rivelato che la maggior parte degli ebrei israeliani era stanca di dover continuamente trattare per il loro luogo più sacro e chiedeva una vera sovranità. La metà degli intervistati ha dichiarato che gli ebrei dovrebbero almeno essere autorizzati a pregare sul Monte del Tempio.
   Scambiare un padrone di casa musulmano con un altro, anche se migliore sotto ogni aspetto, fa forse progredire la ricostruzione di Israele?

(Israel Heute, 2 ottobre 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


Israele è in guerra, sempre sotto attacco. Ma l'Occidente condanna solo la risposta contro i terroristi

di Paolo Salom

Israele è in guerra. Ormai da mesi. Il lontano Occidente finge di non accorgersene, di non vedere. Le rare volte che un attacco palestinese a israeliani inermi arriva sui giornali, in fondo all'articolo si fa il "bilancio" generale dei morti dell'una e dell'altra parte, senza ovviamente fare distinzioni. Così, a un lettore distratto (o poco edotto sulla questione: quasi tutti), appare con chiarezza una sproporzione tra le vittime: quelle di parte arabo-palestinese sono sempre più numerose. Dunque, a ben vedere, la situazione è sempre la stessa: Israele è lo Stato più forte e aggressivo, i palestinesi, poverini, sotto occupazione, si difendono come possono ma subiscono le perdite più ingenti, spesso giovanissimi se non addirittura "bambini".
  Questa è la narrativa nel lontano Occidente. Pochi arrivano - e non sempre per loro pigrizia - a scavare nelle notizie per capire cosa davvero sia successo. Che più o meno è sempre questo: un gruppo di terroristi (o anche un aggressore solitario) prendono di mira una vettura di civili israeliani, o semplici passanti, sparano, accoltellano, uccidono senza riguardo dell'età dei loro "obiettivi", che sono quasi sempre esseri umani inermi, raramente soldati (perché in grado di difendersi visto che sono armati). Dopo l'attentato, scatta la caccia all'uomo, proprio come accadrebbe in qualunque altro Paese del mondo. Quando i responsabili dell'attentato sono individuati, nascosti nelle città rifugio della cosiddetta Cisgiordania (ovvero Giudea e Samaria, gli unici nomi reali di quelle regioni), vengono arrestati o, più spesso, eliminati dal momento che l'intervento di Tsahal suscita una battaglia con l'uso di armi, pietre e persino bombe piazzate lungo le strade.
   Gli attacchi in verità hanno proprio quello scopo: istigare un'azione dell'esercito di Israele nei territori così da provocare la regolare indignazione del lontano Occidente, lesto nel condannare "l'eccessivo uso della forza". E qui arriviamo al punto. Israele, da decenni, lotta contro un nemico irriducibile, sostenuto da Paesi vicini e lontani che hanno tutto l'interesse nel creare queste continue crisi. E lo fa con una mano legata dietro la schiena. Non c'è dubbio che, volendo, Israele sarebbe in grado di distruggere i suoi avversari. Il prezzo da pagare sarebbe alto, certo: molti soldati, e molti civili arabi, potrebbero rimanere uccisi o feriti. Questa è la logica spaventosa della guerra. E basta dare uno sguardo ai fatti del mondo per rendersi conto che, altrove, certi scrupoli umanitari non sono nemmeno considerati.
   Israele invece pone sempre e comunque la protezione della vita umana - qualunque vita umana: persino quella dei nemici - al di sopra di ogni altra valutazione. Il minimo che il lontano Occidente potrebbe fare è riconoscerlo e dire con chiarezza, a coloro che ispirano e organizzano le violenze, che non avranno più il sostegno necessario alla vita di tutti i giorni, la protezione politica. Invece, il silenzio a questo proposito è assordante. Mentre le condanne dell'operato di Tsahal - o del governo di Gerusalemme - non si contano. È questo il punto, ed è questo che per noi non è accettabile: Israele è un faro per l'umanità. È il nostro rifugio. Va protetto. A qualunque costo.

(Bollettino della Comunità Ebraica di Milano, ottobre 2023)

........................................................


Papa Pio XII, le relazioni ebraico-cristiane e la storia

Un convegno internazionale all’Università Pontificia Gregoriana per parlare del Vaticano durante l’Olocausto e delle relazioni tra Chiesa e ebrei in Italia e in Europa, grazie a nuovi documenti che emergono dagli archivi.

