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Notizie novembre 2013


L'accordo di Ginevra con l'Iran: un disastro in politica estera

di Daniel Pipes

"Per la prima volta in quasi un decennio abbiano fermato i progressi del programma nucleare iraniano e alcune sue componenti saranno smantellate", ha annunciato un giubilante Barack Obama dopo la notizia dell'accordo interinale di sei mesi con l'Iran appena firmato a Ginevra.
Ma l'obiettivo americano per l'accordo era impedire agli iraniani di "andare avanti con il loro programma" di costruire una bomba nucleare all'uranio (e forse anche una bomba al plutonio); l'accordo permette proprio questi progressi, inoltre, l'alleggerimento delle sanzioni varrà a Teheran circa 9 miliardi di dollari.
Questo sciagurato accordo offre un confronto con l'accordo siglato da Neville Chamberlain a Monaco di Baviera nel 1938. Un governo occidentale eccessivamente zelante, incapace di vedere la bieca astuzia del regime tanto da voler lavorare con esso lo rabbonisce facendo concessioni che gli si ritorceranno contro. L'accordo di Ginevra e il 24 novembre 2013 saranno ricordati insieme all'accordo di Monaco e al 29 settembre 1938.
Negli ultimi cinque anni Barack Obama ha commesso molti errori in politica estera, ma questo è il primo da considerare un disastro. Insieme alla riforma sanitaria, questa è una delle peggiori misure mai prese. John Kerry è un cucciolo troppo impaziente di perseguire un accordo a tutti costi.
Con il governo Usa che sta perdendo il suo ruolo di leadership, gli israeliani, i sauditi e forse anche altri sono stati lasciati soli a fronteggiare una brutta situazione che si è aggravata. La guerra è ormai diventata una prospettiva molto più probabile. Noi americani dovremmo vergognarci di aver rieletto Barack Obama.

(Archivio italiano di Daniel Pipes, novembre 2013)


Sondaggio israeliano, per 76% Iran non rispetterà accordo

Per il 57% gli Usa hanno leso interessi israeliani

Il 76% degli israeliani non crede che l'Iran fermerà i propri programmi nucleari malgrado l'accordo raggiunto a Ginevra con i Paesi del 5+1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e la Germania): è quanto risulta da un sondaggio pubblicato dal quotidiano israeliano Israel Hayom.
Solo il 12,6% è convinto che Teheran rispetterà i termini dell'intesa mentre il 57,8% degli intervistati ritiene che gli Stati Uniti firmando l'accordo "abbiano leso gli interessi di Israele". Quanto a un eventuale attacco militare israeliano i siti nucleari iraniani, le opinioni sono divise: il 45,8% è favorevole mentre il 37,9% è contrario.
Il sondaggio è stato effettuato su un campione di 500 persone (campione che non comprendeva arabi israeliani) con un margine di errore del 4,4%.

(Shalom7, 22-29 novembre 2013)


L'accordo nucleare di Ginevra? E' peggio di Monaco '38

Ecco perchè l'Iran festeggia. E Israele, sempre più isolata, è messa sullo stesso piano di chi vuole estinguerla.

di Giulio Meotti

  
Monaco 1938
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva visto giusto. L'occidente si è fatto ingannare dall'Iran e la minaccia militare americana non è mai stata credibile. Accordo peggiore non poteva essere firmato a Ginevra, dove a una rivoluzione messianica e antisemita è stato riconosciuto il diritto ad arricchire l'uranio sul proprio territorio. Ginevra ha fornito una grande legittimità all'Iran, banchiere del terrore e proliferatore atomico, che così ha spezzato l'assedio attorno al regime. "Ginevra 2013 è peggio di Monaco 1938", ha scritto sul Wall Street Journal il premio Pulitzer Bret Stephens, in riferimento a quando le democrazie s'illusero d'aver domato senza combattere gli appetiti hitleriani. "Il vento di Monaco soffia a Ginevra", scandiscono i ministri israeliani della Sicurezza. Ginevra ha garantito alla dittatura iraniana una sorta di "ambiguità nucleare".
L'architetto del tanto minacciato strike israeliano, Ehud Barak, lo aveva capito per tempo, imponendo alla comunità internazionale il termine "immunità". E' questo il risultato letale dell'accordo. Gli iraniani non violeranno l'accordo. Non subito, almeno. Gli ayatollah non dovevano ottenere la Bomba, ma un allentamento delle sanzioni. Prendere fiato. Entrare nel club delle potenze. Il risultato, un giorno, sarà una seconda Corea del nord nuclearizzata, non una seconda Libia che dieci anni fa accettò di smantellare il programma nucleare.
Le sanzioni all'Iran non torneranno se ora vengono allentate, perché sono state il frutto di un decennio di lobbying presso le cancellerie occidentali, affamate di appalti con Teheran. E se cadono le sanzioni, l'Iran non abbandonerà i suoi piani diabolici. Le buone maniere per la Rivoluzione si sono sempre dimostrate un invito all'offensiva. Ginevra eccita il riarmo. L'accordo si basa su una menzogna. Il programma nucleare iraniano non è mai stato progettato per fini civili. Ai turbanti non interessa curare il cancro di una popolazione che massacrano da trent'anni. Perché il regime vuole arricchire l'uranio, produrre plutonio e impedire le ispezioni? Perché vuole la Bomba. Vuole dominare il medio oriente. Vuole liquidare Israele. Ginevra li spinge sulla strada giusta. Israele ha molte ragioni per denunciare Ginevra: lo smantellamento del bunker di Fordo non è stato soddisfatto; l'accordo non contempla il programma militare, la ricerca sul device atomico e la balistica; grazie a Ginevra, l'Iran conserva quattro mesi di tempo per completare lo sviluppo di un congegno atomico nel caso in cui lo volesse; l'accordo non smantella i progressi tecnologici che ha compiuto l'Iran negli ultimi cinque anni, e le centrifughe, che erano qualche migliaio quando si insediava Barack Obama, sono salite a 18 mila e non saranno smantellate. Vero, l'Iran ha accettato di non arricchire l'uranio oltre il cinque per cento, ma Teheran manterrà la capacità di produrre combustibile di livello superiore se solo lo desidera. L'Iran ha già otto tonnellate di uranio arricchito, abbastanza per cinque bombe come Hiroshima. E potrà farlo clandestinamente: nell'accordo non è previsto il monitoraggio dei siti clandestini dove Cia e Israele sospettano che l'Iran stia conducendo i test. Non è previsto lo smantellamento del reattore di Arak, impianto che ha l'unico scopo di produrre un'arma atomica.
Dopo la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno creato un sistema globale di sicurezza. Obama lo sta archiviando. A Ginevra gli Stati Uniti hanno preferito una soluzione a breve termine che a lungo termine diventerà un pericolo alla pace mondiale. Intanto, sul volto di Netanyahu c'è tutto il senso di abbandono da parte del suo alleato. Israele, isolata e sorvegliata a vista nel feroce Levante, fa la voce grossa, ma dopo Ginevra è moralmente sullo stesso piano di chi vuole estinguerla.
Un giornalista a Ginevra ha chiesto allo spokesman di Lady Ashton di commentare l'ayatollah Khamenei, secondo cui gli israeliani sono "cani rabbiosi e illegittimi" da sterminare. Stizzito, il giovane ha detto di non averne intenzione. Silenzio da parte del dipartimento di stato. Tira una brutta aria in occidente.

(Il Foglio, 30 novembre 2013)


A Trapani la festa ebraica. La Giudecca rinasce per un giorno

L'antico quartiere ebraico della Giudecca di Trapani è tornato a vivere seppur per uno solo giorno. Giovani studenti, riti, degustazioni, musiche e danze della tradizione ebraica hanno riacceso le luci sul quartiere su cui si fonda la storia e la cultura della città. Salvare la Giudecca, il quartiere con edifici in pessime condizioni e dove il basolato è ancora coperto dall'asfalto, è quanto stanno cercando di fare diversi cittadini che partendo dal gruppo facebook "Cosa ne facciamo a Trapani..." hanno dato vita al gruppo dedicato a "Via Giudecca". Così ieri, in occasione del primo giorno della festività ebraica Chanukkah, la festa delle luci, in tanti si sono ritrovati e riappropriati, da mattina a sera, della Giudecca con un'iniziativa organizzata, tra gli altri, anche da Italia Nostra, Legambiente Sicilia, Salvalarte Sicilia e con la collaborazione delle antiche botteghe della zona.
"Questa iniziativa - ha detto Renato Alongi, tra i promotori di Salviamo il quartiere della Giudecca - non resterà isolata ma è l'inizio di un percorso che sarà portato avanti da un costituendo comitato, per la riqualificazione e valorizzazione della Giudecca. Ciò che chiederemo sarà, tra le altre cose, il recupero del basolato e incentivi per aprire botteghe artigianali e spazi dedicati alle diverse espressioni artistiche" (Testo e foto di Maria Emanuela Ingoglia).

(la Repubblica - Palermo, 30 novembre 2013)


Italia-Israele: intervista all’ambasciatore Naor Gilon

ROMA, 29 nov. - Un vertice per riaffermare "la grande intimita'" tra Italia e Israele, con la firma di una dozzina di accordi e un patto sulle 'start up' nel campo dell'innovazione tecnologica e della ricerca, il fiore all'occhiello dell'economia israeliana di cui Roma vuole conoscere i segreti.
   Cosi' l'ambasciatore israeliano a Roma, Naor Gilon, presenta il quarto summit bilaterale in programma lunedi' a Villa Madama, alla presenza dei due premier, Enrico Letta e Benjamin Netanyahu, e di cinque ministri italiani e sei israeliani. In un'intervista all'Agi, il diplomatico ha illustrato i temi del vertice in cui saranno firmati "11 o 12 accordi bilaterali", per rafforzare ulteriormente un legame attestato anche dall'interscambio di 4,5 miliardi di dollari del 2012, fatto per due terzi dall'export italiano. Si va da "un importante memorandum d'intesa sull'energia, che favorira' un coinvolgimento italiano nelle esplorazioni e nelle esportazioni" per l'enorme giacimento di gas scoperto nel Bacino del Levante, ad accordi nel campo della medicina (formazione dei medici con i simulatori di invenzione israeliana), dell'istruzione (progetti sull'Olocausto), della cultura (coproduzione di film). Ci sara' anche un'intesa tra i rispettivi servizi sulla cyber-sicurezza, tema quanto mai attuale e delicato. Letta ha gia' detto di voler sfruttare il summit soprattutto per capire come trasformare anche l'Italia in "una start up nation". Israele ha piu' 'start up' di aziende d'avanguardia di tutta l'Europa messa insieme e persino piu' degli Usa rispetto alla sua popolazione. "Al vertice sara' istituito un Gruppo di lavoro sulle 'start up' con cabine di regia nei due Paesi che prevedera' scambi di informazioni e di esperti", ha spiegato l'ambasciatore israeliano. L'Italia, del resto, e' gia' il secondo partner europeo per la ricerca e lo sviluppo di Israele, Paese che in questo settore investe il 4,5% del suo Pil. Il summit sara' preceduto domenica dalla visita di Letta e Netanyahu al Tempio Maggiore per l'accensione delle candele di Channukka e lunedi' mattina dall'udienza del premier israeliano in Vaticano. "Non e' la mia competenza ma Papa Francesco e' una figura estremamente importante nel mondo e saremmo onorati di poterlo ospitare in Israele l'anno prossimo", ha assicurato Gilon, alludendo alla visita in Terra Santa che dalle ultime indiscrezioni giornalistiche potrebbe avvenire a fine maggio. Il faccia a faccia tra Letta e Netanyahu sara' anche l'occasione per affrontare i principali temi dell'attualita' internazionale. "L'Italia puo' aiutarci a comprendere cosa sta accadendo in Libia e noi possiamo fornire informazioni sulla situazione nei Paesi a noi piu' vicini", ha osservato Gilon. Sulla Siria, l'ambasciatore non e' ottimista: "E' una tragedia umana, e' iniziata come una genuina rivolta dei siriani contro Assad ma ormai e' diventata una guerra in cui sono coinvolti gruppi armati e Paesi di tutta la regione.
   Difficile prevedere una soluzione politica e sono scettico che l'Iran possa dare un contributo, specie ora che ha incassato l'accordo sul nucleare non vedo perche' dovrebbe scaricare Assad per fare un piacere all'Occidente". L'Iran resta la maggiore preoccupazione per Israele e l'accordo di Ginevra con il 5+1 rischia di complicare le cose, ha fatto capire l'ambasciatore. "L'Iran e' un Paese sulla soglia della bomba atomica e l'accordo ha rinviato solo di settimane, non di mesi, la sua capacita' di dotarsi di 4-5 testate nucleari", ha sottolineato Gilon. "Se vogliamo che Teheran abbia interesse a trasformare questo accordo transitorio in un'intesa definitiva bisogna far capire agli iraniani che devono fare molto di piu'" per garantire che non mirano all'atomica, ha insistito il diplomatico, auspicando "un'applicazione rigorosa delle sanzioni che resteranno in vigore".

(AGI, 30 novembre 2013)


Momenti critici della vicenda ebraica nell'Italia del dopoguerra

  
Andrea Maori
Per iniziativa e a cura di "Nuova Associazione Amici di Quaderni Radicali" è stato presentato giovedì 28 novembre a Roma, al Palazzo Sant Chiara, "Ebraismo - Ricostruzione dalle macerie" edito da Stampa alternativa e da Nuovi equilibri, lavoro nel quale sono raccolte le ricerche dei due autori, Andrea Maori, accanito ricercatore di archivi, in particolare quelli del Ministero dell'Interno, e di Marta Brachini, giornalista e amante della storia, quella vera, che nasce sui documenti, le testimonianze, le tradizioni, i monumenti.
Maori rovista tra i resoconti della Polizia conservati nell'Archivio di stato di Roma, che gli consentono la ricostruzione di momenti significativi della storia degli ebrei italiani, a partire da quelli di Roma dal 4 giugno 1944, quando la capitale fu liberata dagli alleati: una storia che inizia il giorno stesso, quando i circa diecimila scampati alla deportazione attuata con la razzia dei nazisti del 16 ottobre 1943 e all'eccidio delle Fosse ardeatine e che avevano trovato rifugio presso amici o negli istituti religiosi della capitale cercarono do rientrare nelle loro case, nel frattempo occupate da sfollati e superstiti ai bombardamenti e che le autorità non sapevano dove collocare; dalla ricerca emergono così diversi momenti salienti nel percorso della ricostruzione delle comunità ebraiche in Italia: la ripresa delle pubblicazioni, l'emigrazione verso la Terra promessa, la nascita dello stato di Israele, lo sviluppo delle varie associazioni.
Marta Brachini affronta invece un problema che attiene direttamente alla storia della sinistra comunista italiana: l'atteggiamento verso lo stato di Israele nel periodo che va dal 1982 al 1991 e lo fa attraverso un'accurata consultazione di dieci e più anni dell'Unità e del Manifesto (siamo sugli ottomila quotidiani sfogliati e spulciati pagina per pagina!) e dalla sua ricerca emerge un percorso tutt'altro che trascurabile. I comunisti non lo hanno mai visto bene questo nuovo stato che considerano un intruso piantato in Palestina, avamposto capitalistico, di stampo colonialista, sfruttatore e praticante l' apartheid, soprattutto poi a partire dal tempo delle guerre degli anni sessanta.
Tuttavia con l'invasione del Libano del 6 giugno 1982 (occasionata dalla rappresaglia contro l'attentato palestinese all'ambasciata israeliana a Londra) la loro avversione assume il rilievo di una campagna con l'Appello per il Libano, che intellettuali ebrei di spicco rifiutano di sottoscrivere, anche perché ormai non si tratta più di critiche al governo di Israele, ma alla stessa esistenza dello stato. Posizione questa che si attenua, guarda caso, a partire dal 1991, cioè dopo il crollo dell'Unione sovietica.
Hanno presentato il libro, oltre agli autori, Silvia Haia Antonucci (Segretaria dell'Archivio storico della Comunità Ebraica di Roma - che ha portato un ricco contributo sui caratteri e l'evoluzione della Comunità di Roma), Giuseppe Rippa (direttore di Quaderni Radicali e Agenzia Radicale, che ha messo in rilievo i tratti essenziali dell'attualità della ricerca dei due storici) e Silvio Pergameno (presidente del Club Ernesto Rossi, attento in particolare al senso stesso dello stato di Israele); ha moderato Elena Lattes (per l'Associazione romana Amici di Israele). Vivace e prolungato il dibattito animato dai presenti.

(Agenzia Radicale, 29 novembre 2013)


La lezione di rav Alfonso Arbib. rabbino capo di Milano

Una densa lezione sul significato di Chanukkah e sull'attualità dei valori connessi a questa ricorrenza. È quanto propone l'associazione per il dialogo interculturale e interreligioso Lech Lechà con una video-intervista al rabbino capo di Milano rav Alfonso Arbib.
Video

(Notiziario Ucei, 29 novembre 2013)


"Io, ebreo cacciato da scuola ho la laurea 75 anni dopo"

La storia di Sami Modiano

di Umberto Gentiloni

Sami Modiano
«Ero tra i primi della classe, tra i più bravi, benvoluto dall'insegnante che non teneva conto della religione. Che fossi ebreo non importava a nessuno, almeno fino a quel giorno del 1938». L'infanzia negata in un tempo lontano, nell'isola di Rodi, passata sotto il controllo italiano nel 1912.
Sami Modiano ha otto anni e mezzo, frequenta la scuola elementare maschile. «L'anno scolastico era appena iniziato quando una mattina il maestro mi chiamò. Ero contento, mi ero preparato all'interrogazione, convinto che mi avessero chiamato per questo. Invece il maestro mi disse che ero stato espulso dalla scuola.
Non capii, rimasi senza parole. Mi mise una mano sulla testa dicendomi che mio padre mi avrebbe spiegato i motivi dell'espulsione. Ricordo come fosse oggi la mano sul capo, il tentativo di rassicurarmi e la successiva conversazione con mio padre che mi parlò di Mussolini e dell'esistenza di una razza ebraica di cui facevamo parte. Ero troppo piccolo per capire, provai a consolarmi così.
  Ma il dispiacere era enorme. Fino a quel momento ero contento, libero, sereno. Non mi sentivo diverso dagli altri bambini, dai miei amici. Ora era finita l'infanzia. Quel giorno ho perso la mia innocenza. Quella mattina mi ero svegliato come un bambino. La sera mi addormentai come un ebreo».
Attimi scolpiti nella memoria in un tornante della sua esistenza. Un punto di non ritorno che condurrà quel bambino in un lungo viaggio attraverso le tenebre del Novecento. Con la sua comunità viene deportato il 23 luglio 1944: destinazione Auschwitz. In pochi degli oltre duemila sopravvivono. Sami è solo al mondo, riesce a ricominciare: prima alle porte di Roma, poi in Congo belga per tornare a Rodi molti anni dopo, quando l'isola delle rose aveva cancellato le tracce dell'antica comunità ebraica.
Il rammarico più grande è di non aver potuto studiare, «di non avere conseguito un'educazione, una cultura degna di questo nome». Questa mattina, settant'anni dopo quella espulsione la Sapienza Università di Roma ha deciso di inaugurare l'anno accademico 2013-2014 conferendo a Samuel Modiano il Diploma di Dottorato di ricerca honoris causa «Storia, Antropologia, Religioni».
  La motivazione dà conto della fatica e del senso di una vita: «Per l'instancabile impegno con cui si dedica a testimoniare la sua tragica esperienza, segnata dall'espulsione da scuola, a Rodi, all'età di otto anni - ordinata in ottemperanza al dettato delle Leggi razziste - e dalla deportazione ad Auschwitz-Birkenau nell'estate del 1944, nella ricorrenza del Settantacinquesimo anniversario dell'emanazione delle Leggi del 1938; per proseguire al più alto livello l'azione di promozione della Memoria e di sostegno alla ricerca storica». Il dottorato di norma viene attribuito per alti meriti scientifici nel campo della ricerca o dell'innovazione. Per chi non ha finito la scuola elementare e non si è potuto avvicinare a un corso universitario il titolo di studio più elevato a livello internazionale è un segnale preciso, un sigillo a una instancabile attività di testimone e maestro per le giovani generazioni.
  Certo un debito di riconoscenza dell'Italia tutta nei confronti di chi pagò il prezzo più alto alle logiche dell'odio, ma anche un riconoscimento a un impegno incessante nelle scuole, nelle università nei luoghi dove si formano i nuovi italiani. Sami Modiano diviene così un illustre membro della comunità scientifica, impegnato a diffondere saperi e costruire conoscenze. «Non mi sento pronto né adeguato» aggiunge sorridendo, colto da un'emozione che non immaginava: «Dico sempre ai ragazzi di non perdere tempo, o buttare via anni preziosi. Nessuno può restituirli; lo studio costruisce libertà, ci aiuta a guardare al futuro con fiducia». (La Stampa, 29 novembre 2013)


Il «vero Gesù» era più islamico di Maometto

Secondo una fatwa voleva la sharia e la sottomissione dei cristiani. Come riporta El Watan, la fatwa è stata emessa da un potente leader salafita: «È impossibile che il Messia, sia pace su di lui, abbia chiesto la separazione tra Stato e religione».

  
Gesù era più islamico di Maometto. Almeno stando a quanto sancisce una nuova fatwa emessa pochi giorni fa da Sheikh Yusuf Burhami, secondo leader più importanti in Egitto del movimento estremista islamico salafita.
CORANO E TEOCRAZIA - La fatwa, pubblicata da El Watan, argomenta a partire dal versetto biblico: "Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Secondo il religioso, questa frase non sostiene in nessun modo la separazione che ci deve essere tra Stato e Chiesa, perché «la separazione tra Stato e religione contraddice il testo del Corano». L'islam non riconosce Gesù come figlio di Dio, ma come il più grande dei profeti prima di Maometto, autore di numerosi miracoli.
GESÙ VUOLE LA SHARIA - Siccome anche Gesù è profeta del Corano e di Allah è dunque impossibile che si sia espresso a favore della separazione tra Stato e religione: «È impossibile che il Messia, sia pace su di lui, abbia chiesto la separazione, come se dicesse che la politica deve essere governata senza la sharia di Allah». Piuttosto, il «vero Gesù», che è un sostenitore della sharia, come scrive Burhami, ha pronunciato quelle parole per affermare che la gente del Libro, ebrei e cristiani, devono pagare ai musulmani la gizya, il tributo umiliante, in cambio della protezione e del mantenimento della propria fede.
POTERE SALAFITA - I salafiti sono sempre più influenti in Egitto. Per accattivarsi il loro appoggio, il nuovo governo provvisorio ha accolto nella bozza della nuova Costituzione le loro richieste: specificare meglio che in Egitto comanda la sharia ed eliminare dal testo il termine «civile» collegato allo Stato. Che, sottinteso, sarebbe teocratico.

(Tempi, 29 novembre 2013)


La Chanukkà domenica accenderà il vertice Italia-Israele

ROMA, 29 nov. - Iniziera' domenica alla Sinagoga di Roma con l'accensione dei lumi di Chanukka', il candelabro a nove braccia ebraico, il vertice tra Italia e Israele. Prima dell'incontro istituzionale di lunedi' a Villa Madama, il presidente del Consiglio Enrico Letta e il premier israeliano Benjamin Netanyahu si recheranno insieme al Tempio Maggiore per la tradizionale cerimonia ebraica. La festa di Chanukka', iniziata lo scorso mercoledi', fu istituita per celebrare la vittoria dei Maccabei, guidati da Giuda Maccabeo, sugli ellenici Seleucidi nel 165 a.c., e celebrare il miracolo dell'ampolla d'olio. Nel Tempio di Gerusalemme, ormai sconsacrato dagli invasori, gli ebrei trovarono un'ampollina d'olio ancora sigillata e di conseguenza non profanata.
Poterono cosi' accendere la Menorah (il candelabro a sette braccia) e fu allora che accadde il miracolo: l'olio che normalmente sarebbe bastato per un giorno, duro' otto giorni, il tempo necessario per prepararne del nuovo e poter cosi' riconsacrare il Tempio. La ricorrenza di Chanukka' cade il 25esimo giorno del mese ebraico di Kislev. Il termine letteralmente significa inaugurazione e fu a suo tempo stabilito che tutti gli ebrei celebrassero la festivita' per otto giorni, tanti quanti duro' l'ampolla di olio. I due premier saranno ricevuti da Riccardo Di Segni, Rabbino Capo della Comunita' ebraica, e da Riccardo Pacifici, presidente della Comunita' ebraica di Roma.

(AGI, 29 novembre 2013)


Una grande centrale solare, nel deserto del Neghev

Inizieranno a breve i lavori per la costruzione di un grande parco solare nel deserto del Neghev

Nei primi mesi del 2014 inizieranno, in Israele, i lavori per la costruzione di una grande centrale solare nel deserto del Neghev, a sud della città di Be'er Sheva. La centrale sarà una delle più grandi al mondo grazie ai suoi 121 Megawatt, che, secondo progetto, saranno tutti installati entro il 2016.
La centrale solare, un progetto portato avanti presso Ashalim, garantirà l'elettricità a 40.000 abitazioni di Israele. Il progetto è stato avviato dalla società Megalim Solar Power costituita dalla partnership fra Alstom (un'azienda di trasporti) e BrightSource Energy. Il rapporto tra Israele e l'energia solare non è cosa nuova. Già 30 anni fa l'azienda Luz, oggi divenuta BrightSource e passata in mano ad investitori statunitensi, aveva intravisto in questi territori assolati un'enorme potenziale per il settore delle rinnovabili. A diversi anni di distanza il solare rappresenta per il Paese un'importante fonte di energia.

(Ecoseven, 29 novembre 2013)


Il Mossad dice: ora potremmo marciare su Damasco in un giorno

Un rapporto dei servizi spiega che per ora Israele è più sicuro di prima perché i nemici sono occupati da guerre interne

di Daniele Raineri

Martedì il gabinetto di sicurezza israeliano è andato in una sede del Mossad per ascoltare il rapporto annuale sulla sicurezza di Israele in medio oriente, scrive il quotidiano Yedioth Ahronoth.
Il gabinetto di sicurezza è un Consiglio dei ministri ristretto a Difesa, Sicurezza interna, Finanze e Giustizia, con qualche aggiunta facoltativa. Secondo il rapporto del Mossad che è stato presentato al comitato, la posizione di Israele è migliorata perché molti stati arabi che sono suoi nemici tradizionali o potenziali in questo momento sono alle prese con sconvolgimenti interni.
La Siria è stata costretta a cedere il suo arsenale di armi chimiche, oltre a essere indebolita da una guerra civile violenta. Secondo gli analisti dei servizi segreti, se prima l'esercito israeliano avrebbe avuto bisogno di una settimana per arrivare fino alla capitale Damasco in caso di guerra, ora potrebbe arrivare a Damasco in meno di un giorno. Pure il Libano soffre della stessa situazione, in misura molto minore. L'Egitto è impegnato anch'esso con la situazione interna e sebbene i generali stiano esercitando il massimo del potere l'esercito del Cairo non investe e non si evolve.
I servizi segreti hanno spiegato ai ministri israeliani che il presidente dell'Autorità palestinese, Abu Mazen, sta guadagnando legittimità dai negoziati e dalle relazioni diplomatiche con Gerusalemme, ma non è affatto certo che firmerà un accordo con Israele. Su Gaza hanno detto che c'è parecchio malcontento tra la popolazione della Striscia, ma che Hamas governa con pugno di ferro e non si farà cacciare.

- L'Egitto ora è durissimo con Hamas
  Il Mossad sottolinea che grazie al caos in Siria ci sono gruppi terroristici che stanno diventando più forti e come anche Hezbollah in Libano stia diventando più forte, ma il nemico più pericoloso per Israele è sempre l'Iran per il suo programma nucleare.
Il rapporto del Mossad conferma quel che da tempo si va osservando in medio oriente. Se prima c'era preoccupazione per le ribellioni che tra la fine del 2010 e il 2011 hanno sconvolto il mondo arabo - perché si temeva che l'esito finale delle primavere arabe fosse un grande califfato islamista, semplificando - ora si vive in un'età di mezzo, in cui ogni avvenimento va seguito senza più il lusso delle interpretazioni troppo generiche o delle previsioni a lungo termine. Senza Mubarak, si diceva, l'Egitto cadrà subito sotto il controllo dei Fratelli musulmani. E' sembrato vero per un anno, ma poi sono arrivati i generali. Dal punto di vista di Israele, la situazione è migliorata. Il governo del Cairo non si era mai mostrato così duro con i vicini di Hamas: oggi distrugge i tunnel di contrabbando allagandoli con acqua di fogna e fa persino sorvolare la Striscia dai suoi droni, "per scegliere possibili bersagli in caso di guerra" - che è un comportamento di routine per quanto riguarda gli israeliani, non per un paese arabo che soltanto fino a luglio era governato dalla Fratellanza. Il Cairo ha pure perso una parte degli aiuti militari americani, che formano la frazione più avanzata e sofisticata del suo equipaggiamento.
Il caso della Siria è ancora più eloquente: non si sa cosa succederà in futuro, ma per ora l'esercito di Bashar el Assad è impegnato a sopravvivere nella lotta quotidiana contro una guerriglia eterogenea che include i gruppi più pericolosi dell'islam militante internazionale. In questo scenario dagli orizzonti molto stretti, i decenni passati dai generali siriani ad addestrare ed equipaggiare le Forze armate per l'eventualità di una guerra contro Israele non contano più. Le preoccupazioni maggiori riguardavano l'arsenale chimico: un esercito anche allo stremo è pur sempre capace di piazzare un colpo estremamente duro se dispone di armi di distruzione di massa. Inoltre, se Assad avesse perso il controllo delle basi, le armi chimiche sarebbero passate nelle mani della guerriglia sunnita che potrebbe rivelarsi non meno pericolosa. Ora però è in corso lo smantellamento dell'arsenale chimico (se funziona).
L'impressione da lontano è che la Siria sia diventata un enorme caso-studio per i servizi segreti israeliani. Si sa che osservano i lanci di missili balistici - tipo gli Scud - contro le città controllate dai ribelli, perché si è trasformata in un'occasione unica per vedere come funziona l'apparato militare siriano (mentre è impegnato ad attaccare la sua stessa popolazione). Si sospetta che siano coinvolti in alcuni casi di lotta contro gli iraniani in campo terzo, come sarebbe accaduto nell'uccisione vicino Aleppo del generale al Shateri, inviato delle forze speciali dei Guardiani della rivoluzione. Si sa per certo, infine, che tengono d'occhio tutto il traffico di armi tra l'esterno - russi, soprattutto - il governo siriano e il gruppo libanese Hezbollah. Da febbraio in poi ci sono stati almeno sei raid per bombardare armi sofisticate - missili - prima che fossero spostate in Libano.
Un discorso analogo vale per il problema Libano, che va inteso come "Hezbollah". Il gruppo ha scelto di gettarsi nella mischia siriana e per questo è sottoposto a una torsione brutale sia dal punto di vista materiale - centinaia di perdite - sia dal punto di vista ideologico: è difficile dire di essere la "muqawama", la resistenza, intesa contro Israele, e invece andare al di là del confine a combattere contro altri arabi. Se non rispolverando il motivo settario - noi sciiti contro loro sunniti - che non promette nulla di buono per il Libano, costruito sopra un volenteroso equilibrio fra fedi e tradizioni diverse.

- "Meglio i sunniti che gli sciiti"
  A settembre Reuters ha pubblicato un'intervista informata con il generale israeliano Yair Golan, che comanda il settore nord della Difesa, quindi quello che si occupa anche della frontiera con la Siria (ormai senza più la preoccupazione immediata delle armi chimiche). Anche Golan sostiene che non c'è da preoccuparsi delle forze terrestri di Assad, messe troppo a dura prova dal conflitto interno, e con Reuters ha aggiunto un parere interessante: per lui sarebbe preferibile una vittoria dei gruppi ribelli sunniti della guerriglia anti Assad che una permanenza al potere dell'attuale apparato (vale a dire gli assadisti appoggiati dall'Iran e aiutati dagli hezbollah). I ribelli sunniti includono anche gruppi dichiaratamente nemici di Israele, ma sono comunque più arretrati dell'asse tra alawiti e sciiti, che è un'alleanza tra stati ed eserciti.

(Il Foglio, 29 novembre 2013)


Giovanni Spadolini, amico di israele

Presentazione del libro a Palazzo Vecchio

FIRENZE - Sarà presentato martedì 3 dicembre alle 17.00 nel Salone de‘ Dugento di Palazzo Vecchio il libro di Valentino Baldacci Giovanni Spadolini: la questione ebraica e lo stato di Israele, edito da Polistampa. Interverranno Cosimo Ceccuti, Sandro Rogari, Giancarlo Elia Valori e Giulio Terzi di Sant‘Agata, e saranno presenti l‘autore e l‘editore.
Lo storico Valentino Baldacci ripercorre e analizza per la prima volta i molti episodi che legano la figura dello statista fiorentino alla questione ebraica. Le sue posizioni in difesa dello Stato d‘Israele e del suo popolo lo misero più volte in urto con personaggi quali Fanfani, Craxi o Andreotti, facendo allo stesso tempo di lui un interlocutore privilegiato della comunità ebraica. L‘opera, frutto di una lunga e accurata ricerca, esce in prossimità del XX anniversario della morte di Spadolini.

(met, 29 novembre 2013)


La Comunità ebraica di Trieste cerca un sostituto del rabbino licenziato

TRIESTE - La Comunità ebraica di Trieste è ancora alla ricerca del nuovo rabbino, dopo che il precedente è stato licenziato, anche se il presidente della Comunità, Alessandro Salonichio, con l'Adnkronos preferisce parlare di ''sollevamento dall'incarico''. La vicenda, accaduta di recente, ha fatto scalpore, anche perché non usuale.
''Stiamo facendo delle valutazioni - spiega Salonichio - su chi potrà essere il nuovo rabbino, che sarà il meglio che riusciremo a trovare. Valuteremo molto bene, per non dover affrontare altri problemi nel futuro. Non credo cha la questione abbia una soluzione imminente'', ha concluso Salonichio.
La Comunità è alla ricerca di un capo religioso dal profilo alto e soprattutto si attende che il nuovo rabbino adempia ai suoi doveri. Doveri ai quali, da quanto trapelato da altri membri della Comunità, il rabbino ''sollevato'' non sempre adempiva. E questi erano dei problemi. Il rabbino capo era Rav Itzhak David Margalit, 64 anni, nato in Israele, a Trieste dal 2007.

(Adnkronos, 28 novembre 2013)


Il momento peggiore per un ateo è quando si sente grato e non sa chi ringraziare.



 

L'antisemitismo sta perdendo la guerra

Gentile redazione di "Il Borghesino",
congratulazioni per lo splendido blog. Vorrei esprimere un immenso ringraziamento per avermi aiutato in questi giorni a cambiare completamente la mia visione del conflitto medio-orientale. Da circa un anno ho cominciato a poco a poco a rivedere totalmente i miei (pre)giudizi su Israele, con una forte accelerazione in questi giorni grazie anche al vostro eccellente sito. Sto provando una rabbia e un senso di colpa tremendo, perchè mi sento ingannato dalla cattiva informazione su Israele, Palestina & dintorni che per anni ha intossicato e ottenebrato la mia capacità di giudizio.
Volevo porvi alcune domande in merito all'occupazione della Palestina, ma prima sento il bisogno di descrivervi il mio percorso di "cambiamento di prospettiva", che può essere molto istruttivo....

(Il Borghesino, 28 novembre 2013)


Chanukkah 5774. Luci nelle piazze d'Italia

L'Italia si riempie della luce di Chanukkah. Brillano nelle case, brillano nelle piazze le fiammelle accese per celebrare la prima sera della festa che dura otto giorni e si concluderà nella giornata del 5 dicembre.
 
Roma
 
Milano
 
Firenze
 
Trieste
  A Roma, celebrazioni che si sono svolte nella residenza dell'ambasciatore di Israele, Naor Gilon, alla presenza, tra gli altri, del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e del presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna. Sempre nella Capitale, ormai tradizionale è l'accensione della chanukkiah di piazza Barberini che ha raccolto l'interesse dei cittadini romani, tra sufganyiot e canti in un'iniziativa organizzata dal movimento chassidico Chabad-Lubavitch.
  Accensione in strada organizzata dai Chabad anche a Milano, nella centralissima piazza San Carlo a pochi passi dal Duomo. A partecipare tra gli altri il sindaco Giuliano Pisapia e l'assessore alle Scuole del Comune Francesco Cappelli, il rabbino capo Alfonso Arbib, il vicepresidente UCEI Roberto Jarach, il presidente della Comunità Walker Meghnagi: a condurre l'evento rav Levi Hazan. Dopo l'accensione balli e dolci, per la gioia dei bambini presenti e anche di tanti adulti.
  A Firenze prima accensione sotto il porticato della sinagoga, in una cerimonia condotta dal rabbino capo Joseph Levi e, a seguire, grande festa dei ragazzi del Talmud Torah . Oggi un nuovo appuntamento con performance artistica della Balagan Cafè Orkestar, che si esibirà dopo la seconda accensione.
  Festa in famiglia a Trieste. Il coro della Scuola Primaria, assieme ai più grandi della Scuola per l'Infanzia, ha cantato per amici e parenti nella sala grande del Tempio Maggiore. Il tradizionale concerto si ripete di anno in anno ed è atteso anche da chi, più grande, frequenta ora le scuole medie. C'erano infatti tra il pubblico anche tanti ex-allievi che hanno colto così l'occasione per rivedere i compagni più piccoli e i morim (maestri) di un tempo.

(Notiziario Ucei, 28 novembre 2013)


Quando il tuo nemico cade

di Marcello Cicchese
    Quando il tuo nemico cade, non ti rallegrare;
    quand'è rovesciato, il cuor tuo non ne gioisca,
    ché l'Eterno non lo veda e gli dispiaccia
    e non distolga l'ira sua da lui.
                                           Proverbi 24:17-18
In tedesco esiste una parola sintetica e incisiva che non ha un corrispondente in italiano: "Schadenfreude". E' la gioia per il male altrui: un sentimento indubbiamente molto diffuso e in cui chiunque può cadere. Non è strano quindi che anche la Bibbia ne parli. Giobbe, nella sua tenace e commovente autodifesa, elencando tutti i peccati che non ha mai fatto, dice con foga (Giobbe, 31:29-30):
    se mi son rallegrato della sciagura del mio nemico
    ed ho esultato quando l'ha colpito la sventura,
    io, che non ho permesso alle mie labbra di peccare
    chiedendo la sua morte con imprecazione....
E dice anche il motivo di questo suo trattenersi (Giobbe, 31:23):
    perché mi speventava il castigo di Dio
    ed ero trattenuto dalla maestà di lui.
Anche sul piano puramente sociale, manifestare troppo vistosamente la propria soddisfazione per il male che colpisce un altro, anche se nemico, anche se sembra esserselo più che meritato, non è considerato un segno di buona educazione. E' disdicevole. Bisogna accontentarsi di gioire in privato, nel proprio intimo, abbozzando magari qualche parola di dispiacere e commiserazione.
Il testo biblico però va più in profondità: fa intervenire Dio in prima persona. Giobbe è spaventato dal castigo di Dio. Perché Dio vede. E non vede soltanto quello che si svolge sul pubblico palcoscenico, ma anche quello che si muove nell'intimo del cuore. Per questo, nello stesso passo (v.27) Giobbe dice a sua difesa: "... se il mio cuore, in segreto, si è lasciato sedurre..."
Dal passo dei Proverbi si può capire meglio il motivo di questo spavento: l'Eterno potrebbe vedere questa maligna gioia del cuore e dispiacersene; e decidere di distogliere l'ira sua da colui che è caduto per rivolgerla verso colui che se ne rallegra.
Questo è particolarmente vero per chi pensa di potersi rallegrare per motivi di giustizia. Una giustizia forse non divina, perché non si crede in Dio o non si crede che Dio s'interessi a queste cose, ma pur sempre una giustizia come superiore istanza di universale moralità a cui tutti dovrebbero piegarsi, e a cui naturalmente colui che si rallegra pensa di piegarsi. Ma non esiste una neutra, anonima giustizia universale. Esiste Dio, che è giustizia e fonte di diritto, e chi si richiama con disinvoltura a motivi di superiore giustizia deve sapere che anche di questo un giorno dovrà rispondere.

Silvio Berlusconi è politicamente caduto, come da tempo si sapeva e si aspettava. Probabilmente in modo definitivo. Anche lui si è richiamato spesso e si richiama ancora a superiori valori universali a cui dice di ispirarsi. Anche lui dovrà risponderne, e forse questo è già cominciato. Ma la sua caduta non può mancare di essere motivo di riflessione, sia in privato che in pubblico.
Tralasciando il privato, su cui qualcosa si è già detto, diciamo qualcosa sul pubblico. Qualunque cosa si pensi di Berlusconi, la nazione Italia non ha motivo di rallegrarsi della svolta politica che seguirà la sua caduta. Non perché si debba rimpiangere un roseo passato, ma perché il modo in cui la svolta avviene fa presagire un torbido futuro. Senza aggiungere altre analisi politiche a quelle, innumerevoli, che si fanno in Italia e in tutto il mondo, diciamo soltanto poche cose riguardanti il nostro oggetto di interesse.
Il governo Berlusconi, indipendentemente dai motivi personali che spingevano il suo presidente, è stato quello che più di tutti nella storia politica italiana del dopo guerra, e più di tutti tra i governi in Europa, ha avuto un atteggiamento amichevole verso lo Stato ebraico d'Israele. Al contrario, uno dei primi atti compiuti nel novembre 2011 dal governo Monti, pochi giorni dopo che Berlusconi fu convinto a dare le dimissioni, è stato invece quello di modificare la politica italiana fino a quel momento tenuta verso Israele, appoggiando l'Assemblea Generale dell'Onu nella sua decisione di accordare all'Autorità Palestinese lo status di Paese osservatore non membro. Qualcuno dirà che le cose non stanno proprio così, e che comunque questo non è un fatto di primaria importanza. Crediamo esattamente il contrario.
Le profezie bibliche s'interessano estesamente di politica internazionale, e da esse si può capire che l'atteggiamento verso Israele è un segnale di importanza decisiva. Soltanto un esempio di attualità. Molti studiosi di profezie si sono sempre chiesti come si potesse far entrare nel quadro biblico una potenza di grandezza mondiale come gli Stati Uniti. E' indubbio: l'America non compare nelle profezie. Conseguenza: negli ultimi tempi l'America dovrà sparire dall'orizzonte, cioè diventerà politicamente irrilevante. E questo forse è già cominciato con Barack Obama. E come è cominciato? Con l'allontanamento da Israele. Viceversa, le nazioni di cui la Bibbia dice che avranno un posto nel futuro, e che si schiereranno contro il popolo ebraico, si trovano a est e a nord di Israele, come Russia, Cina, Iran, che oggi stanno acquistando sempre più importanza. Nessuno può e vuole fare calcoli precisi, ma le linee di lento movimento della politica internazionale si possono intravedere abbastanza bene leggendo la Bibbia.

Tornando allora alla nostra nazione, si può dire che gli italiani non hanno motivo di festeggiare la caduta di Silvio Berlusconi. Per due ragioni:
- sul piano privato, perché a colui che si rallegra potrebbero arrivare addosso sciagure maggiori di quella di cui si rallegra;
- sul piano politico, perché il segnale costituito dall'attuale e prevedibile allontanamento da Israele dei prossimi governi non fa presagire nulla di buono per la nostra nazione. O perlomeno, nulla di migliore di quanto abbiamo finora avuto.

(Notizie su Israele, 28 novembre 2013)


Tel Aviv regina dell'innovazione

Ci sono 1.200 imprese tecnologiche su 400 mila abitanti

di Ettore Bianchi

 
Viale Rotschild a Tel Aviv
Ha 400 mila abitanti, ma le imprese dell'alta tecnologia sono 1.200. Tel Aviv, la Milano israeliana, è il polmone economico della nazione mediorientale, simboleggiato dal Viale Rothschild: una lunga arteria nel centro storico, definita «la strada start-up della città start-up della nazione start-up».
L'innovazione è in fermento e queste giovani aziende sono circa 700.
Non è soltanto una promessa per il futuro, perché i colossi americani hi-tech hanno cominciato una campagna di acquisizioni a suon di dollari. È il caso di Soluto, attiva nell'assistenza a distanza per le attrezzature informatiche: a cinque anni dalla nascita è stata rilevata per 100 milioni di dollari (73,7 mln euro) da Asurion, specializzata nell'assicurazione di beni tecnologici. Oppure di Trusteer, attiva nella sicurezza, comprata da Ibm per 650 mln di dollari (479 mln euro).
A fine 2012 il sito americano Startup Genome ha piazzato Tel Aviv al secondo posto tra gli ecosistemi più favorevoli alle start-up a livello mondiale, dietro la Silicon Valley californiana e prima di New York, Londra e Chicago. Quello che si respira nella città israeliana è un clima di entusiasmo e voglia di fare. Non soltanto Tel Aviv attira frotte di giovani per motivi professionali e di divertimento (si dice che la città sia aperta 24 ore su 24), ma offre un ambiente accogliente ai nuovi imprenditori. La municipalità sta allestendo un'efficiente rete di collegamento wi-fi a internet che funzionerà ovunque. I locali di una biblioteca pubblica sono stati trasformati in uno spazio a disposizione delle giovani promesse del business.
Inoltre gli amministratori stanno cercando di convincere il governo israeliano a facilitare l'attività degli investitori stranieri interessati al settore tecnologico. L'obiettivo è fare di Tel Aviv un contesto più internazionale: a differenza di quanto avviene nella Silicon Valley, dove metà degli imprenditori è di origine straniera, in Israele quasi tutti sono locali.
Loro, i giovani, si sentono protagonisti di una svolta epocale e non conoscono il clima di smarrimento e incertezza che ha avvolto molte economie occidentali. Si buttano in un'avventura imprenditoriale con un'audacia che rasenta l'incoscienza, consapevoli che bisogna mettere in conto un eventuale fallimento. Poi è fondamentale il ruolo degli incubatori o acceleratori: fondi di investimento o società che accompagnano le start-up, sostenendole sia finanziariamente, sia attraverso la consulenza. A Tel Aviv se ne trova qualche decina e il loro sviluppo si è intensificato negli ultimi due anni. Rispetto a un decennio fa, per i giovani imprenditori è tutto più facile: trovare soldi, uffici, contatti, soci in affari. Nel terzo trimestre le società hi-tech hanno raccolto 660 milioni di dollari (486 mln euro) di capitali freschi: un record che non si vedeva dal 2000.
Tuttavia, come evidenziano i dati ufficiali, il comparto tecnologico sta crescendo meno velocemente rispetto all'industria nel suo complesso: la produzione è rimasta praticamente invariata tra il 2009 e il 2011 a fronte di un +5% messo a segno dal resto dell'economia. L'alta tecnologia copre circa metà delle esportazioni di Israele, ma impiega meno del 10% della popolazione attiva. C'è chi sostiene che questo comparto è più una vetrina che un motore. Ma negli Stati Uniti ci sono fior di colossi dell'informatica nati dall'idea di giovani neolaureati in un sottoscala.

(ItaliaOggi, 28 novembre 2013)


Probabili formazioni e pronostico di Apoel - Maccabi Tel Aviv.

Per il Gruppo F dell'Europa League si disputa la quinta giornata con i seguenti incontri: Bordeaux-Eintracht Francoforte e Apoel-Maccabi Tel Aviv (21:05).
APOEL: Questo turno sembra favorevole alla squadra cipriota che tenterà la rimonta sulla formazione israeliana: vincendo, infatti, riuscirebbe ad agganciarla in classifica. Questa sera i ciprioti faranno a meno di Budimir, espulso nell'ultimo match.
MACCABI TEL AVIV: Il discorso vale anche per gli israeliani che dovranno però difendersi se vogliono mantenere il secondo posto solitario. Al Maccabi basta un pareggio per poi giocarsi la qualificazione nell'ultimo match davanti ai propri spettatori.
PROBABILI FORMAZIONI:
Apoel (4-2-3-1): Pardo, Sergio, Oliveira, Borda, Cabral, Oliveira, Morais, Charalambidis, Alexandrou, Aloneftis, Benachour.
Maccabi Tel Aviv (4-3-2-1): Pablo, Yeini, Tibi, Garcia, Ben Harush, Einbinder, Zehavi, Mitrovic, Altman, Itzhaki, Dabbur.
PRONOSTICO: Questa partita vede favorita la squadra di casa, dimostratasi molto solida tra le mura amiche.

(Te La Do Io L'America, 28 novembre 2013)


Dà dell'"ebreo" al collega in aula: esposto contro l'avvocato Turco

Stava difendendo il capogruppo della Lega Nord di Trieste dall'accusa d'istigazione all'odio razziale. Segnalazione all'Ordine: lesivo della mia persona e della dignità dell'intera classe forense.

di Luana de Francisco

TRIESTE - Si era presentato in aula per difendere il proprio assistito dall'accusa di istigazione all'odio razziale, ma, dopo avere ripetutamente dato dell'"ebreo" al collega della controparte, l'avvocato Giuseppe Turco si è ritrovato a propria volta al centro di un esposto all'Ordine forense. Insomma, in un mare di guai o, quantomeno, di fastidi.
Tutto comincia lunedì mattina, quando al tribunale di Trieste prende il via il processo a carico di Paolo Polidori, capogruppo della Lega Nord della Provincia giuliana chiamato a rispondere di violazione della Convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale. Ad assisterlo è l'avvocato Turco, noto in regione per i suoi trascorsi nelle file del Carroccio. L'episodio al centro del procedimento risale alla primavera dell'anno scorso, quando, in occasione del congresso del partito all'hotel Excelsior, Polidori affermò che «il presidente del Consiglio, Mario Monti, e il governo in carica sono espressioni del potere giudaico-massone».
Da qui, la reazione della comunità ebraica e del suo legale, avvocato Alberto Kostoris, e l'ulteriore dose di "provocazioni" del capogruppo leghista. «Anziché scusarsi per le proprie asserzioni - si legge nella denuncia sporta di lì a poco dall'avvocato Kostoris -, replicava alle critiche della comunità ebraica e ribadiva consapevolmente che il potere finanziario mondiale è in mano a un sistema giudaico-massone». Finita sui tavoli della Procura di Trieste, a settembre la vicenda aveva superato lo scoglio dell'udienza preliminare, con il rinvio a giudizio dell'imputato su richiesta del pm Antonio Miggiani.
Lunedì, a gettare benzina sul fuoco, nel processo cominciato davanti al giudice Giorgio Nicoli, è stato lo stesso difensore di Polidori, l'avvocato udinese a sua volta animato da pulsioni leghiste. «L'ebreo non ha firmato la querela - ha affermato l'avvocato Turco, riferendosi al collega Kostoris e lasciando a bocca aperta magistrati, cancellieri e legali -. L'ebreo dice nella querela che è orgoglioso di essere ebreo». In aula, seduti in fondo per seguire l'udienza, in silenzio, anche alcuni "aficionados" di Polidori. Invitato più volte dal giudice Nicoli ad adoperare un linguaggio più consono all'aula di un palazzo di giustizia, il difensore ha replicato di non trovare nulla di strano in quel che stava dicendo. «C'è chi è ebreo - ha obiettato - e chi è slovacco». Tra le espressioni "coniate" per l'occasione, anche quella di «ebreo querelante".
Immediata la reazione dell'avvocato Kostoris, che, attraverso la collega Maria Genovese, il giorno successivo ha provveduto a presentare sul caso un esposto. «Il comportamento tenuto dall'avvocato Turco - si legge nel documento - è ritenuto gravemente lesivo della mia persona, così come della dignità dell'intera classe forense». L'esposto chiede all'Ordine di «procedere disciplinarmente nei suoi confronti per tutti gli illeciti».
A segnalare il caso al presidente dell'Ordine degli avvocati di Udine, Andrea Galimberti, intanto, ci hanno pensato anche alcuni colleghi friulani, che, appresa la notizia di quanto avvenuto a inizio settimana a Trieste, si sono dichiarati «sconcertati» dalle affermazioni usate dall'avvocato Turco nel corso del processo. Quanto alla vicenda giudiziaria di Polidori, martedì il giudice ha ordinato al pm Miggiani di riprendere in mano il fascicolo, trattandosi di reato - l'istigazione all'odio razziale, appunto - particolarmente grave e, quindi, di competenza del tribunale in composizione collegiale.

(Messaggero Veneto, 28 novembre 2013)


Diecimila mila anni fa sorgevano i centri urbani in Israele

Video
In Israele un gruppo di archeologi ha riportato alla luce un antico insediamento neolitico che potrebbe risalire a diecimila anni fa. Il lavori per la realizzazione di un'autostrada hanno permesso di far riemergere questo tesoro tra i campi di Eshta'ol, nel centro sud del Paese.
Tra i reperti ci sono tracce di utensili utilizzati per lavorare la terra e curare gli animali, e cosa ancor più sorprendete gli albori di una pianificazione urbanistica.
Secondo l'archeologo Amir Golani, sono chiari i segni della strutturazione della società: "Tutti questi edifici formano un piano completo . In questo piano si vede l'origine della società, e la transizione dal villaggio al centro urbano"
Tra i manufatti più antichi attribuiti al periodo neolitico ci sono un coltello di pietra e diversi esempi di ceramica. "Tra le cose più interessanti che abbiamo trovato qui a Eshta'ol ci sono edifici e una grossa pietra - racconta Golani - una pietra enorme, lavorata su tutti e sei i lati, che si erge su uno di questi, crediamo fosse utilizzata per celebrazioni religiose".
Gli archeologi hanno rilevato che gli edifici hanno attraversato diverse fasi di costruzione e riparazione, fasi che fanno intuire la loro importanza, tra le vestigia anche alcune colonne che fanno supporre l'esistenza di un tempio.

(euronews, 27 novembre 2013)


Sorpresa nel parco: scimmie fotoreporter

Chiaramente annoiate di essere sempre i soggetti ritratti dai fotografi, due scimmiette di un parco nel nord di Israele hanno scelto di passare dall'altra parte della lente. Le immagini catturate da Jacki Soikis mostrano tutta la curiosità dei piccoli primati. "Per diverse ore ho mostrato loro come uso la camera, così hanno deciso di darci un'occhiata più da vicino" ha commentato Jacki. Il reporter naturalista ha aspettato diverse ore prima che i simpatici mammiferi si avvicinassero alla macchina fotografica ma alla fine è stato premiato con questi divertenti scatti.

(la Repubblica, 27 novembre 2013)


Roma nel Piatto con le guide enogastronomiche di La Pecora Nera

Per la prima volta nelle tre guide capitoline sono stati individuati alcuni esercizi aderenti all'iniziativa kosher a Roma, per orientare gli osservanti della kasherut e i tanti interessati a conoscere la cucina giudaica-romanesca e tripolina.

- ROMA - Cucina romanesca d'autore, indirizzi per shopping goloso a Roma e a Milano, e i ristoranti etnici di qualità, quartiere per quartiere nella capitale. Arriva un vademecum alla buona tavola di Roma e del Lazio con una digressione in Lombardia con le guide enogastronomiche 2014 de La Pecora Nera editore, presentate al Centro Servizi Tipici e Tradizionali dell'Azienda Romana Mercati. Al vertice, anche in questa guida, la cucina di Heinz Beck a La Pergola del Rome Cavalieri, seguito da Il Pagliaccio e La Trota di Rivodutri (Rieti). Tra gli etnici, Green T per la cucina cinese e Hamasei e Zen Sushi per quella giapponese.
''Il nostro - ha sottolineato il curatore della guida Roma nel Piatto Simone Cargiani - è un approccio integralista nel giudizio che si traduce in visite ai locali effettuate in anonimato, pagando il conto come clienti qualsiasi, e nel rifiuto di vendere spazi pubblicitari ai ristoratori, così evitiamo conflitti di interesse con le categorie valutate". Quest'anno la Regione Lazio ha scelto "Roma nel Piatto" per istituire premi ai ristoratori che hanno contribuito alla valorizzazione del patrimonio enogastronomico del Lazio, realizzando ricette tradizionali basate su prodotti tipici.
Premiati: 13 gradi a Viterbo, Angeli a Magliano Sabina (Rieti), Da Cesare, Il Quinto Quarto, Iotto a Campagnano di Roma, La Briciola e L'Oste della Bon'Ora a Grottaferrata, La Locanda a Supino (Frosinone), La Locanda di Saturno a Sutri (Viterbo), Osteria del Vicolo Fatato a Piglio (Frosinone), Osteria Persei a Prossedi (Latina), Tito a Rieti, Vicolo di M'blò a Fondi (Latina), e Vino e Camino a Bracciano.
"Il criterio della qualità nella scelta delle materie prime, nell'elaborazione delle pietanze, nella capacità di esaltare le nostre tradizioni o di sperimentare sono alla base delle scelte fatte in questa guida", commenta Antonio Rosati, commissario Arsial. "Ed è questo lo stesso criterio che ci ha orientato nell'istituzione di premi destinati ai migliori ristoratori della Capitale e del Lazio. Un riconoscimento per chi promuove la buona cucina nella nostra regione, e crea idee di sviluppo economico, un'economia di prossimità che porta qualità di vita e ed è un motore per lo sviluppo del turismo".
Le edizioni 2014 si distinguono inoltre per l'attenzione riservata alla Roma Kosher. Per la prima volta nelle tre guide capitoline, grazie al contributo dell'Azienda Romana Mercati (Arm), azienda speciale della Camera di Commercio di Roma, sono stati individuati alcuni esercizi aderenti all'iniziativa kosher a Roma, per orientare gli osservanti della kasherut e i tanti interessati a conoscere la cucina giudaica-romanesca e tripolina, la più antica cucina di Roma, ha detto il direttore Carlo Hausmann.
"Il Centro Agroalimentare Roma - conclude Fabio Massimo Pallottini, amministratore delegato del Car Gest - è da sempre interessato ed attento alla buona ristorazione come elemento di promozione e diffusione dei nostri prodotti. Perciò ha voluto sostenere questa iniziativa, in quanto occorre una grande "alleanza" che percorra l'intera filiera, da chi produce a chi distribuisce, da chi vende a chi somministra il prodotto agricolo. Anche per questo è nato e si propone elemento utile il marchio 'Cuor di Car'".

(ANSA, 27 novembre 2013)



Cosa c'è dietro il video "americano" di Hassan Rowhani?

Il presidente iraniano diffonde un video ispirato alla campagna di Obama del 2008. Dietro la produzione c'è un regista legato ai servizi di sicurezza dell'Iran.


  
Video
Dal momento del suo insediamento in agosto, Hassan Rowhani si è fatto latore, assieme a diversi suoi ministri, di uno stile di comunicazione inedito per l'austera Repubblica islamica. Incurante del filtraggio dei principali social network che vige dal 13 giugno 2009, la data dell'inizio della contestazione di massa alle elezioni presidenziali del giorno precedente, il presidente iraniano ha fatto uso massiccio di Twitter per mantenere i contatti con la sua "core constituency", quella borghesia urbana assai attiva su internet che già fece uso di Twitter e Facebook per coordinare le proteste del 2009-2010.
Fu un account tuttora ufficiosamente attribuito al neo-presidente, @HassanRouhani, a rivelare, il 27 settembre, che Barack Obama aveva appena terminato la sua storica telefonata all'omologo iraniano.
A cento giorni esatti dall'inizio del dopo-Ahmadinejad, un breve filmato prodotto da un documentarista già parte dello staff di Rowhani, Hossein Dehbashi, ha sottolineato il forte cambiamento nello stile tra i due capi di stato iraniani. Il filmato, dalla durata di quasi cinque minuti e distribuito tramite un altro degli strumenti centrali dell'arsenale informatico-comunicativo di Rowhani, YouTube, e sul nuovo portale video non censurato aparat.com, è fortemente influenzato dal clip prodotto dalla campagna elettorale di Barack Obama durante le presidenziali Usa del 2008 e mantiene pressappoco lo stesso formato.
Un discorso pubblico del protagonista politico - in questo caso, spezzoni del discorso d'inaugurazione fatto da Rowhani al cospetto della Guida Suprema Ali Khamenei e di altre autorità statali, il 4 agosto - viene coadiuvato dalla ripetizione delle stesse parole da uno stuolo di celebrità e comuni cittadini. Mentre Scarlett Johansson fece da "ripetitrice" per le parole di Obama nel 2008, il noto attore e cantante Amir Hossein Modarres fa parte del coro del video prodotto da Dehbashi, che ha curato in precedenza i due documentari elettorali di Rowhani trasmessi dalla tv di stato prima del voto di giugno.
Il tema del filmato dedicato ai primi cento giorni di Rowhani sembra esser dedicato all'unità nazionale, e si avvia con l'esortazione del presidente a dare modo a «chiunque ha a cuore le sorti di questo paese» di contribuire ad allentare i vari "nodi" che ne ostacolano il progresso. La presenza di uomini e donne di vari strati sociali in egual misura, di alcuni frammenti recitati in lingue utilizzate da minoranze linguistiche, come il curdo e l'arabo, e pure nel linguaggio dei segni per i sordomuti, evidenzia la direttrice delle primissima fase della presidenza di Rowhani, imperniata sulla necessità di generare una riconciliazione nazionale dopo gli anni di tensione e laceranti divisioni interne della seconda presidenza Ahmadinejad.
Il sollievo generale che ha fatto seguito alla stesura degli accordi preliminari di Ginevra sul nucleare ha così amplificato il "Yes, We Can" che risuona, anche se non cantato con le ormai celeberrime parole inglesi, nel filmato preparato da Dehbashi. Quest'ultimo fu probabilmente ispirato dal suo soggiorno negli Stati Uniti, che finì bruscamente nel 2010, quando fu espulso dopo esser stato accusato d'aver contraffatto alcuni documenti per la propria residenza.
Dehbashi è considerato vicino a quello stuolo di funzionari dei servizi di sicurezza iraniani legati a Rowhani tramite il Consiglio per la sicurezza nazionale, guidato dall'attuale presidente tra il 1989 e il 2005, e ora al governo con lui. Dalle loro osservazioni sull'evoluzione della società iraniana e dalla necessità di reagire efficacemente alla sua emotività e alla sua crescente modernità è scaturito il cambio di marcia dalle adunate di piazza di Ahmadinejad degli anni scorsi ai messaggi tecno-patriottici di oggi, per sostenere così un presidente che ha ridato pur fragilmente e preliminarmente, ottimismo e speranza a un paese che ne era privo da diverso tempo.

(Europa, 27 novembre 2013)


Addio a Arik Einstein

Arik Einstein canta "Sa Leat"
Arik Einstein, una delle figure più importanti del panorama musicale israeliano, è morto questa mattina all'età di 77 anni dopo essere stato colpito da un aneurisma aortico: secondo quanto riferito dai primi lanci d'agenzia, l'artista si sarebbe sentito male nella sua abitazione di Tel Aviv. Immediatamente portato al vicino ospedale Sourasky Medical Center, il cantante è stato dichiarato morto dai medici poco dopo l'arrivo nella struttura.
Titolare di oltre quaranta album da studio nel corso della sua carriera, noto anche per aver preso parte alle riprese di film e produzioni televisive, Einstein ha collaborato con alcuni dei personaggi più noti del paese come Shalom Hanoch, Miki Gabrielov e Yoni Rechter, consegnando agli annali successi come "Ani veata", "Uf gozal" e "Sa leat". Ritiratosi dalle scene nel 1980 dopo essere rimasto vittima di un grave incidente stradale, la voce era rimasta sporadicamente attiva fino al 2011, quando aveva diffuso un brano inedito in occasione del rilascio di Gilad Shalit, soldato dell'esercito israeliano rimasto ostaggio di Hamas dal 2006.
"Arik è stato il più grande", lo ha ricordato il primo ministro Benjamin Netanyahu: "Siamo tutti cresciuti con le sue canzoni. Lui era Israele. Era un ottimo cantante e una splendida persona. Oggi piangiamo la scomparsa di un gigante". "Le sue canzoni sono state la colonna sonora di un paese", gli ha fatto eco il presidente Shimon Peres.

(rockol.it, 27 novembre 2013)


Netanyahu e Letta domenica alla Sinagoga di Roma

Accensione della Candela Hannukkà

GERUSALEMME, 27 nov - Il presidente del Consiglio, Enrico Letta, visiterà nel tardo pomeriggio di domenica primo dicembre con il premier israeliano Benyamin Netanyahu il Tempio Maggiore di Roma per la cerimonia d'accensione delle candele della festività ebraica di Hannukka'. Lo riferisce il sito della Comunità ebraica romana 'Roma ebraica'.
L'appuntamento è a margine della missione di Netanyahu in Italia che sfocerà nel summit bilaterale italo-israeliano in agenda per il 2 dicembre.
Letta e Netanyahu saranno ricevuti dal rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e dal presidente della Comunità Ebraica romana Riccardo Pacifici. "L'occasione sarà lieta - aggiunge il sito - per ascoltare i discorsi delle due autorità presenti".

(ANSAmed, 27 novembre 2013)


Le confessioni del produttore di Pretty Woman: "Io, spia per Israele"

Arnon Milchan ammette in Tv: «Lo ammetto, ero nel Mossad. Non mi pento, l'ho fatto per il Paese»

di Piero Negri

  
Arnon Milchan
Sergio Leone, che era un gran raccontatore, e che non permetteva quasi mai alla realtà di interferire con le belle storie, diceva di avere incontrato per caso Arnon Milchan, il produttore israeliano che gli permise di realizzare il film della sua vita, «C'era una volta in America», sulla terrazza di un hotel di Cannes, nei giorni del festival del 1980. «Ci veniva ogni anno, nella speranza di incontrarmi», aggiungeva poi.
  Ma Milchan, 68 anni, produttore di 120 film, quarto uomo più ricco di Israele (secondo «Forbes» vale 4,2 miliardi di dollari), ex studente della London School of Economics, ex calciatore ed ex scienziato, amante delle scommesse forti, delle auto veloci e della bella vita («Solo la storia delle auto non è vera», ci tiene a precisare), non ha alcun bisogno di essere romanzato. Soprattutto ora che ha detto pubblicamente, dopo infinite chiacchiere, insinuazioni e leggende metropolitane, di essere stato «per anni» un agente segreto israeliano.
   Nel 2011, i giornalisti Meir Doron e Joseph Gelman avevano pubblicato il libro « Confindential» (sottotitolo: Vita di Arnon Milchan, l'agente segreto che si è trasformato in un tycoon di Hollywood), ma mai, finora, Milchan aveva ammesso di aver lavorato per il Mossad. Lunedì sera, nella trasmissione «Uvda» del secondo canale israeliano, l'ha fatto. «Potete immaginare cosa significa quando hai poco più di vent'anni e il tuo Paese ti chiede di essere James Bond? Wow! Azione vera! È stato bellissimo», ha detto.
   Politicamente vicino a Shimon Peres, il giovane Milchan tra gli Anni 60 e 70 fa affari negli Stati Uniti con l'azienda di fertilizzanti di famiglia e contribuisce allo sviluppo del misterioso rettore nucleare di Dimona con l'agenzia segreta Lakam (Ufficio delle relazioni scientifiche). Negli Anni 70 acquista per Israele elicotteri, missili e altri armamenti per milioni di dollari, e - ha garantito in tv - non trattiene per sé neppure un centesimo delle provvigioni. Arriva a guidare 30 società in 17 Paesi del mondo, e intorno alla metà degli Anni Ottanta, proprio quando finalmente esce «C'era una volta in America», che è tuttora il suo film prediletto, viene coinvolto in un traffico di interruttori per ordigni nucleari passati illegalmente in Israele. Il caso scoppia nel 1985, quando un'azienda di Milchan, la Milco, viene scoperta a trafficare in queste valvole a gas che possono innescare bombe atomiche, e il suo presidente (Richard Kelly Smith) fugge in Spagna, dove sarà arrestato solo nel 2001.
   Nel 1986 negli Usa viene fermata la spia israeliana Jonathan Pollard e in Israele sciolta l'agenzia Lakam, ma niente sembra poter rallentare l'ascesa di Milchan, almeno per quanto riguarda il cinema. Dopo il film di Leone, un successo in tutto il mondo ma non in America, dove la Warner Bros lo distribuisce in una versione tagliata e rimontata da cui Leone non si riavrà più (morirà cinque anni dopo per un attacco di cuore) e che per Milchan è una ferita ancora aperta, inanella uno dopo l'altro «Brazil», «La guerra dei Roses», «Pretty Woman», «Nei panni di una bionda», «JFK - Un caso ancora aperto», «Un giorno di ordinaria follia», la serie di «Free Willy», «Sei gradi di separazione», «Il cliente», «Natural Born Killers», «Heat», «L.A. Confidential», «L'avvocato del diavolo», «Fight Club», solo per fermarsi al 2000.
   «Sapete - ha raccontato Milchan l'altra sera in tv - alla gente di Hollywood non piace l'idea di avere a che fare con un mercante d'armi, per cui a ogni incontro dovevo sprecare mezz'ora per spiegare che non era quello il mio vero lavoro. Se solo avessero saputo quante volte ho rischiato la vita... Avrei dovuto dire, semplicemente: pensate quello che volete, lo faccio per il mio Paese e sono fiero di quello che faccio».
   Tra le rivelazioni più sorprendenti di Milchan c'è anche quella che il regista Sydney Pollack (ha firmato, tra i tanti, «Tootsie» e «La mia Africa»), morto nel 2008, era suo socio in più d'una società: «Sapeva tutto - ha spiegato - e di volta in volta doveva decidere se ci stava oppure no. Ha detto molti no, ma anche molti sì».
   Milchan ha poi ammesso di avere anche usato una star del cinema, di cui non ha fatto il nome, per convincere lo scienziato americano Arthur Biehl a lavorare per lui: «L'ho invitato a casa di questo grande attore dicendogli che aveva bisogno di una consulenza per il suo prossimo film. Non c'è nessuno in California che possa resistere al fascino di una star di Hollywood».
   Sa bene di cosa parla, la passione per il cinema l'ha provata sulla sua pelle: «Se lo fai per i soldi - ha detto - hai sbagliato mestiere». L'ha provata, certamente, a quel festival di Cannes di tanti anni fa: «Ho visto Leone sulla terrazza del Carlton, mi sono avvicinato e mi sono presentato. "È un onore per me incontrarla", gli ho detto, e gli ho chiesto: "A cosa sta lavorando?". E lui ha cominciato a raccontarmi il suo film, che definì una saga americana, scena per scena, battuta per battuta, dettaglio per dettaglio, spiegando ogni movimento di camera. Dopo quattro ore di questo racconto, il sole era già sceso dietro il mare, mi ha chiesto solo: "Sarebbe disposto a mettere i soldi per fare questo film?" Gli ho risposto solo: sì, quanto serve? "Ventidue milioni di dollari". Era tutto ciò che avevo ma non ho esitato un istante, su "C'era una volta in America" ho scommesso tutta la mia vita».