di Laura Forti

Avrà luogo nel mese di ottobre, dal 9 all’11, nell’Aula Magna dell’Università Pontificia Gregoriana un convegno importante dal titolo “Nuovi documenti dal Pontificato di Pio XII e loro significato per le relazioni ebraico-cristiane”. Si tratterà di un dialogo tra storici e teorici di massimo livello internazionale. L’obbiettivo è gettare una nuova luce sul controverso pontificato di Pio XII, nato Eugenio Maria Giuseppe Giovanni Pacelli, insignito papa nel 1939, l’anno successivo alle leggi razziali, considerato a volte un papa amico degli ebrei e inviso al nazismo, che considerava un’eresia, altre invece un papa connivente che conosceva la realtà di Auschwitz ma non cercò di fermare lo sterminio e la persecuzione.
  Ma la conferenza cercherà di andare oltre il cliché, i due estremi da tifoseria da stadio, ovvero la «leggenda rosa» (Pio XII Defensor civitatis, non solo amico ma difensore e protettore dell’ebraismo) alla «leggenda nera» (il «Papa di Hitler», animato da indifferenza, se non addirittura compiacimento verso la tragedia).
  Il convegno dovrebbe offrire quindi spazio semmai per un ragionamento complessivo su alcuni aspetti dell’azione della Santa Sede nell’«età dei totalitarismi», come già aveva tentato di fare la bella lettura critica offerta da David Bidussa nel suo importante saggio La misura del potere. Pio XII e i totalitarismi tra il 1932 e il 1948 (Solferino, Milano 2020) nel quale l’autore ragionava sul rifiuto da parte di Pacelli e della Chiesa dell’«ateismo materialista»  tra gli anni Trenta e Quaranta e poneva all’interno di questo contesto anche la «questione ebraica», intesa come radice del «disordine», fantasma introiettato della definitiva rottura dei vecchi schemi.
  Il personaggio Pio XII in effetti è estremamente controverso.  Uno dei suoi primi atti appena salito al pontificato fu, nell’aprile del 1939, quello di togliere dall’Indice i libri di Charles Maurras, animatore del gruppo politico di estrema destra Action française, che aveva molti simpatizzanti cattolici anche se alcuni storici tendono a leggere questo episodio non tanto in chiave antisemita quanto anticomunista, dato che è avvenuto in un periodo storico in cui anche l’Italia incominciava a dar concreta applicazione alle leggi per la difesa della razza.
  Nella sua prima enciclica “Summi Pontificatus” del 20 ottobre 1939, Pio XII, senza nominare espressamente fascismo e nazismo, lamentò le conseguenze dell’attuale crisi spirituale e la diffusione delle «ideologie anticristiane» e di un «paganesimo corrotto e corruttore». Tra le righe Pio XII condannava ogni discriminazione razziale, affermando la «comune origine in Dio» di tutto il genere umano; introdusse il concetto di convivenza pacifica e, soprattutto, elevò il suo straziante lamento per la Polonia, nazione fedele alla Chiesa.
  Durante la guerra, vari e ripetuti furono gli appelli del Papa in favore della pace. Va ricordato in particolare il radiomessaggio natalizio del 1942, in cui Pacelli a dire il vero denunciò anche lo sterminio delle persone su base razziale. Mussolini commentò  con sarcasmo: «Il Vicario di Dio non dovrebbe mai parlare: dovrebbe restare tra le nuvole. Questo è un discorso di luoghi comuni che potrebbe agevolmente essere fatto anche dal parroco di Predappio»
  D’altra parte dopo l’8 settembre e la fuga dei Savoia dalla capitale, Pio XII rimase a Roma, all’interno del Vaticano. Non elevò alcuna protesta per la cruenta occupazione nazista della città, che causò la morte di alcune centinaia di difensori, tra militari e civili.
  Durante il corso della guerra, nonostante le numerose informazioni ricevute, non condannò mai ufficialmente né si impegnò pubblicamente per fermare le deportazioni. Offrì però rifugio presso la Santa Sede a molti ebrei e a esponenti politici antifascisti tra cui Alcide De Gasperi e Pietro Nenni; non sempre però i tedeschi rispettarono l’extra-territorialità di alcune altre aree a Roma di pertinenza della Santa Sede: nel 1943 ad esempio fecero irruzione nella basilica di San Paolo fuori le mura e vi presero alcuni prigionieri.
  Diversi autori hanno espresso forti critiche verso il comportamento tenuto dalla Santa Sede dopo l’attentato di via Rasella e l’Eccidio delle Fosse Ardeatine (23 – 24 marzo 1944). Si è speculato che, almeno cinque ore prima dall’uccisione della prima vittima della rappresaglia tedesca, la segreteria di Stato vaticana fosse in possesso di informazioni e avrebbe potuto intervenire.
  Ma l’argomento inquadrato dal Convegno è ancora più vasto e trascende la figura di Pio XII  perché ci si propone di analizzare un quadro ancora più ampio e complesso, quello del Vaticano durante l’Olocausto, nonché esplorare le relazioni tra Chiesa e ebrei, in Italia e in Europa, grazie a nuovi documenti che emergono dagli archivi – rimasti chiusi per anni e anche recentemente causa Covid – grazie a una collaborazione nuova ed inedita tra istituzioni e ricercatori.
  Si comincerà con l’affrontare le motivazioni e le decisioni di Pio XII durante il fascismo, ma anche il suo atteggiamento verso il comunismo e il nazismo, cercando di comprendere a pieno il suo ruolo come capo della Santa sede. Se sapeva perché non parlò, perché non prese una posizione chiara? Come venne gestita dal Vaticano l’applicazione delle leggi razziali, nate dalla Germania nazista e presto divulgate in tutta Europa? Chi salvò veramente gli ebrei e perché? Forse questi nuovi documenti ce lo diranno. Come sarà interessante esplorare il dopo guerra, quando il Vaticano fu chiamato ad aver un ruolo nei processi ai criminali nei tribunali militari e dovette schierarsi; fino a ripercorrere il cammino che ha condotto alla formulazione della dichiarazione “Nostra Aetate” nel 1965 quando, a venti anni dalla Shoah, il Secondo Concilio Vaticano ha respinto l’antisemitismo e sottolineato una profonda connessione tra mondo cristiano ed ebraico; o su come il periodo della Shoah abbia influito su successivi processi di dialogo.
  La caratteristica interessante sarà proprio vedere riuniti studiosi laici e teologi, provenienti dalla chiesa, uniti a cercare punti di contatto e ad analizzare scientificamente contraddizioni, in un intento comune, quello di arrivare a una verità. Uno spazio aperto quindi per studio e discussione. Un’occasione che Liliana Picciotto, definisce “un punto di svolta nella storia delle relazioni ebraico-cristiane del nostro tempo”.
  Non solo. “L’apertura degli archivi vaticani nel marzo 2020 ha rappresentato un nuovo capitolo, un segnale di apertura e trasparenza da parte di Roma” afferma la dottoressa Suzanne Brown-Fleming, direttrice del programma Accademico internazionale al Jack, Joseph and Morton Mandel Center for Advanced Holocaust Studies. L’attesa di poter visionare questi materiali è durata decenni ed avere finalmente accesso ai documenti è non solo importante dal punto di vista dello studio e della ricerca, ma rende anche giustizia morale alla memoria dei sopravvissuti e alle loro famiglie.