(La Stampa, 27 novembre 2013)


Palermo: dopo 500 anni torna festa ebraica di Chanukka

''Abbiamo voluto accogliere quest'iniziativa - dice il rettore dell'Ateneo di Palermo, Roberto Lagalla - per ricordare gli ebrei siciliani che furono uccisi o costretti a fuggire e, con loro, tutte le vittime di una spaventosa macchina di malagiustizia, che stritolò migliaia di innocenti. Il carcere dell'Inquisizione, con le sue testimonianze arrivate a noi attraverso i secoli, è un monumento universale contro l'intolleranza''. Da domani al 4, quindi, ogni giorno alle 17 (con l'eccezione di venerdì 29, quando la cerimonia avverrà alle 16.15, e di sabato 30, quando avverrà alle 17.45) la comunità ebraica palermitana ripeterà la cerimonia di accensione delle luci. Durante la settimana ci saranno due occasioni speciali. Giovedì prossimo alle 17 la cerimonia avverrà alla presenza del rabbino capo di Napoli Shalom Bahbout e del rettore e sarà accompagnata da musiche sefardite, mentre mercoledì 4 dicembre alle 16.30 allo Steri è in programma un incontro pubblico sugli ebrei in Sicilia.

(Adnkronos, 26 novembre 2013)


Tutti pazzi per il 'Thanksgivukkah', doppia festa degli ebrei americani

WASHINGTON - Tutti pazzi per "Thanksgivukkah". Fra gli ebrei americani è scoppiata una vera e propria febbre in vista di giovedì, 28 novembre, quando si festeggerà sia la tradizionale festa americana di Thanksgiving che l'inizio di Hanukkah, la festa ebraica delle luci. A rendere più straordinaria la coincidenza è la sua rarità: era già accaduto nel 1888 ma la prossima volta, secondo i calcoli del fisico ebreo americano Jonathan Mizrhai, accadrà fra 77mila anni. Le cucine delle case sono già sottosopra per preparare un menù degno dell'occasione mischiando le due tradizioni: tacchini con un ripieno di challah (il pane ebraico dello shabbat), latkes (frittelle di patate della tradizione ebraica) con la salsa di mirtilli di thanksgiving e mille altre ricette ibride che stanno inondando il web. Non mancano naturalmente i gadget: il più gettonato è la la menurkey, un candelabro ebraico (menorah) a forma di tacchino. Ideato da un bambino di nove anni, Asher Weintraub, è stato poi commercializzato dai genitori e viene venduto a 50 dollari su ModernTribe.com, un sito web di oggetti ebraici. Vanno forte anche le magliette con la scritta "life, liberty and latkes", in riferimento al diritto alla vita, la libertà e il perseguimento della felicità garantiti dalla costituzione americana, così come la riproduzione del classico quadro "American Gothic" di Grant Wood, dove al posto del contadino americano col forcone e la giovane moglie si vede una coppia di ebrei ortodossi.

(Adnkronos/Ign, 26 novembre 2013)


Ebrei: “Il sentimento e la regola”, convegno dell'Associazione Hans Jonas

ROMA - In occasione del quarantesimo anniversario dalla morte di David Ben Gurion, primo presidente del Consiglio dello Stato d'Israele, l'Associazione di cultura ebraica Hans Jonas, insieme al centro ebraico italiano "Il Pitigliani", promuove il convegno internazionale "Il sentimento e la regola. Percorsi dell'identità a quaranta anni dalla morte di Ben Gurion". L'iniziativa si svolgerà a Roma domenica 8 dicembre (dalle 10 alle 17) presso "Il Pitigliani", in via Arco de' Tolomei.
All'incontro parteciperanno Naor Gilon, ambasciatore d'Israele in Italia, Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, Renzo Gattegna presidente Unione comunità ebraiche italiane, Ugo Limentani, presidente Centro culturale ebraico "Pitigliani". L'apertura è affidata a Eliezer Ben Rafael con la relazione "Israele 1958: le risposte dei 'Saggi d'Israele'. Sul tema cittadini, cittadinanza e identità parleranno, invece, David Bidussa, Benedetto Carucci, Ernesto Galli Della Loggia, con il coordinamento di Tobia Zevi. Nel pomeriggio si discute su "Italia 2013: gli sviluppi di un'indagine sui giovani ebrei italiani", curata da Valeria Milano. Intervengono Roberto Della Rocca, Luigi Manconi, Mario Toscano, mentre coordina e conclude Saul Meghnagi.
A partire dal 6 dicembre sarà scaricabile gratuitamente (www.proedieditore.it) l'ebook del libro "Cosa significa essere ebreo", curato da Eliezer Ben Rafael ("Qu'est-ce qu'être Juif ? Cinquante sages répondent à Ben Gourion", 2001), fatto tradurre dall'Associazione Hans Jonas e contenente le cinquanta lettere (inedite in italiano) inviate a Ben Gurion dai cinquanta "Saggi d'Israele" da lui interpellati.

(Adnkronos, 26 novembre 2013)


Apple acquista Primesense e la tecnologia 3d di Kinect

Apple ha fatto il grande passo procedendo all'acquisto del gruppo israeliano proprietario della tecnologia Kinect

Cupertino non ha perso tempo: PrimeSense, l'azienda che ha ideato e sviluppato il core che costituisce il sistema di Kinect, ovvero il sensore che consente di comandare la Xbox con gesti e voce, è stata acquisita dagli eredi di Steve Jobs. Come confermano le voci di corridoio alla fine gli israeliani hanno ceduto all'offerta di Apple. Primesense, dunque adesso passa dunque sotto l'ala protettiva di Cupertino, che punta ad integrare i prodotti realizzati dall'azienda israeliana con i suoi iphone. Come è noto dopo aver contribuito al al successo della console di casa Microsoft, PrimeSense potrebbe garantire una svolta per i prodotti della mela. Secondo gli esperti, infatti, Apple potrebbe integrare al piu presto i sensori che interpretano il movimento delle mani e la voce, all'interno di Mac e iPhone e, quindi, realizzare una nuova Apple TV, un centro multimediale da comandare con voce e gesti. Vedremo d si muoveranno a Cupertino: di certo l'azienda che fu di Bill Gates ha monitorato per molti anni la società israeliana, e se si è arrivato ad un acquisto vero e proprio c'è da attendersi grandi cose in futuro.
La notizia avrà messo in apprensione la concorrenza che adesso deve mettersi a lavoro per trovare un nuovo partner commerciale capace di sfornare prodotti tecnologici all'altezza di Primesense. Lo scotto da pagare, in alternativa, sarebbe rimanere fuori dal prezioso mercato.

(Meteo Magazine, 26 novembre 2013)


Ferrara - Alla ricerca di un sogno: il giardino dei Finzi Contini

Il grande scultore israeliano Dani Karavan ha visitato ieri molti luoghi caratteristici della città. «Sono qui in cerca di ispirazione per gettare le basi al progetto monumentale»

  
Dani Karavan
FERRARA - Alla ricerca di un sogno: il giardino dei Finzi Contini. Anche il sole, insolito a Ferrara in questo periodo di fine novembre, ha voluto illuminare meglio ieri mattina i luoghi bassaniani visitati da un artista d'eccezione. Dani Karavan, israeliano, 83 anni - uno dei più grandi scultori viventi - è venuto a Ferrara per trarre l'ispirazione ad un progetto ferrarese che da tempo stava lavorando con Paolo Ravenna, probabilmente l'ultimo prima della morte dell'avvocato avvenuta lo scorso anno l'11 novembre. Ravenna, una delle figure più alte della cultura ferrarese, aveva messo in piedi un carteggio con Karavan, con l'idea di fare un monumento dedicato all'opera letteraria del giardino dei Finzi Contini e alla Ferrara di Bassani.
Proprio per onorare la memoria di Ravenna, la trattativa in questi mesi è ripresa ancor più in maniera incisiva, portata avanti dall'architetto Andrea Malacarne, referente ferrarese di Italia Nostra e dallo stesso figlio di Ravenna, Daniele, che pur vivendo a Roma è rimasto profondamente legato alla sua città e al progetto del padre. La visita di Karavan è stata accolta con entusiasmo anche da parte dell'amministrazione comunale. A riceverlo ieri mattina davanti a Palazzo Diamanti c'erano infatti l'assessore all'urbanistica Roberta Fusari, il dirigente dei servizi culturali e capi di Gabinetto Giovanni Lenzerini, la direttrice delle gallerie civiche d'arte moderna Maria Luisa Pacelli e l'architetto Natascia Frasson per i beni monumentali. Karavan era accompagnato dalla figlia, da Daniele Ravenna e Andrea Malacarne.
Puntualissimo alle 9.30 davanti al portone di Palazzo Diamanti, lo scultore ha visionato una serie di spazi caratteristici, inseriti negli appunti di Paolo Ravenna, per identificare un luogo dove collocare il monumento bassaniano.
«Sono qui per trovare spunti sui luoghi bassaniani - afferma con un buon italiano - il giardino dei Finzi Contini era un luogo immaginario, ben presente nella mente di Bassani, non mi interessa trovare uno spazio materiale predefinito, ma qualcosa che si ricolleghi al sogno, alla visione del grande scrittore, si tratta di trovare un vuoto da riempire ed è un problema che devo cercare di risolvere. Questo progetto di un monumento ha attirato la mia curiosità, me ne ha tanto parlato Ravenna. Eccomi qua a vedere cosa si può fare. Al momento sono solo in cerca di ispirazione, ancora non c'è nulla».
Ed ecco le opzioni presentate da Malacarne sottoposte all'attenzione di Karavan. Si è partiti dal giardino interno di Palazzo Diamanti, dove c'è la passerella esterna che collega il percorso espositivo e poi si è proseguito per il vicino palazzo Prosperi, struttura ancora in fase di ristrutturazione. All'interno c'è un bello spazio verde, nonostante il degrado dovuta alla prolungata inattività e Karavan ha fatto molte domande sul giardino esterno, quello che è di proprietà della Provincia. Non è mancata una puntata al parco Massari, che ha destato interesse anche se la zona è molta frequentata. Con un passo da mezzofondista Karavan ha percorso a piedi poi tutta Ercole d'Este fino allo spiazzo del "Tiro a segno" davanti alla Porta degli Angeli. Ha voluto guardare dalla Mura settentrionali anche il parco urbano, l'addizione verde intitolata proprio a Bassani. Nel percorso era inserito anche un giardino interno in via Palestro, ma l'artista ha scartato l'ipotesi. Una full immersion durata una mattina e Ferrara si è confermata stupenda per ispirare l'arte.
In chiusura della sua visita a Ferrara lo scultore si è recato a rendere omaggio alle tombe di Paolo Ravenna e Giorgio Bassani,

Video - Un giorno bellissimo
Video - La visita al cimitero ebraico

(la Nuova Ferrara, 26 novembre 2013)


Iran nucleare. Zarif conferma i colloqui segreti con Washington

ROMA - Il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, ha confermato lo svolgimento di colloqui segreti con gli Stati Uniti, avvenuti prima dell'accordo sul nucleare siglato domenica a Ginevra.
Zarif, che ha guidato la delegazione iraniana in Svizzera nelle trattative con i Paesi del Gruppo 5+1, non ha fornito dettagli sui colloqui segreti, ne' sulla data in cui sono iniziati.
"Nei colloqui bilaterali erano presenti diversi Paesi, tra cui anche gli Stati Uniti", ha spiegato Zarif nel corso di una conferenza stampa convocata a Teheran.
"Abbiamo detto chiaramente che l'Iran non aveva problemi a parlare con tutte le controparti per trovare la soluzione alla questione nucleare", ha aggiunto il capo della diplomazia di Teheran.
Poco dopo la firma dell'accordo di Ginevra, un diplomatico statunitense aveva rivelato che gli Stati Uniti avevano avuto "colloqui con l'Iran fin dall'elezione del presidente Hassan Rohani", colloqui volti a "rafforzare il negoziato con i Paesi del Gruppo 5+1?.
Zarif ha confermato che si e' trattato di colloqui "circoscritti alla questione nucleare" e che "non hanno portato a un sostanziale avvicinamento" nei rapporti tra i due Paesi.
Le relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Iran sono ufficialmente interrotte dal 1979, anche se il recente contatto telefonico tra Barack Obama e Hassan Rohani ha portato ad un miglioramento nei rapporti tra Washington e Teheran.

(ASCA, 26 novembre 2013)


Il premier israeliano si sente tradito: troppi segreti negli accordi con Teheran

di Fiamma Nirenstein

È stato dall'Air Force One, andando a Seattle, uno dei più spettacolari bastioni del potere americano, che Obama ieri ha chiamato Bibi Netanyahu a Gerusalemme. Non è stata una conversazione semplice, ma l'indispensabile incontro di una coppia che non può, almeno non può ancora, vivere separata. Israele e gli USA solo qualche mese facevano mostra di un'alleanza sostanziale, fatta di valori, di ricordi, di canzoni, di film, di pacche sulle spalle fra i due leader senza giacca. Che l'Iran fosse il peggiore di tutti i nemici era credo comune, che forse si sarebbe dovuto usare i jet contro le centrifughe, una formula ripetuta da ambedue. Era inteso un Paese che odia gli ebrei e ne minaccia l'estinzione, che vuole soggiogare il mondo e a casa sua impicca gli omosessuali e rinchiude i dissidenti non debba arricchire l'uranio.
L'America e Israele sono due Paesi di frontiera, due fortini assediati dagli indiani dove vivono i cowboy contro il terrorismo e la dittatura. Tutto questo, dopo l'accordo con l'Iran, cambia. Si apre un futuro in cui Netanyahu indosserà, come ha fatto in questi mesi, l'eroica casacca del dissidente, di commesso viaggiatore dell'accordo definitivo che dovrà essere ricontrattato fra sei mesi, in cui Bibi pretende la distruzione del programma nucleare.

(il Giornale, 26 novembre 2013)


Questi sei mesi saranno utili. Ma l'Occidente agisce da ingenuo

di Francesco Battistini

Shabtai Shavit
GERUSALEMME — Dia un parere da tecnico: questo accordo nucleare con l'Iran ha qualcosa di buono per Israele?
«Immagini un righello: non troverà un'unita di misura né militare, né politica che possa dirci adesso fin dove arriva l'accordo. Israele è un Paese abituato a conquistarsi il suo diritto d'esistere. E con un obbiettivo: far fuori tutte le strutture nucleari iraniane. Se uno viene a dirmi che l'Iran per sei mesi ferma il suo progetto atomico, beh, il conforto degli stupidi è che sono sei mesi per fare qualcosa e tenere l'Iran sotto controllo, che le centrifughe restano spente… Ma il rischio è che un accordo temporaneo diventi permanente».
In una spoglia stanza al neon poco fuori Tel Aviv, Shabtai Shavit studia da anni il terrorismo internazionale e l'Iran. Per sette, ha diretto il Mossad e gl'importa poco leggere le dichiarazioni ufficiali: «Sto studiando questo documento di Ginevra. In una visione strategica, non risolverà il problema nucleare. Ma cambierà molti equilibri».

- È vero disgelo?
«Non credo a una parola di quel che dicono gl'iraniani. In Occidente, però, rimane un mix di naìveté e di machiavellismo che rallenta certe decisioni. Alla fine, non si potrà prescindere da un obbiettivo che è lo stesso d'Israele: fermare gli ayatollah».

- Che cosa cambia nei piani militari d'Israele?
  «Niente. Perché si basano sulla prontezza di reazione e sulla sorpresa. Queste cose non vengono messe da parte perché c'è un accordo politico».

- Un primo effetto, però, sono i colloqui di pace sulla Siria.
  «Da Israele, non si sa per che cosa tifare. Se sia meglio che Assad se ne vada o resti dov'è. È come risposarsi: la prima moglie non la sopportavi più, ma almeno sapevi chi era».

- Si prepara un'alleanza con l'Arabia e le monarchie del Golfo, scornate quanto Israele dall'accordo con l'Iran? Il nemico del mio nemico diventa mio amico…
  «Non potrà mai esistere un blocco arabo alleato d'Israele. Il nemico è lo stesso, ma gl'interessi sono diversi: Israele teme l'atomica, loro l'espansionismo sciita. Forse succederanno cose utili a tutti, ma senza vere alleanze: si lavora insieme sottotraccia, mica si firmano accordi o si aprono ambasciate».

- C'è uno sconfitto assoluto di questo accordo?
  «Hamas. Ha sbagliato tutte le alleanze, dalla Siria all'Iran, e i tempi per uscirne. Oggi non ha un solo alleato nell'area. Deve stare immobile».

- L'Egitto ha avuto un percorso tortuoso, nei rapporti con l'Iran…
  «Col governo militare del Cairo, si collabora nella guerra al jihadismo del Sinai. Però non si sa mai: con la Siria, è lo scenario più imprevedibile»
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- E l'atomica israeliana? Non è l'ora di chiudere con la politica dell'ambiguità e ammettere che esiste?
  «La politica nucleare israeliana è la stessa da quarant'anni. E sarà la stessa nei prossimi quaranta».

(Corriere della Sera, 26 novembre 2013)


Israele, nuove prospettive di sviluppo per l'imprenditoria europea

Maggiore cooperazione nei settori d'industria, innovazione, spazio e turismo. Uno dei principali punti di forza di Israele consiste nella sua capacità di innovazione tecnologica, che la posiziona tra le economie a maggior crescita. Per tale motivo, Israele e l'UE hanno un forte interesse
reciproco ad accrescere le relazioni commerciali bilaterali e l'integrazione dei loro mercati per promuovere ulteriormente l'innovazione, dare impulso alla crescita sostenibile e creare posti di lavoro. Tale interesse alla cooperazione è stato ribadito in occasione della visita in Israele del vicepresidente Antonio Tajani, commissario responsabile per l'Industria e le Imprese dell'UE. In particolare sono stati identificati i settori focus sui quali fondare i futuri interventi tra UE ed Israele, quali le tecnologie spaziali, le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, il turismo e le tecnologie innovative e ambientali. La visita ha portato alla conclusione di tre lettere di intenti sulla cooperazione industriale, la cooperazione tra PMI (piccole e medie imprese) e la navigazione satellitare. Le azioni intraprese dall'UE sono volte a dare impulso alla crescita e alla competitività delle industrie europee esplorando più a fondo le potenzialità di crescita dell'economia israeliana caratterizzata da uno spiccato dinamismo.
Da ricordare come nel settembre 2012, dopo anni di negoziati e tra numerosissime critiche dal mondo politico, la commissione commercio internazionale del Parlamento Europeo abbia dato il via libera alla conclusione del protocollo di eliminazione le barriere tecniche al commercio industriale fra UE e Israele, a partire dal settore farmaceutico.
Con molta probabilità il protocollo verrà gradualmente esteso ai settori industriali di maggiore interesse, aprendo grandissime opportunità per le imprese europee. Un ulteriore supporto alle aziende offerto dalla Commissione Europea, arriverà anche dai due nuovi programmi europei di finanziamento: HORIZON 2020, per la ricerca e l'innovazione, con una dotazione finanziaria di circa 70 miliardi di euro, e COSME, interamente dedicato al mondo delle PMI e con una dotazione finanziaria di 2.3 miliardi di euro. Questi programmi accompagneranno le imprese nel rilancio dell'economia europea. (ICE TEL AVIV)

(Tribuna Economica, 26 novembre 2013)


Maxi- esercitazione aerea di Israele con Usa, Italia e Grecia

Ha preso il via la scorsa notte nella base aerea di Uvda, nel Neghev, "Blue Flag", la più grande esercitazione multinazionale di aerei da combattimento mai ospitata da Israele, con la partecipazione di Stati Uniti, Italia e Grecia. All'evento - che durerà fino a giovedì - doveva prendere parte anche la aviazione militare della Polonia, che ha però dovuto rinunciare per motivi economici. Blue Flag è stata pianificata da oltre un anno e, secondo quanto ha precisato un responsabile della difesa israeliano, non ha l'intento di simulare alcuno scenario geopolitico mediorientale. Alle grandi manovre partecipano un sessantina di aerei da combattimento fra cui F-15, F-16, Tornado, Amx e B-152.

(L'Unione Sarda, 25 novembre 2013)


Rav Di Segni: "Oggi l'antisemitismo parla la lingua del Diritto"

   
Riccardo Di Segni
ROMA, 25 nov. - Stamattina il rettore de La Sapienza, Luigi Frati, e il direttore dell'Isgap, Charles Small, hanno presentato l'accordo di collaborazione scientifica e culturale tra i due istituti. Si tratta del primo programma internazionale realizzato a livello universitario sui temi dell'antisemitismo e delle molteplici scienze collegate alle vicende dell'ebraismo, di cui La Sapienza è il primo ateneo a farne parte.
L'evento è stato accompagnato da una tavola rotonda dal titolo "L'antisemitismo nella prospettiva comparata" a cui hanno partecipato, oltre a Chalers Small, Marina Caffiero, coordinatore del dottorato di ricerca in storia, antropologia e religioni della Sapienza, Riccardo Di Segni, Rabbino Capo di Roma, Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale.
E' stato l'intervento di Rav Di Segni a indicare i linguaggi dell'antisemitismo e con quale forma si presenta oggi. Il ragionamento del Rabbino Capo è partito da lontano, concentrandosi sul caso italiano che è particolarissimo in riferimento alla tematica dibattuta. "Uno degli aspetti fondamentali dell'antisemitismo è il massacro. Ma in Italia si è verificato poco - spiega Di Segni - c'è stato ma in misura minore. Bisogna arrivare a metà del Quattrocento per citare i primi esempi. In Italia, dunque, la vita è stata meno minacciata ma di sicuro perennemente umiliata. Non a caso è qui che nasce il ghetto. In Italia le persecuzioni sono state effettuate sotto le limitazioni giuridiche. Bisogna arrivare alla Shoah per trovare una 'vera' strage di ebrei italiani". Certo, lungo la storia, si sono verificate espulsioni. Il Sud della Penisola rigettò gli ebrei "e se il Sud oggi ha un certo tipo di destino - dice Di Segni - è anche a causa della mancanza di ebrei. A questi elementi di limitazioni" fisiche o giuridiche "va aggiunto l'aspetto dell'oppressione della cultura ebraica". Un esempio per tutti: il rogo dei libri e testi sacri a iniziare dal Talmud.
Negli interventi precedenti a quelli del Rabbino Capo si era dibattuto su come l'antisemitismo colpisca anche i non ebrei. "Ma in che modo - si chiede il Rabbino Capo - l'antisemitismo colpisce gli ebrei? Ci sono due motivi: intanto l'ebreo deve sopportarne le conseguenze; poi l'antisemitismo genera un cambio di identità nell'ebreo, tanto che molti riscoprono la propria identità solo in occasioni di autodifesa contro l'antisemitismo stesso". Cos'è e come si manifesta, dunque, questo fenomeno? Per il Rabbino Capo l'antisemitismo è una bestia antica che si veste di volta in volta con abiti differenti. Oggi può essere identificabile con il negazionismo, la comicità che rispolvera stereotipi negativi, si manifesta sugli striscioni negli stadi e sui muri nelle strade, è infine iniettato attraverso la propaganda antisionista "che mira a criticare Israele ma nasconde sempre altro, confondendo i piani politico e religioso". "Rav Sacks - conclude Di Segni - ha detto che l'antisemitismo si appropria di concetti predominanti e condivisi nella società. Oggi l'antisemitismo parla la lingua dei diritti e colpisce al cuore l'identità ebraica e i suoi riti". Ne sono un chiaro esempio le battaglie in sedi istituzionali europee contro la macellazione rituale e la circoncisione.t per sette anni ha diretto il Mossad e dell'accordo sul nucleare con l'Iran non si fida: "Non credo a una parola di quel che dicono gl'iraniani. In Occidente, però, rimane un mix di naìveté e di machiavellismo che rallenta certe decisioni. Alla fine, non si potrà prescindere da un obbiettivo che è lo stesso d'Israele: fermare gli ayatollah".

(Comunità Ebraica di Roma, 25 novembre 2013)


Israele potrebbe legalizzare la pirateria informatica

La riflessione su come affrontare il problema della pirateria informatica riguarda un numero sempre più ampio di paesi e non solo in Nord America o in Europa. Anche Israele, per esempio, si domanda come affrontare la questione.

Adesso, un disegno di legge potrebbe legalizzare lo scaricamento di file protetti da copyright dalla rete. In cambio, gli utenti dovrebbero pagare una una tassa sui prodotti high-tech.
Nella Knesset, il parlamento israeliano, potrebbe essere messo presto in discussione un disegno di legge a favore della legalizzazione dello scaricamento di file (in particolare musica e film) da Internet.
Naturalmente, nella legalizzazione sarebbe contemplato solo l'uso privato.
Il disegno di legge si deve all'iniziativa di Meir Chetrit del partito Hatnuah, un influente uomo politico che ha già ricoperto numerosi incarichi ministeriali, tra cui quello Giustizia e delle Finanze.
Il provvedimento potrebbe aprire la strada a leggi simili Negli Stati Uniti e in Europa? Lo scopriremo presto…

(Gizmondo, 25 novembre 2013)


Ricordato lo sterminio degli ebrei goriziani

Organizzata dall'associazione Amici di Israele si è svolta la commemorazione della deportazione della comunità ebraica di Gorizia. Sono passati 70 anni dalla notte del 23 novembre 1943, quando una squadra delle SS caricò su un camion tutti gli ebrei che riuscì a trovare nell'ex-ghetto di via Ascoli e trasferirli momentaneamente nelle carceri di via Barzellini, e nei giorni seguenti deportarli nel campo di concentramento di Auschwitz. Tornarono soltanto in pochi e una comunità ebraica non riuscì più a ristabilirsi nella nostra città, determinando una grave perdita del tessuto sociale, culturale ed economico. Alla lettura dei nomi delle persone deportate nei rastrellamenti avvenuti in quei giorni, è seguita la deposizione della corona ai piedi della lapide, affissa nella corte della sinagoga, con un minuto di teso e commosso silenzio. Si è poi svolta nella sala Europa dell'istituto Galilei un incontro rivolto agli studenti organizzato dalla Provincia in collaborazione con le associazioni 47/04 e Amici di Israele. La storica Silva Bon ha spiegato agli studenti le motivazioni e le tappe storiche che hanno portato anche in Italia ad attuare la politica di sterminio nazista: dalla promulgazione delle Leggi razziali del 1938, annunciate 75 anni fa proprio a Trieste, all'istituzione della Risiera di San Sabba, unico campo di concentramento e sterminio in Italia. L'incontro è stato propedeutico al progetto Memobus che, per il 10o anno, porterà circa 80 studenti della classi superiori, dopo un percorso formativo, in viaggio/visita ad Auschwitz-Birkenau. Gli eventi, organizzati da Amici di Israele, per la commemorazione del 70o anniversario della deportazione della comunità ebraica di Gorizia, si concluderanno giovedì con il racconto scritto e musicato da Enrico Fink "Akkiaia. Benzion a Gorizia" in sinagoga alle 20.30.

(Il Piccolo, 25 novembre 2013)


Sondaggio: per 76% degli israeliani Teheran non rispetterà gli accordi

ROMA, 25 nov - Il 76% degli israeliani crede che l'Iran "non fermera' il proprio programma nucleare" malgrado l'accordo temporaneo raggiunto domenica a Ginevra con i Paesi del Gruppo 5+1 (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Russia, Cina e Germania).
E' il risultato di un sondaggio pubblicato oggi dal quotidiano israeliano 'Israel Hayom'.
Solo il 12,6% degli intervistati e' convinto che Teheran "rispettera' i termini dell'intesa sul nucleare" mentre il 57,8% del campione ritiene che gli Stati Uniti, firmando l'accordo a Ginevra con l'Iran, "abbiano leso l'interesse nazionale di Israele".
Quanto a un eventuale attacco militare israeliano ai siti nucleari iraniani, le opinioni degli intervistati restano divise: il 45,8% e' favorevole mentre il 37,9% e' contrario.
Il sondaggio del quotidiano Israel Hayom e' stato effettuato su un campione di 1000 persone (che non comprende arabi israeliani) con un margine di errore del 4,4%.

(ASCA, 25 novembre 2013)


Netanyahu: ''L’accordo di Ginevra è un errore storico''

Video
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha definito l'accordo sul programma nucleare iraniano raggiunto a Ginevra nella notte un "errore storico". L'accordo "rende il mondo un posto molto più pericoloso, perchè ora il regime più pericoloso del mondo potrà fare passi significativi per acquisire l'arma più pericolosa", ha affermato in una riunione del suo governo. "Israele non è tenuta a rispettare questo accordo, ha il diritto di proteggersi di fronte a minacce di qualsiasi tipo", ha aggiunto sottolineando che "Israele non consentirà all'Iran di sviluppare capacità nucleari militari".

(la Repubblica, 24 novembre 2013)


Forse non è un errore, ma un passo avanti nel compimento di un progetto nel nome della “pace”, termine che in certe bocche agli israeliani può far venire i brividi.


Putin: l'accordo sul nucleare è un primo passo di un lungo processo

ROMA, 25 nov - L'accordo raggiunto ieri a Ginevra sul programma nucleare iraniano e' ''un passo in avanti, ma solo il primo di un lungo processo''. Lo ha dichiarato il presidente russo, Vladimir Putin, esprimendo la sua ''soddisfazione'' per l'intesa. ''E' stato fatto un importante passo in avanti, ma solo il primo di un lungo e difficile cammino'', ha aggiunto il capo del Cremlino. ''Come risultato dei negoziati, siamo riusciti ad avvicinarci alla soluzione di uno dei nodi piu' difficili della politica internazionale'', ha concluso Vladimir Putin.

(ASCA, 25 novembre 2013)


Per Putin dunque l'intesa non è un errore, e dal suo punto di vista ha ragione. E per Obama? Beh, forse sul piano personale anche per lui non è un errore. Qualcuno ha scritto: "Per Obama, la cui credibilità internazionale è inciampata prima nello scandalo del datagate e poi sulla armi chimiche in Siria, riuscire a siglare un accordo con l'Iran sul nucleare rappresenterebbe il più importante risultato in politica estera del suo secondo mandato." Certo, lo Stato ebraico potrebbe riceverne un danno mortale, ma dai potenti della terra le decisioni che danneggiano gli ebrei non sono mai state considerate un errore”. Fino a che non sono state messe in pratica. M.C.


Israele progetta una enorme centrale solare nel deserto del Neghev

 
Impianto solare concentrato
Forse non tutti lo sanno, ma Israele è stato uno dei pionieri dell'energia solare. Già 30 anni fa l'azienda Luz, oggi divenuta BrightSource e passata in mano ad investitori statunitensi, aveva intravisto in questi territori assolati un'enorme potenziale per il settore delle rinnovabili.
Nei primi mesi del 2014, Israele sarà protagonista di un importante evento che gli consentirà di raggiungere i primi posti tra le centrali solari più grandi del mondo. Presso Ashalim, nel deserto del Neghev, a sud della città di Be'er Sheva, inizieranno i lavori per la costruzione di una centrale solare da 121 MegaWatt.
Il termine è previsto per il 2016 ed allora Israele potrà vantare una centrale solare capace di garantire l'elettricità a 40.000 abitazioni.
Il progetto è stato avviato dalla società Megalim Solar Power costituita dalla partnership fra Alstom (un'azienda di trasporti) e BrightSource Energy.
Per Brightsource non è la prima volta che si cimenta in opere di tale portata: infatti è attualmente impegnata nella realizzazione di una centrale solare da 377 Megawatt nel deserto del Mojave in California.
L'impianto è solo uno dei tre progetti portati avanti presso Ashalim. Alla fine l'intero sito sarà in grado di generare 250 MW di energia elettrica sufficiente a coprire il 2,5 % del fabbisogno energetico di Israele.
Quando tutti e tre i progetti saranno terminati, Ashalim diventerà la quinta centrale solare del mondo.
La tecnologia della centrale sfrutta un sistema di specchi che raccolgono i raggi e li convogliano su una torre solare, la quale a sua volta genera vapore che va ad alimentare le turbine. Il progetto darà lavoro a 400 persone, di cui 300 saranno ingegneri e operai di Gerusalemme che per la prima volta avranno l'opportunità di far parte di un team innovativo senza essere costretti ad allontanarsi dalla loro terra.
L'impianto costerà 1,1 miliardi di dollari ma metterà Israele in una situazione di assoluta evidenza nel settore dell'energia solare, mostrando l'intenzione del paese di divenire uno dei leader dell'economia verde e pulita.

(TuttoGreen, 25 novembre 2013)


Oltremare - Il verde
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

La strada verso nord, se percorsa in autobus di linea, è tutta verde sia fuori che dentro. Sfilano chilometri di palme e bouganville sempre in fiore arrampicate su ogni spalletta e ponte e muretto, erba corta ai bordi dell'autostrada, palazzi nuovi e gru al lavoro; si indovina il mare là a sinistra, e per qualche istante lo si vede, mischiato al cielo incerto della mattina.
Verde è l'autobus, il classico Egged non proprio fiammante, con autista burbero e spiccio che se però deve aiutarti a scendere alla fermata giusta è capace di telefonare alla centrale o al cugino della sorella che vive proprio nella zona che attraversiamo. Una benedizione, la totale mancanza di codice nei comportamenti: per definizione, tira fuori il meglio dalle persone.
Verdi i compagni di viaggio, quasi tutti soldati in trasferimento da casa a base o da base a base. Assonnati e rassegnati ad un altro viaggio, ad una prima occhiata paiono tutti uguali, ma a guardare bene gli scarponi o i mezzi stivali hanno colori diversi, il cappello appuntato alla spallina sinistra è arancione, rosso scarlatto, verde in varie tonalità, e naturalmente le mostrine dovrebbero essere l'indicazione principale di appartenenza ad un corpo o ad un altro. Non per gli analfabeti come me però. A me rimane una vaga memoria di una tabella in bianco e nero con i disegni delle mostrine, studiata senza grande trasporto all'ulpan (e i quasi sei anni di distanza da allora si sentono).
Dicono i genitori dei soldati ventenni di oggi, che ai loro tempi ce n'erano molti di più di soldati sugli autobus. Erano molte meno le famiglie che potevano permettersi una macchina e con essa anche il tempo per fare da tassisti ai figli militari. Oggi tutti hanno la macchina e molti lavorano con una flessibilità di orari e di luoghi che vent'anni fa era impensabile.
Israele vista dall'autostrada, il bianco delle case, il verde di tutto il resto.

(Notiziario Ucei, 25 novembre 2013)


L'esercito simula l'ingresso a Gaza City

TEL AVIV - Ingenti reparti militari israeliani sono confluiti presso la città di Ashqelon (120'000 abitanti, a sud di Tel Aviv) per partecipare a tre giorni di esercitazioni che simuleranno l'ingresso in forze a Gaza City. Lo ha riferito Radio Gerusalemme secondo cui alle manovra, piuttosto insolita, prenderanno parte anche l'aviazione e la marina.
Fra gli scenari che saranno simulati, anche combattimenti a distanza ravvicinata in aree sotterranee simili a quelle adibite a bunker dal braccio armato di Hamas, Brigate Ezzedin al-Qassam.
"I militari dovranno far fronte a scenari molto impegnativi", ha detto all'emittente un alto ufficiale, secondo cui l'esercitazione era prevista da tempo e non è dunque da collegarsi ad alcun sviluppo recente.

(TicinOnline.ch, 24 novembre 2013)


Dal rigattiere di parole: Scalogno e scalogna

di Paolo Stefanato

 
Quella specie di "cipolla gentile" (Panzini), "più piccola e men forte della comune" (Rigutini-Fanfani) è stata riportata dai dizionari più antichi prevalentemente al maschile, Scalogno, che oggi è infatti la parola usata per indicare l'"erba simile alla cipolla con bulbi a spicchi aggregati rivestiti da tuniche intere, ovati e oblunghi" (Treccani).
L'origine del suo nome è Ascalona, antico porto del Mediterraneo, situato nella parte meridionale dell'odierna Israele, poco a Nord di Gaza; da qui venne quella che i latini chiamarono "caepa escalonia" o anche "allium escalonium", sinonimi che fanno ben intendere come lo scalogno stia a mezza via, per forma e per sapore, tra la cipolla e l'aglio. Nell'Ottocento alla voce Scalogno il Panlessico rinvia al nome Ascalonia; ma è l'unico.
Almeno due dizionari (il Cardinali-Borrelli e il D'Alberti di Villanuova) indicano lo Scalogno come "una specie d'agrume"; ma all'epoca Agrume era anche (citiamo il CB) il "nome generico d'alcuni ortaggi, che hanno sapor forte, o acuto, come cipolle, agli, porri e simili. Fortume. Per metafora si dice di cosa noiosa, rincrescevole e fastidiosa. Oggi (1846, ndr) diciamo agrume a' limoni, melarance, cederni e altri frutti di questa specie". Fortume a sua volta significa "Cosa di sapor forte". Il cederno è il cedro. Tornando a scalogno, altri vocabolari (Masi, Tommaseo) citano anche i fichi scalogni, pure essi provenienti da Ascalona.
Ma la scalogna come la intendiamo noi - sfortuna, disdetta, iettatura, iella - che cosa c'entra con la cipolla? Secondo alcuni, nulla: perché viene fatta risalire al latino calumnia, che oltre a falsa accusa significa anche raggiro, frode, macchinazione. Ma stando ad altri autori, la Scalogna (lo Scalogno) è "una pianta che la superstizione ritiene portatrice di iella" (Treccani). Bisogna subito avvertire: mentre il termine botanico è sempre esistito, quest'ultimo significato è apparso tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del secolo scorso, quando cipolle e scalogne/i erano cibi di mense povere, sinonimo di miseria. Da qui, forse, la convinzione popolare che la sfortuna al gioco perseguitasse chi quel giorno avesse toccato cipolle (riferita dallo studioso friulano Valentino Osterman). La scalogna è infatti "sfortuna nel gioco e in altre contingenze di poco peso" (Dir), "portare scalogna" significa avere cattiva influenza sulla sorte, mentre "scalognato" è chi è perseguitato dalla cattiva sorte.Merita di non essere dimenticata la gustosa descrizione dell'intera famiglia di questi ortaggi fatta nel Cinquecento da Luigi Alamanni, che riporta una bella gamma di sfumature: "La piangente cipolla, l'aglio olente, il mordente scalogno, il fragil porro".

(il Giornale, 24 novembre 2013)


Nucleare Iran: ebrei americani cauti, "vigilare attentamente"

NEW YORK - L'American Jewish Committee (Ajc), organizzazione degli ebrei usa, esprime apprezzamento per gli sforzi degli Stati Uniti e delle altre cinque potenze per trovare un accordo con l'Iran, ma al tempo stesso esorta i Paesi di 5+1 a mantenere la massima vigilanza sulle reali intenzioni di Teheran.
L'accordo annunciato oggi, ha scritto in un comunicato il direttore esecutivo dell'Ajc, David Harris, "è potenzialmente uno sviluppo importante", anche se "dobbiamo ancora comprendere pienamente gli elementi dell'accordo e se davvero porterà alla meta finale prevenendo all'Iran di ottenere la capacità di costruire armi nucleari".
Una soluzione diplomatica, aggiunge Harris, è indubbiamente "l'approccio preferibile per risolvere la questione iraniana. Ma per anni l'Iran ha mantenuto un indiscutibile atteggiamento di inganno e di sfida verso le Nazioni Unite e l'Agenzia internazionale per l'Energia atomica".
Per questo i Paesi del 5+1 dovranno essere "vigili nel determinare se i leader iraniani sono davvero sinceri e adempiranno alla loro parte dell'accordo, piuttosto che cercare di guadagnare tempo per mentre tentano di far progredire il loro programma nucleare".
Elencando una serie di elementi ancora da chiarire, Harris afferma infine di ritenere che le sanzioni imposte all' Iran dovrebbero rimanere in vigore, e che "fatti tangibili e non parole poetiche determineranno se davvero se l'Iran si è avviato su un nuovo cammino di cooperazione o se continua con le stesse politiche aggressive e destabilizzanti".

(TicinOnline.ch, 24 novembre 2013)


Menta, cedro, cannella, ecco il vino primordiale

 
Gli scavi a Nahariya
Che gusto ha un vino di 3.700 anni fa? Sa di menta, cedro, miele, resina e cannella. Sono questi gli ingredienti che conteneva. Un cocktail oggi impensabile. Ma per i vignaioli antichi era una necessità. La scoperta che il vino del passato era sofisticato e non puro non è nuova, ma ora arriva una conferma importante. Nel nord di Israele, a Nahariya, sono state trovate quaranta anfore all'interno della cantina di un palazzo. Era la scorta di vino della famiglia, il vino migliore, da bere nei momenti importanti, durante i banchetti.
"Non è certo il vino che una persona vorrebbe bere per rilassarsi dopo una giornata di lavoro" spiega Andrew Koh della Brandeis University, uno degli archeologi che hanno presentato due giorni fa i risultati del ritrovamento e delle analisi chimiche sui resti nelle anfore. Assieme a lui c'erano Eric Cline della George Washington University e Assaf Yasur-Landau della Haifa University in Israele.
Mettere a fermentare assieme frutta diversa e uva era utile sia per rendere più dolce possibile il vino, sia perchè alcuni ingredienti avevano una funzione antibatterica. Così veniva preparato il vino della tradizione biblica e quello che venne fatto servire da Gesù alle nozze di Caana.
    "Un paragone con un vino attuale? Il più vicino può essere il Moscato di Pantelleria - ipotizza il professor Attilio Scienza, docente di Viticoltura a Milano, l'Indiana Jones del vino, che gira il mondo per trovare le tracce genetiche delle piante antiche -. Il vino un tempo era solo dolce, anche i Romani aggiungevano la mirra. Il Moscato di Pantelleria è il vino che ancora oggi viene fatto con la stessa tecnica consigliata da Esiodo, viene aggiunta uva passa al vino base".
Secondo lo storico della viticoltura Patrick McGovern, dell'università della Pennsylvania, la scoperta fatta nel Nord di Israele "getta una nuova luce sui percorsi del vino che da lì si diffuse in tutto il Mediterraneo". I più antichi residui di vino sono stati trovati in Iraq, all'interno di una sola anfora, qualche anno fa, da una spedizione americana: risale a 6.000 anni fa. Anche in quel caso non era un liquido ricavato da sola uva.
Il vino puro, ricorda Scienza, è un sogno moderno, degli ultimi tre secoli. Prima lo si sofisticava anche con spezie e frutti usati come conservanti e aromatizzanti o come antisettici per evitare il proliferare dei batteri. Gli assiro-babilonesi aggiungevano miele e mosto cotto, serviva per bloccare la fermentazione in un epoca senza solforosa e con poca igiene.
    "Era essenziale - dice il professore - dare gradevolezza al vino. A quell'epoca non era un alimento ma un liquido per i rituali, per l'estasi dionisiaca, una droga sociale, insomma".
E quindi, nelle anfore israeliane simili a quelle antiche che sono state trovate anche in Georgia, si metteva un po' di tutto. Le susine appena erano mature, poi arrivavano albicocche, pere, mele e alla fine l'uva, tutte assieme. Secondo Scienza "i Greci usavano invece solo uva, ma perché il clima secco non faceva crescere molte altre piante da frutto". Il vino dell'antichità era sempre rosso, il bianco arriva dopo il grande freddo del 1300, quando vitigni allora rossi mutarono, come accadde con lo Chardonnay.
La scoperta e le analisi del gruppo israeliano e statunitense, indicano anche che già 3.700 anni fa si cercava di far riconoscere il proprio vino, producendolo con la stessa ricetta. Curtis Runnels, archeologo di Boston, dice che le analisi chimiche hanno chiarito che il contenuto di ogni anfora è molto simile a quello delle altre, "dimostrando coerenza e controllo produttivo che ci si aspetta da ogni cantina".

(Corriere della Sera, 24 novembre 2013)


Di ebrei antisemiti, antisionisti e neonazisti. E di ebrei redenti

di Daniel Mosseri

Ebrei del gruppo dei Neturei Karta
Ebrei che odiano altri ebrei. Oppure che "si limitano" a odiare Israele, come se negare il diritto all'autodeterminazione del popolo ebraico non fosse una palese forma di antisemitismo. I funerali fuori Roma del boia delle FossebArdeatine, Erich Priebke - osannato e rimpianto dai tanti neonazisti - e l'ennesimo caso di un sedicente atleta arabo, tunisino questa volta, che ha rifiutato di gareggiare con un rivale israeliano hanno ricordato al popolo del Libro due delle principali fonti da cui sgorga l'odio antisemita: gli ambienti dell'estrema destra orfana del nazionalsocialismo e tanta parte del mondo arabo e islamico che non ha mai digerito la creazione dello Stato d'Israele.
  Tuttavia le cronache recenti restituiscono anche il ritratto di un odio per lo Stato e per tutto il popolo ebraico, i cui protagonisti sono essi stessi ebrei. La Anti Defamation League ha aggiornato la lista delle organizzazioni americane "fissate con la delegittimazione di Israele". Gruppi che, spiega il presidente dell'Adl Abraham H. Foxman, "lavorano per convincere l'opinione pubblica americana che Israele è il 'cattivo' internazionale che merita di essere ostracizzato e isolato". Non si può ignorare come nella top ten stilata da Adl ci siano ben due organizzazioni ebraiche. Fra i più accaniti odiatori dello Stato ebraico fa il suo debutto il movimento Naturei Kartai, formazione ultraortodossa e pervicacemente antisionista, assurta in anni passati agli onori delle cronache per aver partecipato a uno dei tanti convegni organizzati dall'ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad per demonizzare Israele e contestarne il diritto all'esistenza. L'Adl, che ha compilato la lista basandosi sulla capacità dei singoli gruppi di organizzare o sponsorizzare le azioni di boicottaggio e di disinvestimento da Israele così come sull'impegno profuso a fare opera di lobbying contro lo Stato ebraico, osserva poi come la Jewish Voice for Peace "sfrutti intenzionalmente i riti e la cultura ebraica allo scopo di convincere altri ebrei che opporsi a Israele non solo non contraddice ma è addirittura coerente con i valori ebraici".
  Come spiegare questo odio di sé di parte del mondo ebraico? "È un prodotto che non dobbiamo demonizzare della violenza e della visceralità dell'antisemitismo", risponde David Meghnagi, psicanalista e docente di Psicologia clinica a Roma Tre, "per cui il conflitto non è più con l'esterno ma è interno, intrapsichico, soprattutto per chi non ha sviluppato un'identità ebraica sul piano culturale e di conseguenza non ha gli anticorpi per interpretare la realtà". In altre parole "l'impatto violento della discriminazione e il bisogno di farsi accettare producono un conflitto interiore dove uno cerca di scappare da se stesso o da una parte di se stesso". Attenzione, aggiunge Meghnagi "questo è uno sdoppiamento che si è consolidato sul piano storico dopo l'emancipazione e prima della quale l'identità degli ebrei era declinata solo sul piano religioso". Nel caso di Naturei Karta, spiega ancora, "si attribuisce al sionismo una colpa ontologica che ha prodotto la catastrofe della Shoah. E c'è tutta una corrente dell'ebraismo che identifica nel sionismo il responsabile delle persecuzioni per aver osato affrettare i tempi del Messia". Una corrente centro ed est europea, visto che sostanzialmente "l'ebraismo italiano e sefardita ha accettato con più facilità il sionismo senza viverlo come un conflitto con la tradizione religiosa".
  Per Meghnagi, che a Roma Tre dirige anche un Master in didattica della Shoah, è però importante che tutti capiscano l'origine di quell'odio: "È, paradossalmente, un barlume di identificazione ancora vivente di chi cerca di giustificarsi con l'esterno antisemita e cerca di spiegare - come se ce ne fosse il bisogno - l'universalismo dei valori ebraici. È un barlume di resistenza, anche nascosta e inconsapevole, in chi altrimenti potrebbe tagliare del tutto i ponti con l'ebraismo. Ecco perché - sottolinea - occorre sempre declinare in positivo l'identità e capire che quell'odio di sé viene dall'esterno. E non si deve dimenticare che il ritorno, la teshuvah, è sempre possibile". Il caso più eclatante? Quello di Csanàd Szegedi, eurodeputato e numero due del partito neonazista ungherese Jobbik che, dopo aver speso metà della sua vita ad accusare gli ebrei di ogni infamia, ha scoperto che l'odio antisemita inculcatogli in famiglia era lo "scudo" inventato dai propri nonni per rinnegare se stessi e tentare di sfuggire alle discriminazioni. Riscoperta la propria origine ebraica, Szegedi ha lasciato lo Jobbik per avvicinarsi, con l'aiuto di un rabbino di Budapest, alla cultura e alle tradizioni delle proprie origini.

(Shalom, novembre 2013)


Il ristorante di Gerusalemme dove ti fanno il 50% di sconto se spegni il telefonino

  
Il ristorante di Jawdat Ibrahim
Saggezza mediorientale. Il ristorante di Gerusalemme arabo-israeliano gestito dal ristoratore Jawdat Ibrahim
Jawdat Ibrahim
offre il 50% di sconto ai clienti che spengono i loro telefoni cellulari durante il pasto.
Niente suonerie tra il primo e il secondo, foto di piatti inviati su Instagram, post su Facebook che descrivono il ristorante, cinguetii su Twitter che elogiano il cuscus o check-in su Foursquare. Ma vuoi mettere? Tanta tranquillità e metà prezzo sul conto.
Ibrahim ha dichiarato all'agenzia AP che ha deciso di cambiare "la cultura del mangiare" dopo aver visto i suoi clienti ossessionati dai cellulari e dopo che molti avventori gli facevano riscaldare i cibi che si erano raffreddati. Un'idea quella di Ibrahim, che appoggiamo in pieno.

(Spy Twins, 24 novembre 2013)


Il 5+1 si accorda con l'Iran. Netanyahu: "Errore storico"

di Rossella Tercatin

"Un errore storico". Così il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu definisce l'accordo raggiunto nella notte a Ginevra tra i membri del cosiddetto 5 + 1 (i cinque membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, e Regno Unito, più la Germania) e l'Iran sulla questione del nucleare.
"Oggi il mondo è un luogo più pericoloso, perché il più pericoloso dei regimi ha compiuto un passo significativo verso l'obiettivo di acquisire la più pericolosa delle armi" ha sottolineato il premier, ricordando come la Repubblica degli Ayatollah abbia la distruzione dello Stato ebraico tra i suoi obiettivi, e che Israele dal canto suo non sia vincolato all'intesa e abbia il diritto di difendersi da qualunque minaccia.
I termini della questione sono stati diffusi tramite un documento di quattro pagine in lingua inglese (clicca qui per scaricarlo).
"L'obiettivo di questi negoziati è raggiungere un accordo di lungo termine sottoscritto reciprocamente per una soluzione che assicuri che il programma nucleare iraniano si mantenga esclusivamente pacifico. L'Iran ribadisce che in nessuna circostanza cercherà o svilupperà qualunque tipo di arma nucleare. Questa soluzione verrà raggiunta partendo da queste prime misure - si legge nel preambolo - L'intesa finale consentirà all'Iran di godere pienamente del suo diritto all'energia nucleare per scopi pacifici, secondo quanto previsto dal Trattato di non-proliferazione e in conformità con i suoi obblighi in base ad esso. La soluzione finale comprenderà un programma di arricchimento reciprocamente concordato con limiti pratici e misure volte alla trasparenza per assicurare la natura pacifica del programma, e costituirà un unico corpus in cui nulla è concordato, fino a che tutto non sia concordato".
Nella finestra temporale prevista da questa prima intesa (sei mesi), l'Iran si impegna tra l'altro a riconvertire la metà dell'uranio convertito al 20% in uranio arricchito al 5%, a non arricchire ulteriore uranio oltre il 5%, a consentire e cooperare pienamente con gli ispettori internazionali, a fermare la produzione in determinati reattori, in cambio di un alleggerimento delle sanzioni economiche imposte da Stati Uniti ed Europa.
"Giudicheremo l'accordo dai fatti e non dalle parole" il commento del presidente israeliano Shimon Peres. "Voi non siete i nostri nemici, e noi non siamo i vostri. Esiste la possibilità di dirimere la questione per via diplomatica. È nelle vostre mani. Rifiutate il terrorismo. Fermate il programma nucleare e lo sviluppo di missili a lungo raggio. Israele, come gli altri membri della comunità internazionale, vuole una soluzione diplomatica. La comunità internazionale non tollererà un Iran nucleare. E se la via diplomatica fallisce, si ricorrerà ad altri mezzi. L'alternativa è assai peggiore".

(Notiziario Ucei, 24 novembre 2013)


"Voi non siete i nostri nemici, e noi non siamo i vostri”, dice il Presidente Peres con commovente ottimismo. Se chi dice: “Israele è un cane rabbioso destinato a sparire” non è nemico, è chiaro che Israele non ha nemici, dunque può dormire sonni tranquilli. Peres una volta ha detto: “La differenza tra l’ottimista e il pessimista è che tutti e due muoiono, ma l’ottimista vive meglio”. Se parole come quelle che ha dette l’aiutano a vivere meglio, ne siamo tutti felici e continui pure, ma certo non saranno di grande aiuto per coloro che devono affrontare i problemi veri della realtà politica internazionale. M.C.


Finalmente l'Iran diventerà una potenza atomica

Dunque è ufficiale: gli Stati Uniti di Hussein Obama infliggono al mondo un'ulteriore dolorosa automutilazione, accettando il programma di arricchimento dell'uranio della repubblica iraniana, e in premio offriranno agli ayatollah alcuni miliardi di dollari all'anno, mediante allentamento delle sanzioni esistenti e sblocco delle entrate congelate in alcune banche europee. L'ex senatore junior dell'Illinois, esemplare emulo di Chamberlain - il 30 settembre 1938 non è così lontano... - si appresta così a vincere un secondo premio Nobel per la pace; magari, questa volta ex aequo con il suo sodale Hassan Rowhani, che da Teheran ha benedetto l'intesa....

(Il Borghesino, 24 novembre 2013)


Trani - Chanukkà dell'anno ebraico 5774

Nella sinagoga Scolanova di Trani ha luogo la celebrazione della festa di Chanukkà dell'anno ebraico 5774. La festa di Chanukkà dura otto giorni (quest'anno comincia al tramonto di lunedì 2 dicembre) e venne istituita 2.200 anni or sono per ricordare la riconsacrazione del Tempio di Gerusalemme ad opera dei Maccabei dopo che gli ellenisti di Siria avevano conquistato la città santa, profanandone l'altare con culto idolatrico. La prima azione dei Maccabei (la famiglia sacerdotale che aveva guidato la rivolta) fu quella di accendere la Menorà, il candelabro a sette braccia; ma per fare questa operazione era necessario disporre di olio incontaminato.
La tradizione afferma che dopo meticolose e affannose ricerche fu trovata una piccola ampolla contenente olio puro, che per quanto fosse sufficiente per un solo giorno, durò ben otto giorni. E' questa l'origine dell'uso di accendere nelle case e nelle sinagoghe lumi dopo l'uscita delle stelle di lunedì 2 dicembre per otto giorni consecutivi, ponendo i lumi all'esterno o alla finestra, in modo che i passanti possano vederli. Negli ultimi anni è invalso l'uso di accendere questi lumi anche in una delle piazze principali della città, quest'anno l'accensione avverrà pubblicamente in quattro città del Meridione: Napoli, Reggio Calabria, Palermo e Trani, unica città in tutta la Puglia. Dopo la preghiera della sera si procederà all'accensione del terzo lume di Chanukkà.

Presso la Sinagoga Scolanova.
Lunedì 2 dicembre 2013 - ore 17.00
Ingresso libero

(Traniviva, 23 novembre 2013)


Nucleare, Iran a un passo dall'accordo

La notizia arriva da Teheran dopo tre giorni intensi di negoziati a Ginevra. Colloqui anche domani
   
"Siamo vicini a un accordo". Arriva da Teheran la notizia che, dopo tre giorni intensi di negoziati a Ginevra, l'Iran e le potenze occidentali avrebbero trovato un accordo sullo spinoso dossier nucleare. In serata il viceministro iraniano Abbas Araqchi, secondo quanto ha riferito l'agenzia stampa Mehr ha soffiato sul fuoco della speranza di un'intesa dopo che a innescare le aspettative erano stati poco prima gli Stati Uniti annunciando che il segretario di Stato John Kerry era in partenza per Ginevra. Secondo quanto poi aveva riferito la Press Tv, sulla base di fonti negoziali, la questione si sarebbe sbloccata quando i delegati del 5+1 avrebbero accettato di riconoscere il diritto di Teheran ad arricchire in proprio l'uranio. Un tam-tam di voci seguite anche alle dichiarazioni del ministro degli Esteri Mohammad Kavad Zarif che, ancora prima da Ginevra, aveva parlato di progressi "del 90 per cento", anche se restano da risolvere "una o due questioni". Dal Dipartimento di Stato Usa comunque resta un filo di cautela sulla questione: "Il segretario si rechera' a Ginevra oggi stesso, con l'obiettivo di continuare a dare una mano per far ridurre le divergenze, e progredire sempre di piu' verso un accordo", ha spiegato il portavoce Jen Psaki spiegando che Kerry si sarebbe consultato con l'alto rappresentante dell'Unione Europea, Catherine Ashton, e con la delegazione di negoziatori sul posto e che comunque la sua partenza in ogni caso "non costituisce una previsione sull'esito" dei negoziati. Oggi a Ginevra era arrivato anche il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov per unirsi ai coloqui dopo aver avuto un incontro con il pari grado iraniano, Mohammad Javad Zarif e non e' escluso nemmeno l'arrivo del ministro degli Esteri cinese, Wang Yi. Secondo quanto trapelato negli ultimi giorni, si lavora a un'intesa transitoria di sei mesi che prevede da parte di Teheran il congelamento della produzione di uranio arricchito al 20 per cento, l'impegno a non attivare nuove centrifughe per arricchire l'uranio al 3,5 per cento, e l'accettazione di un piu' rigido sistema di ispezioni internazionali nei propri siti nucleari. In cambio l'Iran otterrebbe un alleggerimento delle sanzioni che gli garantirebbe introiti supplementari per almeno 20 miliardi di dollari.

(Il Tempo, 23 novembre 2013)


In un altro giornale che riportava, anche lui in modo ottimistico, il progresso dei colloqui, l'autore a un certo punto fa questo commento:
    I colloqui di Ginevra vanno avanti nonostante sia noto a tutti che acclamando Khamenei le milizie Basij urlassero "morte agli Usa" e "morte a Israele". Questo elemento passa in secondo piano come aspetto quasi coreografico, un rituale di forma, più che di sostanza per un regime che non può sopravvivere a sè stesso nelle condizioni socio-economiche, ma anche politiche in cui si trova.
Come al tempo della Germania di Hitler, si svalutano i proclami pubblici contro gli ebrei, rappresentati oggi dallo Stato d’Israele. I potenti della terra hanno cose più importanti a cui pensare. Il “morte agli Usa” può essere lasciato cadere, ma il “morte a Israele” deve restare. Ma questo per i potenti della terra, come già si è visto nel passato, non è un fatto di rilevante interesse. M.C.


Israele, paradiso del venture capital

Israele, culla dell'high tech mondiale. Il 2013 non sarà ricordato soltanto per l'acquisizione miliardaria (966 milioni di dollari, per l'esattezza) di Waze da parte di Google. Secondo un articolo apparso ieri sul Wall Street Journal, nei primi nove mesi di quest'anno sono state concluse ben 1183 transazioni, per un controvalore di 8,64 miliardi di dollari. È un dato impressionante sotto diversi punti di vista...

(Il Borghesino, 23 novembre 2013)


I laburisti puntano su Herzog per la riscossa

  
Yitzhak Herzog
GERUSALEMME - Dopo aver defenestrato sette leader in dieci anni, i membri del partito laburista israeliano hanno oggi rimosso anche l'ottavo: l'ex giornalista televisiva Shelly Yechimovic. Ora provano con l'ex ministro Yitzhak Herzog, 53 anni, che nelle elezioni interne ha battuto la collega di partito con un successo perentorio: 16.600 preferenze contro 11.800.
In un primo incontro con gli attivisti, Herzog ha promesso che cercherà di "compattare il partito" e di "far tornare a casa i delusi" per poter affrontare uniti le sfide future e tornare a dare la scalata al potere. Nella Knesset (parlamento) attuale i laburisti sono uno sparuto drappello di 15 deputati su 120 (erano 42 nel governo di Yitzhak Rabin, vent'anni fa) e guidano l'opposizione a Benyamin Netanyahu. Herzog ha anche invocato l'adozione di "passi concreti" per rilanciare il processo di pace con i palestinesi. Il governo guidato da Likud-Beitenu, a suo dire, non vi annette la necessaria importanza.
Una critica simile è stata rivolta da Herzog anche alla Yechimovic che - constatato lo stallo nei rapporti fra Israele e Anp - aveva piuttosto concentrato la propria attenzione sulle lotte sociali (anche sulla scia della proteste degli 'indignatì nell'estate del 2011) e sulla conduzione in parlamento di una serrata 'guerriglià contro lo strapotere degli oligarchi locali.
Due anni fa la Yechimovic aveva ricevuto in eredità da Ehud Barak un partito moribondo e, per rivitalizzarlo, vi aveva inserito elementi giovani e radicali. Ma oggi, con la vittoria di Herzog, i quadri anziani del partito da lei emarginati si sono concessi una rivincita. La figlia del muratore comunista, immigrato in Israele dopo essere sopravvissuto alla Shoah in Polonia, è stata messa in castigo per far spazio al rivale che proviene dall'equivalente israeliano di una famiglia 'aristocraticà: il nonno Yizhak ha-Levy Herzog fu rabbino capo in Irlanda, e il padre Haim Herzog generale nelle forze armate di Israele e poi Capo di stato. Da bambino, nel salotto di casa, si imbatteva sovente in Abba Eban: il più celebre diplomatico nella storia di Israele.

(TicinOnline, 22 novembre 2013)


Kerry & Obama: i più amati da terroristi e Stati canaglia

Ieri su Yenet è uscito un articolo fantastico di Guy Bechor, articolo che tra parentesi porta un titolo italianissimo: "Persona non grata". Quell'articolo, riferito al segretario di Stato americano, John Kerry, fotografa alla perfezione il diffuso sentimento di antipatia che c'è in tutto il Medio Oriente verso lo stesso Kerry e il suo capo, Barack Obama....

(Right Reporters, 23 novembre 2013)


Sono già morti i due leoncini a Gaza

BEIT LAHIYA - La nascita di due cuccioli di leone nella striscia di Gaza governata dal movimento islamico Hamas si è diffusa in tutto il mondo come una notizia sensazionale. Ma dopo tre giorni i cuccioli di leone, nati malati e senza voglia di mangiare, ieri sono morti. Inoltre, il padre del leone era diventato "aggressivo" verso i suoi figli.

(israelenetz.com, 22 novembre 2013)


Scoperta in Israele una cantina di 3.700 anni fa, con giare di vino bianco e rosso

Conteneva quaranta orci di vino bianco e rosso dolce e speziato la cantina più antica e grande mai conservata: ha 3.700 anni ed è stata scoperta tra le rovine di una città cananea chiamata Tel Kabri, nel nord di Israele. La scoperta si deve a un gruppo statunitense e israeliano della George Washington University, Brandeis University e università di Haifa. Il risultato è stato presentato a Baltimora durante il convegno annuale delle Scuole Americane di Ricerche Orientali. Le giare hanno una capacità di 50 litri ognuna, in totale l'equivalente di circa 3.000 bottiglie di vino, e sono rimaste sepolte sotto una coltre di fango, mattoni e intonaco a causa del crollo della cantina, probabilmente per un terremoto.

(L'Unione Sarda, 22 novembre 2013)


Tunisia - Gannouchi tende la mano alla comunità ebraica

di Diego Minuti

Ham Bittan e Rached Gannouchi
TUNISI, 22 nov - Un incontro a quattr'occhi, ma su cui Ennahda, il partito islamico di governo in Tunisia, ha voluto la massima attenzione mediatica. Nel suo sobrio ufficio, nella sede di Ennahda, nel centro di Tunisi, il presidente e leader del partito, Rached Gannouchi ha incontrato il gran rabbino di Tunisia, Ham Bittan. Un incontro dalla fortissima valenza simbolica, perché giunge dopo un lungo periodo in cui la comunità ebraica tunisina, radicata da secoli e secoli nella storia e nella cultura del Paese, è stata bersaglio di minacce e anche di intimidazioni da parte degli integralisti islamici. Sull'avvenimento ha voluto intervenire, direttamente in termini di pubblicizzazione, lo stesso Gannouchi che ha scelto la sua pagina su Facebook per spiegare di avere voluto incontrare Bittan per comprendere, direttamente dal gran rabbino, quali siano le preoccupazioni della comunità ebraica nel Paese. Di essa Gannouchi ha scritto che "fa parte integrante del popolo tunisino e che il denominatore comune di tutti i tunisini è l'amore per la nazione che ne preserva la dignità e la partecipazione alla sua costruzione, soprattutto grazie alla loro diversità intellettuale e confessionale e questo nel quadro dell'unità nazionale, della coesistenza e dell'accettazione dell'altro". Parole inequivocabili che, pur se indirettamente, segnano la determinazione di Ennahda di disinnescare possibili tensioni tra le due comunità, tra quella dominante (in Tunisia i musulmani sono circa il 98 per cento della popolazione) e quella degli ebrei che, seppure fortemente ridimensionata nel corso degli ultimi decenni e ridotta a poco più di duemila persone, resta parte integrante della storia del Paese.
Una presa di posizione che sottolinea anche la distanza che c'è tra Ennahda e quelle frange del radicalismo musulmano, come la corrente salafita, che colgono spesso l'occasione per scagliarsi contro gli ebrei, considerati come una quinta colonna del sionismo. A nulla sono valse le prese di posizione di esponenti importanti della comunità israelita tunisina, a rimarcare che, dal momento che è insediata nel Paese da migliaia di anni (a Djerba c'è la più antica sinagoga d'Africa), essa è parte integrante della società e della cultura tunisina. Ma ai salafiti questo non basta e Gannouchi (uomo profondamente religioso, di cui s'è anche ventilata la possibile nomina a capo della potentissima ed influente associazione internazionale degli ulema) ha voluto ribadire che, ai suoi occhi, tutti i tunisini sono eguali, quale che sia il Dio in cui credono. Ma, in un periodo in cui i rapporti tra Ennahda e salafiti sono molto tesi (dopo i recenti episodi di terrorismo), la presa di posizione di Gannouchi potrebbe essere anche rivolta al fronte interno, cioè verso quelle posizioni estreme che vi si sono manifestate e che per lui potrebbero risolversi in un boomerang politico. Cosa che Ennahda, in netto calo di consensi, secondo i sondaggi, non può permettersi.

(ANSAmed, 22 novembre 2013)


Isaac Herzog leader dei laburisti israeliani

GERUSALEMME - I laburisti israeliani hanno un nuovo leader: è Isaac Herzog che ha vinto le elezioni del partito. Anche se lo scrutinio (oltre il 70%) non è ancora completo, tuttavia la presidente uscente Shelly Yacimovich, visto lo scarto di voti tra i due, ha ammesso, secondo i media, la sconfitta ed ha telefonato stamattina allo sfidante per congratularsi della vittoria.
I voti a favore di Herzog sono finora oltre il 60%. Nato nel 1960, membro del parlamento dal 2003, figlio del sesto presidente di Israele, Herzog è stato più volte ministro in passati governi. Dal 2001 i laburisti - che attualmente guidano l'opposizione al governo di Benyamin Netanyahu - hanno cambiato leader otto volte.

(TicinOnline, 22 novembre 2013)


Lo show dei pellicani sul lago di Tel Aviv

  
Fotogalleria
E' uno spettacolo che si ripete ogni anno ma che non finisce di affascinare. Il passaggio di migliaia, se non decine di migliai, di pellicani (Pellicano comune o (grande) pellicano bianco), in rotta verso i tepori africani, dall'Europa Orientale, in generale dal versante ovest del Mar Nero. Eccoli nella loro consueta tappa, su un lago artificiale situaato nella Emek Efer Valley, a nord di Tel Aviv. Una delle ragioni di questa tappa è la certezza di trovare cibo. Da tempo, infatti, i pescatori locali mettono a disposizione di questi grandi uccelli (apertura alare fino a 180 cm) centinaia di chili di pesce - per prevenire che i pennuti prendano di mira quello, più pregiato, destinato alla vendita.

(la Repubblica, 22 novembre 2013)


Nessiah: festival di musica e cultura ebraica

PISA - Torna anche quest'anno il festival di musica e cultura ebraica Nessiah, organizzato dalla Comunità ebraica di Pisa e diretto dal Mo Andrea Gottfried. L'edizione di quest'anno - la 17esima, come sempre ad ingresso libero - è dedicata alla figura femminile nell'universo ebraico. Primo appuntamento il 1 dicembre alle 21 al teatro Sant'Andrea: ospite sarà Tania Vinokur, violino danza e voce. Ma tra gli artisti quest'anno ci sarà anche Raiz, voce degli Almamegretta, recentemente convertito alla religione ebraica. Sarà lui il protagonista del concerto del 4 dicembre al cinema Lumiere di vicolo del Tidi. E poi ancora musica e cinema fino al 15 dicembre. Tutto il programma su www.nessiah.it e sulla pagina facebook Festival Nessiah 2013.

(PisaToday, 22 novembre 2013)


Gaza: ONU e ONG complici di Hamas e Jihad Islamica

Dall'Onu e dalle Ong ci si aspetterebbe sempre una posizione imparziale e soprattutto volta alla protezione dei più deboli. Nel caso della Striscia di Gaza (come in altri casi simili) questo nono solo non avviene ma si assiste all'esatto contrario, cioè si assiste alla difesa di Hamas e dei suoi traffici mafiosi a scapito della popolazione.
L'ultimo lampante esempio si è avuto ieri durante le commemorazioni dedicate all'anniversario della fine dell'operazione "Pillar of defense" che lo scorso anno Israele fu costretto a iniziare per fermare il lancio di centinaia di missili dalla Striscia di Gaza sul suo territorio. Ebbene durante questa commemorazione ha parlato James Rawley, coordinatore umanitario delle Nazioni Unite per i territori palestinesi il quale ha detto che «la situazione umanitaria a Gaza è peggiorata a causa della distruzione dei tunnel gestiti da Hamas da parte dell'Egitto e di Israele»....

(Right Reporters, 22 novembre 2013)


Firenze Marathon, Israele protagonista

Un piccolo esercito di runner, pronti a scatenarsi sulle strade di Firenze in quella che sta diventando una delle più importanti maratone a livello europeo. Sono 150, vengono da Israele. In Italia li ha portati l'associazione torinese Enzo B, specializzata nella promozione del dialogo tra etnie e popoli differenti attraverso lo sport.
In attesa di essere protagonisti in corsa, gli atleti israeliani - probabilmente il blocco straniero più numeroso in questa Firenze Marathon 2013 - si apprestano a il saluto della città che li ospita.
A Palazzo Vecchio, dove nelle prossime ore incontreranno il vicesindaco Saccardi e altri esponenti istituzionali. In sinagoga, dove sono stati invitati - domani al tramonto - a un kiddush organizzato dalla Comunità ebraica.
Un'iniziativa fortemente caldeggiata dalla Federazione Italiana Maccabi nella figura del suo presidente Vittorio Pavoncello, dal presidente dell'Opera del Tempio Ebraico di Firenze Renzo Funaro e dalla Comunità stessa, che già l'anno scorso - su impulso dell'associazione Enzo B - avevano promosso una simbolica corsa per la pace dal Tempio di via Farini alla moschea di piazza dei Ciompi.
Ad accogliere gli ospiti in sinagoga il presidente della Comunità ebraica Sara Cividalli.

(Notiziario Ucei, 21 novembre 2013)


Shoah: sarà restaurata locomotiva che deportò ebrei triestini

TRIESTE, 21 nov. - La conservazione e il restauro della locomotiva "Modello 52", che servì per trasportare molti ebrei triestini verso i campi di concentramento e di sterminio, sarà garantita dalla Regione Friuli Venezia Giulia e dalle istituzioni locali. E' quanto stabilito dall'Accordo firmato a Trieste dall'assessore regionale alla Cultura Gianni Torrenti con il direttore regionale per i Beni culturali Giangiacomo Martines, assieme ai rappresentanti di Comune e Provincia.
La locomotiva venne costruita in Germania nel 1943 dalla Fabbrica Mba ed è custodita nel Museo Ferroviario di Campo Marzio a Trieste. A sottoscrivere l'intesa sono stati anche i responsabili della Comunità ebraica di Trieste, dell'Associazione Dopolavoro Ferroviario, che gestisce il Museo di Campo Marzio, e del Rotary Club di Trieste, che ha finanziato un primo intervento di valorizzazione del Museo.
"Questa locomotiva ha davvero un valore speciale - ha commentato Torrenti - perché rappresenta una testimonianza dell'Olocausto, e in particolare della deportazione e dello sterminio della comunità ebraica di Trieste, una tragedia di cui dobbiamo conservare viva la memoria. L'Accordo sottoscritto oggi è nello stesso tempo un riconoscimento del grande lavoro che gli appassionati del Museo di Campo Marzio hanno svolto in tutti questi anni".

(Adnkronos, 21 novembre 2013)


Ascolta, Israele! Oggi tu stai per passare il Giordano per andare a impadronirti di nazioni più grandi e più potenti di te, di città grandi e fortificate fino al cielo, di un popolo grande e alto di statura, dei figli degli Anakim che tu conosci, e dei quali hai sentito dire: 'Chi mai può stare a fronte dei figli di Anak?' Sappi dunque oggi che l'Eterno, il tuo Dio, è colui che marcerà alla tua testa, come un fuoco divorante; egli li distruggerà e li abbatterà davanti a te; tu li scaccerai e li farai perire in un attimo, come l'Eterno ti ha detto. Quando l'Eterno, il tuo Dio, li avrà cacciati via d'innanzi a te, non dire nel tuo cuore: 'A causa della mia giustizia l'Eterno mi ha fatto entrare in possesso di questo paese'; poiché l'Eterno caccia d'innanzi a te queste nazioni, per la loro malvagità. No, tu non entri in possesso del loro paese a motivo della tua giustizia, né a motivo della rettitudine del tuo cuore; ma l'Eterno, il tuo Dio, sta per cacciare quelle nazioni d'innanzi a te per la loro malvagità e per mantenere la parola giurata ai tuoi padri, ad Abrahamo, a Isacco e a Giacobbe. Sappi dunque che, non a motivo della tua giustizia l'Eterno, il tuo Dio, ti dà il possesso di questo buon paese; poiché tu sei un popolo di collo duro.
Deuteronomio 9:1-6







 

Netanyahu: "Prometto che Teheran non avrà la bomba"

"Vi prometto che l'Iran non avrà armi nucleari". A ribadirlo, parlando a Mosca, è stato il premier israeliano Benyamin Netanyahu, parlando nel corso di un incontro con un gruppo di leader ebrei russi.
Lo riferisce il quotidiano israeliano Jerusalem Post, secondo cui Netanyahu ha sottolineato come il "vero" volto dell'Iran non è il film propagandistico del ministro degli Esteri Javad Zarif che sorride e parla di pace, ma quello del leader Supremo Ali Khamenei che mercoledì ha definito Israele "un regime illegittimo" guidato "da cani rabbiosi intoccabili".

(T-Mag, 21 novembre 2013)


Centotremila palestinesi lavorano in Israele, ventimila negli insediamenti

Alta disoccupazione in Giudea-Samaria e a Gaza, al 43% tra i giovani

RAMALLAH - Sono oltre centomila i palestinesi che lavorano in Israele e circa 20.000 quelli che lavorano nefli insediamenti israeliani in Giudea-Samaria. Le cifre sono state rese note dall'Ufficio Centrale Palestinese di Statistica (Pcbs), nell'ambito di un'indagine sul lavoro nei territori contesi e nella striscia di Gaza. Secondo i dati più di 103.000 palestinesi hanno trovato un impiego in Israele tra luglio e settembre 2013. Di questi, oltre il 60% nel settore dell'edilizia e circa un terzo di loro e' impiegato senza un regolare permesso. Dei restanti, 51.100 hanno ricevuto un'autorizzazione israeliana mentre 17.600 sono in possesso della carta d'identità israeliana o di un passaporto straniero. Secondo il rapporto, la forza lavoro complessiva in Giudea-Samaria raggiunge il 44,9% della popolazione e il 41,4% nella striscia di Gaza. Il divario tra la partecipazione maschile e quella femminile alla forza lavoro è vasto, con una media del 69,5% cento degli uomini contro il 17,1% delle donne. Il tasso di disoccupazione nella striscia di Gaza è del 32,5% rispetto al 19,1% in Giudea-Samaria. La disoccupazione giovanile si attesta al 43% tra i giovani di età compresa tra i 20 ed i 24. Preoccupante anche la situazione del lavoro minorile che vede una media del 4% di adolescenti di età compresa tra 10-17 anni: il 5,7% in Giudea-Samaria e 1,3% nella striscia di Gaza. Le retribuzioni medie in Giudea-Samaria - indica il rapporto - si aggirano sui mille shekel (200 euro circa) mentre a Gaza sono intorno agli ottocento shekel (160 euro circa).

(ANSAmed, 21 novembre 2013)


Aumenta la dermatite atopica fra i bimbi, colpa dell'inquinamento

Importante e' la cura della pelle e la dieta

 
Emissioni di metalli pesanti da marmitte catalitiche e acqua troppo dura e calcarea: sono i nuovi fattori che hanno accresciuto del 10%, negli ultimi dieci anni, il rischio di dermatite atopica, soprattutto tra i 2 e i 5 anni, incrementando numeri già triplicati nelle ultime tre decadi. A rilevarlo è Paidoss, l'Osservatorio Nazionale sulla salute dell'infanzia e adolescenza durante l'International Network on Children's Health, Environment and Safety in Israele.
Irritazioni cutanee, eczemi, eritemi, desquamazioni colpiscono il 63% dei piccoli, ma nonostante nella maggior parte dei casi la dermatite atopica si risolva spontaneamente entro il terzo anno di vita, a portarne ancora i segni a 7 anni è quasi il 20% dei ragazzini, soprattutto chi vive nelle aree industrializzate e nelle grandi città. Ad influire sono anche fattori determinati dai cambiamenti domestici, come polveri, acari, contatto con la pelle del gatto e cibi meno salutari e più allergenici, che si assommano alla mutazione e perdita di funzionalità del gene per la Filaggrina (Flg), il principale fattore di rischio conosciuto la dermatite atopica. Nonostante questa componente sia inscritta nel dna, il 40% dei bambini portatori non manifesterà la malattia: segno dell'influenza ambientale. E i costi di gestione della malattia superano in media ogni anno i 1200 euro a famiglia. ''Ad oggi le mutazioni con perdita di funzione del gene per l'Flg - spiega Giuseppe Mele, presidente di Paidoss - sono il fattore di rischio più elevato per la dermatite atopica, la cui prevalenza in età pediatrica è del 10-15%''. Per far fronte a questo problema, bisogna ''prevenire - aggiunge Giuseppe Ruggiero, Coordinatore Scientifico di Paidoss - o lenire i disturbi della dermatite già sulla pelle sana, con l'uso costante di creme emollienti e di olii durante il bagno, che deve durare al massimo 5 minuti''. Importante soprattutto d'inverno, la dieta, con più frutta e verdure, pesce, fibre e cereali, molta acqua e poche bevande zuccherate.

(ANSA, 21 novembre 2013)


Cresce il numero degli arrivi in Israele: ottobre segna un +12%

Positivi anche gli arrivi dall'Italia, con un +5%

ROMA, 21 nov - Cresce il numero di visitatori in Israele. A dirlo sono gli ultimi dati diffusi dall'Ufficio Centrale di statistica secondo cui, nel mese di ottobre, si sono registrati 339.000 arrivi. Il 12% in piu' rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Anche per quanto riguarda il flusso di turisti dall'Italia, rende noto l'Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo di Milano, ''ottobre ha rappresentato un mese eccezionale con 21.691 arrivi dall'Italia, un +5% rispetto anche a un anno molto buono come il 2012''. Anche se in generale ''dall'inizio dell'anno fino a ottobre abbiamo una flessione del 2%, contiamo di chiudere questo 2013 comunque sulla scia dell'anno precedente'', fa sapere il direttore dell'Ufficio, Tzvi Lotan. A trainare il flusso non è più soltanto il turismo religioso, spiega. ''Molti sono interessati ai suoi luoghi ricchi di storia, archeologia e cultura e anche divertimento e natura. Una parola anche per i croceristi, che sono un pubblico ben definito per noi e con un buon potenziale di spesa, molto spesso infatti tornano per una visita più approfondita in Israele dopo averne 'assaggiato' la bellezza''.

(ANSAmed, 21 novembre 2013)


Colloqui nucleare iraniano: Teheran alza il prezzo

Come era prevedibile, se a Teheran dai un dito loro cercano di prenderti il braccio e di portarselo via. I colloqui sul nucleare iraniano che si stanno tenendo a Ginevra sono di nuovo a un punto morto, almeno stando a quanto riferisce la stampa iraniana vicina al Grande Ayatollah Ali Khamenei, il tutto perché l'Iran ha alzato il prezzo e ha posto alcune condizioni irrinunciabili.
Secondo quanto riferisce la ISNA (Iranian Student News Agency) nella sua versione in persiano, il Grande Ayatollah Khamenei avrebbe ordinato al Ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, di porre quattro condizioni irrinunciabili per l'Iran affinché si giunga a un compromesso....

(Right Reporters, 21 novembre 2013)


Non c'è da meravigliarsi. Teheran ha visto che a Obama l'affare interessa molto e quindi, come tutti i bravi venditori in questi casi, alza il prezzo. Il Grande Ayatollah Ali Khamenei ha capito che da Obama può ottenere tutto o quasi tutto in cambio di qualche parola. E se dovessero accusarlo di voler distruggere Israele, lui risponderebbe: “Non è vero, non ho mai detto di voler distruggere Israele. Dico soltanto che mi riservo di farlo”. E questo certamente accontanterebbe Obama. M.C.


I leoni appena nati nella Striscia di Gaza

I genitori sono stati importati clandestinamente dall'Egitto, i piccoli hanno nomi di ispirazione bellica

I leoncini
Domenica sera nello zoo di Besan a Beit Lahia, nel nord della Striscia di Gaza, sono nati due piccoli di leone. È la prima volta che dei leoni nascono nella Striscia: i genitori sono stati importati clandestinamente quattro anni fa, attraverso i tunnel sotterranei dall'Egitto. Il maschio è stato chiamato Fajer, come i razzi iraniani usati negli otto giorni di combattimento tra i militanti di Gaza e Israele nel 2012, e la femmina Sejeel, dal nome con cui venne definita da Hamas l'offensiva militare.
Izz ad-Din al-Qassam, l'ala militare di Hamas, ha festeggiato l'evento scrivendo su Twitter che «nonostante l'ingiusto assedio di Israele, i palestinesi sono riusciti a importare questi due leoni per portare un sorriso sulle facce dei bambini di Gaza».

(ilPost, 21 novembre 2013)


L'antisemitismo nella prospettiva comparata all'Università degli Studi di Roma La Sapienza

Presentazione dell'accordo di cooperazione tra la Sapienza e l'Institute for the Study of Global Antisemitism and Policy (ISGAP).

Per la prima volta un accordo sancisce la collaborazione scientifica-culturale sui temi dell'antisemitismo e sulle vicende storiche, politiche, giuridiche e sociali dell'ebraismo.
Lunedì 25 novembre il Rettore dell'Università degli Studi di Roma La Sapienza Luigi Frati e il Direttore dell'ISGAP - The Institute for the Study of Global Antisemitism and Policy - Charles Small, presenteranno l'accordo di collaborazione scientifica e culturale tra le due istituzioni. Si tratta in assoluto del primo programma internazionale realizzato a livello interuniversitario sui temi dell'antisemitismo e delle molteplici scienze collegate alle vicende dell'ebraismo, di cui la Sapienza è il primo ateneo italiano a farne parte. Alla cerimonia saranno presenti il prorettore per la cooperazione e i rapporti internazionali dell'Università degli Studi di Roma La Sapienza, Antonello Biagini, il coordinatore per l'Italia e l'Europa dell'ISGAP, Robert Hassan, Ambasciatori e autorità del mondo istituzionale, religioso, oltre a docenti, ricercatori e studenti.
L'evento sarà accompagnato da una tavola rotonda dal titolo "L'antisemitismo nella prospettiva comparata" a cui parteciperanno oltre a Charles Small, Marina Caffiero, coordinatore del dottorato di storia, antropologia, religioni dell'Università degli Studi di Roma La Sapienza; Riccardo Di Segni, Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma; Giovanni Maria Flick, Presidente Emerito della Corte Costituzionale.
The Institute for the Study of Global Antisemitism and Policy (ISGAP) si occupa in ambito accademico delle origini, dei processi e delle manifestazioni associate all'antisemitismo, oltre ad altre forme di pregiudizio, incluso il razzismo. Fondato nel 2004 l'ISGAP è il primo centro di ricerca interdisciplinare e interuniversitario dedicato allo studio dell'antisemitismo con sede in Nord America e presieduto dal Premio Nobel Elie Wiesel. Oggetto di studio sono in particolare le mutevoli fasi storiche dell'antisemitismo, le modalità con le quali questo si relaziona con altre forme di odio, quali migliori prassi sviluppare per contrastarlo. L'ISAGP invita regolarmente eminenti studiosi e ricercatori a presentare documenti ed a partecipare a progetti di ricerca su tali temi. Obiettivi centrali includono lo sviluppo di un curriculum inter-disciplinare e la pubblicazione di studi analitici che esaminino l'antisemitismo, un pregiudizio che rimane diffuso e ricorrente. L'ISGAP ambisce a creare uno spazio vibrante in cui possano fiorire lo studio, la discussione e il dibattito di alto livello. Ingresso libero fino ad esaurimento posti.

(Controcampus.it, 20 novembre 2013)


Proseguono i collaudi dei sistemi "David's Sling"

 
Il Ministero della Difesa israeliano ha comunicato che i militari israeliani e americani stanno collaudando i nuovi sistemi antimissilistici "David's Sling". Nell'ambito delle esercitazioni sono stati sparati alcuni colpi di prova. Questo tipo di sistemi antimissilistici sono stati creati per intercettare missili a corto raggio.
Nelle comunicazioni del dipartimento si sottolinea che "il nuovo sistema riempie una falla fino ad ora esistente nei sistemi antimissilistici iraniani". Attualmente i sistemi antimissilistici di Israele comprendono i complessi antimissilistici "Arrow", che servono per intercettare i missili balistici, e gli "Iron Dome", dei sistemi che servono a neutralizzare i missili a corto e medio raggio.

(La Voce della Russia, 20 novembre 2013)


La solidarietà ai sardi dell'ambasciatore di Israele in Italia

Questa la sintesi del messaggio con il quale l'Ambasciatore Naor Gilon ha espresso, con una lettera indirizzata al Presidente della Regione Ugo Cappellacci, la vicinanza d'Israele a una popolazione e a un territorio gravemente colpiti dal nubifragio che si è abbattuto sulla Sardegna nelle ultime 24 ore:
    "A nome mio personale e dello Stato d'Israele, desidero esprimerLe i più sinceri sentimenti di solidarietà per i gravi effetti ed il doloroso bilancio di vite umane causati dalla violenta alluvione che si è abbattuta ieri sulla Sardegna. In queste ore difficili per la Sua Regione, ci stringiamo con commossa partecipazione al dolore delle famiglie delle vittime e manifestiamo la più sentita vicinanza alle comunità coinvolte. Ci consideri a disposizione per eventuali necessità".
L'ambasciatore Gilon è stato recentemente ad Alghero in occasione della inaugurazione della piazza della Juharia, l'antico borgo ebraico della città murata collegato direttamente con il vecchio porto a ridosso delle mura aragonesi.

(Buongiorno Alghero, 20 novembre 2013)


Gusto Kosher: il "derby" lo vince il menù giudaico romanesco

Quasi tremila persone al Portico d'Ottavia per Gusto Kosher, per assaggiare e scoprire le affinità e le differenze tra Roma e Tel Aviv, tra sacro e profano.

Fotogalleria
Cortile affollatissimo nel Palazzo della Cultura al Portico D'Ottavia domenica scorsa, per la manifestazione 'Gusto Kosher', un evento di Lebonton Catering in collaborazione con il Creativity Lab ICPO.
  I numeri fanno impressione: in 9 ore di manifestazione, i visitatori hanno degustato vino per oltre 650 bottiglie delle cantine Cantina Sant'Andrea, Golan Heights Winery, Recanati Winery, Teperberg 1870, Jerusalem Winery.
Sono stati cucinati 40 kg di ceci (alla base del piatto 'Modello Giudia': pasata e ceci de Piazza), 30 kg di cous cous (cucinato 'Modello Harmony' ai sapori mediorientali), 50 kg di concia (che farcivano le focaccine del Ghetto), 1500 polpettine di carne con sedano e cannella (nel menù per il tipo 'de Piazza'). E sono state consumate 3000 pizzarelle con il miele.
  Il pubblico di Gusto Kosher 2013 poteva scegliere fra tre menu - mediorientale, giudaico-romanesco o street food. Alla fine ha premiato la tradizione, il sacro, la piazza. La maggior parte degli assaggi provati erano quelli proposti nel menu per il tipo 'de Piazza'.
  Tanti gli ospiti all'incontro invitati da Nerina di Nunzio di Food Confindetial alla presenza del Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni. Come l'Ambasciatore di Israele in Italia Naor Gilon, il Presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici, il Presidente della Commissione Cultura di Roma Capitale Michela Di Biase, lo chef stellato Roy Salomon Caceres, il Food Photographer israeliano Dan Lev, il Food Designer Marco Pietrosante, la Responsabile Formazione e Alta Formazione del Gambero Rosso Francesca Riganati, la giornalista e critica gastronomica Elisia Menduni, gli storici osti romani Claudio Gargioli e Arcangelo Dandini, lo Chef Claudio Favale, lo Chef responsabile della formazione in cucina presso il Rome Sustainable Food Project dell'American Academy in Rome Chris Boswell. Un messaggio di saluto è giunto anche dallo chef israeliano Yotam Ottolenghi, da Londra.
  Molto interessante il tema della tavola rotonda Parannanza e Pannolini a cura di Yael Finzi per il Creativity Lab ICPO. Al fianco della scrittrice e psicoterapeuta di bambini, adolescenti e adulti Masal Pas Bagdadi, del responsabile UO Dietologia Clinica Ospedale Pediatrico Bambin Gesù Giuseppe Morino, del rabbino e medico gastroenterologo presso l'Ospedale Israelitico di Roma Cesare Efrati, sono intervenute la blogger di ricette per bambini e ragazzi Natalia Cattelani e la Jewish Mama Flaminia Hannuna. A completare la tavola rotonda anche la Chef Slow Food e patron del ristorante "Spirito Divino" di Roma Eliana Vigneti Catalani.
  Anche il Museo Ebraico di Roma ha raccolto l'invito di Gusto Kosher proponendo il giorno dopo in esposizione il video del making of della mostra 'ColorFood | Fotografie di Dan Lev'. Il video, realizzato in esclusiva per Gusto Kosher, presenta per la prima volta al pubblico italiano il progetto del fotografo israeliano Dan Lev.

(BLOGO, 19 novembre 2013)


Ali Khamenei contro Israele: "E' destinato a scomparire"

La guida suprema iraniana ha inoltre escluso qualunque passo indietro sui "diritti nucleari" dell'Iran, a poche ore dai negoziati con le grandi potenze a Ginevra.

Israele "è destinato a scomparire". Lo ha affermato la guida suprema iraniana, l'ayatollah Ali Khamenei, davanti a 50mila miliziani della forza Basij, in un discorso trasmesso in diretta dalla tv di stato.
"Le fondamenta del regime sionista sono state notevolmente indebolite ed è destinato a scomparire. Nessun fenomeno imposto con la forza può durare", ha dichiarato Khamenei, il cui discorso è stato trasmesso in diretta dalla televisione di stato.
L'Iran non riconosce l'esistenza dello stato di Israele e sostiene i movimenti armati che lottano contro lo stato ebraico.
La guida suprema iraniana ha inoltre escluso qualunque passo indietro sui "diritti nucleari" dell'Iran, a poche ore dai negoziati con le grandi potenze a Ginevra. "Ho insistito sul consolidamento dei diritti nucleari dell'Iran", ha dichiarato Khamenei.
La guida suprema dell'Iran, Ali Khamenei, ha poi chiesto ai negoziatori iraniani di rispettare le "linee rosse" sul programma nucleare di Teheran. "Non intervengo nel dettaglio dei negoziati, ma esistono delle linee rosse che i responsabili devono rispettare senza timore del trambusto dei nemici", ha detto Khamenei. Queste "linee rosse", ha aggiunto, sono in particolare l'arricchimento di uranio e il rifiuto di fermare il sito di arricchimento sotterraneo di Fordo.

(Today, 20 novembre 2013)


“Israele è destinato a scomparire”. Poiché si suppone che Israele non sparirà di sua propria volontà, questo significa che qualcuno si propone di farlo scomparire. La cosa evidentemente non preoccupa Obama.


Per Aamal, oltre le barriere

di Daniel Reichel

Ismail Hanyeh visita la nipotina Aamal all'ospedale di Gaza
Tra i 200 bambini palestinesi che ogni anno l'ospedale di Petah Tikva prende in cura, la scorsa domenica è arrivata anche la nipote di Ismail Hanyeh, primo ministro dell'Autorità nazionale palestinese e al vertice dell'organizzazione terroristica Hamas. Ricoverata a causa di gravi infiammazioni gastrointestinali che hanno danneggiato il sistema nervoso, Aamal Hanyeh, un anno, è arrivata all'ospedale israeliano in condizioni critiche. I medici dello Schneider Children Hospital non hanno potuto fare nulla per lei e hanno dovuto dimetterla perché incurabile.
Nelle stesse ore in cui la bambina veniva visitata dagli specialisti israeliani, Hamas diffondeva la notizia di aver migliorato la propria potenza di fuoco e la gittata dei missili. Ora, dichiarava con orgoglio l'ufficiale di Gaza Salah Bardawil (come riporta il quotidiano online Times of Israel), quei missili potrebbero colpire la zona di Tel Aviv. Per esempio potrebbero arrivare a Petah Tikva, che si trova a nord della metropoli israeliana. E non è un caso se l'ospedale Schneider, l'ospedale che ha ospitato Aamal Hanyeh, abbia rinforzato negli ultimi anni la sua struttura, prendendo precauzioni contro eventuali attacchi missilistici.
Secondo quanto riportano i media israeliani, la bambina è stata ricoverata dopo che da Gaza è arrivata una telefonata dell'Autorità palestinese in cui si chiedeva di ammettere in un ospedale israeliano la piccola. Il Cogat (Coordinatore delle attività governatrici nei territori), era all'altro capo del telefono e ha indicato lo Schneider Hospital. Aamal, cui condizioni erano in continuo peggioramento, è stata immediatamente trasferita in Israele, accompagnata dalla nonna. Dopo le visite, però, è dovuta tornata dalla famiglia a Gaza, ormai impossibile per i medici di Petah Tikva intervenire sulla situazione.
Come Aamal, sono centinaia i palestinesi ammessi ogni mese negli ospedali israeliani. Nel mese di settembre, riporta l'organizzazione medica per i diritti umani di Israele, sono stati 395 i pazienti palestinesi visitati nelle strutture israeliane. Un numero in crescita a causa della situazione egiziana, con il valico di Rafah praticamente sigillato dalle autorità del Cairo. Il passaggio oltreconfine è possibile solo raramente.

(Notiziario Ucei, 20 novembre 2013)


Aymen Saadi, il tunisino diciannovenne arrestato un istante prima di farsi esplodere

La madre racconta il cambiamento del suo ragazzo plagiato dai salafiti. Che sfruttano la "primavera araba" come «un'ottima occasione di formare uno Stato islamico».

di Leone Grotti

 
La madre di Aymen: «Mio figlio è stato manipolato da criminali, terroristi. Prendeva buoni voti, ascoltava musica, poi l'anno scorso è cambiato, quando ha iniziato a spendere molto tempo leggendo siti radicali islamici e parlando con religiosi ultraconservatori in moschea».
Aymen Saadi è un ragazzo tunisino che è passato da giocare come attaccante per la squadra di calcio della sua città, Zarghouan, a cercare di farsi esplodere il mese scorso a Tunisi per «la sharia e il jihad». Subito prima che Saadi venisse fermato, un altro attentatore suicida si faceva esplodere lungo una spiaggia in quello che è il primo attentato nel paese da quando nel 2011 Ben Ali è stato costretto a fuggire.
PLAGIATO DAGLI ISLAMISTI - L'obiettivo originario di Saadi non era attaccare la Tunisia ma andare in Siria a combattere: «Mio figlio parlava della Siria ma mai della Tunisia. È stato manipolato da criminali, terroristi. Lui era solo un adolescente che parlava del jihad», dichiara a Reuters la madre di Saadi, Hayet. «Aymen prendeva buoni voti, ascoltava la musica poi è cambiato l'anno scorso, quando ha iniziato a spendere molto tempo leggendo siti radicali islamici e parlando con religiosi ultraconservatori in moschea».
«VOGLIAMO LO STATO ISLAMICO» - In Tunisia la fazione dei radicali islamici salafiti è molto forte. Dopo il successo delle rivolte del 2011, hanno cercato di instaurare la sharia nel paese tenendo sermoni nelle moschee, distruggendo negozi troppo "occidentali" e impedendo manifestazioni culturali ed esposizioni artistiche considerate come un male di derivazione occidentale da sradicare. «Vogliamo che la Tunisia diventi uno Stato islamico - dichiara uno di loro, Abu Salah, a Reuters - ma il primo passo deve essere fatto in Siria per poi allargarci in tutta la regione. Sono orgoglioso di quanto stanno facendo i miei fratelli in Siria e anch'io andrò là a combattere».
BARBA LUNGA E NIENTE JEANS - Dopo essere entrato in contatto con gli estremisti, anche Saadi è cambiato. «Si è fatto crescere la barba, ha buttato via tutti i suoi jeans per vestire il jilbeb», il vestito tradizionale lungo favorito dai salafiti. A marzo, grazie all'aiuto delle autorità, i genitori sono riusciti ad impedire al ragazzo di andare in Siria a combattere ma Saadi è sparito ad agosto, quando si è recato di nascosto in Libia per addestrarsi con gli altri guerriglieri. «Lui voleva andare in Siria. Quando è stato arrestato, mio figlio ha detto alla polizia che il leader del campo gli aveva chiesto invece di attaccare sul suolo tunisino. Lui ha esitato ma poi si è convinto, temendo che altrimenti l'avrebbero ucciso».
RISULTATO DELLA PRIMAVERA ARABA - Saadi è stato fermato prima di farsi esplodere in mezzo alla folla ma tanti come lui sono pronti a portare avanti la sua missione: «Dopo la Siria toccherà alla Tunisia», dichiara a Reuters un altro membro dei salafiti. «La "primavera araba" in Tunisia, Egitto, Yemen e Libia ci ha dato un'ottima occasione di formare uno Stato islamico dove applicare la sharia». Dopo essere stato arrestato, il ragazzo si è pentito: «Quando l'abbiamo visto in prigione ha chiesto a suo padre di perdonarlo. Ha detto di essere stato manipolato ed è così: usano i ragazzi che credono nell'islam come bombe per raggiungere i loro scopi».

(Tempi, 20 novembre 2013)


1943, l'orrore passa per Padova: «Sentivo le urla dal treno dei deportati»

Cerimonia ieri in stazione, al binario 1, per ricordare il passaggio del treno che deportava gli ebrei italiani nei campi di concentramento: scoperta una lapide. Lo straziante ricordo di Walter Chillin che oggi ha 90 anni.

di Elvira Scigliano

La cerimonia e la targa sul binario 1  
PADOVA - Walter Chillin, oggi gentile nonno di 90 anni, è un breve ma commovente tratto dell'inchiostro con cui il 19 novembre 1943 fu scritta, nella stazione padovana, una drammatica giornata della Shoah.
Quella mattina 1023 ebrei prigionieri, stipati in un treno merci, fermarono al primo binario. Walter aveva 19 anni e, insieme agli altri ferrovieri, sentì urlare e piangere: «È un giorno che non voglio ricordare perché è ancora una ferita aperta», rivela, commosso dopo 70 anni. «Avevo 19 anni, quel giorno mi era toccato il turno 13-20 e dovevo seguire proprio la marcia del treno tedesco, considerato maledettamente importante per i nazisti. Quando le ferraglie hanno smesso di fischiare abbiamo sentito delle urla provenire dall'interno: c'erano donne e bambini. Non potevamo credere ai nostri occhi: pensavamo ci fossero prigionieri di guerra catturati al fronte, mai avrei pensato a bambini anche molto piccoli con le mamme. Alcuni erano pietrificati, altri piangevano, altri ancora urlavano. I più ci supplicavano di dargli un goccio d'acqua, non tanto da mangiare. Quel giorno ho visto in faccia una verità così dura da non riuscire mai più a dimenticare».
Walter e gli altri ferrovieri furono allontanati dai tedeschi, pistole automatiche e molto convincenti in pugno, ma non hanno desistito: nel cuore il bisogno impellente di alleviare la sofferenza di quella gente. «Non c'era da fare gli eroi», continua Walter, «con i tedeschi non si scherzava. Allora abbiamo escogitato di portare il convoglio allo scalo per cercare di guadagnare tempo, dicendo che era necessaria una revisione alla locomotiva. Siamo riusciti così ad avvicinare alcune di quelle persone e, a turno, abbiamo portato acqua e quel poco che riuscivamo a procurare di cibo, ma eravamo una goccia in mezzo al male». Alla sera il treno è ripartito verso Trieste, direzione campo di concentramento di Auschwitz. Degli ebrei sul treno fermato a Padova, ne sono tornati solo 16.
La storia raccontata da Walter, con gli occhi umidi e la voce rotta dalle lacrime, ha commosso i partecipanti alla cerimonia con la quale ieri mattina è stata scoperta una lapide che ricorda il gesto di umana pietà dei ferrovieri in servizio alla stazione di Padova il 19 ottobre del 1943 assieme ad alcune crocerossine. Su quel treno erano stipati oltre mille ebrei deportati dal Ghetto di Roma. Ieri erano presenti anche Roberto Zanovello, consigliere comunale e sindaco di Vigodarzere; Riccardo Pacifici, presidente Comunità ebraica di Roma; Davide Romanin Jacur, presidente Comunità ebraica di Padova; Adolfo Locci, rabbino capo cittadino e il sindaco reggente Ivo Rossi con l'assessore alle Politiche scolastiche Claudio Piron. I ricordi personali dei protagonisti della commemorazione hanno finito per intrecciarsi tra sentimenti e storia: «Su quel treno», confida il rabbino Locci, «c'era la sorella di mio suocero», mentre Pacifici condivide con Padova il ricordo di suo padre curato ad Abano da un «amorevole» medico padovano. Ieri si è «santificata la vita» grazie alle piccole ma giuste azioni dei giusti.

(il Mattino di Padova, 20 novembre 2013)


Mosca - Putin accoglie Netanyahu

Oggi il presidente della Russia Vladimir Putin riceverà nel Cremlino il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il quale si tratterà a Mosca per una breve visita di lavoro.
Si presume che durante l'incontro verranno discusse alcune questione d'attualità legate alla politica internazionale e ai rapporti bilaterali.
I rapporti diplomatici fra i due politici vengono svolti con cadenza regolare, a novembre, su iniziativa di Israele, fra Putin e Netanyahu si svolse una conversazione telefonica durante la quale vennero trattate le più scottanti questioni d'attualità.

(La Voce della Russia, 20 novembre 2013)


Israele, una terra promessa per spiritualità e movida

Un viaggio in auto lungo le strade di Israele, partendo da Tel Aviv, è facile, sicuro e riserva piacevoli sorprese, sia per chi ama la natura sia per chi cerca i luoghi sacri del Cristianesimo.

di Sabrina Talarico

 
Ein Bokek
In poco più di 500 chilometri si passa dalla vivace ed eclettica Tel Aviv alla mistica Gerusalemme, per proseguire fino al Mar Morto e risalire in Galilea fino alle alture del Golan.
Dall'imperdibile Gerusalemme, capitale di Davide e Salomone dove ebbe luogo il martirio di Gesù, si raggiunge dopo soli 10 chilometri l'antica Betlemme in Cisgiordania. Accompagnati da una guida palestinese, che si trova facilmente anche in hotel, è possibile visitare la Basilica della Natività, alla quale si accede da un impervio passaggio sino ad arrivare alla grotta, oggi Patrimonio UNESCO, dove nacque Gesù. Uno spazio lungo e stretto di proprietà di tre Chiese: apostolica armena, greco-ortodossa e cattolica dei Padri Francescani, Custodi della Terra Santa.
Si prosegue verso il Mar Morto, il mare chiuso più salino e basso della terra, per raggiungere uno degli alberghi nella zona di Ein Bokek, rilassarsi e immergersi nelle curative acque ricche di ossigeno e minerali. Non prima di aver fatto tappa nella riserva naturale En Gedi, uno dei più ricchi ecosistemi del Paese, e a Masada, rocca isolata che spunta dal deserto e sulla cui cima piatta, raggiungibile con una funivia mozzafiato, si vedono i resti della città romana di Erode, con i suoi preziosi colonnati e mosaici. Una città dove vissero il loro tragico destino 1.000 ebrei zeloti, che per non cadere nelle mani nemiche dei romani si suicidarono in massa.
Nel risalire il Mar Morto si visita il monte Gerico in Cisgiordania, dove si narra Gesù sia stato tentato per tre volte dal diavolo. Si prosegue lungo il fiume Giordano alla volta dell'antica Tiberiade, oggi vivace meta turistica. Il percorso fa capire quanto il paesaggio di Israele sia variabile e quanto fertile sia ora la sua terra. Distese infinite di serre coltivate si alternano a vigneti e frutteti. Siamo nella verde Galilea, dove ebbe origine il Cristianesimo e dove si trovano i principali luoghi di culto: da Tabga, dove avvenne la moltiplicazione dei pani e dei pesci, a Cafarnao dove Gesù iniziò la predicazione; da Safed, una delle quattro città sante ebraiche, ad Hazor città natale di Pietro che custodisce i reperti archeologici più grandi e preziosi di Israele, divenuti nel 2005 Patrimonio UNESCO; da Cana, dove avvenne il miracolo di trasformazione dell'acqua in vino a Nazaret, casa di Maria e Giuseppe e luogo dell'Annunciazione. Una città grande e caotica con il classico souk nei cui vicoli gustare fresche spremute di melograno. Nella moderna Basilica dell'Annunciazione vale la pena visitare la cripta e i resti di due chiese bizantine e crociate.
In Galilea è consigliabile dormire in kibbutz, comunità fondate sulla proprietà comune, l'eguaglianza e il lavoro senza salario, che oggi accolgono turisti (in piccoli numeri). Chi alloggia in questi non-alberghi può «viverne» le regole e le attività. Uno tra i più antichi e accoglienti è il Lavi Oth, diretto dall'italiano Guido Sasson, con camere semplici e funzionali, una mensa dove gustare cibo kosher, un bel giardino e una splendida vista sulla Galilea.
Da Nazaret si torna verso Tel Aviv, dove girare in auto è facile e comodo. Qui si cambia scenario. La storia antica si mescola con modernità, movida e frenetico desiderio di vita, in un frullatore che restituisce un prodotto di qualità dal sapore dolce e autentico.
Per volare in Israele: www elal.co.
Per maggiori informazioni sul Paese: www.goisrael.it.

(il Giornale, 20 novembre 2013)


Israele, terra promessa della creatività

L'interesse per l'arte e la cultura in Israele risale a molto tempo prima della stessa fondazione dello Stato nel 1948 e affonda le sue radici tanto in Occidente quanto in Oriente, assorbendo influenze sociali e culturali provenienti da ogni parte del mondo. Ciononostante, Israele ha cercato da sempre di maturare una propria identità artistica, anche attraverso la creazione di spazi museali e privati, di accademie e scuole d'arte, come la Bezalel Academy of Art and Design fondata nel 1906, il Beit Berl College nato nel 1944 e all'interno del quale si trova la Hamidrasha School of Art, e il più giovane Shenkar College of Engineering and Design, fondato nel 1970 con l'obiettivo di formare l'industria israeliana dedicata al design e all'ingegneria....

(Artribune, 20 novembre 2013)


Danimarca - Aggredito il poeta palestinese che critica l'islam

Si trovava alla stazione di Copenhagen. Pugni e insulti. Noto per le sue critiche alla comunità musulmana, non è la prima volta che riceve minacce di morte.

Yahya Hassan
COPENHAGEN, 19 nov - Lo ha colpito alla testa con un pugno poi gli ha gridato: "Sei un infedele, devi morire". E' stato aggredito così ieri sera, su una banchina della stazione di Copenhagen Yahya Hassan, il poeta 18enne danese figlio di immigrati palestinesi, noto per le critiche alla comunità musulmana della Danimarca.
L'aggressore è già stato identificato dalla polizia. Ha confessato quasi subito Isaac Meyer, 24 anni, secondo il tabloid danese Ekstra Bladet ha precedenti per terrorismo e nel 2007 è stato condannato a sette anni di carcere. Ora ne rischia altri tre per aver picchiato e insultato Yahya Hassan.
Non è la prima volta che il poeta diciottenne riceve minacce di morte. Era già successo in ottobre, dopo la sua partecipazione al programma della TV danese Deadline. Aveva raccontato lo spaesamento delle seconde generazioni, puntando il dito contro l'incapacità dei genitori immigrati di educare i figli in un altro Paese.
A farlo conoscere al pubblico danese e alla stampa internazionale un'intervista rilasciata al sito Politiken dove sosteneva che se molti figli di immigrati prendono la strada della criminalità la colpa non è dello Stato ma della famiglia d'origine.
Cresciuto in una famiglia violenta, Hassan è stato allontanato dai genitori, ha lasciato la scuola a 13 anni ed è stato affidato ai servizi sociali danesi. Rapper per passione, ora frequenta una scuola di scrittura.
A quasi dieci anni dalle contestate vignette in cui Maometto era raffigurato con una bomba al posto del turbante (anche l'autore Kurt Westerggard aveva ricevuto minacce di morte e ora vive sotto protezione ad Aarus, la stessa città di Hassan) il diabattito sull'Islam torna ad essere un tema di primo piano in Daminarca. Al centro, ora Yahya Hassan, più che per l'aggressione, per la sua prima raccolta di poesie.
Il libro - che per titolo sceglie il suo nome - è diventato in breve un fenomeno letterario e politico: in meno di due settimane ha venduto 32 mila copie.

(RaiNews24, 19 novembre 2013)


Rising Star: il nuovo talent made in Israele che cambia le regole del gioco

diI Simone Rausi


RISING STAR: NOVITA DA ISRAELE - In materia di talent show ne abbiamo viste davvero di tutti i colori: cantanti, ballerini, attori, talenti vari in stile Corrida, giudicati dal pubblico, da giudici di spalle, da professori esterni. Insomma, quando sembrava che nulla di nuovo potesse essere ancora inventato ecco arrivare Rising Star. Un format nuovo, innovativo e al passo coi tempi. Penserete che Rising Star arrivi dritto dritto dagli Usa o al massimo dai nostri cugini inglesi. E invece no, trattasi di un prodotto made in Israele, una terra dove la connessione internet è un lusso. E pensare che Rising Star fonda tutto su quello. Rising Star infatti è un talent show "social", molto più di X Factor. "Nei talent di oggi non c'è drama" ha detto Avi Nir, a capo di Keshet, che produce e vende il format. "L'unico elemento drama che c'è è la reazione dei giudici, ma è diventata troppo banale e prevedibile. Volevamo riportare il drama in ogni voto". Ma vediamo come funziona.

LE REGOLE DI RISING STAR - Il meccanismo è semplice semplice ma geniale. Gli artisti di turno si posizionano davanti a un enorme videowall e non appena cominciano a cantare ecco spuntare una serie di facce. Sono i profili social delle persone che stanno votando l'esibizione. Chiunque, scaricando l'app gratuita di Rising Star, può scegliere in tempo reale se l'artista può passare il turno o meno. Man mano che il cantante canta il contatore accumula punti. Basta il 70% dei consensi positivi per fare alzare il videowall, un enorme muro che scherma i cantanti dal pubblico, e concludere la performance davanti agli applausi. Chi non raggiunge la soglia prevista resta dietro il muro e viene eliminato. I tre giurati votano allo stesso modo ma il loro voto ha un peso maggiore. Resta però il pubblico il sovrano assoluto del programma.

E IN ITALIA? - Il format ha raggiunto numeri altissimi in Israele (ben il 49% di share, numeroni). Rising Star andrà in onda questa estate negli Usa (la ABC lo ha già acquistato) mentre in Europa è scattata la corsa all'acquisto. Per l'Italia si è fatta avanti la Toro Produzioni, la stessa di The Voice, ma le possibilità che il talent possa scontrarsi con il diretto competitor della stessa famiglia sono remote. Dove e quando andrà in onda Rising Star? Presto aggiornamenti.

(LaNostraTV.it, 19 novembre 2013)


"Prima di diventare numeri". In mostra il rastrellamento del ghetto di Roma

 
Prima di diventare numeri nei lager nazisti, furono uomini, donne e bambini. I loro 1022 nomi sono scritti sul muro che precede l'entrata alla mostra "16 ottobre 1943. La razzia degli ebrei di Roma", visibile gratuitamente fino al 30 novembre al Complesso del Vittoriano.
Le Schutz-Staffeln (SS) quel sabato mattina, diedero agli ebrei meno di mezz'ora per prepararsi ad una partenza dalla destinazione sconosciuta. "Che voi che ce fanno, mica c'ammazzeranno. Andiamo a lavorare." così rassicurò le figlie, la mamma di Settimia Spizzichino, ignara come molti nella comunità, dei crimini efferati di cui i nazisti si sarebbero presto macchiati. Della sua numerosa famiglia rimase in vita solo Settimia, unica donna tra i sedici sopravvissuti del ghetto di Roma, che tornò dopo l'internamento, gli esperimenti di Mengele e la "Marcia della Morte". Scomparsa nel 2000, dopo una vita spesa a testimoniare l'inimmaginabile esperienza dei lager, la Spizzichino fa parte della pluralità di voci che hanno tramandato anche il ricordo del rastrellamento, l'attimo in cui "il dramma entrava nella vita" (Giacomo Debenedetti).
La mostra trova il suo fulcro proprio nella storia orale che gli scampati ed i sopravvissuti hanno tramandato in questi 70 anni. Oltre infatti, alla ricca documentazione sulla storia della comunità ebraica di Roma, che mette in evidenza il complesso rapporto con la chiesa e l'importante contributo degli ebrei alle attività politiche e sociali della città, la mostra propone un video della durata di 45 minuti con le testimonianze di chi visse il rastrellamento del ghetto. Storie terribili di cittadini strappati un giorno qualunque alla propria vita, l'ultima testimonianza di una memoria collettiva che si interruppe il 16 ottobre 1943, lasciando spazio alla solitudine dell'esperienza individuale.
L'avvocato Dante Calò quel giorno lo segnò sul calendario. Il piccolo foglio ingiallito, esposto in una teca della sala superiore, riporta la data del rastrellamento e la frase manoscritta "Infamia Tedesca". Due parole che macchiano indelebilmente le giubbe degli ufficiali, ritratti nella loro perfezione ariana, sulle foto appese alle pareti. Sotto, tra i documenti in mostra, spicca la scheda personale di Herbert Kappler, condannato all'ergastolo per l'eccidio delle Fosse Ardeatine e a 15 anni di carcere per l'estorsione dell'oro della comunità ebraica di Roma. Nella sua valutazione si legge "privo di difetti e debolezze".
Le foto delle vittime sono invece una moltitudine, ammassate sulle pareti del piano inferiore, cristallizzate nella gioia del passato, della vita che non tornerà più. I loro ritratti chiudono la sezione dedicata alla deportazione, ricca di documenti, lettere ed oggetti appartenuti alle famiglie scomparse.
Le leggi razziali fasciste del 1938, complice la tiepida reazione della Chiesa a riguardo, trasformarono gli ebrei, cittadini italiani dal 1870, di nuovo in una minoranza.
L'isolamento della comunità spianò la strada ai nazisti che, all'alba del 16 ottobre 1943, prelevarono 1022 romani dalle loro case, trasportandoli due giorni dopo, in vagoni piombati ai campi di sterminio.
Roma si svegliò quel sabato mattina, derubata di un pezzo della sua storia.

(Euroma.it, 19 novembre 2013)


Ricoverata in Israele la nipote del primo ministro di Hamas

Secondo i medici non ci sono speranze di salvare la vita alla nipote di Ismayel Haniyeh. La bimba, colpita da una gravissima malattia gastrointestinale, è stata portata in ospedale a Tel Aviv. Dopo alcune ore, considerate le sue condizioni, è tornata insieme alla madre nella Striscia di Gaza.

GAZA, 19 Nov - La nipote del capo del governo di Hamas a Gaza, Ismayel Haniyeh, è stata ricoverata in Israele. La bambina è in condizioni critiche: soffre di una grave malattia gastrointestinale e sabato pomeriggio è stata portata nell'ospedale Petah Tikva a Tel Aviv. Dopo che i medici israeliani hanno stabilito che le sue possibilità di sopravvivenza sono nulle, la piccola è però tornata insieme alla mamma nella Striscia di Gaza.
Il sito del quotidiano Yedioth Ahronoth scrive che Amaal Haniyeh soffre di una grave infezione del sistema digestivo che ha attaccato il suo sistema nervoso e il suo cervello. Non era un segreto perché il figlio di Haniyeh, Abdessalam Haniyeh, sulla sua pagina Facebook, ha scritto "Fratelli cari, Amaal ha oltrepassato la linea verde (cioè la frontiera con Israele) e io prego Dio che l'aiuti e faccia guarire mia figlia, che si trova in una condizione di morte clinica".

(RaiNews24, 19 novembre 2013)


Kirill racconta

L'evangelista ebreo russo Kirill Swiderski sarà fra pochi giorni in Italia . Da uno degli ultimi numeri del periodico in lingua tedesca che dirige, "Kol Hesed", riportiamo due estratti. Nel primo, ambientato a Mosca, Kirill descrive le singolari ed impreviste circostanze che l'hanno condotto alla fede personale in Gesù, cosa che ha cambiato radicalmente la sua vita. Nel secondo, ambientato in Germania, racconta l'effetto provocato nella sua comunità ebreo-messianica dall'inaspettata visita di un arabo palestinese.

Un mio zio, cugino di mia madre, all'età di dieci anni arrivò a Mosca. Non poteva tornare al suo paese d'origine perché tutti i suoi familiari erano stati uccisi nelle camere a gas tedesche. Di lui si prese cura la sorella di sua madre, che viveva a Mosca. Arrivato all'età adulta, mio zio sposò una russa-tedesca, e dopo un certo tempo si trasferì in Germania. Questo solo fatto provocò un'ondata di indignazione nella nostra parentela: alcuni troncarono ogni contatto con lui; sua zia non riuscì a sopportare la cosa e poco dopo semplicemente ne morì.
   Nelle discussioni che facevamo in famiglia, come sempre in cucina, soppesavamo i pro e i contra della faccenda, pendendo piuttosto dalla parte dei contra. La nostra opinione però si modificò lentamente a favore del nostro zio in Germania dopo il primo, e poi il secondo, e poi il terzo pacco pieno di buona roba che ci arrivava da parte sua. Dopo un po' di tempo a casa nostra nessuno più si meravigliava se qualcuno, alzando il ricevitore del telefono che squillava, sentiva la lontana voce del nostro zio - un parente tedesco!
   In una occasione il motivo della sua chiamata fu molto particolare. Una giovane famiglia (due adulti e due bambini), vicini di casa del nostro zio in Germania, si trovavano momentaneamente a Mosca, in viaggio verso il Kirgistan. Non avevano comprato in tempo il biglietto per il successivo volo e quindi adesso erano costretti a cercare un posto dove passare la notte in quella città con milioni di abitanti a loro sconosciuta. Non trovammo la forza di dire "no", e così dopo poche ore quella famiglia si trovava a casa nostra.
   Qui bisogna dire che a quel tempo il nostro appartamento assomigliava da una parte a una biblioteca comunale e dall'altra a un deposito di smistamento di materie prime. Dove non c'erano scaffali pieni di libri si trovavano mucchi di vecchi giornali e riviste in attesa di diventare in un lontano futuro carta di riciclaggio. Non riesco a ricordare i miei genitori senza un libro in mano. La lettura e la cosiddetta autoformazione erano per noi fatti fondamentali. Oltre a questo, andavamo regolarmente a teatro, sentivamo concerti di musica classica e ci circondavamo di persone di rango adeguato, i cosiddetti intellettuali, tra i quali naturalmente pensavamo di trovarci anche noi. Il resto del mondo non ci interessava: lì c'era soltanto roba di scarto.
   Bene, la famiglia entrata a casa nostra veniva dalla Germania e voleva andare in Kirgistan con la speranza di poter vivere lì almeno un paio d'anni. Cosa che già in sé era strana. Conoscevamo persone che si erano mosse nella direzione opposta, e per decisioni di questo tipo avevamo comprensione. In più venimmo a sapere che il capo di quella strana famiglia era un elettricista. "E già", mi dissi ironico, "fa parte certamente dello stile di vita di un elettricista prendere tutta la sua famiglia dall'Europa e trasportarla in Kirgistan!"
   Dopo aver fatto una lunga fila al supermarket, sedevamo tutti insieme intorno al tavolo da pranzo. "Posso pregare?" chiese improvvisamente l'elettricista, cosa che quasi mi mozzò il respiro. Ci fu un minuto di silenzio. Una cosa simile non me l'aveva chiesta mai nessuno. "Prega", mi venne fuori, e pensai: "Che cosa può fare un elettricista in viaggio per il Kirgistan se non pregare?" E Andrej, così si chiamava, pregò: "Signore, ti ringrazio per questo pane..." "Che preghiera ingenua!" pensai. "Che elettricista ingenuo! Invece di ringraziare me per il cibo che è sul tavolo - del resto, non solo pane - e anche per tutte le altre cose che io, con i miei soldi, ho comprato in quel sudicio supermarket dopo aver fatto la fila per ore, lui ringrazia Dio, e non solo Dio, ma anche Gesù, che dice di averlo salvato da qualche cosa!"
   Dopo che tutti in coro avevano detto "Amen!", la situazione intorno al tavolo improvvisamente si distese, e inaspettatamente ci rallegrammo con quella strana famiglia in viaggio verso il Kirgistan.
   Rimasero a casa nostra non uno o due giorni, ma circa due settimane. Ci intrattenevamo a lungo la sera e - quale che ne sia il motivo - trovavamo piacevole la cosa. Il fatto prodigioso fu che della loro presenza in casa nostra non ci stancammo, anzi alla fine non volevamo neanche più separarci. Partirono, e sullo scaffale rimase il loro regalo: una Bibbia nera. "Voi leggete così volentieri!" disse Andrej salutandoci.
   Un giorno, mentre mia moglie ed io discutevamo su quello che ci era accaduto negli ultimi tempi, arrivammo a questa conclusione: qualcosa era cambiato nella nostra vita: chiaramente, ci mancava quello strano elettricista con la sua famiglia. Non avevamo abbastanza... pace, shalom, e per ottenerla in realtà eravamo disposti ad abbandonare tutte le nostre convinzioni, quella pseudocultura, quella maschera dietro alla quale il nostro vero e, per dirla sinceramente, brutto io era nascosto.
   Proprio in quel giorno ci trovavamo in uno stato di eccitazione perché stavamo aspettando un'altra famiglia missionaria dalla Germania, che avrebbe dovuto raggiungere Andrej a Naryn. La sera, come sempre in cucina, letteralmente lo bombardammo con ogni tipo di domande su fatti e temi biblici. Quando il nostro fuoco di fila finì, lui sorrise: "Vi ho capiti - disse -, preghiamo insieme!" Questa proposta suscitò improvvisamente nel mio cuore un insieme di emozioni positive. Chiudemmo gli occhi... Non ricordo più le parole della mia prima preghiera, ma soltanto che quando riaprimmo gli occhi lacrime scorrevano sulle guance di mia moglie, e anch'io dovetti trattenermi per non scoppiare a piangere. Per la prima volta in vita mia provavo una pace che mi riempiva completamente. Ero in pace con me stesso. Così bene non mi ero mai sentito.
   Jeshua è questa pace. Jeshua significa soprattutto pace. Egli ci ha riconciliati con il Padre, e Lui con noi. Il nostro nome Israel (Dio combatte per te) non dipende dal fatto che siamo nati da genitori ebrei, ma dal fatto che Dio ha smesso di combattere contro di noi, anzi, si è messo dalla nostra parte. In questo consiste la pienezza del popolo ebraico, il vero significato della circoncisione, la Torà, l'intero Tanach, tutta la Bibbia.

*

Poco tempo fa è arrivato un arabo nella nostra comunità. Palestinese, 22 anni, cristiano. Mi chiese il permesso di avere a disposizione dieci minuti per dare la sua testimonianza. Non è stato facile per me dire "sì". E' risaputo che la Palestina è piena di religiosi cristiani che per motivi teologici sognano di poter distruggere lo Stato ebraico. Ma la mia curiosità è stata più forte: un giovane arabo era disposto a condividere le sue esperienze in una comunità ebraica. Dissi: "Okay, ma solo dieci minuti." Appena cominciò a parlare nella sala calò il silenzio. "Sono un arabo, un palestinese", disse, "ma ho un cuore ebreo. Dopo che sono arrivato alla fede nel Messia ebreo, Dio ha cambiato il mio cuore. Me ne ha dato uno nuovo, ebraico. E io amo Israele, e prego ogni giorno per la pace in questo paese e per questo popolo."
   Ha parlato poi dei problemi che gli vengono dai connazionali della sua comunità, che lo considerano un traditore della causa palestinese; e ha parlato delle meravigliose benedizioni di gioia e pace che lo riempiono per ventiquattro ore al giorno. Alla fine ha detto: "Se Dio ama noi, quanto grande deve essere il suo amore per voi! Se Dio benedice noi, quanto grandi devono essere le benedizioni per voi!" Ho guardato nella sala, ho visto persone piangere. Improvvisamente mi è divenuto chiaro: noi possiamo non solo vivere insieme agli arabi, ma possiamo anche amarli di tutto cuore se Jeshua è in mezzo a noi. Non è possibile capire questo, spiegarlo: si può soltanto viverlo.
   L'ho abbracciato e l'ho benedetto in lingua russa. Lui ha chiesto di poter pregare per la nostra comunità, e l'ha benedetta in lingua ebraica.
   "Perché Egli è la nostra pace, Egli che dei due ne ha fatto uno..." ha scritto Paolo dalla prigione. Lui conosceva la pace, l'aveva sperimentata perfino in una prigione romana, e più tardi nel luogo della sua uccisione. Potevano togliergli la libertà di movimento, perfino la vita stessa, ma non la pace, il cui valore il grande apostolo delle genti ben conosceva.

(Kos Hesed, Nr. 1(29) 2013, trad. www.ilvangelo-israele.it)


In quel tempo Gesù prese a dire: Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai savi e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli fanciulli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto. Ogni cosa mi è stata data in mano dal Padre mio; e nessuno conosce il Figlio, se non il Padre, e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio e colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati, e io vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo ed imparate da me, perché io sono mansueto ed umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero.
Matteo 11:25-30



 

Dov'è Guy Hever, il soldato israeliano scomparso da sedici anni?

C'è una storia misteriosa della quale non parla più nessuno da anni: quella del soldato israeliano, Guy Hever.

Aveva finito il suo turno di guardia in una torretta al confine con la Siria. Era l'estate del 1997. Da quel momento di Guy Hever, all'epoca 20 anni, soldato dell'esercito israeliano è scomparso. Nessuno sa niente di lui e non c'è niente che possa far capire cosa gli è successo. Ne parla oggi sul Corriere, Elisabetta Rosaspina
Sarà un uomo e non più il ragazzo di 20 anni che mal sopportava la disciplina militare della base israeliana di Haraam (il «Tuono»), all'epoca segreta, cui era stato assegnato al secondo anno di servizio di leva.
Sarà un uomo, e non un redivivo come lo riterrà il resto di Israele e del mondo, perché, per Rina Hever, Guy non è morto. Non si è ucciso, come insinuarono a suo tempo le inchieste militari. Non è precipitato in un burrone. Non si è perso negli anfratti del Golan. È semplicemente scomparso alle 9 di una domenica mattina, il 17 agosto 1997. Il giorno prima aveva ricevuto la visita dei genitori e gli oggetti che aveva chiesto loro: libri di fantascienza, la sua passione; accessori per il computer, un paio di forbici. «Oggetti normali - ricorda sua madre -. Ci aveva telefonato il venerdì, cinque volte, sempre per aggiungere qualcosa che gli mancava. E questa è sembrata una stranezza agli investigatori, quasi il preambolo di una fuga. Ma che c'è di strano in un libro o in un paio di forbici?».
Nulla, in confronto alla smaterializzazione di un soldato in divisa d'ordinanza, a piedi, con il suo fucile a tracolla, in un'area assai poco popolata, al confine con il territorio siriano: «È stato rapito - ripete, senza stancarsi, Rina -. Di lui non è stato ritrovato più nulla. Né l'arma, né la piastrina di riconoscimento, i documenti, niente di niente.

(Journal, 19 novembre 2013)


Apple compra l'israeliana PrimeSense

Suo il sensore 3D del controller Kinect della Xbox

di Gianni Rusconi

Se ne parla da luglio, ora siamo vicini all'annuncio ufficiale. Apple, secondo il quotidiano finanziario israeliano Calcalist, ha comprato per 345 milioni di dollari PrimeSense, azienda di Tel-Aviv specializzata in tecnologie per i sensori di movimento 3D. La casa di Cupertino dovrebbe rendere pubblica l'operazione nelle prossime settimane anche se dalla società direttamente interessata arrivano smentite in proposito. Perchè è importante questo nuovo investimento della Mela in Israele, dopo l'acquisizione per circa 400 milioni di dollari di Anobit (memorie flash) a inizio 2012?
Per vari motivi, e il primo di questi è il seguente: PrimeSense è nota agli addetti ai lavori soprattutto perchè ha realizzato il sensore del controller Kinect della Xbox 360. Nel curriculum della start up ci sono quindi progetti realizzati nel campo della robotica (Ava di iRobot), degli scanner 3D e dei gadget per l'home entertainment (Asus Xtion).

- La tecnologia motion sensing per iTV e iWatch?
  Apple, questa la prima possibile conseguenza dell'acquisizione, potrebbe integrare sensori simili a quelli creati per la console di di Microsoft nella sua fantomatica iTV o nei suoi futuri "wereable device" (l'attrettanto fantomatico iWatch) per garantire il controllo dell'apparecchio tramite i movimenti del corpo e senza toccare alcuno schermo touch.
La stessa tecnologia a infrarossi invisibile all'occhio umano, che lavora in combinazione con un system on chip sviluppato dalla stessa PrimeSense, sarebbe ovviamente portata a bordo di iPhone, iPad e MacBook. Stando ai bene informati, a Cupertino sarebbero inoltre intenzionati anche a proporre tale tecnologia sul mercato in licenza d'uso, e tale ipotesi apre ovviamente la porta a nuovi scenari nel campo dei sistemi di motion sensing e di interazione naturale applicati ai prodotti di gaming e di computing.
PrimeSense, questo è certo secondo il Calcalist, ha saputo raccogliere finanziamenti per 85 milioni di dollari da venture capitalist israeliani e americani (fra cui Canaan Partners Global, Gemini Israel e Genesis Partners) e avrebbe rifiutato una prima offerta arrivata da Cupertino di 280 milioni di dollari. Alzando la posta a 345 milioni, ecco che il deal sarebbe in dirittura d'arrivo.

(Il Sole 24 Ore, 18 novembre 2013)


Netanyahu chiede ad Abu Mazen di venire alla Knesset

GERUSALEMME, 18 nov - ''Chiedo al presidente Abu Mazen di venire qui alla Knesset e di riconoscere la relazione tra gli ebrei e la terra d'Israele''. Lo ha detto Benyamin Netanyahu, citato da Haaretz, intervenendo in parlamento davanti a François Hollande. Il premier ha poi invitato Abu Mazen ''a metter fine allo stallo'' e si e' detto pronto ad andare a Ramallah.