(JoiMag, 2 ottobre 2023)

........................................................


Il fascino dell'antica sinagoga tunisina di Kélibia svelato al MAHJ di Parigi

di Claudia De Benedetti

FOTO
A Kélibia, città costiera nel nord-est della Tunisia, uno scavo archeologico ha portato alla luce i resti di un'antica sinagoga ai piedi dell'antica fortezza romana. Al MAHJ, Museo di Arte e Storia Ebraica di Parigi, Mounir Fantar, esperto dell’Istituto nazionale del patrimonio tunisino, ha tenuto la scorsa settimana una conferenza nell’ambito del ciclo di incontri intitolato ‘Arte e archeologia dell’ebraismo’ in cui ha spiegato le caratteristiche salienti dell’importante scoperta.
   I lavori stradali effettuati nella zona del porto della località balneare costituiscono la prima prova di un'antica presenza dell'ebraismo nella regione di Cap Bon. Il ritrovamento di un mosaico in perfetto stato di conservazione ha condotto gli archeologi a sostenere che vi sia stato un insediamento ebraico risalente al V secolo. La decorazione è stata successivamente attribuita al pavimento di un edificio, verosimilmente una sinagoga, in cui è di notevole fascino la presenza di dodici candelabri a sette braccia, alcuni dei quali affiancati da cedri, palme e da una iscrizione latina che attesta il carattere ebraico del luogo. Menorah e iconografia legata alla festa di Sukkot sono quindi oggetto di studio in un’area geografica di grande interesse dal punto di vista storico e archeologico.
   Il piccolo porto di Kélibia deve il proprio nome al porto fenicio di Clupea, che sorgeva nella zona in cui anche romani e bizantini hanno lasciato traccia del loro passaggio. La cittadina, oltre a essere caratterizzata da alcune tra più belle e incontaminate spiagge della Tunisia, ha importanti monumenti, a testimonianza del suo antico e affascinante passato. La fortezza, perfettamente conservata, fu edificata per proteggere la costa e consentire di avvistare le navi provenienti dal Mediterraneo. Domina un’altura di oltre cento metri, vi sono vestigia di edifici romani e di una cappella verosimilmente di origini bizantine, all’interno della quali sono esposti documenti storici e manoscritti. Dal faro, situato nell’area a sud del forte, nei giorni di cielo limpido, è possibile osservare il del litorale di Capo Bon e l’isola di Pantelleria che dista poco meno di 70 chilometri dalla costa tunisina. Nei pressi del forte si trovano anche le vestigia di un’antica villa romana con mosaici che rappresentano scene di caccia. Kélibia e l’area di Capo Bon sono infine note per le vaste coltivazioni di viti, tabacco e legumi.

(Shalom, 2 ottobre 2023)

........................................................


Notizie archiviate


     Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse liberamente, citando la fonte.