(ANSA, 18 novembre 2013)


Qui la cultura del gusto è senza latte

All'Alef di San Salvario una sorpresa continua

di Luca Ferrua

  
Le sorprese del forno
TORINO - Siamo nel cuore di San Salvario a due passi dalla Sinagoga e si scopre qui una delle più interessanti rivelazioni della nuova ristorazione torinese, il ristorante ebraico Alef.
La vera rivelazione però non sono pranzi e cene ma le colazioni dove ogni golosità e assolutamente priva di latte ovvero rigorosamente kasher. Un grande regalo della cultura ebraica che regala una naturale leggerezza di ingredienti, perfetta per cominciare la giornata.
Alcune delle parole chiave sono strudel di mele con pasta lievitata e ripieno di uvetta e cannella come si fa in Polonia; torta di miele (dolce tipico del capodanno ebraico); il «Farsburg» (un pasta lievitata ripiena di semi di papavero) e ancora le rose di pasta lievitata con crema alle mandorle e pere. Sono dolci - ci spiace per chi parte con il salato - che sanno sorprendere per consistenza e sapore.
Qui ogni piatto, ogni specialità viene offerta con l'orgoglio di che mette a disposizione un pezzo della sua cultura. Ogni sapore è un viaggio. Anche fermandosi soltanto al bancone, come può accadere con la colazione, si riceve in dono la spiegazione di ogni ricetta, il dettaglio di ogni ingrediente, la sua storia e il migliore abbinamento. Sono tanti i locali in città che fanno cultura del gusto e questo angolo di San Salvario - e dove poteva essere altrimenti - merita un posto con i migliori.

(La Stampa, 18 novembre 2013)


Il ministro degli Esteri iraniano in visita a Roma

Zarif incontrerà Emma Bonino sulla strada di Ginevra. Non gradimento dell’ambasciata israeliana a Roma.

ROMA, 18 NOV - Passa per Roma la strada che porterà il ministro degli Esteri iraniano Mohammed Javad Zarif per il terzo atteso round di negoziati con le potenze del '5+1' sul dossier nucleare di Teheran. Zarif vedrà domani alla Farnesina la collega Emma Bonino, per un incontro già previsto l'8 novembre scorso in una pausa nei precedenti colloqui di Ginevra, ma poi rinviato proprio per la convulsa girandola dell'iraniano ai tavoli dei diversi protagonisti della trattativa.
Una visita che però non è gradita all'ambasciata di Israele in Italia, che attraverso fonti diplomatiche fa sapere di giudicarla "prematura": "L'Iran è entrato nel negoziato con i '5+1' solo sotto le pressioni internazionali". "Queste visite e il corteggiamento del business con l'Iran prima della fine dei negoziati - proseguono le stesse fonti - rafforzano la sua percezione di potere nei negoziati e influenzano negativamente le opzioni per il raggiungimento di un buon accordo". Per Israele, inoltre, Teheran "ha una grossa responsabilità per le migliaia di morti in Siria, con il sostegno diretto del regime di Assad".
In un'intervista al Corriere della Sera, la scorsa settimana, il ministro Bonino ha annunciato che con l'Iran l'Italia sta "mettendo a punto un piano di scambi e cooperazioni, non solo in campo energetico". Pur mettendo in guardia da un "eccessivo ottimismo" sulle aperture del nuovo presidente Hassan Rohani sul nucleare e sul disgelo con gli Stati Uniti dopo 30 anni, e invitando a basarsi "sui fatti e non solo sulle dichiarazioni", la titolare della Farnesina ha infatti più volte rivendicato per l'Italia il primato di aver aperto un dialogo con Teheran all'indomani della vittoria di Rohani.
Il viceministro degli Esteri Lapo Pistelli si recò in visita a Teheran in agosto, appena tre giorni dopo il giuramento del presidente, al quale consegnò una lettera del premier Enrico Letta con l'obiettivo di "manifestare l'attenzione del governo italiano". "Siamo stati come Italia e come italiani antesignani di un'apertura di dialogo con la nuova amministrazione iraniana", ha ribadito ancora Bonino nei giorni scorsi, spiegando di aver voluto "anche mostrare rispetto verso un popolo che ha partecipato enormemente all'ultima tornata elettorale e che voleva voltare pagina".
A non gradire la visita di Zarif è anche il Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana in Italia.

(ANSAmed, 18 novembre 2013)


Il ministro degli Esteri dei mullà a Roma

Negli ultimi cinque mesi dall'elezione di Rouhani a oggi sono stati impiccati piu di 320 prigionieri
   
La vista di Javad Zarif, domani 19 novembre 2013, non ha altro scopo che fomentare le supposizione sul moderatismo inesistente di Rouhani e conquistare il tempo prezioso per potere seguire la sua politica dell'oppressione interna, dell'espansionismo nella Regione e l'ottenimento delle armi nucleari.
Questa vista avrà luogo a Roma, mentre negli ultimi 5 mesi dopo elezione di Rouhani a oggi, sono state impiccate piu di 320 prigionieri ( anche politici ) in Iran; una persona ogni 7 ore!
L'oppressione e la censura integrale comprende tutto il paese. Scrittori e artisti finiscono in carcere. L'internet è fortemente controllato ed è sotto la censura, l'uso delle TV satellitare è proibito. Il progresso del governo di Rouhani consiste, per ora solo nel frantumare le parabole satellitari sotto i cingolati dei carri armati dei pasdaran.
Nonostante gli insignificanti sorrisi di Javad Zarif, il progetto della produzione delle armi nucleari prosegue con la massima velocità.
Il governo iracheno, sull'ordine del regime iraniano oppressore, ha effettuato un genocidio, il 1o settembre, al campo Ashraf in Iraq, trucidando 52 persone su 100 residenti. Passano 79 giorni da quando i sette ostaggi, di cui 6 donne sono nelle mani delle forze irachene.
Le ingerenze del regime iraniano in Siria, ormai hanno dimensioni vastissimi, dove questo paese è sotto l'occupazione latente del regime dei mullà. secondo le dichiarazioni delle autorità iraniane in Siria ci sono decine battaglioni dei pasdaran che difendono la sopravvivenza di Bashar Assad e massacrano la popolazione siriana.
L'unico risultato del viaggio di Zarif in Italia è celare la natura e il comportamento del regime teocratico, sciogliere le sue mani nella repressione della popolazione iraniana, incitarlo a proseguire l'espansionismo nella Regione, in particolare in Siria e trovare tempo per completare la costruzione delle armi nucleari; il che metterà il mondo intero in una situazione catastrofica.

(Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, 18 novembre 2013)


A lezione di ebraico coi graffiti di Tel Aviv

Lungo strade di Florentine, il metodo 'ambulante' di Guy Sharett

di Massimo Lomonaco

Fotogalleria
TEL AVIV - Imparare l'ebraico per strada, studiando graffiti murali, placche e insegne a Florentine, quartiere un tempo degradato di Tel Aviv e ora, invece, luogo della movida notturna della citta'. L'idea - che da due anni a questa parte gode di un crescente successo - e' di Guy Sharett, appassionato linguista e insegnante che sembra aver scoperto una buona formula per lo studio di un idioma a prima vista piuttosto arduo. E cosi' ogni settimana - di norma il venerdi' pomeriggio - gruppi di studenti di tutte l'eta' e nazionalita' (compresi alcuni italiani) si aggirano per le storiche strade di Florentine, sostando davanti a graffiti e scritte accuratamente selezionati per capire "attraverso i segni e la cultura popolare la societa' israeliana". "La rivoluzione - spiega Sharett in un buon italiano, studiato a Firenze - non e' ancora entrata nell'insegnamento delle lingue. E' ora di uscire dal chiuso delle scuole e da dietro i banchi". E quelli che lui chiama i "sopravvissuti all'Ulpan" (il corso classico per chi vuole imparare l'ebraico) sembrano dargli ragione. "Ho cominciato con un avviso su Facebook - racconta Sharett, discendente della famiglia di Moshe' Sharett, leader laburista che fu tra i padri della patria e primo ministro di Israele dal 1953 al 1955 - Con mia grande sorpresa al primo appuntamento c'erano 20 persone. Poi, sempre di piu"'. Il tour 'linguistico' di Sharett - che varia di giorno in giorno - qualche volta arriva a un graffito, su un muro del quartiere, con il profilo inconfondibile di Theodor Herzl, il fondatore del sionismo. Il suo famoso slogan - che appare sotto il ritratto - sulla nascita dello stato ebraico 'Se lo vuoi, non e' un sogno' e' stato trasformato in 'Se non lo vuoi, non ne hai bisogno'. Munito di lavagna di plastica, davanti agli studenti, Sharett spiega le parole ebraiche, ne richiama le connessioni linguistiche, l'uso dei tempi, ma, al contempo, insegna anche il "senso politico" di quel graffito. Altro esempio di questa nuova didattica sono addirittura i tombini comunali: quelli piu' vecchi del 1937 dove non appare, accanto a Tel Aviv, il nome di Yafo (Giaffa) e quelli piu' recenti in cui invece appare accanto secondo la dizione attuale del comune. Se Florentine e' il 'must' delle lezioni di Sharett, la sua scuola ambulante d'ebraico, alla ricerca dei "segni", non si esaurisce pero' nel quartiere .
  "I termini legati al mondo del mare - aggiunge con soddisfazione - li spiego al porto di Giaffa; l'uso passivo del verbo invece al cimitero monumentale di Trumpeldor, nel cuore di Tel Aviv. Attraverso le parole, risaliamo il corso della storia". Molti degli studenti rimangono poi colpiti dai versetti della Bibbia disegnati con lo spray sui muri: "per loro, stranieri, e' del tutto inusuale, ma qui invece - prosegue - e' comune e il piu' delle volte ha un vero e proprio richiamo politico"." Invece di sgobbare su testi noiosi fatti per gli studenti, il nostro vagabondare per la citta' - insiste Sharett - ci fa usare occhi e orecchie. E cosi' siamo portati a ricordare nuove parole, espressioni e nozioni". Anche quelle piu' problematiche: come nel caso - ricorda l'insegnante - di 'Tsahal über alles', un graffito malizioso, apposto da militanti pacifisti in occasione dell'ultima guerra a Gaza: che accosta l'acronimo 'Tsahal' (esercito israeliano) a 'Über alles' (sopra tutti), strofa dell'inno tedesco usato con grande pompa dai nazisti e ora proibita. Critica politica estrema, attraverso la lingua, che Sharett non manca di spiegare ai suoi studenti.

(ANSAmed, 18 novembre 2013)


Firenze si inchina al coraggio di Bartali

di Adam Smulevic

 
L'ambasciatore d'Israele a Roma Naor Gilon consegna l'attestato dello Yad Vashem ai tre figli di Gino Bartali: Andrea, Luigi e Biancamaria
A una settimana dalla solenne cerimonia organizzata nel 70esimo anniversario della deportazione di ebrei dalla Toscana la sinagoga di Firenze torna a riempirsi di gente, emozioni, testimonianze. Oggi si racconta un'altra storia, di genere diametralmente opposto: la storia di Gino Bartali il Giusto, che lo Yad Vashem celebra con il tributo più significativo per il suo impegno come staffetta clandestina e protettori di ebrei durante il nazifascismo.
Tra gli ospiti della Comunità ebraica di Firenze, del suo presidente Sara Cividalli e del rabbino capo Joseph Levi, alcuni testimoni del coraggio di Gino: Giorgio Goldenberg, l'ebreo fiumano nascosto in una cantina di via del Bandino; suo cugino Aurelio Klein, che in quella casa trovò rifugio prima di espatriare in Svizzera; Aldo Baquis, che legge un breve ma intenso messaggio della madre Giulia Donati. A distanza interviene anche Renzo Ventura che ricorda come, grazie a Bartali, la sua famiglia abbia potuto vivere "attraverso le generazioni".
Le corse del coraggio tra Toscana, Liguria e Umbria. I mesi della clandestinità in zona Gavinana. I rapporti con la Curia e con i vertici della Delasem. Tanti i cassetti che si aprono, un racconto che emoziona e commuove. .
"La scorsa settimana abbiamo parlato di delazioni. Oggi invece ricordiamo chi ha gettato luce in un periodo buio. A Gino Bartali e agli altri Giusti la nostra eterna riconoscenza", spiega Cividalli.
"Siamo qui riuniti - incalza il rabbino capo Joseph Levi - per celebrare un uomo che si è sempre ispirato a valori 'alti'. Un traguardo, quello dello Yad Vashem, cui è stato possibile arrivare grazie allo sforzo congiunto di varie persone. Una grande prova della nostra società nel senso più esteso del termine".
A rendere omaggio a Ginettaccio anche il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, che spiega come a fare grande una città non siano solo le pietre "ma anche le persone, le persone come Bartali", e dall'ambasciatore d'Israele a Roma Naor Gilon, che si sofferma sugli ingranaggi della rete di assistenza clandestina in cui il ciclista prestò servizio a rischio della propria vita.
A dare il senso di un eroismo che fu silenzioso e schivo ma anche profondamente consapevole sono le parole pronunciate da Andrea Bartali, uno dei tre figli del campione. "Mio padre - sottolinea - ce lo ha sempre insegnato. Lo sport, se non è lezione di vita, non serve a niente".

(Notiziario Ucei, 18 novembre 2013)


Turismo: gli israeliani amano il Garda e la Toscana, ma guardano al Sud

Alla Borsa di Paestum buyers da Israele per scoprire nuove mete

PAESTUM, 18 NOV - Amano le destinazioni del nord Italia, dal Lago di Garda a Venezia e Verona, ma ora stanno allargando il loro sguardo anche al Sud, verso Napoli, le isole del Golfo e i tesori archeologici di Pompei e Paestum. Sono i turisti israeliani che, stando ai dati del 2012, hanno girato il mondo in 4.387.200 di cui 492.000 hanno pernottato almeno una notte in Italia. Un mercato a cui ha guardato con attenzione la Borsa Mediterranea del turismo archeologico che si è svolta fino a domenica a Paestum, invitando otto tra i maggiori tour operators del Paese a paryecipare ai workshop b2b con gli enti turistici, i promotori e gli operatori del Mezzogiorno.
  "Le novità per la prossima stagione turistica riguardano proprio il sud Italia con due nuovi tour, da Napoli a Roma e Napoli e le isole del Golfo e la costiera amalfitana", spiega ad Ansamed Chayuta Markovitz, dirigente del tour operator Isst che ha sede a Tel Aviv e 15 agenzie sparse in tutta Israele. La clientela è quella standard, con gruppi di famiglie e giovani: "Le mete a cui gli israeliani sono più legati - conferma - sono il lago di Garda, i tour sulle coste della liguria e della costa Azzurra in Francia e le Cinque Terre. Per questo i charter estivi più numerosi vanno verso Verona. Ma anche Roma è una meta ambita e proprio da questa destinazione partiamo per allargare lo sguardo verso il sud. Anche verso la Scilia con il mare e i monumenti".
  Roma è anche al top delle preferenze degli israeliano per portare a casa un po' di Made in Italy. "Nella capitale gli israeliani amano molto i monumenti ma soprattutto lo shopping", spiega Tali Benyishay dell'agenzia Ophirrtours di Gerusalemme che ricorda anche quanto sia importante l'offerta del prodotto turistico da parte dei territori: "Gli Israeliani amano l'Italia - dice - e amano molto anche la gastronomia italiana. Molti vanno infatti in Toscana dove ai monumenti e allo splendido paesaggio si uniscono anche percorsi di degustazione dei prodotti e della cucina tipica locale". E proprio su questa scia sono nate alla Borsa di Paestum idee e proposte per un percorso di degustazione costruito intorno all'area degli Scavi di Paestum o un tour di cinque giorni tra i monumenti della Provincia di Salerno abbinato ai luoghi del buon mangiare della regione.

(ANSAmed, 18 novembre 2013)


Rav Yona Metzger
Arrestato l'ex rabbino capo di Israele

GERUSALEMME - L'ex rabbino capo askenazita di Israele Yona Metzger - per dieci anni al vertice del Gran Rabbinato di Gerusalemme, istituzione di riferimento per gli ebrei osservanti assai influente nella vita pubblica del Paese - e' stato arrestato per corruzione e altri reati che avrebbe commesso nel periodo in cui ricoperto la sua carica. Secondo gli inquirenti, Metzger avrebbe accettato bustarelle e benefici vari dai vertici di varie associazioni no profit in cambio di favori.

(ANSA, 18 novembre 2013)


L'Iran svela un drone d'attacco con gittata di 2.000 km

Durata di volo dalle 16 alle 30 ore

TEHERAN, 18 nov. - L'Iran ha svelato oggi di aver costruito un drone - Fotros - in grado di essere equipaggiato con dei missili con una gittata di 2.000 chilometri, vale a dire capaci di raggiungere Israele. Lo ha reso noto oggi l'agenzia Irna.
"Il drone Fotros ha un raggio d'azione di 2.000 chilometri e può volare a un'altezza di 25.000 piedi con una durata di volo dalle 16 alle 30 ore", ha affermato nel corso di una cerimonia inaugurale il ministro della Difesa, Mohammad Dehgan. "Può svolgere operazioni di monitoraggio o portare missili aria-terra per operazioni militari", ha aggiunto il ministro.
L'apparecchio è stato testato con successo e "dimostra che le sanzioni imposte dai nemici non sono un ostacolo al progresso dell'industria della difesa", ha assicurato il ministro.

(TMNews, 18 novembre 2013)


Oltremare - La bolla
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Basta avere occasione di uscire da Tel Aviv per pochi giorni, per rendersi conto di quanto siamo autoreferenziali noi della "grande città". Che poi, meno di mezzo milione di abitanti in tutto, come "grande" siamo scarsini in paragone a qualunque altra capitale economica del mondo. Tutto è relativo, in un paese di 8 milioni di abitanti. E Tel Aviv più prima che poi dovrà smetterla di darsi le arie di centro di tutto, in Israele: oramai buona parte della costa fino a Herzlyia e Ra'anana è un pullulare di industria, high-tech e quartieri di uffici e di abitazioni nuovi di zecca o in costruzione.
Noi telavivesi la chiamiamo ancora "la bolla", ottusi a tutto quel che succede fuori, oltre l'autostrada Ayalon e il parco HaYarkon - ma è una bolla che fa acqua da tutte le parti, soprattutto verso nord: in tanti lasciano la città cara e caotica e crescono le famiglie lontano ma non troppo. Perchè a Tel Aviv hanno ancora gli amici e il teatro e le gallerie e la spiaggia.
Forse però questa è una storia mono-generazionale: in fondo fino a trent'anni fa Tel Aviv era una città di vecchietti. L'Israele cool era altrove. Poi l'high-tech e i gay hanno cambiato tutto. In meglio? In meglio. Corsa alla pianura, per dividere il tempo fra il lavoro e la tayelet (il lungomare). Il bello che avanza. Restauri massicci di strade, case e musei, gallerie e locali "in" che aprono in ogni angolo, servizi mai pensati prima come internet in wi-fi gratis in tutto il centro.
I vecchietti più coriacei o longevi sono rimasti impassibili a guardare le novità passare, l'arrivo dei single giovani professionisti, i gay-pride e la partenza delle famiglie verso luoghi più economicamente sostenibili. Li vedo come il proverbiale cinese sulla riva del fiume, o come tanti Clint Eastwood con cappello e occhi affilati verso l'orizzonte, che masticano un filo d'erba (l'erba la curano benissimo di recente, a Tel Aviv), e senza muovere un muscolo ci lasciano passare, noi tutti, sulla pista ciclabile nuova fiammante, seduti sulle panchine messe apposta per loro subito accanto. Il futuro, non lo sappiamo ancora, ma sono loro.

(Notiziario Ucei, 18 novembre 2013)


Il premier israeliano ribadisce la sua opposizione all'accordo parziale tra i sei paesi e l'Iran

Il 17 novembre, in occasione del ripristino dei colloqui di pace a Ginevra tra i sei paesi interessati al problema nucleare iraniano (Gran Bretagna, Cina, Francia, Russia, Usa e Germania) e l'Iran, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito la sua opposizione al raggiungimento solamente di un accordo parziale tra i sei paesi e l'Iran.
Nell'intervista concessa lo stesso giorno alla CNN, Netanyahu ha affermato che il problema del raggiungimento di un accordo parziale sta nel fatto che bisogna ridurre le sanzioni e la pressione verso l'Iran, mentre l'Iran da parte sua "in realtà non ha dato nulla".
Netanyahu ha sollecitato a rafforzare le sanzioni sull'Iran. Egli ha affermato che se i sei paesi insistono nell'accordo parziale, l'accordo finale deve soddisfare le disposizioni previste nelle risoluzioni interessate del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, cioè che l'Iran rimuova tutte le centrifughe e i reattori al plutonio che sono utilizzati nella produzione delle armi chimiche.

(CRI online, 18 novembre 2013)


Quando anche le interpreti non ne possono più della faziosità anti-israeliana

  
Non sono molti i momenti lieti per lo Stato di Israele, nei forum delle organizzazioni internazionali. Ma una piccola, significativa soddisfazione l'ha avuta di recente quando un'interprete delle Nazioni Unite, non essendosi accorta che il microfono era rimasto acceso, ha fatto un commento ingenuamente onesto sul trattamento spudoratamente fazioso che Israele stava subendo durante una conferenza sui diritti umani.
Domenica mattina il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha voluto rendere noto, con tanto di filmato, il "fuori-onda" dell'interprete che ha avuto luogo giovedì sera in una conferenza in corso a New York durante la quale, come osserva la stessa interprete, venivano votate a stragrande maggioranza una decina di risoluzioni di condanna di Israele e nessuna sul resto del mondo. Un dato che l'interprete, non pensando di essere udita, si è chiesta se non fosse francamente "un peu trop" (un po' troppo), visto che "ci sono altre str…zate veramente brutte che succedono, ma nessuno dice niente delle altre cose".
Accortasi d'essere amplificata, la donna ha immediatamente e ripetutamente chiesto scusa (fra gli sghignazzi dei presenti), mentre la segreteria della presidenza, definito l'incidente "un problema con la traduzione", riprendeva i lavori come previsto.
"Chi avrebbe dovuto chiedere scusa, in realtà, è l'Onu - ha commentato su Times of Israel Hillel Neuer, direttore di "UN Watch" - Fondato su nobili ideali, l'organismo mondiale sta trasformando in un incubo il sogno degli internazionalisti amanti della libertà. Il prossimo mese, alla fine di questa sessione annuale, l'Assemblea Generale avrà adottato un totale di 22 risoluzioni che condannano Israele, e solo quattro su tutto il resto del mondo. L'ipocrisia, la faziosità e la politicizzazione sono sconcertanti".
Tanto per dire, una delle nove risoluzioni adottate giovedì dalla Quarta Commissione dell'Assemblea Generale, composta da tutti i 193 stati membri delle Nazioni Unite, condanna Israele per aver violato i diritti umani dei siriani sulle alture del Golan, senza spendere una parola sul massacro che sta avvenendo in Siria, gas compreso. "Come ha giustamente detto l'interprete - conclude Neuer - ci sono un sacco di cose terribili che accadono in tutto il mondo, ma purtroppo alle Nazioni Unite nessuno dice niente delle altre cose. Troppo occupate a prendersela con Israele, le Nazioni Unite semplicemente non trovano il tempo per occuparsene".
Mostrando il video ai ministri nella riunione di governo di domenica mattina, Netanyahu ha commentato: "Spero che non succederà nulla all'interprete, ma per fugare ogni dubbio posso garantirle un lavoro in Israele, se dovesse esserci qualche conseguenza in questo senso. Accade a volte che tutto a un tratto sia possibile strappare l'ipocrisia degli incessanti attacchi contro di noi, ed è quello che ha fatto questa coraggiosa e onesta interprete". Insomma, ancora una volta è bastato che qualcuno dicesse "il re è nudo".
Video
Le parole esatte dell'interprete: «I think when you have five statements, not five, but like a total of ten resolutions on Israel and Palestine, there's gotta be something, c'est un peu trop, non? I mean I know, yes, yes, but there's other really bad shit happening, but no one says anything about the other stuff».

(israele.net, 18 novembre 2013)


Daniel Vogelmann presenta la Casa Editrice Giuntina

Incontro alla libreria Sognalibro nell'ambito della Rassegna degli Editori Ebrei

FERRARA - Nell'ambito della Rassegna degli editori Ebrei organizzata dalla libreria Sognalibro in collaborazione con la Comunità Ebraica di Ferrara, giovedì 21 novembre alle ore 17.30 Daniel Volgelmann presenterà la casa editrice Giuntina di Firenze.
La Giuntina nasce nel 1980 quando Daniel Vogelmann decide di pubblicare La notte di Elie Wiesel che sarà il primo titolo della collana Schulim Vogelmann, dedicata da Daniel a suo padre, sopravvissuto ad Auschwitz.
Oggi, il catalogo della Giuntina comprende cinque collane e più di 600 titoli ognuno dei quali rappresenta una porta d'ingresso alla storia e alla cultura ebraica.
Giuntina è l'unica casa editrice europea specializzata in cultura ebraica che si rivolge a tutti i lettori con l'intento di far conoscere la storia e le tradizioni ebraiche, consapevole che solo una reciproca conoscenza tra le diverse culture e religioni può assicurare a tutti noi una convivenza pacifica all'insegna del rispetto.
L'incontro sarà condotto da da Rav Luciano Meir Caro presso la libreria Sognalibro in via Saraceno, 43 (per informazioni: tel. 0532 204644; info@sognalibro.com).

(estense.com, 18 novembre 2013)


Quel posto che viene negato ad Israele

di Daniele Toscano

Lo Stato ebraico non ha mai fatto parte del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, per colpa del rifiuto arabo

Israele ha avanzato la propria candidatura per uno dei dieci seggi non permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per il biennio 2019-2020. Il Consiglio di Sicurezza è l'organo più importante dell'ONU, sia per la rilevanza delle questioni di sua competenza, sia perché, in alcuni casi, dispone di poteri decisionali vincolanti. Il suo compito è quello di garantire il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale; il Consiglio di Sicurezza determina dunque l'esistenza di una minaccia alla pace o un atto di aggressione e stabilisce le misure da prendere per risolvere la controversia in questione, finanche imponendo sanzioni o autorizzando l'uso della forza (art.42 Carta ONU). Ottenere un seggio in seno al Consiglio di Sicurezza conferisce ad un Paese grande prestigio e una maggiore voce in capitolo nel prendere le decisioni sulle vicende internazionali.
Lo Stato ebraico figura nella lista dei Paesi che non sono mai stati eletti membri del Consiglio, come molti microstati e Stati di recente indipendenza. L'ambasciatore israeliano all'ONU Ron Prosor ha affermato che "è giunto il momento" che Israele effettui questo tentativo; tuttavia, non si tratterà di un'operazione semplice: vincere un seggio nel Consiglio di Sicurezza richiede una maggioranza dei due terzi degli Stati dell'Assemblea Generale, che devono votare ispirandosi al criterio del "contributo dei Membri delle Nazioni Unite al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale ed agli altri fini dell'Organizzazione, ed inoltre ad un'equa distribuzione geografica" (art. 23 Carta ONU). Israele sarà in lizza con Germania e Belgio per i due seggi destinati alla zona "Europa Occidentale e altre aree", essendo escluso dall'area Asia-Pacifico per volontà di numerosi stati islamici. La Germania in particolare si presenta come un concorrente scomodo: è il terzo maggior contribuente finanziario delle Nazioni Unite ed ambisce ad un simile posto da 25 anni.
La votazione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 17 ottobre scorso ha assegnato a Ciad, Cile, Lituania, Nigeria e Arabia Saudita cinque dei dieci seggi non permanenti del Consiglio di Sicurezza per un periodo di due anni che inizierà dal
primo gennaio 2014. Questi Paesi hanno ottenuto la maggioranza dei due terzi dell'Assemblea Generale e vanno a rimpiazzare Azerbaijan, Guatemala, Marocco, Pakistan e Togo, il cui mandato si concluderà alla fine del 2013. Gli altri cinque membri non permanenti del Consiglio sono Argentina, Australia, Lussemburgo, Corea del Sud e Ruanda, che manterranno la carica anche per il prossimo anno. A questi dieci, si affiancano ovviamente i cinque membri permanenti, dotati di diritto di veto (art. 27 Carta ONU): Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia e Cina. L'eterogeneità dei Paesi membri del Consiglio di Sicurezza permette di continuare a coltivare le speranze per un successo di Israele, candidato per il biennio 2019-2020. Tuttavia, l'ostilità mostrata nei confronti dello Stato ebraico da parte di numerosi Paesi dell'Assemblea Generale lascia presagire un percorso non semplice, come ha dimostrato anche recentemente la votazione del 29 novembre 2012 che ha riconosciuto alla Palestina lo status di stato non membro delle Nazioni Unite.

(Shalom, novembre 2013)


Narrare un mondo chiuso

di Daria Gorodisky

Video
AIon Zingman ha dovuto ridurre la troupe al minimo indispensabile e riprendere gli esterni da una finestra, mentre, come ha scritto il settimanale statunitense «Forward», gli attori ricevevano le sue istruzioni tramite auricolare. Perché bisogna essere molto discreti se si sceglie come location Mea Shearim, il quartiere di Gerusalemme regno degli haredim, gli ebrei più osservanti. Comunque, alla fine il regista ce l'ha fatta a realizzare le 12 puntate di una serie televisiva che ha per soggetto proprio loro, gli ultraortodossi. Il piccolo e il grande schermo, così come la narrativa ebraica, si sono spesso occupati di questo tema; a maggior ragione oggi, con il numero delle famiglie ultraortodosse in costante aumento.
Ma Shtisel, titolo che prende il nome della famiglia protagonista, lo affronta in modo nuovo: entra nella quotidianità dei personaggi, racconta i loro problemi di lavoro, amore, rapporti padre-figli e solitudine, i loro tic, il loro umorismo. Un approccio quasi da cronaca, che il sabato sera ha incollato il pubblico israeliano laico e credente alla tv satellitare Yes: la serie, con sottotitoli in inglese, sarà distribuita anche in Nord America. Nella fiction non ci sono né critica né nostalgia. Insomma quella modalità che sul versante letterario richiama, ad esempio, più i libri di Naomi Ragen che non quelli di Judith Rotem. Entrambe hanno acceso una luce sull'universo chiuso e rigoroso del ebraismo ultraortodosso, e in particolare sulla condizione delle sue donne. Però la Ragen, tradotta in italiano da Newton Compton, lascia che sia il lettore a giudicare. Anche nel suo ultimo romanzo, The Sisters Weiss (appena uscito in inglese per St. Martin's Press), c'è comprensione per tutte e due le sorelle della storia, per quella che resta nella comunità religiosa radicale e per quella che ne viene allontanata. Invece, basta leggere Lo strappo (Feltrinelli) per capire che il parere implicito della Rotem è ben netto. E basterebbe la sua biografia a spiegarlo: ungherese, arrivata in Israele prima della fondazione dello Stato, giovanissima ha sposato un haredi. Ha lavorato anni per mantenere lui, ovviamente dedito solo allo studio dei testi sacri, e i loro sette figli; ma nel 1983 ha rotto i lacci che la stritolavano, divorziando dal marito e da quel mondo. E ha iniziato, accompagnata dai figli, una vita da donna indipendente.

(Corriere della Sera, 17 novembre 2013)


Hollande fa il duro sui negoziati con l'Iran

La Francia contro il programma nucleare di Teheran: «Per noi è una minaccia. Non cederemo».

La Francia ha deciso di andare fino in fondo. E di tenere la linea dura nei negoziati sul nucleare dell'Iran, tendendo la mano a Israele e rovinando in parte i piani americani di dialogo con il nuovo presidente di Teheran, Hassan Rohani-
Il 17 novembre François Hollande si è recato in visita ufficiale a Tel Aviv e ha ribadito la sua posizione.
«L'IRAN NUCLEARE È UNA MINACCIA» - La Francia «non cederà sulla proliferazione nucleare», ha dichiarato nel suo discorso dopo essere stato accolto dal premier Benjamin Netanyahu e dal presidente Shimon Peres, «finché non sarà completamente sicura che l'Iran ha ceduto sulle armi nucleari».
«Un Iran nucleare», ha aggiunto Hollande, è una «minaccia per Israele, la regione e il mondo».
Intanto il vice ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi che guida la delegazione iraniana ai negoziati di Ginevra previsti per mercoledì 20 non ha nascosto la difficoltà delle trattative.«Non si arriverà a nessun accordo se non saranno rispettati i diritti dell'Iran sui temi del nucleare e l'arricchimento dell'uranio», ha spiegato.
NEGOZIATI DIFFICILI MA POSSIBILI - Il concetto è stato ribadito anche dal ministro degli Esteri Mohammed Javad Zarif che per farsi capire ha usato parole ormai entrate nell'uso della diplomazia: «il diritto di Teheran all'arricchimento dell'uranio non è negoziabile» ed è la «linea rossa che non deve essere oltrepassata». Secondo gli iraniani però lo spazio per l'intesa c'è. Nessun paese del gruppo '5+1' ha chiesto «di sospendere completamente l'arricchimento dell'uranio».

(Lettera43, 17 novembre 2013)


François Hollande in Israele: bisogna diffidare della prima impressione?

Un commento dalla stampa ebraica di lingua francese

 
François Hollande sul tarmac dell'aeroporto di Tel Aviv
Le prime parole di François Hollande in Israele sono di buon auspicio per il resto della sua visita allo Stato ebraico e, a parte la sua visita, per il rafforzamento delle relazioni tra i due paesi?
Questa è una delle domande che si pongono i 150.000 francesi in Israele.
Dopo essere stato accolto calorosamente dal presidente Peres e dal primo ministro Benjamin Netanyahu, i quali hanno sottolineato entrambi l'amicizia tra i due paesi, la risposta del Presidente francese è riassunta dall'ultima frase, in ebraico se non vi dispiace: "Ani tamid Haver shel Israel", io sono amico da sempre di Israele (o Io sono sempre amico di Israele: entrambe le traduzioni sono buone).
Era proprio necessario che domani andasse a pregare sulla tomba di Arafat a Ramallah, prima di andare a rendere omaggio alle vittime della strage di Tolosa martedì mattina? Era necessario mettere sullo stesso piano un terrorista e le vittime del terrorismo? Io non penso. Ma poteva fare altrimenti?
Certamente oggi Hollande rende omaggio alla tomba di Theodor Herzl, alla tomba di Yitzhak Rabin e a Yad Vashem. Questi sono gesti forti che apprezziamo, e apprezziamo anche l'omaggio alle vittime di Mohamed Merah, che ha ucciso a sangue freddo un rabbino e dei bambini per vendicare la falsa morte del piccolo Al Dura (e prima di quelli aveva ucciso due soldati francesi).
"Vengo con una delegazione importante", ha detto Francois Hollande nel primo discorso pronunciato all'aeroporto Ben Gurion in risposta a Peres e Netanyahu.
"Ci sono 150.000 francesi che vivono in Israele, e voglio tenerne conto", ha aggiunto il Capo di stato francese. Grazie per questo coup de pub, signor Presidente!
François Hollande ha anche detto che vuole dare un nuovo impulso alle relazioni franco-israeliane, sul piano economico e culturale.
"Voi siete in prima linea in fatto di tecnologia, motivo per cui la Francia e Israele devono sviluppare le loro relazioni economiche".
Poi, prima di parlare della questione iraniana, François Hollande, come se per lui fosse una priorità, ha espresso la posizione della Francia sul problema palestinese. "Confermo l'impegno della Francia a fare di tutto per una pace giusta e duratura fra i due stati. Ci deve essere uno stato palestinese valido e uno stato israeliano la cui sicurezza è garantita", ha detto al Presidente Peres e al Primo Ministro Netanyahu.
"Ci vorrà coraggio, e a voi non manca, ma anche sostegno. Quello della Francia è assicurato".
Possiamo già vedere che la posizione della Francia, anche se amichevole, non sarà morbida sul problema palestinese. Indubbiamente si discuterà animatamente sugli insediamenti, e probabilmente sullo status di Gerusalemme. La Francia vuole riconquistare una posizione in Medio Oriente. Potrà farlo senza una posizione comune europea? Sarà necessario inoltre che il presidente francese riesca ad influenzare la posizione di certi governi europei sulla questione.
Il presidente francese ha poi affrontato il difficile problema dell'Iran. "La proliferazione nucleare è una minaccia, soprattutto in Iran. E ' una minaccia per Israele, per la regione e per il mondo."
E ' per queste ragioni che la Francia ha preso una posizione ferma. Ha anche detto che la Francia non cederà, e che se l'Iran non si arrenderà, saranno mantenute le sanzioni.
Hollande ha poi elogiato la democrazia israeliana. "Israele è un paese democratico in cui prevalgono i valori della Repubblica francese che sono libertà, uguaglianza e fratellanza, nel rispetto dei diritti dell'uomo." Di qui a dire che Israele non è un stao di apartheid non ci sarebbe che un passo. Forse lo farà domani, nel suo discorso alla Knesset. Questo almeno è quello che ci aspettiamo.

(JSSNews, 17 novembre 2013 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Una serata fra amici

Dopo il preludio negli scorsi giorni di una visita della signora Francesca Pascale al Museo Ebraico di Roma con pranzo e visita al Portico d'Ottavia, ieri sera, in un ristorante del quartiere ebraico romano è stata la volta di una cena con Silvio Berlusconi e un gruppo di suoi amici. La visita, che ha suscitato curiosità e sorpresa fra le persone che si trovavano in zona, è stata prontamente rilanciata dagli organi di informazione comunitaria e quindi ripresa anche dai siti delle testate giornalistiche nazionali.
Le due visite sono avvenute a breve distanza dalle recenti affermazioni del leader politico (secondo il quale la vita dei propri figli sarebbe paragonabile alla condizione degli ebrei tedeschi sotto Hitler) e la chiara presa di posizione dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane al riguardo.

(Notiziario Ucei, 17 novembre 2013)


Israele e Arabia Saudita bombarderanno l'Iran. Rapporti tesissimi con Obama

Israele e Arabia Saudita, una volta acerrimi nemici, ora uniti contro il comune nemico, l'Iran nucleare di Rohani e Obama. Allo studio un attacco contro le centrali nucleari iraniane

Secondo quanto riferisce una fonte diplomatica al Sunday Times Israele e Arabia Saudita starebbero attivamente cooperando per attivare un piano di emergenza contro il nucleare iraniano nel caso in cui dai colloqui tra il gruppo dei 5+1 e l'Iran che si terranno questa settima a Ginevra, uscisse una soluzione che dovesse favorire gli iraniani.
Nemici giurati per decenni, Israele e Arabia Saudita si trovano oggi a dover affrontare lo stesso nemico, l'Iran e il suo programma nucleare....

(Right Reporters, 17 novembre 2013)


Saperi e sapori della tradizione ebraica romana

Per un giorno, domenica 17 novembre, al portico di Ottavia si apre il sipario su «Gusto Kosher»

Via del Portico d'Ottavia
MANGIARE ATTO RELIGIOSO - «La tradizione ebraica - spiega Giovanni Terracina di Lebonton Catering, uno degli organizzatori dell'evento - attribuisce un gran valore all'alimentazione. Una normativa complessa regolamenta il consumo dei singoli alimenti, delle preparazioni, i terreni di coltura e molto altro. Mangiare è il principio alla base della sopravvivenza ed è per questo un atto sicuramente religioso, quasi filosofico e certamente culturale. Siamo quello che mangiamo. Per scoprire questo universo di saperi e sapori nasce "Gusto Kosher" e di anno in anno cresce nei temi e nelle collaborazioni». Nata tredici anni fa negli anni l'apertura a turisti e romani di tradizioni e sapori del Ghetto è andata sempre più arricchendosi, includendo temi culturali ed attività per i bambini: la cronaca racconta che l'anno scorso in solo due ore di manifestazione, quasi duemila persone hanno preso parte alle degustazioni, con oltre 500 bottiglie di vino stappate, 25 chilogrammi di couscous e 15 di pasta impiegati per preparare gli sfizi di Gusto Kosher, circa 2500 pizzarelle con il miele cucinate a vista e 90 filoni di pane affettati.

IL PROGRAMMA - E quest'anno si vuole superare ogni record: le manifestazioni si svolgeranno in via del Portico d'Ottavia e nel cortile del Palazzo della Cultura, oltre che nel Museo ebraico di via Catalana, dalle 10 alle 19; moltissime le attività gratuite (compreso il wine tasting) con un programma che include le più svariate attività. Si inizia con la tavola rotonda «Roma -Tel Aviv: sacro e profano» alle 11 presso ET Gallery (Via del Portico d'Ottavia, 7), confronto sui temi della tradizione e della contemporaneità, sulla sacralità e il piacere del cibo, sulle nostre radici antiche e sulle passioni moderne. Vi sarà il rabbino capo Riccardo Di Segni , il food photographer israeliano Dan Lev, e gli chef Claudio Favale, Claudio Gargioli, Patrizia Mattei, Roy Salomon Caceres, Arcangelo Dandini e Oliver Glowig. Nel pomeriggio alle 16 «Parannanza e pannolini»un vero e proprio percorso di gusto dallo svezzamento all'adolescenza. Vi sarà il responsabile della clinica dietologia del Bambin Gesù Giuseppe Morino, il rabbino e medico gastroenterologo presso l'Ospedale Israelitico di Roma Cesare Efrati, la scrittrice e psicoterapeuta di bambini, adolescenti e adulti Masal Pas Bagdadi, la blogger di ricette per bambini e ragazzi Natalia Cattelani, la Chef Slow Food e patron del ristorante "Spirito Divino" di Roma Eliana Vigneti Catalani e con tutte le jewish mama presenti.

ARTE E CULTURA - Anche il Museo Ebraico di Roma ha raccolto l'invito di Gusto Kosher e, solo per domenica 17 novembre, esporrà in visione il video del making of della mostra ColorFood | Fotografie di Dan Lev. E per finire un concerto, mentre per tutta la giornata si potranno conoscere nella libreria del palazzo della Cultura i menù della cucina ebraica e vi saranno per i bambini laboratori di gioco e di apprendimento.

(Corriere della Sera, 16 novembre 2013)


Due che si odiano

di Giulio Meotti

 
Due fotografie adornano l'ufficio del premier israeliano Benjamin Netanyahu a Gerusalemme. Sono due immagini che ci dicono molto dell'abisso che da quattro anni separa "Bibi" e Barack Obama, così differenti nella formazione culturale, nel temperamento, nelle filosofie politiche. George Will, columnist sapiente del Washington Post, ha chiamato Netanyahu "l'anti Obama", la nemesi del presidente americano. L'ex commando Netanyahu contro l'ex professore Obama. Una fotografia ritrae Theodor Herzl. Ossessionato dall'eruzione di antisemitismo in Francia a seguito del caso del capitano Dreyfus, Herzl divenne il padre fondatore del sionismo. L'altra fotografia, la più significativa, è di Winston Churchill, il leader britannico che salvò l'onore dell'Europa dopo la capitolazione a Monaco nel 1938.
   Si ricorderà che uno dei primissimi atti di Barack Obama da presidente, pochi giorni dopo essere entrato alla Casa Bianca a metà gennaio 2009, fu proprio di rimuovere il busto di Churchill che il governo di Tony Blair aveva regalato al suo predecessore, George W. Bush, dopo l'attacco dell'11 settembre. Maariv, uno dei più noti e diffusi giornali israeliani, ha commentato così il modo in cui la Casa Bianca obamiana riceve ogni volta la delegazione del premier israeliano Netanyahu: "Non c'è esercizio di umiliazione che gli americani non abbiano tentato con il primo ministro e il suo entourage. Bibi ha ricevuto alla Casa Bianca lo stesso trattamento riservato al presidente della Guinea Equatoriale".
   Adesso c'è un libro che getta una luce ancora più chiara e sinistra sull'odio che corre fra Obama e Netanyahu. Si tratta di "Double Down", il volume dei giornalisti veterani politici Mark Halperin e John Heilemann. "We all know that Bibi Netanyahu is a pain in the ass, Obama said", si legge nel nuovo libro. "Pain in the ass", un rompicoglioni, fra le molte traduzioni più o meno eleganti. Altro che "disfunzionale", come la relazione Bibi-Barack è sempre stata caratterizzata. Siamo al disprezzo puro e semplice. Un disprezzo dai risvolti politici immensi, sullo sfondo della crisi senza precedenti fra Gerusalemme e Washington su come fermare il nucleare iraniano.
   Gran parte dell'attrito fra Netanyahu e Obama nacque dopo il discorso del Cairo del 2009, in cui Obama legò la nascita di Israele all'Olocausto e lo accostò alla "sofferenza dei palestinesi". "Fui scioccato dal discorso del Cairo", ha detto l'attuale ministro della Difesa israeliano, Moshe Yaalon. Un assaggio di puro odio obamiano per Netanyahu lo si ebbe al G20 di Cannes. Il presidente francese Nicolas Sarkozy: "Netanyahu? Non posso più vederlo". Replica il presidente americano Obama: "Tu sei stufo, io devo trattare con lui tutti i giorni".
   Lo scorso settembre Netanyahu ha fatto visita alla Casa Bianca. Al termine dell'incontro con Obama, Bibi ha tenuto una conferenza stampa con i giornalisti. Nulla di strano rispetto alle precedenti visite del leader israeliano a Washington, ma molto strano rispetto a quelle di altri leader politici. Netanyahu, infatti, non ha tenuto una conferenza congiunta con il presidente di fronte al corpo di giornalisti riunito al gran completo. I capi politici di Inghilterra, Canada, Cina, Messico e Turchia hanno invece goduto delle joint press conference con Obama, nella East Room, nel giardino delle rose o nell'Eisenhower Executive Office. Un ufficiale israeliano ha detto che "Netanyahu è l'unico leader mondiale che non ha tenuto una conferenza stampa congiunta con Obama".
   Dalla famiglia Netanyahu non sono mai mancati strali pesanti contro il presidente americano. Il cognato di Bibi, Hagai Ben-Artzi, ha dato dell'"antisemita" a Obama in una celeberrima intervista alla radio militare: "Non è che Obama odia Bibi, è che non gli piace Israele". Poi, rivolto al presidente, l'ingombrante cognato ha detto: "Noi siamo qui da quattromila anni, tu tra un paio sarai dimenticato". Quando il capo dello staff della Casa Bianca, Rahm Emanuel, ha dovuto celebrare a Gerusalemme l'ingresso nell'età adulta ebraica (Bar Mitzvah) del figlio, le autorità israeliane per lui hanno orchestrato una specie di blitz segreto, imbarazzato, silenzioso. Emanuel ha dovuto persino girare al largo dal Muro del Pianto, dove aveva fissato la cerimonia per suo figlio di fronte alla minaccia di manifestazioni ostili annunciate, in odio a "Barack Hussein Obama" dai movimenti della destra ebraica. Netanyahu non è stato poi tenero con Emanuel e David Axelrod, i due ex principali consiglieri di Obama, che il primo ministro israeliano ha chiamato "ebrei che odiano se stessi".
Il Presidente degli Stati Uniti parla al telefono con il Premier dello Stato d'Israele 
   Anche il presidente più glamour della storia americana ha lanciato molti segnali di disprezzo per l'israeliano. Obama si è fatto fotografare con le scarpe sul tavolo dello Studio Ovale mentre era al telefono con Gerusalemme per redarguire Netanyahu sulla costruzione di una manciata di case per i coloni. Mostrare le scarpe è il gesto di maggiore insulto in medio oriente. Come dimenticare il reporter iracheno che ne lanciò un paio alla volta di George W. Bush durante una conferenza stampa a Baghdad? Gli esperti da quattro anni leggono il linguaggio del corpo per capire l'antipatia che corre fra i due. Quando Obama ha visitato Israele, la scorsa primavera, appena sceso dall'Air Force One ha abbracciato il presidente, Shimon Peres, ma ha solo stretto la mano a Netanyahu. Gli incontri alla Casa Bianca fra Bibi e Obama finiscono sempre con gelide e rapide strette di mano, occhiate in cagnesco e dita puntate all'interlocutore. L'esperta di linguaggio del corpo, Tonya Reiman, ha detto che Obama ha "disprezzo negli occhi" per Netanyahu.Quando, durante una visita di Netanyahu a Washington, il primo ministro israeliano ha risposto picche alle richieste della Casa Bianca sul processo negoziale, Obama si è alzato e ha detto: "Vado a cena con Michelle e le ragazze". Mentre se ne stava andando, a Netanyahu sono stati fatti notare gli errori politici dallo staff di Obama. "Sono in giro", ha detto il presidente, "fammi sapere se c'è qualcosa di nuovo". Le due parti non trovano alcun accordo e Obama vieta persino di fare fotografie dell'incontro.
   Ha scritto Gerald Steinberg, noto analista politico israeliano, che l'odio fra i due è più politico e culturale che umano: "Il leader israeliano è un realista duro e puro, o un pessimista se si preferisce, che vede i pericoli di ciò che Thomas Hobbes ha descritto come 'la guerra di tutti contro tutti' nell'anarchia della politica internazionale. Israele si distingue come uno stato ebraico solitario e vulnerabile in un ambiente mediorientale ostile e pericoloso, per cui la sopravvivenza dipende da un potente esercito in grado di sconfiggere tutte le minacce". Obama, invece, "è un democratico liberale, un ottimista. Come Immanuel Kant, ritiene che le controversie possano essere superate attraverso il dialogo e il compromesso. Per lui l'uso della forza militare è l'ultima delle possibilità, riservata a pochi sociopatici come Bin Laden, Gheddafi e il leader dei talebani. Obama ha posto come priorità la conclusione del lavoro militare americano in Iraq e in Afghanistan e la rinnovata partecipazione degli Stati Uniti al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, citando i suoi alti principi, piuttosto che la realtà spiacevole".
   Questa dunque l'analisi di Steinberg: "Netanyahu viene da Marte, Obama da Venere".
Anche nel nome, Benjamin, Netanyahu non potrebbe essere più diverso da Obama, Barack dall'arabico. Beniamino è, infatti, uno dei figli di Giacobbe, il patriarca della Bibbia. Una volta il primo ministro disse a un diplomatico americano dieci parole che rendono bene il succo dello scontro con la Casa Bianca di Obama: "Tu vivi a Chevy Chase, non giocare con il nostro futuro". C'è chi dice che la crisi più profonda fra Washington e Gerusalemme sia maturata nella biografia opposta dei due leader. Netanyahu conosce molto bene gli Stati Uniti, e infatti in Israele è anche noto come "l'amerikano", per avere studiato al Massachusetts Institute of Technology di Boston, per l'inglese fluente, per la nomina di ambasciatore all'Onu e per l'arte americana di rapportarsi con i media, soprattutto la Cnn, quando durante la guerra del Golfo del 1991 andava in diretta da Tel Aviv con la maschera antigas. Se non fosse diventato primo ministro, Bibi sarebbe diventato un ricchissimo uomo d'affari negli Stati Uniti. Netanyahu va fiero della sua biografia così diversa da quella di Barack Obama. Il suo staff ama ripetere che quando Obama aveva sette anni, nel 1968, Netanyahu già rimaneva ferito a un braccio mentre liberava dai terroristi un aereo della Sabena. Prese per i capelli una fedayn e si fece dire dove aveva messo la bomba. Nelle foto il futuro primo ministro è immortalato in tuta bianca, schiacciato contro la parete del velivolo, per evitare di essere visto dai terroristi. Nel 1973, quando Israele cadde nel panico per l'attacco arabo concentrico dello Yom Kippur, Netanyahu saltava sul primo aereo da Boston per servire in una unità militare sul Canale di Suez. All'epoca Obama aveva tredici anni. Il presidente americano è cresciuto con un padre di sinistra assente, mentre Netanyahu è il figlio del più noto storico dell'Inquisizione spagnola in Israele, Benzion, morto un anno fa centenario senza rinunciare a una virgola delle sue convinzioni di destra. Se dei fratelli di Obama si sa poco o nulla, Netanyahu è cresciuto all'ombra del mito del fratello Jonathan, l'eroe che il 3 luglio 1976 liberò 108 ostaggi israeliani in un aeroporto ugandese a Entebbe.
   L'editorialista del New York Times Maureen Dowd ha definito Obama "il presidente fico, ragionevole, saggio e modesto". Netanyahu è l'esatto opposto e a differenza di Obama, noto per il sorriso smagliante, Bibi lo chiamano "il serioso". Una volta Netanyahu andò al "Larry King Live" e al termine del programma il conduttore gli disse: "In una scala da uno a dieci, come ospite è otto. Se avesse un po' di umorismo arriverebbe a dieci". A differenza di Obama, che gode dell'unanime compiacimento della stampa, Bibi è odiatissimo dai media in Israele. Per questo Sheldon Adelson, il magnate dei casinò che è un suo grande finanziatore, ha creato Israel Hayom, divenuto il giornale più venduto in Israele e il portavoce di Bibi. Netanyahu a disprezzare la stampa ha imparato dal padre, che era solito definirla "bolscevica", e mentre la chiamava così strizzava gli occhi da cinese che aveva. Benzion e Cela Netanyahu hanno abituato i tre figli a pensare a se stessi come un'aristocrazia nella casa di Haportzim, a Gerusalemme. "Percepiscono se stessi come una grande famiglia nella storia d'Israele", ci dice un amico dei Netanyahu "Yoni è il fratello martire dell'esercito, Bibi è il primo ministro e Iddo lo scrittore". I Netanyahu, si dice, sono cresciuti con un profondo risentimento contro l'establishment di sinistra. Un risentimento che si riversa anche nei rapporti con un presidente americano compiaciuto ed elitario. Se il presidente americano ha storiche amicizie con i rappresentanti dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina a Washington, i professori Edward Said e Rashid Khalidi, Netanyahu è il primo ministro israeliano che ha paragonato lo stragista Arafat ad Adolf Hitler. Se Obama ha un antico rapporto d'amicizia e professionale con William Ayers, uno dei leader dei Weathermen, il gruppo di terroristi politici degli anni Sessanta, Netanyahu ha scritto libri sul terrorismo islamico, gli ebrei e il "tradimento dell'occidente". Said è l'intellettuale arabo più illustre del secolo scorso, il padrino degli studi "post coloniali", la cui peggiore eredità è il sillogismo che lo ha reso celebre in tutto il mondo: l'"orientalismo", il razzismo occidentale nei confronti dell'oriente musulmano, è antisemitismo perché gli arabi sono semiti; il sionismo ha assimilato gli ebrei all'occidente, gli ebrei hanno perso il loro semitismo, sono divenuti "orientalisti", antisemiti; i palestinesi sono i "nuovi ebrei" e gli ebrei sono i "nuovi nazisti".
 
Modi diversi di vivere la gioventù
   Ma soprattutto c'è l'influenza su Obama di un rabbino di Chicago, Arnold Wolf. Nel 1969 quest'ultimo ha inscenato una protesta in sinagoga a favore della Pantera Nera Bobby Seale. Nei primi anni Settanta, il rabbi pacifista e di sinistra ha fondato un'organizzazione che ha incontrato Yasser Arafat, e questo circa vent'anni prima che il leader palestinese rinunciasse ufficialmente al terrorismo. Nei primi anni Novanta, Wolf ha denunciato la costruzione del Museo dell'Olocausto di Washington. Mentre Obama si faceva le ossa come "community organizer" e avvocato dei diritti umani, Netanyahu era un soldato della Sayeret Matkal, le teste di cuoio israeliane. Nel 2009, al culmine della crisi fra Washington e Gerusalemme sugli insediamenti ebraici, i siti americani pubblicarono le fotografie di Obama e Netanyahu nei rispettivi vent'anni: il primo ha l'aria scanzonata, i capelli lunghi, e la sigaretta in bocca; il secondo ha la mascella squadrata, imbraccia l'M16, veste la divisa marrone dell'esercito israeliano e calza scarponi da commando. Se Obama è l'eroe della rivoluzione multiculturale americana, dei "fratelli e sorelle gay", Netanyahu è un sionista di destra, il rampollo dell'aristocrazia ebraica di Gerusalemme che pensa di avere fra le mani il destino del suo popolo millenario e del suo paese. Mentre Obama, nel 1997, era ancora un militante del "potere nero", Netanyahu diventava il presidente più giovane della storia israeliana. Se la formazione di Netanyahu è all'insegna dell'idea, molto paterna, che è una minaccia ogni concessione, Obama è cresciuto sulle idee di Saul Alinsky, quello dello slogan "pensare globalmente, agire localmente".
   Si torna, infine, a quel busto di Winston Churchill. Nel suo libro, "A place among the nations", Netanyahu paragona lo stato ebraico alla Cecoslovacchia. Il 29 settembre 1938, lo stato cecoslovacco fu privato di confini difendibili con il "patto di Monaco". Sei mesi più tardi, abbandonata dai suoi alleati, Inghilterra e Francia, e attaccata da Hitler, la Cecoslovacchia cessò di esistere come stato. Come Israele oggi, i cechi erano stati accusati di "intransigenza" e di essere "contrari alla pace". Erano così aggrediti da ogni parte, che alla fine scelsero non di combattere, ma di arrendersi. "Pace" significò capitolazione. La situazione della Cecoslovacchia nel 1938 è infatti simile a quella di Israele nel 2013. Come l'Idf di Israele, i cechi avevano uno degli eserciti più forti d'Europa. Come Israele, la Cecoslovacchia era uno stato giovane e pieno di vitalità. Come Israele, la Cecoslovacchia era l'unica democrazia liberale dell'Europa orientale. E' qui che il sillogismo di Netanyahu si complica e diventa politico. Come i vigliacchi diplomatici britannici che erano volati a Monaco per firmare la cessione dei Sudeti a Hitler, i pacificatori occidentali, la settimana scorsa, si sono recati a Ginevra per ipotecare la sopravvivenza di Israele con gli iraniani. Ma se Netanyahu vede se stesso come il nuovo Churchill che fermerà l'atomica iraniana, in questo schema quale ruolo rimane a Obama se non quello del pavido pacifista, Arthur Neville Chamberlain?

(Il Foglio, 16 novembre 2013)


Obama si rivolta contro Israele

di Daniel Pipes

Il viaggio di Barack Obama in Israele compiuto nel marzo 2013 ha avuto dell'incredibile. Se Obama non ha esercitato pressioni su Israele, ha invece detto ai palestinesi di non porre alcuna condizione ai negoziati e li ha ammoniti a "riconoscere che Israele sarà uno Stato ebraico". Ciò è sembrato strano, lasciando però intendere che ci sarebbe stato un prezzo da pagare in seguito. Ora, a distanza di otto mesi, quel prezzo è stato rivelato e consta di due elementi che caratterizzano la posizione degli Stati Uniti che qui parafraso: "Innanzitutto, starsene tranquillamente seduti mentre si raggiunge un accordo con Teheran che congela, ma non smantella il suo programma nucleare.
   In secondo luogo, fermare la costruzione di insediamenti illegali in Cisgiordania e a Gaza altrimenti l'Autorità palestinese, con il tacito consenso americano, darà il via a una terza Intifada". Le reazioni israeliane a queste due pretese sono state dure, brusche, diverse da qualsiasi altra reazione di cui serbiamo memoria. Il premier Benjamin Netanyahu ha stroncato l'accordo con l'Iran definendolo "un errore di proporzioni storiche" e dopo aver incontrato il segretario di Stato John Kerry egli ha fatto notare "gli ho ricordato le sue parole, che è meglio nessun accordo che uno cattivo. E che l'accordo discusso in questi giorni a Ginevra è cattivo. È un pessimo accordo.
   All'Iran non è stato chiesto di smontare una sola centrifuga. Ma la comunità internazionale sta per alleggerire le sanzioni per la prima volta dopo molti anni. In questa fase l'Iran ha ottenuto tutto quello che voleva e non paga nulla. E questo è il momento in cui l'Iran è più sotto pressione. Invito il segretario Kerry a non precipitarsi a firmare, lo esorto ad aspettare, a riflettere, a raggiungere un buon accordo. Ma questo è davvero un pessimo accordo. È l'accordo del secolo per l'Iran ma è molto pericoloso e dannoso per la pace e per la comunità internazionale". Il ministro dell'Economia e del Commercio israeliano Naftali Bennett è stato ancora più diretto, sollevando anche la prospettiva di una bomba nucleare iraniana che distrugga la città di New York: "Questi giorni cruciali di novembre saranno ricordati negli anni a venire.
   Il mondo libero è davanti a un bivio e dovrà fare una scelta chiara: assumere una ferma posizione e insistere affinché l'Iran smantelli il suo programma di armi nucleari, oppure arrendersi, piegarsi e permettere all'Iran di mantenere le sue 18.500 centrifughe. Fra qualche anno, quando un terrorista islamico si farà esplodere con una valigetta a New York o quando l'Iran lancerà un missile nucleare su Roma o Tel Aviv, ciò sarà accaduto solo perché un cattivo accordo sarà stato siglato in questi momenti decisivi. Come in un incontro di pugilato, il regime iraniano ora finisce al tappeto. Il conteggio sta per raggiungere i fatidici dieci secondi per decretare il fuori combattimento.
   Ora è il momento di intensificare le pressioni e costringere l'Iran a smantellare il suo programma nucleare. Non lasciare che esso vada avanti. Sarebbe pericoloso revocare le sanzioni e accettare un accordo che permetta all'Iran di mantenere la sua intera linea di produzione dell'uranio. Sarebbe pericoloso perché l'Iran entro un anno, o due o tre da oggi ritornerebbe sui propri passi e otterrebbe un'arma nucleare prima che il mondo riesca a fare qualcosa per fermarlo. Non è sufficiente arrestare le centrifughe. Devono essere completamente smantellate. Invitiamo l'Occidente a non siglare un cattivo accordo. È responsabilità di Israele garantire la sicurezza dei propri cittadini e questo è esattamente ciò che faremo. Non appalteremo mai la nostra sicurezza".
   E sulla questione palestinese, il ministro della Difesa Moshe Ya'alon ha preso in mano la situazione: "Non c'è alcun bisogno di temere le minacce di una terza Intifada. Siamo in un conflitto aperto e in corso (con i palestinesi) che per quanto riguarda i palestinesi non termina con i confini stabiliti nel 1967. C'è Sheikh Munis (come essi chiamano) Tel Aviv, Majdal (come essi chiamano) Ashkelon. Siamo usciti dalla Striscia di Gaza e continuano ad attaccarci. Allevano i loro figli facendogli credere che Haifa e Acre siano dei porti palestinesi e altro ancora. Non c'è alcun segnale di compromesso qui (…) Noi dovremo essere intelligenti e non dovremo temere le minacce di una terza Intifada".
   Prima delle ultime presidenziali Usa io scrissi che "i guai per Israele avranno realmente inizio" con il secondo mandato di Obama. Poi, dopo la sua vittoria elettorale, feci la seguente previsione: "Obama, liberatosi dei vincoli della sua rielezione, può finalmente esprimere le sue iniziali idee antisioniste dopo un decennio di schieramento politico. Si faccia attenzione a un tono notevolmente peggiore della seconda amministrazione Obama nei confronti del terzo governo Netanyahu". Quel momento è arrivato.

(L'Opinione, 16 novembre 2013 - trad. Angelita La Spada)


I colori della tradizione ebraica, un viaggio tra saperi e sapori

di Alessia Ribezzi

  
Fotogalleria
Gusto Kosher è l'evento dedicato ai saperi e ai sapori della tradizione enogastronomica ebraica, dall'antico al contemporaneo che si terrà domenica 17 novembre, in via del Portico d'Ottavia. Il tema del 2013 "Roma - Tel Aviv: sacro e profano" ha l'obiettivo di mettere in contatto e a confronto due mondi culinari che hanno radici comuni ma espressioni distanti, che si muovono tra i confini della religione, della tradizione, del gusto e della contemporaneità. L'evento, sarà caratterizzato da una serie di appuntamenti che, con mostre e degustazioni, assaggi, book corner e kids corner, arricchiranno il programma della giornata. Gusto Kosher sarà anche l'occasione per visitare la mostra ColorFood, progetto del fotografo israeliano Dan Lev, realizzata in collaborazione con stylists e chef israeliani. Il processo creativo di Colorfood riflette tutti i passaggi della preparazione dei cibi in cucina: la sperimentazione, la miscela degli ingredienti, l'assaggio e la mise en place. Il colore è la chiave per entrare nel mondo creativo dello chef.

(la Repubblica - Roma, 16 novembre 2013)


Chi è l'uomo più ricco del mondo? Non è Bill Gates ma l'ayatollah iraniano Khamenei

Un'inchiesta di Reuters durata sei mesi porta alla scoperta di Sedat, impero finanziario da 95 miliardi di dollari formatosi grazie all'esproprio dei beni della popolazione durante la rivoluzione islamica e che ora fa capo alla Guida Suprema del paese.

di Leone Grotti

Chi è l'uomo più ricco del mondo? Non è l'imprenditore informatico americano Bill Gates ma l'ayatollah Ali Khamenei, come dimostrato da un'incredibile inchiesta di Reuters durata sei mesi e pubblicata in tre puntate (l'ultima, ieri). Il dittatore islamico che ha preso il potere in Iran dopo l'ayatollah Khomeyni è infatti a capo di Sedat, un impero finanziario che si è formato nel tempo grazie agli espropri compiuti durante la rivoluzione del 1979 e che vale oggi circa 95 miliardi di dollari.
NASCITA DI SEDAT - Poco prima di morire, Khomeyni ordinò di creare un ente che riordinasse tutti i beni confiscati o abbandonati. Doveva essere sciolto una volta assolto il suo compito, invece il suo successore alla guida dell'Iran Khamenei l'ha mantenuto e accresciuto così tanto che ora il suo valore stimato è pari al Pil del Marocco del 2012. Sedat, abbreviazione nella lingua locale per "quartier generale per implementare l'ordine di Khomeini", dispone di un ufficio centrale di circa 500 dipendenti fedeli all'ayatollah che nel 2008 ha cominciato ad investire in diversi settori, senza più limitarsi a conservare il patrimonio (quello immobiliare, da solo, vale 52 miliardi).
BANCHE, IMPRESE, TELECOMUNICAZIONI - Per ordine di Khamenei, riporta il Foglio, Sedat ha acquistato quote di maggioranza «nella banca privata più grande del paese, nella fabbrica di cemento più grande del paese, nell'impresa di telecomunicazioni più grande del paese e in altre attività economiche che fanno una lista lunghissima e non conosciuta del tutto, che va dalla farmaceutica all'allevamento di ostriche». Nel tempo il sistema politico dell'Iran e quello giudiziario hanno emanato provvedimenti e leggi per favorire le espropriazioni di Sedat, i cui proventi vengono spesso distribuiti ad alti funzionari che resterebbero quindi fedeli all'ayatollah più per denaro che per ideologia.
KHAMENEI COME LO SCIÀ DI PERSIA - Come riporta Reuters, una delle accuse più comuni allo Scià Reza Pahlavi che ha favorito la rivoluzione khomeynista è quella che riguarda le confische di terre fatte dal padre e usate poi per arricchirsi personalmente. Tenendo conto dell'inflazione, lo Scià fu accusato di essersi appropriato in modo indebito di circa tre miliardi di dollari. Khamenei, grazie agli stessi mezzi, dispone oggi di 95 miliardi di dollari (contro i 92,7 di Bill Gates, l'ex uomo più ricco del mondo).
Sempre secondo Reuters, il motivo per cui l'Iran oggi si sta dimostrando conciliante sul nucleare potrebbe consistere nel tentativo di preservare gli interessi di Sedat, danneggiati dalle sanzioni economiche internazionali che impediscono all'Iran di accedere ogni anno a una somma pari a 100 miliardi di dollari. Per ora lo scoop non ha avuto conseguenze in Iran ma la popolazione, sempre più impoverita, potrebbe non essere disposta a vedere la loro Guida Suprema arricchirsi alle loro spalle e grazie alle loro proprietà.

(Tempi, 16 novembre 2013)


Sky, siglato accordo di partnership con la rete i24news

Notizie no-stop da Israele, in tv e sul web

L'informazione sul satellite e online, da uno dei luoghi del mondo più "caldi", non certo in senso letterale, 24 ore su 24. Ogni giorno, grazie alla costante copertura mediatica offerta dal nuovo canale della tv di Murdoch, saranno accessibili a tutti le notizie aggiornate in presa diretta su Israele, con collegamenti e servizi a getto continuo dai vari luoghi simbolo dello Stato mediorientale. Soddisfatto per l'accordo sottoscritto col network italiano, l'amministratore delegato dell'emittente ha voluto sottolineare l'importanza di questo tipo di servizio reso disponibile dalla televisione satellitare a partire dallo scorso 12 novembre, senza dimenticare l'altrettanto curata presenza sul web, con un sito ben attrezzato e tradotto in 3 lingue diverse, ovvero inglese, francese ed arabo.

(La Nostra TV, 16 novembre 2013)


Proiezione del film "The Journey" di Robert Capa

Robert Capa
Sabato 16 e domenica 17, alle ore 17, nella Sala convegni di Villa Manin di Passariano (Ud) prima italiana di "The journey" (Il viaggio, 1951), l'unico film diretto da Robert Capa. Nella giornata di domenica la proiezione sarà preceduta da un incontro con Deborah Steinmetz, direttrice dello Steven Spielberg Jewish Film Archive di Gerusalemme che ha messo a disposizione il film, introdotto dal Direttore della Cineteca del Friuli, Livio Jacob.
Nel secondo dopoguerra il grande fotografo ebreo prende a cuore le sorti dello Stato di Israele, fondato nel 1948, e affianca alla sua attività principale quella di regista cinematografico. Nell'autunno del 1950 Robert Capa è contattato dall'United Jewish Appeal for Refugees and Overseas Needs, nato nel 1939, per realizzare un film dedicato alla raccolta di fondi per l'organizzazione. Capa, che era già stato in Israele, vi si reca per la terza volta, dopo aver trascorso un breve periodo di preparazione a Parigi, con il produttore John Ferno e il soggettista Millard Lampell.
Capa racconta l'arrivo e la prima sistemazione degli immigrati in Israele sulla base di quanto aveva fotografato per il libro "Report on Israel" realizzato con Irwin Shaw. Il film segue il percorso dei nuovi immigrati dall'arrivo ad Haifa, al loro soggiorno nel campo di transito, alla permanenza in un kibbutz dove i giovani raccontano le loro aspirazioni. Impegnati nell'agricoltura ed in altri lavori manuali apprendono la lingua ebraica, condizione necessaria per continuare a vivere in Israele.
Il film propagandistico inizia con la visita in un nuovo insediamento di Henry Morgenthau Jr., Segretario al tesoro durante la presidenza di F. D. Roosevelt, che al momento delle riprese era il presidente dell'United Jewish Appeal, e si conclude con un appello per la raccolta fondi presso i cittadini statunitensi di Edward Warburg, il successore di Morgenthau alla guida dell'organizzazione,
"The journey", che aveva lo scopo di suscitare una forte solidarietà per permettere l'accoglienza in Israele di centinaia di migliaia di persone in attesa, contribuisce ad alimentare il mito di un uno stato creato dal nulla, trasformando una striscia di terra desolata e disabitata in un'isola felice, con città e oasi agricole. Nel film si riafferma l'attitudine di fotografo/cineasta umanista di Capa che nel frattempo lavorava anche per Life.
Il film, della durata di 26 minuti, sabato 16 sarà proiettato alle ore 17 e alle ore 18, la domenica alle 17.00. Introdotto da una presentazione di Piero Colussi di Cinemazero.
Ingresso Gratuito

(Il Giornale del Friuli, 15 novembre 2013)


In Israele nasce una nuova lingua: l'«arabraico»

Idiomi ebraici si fanno strada nell'arabo parlato

di Aldo Baquis

GERUSALEMME - Un nuovo idioma sta prendendo piede in Israele, un Paese dove comunque, in ogni momento ed in ogni luogo, si possono sentire lingue disparate, fra cui ebraico, arabo, inglese, francese, russo, yiddish e amarico. Lo hanno notato due linguisti - Abed Rahman Mar'i e Rubik Rosenthal - che al linguaggio particolare che negli anni ha preso piede fra gli arabi israeliani (il 20 per cento della popolazione) hanno dato un nome, "Arabraico", e hanno dedicato un libro di analisi: "Walla Be-Seder", ossia "Perbacco, va bene". Vivendo in una societa' dove l'ebraico e' comunque la lingua piu' diffusa, la minoranza araba ha acquisito alcuni termini di uso corrente, per inglobarli nel glossario arabo. In particolare, notano Mar'i e Rosenthal, il fenomeno e' piu' sensibile nelle zone dove piu' frequenti sono i contatti fra le due comunita': ad esempio nei supermercati, negli ospedali, nelle farmacie, nei trasporti pubblici e nelle officine meccaniche. Ormai non e' piu' raro che conversazioni in arabo siano intercalate con espressioni tipicamente ebraiche come: "Be-Seder" (va bene); "Yofi" (ottimo); "Kol ha-Cavod" (tanto di cappello). Perfino lo "slang" militare israeliano e' riuscito a far breccia nella minoranza araba: una ragazza particolarmente attraente e' dunque una "Pzazza" (bomba), e una persona molto esperta nel proprio ramo e' un "Totach" (cannone).
In realta' il fenomeno funziona nelle due direzioni e non pochi idiomi arabi sono ormai di uso corrente anche fra chi si esprime in ebraico. Fra queste: "Yalla" (forza!); "Ahla" (al meglio); "Sababa" (grande goduria); "Keif" (piacevole); "Maafan" (repellente); "Dawin" (vanitoso).
Mar'i e Rosenthal notano peraltro che l'"arabraico" ha fatto il suo esordio in grande stile nei siti internet, nonche' al cinema (con il film di azione "Ajami", candidato anni fa all'Oscar, girato nei rioni arabi di Jaffa) e anche alla televisione israeliana, con la apprezzata sit-com "Lavoro arabo" dello scrittore Said Kashu'a. I due autori rilevano che l'"arabraico" ha messo ormai radici tali che adesso gli arabi israeliani si stupiscono che il loro idioma non sia sempre comprensibile nelle strade del Cairo o di Amman. Notano comunque che il fenomeno viene ancora osteggiato dall'elite culturale degli arabi israeliani e anche dai palestinesi nei Territori.
Fra questi ultimi l'"arabraico" e' rimasto allo stato embrionale anche se talvolta viene fatto ricorso a termini ebraici di uso corrente legati alla occupazione militare: ad esempio, "Segher" (zona militare chiusa) e "Tariq al-Okef", deviazione stradale dovuta a posti di blocco.

(ANSAmed, 15 novembre 2013)


L'ebraismo askenazita? È nato nella Roma Imperiale

È il risultato rivoluzionario di una ricerca genetica della New York University

di Alessandra Farkas

 
Harry Ostrer
 
Martin Richards
NEW YORK - Quattro matriarche ebree vissute in Italia all'inizio dell'Impero Romano sono le antenate comuni dell'80 per cento della popolazione di ebrei askenaziti, il gruppo che costituisce oggi la maggioranza della popolazione ebraica mondiale (il 90% degli ebrei Usa, il 50% in Israele). Lo rivela un nuovo studio pubblicato sulla rivista Nature Communications secondo cui le donne della fiorente comunità ebraica romana di 2000 anni fa sarebbero le progenitrici dell'intero popolo ebraico della Mitteleuropa. Basata sull'analisi genetica delle sole linee matriarcali, la ricerca di Martin Richards dell'Università di Huddersfield in Gran Bretagna sembra corroborare un altro studio fondato sull'esame dell'intero genoma, realizzato da Gil Atzmon dell'Albert Einstein College of Medicine e Harry Ostrer della New York University che individuava una comune discendenza italiana sia per gli Askenaziti che per i Sefarditi. Lo studio di Richards conferma dunque la stretta parentela genetica tra due comunità per tanto tempo divise e persino rivali: askenaziti e sefarditi.
"Considerate le somiglianze genetiche tra i due gruppi", spiega Richards, "si deduce che all'antica popolazione ebraica della Roma imperiale appartengono non solo le progenitrici degli askenaziti ma anche quelle dei sefarditi di Spagna e Portogallo". Precedenti studi genetici avevano stabilito che le comunità ebraiche della diaspora erano state fondate da uomini i cui cromosomi Y (trasmessi dal padre ai soli figli maschi) avevano sequenze che si riscontrano di solito in Medio Oriente. La sorpresa è arrivata quando i genetisti hanno studiato il Dna mitocondriale femminile trasmesso esclusivamente dalla madre a tutti i figli e considerato lo strumento ideale per ricostruire gli alberi genealogici. Con l'intero genoma mitocondriale oggi a disposizione, Richards è riuscito a dimostrare che molte comunità ebraiche al di fuori d'Israele hanno origine dal matrimonio tra uomini provenienti dal Levante e donne locali "italiane" poi convertitesi all'ebraismo. Gli esperti sono giunti a questa conclusione comparando le variazioni genetiche all'interno delle comunità ebraiche con quelle della popolazione locale non ebraica.
"I risultati suggerivano un modello di migrazioni in cui gli uomini, con molta probabilità mercanti, arrivavano da soli dalle regioni del Medio Oriente e prendevano in moglie donne del posto che si convertivano poi alla nuova religione", spiega Richards. "In base ai nostri dati", aggiunge, "l'80 per cento delle linee di discendenza materne degli askenaziti proviene da donne indigene italiane". "Circa 2000 anni fa, nella città di Roma prosperava un'ampia comunità ebraica di cui facevano parte numerosi convertiti", continua il genetista. "Si stima che fossero ben 6 milioni gli individui che agli albori dell'Impero Romano praticavano l'ebraismo". Lo studio di Atzmon e Ostrer esamina invece i marcatori genetici e autosomi di entrambi i sessi, giungendo però alla stessa conclusione: gli Askenaziti discendono da donne dell'Europa meridionale e occidentale e non dalla Palestina o dall'Impero Cazaro come molti credevano.
Secondo il New York Times il legame genetico askenaziti-sefarditi che emerge dallo studio è un risultato straordinario che smentisce la tesi sostenuta dal controverso storico israeliano Shlomo Sand nel libro The Invention of the Jewish People, nel quale afferma che gli ebrei askenaziti dell'Europa centro-orientale discenderebbero dai Cazari, una tribù turca che si convertì al giudaismo nel XII secolo e creò un impero nel Caucaso.
Sempre secondo Sand il popolo ebraico non esiste perché la diaspora ebraica sarebbe soltanto il frutto di una leggenda, creata dai sionisti a fini opportunistici. La scienza però lo smentisce. "La parentela genetica tra askenaziti e sefarditi esiste ed è provata", afferma Ostrer. "La firma genomica delle due comunità è molto simile a quella degli italiani", continua Ostrer, "da ciò si deduce che gli avi di entrambi siano stati un'antica popolazione dell'Italia settentrionale composta da ebrei sposati con italiani. Anche durante il Medioevo", spiega, "vi sono state moltissime interazioni matrimoniali tra italiani ebrei e non".
Resta da capire se questa nuova ricerca avrà implicazioni culturali o religiose visto che l'affiliazione all'Ebraismo per via materna vige ormai dal 200 d.e.v. "Avevo previsto polemiche e forti reazioni alle nostre tesi", ribatte Richards, "credo però che esiste il modo per conciliare la nostra scoperta con le posizioni di altri studiosi: considerare che i progenitori maschili degli askenaziti provengano dal Medio Oriente mentre le matriarche siano di origine europea".

(Shalom, novembre 2013)


Filippine, Joint in prima linea

"Il nostro aiuto e il nostro grazie"

Adoperarsi per rendere il mondo un posto migliore e per portare soccorso a chi ne ha bisogno è un principio fondamentale della tradizione ebraica. Di fronte alla tragedia dell'uragano Haiyan che ha messo in ginocchio le Filippine, negli scorsi giorni, lo Stato d'Israele e le organizzazioni ebraiche internazionali si sono immediatamente mobilitate per inviare aiuti economici, cibo, medicine, volontari, come già tante volte avvenuto nel passato più o meno recente (nel 2010 per esempio commosse tutti il primo bambino nato nell'ospedale da campo impiantato da Tsahal in seguito al terribile terremoto di Haiti, che la mamma scelse di chiamare proprio Israel, per dire grazie ai suoi soccorritori). Eppure in questo caso, l'American Jewish Joint Distribution Committee, una delle istituzioni fondamentali nel portare solidarietà dove c'è bisogno del mondo, ricorda come aiutare le Filippine abbia un sapore diverso, ancora più speciale. Prima della seconda guerra mondiale infatti, lo Stato asiatico aprì le porte al JDC per impiantare un campo di accoglienza per gli ebrei in fuga dal nazismo, approvato dall'allora presidente Manuel Quezon. Grazie alla solidarietà filippina trovarono salvezza oltre mille persone. E oggi, fa sapere il chief executive del JDC Alan Gill, è bello poter non solo aiutare, ma anche dire grazie.

*

Israel, il bambino della speranza

È venuto alla luce in queste ore, in una postazione ospedaliera d'emergenza coordinata dall'esercito israeliano, tra le prime forze internazionali ad intervenire sul territorio filippino disastrato dal tifone Haiyan. In segno di gratitudine la madre, una giovane donna sopravvissuta, ha scelto per il figlio il nome Israel.

(Notiziario Ucei, 15 novembre 2013)


"Ebraismo: ricostruire dalle macerie", il libro di Andrea Maori e Marta Brachini

di Elena Lattes

Sembra quasi impossibile che un libro così piccino possa contenere tante informazioni interessanti. Eppure "Ebraismo: ricostruire dalle macerie" di Andrea Maori e Marta Brachini è un lavoro ricco e approfondito, sebbene tratti diversi argomenti in poche pagine.
Partendo da alcune missive rintracciate nell'archivio centrale dello Stato, Maori illustra la ripresa del mondo ebraico, soprattutto a Roma, dopo il terribile trauma della Shoà, con particolare riferimento agli aspetti dell'associazionismo e del dibattito all'interno della piccola comunità italiana sulle relazioni con lo Stato di Israele, svoltosi fino agli anni '70-80 del secolo scorso.
I dati erano già in gran parte noti e diffusi, ma l'insieme dei documenti pubblicati rende più comprensibile sia l'atmosfera del dopo guerra e dei periodi successivi, sia il lento, ma progressivo cambiamento che dalle difficoltà e drammaticità iniziali lasciano pian piano il posto alla voglia di ricostruire. Immediatamente dopo la liberazione di Roma da parte delle truppe alleate, infatti, la Comunità ebraica è semidistrutta: ancora non si conosce con precisione la sorte dei deportati, ma è ormai appurato che dalla capitale sono state prelevate con la forza più di duemila persone e di loro non si sa più nulla.
Chi è riuscito a scampare è soltanto perché ha trovato un rifugio sicuro lontano dalla propria abitazione. L'emergenza più grossa da affrontare, quindi, per la dirigenza duramente provata e ancora disorganizzata, che ritorna al proprio ruolo dopo i nove mesi dell'occupazione nazista, è quella di sistemare le poche migliaia di ebrei sopravvissuti le cui case abbandonate erano state nel frattempo assegnate dalle autorità fasciste a sfollati provenienti da altre zone d'Italia. La situazione vissuta durante l'inverno 1943-44, seppure sinteticamente, è ben descritta dal Presidente dell'Unione delle Comunità Israelitiche di allora, Davide Almansi, in una delle lettere pubblicate nel libro.
Contemporaneamente riprendono lentamente e parzialmente le attività intellettuali e la comunicazione (rinasce il settimanale "Israel", fondato nel 1916), si organizza l'assistenza dei profughi, dei sopravvissuti e di chi è intento a ricostruire lo Stato di Israele, vengono fondati associazioni e movimenti giovanili.
Negli anni successivi, sempre secondo quanto illustrato da Maori, la polizia e il Ministero dell'Interno sembrano interessati maggiormente al movimento migratorio verso Israele (influenzati, a volte, da una sfumatura di vetero pregiudizio antisemita), all'organizzazione per l'accoglienza dei profughi dalla Libia (1967), alle manifestazioni che chiedono la libertà per gli ebrei sovietici (1970) e, soprattutto, al dibattito nei movimenti giovanili (anni '70-'80).
A tutto ciò si allaccia il saggio, altrettanto interessante, di Marta Brachini, nel quale, dopo una breve introduzione per collegare i due argomenti, prende in esame due grandi quotidiani della sinistra italiana, l'Unità e il Manifesto che, fra la fine degli anni '60 e gli '80 espressero un'ostilità pregiudiziale sempre più crescente nei confronti dello Stato di Israele, dando voce a quell'antisionimo il quale, come ben dimostra l'autrice, usava lo stesso linguaggio e gli stessi stereotipi su cui si era precedentemente basato il classico antisemitismo.
Ostilità che, lentamente e leggermente, cominciò ad attenuarsi a partire dal 1991, anno di nascita del Partito democratico della Sinistra.

(Agenzia Radicale, 15 novembre 2013)


Bush vuole "convertire" gli ebrei?

L'ex presidente partecipa alla raccolta fondi del Messianic Jewish Bible Institute, un'associazione che vuole «convincere gli ebrei ad accettare Gesù come Messia». Parla il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni

Un conto è la pretesa politica d'importare la democrazia in Medio Oriente, un conto quella religiosa di convertire gli ebrei. Entrambe belligeranti - in modi e tempi diversi - ma l'ex presidente degli Stati Uniti George W. Bush, nel corso della sua carriera potrà asserire di averle praticate entrambe. Si terrà oggi a Dallas il banchetto per la raccolta fondi organizzato dall'Mjbi, ossia il "Messianic Jewish Bible Institute", che avrà Bush Jr. come ospite d'onore, per «condividere la sua passione nel liberare la gente».
Perché l'Mjbi altro non è se non un «gruppo di proselitismo evangelico», come l'ha definito Abraham Foxman, direttore della Anti-Defamation League. Mother Jones, la rivista americana che ha diffuso la notizia, ne spiega in dettaglio la funzione: formare personale negli Stati Uniti, in Israele e nel resto del mondo per convincere gli ebrei ad accettare Gesù come il Messia. E "ripristinare" Israele e gli ebrei, cagionando la seconda venuta di Cristo. Proposito che inevitabilmente evoca ricordi sinistri, sul quale Europa ha chiesto l'opinione del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni....

(Europa, 15 novembre 2013)


Leggere articoli come quello qui segnalato, per un evangelico con un minimo di consapevolezza è una sofferenza ricorrente a cui è giocoforza abituarsi. In fatto di questioni religiose diverse dal cattolicesimo il giornalista medio italiano è di solito ignorante, anzi, peggio ancora, supponente. Gli bastano pochi tratti per descrivere una realtà che in fondo non lo interessa e per lui non è nemmeno degna di essere presa in seria considerazione, ma che comunque può servire a fare qualche reportage di colore. Ed ecco allora frasi ad effetto come “Bush vuole ‘convertire’ gli ebrei” o “’ripristinare’ Israele e gli ebrei, cagionando la seconda venuta di Cristo”. Si potrebbe comporre un’intera analogia con frasi ad effetto come queste che vorrebbero spiegare i motivi profondi che spingono cristiani evangelici ad interessarsi di ebrei: motivi naturalmente “sinistri”, come allude l’articolista, e in ogni caso egoisticamente interessati, come “cagionare la seconda venuta di Cristo”, cosa che naturalmete tornerebbe ad onore di chi l’ha cagionata. Per fare reportage di colore bisogna usare ovviamente personaggi di spicco, che possano servire appunto a dare colore al pezzo, indipendentemente dalla verità, che in questi casi e per questi scopi è del tutto irrilevante. Anzi nociva. M.C.


Kirill Swiderski in Italia

Kirill Swiderski
L'evangelista ebreo messianico russo Kirill Swiderski, che per diversi anni ha vissuto in Germania e attualmente opera tra gli ebrei di lingua russa in Chicago, sarà nei prossimi giorni in Italia, invitato dalla Chiesa Cristiana Evangelica di Reggio Emilia, via Papa Giovanni XXIII 26a. Le riunioni si svolgeranno secondo il seguente calendario:

   Venerdì     22 novembre, ore 20.30
   Sabato      23 novembre, ore 20.30
   Domenica  24 novembre, ore 10.15

Nei giorni 25 e 26 novembre Kirill Swiderski terrà degli studi nei locali della Chiesa Cristiana Evangelica di Borgofranco sul Po (MN), via Giovanni Pascoli, alle ore 20.30.
Il tema verterà sulla figura del profeta Geremia e sul suo annuncio del nuovo patto.
L'evangelista Kirill è direttore del periodico in lingua tedesca "Kol Hesed" e, tra le altre cose, ha anche una bella voce che spesso usa nei suoi servizi accompagnandosi con la chitarra.

(Notizie su Israele, 15 novembre 2013)


Ecco, i giorni vengono, dice l'Eterno, che io farò un nuovo patto con la casa d'Israele e con la casa di Giuda; non come il patto che fermai coi loro padri il giorno che li presi per mano per trarli fuori dal paese d'Egitto: patto che essi violarono, benché io fossi loro Signore, dice l'Eterno; ma questo è il patto che farò con la casa d'Israele, dopo quei giorni, dice l'Eterno: io metterò la mia legge nell'intimo loro, la scriverò sul loro cuore, e io sarò loro Dio, ed essi saranno mio popolo. E non insegneranno più ciascuno il suo compagno e ciascuno il suo fratello, dicendo: 'Conoscete l'Eterno!' poiché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice l'Eterno. Poiché io perdonerò la loro iniquità, e non mi ricorderò più del loro peccato.
Così parla l'Eterno, che ha dato il sole come luce del giorno, e le leggi alla luna e alle stelle perché siano luce alla notte; che solleva il mare sì che ne muggono le onde; colui che ha nome: l'Eterno degli eserciti. Se quelle leggi vengono a mancare dinanzi a me, dice l'Eterno, allora anche la progenie d'Israele cesserà d'essere in perpetuo una nazione nel mio cospetto. Così parla l'Eterno: Se i cieli di sopra possono esser misurati, e le fondamenta della terra di sotto, scandagliate, allora anch'io rigetterò tutta la progenie d'Israele per tutto quello che essi hanno fatto, dice l'Eterno.
Geremia 31:31-37








 

Opportunità di business sull'asse Israele-Salerno

Questa mattina la tavola rotonda organizzata dalla Camera di Commercio per promuovere le peculiarità della provincia e favorire le relazioni economiche con il Paese mediorientale.

  
   Guido Arzano
Promozione delle peculiarità della provincia di Salerno presso una delegazione israeliana di top buyer, prevalentemente del settore turistico, per favorire le opportunità di business con il paese mediorientale. Questo l'obiettivo della tavola rotonda "Destinazione Salerno", tenuta stamattina presso il centro congressi Internazionale "Salerno Incontra". Promossa dalla Camera di Commercio di Salerno ed organizzata da Intertrade e Polaris, la tavola rotonda è stata un utile approfondimento delle opportunità derivanti dalla domanda proveniente da un Paese, come l'Israele, già particolarmente sensibile ed interessato alle attrazioni turistiche italiane e campane sotto il profilo artistico, culturale ed enogastronomico. L'Italia è considerata strategica per le imprese israeliane che cercano nuovi sbocchi sul mercato Ue, grazie alla vicinanza geografica e alle comuni caratteristiche di propensione all'innovazione e alla flessibilità che derivano dalla forte incidenza di piccole e medie imprese in entrambi i sistemi economici.
«La Camera di Commercio di Salerno - dichiara il presidente Guido Arzano - ha promosso l'odierna tavola rotonda per favorire il grado di conoscenza, ad una platea di operatori economici israeliani, delle opportunità offerte dalla provincia di Salerno, rappresentate dalle bellezze naturali, paesaggistiche, storiche e archeologiche senza trascurare le opportunità di business offerte dalle nostre eccellenze dell'agroalimentare e dell'artigianato artistico».
«Uno dei modi migliori per abbattere i pregiudizi è anche abbattere le frontiere - dichiara il presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici - attraverso la facilitazione del turismo e della mobilità in generale sia per gli italiani che si recano in Israele che per gli israeliani diretti nel nostro Paese. Costruire opportunità di migliore accoglienza dei turisti attraverso la predisposizione di pasti specifici per il cliente israeliano, oppure la visita a siti e musei ebraici presenti sul territorio».

(la Città di Salerno, 15 novembre 2013)


A Ragusa Ibla il 20 novembre la "Giornata Paese Israele Focus Turismo"

Il Comune di Ragusa, La Camera di Commercio e la Co-Export di Ragusa organizzano per mercoledì 20 novembre presso l'antico convento di Ibla, all'interno dei Giardini Iblei, una "Giornata Paese Israele Focus Turismo " riservato alle aziende impegnate nel settore del turismo.
"Per presentare l'importante iniziativa che ci consentirà di focalizzare le opportunità di attrazione del turismo israeliano nel nostro territorio - dichiara l'Assessore al turismo Stefano Martorana - riteniamo opportuno convocare giorno 19 novembre, alle ore 12, presso la sala giunta, una conferenza stampa a cui interverranno i rappresentanti degli Enti che promuovono detto evento".

(RTM.it, 15 novembre 2013)


L'Ente di Israele festeggia i 40 anni in Italia

"Oggi il turismo verso il Paese si presenta in modo assolutamente innovativo e si è rinnovato in modo impensabile fino a 15 anni fa", commenta il direttore Tzvi Lotan.

Tzvi Lotan
L'Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo ha compiuto i suoi primi 40 anni di attività in Italia ed ha festeggiato con una serata giovedì 7 novembre al ristorante Re Salomone di Milano. L'ente, aperto prima a Roma nel lontano 1973, fu trasferito poi a Milano perché il turismo verso la destinazione, oggi come allora, vede un movimento oltremodo attivo soprattutto dal nord Italia.
"Oggi il turismo verso Israele si presenta in modo assolutamente innovativo - ha esordito il direttore Tzvi Lotan - e si è rinnovato in modo impensabile fino a 15 anni fa". Israele è una destinazione dove lo sviluppo dei brand è stato eccezionale e spesso inaspettato: city break o long weekend a Gerusalemme e Tel Aviv; turismo ecosostenibile nel Negev e il turismo sportivo in tutto il Paese; turismo culturale; appuntamenti con il design e l'arte che vedono Tel Aviv al centro di una continua e sempre rinnovata attenzione alle novità ed ai brand di questo tipo; il benessere con al centro il Mar Morto, ma anche le terme al Nord del Paese e le sempre nuove Spa poste all'interno dei piccoli e grandi hotel la cui costruzione e rinnovamento; la ricerca della spiritualità.
"Israele è una destinazione tutto l'anno e che non conosce fortunatamente crisi - ha continuato il direttore - ed in questi anni abbiamo lavorato affinché vi fosse la crescita di tutti i brand, e con reale soddisfazione posso affermare che attualmente le percentuali sono 55% di turismo leisure e 45% di turismo religioso. Percentuali impensabili fino a qualche anno fa".
Oggi Israele è anche una destinazione sempre più per un turismo giovane e questo grazie anche all'ingresso di novità come la compagnia low cost Easyjet che da Roma ha iniziato a volare due volte alla settimana, alla conferma di Meridiana che da Milano ora vola tre volte alla settimana ed all'impegno di EL AL che offre 23 voli diretti alla settimana da Roma e Milano".
"Alitalia vola ora con 21 voli alla settimana da Roma e dal prossimo anno sia EL AL che Alitalia aggiungeranno voli Venezia - Tel Aviv, tre volte alla settimana EL AL e due volte alla settimana Alitalia. "In questi anni di attività 3.000.000 di persone dall'Italia si sono recati in Israele con tempi medi di pernottamento dai 5 ai 7 giorni. Uno straordinario successo. Un sincero grazie a tutti Voi ed allo staff dell'Ufficio in questo che è il mio ultimo anno di attività che concluderò il prossimo mese di luglio" ha concluso Tzvi Lotan.

(Guida Viaggi, 14 novembre 2013)


«La battaglia contro l'odio online va combattuta giorno dopo giorno»

di Stefano Capponi

Ruben Della Rocca, responsabile delle Relazioni Istituzionali della Comunità Ebraica di Roma, ha espresso soddisfazione a nome degli ebrei romani per ciò che Polizia e giudici stanno facendo per sgominare la propaganda di odio razzista e antisemita sul web.
«Esprimiamo il nostro apprezzamento per il lavoro svolto dalla magistratura e dalle forze dell'ordine che in queste ore dimostrano di tenere alta l'attenzione su fenomeni criminali di stampo antisemita, razzista e xenofobo», ha affermato, «Ciò dimostra che la battaglia contro l'odio online va combattuta giorno dopo giorno, anche a seguito di soddisfacenti sentenze che avevano pochi mesi fa condannato proprio gli autori della sezione italiana del sito Stormfront».
Tutto ciò avviene alla luce delle nuove perquisizioni effettuate dalle forze dell'ordine in tutta Italia finalizzate a identificare i potenziali responsabili di un nuovo sito che assomiglia a quello già combattuto in passato nell'operazione Stormfront. Proprio nel novembre 2012, infatti, la Polizia postale e la Digos si erano occupate per la prima volta di perseguire un simile portale online a contenuto accusato di essere neonazista e antisemita, nonché xenofobo e sostenitore della superiorità della razza bianca. Questo sarebbe stato sulla linea di stormfront.org, sito per la prima volta online nel 1995 e salito alla ribalta delle polemiche in USA, anche perché storicamente gestito dall'ex leader del Ku Klux Klan ed ex membro del Partito Nazista Americano.
Sul nuovo forum al centro dell'inchiesta non vi sarebbero solo frasi di odio contro gli ebrei (alla luce del presunto complotto pluto-giudaico internazionale, arma utilizzata sin dai tempi di Hitler per incriminare a prescindere tutti gli affiliati alla religione giudaica e i loro discendenti), ma anche contro l'assessore alla Cultura di Roma, il sindaco di Lampedusa, in questi mesi conosciuta sui media nazionali per la richiesta di aiuto per l'isola e per i rifugiati in seguito alle tragedie del Mediterraneo, e lo scrittore Roberto Saviano, occupatosi in questo periodo della rilettura di "Se questo è un uomo" di Primo Levi.
Il fronte dell'odio online è probabilmente destinato ad espandersi e trova sempre più linfa vitale ricevendo molti consensi tra una larghissima fascia (che rischia sempre più di divenire maggioritaria) di commentatori del web. Questi si ergono molto spesso a difesa di una presunta libertà contro il "pensiero unico" che vuole salvaguardare imperativamente i diritti umani, esprimendo solidarietà a Stormfront o ai siti simili che entrano nel mirino delle forze dell'ordine. Anche in questo senso la Comunità Ebraica ha suonato il campanello d'allarme affermando che «l'Italia non può distrarsi».

(il Referendum, 14 novembre 2013)


La nuova frontiera medica del Weizmann

di Daniel Reichel

  
E' il futuro su cui investire per migliorare il nostro benessere, la nostra salute. Ogni paziente con un proprio profilo medico, studiato specificamente per lui, per curare e prevenire eventuali malattie a partire dallo studio del suo Dna. Parliamo della medicina personalizzata, un campo in ascesa a livello internazionale sui cui in molti ripongono fiducia. Tra i primi, l'israeliano Weizmann Institute of Science che sta realizzando il Nancy and Stephen Grand Israel National Center for Personalized Medicine, un centro che - si legge su sito del Weizmann - vuole "realizzare una visione rivolta al futuro della medicina in cui i trattamenti saranno prescritti non solo per una particolare malattia, ma facendo riferimento a ciascun profilo unico e individuale". Progetto che, a giudicare dalle donazioni ricevute, ha riscosso fiducia a livello internazionale: pochi giorni fa infatti il Centro ha dichiarato di aver ricevuto 120milioni di dollari da donazioni private e fondazioni filantropiche per la realizzazione del Nancy and Stephen Center (quasi metà dei fondi sono arrivati attraverso il Comitato americano per il Weizmann Institute of Science). "Abbiamo ricevuto un regalo straordinario - ha dichiarato il presidente del Weizmann Institute Daniel Zajfman - è un raro esempio di come gli amici dell'istituto si sono uniti per realizzare una visione che influenzerà profondamente il futuro della ricerca biomedica. Perché il centro sarà aperto a tutta la comunità di ricerca israeliana e gli effetti degli studi effettuati all'interno di queste mura si faranno sentire in tutto il paese e anche oltre i suoi confini".
"Medicina personalizzata - si legge nel sito italiano dedicato a questo settore scientifico, sviluppatosi negli ultimi anni - è un termine nato per indicare la possibilità, soprattutto attraverso l'analisi farmacogenomica, di personalizzare la strategia terapeutica e l'utilizzo dei farmaci per il paziente. In breve il concetto ha compreso anche tutte le indagini di genomica predittiva, in grado di "tipizzare" il paziente sul piano della predisposizione genetica verso specifiche patologie". Due sono i principali fronti su cui lavora la medicina personalizzata: da una parte la cura specifica del paziente, dall'altra la prevenzione attraverso cui cercare di ridurre i fattori di rischio non genetici di una malattia o diminuire la possibilità che la malattia si sviluppi. L'esempio, portato da medicina specializzata.it, è la modifica ad esempio dello stile di vita del paziente attraverso l'adozione di una particolare dieta, l'introduzione di specifiche integrazioni alimentari o farmacologiche.
Un progetto che potrebbe incidere drasticamente sulle nostre vite. Un futuro che per il Weizmann sarà basato su "avanzati metodi di ricerca scientifica e tecnologica" portati avanti nel Nancy e Stephen Center.

(Notiziario Ucei, 14 novembre 2013)


Hassan Nasrallah: Hezbollah continuerà a difendere Assad

ROMA, 14 nov - Le forze di Hezbollah continueranno a combattere in Siria al fianco del presidente Bashar al Assad. Lo ha assicurato il capo della stessa milizia sciita libanese, Hassan Nasrallah, parlando dal quartier generale di Beirut in una delle sue rare apparizioni pubbliche.
"Abbiamo gia' detto molte volte che la presenza dei nostri soldati sul suolo siriano ha lo scopo di difendere la Siria" dagli attacchi voluti da Israele, ha affermato l'estremista durante le commemorazioni del giorno dell'Ashura, una delle ricorrenze piu' importanti del calendario religioso sciita in cui si commemora il martirio dell'imam Hussein. "La nostra presenza in Siria e' giustificata", ha poi ribadito.

(ASCA, 14 novembre 2013)

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Hassan Nasrallah: Hezbollah minaccia la guerra

Il leader del movimento Hezbollah Hassan Nasrallah ha avvertito che se l'accordo con l'Iran sul suo programma nucleare non sarà raggiunto, nella regione vi sarà il pericolo di guerra.
"Qual è l'alternativa al mancato accordo tra l'Iran e i Paesi del mondo? L'alternativa è la guerra nella regione", si dice nella dichiarazione diffusa sui canali video.
Il leader del movimento ha criticato il governo israeliano e alcuni Stati arabi che sono solidali con Israele. "A Israele non servono gli accordi che possono evitare la guerra nella regione. Peccato che alcuni Paesi arabi condividano la posizione d'Israele", ha sottolineato Nasrallah.

(La Voce della Russia, 14 novembre 2013)


Nasrallah dice che bisogna fare l’accordo con l’Iran se no ci sarà guerra nella regione; Kerry dice che bisogna fare l’accordo tra israeliani e palestinesi se no scoppierà un’altra intifada. Il linguaggio americano assomiglia sempre di più a quello musulmano. M.C.


Soldato israeliano pugnalato a morte da un palestinese

Immagini
Un soldato israeliano è stato pugnalato a morte stamane da un palestinese nella città di Afula (Galilea). Lo ha affermato un portavoce militare secondo cui l'assalitore è un ragazzo che intendeva vendicare l'arresto di suoi congiunti da parte dell'esercito israeliano. L'assalitore è stato neutralizzato da passanti e consegnato alla polizia.
La vittima è stata identificata come Eden Atias,
Eden Atias
19 anni, originario di Nazaret Illit (Galilea). Il soldato si era arruolato appena due settimana fa.
Il suo presunto
presunto?!
assassino è quasi coetaneo. Si tratta, secondo l'agenzia di stampa palestinese, di
Hussein Sharf Ghawadra,
Hussein Sharf Ghawadra
17 anni, del villaggio di Bir al-Basha, nella provincia di Jenin (Cisgiordania). Fonti palestinesi affermano che in quel villaggio sono in corso perlustrazioni dell'esercito israeliano.
Secondo la polizia israeliana Ghawadra è arrivato oggi ad Afula (Galilea) con la ferma intenzione di pugnalare israeliani. Intendeva così vendicare, ha aggiunto la polizia, la reclusione di due suoi congiunti. Uno di essi sconta tre ergastoli per l'uccisione di israeliani; un altro sconta 12 anni di prigione per un tentato omicidio.
L'uccisione del soldato ha destato forte emozione in Israele. Parlamentari di destra hanno fatto appello al premier Benyamin Netanyahu affinché sospenda la liberazione, per scaglioni, di circa 100 detenuti palestinesi decisa la scorsa estate per sostenere la ripresa delle trattative di pace.

(swissinfo.ch, 13 novembre 2013)


L’assassino si chiama Hussein. Ha pugnalato alle spalle un soldato dell’esercito di Israele. Fa riflettere.


Filippine - Tsahal in prima linea

Mentre l'esercito israeliano si preparava oggi ad inviare una missione umanitaria, da Afula arrivava la tragica notizia dell'uccisione di un giovane soldato dell'Idf (Israel defence force). Accoltellato questa mattina, a quanto risulta, da un ragazzo palestinese di 16 anni mentre viaggiava su un mezzo pubblico, il diciottenne è stato ricoverato d'urgenza in ospedale ma, nonostante le cure, è deceduto poche ore dopo l'operazione. L'ennesimo doloroso capitolo di un conflitto che rischia di tornare su alti livelli di tensione.
Israele intanto si stringe attorno al dolore della famiglia del giovane. Guarda a se stessa ma anche oltre i propri confini come dimostra la decisione di inviare a Taclaban, nelle Filippine, una delegazione dell'Idf: 148 persone, tra medici ed esperti in primo soccorso e assistenza, per aiutare la popolazione locale, colpita dalla devastazione del tifone Haivan. L'unità medica dell'esercito si occuperà di creare nella città una struttura sanitaria temporanea per provvedere alle necessità mediche dei feriti e delle migliaia di persone rimaste senza casa . L'ospedale da campo avrà una sezione dedicata alle cure dei bambini, una per le donne e una di medicina generale, oltre a un ambulatorio. La struttura sarà equipaggiata con circa 100 tonnellate tra forniture mediche e umanitarie provenienti da Israele. L'equipe dell'esercito israeliano darà così il proprio contributo assieme alle altre organizzazioni presenti sul territorio, tra cui l'IsraAid, ente internazionale che riunisce in sé diverse realtà ebraiche e israeliane impegnate sul fronte della solidarietà e umanitario.
Le immagini del passaggio di Haivan hanno fatto il giro del mondo, case spazzate via, strade inondate, alberi sradicati. Si parla di circa 10mila vittime e quasi mezzo milione di persone rimaste senza casa. Da tutto il mondo, come dimostra la spedizione israeliana, stanno arrivando aiuti e soccorsi per far fronte a questo disastro naturale.

(Notiziario Ucei, 13 novembre 2013)


Hamas introduce nuovo libro di testo: "Israele non esiste"

 
Una pagina del nuovo testo scolastico di Hamas
Hamas ha introdotto un nuovo libro di testo per i 55 000 studenti delle scuole superiori nella Striscia di Gaza. Il nuovo libro è solo una parte degli sforzi di Hamas per indottrinare i giovani palestinesi all'odio verso Israele.
Il nuovo libro di testo nega l'esistenza di Israele e non menziona gli accordi di pace di Oslo che Israele ha firmato con l'OLP nel 1990.
Continuano le pubblicazioni a cura dei servizi segreti israeliani sul modus operandi di Hamas, organizzazione terroristica che come obiettivo ha la cancellazione dello Stato di Israele. Oltre che con le armi, tra Israele ed i paesi che hanno giurato la sua eliminazione dalla cartina geografica, si combatte da anni una guerra a furia di pubblicazioni ed approfondimenti, mirati a screditare l'operato del governo in questione. Che Hamas sia un'organizzazione terroristica, non ci sono dubbi, considerando che è ritenuta tale anche dall'Unione Europea.
Il manuale descrive il sionismo come un movimento razzista che si propone di guidare tutti gli arabi fuori della zona compresa tra l'Egitto e l'Iraq. In conformità con l'ideologia di Hamas, il nuovo testo "didattico" nega qualsiasi pretesa ebraica in Israele. La Palestina è definita "come uno stato per i musulmani che si estende dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo". Le città israeliane di Haifa, Acco e Beersheba, - dove gli ebrei hanno vissuto nel corso della storia - sono chiamate "città palestinesi" . Sempre secondo il libro di testo, "gli ebrei e il movimento sionista non si riferiscono ad Israele, perché quella nazione (Israele) è stata annientata".

(teleradiosciacca.it, 13 novembre 2013)


i24news, la voce di Israele nel mondo, su Sky Italia dal 12 novembre

A seguito di una partnership con Sky Italia, a partire dal 12 novembre 2013 i24news, il canale internazionale all-news che porta la voce di Israele nel mondo, fa il suo ingresso nel panorama televisivo italiano, disponibile in lingua inglese sulla piattaforma satellitare Sky al canale 537. L'accordo con Sky Italia è stato annunciato dopo il debutto di i24news in Spagna (Canal +) e in Polonia (Polsat) il mese scorso. Il canale i24news è stato lanciato il 17 luglio 2013 ed è già disponibile su varie emittenti TV in Francia, Belgio, Lussemburgo, India occidentale e Africa.
Frank Melloul, Amministratore Delegato di i24news, ha dichiarato: "Sono orgoglioso che oggi i24news sia disponibile tra i canali di un network televisivo italiano così importante. E questo accresce ulteriormente la visibilità del nostro canale".
Laurent Malek, Chief Marketing and Commercial Officer di i24news, ha affermato: "Siamo contenti di annunciare il nostro accordo con Sky Italia, che ci permettere di rafforzare la nostra presenza sul territorio Europeo. Il nostro canale offrirà al panorama televisivo italiano l'accesso a un nuovo tipo di informazione con una prospettiva israeliana".

(Digital-Sat.it, 13 novembre 2013)


Giochi - The Shivah: Kosher Edition su PC e IOS il 21 novembre

Un filmato del gioco
L'avventura indipendente ambientata in una povera sinagoga di New York City farà capolino in una versione rimasterizzata il 21 novembre, su PC e dispositivi iOS. Parliamo di The Shivah: Kosher Edition, punta e clicca rilasciato nella sua prima versione nell'ormai lontano 2006, che rappresenta il vero e proprio debutto commerciale di Wadjet Eye Games che conoscerete di certo per la serie Blackwell, Gemini Rue, Resonance, Primordia e così via.
La versione PC può già essere prenotata al prezzo di 3,99 $, col 20% di sconto rispetto al prezzo base di 4,99 $, da questo sito, mentre nel giorno del lancio comparirà anche su Steam e GOG.com. La versione iOS sarà invece venduta ad un prezzo di 1,99 $ tramite Apple App Store.

(Z-Giochi, 13 novembre 2013)


Abbas plaude all'Egitto che colpisce Hamas

Il presidente dell'ANP ringrazia Il Cairo per la distruzione dei tunnel tra Gaza e Rafah. La riconciliazione sempre più lontana, Fatah tenta di piegare definitivamente Hamas.

GERUSALEMME, 13 nov - Il presidente palestinese Mahmoud Abbas plaude al generale egiziano Al-Sisi e attacca Hamas. In un'intervista rilasciata ieri alla tv egiziana CBC, Abbas ha parlato del coinvolgimento del movimento islamista palestinese nelle azioni in Sinai contro il nuovo governo del Cairo, accusando Hamas di destabilizzare l'area.
   "L'Autorità Palestinese ha ricevuto informazioni sul coinvolgimento di Hamas e le ha girate all'Egitto - ha detto Abbas - Ma spetta alla magistratura egiziana stabilire se Hamas è colpevole o meno". Nel mirino del presidente dell'ANP sono finiti anche i tunnel sotterranei di collegamento tra la Striscia di Gaza e Rafah, definiti non solo "illegali", ma valido strumento nelle mani di 1.800 uomini d'affari gazawi che approfittano dell'assedio della Striscia per contrabbandare sigarette, missili, droghe.
   Da cui il plauso alle autorità del Cairo, impegnate dal 3 luglio scorso - giorno della deposizione del presidente islamista Morsi - nella distruzione di quasi 800 tunnel. Oltre 1.500 quelli demoliti dal gennaio 2011, inizio della primavera egiziana. Una politica che, però, è andata a peggiorare drammaticamente le condizioni di vita di un milione e 700mila gazawi, ritrovatisi privi di beni di prima necessità, di carburante per il funzionamento di ambulanze, ospedali e scuole e del principale generatore di energia elettrica di Gaza. Mancano le medicine e i materiali di costruzione, un'emergenza nella crisi ormai cronica della Striscia.
   Da parte sua Abbas dice di apprezzare gli sforzi egiziani nel processo di riconciliazione tra Fatah e Hamas, tra Cisgiordania e Gaza. Nella pratica, però, pare più interessato ad indebolire un avversario già in crisi dopo la caduta dell'Islam politico e del regime dei Fratelli Musulmani in Egitto. Il mese scorso, durante la festa musulmana del sacrificio, Abbas aveva parlato al telefono con il leader di Hamas, Meshaal: entrambi si erano detti pronti a sedersi al tavolo del dialogo, per giungere alla creazione di un governo ad interim e all'organizzazione di nuove elezioni nazionali. Parole rimaste tali: nessun tentativo di riavvicinamento è stato compiuto e gli screzi e gli attacchi piovono copiosi da entrambe le parti.
   A pagarne le conseguenze è, ancora una volta, la Striscia di Gaza, dimenticata dalla politica nazionale e dallo stesso Hamas, troppo impegnato a cercare appoggi regionali dopo l'abbandono degli alleati storici, Siria ed Hezbollah. Il Qatar e la Turchia, nuovi punti di riferimento del movimento islamista che ne ha tratto denaro e legittimazione, hanno già fatto un passo indietro, lasciando Hamas alle prese con le conseguenze dei propri errori strategici: aver messo in un angolo gli interessi politici, sociali ed economici del popolo palestinese, a favore di quello globali della rete della Fratellanza Musulmana.

(Nena News, 13 novembre 2013)


Un albero di ulivo per i Giusti della Guardia di Finanza

 
ROMA, 13 nov - Questa mattina, alla presenza del comandante interregionale dell'Italia centrale della Guardia di Finanza, gen. Pasquale Debidda, del comandante regionale Lazio, gen. Carmine Lopez, del Presidente della comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, del presidente dell'Ucei e del presidente del Kkl Italia, ha avuto luogo nella sede del comando regionale la cerimonia di consegna di un albero di ulivo donato dal Keren Kayemeth LeIsrael in memoria dei giusti della Guardia di Finanza.
"Siamo qui per ricordare 6 eroi. Sono peró - spiega il Presidente Riccardo Pacifici - solo quelli di cui abbiamo testimonianza provata, tanti altri finanzieri in modo anonimo hanno aiutato gli ebrei durante le persecuzioni naziste. Le ricerche continuano per scovare informazioni maggiori e rendere merito a chi si è prodigato. Per questo la cerimonia di oggi la dedico anche a tutti gli anonimi della Finanza che hanno operato nel silenzio salvando tante vite".
Nel corso della cerimonia, coordinata dal responsabile nazionale della sicurezza delle Comunità Ebraiche, Gianni Zarfati, l'albero di ulivo è stato piantato nella Piazza d'Armi del comando generale del Lazio. Con tale gesto si è inteso rammentare alle nuove generazioni la sofferenza e l'abnegazione verso il prossimo di tanti finanzieri di tante Fiamme Gialle che si distinsero in favore dei profughi ebrei. Ai piedi dell'ulivo è stata posta la targa che recita: "Per non dimenticare le storie di coraggio di chi, rifiutando l'iniquità delle leggi razziste rischiò la propria vita per salvare l'altrui esistenza".

(Comunità Ebraica di Roma, 13 novembre 2013)


La miopia della Bonino sull'atomica iraniana

Il negoziato va bene purché gli iraniani rinuncino al nucleare militare. Bene che la Francia abbia fatto saltare il tavolo.

di Davide Giacalone

L'accordo con l'Iran e l'attenuarsi delle sanzioni, nei termini in cui erano stati definiti, sarebbero stati una tragedia. Un micidiale colpo all'Occidente. In grado di spostare Israele verso l'interlocuzione con la Russia e di scatenare una corsa al riarmo atomico. Perché è escluso che i mussulmani non arabi e sciiti si dotino dell'arma nucleare e quelli arabi e sunniti stiano a guardare. I francesi hanno fatto bene a far saltare il tavolo, rendendosi interpreti di preoccupazioni ben presenti anche nel Regno Unito. Mentre l'unica attenuante del governo italiano è la sua irrilevanza (purtroppo), resa più grave, mi spiace dirlo, da un ministro degli esteri, Emma Bonino, che volta le spalle a Israele e ammette che si possa fare un accordo che non preveda esplicitamente la rinuncia al nucleare aggressivo. Ancora la settimana scorsa la televisione iraniana trasmetteva un'animazione nella quale si simulava l'attacco missilistico atomico contro Israele, ottenendone, come da anni chiedono, la cancellazione dalla carta geografica.
  Il negoziato va bene, naturalmente, purché le parti condividano il punto d'arrivo: la rinuncia iraniana al nucleare militare. Non è compatibile con questo obiettivo l'ultimazione della costruzione della centrale di Arak, come non è compatibile il "diritto all'arricchimento dell'uranio", rivendicato da Teheran. Quello che non è stato firmato è un testo che lasciava agli iraniani troppo tempo. E il tempo è decisivo, perché già fra qualche mese nella centrale di Arak si troverà plutonio arricchito, rendendo pericolosissimo, se non impossibile, un bombardamento che la distrugga. Ecco perché impressiona l'affermazione del ministro Bonino, che interrogata (dal Corriere della Sera) sulla sua previsione circa la fine del programma nucleare iraniano, dice: "non lo so, ma è prudente e ragionevole andare a vedere le carte". Ripeto: il negoziato va sempre bene, ma lasciare del tempo è la cosa meno prudente e ragionevole che ci sia, perché fra qualche mese quelle carte saranno radioattive. Aggiunge Bonino: "c'è tutto il tempo per spiegarlo a Israele". No, non c'è tempo, perché fin qui la sicurezza di Israele dagli attacchi nucleari è stata conquistata mediante la distruzione preventiva dei reattori ostili (si ricordi Osirak, funzionale alle minacce dell'iracheno Saddam Hussein).
  Laurent Fabius, il ministro degli esteri francese (già capo del governo socialista, presidente Mitterrand), ha violato il protocollo, rendendo pubblico il dissenso francese. Ha fatto bene. Subito dopo il segretario di Stato statunitense, John Kerry, ha detto che quella francese non è una posizione isolata, ma rispecchia le preoccupazioni dei governi democratici. Meglio. Il fatto è (e Kerry lo sa bene, visto che dissentì dal tentennare di Obama) che la vicenda siriana ha lasciato un brutto strascico. In quel caso il fronte occidentale si sbriciolò, con i soli francesi pronti a un intervento armato, il governo inglese messo in minoranza e la presidenza Usa pencolante. Sulla Siria il solo soggetto le cui parole corrisposero ai fatti fu Putin, che ne difendeva il governo, anche per meglio metterlo sotto la propria tutela. Lì c'è un punto di svolta, non bella.
  In Siria si giocava anche l'influenza iraniana. Non a caso per l'attacco erano non solo gli israeliani, ma anche l'Arabia Saudita. E fu quella lezione a mettere fianco a fianco israeliani e sauditi, entrambe tenuti a un dialogo con la Russia. Se ora non si ferma il programma nucleare iraniano si spingeranno gli arabi sunniti a correre anch'essi verso la bomba atomica e gli israeliani a trattare con Putin il fermo, anche mediante bombardamento, all'Iran. Un capovolgimento della politica statunitense e delle alleanze mediorientali, con un aumento di peso della Russia. E' questo che vogliamo? Fortunatamente i francesi ci hanno messo una zeppa. Magari lo hanno fatto anche per ripicca, restituendo agli Usa il cattivo servizio siriano.
  Ci sono soluzioni alternative? Certo: il programma nucleare iraniano può continuare per fini civili, il che comporta l'accettazione del vincolo per cui l'arricchimento del materiale fissile avviene fuori dai loro confini (quello per uso civile è diverso da quello per bombe). Negoziare significa tenere presenti molti aspetti, variando i quali cambiano le convenienze di ciascuno. Ma quel punto deve restare fermo, altrimenti non è un negoziato, ma un cedimento. Un cedimento che porta squilibrio e insicurezza. Un cedimento che porta le armi atomiche ostili dietro l'uscio di casa nostra.
  Leggo in giro rammarico per l'esito infausto della trattativa (che riprenderà). Non so se prevalga l'ignoranza dei suoi termini o la furbizia affaristica. So che abbiamo appena sfiorato l'incubo dell'atomica fondamentalista.

(Terza Repubblica, 13 novembre 2013)


Pugnalato da un palestinese, muore un soldato israeliano

Aveva diciotto anni. Trasportato in condizioni gravi all'ospedale, si è spento dopo poche ore.

TEL AVIV - Un soldato israeliano di 18 anni è morto dopo esser stato accoltellato al collo da un palestinese di 16 anni a bordo di un autobus ad Afula, nel nord di Israele. L'aggressione è avvenuta questa mattina: il mezzo era in servizio fra Nazareth e Afula.
L'aggressore, originario di Jenin, in Cisgiordania, è stato arrestato mentre tentava di fuggire e poi interrogato dalle autorità locali che hanno confiscato il coltello usato nell'attacco. Il giovane aggressore ha dichiarato di aver voluto vendicare l'arresto dei suoi zii che sono detenuti in Israele. "Riteniamo quanto accaduto un attacco terroristico mosso da ragioni nazionalistiche", ha riferito il portavoce della polizia, Micky Rosenfeld.
L'attacco sull'autobus arriva poco dopo il rilascio da parte delle autorità dello Stato ebraico di 26 detenuti palestinesi condannati per uccisioni di cittadini israeliani. Almagor, un gruppo israeliano che rappresenta le vittime degli attacchi di palestinesi, ha dichiarato che l'aggressione ad Afula dimostra che è stato sbagliato liberare i prigionieri perché la decisione farà pensare ai palestinesi che nonostante i reati da loro commessi un giorno saranno rilasciati.
L'aggressione fa seguito ad una escalation di violenze nella vicina Cisgiordania; un mese fa un altro israeliano è stato picchiato e morte con utensili da lavoro e ferita gravemente la moglie. Numerosi uccisioni stanno infuocando Gerusalemme da quando sono ripresi i negoziati di pace, a luglio.

(la Repubblica, 13 novembre 2013)


Rabbino licenziato a Trieste. Margalit minaccia di fare causa alla Comunità ebraica

Fatto senza precedenti in Italia. Il presidente Salonichio: «Troppo poco dialogo, decisione sofferta e meditata ma definitiva» L'ex capo spirituale perde il lavoro, va alla Cgil e a riferire in Israele.

di Gabriella Ziani

Rav Itzhak David Margalit
Fatto senza precedenti in Italia, la comunità ebraica di Trieste licenzia sui due piedi il suo rabbino capo, togliendogli il ruolo di guida spirituale ma nello stesso tempo il posto di lavoro. E il rabbino capo, dopo essersi già a lungo consultato con il sindacato Cgil anche per precedenti dissensi, minaccia di far causa alla Comunità, ha assunto un avvocato a Udine, e domani parte per Israele per raccontare tutto al Rabbino capo, la massima autorità mondiale.
«Decisione di licenziare il rabbino che non ha precedenti in Italia»: lo ammette in tutta tranquillità il presidente della Comunità, Alessandro Salonichio: «Una scelta molto meditata, molto sofferta, sottoposta al vaglio della Consulta rabbinica italiana, seguendo il severo statuto dell'Unione delle Comunità ebraiche, decisione sulla quale non torneremo però in alcun modo indietro».
Incredibile strappo che getta sulla vicenda un'ombra scura. Che cosa ha fatto di così grave il rabbino Itzhak David Margalit, 64 anni, nato in Israele, a Trieste dal 2007? «Non eravamo soddisfatti del suo operato - prosegue il presidente -, nei rapporti tra Comunità e rabbino c'è una necessità di interlocuzione diversa da quella che è stata fornita, sia all'interno e sia verso l'esterno, la Comunità ha bisogno di qualcuno che abbia questo nel suo Dna, invece questo rabbino israeliano non ha capito che gli ebrei della diaspora hanno bisogno di condividere molte cose. Non c'è nessuna polemica - prosegue Salonichio -, ma solo la scelta di avere una conduzione diversa per questa Comunità che da 8 secoli vive a Trieste. Bisogna tutelare il rapporto tra i rabbini coi propri correligionari. Abbiamo fatto questo passo dopo ben 6 anni, e a 3 anni dalla mia nomina a presidente dopo l'elezione del nuovo Consiglio. Ci siamo presi una responsabilità molto pesante, ma nella comunità c'era insoddisfazione generale».
Il verdetto è stato diffuso il 31 ottobre scorso a tutti gli iscritti in scarse cinque righe: «Il Consiglio della Comunità ebraica di Trieste nella riunione straordinaria tenutasi nella giornata di domenica 27 ottobre 2013, ha deliberato, all'unanimità dei presenti nessun astenuto e/o dissenziente, di sollevare Rav Itzhak David Margalit dall'incarico di Rabbino Capo della Comunità di Trieste. Un cordiale shalom. Il presidente».
«Un caso delicato? Delicato. E sarà anche molto rumoroso - minaccia rispondendo al telefono Margalit -, ma non sono ancora pronto a fare dichiarazioni. L'unica cosa è che confermo i fatti, e che ho molto, moltissimo da dire, e lo dirò, più avanti. Intanto vado a riferire al Rabbino capo d'Israele, torno il 20 novembre. La causa? Non è ancora presentata in tribunale, ma l'opzione c'è».
Espresso in maniera così eclatante il suo sgradimento per questo rabbino israeliano che invece nel 2007 era stato chiamato evidentemente con fiducia, che cosa farà adesso la Comunità ebraica senza un suo capo? Ribadendo che questo è «un rapporto di lavoro anche se implica una guida spirituale, e che quando vengono meno i presupposti c'è il dovere di intervenire», Salonichio spiega che «questo è un periodo di transizione, verranno qui altri rabbini a darci una mano quando ce ne sarà bisogno. Abbiamo già fatto richiesta all'assemblea rabbinica italiana, affinché ci dia un supporto. E così sarà finché non troviamo un rabbino nuovo. Non vogliamo vivere quel che è successo con spirito di rottura, non vogliamo provare stress».
Tra le voci che nessuno conferma, perché sono strascichi tuttora in corso di valutazione, ci sarebbero anche contenziosi economici in piedi tra Margalit e la Comunità, precedenti e seguenti il brusco e determinato addio.

(Il Piccolo, 13 novembre 2013)


El Al sbarca al Marco Polo

di Giorgio Maggi

El Al sbarca in Laguna e aggiunge Venezia al suo network italiano. Dopo Roma Fiumicino e Milano Malpensa, storiche basi del vettore israeliano nel nostro Paese, tocca al Marco Polo, dove dal 5 novembre è partito il nuovo collegamento per Tel Aviv. «Inizialmente operiamo solo il martedì, per passare a tre voli a settimana da aprile 2014», annuncia Oranit Beithalahmi Amir, managing director Central Europe & Africa.
Il nuovo collegamento di El Al è pensato per chi dall'area del Triveneto voleva raggiungere Israele con un volo diretto. «Tuttavia pensiamo di poter vendere bene il volo anche con un'ottica di incoming - prosegue la manager - Il nostro network italiano arriva così a contare fino a 21 voli a settimana per Tel Aviv, una meta sempre più apprezzata dalla clientela italiana. Al primo posto tra i nostri clienti ci sono infatti il segmento leisure e quello dei pellegrinaggi, ma anche i viaggiatori d'affari sono in aumento».

- In flotta i nuovi Boeing B737-900ER
  A operare sulle rotte tricolori saranno anche i nuovissimi Boeing B737-900ER, ordinati da El Al all'interno del piano di rinnovamento della flotta. «Il primo esemplare è già entrato in flotta per essere impiegato sulle rotte di corto e medio raggio verso l'Europa. Il secondo aeromobile entrerà in servizio entro novembre, mentre gli altri quattro lo faranno entro il 2016». El Al ha investito più di 320 milioni di dollari nell'acquisto di quello che viene considerato uno dei modelli più sofisticati e avanzati al mondo.
A bordo gli aeromobili offriranno una configurazione con 16 posti in Business class e 156 in Economy. Per questi ultimi, oltre a poltrone dal design tecnologicamente avanzato, con cuscini ergonomici, ci sarà a disposizione il pitch più elevato della categoria, oltre a prese elettriche per computer portatili e collegamento USB per restare connessi in ogni momento. «Stessa cosa per i passeggeri Premium, che godranno di un comfort assoluto, anche in virtù dei 44" di spazio a disposizione», conclude la manager.

(agenzia di viaggi, 13 novembre 2013)


Soldi alla Palestina per evitare attacchi?

di Cristofaro Sola

Questi sono giorni duri per i nostri rappresentanti parlamentari. Sono i giorni nei quali il fronte, la prima linea dello scontro politico, converge sulla madre di tutte le battaglie: la legge di stabilità. E il Parlamento, un tempo luogo di sacralità civile, si trasforma, secondo una pittoresca immagine offertaci da un noto politico nostrano, in un Suq berbero. Troppe le aspettative, poche le risorse. Di molte cose gli italiani dovranno fare a meno. Per altrettante buone cause non ci sarà, appostata in bilancio, l'agognata copertura finanziaria. Tra tutte le spese di cui dovremo fare a meno una, però, non ci mancherà. Nessuno la negherà. Si tratta del capitolo di bilancio destinato alla cooperazione internazionale....

(L'Opinione, 13 novembre 2013)


Da Israele l'esoscheletro che fa camminare i disabili

Video
Il dispositivo è comandato da chi lo usa, costa circa 50mila euro

MILANO - Inbal Pezaro ora cammina. Un miracolo per lei, campionessa paralimpica di nuoto, paralizzata dalla nascita, che fino a sei mesi fa si muoveva in carrozzina e non aveva la minima idea di cosa volesse dire stare in piedi e camminare. Le sue seppur ancora incerte passeggiate ora sono possibili grazie alle gambe robotiche chiamate RE-WALK EXOSKELETON, frutto dell'ingegno israeliano. Sensori e articolazioni motorizzate ridanno l'autonomia a chi non può camminare, un dramma che ha colpito anche la vita dell'inventore dell'esoscheletro, Amit Goffer, costretto su una sedia rotelle dopo un incidente stradale 16 anni fa. "Ad ogni passo, ad ogni gradino, c'è il controllo dell'utente sul dispositivo, è lui che lo comanda. Questa è la differenza, non è un dispositivo robotico, usa la tecnologia robotica. E' diverso". Il costo dell'esoscheletro si aggira intorno ai 50mila euro e per ora è disponibile in Israele e in Europa.

(TMNews, 13 novembre 2013)


Tesoro di Hitler, le prime immagini delle opere ritrovate

Ecco alcune immagini delle opere ritrovate la settimana scorsa in un appartamento a Monaco di Baviera. Si tratta di una piccola parte del cosiddetto "tesoro di Hitler", oltre 1500 pezzi tra cui anche opere di Henri Matisse e Otto Dix, confiscati dai nazisti a famiglie ebree o ai musei dei paesi occupati dalla Wehrmacht e dalle WaffenSS. Un tesoro che si pensava fosse perduto e stimato oltre un miliardo di euro.
Fotogalleria

(ANSA, 12 novembre 2013)


Il 12 dicembre Israele potrebbe entrare a far parte del Cern

TEL AVIV, 12 nov - Israele, prima Stato non europeo, potrebbe entrare a far parte del Cern, l'organizzazione continentale che si occupa di ricerche nucleari. Lo scrive il quotidiano Haaretz spiegando che una decisione in tal senso potrebbe essere presa nella prossima riunione del Cern - di base nei pressi di Ginevra - prevista il 12 dicembre.
Per l'adesione, Israele ha bisogno del voto unanime dei venti Stati che fanno parte del Cern. "Il processo è molto lungo e complesso, ma i voti in passato - ha detto Eviatar Manor, ambasciatore israeliano alle Nazioni unite e organizzazioni internazionali a Ginevra, citato dal quotidiano - sono stati a sostegno di Israele. Siamo in pista e fiduciosi che il 12 dicembre diventeremo membri a pieno titolo".
L'ottimismo è dato dal fatto - hanno spiegato scienziati israeliani e fonti diplomatiche al quotidiano - che un'eventuale presenza di Israele nel Cern non implica fondi dai Paesi europei. Questo soprattutto per la crisi tra l'Ue e Israele sulle linea guida di Bruxelles che mettono al bando progetti israeliani con legami in zone oltre i confini del '67, ovvero in Cisgiordania, Gerusalemme Est e Alture del Golan.

(ANSA, 12 novembre 2013)


La sfida nucleare sarebbe costata a Teheran 127 miliardi di euro

GERUSALEMME, 12 nov. - La sfida nucleare e' costata all'Iran 170 miliardi di dollari, quasi 127 miliardi di euro, a causa soprattutto delle sanzioni economiche imposte dalla comunita' internazionale. E' quanto ha sostenuto una fonte della sicurezza israeliana, mentre crescono i timori di Gerusalemme per un possibile accordo che porterebbe a un'attenuazione delle sanzioni contro l'Iran. Dei 170 miliardi di dollari, solo 40 sono stati "investiti negli ultimi vent'anni nella costruzione e funzionamento delle infrastrutture nucleari", ha specificato la fonte, aggiungendo che gli altri 130 miliardi sono andati "persi" a causa delle "sanzioni imposte dal 2012", tra proventi del settore petrolifero mancati e perdite per il settore bancario. Gli Stati Uniti hanno piu' volte ribadito che non permetteranno a Teheran di dotarsi delle armi nucleari, cercando di tranquillizzare l'alleato israeliano preoccupato per un accordo che il premier Benjamin Netanyahu ha definito "pericoloso".
Gli Stati Uniti di Obama hanno perso ogni credibilità in questo tipo di promesse.


(AGI, 12 novembre 2013)


Un Medio Oriente che sta andando in frantumi

Circolano delle cartine in cui Siria, lrak. Libano, Arabia Saudita, Libia vanno a pezzi e le entità che ne escono si ricompongono secondo linee tribali, religiose, geopolitiche. Israele sta nel mezzo e l'America è lontana.

di Ugo Volli

  
Come in ogni città italiana che si rispetti vi sono alcune decine di migliaia di allenatori potenziali della squadra di calcio locale, che chiacchierando al bar sono capaci di fare molto meglio di chi per puro caso si trova davvero in panchina a dirigere i calciatori, così il mondo ebraico è pieno di potenziali primi ministri che farebbero la pace molto meglio e molto prima di Netanyahu e dei suoi predecessori.
   Purtroppo, nel calcio come in politica, le cose sono un tantino più complicate di quel che sembra e bisognerebbe fare attenzione prima di dare ricette. Per esempio non si capisce facilmente chi sta con chi e chi sta contro.
   Prendiamo per esempio la Siria. Gli Stati Uniti sono arrivati a un passo da bombardare le truppe di Assad per via del loro uso di gas velenosi, Israele un paio di volte, a quanto si dice, l'ha dovuto fare per evitare il trasferimento di armi perfezionate e soprattutto di gas velenosi a Hezbollah. Gli Usa hanno approvato Israele? Per nulla, anzi hanno fatto trasparire il loro dissenso con alcune pericolose soffiate sulle modalità degli attacchi israeliani. La Turchia, d'altro canto, è insoddisfatta della passività americana; dovrebbe dunque approvare le azioni israeliane; e invece no, le condanna come violazione della sovranità siriana, proprio mentre bombarda nel territorio siriano. Arabia Saudita e Oatar sono anch'essi per i ribelli; ma mentre l'Arabia Saudita appoggia i generali egiziani (che combattono nel Sinai Hamas, anch'esso anti-Assad), la Turchia e il Oatar sono contro i generali egiziani e pro Assad. Gli Stati Uniti sono contro gli egiziani, ma ancora - si spera - contrari ad Hamas. Arabia Saudita ed Egitto sono contro l'Iran, che è il principale sostenitore di Assad, ma la Turchia tiene con Teheran dei rapporti piuttosto cordiali. Insomma, è difficile capire qualche cosa del balletto intorno alla guerra, come è difficile mettere ordine sulle posizioni delle forze interne al conflitto: vi sono delle forze moderate, come si illudevano gli americani? I curdi con chi stanno, con Assad o con i ribelli? E che rapporti hanno coi curdi iracheni e con quelli turchi (e questi fra loro)?
   La verità è che quel quadro artificiale che si era formato in Medio Oriente dopo la Prima Guerra Mondiale e la fine dell'impero ottomano, che aveva retto lo shock della seconda Guerra Mondiale, della nascita di Israele, della sua resistenza vittoriosa alle aggressioni, della guerra fredda, sta andando a pezzi. Circolano delle cartine con un nuovo Medio Oriente in cui Siria, Irak, Libano, Arabia Saudita, Libia vanno a pezzi e le entità che ne escono si ricompongono secondo linee tribali, religiose, geopolitiche. E naturalmente c'è chi pesta in questo torbido per puntare a emirati islamici, nuovi imperi ottomani o persiani, vecchie egemonie russe sulle rotte del petrolio, che una volta erano della seta. Per non parlare del peso crescente (economico ma anche politico) che in questo gioco ha la Cina. Israele sta in mezzo a questa situazione confusa e aggressiva, e deve evitare di perdere anche una sola partita, perché sa che non ci sarebbe il girone di ritorno. Difficile fare l'allenatore (o il primo ministro) in questa situazione.
   Anche perché - per continuare con le metafore sportive - vi è chi gioca a sparigliarla, come quei cattivi giocatori di biliardo o di bocce che non riuscendo a piazzare la loro sfera vicino al bersaglio, cercano di colpire il boccino per far saltare a caso tutta la configurazione. E' questo ormai il ruolo dell'America di Obama, perdente su tutti i fronti, che oggi sembra capace solo di fare mosse azzardate "per vedere l'effetto che fa". Vediamo alcuni esempi.
   Il più noto è la svolta repentina sull'Iran, in seguito all'apparizione del presidente persiano Rouhani alle Nazioni Unite e alla sua "offensiva dello charme". L'amministrazione Obama sembra decisa ad abbandonare una politica di interdizione dell'espansionismo iraniano che dura da trent'anni e ha come punto focale la disputa intorno all'armamento nucleare iraniano, che gli ayatollah cercano non solo come mezzo per "cancellare Israele dalla carta geografica", ma anche per stabilirsi come potenza egemone nell'area che va dall'Egitto all'India, dall'Asia centrale al Como d'Africa, dove è concentrata buona parte del petrolio del mondo. Questo progetto naturalmente cerca di scalzare la presenza e la prevalenza americana nell'area. Di qui uno scontro molto complicato e prolungato, in cui sembra che gli Stati Uniti abbiano improvvisamente deciso di abbandonare il loro ruolo e i loro alleati. In questo senso va letto anche la rinuncia di Obama a lottare contro il regime di Assad, protetto dell'Iran (e della Russia).
   Una conseguenza di questa scelta è l'altro esempio di mutamento traumatico, segnalato in maniera clamorosa dal rifiuto dell'Arabia Saudita di entrare nel consiglio di sicurezza dell'Onu per protesta contro la sua impotenza sul caso siriano: è uno schiaffo che va più che all'Onu, agli Stati Uniti, che sono stati per settant'anni il grande regno abbandona l'Arabia Saudita, che è il suo grande avversario nell'area (e Israele, naturalmente, che l'Iran minaccia quotidianamente, anche usando le sue pedine di Hamas e soprattutto Hezbollah). Che la diplomazia saudita, di solito prudentissima, abbia deciso un gesto del genere, la dice lunga sullo stato dei rapporti (e del resto al posto degli Usa ha risposto e in maniera piuttosto arrogante la Russia). Rispetto a questa situazione, vanno lette con molta attenzione le affermazioni ripetute dal governo israeliano per cui vi sarebbe una convergenza rispetto all'Iran con "paesi arabi" non citati per nome, ma facili da identificare.
   Un altro fatto è il taglio dei finanziamenti all'Egitto, deciso a freddo, dopo alcuni mesi dalla presa del potere dei militari che hanno eliminato la Fratellanza Musulmana che godeva del gradimento di Obama. E' chiaro che il governo militare è ben stabile, che gli islamisti riescono a fare del terrorismo ma non a mobilitare le masse. E' chiaro anche che l'Egitto è il baricentro del mondo arabo, il paese più popolato e più antico. Perché Obama lo vuole punire con il taglio di tutti i finanziamenti "non indispensabili"? Certamente l'amministrazione non approva la repressione degli islamisti, la rottura con la Turchia, l'appoggio reciproco con l'Arabia Saudita (che ha dichiarato di volersi sostituire agli aiuti americani, e probabilmente anche il coordinamento con Israele nell'isolare e combattere le bande armate islarniste del Sinai (che sono per lo più targate Hamas). Si è creato dunque un asse fra Israele Egitto e Arabia Saudita, senza se non contro gli Stati Uniti?
   Difficile dirlo. Certo che c'è stato un altro episodio istruttivo, cioè la rivelazione di un giornalista molto vicino al governo americano del fatto che la Turchia avrebbe consegnato tre anni fa una rete spionistica israeliana in Iran agli iraniani, distruggendo una risorsa preziosissima contro l'atomica iraniana. Ciò illustra l'ormai evidente ambiguità della politica turca (che di recente fra l'altro ha commissionato la propria difesa antimissile alla Cina e non agli Stati Uniti, pur essendo membro della Nato). Ma, come le altre soffiate provenienti nei mesi scorsi dal governo americano che riguardavano le operazioni di Tzahal in Siria, ha anche il sapore di un ricatto. E' chiaro che gli americani non solo si sono impegnati a far ripartire i negoziati fra Israele e l'Anp, ma sostengano in quella sede posizioni inaccettabili per Israele sui problemi della sicurezza, come lo sgombero israeliano della Valle del Giordano, magari sostituendolo con un contingente internazionale (la cui efficacia si è ben vista in questi mesi in Libano, dove Hezbollah fa quel che gli pare), sul Golan (dove il contingente Onu è semplicemente sparito) e nel Sinai (dove le forze internazionali sono state in pratica prese a ostaggio dai terroristi).
   Fra i molti problemi che chi guida Israele (ma sul serio, non dal Bar sport) deve affrontare è fino a che punto piegarsi alle imposizioni americane (essendo Israele ricattabile dagli Usa in diverse misure sul piano economico, militare, di sicurezza e diplomatico), e quando rifiutare queste pressioni, ribellandosi a Obama come hanno fatto in sostanza Egitto e Arabia Saudita. E' una decisione delicatissima, soprattutto in mezzo ai giri di valzer che la presidenza americana sta facendo in maniera spregiudicata o sconsiderata con i nemici storici propri e dei propri alleati. Il terrorismo che si sta riaccendendo, le dinamiche fuori controllo ai confini, il ruolo di fornitore d'armi e protettore dei regimi canaglia che si è assunta la Russia rendono ancora più difficile la condotta israeliana. Chi vuole bene a Israele ed è felice vedendone fiorire l'economia e la tecnologia, la libertà e la vita quotidiana, deve sperare che la mano ferma e la grande esperienza politica di Bibi Netanyahu permettano di superare senza danni questo tempo difficilissimo.

(Shalom, novembre 2013)


Israele: Obama è un nemico, è ora di prenderne atto

Oggi su Ynet c'è un articolo molto indicativo di Attila Somfalvi che la dice lunga sulle vere intenzioni del Presidente Obama su quanto fare con il programma nucleare iraniano, cioè accettare qualsiasi accordo con gli Ayatollah per evitare un attacco in Iran da parte di Israele.
L'articolo riporta le opinioni di Israele e di molti Paesi del Golfo contrari all'accordo presentato dagli iraniani a Ginevra e accolto con favore dal gruppo dei 5+1 con eccezione della Francia. Netanyahu è stato molto chiaro e piuttosto duro in merito: Obama vuole accettare qualsiasi accordo per evitare un attacco da parte di Israele alle centrali nucleari in Iran. Punto, non ci sono altre ragioni perché l'accordo proposto dagli iraniani e sostenuto dal duo Kerry-Ashton è davvero un suicidio per la comunità internazionale e un enorme vantaggio per l'Iran....

(Right Reporters, 12 novembre 2013)


Manfred Rommel (1928 -2013)

di Daniel Reichel

Erwin Rommel con la moglie Lucie e il figlio Manfred  
Aveva sedici anni quando alla porta di casa si presentarono due ufficiali nazisti per offrire al padre una scelta: il suicidio o un processo pubblico per tradimento per il presunto coinvolgimento nell'attentato di Rastenburg a Hitler. La Volpe del deserto, il 14 ottobre del 1944, scelse il cianuro. Poco dopo il figlio Manfred, da più di un anno arruolato a forza nella Luftwaffe, si arrese ai francesi e fu fatto prigioniero. Da lì incominciò la storia dell'"ultimo liberale tedesco", nella definizione del Washington Post: Manfred Rommel, figlio del celebre Erwin, diventò una delle figure di primo piano della politica tedesca del dopoguerra. Un esempio di tolleranza, coerenza e spirito democratico, fu, fino alla sua scomparsa il 7 novembre scorso all'età di 84 anni, solida colonna del partito democristiano tedesco.
Sulle spalle un cognome pesante, Rommel. Un cognome celebrato nella Germania nazista per i successi sul campo militare contro gli Alleati. Un cognome che si potrebbe dire simbolo della ricostruzione tedesca dopo la Seconda Guerra Mondiali. Nato a Stoccarda il 24 dicembre del 1928 e per vent'anni sindaco della città, Manfred Rommel ammoniva se stesso e la Germania: "non dovrà più accadere che un popolo possa marciare così volentieri verso una dittatura". La democrazia era al centro della sua idea politica, una filosofia che lo portò a scontrarsi più volte con il suo stesso partito. In molti, nel 1977, puntarono il dito contro la sua decisione di permettere la sepoltura, nel cimitero di Stoccarda, dei tre terroristi della Raf (Gudrun Ensslin, Andreas Baader e Jan-Carl Raspe), suicidatisi nella prigione di Stammheim. "Sono dell'idea che la rabbia, giustificata o meno, debba finire con la morte e non ci sono cimiteri di prima o seconda classe, le tombe sono tutte uguali", affermò allora Rommel facendo fronte alle polemiche. La sua coerenza lo rese popolare e apprezzato tanto che i suoi concittadini li affidarono le chiavi di Stoccarda per tre mandati di fila. Il New York Times nel 1982 lo indicava come la figura capace di guidare non una città ma la Germania intera. "Non sono ambizioso - confessò Rommel in un'intervista, declinando la proposta di candidarsi alla politica nazionale - fare il cancelliere è un peso insopportabile".
Del padre, in un'intervista alla Nbc, ricorda la sua volontà, dopo lo sbarco in Normandia, di raggiungere una pace sotto condizione con gli Alleati. Consapevole che la guerra era persa, pensava di riuscire a convincere Hitler a lasciare il potere e firmare l'armistizio. Decisione assolutamente inammissibile per il dittatore nazista. "Mio padre, però, decise che, se fosse stato necessario, avrebbe firmato sotto la sua responsabilità la resa con gli inglesi o americani, penetrati nelle posizioni tedesche". Nella stessa intervista, Manfred ritornò ai ventuno mesi passati nell'esercito, costretto ad arruolarsi a soli quattordici anni. "Non avevo scelta, fui obbligato a rispondere alla chiamata alle armi. Ricordo il tempo passato nel campo di prigionia francese. Allora vidi per la prima volta una foto di un campo di concentramento e discutemmo insieme ad altri prigionieri. La nostra sensazione era di non aver perso solo la guerra ma di aver perso anche il nostro onore".
Ritornato alla libertà, studiò legge e scienze politiche all'Università di Tübingen, per poi lavorare nel settore economico nel Land di Baden-Württemberg, cui capitale è Stoccarda. Divenne sindaco della città nel 1974, mantenendo le redini fino al 1996, quando lasciò definitivamente la politica.
Dal padre ereditò una curiosa amicizia con altri due figli eccellenti: David Montgomery, figlio del generale britannico Bernard Law Montgomery e George Patton IV, figlio del generale americano George S. Patton. I tre genitori furono tre delle figure più celebri della seconda guerra mondiale.
Battagliero e fortemente ispirato a ideali democratici, Manfred Rommel si impegnò per l'affermazione dei diritti civili in tutte le classi sociali tedesche, in particolare a favore degli immigrati in un periodo di grandi migrazioni verso la Germania e conseguenti tensioni. Testimonianza del suo impegno - anche nella ricostruzione dei rapporti con la Francia - le tante onorificenze ricevute in carriera: dalla Legione d'onore francese alla medaglia presidenziale per la libertà, fino all'Ordine dell'impero britannico. Con la sua consueta ironia, Rommel commentò "il numero di riconoscimenti sembra infinito. Sulla mia tomba si leggerà "per favore continuare sul retro".

(Notiziario Ucei, 11 novembre 2013)


"Sono dell'idea che la rabbia, giustificata o meno, debba finire con la morte e non ci sono cimiteri di prima o seconda classe, le tombe sono tutte uguali".


Bomba atomica iraniana senza ostacoli

di Elleci

Il programma bellico nucleare iraniano sembra inarrestabile di fronte all'inezia del Presidente Usa Obama che sembra non avere ancora capito nulla di come funzionano le cose in quella parte del mondo. L'Iran del nuovo corso è molto meno rozzo rispetto ai proclami di Ahmadinejad ma la sostanza non cambia: la teocrazia sciita continua ad arricchire uranio e plutonio ad una percentuale incompatibile con gli usi civili; l'Iran usa attualmente 20.000 centrifughe e le centrali nucleari dove realizza tutto questo non hanno nessun allacciamento alla rete elettrica.
In realtà, non esiste alcun pregiudizio da parte dello Stato di Israele che, infatti, non ha mai protestato contro il diritto all'energia nucleare dell'Iran che, si rammenta, ha sviluppato la centrale elettronucleare di Bushehr sin dal 1995, senza alcun problema, nonostante l'Iran sia tra i maggiori esportatori mondiali di petrolio.
L'uranio per scopi civili ha un arricchimento medio dal 3% al 5% ma il 15 febbraio 2012 è stato scoperto che l'Iran arricchiva l'uranio al 27%, dato confermato persino dalle stesse autorità iraniane che, nella centrale di Natanz, hanno appena istallato 1.008 centrifughe di tipo Ir-m2, le più potenti esistenti.
Lo scopo di questo tipo di attività può essere uno solo: la bomba atomica.
L'Iran è un regime teocratico, il cui fine supremo è il ritorno del Mahdi che si svelerà al mondo alla fine dei tempi, dopo che il Dajjal avrà attuato la sua opera devastatrice sull'umanità intera.
L'atomica è la chiave per tutto questo.

(Giustizia Giusta, 11 novembre 2013)


Berlino - Rabbini europei: "Difendiamo il diritto alla circoncisione"

Una delegazione di sette rabbini italiani (Alfonso Arbib, Avraham De Wolff, Riccardo Di Segni, Yair Didi, Beniamino Goldstein, Joseph Levi, Umberto Piperno) partecipa ai lavori della Conferenza dei rabbini europei in corso a Berlino. La conferenza si è aperta ieri con circa 200 partecipanti dall'Europa, Stati Uniti e i nuovi rabbini capi di Israele Lau e Yosef. Sono presenti rappresentanti dell'ebraismo tedesco, del governo e molti giornalisti. Ieri pomeriggio è stata commemorata, nel 75esimo anniversario, la Notte dei cristalli in una sinagoga (Brunnerstrasse) che fu allora distrutta e da poco ricostruita, ascoltando la testimonianza di un novantenne sopravvissuto che, allora quindicenne, vide tutto con i suoi occhi dalla finestra di una casa di fronte. I lavori odierni si sono aperti con una tavola rotonda coordinata da rav Di Segni sulla situazione della milà, minacciata in Europa, nel corso della quale sono state definite le strategie comuni per prevenire un'evoluzione preoccupante. Oggi pomeriggio rav Arbib introdurrà una lezione del nuovo Rishon LeZion rav Yosef.

(Notiziario Ucei, 11 novembre 2013)


Oltremare - Ode al navigatore
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Israele, si sa, è un paese piccolo piccolo. Per dare un'idea, anche comprendendo il Golan (che - pare - prima o poi ci toccherà restituire, vini compresi, ahinoi…) parliamo di poco di più di 22 mila chilometri quadrati. Paragone? La Lombardia da sola ne fa 23 mila e rotti. Poi c'è l'altra questione, quella della forma: Israele è lunga e stretta, una strisciolina di un centinaio di kilometri.
Dunque mi trovavo qualche giorno fa a zonzo per la Emek Beit She'an, direzione Kibbutz Sde Eliahu, per festeggiare l'ultimo matrimonio di questa infinita stagione di vestiti bianchi e balli e cene e tagli delle torte. Essendo ormai novembre, la sera cala prestino, e alzando gli occhi chiedo ai parenti in macchina: cosa sono le luci su quelle alture proprio qui davanti, così vicine? pare un lunghissimo paesino che prende tutte le colline da un lato all'altro dell'orizzonte. Ah, è la Giordania, rispondono senza fare una piega (neanche un plissé diceva Jannacci, ma loro non lo conoscono temo). Ah, dico, però, parecchio vicini, i nostri vicini…
Tempo dieci kilometri, continuano le parole da viaggio in macchina, e il navigatore viene ignorato per un attimo nelle chiacchiere allegre e multilingui. E come d'incanto, eccoci ad entrare senza possibilità di evitarlo in un'area in cui si sta costruendo una nuova strada. Davanti la Giordania, a destra la West Bank. Noi su un'auto decisamente non 4x4, e un fanale solo (capita!), e intorno il buio totale: terra che si alza al nostro passaggio, niente luna. Ci concentriamo sui solchi lasciati da chi ci ha preceduto, teniamo alto il morale e leggere le battute sul trovarsi davanti un soldato che non vesta la nostra divisa, e alla fine ritroviamo la strada principale.
Che poi, con la Giordania siamo in pace da un sacco di tempo, no? Al ritorno faremo più attenzione al navigatore, ma la piccola deviazione ha impolverato soltanto la carrozzeria, non il nostro umore. E mazal tov agli sposi!

(Notiziario Ucei, 11 novembre 2013)


Il fantasma di Monaco, fotografato. Il custode del «tesoro dei nazisti»

Cornelius Gurlitt «beccato» a fare la spesa in un centro commerciale

BERLINO - Il «fantasma di Monaco» gira per la città. Cornelius Gurlitt, il misterioso settantanovenne nel cui appartamento sono stati trovati oltre 1.400 capolavori - da Chagall a Picasso - sequestrati dai nazisti o acquistati da ebrei in fuga dalla Germania hitleriana, è stato visto e fotografato dai reporter di Paris Match. Faceva la spesa venerdì pomeriggio in un centro commerciale del suo quartiere, Schwabing. Si è trattato di un vero scoop per il giornale francese, dal momento che il figlio del critico e mercante d'arte Hildebrand Gurlitt era riuscito fino ad oggi a sfuggire dall'assedio della stampa e aveva cercato di far perdere le sue tracce. Grazie all'eccezionale riserbo delle autorità tedesche, non si sapeva ufficialmente nemmeno se fosse vivo o morto. L'unica cosa certa, rivelata una settimana fa dal settimanale Focus, è che nella sua casa è stato trovato quello che è stato immediatamente ribattezzato «il tesoro dei nazisti». Il valore delle opere d'arte si aggira intorno al miliardo di euro.

ESISTENZA DA RECLUSO - Tutto iniziò da un casuale controllo su un treno per la Svizzera. Quando è stato intercettato, Cornelius Gurlitt era vestito elegantemente, con un cappotto scuro e una sciarpa grigia a disegni scozzesi. Ha rifiutato di parlare nonostante le insistenti richieste, limitandosi a pronunciare una frase piuttosto enigmatica: «Una approvazione che viene dalla parte sbagliata e la cosa peggiore che possa arrivare». La voce era tremante. Lo sguardo pieno di collera e di paura. Cornelius ha vissuto per decenni un'esistenza da recluso, interrotta soltanto dalla sporadica vendita di qualche quadro della sua incredibile collezione.

LA LETTERA - Il suo desiderio di evitare qualsiasi contatto con il mondo viene confermato da un lettera che Der Spiegel pubblica nel numero in edicola lunedì. Il custode del «tesoro dei nazisti» chiede espressamente alla direzione del settimanale di «non pubblicare mai più» il proprio nome. Nella lettera - datata 4 novembre, scritta a macchina e firmata a mano - l'uomo nega inoltre che il padre avesse avuto un rapporto privilegiato con il regime hitleriano. Una tesi difficile da accettare, se sono veri i documenti pubblicati oggi dalla Bild am Sonntag secondo cui duecento capolavori sequestrati dai nazisti perché ritenuti espressione di «arte degenerata» e ritrovati dalla polizia nell'appartamento di Schwabing vennero ceduti nel 1940 dal gerarca Joseph Goebbels a Gurlitt padre per venti franchi svizzeri ciascuno. Il mercante d'arte tedesco versò una cifra di 4.000 franchi (circa 3.250 euro di oggi) su un conto corrente denominato «arte degenerata». In realtà sembra che pur avendo una nonna ebrea, fosse riuscito a diventare un uomo di fiducia del ministro della Propaganda.

LE BUGIE - In questa vicenda, comunque, le bugie sono sempre state numerose. Basti pensare alla lettera della moglie di Hildebrand,, ritrovata nei giorni scorsi, in cui si sosteneva che la collezione era stata distrutta durante il bombardamento alleato di Dresda, Un anno dopo quella specie di «regalo» di Goebbels, il mercante d'arte morto nel 1956 in un incidente d'auto acquistò altre 115 opere, continua la Bild am Sonntag, ricostruendo così le origini di una parte del «tesoro». Secondo il giornale domenicale tedesco, l'atto di vendita potrebbe rendere difficile la restituzione ad eventuali eredi dei proprietari. Questo rimane il più grosso problema di un caso dai risvolti clamorosi che a detta di molti è stato affrontato inizialmente con troppa lentezza dalle autorità tedesche. E ancora è in discussione la possibilità di pubblicare un inventario completo, come chiedono a gran voce i legali dei possibili eredi e le organizzazioni del mondo ebraico. «Sono stati sprecati diciotto mesi» , ha detto oggi Charlotte Knobloch, una delle dirigenti della comunità ebraica di Monaco. Nessuno vuole aspettare ancora.

(Corriere della Sera, 11 novembre 2013)


Il tesoro nazista: Paris Match ha ritrovato Cornelius Gurlitt

L'uomo di 79 anni che deteneva 1406 capolavori di Piccasso, Matisse, Otto Dix e altri è sempre a Monaco.

 
Cornelius Gurlitt a Monaco
I media di tutto il mondo si chiedevano se Cornelius Gurlitt è ancora vivo. Dopo la perquisizione che, nel marzo 2012, aveva permesso di scoprire nel suo appartamento uno dei più importanti tesori di arte contemporanea - 1406 dipinti di maestri come Picasso, Chagall , Paul Klee e Max Beckmann - l'uomo sembrava evaporato. Questa settimana il procuratore di Augusta, incaricato del caso, aveva ammesso che non si sapeva dove si trovava. In realtà, questo vecchio signore di 79 anni dall'aspetto elegante non ha fatto nulla per cambiare le sue abitudini, continuando a circolare nel quartiere di Schwabing. Lo abbiamo trovato ieri pomeriggio in un centro commerciale, dove stava facendo compere. Naturalmente l'abbiamo sollecitato, ma Cornelius Gurlitt ci ha opposto una fine irricevibilità in modo piuttosto criptico: "Un'approvazione che viene dalla parte sbagliata è la cosa peggiore che possa accadere", ci ha detto con voce un po' tremante e con i suoi penetranti occhi azzurri pieni di rabbia e paura.

(Paris Match, 9 novembre 2013 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Aermacchi: primo M-346 per la forza aerea israeliana

E' iniziato presso lo stabilimento Alenia Aermacchi di Venegono Superiore l'assemblaggio del primo dei 30 addestratori avanzati M-346 richiesti dalla Forza aerea Israeliana. La consegna è prevista per la meta' del 2014 dopo i successivi voli di certificazione e collaudo. Israele con questo ordine intende sostituire i TA4-Skyhawks attualmente in servizio. L'M-346 ha delle innovative soluzioni tecniche tali da considerarlo il più avanzato addestratore e con un sistema avionico in grado di replicare i sistemi di ultima generazione come Eurofighter, Gripen, Rafale, F-22 e il JSF.

(Chi e' chi, 11 novembre 2013)


Le "Missioni per la Crescita": Antonio Tajani a Tel Aviv

di Sara Bottin

Il vice-presidente della Commissione Europea, Antonio Tajani (a destra) e il Ministro israeliano per la Scienza, la Tecnologia e lo Spazio, Yaakov Perry
In un mercato europeo che fatica a riprendersi, l'internazionalizzazione delle imprese diventa un processo quanto mai necessario per la sopravvivenza delle stesse e per il rilancio dell'economia dei ventotto Paesi dell'UE. Partendo proprio da questo assunto, il Vice-presidente della Commissione Europea, Antonio Tajani, responsabile per l'Industria e l'imprenditoria, ha partecipato al "Forum delle Missioni per la Crescita", ospitato dall'Expo di Latina lo scorso 28 settembre.
L'evento ha rappresentato un'occasione di confronto unica sugli esiti delle Missioni per la Crescita, iniziative lanciate dallo stesso Tajani nel 2011 (ben 14 Paesi raggiunti finora), con l'obiettivo di favorire l'incontro tra le imprese europee e gli investitori esteri, rafforzarne la competitività internazionale e generare per loro nuove opportunità di business e lavoro. Le missioni sono infatti delle vere e proprie operazioni di marketing, volte a rilanciare nel mondo l'industria e l'imprenditoria europee per mezzo di collaborazioni con Paesi emergenti. Non solo l'Unione Europea deve ritornare al centro della rivoluzione industriale del terzo millennio, ma deve anche saper cogliere nella attuale crisi economica un'opportunità di cambiamento, da cui uscire rafforzata.
L'ultima missione, svoltasi tra il 22-23 ottobre, ha portato una delegazione di imprese europee a Tel Aviv. Essendo una delle economie più competitive e dinamiche al mondo, specialmente nel settore della ricerca e dell'innovazione, una stretta collaborazione industriale e commerciale con Israele è fondamentale. Oggi le esportazioni europee verso Israele sono in gran parte legate al settore dei trasporti, ai macchinari ed ai prodotti chimici e mantengono un trend di crescita.
Nel settembre 2012, dopo anni di negoziati e tra numerosissime critiche dal mondo politico, la commissione commercio internazionale del Parlamento Europeo ha dato il via libera alla conclusione di un protocollo che permette di eliminare le barriere tecniche al commercio industriale fra UE e Israele, a partire dal settore farmaceutico. L'eliminazione delle barriere tecniche al commercio rappresenta uno dei principali obiettivi delle Missioni per la Crescita, assieme alla riduzione degli ostacoli normativi e burocratici esistenti, e facilita le relazioni commerciali. Con molta probabilità il protocollo verrà gradualmente esteso ai settori industriali di maggiore interesse, aprendo grandissime opportunità per le imprese dei 28.
La fitta agenda della missione di Tajani a Tel Aviv ha sottolineato la centralità, nel dialogo con Israele, dei settori turistico, dell'energia e dello spazio e ha portato alla conclusione di tre lettere di intenti sulla cooperazione industriale, la cooperazione tra PMI (piccole e medie imprese) e la navigazione satellitare. Innovazione e crescita sostenibile i cardini delle discussioni, che hanno visto anche una breve partecipazione del Presidente israeliano Shimon Peres.
Alcuni dati interessanti sulla portata di queste missioni emergono dalle statistiche rese note dalla Commissione stessa: Spagna, Italia e Germania sono gli Stati membri maggiormente rappresentati. E ben il 18% delle imprese partecipanti alle missioni, rappresenta il made in Italy. Tra le imprese che hanno preso parte poi, il 47% sono grandi, ma ben il 31% è costituito da PMI. Il rilancio delle PMI europee nel mercato mondiale è l'altra grande sfida che l'UE intende vincere con le Missioni per la Crescita ed un'imperdibile opportunità per un Paese come l'Italia, il cui tessuto economico è costituito al 98% da PMI.
Come ricordato da Tajani nel corso dell'Expo di Latina, è importante frenare la delocalizzazione delle imprese europee e favorirne l'internazionalizzazione verso economie emergenti, rafforzandone la presenza con attività commerciali oltre che industriali. Per uscire dalla crisi con maggiore competitività non è importante produrre all'estero, ma esportare. L'obiettivo per il 2020 è di portare le esportazioni del settore manifatturiero dal 16 al 20% del PIL europeo. Una sfida che, come dimostrano le numerose delegazioni delle Missioni per la Crescita, le PMI europee sono pronte ad affrontare.
Un aiuto, in tal senso, arriverà anche dai due nuovi programmi europei di finanziamento: HORIZON 2020, per la ricerca e l'innovazione, con una dotazione finanziaria di circa 70 miliardi di euro, e COSME, interamente dedicato al mondo delle PMI e con una dotazione finanziaria di 2.3 miliardi di euro. Questi programmi accompagneranno le imprese nel rilancio dell'economia europea e nella lotta alla disoccupazione che rimane, sempre e comunque, l'obiettivo centrale di tutte le politiche ed iniziative dei 28.

(europae, 10 novembre 2013)


Turismo: Borsa mediterranea a Paestum, presenti anche buyers israeliani

Nella classifica dei paesi più visitati, l'Italia è al settimo posto, con circa 135mila passeggeri l'anno, con un picco durante la stagione estiva quando anche il numero dei voli charter verso diverse città italiane aumenta in maniera esponenziale. Milano e Roma sono le principali destinazioni, ma l'interesse del turista israeliano è indirizzato verso l'intera Penisola: dal Veneto alla Sicilia, dal Piemonte alla Campania. Alitalia è il principale vettore tra Israele ed Italia, con 23 voli a settimana tra Tel Aviv e Roma Fiumicino, operati da aeromobili della famiglia A320. Non si parlerà solo di grandi attrattori: l'edizione 2013 della Borsa di Paestum prevede un convegno del Ministero dei Beni culturali sul patrioinio diffuso. In Italia sono complessivamente 221 i monumenti e le aree archeologiche gestite direttamente dallo Stato. Secondo le rilevazioni eseguite dal Ministero dei Beni le Attività Culturali e del Turismo, nel 2012 sono stati visitati da circa 18 milioni e mezzo di turisti, che hanno garantito introiti lordi per 32.627.902,94 euro. Nella top 30 degli istituti museali più visitati in Italia, un terzo rientra nel segmento del turismo archeologico. I due grandi attrattori, vale a dire il circuito archeologico 'Colosseo, Foro Romano e Palatino', e gli Scavi Vecchi e Nuovi di Pompei si collocano, per numero di visitatori, ai primi due posti nelle classifiche assolute.Tuttavia, c'è un patrimonio 'minore', diffuso, che aspetta solo di essere valorizzato e inserito nei circuiti turistici, per diventare valore aggiunto per lo sviluppo di moltissimi territori.

(Adnkronos, 10 novembre 2013)


IsraAid in soccorso delle Filippine

di Daniel Reichel

 
Oltre 10mila vittime nella sola regione di Leyte. Centinaia di migliaia di sfollati, città rase al suolo, strade allagate, comunicazioni interrotte: il tifone Haiyan, uno dei più violenti mai registrati, ha devastato le Filippine e ora si dirige verso il Vietman. Un'emergenza umanitaria contro cui si sta mobilitando l'intera comunità internazionale: tra le squadre di soccorso inviate nella provincia, un equipe di pronto intervento della IsraAid (Israel Forum for the International Humanitarian Aid), organizzazione internazionale impegnata con interventi umanitari nel mondo e che riunisce realtà israeliane ed ebraiche.
Il team sarà inviato nella città di Tacloban, capoluogo della provincia di Leyte, la regione più colpita dal tifone. Assistenza sanitaria agli sfollati, operazioni di soccorso e di recupero, distribuzione di medicinali, il team della IsraAid andrà ad affiancare le autorità filippine e le ong presenti sul luogo per aiutare la popolazione locale di fronte a un vero e proprio cataclisma naturale. Nella sola città di Tacloban il numero delle vittime è arrivato a 1200: molte sono rimaste sepolte sotto case ed edifici, spazzati via dalla violenza di Haiyan e da venti che superavano i 300 km/h. "I nostri colleghi sul campo, presenti nelle aree più colpite di Leyte e delle isole Samar, hanno stimato che il 90% delle case è crollato", ha dichiarato il presidente della IsraAid Shachar Zahavi. "IsraAid invierà un team di cui faranno parte medici, esperti in assistenza umanitaria e nel trattamento dei traumi. Inizialmente opereranno nella città di Tacloban".

(Notiziario Ucei, 10 novembre 2013)


Iran: Netanyahu a tutto campo contro l’intesa sul nucleare

Benyamin Netanyahu è impegnato in uno sforzo a tutto campo per indurre i Paesi del 5+1 a riconsiderare l'accordo con l'Iran che ha preso forma a Ginevra. Nel fine settimana il premier israeliano ha avuto colloqui serrati con Barack Obama, Angela Merkel, Vladimir Putin, François Hollande e David Cameron. In questa circostanza i dirigenti di Israele e Usa si sono scambiati pubblicamente parole forti, anche sgarbate.
Nel tentativo di sedare le fiamme, il segretario di Stato John Kerry ha inviato oggi a Gerusalemme, a sorpresa, il suo "braccio destro" Wendy Sherman per aggiornare gli israeliani su dettagli dei colloqui. In Israele la diplomatica Usa ha trovato però interlocutori scettici, determinati ad ingaggiare battaglia se necessario anche al Congresso (dove martedì arriverà il ministro Naftali Bennett, un superfalco), pur di fermare Obama lungo la china intrapresa.
Ai dirigenti delle grandi potenze Netanyahu ha detto che l'accordo a cui hanno lavorato a Ginevra (al momento bloccato dalla Francia per analoghe ragioni) "è cattivo e pericoloso". "Pericoloso - ha proseguito - non solo per noi ma anche per loro, pericoloso per la pace nel mondo perché allenta la pressione delle sanzioni economiche, frutto di anni di sforzi".
Sull'altro piatto della bilancia, ha osservato con costernazione, l'Iran manterrà intatto il proprio potenziale nucleare, e anche la capacità teorica di perseverare sul "tracciato del plutonio". "Nemmeno un centrifuga sarà smantellata" ha esclamato con indignazione Netanyahu. L'Iran - è il timore di Israele - resterà allora una potenza "sulla soglia del nucleare": un'altra Corea del Nord, capace in teoria di mettere il mondo di fronte a un fatto compiuto.
Ai ministri israeliani, Netanyahu ha detto che è "un bene" che ieri a Ginevra non sia stato firmato un accordo. "Ma non mi faccio illusioni. Fra le potenze mondiali c'è un forte desiderio di raggiungere una intesa" col presidente iraniano pragmatico Hassan Rohani. "Ma che fretta c'è ? Queste - ha concluso - sono decisioni storiche! Occorre evitare che si firmi un accordo cattivo".
Esponenti israeliani di governo accusano gli Stati Uniti di aver capitolato nei colloqui di Ginevra. Alla ricerca di spiegazioni logiche - visto il riconosciuto successo delle sanzioni - si avanza l'ipotesi che gli Usa siano giunti ormai alla conclusione che l'opzione militare contro l'Iran, in questa fase avanzata, non sia più realizzabile.
Per una volta, anche tra gli opinionisti più critici in Israele si fa quadrato attorno a Netanyahu, giudicando che la sua preoccupazione sia più che giustificata.

(swissinfo.com, 10 novembre 2013)


Lieberman torna agli esteri

TEL AVIV - Dopo una pausa di dieci mesi, Avigdor Lieberman torna a ricoprire la carica di ministro degli esteri. Lo ha deciso oggi il governo di Benyamin Netanyahu. Nei giorni scorsi il leader del partito di destra radicale Israel Beitenu e' stato infatti prosciolto con formula piena dall'accusa di frode ed abuso d'ufficio. Domani la Knesset (parlamento) sara' chiamata a convalidare la nomina. L'esito positivo del voto appare scontato.

(ANSA, 10 novembre 2013)


Asher Cohen: "Il nostro fine è un'eccellenza multiculturale"

di Alain Elkann

Asher Cohen
Asher Cohen è Rettore dell'Hebrew University, una serie di edifici modernissimi sul Monte Scopius vicino al Monte degli Ulivi con vista sulla città vecchia di Gerusalemme. Fondata da intellettuali come Freud, Einstein e Weitzman, dopo la Technician University di Haifa, è la più antica d'Israele. Rettore, ci descrive l'istituto e il suo lavoro?
  «Quando abbiamo fondato l'Università 90 anni fa abbiamo cercato di coprire tutti i campi della scienza. Dalla psicoanalisi con Freud alla chimica con Weizmann alla Fisica teorica con Einstein. Abbiamo dipartimenti di Fisica Nucleare, Scienze Sociali, Studi italiani, Scienze Politiche, Medicina. Cerchiamo di essere molto bravi in ogni disciplina».

- Secondo lei lo siete?
  «Credo che siamo molto bravi. A livello internazionale siamo al 53o posto nel mondo, la migliore del Medio Oriente e all'undicesimo posto tra quelle non inglesi».

- Quanti studenti avete?
  «23.000, metà al primo livello, metà specializzandi. Ci sono circa 1000 docenti. Per la maggior parte sono israeliani perché la lingua principale è l'ebraico, ma abbiamo una sezione internazionale che intendiamo espandere e presto saremo in grado di offrire una laurea di primo livello in inglese».

- Avete studenti non ebrei?
  «Incoraggiamo al massimo il multiculturalismo. Abbiamo un migliaio di studenti arabi, molti cristiani e tutti i tipi di altre religioni».

- In quali campi pensa che siate al massimo livello?
  «Abbiamo uno tra i migliori dipartimenti di Matematica a livello mondiale, uno dei migliori in Informatica. E abbiamo appena istituito un centro di neuroscienze tra i migliori al mondo».

- E gli studi ebraici?
  «Sono uno dei nostri primi tre dipartimenti e siamo ancora al primo posto».

- Avete avuto dei premi Nobel?
  «Due vincitori del Nobel sono stati ricercatori presso l'Hebrew University e altri cinque hanno studiato qui».

- Chi finanzia l'Università?
  «Siamo un ente pubblico finanziato dal governo come tutte le università in Israele, ma cerchiamo di ampliare i nostri programmi con l'aiuto dei filantropi. Ma i finanziamenti privati rappresentano solo il 10% del nostro bilancio».

- Quali sono le sue maggiori ambizioni?
  «Voglio migliorare ancora l'Università, renderla più internazionale aggiungendo più programmi in inglese e farne una tra le più qualificate al mondo nel campo della scienza e della cultura».

- Avete rapporti con altri atenei?
  «Abbiamo collegamenti con diverse eccellenti università della cosiddetta "Ivy League" negli Stati Uniti, con gli studenti del Germ, con università svizzere e altre ancora».

 
L'Università Ebraica di Gerusalemme sul Monte Scopus
- Siete anche noti per l'agricoltura...
  «Abbiamo un'eccellente facoltà di agricoltura e alcune tra le migliori innovazioni in campo agricolo sono state create dalla nostra facoltà. Dovrei anche aggiungere che cerchiamo di essere sempre più coinvolti nella comunità. Ammettiamo e supervisioniamo gli studenti svantaggiati. Paghiamo borse di studio agli studenti per promuovere il progresso sociale nelle regioni povere e incoraggiare i nostri studenti a prendere parte attiva nella società».

- I laureati dell'Hebrew University trovano lavoro?
  «Sì, i nostri studenti sono molto quotati sul mercato del lavoro. Quelli della Facoltà di Giurisprudenza ricevono offerte molto interessanti dai più importanti studi legali d'Israele. Abbiamo una prestigiosa scuola medica e di Odontoiatria, la qualità di Medicina è alta».

- E la politica?
  «L'Hebrew University è l'istituzione più influente in Israele. Molti esponenti in vista del mondo politico, economico o accademico si sono laureati qui».

- Come si convive con ciò che accade nel Paese e, per gli studenti, con l'obbligo di un servizio militare di tre anni?
  «Siamo riusciti a rendere l'Università un'isola di normalità e di attività intellettuale. I nostri studenti sono più vecchi che in altri Paesi perché s'iscrivono dopo il servizio militare. Ma di conseguenza, spesso s'impegnano di più».

- Vi considerate un istituto mediorientale?
  «Abbiamo studi a indirizzo regionale e siamo mediorientali, ma simili a qualsiasi università occidentale. Non osserviamo la kosherut perché abbiamo una comunità eterogenea».

- A cosa sono destinate le donazioni?
  «A finalità specifiche. Albert Einstein ha dato all'Hebrew University tutte le sue proprietà intellettuali e la sua casa a Berlino. Frank Sinatra, Barbra Streisand e Steven Spielberg ci hanno sostenuto con donazioni. Ma le indicazioni variano. Alcuni danno soldi per un edificio che porta il loro nome. Altri sviluppano un settore in particolare. La famiglia Safra, ad esempio, ha contribuito alla fondazione del Centro per le neuroscienze. Altri ancora finanziano borse di studio o le attività generali. L'Università non è ricca e abbiamo bisogno di maggiori fondi per ampliare le infrastrutture e dare più borse di studio agli studenti».

- Che qualità deve avere un rettore?
  «Dev'essere capace di comprendere e di avere una visione chiara del futuro e deve essere provvisto di buon senso per trattare con le diverse comunità».

(La Stampa, 10 novembre 2013)


Nucleare iraniano: contrordine, non c'è l'accordo. Iran minaccioso

Se solo ieri parlavamo di "suicidio collettivo" per quello che appariva un imminente accordo sul nucleare iraniano, oggi dobbiamo parlare di un "rinsavimento operoso", non certo qualcosa di definitivo ma almeno qualcosa che ponga quei paletti che il duo assurdo composto da Obama e dalla Ashton volevano bypassare.
La Francia si è messa di traverso è ha posto quelle questioni importantissime che gli altri del gruppo dei 5+1 facevano finta di non vedere. In particolare i francesi si sono fatti le stesse domande che ieri ci ponevamo noi, cioè a cosa servisse la centrale ad acqua pesante di Arak se non per un uso militare e perché gli iraniani non consegnassero tutto l'uranio arricchito negli ultimi mesi. Non ultimo, i francesi si sono posti il problema di accertarsi quali fossero le linee di arricchimento dell'uranio che gli iraniani dicevano di voler bloccare, se cioè tra queste ci fossero anche le nuove centrifughe IR-2M....

(Right Reporters, 10 novembre 2013)


Si infittisce il giallo del "tesoro di Hitler" rinvenuto nell'appartamento di Cornelius Gurlitt

Le opere di Picasso, Matisse, Otto Dix, Durer potrebbero appartenere legittimamente all'ottantenne mercante d'arte.

di Giorgia Turco

Il "tesoro di Hitler, rinvenuto in un appartamento di Monaco di Baviera di proprietà del mercante d'arte Cornelius Gurlitt, durante una perquisizione del marzo 2012, sembrerebbe essere costituito da 121 opere incorniciate e 1.285 prive di cornice.
Diversamente da quanto presunto, al momento della scoperta, data la presenza di opere di Pablo Picasso e Henri Matisse, non si tratterebbe solo di arte depredata dal Terzo Reich, ma anche di lavori del XVI secolo tra cui un dipinto di Durer; inediti un quadro sconosciuto di Chagall della metà degli anni '20; e un autoritratto di Otto Dix del 1919 circa.
Come indicato dal settimanale Focus, il primo a avere dato la notizia con un approfondito report, si tratterebbe di opere sottratte a famiglie ebree o ai musei dei Paesi conquistati che, dopo la notte dei cristalli, vennero metodicamente privati di preziosi e opere d'arte. Pare addirittura che Goebbels e Goering fecero stimare le opere rubate, conservandone alcune nelle casseforti di sicure banche svizzere.
Secondo le prime indiscrezioni trapelate dalla conferenza stampa dello scorso 5 novembre, le opere grafiche sono apparse subito in buono stato di conservazione, probabilmente grazie alla cura con cui sono state custodite, tanto che, dopo 70 anni, non sono stati riscontrati danni dovuti all'esposizione alla luce o a cattive condizioni climatiche. È probabile che i proprietari abbiano usato una specifica cura e una certa attenzione nei confronti dei dipinti tanto che, al momento del blitz, le opere incorniciate sono apparse accatastate su scaffali come quelli di un magazzino museale, mentre le opere prive di cornice sono state rinvenute all'interno di apposite cassettiere.
Cornelius Gurlitt, 80 anni, nella cui casa a Monaco sono stati scoperti i capolavori d'arte trafugati dai nazisti, è introvabile. Nella foto si vede la sua casa di proprietà a Salisburgo. Vuota. Stranamente, le autorità tedesche non si preoccupano di ricercarlo.
Uwe Hartmann, direttore della sezione che indaga sulla provenienza delle opere d'arte dei Musei Statali di Berlino, sostiene però che il legittimo proprietario di queste opere potrebbe essere proprio lo stesso Cornelius Gurlitt, che avrebbe ereditato il tutto dal padre Hildebrandt, mercante d'arte per conto dei nazisti, il quale a propria volta avrebbe legalmente comprato il sensazionale "tesoro".
Secondo Peter Rau, avvocato e esperto d'arte di Berlino, occorre chiarire se e quante opere siano realmente di proprietà di Gurlitt, ma rimane comunque la possibilità che egli decida di lasciare le 1406 opere ritrovate allo Stato, permettendo così alle famiglie ebree e ai musei di poter esperire la richiesta di restituzione, nel caso riconoscessero in esse delle opere indebitamente sottratte durante il periodo di guerra.
Il giallo del "tesoro di Hitler" si è però arricchito di un ulteriore tassello, poiché - come reso nota dal tabloid Bild - un cugino di Cornelius Gurlitt sostiene proprio in questi giorni che il parente mercante d'arte, oltre a possedere lo straordinario patrimonio, sarebbe a conoscenza del luogo dove è nascosta la leggendaria "Bernsteinzimmer", l'ottava meraviglia del mondo. Si tratterebbe della camera d'ambra del 1700 ovvero di 12 pannelli di legno intarsiati di ambra regalati dal re di Prussia Federico Guglielmo allo zar di Russia Pietro il Grande.
Smontati dai soldati della Wehrmacht dal Palazzo di Caterina a San Pietroburgo e trasferiti a Koenigsberg si credeva fossero andati distrutti durante la Seconda Guerra Mondiale mentre, secondo Ekkeheart Gurlitt, sarebbero stati visti proprio dal cugino Cornelius.
Le indagini sono in corso e il mistero legato all'appartamento polveroso di Monaco di Baviera rimane ancora aperto, ma sembra che ci sia ancora molto da scoprire e che clamorose novità non tarderanno ad arrivare.

(The Horsemoon Post, 10 novembre 2013)


Iran: la Francia alza il tiro, a Ginevra slitta l'accordo sul nucleare

GINEVRA, 9 nov. - Dopo l'ottimismo, la doccia fredda francese e a Ginevra si prolungano nella notte gli sforzi diplomatici dell'Occidente per raggiungere un accordo dell'ultima ora con Teheran sul dossier nucleare. "Non vi sono certezze" di un accordo tra il 5+1 e l'Iran, ha spento nel pomeriggio gli entusiasmi il ministro francese Laurent Fabius che ha bocciato la bozza iniziale di accordo.
Tra le priorita' da definire per il capo del Quai d'Orsay, c'e' la sospensione delle operazioni al reattore al plutonio di Arak durante la fase negoziale e cosa fare dello stock di uranio gia' arricchito al 20% da Teheran. "Non c'e' alcuna certezza che riusciremo a concludere entro oggi" ha quindi aggiunto Fabius. Gli sforzi vanno comunque avanti e in serata il capo della diplomazia Ue, Catherine Ashton, ha convocato una riunione con i ministri del gruppo 5+1 a cui si e' aggiunto, dopo oltre un'ora di colloqui, anche il ministro degli Esteri iraniano Mohamad Javad Zarif. Lo stesso Zarif, poco prima, aveva mostrato un certo scetticismo sulla possibilita' di un accordo e aveva ventilato il rinvio del negoziato "a una settimana, 10 giorni". Anche il segretario di Stato Usa, John Kerry, aveva gia' ammesso ieri che ci sono "importanti questioni sul tavolo ancora irrisolte". Oggi Kerry ha accuratamente evitato di parlare con i media dedicando il suo tempo a Ginevra a intensi colloqui con Zarif e con la Ashton. Intanto, mentre la diplomazia lavora in Svizzera per mettere a punto una dichiarazione finale delle terza giornata di negoziati, da Teheran il presidente iraniano Hassan Rohani ha invitato i Paesi occidentali a non perdere "l'eccezionale opportunita'" di raggiungere un accordo sul programma nucleare della Repubblica islamica. "Spero che il 5+1 faccia il massimo per questa eccezionale opportunita' che lo Stato iraniano ha offerto alla comunita' internazionale, in modo da raggiungere un risultato positivo in tempi ragionevoli", ha detto il presidente.
Fuori da Ginevra pero' pesano anche le parole di fuoco che arrivano da Israele: un accordo ora sul nucleare iraniano sarebbe un "errore storico", ha affermato il ministro della Difesa israeliano, Moshe Yaalon, che ha sollecitato i 5+1 riuniti a Ginevra a essere "intransigenti" con la Repubblica islamica. Secondo Yaalon infatti un'intesa "permetterebbe a Teheran d perseguire il suo pericoloso programma nucleare nonche' la sua ambizione di seminare terrore e minare i regimi del Medio Oriente e del mondo intero".

(AGI, 9 novembre 2013)


Essere un altro #1

di Osvaldo Duilio Rossi

Ho sempre odiato gli ebrei. Credo perché nel corso degli anni è diventato inaccettabile odiarli. Gli ebrei sono stati perseguitati per secoli e così oggi non è giusto e non è consentito odiarli. Perciò li odio: perché la loro esistenza mi costringe a rinunciare alla libertà di odiare. Perciò odio gli ebrei e la società che li ha segregati in questa riserva naturale, come bestie rare, che li ha rinchiusi in un'oasi protetta, isolandoli dalla libertà altrui. Razzismo al contrario.
Odio la relazione ipocrita tra società e ebrei. E odio chi li ha perseguitati perché, per fare ammenda, mi obbliga a non odiarli; io che non ho mai avuto niente contro gli ebrei sono costretto a controllarmi, a reprimermi. Quindi credo di non odiare gli ebrei. Ma forse odio la società che mi impone questa schizofrenia, per cui dovrei sentirmi in colpa per i miei sentimenti, che invece si esasperano. E gli ebrei, che sanno di essere odiati per questo motivo, non possono lamentarsi perché vengono protetti dall'odio.
«La tolleranza è una forma di condanna più raffinata» significa qualcosa del genere.
Invece di ridere mi fa incazzare! Infatti, quando andai a studiare inglese a Londra - ero appena adolescente e quelli più grandi mi avevano detto che, se andavi a Londra per studiare l'inglese, poi finiva che incontravi un sacco di italiani e parlavi solo italiano e non imparavi l'inglese, ma io invece capitai in una casa fuori città, senza locali in cui andare e nessuno da incontrare e così mi sono annoiato a morte e non mi sono mai sconvolto con gli acidi in discoteca, come hanno fatto gli altri, ma ho imparato l'inglese muy bien - capii una cosa importante della vita: la razza, l'etnia, la stirpe, il colore… non contano niente perché le persone sono uguali ovunque tu vada, sono sempre le stesse, con gli stessi problemi e gli stessi limiti e le stesse debolezze e virtù - quando hanno qualche virtù - e se sono deboli, forti, meritevoli, caritatevoli, uomini o caporali, non dipende dalla razza, ma da quello che hanno imparato, fatto, pensato, perso, preso e dato nella vita. I ricchi - bianchi americani o negri del Gabon, musulmani o buddhisti - fanno schifo tutti allo stesso modo, hanno tutti gli stessi identici desideri e ambizioni. Così come i gentiluomini restano tali in una fumeria di Algeri, al circolo del golf di Port Stanley o in una fossa comune in Dalmazia.
L'ho capito l'anno che andai a studiare inglese a Londra, sei mesi ospite del signor e della signora Schneider - che, poi, ospite si fa per dire, visto che i miei gli pagavano l'affitto, e comunque io gli regalavo sempre qualche salame, formaggio o vasetto di pomodori che mi arrivava dall'Italia per le feste, anche se poi li mangiavamo insieme -, emigrati da Germania anno zero per farsi una nuova vita dopo la guerra, immigrati a casa dei vincitori. Tedeschi, mi dissi io: glielo voglio proprio chiedere cosa ne pensano degli ebrei. Ma finì che me lo chiesero loro e io non seppi rispondere bene, come invece saprei fare oggi, così gli ripetei le solite cose sulla taccagneria, sui soldi, sul profitto ad ogni costo, niente onore, sul potere sionista e sulla falsità e che gli ebrei pensavano sempre solo a se stessi invece che al prossimo, a meno che il prossimo non fosse ebreo. E il signor Schneider mi chiese quanti ebrei avessi conosciuto in vita mia per dire quelle cose. «Che c'entra quanti ebrei ho conosciuto?» pensai, sono cose risapute, le dicono tutti, c'è pure la barzelletta di Aronne sul letto di morte che chiama la moglie, le figlie, i nipoti… e tutti sono lì per vegliarlo perché è sempre stato buono con tutti, e lui: «Sì, ma al negozio chi ci sta?» È risaputo che sono fatti così gli ebrei. Che domanda era quella del signor Schneider? Non capivo.
A questo punto, invece, dovrebbe essere ovvio che i signori Schneider fossero ebrei scappati per evitare la persecuzione. Io invece lo capii soltanto il giorno che me ne andai da Londra per tornare in Italia, quando, uscendo da casa loro, notai per la prima volta, nell'andito che avevo attraversato almeno duecento volte, un candelabro a sei o sette bracci. Mancava solo la stella di Davide, che pure doveva esserci, da qualche parte in cucina, se non sbaglio. In tutti quei mesi mi avevano sfamato a colazione, pranzo (sporadicamente) e cena senza avvelenarmi! «Signor Schneider…» cercai di dirgli alla stazione, mentre salivo sul treno per Heathrow, ma per l'imbarazzo non trovavo le parole con cui scusarmi. Non sapevo che dire e avrei voluto evitare di peggiorare la situazione. Allora mi abbracciarono tutti e due, lui e lei, e, mentre mi stringeva la mano, il signor Schneider mi disse fiero: «Marco, you are a gentleman».
Ecco, se fossero stati russi o veri tedeschi, non dubito che mi avrebbero servito piccole dosi di arsenico in ogni pietanza, per intossicarmi nel lungo periodo e farmi schiattare quando fossi tornato a casa. Ma la razza e l'etnia non c'entrano niente. Loro non mi avvelenarono perché avevano capito da subito che io ero un gentiluomo, che non ero ipocrita e che dicevo pane al pane e vino al vino… anche se questo non può essere vero perché io mica lo sapevo che loro erano ebrei; perciò non lo avevano capito, ma, sapendo di essere ebrei e credendo che anch'io lo sapessi, pensavano di avere capito che io fossi un gentiluomo; come nella storiella di Aronne che incontra Michele e gli chiede dove stia andando, e Michele risponde che va a Varsavia; allora Aronne impreca: «Tu menti Michele! Dici che vai a Varsavia per farmi credere che vai a Lodz, invece vai veramente a Varsavia. Tu menti Michele!»
Pensavano che io fossi un gentiluomo e si comportarono sempre come conviene comportarsi con un gentiluomo, cioè si comportarono a loro volta da gentiluomini, benché la signora Schneider fosse una donna.
Così imparai che gli ebrei possono essere ammirevoli, anche se ancora non avevo capito che li odiavo per colpa degli altri, della società.

(Agoravox, 8 novembre 2013)


Primo viaggio in Israele per gli studenti dell'Università di Scienze Gastronomiche

Un gruppo internazionale, con ragazzi provenienti da Italia, Germania, Stati Uniti e Canada, alla scoperta della tradizione gastronomica multiculturale del paese.

 
L'Università di Scienze Gastronomiche a Bra
BRA (CN) - A partire da lunedì 11 fino al 22 novembre un gruppo di ragazzi del 3o anno del corso di Laurea in Scienze Gastronomiche sarà in viaggio in Israele per conoscere le diverse culture gastronomiche della regione.
Il programma è molto denso e prevede visite e incontri in diverse aree del paese e con le realtà più differenti.
Si inizia con un incontro che ha il sapore di Italia, a Kibbutz Gat presso l'azienda vitivinicola La Terra Promessa di Sandro ed Irit Pelligrini. La loro è una storia speciale: Sandro infatti è italiano e ha incontrato Irit, ebrea di origini indiane, lavorando in Israele. Da qui il loro progetto di vita e lavoro comuni, con una cantina e un ristorante che serve piatti della cucina italiana e indiana del Kerala: per i nostri ragazzi ecco un primo assaggio dei numerosi sapori presenti in questa terra.
Il viaggio prosegue poi verso sud, in direzione Be'er Sheva, alle porte del deserto del Negev. La vita in condizioni estreme nel deserto è al centro di questi due giorni intensi.
Qui la delegazione UNISG incontrerà il professor Nir Avieli, dell'Università di Ben Gurion, con il quale effettuerà una visita guidata al mercato della città, per acquistare insieme prodotti al fine di preparare ricette presso la fattoria Matnat Midbar nel deserto, altra tappa del percorso.
In questa interessante azienda agricola, produttrice di zafferano, si gusteranno piatti tradizionali beduini come il pollo "zarb" e "madfouna"e si alloggerà in un khan tipico del deserto.
Nei due giorni trascorsi nel Negev si visiteranno inoltre il Parco di Ein Avdat, la Cantina Sde Boker e la casa-museo di David Ben-Gurion. Ci sarà tempo, poi, per scoprire una fattoria-caseificio unica nel suo genere, che produce formaggi nel cuore di questa regione desertica: si tratta della Kornmehl Farm, specializzata in caprini tra i migliori del panorama caseario israeliano.
Dopo il Negev si partirà alla volta di Gerusalemme, con tappa sul Mar Morto.
Nella Città Santa si inizia con la visita al ricco mercato di Mahane Yehuda con lo chef Michael Katz
Mahane Yehuda
E in serata una speciale avventura gastronomica e sensoriale presso il Ristorante Eucalyptus dello chef Moshe Basson. Basson è un esperto di cucina biblica, ovvero la sua pluriennale esperienza di conoscitore dei testi biblici, associata a quella delle erbe spontanee e dei prodotti della terra, gli ha permesso di riprodurre - con un tocco di creatività - molti dei piatti citati nell'Antico Testamento. Nel corso della cena si gusteranno per esempio la zuppa di lenticchie di Esaù e Giacobbe e le "hubeiza" ovvero le erbe selvatiche con cui si nutrirono gli ebrei durante uno degli assedi di Gerusalemme.
Partendo da Gerusalemme si incontreranno diverse realtà delle circostanti colline della Giudea: la fattoria biologica Kaima a Moshav Beit Zait che si dedica a progetti di recupero sociale di giovani in difficoltà, la riserva naturalistica di Sataf, oltre al noto caseificio artigianale di Shay Selzer, il "padre" dei formaggi caprini in Israele. Situato in una valle antichissima, il caseificio di Shay si trova in grotte storiche dove vengono fatti stagionare i formaggi, mentre il latte è prodotto da una razza di capre giganti, incrocio tra esemplari nubiani e mediorientali.
Quindi la dimensione multiculturale del viaggio si arricchisce con il pranzo da Majda, ristorante gestito da una coppia mista: Michal è ebrea (di origine Mizrahi, ovvero discendente da ebrei del Maghreb) e Yacoub è palestinese. Sfidando tutte le convenzioni, hanno messo su famiglia e aperto il loro ristorante, dove propongono una cucina ricca di suggestioni orientali.
Sempre facendo base a Gerusalemme gli studenti UNISG potranno vivere l'esperienza dello Shabbat, dapprima visitando il Kotel, o Muro del Pianto, e poi cenando ospitati da una famiglia che preparerà i piatti tipici del sabato.
Parte del viaggio è reso possibile dalla collaborazione di alcuni ex studenti UNISG.
Proprio a Gerusalemme l'alumno Nadav Malin, ora cuoco e rappresentante di Chefs for Peace, introdurrà il gruppo alla Città Vecchia, per una visita storico-culturale e gastronomica con degustazioni di varie specialità di street food, quindi nei dintorni della città all'azienda vitivinicola Kadma, che produce vini nelle anfore e al microbirrificio Srigim.
In serata i ragazzi parteciperanno ad un laboratorio di cucina con lo stesso Nadav nel villaggio di Abu Ghosh.
Il viaggio procederà poi verso la valle del Beit She'an dove il gruppo UNISG incontrerà il prof. Uri Meir-Cheezik al Kibbutz Neve Eitan: si visiteranno allevamenti di itticoltura e coltivazioni di datteri presso il Kibbutz Maoz Haim.
Il nord del paese, ovvero l'alta Galilea, sarà la destinazione della terza parte del soggiorno: si parte da Qatzrin, dove si incontreranno produttori d'olio d'oliva e cosmetici, per poi salire sulle Alture del Golan fino a Majdal Shams, città a maggioranza drusa situata ai confini con la Siria. Qui i ragazzi avranno modo di conoscere la realtà locale e di cenare presso una famiglia drusa.
Il giorno seguente presso la comunità agricola di Metulla si assisterà ad una lezione sull'agricoltura in zone politicamente sensibili.
Ci sarà tempo per visitare anche il Parco Naturale Agamon Hula e infine incontrare i responsabili del Convivium Slow Food Alta Galilea Einat ed Avigdor Rothem presso il loro B&B Pausa Inn .
Il viaggio prosegue poi per Haifa, la città della convivenza, dove fedi e culture diverse coabitano pacificamente, contribuendo alla crescita economica e sociale della comunità. Si vedranno i noti giardini Bahai, la German Colony e si effettuerà un ricco Tastes' track, ovvero percorso del gusto, attraverso botteghe e luoghi dove si preparano cibi tipici della tradizione araba ed ebraica, che ben sintetizzano il sapore multiculturale della città stessa.
Gli studenti UNISG termineranno il loro viaggio a Tel Aviv, dove riserveranno una particolare attenzione alla ricca gastronomia della città. Anche qui l'attività è stata organizzata grazie al supporto di ex studenti UNISG, come Leora Meidan, che porterà i ragazzi alla scoperta dei diversi quartieri della città.
Si inizierà dal grande e colorato mercato "Shuk HaCarmel", nello storico quartiere yemenita, per poi visitare il primo "Mercato della terra" di Israele, lo "Shuk HaNamal", nato da un'iniziativa di Michal Ansky, alumna UNISG e ora figura di spicco dei media israeliani legati alla gastronomia (basti pensare che è giudice di Master Chef).
E per chiudere il soggiorno, i ragazzi saranno ospiti per una cena dall'Ambasciatore italiano a Tel Aviv.

(targatocn, 9 novembre 2013)


L'Eterno disse a Mosè: «Tagliati due tavole di pietra come le prime; e io scriverò sulle tavole le parole che erano sulle prime che spezzasti. E sii pronto domattina, e sali al mattino sul monte Sinai, e presentati qui a me in vetta al monte. Nessuno salga con te, e non si veda alcuno per tutto il monte; e greggi ed armenti non pascolino nei pressi di questo monte». Mosè dunque tagliò due tavole di pietra, come le prime; si alzò la mattina di buon'ora, e salì sul monte Sinai come l'Eterno gli aveva ordinato, e prese in mano le due tavole di pietra.
E l'Eterno discese nella nuvola, si fermò qui con lui e proclamò il nome dell'Eterno. L'Eterno passò davanti a lui, e gridò: 'L'Eterno! l'Eterno! l'Iddio misericordioso e pietoso, lento all'ira, ricco in benignità e fedeltà, che conserva la sua benignità fino alla millesima generazione, che perdona l'iniquità, la trasgressione e il peccato ma non terrà il colpevole per innocente, e che punisce l'iniquità dei padri sopra i figli e sopra i figli dei figli, fino alla terza e alla quarta generazione!» E Mosè subito s'inchinò fino a terra, e adorò. Poi disse: «Deh, Signore, se ho trovato grazia agli occhi tuoi, venga il Signore in mezzo a noi, perché questo è un popolo di collo duro; perdona la nostra iniquità e il nostro peccato, e prendici come tuo possesso.»
Esodo 34:1-9
 

Telecom cade, Telit vola: continua la marcia trionfale della public company israeliana

Proprio nel giorno in cui Telecom Italia paga i dubbi del mercato e perde il 5,5% la Telit, la public company israeliana che ha una forte presenza anche a Trieste e della cui filiale italiana è presidente e ad Chicco Testa, continua a volare (+3%) all'Aim di Londra - Da inizio 2013 la Telit ha guadagnato il 162 per cento - Anche Bernabè l'aveva valorizzata.

Chicco Testa e Franco Bernabè l'avevano scoperta quando erano alla testa di Rotschild Italia e si erano subito convinti che la Telit, una public company israeliana quotata all'AIM del London Stock Exchange, potesse dare grandi soddisfazioni agli investitori. Sia perchè ha prodotti di qualità e un buon modello di business sia perché il ceo, l'israeliano Oozi Cats, è considerato un fuoriclasse nel suo campo.
I risultati di Telit wireless solution, che ha una forte presenza anche in Italia dove la filiale basata a Trieste è diretta dall'ex presidente dell'Enel Chicco Testa, non si sono fatti attendere. Sia in termini di conto economico che soprattutto di Borsa.
Anche ieri Telit ha guadagnato all'Aim di Londra il 3% per cento. Dall'inizio dell'anno la public company delle tlc ha messo a segno una performance impressionante segnando un rialzo del 162 per cento.

(FIRST online, 9 novembre 2013)


Settantacinque anni fa la "notte dei cristalli"

Il pogrom contro gli ebrei nel Terzo Reich segnò l'avvio dell'Olocausto.

   
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BERLINO - Oggi ricorrono 75 anni dal pogrom della Notte dei cristalli, che segnò l'inizio della politica di persecuzione e eliminazione degli ebrei nel Terzo Reich. Oltre mille fra sinagoghe, negozi, studi medici, fabbriche e abitazioni di ebrei furono dati alle fiamme dai nazisti. Migliaia di ebrei furono umiliati, arrestati e uccisi. Per molti seguì la morte mesi dopo: circa 30'000 furono deportati nei campi di concentramento. Fu l'inizio dell'Olocausto, che significò la morte di sei milioni di ebrei.
Questo fine settimana molte cerimonie marcano l'anniversario. In Svizzera, le luci delle sinagoghe sono rimaste accese nella notte tra ieri e oggi in ricordo di chi subì questa improvvisa esplosione di violenza da parte dei nazisti.
Ieri, il presidente tedesco Joachim Gauck ha ricordato il sacrificio degli eroi della resistenza al terrore nazista. Oggi lo stesso Gauck partecipa a un memoriale a Eberswalde (Brandeburgo) e questa sera terrà un discorso a Francoforte sull'Oder, prima di assistere a un concerto.
Il presidente del Consiglio degli ebrei in Germania, Dieter Graumann, ha ammonito a non trascurare l'anniversario: spesso si avverte in Germania solo "partecipazione ritualizzata": sempre meglio che il dimenticare, ma il suo augurio sarebbe una "partecipazione sincera, emotiva", ha detto alla "Neue Osnabruecker Zeitung".
Il portavoce governativo, Steffen Seibert, ha detto ieri che il governo è pienamente consapevole della "enorme responsabilità" derivante dai crimini della Germania nazista. Gli aiuti alle vittime sono sempre stati aumentati negli anni e al riguardo ci sono anche colloqui in corso.
In occasione dell'anniversario, si radunano a Berlino circa 200 rabbini da tutta Europa. Il ministro dell'Interno, Hans-Peter Friedrich, parlerà a una commemorazione domenica.

(TicinOnline, 9 novembre 2013)
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La "notte dei cristalli": un odio viscerale e sconfinato

Estratto dal libro "La Germania nazista e gli ebrei" di Saul Friedländer

Dopo il pogrom Göring, su ordine di Hitler, tentò di capitalizzare al massimo l'attentato di Parigi. Ma nonostante i precedenti piani del SD sul ricorso alla violenza, sembra che prima dell'azione di novembre non fosse stata concertata alcuna azione sistematica. In quel momento, il solo movente dell'assalto sembra essere stato un odio viscerale e sconfinato. L'unico obbiettivo immediato era colpire gli ebrei il più duramente possibile nelle circostanze date, e con tutti i mezzi possibili: colpirli e umiliarli. Il pogrom e le iniziative immediatamente successive sono state giustamente definite «un rituale di degradazione». Un'esplosione di sadismo gettò una luce particolarmente fosca sull'intera azione e le sue conseguenze; un sadismo esploso a tutti i livelli, dai massimi dirigenti all'ultimo dei membri di partito. Il tono delle note di diario di Goebbels non lasciava dubbi; quello stesso tono avrebbe pervaso la conferenza del 12 novembre.
Le squadre che andarono setacciando le città erano in preda a un'inestinguibile sete di distruzione e umiliazione delle vittime. «A Colonia, squadre organizzate passavano da un appartamento di ebrei a un altro», riferì il console svizzero. «Alle famiglie veniva ingiunto di abbandonare l'appartamento, oppure venivano lasciati nell' angolo di una stanza mentre l'intero mobilio veniva gettato dalle finestre. Grammofoni, macchine da cucire e da scrivere piovevano giù nelle strade. Uno dei miei colleghi ha visto perfino un pianoforte gettato giù dalla finestra di un secondo piano. Ancora oggi [13 novembre] si possono vedere coperte e materassi pendere da alberi e cespugli. Da Lipsia giunsero notizie ancora peggiori: «Dopo aver demolito gli appartamenti e gettato in strada tutti gli effetti trasportabili», riferì il console americano a Lipsia, «i devastatori, mossi da un sadismo insaziabile, hanno gettato molti dei tremanti abitanti in un fiumiciattolo che attraversa il parco zoologico, ordinando ai terrorizzati spettatori di sputargli addosso, di gettargli fango e di schernirli. ... La benché minima espressione di simpatia nei loro confronti scatenava nei devastatori una furia senza limiti, cosicché la folla non poteva fare altro che voltare gli occhi o allontanarsi. Queste azioni sono proseguite per l'intera mattinata del 10 novembre senza che la polizia intervenisse e hanno coinvolto uomini, donne e bambini».
Le stesse scene si ripeterono anche nei villaggi più sperduti: la sadica brutalità dei devastatori, le reazioni di vergogna di qualcuno degli spettatori, i sogghigni di altri, il silenzio della stragrande maggioranza, la disperazione delle vittime. A Wittlich, una cittadina della valle della Mosella, in Germania occidentale, si iniziò, come quasi dappertutto, con il dare fuoco alla sinagoga: «La preziosa finestra di cristallo piombato soprastante il portone crollò in strada e pezzi di mobilio vennero fatti volare attraverso il portone e le finestre. Una SA salì sul tetto sventolando le pergamene della Torah: "Pulitevici il culo ebrei", urlava scagliandole via come manciate di coriandoli a carnevale». I negozi ebraici furono vandalizzati, gli uomini pestati e portati via: «Il signor Marks, il proprietario della macelleria, era uno della mezza dozzina di uomini che si trovava già sul camion. ... Gli uomini della SA ridevano in faccia alla signora Marks che se ne stava dinanzi alla vetrina infranta, [con] le braccia alzate in segno di disperazione. "Perché ci fate questo?" gemeva dinanzi alla cerchia di facce silenziose affacciate alle finestre, i suoi vicini da tanti anni. "Cosa vi abbiamo mai fatto?"»
Ben presto le masse di ebrei della Polonia occupata avrebbero offerto il più facile dei bersagli all'insaziabile furia che, passo dopo passo, spinse il grande Reich tedesco contro i disperati ebrei d'Europa. (Saul Friedländer, "La Germania nazista e gli ebrei", pp. 282-283).

(Notizie su Israele, 9 novembre 2013)


Obama chiama Netanyahu e rassicura Israele

Ore decisive a Ginevra per il dossier del nucleare iraniano. Il presidente Usa al premier israeliano: l'Iran non otterrà un ordigno nucleare.

Mentre a Ginevra si contano le ore per l'annuncio di un possibile accordo provvisorio sul nucleare iraniano, un obiettivo seppur parziale inseguito da anni, Barack Obama è impegnato in prima persona un'azione di lobbing per tranquillizzare il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Obama, ha fatto sapere la Casa Bianca, ha chiamato in serata Netanyahu cui ha, "sottolineato il suo forte impegno ad impedire che l'Iran ottenga un ordigno nucleare". Netanyahu è preoccupato che le aperture del nuovo corso iraniano, impersonificato dal presidente Hassan Rohani, celino un'ennesima trappola degli ayatollah per guadagnare tempo e ottenere l'atomica. "Il presidente ha fornito al primo ministro un aggiornamento sui negoziati di Ginevra e gli ha ribadito il suo forte impegno ad impedire che l'Iran ottenga un ordigno nucleare, che è l'obiettivo delle trattative in corso", ha riferito la Casa Bianca, aggiungendo che Obama e Netanyahu hanno "concordato di continuare a restare in contatto sulla vicenda".

(Il Tempo, 8 novembre 2013)


Netanyahu potrebbe essere preoccupato non per un’ennesima trappola, ma per una nuova trappola. Forse Obama avrà cercato di rassicurare Netanyahu parlando di un’altra invalicabile “linea rossa”. La domanda adesso non è se fidarsi o no di Hassan Rohani, ma se fidarsi o no di Barack Obama. Obama rassicura Netanyahu? Questo in linguaggio popolare si chiama fare qualcuno “contento e canzonato”. E’ già da un po’ che Obama ha preso a fare questa politica con Israele. Almeno da quando è venuto in Israele ad ammaliare il popolo con il suo charme, convincere Netanyahu a chiedere scusa ad Erdogan e tenersi a debita distanza dal centro della politica dello Stato d’Israele: la Knesset. M.C.


Nucleare iraniano: suicidio collettivo. Si vuole delegittimare un intervento israeliano

Sul nucleare iraniano stiamo assistendo al suicidio collettivo della diplomazia internazionale. Non ci sono altre parole per definire un accordo fantoccio che sembra arrivato al capolinea tra il gruppo dei 5+1 (Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna più la Germania) e l'Iran.
Secondo quanto si apprende da fonti di stampa iraniana il gruppo dei 5+1 guidato dalla famigerata Catherine Ashton avrebbe accolto la proposta iraniana che si basa sulla interruzione temporanea di una parte del programma nucleare iraniano in cambio di un sostanziale allentamento delle sanzioni. L'interruzione temporanea sarebbe per un tempo di sei mesi durante i quali i negoziatori dovranno stipulare un accordo definitivo. La proposta iraniana si baserebbe sulla temporanea interruzione dell'arricchimento dell'uranio in alcune centrali ma non riguarderebbe né la consegna dell'uranio già arricchito, né lo stop dei lavori alla centrale ad acqua pesante di Arak....

(Right Reporters, 9 novembre 2013)


Hamas scrive libri per studenti. Negata la storia dell'ebraismo e di israele

 
Il Muro del Pianto e' il Muro di al-Buraq, di proprietà islamica. E i prodotti ebraici vanno boicottati oggi come gli arabi boicottarono l'imprenditoria ebraica nel 1929. Sono questi alcuni degli insegnamenti contenuti nei libri di testo che, per la prima volta da quando ha preso il potere della Striscia di Gaza nel 2007, il movimento islamico palestinese di Hamas ha scritto e diffuso nelle scuole nel territorio. Per la prima volta, insomma, Hamas ha deciso di differenziarsi dal programma scolastico proposto dall'Autorita' nazionale palestinese (Anp), che con Fatah governa la Cisgiordania, e di offrire ai "suoi" 55mila studenti una ''educazione nazionale'' ad hoc dove viene insegnato a non riconoscere Israele e non si fa menzione degli Accordi di pace di Oslo. E' una spinta a infondere un'ideologia militante nella prossima generazione quella che Hamas sta tentando con i libri di testo per le scuole, una vera e propria ''istigazione'' contro gli ebrei. Nei testi scritti da Hamas si insegna che la Torah e il Talmud "sono stati 'fabbricati'', e il sionismo è descritto come un movimento razzista il cui obiettivo è quello di allontanare gli arabi dalla zona tra il Nilo in Africa e l'Eufrate in Iraq, Siria e Turchia.
La ''Palestina'', invece, viene descritta come uno Stato per i musulmani tra il fiume Giordano e il mar Mediterraneo. Tra le citta' palestinesi sono elencate Haifa, Beersheba e Acre, tutte comprese nei confini di Israele del 1948. Inoltre nei testi si legge che ''gli ebrei e il movimento sionista non hanno nulla a che vedere con Israele perche' la nazione dei figli di Israele è stata annientata''.
Per quanto riguarda la storia contemporanea, vi sono evidenti esagerazioni nella descrizione dell'ultima guerra tra Hamas e Israele. Secondo i testi, i razzi lanciati da Gaza hanno mandato ''tre milioni di sionisti sotto terra per otto giorni'', mentre secondo la cronaca pochi israeliani sono entrati e usciti in modo sporadico dai rifugi. Inoltre si dice che Tel Aviv e' stata colpita, mentre un missile e' caduto in mare e un altro lontano dalla citta', e che un tentato attacco al Parlamento israeliano ha ''costretto i sionisti a mendicare il cessate il fuoco''.
Nella Striscia di Gaza si contano 465mila studenti. L'Agenzia delle Nazioni Unite che assiste i rifugiati palestinesi gestisce 250 scuole, mentre il governo di Hamas ne controlla 400. Sia Hamas, sia l'Onu adottano il programma di studi redatto dall'Anp, ma il movimento islamico ha programmi aggiuntivi, come l'addestramento militare introdotto nelle scuole superiori l'anno scorso e concentrato sulla resistenza a Israele. Inoltre ad aprile Hamas ha approvato una legge che prevede classi separate in base al sesso a partire dai 9 anni e giudicato un reato qualsiasi contatto tra scuole palestinesi e israeliane.

(Shalom7, 2-8 novembre 2013)


Chissà se si è trattato questo argomento nei "colloqui di pace" organizzati da Kerry per conto di Obama.


Bartali "Giusto tra le Nazioni": lunedì 18 novembre l'omaggio degli ebrei fiorentini

Alla sinagoga di via Farini l'appuntamento è alle 10.30, alla presenza di alcuni testimoni delle imprese umanitarie del grande ciclista.

di Roberto Davide Papini

FIRENZE, 8 novembre 2013 - Dopo l'omaggio a Gerusalemme ora tocca al cuore della Comunità ebraica fiorentina festeggiare Gino Bartali riconosciuto "Giusto tra le Nazioni" per il suo impegno a favore degli ebrei negli anni bui della seconda Guerra mondiale, del nazifascismo e delle incivili leggi razziali. L'appuntamento è per lunedì 18 novembre alle 10.30 nella sinagoga di Firenze (in via Farini).
Una data ufficiale è annunciata su www.moked.it, il portale dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (punto di riferimento nel web per il mondo ebraico italiano e per chi è interessato a questa realtà) che arriva a due mesi dal riconoscimento dello Yad Vashem per la sua azione di salvataggio durante il nazifascismo è infatti ufficiale la data della solenne cerimonia che renderà omaggio al campione di Ponte a Ema, una delle leggende del ciclismo mondiale di tutti i tempi.

Andrea Bartali, figlio di Gino Andrea Bartali indica il nome del padre Andrea Bartali indica il nome del padre Il figlio di Bartali a Gerusalemme lightbox gallery carousel by VisualLightBox.com v5.7m

Nella sua motivazione, lo Yad Vashem sottolinea l'importanza della "rete ebraico-cristiana, messa in piedi a seguito dell'occupazione tedesca e all'avvio della deportazione degli ebrei, che ha salvato centinaia di ebrei locali ed ebrei rifugiati dai territori prima sotto controllo italiano, principalmente in Francia e Yugoslavia".
"Bartali - continua il museo della Shoah di Gerusalemme - ha agito come corriere della rete, nascondendo falsi documenti e carte nella sua bicicletta e trasportandoli attraverso le città, tutto con la scusa che si stava allenando. Pur a conoscenza dei rischi che la sua vita correva per aiutare gli ebrei, Bartali ha trasferito falsi documenti a vari contatti e tra questi il rabbino Cassuto".
Il presidente della Comunità ebraica fiorentina, Sara Cividalli, conferma l'appuntamento di lunedì mattina al quale interverrà anche il sindaco Matteo Renzi e saranno invitati alcuni testimoni del coraggio di Bartali.
A partire dall'ebreo fiumano Giorgio Goldenberg, che proprio al giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche rivelò di essere stato nascosto in una cantina di proprietà del ciclista in via del Bandino. Un invito sarà indirizzato anche a Giulia Donati Baquis.

(La Nazione - Firenze, 8 novembre 2013)


Commento di Netanyahu dopo il suo colloquio con Kerry

Questa mattina (venerdì 8 novembre 2913) il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha fatto il seguente commento dopo il suo incontro con il Segretario di Stato USA John Kerry.
"Ho incontrato il Segretario Kerry poco prima che partisse per Ginevra. Gli ho ricordato che lui aveva detto che un non accordo è meglio di un cattivo accordo. E l'accordo che è in discussione a Ginevra in questo momento è un cattivo accordo. E' un pessimo accordo. L'Iran non è tenuto a chiudere neanche una centrifuga, ma per la prima volta dopo molti anni la comunità internazionale sta togliendo sanzioni all'Iran. L'Iran in questo momento ottiene tutto quello che voleva senza pagare nulla. E questo quando l'Iran è sotto forte pressione. Esorto vivamente il Segretario Kerry non correre a firmare, ad aspettare, a riconsiderare, per ottenere un buon accordo. Questo invece è un cattivo accordo, un accordo molto, molto cattivo. Per l'Iran invece è l'affare del secolo, un affare molto brutto e pericoloso per la pace e la comunità internazionale".

(Israel Matzav, 8 novembre 2013 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Primavera araba di Gaza: Pronti a marciare contro il governo del terrore di Hamas

I giovani dei Tamarud Gaza raccontano ad AsiaNews le difficoltà e gli obiettivi del movimento sorto su esempio del gruppo egiziano. In questi mesi decine di affiliati sono stati arrestati e torturati dalle milizie islamiste che temono una rivolta nella Striscia. L'11 novembre migliaia di persone scenderanno in piazza per chiedere la fine del governo di Hamas e nuove elezioni.

GAZA - Migliaia di giovani della Striscia di Gaza si preparano a marciare per le strade della città per protestare contro la "dittatura del terrore" imposta da Hamas. La manifestazione si terrà l'11 novembre in occasione dell'anniversario della morte di Yasser Arafat. Il movimento Tamarud (Gaza) è nato sull'onda di quello egiziano fautore della grande manifestazione del 30 giugno che ha fatto cadere il presidente islamista Mohamed Morsi. Tuttavia, la Striscia di Gaza dominata da Hamas non è l'Egitto.
AsiaNews ha intervistato i leader del movimento palestinese che, a condizione dell'anonimato, raccontano gli obiettivi dei Tamarud Gaza. Nonostante le minacce, i sequestri e le torture eseguite dal governo islamista, essi sono decisi a scendere in piazza per mostrare al mondo "che la popolazione di Gaza è stanca dell'oppressione di Hamas e desidera una nuova vita".

- Come è nato e chi ha aderito al vostro movimento?
  La nostra attività è iniziata circa sei mesi fa raccogliendo consensi soprattutto fra i giovani residenti a Gaza. In poco tempo hanno aderito al movimento anche scrittori, giornalisti e intellettuali palestinesi, con i quali abbiamo deciso che era giunto il tempo di organizzare una rivolta contro le ingiustizie compiute dai membri di Hamas, chiedendo le loro dimissioni e nuove elezioni presidenziali e legislative.

- Qual è la situazione nella Striscia di Gaza?
  Gaza è diventato negli anni un luogo angusto dove vivono circa 1,5 milioni di persone in condizioni economiche disastrose. Nella Striscia mancano elettricità, acqua potabile e le epidemie sono molto frequenti. Tuttavia, ciò che colpisce di più la popolazione sono le politiche del governo di Hamas. Dopo il colpo di Stato del 2007 è iniziato un regime di terrore nella Striscia di Gaza. In pochi anni sono aumentati i casi di stupro, omicidio, corruzione. La popolazione vive nella totale assenza di uno stato di diritto. Le fatwa di Hamas si sono sostituite alle leggi del Consiglio legislativo. Ciò ha favorito la nascita di bande armate che non rispettano alcuna legge e praticano atti di terrorismo contro la popolazione. Gli islamisti uccidono e arrestano chiunque si opponga alle sue politiche. La gente detesta ormai qualsiasi azione compiuta dagli uomini di Hamas e chiede la fine del suo governo.

- Quanti seguaci ha il movimento?
  Secondo le ultime statistiche almeno 500mila persone sostengono la nostra causa a Gaza e in altri Paesi. Nella Striscia il numero è in continua crescita a causa delle continue ingiustizie perpetrate dal governo di Hamas. La maggior parte della nostra attività avviene su Facebook e altri social network. In questo modo siamo riusciti ad entrare in contatto anche con i media occidentali.
In questi mesi avete ricevuto minacce o altre forme di repressione?
Da quando è iniziata la nostra attività, le bande al soldo di Hamas hanno sequestrato e torturato decine di persone accusandole di lavorare per il nostro movimento. Ma esse esercitavano solo i loro diritti. I miliziani hanno utilizzato contro gli oppositori i metodi di tortura più efferati, ordinando loro di non partecipare al nostro lavoro. Hamas stessa ci ha minacciato di morte, attraverso il portavoce delle brigate al- Qassam. Per impedire alla gente di conoscere e partecipare alla manifestazione dell'11 novembre il governo e le milizie affiliate hanno scatenato il terrore fra la popolazione di Gaza.

- Quale futuro desiderate per Gaza?
  Per ora siamo determinati a condurre la nostra campagna per la manifestazione dell'11 novembre. La riuscita della protesta è necessaria per spingere il governo di Hamas a cedere il potere e organizzare elezioni democratiche sotto la supervisione di organismi internazionali. Noi speriamo che le autorità di Hamas ascoltino le richieste della popolazione oppressa. Noi desideriamo essere cittadini della Striscia di Gaza, chiediamo di poter vivere con dignità e godere di diritti e libertà, in modo da migliorare le nostre condizioni di vita e offrire ai giovani opportunità di lavoro, come nel resto del mondo. Se Dio vorrà, raggiungeremo i nostri obiettivi e fermeremo le ingiustizie compiute contro la nostra popolazione da Hamas, dai terroristi delle brigate al-Qassam e dalle bande militari. (S.C.)

(AsiaNews, 8 novembre 2013)


Mohammad Javad Zarif: abbiamo "elementi” per un accordo oggi sul nucleare dell'Iran

ROMA, 8 nov. - L'Iran e i paesi del 5+1 cominceranno a redigere oggi pomeriggio l'accordo sul nucleare iraniano. "Gli elementi ci sono", ha detto al Guardian il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, durante una pausa dei colloqui in corso da ieri a Ginevra, sottolineando che l'intesa potrebbe essere siglata entro la fine della giornata. "A seconda di quello che verrà messo nero su bianco, potrebbe trattarsi di un accordo importante o di un piccolo passo nella giusta direzione - ha aggiunto - io spero che si tratti più di un piccolo passo nella giusta direzione - ha aggiunto - ma sarei felice se ci muovessimo nella giusta direzione". Nel pomeriggio è in programma un incontro trilaterale tra Zarif, il capo della diplomazia Ue, Catherine Ashton, e il segretario di Stato Usa, John Kerry, in arrivo a Ginevra da Israele. A Ginevra si trovano anche i ministri degli Esteri tedesco, francese e britannico. Zarif ha precisato che l'Iran e i sei paesi riuniti a Ginevra (Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito, Francia e Germania, ndr) hanno già raggiunto un accordo su un piano a più fasi: una dichiarazioni di intenti che includa misure per ristabilire fiducia tra le parti e una bozza di un accordo globale sul programma nucleare iraniano e sulla normalizzazione di rapporti tra Teheran e Occidente.

(TMNews, 8 novembre 2013)


L'Iran fa paura: Riad si compra l'atomica dal Pakistan

di Fiamma Nirenstein

Sultan bin Abdulaziz al Saud  
Mentre suona a destra uno squillo di tromba, ovvero le notizie anche di ieri promettono che l'Iran otterrà condizioni che gli consentiranno di procedere verso la bomba atomica, a sinistra risponde uno squillo, e che squillo: l'Arabia Saudita ha investito nel corso degli anni in Pakistan, che ha più di centoventi bombe atomiche, per comprare un pacchetto atomico già pronto non appena sarà evidente che il suo nemico storico, l'Iran, sta per raggiungere l'obiettivo. Può darsi persino, secondo un'alta fonte della Nato che ha parlato alla Bbc, che l'arma nucleare pakistano- saudita venga approntata prima di quella iraniana. L'Arabia Saudita è molto irritata e spaventata, non ha più a cuore la sua amicizia con gli Usa, ha scansato con regale diniego la partecipazione al Consiglio di Sicurezza dell'Onu che le toccava, ha dichiarato completamente sbagliata la politica americana che ha ac-cettato l'accordo con Putin evitando di intervenire contro Assad e quindi contro l'asse sciita Siria-Iran-Hezbollah. I sauditi, leader del mondo sunnita, si sono preparati negli anni a questa mossa che cambierà l'assetto del Medio Oriente e metterà in grande crisi anche la politica occidentale. Il principe Sultan bin Abdulaziz al Saud ha visitato i centri di ricerca nucleare pakistani nel 1999 e nel 2002, certo non per interesse culturale.
Negli anni Ottanta l'Arabia Saudita aveva già acquistato dozzine di missili balistici cinesi capaci di trasportare testate atomiche. Il famoso scienziato nucleare pakistano Abdul Qadeer Khan, padre delle bombe islamiche scrisse: «Il principe Sultan ha fornito un generoso supporto finanziario al Pakistan che gli ha consentito di proseguire col programma nucleare » . Da allora, due binari corrono paralleli: quello della preparazione del nucleare pronto per l'uso, e un incessante, franco avvertimento agli Usa: fermate l'Iran, è del tutto inaccettabile che esso abbia capacità nucleari e i sauditi no. Re Abdullah lo disse chiaro a Dennis Ross: «Se lo fa l'Iran noi lo realizziamo subito ». Adesso che il mondo tratta con Rouhani, i sauditi mostrano di conoscere meglio di Obama e della baronessa Ashton il linguaggio del Medio Oriente: a una bomba, una bomba e mezzo.

(il Giornale, 8 novembre 2013)


Netanyahu: Israele "respinge in modo netto" l’accordo con l’Iran

Israele "respinge in modo netto" l'accordo in discussione a Ginevra tra l'Iran e la comunità internazionale, che prevede la sospensione del programma nucleare iraniano per almeno sei mesi in cambio di una limitata e reversibile revoca delle sanzioni imposte a Teheran. Lo ha detto oggi il premier israeliano Benjamin Netanyahu, prima di incontrare all'aeroporto di Tel Aviv il segretario di Stato Usa, John Kerry, in partenza per Ginevra.
"Questo è un cattivo accordo. Israele lo respinge in modo netto", ha detto ai giornalisti, sottolineando come l'Iran stia sul punto di siglare "l'accordo del secolo".
Kerry avrà oggi a Ginevra un incontro trilaterale con l'Alto rappresentante della politica estera Ue, Catherine Ashton, e il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, a margine dei colloqui in corso da ieri nella città svizzera tra Teheran e i paesi del 5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito, Francia e Germania, ndr).

(TMNews, 8 novembre 2013)


"Grazie a Gino arrivai a Haifa"

"Dopo le persecuzioni, dopo la Shoah, ho voluto cambiare vita. E ho creduto nel sogno Israele". Lo racconta a Pagine Ebraiche Giorgio Goldenberg, l'ebreo fiumano la cui testimonianza si è rivelata decisiva per attribuire a Gino Bartali il titolo di Giusto tra le Nazioni. L'incontro avviene a tre anni dall'intervista in cui, sulle colonne del giornale dell'ebraismo italiano, aprì un fronte inedito sul coraggio di Ginettaccio. Non solo staffetta clandestina di documenti falsi ma anche protettore di una famiglia in un appartamento di sua proprietà in via del Bandino, quartiere Gavinana, a Firenze. I Goldenberg, appunto. Giorgio è in Italia, ospite di una trasmissione televisiva. Per abbracciare Andrea, il figlio di Gino. Ma soprattutto per testimoniare ai giovani questa incredibile storia di sport, valori e solidarietà....

(moked, 8 novembre 2013)


Israele celebra i primi quarant'anni in Italia. Lotan: «Puntiamo ai duecentomila turisti italiani»

L'Ufficio nazionale israeliano del turismo in Italia ha festeggiato ieri i 40 anni di presenza nel nostro Paese. A Milano, circondato dai partner di sempre in aggiunta a quelli più recenti, il direttore Tzvi Lotan, è stato l'anfitrione di una serata di congiunzione tra passato e futuro. «Abbiamo percorso una lunga strada in questi anni, certamente fatta di alti e bassi. Oggi, anzi da cinque anni a questa parte, gli arrivi dall'Italia in Israele oscillano tra i 150 e i 180 mila: un traguardo per noi importante». Prossimo traguardo «raggiungere i 200 mila visitatori italiani: questa "l'eredità" che lascio al mio successore. Insieme agli ottimi rapporti instaurati con gli operatori italiani che lavorano su Israele, il cui numero è aumentato considerevolmente negli ultimi anni». Tzvi Lotan lascerà infatti la direzione dell'Ufficio nel luglio 2014, a conclusione del suo secondo mandato in Italia, per un totale di nove anni nel nostro Paese. «L'incontro di questa sera per me ha anche il sapore di un "commiato" al mercato italiano, anche se in anticipo…». La festa ha visto la partecipazione delle telecamere di Real Time per documentare la consegna di una torta kosher, opera del pasticcere Ernst Knam, il re del cioccolato.

(Travel Quotidiano, 8 novembre 2013)


Allarme Ue: l'antisemitismo è ancora radicato

Intervistati seimila ebrei: per tre su quattro, l'antisemitismo è diventato più grave negli ultimi cinque anni. Il 21% per cento ha subito una o più volte insulti verbali, molestie o un attacco fisico.

  
Una scritta antisemita a Roma
VIENNA, 8 Novembre 2013 - Era la sera del 9 novembre 1938, quando le SS naziste distrussero e incendiarono negozi, sinagoghe ed edifici ebraici in Germania, Austria e Cecoslovacchia. A 75 anni dalla notte dei cristalli, un rapporto dell'Agenzia europea per i diritti umani (qui il testo integrale, in inglese) denuncia che l'antisemitismo non è sparito ed è ancora molto radicato.

- Per tre su quattro, l'antisemitismo è ancora vivo
  L'agenzia Fra ha intervistato seimila persone che si definiscono ebree e che vivono in Paesi dove risiede il 90% della popolazione ebraica stimata nell'Ue: Belgio, Germania, Francia, Ungheria, Italia, Lettonia, Svezia e Regno Unito. I risultati sono sconfortanti: l'antisemitismo, invece di essere sepolto nella vergogna di una storia ancora recente, è più vivo che mai: il 66 per cento degli intervistati ritiene che l'antisemitismo sia un grosso problema nel suo Paese, il 21 per cento ha subito nell'ultimo anno attacchi antisemiti.

- L'antisemitismo sul web
  Secondo il 75 per cento degli intervistati, l'antisemitismo via web è un problema serio e in crescita costante. Negli ultimi anni, c'è stato negli ultimi anni un aumento dell'antisemitismo proprio nei ragazzi in età da liceo, contestuale all'aumento di siti e blog antisemiti. Hanno contribuito alla nuova diffusione di vecchi stereotipi, da quello sul controllo dei media, ai protocolli dei savi di Sion, addirittura al deicidio.

- Il caso italiano
  In Italia, l'osservatorio sul pregiudizio ebraico contemporaneo, citato proprio dal rapporto, rileva che l'anno scorso ci sono stati 87 episodi di antisemitismo, contro i 49 del 2005. Anche da noi, preoccupa il fenomeno su internet. Basti ricordare il sito Stormfront, che a fine 2011 ha pubblicato una lista dei 50 nomi degli ebrei - o presunti tali - italiani più in vista, tra imprenditori, magistrati, artisti e giornalisti.

(RaiNews24, 8 novembre 2013)


Finmeccanica: Alenia, avviato assemblaggio primo M-346 per Israele

ROMA - E' iniziato presso lo stabilimento Alenia Aermacchi di Venegono Superiore l'assemblaggio finale del primo dei 30 addestratori avanzati M-346 ordinati dalla Forza Aerea israeliana. I tre componenti principali dell'aereo - denominato Lavi dalla Israeli Air & Space Force - la parte frontale, quella centrale e quella posteriore, che contiene i due motori, sono stati assemblati per formare la struttura primaria della fusoliera in attesa dell'assemblaggio delle ali. Il primo M-346 israeliano uscira' presto dalla linea di assemblaggio finale ed effettuera' i voli di verifica e di accettazione prima della consegna prevista per la meta' del 2014. ''Grazie all'impegno - specifica Alenia Aermacchi - dei tecnici e ad una linea di produzione altamente automatizzata tra le piu' moderne al mondo, procede nel rispetto dei tempi concordati il programma di produzione degli aerei per Israele, un cliente importante ed esigente che tra breve si aggiungera' alle forze aeree italiane e di Singapore tra gli utilizzatori del piu' avanzato jet da addestramento disponibile sul mercato''. Israele ha ordinato un totale di 30 M-346 che impieghera' come addestratori avanzati per rimpiazzare i TA-4 Skyhawks attualmente in servizio.

(ASCA, 7 novembre 2013)


Maccabi Tel Aviv-Eintracht Francoforte 4-2

Video

(Tuttocalcioestero.it, 7 novembre 2013)


«Sharon diede ordine di non uccidere Arafat»

I palestinesi si dovrebbero interrogare sull'entourage dell'ex leader

GERUSALEMME, 7 nov. - Ariel Sharon aveva dato l'ordine di non uccidere Yasser Arafat. E' quanto ha detto oggi alla France presse un ex consigliere del premier israeliano, interpellato sul presunto avvelenamento con polonio del leader palestinese, emerso dal rapporto redatto da esperti svizzeri.
"Ariel Sharon aveva ordinato di fare di tutto per impedire che Arafat, allora circondato dall'esercito israeliano alla Muqataa, la sede della presidenza palestinese a Ramallah, venisse ucciso dai nostri soldati", ha detto Raanan Gissin, che era anche portavoce dell'ex capo del governo. "Gli ordini di Sharon erano di prendere tutte le precauzioni perchè Israele non venisse accusata della morte di Arafat - ha sottolineato - anche per questa ragione Sharon aveva permesso che venisse trasferito in un ospedale in Francia". Arafat morì l'11 novembre 2004 all'ospedale militare di Percy de Clamart, vicino a Parigi.
"Invece di lanciare accuse senza fondamento contro Israele, i palestinesi farebbero meglio a interrogarsi su quanti, nell'entourage di Arafat, avevano interesse alla sua uscita di scena e su chi ha le mani sul denaro controllato da Arafat", ha aggiunto Gissin.

(TMNews, 7 novembre 2013)


Passi avanti per il gasdotto Israele-Turchia

Nonostante le tensioni tra questi Paesi, due aziende turche sembrano pronte a investire nel progetto.

L'azienda energetica turca Zorlu Group ha avviato trattative con imprese dello Stato ebraico per la realizzazione di un gasdotto con cui trasportare il gas israeliano in Turchia. Lo riferisce una nota dell'ufficio Ice di Istanbul, secondo cui, grazie alla recente scoperta di due enormi giacimenti sottomarini al largo delle coste israeliane - denominati Leviathan e Tamar - si prevede che Israele entro il 2020 diventerà un Paese esportatore di gas naturale. La Turchia, che importa quasi tutto il proprio fabbisogno energetico, sta cercando di diversificare le proprie fonti per ridurre la dipendenza dal costoso gas russo e potrebbe diventare non solo cliente di Israele, ma anche Paese di transito del gas verso altri mercati, in particolare per quello europeo.
Il progetto, però, non è facilitato dall'incidente diplomatico dei due Paesi del maggio 2010, quando i commando israeliani uccisero nove attivisti turchi durante un assalto alla Mavi Marmara, una nave che cercava di forzare il blocco navale israeliano della Striscia di Gaza. Qualcosa, però, secondo non meglio precisate fonti diplomatiche citate dall'Ice, sembra muoversi: Zorlu Group starebbe trattando per partecipare alla costruzione del gasdotto turco-israeliano, che richiederebbe un investimento di circa 3,5 miliardi dollari, un quantitativo tale da attirare anche l'interesse della compagnia Turcas Petrol. Recenti dichiarazioni di Ömer Yungul, ceo di Zorlu Holding, sembrano in effetti confermare i passi in avanti: «La Turchia è un percorso molto adatto per il gas israeliano. Posso anche dire che è il più adatto». La società turca possiede già una partecipazione del 25% nella Dorad Energy, azienda che sta costruendo un impianto per la produzione di energia da 875 MW ad Ashkelon, città portuale a Sud di Tel Aviv.

(Energia24 club, 7 novembre 2013)


Erich Priebke sepolto nel cimitero di un carcere italiano

Secondo Repubblica la salma si troverebbe in un tomba senza nome né data.

Erich Priebke, l'ex ufficiale nazista morto a Roma l'11 ottobre scorso, sarebbe sepolto nel cimitero di un carcere italiano in una tomba senza nome né date. Lo rivela il quotidiano Repubblica con un articolo firmato dal direttore Ezio Mauro. Dopo le polemiche, le tensioni e anche gli scontri per il funerale dell'ex capitano nazista tra i responsabili dell'eccidio delle Fosse ardeatine, sarebbe stata questa la decisione delle autorità italiane d'accordo con la famiglia per spegnere ogni clamore sulla vicenda. Il giornale non rivela quale sia la struttura penitenziaria che ospiterebbe la salma di Erich Priebke ma racconta con dovizia di particolari la tomba, segnata solo da una croce di legno duro senza data né nome, che si trova in un recinto all'interno di un carcere "protetto da cancelli, riflettori, inferriate e chiavistelli". Un cimitero in disuso da anni spiega Ezio Mauro dove "Cercare nomi e date sulla pietra delle vecchie tombe è difficile" e "la vecchia cappella in centro al recinto bianco e quadrato sembra chiusa da secoli". Un luogo perfetto dunque per tenere lontano la tomba di Priebke sia da contestazioni che da venerazioni.
La sepoltura di Priebke sarebbe avvenuta dunque nel silenzio, in un cimitero risistemato per l'occasione dagli stessi detenuti del carcere con il direttore della struttura convocato a Roma e legato al vincolo del segreto perché nessuno è stato avvisato "né le guardie, né il sindaco, né il presidente della Regione, né la comunità cittadina". Interpellato dall'Adnkronos sulla rivelazione, l'avvocato Paolo Giachini, legale della famiglia dell'ex capitano delle ss Erich Priebke, ha commentato: "Repubblica fa giornalismo di basso livello, di effetto. Ma la verità è che su questa sepoltura abbiamo deciso in accordo con le autorità di fare silenzio fino a quando la situazione non sarà conclusa e ancora non lo è. Quindi non c'è nulla da dire".

(fanpage, 7 novembre 2013)


«Non ne sentiremo la mancanza»

di Daniel Funaro

La vogliamo dire la verità? Se qualcuno avesse posto davvero il veto sulla partecipazione di Moni Ovadia al festival promosso dalla Comunità ebraica di Milano avrebbe fatto bene. Sì, perché quel giullare che da anni si definisce comico, oltre a non avere nessuna particolare qualità artistica, è anche da tempo uno dei maggiori propagandisti d'odio nei confronti del popolo d'Israele. Lui che inneggia alla diversità e poi vorrebbe una Comunità sul modello staliniano in cui tutti la pensano esattamente come lui. Lui che strumentalizza la Torah per dirci che dovremmo stare dalla parte di chi ci vorrebbe morti. Lui che va a braccetto con antisemiti e gente che invoca la distruzione d'Israele. Questo è Moni Ovadia. E la verità è che non ci stupisce più.
Amico di chi, come Arrigoni, definiva gli ebrei (non gli israeliani) topi. Amico di chi disegna vignette antisemite di donne ebree con il naso adunco. Amico di chi, come lui, definisce resistenza il terrorismo palestinese. Lo stesso terrorismo che lancia missili e compie attentanti suicidi e che anche qui in Italia costringe i bambini ebrei ad andare a scuola scortati dalla polizia. Per questo lui un invito non se lo merita. Perché oltre alla menzogna di cui quotidianamente fa uso Moni Ovadia negli anni ha rappresentato il megafono di un certo odio antiebraico e perché in un festival di cultura ebraica un personaggio che non rispetta il principio più importante dell'ebraismo, l'Haavat Israel (l'amore tra ebrei), non merita di trovare posto. E poco importa che a difenderlo sia un altro personaggio come Gad Lerner. Un altro personaggio mediocre e ipocrita, la cui indignazione è sempre a senso unico e non riguarda mai i suoi amici con cui condivide i salotti. E se questi due non si sentono più a loro agio con un certo modello di comunità peggio per loro. Non saremo certo noi a sentirne la mancanza.

(Notiziario Ucei, 7 novembre 2013)


I campioni silenziosi che sfidarono il nazismo

Al Museo della Resistenza di Torino la storia dell'Europa vista attraverso lo sport

di Silvia Garbarino

TORINO - Kusocinski, Flatow, Weisz, Nakache. Sono cognomi che, se a fatica e solo nei più esperti di sport aprono un barlume di luce nella memoria, dopo aver conosciuto la loro storia nella mostra «Lo sport europeo sotto il nazismo. Dai Giochi Olimpici di Berlino ai Giochi Olimpici di Londra» - da ieri aperta negli
    
Le scarpette con cui saliva sul ring Settimo Terracina, italiano di origine ebrea, fra i migliori pugili dell'epoca, un alter ego di Primo Carnera, assurto a simbolo dal Fascismo. Terracina fu costretto ad andare in America.
spazi del museo diffuso della Resistenza - non si cancelleranno facilmente dall'anima. Campioni cristallini e in molti casi «silenziosi eroi» riscoperti dal lavoro certosino di storici e ricercatori diretti da Patrick Classtres del Centre d'Histoire di Science-Po di Parigi e coordinati da Caroline Francois e Hubert Stouk per il Memoriale della Shoah.

- L'allestimento torinese
  Negli spazi di corso Valdocco l'esposizione di filmati, fotografie, oggetti e documenti d'archivio è integrata con una sezione approfondita dedicata allo sport in Francia e sotto il regime fascista in Italia , curata da Laura Fontana (responsabile per l'Italia del Memoriale de la Shoah) e Paul Dietschy, docente di storia contemporanea dell'Università di Franche-Comtè.

- Forza mass mediatica
  Un percorso didattico ma anche emotivo, che non lascia insensibili e accresce la capacità di capire la storia dell'ascesa e dell'affermazione del nazifascismo. S' inizia con parte del filmato di Lena Riefensthal sulla propaganda nazista che incentiva all'attività fisica tutti i tedeschi e anticipa l'era contemporanea per l'inedita risonanza mediatica dedicata ai Giochi di Berlino, che Hitler non voleva e venne convinto da Goebbels a organizzare. Il corpo, la vittoria, la forza, il potere e i tentativi di ribellarsi al nazismo arruolandosi fra le fila degli oppositori, sono concetti attorno al quale si dipana la mostra alternando l'evolversi della storia alle umane vicende di molti protagonisti nelle varie discipline sportive - boxe ma anche ginnastica, nuoto, atletica, calcio - oltraggiati in vita e ripescati dall'oblio. «Non è un'operazione commemorativa e celebrativa, ma un metodo per interpretare al meglio l'ascesa del nazismo - sottolinea Laura Fontana- . Lo sport diventa la realizzazione di se stessi, un momento di libertà e la comunità ebraica intuisce che bisogna rafforzare il corpo, come forma di resistenza al nazismo».

- Protagonisti
  Il nazismo non accettava le vittorie di atleti non ariani, la caccia agli ebrei non risparmiava chi era riuscito a fare splendere la Germania nel mondo attraverso i successi sportivi. Così i cugini Flatow 3 ori e 1 argento alle Olimpiadi di Atene moriranno nel campo di concentramento di Terezin, stessa sorte tragica ma in un luogo di sterminio diverso toccata, fra gli altri, all'allenatore di calcio Arpad Weisz vincitore di uno scudetto con l'Inter e il Bologna. Molti campioni resistettero più di altri detenuti, grazie alla tempra del loro fisico, ma la loro vita finì davanti a un plotone d'esecuzione (il mezzofondista Kusocinski, la ginnasta Enoch). E quelle rare volte che esiste un finale meno drammatico, come nel caso del nuotatore francese di origine algerina Alfred Nakache che resistette al lager ma perse moglie e figlia ad Auschwitz, una lacrima inumidisce gli occhi.

Museo diffuso della Resistenza
Corso Valdocco 4/a
Fino all'8 dicembre (martedì e domenica 10-18, giovedì 14-22) ingresso 5 euro

(La Stampa, 7 novembre 2013)


Europa League. Maccabi Tel Aviv-Eintracht Francoforte

Questa sera alle ore 19, presso il "Bloomfiel Stadium", Maccabi e Eintracht si sfidano in un match valevole per la quarta giornata del gruppo F di Europa League. Gli israeliani sono secondi in classifica con 4 punti, i tedeschi occupano la prima posizione a punteggio pieno (9 punti).

MACCABI: una vittoria per allungare su Apoel e Bordeaux.- L'ultima sconfitta in campionato contro i diretti concorrenti del Beer Sheva può aver influito sul morale della squadra in questi ultimi giorni. Però, la classifica sorride ancora al Maccabi: la prima posizione rimane solida nelle loro mani. In Europa League i ragazzi di Paulo Sousa sono secondi con 1 vittoria, 1 pareggio e 1 sconfitta, quest'ultima rimediata proprio nella gara d'andata contro i tedeschi. L'ex palermitano Zahavi proverà a trascinare i suoi compagni alla qualificazione.

EINTRACHT: non c'è il 3 senza il 4.- 3 vittorie in altrettante partite di Europa League significano già qualificazione virtuale. Per avere la certezza basta un pareggio, ma la vittoria e così il matematico primo posto affascinano i ragazzi di mister Veh. Va però notato che la squadra, in Bundesliga, è in netta difficoltà: 15o posto in classifica, solo 10 punti ottenuti finora (8 in trasferta), per un totale di 2 vittorie, 4 pareggi e 5 sconfitte. Veh potrebbe schierare un po' di riserve questa sera per affrontare al meglio il campionato.
Probabili formazioni

(Te La Do Io L'America, 7 novembre 2013)


Il fascino dell'intelligence…

"Poche cose al mondo sono mal comprese come i servizi di intelligence. E poche cose sono più utili nella vita di una società organizzata.

di Marco Federico

Intervista ad Antonella Colonna Vilasi

La prof.ssa Antonella Colonna Vilasi
La prof.ssa Antonella Colonna Vilasi, analista nonchè docente di intelligence, oltre ad essere stimata giornalista ed esperta internazionale su temi come il terrorismo e l'intelligence, è un'abile scrittrice che ha affrontato per prima una trilogia su temi dell'intelligence.
Nel suo ultimo libro "Storia del Mossad, servizi e segreti" , analizza e ripercorre l'evoluzione dei servizi segreti israeliani, ritenuti tra i più efficienti del mondo, svelando alcune vicende determinanti nella storia del Mossad. Antonella C. Vilasi, è anche presidente del Centro Studi Intelligence (UNI), Scienze Strategiche e Sicurezza con sede a Roma.
Persona cordiale e disponibile verso chi ama approfondire tematiche affascinanti come lo sono, appunto, le storie dei servizi segreti in genere, tiene, infatti, conferenze e lezioni in varie agenzie ed università del mondo.

- Ha incontrato ostacoli, in quanto donna, ad intraprendere questo percorso particolare che solitamente è riservato agli uomini?
  "No, visto che molte donne sono all'apice delle agenzie di intelligence internazionali, e la materia è ormai sdoganata da connotazioni maschili".

- Nel suo ultimo libro spiega come funzionano i servizi segreti dello Stato di Israele: sonotemuti e allo stesso tempo anche criticati, sono forse anche troppo mitizzati?
  "I risultati parlano per loro. Lo Stato ebraico vive e sopravvive nonostante pericoli e minacce. I suoi sono Servizi estremamente efficienti, forse i migliori del mondo. E, particolare non secondario, non rimangono coinvolti in polemiche di profilo 'elettronico'".

- Le risulta che tre quarti di agenti del Mossad sono donne?
  "Molte donne sono all'apice dell'IDF e del Mossad. Bisogna segnalare che in Israele tutti i giovani debbono prestare servizio di leva: tre anni per gli uomini e due per le donne."

- Secondo lei, si riuscirà mai ad arrivare ad una lungimirante e costruttiva cooperazione trale varie agenzie di Informazione del mondo?
  "Attualmente vi è collaborazione tra le agenzie di intelligence, purtuttavia è rara una cooperazione reale, leale e totale per come ci si attende. Si avranno forme di collaborazione su temi come il terrorismo,l'immigrazione, l'ambiente, ma poi quando ci sarà da affrontare argomenti di più dichiarato interessenazionale, allora tutto tornerà come prima".

- Nell'attuale crisi finanziaria mondiale, quale ruolo determinante potrebbero avere i servizi segreti, in questo scenario delicato e complesso?
  "Ne' più ne' meno quello che hanno di solito: e cioè recuperare informazioni, rapidamente e nel modo più sicuro. Personalmente non vedo differenza nelle azioni di recupero di materiale informativo; cambiano sì gli scenari ma non le poste in palio. Non si utilizzeranno armi ma tecniche piu' sofisticate. Ho l'impressione che una cosa del genere sia già in atto…".

- Lo storico ed esperto Ado Giannuli, sostiene che dopo la "guerra fredda" si è evidenziatoed affermato un "Nuovo Ordine Mondiale", lei è dello stesso parere?
  "A tal proposito sarò telegrafica: Cina! Sbaglierò, ma c'e' chi teme la Tigre asiatica in modo ossessionante. Tante cose avvengono per cercare di pararne i colpi."

- Lei ha anche scritto un libro sui servizi segreti italiani, cosa ne pensa della nostra Intelligence e del suo apparato strutturale?
  "Purtroppo lo Storia ha giocato contro di loro. Nel senso che per colpa di pochi l'immagine el'altissimo valore dello spionaggio e del controspionaggio italiani sono rimasti invischiati in situazioni poco chiare. Basti vedere cosa scrive il mondo dell'informazione ogni volta che in Italia accade qualcosa di insoluto. Si da' sempre la colpa ai servizi segreti, quando bisogna cercare un capro espiatorio… Alla fine la notizia diviene non il fatto in sé bensì il mancato coinvolgimento dei Servizi. Su questo profilo io credo che il nostro Paese dovrebbe lavorare tanto, per attuare una ristrutturazione dell'immagine dell'intelligence italiana nella coscienza collettiva. Servizi italiani che io reputo eccellenti".

(Servizi Segreti, 6 novembre 2013)


'Dialogo impossibile', gli ebrei di Roma contro la Moschea

di Gabriele Isman

   
ROMA - «Abbiamo chiesto al sindaco Marino la chiusura delle moschee a Roma che non sono case di vetro e che non si sa da chi siano finanziate, dove magari si predica contro i cristiani "crociati" e noi "infedeli"». Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica romana, attacca l'Islam più duro nella Capitale, dove sarebbero 15 (su un totale censito di 38) le moschee finite sotto la lente dei Servizi segreti per il rischio di infiltrazioni terroristiche.
Al termine dell'incontro con la giunta Marino, era stato il rabbino capo Riccardo Di Segni a lanciare la bomba: «A Roma sono presenti delle persone con forte identità religiosa non cattolica che non dialogano con la città e bisogna evitare che avvenga il fenomeno francese, con sacche di territorio occupate e chiuse alla convivenza sociale».
Pacifici ha spiegato il disagio del rabbino partendo da lontano, da quella storica visita del 2006 alla Grande moschea dei Parioli, che doveva essere ricambiata da Adbellah Redouane, segretario del Centro islamico culturale che, con l'Ucoii (Unione delle comunità islamiche d'Italia) gestisce la struttura disegnata da Paolo Portoghesi. «La visita saltò alla vigilia dell'incontro. Sappiamo che Redouane ebbe paura. Se è sotto minaccia lo dica, se fu una scelta la spieghi. Da allora l'abbiamo invitato per incontri formali o particolari cerimonie, come la visita di Benedetto XVI al Tempio o il 16 ottobre scorso in Sinagoga per l'anniversario del rastrellamento nazista, ma il disagio del nostro rabbino va raccolto».
Pacifici racconta della richiesta di non usare in Sinagoga nell'incontro poi saltato. Il numero uno degli ebrei romani si dice «a favore della nascita di uno stato palestinese su basi di democrazia e libertà per i propri cittadini dove un qualunque ebreo possa vivere come le persone di origine araba vivono in Israele. Ma con l'Ucoii, affiliata ai Fratelli musulmani così come lo è Hamas a Gaza, ci è impossibile dialogare: i Fratelli musulmani negano il diritto di Israele a esistere e incitano all'annientamento degli ebrei».
Redouane non può replicare per le precarie condizioni di salute. Parla però Yahya Pallavicini, imam della moschea di via Meda a Milano e componente del cda della struttura dei Parioli. Rappresenta il Coreiis, la Comunità religiosa islamica, l'ala più aperta al dialogo dei musulmani italiani. «Noi - dice - siamo autonomi e indipendenti nel rifiutare le ingerenze ideologiche. Crediamo al dialogo con cattolici ed ebrei». Pallavicini ammette il rischio di infiltrazioni terroristiche nell'islamismo italiano «finché non ci sarà chiarezza su quali sono le moschee e come vanno gestite secondo criteri di trasparenza con lo Stato. L'allarme non è infondato: nella comunità musulmana c'è un problema tra le persone semplici, generose, coscienziose e chi invece è interessato a posizioni di potere». Di fatto, una spaccatura nell'Islam d'Italia tra radicali e moderati: «La cosa più onesta - conclude Pallavicini - è ammettere che la parte più dura dialoga soltanto con i duri. Noi moderati non vogliamo nemmeno confrontarci con loro, ma per ebrei e cattolici è impossibile anche soltanto provarci».

(la Repubblica, 6 novembre 2013)


Torino - Lo sport sotto il nazismo

Sotto il nazifascismo, ogni aspetto della vita collettiva fu stravolto. E lo sport fu utilizzato spesso come arma propagandistica, come momento di condivisione. Nel silenzio di molti, ci furono, come in altri ambiti, anche in quello sportivo delle espressioni di coraggio e resistenza. Pensiamo a Bartali o all'alpinista Soldà. Altri come gli allenatori dell'Inter Arpad Weisz e del Torino Ernest Erbstein, subirono le persecuzioni e la deportazione nei campi di concentramento. A loro e altre figure è dedicata la mostra Lo sport europeo sotto il nazismo. Dai Giochi olimpici di Berlino ai Giochi olimpici di Londra (1936-1948), realizzata dal Mémorial de la Shoah di Parigi e inaugurata questa mattina al Museo Diffuso di Torino. L'iniziativa è patrocinata dalla Comunità ebraica torinese e proseguirà domani pomeriggio con l'appuntamento "Il calcio a Torino sotto il fascismo", di cui discuteranno insieme discuteranno insieme al pubblico Paul Dietschy professore dell'Universités de Franche-Comté e Marco Brunazzi direttore dell'Istituto di Studi Storici "Gaetano Salvemini" di Torino.
La mostra racconta, attraverso filmati, fotografie, oggetti e documenti d'archivio in parte inediti diversi aspetti della storia dello sport nell'Europa degli anni Trenta e Quaranta. Ne ricostruisce il contesto storico-politico, ripercorre la biografia di una ventina di personaggi legati allo sport la cui carriera fu sconvolta dall'ascesa del nazifascismo, tra cui i citati Weisz, Erbstein, Bartali. Sempre legata alla mostra, che rimarrà aperta fino all'8 dicembre, presso i locali della Comunità ebraica di Torino sarà presentato il possimo 28 novembre libro Matthias Sindelar, il centravanti che non si piegò a Hitler, ricerca di Giovanni Antonio Cerutti, direttore scientifico Istituto storico della resistenza "Piero Fornara".

(Notiziario Ucei, 6 novembre 2013)


Assolto Lieberman, potrebbe tornare ad essere Ministro degli Esteri

ROMA, 6 nov - L'ex ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman e' stato scagionato dalle accuse di corruzione dalla Corte di Gerusalemme. Lieberman, 55 anni, si mette cosi' alle spalle l'accusa di frode, che lo ha accompagnato negli ultimi due decenni. ''Dopo 17 anni di indagini, posso guardare avanti alle prossime sfide'' ha detto Lieberman ai giornalisti presenti fuori dal Tribunale. Il politico israeliano potrebbe tornare presto al suo incarico di ministro degli Esteri. Nonostante le dimissioni dal governo nello scorso dicembre, Lieberman ha mantenuto la sua formazione politica alla destra del partito Likud del premier israeliano Benjamin Netanyahu. Liberman, 55 anni, nato nella ex repubblica sovietica della Moldavia, si e' recato in Israele nel 1978 all'eta' di 20 anni, dove ha lavorato per alcuni anni come buttafuori in un locale nella citta' di Beersheva. Laureato in scienze sociali presso l'Universita' Ebraica di Gerusalemme, si e' poi arruolato nell'esercito, raggiungendo il grado di caporale, prima di iniziare la corsa alla leadership della destra nazionale. Nel partito Likud la sua ascesa e' stata rapida: assistente del premier Benjamin Netanyahu nel suo primo governo (1996-1999), ha poi creato il movimento politico Ysrael Beiteny (Israele e' la nostra casa), che ha ottenuto un discreto successo elettorale: il partito e' arrivato terzo alle elezioni del 2009 e quest'anno, alleato al Likud, ha ottenuto 31 seggi su 120 in Parlamento. Residente nell'insediamento di Nokdim, in Giudea-Samaria, Lieberman e' considerato dai suoi sostenitori uno dei piu' lucidi assertori del primato della causa di Israele.

(Fonte: ASCA, 6 novembre 2013)


"Vi racconto la realtà da un altro punto di vista. Quello delle piante"

di Daniela Berretta

Cosa «vede», cosa «odora», cosa «prova» una pianta? Daniel Chamovitz, biologo dell'Università di Tel Aviv, sta gettando una nuova luce sull'universo del regno vegetale.

 
- Professore, è vero che le piante posseggono percezioni simili a quelle dell'uomo?

  «Io ho cercato di capire come una pianta utilizzi un segnale luminoso per capire quando dispiegare le foglie. La sorpresa è arrivata nel momento in cui ho clonato i geni responsabili del modo con cui risponde alla luce. In origine si pensava che fossero specifici delle piante, ma poi, un giorno, in laboratorio, ho scoperto che questi geni "specifici" sono presenti anche nel Genoma umano. Questo mi ha fatto pensare che, se gli esseri umani hanno bisogno dei geni delle piante, allora, forse, la differenza tra piante e animali non è così grande».

- Se la vita delle piante è scandita dai movimenti verso la luce, come la vedono davvero?
  «La vista, o se vogliamo essere biologicamente corretti, la risposta ai segnali elettromagnetici dello spettro visivo, è altamente sviluppata nelle piante. Questo perché, contrariamente a noi, non hanno la possibilità di muoversi e devono trovare comunque nutrimento, trasformando l'ossido di carbonio in zuccheri. Mentre noi umani siamo sensibili solo a una piccola parte dello spettro elettromagnetico, le piante lo percepiscono tutto».

- E gli altri sensi?
  «Quando si tratta di olfatto, invece, le piante sono meno sensibili. Noi possiamo percepire migliaia di odori, mentre quelli che sentono le piante si possono contare sulle dita di due mani».

- Nel suo libro «Quel che sa una pianta», edito da Raffaello Cortina, lei risale agli esperimenti di Charles Darwin per dimostrare che le piante posseggono specifiche capacità sensoriali. Ma cosa significa esattamente che una pianta «percepisce»?
  «Uno degli scopi del libro è presentare la biologia vegetale in modo scientifico. Quando scrivo "Cosa sente una pianta" o "Cosa annusa", non intendo dire che annusa o sente come noi. Uso una terminologia antropomorfica, ma allo stesso tempo voglio sottolineare che le piante non sono umane e che non posseggono un cervello».

- Il suo saggio esce a 40 anni dalla pubblicazione del famoso «La vita segreta delle piante», che tanto ha influenzato l'immaginario collettivo, attribuendo qualità semi-umane proprio al mondo vegetale: una visione che lei confuta.
  «Quel saggio uscì negli Anni 70 e, in realtà, non voleva essere considerato un trattato scientifico a tutti gli effetti. Esplora tanti strani studi: sostiene, per esempio, che alle piante piaccia la musica o che rispondano all'umore delle persone. Venivano presentati anche test in cui le piante muoiono, se si fa loro ascoltare musica rock, e ciò - tra l'altro - si sposava bene con chi voleva dimostrare che il rock 'n roll fosse dannoso ai giovani americani. Nessuno di questi esperimenti, però, è mai stato ripetuto in laboratorio. Uno dei miei obiettivi, quindi, era scrivere una versione scientificamente valida».

- Lei, invece, lavora ad altri esperimenti: quali sono i suoi progetti?
  «Cerco di capire perché le piante producono sostanze chimiche che noi impieghiamo come medicine. Broccoli e cavolfiori, per esempio, hanno proprietà che aiutano a proteggerci contro il cancro. Perché? Abbiamo estratto questa sostanza e l'abbiamo data alle piante di laboratorio per vedere quale fosse l'effetto: una delle conseguenze è che le loro cellule smettono di dividersi e questo è esattamente uno degli effetti che si vuole da un farmaco anti-cancro».

- Perché smettono di dividersi?
  «Non perché stiano cercando di uccidersi, ma, probabilmente, perché la pianta produce questa sostanza chimica solo quando è sotto stress e, quindi, non vuole crescere durante quello specifico periodo. Le connessioni tra animali e piante sono enormi. E la ragione è che due miliardi di anni fa le une e gli altri si sono evoluti a partire dalle stesse cellule».

- I suoi studi hanno anche un obiettivo eminentemente pratico, giusto?
  «Quando sono nato, eravamo tre miliardi, mentre oggi siamo sette. Nel 2050 saremo nove. Avremo bisogno di trovare un modo per alimentare sempre più persone con sempre meno spazio a disposizione e meno risorse naturali in un ambiente sempre più caldo. L'unico modo di riuscirci è comprendere come le piante rispondono e reagiscono all'ambiente. Se non capiremo come manipolare la biologia vegetale e non riusciremo ad aumentare la produzione agricola nel prossimo secolo, non avremo abbastanza cibo per nutrire i nostri nipoti. Ecco perché c'è la necessità di puntare sulla biologia vegetale».

(La Stampa, 6 novembre 2013)


Video


Hamas ammette: centrale elettrica ferma a causa della ANP

L'Unione Europea fornirebbe ogni mese alla Autorità Nazionale Palestinese (ANP) 11 milioni di euro per l'acquisto del carburante necessario a far funzionare la centrale elettrica di Gaza, soldi che andrebbero girati alla società israeliana incaricata di fornire il carburante ma che, secondo una denuncia di Hamas, non vengono affatto spesi per il carburante ma vengono trattenuti dalla ANP per altri scopi.
A denunciare la situazione è Mohamed El-Farra, Ministro degli enti locali a Gaza, in una intervista a Quod Press riportata dall'organo di stampa ufficiale di Hamas, Al-Qassam....

(Right Reporters, 6 novembre 2013)


Il pellegrinaggio della memoria tra le strade di Firenze

Oggi alle 18 l'appuntamento per ricordare i 70 anni dalla deportazioni degli Ebrei fiorentino. Si partirà da piazza Duomo fino alla Sinagoga.

FIRENZE, 6 nov. - Un pellegrinaggio della memoria che percorrerà le vie del centro storico di Firenze, fino alla sinagoga. Per ricordare i 70 anni dalla deportazione degli Ebrei di Firenze. L'appuntamento, organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio, è alle ore 18 di oggi con l'incontro in piazza Duomo, angolo con via dell'Oriuolo.
Il 6 novembre 1943 il comando nazista avviò a Firenze la cattura e la deportazione degli Ebrei fiorentini. Vennero arrestate oltre 300 persone. Il 9 novembre furono caricate sui treni diretti verso Auschwitz, dove arrivarono il 14 novembre. Solo 107 superarono la selezione per l'immissione nel campo: gli altri vennero immediatamante eliminati. Dal lager sarebbero tornati solo in quindici.
Nell'elenco dei deportati figuravano anche otto bambini nati dopo il 1930 e 30 anziani, nati prima del 1884. La razzia venne salutata con entusiasmo dalla stampa fascista che inneggiava alla caccia all'ebreo.
I tedeschi avevano completato l'occupazione di Firenze nel settembre 1943. Qui i nazisti poterono contare per la razzia sul sostegno attivo dei fascisti, in particolare su quello della banda Carità. Degli Ebrei deportati nei lager dal 6 novembre del '43 in poi, solo 15 tornarono indietro: otto donne e sette uomini.

(la Repubblica - Firenze, 6 novembre 2013)


Colloqui tra Capi di Stato Maggiore di Italia e Israele

ROMA, 5 nov - Il Capo di Stato Maggiore della Difesa, Ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, ha ricevuto questa mattina, a "Palazzo Caprara", il suo omologo israeliano, Generale di Corpo d'Armata Binyamin Gantz. In servizio con le Israel Defence Forces (IDF) dal 1977, il Generale Gantz è stato nominato Capo di Stato Maggiore della Difesa nel febbraio 2011. Nel corso dell'incontro, avvenuto in un clima di fattiva collaborazione, il Capo di Stato Maggiore della Difesa israeliano ha ringraziato le Forze Armate italiane per lo straordinario impegno profuso nella stabilizzazione delle diverse aree di crisi. Al centro del colloquio, la cooperazione bilaterale, in particolare nell'ambito dell'addestramento congiunto, delle capacità Cyber Warfare e degli equipaggiamenti militari. È stata, inoltre, sottolineata l'importanza di uno scambio informativo nel contrasto ai traffici illeciti e al terrorismo internazionale, in particolare nell'area mediorientale, anche con riferimento alla missione UNIFIL.

(AgenParl, 5 novembre 2013)


Hamas: la "resistenza a Israele" materia di studio a scuola

GAZA, 5 nov. - Oltre ai campi estivi lanciati nel 2012 per diventare un buon miliziano gli studenti nella Striscia di Gaza avranno come materia scolastica obbligatoria la "resistenza ad Israele". Lo ha annunciato il governo dell'enclave costiera, controllato dal giugno 2007 da Hamas.
L'obiettivo dei corsi, ha spiegato il ministro dell'Istruzione, Muetassem al-Minaui, e' instillare nei giovani "la fede nel ruolo della resistenza per conquistare i diritti e aumentare la consapevolezza dell'importanza di una preparazione effettiva per far fronte al nemico".

(AGI, 5 novembre 2013)


Il sindaco Marino incontra la Comunità Ebraica di Roma

Al lavoro su temi comuni

 
ROMA, 5 nov - Una lunga visita questa mattina al Tempio Maggiore di Roma per il sindaco Ignazio Marino e alcuni rappresentanti della Giunta capitolina. E' qui che il primo cittadino ha incontrato il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni, e la giunta della Comunita' Ebraica della Capitale con in testa il Presidente, Riccardo Pacifici. Un lungo incontro privato, circa un'ora e mezza, al termine del quale i protagonisti hanno incontrato i giornalisti sottolineando che si e' trattato di un confronto nel corso del quale sono state affrontate una serie di tematiche. Dalla Memoria - come sottolineato da Pacifici e Marino - ai progetti comuni come quello di ''una seria e rigorosa prevenzione piu' che contrasto lotta all'usura, su cui la comunita' e' impegnata, tema su cui il Comune sta investendo molto avviando centri antiusura in ciascuno dei 15 Municipi della nostra citta''', ha detto il Sindaco. ''Abbiamo parlato anche del tema dei rifugiati a partire dalla memoria storica, importantissima per la comunita' piu' antica d'Europa, ma anche dall'accoglienza che questa comunita' ha saputo offrire nel 1967 a chi ha dovuto bruscamente lasciare Tripoli e all'aiuto che assieme alla citta' di Roma la comunita' vuole generosamente offrire ai sopravvissuti della recente tragedia di Lampedusa non appena essi giungeranno nella citta' di Roma''. Disagio sociale, fragilita' e scuola, tra le altre questioni analizzate, ed il presidente Riccardo Pacifici ha tenuto a sottolineare che si e' deciso di ''spostare il baricentro della discussione volutamente non solo sui temi di cronaca nera come il boia delle Fosse Ardeatine, la commemorazione del 16 ottobre e poi il viaggio della Memoria, alle quali - ha ricordato - e' stata doverosamente dedicata nelle ultime settimane, per mettere al centro la cultura e la storia degli eberei vivi e il contributo che essi possono dare su temi quali il sociale, l'accoglienza dei rifugiati, l'usura, il sociale''. Quanto alla realizzazione del Museo della Shoah, Marino ha detto ai cronisti che l'argomento non e' stato affrontato, mentre Pacifici ha precisato che ''il sindaco ne parlera' quando incontrera' il presidente della fondazione Leone Paserman''.

(ASCA, 5 novembre 2013)


I filmati di Lord Balfour in Terra d'Israele nel 1925

Riprese uniche, che documentano l'entusiasmo degli ebrei di Palestina per l'artefice del primo riconoscimento internazionale del diritto ebraico all'indipendenza nella terra patria.

In occasione del 96esimo anniversario della Dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917 (con cui la Gran Bretagna, prima, e la comunità internazionale, poi, si dichiararono favorevoli alla costituzione di un " focolare nazionale per il popolo ebraico" nella Palestina appena liberata dal dominio turco-ottomano), il ricercatore cinematografico Yaakov Gross ha diffuso su YouTube alcuni rari filmati relativi alla visita che Lord Balfour fece nel 1925 in Terra d'Israele (allora sotto Mandato Britannico), e in particolare a Tel Aviv, Haifa, Nazareth e Petah Tikva....

(israele.net, 5 novembre 2013)


El Al inaugura il volo diretto da Venezia per Tel Aviv

VENEZIA, 5 nov - El Al Israel Airlines ha inaugurato il suo nuovo volo da Venezia per Tel Aviv, Aeroporto Ben Gurion. Il collegamento, effettuato con aeromobili Boeing 737-800, opera una volta a settimana ( martedi'), ma a partire dal prossimo aprile la frequenza settimanale triplichera'. La tariffa di lancio di andata e ritorno ''tutto incluso'' (tasse e supplemento carburante) parte da 199 euro in classe economica e da 699 euro in classe business.
EL AL, gia' operativa a Roma Fiumicino e Milano Malpensa, arricchisce cosi' la sua rete dall'Italia.
''Da anni stiamo lavorando sul volo per Tel Aviv'' - commenta Camillo Bozzolo, direttore sviluppo aviation di Save - ''e la liberalizzazione dei diritti di traffico aereo tra Italia e Israele ci permette di cogliere fin da subito i frutti di un impegno focalizzato su una richiesta di mercato consistente che conta gia' attualmente, in assenza di un volo diretto, oltre 30.000 passeggeri l'anno. E' un flusso di traffico importante, stimolato da vari segmenti di mercato, quali traffico d'affari, turismo anche religioso, senza dimenticare i legami storici che uniscono Venezia alla comunita' ebraica allargata''.

(ASCA, 5 novembre 2013)


Vivere in un bio kibbutz in Israele

In Israele ci sono delle comunità formate da volontari che lavorano e in cambio non ricevono denaro, ma beni della terra. Oggi, nel 2013, i classici kibbutz, fondati nel 1909, sono stati sostituiti dai bio kibbutz.

Il bio kibbutz Sde Eliyahu
I bio kibbutz sono delle comunità ecologiche alternative che hanno in comune la volontà di una fuga dalla società dei consumi, l'avvicinamento alla natura, l'uso dell'energia rinnovabile e forme di economia autarchica sostenibili. All'interno di queste comunità ci sono gruppi più o meno numerosi di famiglie e singles che hanno deciso di vivere a contatto con la natura, dedicandosi ad attività alternative, rispettose dell'animo umano e dell'ambiente e consumando al minimo le risorse naturali non rinnovabili. E così abbiamo agricoltura organica, medicina alternativa, educazione alternativa, produzione e consumo di energia solare, utilizzo e riciclo di acqua e rifiuti, edilizia ecologica.
Molte di queste comunità si basano su tre principi educativi: ecologia ambientale, ecologia culturale ed ecologia sociale. In effetti, al loro interno si trovano abitazioni di paglia e fango essiccato, ci sono orti in cui sono coltivati ortaggi e frutta, ci si occupa di riciclaggio creativo, trasformando in concime tutti i rifiuti organici. E per chi volesse far parte di queste comunità ci sono anche dei corsi e laboratori per adulti e bambini in cui vengono diffusi proprio i principi delle singole comunità e anche delle nozioni basilari su come vivere nei bio kibbutz.
Non c'è da meravigliarsi che i membri delle singole comunità siano vegetariani, anche se solo il pranzo si consuma insieme, per la cena ognuno è libero di mangiare ciò che vuole. Un ritorno alle origini, lontano da un mondo sempre più veloce e sempre più stressato.

(zazoom social news, 5 novembre 2013)


Uno Chagall sconosciuto tra i quadri del tesoro di Hitler

AUGUSTA, 5 nov. - C'e' anche un dipinto sconosciuto di Marc Chagall tra i quadri del 'tesoro di Hitler' ritrovati in un appartamento di Monaco, un'opera giudicata "di valore storico e artistico particolarmente alto". Lo ha reso noto Meike Hoffmann, lo storico dell'arte che sta collaborando con la polizia tedesca nelle indagini sui capolavori trafugati dai nazisti e rimasti nascosti per oltre mezzo secolo. Il quadro di Chagall, una scena allegorica, e' datato intorno al 1920. Tra i capolavori non conosciuti, anche un'opera di Otto Dix, un raro autoritratto dell'artista dipinto nel 1919, nonche' opere di Picasso e Matisse. Hoffmann ha tenuto oggi una conferenza stampa alla procura generale di Augusta, mostrando diapositive dei dipinti, ritrovati a casa dell'eccentrico anziano: Cornelius Gurlitt, figlio di Hildebrand, un noto gallerista dell'epoca nazista. Il procuratore di Augusta, Reinhard Nemetz, ha fornito oggi i numeri esatti delle opere: 1.285 dipinti senza cornice, 121 dipinti incorniciati, schizzi e stampe, alcune risalenti al XVI secolo. Hildebrand Gurlitt era stato uno degli esperti d'arte a cui i nazisti affidarono il compito di vendere il tesoro: opere trafugate ai collezionisti ebrei, a volte comprate a prezzi irrisori da ebrei in fuga che cosi' pagavano il prezzo della loro liberta' o sequestrato agli artisti dell'avanguardia considerati 'degenerati'. Un vero e proprio 'tesoro' di opere d'arte del valore complessivo di un miliardo di sterline, oltre un miliardo di euro: capolavori di artisti come Picasso, Matisse, Renoir e Chagall che si riteneva fossero andati perduti. Le opere, che molti pensavano fossero state addirittura distrutte durante un bombardamento nella seconda guerra mondiale, sono state ritrovate all'interno di un dimesso appartamento di Monaco di Baviera, in stanze in disordine e polverose, in mezzo a scatole di cibo andato a male. Gurlitt figlio li ha tenuti nascosti per anni, vendendone uno ogni tanto. Cornelius era stato pero' fermato dalla polizia finanziaria tedesca nel 2011 e scoperto in possesso di un'ingente somma in contanti; e da li' e' cominciata un'indagine che ha portato alla perquisizione dell'appartamento e al sequestro dei capolavori. A scoprire il mistero delle opere scomparse e' stato il magazine tedesco Focus che ha fatto luce sull'inchiesta della polizia finora tenuta nascosta. Gli investigatori, secondo Focus, avrebbero anche ritrovato un deposito bancario di Cornelius Gurlitt con circa mezzo milione di euro depositati, probabilmente il frutto delle vendite dei capolavori nel corso del tempo.

(AGI, 5 novembre 2013)


La follia nazista e i suoi «capolavori»

Un tesoro ritrovato, un indegno commercio

di Roberto Mussapi

Un tesoro moderno: non trovato in un vascello in fondo al mare, o sepolto in un'isola remota, e dopo lunghe e perigliose avventure, a rischio di naufragi e assalti di pirati. No, scovato, dietro un muro stipato di barattoli, come dietro un muro anonimo si consumava la tragedia di Anna Frank e della sua famiglia.
   Lo sanno ormai tutti, o quasi: 1.500 opere, capolavori da Matisse a Picasso, valore almeno un miliardo di euro, vegono trovati in un appartamento di Monaco. Opere fondamentali, che gli esperti consideravano da tempo o perdute o distrutte nei bombardamenti in Germania nella seconda Guerra, tornano all'improvviso alla luce in un vecchio appartamento, dietro un muro colmo di barattoli di fagioli. In breve, il tedesco Cornelius Gurlitt, ottantenne, protagonista di una storia emersa in seguito a normali controlli doganali su un treno diretto in Svizzera, è risultato proprietario di un patrimonio di opere di artisti come Nolde, Kokoschka, Paul Klee, ereditato dal padre intenditore e mercante d'arte.
   Queste opere, prodotti di una visione artistica moderna, "degenerata" secondo la visione di Hitler, furono acquistate a prezzi stracciati a poveri ebrei benestanti e collezionisti che cercarono con quelle vendite di salvarsi. Questa l'ipotesi dominante. E su di loro si riuscì, di padre in figlio, a far cadere il silenzio.
   In perfetta simultaneità, la cronaca registra un altro colpo di scena riguardante il patrimonio memoriale dei nazisti, una coincidenza che avrebbe allietato Priebke nella sua losca dipartita dal mondo. Mentre si scopre un museo artistico nazista, infatti, eBay lancia una vendita promozionale online di reperti storici dello stesso "glorioso" regime: non stiamo scherzando, stiamo tremando. Oggetti, "souvenirs" di Auschwitz sono stati messi regolarmente in vendita. Campeggia la tuta da lavoro di un panettiere ebreo polacco deportato in quel luogo, dove perse la vita, in vendita alla modica cifra di 13mila euro.
   Tra gli altri oggetti proposti on line il "Daily Mail", che ha scoperto e denunciato l'orrore, elenca scarpe, spazzolini da denti che sarebbero appartenuti a prigionieri. La situazione è difficile da reggere: si vendono come"souvenir", le povere scarpe di chi camminava ogni giorno verso la morte, subendo torture. Immaginiamo il povero internato che si lava i denti, affidando a quello spazzolino il suo residuo di memoria di umanità. Che la mostruosità nazista gli vuole, scientificamente sottrarre.
   Mentre si scopre un piccolo e prestigiosissimo museo di arte del grande Novecento, e un patrimonio che uomini spregiatori dell'arte, dell'anima, della vita, considerarono però importante per il valore economico e il potenziale prestigio, di questa banda di dannati da sottoinferno dantesco una moderna realtà mette in mostra e in vendita le prove della vergogna, del misfatto, dell'orrore.
   Due musei, uno di eccellenze estranee e contrarie allo spirito del nazismo, ma dal nazismo accumulate, e l'altro di reperti, di opere sì, davvero compiute dai nazisti: questi sono i loro "capolavori", questo il prodotto del loro spirito, vecchie scarpe consumate, spazzolini polverosi che ricordano bocche che avevano parlato, baciato, sorriso.
   Questo non lo ha fatto un nazista, lo ha fatto e Bay, che poi, smascherata, si è scusata. Non convince, e non basta. Come se la vita, e la vita e la morte degli altri, fosse un gioco. Chi fa questo concorre con chi vuole che si dimentichi. E tutto, sia chiaro, per superficialità, cinismo, profitto. Non è bello ripetersi. Ma sì, il povero Papa Francesco ha il suo bel da fare per risanare anche l'anima di questo Occidente.

(Avvenire.it, 5 novembre 2013)


Il primo bimbo siriano nato in Israele

di Fabio Scuto

 
Il primo bimbo siriano nato in Israele
E' la notte del 3 novembre, sulle alture del Golan siriano a Quneitra infuria la battaglia fra i ribelli e le truppe fedeli al presidente Assad che vogliono riconquistare la zona. S. una giovane ragazza siriana di 20 anni è in preda alle doglie mentre le mitragliatrici e i mortai fanno tremare i muri di ciò che resta in piedi della città dopo tre settimane di bombardamenti senza tregua, da due settimane poi mancano i viveri e S. è sottopeso perché ultimamente si è nutrita solo di riso, nella città manca anche la luce da giorni.
S. è sola e i vicini sono tutti nelle cantine a cercare scampo dai bombardamenti, capisce che arrivare per all'ospedale siriano più vicino deve attraversare la linea dei combattimenti che taglia la strada verso valle e che in una città dove si combatte strada per strada nessuno può darle aiuto.
Anche nel buio di notizie che provoca sempre la guerra, a Quneitra è arrivata la voce che oltre la linea del cessate il fuoco, dove c'è Israele, decine e decine di civili siriani - ma anche i combattenti del Free Syrian Army - hanno trovato aiuto e assistenza medica; sono stati aiutati dai militari israeliani, trasportati in un ospedale vicino e trattati con rispetto non certo da nemici. E' con la forza della disperazione che S. si incammina per quei due chilometri - tanto dista dalla città la linea del cessate il fuoco con Israele - mentre le doglie si fanno sempre più frequenti e dolorose, bruciando le ultime risorse che le restano riesce a passare la frontiera. L'ha ritrovata semisvenuta e in pieno travaglio una pattuglia dell'esercito israeliano. Messi via l'M-16 e le pistole, i soldati si sono improvvisati paramedici mentre la jeep in piena notte correva a folle velocità verso l'ospedale di Safed. Tre ore dopo, tra le linde lenzuola dello Zvi Medical Center, S. ha dato alla luce un bel bimbo di oltre di 3 chili.
Il primo bambino siriano nato in Israele.

(la Repubblica - blog, 4 novembre 2013)


Quest'America

Quando l'America divenne la terra promessa degli ebrei italiani.

di Anna Guaita

Fra la promulgazione delle leggi razziali e il sabato nero del ghetto di Roma corrono cinque anni. Per i 40 mila ebrei che vivevano nel nostro Paese, gli anni fra il 1938 e il 1943 segnarono la fine di una parentesi felice e la progressiva discesa agli inferi. Pochi si salvarono. Circa 5 mila riuscirono a scappare e lasciare l'Italia, e 2 mila arrivarono negli Usa. Erano scienziati e musicisti, docenti universitari, intellettuali, e difatti si parla spesso di quella fuga come della prima "fuga di cervelli". Ma ci furono anche tanti piccoli imprenditori, medici, commercianti, avvocati. E spessissimo coloro che trovarono in America una "nuova terra promessa" dovettero reinventarsi, rinunciando alle loro brillanti carriere, pur di racimolare il necessario per vivere.
   Le testimonianze di quelle vicende, quelle rinunce, quei sacrifici, quel coraggio sono state raccolte negli Stati Uniti da Gianna Pontecorboli, e l'editore Brioschi le ha pubblicate nel volume "America, Nuova Terra Promessa".
   Confesso di aver seguito da vicino la nascita di questo progetto: nell'aprile del 2010, andai a vedere al Jewish Community Center di Manhattan il documentario in cui Gianna Pontecorboli aveva raccolto le voci di questi italiani ebrei, alcuni oramai vecchissimi. Erano testimonianze destinate a essere dimenticate, se Pontecorboli non le avesse registrate, e poi ordinate in un libro che si legge tutto d'un fiato combattuti fra l'orrore della persecuzione e l'ammirazione per il coraggio dei fuggitivi e la generosità di chi li aiutò. Nell'introduzione, Furio Colombo scrive con mordente semplicità: "La fuga è parte della persecuzione". E nelle parole dei nostri connazionali iniquamente disconosciuti dalla loro patria trovi conferma di questa verità: fuggire non era facile. Ci voleva il visto di ingresso negli Usa, difficilissimo da ottenere. Ci volevano soldi. Ci volevano contatti, indispensabili per superare l'ostilità di una buona fetta dell'opinione pubblica americana. Alex e Carla Pekelis ci impiegarono due anni ad arrivare negli Usa, prima di superare l'ultimo scoglio: la resistenza del console americano a Lisbona, dove la famiglia era approdata dopo che anche la Francia era caduta. Lina Vitale racconta come suo padre si fidò dei suggerimenti dei cugini già da tempo negli Usa e cominciò ad arrampicarsi nottetempo sui passi alpini al confine con la Svizzera, per portare contante alle "guide" che poi per conto suo li depositavano nella filiale della Bank of America di Zurigo: un'avventura che poteva rivelarsi un gigantesco imbroglio, ma che invece funzionò benissimo e permise alla famigliola di far giungere alle autorità Usa i duemila dollari che avrebbero garantito il visto.
   E poi c'era l'ostilità americana: gli Usa uscivano dalla Grande Depressione e vedevano di malocchio i nuovi immigrati che "rubavano loro i posti di lavoro". Non basta: gli italo-americani stessi non accoglievano con favore gli italiani ebrei, perché la nostra comunità era allora filofascista. Solo con la nascita della Mazzini Society - voluta da Gaetano Salvemini, Lionello Venturi, Giuseppe Antonio Borgese, Michele Canterella Carlo Sforza, Aldo Garosci, Max Ascoli, Alberto Tarchiani, Randolfo Pacciardi - la popolazione italiana d'America esprimerà nette posizoni antifasciste.
   Cade quest'anno il 75esimo anniversario delle leggi razziali. E' una data che nella mia famiglia ebbe un poderoso impatto: vedendo amici e compagni di scuola di colpo bollati come nemici, i miei genitori sentirono rafforzati la loro convinzione e il loro impegno nella lotta antifascista. Mia zia, Maria Luigia, che di lì a poco diventerà una staffetta partigiana, rischiò la vita tante volte per aiutare amici ebrei - fra questi ci fu anche Carlo Levi - a ottenere carte d'identità false che potessero permetter loro di scappare. Ringrazio dunque Gianna Pontecorboli per averci restituito le voci dei nostri connazionali perseguitati e fuggiti. Che duemila di loro abbiano trovato in America la loro "nuova terra promessa" non alleggerisce la macchia indelebile che le leggi razziali lasciarono sulla coscienza del nostro Paese. Sono passati 75 anni, ma Furio Colombo ci ricorda quanto attuale sia la storia di quegli eventi "davvero accaduti, che non possono essere dimenticati, e che è giusto passare a coloro che allora non c'erano". "Si vedrà, sul fondo - aggiunge Colombo - la grande folla di coloro che hanno visto e taciuto. E ciascuno potrà porre a se stesso una domanda che non si può eludere: io che cosa avrei fatto?"

(Il Messaggero, 4 novembre 2013)


In cornice - Jeff Wall

di Daniele Liberanome, critico d'arte

  
Fotogalleria
Le fotografie che Jeff Wall espone al Museo di Tel Aviv vanno lette a diversi livelli, ma colpiscono a tutti. Le immagini di per sé coinvolgono per la loro perfezione, per l'attenzione a ogni dettaglio tecnico: per scattarle, Wall prepara un vero e proprio set cinematografico con attori professionisti; poi, cura con attenzione maniacale anche la fase di post-produzione perché i colori, le ombreggiature, siano perfette. Conviene passare del tempo davanti a ciascuna delle fotografie per scoprire gradualmente tutti i numerosi indizi che vi ha disseminato e che illustrano la sua visione della scena, dei personaggi, della situazione e così comprendere il suo pensiero in proposito. In "Mimic", ad esempio, un giovane uomo bianco con la barba guarda un asiatico e mima i suoi occhi a mandorla, con un gesto di sapore razzista. Nel frattempo, però, dà la mano alla compagna, anche lei bianca, che ha la stessa mimica facciale dell'asiatico, tanto che alla fine è il barbuto - peraltro vestito da ragazzo di periferia - a risultare isolato. I tre stano percorrendo una strada deserta in discesa, con le macchine (simbolo del mondo industriale) parcheggiate/ferme, e hanno appena superato uno strano cartello che pare indicare il divieto di accesso per le persone di colore. Come a dire che i vecchi pregiudizi verso i neri, apparentemente relegati al passato, si sono oggi trasformati in un'ostilità anti-asiatica, che è forte nonostante sia chiaro come i pregiudizi razziali abbiano rallentato lo sviluppo americano. La discesa, il superamento dei vecchi steccati, è solo superficiale. In "Insomnia" un uomo con gli occhi sbarrati è disteso in cucina, sotto il tavolo, in piena notte. L'ambiente è perfettamente pulito, in ordine, tutti i piatti lavati, i fornelli lindi; eppure uno sportello e una porta sono stati lasciati socchiusi, e una sedia è rivolta verso la finestra come se fosse stata appena chiusa. E' la concretizzazione dei problemi psichici dell'attore-protagonista, che cerca di sistemare un problema, ma ne lascia aperti altri, che si concentra a fondo su alcune questioni e gliene sfuggono altre - evidenti, e che quindi non riesce a superare l'insieme delle sue paure. Jeff Wall sta riscuotendo notevole successo a Tel Aviv, anche se qualcuno ha storto il naso, perché le sue fotografie non sono abbastanza innovative. Wall aveva recentemente esposto anche al Padiglione di Arte Contemporanea di Milano, senza però lasciare troppo il segno: guardare le sue fotografie è quindi anche un modo per comprendere meglio le differenze fra il mondo culturale israeliano e quello italiano.

(Notiziario Ucei, 4 novembre 2013)


Hamas ha una portavoce donna per la stampa estera

Israa al-Mudlal
La 23enne Israa al-Mudlal ha studiato in Gran Bretagna

GAZA, 4 nov - Nel tentativo di darsi una nuova immagine, Hamas ha da oggi anche una portavoce donna, che manterra' i legami con la stampa estera. Si tratta della 23enne Israa al-Mudlal, una giornalista e scrittrice che proviene da una famiglia ben nota a Gaza e che ha trascorso diversi anni in Gran Bretagna. Nelle prime dichiarazioni, al-Mudlal ha detto che cerchera' di misurarsi con ogni genere di stereotipo negativo e di fornire una visione alternativa della Palestina in generale e di Gaza in particolare.

(ANSA, 4 novembre 2013)


E Netanyahu prepara un muro sul Giordano

di Aldo Baquis

Celebre per la sua potenza evocativa per i fedeli cristiani ed ebrei, il fiume Giordano è destinato a cambiare fisionomia. Sulla sua sponda occidentale sarà costruita una barriera: un lungo reticolato, ricco di sensori e di strumenti ottici sofisticati concepiti per segnalare tempestivamente presenze reputate minacciose, o comunque sgradite. Anche in futuri accordi di pace, ha detto ieri il premier Benyamin Netanyahu, «il Giordano deve restare il nostro confine di sicurezza». In Cisgiordania, ha lasciato intendere, c'è spazio per un compromesso con Abu Mazen. Ma la valle del Giordano, sprofondata in una ripida depressione con 1000 metri di dislivello rispetto a Gerusalemme, mantiene un significato importante per gli strateghi israeliani. In primo luogo la Barriera servirà a scongiurare il pericolo che centinaia di migliaia di siriani, sfollati in Giordania, possano incamminarsi verso la Cisgiordania. Il fiume Giordano è scarso di acque: per bloccarli occorre dunque un ostacolo fisico più serio. Ma quella Barriera avrà anche un chiaro valore politico. Segnalerà ai palestinesi la determinazione israeliana a impedire che assumano il controllo del confine orientale del futuro Stato indipendente. Ad impedire cioè che un giorno spalanchino la porta a forze ostili allo Stato ebraico. «Cosi' - ha concluso Netanyahu - difenderemo non solo Israele, ma anche la pace». Per ora ci sono solo progetti preliminari. La costruzione vera e propria della barriera nella Valle del Giordano comincerà dopo il completamento della Barriera sul Golan e di quella al confine del Sinai, a ridosso di Eilat.

(La Stampa, 4 novembre 2013)


Oltremare - Cartina in mano
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Cartina in mano e naso in aria, perduti nel centro di Tel Aviv. Coppia di mezza età vestita di bianco quasi integrale: basandomi su nasi e avambracci parecchio arrossati mi rivolgo in inglese. Persi? Sì. (Sorrisi tra l'imbarazzato e il grato.) Dove volete arrivare? Al Dizengoff Center. Ah, beh, siete su King George, ci arrivate anche se non volete…
Non capita spesso, a dire il vero: Tel Aviv è come Torino e come Manhattan, è quasi a quadretti qui in centro. Perdersi è proprio difficile.
Questo incontro mi ha fatto pensare ad un pattern strettamente personale: ho la forte tendenza a vivere in città amate dai turisti. Sarà la discendenza materna da Venezia (semplificando molto, perché come discendenza ci sarebbero da aggiungere Ferrara e Padova almeno, molto meno centrali nel viaggio "tutta Europa in 7 giorni" del tipico giapponese). O al contrario, l'esser cresciuta in una Torino ancora pre-turistica, con quella cappa grigia che adesso finalmente è stata sollevata. Negli anni Ottanta e Novanta Torino era l'ultimo posto dove un turista poteva portare il proprio desiderio di bellezza, storia e cultura. Oggi, è la città ideale per tutte e tre le cose.
In Israele, dopo l'aliyah e i primi mesi in cui spesso si gira il paese in lungo e in largo, si smette poi a poco a poco di sentirsi turisti, e si diventa qualcosa di simile alle Giovani Marmotte. Piccoli esploratori del nostro stesso paese. Ogni luogo è nuovo ma è anche casa, come ci fossimo sempre stati; e lo si guarda con l'attenzione del neofita assieme alla confidenza del veterano.
I turisti - australiani - erano qui per un matrimonio, cosa sempre più comune in Israele. Dopo la fine della seconda intifada, siamo diventati una meta festaiola, quaggiù. Aerei interi di visitatori occasionali si posano, festeggiano matrimoni, anniversari importanti, bar mizva, e poi ripartono carichi di souvenir, album di foto già online, e una qualche opinione di Israele, speriamo buona. Di certo, ripartono con una cera migliore, che li metterà di buon umore all'arrivo.

(Notiziario Ucei, 4 novembre 2013)


Il prof. Pierino Dalleterme e la signora XY

di Marcello Cicchese

Sabato 2 novembre, presso la Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale di Genova, durante il Festival della Scienza, il prof. Piergiorgio Odifreddi, in occasione della presentazione del suo ultimo libro, ha voluto "fare chiarezza" sulla polemica scoppiata negli ultimi giorni riguardo ad alcune sue presunte posizioni negazioniste della Shoah. La frase incriminata che ha fatto montare la polemica è apparsa sul blog di Odifreddi lo scorso 14 ottobre in occasione di una discussione sui funerali di Priebke, a commento di un suo post:
    «Non entro nello specifico delle camere a gas, perché di esse so appunto soltanto ciò che mi è stato fornito dal ministero della propaganda alleato nel dopoguerra, e non avendo mai fatto ricerche, e non essendo uno storico, non posso fare altro che 'uniformarmi' all'opinione comune; ma almeno sono cosciente del fatto che di opinione si tratti, e che le cose possano stare molto diversamente da come mi è stato insegnato».
Odifreddi, da rigoroso ricercatore matematico, ha voluto spiegare meglio il suo pensiero:
    «Il ragionamento che ho fatto non è un tentativo di negare la Shoah, ma di evidenziare come spesso un avvenimento storico o una legge fisica - matematica, che noi diamo per scontata è il frutto di dati e informazioni che noi non possiamo o quanto meno non proviamo a verificare con documenti scientifici o storici e che quindi potrebbe essere basato su un'opinione».
Si tratta dunque di una generalissima lezione sui principi storiografici con cui bisogna avvicinarsi ai fatti storici, che richiedono un atteggiamento di dubbio metodico al fine di arrivare a distinguere tra ciò che è dimostrato e ciò che è soltanto supposto. L'atteggiamento storiografico di fondo può essere condiviso, ma il professore lo applica a tutti i fatti della vita? E se non sono tutti, perché ha sentito il bisogno di applicarlo proprio a questo argomento, e non a tanti altri? Che cosa rivela questa scelta?

PARABOLA
La signora XY era una persona onesta, laboriosa, moglie irreprensibile di un uomo che la amava, madre di tre bei bambini che allevava con cura. Ma poiché le male lingue non mancano mai, alcuni avevano cominciato a mettere in giro voci di dubbio sulla reale paternità di quei tre figli. Il prof. Pierino Dalleterme non era fra queste, ma innegabilmente, per motivi suoi, manteneva una cordiale antipatia per la signora XY e suo marito. Le male lingue allora, consapevoli di questa velata antipatia e sperando di averlo dalla loro parte, chiesero al professore che cosa pensasse delle voci che giravano. La risposta del professore fu sofferta e ponderata:
    «Non entro nello specifico dell'onestà matrimoniale della signora XY, perché su questo so soltanto quello che mi è stato detto dalla signora stessa e dalle persone che la conoscono; e non avendo mai fatto ricerche in proposito, e non essendo un detective di professione, non posso fare altro che 'uniformarmi' all'opinione comune; ma almeno sono cosciente del fatto che di opinione si tratti, e che le cose possano stare molto diversamente da come mi è stato detto».
E poiché qualcuno si premurò di avvertirlo che il marito della signora si era un po' arrabbiato, spiegò meglio il suo pensiero:
    «Il ragionamento che ho fatto non è un tentativo di negare la fedeltà matrimoniale della signora, ma soltanto di evidenziare come spesso un avvenimento della vita o una legge fisico-matematica, che noi diamo per scontata, è il frutto di dati e informazioni che noi non possiamo o quanto meno non proviamo a verificare con documenti scientifici o storici e che quindi potrebbe essere basato su un'opinione».
Il prof. Dalleterme quindi ci teneva a sottolineare che l'onestà matrimoniale della signora XY per lui poteva essere soltanto un'opinione. Solo questo voleva dire, null'altro. Non è nota la reazione del marito.

(Notizie su Israele, 4 novembre 2013)


Iran - Cristiani frustati: eseguita la sentenza per i bevitori di vino eucaristico

TEHERAN - La sentenza di 80 frustate per i cristiani condannati per "consumo di alcolici", dopo aver bevuto vino eucaristico durate una liturgia cristiana (vedi Fides 24/10/2013), è stata eseguita. Come appreso da Fides, Behzad Taalipasand e Mehdi Dadkhah hanno ricevuto 80 frustate, comminate con estrema violenza, il 30 ottobre. Secondo fonti locali, un altro dei condannati, Mehdi Reza Omidi, è stato frustato il 2 novembre, mentre non ancora si sa quando sarà punito Amir Hatemi. Le accuse alla base della sentenza sono "consumo di alcolici" e "possesso di un ricevitore e un'antenna satellitare". Come riferisce a Fides una nota di dell'Ong "Christian Solidarity Worldwide" (CSW), sebbene i quattro avessero 10 giorni per presentare un appello, dopo la sentenza del 20 ottobre, la pena è stata eseguita con estrema celerità: non è chiaro se i loro ricorsi sono stati respinti o se non sono stati presi nemmeno in considerazione.
Mervyn Thomas, Direttore di "Christian Solidarity Worldwide", dichiara in una nota inviata a Fides: "Questi uomini sono stati puniti semplicemente per aver partecipato a un Sacramento praticato per secoli dai cristiani di tutto il mondo. E' una violazione spaventosa e ingiusta del diritto di manifestare la propria fede in pratiche di culto e nei riti. L'Iran si è obbligato, aderendo alla 'Convenzione internazionale sui diritti civili e politici', a sostenere la libertà di religione o di credo per tutte le comunità religiose. Inoltre, la punizione inflitta viola l'articolo 5 della Convenzione, che vieta pene inumane o degradanti. Esortiamo il governo iraniano ad agire in linea con i suoi impegni internazionali".

(Agenzia Fides, 4 novembre 2013)


Israele - Scrupoli e attese

di Daniela Ovadia, giornalista scientifica

Embedded. Cioè a stretto contatto con chi è l'oggetto della mia indagine: in pratica, la situazione più difficile per una giornalista. Eppure, questa volta, mentre guardo il mare dalla stanza dell'albergo di Tel Aviv dove trascorrerò i primi due giorni della First Science Journalism Mission to Israel, non riesco proprio a trovare in me quel distacco e quello spirito critico e indagatore che, mi hanno insegnato, garantisce un reportage obiettivo. Innanzitutto perché nei prossimi 10 giorni io e gli altri 11 giornalisti scientifici (da Giappone, Guatemala, Stati Uniti, Germania, Canada e persino dall'Egitto, da cui arriva un collega che scrive per la prestigiosa rivista Nature), invitati dall'Accademia Israeliana delle Scienze per questo Grand Tour delle istituzioni scientifiche, visiteremo alcuni dei più importanti laboratori di ricerca e siti archeologici del Paese (e anche fuori, giacché faremo una puntata in giornata per scoprire a che punto è la costruzione di Sesame, l'acceleratore di particelle che ha sede in Giordania e che riunisce scienziati di Paesi che non hanno certo relazioni amichevoli). Poi perché incontreremo a cena almeno un paio di premi Nobel e scrittori del calibro di Meir Shalev; infine perché sono felice quando Israele, invece di mettere in piedi sistemi di contropropaganda, decide semplicemente di mostrare il lato migliore di sé. Ma la scienza che siamo venuti a raccontare è un'opera umana come le altre e riflette anche le scelte etiche e politiche di uno Stato, è lo specchio della società nella quale opera. È questo che spero di riuscire a raccontare a chi legge, perché la scienza non è affatto noiosa né è argomento per iniziati: è la lente attraverso la quale possiamo capire come un Paese guarda al suo futuro.

(Notiziario Ucei, 4 novembre 2013)


Iran: ''Morte all'America'' e "morte a Israele”

ROMA, 4 nov - ''Morte all'America'' e ''morte a Israele'': sono gli slogan scanditi oggi da migliaia di iraniani che si sono riversati nelle strade per commemorare il 34esimo anniversario dell'assalto all'ambasciata Usa a Teheran, nel 1979. L'evento, ricordato come ''La crisi degli ostaggi'' poiche' furono sequestrati 52 membri della rappresentanza americana dal 4 novembre 1979 al 20 gennaio 1981, apri' la prima profonda divisione diplomatico-politica tra Stati Uniti e Iran. Il corteo ha attraversato le strade principali della capitale, culminando di fronte all'edificio che ospitava negli anni '70 l'ambasciata statunitense.

(ASCA, 4 novembre 2013)


Obama sta lavorando alacremente per fare in modo che l’Iran rinunci al primo slogan. Solo al primo.


Anna Foa: "È il genocidio culturale del Terzo Reich"

La storica sul ritrovamento del tesoro segreto di Hitler: "Hanno cancellato non solo milioni di vite, ma una parte della nostra storia e del pensiero europeo".

di Alessandra Baduel

"Il numero dei morti della Shoah sovrasta il ricordo, il concetto stesso del genocidio culturale operato dal nazismo, fra opere sparite e possibilità di sviluppo del pensiero in ogni campo. Nei primi decenni del Novecento la creatività ebraica ha influenzato tutta la produzione, artistica e non solo: c'è un intero pezzo di cultura che manca, nella nostra storia, cancellato dai nazisti". La storica Anna Foa, grande esperta di ebraismo, accoglie la notizia del ritrovamento con le parole di chi da tempo riflette anche su questo, il "genocidio dell'arte", come lei lo definisce.
Secondo le stime, nella sola Francia i tedeschi saccheggiarono dalle case degli ebrei circa centomila fra dipinti, arazzi, sculture e altri oggetti d'antiquariato.
"E il paradosso ulteriore è che la chiamavano arte "degenerata", per poi nasconderla nei caveau e mostrarla agli amici, ben consci del suo valore. L'"ideale" hitleriano, in privato non valeva. Ma poi, penso a tutta l'arte finita con i suoi autori nei campi di sterminio. Un nome solo, Charlotte Salomon, morta ad Auschwitz a 26 anni, lasciandoci alcuni ottimi dipinti autobiografici. Cos'altro avrebbe potuto fare, per la cultura di tutti noi? E ci sono i musicisti. Continuavano a scrivere note sulla carta igienica, c'è un italiano, Francesco Lotoro, che sta recuperando quei foglietti, per farci finalmente sentire quelle note".
Come possiamo guardarli, oggi, quei quadri ritrovati? "Sono opere che nessuno in questi decenni ha potuto studiare, meditare, godere. Quando potremo di nuovo guardarle, bisognerà tenere conto di quel che è successo. Di dove sono state nascoste, fra barattoli di fagioli scaduti, nella polvere. Bisognerà capire quel che ha rappresentato la loro perdita per il mondo. E magari da lì riuscire a ripartire".

(la Repubblica, 4 novembre 2013)


Nulla sfugge agli Usa, anche Netanyahu è stato sorvegliato

di Fabio Scuto.

HERZILYA - «Penso che se la Nsa spiava le telefonate della cancelliera Merkel, allora ha certamente intercettato anche il premier Benjamin Netanyahu, per anni ha ascoltato ogni cosa anche in Israele. Certo, è necessario raccogliere informazioni in tutto il mondo perché il terrorismo è ormai mondiale, ma spiare le leadership dei Paesi alleati è una porcheria». Seduto nel suo ufficio di Herzilya Danny Yatom, ex direttore del Mossad e Consigliere della sicurezza nazionale quando era premier Ehud Barak, parla con serenità di un mondo fatto di ombre, inganni, doppiogiochisti, segreti disvelati o taciuti. Il generale Yatom, atletico per i suoi 68 anni, viene dalle fila del Chief of Staff Command, il Sayyeret Matkal (le Forze speciali) di cui è stato vice-comandante, sembra sincero quando dice: «A casa degli amici non si spia». Perché, poi aggiunge: «Però ci sono cose che si fanno insieme e cose che si fanno da soli, anche sul territorio di un Stato amico, a patto però che questo non lo danneggi». Quindi gli europei sono degli ingenui a pensare che fra alleati non ci si spia? «Non sono sicuro che siano ingenui, ma hanno ragione quando criticano gli Usa. Bisogna dedicare tutte le risorse di intelligence per combattere i pericoli maggiori che non vengono da Stati amici. Lo spionaggio contro paesi amici quando viene scoperto, e viene sempre scoperto, provoca dei gravi danni come vediamo oggi». Se gli americani spiavano anche Netanyahu significa che non si fidano di nessuno. «Per far fronte a minacce globali come il terrorismo mondiale fra noi, Cia, MI6 e altri, su fatti concreti come i tentativi iraniani di fare l'atomica, ci si racconta quasi tutto, i servizi dei Paesi democratici devono collaborare. E per collaborare su faccende così sensibili, ci deve essere un rapporto di fiducia assoluta». II Mossad ha sempre condiviso tutto con Cia? «La collaborazione è molto stretta. Così è anche con l'MI6 e molti altri servizi. Ci si racconta quasi tutto su argomenti concreti, per esempio sui tentativi dell'Iran di produrre la bomba atomica». Esiste un primo cerchio di intelligence che condivide tutto, i "Five Eyes" (Usa, Gran Bretagna, Canada, Nuova Zelanda ed Australia), poi ci sono tutti gli altri: come se fossero due club diversi... «Non è esatto: si lavoraconciascuna organizzazione separatamente. Può capitare che la Cia sappia da noi cose che non vengono dette all'MI6, sebbene facciano parte dello stesso club». Si possono evitare casi come quello di Snowden? «Non è possibile. Gli uomini sono creature complesse e quando si arruola qualcuno nella Cia o nel Mossad si fanno molti controlli ma alle volte gli esami sbagliano».

(la Repubblica, 3 novembre 2013)


Lucca Comics 2013, 170.000 presenze nei primi tre giorni: è record assoluto

Arrivano i primi dati sul festival toscano, che anche quest'anno cresce rispetto all'edizione precedente.

di Gabriele Ferrari

  
LUCCA, 3 nov - Oggi è l'ultimo giorno dell'edizione 2013 di Lucca Comics & Games, e finalmente possiamo tirare il fiato e cominciare a tracciare i primi bilanci. Siamo ormai giunti al diciottesimo anno della versione "estesa" del festival toscano, quella che comprende anche i Games nella line-up, e già possiamo proclamare quella di quest'anno come l'edizione più frequentata e di maggior successo della storia dell'evento: 170.000 biglietti staccati nei primi tre giorni (e ancora non ci sono i dati di domenica), ai quali vanno aggiunti i circa 7.000 pass dedicati a stampa e autori e, soprattutto, tutti quei frequentatori che non vengono conteggiati perché girano per le vie della città senza però accedere ai padiglioni, e non hanno quindi bisogno di biglietto per godersi i cosplayer e l'atmosfera del festival.
  La seconda considerazione da fare è di ordine pratico: con un totale di presenze che supererà abbondantemente le 200.000 unità, la città di Lucca, che durante l'anno conta 70.000 abitanti, sta per arrivare al collasso. Non che ci siano stati problemi particolari: l'organizzazione è sempre puntuale, gli eventi (anche quelli cinematografici) gestiti con competenza e puntualità e l'educazione del pubblico encomiabile. È innegabile, però, che se non si vuole correre il rischio di diventare un secondo Comic-Con (file di ore e ore, calca impressionante che rende impossibile godersi gli stand) bisogna inventarsi un nuovo modo di gestire gli spazi. La coda per entrare allo spazio Games, che per chi scrive è durata almeno un'ora, è esemplare in questo senso: un'area "collaterale" rispetto al fulcro della fiera (il fumetto), che attira una quantità impressionante di gente e che è più simile a un mattatoio che a un padiglione espositivo.
  La terza riflessione, invece, riguarda la relativamente neonata area Movie, che quest'anno ha portato anteprime di livello assoluto (e non parliamo solo di Thor: The Dark World, il vero evento della quattro giorni) e che promette di assumere un'importanza sempre maggiore per la fiera. Manca ancora una sola cosa: anteprime non solo nazionali ma internazionali, che diano a Lucca Comics il lustro di un grande festival cinematografico. Considerando la reazione del pubblico alle anteprime di Thor e Machete Kills, ci viene da dire che i tempi sono maturi.

(MOVIE, 3 novembre 2013)

*

Rutu Modan
Lucca Comics - Il trionfo di Rutu Modan

È la disegnatrice israeliana Rutu Modan, con il suo ultimo lavoro "La proprietà" (ed. Rizzoli Lizard), ad aggiudicarsi il prestigioso premio Gran Guinigi 2013 riconosciutole in occasione del festival internazionale Lucca Comis. A presentare l'autrice al grande pubblico del fumetto la redazione di Pagine Ebraiche nel corso di un incontro-intervista con Modan e con i suoi colleghi Guy Delisle e Giorgio Albertini svoltosi nella giornata inaugurale della manifestazione.

(Notiziario Ucei, 3 novembre 2013)



Domani il rabbino capo di Roma riceverà il sindaco Marino

ROMA, 3 nov. - Il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, con il presidente della comunità ebraica romana riccardo Pacifici, riceverà domani la visita del sindaco di Roma Ignazio Marino, presente assieme alla Giunta capitolina.
"Dopo l'incontro al Museo Ebraico - informa in una nota la Comunità ebraica romana - le due delegazioni si recheranno di fronte all'entrata principale del Tempio Maggiore di Roma, all'interno della cancellata d'ingresso, per la photo opportunity e un punto stampa".

(Adnkronos, 3 novembre 2013)


Khamenei frena sul negoziato nucleare e attacca Israele: "regime bastardo"

TEHERAN, 3 nov. - La Guida suprema iraniana, Ali Khamenei, ha raffreddato le speranze per un accordo sul programma nucleare iraniano ed e' tornato ad attaccare Israele, dopo le recenti aperture aperture del presidente Hassan Rohani.
"Quello sionista e' un regime illegittimo e bastardo", ha affermato Khamenei in una serie di affermazioni riportate sul suo sito web, "gli americani hanno la massima indulgenza verso questo regime ma noi non dobbiamo condividere questa indulgenza". La Guida suprema e' anche intervenuta per frenare le speranze di un'intesa con l'Occidente sul dossier nucleare.
"Nessuno deve guardare ai nostri negoziatori come a gente in cerca di compromessi", ha avvertito Khamenei in vista della prossima tornata di colloqui con il 5+1 a Ginevra, giovedi' e venerdi' prossimi, che fa seguito a progressi definiti da tutti come incoraggianti. "Non sono ottimista sui negoziati ma, con l'aiuto di Dio, non subiremo nemmeno delle perdite", ha spiegato la Guida suprema. "Tanto meglio se i negoziati portano frutti, ma se se non ci sono risultati, il Paese dovra' fare affidamento su se stesso", ha aggiunto Khamenei, a cui spetta l'ultima parola su questa materia. Poi ha invitato "a non fidarsi di un amico sorridente": "Gli americani sorridono e dicono di voler negoziare ma dall'altro lato dicono subito che ogni opzione e' sul tavolo". Il presidente Rohani, insediatosi ad agosto, ha ammorbidito i toni verso Israele definendo l'Olocausto "un crimine", dopo il negazionismo del suo precedessore Mahmpud Ahmadinejad, e facendo gli auguri agli ebrei per il loro Capodanno.

(AGI, 3 novembre 2013)


Le scuse di eBay per la vendita di effetti personali delle vittime dell'Olocausto

Posti in vendita persino i vestiti indossati dai deportati nei campi di concentramento nazisti.

I vestiti indossati dagli ebrei
nei campi di concentramento
in vendita su eBay
Rimossa con tanto di scuse da eBay la lista di effetti personali e oggetti legati all'Olocausto nazista. Sul sito di e-commerce erano stati posti in vendita persino i vestiti indossati dai deportati nei campi di concentramento nazisti . La decisione di eBay dopo la denuncia della stampa britannica che aveva trovato in vendita persino una divisa completa di Auschwitz indossata da un panettiere polacco morto in un campo di sterminio nazista. Subito dopo la denuncia eBay è corsa ai ripari rimuovendo una lista di circa 30 oggetti ed effetti personali di vittime dei campi di concentramento. Ammesso che non si tratti di sconcertanti truffe di pessimo gusto.

LE SCUSE - In una dichiarazione eBay ha comunque preso le distanze. « Siamo molto dispiaciuti - si legge in una nota- Non consentiamo annunci di questa natura e dedichiamo un'attenta sorveglianza del personale per rilevare oggetti che non dovrebbe essere in vendita . Ci dispiace molto che non siamo stati all'altezza dei nostri standard» .

IL VENDITORE - Difficile stabilire da quanto tempo andava avanti questo singolare commercio di oggetti legati all'orrore dell'Olocausto. Secondo la stampa britannica la presunta uniforme di Auschwitz è stata posta in vendita al prezzo di 11.300 sterline da parte di un ucraino residente in Canada che l'anno scorso ha venduto un altro lotto di capi di abbigliamento, presumibilmente provenienti da Auschwitz per 18.000 dollari. Tra gl articoli posti in vendita su eBay anche scarpe e uno spazzolino delle vittime dei campi di concentramento, e ancora una stella gialla di David e bracciali utilizzati dai nazisti per identificare gli ebrei

(Corriere della Sera, 3 novembre 2013)


Netanyahu vuole una barriera difensiva sul Giordano

TEL AVIV - Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ritiene necessaria la costruzione di una barriera difensiva nella Valle del Giordano. Lo afferma oggi il quotidiano Maariv secondo il quale a spronare Netanyahu verso la costruzione della barriera sul Giordano è stata la presenza di centinaia di migliaia di profughi siriani nel regno hashemita e la possibilità che parte di loro possano tentare di entrare in Cisgiordania.
I lavori di progettazione sono iniziati, ma per la realizzazione occorrerà attendere il completamento di altre due barriere: quella di Eilat (mar Rosso) a ridosso del confine con l'Egitto e quella sulle alture del Golan.
Ma la nuova barriera, sostiene Maariv, ha anche un fine politico: chiarire ai negoziatori palestinesi che Israele intende mantenere una presenza permanente nella valle del Giordano, anche nel contesto di accordi di pace o di accordi di transizione di lungo termine.

(TicinOnline, 3 novembre 2013)


Tennis - Tunisia punita per aver vietato di sfidare un israeliano

Appurata l'innocenza del tennista Malek Jaziri, la ITF ha deciso di sospendere per un anno la Tunisia dalla Coppa Davis. La federazione tunisina, infatti, aveva vietato a Jaziri di sfidare l'israeliano Amir Weintraub
Il Board of Directors della Federazione internazionale di tennis (ITF), in occasione della riunione di Cagliari, ha escluso per un anno la Tunisia dalla Coppa Davis per aver ordinato a un suo giocatore, Malek Jaziri, di non affrontare l'israeliano Amir Weintraub nel challenger giocato lo scorso mese a Tashkent.
"Non c'è spazio per alcun tipo di pregiudizio né nello sport, né nella società - ha dichiarato il presidente della Itf, Francesco Ricci Bitti - Per questo abbiamo deciso di mandare un messaggio forte alla Federazione tunisina: simili azioni non saranno tollerate e la sospensione dalla Coppa Davis, una competizione fondata 113 anni fa per incoraggiare una migliore comprensione attraverso lo sport, sarà una buona lezione oltre che una sanzione adatta per quanto accaduto".

(Eurosport, 2 novembre 2013)


Incontro a Milano con Dova Cahan - un ebrea Askenazita tra Romania, Eritrea e Italia

   
Dova Cahan
Il Centro Culturale Italo-Romeno ha il piacere di invitarVi giovedi 14 novembre 2013, ore 18 00, ad un emozionante incontro con Dova Cahan, che vive a Tel Aviv, autrice del libro "Un Askenazita tra Romania ed Eritrea e del fim documentario "Viaggio di un sionista tra Romania ed Eritrea" due belle testimonianze su un passato, una famiglia e un padre.
Nella serata che gode del Patrocinio del Consolato Generale della Romania a Milano, verrà presentato il film documentario "Viaggio Sionista tra Romania ed Eritrea", realizzato da Dova Cahan e dedicato al suo padre il grande Sionista romeno Herscu Saim Cahan (1912-1974), nato in Romania, pioniere sionista emigrato dalla Romania all'inizio della dittatura comunista e rimasto nell'ex colonia italiana Eritrea fino alla morte.
Il film - un breve documentario di 38' minuti parlato in ebraico con sottotitoli in inglese, romeno ed italiano racconta la storia di Herscu Saim Cahan, della sua famiglia durante gli anni passati in Romania dal 1912 al 1948 e poi la seconda parte della sua vita ad Asmara Eritrea dal 1948 fino alla sua improvvisa morte il 3 marzo 1974.
Dova Cahan è nata a Bucarest, Romania, il 17 giugno 1947. Nel febbraio 1948, all‘eta di sette mesi, giunge ad Asmara, Eritrea, dove ha vissuto fino al giugno 1967. Con la Guerra dei Sei Giorni si è trasferita in Israele per proseguire gli studi, per cercare di realizzare di, una nuova vita ed integrarsi in quello che era lo Stato ideale di suo padre. Vent‘anni vissuti ad Asmara, in quell‘oasi dell‘Africa Orientale, hanno lasciato un‘impronta profonda in lei che difficilmente può essere cancellata.
Il legame dell'autrice e della direttrice di questo film documentario, Dova Cahan con la Romania ed altrettanto con l'Italia si puo dire che sono allo stesso livello con Israele, il paese di origine. Il suo legame con l'Italia e` dovuto all` educazione, cultura ed integrazione nella società italiana che esisteva all'Asmara di quei giorni.
Interveranno: Dova Cahan, la scrittrice Erminia Dell'Oro, Violeta P. Popescu.
La serata si svolgerà presso la Biblioteca romena, Via Trebbia 33, citofono 66 (MM gialla, fermata porta Romana) nell'ambito dell'iniziativa Caffe Letterario, come un progetto di scambio interculturale avviato dal Centro Culturale Italo Romeno e la casa editrice Rediviva, che ha già visto una serie de eventi culturali nel arco di quest'anno.
Vi aspettiamo!
Contatti: infoculturaromena@gmail.com; +3407638880
www.CulturaRomena.it
www.redivivaedizioni.com

(Cultura Romena, 2 novembre 2013)


Merkel: "Tolleranza zero contro l'antisemitismo"

La Germania si prepara a commemorare il prossimo fine settimana gli orrori commessi dai nazisti contro gli ebrei nella "Notte dei cristalli" di 75 anni fa.

BERLINO - Angela Merkel ha lanciato oggi un monito ai suoi concittadini a non tollerare nessuna forma di antisemitismo mentre la Germania si prepara a commemorare il prossimo fine settimana gli orrori commessi dai nazisti contro gli ebrei nella "Notte dei cristalli" di 75 anni fa.
La cancelliera dopo aver definito quella lunga notte del 9 novembre 1938 "uno dei momenti più neri della storia tedesca che è poi purtroppo continuato in modo ancora più drammatico con la Shoah", ha esortato "tutti gli abitanti di questo Paese a dar prova di coraggio civico per fare in modo che non sia più tollerata alcuna forma di antisemitismo". E' "quasi inspiegabile ma pertanto è la realtà: non è possibile lasciare una istituzione ebraica senza sorveglianza della polizia" in Germania, ha esclamato la cancelliera prima di felicitarsi nel contempo per la rinascita della comunità ebraica in Germania, in particolare grazie agli immigrati giunti dai Paesi dell'ex Unione sovietica.
Durante il terribile pogrom del 1938 più di 7,000 negozi di ebrei furono dati alle fiamme o distrutti insieme a decine di sinagoghe. Almeno 90 ebrei morirono assassinati o per le conseguenze di questi atti vandalici mentre 30.000 furono arrestati e poi internati nei campi di concentramento già approntati da Hitler in Germania.

(Today, 2 novembre 2013)


Penultima giornata ai Campionati Europei Techno 293

I Campionati Europei Techno 293 in corso di svolgimento a Eilat, in Israele, si avviano verso la conclusione. Ieri ancora una bellissima giornata di sole con temperature di 30 gradi, vento a 6 nodi con raffiche di 10 nodi. La speranza di poter godere di condizioni tali da portare finalmente a termine un programma completo su tre prove è andata nuovamente delusa, così il comitato ha potuto far disputare solo due prove. La prima prova degli under 15 vedeva al termine del secondo giro Nicolò Renna al secondo posto e Riccardo Renna al quinto ma, non consapevoli di dover effettuare un terzo giro, si avviavano erroneamente, insieme ad altri regatanti,verso l'arrivo e così precipitavano nella classifica. Seconda prova con vento in calando: Nicolò Renna ottavo e Riccardo Renna tredicesimo. Oggi ultima giornata con possibile partenza conclusiva alle ore 15,00 e premiazione al circolo alle ore 17.00.
Dopo sette prove tra gli under 15 maschili guida nettamente la classifica l'israeliano Itai Kafri sul connazionale Guy Sitin e sull'americano Geronimo Nores. Con Nicolò Renna 27mo e Riccardo Renna 35mo. Al comando nell'under 15 femminile l'israeliana Katy Spychakov, a precedere la polacca Lidia Sulikowska e l'israeliana Yarden Isaak. Nella categoria under 17 maschile, dominata dall'israeliano Ofek Elimelech, battaglia alle spalle con quattro atleti racchiusi in quattro punti. Attualmente è secondo l'ucraino Aleksandr Goncharenko sull'israeliano Daniel Harari, ma anche il russo Prozorov e l'argentino Saubidet Birne possono ancora entrare nel gioco delle medaglie. Jacopo Renna è in 38ma posizione. Tre ragazze in un punto rendono avvincente il finale under 17 femminile, con l'israeliana Shoval Ravitzki a pari punti con la russa Mariam Sekhposyan, e a un punto l'altra israeliana Noy Drihan.

(Federazione Italiana Vela, 2 novembre 2013)


Staminali: possibile creare cellule 'riprogrammate' completamente

TEL AVIV, 2 nov. - E' possibile creare cellule staminali "riprogrammate" che non abbiano la "memoria" di quello che erano prima, un problema che attualmente limita le applicazioni. Lo affermano i ricercatori del Weitzmann Institute di Rehovot, in Israele, che hanno presentato i risultati preliminari in un comunicato. Le cellule ottenute dai ricercatori israeliani un giorno potrebbero essere utilizzate per far crescere interi organi "a comando". Attraverso una serie di esperimenti e analisi genetiche e' stato possibile ottenere un "trattamento" per le cellule riprogrammate che riesce a far loro "dimenticare" completamente le caratteristiche da cui sono partite. "Le cellule 'riprogrammate' trattate in questo modo - spiegano gli autori - una volta iniettate in embrioni di topo ai primissimi stadi si differenziano normalmente, segno che sono tornate 'naif'".

(AGI, 2 novembre 2013)


Papiri, stampe, parole eterne della Bibbia

Il Libro dei Libri a Gerusalemme con preziosi reperti

di Aldo Baquis

   
Fotogalleria
GERUSALEMME - La Bibbia torna a fare da protagonista a Gerusalemme con una nuova mostra (il 'Libro dei Libri', Museo delle Terre della Bibbia) che ripercorre la diffusione cronologia e geografica del Vecchio e del Nuovo Testamento. Esamina inoltre le relazioni fra la accezione ebraica e quella cristiana del monoteismo. Una esposizione senza precedenti nel suo genere in Israele che nel prossimo futuro arriverà, in forma analoga, anche nel Vaticano.
Allestita grazie a preziosi reperti messi a disposizione dalla Collezione Green di Oklahoma City e con l'aiuto della associazione Verbum Domini, la mostra (frutto di due anni di lavoro) ha dovuto misurarsi con le particolari sensibilità del pubblico israeliano in generale, e di quello tradizionalista di Gerusalemme in particolare.
''Non e' stato facile'' ha detto all'ANSA la direttrice del Museo Amanda Weiss. ''Abbiamo dovuto dar vita ad un giusto equilibrio, ci siamo sforzati molto di non colpire alcuna sensibilità ''. Questa settimana, alla cerimonia di apertura, c'erano la ministra israeliana dell'istruzione Limor Livnat (Likud Beitenu) e il rabbino capo David Lau, un esponente dell'ebraismo ortodosso. ''Entrambi - ha osservato la Weiss - si sono congratulati''.
Con un entusiasmo da esploratori, i curatori si sono lanciati alla ricerca delle prime tracce scritte dei testi biblici che, in una forma o in un'altra, erano stati tramandati oralmente per secoli dai primi ebrei. I tesori più antichi recuperati (gli originali fragilissimi sono custoditi a Oklahoma) sono pergamene tracciate da asceti esseni, nel II secolo a.C., sulle sponde del mar Morto, a poche decine di chilometri dal Museo. Parlano di Isaia, e discutono anche un codice sociale di comportamento.
Poche bacheche più avanti i salmi biblici sono proposti in lingua greca, su frammenti originali di papiro.
La volontà invincibile di rilanciare i testi biblici doveva anche fare i conti con la penuria di pergamene: accadeva allora che testi antichi fossero raschiati per far spazio alle nuove elaborazioni (come il Codice di Johannes Climacus, del IX secolo). Poi, con Gutenberg, sarebbe arrivata la stampa: i visitatori possono ammirare due suoi originali del 1450. Oggi, grazie ai Cd, quelle pagine magiche stampate in 180 copie sono a disposizione di tutti.
In posti diversi, in epoche disparate, sarebbe comunque rimasta prepotente la volontà di accostare la Bibbia alle persone più disparate: qualcuno, a fin di bene, avrebbe fatto ricorso anche a disegni naif, simili a comics. In esposizione anche una Bibbia 'poliglotta': ogni pagina presenta il medesimo testo in sette lingue diverse, fra cui l'arabo e il farsi. Altri avrebbero prodotto già secoli fa Bibbie in versione 'pocket', per chi era obbligato a viaggiare. Nel 1386 Johannes da Mortegliano (Udine) avrebbe strabiliato i propri contemporanei producendo un documento lungo cinque metri (in fogli ripiegati, come una fisarmonica) in cui riassumeva in lettere microscopiche ma graficamente perfette la Storia dell' umanità. Una corsa tutta di un fiato dal Paradiso terrestre di Adamo ed Eva fino ai suoi giorni, passando attraverso gli episodi narrati dalla Bibbia, e dando prova di sterminata erudizione. La sua 'Compilacio Historiae Totius Bibliae' calamita oggi i visitatori di tutte le età.
Ogni anno il Museo delle Terre della Bibbia è visitato da 150 mila persone. Grazie alla mostra del 'Libro dei Libro' la Weiss prevede che i visitatori cresceranno del 10-15 per cento. ''Per i turisti - conclude - abbiamo preparato guide-audio in otto lingue, italiano incluso''.

(ANSAmed, 1 novembre 2013)


Gerusalemme rende omaggio a Giuseppe Verdi

Folla al concerto promosso da ebrei italiani

di Elisa Pinna

Immagini dal concerto verdiano a Gerusalemme
GERUSALEMME - Giuseppe Verdi a Gerusalemme: con un concerto delle più famose arie del grande compositore di Busseto, la numerosa comunità di ebrei italiani in Israele (circa 15 mila persone) ha voluto rendere omaggio al musicista, chiudendo così una serie di eventi organizzati per il bicentenario della sua nascita.
In una sala stracolma di spettatori, nel magnifico complesso della sinagoga e del museo della Hevrat Yehedè Italia - un gioiello nel cuore di Gerusalemme - i soprano Valeria Fubini e Dika Philosoph, il mezzo soprano Iris Bril, il tenore Marc Sheiner, accompagnati al piano da Sonia Mazar, hanno eseguito una serie di brani dalla Traviata al Nabucco, compresa una Ave Maria, entusiasmando il pubblico presente.
L'evento, organizzato dalla Hevrat Yehedè Italia con l'Istituto Italiano di Cultura di Tel Aviv, l'ambasciata d'Italia in Israele, la Società Dante Alighieri, ha rappresentato anche un omaggio allo straordinario lavoro svolto per tre anni dalla direttrice dell'Istituto di cultura italiana Carmela Callea, che conclude in queste settimane il suo incarico in Israele.
Un legame speciale lega Verdi a Gerusalemme, oltre all'amore che il pubblico israeliano nutre per le sue opere, testimoniato dalla folla rimasta fuori dal concerto per problemi di spazio. Gli arredi della sinagoga di Busseto sono stati ricollocati alla Knesset, il parlamento israeliano, ed un ebreo contemporaneo ed amico di Verdi, il pittore scrittore Gioacchino Levi dipinse il primo teatro dell'opera della cittadina del musicista, oltre che molti altri teatri italiani.
"La comunità di ebrei italiani in Israele - ha sottolineato parlando con l'ANSA l'ambasciatore Francesco Maria Talò, presente anche lui al concerto - è estremamente dinamica e ben posizionata nella società. Si va dalla presenza storica di famiglie di ebrei italiani a Gerusalemme fino ai giovani arrivati a Tel Aviv ed impegnati nelle tante start-up del Paese".
Fulcro e collante di queste tante realtà rimangono la sinagoga e il Museo di arte italiana 'Umberto Mahon' di Gerusalemme. La magnifica, settecentesca sinagoga, intagliata in legno dorato e ispirata al Rococò, si trovava a Conegliano Veneto (Treviso), ma venne portata e ricostruita a Gerusalemme dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando l'ultimo ebreo abbandonò la cittadina vicina a Venezia e Padova. Il museo contiene oggetti e opere d'arte arrivati da tutta Italia, tra cui un'imponente Arca dell'Alleanza, la seconda più antica del mondo, proveniente da Mantova.
Vanto degli ebrei italiani, la struttura è ancora poco conosciuta dai tanti pellegrini cristiani che affollano la Terra Santa. Cecilia Nizza, direttrice della sezione culturale dell'associazione Italia-Israele, spera che le cose possano cambiare. Proprio pochi giorni fa un gruppo di turisti cattolici ha fatto tappa nella sinagoga ed ha avuto un incontro di oltre tre ore con la comunità ebraica, un esempio di come la conoscenza reciproca ed anche il dialogo interreligioso possano svilupparsi.

(ANSAmed, 1 novembre 2013)


Liberare assasini porta la pace

di Stefano Magni

Isaac Rotenberg era riuscito a sopravvivere ai nazisti. Deportato a Sobibor era riuscito a fuggire e a raggiungere la resistenza ebraiche che combatteva nelle foreste dell'Est europeo. Dopo aver corso pericoli mortali di ogni genere, dopo essere scampato al più intenso sterminio della storia, era finalmente "in salvo" in Israele, quando stava lavorando in un cantiere a Petah Tikvah, nel 1994, un anno dopo l'avvio del "processo di pace". Proprio lì, a casa sua, è stato assassinato a colpi d'ascia da un palestinese, Hazem Kassem Shbair.
Un anziano signore in pensione, Moris Eisenstatt, nel 1994 stava leggendo un libro, seduto su una panchina di Kfar Saba, quando è stato assassinato a colpi d'ascia da un altro palestinese, militante del partito Fatah, Ibrahim Salam Ali. Israel Tenenbaum, lavoratore agricolo, di notte prestava servizio volontario (per arrotondare lo stipendio) come guardia notturna di hotel. Aveva 72 anni quando, nel 1993, l'anno di inizio del "processo di pace", fu aggredito a colpi di spranga da un militante di Fatah, Salah Ibrahim Ahmad Mugdad. David Dadi e Haim Weizman stavano dormendo nell'appartamento di Weizman, quando due palestinesi, Abu Satta Ahmad Sa'id Aladdin e Abu Sita Talab Mahmad Ayman, hanno fatto irruzione a casa loro e li hanno assassinati entrambi. Per dimostrare ai compagni di lotta che li avevano realmente assassinati, i due palestinesi mozzarono le orecchie alle loro vittime e le portarono come trofeo e prova dell'avvenuto delitto.
Ian Sean Feinberg, 30enne, padre di tre figli, era un idealista: nel 1993, primo anno del "processo di pace", lavorava e studiava su progetti di sviluppo economico dei territori palestinesi. Era a una riunione di lavoro a Gaza, quando Abdel Aal Sa'id Ouda Yusef lo uccise a colpi di pistola. Tutti questi uomini, cittadini israeliani che avevano solo la colpa di essere ebrei in Israele, non ritorneranno più in vita. In compenso, i loro assassini e molti altri, sono tornati in libertà.
Gli assassini di cui sopra sono infatti parte della lista dei 26 prigionieri palestinesi (definendoli così sembrerebbero quasi dei prigionieri politici, o di coscienza) scarcerati, in cambio di una vaga promessa. Neanche una promessa di pace, ma un impegno, ancora privo di garanzie, a "ricostruire fiducia". Le vittime israeliane e i loro parenti ancora in vita non hanno diritto di parola.
L'unico ministro che si è opposto alla loro liberazione, Naftali Bennett, è accusato di essere un "fascista". L'unica preoccupazione apparente dei media italiani pare essere la ripresa delle costruzioni di case negli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Una "provocazione" che, così alcuni dicono, sarebbe stata ottenuta come contropartita alla liberazione dei killer di Fatah. È "realpolitik", pensa e dichiara il premier Benjamin Netanyahu. Vale la pena di liberare 26 omicidi per costruire quattro case in più? Non solo. C'è la speranza che la loro scarcerazione sia solo un primo passo di un nuovo "processo di pace". Un po' come quello degli anni '90, durante il quale furono assassinate tutte le vittime dei killer di Arafat.

(L'Opinione, 1 novembre 2013)


L'energia giovanile del Batsheva Ensemble conquista il Teatro Comunale di Vicenza

di Cinzia Albertoni

Tutta la deflagrante energia della giovinezza palpita nel Batsheva Ensemble, propaggine junor della celebre Batsheva Dance Company di Tel Aviv. Un'energia per niente scomposta ma ben incamerata nella ferrea disciplina della danza sotto le direttive del coreografo Ohad Naharin, il quale non si attarda su effetti speciali di luci e messe in scene ma punta tutto sulla dinamica fisicità.
E' questa l'idea che suggerisce Deca-Dance, un cocktail di tasselli del repertorio Naharin, riassemblati in un ordine che si scoprirà solo alla fine dello spettacolo perché ogni nuova rappresentazione è rinfrescata da variazioni.
Si è aperta con questa miscellanea di performances la stagione del Teatro Comunale di Vicenza, la cui rassegna di danza punta in alto, offrendo il meglio che gira oggi nei teatri di tutto il mondo. Interessante la storia di questa compagnia (illustrata nell'approfondito Incontro con la Danza tenuto dal critico e docente Marinella Guatterini), fondata nel 1964 da Martha Graham e dalla baronessa Batsheva De Rothschild che decisero di far nascere una succursale della Martha Graham Company di New York a Tel Aviv, appena sedici anni dopo la proclamazione dello stato d'Israele. L'avvicendarsi nel tempo di famosi coreografi proietta la compagnia in un successo internazionale, mantenuto oggi dal direttore artistico Ohad Naharin, nato nel 1952 in un kibbutz, formatosi prima a Tel Aviv e poi a New York che lascerà in seguito alla morte della moglie per tornare in Israele a dirigere la Batsheva Dance Company.
Il balletto Deca-Dance non è solo uno spettacolo bensì un "serial" che si avvale di un incastro di coreografie mixate che propongono un'alternanza di situazioni comiche, aggressive, poetiche o a sorpresa, come lo sparpagliarsi dei ballerini in sala per reclutare una decina di ragazze e invitarle sul palco per ballare insieme il Cha Cha Cha De Amor cantata da Dean Martin. Un imprevisto ingaggio molto apprezzato dal pubblico.
Grandi contrasti caratterizzano il ritmarsi delle coreografie sostenute da mutevoli brani musicali: dal barocco di Vivaldi, al contemporaneo dei Beach Boys, con intrusioni nei canti popolari e nelle cadenze medio-orientali. Ma, siccome Naharin punta tutto sulla corporeità, è soprattutto nei movimenti che emergono le contrapposizioni; velocità e lentezza, fluidità e rigore, naturalezza e automatizzazione, frenesia e immobilità, si alternano, si succedono, s'incalzano per comporre non una particolare storia ma l'eloquente grafia del linguaggio del corpo.
I danzatori, tutti di età compresa tra i 18 e i 24 anni, non si risparmiano e regalano al pubblico il massimo delle loro espressive potenzialità, rafforzate oltre che dalle tradizionali lezioni di danza classica e contemporanea, da un quotidiano allenamento basato sulla tecnica Gaga, una ricerca sulle movenze spontanee, semplici e istintive, un'esperienza personale per "sentire" il corpo, liberarne la sensibilità e ricompensarlo dalle fatiche fisiche.
Tutto questo produce una bravura eccezionale che non insegue la perfezione bensì l'emozione, captata dal pubblico e ricompensata con entusiastici applausi.

(duerighe.com, 1 novembre 2013)


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